Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, calunnia o pazzia le accuse le provo con inchieste testuali tematiche e territoriali. Per chi non ha voglia di leggere ci sono i filmati tematici sul 1° canale, sul 2° canale, sul 3° canale Youtube. Non sono propalazioni o convinzioni personali. Le fonti autorevoli sono indicate.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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SARAH SCAZZI: IL DELITTO DI AVETRANA
IL RESOCONTO DI UN AVETRANESE
Di Antonio Giangrande
Parla Concetta Serrano e Franco Sebastio
Taranto: Foro dell'Ingiustizia
I Magistrati: Vendicativi
Magistrati: violazione del segreto istruttorio
I Magistrati: Orrori ed Errori
Ingiusto Processo e Luci della Ribalta per i Magistrati
Sabrina ed i giornalisti: chi ha usato chi
Scempio, Voyeurismo e Ribellione
Valentino Castriota: il testimone inascoltato
Il giallo delle firme in banca
I Testimoni coerenti ed attendibili....
Michele Misseri: Le tante verità
10 gennaio 2012: via al processo mediatico sull’omicidio di Sarah, almeno 250 i testimoni.
17 gennaio 2012. Seconda udienza del processo. Parla Stefania De Luca e Angela Cimino.
31 gennaio. La terza udienza. Parla Ivano Russo, Giacomo Scazzi, Pamela Nigro, Anna Lucia Dell’Atti e Salvatore Erroi.
7 febbraio. Quarta udienza. Parla Claudio Scazzi, Concetta Serrano Spagnolo e Maria Ecaterina Pantir.
14 febbraio. Quinta udienza. Parla Giuseppina Nardelli, Fedele Giangrande, Antonio Petarra, Pamela Trono, Vincenzo Maresca, Giuseppina Di Bari, Salvatora Minò.
21 febbraio. Sesta udienza. Parla Mariangela Spagnoletti, Alessandra Spagnoletti, Alessio Pisello, Giuseppe Olivieri, Vito Antonio Spagnoletti, Cosimo Giangrande, Vito Donato Lastella.
28 febbraio. Settima udienza. Parla Donato e Francesca Massari, Giuseppe Serrano, Isabella Pernorio, Daniele Lanzo, Anna Parisi, Salvatore Sacco ed Anna Dimitri.
6 marzo. Ottava udienza. Parla Battista Serrano, Giuseppa Serrano, Ada Maria Serrano, Livia Olivieri, Oronzo Dimitri, Bruno Scarciglia, Cosimo De Vanna, Marianna Cucci e Carmelo Sacco.
13 marzo. Nona udienza. Parla Giacomo Conforti, Pasquale Di Mauro, Giovanna Donvito, Vito Lippolis, Gianvito Rossano, Biagio Caraglia, Giuseppe Di Noi, Carmelo Salvatore Parisi ed Emma Serrano.
27 marzo. Decima udienza. Parla Antonio Rizzato, Antonio Calò, Giovanni Bardaro, Paolo Vincenzoni, Giuseppe Pirò.
3 aprile. Undicesima udienza. Parla Claudio Russo.
17 aprile. Dodicesima udienza. Parla Salvatora (Dora) Serrano.
24 aprile. Tredicesima udienza. Parla. Antonella Spinelli, Elena Baldari, Maria Ferrara, Salvatore Misseri, Michele Genovino, Clorinda Ferrara, Antonietta Genovino e Claudio Benni.
8 maggio. Quattordicesima udienza. Parla Anna Pisanò, Antonella Tondo, Fabrizio Viva, Biagio Blaiotta e Giovanni Risi.
15 maggio. Quindicesima udienza. Parla Maria Rosaria Carrozzo, Maria De Santis, Giancarlo Greco e Vito Ferrara.
22 maggio. Sedicesima udienza. Parla Giuseppina Scredo, Rocco Zecca, Marco Buccolieri, Gaetano Colucci, Donata Prudenzano.
ATTENTATO DI BRINDISI. LA MORTE DI MELISSA BASSI E DEL TERRITORIO. SBATTI IL MOSTRO IN PRIMA PAGINA.
5 giugno. Diciassettesima udienza. Parla Giovanni Lamarca, Giuseppe Finizia, Andrea Berti, Cosimo Maggi, Giovanni Prignani, Clemente Di Crescenzo, Roberta Bruzzone, Rosa Martino, Anna Lucia Morleo.
19 giugno. Diciottesima udienza. Parla Adolfo Semeraro e Cosimo Monopoli.
3 luglio. Diciannovesima udienza. Parla Valentina Misseri, Luigi Strada, Vanessa Cerra, Giovanni Cucci, Sergio Civino.
10 luglio. Ventesima udienza.
17 luglio. Ventunesima udienza. Chiamati Sabrina Misseri, Cosima Serrano, Angelo Milizia, Giovanni Buccolieri, Michele Galasso, Giuseppe Nigro, Antonio Colazzo, Anna Scredo e Cosima Prudenzano, Anna Lucia Pichierri.
SOSPENSIONE UDIENZE. PAUSA ESTIVA: 31 LUGLIO - 15 SETTEMBRE.
PUGLIA. QUELLO CHE NON SI OSA DIRE.
PUGLIA. Regione-avvelenata: la Puglia è la capitale dell'inquinamento.
TARANTO, QUELLO CHE NON SI OSA DIRE.
MANETTE? NON PER TUTTI. IL PRESIDENTE DEL TAR DI LECCE, ANTONIO CAVALLARI.
STUDIO CENTO TV NEI GUAI.
26 AGOSTO 2012: L’ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI SARAH.
25 settembre 2012. Ventiduesima udienza. Parla Antonio Colazzo, Anna Scredo, Valeria Scazzari, Michele Galasso.
2 ottobre 2012. Ventitreesima udienza. Parla Carmine Misseri, Cosimo Cosma, Vito Russo.
GIOCA CON I FANTI, MA LASCIA STARE I SANTI. DELLA SERIE: SUBISCI E TACI, SE NO TI TACCIO. MA IN CHE MANI SIAMO? I VELENI ALLA PROCURA DI BARI E LA PERSECUZIONE DEI GIORNALISTI.
29 ottobre 2012. Ventiquattresima udienza. Parla Michele Misseri. Da imputato.
PARLIAMO DELLA MAFIA DEGLI AUSILIARI GIUDIZIARI.
PARLIAMO DI INTIMIDAZIONE DEI GIORNALISTI.
PARLIAMO DI TOGHE INFAMI E FALSE.
PARLIAMO DI SCIENZIATI CON LA TOGA.
30 ottobre 2012. Venticinquesima udienza. Avrebbero dovuto parlare Sabrina Misseri e Cosima Serrano. Da imputate.
6 novembre 2012. Ventiseiesima udienza. Parla Stefania Zizza, Antonio Panzuto.
20/26/27 novembre 2012. Ventisettesima, ventottesima, ventinovesima udienza. Parla Sabrina Misseri.
4 dicembre 2012. Trentesima udienza. Parla Andrea Merico, Nicola Abbasciano.
5 dicembre 2012. Trentunesima udienza. Parla Michele Misseri.
10 dicembre 2012. Trentaduesima udienza. Parla Dora Chiloiro e Luigina Quarta.
12 dicembre 2012. Trentatreesima udienza. Riparla Michele Misseri.
18 dicembre 2012. Trentaquattresima udienza. Richiesta di sopralluogo garage e pozzo.
TARANTO FORO DELL’INGIUSTIZIA. MICHELE MISSERI E BEN EZZEDINE SEBAI, CONFESSI OMICIDI NON CREDUTI E SULLO SFONDO L’ILVA.
8 gennaio 2013. Trentacinquesima udienza. Parla Paolo Arbarello.
14 gennaio 2013. Trentaseiesima udienza. Michele Misseri. La prima e l’ultima confessione a confronto.
29 gennaio 2013. Trentasettesima udienza. Parla Liala Nigro. RICUSAZIONE DEL GIUDICE POPOLARE.
IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA. LA STRAGE DI ERBA.
IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA. FABRIZIO CORONA.
IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA. OMICIDIO DI MELANIA REA.
25-26 febbraio, 4-5 marzo 2013. 38ª, 39ª, 40ª, 41ª udienza. Requisitoria dell’accusa: Mariano Buccoliero e Pietro Argentino.
IL MOVENTE: LA GELOSIA E L’IMBARAZZO.
I TEMPI ED I DEPISTAGGI.
LA RICOSTRUZIONE DEL DELITTO.
IL PRESUNTO SEQUESTRO.
LE CONCLUSIONI.
LE COMPLICITA’.
LE RICHIESTE.
11 marzo 2013. 42ª udienza. Arringhe delle Parti civili: Pasquale Corleto per il Comune di Avetrana, Nicodemo Gentile, Valter Biscotti e Francesco Cozza per Concetta Serrano, Giacomo Scazzi e Claudio Scazzi; Luigi Palmieri per Maria Ecaterin Pantir.
12 marzo 2013. 43ª udienza. Arringhe delle Difese di Michele Misseri e delle parti meno importanti: Paquale De Laurentiis per Giuseppe Nigro, Giovanni Scarciglia e Lello Lisco per Cosima Prudenzano e per Antonio Colazzo, Gianluca Pierotti per Vito Russo, Luca Latanza per Michele Misseri.
18 marzo 2013. 44ª udienza. Arringhe delle Difese di Carmine Misseri e Cosimo Cosma, Lorenzo Bullo per Carmine Misseri e Raffaele e Serena Missere per Cosimo Cosma.
19 marzo 2013. 45ª udienza. Arringa della Difesa di Cosima Serrano. Franco De Jaco e Luigi Rella.
25, 26, 27 marzo, 9 aprile 2013. 46ª, 47ª, 48ª, 49ª udienza. Video fuori onda, astensione dei magistrati ed arringa della Difesa di Sabrina Misseri. Franco Coppi e Nicola Marseglia.
10 aprile 2013, 50ª udienza. Replica finale dell’accusa: Pietro Argentino e Mariano Buccoliero.
15 aprile 2013, 51ª ed ultima udienza. Replica finale delle difese.
LA CORTE SI E’ RIUNITA IN CAMERA DI CONSIGLIO PER LA SENTENZA.
Cronologia dei fatti principali.
20 aprile 2013, ore 14,13 LA SENTENZA
10 gennaio 2012: via al processo mediatico sull’omicidio di Sarah, almeno 250 i testimoni. R.G.N.R. 9077/10 R.G. GIP 7045/10.
A Taranto è iniziata la prima udienza del processo per l’omicidio di Sarah Scazzi, la 15enne uccisa il 26 agosto 2010 ad Avetrana. In aula, in una gabbia alla sinistra della Corte di Assise, le due imputate, Cosima Serrano e Sabrina Misseri, mamma e figlia. Sono accusate di concorso in omicidio volontario, sequestro di persona e soppressione di cadavere. Presente anche Michele Misseri, accusato di concorso in soppressione di cadavere. In tutto gli imputati sono nove, tra i quali c'è anche l’ex legale di Sabrina, l’avvocato Vito Russo, accusato di aver minacciato un testimone al fine di fargli riferire dichiarazioni false durante le indagini. In aula è presente anche la famiglia Scazzi: la madre Concetta Serrano, il padre Giacomo Scazzi e il fratello Claudio. Le persone ammesse ad assistere all’udienza del processo, fornite di apposito pass, sono in tutto settanta. E' presente anche il sindaco di Avetrana, Mario De Marco, che intende costituirsi parte civile per conto del Comune nei confronti della famiglia Misseri. I difensori di Sabrina e Cosima si sono duramente opposti alla riprese televisive del processo e, in particolare, delle loro assistite che sono in aula dietro le sbarre. La Procura si è dimostrata favorevole alle riprese, così come la famiglia di Sarah che, tramite l’avvocato Valter Biscotti, ha fatto sapere di essere favorevole a patto che non vengano mostrate fotografie o reperti riguardanti la vittima che potrebbero urtare la loro sensibilità. Cesarina Trunfio, presidente della Corte, dopo aver sospeso l’udienza per decidere in proposito, ha stabilito il divieto di ripresa per tutte le telecamere, tranne per quelle della trasmissione "Un giorno in Pretura", in onda su Rai3. "L’abbiamo detto fin dall’inizio: in questa vicenda di cronaca nera purtroppo ci sono due vittime, una indiscutibile, la povera Sarah Scazzi, la seconda vittima è la città di Avetrana che ha subito un danno di immagine non indifferente". Queste le parole del vicesindaco di Avetrana, Alessandro Scarciglia, che continua: "Non so se la responsabilità è di qualche mass media o di qualche attore protagonista di questa vicenda: questo lo stabilirà la Corte, confidiamo nella giustizia". Scarciglia ha poi confermato che il Comune chiederà un risarcimento, già proposto dal legale alla Corte. Anche la famiglia Scazzi ha già chiesto un risarcimento ai 5 principali imputati, che ammonta a circa 9 milioni di euro. Intanto dietro le sbarre Sabrina piange, cercando di nascondersi dietro la madre per non farsi riprendere dalle telecamere. Il processo sul delitto di Avetrana, che ha strappato alla vita la giovane 15enne Sarah Scazzi il 26 agosto del 2010, inizia esattamente il 10 gennaio. L'attenzione mediatica sulla vicenda si riaccende, tanto che già una 50ina di giornalisti di 21 testate hanno chiesto alla presidenza del Tribunale di Taranto di essere accreditati per seguire il dibattimento in aula, anche se solo una parte vi potrà accedere. Per gli altri sarà allestito un maxischermo in sala stampa, mentre le riprese video verranno dalle telecamere di "Un giorno in pretura", che registrerà l'intero processo. Una indiscrezione trapela però prima ancora dell'avvio del dibattimento. Nel pozzo situato a Contrada Mosca, a circa 7 chilometri dalla villetta dei Misseri e dove fu soppresso il cadavere di Sarah Scazzi, sono state rinvenute anche due collanine. Finora i media non erano mai venuti a conoscenza dell'esistenza dei due reperti, particolare che ha animato molte curiosità. Le collane infatti non dovrebbero essere tra quegli oggetti appartenuti a Sarah Scazzi, che al momento della scomparsa sembra indossasse solo un braccialetto di cotone nero. La prima collanina è "presumibilmente d’argento" mentre la seconda è composta da un laccio di cuoio con un ciondolo di acciaio che raffigura uno scoiattolo. Anche se il pozzo fu costruito ben 60 anni fa, da circa 4-5 anni era chiuso perché non più utilizzato. Il fatto che tali collanine siano, apparentemente, "moderne", farebbe quindi pensare che qualcuno le abbia perse o gettate nel pozzo in un periodo relativamente recente. Tra le ipotesi più "intriganti" quella che vorrebbe che le due collanine siano state perdute da chi ha contribuito a gettare nel pozzo la povera Sarah Scazzi, anche se tale teoria non sembra finora essere suffragata da alcun tipo di prova. Michele Misseri non figura nella lista dei testi dell’accusa e delle parti civili ma soltanto in quelle dei difensori di Cosima e Sabrina. Dopo i pm Mariano Buccoliero e Pietro Argentino che hanno depositato una lista con 124 nomi nella cancelleria della Corte d’Assise, hanno presentato un lungo elenco anche i difensori di parte civile (96 i testimoni citati), avvocati Luigi Palmieri, Walter Biscotti e Nicodemo Gentile, che rappresentano in giudizio la famiglia Scazzi e la badante Maria Ecaterin Pantir. Mentre i legali di Sabrina, il professor Franco Coppi e l’avvocato Nicola Marseglia hanno depositato una lista di 158 testi. Folta la schiera di coloro che sono stati citati anche dai difensori di Cosima, gli avvocati Luigi Rella e Franco De Jaco. Alcuni testimoni sono stati citati dai legali delle diverse parti ma complessivamente sarà un processo con almeno 250 testi fra i quali figurano i componenti della famiglia Scazzi (Concetta, Giacomo e Claudio), diversi familiari dei Misseri, amici di Sabrina, come Ivano Russo, Mariangela Spagnoletti, Anna Pisanò, Angela Cimino e Francesca Massari, vicini di casa, il fioraio Giovanni Buccolieri, l’ex commessa Vanessa Cerra e ovviamente investigatori e consulenti della pubblica accusa e della difesa dei nove imputati. Il processo dinanzi alla Corte d’Assise di Taranto, presieduta dal giudice Rina Trunfio (a latere Fulvia Misserini e sei giudici popolari) inizia 10 gennaio 2012. Non è escluso che il collegio decida di ridurre le lunghe liste dei testimoni. Sono 124 testimoni e 11 indagati le persone convocate dalla pubblica accusa per deporre nel processo per l’omicidio di Sarah Scazzi. E tra gli inquisiti spicca a sorpresa il nome di Angelo Milizia, l’impiegato di banca che dichiarò il falso dicendo che a versare i due assegni di circa quattromila euro, il giorno della scomparsa della ragazza uccisa, era stata Cosima Serrano e non, come provano le perizie calligrafiche, dal marito Michele Misseri. I pubblici ministeri titolari dell’inchiesta, Pietro Argentino e Mariano Buccoliero, gli contestano il reato di falso in scrittura privata in concorso con Misseri la cui posizione e ruolo nel delitto sono ben più gravi del suo presunto complice la cui figura, è bene dirlo, è assolutamente marginale dal punto di vista penale. Quindi, 135 testimonianze in tutto per l’accusa che si sommeranno a quelli della difesa il cui numero, si pensa, potrebbe addirittura equipararsi se non superare il primo. Un processo molto complicato e sicuramente lungo su cui l’opinione pubblica ha già dato prova di essere molto interessata. Un’attenzione amplificata soprattutto dai mezzi mediatici che stanno già scaldando i motori in attesa di quello che si preannuncia essere l’evento processuale dell’anno che verrà. Per questo il presidente del Tribunale di Taranto, Antonio Morelli, ha convocato tutti i referenti delle varie testate televisive (diverse decine) che hanno già inoltrato richiesta di accredito per i propri inviati. L’intenzione del presidente del palazzo di giustizia è quella di regolare gli accessi stabilendo prima quali e quante telecamere dovranno eventualmente riprendere le udienze fatta salva sempre la volontà dei protagonisti (testi o imputati che siano) di farsi riprendere. Un piccolo esercito quindi sarà chiamato a testimoniare contro le due imputate principali, Sabrina Misseri e la madre Cosima Serrano, entrambe in carcere con l’accusa di avere sequestrato e ucciso la quindicenne loro parente e di averne soppresso il cadavere con il concorso di Michele Misseri, padre e marito delle detenute, e di Carmine Misseri e Cosimo Cosma, questi ultimi fratello e nipote del capofamiglia. Tra i nomi della lista ci sono praticamente tutti gli amici e parenti delle due cugine, da Mariangela Spagnoletti a Francesca Massari a Alessio Pisello con cui si frequentavano nel periodo precedente alla scomparsa. Ma soprattutto Ivano Russo, il giovane ventisettenne che piaceva sia a Sarah sia a Sabrina e pertanto ritenuto motivo di attrito e quindi movente del delitto. Tra le testimonianze più attese del processo sicuramente i primi posti li occupano Anna Pisanò, ex amica e frequentatrice della famiglia Misseri e il fioraio Giovanni Buccoliero. La prima avrebbe raccolto confidenze di Sabrina divenute elementi principali di prova a suo carico; il secondo, indagato da valutare in una seconda fase del procedimento, conserverebbe, secondo i pm, la chiave stessa del giallo. Sarà chiamato in aula per raccontare al pubblico e alla corte il presunto sogno del violento sequestro di Sarah nella macchina della zia Cosima. Tra i testimoni c’è Antonio Petarra, che con le sue dichiarazioni ha consentito di confermare l’orario del delitto. Poi Mariangela Spagnoletti che per prima si accorse della strana agitazione di Sabrina. Ma anche Stefania De Luca, la giovane che rivelò agli inquirenti di aver visto piangere Sarah il giorno prima di essere assassinata, dopo una lite con la cugina. Intanto davanti a microfoni e telecamere il contadino di Avetrana continua a scagionare la figlia e ad accusarsi dell’omicidio. Zio Miché spera ancora di confondere, cerca di insinuare dubbi. Minacciando il suicidio se la moglie e la figlia saranno condannate. Intanto ad Avetrana vi è l’ennesimo atto vandalico a casa di Michele Misseri. I carabinieri indagano per identificare le persone che hanno forzato la serratura della porta del garage dello zio di Sarah Scazzi, la ragazzina di 15 anni uccisa il 26 agosto ad Avetrana. La notizia è riportata su alcuni giornali locali. E' stato l'uomo a contattare i militari per segnalare l'episodio. Ai carabinieri Michele Misseri ha detto di aver sentito un forte rumore mentre era all'interno della sua abitazione e di aver scoperto l'accaduto intorno alle 6.30. Quando è entrato nel garage, ha visto un copertone gettato all'interno (forse con l'intento di appiccare un fuoco) e ha notato che la porta era stata aperta dopo che la serratura era stata forzata. Michele Misseri ha presentato denuncia contro ignoti. Sarà il processo dei grandi numeri e degli ascolti televisivi record quello sul delitto di Sarah Scazzi che si aprirà nel tribunale di Taranto. Nell’aula Alessandrini della Corte d’assise, al primo piano del palazzo di giustizia, si alterneranno non meno di 500 persone tra imputati, indagati, testimoni, consulenti e periti, pubblico, giornalisti, tele e foto operatori e naturalmente avvocati, magistrati, giudici e personale amministrativo e dell’ordine pubblico. L’evento giudiziario dell’anno che per interesse mediatico e di opinione pubblica si candida per la palma d’oro nei fatti di cronaca degli ultimi anni, sarà ripreso integralmente dalle telecamere della trasmissione televisiva di Rai 3, «Un giorno in pretura» che trasferirà il segnale all’esterno dove una regia unica le distribuirà ad una rete di emittenti e programmi tv che ne hanno chiesto l’utilizzo. Il numero degli operatori dell’informazione che si sono fatti accreditare per seguire il processo, supera di poco le cinquanta unità tra giornalisti e operatori appartenenti a 21 testate, 12 delle quali tra carta stampata e agenzie e nove televisive, nazionali e locali. Nessuna tv estera ha ancora chiesto una postazione. Per la prima volta a Taranto sarà allestita per l’occasione una sala stampa. L’ubicazione è stata individuata al primo piano nel corridoio centrale di fronte all’aula Alessandrini. Lì sarà montato uno schermo che trasmetterà le immagini riprese dalle telecamere di «Un giorno in pretura» mentre una regia cederà il segnale alle altre televisioni collegate. Sarà la presidente della Corte, durante le udienze, a decidere la quantità e le caratteristiche delle immagini sulla base anche del volere degli imputati. Sabrina Misseri, ad esempio, avrebbe fatto sapere di non essere d’accordo con le riprese integrali anche del volto. Il presidente del tribunale di Taranto, Antonio Morelli, ha convocato i rappresentanti dell’informazione per una riunione in cui sono state decise le regole per l’evento. Ogni testata non potrà nominare più di un giornalista (due per quelle televisive che prevedono l’operatore di ripresa) che occuperanno i trenta posti a loro riservati nell’aula delle udienze. Altrettante sedie ci saranno per i parenti degli imputati e il pubblico. Il presidente Morelli ha deciso in che modo regolare l’accesso degli spettatori. Sul tavolo della presidente della Corte d’assise, Cesarina Trunfio, continuano a giungere gli elenchi dei testimoni indicati dalla pubblica accusa e dai difensori degli imputati. I due pubblici ministeri che hanno condotto l’inchiesta, il procuratore aggiunto Pietro Argentino e il sostituto Mariano Buccoliero, hanno chiesto di sentire 135 testi di cui undici imputati e un indagato (l’impiegato di banca che dichiarò di aver visto il giorno del delitto Cosima Serrano, moglie di Michele Misseri, mentre versava due assegni al suo sportello). Almeno duecento, invece, i testimoni chiamati dai 18 avvocati difensori. Sarà prerogativa della presidente della Corte, poi, valutare quali e quanti testimoni accogliere per le deposizioni sia a favore dell’accusa sia della difesa. A rispondere, in concorso tra loro, di omicidio volontario, sequestro di persona e soppressione di cadavere, saranno Cosima Serrano e Sabrina Misseri, madre e figlia, zia e cugina di Sarah, entrambe detenute. Michele Misseri, marito di Cosima e papà di Sabrina, è invece accusato di concorso in soppressione di cadavere insieme con Cosima e Sabrina e con altri due familiari, il fratello Carmine e il nipote Cosimo Cosma. Gli altri imputati, tra i quali l’avvocato Vito Russo, sono accusati a vario titolo di intralcio alla giustizia e favoreggiamento personale. La Corte di assise presieduta da Cesarina Trunfio avrà come giudice a latere Fulvia Misserini più sei giudici popolari. Tra i tanti documenti e immagini dell’inchiesta sull’uccisione di Sarah Scazzi, nell’aula Alessandrini della Corte d’assise di Taranto sfilerà anche l’orrore del ritrovamento del corpo straziato da 42 giorni di sommersione nell’acqua fangosa del pozzo cisterna dove fu gettata il giorno della sua uccisione. Non mancherà l’occasione (l’implacabile esigenza della giustizia lo imporrà), di vedere la sequenza fotografica di quella terribile notte tra il 6 e il 7 ottobre del 2010 quando Michele Misseri confessò il delitto (da lui stesso in seguito ritrattato e addossato alla figlia Sabrina), portando magistrati e inquirenti sul pozzo in contrada Mosca. Sarà un film composto da settantuno scatti, non sarà facile guardare. La lunga sequela di immagini parte dalle 22,45 di quel mercoledì 6 ottobre per concludersi alle 10 del giorno dopo. La prima foto riprende l’arrivo sulla zona del pozzo del pubblico ministero Mariano Buccoliero che per primo ha raccolto la confessione del contadino. Si vede il magistrato che indica ad uno dei suoi uomini il punto dove scavare così come gli è stato suggerito da Misseri. Da quel momento in poi inizia una interminabile serie di fotogrammi in bianco e nero (tutti depositati agli atti del processo) che mostrano minuto per minuto, centimetro per centimetro, la difficile e pietosa ricerca della tomba di Sarah. Si vedono le mani dei carabinieri che strappano l’erba per raggiungere l’accesso del pozzo, poi i badili che scavano e che dopo quasi un’ora mettono allo scoperto l’antro buio così stretto da rendere difficile credere che un corpo possa esserci passato attraverso. Ancora scatti. I fasci di luce delle torce tentano di penetrare il profondo di quel budello fatto di terra e pietre, senza riuscirvi. Quello che le immagini non possono catturare lo avvertono le persone: l’odore di morte che proviene dal fondo del pozzo che da conferma al racconto dell’orco. Si cala una fune per misurarne la profondità della cisterna che è di circa due metri e mezzo a filo dell’acqua. Poi il lavoro passa all’escavatore meccanico che crea una voragine smantellando la cisterna. Da questo punto in poi le immagini sono inguardabili perché l’antro allargato dalla pala d’acciaio mostra qualcosa che galleggia che è ricoperto di terra. Sarà quella la parte peggiore per chi vorrà resistere. Le fasi del recupero della salma di un essere umano che chiamare ragazzina non è più possibile. Qualche ora dopo la stessa madre, Concetta Serrano Spagnolo, costretta al pietoso riconoscimento attraverso due foto mostratele all’obitorio dell’ospedale Santissima Annunziata di Taranto dal medico legale Luigi Strada che le ha scattate, dirà che quella «cosa» non è sua figlia, non può dire che è lei. Per questo, scriverà il perito nel referto, saranno i prelievi istologici e la comparazione del Dna dei parenti a certificare. La lunga e interminabile vicenda legata all'uccisione di Sarah Scazzi aggiunge un altro tassello: al processo per il "delitto di Avetrana" arriva il momento delle 71 fotografie scattate nella notte tra il 6 e il 7 ottobre del 2010 durante il sopralluogo delle forze dell'ordine al pozzo in contrada Mosca, ad Avetrana, gentilmente concesse dal Corriere del Mezzogiorno. Quella notte Michele Misseri confessò di avere ucciso Sarah Scazzi, per poi ritrattare in un secondo momento. Questa è la storia di una schizofrenia giornalistica. L’ennesimo oltraggio a una ragazzina, Sarah Scazzi, uccisa e gettata in un pozzo 15 mesi fa. Un caso che racconta l’ipocrisia del mestiere del giornalista e l’immaturità che ancora si ha nel lavorare con gli strumenti digitali. Una vicenda che mette disagio perché in questo caso si parla di un giornale, il Corriere della Sera che per vizi e virtù è un’istituzione dell’informazione del nostro paese. Veniamo alla nostra storia. E cominciamo con le parole di Goffredo Buccini, che sul Corriere della Sera, raccontando del processo per l’omicidio di Avetrana che inizia a Taranto, firma un pezzo dal titolo “Il metro dell’orrore sul pozzo di Sara - Gli scatti del ritrovamento della ragazzina”. Buccini si riferisce alle 71 immagini riprese la notte tra il 6 e il 7 ottobre del 2010 durante il sopralluogo degli inquirenti nella campagna in cui Michele Misseri, 42 giorni prima, aveva gettato il corpo della nipote di 15 anni. “In 71 scatti terribili”, commenta Buccini, “le immagini che fecero gridare alla madre ‘Questa non è mia figlia!’ e che è giusto restino il più possibile congelate negli atti giudiziari e dell’aula, lontano dagli sguardi morbosi e dai talk show del ribrezzo”. E prosegue (la citazione è lunga, ma necessaria): “Quella mostruosa bocca spalancata nella terra ha inghiottito per quasi un anno e mezzo pudore, prudenza, misericordia. E ha alimentato tra noi follie, avidità, protagonismi cancellando deontologie professionali e senso del limite. (…) Che anche il circo trovi modo di moderare suoni e luci”. Condivisibile dalla prima all’ultima riga. Se non fosse che proprio in quelle ore le foto di Sarah, del suo corpo bocconi nel pozzo semicoperto dal fango, campeggiano con un richiamo proprio nella home del sito del Corriere.it. Come è potuto accadere? Le foto giravano già da giorni. Diversi quotidiani le hanno viste e rifiutate. Il Corriere del Mezzogiorno, l’edizione locale del Corriere che viene pubblicata in Puglia e in Campania e il cui sito internet è un sottodominio del Corriere.it, le prende e le pubblica fin dal giorno prima, 4 gennaio 2012. Sono tre gallerie. Per la maggior parte gli scatti si riferiscono alle misurazioni degli inquirenti. Ma in una, preceduta dall’ipocrita cartello che le immagini potrebbero ferire la sensibilità dei lettori, ci sono due foto del corpo di Sarah. La galleria macina clic. Il circo dell’orrore, cito ancora il profetico Buccini, si dimostra una volta di più “un affresco della nostra Italia osceno quanto la trama di questo giallaccio”. Esempi di pessimo giornalismo. Mi chiedo come possa il Corriere della Sera online pubblicare un articolo come quello di tale Nazareno Dinoi dal titolo delirante "Il corpo di Sarah estratto dal pozzo. In 71 scatti la sequenza dell'orrore". E' il classico caso da citare nelle scuole di giornalismo come trappole in cui non cadere. Titoloni urlati approfittando delle tragedie altrui per attirare i lettori e sotto il vestito niente. A corredo dell'articolo una squallida fotogallery che ovviamente non è composta dai 71 scatti della sequenza dell'orrore perchè quelli li vedranno in aula, ma da foto in bianco e nero del pozzo da cui è stata estratto il corpo di Sarah Scazzi. La prima slide tuona addirittura "ATTENZIONE IMMAGINI PARTICOLARMENTE CRUDE E SCONSIGLIATE AD UN PUBBLICO SENSIBILE", le slides a seguire sono tutte immagini del buco per terra, misurazioni ecc, non c'è nessuna foto che possa urtare la sensibilità di alcuno ma l'intelligenza si. Premesso che io la cronaca nera la eliminerei tout court perchè non ne vedo proprio l'utilità se non quella di appagare un lato oscuro e morboso degli esseri umani, turisti nelle disgrazie altrui, quando invece ci sarebbero tanti altri argomenti interessanti da approfondire, ma capisco che se fatta professionalmente e con rispetto possa essere un termometro della società (o almeno di alcune sue parti). Aggiungo che in questo mirabile articolo di questo credo giornalista non capisco quale sia il diritto - dovere di cronaca. La notizia è che durante il processo saranno proiettate le immagini del ritrovamento del cadavere, quindi il titolo è falso e fuorviante, così come la photogallery. Vi sono poi ammiccamenti nel testo da fare venire i brividi : "Non mancherà l’occasione (l’implacabile esigenza della giustizia lo imporrà), di vedere la sequenza fotografica di quella terribile notte tra il 6 e il 7 ottobre del 2010". e ancora: "Sarà un film composto da settantuno scatti, non sarà facile guardare." e poi: "Da questo punto in poi le immagini sono inguardabili perché l’antro allargato dalla pala d’acciaio mostra qualcosa che galleggia che è ricoperto di terra. Sarà quella la parte peggiore per chi vorrà resistere." Questo è un articolo del Corriere del Mezzogiorno ripreso dal Corriere della Sera, il mio consiglio per le prossime photogallery del genere è come prima slide di mettere la seguente scritta: ATTENZIONE IMMAGINI SCONSIGLIATE A UN PUBBLICO INTELLIGENTE. ''L'unico sentimento che si può provare per la diffusione delle foto di quel che restava della povera Sarah Scazzi è di vergogna. Quello non è giornalismo, non il giornalismo che, nello spirito della Costituzione, serve ai cittadini''. Così il presidente dell'Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino commenta la pubblicazione delle foto del recupero del corpo di Sarah Scazzi ad Avetrana sul Corriere della Sera e sul Corriere sul Mezzogiorno. Le immagini riportate sui siti on line dei quotidiani sono state poi rimosse.
Non si dovrebbe fare di tutta l’erba un fascio, ma è innegabile il fatto che la maggior parte dei giornalisti, saccenti e spregiudicati, hanno molto da vergognarsi e, cosa più grave, è che di ciò non se ne rendono conto.
Riflettori per tutti, anzi niente riflettori, Sabrina Misseri ha deciso a sorpresa. Riporta il Corriere della Sera: «Non farò la tigre in gabbia, quelli se lo possono scordare», annuncia Sabrina. E per «quelli» intende i tantissimi cineoperatori e fotografi a Taranto per cogliere una sua espressione, uno sguardo che valga più di tante parole. «Non mi presto a nessuna curiosità morbosa, non voglio fotografie e non voglio essere ripresa» si raccomanda lei con Nicola Marseglia, l'avvocato che la difende assieme al professor Franco Coppi. E sempre che entro domani non cambi idea, a Marseglia Sabrina ha chiesto (testuale) di battersi «come un leone» per evitare che anche una sola immagine esca dall'Aula Alessandrini di Taranto. Scrive lettere, Michele. In questi ultimi giorni prima del processo ne ha spedite due a sua moglie e una a sua figlia. («Scrivo a Sabrina ma non ho risposte e mi fa rabbia», dice). «Finalmente in queste lettere parla del perché mi ha tirato in ballo», commenta sua figlia con l'avvocato, «ma so già che questo non cambierà le cose...». Non che sia rassegnata, sia chiaro: «Combatterò fino alla fine perché non sono un'assassina, non mi arrenderò mai. Sarah era una sorella per me». Ma finora dal Palazzo di giustizia di Taranto Sabrina ha incassato soltanto rifiuti: no, sempre no a una miriade di ricorsi, istanze e controricorsi, anche quando la Cassazione le aveva fatto sperare in un risultato diverso. Per questo adesso è lei stessa a mettere in conto anche l'ipotesi peggiore: «Lo so che diranno cose orribili di me, e magari mi condanneranno all'ergastolo...» si è lasciata sfuggire nell'ultimo colloquio in carcere con il legale. «Ma io sono innocente e non ho intenzione di mollare». Fra accusa e difesa, se saranno ammessi tutti, sfileranno davanti alla Corte più o meno trecento testimoni. «Voglio guadarli negli occhi ad uno ad uno quando racconteranno bugie» promette Sabrina. «Voglio prendere nota di ogni dettaglio, voglio fare l'elenco di tutte le assurdità di questa storia». In cella accanto a sua madre Cosima - «determinata almeno quanto lei a dimostrare la propria innocenza», come dice il suo legale Franco De Jaco - Sabrina passa il tempo a studiarsi le carte del processo, da un mese non esce dalla cella nemmeno per l'ora d'aria. «Mi porterebbe un codice penale al prossimo colloquio?» ha chiesto all'avvocato Marseglia. «Se Sabrina e Cosima non escono di prigione io la faccio finita, mi butto in un pozzo, poi vediamo se riescono a trovarmi»: lo ha detto Michele Misseri in un collegamento telefonico a Tgcom24, riaffermando di essere l’unico responsabile dell’omicidio della nipote Sarah Scazzi. «Nessuno mi vuole credere. Però l’ho detto cosa farò: io quando parlo di Sarah e dico che mi faccio giustizia da solo, dico che la faccio finita. Poi voglio vedere se riescono a trovarmi». «Nella mia vita sono stato sempre bravo - ha poi aggiunto - quello era un periodo particolare». «Quella mattina - ha affermato ricordando il giorno del delitto - ero nervoso: mia moglie non mi cucinava più, Sabrina mi cucinava ma sembrava seccata, dormivo sulla sdraio, il trattore non partiva. Poi è arrivata Sarah e io ero nervoso, quindi ho fatto una cosa brutta». «Martedì - ha concluso riferendosi all’imminente inizio del processo - guarderò Cosima e Sabrina ma so che loro non mi guarderanno. Saranno piene di odio. Perché loro mi odiano per quello che ho fatto». «Se sono cambiato e parlo meglio, ringrazio le persone del carcere. Nel carcere ero isolato da tutti e avevo diverse persone che mi facevano da professori». Queste le parole di Michele Misseri a Tgcom24 a due giorni dal processo: «Quando vado ad Avetrana e parlo in italiano - ha aggiunto - mi dicono 'adesso sei diventato italiano?'. Poi forse è pure perchè io scrivo molto, scrivo sempre e tutti i giorni. Prima parlavo solo in dialetto. Scrivo quello che faccio, della tristezza, perchè sono solo. Scrivo di tutto. E' come un calendario. Andrò a Taranto, ho fatto già la richiesta perchè io non posso uscire da Avetrana. Martedì sarò in aula e spero di rivedere Sabrina e Cosima, anche se non le posso salutare e non posso fare niente. poi non so ancora se mi farò riprendere. Io non ho paura - ha sottolineato Michele Misseri - perchè sto dicendo la verità e affronterò tutto. La paura ce l'avevo prima, adesso non più. Ribadirò la mia colpevolezza. La verità è questa. Sono state dette delle bugie, io le ho dette ma per colpa degli altri, ho messo in mezzo mia figlia che non c'entra niente. Io a Sabrina chiedo perdono e non smetterò mai di farlo. Le scrivo le lettere ma non ho risposte e mi fa rabbia. Sono vittima e colpevole. Il mio senso di colpa è che ci sono due innocenti in carcere - ha aggiunto Michele Misseri in collegamento con il Tgcom24 - una ragazza che è stata giustiziata, le volevamo tutti bene, poi all'improvviso mi è successo questo. Io ho sempre detto di essere colpevole. Non ho fiducia nella legge terrena, chissà quanti innocenti ci sono in carcere. Quella mattina ero nervoso: mia moglie non mi cucinava più, Sabrina mi cucinava ma sembrava seccata, dormivo sulla sdraio, il trattore non partiva. Poi è arrivata Sarah e io ero nervoso, quindi ho fatto una cosa brutta. Ma in vita mia sono stato sempre bravo. Quello era un periodo particolare. Martedì guarderò Cosima e Sabrina ma so che loro non mi guarderanno. Saranno piene di odio. Perchè loro - ha concluso - mi odiano per quello che ho fatto». Non trattiene le lacrime. Sabrina Misseri non ce la fa, piange dietro le sbarre della gabbia. In disparte, dietro a sua madre Cosima Serrano. Al via la prima udienza del processo per l'omicidio di Sarah Scazzi al Tribunale di Taranto. Entrambe le donne sono accusate di concorso in omicidio volontario, sequestro di persona e soppressione di cadavere. Mentre Michele è imputato di concorso in soppressione di cadavere. In tutto gli imputati sono nove. Capelli lunghi, cappotto nero, i suoi occhiali da vista neri, la 24enne Sabrina si passa spesso un fazzolettino sugli occhi. La madre, ferma e imperturbabile è davanti, mani conserte, gli occhi fissi all'aula. Gli avvocati difensori delle donne hanno dichiarato il loro dissenso nei confronti delle riprese televisive del dibattimento. La Corte di Assise ha stabilito, dopo un'ora e mezza di camera di consiglio, che le immagini del processo potranno essere mandate in onda solo dopo la conclusione del processo stesso. E ha quindi autorizzato la ripresa integrale da parte della trasmissione di Rai Tre «Un giorno in pretura». Non potranno essere ripresi dalle telecamere gli imputati Cosima Serrano, Sabrina Misseri, Carmine Misseri, Antonio Colazzo e Cosima Prudenzano, nonché testimoni e consulenti che ne facciano esplicita richiesta, come avevano fatto gli imputati. Vietata anche la presenza in aula dei fotografi. Le immagini potranno essere mandate in onda solo dopo la conclusione del processo. Nel pubblico, oltre alla famiglia Sarah, presente anche il sindaco di Avetrana, Mario De Marco: il Comune chiederà di costituirsi parte civile nei confronti della famiglia Misseri.
Il Resoconto di una giornata mediatico giudiziaria.
8.30 - Il processo per l'omicidio della 15enne di Avetrana. Il presidente del tribunale di Taranto, Antonio Morelli, ha ripristinato per decreto, considerata l'eccezionale risonanza mediatica del caso e ritenendo doveroso assicurare la regolarità e la serenità del giudizio oltre che il continuo svolgimento della vita normale del palazzo di giustizia, l'ingresso d'onore del tribunale e ha riservato agli operatori dell'informazione una apposita sala stampa in un corridoio di fronte all'aula di corte di assise. La corte di assise è composta da donne: il presidente Cesarina Trunfio, il giudice a latere Fulvia Misserini, e sei giudici popolari. I togati dovranno decidere del destino dei 9 imputati. E' scoppiata più volte in lacrime davanti alla Corte d'Assise di Taranto Sabrina Misseri, imputata con la madre per l'omicidio di Sarah Scazzi, la studentessa 15enne di Avetrana (Taranto), uccisa il 26 agosto 2010 e sepolta in un pozzo. Sabrina s'è lasciata andare al pianto all'avvio dell'udienza in cui è accusata di concorso in omicidio volontario aggravato e sequestro di persona con sua madre Cosima Serrano, 56 anni, entrambe agli arresti. Le due donne, con il padre e marito Michele Misseri, che più volte si è autoaccusato di essere l'unico responsabile dell'omicidio, risponderanno anche di concorso nella soppressione del cadavere. Sabrina Misseri è scoppiata a piangere seduta in disparte nella gabbia degli imputati. Aveva chiesto di essere protetta, non voleva essere ripresa dalle telecamere e dai flash dei fotografi, e resta indietro, alle spalle della mamma Cosima. Capelli lunghi, cappotto nero, occhiali da vista neri, Sabrina è molto dimagrita. Si passa spesso un fazzolettino sugli occhi. La madre, ferma e imperturbabile, è davanti a lei, mani conserte, gli occhi fissi all'aula. La prima ad arrivare in Corte d'assise è stata Concetta Serrano, la madre della 15 enne uccisa. La donna è entrata nell'aula accompagnata dal marito Giacomo, dal figlio Claudio e dagli avvocati di parte civile Valter Biscotti, Nicodemo Gentile e Antonio Cozza. Il volto contratto ed emaciato, si è seduta nella seconda fila, dietro ai difensori dei principali imputati. Assediata dalle telecamere e dai flash dei fotografi, è rimasta in silenzio, immobile. Michele Misseri, accompagnato dal suo legale, Armando Amendolito, è indagato a piede libero. E' passato dinanzi ai famigliari di Sarah e si è seduto a distanza, su una sedia vicino ad una delle due gabbie della moglie Cosima e della figlia Sabrina. L'amministrazione comunale di Avetrana si è costituita parte civile al processo, cominciato davanti alla Corte d'Assise di Taranto, per l'omicidio di Sarah Scazzi. In aula è presente il sindaco di Avetrana, Mario De Marco. La presidente della Corte, Cesarina Trunfio, ha sospeso l'udienza e si è ritirata per decidere se consentire o meno le riprese tv in aula del dibattimento. I difensori degli imputati si sono rimessi alla decisione della Corte, tutti tranne i legali di Sabrina Misseri che, interpretando la volontà della loro assistita, si sono opposti. «La presenza costante delle telecamere in aula - ha detto Nicola Marseglia, difensore della Misseri -, nuoce al dibattimento». I rappresentanti legali della famiglia di Sarah hanno chiesto che le riprese vengano sospese quando in aula saranno mostrate le foto della vittima. C'è stata una gara ad aggiudicarsi i posti a sedere riservati al pubblico. Tra gli spettatori c'è chi si è alzato presto e ha viaggiato, oltre a chi vive a Taranto, ha sempre seguito le vicende del caso Scazzi e oggi vuole esserci: 70 persone sono state ammesse ad assistere all'udienza del processo nella corte di assise di Taranto, previo apposito pass. Occupano la sinistra dell'aula, dall'altro lato dei giornalisti. «Sono situazioni che fanno male al cuore, mi vengono le lacrime agli occhi», dice un'anziana signora, che spera nella «punizione dei colpevoli». «Abbiamo seguito tutto fin dall'inizio - spiegano altre due signore -: il colpevole è nella famiglia: Sarah è entrata in quella casa e non è mai più uscita». Una donna si passa una mano sugli occhi: «Io ho una figlia, sono passata prima al cimitero, da Sarah». Più caustici gli uomini: «Vediamo se Michele si ammazza davvero», commenta un signore ricordando le ultime dichiarazioni del contadino di Avetrana, che ha promesso si sarebbe buttato in fondo a un pozzo se non avessero creduto all'innocenza di Sabrina e Cosima. Un altro fa notare: «Michele è una vittima: si vede come stava prima a casa con la moglie e come si è fatto bello ora che è solo». C'è anche una studentessa di legge di Taranto che spiega: «Sono qui solo per motivi di studio, non per curiosità». Complessivamente sono nove le persone a giudizio, tra cui l' ex legale di Sabrina, l'avvocato Vito Russo, accusato di aver tentato di indurre con minacce un testimone a riferire false dichiarazioni durante le indagini. L'udienza appena cominciata, alla quale sono accreditati oltre 50 giornalisti e per i quali è stata allestita una apposita aula con due monitor TV, sarà prettamente tecnica, per le procedure preliminari come l'ammissione dei mezzi di prova, delle testimoniane, delle costituzioni di parti civili e per la calendarizzazione del dibattimento.
8.50 - Sono arrivati i genitori di Sarah, con il fratello Claudio. L'aula è già piena di giornalisti. Decine i curiosi che chiedono di assistere al processo, anche comprando un biglietto.
9.20 - E' arrivato anche Michele Misseri insieme con i suoi avvocati. Ha un giubotto di jeans, nemmeno uno sguardo con la famiglia scazzi. Ha chiesto una sedia che ha messo al lato dell'aula, vicino la cella.
9.25 - Michele Misseri ha chiesto di non essere ripreso o fotografato. Davanti a lui c'è un carabiniere che gli fa da schermo dagli obiettivi dei fotografi e degli operatori.
9.30 - Grande ressa di giornalisti e cameramen al palazzo di Giustizia di Taranto per la prima udienza del processo per l’omicidio di Sarah Scazzi. L’udienza non è ancora iniziata, ma la famiglia della 15/enne di Avetrana strangolata il 26 agosto 2010 è già in aula. Giacomo Scazzi, Concetta Serrano e il loro figlio Claudio sono giunti poco prima delle 9 accompagnati dai loro legali. Al momento poche le persone presenti nel pubblico.
9.37 - Nell’aula della Corte di Assise di Taranto, dove sta per iniziare la prima udienza del processo per l'omicidio di Sarah Scazzi, è arrivato anche Michele Misseri, accompagnato dal suo legale, Armando Amendolito. L'agricoltore di Avetrana è passato dinanzi ai familiari di Sarah e ora è seduto a distanza su una sedia vicino ad una delle due 'gabbie', nella quale presumibilmente prenderanno posto tra poco anche la moglie, Cosima Serrano, e la figlia Sabrina, entrambe detenute e accusate dell’omicidio.
9.45 - L'udienza non è ancora cominciata sebbene in aula siano presenti quasi tutti gli imputati. All'appello mancano le uniche due detenute per l'omicidio di Sarah, Sabrina e Cosima, accusate di omicidio, sequestro, soppressione di cadavere. Madre e figlia dovranno prendere posto nella gabbia degli imputati. Lì accanto siede Michele Misseri, imputato solo per soppressione di cadavere e furto di telefonino.
9.50 - Sono settanta le persone ammesse a vedere il processo. Gente che arriva anche da fuori provincia e che ha voluto essere in prima fila per seguire "il giallo dell'anno" dicono. Signore anziane e ragazze che attendono l'arrivo di Sabrina Misseri e sua madre Cosima ("sono state loro", il pubblico appare colpevolista) ma sperano anche in una ripresa, anche piccola, della televisione.
9.55 - Suona la campanella. Sono entrate in aula i giudici e le imputate. Mamma e figlia sono nella stessa cella. Sabrina piange a dirotto ed è trasformata: i capelli più lunghi, assai dimagrita.
10.05 - Sabrina chiede di non essere fotografata. E dice no alle riprese televisive durante il processo. "L'attenzione mediatica può inficiare il processo e non c'è alcuna rilevanza sociale", dice uno dei suoi avvocati, Nicola Marseglia.
10.10 - E' iniziata nel Palazzo di giustizia di Taranto la prima udienza del processo per l'omicidio di Sarah Scazzi. In una gabbia alla sinistra della Corte di Assise ci sono le uniche detenute, Cosima Serrano e sua figlia Sabrina, accusate del delitto. In tutto gli imputati sono nove. Sabrina, ad inizio di udienza, è scoppiata più' volte in lacrime. Nel pubblico presente anche il sindaco di Avetrana, Mario De Marco: il Comune chiederà di costituirsi parte civile nei confronti della famiglia Misseri.
10.16 - Anche Cosima non vuole le riprese. Michele invece si è rimesso al guidizio della corte "per una questione di coerenza", ha spiegato l'avvocato dell'uomo che in questi mesi non si è certo sottratto alle telecamere. La moglie, alle parole del suo avvocato, lo ha gelato con lo sguardo. Ora la corte si è riunita per decidere se autorizzare o meno le riprese tv.
10.25 - La Corte d’Assise di Taranto (presidente Cesarina Trunfio, a latere Fulvia Misserini, più sei giudici popolari, cinque dei quali sono donne) si è ritirata in Camera di Consiglio per decidere le modalità delle riprese televisive in aula e della diffusione delle immagini del processo, dopo aver sentito le parti. In particolare le due imputate attualmente detenute e accusate del delitto, Cosima Serrano e sua figlia Sabrina Misseri, hanno chiesto, attraverso i loro legali, di non essere riprese durante il processo.
10.28 - Ressa di giornalisti e operatori tv nella sala stampa allestita davanti alla Corte d’Assise del tribunale di Taranto, dove si sta celebrando il processo per l'omicidio di Sarah Scazzi. Solo due televisori stanno irradiando le riprese televisive garantite dalla trasmissione «Un giorno in pretura». Sono decine invece i cronisti, i fotografi e i cameramen presenti, tutti muniti di apposito pass per l’ingresso al Palazzo di giustizia. La necessità di riprendere in tempo reale immagini da trasmettere per le dirette televisive e i tg sta creando inevitabilmente problemi logistici.
10.30 - Capelli lunghi, cappotto nero, i suoi occhiali da vista neri, Sabrina si passa spesso un fazzolettino sugli occhi. Si è sistemata in un angolo della cella. La madre, ferma e imperturbabile è davanti, mani conserte, gli occhi fissi all'aula. Intanto la presidente della corte, Cesarina Trunfio, ha momentaneamente sospeso l'udienza e si è ritirata per decidere se consentire o meno le riprese tv in aula del dibattimento. I difensori degli imputati si sono rimessi alla decisione della corte, tutti tranne i legali di Sabrina, interpretando la volontà della loro assistita, si sono opposti. I rappresentanti legali della famiglia di Sarah hanno chiesto che le riprese vengano sospese quando in aula saranno mostrate le foto della vittima.
10.50 - Sabrina e Cosima hanno chiesto di uscire dall'aula. Michele invece è seduto sempre nell'angolo. Sono entrati i cinque giudici popolari: due donne e tre uomini, tutti di mezz'età.
11.00 - Continua a esserci gente fuori dal tribunale che chiede di entrare per assistere al processo. Non c'è però la folla che ci si aspettava. "Noi veniamo da Nardò, provincia di Lecce - racconta una signora tra il pubblico - siamo qui per vedere in faccia Sabrina e Cosima". «Siamo stati bombardati dai media e non eravamo ovviamente abituati a tutto questo. Avetrana ha subito un danno di immagine enorme». Lo ha detto ai giornalisti il vicesindaco di Avetrana Alessandro Scarciglia a margine dell’udienza per l’uccisione di Sarah Scazzi. «Il problema – ha aggiunto – non è il risarcimento dei danni, che comunque chiederemo. Avetrana non meritava tutto questo. Qualche attore principale di questa vicenda pensa di essere in uno show e anche alcuni mass media hanno esagerato».
11.15 - "Siamo stati bombardati dai media e non eravamo ovviamente abituati a tutto questo. Avetrana ha subito un danno di immagine enorme". Lo ha detto ai giornalisti il vicesindaco di Avetrana Alessandro Scarciglia a margine dell'udienza per l'uccisione di Sarah Scazzi. "Il problema - ha aggiunto - non è il risarcimento dei danni, che comunque chiederemo. Avetrana non meritava tutto questo. Qualche attore principale di questa vicenda pensa di essere in uno show e anche alcuni mass media hanno esagerato".
11.34 - Il Comune di Avetrana chiede alle Misseri il risarcimento per danni di immagine ma anche materiali che la comunità ha avuto dall'omicidio di Sarah Scazzi. Agli atti c'è la fattura di duecento euro che il Comune ha speso per la corona di fiori inviata al funerale: l'hanno acquistata da Giovanni Buccolieri, il fioraio sotto processo con l'accusa di aver visto tutto il giorno dell'assassinio di Sarah e di aver taciuto.
12.10 - Il processo Scazzi sarà ripreso dalle televisioni: nonostante il no di Sabrina e di Cosima, la corte ha deciso che vista l'"eccessivo interesse della società alla rilevanza del processo" è giusto che i cittadini possano seguire tutto il dibattimento.
12.11 - Ammesse solo le telecamere di 'Un giorno in pretura' che poi passeranno le immagini a tutte le televisioni che ne faranno richiesta.
12.14 - Sono circa sessanta le persone che non hanno trovato posto nell’area riservata al pubblico e sono assiepate dietro le transenne all’esterno della Corte d’Assise del Tribunale di Taranto, dove si sta svolgendo il processo Scazzi. Molti sono anziani, ma c'è anche una laureanda in giurisprudenza che ha scelto come tesi sperimentale proprio il processo mediatico e le garanzie per gli imputati. Il pubblico si divide in maniera equa tra coloro che credono alla colpevolezza di Michele Misseri e chi pensa che le assassine siano Cosima Serrano e sua figlia Sabrina. «Vogliamo la verità. Vogliamo che sia fatta giustizia e che i colpevoli siano condannati» hanno dichiarato alcune delle persone intervistate dalle emittenti televisive. «Sono venuto quì – ha detto un anziano – per vedere da vicino gli imputati. C'è una bambina che è stata ammazzata in maniera brutale. Bisogna vedere questa gente come è fatta. Secondo me sono stati tutti e tre».
12.15 - Non sarà possibile fare le foto. Non potranno esserci più di tre telecamere, e non potremmo mandare le immagini di Cosima e Sabrina, così come di tutti gli altri imputati che ne faranno richiesta.
12.20 - La Corte di Assise di Taranto ha stabilito con ordinanza, dopo un'ora e mezza di camera di consiglio, che le immagini del processo per l'omicidio di Sarah Scazzi potranno essere mandate in onda solo dopo la conclusione del processo stesso. Con la stessa ordinanza, accertato l'interesse "particolarmente rilevante" della vicenda da parte dell'opinione pubblica, la Corte ha autorizzato la ripresa integrale del dibattimento da parte della trasmissione di RaiTre 'un giorno in pretura'. Non potranno essere ripresi dalle telecamere gli imputati Cosima Serrano, Sabrina Misseri, Carmine Misseri, Antonio Colazzo e Cosima Prudenzano, nonché testimoni e consulenti che ne facciano esplicita richiesta, come avevano fatto gli imputati. Vietata anche la presenza in aula dei fotografi.
12.25 - La difesa di Sabrina, Cosima e Michele Misseri per il no alla costituzione di parte civile del Comune di Avetrana: "Spese sostenute autonomamente".
12.35 - a Corte di Assise di Taranto ha stabilito con ordinanza, dopo un’ora e mezza di camera di consiglio, che le immagini del processo per l’omicidio di Sarah Scazzi potranno essere mandate in onda solo dopo la conclusione del processo stesso. Con la stessa ordinanza, accertato l’interesse «particolarmente rilevante» della vicenda da parte dell’opinione pubblica, la Corte ha autorizzato la ripresa integrale del dibattimento da parte della trasmissione di RaiTre 'un giorno in pretura'. Non potranno essere ripresi dalle telecamere gli imputati Cosima Serrano, Sabrina Misseri, Carmine Misseri, Antonio Colazzo e Cosima Prudenzano, nonchè testimoni e consulenti che ne facciano esplicita richiesta, come avevano fatto gli imputati. Vietata anche la presenza in aula dei fotografi.
12.45 - La Corte si è ritirata per decidere sulle eccezioni presentate dalle parti. Cosima e suo marito rimangono seduti mentre Michele è uscito dall'aula.
12.53 - Concetta, la mamma di Sarah, parla di cosa si aspetta dal processo: "Spero che Sabrina confessi e racconti tutta la verità - dice - ma davvero la verità. Se pungolata bene penso lo possa fare, è più fragile psicologicamente. Cosima invece no".
13.08 - La Corte di Assise di Taranto è tornata in camera di consiglio per decidere su alcune richieste ed eccezioni delle parti. In particolare è stata avanzata richiesta di costituzione di parte civile dal Comune di Avetrana nei confronti degli imputati Misseri: la procura della Repubblica ha espresso in merito parere favorevole, il collegio difensivo si è detto contrario. L'avv. Giovanni Scarciglia ha chiesto il giudizio abbreviato, subordinato all’ascolto di tre testimoni, per due imputati, Antonio Colazzo e Cosima Prudenzano, entrambi accusati di favoreggiamento personale. La richiesta era stata avanzata e respinta già in sede di udienza preliminare dal gup Pompeo Carriere. Inoltre, la Corte dovrà decidere su alcune eccezioni sollevate dal collegio difensivo relative all’inserimento di documenti nel fascicolo dibattimentale.
13.50 - Un gruppo di persone protesta con cori da stadio all'esterno del tribunale di Taranto in segno di contestazione nei confronti dei numerosi giornalisti, fotografi e cameramen presenti per il processo Scazzi. I manifestanti esibiscono uno striscione con la frase 'Sulla morte di Sarah avete speculato ma del nostro inquinamento non avete mai parlato'. Una protesta che sta facendo da sfondo alle dirette di telegiornali e trasmissioni televisive nazionali e locali. Un gruppo di persone sta protestando con cori da stadio all’esterno del tribunale di Taranto in segno di contestazione nei confronti dei numerosi giornalisti, fotografi e cameramen presenti per il processo Scazzi. I manifestanti esibiscono uno striscione con la frase 'Sulla morte di Sarah avete speculato ma del nostro inquinamento non avete mai parlato'. Una protesta che sta facendo da sfondo alle dirette di telegiornali e trasmissioni televisive nazionali e locali.
15.00 - "In aula Sabrina risponderà alle domande. Quando il presidente autorizzerà le parti a formulare le richieste di prova, chiederemo, tra le altre cose, anche l'esame di Sabrina Misseri". Lo ha detto l'avvocato Nicola Marseglia, difensore della giovane di Avretrana, parlando con i giornalisti nella pausa della prima udienza. Alla domanda sul perché Sabrina non abbia risposto anche durante l'udienza preliminare per cercare di convincere il gup a proscioglierla, l'avvocato Marseglia ha detto che "quella è stata una scelta processuale della difesa perché ritenevamo che non fosse opportuno in quella fase processuale rendere l'esame". L'avvocato Marseglia difende Sabrina Misseri insieme all'avvocato Franco Coppi oggi assente.
15.22 - «Perchè?». è l’interrogativo che continua a porsi Concetta Serrano, madre di Sarah Scazzi, a 16 mesi di distanza dall’uccisione della figlia 15/enne. Lo fa anche in aula, in una pausa del processo, parlando con i giornalisti e chiedendosi ancora il motivo per il quale la ragazzina è stata uccisa in modo così brutale. «Eravamo due famiglie che si frequentavano – ricorda Concetta – non capisco perchè sia accaduto questo. La gelosia? Mah, non so se sia stata solo quella». In aula Concetta non ha cercato lo sguardo della sorella Cosima e della nipote Sabrina, comparse dietro le sbarre e accusate dell’omicidio. «Per me sono due persone che hanno sbagliato e devono pagare». La mamma di Sarah è in ansia anche perchè non riesce a comprendere tutte le lungaggini preliminari del processo. «Non starò a tutte le udienze, ma alle più importanti ci sarò» preannuncia. Poi pensa alla composizione della Corte d’Assise e lo sguardo si fa più sereno. «Il presidente è donna, sette giudici su otto sono donne. Le donne sono più agguerrite, questo mi dà fiducia per una sentenza che faccia giustizia».
15.30 - "Perché?". E' l'interrogativo che continua a ripetere Concetta Serrano, madre di Sarah, a 16 mesi di distanza dall'uccisione della figlia. Lo fa anche in aula, durante la pausa del processo, parlando con i giornalisti e chiedendosi ancora il motivo per il quale la ragazzina è stata uccisa in modo così brutale. "Eravamo due famiglie che si frequentavano - ricorda Concetta - non capisco perché sia accaduto questo. La gelosia? Mah, non so se sia stata solo quella". In aula Concetta non ha cercato lo sguardo della sorella Cosima e della nipote Sabrina, comparse dietro le sbarre. "Per me sono due persone che hanno sbagliato e devono pagare". La mamma di Sarah è in ansia anche perché non riesce a comprendere tutte le lungaggini preliminari del processo. "Non starò a tutte le udienze, ma alle più importanti ci sarò", preannuncia. Poi pensa alla composizione della Corte d'Assise e lo sguardo si fa più sereno. "Il presidente è donna, sette giudici su otto sono donne. Le donne sono più agguerrite, questo mi dà fiducia per una sentenza che faccia giustizia".
15.46 - "La sovraesposizione mediatica, che aveva connotato i giorni e le settimane immediatamente successive alla scomparsa di Sarah, è stata controproducente e alla fine ha solo nuociuto a Sabrina. Credo che un registro diverso possa giovarle". Lo ha detto l'avvocato Nicola Marseglia, legale di Sabrina Misseri, che ha spiegato di non credere a una sovraesposizione mediatica voluta da Sabrina, prima del ritrovamento del corpo della vittima. "Mi ha riferito di aver esercitato una sorta di supplenza - ha detto - che le avrebbero chiesto la zia Concetta e i familiari di Sarah che nell'immediatezza della scomparsa non volevano avere rapporti intensi con i media. Alla fine questa disponibilità le si è ritorta contro in senso negativo. Non è stata un'appropriazione indebita di spazi di questo genere, per vanità personale".
16.05 - Sabrina non voleva entrare in aula all'apertura dell'udienza. Agli agenti della polizia penitenziaria che la accompagnavano, di fronte alla porticina delle gabbie degli imputati, ha detto: "Mi sento male, non ce la faccio, non voglio entrare, voglio andare via". Gli agenti le hanno spiegato che doveva entrare in aula, per essere presente all'appello, poi sarebbe potuta uscire. Le hanno dato da bere un po' d'acqua. Poi, alla prima pausa, ha detto agli agenti che sarebbe rimasta. E così ha assistito all'udienza, rimanendo nel suo angolo.
17.22 - Sabrina e Cosima rientrano in aula per la ripresa del processo. Si attendono i giudici.
17.29 - Le due donne hanno gli occhi fissi sul pubblico. Cercano lo sguardo della famiglia Scazzi, ma l'unico che si volta verso la cella è Giacomo, il papà di Sarah. Sabrina è contenta della decisione dei giudici di vietare le telecamere in aula: "Non volevo finire in tv. Sono qui dentro per colpa loro".
17.32 - Sabrina e Cosima hanno chiesto agli agenti di polizia penitenziaria dove fosse Michele Misseri. Non riescono a vederlo perché protetto da una serie di poliziotti.
17.33 - Rientra la Corte.
17.35 - Il Comune di Avetrana ammesso come parte civile.
E’ iniziato il processo in Corte di Assise a Taranto per l'omicidio di Sarah Scazzi, aperto con grande battage mediatico. Ma le telecamere sembrano dare poco peso a cosa c’è fuori dal Tribunale: va in scena la protesta degli ambientalisti tarantini, che approfittano della presenza dei media nazionali per denunciare il vero problema di Taranto, e su cui c’è poco interesse. “Sulla morte di Sarah - si legge uno striscione – avete speculato, ma del nostro inquinamento non avete mai parlato”. Daniela Spera, da anni impegnata caparbiamente nel settore ambientale della propria città, raccoglie le loro proteste: «I giovani si riferivano soprattutto all'inquinamento provocato dalle industrie pesanti. A Taranto la presenza di insediamenti industriali quali il siderurgico, la raffineria, un cementificio, inceneritori, discariche miete vittime silenziose delle quali nessuno parla. Le vittime dell'inquinamento a Taranto sono ormai entrate a far parte della cultura tarantina, abituata a piangere senza reagire. Proprio ieri, ad esempio, e nella mia attività professionale mi trovo spesso di fronte a casi simili, una ragazzina mi ha chiesto un rimedio per la pelle martoriata della propria madre di 45 anni a causa delle conseguenze del ciclo di chemioterapia al quale è sottoposta. Oggi i ragazzi parlano di 'chemioterapia', 'leucemie', 'linfomi' come se fossero le cose più naturali di questo mondo. Forse a Taranto lo è. Ma fino a quando sarà tutto consumato nelle case abbandonate da coloro ai quali i cittadini hanno dato fiducia, e mi riferisco agli Amministratori di Taranto e al governatore della Regione Puglia, Niki Vendola, ormai impegnato ad utilizzare la questione tarantina come trampolino di lancio per la propria carriera politica, omettendo i reali problemi connessi all'inquinamento di Taranto, l'unica cosa che resta da fare è sollevare l'intera città, con ogni mezzo. Al tribunale di Taranto questi giovani hanno lanciato l'ennesimo grido..» È noto a tutti che si è aperto il processo per l'omicidio di Sarah Scazzi. Ma quanti hanno mostrato attenzione ai manifestanti che erano fuori il tribunale? Bastava fare un po' più attenzione per notare uno striscione che recitava: “Sulla morte di Sarah avete speculato, ma del nostro inquinamento non avete mai parlato”. Un gruppo di ragazzi infatti, ha organizzato nel giorno del tanto atteso evento mediatico, una protesta per rendere noto a tutti il grave problema dell'inquinamento che colpisce Taranto. Il gruppo di AMMAZZA CHE PIAZZA rivolge queste parole alla comunità cittadina: «Vorremmo rivolgerci alla città di Taranto, la nostra città, che amiamo e desideriamo difendere, per spiegare ai tarantini perchè i giovani del gruppo "Ammazza che piazza" martedì 10 gennaio 2012 hanno deciso di manifestare pacificamente davanti al Tribunale. Martedì si è aperto il processo per l'omicidio di Sarah Scazzi. Tutte le tv nazionali sono sbarcate in città per seguire questo processo. Noi abbiamo deciso di esporre uno striscione “Sulla morte di Sarah avete speculato, ma del nostro inquinamento non avete mai parlato” per sensibilizzare le tv nazionali ad occuparsi della nostra città non solo in merito al tremendo caso di cronaca nera di Sarah Scazzi. Purtroppo da anni lottiamo contro l'inquinamento selvaggio che uccide Taranto e i tarantini e quasi mai (tranne rari casi vedi Le Iene, Malpelo, Corriere della Sera) siamo riusciti ad avere l'attenzione dei media nazionali. Perchè ai casi di cronaca nera si dedicano le aperture di Tg e quotidiani e ai morti per inquinamento non si lascia nemmeno lo spazio di un trafiletto in ultima pagina? Siamo giovani e giovanissimi, studenti, lavoratori e disoccupati, da mesi puliamo le piazze di Taranto per sensibilizzare la cittadinanza ad amare la propria città, amarla come i nostri politici non l'hanno mai amata. Ecco chi siamo noi di AMMAZZA CHE PIAZZA, le nuove generazioni di tarantini che non vedono futuro per loro e per le loro famiglie. Che hanno deciso di difendere la propria città e il nostro futuro. Il diritto ad un futuro. Siamo pacifici. E pacificamente abbiamo intenzione di manifestare e portare avanti la nostra iniziativa politica. Senza colori nè partiti alle spalle. Ci autofinanziamo e sosteniamo da soli in tutte le nostre iniziative. Martedì dopo la nostra iniziativa - ripetiamo pacifica - davanti al Tribunale uno del gruppo AMMAZZA CHE PIAZZA è stato denunciato per manifestazione non autorizzata. Non capiamo bene quale sia la nostra colpa. Sappiamo però che abbiamo intenzione di continuare a pulire Taranto, a curarla, difenderla. A partire da quei quartieri di periferia lontani dalle luci del centro che nessuno cura e difende”.» «Ora denunciateci tutti». Scatena la reazione di diverse decine di cittadini nonchè di un folto gruppo di movimenti ed associazioni il fatto che sia stato denunciato uno dei giovani che insieme a tanti altri, davanti al Tribunale dove era in corso la prima udienza del processo per l’omicidio di Sarah Scazzi, ha issato uno striscione che metteva in evidenza come sul processo per il delitto di Avetrana si fosse accesa in modo potente l’attenzione dei media, mentre sull’inquinamento che da anni colpisce la città non si registra analoga attenzione. «Quando un gruppo di giovani decidono di valorizzare la propria città e, senza far uso di bandiere o colori politici, si adoperano per migliorarla, ripulendo ed abbellendo le pubbliche piazze, vengono lodati dall'opinione pubblica ed apprezzati dalle autorità. Ma se un giorno - si legge nel documento di protesta - decidono di manifestare pacificamente usando uno striscione per portare alla luce una questione macroscopicamente ingiusta e dolorosa ecco che vengono denunciati. La motivazione? I coraggiosi ragazzi hanno inscenato una pacifica dimostrazione, durata pochi minuti, dinanzi al Tribunale dove da tempo si celebra il processo per la morte della povera Sarah Scazzi, divenuto fenomeno mediatico che suscita tanto scalpore per la curiosità morbosa del pubblico e la folta audience. Intervenuti a frotte, i media si sono trovati di fronte un gruppo di giovani e uno striscione con queste parole: “Su Sarah avete speculato ma del nostro inquinamento non avete mai parlato”». «Poche riprese rapide - si legge nel documento - ed il silenzio è calato nuovamente ma la protesta non è passata inosservata. No, perché uno di questi giovani è stato denunciato, quasi fosse un attentatore alla quiete pubblica». Ma, si chiedono i firmatati dell’esposto, «è giusto che portatori di verità vengano denunciati come comuni malfattori? O sono solo detentori di una realtà che viene tenuta forzosamente nascosta sotto il tappeto? I risultati dell'inquinamento a Taranto devono rimanere un segreto di cui sono a conoscenza ben pochi: i cittadini di Taranto, i miticoltori, gli allevatori, i malati ed i tanti morti di tumore». «Esprimiamo piena solidarietà ai giovani - prosegue il documento - che, con vero spirito di sacrificio, si fanno portatori di una verità dolorosa, del senso di disagio e di lutto che la cittadinanza sopporta da decenni, nel silenzio delle autorità, della Regione e della Nazione, avvezze ad usare ben altro trattamento di acquiescenza verso i responsabili dell' inquinamento». Tra i gruppi che aderiscono ci sono: 1000 per Taranto, Altamarea Taranto, Ascolto Aiuto, circolo Arci Pepper, Creativa Mente, Federazione provinciale Verdi, gruppo Mcs Puglia, Joe Black Production, Taranto lider, Taranto Pulita, Vivi Taranto e Wwf Taranto. Da una grana all’altra. Da “Il Nuovo Quotidiano di Puglia” si viene a sapere che proprio nei giorni in cui è iniziato il processo per la morte di Sarah Scazzi, Michele Misseri, Cosima Serrano e le due figlie Sabrina e Valentina, sono coinvolti in una indagine della Guardia di Finanza di Francavilla Fontana che ha denunciato un imprenditore agricolo ultrasettantenne. Anche i quattro componenti della famiglia di Avetrana sono, infatti, tra i 67 lavoratori irregolari assunti dall’uomo. Braccianti agricoli che in realtà non avrebbero mai messo piede nei campi dichiarati dal 70enne e per questo sono stati segnalati all’Inps, affinché si accerti la loro responsabilità nella truffa orchestrata dall’imprenditore accusato di aver sottratto 400mila euro al fisco e ben tre milioni e mezzo all’Inps. L’indagine avviata delle Fiamme gialle di Francavilla, dirette dal comandante Antonio Triggiani, non si ferma: bisognerà capire se i braccianti non hanno mai lavorato per l’imprenditore o se l’abbiano fatto, ma in terreni diversi da quelli presi in affitto e regolarmente dichiarati. Nel primo caso, la famiglia Misseri e gli altri braccianti, potrebbero persino essere accusati di aver partecipato in modo attivo alla truffa. Ma cosa accadeva nei campi di Erchie? Nulla di quanto era ufficialmente messo nero su bianco. L’imprenditore, da un lato gestiva una attività agricola su alcuni campi, senza però dichiarare nulla al fisco; dall’altro c’erano terreni dichiarati su cui nessun bracciante aveva mai messo piede. Questo sarebbe accaduto nel caso di Michele Misseri, Cosima Serrano e delle due figlie Sabrina e Valentina. Sulla carta l’imprenditore aveva preso in fitto degli ettari da coltivare, ma quando i finanzieri hanno chiesto spiegazioni ai proprietari, loro sono rimasti di stucco, affermando che su quegli appezzamenti, nelle campagne di Erchie, non c’era nessuna attività agricola tantomeno svolta sotto la gestione di terzi. L’assunzione di 67 braccianti è risultata dunque fittizia. Dato che, secondo la legge, se un bracciante lavora almeno 150 giorni all’anno, alla fine di questo periodo può richiedere l’indennità di disoccupazione, l’assunzione permetteva ai 67 operai di poter intascare il denaro. Per avere questo vantaggio i braccianti pagavano di tasca propria i contributi previdenziali, versando il denaro al titolare dell’azienda che avrebbe dovuto poi passarli all’Inps. Così non è stato e l’imprenditore ha accumulato con l’ente previdenziale un debito di circa tre milioni e mezzo di euro. Per questo risponde di occultamento di scritture contabili, falsità materiale e truffa i danni dello Stato. L’operazione è partita nel febbraio del 2010, ma i fatti contestati risalgono a un periodo di tempo che va dal 2007 al 2009, prima che la famiglia Misseri fosse travolta dalla vicenda che ha sconvolto l’Italia intera, l’omicidio della piccola Sarah. Quando gli ispettori hanno iniziato a indagare e sono comparsi quei nomi oggi così familiari, tra i 67 braccianti assunti irregolarmente dall’imprenditore, si trattava solo di quattro persone di Avetrana, un paesino in provincia di Taranto, distante appena dodici chilometri da Erchie. Nulla più. Ma già quando i finanzieri hanno fatto la prima visita all’imprenditore, esattamente nel 2011, a quei nomi erano associati volti, voci e molto di più. In quell’occasione le Fiamme gialle hanno chiesto la documentazione contabile e si sono resi subito conto della mancata dichiarazione di buona parte dell’attività. La sorpresa più grande, però, è stata quella legata all’enorme debito contratto nei confronti dell’Istituto di previdenza. Da quanto è emerso nel corso degli accertamenti dei militari durati circa un anno, l’uomo non ha dichiarato redditi superiori ai 300mila euro, evadendo anche l’Iva per un importo di circa 70mila euro. Anomalia dopo anomalia, i finanzieri sono riusciti a ricostruire l’intera truffa. La posizione dei Misseri, anche loro “ingaggiati” in modo fittizio, è tutta da chiarire. Intanto ci mancava anche questa. Della serie prima si adotta la tesi di accusa e poi si trovano le prove, finanche dopo la cessazione delle indagini preliminari. Una foto di Sarah Scazzi in pigiama che era stata cancellata dal telefonino di Ivano Russo: è il contenuto di una prima integrazione probatoria che la Procura della Repubblica di Taranto ha depositato in segreteria. La foto è stata scattata nel maggio 2010, cioè tre mesi prima del delitto. Sembrerebbe che a farla sia stata la stessa Sarah, ritraendo sè stessa nello specchio: poi avrebbe inviato la foto sempre via cellulare all'amico Ivano. Invece pare che è nella stanza-laboratorio di casa Misseri ad Avetrana che la sera del 7 maggio 2010 Sarah Scazzi si fece fotografare in pigiama da Ivano Russo. A svelarlo è l’orsacchiotto di peluche appeso ad un pomello dell’armadio bianco che appare alle spalle della quindicenne uccisa proprio in quella casa il 26 agosto dello stesso anno. Il particolare è emerso confrontando una delle foto inserite nel fascicolo processuale che ritrae la piccola stanza da letto dove Sabrina esercitava la sua attività di estetista. Il reperto fotografico fa parte della documentazione relativa ad uno dei sopralluoghi dei Ris in via Grazia Deledda. E’ lì che si nota il pupazzo appeso allo stesso punto dell’armadio ritratto sullo sfondo della foto ritrovata sul telefonino di Ivano. E’ da presumere quindi che la sera di inizio maggio in cui fu fatta la foto Sarah restò a dormire a casa della cugina e che Ivano passò qualche tempo con loro. Il perito che l’ha estratta dalla memoria ha accertato che lo scatto è stato fatto dalla stessa fotocamera del cellulare del ventisettenne e non è stato scaricato da altri terminali. L'immagine secondo la procura potrebbe costituire un ulteriore elemento capace di dimostrare il livello di confidenza e complicità che si era instaurato tra la quindicenne di Avetrana e l'amico Ivano Russo, rapporto del quale Sabrina sarebbe stata particolarmente gelosa al punto da spingerla ad uccidere la cuginetta. Questa foto proviene da una ulteriore perizia affidata dalla Procura per rintracciare materiale cancellato dalle memorie di telefonini. Già nel corso dell’inchiesta i carabinieri del Racis avevano rintracciato, con una perizia similare, 4.500 sms che Sabrina e Ivano si erano scambiati nei primi sei mesi del 2010. La foto (e forse altro materiale) sarebbe stato recuperato questa volta utilizzando un nuovo sofisticato software di produzione israeliana. E proprio Ivano Russo è chiamato a testimoniare il 17 gennaio 2012, alla seconda udienza del processo.
17 gennaio 2012.
Seconda udienza del processo.
ORE 11:00 - IVANO ARRIVATO IN TRIBUNALE CON LA FIDANZATA
E' arrivato in Tribunale insieme alla sua fidanzata, Virginia Coppola, ed è stato subito bombardato da fotografi e cameramen: Ivano Russo, l’amico comune di Sarah Scazzi e Sabrina Misseri del quale le due donne si sarebbero invaghite, è entrato nell’aula della Corte di assise come un piccolo divo. Ora il giovane è in una sala adiacente all’aula Alessandrini, in attesa di essere ascoltato come testimone. La fidanzata è seduta tra il pubblico.
ORE 12:21 - PM: SOSPENDETE TERMINI DI CUSTODIA PER COSIMA E SABRINA
Nel processo per il delitto Scazzi, ripreso poco fa dinanzi alla Corte di assise di Taranto, il procuratore aggiunto, Pietro Argentino, ha chiesto la sospensione dei termini di custodia cautelare nei confronti delle uniche detenute, Cosima Serrano e la figlia Sabrina Misseri, accusate dell’omicidio. Parere contrario da parte del collegio difensivo. La corte è tornata a riunirsi in camera di consiglio per decidere sulla richiesta della Procura.
ORE 12:30 - LA CORTE: NON SI RIESUMA IL CORPO DI SARAH
Con un’ordinanza, letta al rientro in aula prima di tornare in camera di consiglio, la Corte di assise ha deciso di acquisire al fascicolo dibattimentale, come richiesto dalla Procura, una documentazione di attività integrativa depositata dalla procura stessa, tra cui una foto di Sarah in pigiama scattata dal telefonino di Ivano Russo il 7 maggio 2010. Rigettate dalla Corte alcune richieste del collegio difensivo sull'acquisizione di video e di dichiarazioni di Michele Misseri. No anche alla richiesta di trascrizione integrale di tutte le intercettazioni avanzate dalla difesa di Sabrina; sì invece alla trascrizione di intercettazioni indicate dalle parti. Per questo compito la Corte ha indicato come perito Giovanni Leo. Rigettata la richiesta di riesumazione del cadavere di Sarah e di nuova autopsia avanzata nella scorsa udienza dall’avv.Raffaele Missere, difensore di Cosimo Cosma, accusato di concorso in soppressione di cadavere. Per la Corte il tempo intercorso dal momento della prima autopsia (ottobre 2010) ha certamente fatto decomporre ancor di più i resti della quindicenne. La Corte di assise ha accolto la richiesta dei difensori di Cosima Serrano e Sabrina Misseri di acquisire al fascicolo dibattimentale alcune lettere scritte da Michele Misseri a moglie e figlia e nelle quali l’agricoltore si assumerebbe tutta la responsabilità per l’omicidio. La decisione è contenuta nell’ordinanza che la Corte ha emesso questa mattina inerente alle richieste di ammissione delle prove.
ORE 15:30 - NIENTE SOSPENSIONE PER TERMINI CUSTODIA CAUTELARE
La Corte di assise di Taranto la respinto la richiesta della Procura di sospendere i termini di custodia cautelare nei confronti di Cosima Serrano e Sabrina Misseri, accusate dell’omicidio di Sarah Scazzi. I termini scadono il 21 maggio 2013.
ORE 17:40 - L'AMICA: MAI VISTA SABRINA LITIGARE CON LA CUGINA
Mai visto litigare Sabrina con Sarah, lei era anche molto protettiva perchè Sarah era più' piccola. Probabilmente anche Ivano aveva un atteggiamento simile». Lo ha detto un’amica di Sabrina Misseri, Angela Cimino, testimoniando al processo per l’uccisione di Sarah Scazzi. Cimino, studentessa universitaria a Chieti, ha fatto riferimento ai pochi giorni – una quindicina – trascorsi ad Avetrana nell’estate del 2010. La testimone ha confermato l’episodio, riferito agli inquirenti il 30 novembre 2010, di una sera di fine agosto in cui Ivano la stava accompagnando a casa insieme con Sarah. A Cimino arrivò un sms di Sabrina nel quale era scritto: «Fammi sapere chi accompagna prima a casa». Per la procura la circostanza confermerebbe la gelosia provata da Sabrina per tutto ciò che riguardava Ivano.
ORE 18:00 - SLITTA L'AUDIZIONE DI IVANO RUSSO
A causa del protrarsi dell’audizione di altri due testimoni, è slittata a martedì 31 gennaio – data della prossima udienza – l'audizione di Ivano Russo nel processo in Corte d’Assise per l’omicidio di Sarah Scazzi. L’udienza si è conclusa poco fa. Per il 31 gennaio sono stati citati a deporre come testimoni anche i genitori di Sarah, Concetta Serrano e Giacomo Scazzi, e Pamela Nigro, Anna Lucia Dell’Atti e Salvatore Erroi.
31 gennaio 3ª udienza
31 gennaio. La terza
udienza.
Parla Ivano Russo,
Ecco la trascrizione del diario di Sabrina delle sue ultime ore con Sarah.
“Mercoledì 25 agosto «Circa alle 20,30 – 21,00, Sarah viene a casa mia. Dopo un po' viene anche la mia amica Mariangela e decidiamo di fare un giro in macchina sulla litoranea di Torre Colimena e Specchiarica senza fermarci. Ritornati ad Avetrana verso le 22,20 andiamo al Pub di via Roma e ci restiamo per circa 20-30 min. Dopo Mariangela ci lascia a casa ma subito dopo io e Sarah andiamo alla piazzetta Unicef. Non essendoci nessuno (visto che il bar era anche chiuso), dopo circa 10 min ho riaccompagnato Sarah a casa sua».
Giovedì 26 agosto «Circa verso le 9,00, Sarah viene a casa mia senza avermi avvisata visto che non aveva credito sul cellulare. Alle 9,30 circa Sarah si offre di andare a Euro Casa per comprarmi una crema. Prima delle 10,00 Sarah torna a casa mia e ci resta sino alle 12 – 12,30 accordandoci che le avrei inviato un Sms per avvisare a che ora saremmo andati al mare visto che l’orario era incerto. Verso le 14,10 Mariangela mi invia un Sms per dirmi che sarebbe venuta verso le 14,30 per andare al mare. Immediatamente avviso Sarah. Non avendo risposta, dopo qualche minuto le ho inviato un altro Sms per sapere se aveva letto l’Sms precedente. Dopo qualche minuto ho ricevuto uno squillo per conferma».
«LA BADANTE DICE CHE SARAH ESCE VERSO LE 14,25 – 14,30» «Verso le 14,35 arriva a casa mia Mariangela ma Sarah non era ancora arrivata. Questo mi ha fatto preoccupare perché di solito Sarah arriva in anticipo. Ho chiesto a Mariangela se durante il tragitto ha notato Sarah, visto che alcune volte l’ha incontrata, facendo lo stesso percorso. Avendo una risposta negativa ho cominciato a chiamarla (nel frattempo salivo in macchina) ma dopo qualche squillo è scattata la segreteria telefonica. Ho riprovato a chiamare subito dopo ma il cell. risultava spento. Siamo andate da mia zia per sapere se Sarah era pronta ma mio zio Giacomo ci ha detto che Sarah era già uscita per venire a casa mia. Così siamo ritornate di nuovo a casa mia per vedere se Sarah era arrivata, ma abbiamo visto che non era così. Siamo andate nuovamente da mia zia per dare l’allarme».
A Lecce il 28 gennaio il procuratore generale presso la Corte d'appello di Lecce, Giuseppe Vignola intervenendo in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario ha fatto riferimento al caso Sarah Scazzi parlando di "bulimia di gossip televisivo" che va ben oltre il diritto all'informazione. « E' anche ammissibile soddisfare la curiosità dei giornalisti e dei giallisti da diporto - ha detto Vignola - ma esistono regole da rispettare di genere etico, proprie dell'apparato giudiziario. E soprattutto esistono delle vittime da rispettare, oltre ai colpevoli che fino a conclusione dei dibattimenti rimangono comunque presunti tali. La Giustizia è una cosa troppo seria per essere affidata a corti improvvisate formate negli studi televisivi. Così si finisce solo per fare violenza mediatica che fa solo risaltare la brutalità del mondo il cui viviamo. La violenza dei media consiste, non tanto nel rispecchiare la brutalità del mondo, quanto nell'abituarci a convivere con essa».
Alle 9 e 43 in aula per la terza udienza del processo per la morte della 15enne di Avetrana è arrivato Ivano inseguito dalle telecamere. Nella saletta dei testimoni ci sono anche i genitori di Sarah che ricostruiranno le ultime ore di vita della figlia e i tre testimoni minori. Il programma televisivo Porta a Porta ha chiesto l'autorizzazione per poter riprendere le varie fasi del processo: la difesa di Sabrina si è opposta. La Corte ha autorizzato solo i disegni, ma solo dei personaggi che daranno l'autorizzazione e comunque non di Sabrina e la madre. Si tolga quella mano davanti alla bocca quando parla!». Ivano Russo non è abituato ad essere trattato così. Da una donna, poi. Ma questa volta il cosiddetto Alain Delon di Avetrana non ha scelta. Quella signora in toga nera, che la legge italiana pone nelle sue mani la vita o la morte di inermi cittadini e che lo sovrasta e lo sgrida come un bimbo delle elementari è Cesarina Trunfio, presiede la Corte d’Assise di Taranto. Ivano obbedisce. Abbassa la mano e alza la voce. Per sei ore risponde alle domande di pubblici ministeri e avvocati. È nel mirino di tutti. Qualsiasi cosa dica può avere un effetto devastante. Accusa e difesa se lo contendono e prima che parli rimangono tutti col fiato sospeso. Lui sembra saperlo. A turno accontenta una o delude l’altra. Il processo, dalla prima udienza, ruota intorno a lui. Se Sabrina Misseri ha ucciso la cuginetta Sarah, dicono i magistrati, lo ha fatto per gelosia. E l’oggetto dei desideri era lui, il «Dio Ivano». «Niente di che», commentano alcune ragazze accorse in aula per osservarlo da vicino. Il giudizio è peggiore quando si guardano le foto di Ivano a torso nudo e la pancetta. Eppure, di questo “nientediche”, l’inchiesta giudiziaria e la barbarie mediatica han fatto il centro di una vasta galassia femminile: un harem per Ivano. Un sistema di giovani donne avetranesi che nell’estate 2010 ruotavano tutte attorno a lui. I ragazzi e le ragazze entrate nell’inchiesta?“Nientediche”. Nessuno dice che ad Avetrana c’è ben altro. Sia come ragazzi, sia come ragazze. A livello di immagine ed a livello di levatura sociale e culturale superiore. Ma questo meglio no farlo sapere in giro. Sia mai che si possa far apparire Avetrana come un paese normale conosciuto anche per altri personaggi: Antonio Giangrande, noto scrittore; Mirko Giangrande, l’avvocato più giovane d’Italia con due lauree; Leonardo Laserra Ingrosso, Tenente colonnello direttore della banda musicale della Guardia di Finanza; lo stesso Vito Mancini, concorrente del contemporaneo poco edificante, ma sempre seguitissimo “Grande Fratello 12” su Canale 5. Nella galassia femminile artefatta, sull’orbita più stretta c’era Sabrina. Poi tutte le altre. Mariangela Spagnoletta l’amica. Angela Cimmino, fidanzata dell’amico. Distante, ma sempre più presente, la piccola Sarah, quindicenne ancora acerba, ma sensibile all’affetto e alle attenzioni che quel ragazzo molto più grande le dimostrava. Ma Ivano, come i veri playboy, è riservato. Non ama la pubblicità. Non espone i propri sentimenti e nemmeno quelli altrui. A sentire lui, sembra che tutto sia avvenuto a sua insaputa. In aula, sotto lo sguardo severo della presidente Trunfio, ridimensiona ogni cosa. Cuori infranti? «Non me ne ero accorto». I téte-a-téte notturni con la Cimmino? «Tutelavo la fidanzata di un amico». Le attenzioni di Sarah? «Per me era una sorellina minore». Le scenate di gelosia? «Mai successo». Franco Coppi, difensore di Sabrina, gongola. Il controesame di Ivano è stato martellante e in certi passaggi ha aperto le prime crepe nel movente della gelosia. Ma quanto valgono certe dichiarazioni? All’apice della riservatezza, al confine con la reticenza, Ivano è il testimone che non si è nemmeno accorto di aver avuto una congiunzione carnale con Sabrina. È Mariano Buccoliero, il Pm, che deve guidarlo a recuperare la memoria. Gli fornisce alcuni elementi: l’auto, un luogo appartato, lui e lei nudi. E via ricostruendo. Finché Ivano non ritrova il filo del discorso. E spiega che quel rapporto era stato interrotto e per lui non poteva considerarsi avvenuto. Mormorio in aula. «Ma questo ci fa o ci è?», commenta un poliziotto. Per chi valuta con benevolenza è pudore. «La sua vita è finita sotto i riflettori», dicono gli amici, «la sua privacy è stata fatta a pezzi». Secondo altri, non è così. Il suo comportamento in aula è in linea con quello tenuto durante le indagini: «Si ricorda dei fatti quando glieli metti sotto il naso», commentano fonti vicine alla Procura, come può darsi che effettivamente abbia la memoria corta. «E più lo interroghi e più il mistero si infittisce». Per ora il grande conquistatore di Avetrana esce di scena. Presto però potrebbe rientrare. I periti informatici continuano a scavare nel suo telefonino. Seguono le tracce elettroniche di fotografie e messaggi che sono stati cancellati e forse potrebbero essere ricostruiti, per essere mostrati a Ivano e aiutarlo a ricordare. Come i due sms che Sabrina gli aveva inviato il 26 agosto 2010, giorno della scomparsa di Sarah. «Li ho cancellati per liberare la memoria del cellulare», ha detto in aula. Proprio quei due. Parola di Ivano. Era molto attesa la deposizione di Ivano Russo, teste sia della pubblica accusa che della difesa, ma in realtà non ha aggiunto molto a quanto già si sapeva tramite i verbali degli interrogatori a cui il giovane conteso dalle due cugine era stato sottoposto durante le indagini preliminari. Anzi, a ripercorrere le oltre sei ore di esame e controesame, si ha netta l’impressione che Ivano non abbia offerto elementi tali da supportare il movente dell’omicidio, giacché ha sì ammesso degli interessi che Sabrina nutriva nei suoi confronti, tanto da arrivare ad allontanarla, ma ha anche aggiunto che Sarah era per lui una sorella minore e che nessuno, né tantomeno la 15enne, le hanno mai detto che nutriva qualche sentimento per lui, per la legittima soddisfazione del prof. Franco Coppi, legale di Sabrina Misseri, che sul punto gli ha chiesto lumi. Secondo la Procura, Sabrina Misseri, in concorso con sua madre Cosima, ha ucciso Sarah - anche - per gelosia verso Ivano, gelosia che però Ivano non ha confermato, sostenendo di non aver mai visto le due cugine litigare per colpa sua e che i richiami fatti da Sabrina a Sarah quando quest’ultima si lasciava andare verso di lui a slanci di affetto in pubblico, erano fatti solo per evitare che la gente di Avetrana sparlasse. Nell’esame fatto dal sostituto procuratore Mariano Buccoliero e dall’aggiunto Pietro Argentino, Ivano ha ricostruito il suo rapporto con le cugine, non mostrando mai incertezze o esitazioni. Il 29enne non ha barcollato nemmeno quando il pm Buccoliero gli ha mostrato 13 foto scaricate dal cellulare di Sabrina, foto scattate nella stanza di casa Misseri che Sabrina usava come centro estetico. Ivano è ritratto mezzo nudo, in pose oggettivamente ambigue mentre si fa sottoporre a trattamenti estetici. Ma lui candidamente ha ammesso che quasi tutte quelle foto le aveva scattate addirittura la stessa Sarah. Ambiguità che emerge anche da un sms recuperato dal consulente della Procura («che è bona però le piace il sesso femminile te la volevo far... Russo Ivano») che però Ivano non ha saputo ricordare a chi lo aveva inviato, né cosa significasse. Non ha dubbi, invece, Ivano nel ribadire le accuse all’avvocato Vito Russo, ex legale di Sabrina Misseri. Alla corte dice aver subito per ben tre volte pressioni dall’avvocato tarantino - sotto processo per intralcio alla giustizia e favoreggiamento personale - per rendere dichiarazioni favorevoli a Sabrina e in un caso addirittura per creare gruppi Facebook favorevoli alla giovane di casa Misseri. Dinanzi alla corte hanno deposto anche i tre commercianti (Pamela Nigro, Anna Lucia Dell’Atti e Salvatore Erroi) che la mattina del 26 agosto, giorno dell’omicidio, confermando quanto già dichiarato alla polizia giudiziaria anche se sia Erroi che la Nigro, sollecitate dall’avv. Nicola Marseglia, l’altro legale di Sabrina Misseri, hanno spiegato di aver visto Sarah normale, per niente agitata. Una deposizione, quella di Ivano Russo sentito come testimone, che ha scandagliato i rapporti tra i giovani del paese e che si è soffermata sui particolari della relazione, anche intima, tra Ivano e Sabrina, accusata dell'omicidio della 15enne insieme alla madre Cosima Serrano. Sabrina Misseri non gli ha mai detto di essere gelosa di Sarah Scazzi. Lo ha detto Ivano Russo rispondendo alle domande dell'avvocato Franco Coppi, difensore di Sabrina Misseri, nell'udienza a Taranto in Corte d'Assise per l'omicidio di Sarah Scazzi. «Dopo il ritrovamento del cellulare di Sarah da parte di Michele Misseri, Sabrina piangeva spesso - ha detto Ivano in aula - temeva che il padre durante l'interrogatorio potesse accusarsi di qualcosa che non aveva fatto pur di far finire l'interrogatorio a cui era sottoposto. Sentiva di essere sotto pressione. Sì, tra me e Sabrina c'è stato anche un rapporto sessuale, poi io ho deciso di allontanarmi perché mi sono reso conto che lei voleva qualcosa di più di una semplice amicizia - ha detto Ivano Russo nella deposizione resa a Taranto in Corte d'Assise. Sarah - ha detto Russo - mi considerava quasi come una figura paterna, il padre e il fratello erano lontani, il fratello Claudio le mancava molto. Non si confidava, ma veniva e voleva essere abbracciata. Una delle ultime volte mi abbracciò e mi disse: ti voglio bene. Io ricambiai e le dissi che le volevo bene. Successe in presenza di tutti. Sarah nel pub spesso si sedeva accanto a me e mi poggiava la testa sul braccio. Ho conosciuto Sabrina e Sarah nel dicembre 2009. Con Sabrina inizialmente ho instaurato un rapporto di amicizia, Sarah era più piccola e con lei ci voleva particolare attenzione perché la nostra comitiva era di adulti… Con Sabrina si instaurò mano a mano un rapporto confidenziale. Ad un certo punto però vidi da parte sua atteggiamenti ambigui, complimenti che andavano oltre. Le ho chiesto se per lei era ancora amicizia o qualcos’altro, e lei mi disse che era amicizia. Ma pochi giorni prima che Sarah morisse – ha affermato Ivano - ho deciso di troncare il rapporto perché non mi convinceva e mi sono allontanato anche per non farla soffrire -pur ammettendo che due mesi prima c’era stato un quasi rapporto sessuale- Una sera ci siamo appartati, lei si è spogliata, c’è stato contatto fisico ma non rapporto sessuale». Una settimana prima della scomparsa di Sarah ho troncato i rapporti con Sabrina perché mi sono reso conto che voleva qualcosa di più». In una data che l'accusa colloca intorno al 22 giugno 2010, «siamo passati dallo sfotterci all'atto pratico. Ci siamo appartati» ha detto Russo, riferendosi appunto al rapporto sessuale avuto con Sabrina. Il chiarimento tra Sabrina e Ivano ci fu tra il 20 e il 21 agosto. C'era anche Sarah a quell'incontro. «Non c'erano più le basi - ha ricostruito Ivano - per continuare il rapporto di amicizia con Sabrina. Preferii allontanarmi per non farla soffrire».
Ma il teste nega che Sabrina abbia mai manifestato la sua gelosia per colpa della cuginetta Sarah, nè ha mai pensato che la quindicenne si fosse invaghita di lui: «Nessuno mi ha mai riferito che Sarah si era invaghita di me. Sabrina con me non si è mai lamentata della presenza di Sarah e non ha mai litigato con me per causa di Sarah». Poi quella sera, il 21 giugno 2010, e quel rapporto intimo in auto. «Siamo passati dallo sfotterci a parole all'atto pratico. Una sera ci siamo appartati, lei si è spogliata, c'è stato contatto fisico ma non rapporto sessuale; non un rapporto completo. Io mi bloccai perché volevo che restasse solo amicizia, e lei si rivestì». Quanto al diario di Sarah che Sabrina non consegnò ai carabinieri dopo la scomparsa della ragazzina: «Il giorno del delitto o il giorno dopo - ha detto Ivano - Sabrina mi mandò un sms dicendo che aveva trovato un diario di Sarah in cui diceva che aveva un debole per me. Mi disse che non lo consegnava di comune accordo con la madre di Sarah perché temeva che mi indagassero. Io non risposi e poi ho cancellato questo messaggio perché mi spaventai. Forse sarebbe stato meglio consegnarlo, forse ho sbagliato e avrei dovuto dirlo. Dopo la scomparsa di Sarah, Sabrina utilizzava il cellulare della madre Cosima per chiamarmi perché aveva timore di essere intercettata. Quando il 26 agosto Sabrina mi ha mandato un messaggio dicendomi che Sarah era scomparsa - ha raccontato ancora - ho pensato che era una scusa per riavvicinarsi a me e ho lasciato stare. Poi nel pomeriggio dopo le 17 ho incontrato ad una stazione di servizio Mariangela Spagnoletti e Alessio Pisello e mi confermarono che Sarah era scomparsa. Quella sera mi vidi alla birreria '102' di Avetrana con Sabrina. Lei mi disse che nel pomeriggio doveva andare al mare con Sarah e Mariangela, che Sarah la mattina era contenta e che era sicura che l'avessero presa». Secondo la procura, proprio la gelosia per le attenzioni che il giovane cuoco regalava alla piccola Sarah avrebbe scatenato l’ira omicida di Sabrina Misseri, spingendola ad assassinare la cuginetta. La ragazza è accusata di omicidio e sequestro di persona in concorso con la madre. Le due donne hanno seguito il dibattimento al fianco dei loro legali. I pm non hanno dubbi: fu la cugina più grande ad assassinare Sarah, nella villetta di via Deledda con la complicità di mamma Mimina. La strangolò per gelosia. Ma anche perché la ragazzina aveva fatto trapelare in paese l'umiliante rifiuto opposto da Ivano alle sue esplicite avances. Il ragazzo interrogato ha parlato a lungo anche delle centinaia di sms che i due si sono scambiati e la Corte ha acquisito alcuni tabulati cancellati e recuperati da un consulente della Procura dal suo cellulare insieme a un sms 'spinto' inviato a Sabrina in cui il giovane faceva riferimento a pratiche sessuali femminili. «Non lo ricordo, e neanche a chi mi riferivo». Sono state anche acquisite anche le 14 foto mostrate dal pm Mariano Buccoliero di Sarah, Sabrina e Ivano ritrovati dai tecnici: quello di Sarah in pigiama (presumibilmente nella stanza che Sabrina usava come laboratorio di estetica), altri 13 di Ivano che nella stessa stanza si sottoponeva ad alcuni trattamenti. Dieci delle 13 foto, secondo quanto dichiarato da Ivano, sono state scattate da Sarah. L'ex legale di Sabrina Misseri, Vito Russo, ha fatto pressioni su Ivano perché dichiarasse che Mariangela Spagnoletti, un'amica di Sabrina, era invaghita di lui. Lo ha detto lo stesso Ivano Russo nella sua deposizione, confermando così l'accusa di soppressione di atti veri perché non favorevoli alla cliente Sabrina Misseri. Lo stesso avvocato Russo e la moglie, Emilia Velletri, anche lei difensore di Sabrina Misseri all'epoca, incontrarono più volte Ivano Russo nell'ambito di indagini difensive. Gli incontri avvennero anche in una casa di San Pietro in Bevagna, località costiera poco distante da Avetrana. Dopo di lui è stato ascoltato il padre di Sarah, Giacomo Scazzi, che ha ricostruito per filo e segno quanto accaduto subito dopo la scomparsa di sua figlia. «La prima volta Sabrina era insieme ad un’amica e chiese a me dove fosse Sarah, perchè non era arrivata a casa sua per andare al mare. Sabrina era agitata – ha ricordato Giacomo Scazzi – e aveva la voce che tremava e noi ci preoccupammo subito».
LA CRONACA DELLA TERZA UDIENZA
ORE 10. 15: INIZIA LA DEPOSIZIONE DI IVANO RUSSO - «Con Sarah avevo un buon rapporto. La mia impressione è che sentisse la lontananza di padre e fratello, che erano lontano per lavoro, e mi vedesse forse come figura paterna. Spesso voleva essere abbracciata, e la abbracciavo. Una delle ultime volte che mi abbracciò mi disse "Ti voglio bene e" io le dissi "Anch'io ti voglio bene". Ho conosciuto Sabrina e Sarah - ha proseguito Ivano - nel dicembre 2009. Con Sabrina inizialmente ho instaurato un rapporto di amicizia, Sarah era più piccola e con lei ci voleva particolare attenzione perché la nostra comitiva era di adulti.
ORE 11.10: IL RAPPORTO TRA SABRINA E IVANO - «Con Sabrina si instaurò mano a mano un rapporto confidenziale. Ad un certo punto però vidi da parte sua atteggiamenti ambigui, complimenti che andavano oltre. Le ho chiesto se per lei era ancora amicizia o qualcos'altro, e lei mi disse che era amicizia. Ma pochi giorni prima che Sarah morisse ho deciso di troncare il rapporto perché non mi convinceva, e mi sono allontanato anche per non farla soffrire». Tra Ivano Russo e Sabrina Misseri ci fu il 21 giugno 2010 un rapporto sessuale ma non completo. L'episodio è emerso durante la deposizione, di Ivano. A citare l'episodio è stato il pm Mariano Buccoliero, esaminando il teste e leggendo il contenuto di un sms di Sabrina a Ivano del 22 giugno 2010. «Siamo passati dallo sfotterci a parole - ha detto Ivano - all'atto pratico. Una sera ci siamo appartati, lei si è spogliata, c'è stato contatto fisico ma non rapporto sessuale». Il pm gli ha chiesto allora se ci fosse stata penetrazione e Ivano ha risposto: «Sì ma non rapporto completo. Io mi bloccai perché volevo che restasse solo amicizia, e lei si rivestì». Di questo episodio venne a conoscenza anche Claudio Scazzi, e questa circostanza «mi ha dato fastidio - ha detto Ivano - perché questa cosa doveva rimanere tra me e Sabrina».
ORE 11.30: IL DIARIO DI SARAH - Sabrina Misseri non consegnò agli investigatori un diario di Sarah perché temeva che Ivano Russo potesse essere indagato. Lo ha dichiarato lo stesso Ivano durante la lunga deposizione. «Il giorno del delitto o il giorno dopo - ha detto Ivano - Sabrina mi mandò un sms dicendo che aveva trovato un diario di Sarah in cui diceva che aveva un debole per me. Mi disse che non lo consegnava di comune accordo con la madre di Sarah perché temeva che mi indagassero. Io non risposi e poi ho cancellato questo messaggio perché mi spaventai. Forse sarebbe stato meglio consegnarlo, forse ho sbagliato e avrei dovuto dirlo».
ORE 13: IL GIORNO DELLA SCOMPARSA -«Quando il 26 agosto Sabrina mi ha mandato un messaggio dicendomi che Sarah era scomparsa, ho pensato fosse una scusa per riavvicinarsi a me e ho lasciato stare. Poi nel pomeriggio - ha raccontato Ivano - dopo le 17 ho incontrato ad una stazione di servizio Mariangela Spagnoletti e Alessio Pisello e mi confermarono che Sarah era scomparsa. Quella sera mi vidi alla birreria 102 di Avetrana con Sabrina. Lei mi disse che nel pomeriggio doveva andare al mare con Sarah e Mariangela, che Sarah la mattina era contenta e che era sicura che l'avessero presa».
ORE 15.02: SABRINA TEMEVA DI ESSERE INTERCETTATA - «Dopo la scomparsa di Sarah, Sabrina «utilizzava il cellulare della madre Cosima per chiamarmi perché aveva timore di essere intercettata». Lo ha detto Ivano Russo durante la deposizione oggi in Corte d'assise al processo per l'omicidio di Sarah Scazzi. Ivano ha inoltre dichiarato che la sera in cui arrivò la notizia del ritrovamento del corpo di Sarah (6 ottobre 2010), si mise in giro in auto con Sabrina per rintracciale il luogo e che poi si diressero verso contrada Mosca su indicazione di Sabrina, dopo che quest'ultima aveva chiamato al telefono la madre. Nel tragitto, ha raccontato Ivano, Sabrina - riferendosi alla prima confessione del padre Michele Misseri - «disse che non ci credeva e che il padre l'aveva sparata grossa per farsi credere». Ivano ha riconosciuto la foto di Sarah in pigiama in casa di Sabrina e dichiara che quella foto la ragazza l'aveva scattata con il suo cellulare di fronte allo specchio e che lui quella sera (maggio 2010) si trovava in casa con le due cugine.
ORE 15. 15:LE IMMAGINI DI IVANO A TORSO NUDO - Il pm mostra in aula delle foto inedite (13) scaricate di recente dal cellulare di Sabrina che mostrano Ivano a torso nudo nello studio di estetista della ragazza mentre è sottoposto a trattamenti di elettrostimolazione. Ivano conferma e ammette che qualcuna di quelle foto le aveva scattate Sarah. Una foto risale al maggio 2010 e ritrae Sarah in pigiama, presumibilmente nella stanza che Sabrina usava come studio per i trattamenti estetici. Le altre 13 ritraggono Ivano che nella stessa stanza si sottopone a trattamenti estetici da parte di Sabrina. Dieci delle 13 foto, secondo quanto dichiarato da Ivano, sono state scattate da Sarah. Ivano Russo non sapeva dell’esistenza di una foto di Sarah in pigiama scattata con il cellulare del giovane, che risultava cancellata ed è stata recuperata da un consulente della Procura. Lo ha detto lo stesso Ivano durante la testimonianza dinanzi alla Corte di assise al processo per l’omicidio di Sarah Scazzi. «Sarah ha in mano il mio cellulare – ha aggiunto Ivano al quale è stata mostrata la foto – mi sembra nello studio di Sabrina. Qualche volta davo il mio cellulare a Sarah. Mi pare sia un autoscatto». Il pm Buccoliero ha contestato a Ivano che, secondo il consulente, la foto è stata scattata con il cellulare del giovane, e quindi Sarah avrebbe in mano un altro telefonino. «Non ricordo se c'ero anch’io – ha aggiunto – probabilmente era uno dei giorni in cui Sarah andava a dormire a casa di Sabrina, visto l’abbigliamento». Rispondendo ad una domanda del pm Buccoliero, Ivano ha riferito che Sabrina gli diceva di essere stressata dal lavoro, non dalla presenza di Sarah, come invece risulta dal contenuto di un messaggio inviato da Sabrina allo stesso Ivano il 26 aprile 2010.
ORE 15. 20: IL MISTERO DI UN SMS HOT - Il pm mostra un sms recuperato dal cell di Ivano Russo che lo aveva cancellato con il testo: «che è bona però le piace il sesso femminile te la volevo far... Russo Ivano». Ivano dichiara di non ricordare a chi ha inviato quel messaggio.
ORE 15.30: LE PRESSIONI DELL'AVVOCATO - In tre occasioni Ivano Russo avrebbe subito pressioni dall'ex legale di Sabrina Misseri Vito Russo (omonimo del teste) per rendere dichiarazioni favorevoli alla ragazza, imputata dell'omicidio di Sarah Scazzi. Lo ha detto lo stesso Ivano durante la deposizioni dinanzi ai giudici della Corte d'assise. Il legale è imputato di intralcio alla giustizia e favoreggiamento personale. In un primo incontro con Vito Russo, ha raccontato Ivano, «lui mi disse che era pronto per me l'arresto e spingeva perché dicessi che Mariangela Spagnoletti si era innamorata di me. Gli dissi che non potevo riferire queste cose perché Mariangela non mi aveva mai fatto intendere questo». In un secondo incontro «quando ho cominciato a rispondere - ha detto Ivano - lui ha cancellato l'audio, ha strappato il cartaceo e mi hanno detto (all'incontro era presente, ha detto il teste, anche l'avv. Emilia Velletri e un intermediario, Alessandro Palmieri) che non andava bene per la loro assistita». Il terzo incontro avvenne dopo l'arresto di Sabrina. «L'avv. Russo mi disse - ha dichiarato Ivano - che probabilmente Michele Misseri stava facendo anche il mio nome e mi dette il numero di un avvocato suo amico, nel caso ne avessi avuto bisogno. Gli chiesi per quale motivo Misseri avrebbe dovuto fare il mio nome, tutto questo non mi convinse e decisi di andare via». I social network, come i mass media, fanno ormai parte integrante del processo Scazzi dove anche nell’udienza il nome di Facebook è stato scandito più volte nell’aula Alessandrini del tribunale di Taranto. A tirarlo fuori è stato Ivano, Russo rivelando un particolare che ha fatto torcere il naso all’avvocato Gianluca Pierotti, difensore di Vito Russo, l’ex legale di Sabrina Misseri finito tra gli imputati del processo con l’accusa d’intralcio alla giustizia e favoreggiamento personale. «L’avvocato Russo – ha detto Ivano proprio in chiusura del suo lunghissimo interrogatorio – disse a me e ad Alessio Pisello che era necessario spostare l’asse mediatico perché era troppo giustizialista nei confronti della sua assistita. Ci disse allora di creare su Facebook gruppi che andassero a suo favore». Un particolare che non fa che aggravare la già delicata posizione del penalista, già sospettato di aver esercitato pressioni sui testimoni per indurli a nascondere fatti sconvenienti o per rendere dichiarazioni favorevoli all’allora sua assistita imputata dell’omicidio della cugina quindicenne. «L’avvocato Vito Russo – ha raccontato Ivano – mi disse che era pronto per me l’arresto e spingeva perché dicessi che Mariangela Spagnoletti (amica di Sabrina), si era innamorata di me. Gli dissi che non potevo riferire queste cose perché Mariangela non mi aveva mai fatto intendere questo», ha aggiunto il ventisettenne interrogato. In un secondo incontro «quando ho cominciato a rispondere – ha detto ancora il testimone – lui ha cancellato l’audio, ha strappato il cartaceo e mi hanno detto (all’incontro era presente, ha detto il teste, anche l’avvocatessa Emilia Velletri, moglie di Russo e un intermediario, Alessandro Palmieri) che non andava bene per la loro assistita». Il terzo incontro, infine, avvenne dopo l’arresto di Sabrina. «L’avvocato Vito Russo – ha dichiarato ancora Ivano – mi disse che probabilmente Michele Misseri stava facendo anche il mio nome, coinvolgendomi, per cui mi diede il numero di un avvocato suo amico che avrei dovuto chiamarlo nel caso ne avessi avuto bisogno. Gli chiesi per quale motivo Misseri avrebbe dovuto fare il mio nome ma non ebbi risposta, tutto questo non mi convinse e decisi di andare via». Tornando all’influenza dei gruppi che operano in internet, anche l’avvocato romano Franco Coppi, difensore di Sabrina Misseri insieme al suo collega tarantino Nicola Marseglia, ha puntato il dito contro i social network. Rivolto a Ivano, il penalista ha chiesto se fosse a conoscenza che la sua attuale fidanzata, Virginia Coppola, fosse tra le più attive partecipanti del gruppo di Facebook su Sarah Scazzi particolarmente colpevolista nei confronti dell’imputata. Visibilmente infastidito e imbarazzato per la domanda, Ivano ha preso le distanze dalla sua compagna dicendo di non conoscere le sue abitudini in questo campo. In effetti in udienza la compagna di Ivano era in compagnia di Giuseppe Centonze, uno dei fondatori e maggiori sostenitori del gruppo Facebook «Verità e giustizia per Sarah Scazzi».
ORE 16: TERMINA L'INTERROGATORIO DEL PM A IVANO - Finisce l'interrogatorio del pubblico ministero ad Ivano Russo che verso al fine è apparso in difficoltà tanto che la presidente della Corte e il pm avevano proposto una interruzione che Ivano ha rifiutato.
ORE 16.05: IL CONTRO INTERROGATORIO DEGLI AVVOCATI DELLA DIFESA E DELLE PARTI CIVILI - All'avvocato della famiglia Scazzi, Nicodemo Gentile, Ivano Russo ha parlato del comportamento assunto da Sabrina nei confronti del padre. «La sera in cui Michele Misseri doveva essere interrogato - ha detto Ivano - Sabrina gli confidò di essere preoccupata «perché mio padre è uno debole e pur di finirla subito potrebbe addossarsi tutte le colpe». Questo fatti, ha detto Ivano, con senno del poi mi apparì molto strano.
ORE 16.20: L'INTERROGATORIO PASSA A FRANCO COPPI DIFENSORE DI SABRINA: Ivano: «Non mi ero mai accorto che Sarah fosse innamorata di me né nessuno me lo aveva riferito. Tranne l'episodio della lite del 21 agosto quando mi lamentai con Sabrina del fatto che aveva raccontato in giro del nostro rapporto sessuale interrotto, non ho mai litigato con Sabrina per motivi sentimentali. A proposito della fragilità del padre: Sabrina non mi ha mai detto di essere preoccupata per lei, per eventuali colpe sue, ma solo per il padre. Non ho mai notato gelosia di Sabrina nei confronti di Sarah».
ORE 18: FINITA LA DEPOSIZIONE DI IVANO: Si è conclusa dopo oltre sei ore l'escussione del testimone Ivano Russo al processo per il delitto Scazzi, in corso dinanzi alla Corte di assise di Taranto.
ORE 18,05: SONO SENTITI I 3 TESTIMONI MINORI. Dinanzi alla corte hanno deposto anche i tre commercianti (Pamela Nigro, Anna Lucia Dell’Atti e Salvatore Erroi) che la mattina del 26 agosto, giorno dell’omicidio, confermando quanto già dichiarato alla polizia giudiziaria anche se sia Erroi che la Nigro, sollecitate dall’avv. Nicola Marseglia, l’altro legale di Sabrina Misseri, hanno spiegato di aver visto Sarah normale, per niente agitata.
ORE 19:34: DEPOSIZIONE DEL PAPA’ DI SARAH. Il 26 agosto 2010, dopo la scomparsa e l’uccisione di Sarah Scazzi, Sabrina Misseri si recò due volte a casa della quindicenne di Avetrana: lo ha riferito il papà della ragazzina, Giacomo Scazzi, durante la deposizione dinanzi alla Corte di assise di Taranto, dove si sta celebrando il processo. «La prima volta – ha ricordato Giacomo Scazzi – Sabrina era insieme ad un’amica e chiese a me dove fosse Sarah, perchè non era arrivata a casa sua per andare al mare. Sabrina era agitata e aveva la voce che tremava, e noi ci preoccupammo subito». Giacomo Scazzi ha ripercorso, rispondendo a numerose domande, le ultime ore di vita della figlia, sino all’ultima volta che la vide uscire con il telo da mare per recarsi a casa di Sabrina.
Si è conclusa la terza udienza del processo per l’omicidio di Sarah Scazzi, dinanzi alla Corte di assise di Taranto. Il padre di Sarah risponde a decine di domande fino alle ore 19 inoltrate. Non c’è tempo per ascoltare Concetta Serrano, la mamma di Sarah, che verrà ascoltata il prossimo 7 febbraio insieme a suo figlio Claudio Scazzi, il fratello di Sarah che abita lontano, oltre che l’ex badante di casa Scazzi, la romena Maria Ecaterina Pantir e di altri tre testimoni minori, citati sempre dalla pubblica accusa.
7 febbraio. Quarta udienza. Parla Claudio Scazzi, Concetta Serrano Spagnolo e Maria Ecaterina Pantir. Intanto c’è la notizia che anche il professore Franco Coppi, penalista del foro di Roma, noto per essere l'avvocato di Giulio Andreotti ed ora difensore di Sabrina Misseri, ha «sdoganato» l’arringa televisiva. Lo ha fatto il giorno dopo l’audizione di Ivano Russo intervenendo in diretta telefonica alla trasmissione di Rai Uno condotta da Mara Venier, «Italia in diretta». «Ci fa piacere che ci ha chiamati perché questo dimostra che anche lei ci segue» ha detto con soddisfazione la conduttrice alla fine dell’intervento del principe del foro durato due minuti. «Ivano Russo, affermando di non essersi mai accorto che Sabrina fosse gelosa di lui e della cugina - ha detto Coppi - ha di fatto smontato la tesi della procura secondo cui la mia assistita avrebbe ucciso Sarah perché era gelosa del giovane». All’eccezione di Mara Venier che chiedeva giustificazione alla lite tra le cugine la sera precedente l’assassinio, l’avvocato Coppi ha detto che «la presunta lite non è mai stata negata da Sabrina, cosa che avrebbe fatto se avesse qualcosa da nascondere». Sempre secondo Coppi, infine, quella discussione sarà stata irrilevante «tanto è vero - ha aggiunto - che la mattina dopo Sarah si è recata a casa della cugina per aiutarla e per comprarle delle creme: se ci fosse stato astio tra loro, la ragazzina non si sarebbe certo presentata spontaneamente e serenamente». Altra novità è che Daniele Galoppa ha presentato il conto al suo ex assistito Michele Misseri. L’avvocato ha chiesto il sequestro dei beni del suo ex assistito fino ad un valore di 200.000 euro. Ha presentato la richiesta al tribunale civile di Taranto tramite i suoi legali, gli avvocati Francesco Morgese e Angelo Roma, entrambi del foro di Brindisi. A quanto pare, Galoppa ha deciso di avviare l’azione giudiziaria nei confronti del contadino di Avetrana per un duplice scopo. Il legale di Grottaglie avrebbe presentato la parcella ma non avrebbe ricevuto il corrispettivo (sembra che la somma superi i 60.000 euro). Inoltre, poichè lui, con l’ex consulente, la criminologa Roberta Bruzzone, ha denunciato Michele per diffamazione e calunnia, hanno chiesto che i suoi beni vengano “congelati” in vista di un eventuale risarcimento. Per questo la richiesta di sequestro riguarderebbe beni fino ad un valore di 200.000 euro. Ma le sorprese nel delitto di Sarah Scazzi non finiscono mai, infatti l’ultima novità è che mentre gli inquirenti stavano ricercando spasmodicamente la ragazza scomparsa, la famiglia Misseri al completo, e cioè il padre Michele, la moglie Cosima e le loro figlie Sabrina e Valentina, hanno fatto visita alla famiglia di Ivano Russo. La famiglia Misseri era interessata a cosa Ivano Russo raccontava ai carabinieri quando non si conosceva ancora la sorte di Sarah Scazzi. A provarlo è un episodio rimasto oscuro nel giallo di Avetrana: una visita della famiglia Misseri al completo a casa di Ivano avvenuta verso la metà di settembre 2010. La circostanza è riportata nel verbale di sommarie informazioni di Claudio Russo, fratello maggiore di Ivano, interrogato il 14 gennaio 2011. Ivano Russo, il cui ruolo non è ancora ben definito, era il fidanzato non ufficiale di Sabrina Misseri. A rivelare la visita al completo della famiglia è Claudio Russo, fratello di Ivano, che lo ha raccontato ai carabinieri e messo a verbale. Il ragazzo ha dichiarato di non conoscere i motivi della visita e che durante il colloquio fra i Misseri ed il fratello lui si era allontanato, era stata la madre poi a spiegargli che i visitatori avevano portato una cesta di funghi ed avevano chiesto notizie sull’interrogatorio reso precedentemente da Ivano. Alla domanda se nessuno dei Misseri fosse mai andato a casa sua, il fratello di Ivano raccontò l’episodio. «Ricordo che prima del ritrovamento del cellulare di Sarah, si presentarono a casa mia Michele Misseri, sua moglie Cosima e le loro figlie, Sabrina e Valentina. Durante la loro permanenza - continua il racconto - parlarono con mia madre della vicenda di Sarah». Alla conversazione non era presente Claudio che solo dopo seppe il tenore della stessa. «Quando se ne andarono - si legge nell'interrogatorio -, chiesi a mia madre a cosa fosse dovuta la visita e lei disse che avevano portato una cesta di funghi e che nel parlare della scomparsa di Sarah avevano chiesto cosa avesse dichiarato Ivano ai carabinieri». Al processo per l’omicidio di Sarah Scazzi per il maltempo è iniziata in ritardo l’udienza in Corte d’Assise a Taranto. Sono infatti rimasti bloccati dalla neve alcuni giudici popolari: i carabinieri li hanno raggiunti nei luoghi di residenza per accompagnarli al tribunale ionico. A deporre per primo è stato il fratello di Sarah, Claudio Scazzi. In aula sono presenti Sabrina Misseri, la madre Cosima Serrano e Michele Misseri. «Ma che cazzo hai fatto?» e nell’aula è sceso il gelo. Claudio Scazzi, fratello di Sarah, ha colto l’attimo. Lo ha fatto al volo. Mentre veniva ascoltato dalla pubblica accusa come testimone nel processo sull’omicidio della sorellina Sarah, ha approfittato di un istante di pausa dei pm e, tra una domanda e l’altra, si è tolto un macigno dal cuore. Si è voltato verso la cugina Sabrina Misseri, che era seduta a pochi passi da lui tra i suoi avvocati, e l’ha guardata fissa negli occhi. Senza rancore, senza un filo di rabbia, ma con la voglia folle di capire. Cosa è davvero accaduto in via Grazia Deledda in quel maledetto pomeriggio di agosto? Claudio Scazzi, il fratellone protettivo e amorevole dello scricciolo Sarah, quello che prima di partire le regala il cellulare nuovo e le scarpe alla moda che la ragazzina bramava da mesi, si è fatto mille volte questa domanda. Ma dal giorno dell’arresto di sua cugina Sabrina, ovvero dal 15 ottobre del 2010, non ha mai avuto modo di rivolgere l’interrogativo all’unico valido interlocutore. Claudio e Sabrina si sono rivisti per la prima volta dopo più di un anno e mezzo. Non si erano più incontrati dopo che Sabrina è finita in carcere per il delitto di Sarah. Mille volte Claudio avrebbe voluto parlarle a quattrocchi, come facevano spesso nelle calde e stellate sere dell’agosto avetranese. «Che cazzo hai fatto?», ha detto il ragazzo quasi sottovoce alla cugina. Lei, seduta di fronte al banco dei testimoni, si è immediatamente irrigidita. Ha scosso forte la testa facendo segno di no. E subito è arrivata la replica del cugino: «Ma va va...». Una doccia gelata per la 23enne accusata con la madre, Cosima Serrano, dell’omicidio della cugina appena quindicenne oltre che di sequestro di persona, soppressione di cadavere e furto del cellulare della vittima. È stata questione di istanti. Un singolare fuori programma che la Corte non ha fatto nemmeno in tempo a cogliere. In caso contrario, la presidente Rina Trunfio avrebbe sicuramente richiamato il testimone e l’imputata. Lo scambio di battute (e la muta reazione di Sabrina) è stato immortalato dalle telecamere della trasmissione «Un giorno in pretura», l’unica autorizzata a registrare le udienze del processo. Claudio Scazzi, al contrario di altri testimoni, poco prima di cominciare a deporre, aveva dato il suo consenso alle riprese televisive. Il ragazzo ha parlato di un rapporto bello, confidenziale con la sorellina. E’ il giorno della deposizione del fratello della vittima, Claudio. Che esordisce con parole che pesano come macigni: “Tra Sabrina e Ivano c’era un rapporto anomalo”. Così Claudio Scazzi (che tempo fa “Oggi” aveva intercettato nell’agenzia di Lele Mora) ha definito la relazione tra la cugina e il giovane del quale si era perdutamente innamorata. Un rapporto talmente tormentato che potrebbe essere la chiave del giallo di Avetrana, secondo l’accusa. Il fratello di Sarah Scazzi, la quindicenne uccisa nell’agosto del 2010 ha deposto al processo di Taranto: «Sarah non era più una bambina e quando io mi trovavo ad Avetrana lei usciva con me. La mamma non le permetteva di uscire con le altre ragazze della sua età perché lo riteneva pericoloso. Noi uscivamo spesso con nostra cugina Sabrina e una compagnia di altri ragazzi tra cui Ivano Russo, Alessio Pisello, Mariangela Spagnoletti, Angela Cimino, un giovane che si chiama Mimmo, e andavamo spesso in pub insieme. Mia sorella mi disse - ha detto ancora Claudio Scazzi rispondendo alle domande - di aver saputo che Sabrina e Ivano si erano appartati in auto, che Ivano aveva fatto spogliare Sabrina e poi le aveva chiesto di rivestirsi. Per me fu la conferma di quello che avevo sempre pensato. Ivano - ha aggiunto Claudio - sapeva che Sabrina gli andava dietro e lui faceva il finto tonto. Temevo che avesse lo stesso comportamento con Sarah. Un giorno di agosto, tra il 10 e il 20, mentre ci trovavamo a Torre Colimena con Sarah, Angela Cimino, Giovanni Copertino e altri amici, fermai Ivano e gli dissi che i suoi atteggiamenti con Sabrina non mi piacevano. Sarah lo abbracciò e lui disse: ferma, che Claudio è geloso. Ivano - ha risposto ancora Claudio a una domanda - mi raccontò di alcuni screzi con Sabrina. In effetti, una sera, notai che non la salutò, mentre di solito si avvicinava a lei per prima con bacetti e abbracci». Il pm Buccoliero ha chiesto a Claudio Scazzi di riferire dei rapporti tra Sarah e Ivano. Il testimone ha detto di aver capito che la sorella provava qualcosa per Ivano. Ci fu anche un fitto scambio di messaggi tra i due. Claudio ha parlato a lungo del rapporto tra Sabrina e Ivano: «Pensavo a un rapporto clandestino tra loro, ma mi dicevano che erano solo amici. A me invece sembravano fidanzati. Ivano la provocava e coccolava». Claudio Scazzi aggiunge che aveva chiesto a Sabrina di chiarire il suo rapporto con Ivano e lei aveva risposto: «Meglio le coccole che niente». «Vedevo che mia sorella aveva atteggiamenti molto affettuosi con Ivano e lui non faceva nulla per allontanarla continua Ivano - Questa cosa non mi andava bene perché pensavo che Ivano potesse fare con mia sorella la stessa cosa che faceva con Sabrina. Una sera chiesi a Sarah se Ivano le piacesse, ma lei rispose di no. Anche se subito dopo fece una risata e cambiò discorso». Quanto al rapporto con zio Michele, Claudio afferma di non aver notato nulla di particolare. «Il mio rapporto con Sarah era confidenziale e mai mi parlò di aver avuto problemi con zio Michele o di aver subito molestie. Lo zio aveva sempre imbarazzo a parlare delle donne». Anche se si era dovuto trasferire a Milano per motivi di lavoro, Claudio ha spiegato che con la sorella si sentiva per telefono quasi ogni giorno.
Dopo Claudio, è il turno di Concetta Serrano, mamma di Sarah: «Sarah mi parlava dell’amicizia di Sabrina con Ivano, che Sabrina voleva più di un’amicizia, ma Ivano non la voleva come compagna. E Sarah criticava l’atteggiamento di Sabrina, diceva che Sabrina non nascondeva il suo interesse per Ivano». «Sarah», ha aggiunto mamma Concetta, «mi parlava di Ivano come di un semplice amico. Ascoltai invece una telefonata durante la quale Sarah diceva a Sabrina di lasciar perdere Ivano visto che la respingeva. Disse: “Non ti vuole? Io gli avrei tirato un calcio”. La mamma di Sarah ha anche detto che Sarah e Sabrina d’estate uscivano quasi tutti i giorni insieme: «A casa, Sarah era come figlia unica, soffriva un po’ di solitudine. Frequentava l’abitazione dei Misseri e i rapporti sembravano buonissimi. Negli ultimi tempi però si lamentava di Sabrina e io le dissi di lasciarla perdere». Oltre sei ore. Tanto è durata la deposizione in Corte d'Assise di Concetta Serrano Spagnolo, la mamma di Sarah Scazzi, uccisa ad Avetrana il 26 agosto del 2010. La donna ha risposto alle domande, ricordando, tra le altre cose la volta in cui Sarah le disse di aver ricevuto cinque euro da zio Michele, aggiungendo che quest'ultimo le aveva detto di non riferire niente a Cosima Serrano. Concetta ha risposto agli avvocati difensori, delle parti civili e del presidente del collegio giudicante, Rina Trunfio, dopo essere stata interrogata dai pubblici ministeri Mariano Buccoliero e Pietro Argentino. La madre di Sarah ha poi ha detto che dopo la scomparsa della figlia aveva sospettato anche della badante romena. «Facemmo la lavatrice - ha osservato Concetta Serrano - e in un indumento della badante trovai una banconota di 50 euro e un biglietto con un numero telefonico che portai a carabinieri. Iniziai a pensare male anche di lei, parlava sempre al cellulare e io sospettavo di tutti». La donna ha rivelato particolari della figlia e dei suoi rapporti con la cugina Sabrina e con l'amico Ivano Russo. «Presi un paio di diari di Sarah e li detti a Sabrina, che me li aveva chiesti, per cercare di capire se c'era qualcosa di utile per comprendere i motivi della sparizione - Lo ha riferito Concetta Serrano nel corso della sua testimonianza in Corte d'Assise, a proposito degli accadimenti del 26 agosto 2010, giorno della scomparsa e della morte di Sarah. - C'era un diario con un lucchetto - ha aggiunto Concetta - e Sabrina mi convinse ad aprirlo. C'era una frase particolare: sono innamorata di un ragazzo di 27 anni, sono confusa”- ha detto in aula mamma Concetta - quando Sarah scomparve, con Sabrina concordammo di non dare quel diario ai carabinieri. Ma quando qualche giorno dopo lo diedi comunque ai carabinieri, Sabrina si preoccupò perché avrebbe potuto mettere nei guai Ivano». Concetta Serrano ha poi affermato che tra Sabrina e Sarah "il nome di Ivano era un continuo". «Sabrina disse a Sarah che Ivano le diceva che da lei voleva solo amicizia. Una volta sentii la telefonata tra Sarah e Sabrina - ricorda Concetta davanti alla Corte -. Sarah disse: "ma perche ti fai trattare in questo modo? Una che si toglie la maglietta e quello dice: rimettitela. Ma che persona sei? Come te lo deve far capire che non ti vuole come compagna". Dopo la scomparsa di Sarah vidi Cosima e Sabrina in caserma, quando mi chiesero una foto di mia figlia, e poi ci incontrammo la sera a casa mia. Io presi un paio di diari di Sarah e li detti a Sabrina, che me li aveva chiesti, per cercare di capire se c'era qualcosa di utile per comprendere i motivi della sparizione. C'era un diario con un lucchetto - ha aggiunto Concetta - e Sabrina mi convinse ad aprirlo. C'era una frase particolare: 'Sono innamorata di un ragazzo di 27 anni, sono confusa'. Io rimasi basita e dissi a Sabrina: 'Lei criticava te e vedi cosa scrive lei'. Sabrina poi mi disse di non consegnarlo subito ai carabinieri perché avrebbe creato dei grattacapi ad Ivano. Dopo alcuni giorni vennero i carabinieri a chiedere tutti i diari. Diedi anche quello con il lucchetto. Quando lo seppe Sabrina - ha sottolineato la mamma di Sarah - mi disse: 'Mannaggia, ora Ivano avrà dei problemi'''. Mia sorella Emma mi parlò di una corda che aveva visto in bocca a un cane e le era sembrato strano, era come se il cane le volesse indicare qualcosa e mi disse di parlarne con i giornalisti. Dopo l’arresto di Sabrina, Emma non si è più fatta vedere». Lo ha raccontato nel corso dell’udienza in Corte d’Assise Concetta Serrano, la mamma di Sarah Scazzi. La donna ha detto anche che alcuni giorni dopo l’arresto di Michele Misseri, Cosima Serrano andò da lei e si mostrò preoccupata. «Io», ha poi precisato Concetta, «le dissi: “Se è stato Michele, che c’entrate voi?”». Il pm Buccoliero ha chiesto alla testimone se Sarah le avesse mai parlato di rimproveri da parte di zia Cosima, ma Concetta Serrano non ha ricordato questa circostanza. Rivive Sarah nelle parole di mamma Concetta. Come in un racconto breve, sintetico e fulminante, dal disfacimento della morte riemerge a ogni angolo la vita. Per Concetta, Sarah si è solo allontanata un po’. «Mi ha detto: mamma, ho fretta, esco, Sabrina mi aspetta e andremo al mare». Lo dice come se queste parole Sarah le avesse pronunciate da qualche minuto. Le «anime morte», nell’aula di giustizia affollata come mai dall’inizio del processo, sono la sorella Cosima, Michele e la nipote Sabrina. Qualche lacrima viene giù dagli occhi del contadino di Avetrana. Sabrina a volte scuote la testa; un leggero sorriso, beffardo e sarcastico, è stampato sul suo viso affilato. Cosima, invece, sembra il simbolo della catastrofe. Malinconica, terrea, attenta ma anche assente, solo qualche smorfia passeggera. Un’energia sotterranea fa muovere il processo oltre i confini tecnici. Era dall’inizio che si aspettava Concetta. Il pubblico è venuto per lei. Si sono rivisti molti giornalisti. Sono due le forze, esplicite e profonde, che si confrontano e segnano il corso dell’evento. La prima è quella racchiusa nel dolore di Concetta. Il dolore non è mai banale quando la morte arpiona un figlio. Arriva improvviso e squarcia l’esistenza mortificandola. Ma il dolore, malgrado la sua forza corruttiva, sprona alla risposta eroica, a rigenerare la vita e ad esaltarla. Sarah rivive perché solo la mamma, e nessun altro, può farla rivivere. Solo nelle mamme dolore e vita coincidono. «Da qualche anno era cambiata, era diventata sicura, parlava di più, era più autoritaria». Così Concetta vede la figlia e affiora un velo di nostalgia. E’ il percorso delle adolescenti. Magistrati e avvocati le chiedono i dettagli, i particolari, i ricordi, le date, le frasi stampate sui verbali. Cose importanti, forse decisive per l’economia del processo. Concetta risponde diligente, gentile, con la serietà di chi è entrata in un’aula di giustizia come in un luogo sacrale. In quattro ore solo una reazione al pm: «Ma come faccio a ricordare i particolari della forchetta o della padella dopo 17 mesi che Sarah è morta?» Sono altri i sentimenti e le idee che occupano la mente di Concetta. Sarah che attraversava le turbolenze dell’adolescenza era pronta per riprendere un rapporto più maturo con la mamma. Concetta parla della figlia in modo realistico, indica anche i difetti di Sarah. Lei, testimone di Geova e molto religiosa, è convinta che un ordine spirituale muova il mondo. Non c’è familismo che possa contrastarlo. Non c’è chiusura regressiva in grado di bloccare il dinamismo della vita. Per questo aspetta che Sabrina confessi e dica la verità, spera in questo perché desidera che l’ordine della vita venga ricostituito. «Dopo andrò a trovarla» ha rivelato. A Sabrina era affidata Sarah. Deve essere lei a dire cosa è successo nella villetta dei Misseri. «Cosima ha invidia di tutti coloro che lei pensa stiano meglio di lei, quindi è invidiosa anche di me». Poche parole, pronunciate quasi con pudore fraterno. I rapporti fra Concetta e Cosima non erano idilliaci. Dalle parole della mamma di Sarah, durante la deposizione dinanzi alla Corte d’assise di Taranto, è emerso un astio latente legato a questioni di eredità. Concetta non è stata certo tenera con la sorella: «E’ una persona invidiosa di carattere. Non lo era solo nei miei confronti». Così ha definito Cosima rispondendo ad una domanda dei pm Mariano Buccoliero e Pietro Argentino sui rapporti fra le due famiglie. L’asserita invidia era legata a questioni patrimoniali. Da quanto riferito dalla madre della vittima, Cosima riteneva che lei Concetta, avendo ricevuto una cospicua eredità dal padre adottivo (deceduto poco dopo la scomparsa di Sarah) avrebbe dovuto rinunciare a quella del padre naturale e per questo ha mai condiviso che lei partecipasse alla divisione pur essendo un suo diritto riconosciuto dalla legge. Un passaggio della testimonianza cruciale per l’accusa in quanto rafforza il movente del mix di rancore, invidia e gelosia delle due imputate nei confronti di Sarah. Durante il controesame della difesa, Concetta è entrata in contraddizione sugli orari. Ma come lei stessa ha ammesso, non è una persona precisa e per l’ora in cui Sarah è uscita di casa ha sempre fatto riferimento all’ex badante Maria Ecaterina Pantir. La donna ha ribadito in aula che Sarah quel tragico 26 agosto è uscita di casa intorno alle 13.45 massimo 13.50. Stesse dichiarazioni ha reso sin dall’inizio delle indagini sulla scomparsa della ragazzina.
Storie, secondo Maria Corbi de "La Stampa", di ordinaria vita familiare , del rapporto tra due cugine-amiche, complici e a volte rivali, a volte appiccicose, a volte insofferenti dei comportamenti una dell’altra. Concetta Serrano, la mamma della piccola Sarah racconta non solo il giorno della scomparsa, ma anche le dinamiche tra Sarah e Sabrina e i rapporti con sua sorella Cosima. Ricostruisce tutta la giornata con gli orari, ma nessuna certezza su questi. Per incastrare gli orari della Procura bisogna comunque pensare che Sarah quando è uscita di casa abbia detto una bugia alla madre. Concetta ha confermato che la figlia prima di uscire per andare al mare le ha detto che era arrivato l’sms della cugina e che quindi doveva andare. Orario dell’sms che è stato letto nei tabulati telefonici e che pertanto sigilla l’uscita di casa della ragazza alle 14,30, orario che non va bene con la ricostruzione dei pm e che rivelerebbe l’estraneità di Sabrina all’azione omicidiaria. Concetta ha parlato dei contrasti tra Sarah e Sabrina. La prima contestava alla seconda la sua passione non corrisposta per Ivano. Sabrina rimproverava la cuginetta per i suoi atteggiamenti che potevano essere travisati dal paese. Concetta una volta disse alla sorella che Sarah si era comportata male e meritava uno schiaffone. Bastano queste dinamiche di ordinaria vita familiare a motivare un omicidio così crudele? Secondo la Cassazione no, visto che diverse volte ha ripetuto quel che pensa del movente e dei gravi indizi di colpevolezza posti a carico di Sabrina: non ci sono. Ci sono certamente atteggiamenti scomposti di Sabrina che devono essere indagati, come l’aver nascosto il diario di Sarah per non mettere nei guai Ivano. Il nervosismo appena scomparsa Sarah. Ma non bastano. E intanto monta la rabbia di alcuni avvocati per come i media stanno trattando la vicenda. Franco De Iaco legge un’agenzia stampa e sbotta. Nel testo è riportata una dichiarazione in aula di Concetta: «Mia sorella Cosima è una persona invidiosa di natura e quindi lo era anche di me. Ci furono dei malumori anche per il fatto che io partecipavo sia all'eredità dei genitori adottivi sia di quelli naturali». Franco de Iaco spiega che quanto contenuto non risponde assolutamente alle obiettive dichiarazioni rese durante il dibattimento. Anzi Concetta Spagnolo ha chiarito che tra lei e Cosima non c’erano stati contrasti e che anche in occasione della malattia del padre adottivo Cosima si era offerta ed adoperata a darle una mano per affrontare gli impegni di assistenza. Ha inoltre chiarito che ella da quando aveva 17 anni a quando si è sposata ha vissuti presso la casa del padre vero convivendo in assoluta armonia con i propri fratelli e sorelle. Ha inoltre specificato che in relazione alle vicende attinenti la successione non vi sono stati fra loro fratelli contrasti. «Purtroppo devo rilevare come al solito c’è chi non solo interpreta, ma travisa il reale contenuto rese dai testi e questo non è un bene, né per la giustizia, né per il giornalismo in generale». Una vicenda che ha scatenato l’inciviltà dei processi di piazza, con il partito dei colpevolisti e degli innocentisti che si battono sui social forum. Una attenzione morbosa e distorta che aveva portato la difesa di Sabrina a chiedere l’allontanamento del processo da Taranto. Proposta appoggiata dal procuratore generale della Cassazione, ma che non ha poi avuto l’avallo necessario della suprema Corte. Anche Claudio, il fratello di Sarah è stato ascoltato, e ha di nuovo spiegato quel che è ormai chiaro a tutti: a Sabrina piaceva Ivano e per questo si faceva anche calpestare da lui. Ma basta questo per definire il movente? La Cassazione ha ricordato con grande chiarezza e forza che comunque un movente on può essere non solo una prova ma nemmeno un indizio. E nonostante questo sembra che in questa passione di Sabrina per Ivano si concentri il nucleo di questo processo. Quando poi la deposizione di Ivano ha fatto capire che se di qualcuna doveva essere gelosa Sabrina non era certo la piccola Sarah, ma Angela Cimino la ragazza di Avetrana con cui Ivano usciva dopo il lavoro, andava in spiaggia e passava gran parte della notte. Perché quindi prendersela con Sarah? Ma la macchina colpevolista non vuole fermarsi neanche a pensare. E fa una certa impressione vedere libero Michele Misseri in aula, commosso quando parlava la cognata Concetta, «archiviato» da questo processo. E ancora una volta ripeteva: «Sono stato solo io. Perché non mi credete?».
«Sarah uscì di casa prima della 14 e Sabrina venne a casa di Concetta alle 14.30 dicendo che Sarah non si trovava. Disse: io sto chiamando Sarah al cellulare ma non risponde e non so dove sia andata». Lo ha raccontato Maria Ecaterina Pantir, badante di casa Scazzi nel 2010 (assisteva il padre adottivo di Concetta Serrano, madre di Sarah) nel processo in corso a Taranto per il delitto di Avetrana. Alla badante sono stati infatti chiesti particolari sugli orari del pomeriggio del 26 agosto 2010, quando cioè la quindicenne di Avetrana lasciò la sua abitazione per dirigersi a quella dei Misseri, poco distante, dove l'attendeva Sabrina per andare al mare. La donna ha ricostruito il giorno della scomparsa della ragazzina e ricordato, in particolare, il momento in cui Sarah si cambiò per andare al mare con la cugina Sabrina. «Indossava prima un completino nero – ha ricordato – che le regalai io. Poi si mise maglietta e pantaloncino rosa». A diverse domande dei pubblici ministeri l’ex badante ha risposto con un ”non ricordo”. Maria Ecaterina Pantir si è costituita parte civile nei confronti di Sabrina Misseri, che risponde anche di calunnia in quanto l’avrebbe accusata della scomparsa di Sarah, pur sapendola innocente. La romena si occupava dello zio di Concetta Serrano, mamma di Sarah, ed era ogni giorno a contatto con Sarah. L’8 settembre 2010, Sabrina Misseri fu convocata dai carabinieri, ai quali riferì di nutrire forti sospetti sulla badante a causa di un ”radicale cambiamento comportamentale”. ”A rafforzare – disse Sabrina Misseri agli investigatori – questa mia ricostruzione mentale, è proprio una esternazione rivolta all’indirizzo della mamma di Sarah, ed in mia presenza, con la quale la badante romena si preoccupava della possibilità, in virtù delle indagini, di essere anche lei sotto intercettazione telefonica. Non solo – proseguì Sabrina – ma lei era una delle poche persone, escluse io, Sarah e Mariangela, compresi i genitori di Sarah, a sapere che avevamo intenzione di recarci al mare il giorno della scomparsa, e soprattutto era certa del momento dell’uscita di Sarah dalla propria abitazione”.
Diario della giornata:
10.00. Per difficoltà causate dal maltempo, non è ancora cominciata l'udienza in Corte d'Assise. In aula sono presenti i tre principali imputati, dei nove complessivamente rinviati a giudizio, Sabrina Misseri e la madre Cosima Serrano, entrambe detenute, accusate di concorso in omicidio volontario, sequestro di persona e soppressione di cadavere, e Michele Misseri, accusato di concorso in soppressione di cadavere e di altri reati minori.
10.55. Claudio Scazzi, fratello della vittima: «Sarah non mi ha mai detto nulla riguardo a zio Michele, mai parlato di molestie. Anzi, lui era una persona molto timida e riservata.»
11.09. Continua Claudio Scazzi: «c'era un rapporto ambiguo tra Ivano e Sabrina, sembravano una coppia clandestina. Lui stuzzicava lei, la provocava. Io chiesi a Sabrina se le andasse bene questa situazione, lei mi rispose: «Meglio di niente» (ma Sabrina scuote la testa e dice di no al suo avvocato). «Poi Sarah - aggiunge Claudio - mi raccontò di quello che era successo in macchina tra Ivano e Sabrina, credo che lei lo sapesse perché gliel'aveva detto la stessa Sabrina».
11.20. «Dopo la morte di Sarah - spiega Claudio - Ivano mi parlò di screzi tra Sarah e Sabrina, dovuti a lui stesso. Io non approfondì perché in quel periodo si parlava delle molestie di zio Michele e io ero interessato solo a quell'aspetto».
11.46. «Seppi di una conversazione tra Mariangela Spagnoletti e Sabrina - continua Claudio -, in cui le due dicevano che se sarah fosse uscita con loro avrebbe attirato le attenzioni di ivano, a discapito di loro due».
12.03. Iniziato il controesame di Claudio Scazzi da parte dell'avvocato di Sabrina, Nicola Marseglia. Claudio dice: «Ho chiesto esplicitamente a Sarah se le piacesse Ivano, lei rispose con una risatina e disse di no, ma capii che voleva dire sì». Ma l'avvocato gli contesta il fatto di aver detto, durante le indagini, che sapeva che Ivano non piacesse a Sarah.
12.30. Finita dopo due ore la testimonianza di Claudio Scazzi. Dopo la pausa di 5 minuti, toccherà alla mamma di Sarah, Concetta Serrano.
13.00. Tocca alla testimonianza di Concetta Serrano, che afferma: «Assistetti a una telefonata tra Sarah e Sabrina. Sarah disse a Sabrina: "Perché ti fai trattare cosi da quello? Io al posto tuo gli avrei già dato un calcio nel sedere". Rimasi scioccata perché sentivo dire queste cose a Sarah. Visto che era più piccola mi sarei aspettata il contrario. Sentivo sempre Sarah che criticava Sabrina».
13.56. Prosegue Concetta Serrano: «Quando Sabrina venne a dirmi per la seconda volta che Sarah non era arrivata a casa, io le dissi: allora dì a tua madre di rimanere in casa, e se Sarah arriva di trattenerla. Lei mi rispose che la madre non era a casa. Allora le chiesi di dirlo al padre, e lei rimase interdetta, senza dirmi se Michele fosse in casa o meno».
14.10. «Esaminammo con Sabrina i diari di Sarah. Sabrina - spiega Concetta Serrano - mi chiese di non consegnare i diari ai carabinieri perché altrimenti avrebbero creato problemi a Ivano. Io inizialmente acconsentii, ma poi dopo consegnai i diari. Quando Sabrina lo seppe, disse: "Mannaggia, adesso Ivano passa i guai"».
14.15. «La sera della diretta con "Chi l'ha visto?" Sabrina aveva un'aria festosa. Scherzava e rideva con Alessio Pisello. Ivano invece era più nervoso. C'era un'aria surreale, gli operatori di Rai3 possono confermarlo: mancavano solo i palloncini».
15.37. Udienza ripresa. Concetta: «Non ricordo a che ora Sarah uscì da casa. Presi per buono quello che mi disse dopo Sabrina, cioè che Sarah le aveva fatto uno squillo alle 14.30».
16.25. Finito l'esame di Concetta Serrano da parte dei pm; tocca alle domande della difesa.
17.20. Finisce l'esame testimoniale di Concetta Serrano. La donna ha risposto alle domande degli avvocati difensori, delle parti civili e del presidente del collegio giudicante, Rina Trunfio, dopo essere stata interrogata dai pubblici ministeri Mariano Buccoliero e Pietro Argentino. La madre di Sarah ha ricordato la volta in cui Sarah le disse di aver ricevuto 5 euro da zio Michele, aggiungendo che quest'ultimo le aveva detto di non riferire niente a Cosima Serrano. Poi ha detto che dopo la scomparsa della figlia aveva sospettato anche della badante romena. «Facemmo la lavatrice - ha osservato Concetta Serrano - e in un indumento della badante trovai una banconota di 50 euro e un biglietto con un numero telefonico che portai a carabinieri. Iniziai a pensare male anche di lei, parlava sempre al cellulare e io sospettavo di tutti». Ora è prevista la deposizione proprio dell'ex badante romena di casa Scazzi, Maria Ecaterina Pantir.
19.00. Si è conclusa con l'audizione dell'ex badante romena di casa Scazzi, Maria Ecaterina Pantir, l'udienza per l'omicidio della 15enne Sarah Scazzi. Il processo è stato aggiornato al 14 febbraio. La donna ha ricostruito il giorno della scomparsa della ragazzina e ricordato, in particolare, il momento in cui Sarah si cambiò per andare al mare con la cugina Sabrina. «Indossava prima un completino nero - ha ricordato - che le regalai io. Poi si mise maglietta e pantaloncino rosa». A diverse domande dei pubblici ministeri l'ex badante ha risposto con un «non ricordo». Maria Ecaterina Pantir si è costituita parte civile nei confronti di Sabrina Misseri, che risponde anche di calunnia in quanto l'avrebbe accusata della scomparsa di Sarah, pur sapendola innocente.
Slitta a martedì prossimo l'audizione di altri tre testimoni che quel pomeriggio del 26 agosto 2010 avrebbero visto Sarah Scazzi camminare in direzione di casa Misseri: Salvatore Minò, Fedele Giangrande e Giuseppina Nardelli.
14 febbraio. Quinta udienza. Parla Giuseppina Nardelli, Fedele Giangrande, Antonio Petarra, Pamela Trono, Vincenzo Maresca, Giuseppina Di Bari, Salvatora Minò.
Udienza che serve a dimostrare l’ora dell'arrivo di Sarah alla villetta dei Misseri e quindi del delitto: le 14,00 per la Procura, le 14.30 per la difesa di Sabrina. La cronaca della giornata con i resoconti filtrati dai reportage dei maggiori quotidiani. Nel raccontare asetticamente una storia bisogna non dare la propria versione dei fatti, se pur presente. Tanto più bisogna prendere con le pinze tutto quanto riportato dagli altri. Da “Il Corriere della Sera” a “La Repubblica” fino alla locale “La Gazzetta Del Mezzogiorno”. I cronisti spacciano per verità assolute le loro personali opinioni, spesso pregiudizievoli ed approssimative. Da evidenziare il fatto che il processo mediatico irrompe in quello giudiziario. E in aula finiscono le interviste televisive. L’udienza del processo per l’omicidio di Sarah Scazzi, la quindicenne uccisa il 26 agosto del 2010 ad Avetrana, è stata sospesa dalla presidente della corte d’assise, Rina Trunfio, alle 13.30. Pochi minuti di break, una pausa per consentire ai tecnici di montare in aula l’attrezzatura necessaria per visionare una intervista rilasciata da Giuseppina Nardelli, testimone di accusa e difesa, nei giorni successivi all’omicidio. La teste, poco prima, aveva riferito alla corte che il 26 agosto 2010, giorno dell’uccisione di Sarah, mentre si recava al mare con il fidanzato (Fedele Giangrande che sarà ascoltato subito dopo) vide Sarah per strada. Era a piedi in viale Kennedy, nelle vicinanze di casa Misseri. La testimone aveva indicato un orario compreso tra le 14 e le 14.30. La difesa di Sabrina Misseri, la ragazza imputata con la madre Cosima Serrano per omicidio, sequestro di persona e soppressione di cadavere, aveva però sollevato obiezioni, parlando di incongruenze rispetto a quanto la stessa Nardelli aveva dichiarato in una intervista televisiva registrata qualche settimana dopo la scomparsa di Sarah. Così, detto fatto, la corte ha ammesso in aula le registrazioni di quella intervista. Del resto il delitto Scazzi è stato fin dall’inizio un caso mediatico prima che giudiziario. La triste fine della bambina di Avetrana si è dipanata sotto i riflettori diventando un «crime reality», il primo nella storia della cronaca nera italiana. «Ho visto l’orologio ma non ricordavo di preciso l’ora. Ho indicato le 14.30 perchè i giornalisti ci chiedevano un orario preciso. E lo sapete come sono i giornalisti, no?», ha commentato in aula la Nardelli, dopo essersi rivista in un servizio mandato in onda da «Chi l’ha visto?». Proprio sulle video-interviste, si è accesa la battaglia in aula tra accusa e difesa. La Corte, dopo il pezzo di «Chi l’ha visto?», ha acquisito agli atti un filmato recuperato dai difensori di Sabrina Misseri su «You Tube», nel quale la Nardelli ribadiva di aver visto Sarah a quell’ora, ovvero verso le 14.30, perchè ricordava anche di aver controllato il proprio orologio. Alla visione del filmato, Michele Misseri si è più volte asciugato le lacrime agli occhi con un fazzoletto. La Procura ha risposto con le stesse armi ai colpi di Franco Coppi e Nicola Marseglia. Il pm Mariano Buccoliero, subito dopo, ha infatti chiesto e ottenuto di visionare in aula un’altra intervista della Nardelli e del fidanzato, Fedele Giangrande, realizzata dalla trasmissione «Pomeriggio sul 2» e andata in onda il 10 settembre 2010. In video i due dicono di ricordare che fossero le 14.25 circa non per aver guardato l’orologio dell’auto, ma per averlo «ricostruito» attraverso le notizie sentite nei tg. E’ agli atti del processo anche l’intervista rilasciata a «La vita in diretta» a ottobre 2010, da Giangrande, in cui questi dice di non essere sicuro dell’orario dell’avvistamento, ma che sarebbe avvenuto tra le 14,15 e le 14,30, di certo non prima delle 14.15. Il piccolo schermo, insomma, torna protagonista della cronaca. È stata soprattutto la tv, dando voce e volto ai protagonisti del caso Avetrana, ad alimentare dibattiti tra colpevolisti e innocentisti nei salotti dell’«infotainment» dove l’informazione si fa spettacolo e viceversa. E questa volta anche a fornire materiale utile per i fascicoli del dibattimento. L'indicazione dei presunti colpevoli dell’omicidio di Sarah Scazzi (26 agosto 2010) passa dalla certezza degli orari in cui la ragazzina si mosse da casa per raggiungere quella della cugina Sabrina Misseri. E su quegli orari, com'era prevedibile, è stata battaglia tra accusa e difesa nella quinta udienza del processo dinanzi alla Corte di Assise di Taranto. Sette i testimoni che sono sfilati in aula: c'è chi non ha balbettato e chi è stato più evasivo. Antonio Petarra, che il giorno 'maledetto’ stava sottoponendo a manutenzione esterna su un ponteggio un’abitazione in via Verdi ad Avetrana, è stato quasi categorico. Ha detto di aver visto tre volte in tutto transitare in strada Sarah, e l’ultima «tra le 13.45 e le 13.50» quando indossava «maglietta rosa o fuxia, pantaloncini neri e scarpe infradito» avviandosi a piedi verso viale Kennedy, e dunque verso casa Misseri. Per l’accusa, orari fondamentali per fissare a poco dopo le 14 il momento del delitto. Di fronte alle contestazioni della difesa di Sabrina, Petarra ad un certo punto ha ribattuto: «L'orario era quello, non ci piove. L’ho vista passare». Circostanze confermate poi in aula dalla moglie, Pamela Trono, che quel giorno si recò al lavoro alle 14 e prima di uscire avvisò il marito, dall’amico Vincenzo Maresca, che con Petarra lavorò alla pitturazione esterna della casa, e dalla consorte di quest’ultimo, Giuseppina Di Bari, con la quale Pamela Trono si recò al lavoro in una ditta di ceramiche di Avetrana per le pulizie. La difesa di Sabrina ha chiesto e ottenuto dalla Corte di acquisire due foto che, a suo dire, potrebbero minare la credibilità di Petarra. Tratte da un video, lo ritraggono mentre assiste – per i legali di Sabrina «festante» – all’arresto di Cosima Serrano, il 26 maggio 2011. Più contestate le deposizioni dei due fidanzatini, Fedele Giangrande e Giuseppina Nardelli. Dichiararono agli inquirenti di aver visto quel giorno Sarah in viale Kennedy, mentre si recavano al mare, intorno alle 14.30. In aula sono stati meno precisi, indicando quale orario l’arco di tempo tra le 14 e le 14.30. Non ha giovato a chiarire i dubbi neppure la proiezione di alcune videointerviste rilasciate dai due giovani a 'Chi l’ha visto?' e 'La vita in diretta’. Tanto che ad un certo punto la Nardelli ha spiegato: «Quando ho visto Sarah ho guardato l’orologio ma non ricordo di preciso che ora fosse. Ho indicato le 14.30 perchè i giornalisti mi chiedevano un orario preciso». Anche tra i due giovani e la zia di Giangrande, Salvatora Minò, il confronto chiesto dalla Procura e svoltosi in due brevi tornate ha lasciato interrogativi. La Minò ha riferito che il nipote le disse di aver visto Sarah intorno alle 14; Giangrande ha detto di non ricordare la circostanza. Tra i 7 testimoni citati dal pm Mariano Buccoliero, di assoluto rilievo appare il contributo atteso da Antonio Petarra, il 38enne di Avetrana che il 9 dicembre del 2010, nel corso di un interrogatorio, rivelò di aver visto Sarah alle 13.45 del giorno della sua scomparsa, mentre andava verso casa degli zii. Petarra abita in via Verdi, vicino a casa Scazzi, ed era impegnato in lavori di pitturazione. «Sono certo dell’orario delle 13.45 - ha detto a verbale Petarra - perché ho controllato l’orologio perché lo ricollego alla circostanza che mia moglie doveva andare al lavoro, prendendo la moglie del mio compare Enzo Maresca, per poi giungere sul posto di lavoro alle ore 14. Questa operazione di guardare l’orologio l’ho fatta anche perché mia moglie mi aveva chiamato dal balcone per dirmi che era tardi e che doveva andare al lavoro. A questo punto ho smesso di lavorare e sono rientrato in casa per accudire mio figlio». Dichiarazioni, quelle di Petarra, poi riscontrate dalla moglie, anch’ella citata come testimone assieme a due fidanzatini che incrociarono Sarah qualche minuto dopo. Furono in tre a vedere Sarah Scazzi il 26 agosto del 2010 mentre andava incontro alla morte: Antonio Petarra, un vicino di casa impegnato nella tinteggiatura dei muri esterni della sua abitazione, e due ragazzi, Fedele Giangrande e Giuseppina Nardelli, che invece la incrociarono in viale Kennedy, a metà strada tra casa Scazzi e quella della famiglia degli zii. Ma sull’orario in cui la 15enne fu vista nemmeno la quinta udienza del processo ha permesso di fare chiarezza, a causa dei molti non ricordo e dei verbali contraddittori di cui sono disseminate le indagini preliminari. Il punto è tutt’altro che trascurabile perché sull’orario dell’arrivo di Sarah Scazzi in via Deledda, a casa Misseri, si fonda da un lato la tesi dell’accusa - che ritiene la 15enne arrivata alle 14 e uccisa quindi da Sabrina Misseri e dalla madre Cosima Serrano entro le 14.20 - e quella della difesa - che invece sostiene che Sarah è giunta alle 14.25, infilandosi direttamente nel garage dove Michele Misseri (reo confesso ritenuto non credibile dagli inquirenti) l’avrebbe strangolata. «Conoscevo Sarah - ha detto Antonio Petarra - perché abitavamo vicino e la vedevo sempre passare. A volte da piccola suonava al nostro citofono per scherzare. Il 26 agosto del 2010 stavo imbiancando casa con il mio compare Vincenzo Maresca. Ho visto Sarah la prima volta alle 9 mentre andava in direzione delle scuole medie (verso casa Misseri dunque). La seconda dopo una ventina di minuti mentre tornava verso casa sua. L'ultima volta alle 13.45, ed era diretta a passo svelto di nuovo verso le scuole (e quindi verso casa Misseri, luogo del delitto). Indossava le infradito, pantaloncini neri, canotta fucsia e aveva uno zainetto. Sono preciso su questo orario perché mia moglie alle 14 doveva trovarsi nella rivendita di ceramiche dove fa le pulizie, come ogni giorno e lei uscii poco dopo». Nel corso di un primo interrogatorio, svoltosi il 21 settembre del 2010, Petarra disse in realtà di aver visto Sarah alle 12.45. «Ma in quel caso sono stato impreciso, c’è l’orario di uscita di mia moglie ad aiutarmi nel dire che ho visto Sarah sicuramente alle 13.45» ha puntualizzato in aula. Le dichiarazioni di Petarra sono state confermate e riscontrate in aula da sua moglie Pamela Trono, da Vincenzo Maresca e dalla moglie di quest’ultimo Giuseppina Di Bari e a quel punto i difensori di Sabrina Misseri hanno cercato di demolire l’attendibilità del testimone chiave, depositando due fotografie nelle quali si vede Petarra, esultante, dinanzi alla caserma dei carabinieri di Avetrana il 26 maggio del 2011, durante le fasi dell’arresto di Cosima Serrano. «Una scena invereconda » secondo il prof. Franco Coppi, legale di Sabrina Misseri, anche se per il pm Mariano Buccoliero «si tratta di un episodio che non dimostra niente perché Petarra è stato interrogato mesi e mesi prima dell’arresto di Cosima», mentre per lo stesso testimone si è trattato di un fatto assolutamente casuale perché si trovava a casa di un conoscente e fu attratto dalla folla che nel frattempo si era radunata. La moglie del testimone Antonio Petarra, Pamela Trono, anche lei teste, ha confermato che il 26 agosto 2010, giorno dell'uccisione della ragazzina, andò via da casa tra le 13 e 50 e le 13 e 55 per recarsi al lavoro, avvisando il marito di controllare in casa che il loro figlio stesse dormendo. Quest'ultimo, poco prima, mentre pitturava la facciata esterna dell'abitazione, aveva visto passare in strada Sarah che si dirigeva verso casa Misseri. In precedenza Petarra aveva dichiarato di ricordare l'orario del passaggio in strada di Sarah proprio perché la moglie doveva essere già sul posto al lavoro alle 14. Poi è stata la volta di Fedele e Giuseppina, i due ragazzi all’epoca dei fatti fidanzati. I due testi non sono riusciti - malgrado perfino la visione in aula di interviste televisive realizzate subito dopo la scomparsa di Sarah - non solo a fissare con precisione l’ora in cui hanno visto la 15enne in viale Kennedy - entrambi hanno detto tra le 14 e le 14.30 - ma perfino a confermare di averne parlato con Salvatora Minò, zia di Fedele Giangrande, che invece in aula ha ribadito quanto aveva già detto a verbale l’8 giugno del 2011 e cioè di aver saputo dal nipote che Sarah era stata vista in strada intorno alle 14. E' stata una testimonianza non molto precisa quella di Fedele Giangrande e Giuseppina Nardelli, i due fidanzatini di Avetrana, che per primi dichiararono di aver visto Sarah Scazzi in viale Kennedy il pomeriggio del 26 agosto del 2010, giorno dell'omicidio della 15enne, mentre a piedi e con lo zaino in spalla si recava a casa della cugina Sabrina Misseri per andare al mare. Sono stati ascoltati per circa 1 ora e mezzo dalle varie parti in causa al processo per il delitto della giovane che si tiene davanti alla Corte di Assise del tribunale jonico. L'orario preciso non lo ricordano: entrambi lo hanno fissato tra le 14 e le 14,30 poiché più o meno a quell'ora uscivano anche loro ogni giorno in auto per recarsi sulle spiagge dello Jonio. Nel corso di alcune interviste televisive i due giovani parlarono delle 14,30, in qualche altro caso delle 14,25, senza basarsi su dati di fatto, come aver dato un'occhiata all'orologio. Gli inquirenti, da cui erano stati sentiti nelle primissime fasi delle indagini, quelle relative alla sola scomparsa di Sarah, indicavano come orario proprio quello delle 14,30 perché all'inizio così risultava sulla base di varie testimonianze, sms, squilli. In quella fase stabilire l'orario esatto non era fondamentale proprio perché si indagava al massimo per un eventuale rapimento e non per omicidio. E poi i giornalisti, così hanno detto i due testi, li avrebbero pressati durante le interviste in modo da collocare l'orario proprio attorno alle 14,30. Probabilmente Petarra è uno degli ultimi ad aver visto Sarah viva. E il suo raccontò è determinante per anticipare di mezz'ora l'arrivo della ragazzina nella villetta di via Deledda, dove sarebbe stata aggredita e assassinata da mamma e figlia alla sbarra. Determinante soprattutto perché sbugiarda clamorosamente il racconto di quel giorno fatto da Sabrina, soprattutto riguardo a telefonate e sms partiti dopo le 14.20 dai cellulari delle due cugine. I ricordi di Petarra, infatti, consentono di collocare l'omicidio prima di quell'ora e quindi sono una sponda fondamentale per il teorema dei pm. Alle 14.20 - sostengono i magistrati - Sarah era già morta. E quella serie di sms e squilli non furono altro che una macabra messinscena di Sabrina per costruirsi un alibi. Oltre a Petarra in aula anche sua moglie, una collega della donna, ed un amico di famiglia. Tre testimoni che già nella fase delle indagini hanno riscontrato i ricordi di Petarra. Fornendo puntelli irrinunciabili alla ricostruzione dell'omicidio fatta dalla procura. Hanno confermato sostanzialmente quanto dichiarato durante le indagini, i tre testimoni ascoltati nel processo davanti alla Corte di Assise del Tribunale di Taranto per l'omicidio di Sarah Scazzi, avvenuto il 26 agosto del 2010. Si tratta di Pamela Di Trono, la moglie di Antonio Petarra, ascoltato per primo, poi di un amico di famiglia, Vincenzo Maresca e della moglie di quest'ultimo, Giuseppina Di Bari, amica e collega di lavoro della Di Trono. Hanno parlato dei loro impegni e dei loro spostamenti di quel giorno e quanto raccontato da Petarra, considerato un teste-chiave relativamente all'orario in cui Sarah sarebbe arrivata in via Deledda nella casa degli zii dove poi venne assassinata. Di Trono ha detto che il 26 agosto del 2010 uscì di casa prima delle 14 poiché doveva trovarsi entro quell'ora nel negozio dove lavora come impiegata, insieme alla Di Bari. Ha riferito di aver lasciato il marito vicino all'abitazione dove stava finendo di pulire e di sistemare la parte esterna dell'edificio appena imbiancata insieme a Maresca. Il professor Franco Coppi, 74 anni, ordinario di procedura penale da quest’anno in pensione, l’avvocato che difende Sabrina Misseri dopo aver difeso Andreotti, Cossiga e Antonio Fazio, per sette volte è intervenuto per contestare e provocare contraddizioni nei testimoni. E non sono mancate le scintille con i pm Buccoliero e Argentino. Dice al cronista della “Gazzetta” in una pausa del processo: «È che mi sono via via convinto che Sabrina è solo malcapitata in questo processo; questa ragazza è innocente e non è vero che è fredda e cinica, come l’avete dipinta voi giornalisti. Anzi, è molto fragile». Sembra, in qualche momento, che questo sia il «processo della vita» per il professore dell’università La Sapienza. Coppi, come un umile artigiano, sta componendo il suo mosaico. E però prima di mettere a posto i suoi tasselli deve cercare di smontare il piano dell’accusa, demolendola punto per punto, indizio per indizio. Ogni testimone è sottoposto a vaglio critico. L’ incertezza è utilizzata per aprire varchi ai dubbi e alle contraddizioni. La confusione di orari diventa motivo per tentare di dimostrare l’inattendibilità delle persone che i pm hanno chiamato a testimoniare. Nell’aula di corte d’Assise non c’è neanche un attimo per annoiarsi. E’ la quinta udienza e ci sono nel pubblico persone presenti già il primo giorno. Due signore non perdono una battuta. Sono convinte della colpevolezza di Sabrina. «Però a volte mi dispiace» dice la più giovane. Ogni teste ha la sua importanza. L’accusa li ha indicati con un ordine. La gran parte sono giovani, coetanei di Sabrina che il 10 febbraio ha compiuto 24 anni. «Non ne conosco neanche uno» rivelerà a Coppi. I pubblici ministeri, prima Buccoliero, poi Argentino, si alternano e costruiscono con pazienza il loro disegno: dimostrare che ogni parola e ogni testimonianza hanno il loro giusto posto nella ricostruzione del percorso di 500 metri che Sarah ha compiuto a passo svelto dalla sua casa in vico secondo Verdi alla villetta dei Misseri in via Deledda. Coppi tenta di demolire la costruzione. Nello scontro finiscono anche alcune videointerviste, in particolare quelle dei due fidanzatini Giuseppina Nardelli e Fedele Giangrande, imprecisi nell’indicare l’orario del passaggio di Sarah per via Kennedy. Questa sovrapposizione, tra la realtà del processo in aula e le ricostruzioni in tv, crea un effetto stranissimo, un’asimmetria di tempi e di parola che però può contare su una forza suggestiva e potente. Il rischio, nella sovrapposizione, è che ciò che deve avvenire, cioè la formazione del giudizio nel processo, sia percepito come una replica di quanto è già accaduto tramite i media. Coppi ne parla come un evento già verificatosi. Eppure, la sensazione è che «nessuna società» più o meno influenzata da giornali e televisioni sia pronta e smaniosa di punire Sabrina. Anzi, ad ascoltare una ragazza che segue il processo, sembra emergere il dubbio: «Ma veramente è stata lei ad ammazzare Sarah? E’ lei il mostro?» Nessuna crudeltà umana è in attesa di scatenarsi. Sabrina sta seguendo con attenzione ogni passaggio delle udienze. Si sente difesa nel migliore dei modi possibili. Marseglia, uno dei penalisti più conosciuti del Tarantino, e Coppi che non ha bisogno di citazioni, ce la stanno mettendo tutta, e questo è una garanzia di equilibrio del processo. Avverte Coppi: «L’orgoglio dell’avvocato è giustificabile, quello del pm no». Il ruolo più prezioso nel processo è quello della difesa che per natura deve battersi per un diritto umano. Martedì prossimo la consueta sfilata di testimoni ne comprenderà uno fondamentale per le tesi dell’accusa. Si tratta di Mariangela Spagnoletti, l’ex amica di Sabrina Misseri con la quale quest’ultima, il giorno del delitto, sarebbe dovuta andare al mare insieme a Sarah. Le dichiarazioni di Mariangela e Sabrina, su quanto avvenne all’esterno di casa Misseri quel pomeriggio, sono in netto contrasto. Oltre a Mariangela, saranno sentiti la sorella minorenne, Alessandra Spagnoletti, le due sorelle con le quali Sarah e Sabrina dovevano andare a mare quel maledetto 26 agosto, un altro amico di comitiva, Alessio Pisello, Giuseppe Olivieri, titolare della ditta in cui lavoravano Trono e Di Bari, e i papà di Mariangela, Vito Antonio Spagnoletti, e di Fedele Giangrande, Cosimo.
21 febbraio. Sesta udienza. Parla Mariangela Spagnoletti, Alessandra Spagnoletti, Alessio Pisello, Giuseppe Olivieri, Vito Antonio Spagnoletti, Cosimo Giangrande, Vito Donato Lastella.
Il dr Antonio Giangrande, avetranese doc, scrittore, autore del libro sul delitto di Sarah Scazzi, e presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, senza intenti diffamatori si chiede e chiede agli avvocati in causa ed a tutta la stampa: come è possibile che a presiedere la Corte d'Assise di Taranto per il processo di Sarah Scazzi, in violazione al principio della terzietà ed imparzialità del giudice, sia il giudice Cesarina Trunfio, ex sostituto procuratore di Taranto, già sottoposta del Procuratore Capo di Taranto Franco Sebastio e collega dell’aggiunto Pietro Argentino e del sostituto Mariano Buccoliero. Ex colleghi facenti parte del collegio che sostiene l'accusa nel medesimo processo sul delitto di Sarah Scazzi dalla Trunfio presieduto? Qualsiasi decisione finale sarà presa, sarà sempre adombrata dal dubbio che essa sia stata influenzata dalla colleganza funzionale e territoriale. Ma questo non basta. Sotto i riflettori delle tv presso la Corte d’Assise di Taranto arriva Mariangela Spagnoletti accompagnata dall’immancabile legale, (difensore di che? Se il teste non ha bisogno di difesa e/o rappresentanza legale!! Mah!!), spesso citato a sproposito ed inopportunamente dai giornalisti come avvocato di Mariangela ed altri testimoni del processo sul delitto di Sarah Scazzi. Enzo Tarantino, assistente legale di Mariangela Spagnoletti è componente della Giunta dell’Amministrazione comunale di Avetrana: Assessore al Bilancio, Finanze, Tributi, Marketing territoriale, personale. Non è diffamatorio puntualizzare che ci possa essere un lieve difetto di incompatibilità (stranamente non rilevato da chicchessia) tra chi assiste una testimone dell’accusa (la cui attività forense non è necessaria) e chi rappresenta gli interessi di chi si è costituito parte civile nel medesimo processo come il Comune di Avetrana. Quel Comune di Avetrana che tanto ha lasciato a desiderare proprio in riferimento al Marketing territoriale, tanto che il paese è conosciuto come covo di omertosi retrogradi. A tal proposito c’è da sottolineare che siamo già ad un numero elevato di testimoni e decine ancora verranno a testimoniare. Tutto questo alla faccia di chi, in malafede, ignoranza e pregiudizio, ha voluto far credere che Avetrana fosse un paese covo di omertosi. Da “Il Corriere della Sera” e da “La Gazzetta del Mezzogiorno” ed da altri quotidiani la sintesi della giornata. Due piccole donne, una volta amiche e complici di serate in birreria, si guardano nei loro grandi occhi e attraversano, una di fronte all’altra, il conflitto più drammatico: Sabrina si agita, scuote la testa, dice “no”, che le cose non stanno come le racconta l’ex amica tanto da provocare un richiamo ufficiale da parte del presidente della corte, Rina Trunfio, che l’ha pubblicamente redarguita, richiamando a maggiore compostezza in aula anche la madre Cosima. Lei, Mariangela Spagnoletti, la teste più importante della procura, non si scompone, vede le contorsioni e la mimica facciale di Sabrina, ma va diritta per la sua strada. Ventidue anni, operaia, un bel viso con un trucco leggero, difende in modo fermo le sue posizioni, anche di fronte all’avvocato della difesa, Roberto Borgogno, l’inviato di Coppi che l’incalza con la speranza di indurla al passo falso delle contraddizioni. Mariangela corregge qualche dettaglio, ma è sicura e ferma: risponde e racconta per quattro ore, mette in ordine fatti, date, parole, sms, e soprattutto sostiene cose diverse da quelle di Sabrina. «Stavo sulla veranda e aspettavo Mariangela per andare al mare» ha detto Sabrina ai procuratori. «Non è vero - rivela lei -, stava per strada ed era preoccupata e agitata». Uno scontro, due ricostruzioni inconciliabili su quanto è accaduto prima e dopo il 26 agosto 2010. Non c’è astio nelle parole di Mariangela. Anzi, a volte sembra rifugiarsi in ricordi e immagini edificanti («Sabrina e Sarah erano come due sorelle»), ricostruisce con delicatezza, forse anche con qualche omissione, episodi che riguardano Sarah (le coccole di Ivano e gli abbracci, e il silenzio di fronte alle critiche della cugina: «Sarah si vende per le coccole»). Poi fissa le scene, con i ruoli di protagonisti e oggetti al loro posto: Michele accovacciato, la Marbella con il bagagliaio rivolto all’ingresso del garage, il parcheggio dell’Opel Astra, e la posizione di Sabrina che in altre occasioni l’aveva attesa all’interno dell’abitazione («era sempre in ritardo») e che invece, in questa circostanza, era per strada con il cellulare nella mano destra e borsa e asciugamano nella sinistra. Solo i colori Mariangela non ricorda, per il resto è come la memoria di un computer. Con Sabrina aveva rotto qualche giorno dopo la scomparsa di Sarah. Due mondi si erano polarizzati con contorni e contenuti contrastanti. Sabrina che tentava di svalutare e di inabissare l’accaduto, che cercava di gestirlo e di controllarlo relegandolo in un angolo, introducendo elementi distorsivi presi dalla cattiva pubblicistica - gli zingari che sequestrano le ragazzine e lo zio Giacomo con il suo passato equivoco e con la pista di San Pancrazio -, e soprattutto tentando l’azzardo più ambizioso: la manipolazione dei media. «Parla con i giornalisti» chiese a Mariangela. «No, quello che devo dire lo dirò ai carabinieri». C’è un civismo in questa affermazione. Il pm Mariano Buccoliero ricorda che Mariangela all’inizio è stata reticente e che poi, di fronte anche ad altre testimonianze, ha cominciato a collaborare con gli investigatori. Così i fatti hanno potuto ottenere, almeno in parte, una rivalutazione. La giovane operaia trova l’ambiente giusto che l’aiuta: una famiglia dignitosa e collaborativa, uno zio carabiniere, un giovane amico campano, Massimiliano Fantastico, anche lui carabiniere. E poi un avvocato cugino, Enzo Tarantino, che la consiglia e l’assiste. Peccato che lei sia teste è non ha bisogno di avvocati, né confidenti. Oltretutto Tarantino ha interesse in causa in quanto, lui assessore dell’amministrazione comunale avetranese, si è costituto parte civile contro la famiglia Misseri. E’ stata Sabrina a strangolare Sarah? Dalle cose dette da Mariangela non emerge questo. Ma s’intuisce che la ragazza pensa a un ruolo avuto da Sabrina. Non tutto è venuto fuori, ha confidato a un amico. Sabrina dice “no” a tutto e si è chiusa in una sorta di nichilismo. Solo lei potrebbe chiarire l’accaduto, lei in un confronto con il padre Michele. Un confronto tragico e risolutore. «Sabrina Misseri mi disse come era vestita Sarah il giorno della scomparsa». Arriva a sette ore dall'inizio della sesta udienza per l'omicidio della 15enne di Avetrana la dichiarazione che mette in difficoltà la difesa di Sabrina Misseri e rende traballante l'alibi della 23enne accusata in concorso con la madre di aver ucciso Sarah, strangolandola, il 26 agosto del 2010. A smentire Sabrina, che ha sempre dichiarato di non aver mai incontrato Sarah il pomeriggio della sua scomparsa, e dunque di non poter sapere cosa indossava, è stato Alessio Pisello, il ragazzo di Avetrana che faceva parte della comitiva di Sabrina e Sarah. Pisello, interrogato dai pubblici ministeri Mariano Buccoliero e Pietro Argentino e contro esaminato dai difensori dei nove imputati, è stato uno dei sette testimoni comparsi ieri dinanzi alla corte d'assise nelle dieci lunghe ore di udienza. Pisello dunque sostiene che Sabrina già pochi minuti dopo l’allarme per la scomparsa di Sarah, quel pomeriggio del 26 agosto, le indicò l’abbigliamento da mare che indossava la cuginetta. Al telefono disse di averlo saputo da Concetta, la mamma di Sarah, ma la donna in aula e durante l’intera istruttoria ha invece smentito. Ad aprire il dibattimento era stata Alessandra Spagnoletti, 13 anni a marzo, sorella di Mariangela, la migliore amica di Sabrina Misseri. Alessandra il pomeriggio del 26 agosto 2010 doveva andare al mare con la sorella, Sabrina e Sarah. «Siamo arrivati davanti a casa Misseri - ha ricordato la ragazzina - e Sabrina era già fuori, sulla strada. Sarah ancora non era arrivata. Sabrina ci chiese se l'avevamo vista. Poi l'ha chiamata al cellulare ma disse che dopo un paio di squilli, cadeva la linea. Sabrina era molto preoccupata, aveva gli occhi lucidi e diceva l'hanno presa, l'hanno presa. Noi le dicevamo stai tranquilla che ora la cerchiamo. Sabrina era sempre preoccupata. Siamo andati da Concetta, poi siamo tornati a casa di Sabrina dove abbiamo trovato Michele Misseri in strada, vicino alla sua auto». Dichiarazioni confermate da Mariangela Spagnoletti che si è confermata anche ieri in aula una delle principali testimoni a favore dell’accusa, e che ha poi raccontato alla corte come ha conosciuto Sabrina e quali erano i rapporti con Ivano e Sarah. «Frequentavo Sabrina dal dicembre 2009, quando diventai sua cliente. Da lei ho conosciuto anche Sarah. A giugno 2010 poi ho iniziato a frequentare gli altri componenti della comitiva come Ivano Russo e Ivano Pisello. Ci vedevamo ogni giorno. Io sapevo che a Sabrina piaceva Ivano. Le mi parlava sempre di Ivano e mi disse che gli interessava come ragazzo. Me lo ha detto appena sono diventata sua cliente. Voleva avere una storia con lui. Sabrina gliel'ha anche detto a Ivano e glielo faceva capire in mille maniere. Sabrina mi diceva di continue liti con Ivano perchè era ambiguo, la trattava male. Una volta gli fece una scenata di gelosia perché stava parlando con una ragazza. Anche con me si è arrabbiata una volta sulla spiaggia perché Ivano si sedette accanto a me, aggiungendo che se lei non ci fosse stata chissà cosa io avrei fatto con Ivano». Mariangela poi ha spiegato cosa accade la sera del 25 agosto, con la famosa frase «si vende, si vende per due coccole» detta da Sabrina nei confronti di Sarah, aggiungendo che secondo lei «Ivano coccolava Sarah ma come segno di protezione, non penso che aveva interessi verso quella che in fondo era una bambina. Sabrina, però, con qualche frase mi fece capire di essere gelosa di Sarah». Daltro canto, un colpo alla ricostruzione dell'accusa è venuta, però, dalla deposizione dell'imprenditore di Avetrana Giuseppe Olivieri, presso il quale due donne, la moglie del super testimone Antonio Petarra (che vide Sarah alle 13.50 andare verso casa Misseri) e un'altra signora, facevano le pulizie. Le due donne la precedente udienza hanno detto ai giudici che andavano a fare le pulizie ogni giorno dalle 14 alle 17: Olivieri ha invece ridimensionato il loro impegno lavorativo ad appena un'ora alla settimana, senza peraltro un orario prestabilito di inizio. Prima Mariangela Spagnoletti poi l’amico Alessio Pisello, entrambi hanno appesantito la posizione di Sabrina Misseri, la loro ex amica accusata di avere ucciso la cugina Sarah Scazzi con l’aiuto di sua madre Cosima Serrano. La teste, interrogata per quasi quattro ore, ha raccontato i primi attimi della presunta scomparsa della quindicenne facendo emergere le contraddizioni che hanno poi portato gli inquirenti a dubitare dell’estetista ventitreenne. «Era già in strada ed era agitata quando arrivai con la mia macchina perchè avevamo appuntamento per andare al mare con Sarah», ha confermato Mariangela smentendo il racconto di Sabrina, che ha sempre detto di trovarsi invece sulla veranda. Ancora più imbarazzante, invece, se tale ricostruzione troverà conferme, la deposizione fatta dall’amico Pisello, il quale ha raccontato un episodio che ha lasciato tutti a bocca aperta: «Quando Sabrina mi ha telefonato la prima volta per dirmi che era scomparsa Sarah, mi ha anche detto com’era vestita». Alla domanda del pm se fosse a conoscenza di come avesse fatto Sabrina a sapere quali indumenti indossasse la cugina, visto che non l’aveva mai vista arrivare a casa, Pisello ha detto di aver saputo, sempre perché da lei riferito, che questa informazione l’aveva ricevuta dalla zia Concetta Serrano, mamma di Sarah. Secondo quanto ha anche recentemente dichiarato la madre della ragazza uccisa, però, quel pomeriggio non aveva visto uscire la figlia e aveva saputo soltanto in seguito com’era vestita. L’altra persona che poteva conoscere questi particolari è l’ex badante rumena Ecaterina Pantir, che, già interrogata dalla stessa Corte d’assise, non ha detto di aver raccontato tali particolari in quel contesto. Toccherà ora a Sabrina, quando verrà il suo turno, spiegare da chi ha ricevuto quelle informazioni riferite ad Alessio Pisello in una delle sue primissime telefonate fatte all’amico tra le 15 e le 15.20. Commentando l’atteggiamento dell’amica, Pisello ha poi detto: «Se mi ha ingannato Sabrina è stata davvero brava». Tornando alla deposizione di Mariangela Spagnoletti, la ragazza ha sostanzialmente confermato punto per punto quanto ha già riferito agli inquirenti nei suoi due precedenti interrogatori. «Sabrina era molto interessata a Ivano del quale era anche gelosa». Un attaccamento quasi morboso quello descritto dalla ragazza, che con Sabrina si appostava nelle vicinanze della casa del bell’Ivano «per controllarlo quando usciva e quando rientrava». Sono stati ascoltati anche la sorella minore di Mariangela, che era con lei il pomeriggio in cui andò in via Deledda per prendere Sabrina e Sarah, e il padre che partecipò alle ricerche. La sera del 25 agosto 2010, vigilia dell’uccisione di Sarah Scazzi, Sabrina Misseri e Ivano Russo litigarono perché, secondo Sabrina, lui mostrava troppe attenzioni verso la quindicenne. Lo ha riferito la teste Mariangela Spagnoletti durante la deposizione in aula al processo per l’uccisione di Sarah Scazzi. «Andammo al pub 102 – ha detto Mariangela – e Sabrina disse riferendosi a Sarah “si vende, si vende”. C'era anche Sarah, non rispose, non so se si mise a piangere o meno, non la vidi in volto. Poi in auto Sabrina mi disse che Ivano considerava più Sarah di lei». Mariangela ha aggiunto che, per quanto da lei percepito, Ivano «coccolava Sarah come un fratello maggiore e questo dava fastidio a Sabrina».
Il resoconto della giornata.
ORE 10:55 – tocca ad Alessandra Spagnoletti. Il giorno dell’uccisione di Sarah Scazzi, quando l’amica Mariangela Spagnoletti e la sorella tredicenne, Alessandra, si recarono a casa di Sabrina Misseri per andare al mare con lei e con Sarah, trovarono Sabrina già in strada «molto preoccupata». Lo ha dichiarato la minorenne, Alessandra Spagnoletti, durante la testimonianza in corso nella sesta udienza del processo per l’uccisione di Sarah. «Siamo arrivati a casa di Sabrina – ha detto, indicando anche com'era vestita Sabrina e che cosa aveva con sè – e lei era già in strada. Ha chiesto a Mariangela se avesse visto Sarah. Poi ha fatto due telefonate, salendo anche in auto, al cellulare di Sarah. «La prima volta ha detto che non rispondeva, la seconda che era spento, e Sabrina ha detto “L'hanno presa, l’hanno presa”. Sabrina era molto preoccupata e aveva gli occhi lucidi». Le dichiarazioni contrastano con quelle rese durante le indagini da Sabrina, che ha sempre dichiarato di aver atteso in veranda l’arrivo di Mariangela e sua sorella e che sarebbe stata Mariangela, preoccupata perchè non si trovava Sarah, a dire che forse l’avevano presa.
ORE 11:46 – tocca a Vito Donato Lastella. Il 26 agosto 2010, giorno dell’uccisione di Sarah Scazzi, un geometra di Avetrana, Vito Donato Lastella, mentre rincasava in auto dirigendosi verso il litorale vide in strada sulla destra una sagoma esile e veloce e contemporaneamente uscire da una stradina a destra un’auto chiara, con due persone a bordo, che fece una strana manovra, tanto che egli dovette allargare la traiettoria di marcia per evitare problemi. Lo ha detto lo stesso Lastella, deponendo in aula al processo per l’omicidio. Il geometra ha detto che, quanto all’orario, sicuramente era dopo le 14.05, momento in cui aveva spento il pc in studio uscendo dopo qualche minuto. Per l’accusa, quella sagoma potrebbe essere Sarah che cercava di allontanarsi da casa Misseri e l’auto potrebbe essere quella di Cosima Serrano con a bordo Sabrina Misseri che stavano cercando di raggiungerla.
ORE 11:48 – depone Giuseppe Olivieri. Nell’azienda di arredo bagno e ceramiche di Giuseppe Olivieri, ad Avetrana, nell’estate del 2010 venivano fatte pulizie nel pomeriggio da Pamela Trono e Giuseppina Di Bari solo per un’ora alla settimana. Lo ha raccontato Olivieri testimoniando al processo per l’omicidio di Sarah Scazzi. Trono è la moglie di Antonio Petarra, l’uomo che il 26 agosto 2010, giorno del delitto, disse di aver visto intorno alle 13.45-13.50 passare sotto casa Sarah diretta dai Misseri. Trono e Di Bari, nella precedente udienza, dichiararono di compiere giornalmente pulizie nella ditta Olivieri dalle 14 alle 17, e Petarra spiegò di ricordare quell'orario perchè la moglie alle 14 doveva essere al lavoro con l’amica. Olivieri ha riferito in aula di non sapere quando le due donne eseguissero le pulizie negli uffici della ditta, circostanza che gli è stata contestata dai pm rispetto al verbale di sommarie informazioni testimoniali in cui aveva detto che le pulizie venivano compiute ad uffici chiusi, dalle 14 alle 17.
ORE 12.30 – depone Vito Antonio Spagnoletti. Prima di Mariangela è stato sentito il padre della giovane, Vito Antonio Spagnoletti. «Quel pomeriggio, dopo aver saputo che Sarah non si trovava, andammo a casa Misseri – ha dichiarato l'uomo – e trovammo fuori Michele. Mi disse che sperava si trattasse di una scappatella e che non appena si fosse sbrigato sarebbe andato nelle campagne, nella zona della Riforma dove hanno terreni alcuni parenti, per vedere se si trovava da quelle parti».
ORE 13:02 – parla Mariangela Spagnoletti. «A Sabrina piaceva Ivano. Me lo diceva lei che parlava sempre di Ivano, gli interessava come ragazzo, voleva avere con lui una storia. Sabrina glielo ha detto e glielo ha fatto anche capire. Per lei era una cosa forte». Lo ha detto in aula Mariangela Spagnoletti, l’amica di Sabrina Misseri con la quale Sabrina sarebbe dovuta andare al mare il 26 agosto 2010, giorno del delitto, insieme con la sorella minorenne di Mariangela e con Sarah. Mariangela ha riferito di qualche litigio di Sabrina sia con Sarah sia con Ivano e una volta anche con lei stessa per le attenzioni che Ivano mostrava talvolta verso Sarah.
ORE 16:08 – finita la deposizione di Mariangela. Si è conclusa dopo circa tre ore la prima parte della deposizione di Mariangela Spagnoletti al processo in Corte di Assise per l’omicidio di Sarah Scazzi. La testimone ha risposto alle domande rivoltele dai pubblici ministeri Mariano Buccoliero e Pietro Argentino, ripercorrendo le fasi del pomeriggio del 26 agosto 2010, giorno in cui Sarah venne uccisa, e confermando quanto già dichiarato durante l'istruttoria. In particolare Mariangela ha confermato di aver lasciato Sabrina Misseri nel pomeriggio di quel giorno per continuare le ricerche di Sarah con altri amici, e di averla reincontrata la sera, intorno alle 19.45. La teste ha inoltre riferito che qualche giorno dopo la scomparsa di Sarah i rapporti con Sabrina Misseri si sono interrotti. «Mi disse di parlare con i giornalisti – ha dichiarato parlando dei motivi della rottura - e io mi rifiutai. Da quel momento non ci siamo sentite più». Mariangela ha poi risposto alle domande dei legali di parte civile, quindi è iniziato il controesame del collegio difensivo. Mariangela ha riferito che in strada vicino a casa Misseri c'erano sia la Seat Marbella di Michele Misseri sia la Opel Astra della mamma di Sabrina, Cosima Serrano. La Marbella, ha spiegato, era in direzione mare con la ruota anteriore destra sul marciapiede; il portoncino del garage era aperto.
ORE 20:21 – Parla Alessio Pisello. Con la deposizione di Alessio Pisello, un amico di Ivano Russo e componente della comitiva di Sabrina Misseri e Sarah Scazzi, si è conclusa la sesta udienza del processo per l’omicidio della quindicenne di Avetrana (Taranto). Il giovane ha riferito di essere stato lui a presentare a Sabrina l’amico Ivano, che conosceva sin dall’adolescenza. Fu proprio Sabrina con una telefonata, nel pomeriggio del 26 agosto 2010, ad informarlo che Sarah era scomparsa e a chiedergli di aiutarla nelle ricerche, cosa che fece quello stesso giorno. Alessio Pisello ha aggiunto che Sabrina gli disse nella telefonata che Sarah «era in tenuta mare», senza aggiungere altro. In un verbale di istruttoria, Pisello aveva detto che Sabrina gli aveva parlato di Sarah che indossava «un tenuta da mare, una maglietta e un pantaloncino», circostanze che Sabrina comunque avrebbe appreso dalla mamma di Sarah, Concetta Serrano. «Mai visto atti di gelosia dell’una verso l’altra, erano come sorelle», ha detto il teste. Pisello ha inoltre parlato di un incontro avuto con gli ex legali di Sabrina Misseri, gli avvocati Vito Russo ed Emilia Velletri, attraverso un suo amico e in un’abitazione di quest’ultimo, per riferire di circostanze che potevano essere utili ad indagini difensive. Infine il teste ha ricordato i momenti in cui apprese, la sera del 6 ottobre 2010, del ritrovamento del corpo di Sarah. «Quando lo dissero in tv, non ci credevamo. Poi uscii in auto con Ivano e Sabrina per trovare il posto, girammo inutilmente alcune zone. Ad un certo punto - ha raccontato – Sabrina chiamò la madre e chiese dove era possibile cercare ancora, e la madre disse di provare in contrada Mosca», dove poi effettivamente furono ritrovati i resti di Sarah. Pisello ha aggiunto su questa circostanza un particolare. Due giorni prima che Michele Misseri facesse la prima confessione, andò da lui e gli disse di aver cercato Sarah anche in contrada Mosca, che sapeva essere conosciuta dall’uomo. «Mi rispose – ha detto Pisello – che l’aveva già cercata lui in quella zona e che lì di certo non c'era».
L'udienza è stata aggiornata a martedì 28 febbraio. Tra i testi chiamati a deporre ci sono Donato e Francesca Massari, padre e figlia. Il primo vide Cosima in macchina nel pomeriggio del 26 agosto dalle parti di via Deledda, mentre la figlia Francesca era amica e compagna di scuola di Sarah.
28 febbraio. Settima udienza. Parla Donato e Francesca Massari, Giuseppe Serrano, Isabella Pernorio, Daniele Lanzo, Anna Parisi, Salvatore Sacco ed Anna Dimitri.
Otto testimoni per la settima udienza del processo a carico di Michele Misseri ed altre 8 persone, a giudizio, a vario titolo, per la scomparsa e l’omicidio di Sarah Scazzi. I pubblici ministeri Pietro Argentino e Mariano Buccoliero hanno citato Donato Massari, un vicino dei Misseri che vide il pomeriggio del 26 agosto del 2010 Cosima Serrano sfrecciare in auto non lontano dalla sua abitazione, la figlia Francesco Massari, amica del cuore di Sarah Scazzi, Giuseppe Serrano, fratello di Cosima e anche di Concetta, mamma della vittima. Sul banco dei testimoni si accomoderanno anche Isabella Pernorio, Daniele Lanzo, Anna Parisi, Salvatore Sacco ed Anna Dimitri. L’obiettivo della pubblica accusa è quello di continuare a demolire l’alibi delle principali imputate, Sabrina Misseri e Cosima Serrano, che hanno sempre sostenuto di non aver mai visto Sarah il pomeriggio del 26 agosto. Importante, sotto quest’ottica, si annuncia la testimonianza di Donato Massari che invece ha sostenuto di aver visto Cosima alla guida della sua Opel Astra station wagon. Intanto le notizie di contorno all’evento giudiziario dicono che la corte ha bacchettato Sabrina e Cosima durante il processo per la morte di Sarah Scazzi. La presidente del Tribunale ha infatti chiesto che le due imputate non sottolineino con gesti di approvazione o disapprovazione le testimonianze delle persone chiamate a deporre in aula. Risatine e gesti che hanno fatto perdere la pazienza al giudice che ha chiesto con forza che gli avvocati della difesa “impongano” il silenzio e la moderazione alle due donne accusate di omicidio.
Inoltre si parla anche del cane di Sarah. «Abbiamo già altri quattro cani e le nostre finanze non ci permettono di far fronte ad un quinto", spiega la signora Anna Pisanò, che è anche una dei testimoni chiave del processo in corso - Prima tutti facevano a gara per adottarla, comprese le associazioni animaliste, ora "Saetta" non interessa più a nessuno». Si chiama "Saetta", ed era la cagna di Sarah Scazzi, affidato negli ultimi due anni ad una famiglia di Avetrana, i Pisanò, che ora non hanno più intenzione di occuparsene ed hanno annunciato l'intenzione di darla a qualcun altro. Per due anni è stata la famiglia Pisanò a prendersi cura di lei. Ora Saetta cerca una nuova casa. «Abbiamo già fatto abbastanza per assisterla. Che siano altri adesso a mantenerla». E' stata Anna Pisanò a fare l'annuncio, una ex amica della famiglia Misseri, che si lamenta dell'indifferenza della gente nei confronti dell'animale. A parlare è Anna Pisanò, l’ex amica della famiglia Misseri che si lamenta dell’indifferenza che la gente ora mostra nei confronti della cagna di Sarah Scazzi. Saetta è la randagia adottata dalla quindicenne uccisa il 26 agosto del 2010. L’aveva raccolta dalla strada quando era ancora una cucciola e da quel giorno non si era mai separata dall’animale che curava e sfamava. Anche il pomeriggio della tragedia la meticcia si trovava davanti il garage di via Deledda da dove per più di un mese dopo non si è più mossa. Sarah aveva trovato l'animale per strada ed aveva deciso di adottarla, ma poi è successo quello che tutti sappiamo: è stata uccisa il 26 agosto 2010. L'aveva raccolta dalla strada ancora cucciola, e da quel giorno se ne era presa cura senza separarsene mai. Anche lo stesso pomeriggio in cui è avvenuto l'omicidio, "Saetta" è stata vista davanti al garage di via Deledda, dove si trova casa Misseri, e da dove per oltre un mese non ha voluto saperne di spostarsi. Telecamere, giornalisti, curiosi, avevano poi spinto la cagna a cercare rifugio in casa della famiglia Pisanò, che ora non se la sentono più di prendersene cura. La presenza dei curiosi e delle telecamere che piantonavano quei luoghi avevano poi costretto Saetta a rifugiarsi a casa dei Pisanò che ora non se la sentono più di badare a lei. «Abbiamo già altri quattro randagi e le nostre finanze non ci permettono ulteriori sforzi», spiega la signora Anna che dopo il recente matrimonio della figlia ha perso un altro sostegno in casa. «Prima tutti facevano a gara per adottarla, anche le associazioni animaliste, adesso di Saetta nessuno più vuol sentirne parlare», commenta Anna infastidita anche da certi comportamenti di alcuni vicini. «Hanno detto che Saetta è aggressiva quando non è vero e che vogliono fare la denuncia ai carabinieri: che la facessero così vengono e la portano via», si sfoga l’ex amica intima di Sabrina Misseri divenuta ora testimone chiave della sua accusa. «Noi vogliamo bene a Saetta e non vogliamo sbarazzarcene ma per i nostri cani spendiamo già 150 euro al mese di alimenti e medicine e purtroppo dobbiamo rinunciare a qualcosa». Ed ancora “No al sequestro conservativo di tutti i beni di proprietà di Cosima Serrano, rinviata a giudizio per concorso in omicidio, del marito Michele Misseri e del cognato Carmine Misseri, alla sbarra invece per concorso in occultamento di cadavere”. La corte d’assise di Taranto (presidente Rina Trunfio, giudice relatore Fulvia Misserini) ha respinto la richiesta degli avvocati Nicodemo Gentile, Valter Biscotti e Antonio Cozza, costituitisi parte civile nel procedimento per conto dei genitori di Sarah, Concetta Serrano Spagnolo e Giacomo Scazzi, e del fratello Claudio Scazzi. Già in sede di udienza preliminare, dinanzi al giudice Pompeo Carriere, la famiglia Scazzi presentò il conto, chiedendo tramite i legali complessivamente un risarcimento danni di 33 milioni di euro con una provvisionale immediatamente esecutiva di 300mila euro. La maggior parte delle richieste (27 milioni) era a carico dei tre imputati principali: Sabrina Misseri e Cosima Serrano, rispettivamente cugina e zia della vittima (oltre che ovviamente parenti delle parti civili), imputate di concorso in omicidio volontario, sequestro di persona e soppressione di cadavere, e Michele Misseri, accusato di concorso in soppressione di cadavere e danneggiamento (l’incendio degli indumenti e dello zainetto di Sarah). Sei milioni di euro, invece, sono stati chiesti come risarcimento danni agli altri due imputati di concorso in soppressione di cadavere e cioè il fratello di Michele, Carmine Misseri e il nipote Cosimo Cosma, detto Mimino. Questo fatto demarca in modo significativo il limito tra la sete di giustizia con l'interesse economico e/o vendicativo. Alla corte d’assise, era stato chiesto il sequestro conservativo dei beni perché «nel caso di specie - si legge nell’atto - vi sono fondate ragioni che lascino desumere la mancanza o la dispersione delle garanzie del credito, che deriva sia dall’entità del credito stesso, e sia dalla situazione di depauperamento del patrimonio dei debitori che potrebbero concretamente - visto anche il contenuto tenuto sino ad ora nel procedimento, disporre pregiudizievolmente dello stesso, al fine di sottrarsi alle plurime obbligazioni economiche che il coinvolgimento nella vicenda giudiziaria inevitabilmente ha fatto e farà sorgere rispetto a tutte le parti interessate». Secondo i giudici, invece, mancano i presupposti per l’adozione di un provvedimento di sequestro conservativo in quanto «il patrimonio immobiliare degli imputati, la cui consistenza è evincibile dai documenti allegati alla istanza della parte civile, non presenti quel canone di inadeguatezza o insufficienza rispetto alle pretese risarcitorie». I giudici sottolineano inoltre che non sono stati indicati elementi certi ed univoci di un potenziale depauperamento del patrimonio degli imputati che, lo si ribadisce, è comunque costituito da beni immobili, se si eccettua un generico riferimento ad un pericolo di dispersione». La richiesta di sequestro è stata peraltro rigettata allo stato degli atti e dunque non è escluso che possa essere ripresentata in futuro, qualora i difensori di parte civile dovessero ravvissarvi le condizioni per farlo. Per tornare al processo si evidenzia che sono presenti otto testimoni per cementare le accuse contro Sabrina Misseri e Cosima Serrano. Ci si avvale delle impressioni pubblicate sugli organi di stampa, debitamente filtrate da opinabili opinioni. Riprende in Corte di Assise il processo per l’omicidio della piccola Sarah Scazzi. Tra i testi chiamati dai pubblici ministeri a deporre in aula, spicca Donato Massari, l’uomo che il giorno della scomparsa di Sarah notò l’auto di Cosima Serrano sfrecciare ad alta velocità nelle strade di Avetrana e dice in aula: "Mia figlia mi disse che un giorno Sarah, all'uscita da scuola, le chiese di accompagnarla perché aveva paura di tornare a casa da sola con Sabrina". Per la pubblica accusa la sua testimonianza è importante poiché fornisce un riscontro ai movimenti di zia Mimina nel pomeriggio in cui la quindicenne scomparve nel nulla. Ma le sue parole serviranno anche per dimostrare come Cosima e sua figlia Sabrina vararono da subito una strategia per depistare le indagini e condizionare i testimoni. Pochi giorni dopo quel fatidico 26 agosto, infatti, le due imputate andarono proprio a casa di Massari per convincerlo a modificare quanto l’uomo aveva già riferito agli inquirenti. E fu proprio in quell’occasione che l’uomo vide la macchina della Serrano e la riconobbe come quella che aveva notato procedere ad alta velocità ad Avetrana proprio nei momenti precedenti alla scomparsa di Sarah. Oltre alla sua deposizione i magistrati acquisiranno quella di sua moglie Claudia Pernorio e di sua figlia Francesca. Il quadro delle testimonianze sarà completato da quelle del poliziotto Daniele Lanzo, di Giuseppe Serrano, fratello di Cosima Serrano, e di Anna Parisi, Anna Dimitri e Salvatore Sacco, vicini di casa Misseri. Nel primo pomeriggio del 26 agosto 2010, tornando dal lavoro, tra le 14 e le 14.20, mentre era alla guida dell'auto e stava arrivando vicino al campo sportivo di Avetrana, Massari vide uscire a gran velocità da una strada sulla sua sinistra la Opel Astra di Cosima Serrano, diretta verso il paese, seguita da un furgone blu. Il conducente dell'auto, secondo il teste, fece una manovra strana, tanto che lo stesso teste imprecò, mentre la Opel Astra si allontanava. Massari ha riferito anche che il 4 settembre 2010 Cosima Serrano e sua figlia Sabrina Misseri andarono a casa sua e lui riconobbe nella loro Opel Astra la stessa auto vista il 26 agosto precedente, tanto che la moglie decise di fotografare la vettura. Le due donne chiesero di parlare con la figlia di Massari per sapere se fosse a conoscenza di qualcosa su Sarah, che era scomparsa. Dopo due-tre giorni dalla prima visita, Cosima - ha aggiunto il teste - tornò a casa di Massari dicendo che era stata dai carabinieri per denunciare che un suo nipote aveva visto una persona con furgone bianco prendere Sarah, e chiedendo allo stesso Massari di dire agli investigatori che il furgone visto il 26 agosto era bianco e non blu. Dopo alcuni giorni Massari ricevette un'altra visita da Sabrina Misseri, sempre in relazione alla scomparsa di Sarah. «Sarah veniva spesso a casa mia a trovare mia figlia Francesca. Quest'ultima mi ha detto che una volta avevano perso il pullman per andare a scuola e Sarah le disse che non si fidava tanto della cugina Sabrina. Inoltre mi ha detto che Sarah non voleva andare da sola in auto con la cugina. Mia figlia mi disse che un giorno Sarah, all'uscita da scuola, le chiese di accompagnarla perchè aveva paura di tornare a casa da sola con Sabrina». Lo ha riferito il papà della compagna di scuola di Sarah Scazzi, Donato Massari, testimoniando in aula al processo per l'omicidio della quindicenne di Avetrana. «Ho detto solo nel giugno 2011 che quella vista il 26 agosto 2010 era l'auto di Cosima perché avevo paura per tutto quello che era successo». Lo ha detto il testimone Donato Massari, deponendo in aula al processo per l'omicidio di Sarah Scazzi. Nel settembre del 2010, quando era stato sentito per la prima volta, Massari aveva indicato l'auto - una Opel Astra - ma non specificando che si trattava di quella di Cosima Serrano, che è imputata del delitto insieme alla figlia Sabrina Misseri. «Cosima Serrano venne a casa mia e mi disse che, se mi avessero chiamato i carabinieri - ha riferito Donato Massari che il pomeriggio del 26 agosto del 2010 passava in auto nei pressi del Palazzetto dello Sport e del campo sportivo di Avetrana -, avrei dovuto dire che il furgone che avevo visto, affiancato a una Opel Astra Station Wagon grigio metallizzata, non era di colore blu ma bianco, anche perché ''la stessa Cosima riferì che un suo nipote aveva visto Sarah entrare in un furgone bianco». Le due principali imputate sono la stessa Cosima Serrano e la figlia Sabrina Misseri. La prima volta le due donne si presentarono a casa di Massari il 4 settembre, circa una settimana dopo la scomparsa di Sarah, e chiesero di parlare con Francesca, la figlia di Massari molto amica della ragazzina scomparsa ma non ottennero di incontrarla. La moglie di Massari fotografò dall'alto l'automobile di Cosima Serrano che è appunto una Opel Astra station wagon grigio metallizzata proprio perché, come ha spiegato il testimone, aveva parlato alla consorte in precedenza della scena che avrebbe visto il 26 agosto. L'uomo non ha saputo indicare con certezza l'orario dell'avvistamento: sia nei verbali che in Aula ha riferito di aver assistito alla scena dei due mezzi affiancati, l'Opel Astra e il furgone blu, prima alle 14.35 e in un secondo momento tra le 14 e le 14.20. L'uomo ha detto che dopo aver visto le due vetture una vicina all'altra, ''l'Opel ha fatto una manovra azzardata e ha quasi rischiato di tamponare un'altra macchina''. Massari non ha visto chi era a bordo della Opel, né la targa di quest'ultimo veicolo, mentre è stato più preciso sul colore del furgone, sicuramente blu, e sul conducente dello stesso furgone, un giovane di circa 25 anni con baffi folti e una capigliatura che sembrava una parrucca. Il testimone ha riferito che dopo la prima visita del 4 settembre in occasione della quale le due imputate chiesero di parlare con la figlia Francesca per sapere se sapeva qualcosa di Sarah, passati alcuni giorni, si presentò da sola Cosima chiedendogli appunto di riferire ai carabinieri di aver visto un furgone bianco e non blu. Infine, dopo qualche giorno si presentò solo Sabrina che ''mi chiese dettagli sulle fattezze del conducente del furgone''. Massari non è stato molto preciso neanche sui giorni in cui le donne si presentarono a casa sua. Francesca Massari è uno scricciolo di ragazza di poco più di 16 anni: «con Sarah ci conoscevamo da quando avevo otto anni», risponde al presidente di Corte d’Assise, Rina Trunfio. Sarah avrebbe avuto la stessa età di Francesca. Carine tutte e due, insieme frequentavano l’istituto alberghiero: parlavano di ragazzi e di amicizie, di profili su Facebook e di innamoramenti. «Mia figlia non è più la stessa - rivela la mamma Claudia Pernorio, anche lei teste al processo -. La tragedia di Sarah l’ha segnata profondamente, ha sconvolto la sua vita e cambiato anche la nostra. Non riusciva più a fare niente. Non studiava, aveva difficoltà a concentrarsi, è stata bocciata e voleva ritirarsi. Lentamente, siamo riusciti a spronarla e l’abbiamo convinta a continuare a studiare. Adesso frequenta anche una scuola di ballo». La testimonianza della ragazzina, forse l’unica amica di Sarah, scuote l’udienza. Viso delicato, aggraziata, occhiali ben intonati alla faccia pulita, attira l’attenzione su di sé. Sia i pm sia gli avvocati la trattano con delicatezza, le danno del «tu». Lei risponde e qualche volta dice «non ricordo». Il processo per due ore riacquista il suo significato e la sua intensità. La mamma di Sarah, Concetta, è attentissima. Le parole, pronunciate da un’adolescente che parla della sua amica del cuore, ridiventano autentiche e svelano travagli e speranze che i genitori sono gli ultimi a conoscere. Sabrina, sua madre Cosima e il padre Michele Misseri, l’uno a pochi metri dall’altro, sembrano uscire dalla fissità dei loro ruoli; guardano la ragazzina, sorpresi dalla forza dei suoi ricordi. Sarah così fa irruzione, e fa passare in secondo piano ogni altra valutazione, anche quelle giuridiche. È diventato molto strano questo processo. I protagonisti, via via, hanno costruito piccoli mondi chiusi, fortilizi con muri esclusivi e sempre più stretti, ciascuno con i suoi avvocati. È come se avessero preso le distanze da se stessi e dalla storia comune, da quello che sono - forse erano - nella vita reale: una famiglia con tensioni ma unita, poi dilaniata da una tragedia che l’ha chiamata in causa come nucleo di persone corresponsabili, e che ora li allontana e li fa diventare sconosciuti l’un all’altro. Hanno dimenticato la verità i Misseri: dalla verità dei fatti avvenuti nel primo pomeriggio del 26 agosto 2010 nella loro villetta verde si sono allontanati prima con paura, poi in modo sempre più deciso. Altre urgenze li hanno trascinati in un mondo irreale e sconvolto. «In questo allontanamento - sostiene un giovane avvocato attento ai profili psicologici - hanno costruito con l’immaginazione un altro mondo, e l’immaginazione è diventata realtà». Misseri, il contadino preciso come le forbici della potatura, la prima udienza ha pianto. Anche Sabrina ha fatto vedere le lacrime, nella gabbia sotto i riflettori tv; Cosima è stata sempre ferma, in mezzo all’aula di Corte d’Assise, bloccata nei suoi pensieri e nella sua inespressività. Sembrano statue di sale. Ma l’amica di Sarah li fa sobbalzare. Assistere alla testimonianza di una ragazzina fa rivivere Sarah il cui nome, pronunciato in modo innocente, rivela una presenza vera e richiama alla responsabilità. Fino a quel momento, con gli altri testimoni che si alternavano nell’aula, aveva vinto il torpore delle cose ripetute e trascritte nei verbali. Anche Donato Massari, un teste importante nell’economia dell’ufficio dei pm, il padre di Francesca, aveva ripetuto le sue rivelazioni. Anzi, l’operaio a volte si tradiva nei ricordi, tanto che Misseri, rivolto agli avvocati, ha sussurrato nervoso: «Questo è scemo. Dice che non mi conosce. E poi non ricorda neanche quando ha preso la patente. Ma come, si è dimenticato che l’abbiamo presa insieme, quasi dieci anni fa e che sta per scadere?». Il contadino, quando Massari parla del furgoncino blu, dell’Opel Astra grigia e del guidatore con parrucca e baffi, sbotta: «Ma se lo sanno tutti che vede come una talpa». Ma è Francesca la protagonista. Quando magistrati ed avvocati finiscono di farle domande, lei accompagnata da una zia corre veloce all’uscita. «Possiamo andare - dicono i genitori -. Speriamo che sia finita».
Resoconto della giornata.
ORE 11:23 – Parla Donato Massari. «Mia figlia mi disse che un giorno Sarah, all’uscita da scuola, le chiese di accompagnarla perchè aveva paura di tornare a casa da sola con Sabrina. Ho detto solo nel giugno 2011 che quella vista il 26 agosto 2010 era l’auto di Cosima perchè avevo paura per tutto quello che era successo».
ORE 14:41 – Parla Claudia Pernorio. «Quando Cosima e Sabrina vennero a casa chiedendo di far scendere mia figlia, fotografai l’auto con cui erano arrivate per sicurezza, anche se non le conoscevo. Poi la sera mio marito mi disse che quell'auto era la stessa che lui aveva visto nel pomeriggio del 26 agosto 2010». Secondo la tesi dell’accusa, in quei frangenti Cosima Serrano e sua figlia Sabrina Misseri stavano andando a bloccare in strada Sarah che era andata via dalla loro abitazione. Prima della deposizione di Pernorio, si era conclusa quella di Donato Massari, che nel corso del controesame da parte del collegio difensivo degli imputati ha mostrato alcune lacune in relazione all’orario del presunto avvistamento dell’auto di Cosima Serrano. «Cosima Serrano venne a trovare due volte mio marito, Donato Massari, il 4 e 5 settembre del 2010 per dirgli che avrebbe dovuto dire di aver visto un furgone di colore bianco anziché blu nel pomeriggio del 26 agosto. Cosima Serrano, ha sottolineato la moglie di Massari, venne da mio marito perché fornisse questa versione ai carabinieri qualora l'avessero interrogato, anche perché un nipote della Serrano aveva già riferito di aver visto un furgone di analogo colore bianco e quindi, in quel caso, le versioni sarebbero state concordanti». La moglie di Massari ha poi confermato le date del 4 e 5 settembre 2010 fornendo anche due scatti fatti col cellulare, con la data sovrimpressa, che ritraggono l'Opel Astra grigia di Cosima Serrano. Proprio quest'auto fu vista dallo stesso Donato Massari nel pomeriggio del 26 agosto 2010, quando cioè fu uccisa Sarah, compiere "una manovra spericolata" nelle strade di Avetrana. Nel corso dell'udienza è poi accaduto che la moglie di Massari abbia risposto anzitempo a una domanda formulata da Franco De Iaco, avvocato di Cosima Serrano, cioè prima che quest'ultimo completasse il suo quesito. "Prendo atto di quello che è successo", ha commentato De Iaco, mostrando una reazione di disappunto e di dubbio per quanto accaduto.
ORE 16:01 – Parla Francesca Massari. Sale al banco dei testimoni anche Francesca Massari, amica e compagna di Sarah, la quale descrive il rapporto tra le due cugine:«Sabrina e Sarah erano come sorelle ma qualche volta litigavano via sms: Sarah non mi ha mai detto perché……. Sarah e Sabrina stavano sempre insieme perché la madre di Sarah la faceva uscire solo con lei che era più grande……. Sarah non si fidava tanto della cugina Sabrina…… Non voleva andare da sola in auto con lei». Dichiarazioni, quest’ultime, utili all’accusa che ritiene la gelosia di entrambe le cugine, nei confronto del ragazzo conteso, Ivano Russo, il movente che ha poi scatenato l’omicidio. «Quando vennero a casa Cosima e Sabrina, quest’ultima mi chiese di salire a bordo della loro auto, ma dissi di no. Sabrina mi chiese se Sarah, che era scomparsa, mi avesse detto qualcosa di particolare». Il giorno del delitto la ragazzina inviò prima un messaggio e poi fece uno squillo sul cellulare di Sarah, ma senza ottenere risposta. Sui rapporti tra Sarah e la cugina Sabrina Misseri, la ragazzina ha riferito che “Sarah mi diceva che erano come due sorelle, ma qualche volta litigavano”. La testimone ha confermato l’episodio, detto in precedenza in aula dal padre, anche lui testimone, relativo ad un giorno in cui Sarah manifestò timore nei confronti di Sabrina. «Non mi ricordo quando accadde – ha detto la ragazzina – forse era ad inizio di anno scolastico. Sarah, all’uscita da scuola, mi disse che aveva paura ad andare da sola con Sabrina». La ragazzina ha inoltre parlato del profilo Facebook di Sarah che lei gestiva insieme all’amica quindicenne. «Chattando su Internet attraverso il profilo Facebook, Sarah Scazzi aveva allacciato alcune amicizie, incontrandosi anche con una persona sposata, di nome Antonio, con il quale poi le comunicazioni si interruppero per la differenza di età». La ragazzina ha inoltre precisato che quando Cosima Serrano e Sabrina Misseri si presentarono a casa sua, qualche giorno dopo che Sarah era scomparsa, Sabrina chiese anche se Sarah le avesse parlato di qualche ragazzo al quale era interessata. Il nome del Gruppo verità e giustizia per Sarah Scazzi, nato su Facebook all’indomani della scomparsa della quindicenne di Avetrana per contribuire alle ricerche della ragazzina prima e successivamente alla verità sulla sua morte, è finito nuovamente nei faldoni del processo per il delitto. L’avvocato Nicola Marseglia lo ha citato chiedendo ad Francesca Massari, la compagna di scuola e amica del cuore di Sarah, se fosse iscritta. La ragazzina ha risposto spiegando di non aver chiesto di aderire, ma di essere stata iscritta automaticamente. Uno degli amministratori del Gruppo, Giuseppe Centonze, impiegato di origini baresi residente a Bologna, tra lo stupito e l’indignato, si chiede il perché di questo accanimento. La triste storia di Sarah, lo ha coinvolto in una lunga avventura virtuale che è diventata poi una battaglia di giustizia. «Della vicenda di Sarah - dice Centonze -, i social network si sono interessati sin dal giorno della scomparsa. Non siamo gli unici. Siamo nati con lo scopo di manifestare solidarietà alla famiglia Scazzi e come luogo virtuale d’incontro e di confronto sul caso». Il Gruppo, che oggi conta 173 membri da ogni parte d’Italia, ha seguito attentamente l’inchiesta nella fase delle indagini preliminari e lo fa tuttora con il processo in corte d’assise a Taranto. «Partendo dagli atti dell’inchiesta che sono stati resi pubblici, dagli articoli giornalistici e dai servizi delle tv - spiega Centonze -, ci siamo confrontati per cercare di capire chi, come, quando e perché ha ucciso Sarah e l’ha gettata in un pozzo. Senza una posizione precostituita nei confronti di qualsiasi persona coinvolta nella vicenda, nella speranza che si arrivi alla ricostruzione della verità storica non solo di quella processuale». Sarah, sulle pagine del Gruppo, è stata sempre al centro della vicenda. La vittima, prima di tutto. «Ad agosto 2011 - racconta Centonze -, una nostra delegazione è stata ricevuta dalla famiglia Scazzi ad Avetrana. Abbiamo conosciuto una famiglia che con grande dignità affronta il proprio dolore, una mamma che aspetta di capire perché le hanno strappato la figlia 15enne». Ma poi la situazione è cambiata. «Da quel momento - spiega Centonze -, il nostro Gruppo è finito sotto i riflettori della difesa di Sabrina Misseri. Siamo stati citati nell’istanza di rimessione del processo, poi bocciata dalla Corte di Cassazione, nel corso dell’interrogatorio di Ivano Russo e in quello di Mariangela Spagnoletti. E oggi anche in quello dell’amica di Sarah. Eppure esistono anche pagine o gruppi nati a sostegno di alcuni indagati, poi imputati. Non capiamo che tipo di utilità possa rivestire nel dibattimento, un gruppo Facebook - conclude Centonze -, ma se si ritiene che ciò possa aiutare a ricostruire la vicenda e a determinare le responsabilità, allora che la difesa di Sabrina Misseri ponga pure all’attenzione della Corte d’Assise di Taranto le pagine e i Gruppi come il nostro».
ORE 17:01 – Parla Anna Parisi. Ma nel processo si è insinuata un'altra zona d'ombra. Secondo quanto riferito in aula da una vicina di casa dei Misseri, Anna Parisi, il 5 ottobre 2010, vigilia della prima confessione di Michele che determinò il suo arresto, la figlia della stessa Parisi si recò a casa Misseri per disdire un appuntamento della madre con Sabrina per trattamenti estetici. La ragazza, giunta sotto casa, sentì le grida di un uomo provenire dall'abitazione, citofonò tre volte ma senza ottenere risposta. Per l'accusa, quelle grida potrebbero essere frutto di una lite in casa Misseri legata alla scomparsa di Sarah. «Ho incontrato Michele Misseri il giorno dopo che era stata fatta la denuncia per la sparizione di Sarah. Gli ho chiesto se aveva notizie e mi disse di non sapere nulla, poco dopo disse che probabilmente era stata rapita da qualche zingaro rumeno, forse per cause legate al traffico di droga o per prostituzione minorile» - Queste le parole di Anna Parisi, vicina di casa Misseri e legata da vincoli di parentela alla famiglia Serrano. Anna Parisi abita in via Deledda, a circa una cinquantina di metri da casa Misseri dove i pm asseriscono che sia stato commesso l'omicidio, a differenza di quanto afferma Michele Misseri, che continua ad autoaccusarsi di avere ucciso Sarah nel garage-magazzino. La testimonianza continua: Anna Parisi ha riferito che il 27 agosto, il giorno dopo il delitto, Michele Misseri le avrebbe detto che, insieme alla moglie Cosima, sarebbe andato a ritirare dei volantini da affiggere in paese per la ricerca della nipote. Avrebbe incontrato anche Valentina, la sorella di Sabrina, che sarebbe sbottata in un'esclamazione di nervoso dicendo che ora tutti si interessavano di Sarah, mentre prima nessuno la considerava : «Ora tutti vi state interessando di Sarah, quando nessuno prima se ne interessava. Tra 3 o 4 giorni, quando sarà tornata, saprete chi siamo e chi non siamo». Altro elemento della dichiarazione: Giusy Serrano, la figlia di Anna Parisi che sarà ascoltata come teste nel corso della prossima udienza, il 5 ottobre 2010, ovvero il giorno precedente al ritrovamento del corpo di Sarah e dell'arresto di Michele Misseri, andò a casa di Sabrina verso le 9 del mattino per un trattamento estetico. Nessuno la fece entrare e anzi, udì chiaramente le urla di una voce maschile e, spaventata, tornò velocemente a casa. Sabrina successivamente disse che si trovava in bagno e non aveva sentito suonare alla porta, ma non fece menzione delle urla. Anna Parisi, oltre a essere parente della famiglia Serrano, frequentava il gruppo dei Testimoni di Geova, insieme a Concetta Serrano Scazzi, la madre di Sarah. Quindi molto vicina alla sorella di fede. Ha detto che ogni tanto vedeva quest'ultima quando la ragazza andava a casa degli zii o la sentiva quando accudiva i cani o i gatti della zona o nel giardino della casa della famiglia Misseri. Con Cosima e Sabrina si vedevano qualche volta per i trattamenti estetici e si salutavano per strada.
ORE 18:05 – Parlano Salvatore Sacco ed Anna Dimitri. Vicini di casa dei Misseri. Ininfluente la loro testimonianza. Uno dei testimoni, Anna Dimitri, vicina di casa dei Misseri, residente in via Deledda, ha accusato un lieve malore ma si è subito ripresa ed è stata sottoposta ad interrogatorio.
ORE 19:06 – Parla Giuseppe Serrano. Una testimonianza scandita da tanti non ricordo quella di Giuseppe Serrano, fratello di Concetta e Cosima, ma vicino a quest’ultima stando al tenore delle sue dichiarazioni. «Il 26 agosto 2010 Michele Misseri arrivò nel terreno dietro la sua casa per raccogliere fagiolini non prima delle 15.30 e mi disse che Sarah non si trovava». «Quando raccoglievo i fagiolini vedevo spesso Cosima affacciarsi dal balcone della sua abitazione ma quel giorno non la vidi. - E’ quanto ha dichiarato il 6 ottobre 2010 il testimone che in aula ha fornito un’altra versione. - Non ricordo se la vidi il pomeriggio del 26 agosto». Anche sul ritrovamento del cellulare di Sarah, Giuseppe Serrano ha spiegato di non ricordare da chi lo avesse saputo: “Forse dalle tv”. Poi gli è tornata la memoria e ha confermato le dichiarazioni rese durante le indagini. «Me lo ha detto Michele ma non mi ricordo il giorno. Mi è sembrato strano che lo avesse trovato Michele». E’ stata la sua considerazione ma non ha saputo spiegare il perchè lo trovasse strano. I rapporti con Concetta? «Sono ottimi ma in questo periodo ci siamo allontanati. Noi vogliamo la verità, gli Scazzi vogliono vendetta. In loro vedo rabbia. Il teste ha inoltre detto di aver appreso dai "media", all’epoca, del ritrovamento del telefonino di Sarah (29 settembre 2010), e non da Michele Misseri, come riferito in precedenza agli inquirenti. Serrano, che risiede in Germania, ha aggiunto di essere tornato ad Avetrana (Taranto) nell’ottobre del 2011, in attesa del processo, ed ha fornito alcune risposte rileggendo appunti riportati su un foglietto ricavati - ha detto – da altri appunti segnati su calendari del 2010.
ORE 20:25 – Parla Daniele Lanzo. Nell’udienza è stato ascoltato anche un ispettore della Polizia, Daniele Lanzo il quale ha ripercorso un episodio indecifrabile avvenuto nella fase iniziale delle indagini. «Sabrina mi disse che suo padre aveva rinvenuto una sim card. Non si sapeva di chi fosse ma, considerando il caso del periodo, la invitai a segnalare l’accaduto ai carabinieri». Qualche giorno dopo la scomparsa di Sarah, Sabrina Misseri riferì ad un ispettore di polizia i sospetti sul padre della cugina, Giacomo Scazzi, per alcune sue presunte amicizie poco 'raccomandabilì a San Pancrazio Salentino (Brindisi). Lo ha detto, confermando quanto già indicato durante l’inchiesta in una relazione di servizio, lo stesso poliziotto, Daniele Lanzo, all’epoca in servizio al commissariato di Manduria (Taranto), che svolse alcune indagini. Proprio all’ispettore Lanzo, Michele Misseri riferì, successivamente, di aver trovato dinanzi ad una scuola guida una scheda telefonica, facendo intendere che poteva trattarsi di quella di Sarah. «Dieci giorni dopo la morte di Sarah, ricevetti - ha detto Lanzo -, una telefonata da Sabrina Misseri che mi chiese di raggiungerla a casa perché disse che aveva notizie utili per il rintraccio della cugina. Io mi recai in via Deledda e venni accolto dalla mamma della ragazza, Cosima Serrano e dal padre Michele Misseri. Sabrina mi disse che sospettava dello zio Giacomo perché questi, tempo prima, aveva avuto a che fare con la legge e conosceva gente di dubbia reputazione. Quando finimmo il colloquio - ha aggiunto Lanzo -, mi fermò Michele Misseri e mi disse di aver trovato una scheda telefonica a ridosso del marciapiedi vicino ad una scuola guida. Ma mi disse di averla persa perché era custodita nel fazzoletto che aveva in tasca. Gli dissi di fare mente locale e di cercare. Lui mi assicurò che lo avrebbe fatto e che avrebbe visto nel garage. Lo disse a Sabrina e lei lo assecondò. Poi gli raccomandai di riferire l'episodio ai carabinieri». Con la deposizione di Lanzo si è conclusa la settima udienza del processo. La prossima è fissata per martedì 6 marzo; prevista l’audizione di nove testimoni. Per quella occasione sono stati convocati dall'accusa nove testimoni: Battista Serrano, Giuseppa Serrano, Ada Maria Serrano, Livia Olivieri, Oronzo Dimitri, Bruno Scarciglia, Cosimo De Vanna, Marianna Cucci e Carmelo Sacco.
Il contro canto: analisi delle deposizioni fin qua rese.
Arrivati nel ventre del processo e riportate le cronache delle udienze così riferite da “Il Corriere della Sera” o da “La Gazzetta del Mezzogiorno” ed altri organi di stampa, il tutto filtrato dalla mia cognizione diretta, prodotta anche in video, al fine di non oltraggiare la verità, dobbiamo soffermarci su alcuni aspetti importanti, ma tralasciati da tutte le redazioni tv e cartacee, e lo facciamo con il commento di Maria Corbi de “La Stampa” estrapolato dai suoi articoli in riferimento all’udienza del 21 febbraio e l’udienza del 28 Febbraio. La Corbi la si considera come una mosca bianca nell’universo giornalistico: non perché sia amica o meno di Sabrina, ma perché affronta asetticamente e civilmente i fatti su cui la sua cognizione poggia. Tra i testi chiamati a deporre ci sono Donato e Francesca Massari, padre e figlia. Il primo vide, più o meno all'ora del delitto «un furgone blu guidato da una persona con la parrucca e una Opel Astra station wagon come quella della mamma di Sabrina». Francesca era una delle migliori amiche di Sarah. La scorsa udienza, dove sono state ascoltate le sorelle Spagnoletti, Alessio Pisello, e altri due testi. E’ importante leggere integralmente le deposizioni e quello che avviene in aula perché solo così ci si può formare un’idea autonoma. Io continuo a credere che la prudenza nell’accusare le persone non è mai troppa e che la base del nostro diritto impone sempre il principio del dubbio pro reo: ogni fatto o circostanza che può avere due spiegazioni deve sempre letta attraverso la lente più favorevole all’indagato o imputato. Purtroppo in questa vicenda come in altre, e ricordo lo scempio del caso di Gravina, c’è chi si affanna a dettare sentenze di colpevolezza con leggerezza. E non parlo certo dei magistrati che fanno il loro lavoro (anche se penso che un pubblico ministero debba portare avanti quando esistono anche le circostanze a favore dell’indagato visto che suo compito non è accusare ma cercare la verità), ma di una banda di incivili che bazzicano il web e non solo purtroppo. Ognuno fa i conti con la propria coscienza e con la propria professionalità. Io ritengo che un giornalista degno di questo nome debba farsi portavoce della prudenza e del dubbio. E la prudenza e il dubbio richiedono il rispetto per gli indagati fino a sentenza definitiva. E una grande attenzione per le ragioni della difesa. La prima ad essere ascoltata è stata la sorellina di Mariangela Spagnoletti. Alessandra. La ragazzina dice ai pm che Sabrina era preoccupata quando aspettava Sarah e che era in strada non in veranda come sostiene Sabrina. Ma dice anche che quando non ha visto Sarah anche lei si è preoccupata. Alessandra sostiene di non aver mai parlato in casa e con la sorella della vicenda di Sarah, ma qualche ora dopo è proprio la sorella a smentirla dicendo come è logico che sia che a casa se ne parlava eccome. Questo passaggio è importante per capire quanto spontanea o quanto filtrata (e sedimentata da discorsi, passaggi tv, voci di paese) sia la testimonianza di questa ragazzina. Alessandra poi si ricorda benissimo come erano vestite Sabrina e Cosima. E anche Michele (specifica che aveva le maniche della camicia al gomito, arrotolate). Ma non ricorda invece come fosse vestita sua sorella. Tutti elementi che la giuria togata e popolare dovrà valutare. E durante questa audizione c’è stato il primo attrito tra accusa e difesa. Il pm può chiedere alla teste se secondo lei Sabrina era preoccupata, ma l’avvocato della difesa, Roberto Borgogno (studio Coppi) non può chiedere alla teste se anche lei ha pensato subito che l’avevano rapita. Perché la preoccupazione secondo la presidente è una manifestazione fisica (?) mentre la domanda della difesa riguarda uno stato psicologico. Mah…. Giuseppe Olivieri, il datore di lavoro della moglie del supertestimone Petarra , Pamela Trono e della sua amica ha spiegato che le due donne lavoravano una sola ora a settimana e d’estate lavoravano nei giorni che decidevano loro visto che il pomeriggio gli uffici erano chiusi. Questo significa che la certezza con cui Petarra ha definito il suo avvistamento di Sarah non esiste più. Petarra ha sostenuto che erano circa le 13,45 e si è detto sicuro dell’orario poiché la moglie prendeva servizio in ufficio alle 14, ed era appena uscita per andare al lavoro dopo avergli raccomandato di badare in casa al loro figlio piccolo. Per la Procura questa è una testimonianza importante perché dimostrando che Sarah è arrivata a casa Misseri poco prima delle 14,00 si può pensare a una colpevolezza di Sabrina. (e bisognerebbe comunque dimostrarla, come ha ricordato anche la Cassazione). Ma anche se fosse così rimane quell’sms delle 14,25,08, archiviato nella memoria del telefonino di Sarah, in cui Sabrina le dice di prepararsi per andare al mare. Sms che Sarah comunica alla madre avvertendo che sta per uscire. Circostanza confermata anche dalla badante rumena. La Procura sostiene che Sarah abbia mentito alla mamma per uscire senza lavare i piatti. Secondo l’accusa ovviamente questo scambio di sms non sarebbe che una costruzione di alibi. E si deve pensare a una Sabrina feroce che mentre ammazza la cugina nello stesso tempo si crea l’alibi maneggiando i due telefonini. E anche in questo caso come avrebbe fatto Sabrina a sapere che Sarah aveva detto una bugia alla mamma sull’sms? Ma sugli orari è venuto in aiuto alla difesa anche Vito Donato La Stella, un geometra con studio ad Avetrana. che ha detto di avere visto mentre tornava a casa dal lavoro una sagoma, probabilmente dunque Sarah, e la avrebbe vista sicuramente in un lasso di tempo che non è compatibile con l’ipotesi accusatoria. Perché La Stella dice (pagina 57 del verbale) che alle 14,05 ha spento il computer e se lo ricorda perché come sempre ha guardato l’ora e poi è andato in giro per l’ufficio a chiudere tutte le porte, attività che ha contabilizzato in circa otto minuti. Per andare a casa sua a Torre Colimena deve passare da viale Kennedy e si ferma a vedere i necrologi appesi al muro. E quando è ripartito ha visto una sagoma. Probabilmente Sarah che era uscita da casa. E facendo la somma dei minuti forniti da la Stella ecco che si torna all’sms ricevuta da Sarah da parte della cugina e all’uscita di Sarah da casa dopo le 14,25. D’altronde non si può dimenticare che la mamma della ragazzina, Concetta, nella denuncia di scomparsa dice che la ragazzina è uscita di casa alle 14,30. E veniamo a Mariangela Spagnoletti. Mariangela dice chiaramente che a Sabrina piaceva Ivano. E su questo mi sembra che possano non esserci più dubbi. Ma basta ad uccidere una persona che tra l’altro è per te come una sorella? Mariangela dice che Ivano coccolava più Sarah di lei e lo faceva come un fratello maggiore. Ma dice anche che Sabrina era stata gelosa di una ragazza che parlava con Ivano e anche di lei una volta che erano andati tutti insieme al mare. Mentre non ha mai saputo che Sabrina fosse gelosa di Ivano e soprattutto che non avevano mai saputo che a Sarah piacesse Ivano. Nella testimonianza di Mariangela, poi, il famoso litigio che sarebbe avvenuto al pub la sera prima della scomparsa di Sarah in realtà non sarebbe tale. Perché per litigare occorrono due voci e in quel caso fu solo Sabrina a rimproverare, o forse a sfottere Sarah dicendole che si vende per sue coccole e che anche sua madre lo diceva. Un po’ poco per essere alla base di un efferato omicidio. E soprattutto dopo un litigio come acceso come la Procura lo descrive la logica vorrebbe che le due ragazze fossero rimaste lontane per qualche tempo. Invece la sera stessa organizzano la gita al mare e il giorno dopo di buon ora Sarah è già a casa di Sabrina con cui conta di passare tutta la giornata. E il feroce litigio allora? Mariangela Spagnoletti ammette che Sarah e Sabrina erano come due sorelle e che Sabrina si comportava da sorella maggiore. Avete mai visto due sorelle non litigare? O non rimproverarsi? Forse Sabrina ha peccato di insensibilità apostrofando la piccola Sarah con quelle parole, ma basta questo a renderla un’assassina? Mariangela ha detto chiaramente che in macchina questo era già superato e si parlava di andare al mare il giorno dopo. Molte le contestazioni fatte dalla difesa a Mariangela. Per esempio sullo stato d’animo di Sabrina appena Mariangela arrivò a casa sua. In un primo verbale Mariangela dice che non era agitata e che poi si sono agitate insieme, dopo la telefonata. Sentita successivamente questa percezione della preoccupazione di Sabrina cambia. Mariangela dice anche che Sarah era sempre puntuale. Circostanza che sarà poi avallata nella testimonianza di Alessio Pisello che definisce Sarah. E alla luce di questa puntualità della ragazzina è chiaro che la preoccupazione per un ritardo si affacci prima in chi la aspetta. Mariangela ammette di far parte di un gruppo colpevolista su Facebook anche se dice di non aver mai commentato. Dall’audizione di Alessio Pisello, uno dei migliori amici di Sabrina, emerge che Sabrina gli avesse detto solo vagamente come era vestita Sarah nella prima telefonata dopo la scomparsa, e solo successivamente precisò gli abiti dicendo che lo aveva saputo da Concetta. E se si torna al verbale della madre di Sarah, Concetta, dove si legge che è la badante romena ad aver notato anche i minimi particolari dell’abbigliamento della ragazzina e ad averli riferiti come è normale che sia quando si cerca una persona. E infatti nella denuncia di scomparsa è scritto come è vestita Sarah. E quando Pisello riferisce che fu Cosima a indirizzarli a contrada Mosca la notte del ritrovamento del corpo è chiaro che lo fece perché aveva la casa piena di giornalisti che le avevano dato l’informazione. E infatti a indicare la strada per la Mosca a Ivano che guidava non fu Sabrina ma Alessio.
La difesa accusa: troppa disinformazione.
Certo è strano come le cose possano essere raccontate in una maniera diversa da quella reale. Nell’udienza per il processo Misseri sono stati ascoltati tra gli altri l’amica di Sarah Francesca Massari e suo padre Donato. Le agenzie di stampa nazionali subito titolano “Sarah aveva paura di Sabrina”, le agenzie più caute dicono che “Sarah aveva paura di restare sola con Sabrina”. Peccato che si scordino di raccontare, come anche molti giornali locali, la circostanza completa entro cui collocare questa frase. Francesca Massari ha chiarito bene in aula che questa cosa successe all’inizio dell’anno scolastico, quindi siamo a settembre 2009, un anno prima della morte di Sarah. Sarah aveva perso l’autobus per andare a scuola e chiese aiuto a Francesca perché altrimenti se avesse chiamato Sabrina si sarebbe arrabbiata. Come sappiamo da altre testimonianze, compresa quella di Francesca Massari, Sabrina si comportava con Sarah come una sorella maggiore quasi una mamma e rimproverava spesso la ragazzina per i ritardi a scuola, perché non era in ordine, perché non aveva fatto i compiti. Detto questo, comunque, Sabrina quel giorno portò Sarah a scuola facendosi prestare una macchina. Capite bene che messa in questi termini e in questo spazio temporale, molti mesi prima della morte della piccole, la frase , assume tutto un altro significato. Ma molti giornalisti hanno pensato bene di non chiarirlo o forse di non informarsi bene. In udienza su questa circostanza c’è stata anche una lunga pausa perché i pm volevano contestare il fatto che questa frase fosse stata pronunciata un anno prima e non in prossimità del delitto. Hanno detto che il padre della ragazzina aveva detto un'altra cosa e non che era stato un anno prima. Invece la presidente ha disposto di riascoltare il nastro con la registrazione a verbale e si è sentito chiaramente che il padre non aveva mai collocato temporalmente la frase. Altro passaggio importante dell’udienza: gli orari. Massari ha detto che lui vide la macchina che poteva essere di Cosima alle 14,35/14,40 ( seguita da un furgone blu alla cui guida c’era un uomo con parrucca e baffi). Orario che fissa partendo dall’ora in cui uscì dal lavoro (circa le 14,15). Anche la moglie di Massari conferma di aver saputo dal marito che l’avvistamento era avvenuto a quell’ora. E la figlia sostiene che quando ha mandato un sms a Sarah alle 14,20 il padre non era ancora tornato a casa. In ogni caso Massari ha detto di non aver riconosciuto Cosima alla guida. Comunque a quell’ora secondo la ricostruzione dei pm Sarah era già morta. E che ci faceva Cosima, che oltretutto secondo Massari faceva manovre spericolate, con la macchina, diretta verso il paese? E soprattutto Mariangela arrivò a casa Misseri alle 14,35. Ancora una volta la deposizione di un teste scompone il puzzle degli orari della procura. Ma anche qui le agenzie di stampa raccontano un’altra storia. Tanto che in Tribunale l’avvocato Marseglia (difesa di Sabrina Misseri) e De Jaco (difesa di Cosima Serrano) hanno avuto una discussione con i giornalisti presenti rinfacciandogli cronache poco obiettive. Disinformazione: commenta amaro Nicola Marseglia. Massari ha riferito anche che il 4 settembre 2010 Cosima Serrano e sua figlia Sabrina Misseri andarono a casa sua e lui riconobbe nella loro Opel Astra la stessa auto vista il 26 agosto precedente, tanto che la moglie decise di fotografare la vettura. Le due donne chiesero di parlare con la figlia di Massari per sapere se fosse a conoscenza di qualcosa su Sarah, che era scomparsa. Dopo due-tre giorni dalla prima visita, Cosima tornò a casa di Massari dicendo che un suo nipote aveva visto una persona con furgone bianco quel 26 agosto, e chiedendo allo stesso Massari di dire agli investigatori che il furgone visto il 26 agosto era bianco e non blu (anche qui secondo quanto riferiscono le agenzie, quando avremo la trascrizione dell’udienza capiremo esattamente cosa è stato detto). Dopo alcuni giorni Massari ricevette un'altra visita da Sabrina Misseri, sempre in relazione alla scomparsa di Sarah. Quando si ascolteranno le imputate (di solito questo avviene a cavallo tra i testi di accusa e difesa) risponderanno a queste contestazioni. Ma Cosima ha già spiegato, quando era in grado di farlo, che lei e la figlia andavano a fare domande per aiutare nelle ricerche. E che quando Massari gli disse che il furgone che aveva visto era blu e non bianco lei ne prese atto senza indurlo a dire il contrario. E poi mi si deve spiegare che importanza ha questo fantomatico furgone visto che non si è mai trovato, e soprattutto nessuno ha mai spiegato (nemmeno l’accusa) a cosa sarebbe servito. Francesca Massari ha ammesso che Sarah aveva agganciato con il computer due ragazzi, uno dei quali si chiamerebbe Antonio e c’era rimasta male quando questa gli aveva detto: sei troppo piccola. Poi aveva preso interesse a maggio per un altro ragazzo. Come è normale per una adolescente. Sarah non gli ha mai parlato invece di Ivano. Quindi ad oggi nessuno dei testi ascoltati ha riferito di essere a conoscenza né della simpatia di Sarah per Ivano, né della gelosia di Sabrina per Sarah a causa di Ivano.
6 marzo. Ottava udienza. Parla Battista Serrano, Giuseppa Serrano, Ada Maria Serrano, Livia Olivieri, Oronzo Dimitri, Bruno Scarciglia, Cosimo De Vanna, Marianna Cucci e Carmelo Sacco.
Le deposizioni dei nove testimoni sono utili per ricostruire i rapporti fra Sarah e Sabrina, fra le due cugine e la loro comitiva e soprattutto fra le rispettive famiglie, gli Scazzi e i Misseri. Nell’udienza odierna (l’ottava) sono stati interrogati da accusa e difesa i parenti delle sorelle Serrano, Cosima e Concetta. Sono Battista Serrano, Giuseppa Serrano, Ada Maria Serrano, alcuni abitanti di via Deledda, Livia Olivieri, Oronzo Dimitri, Bruno Scarciglia, Marianna Cucci, Carmelo Sacco e il gestore del pub “Hendrix“, di Erchie, un locale frequentato dalle due cugine, Cosimo De Vanna. Si è conclusa in poco più di due ore, davanti alla Corte di Assise del Tribunale di Taranto, presieduta da Rina Triunfo, l'ottava udienza del processo per l'omicidio della 15enne Sarah Scazzi, avvenuto il 26 agosto del 2010 ad Avetrana. Sono sfilati 9 testimoni minori, ma non sono emersi fatti particolarmente rilevanti. I legali di Sabrina Misseri e di Cosima Serrano hanno rinunciato al ricorso in Cassazione presentato contro l'ordinanza del Tribunale della Libertà di Taranto che, il 22 novembre 2011, aveva confermato l'ordinanza di custodia cautelare convalidata dal gip a maggio 2011. «In Cassazione avevamo più da perdere che da guadagnare e per questo abbiamo rinunciato a discutere i nostri ricorsi dal momento che il dibattimento si sta svolgendo a Taranto e la maggior parte dei testimoni dell’accusa riascoltati hanno dato un esito favorevole alle due imputate» - ha spiegato l'avvocato Luigi Riella, difensore di Cosima - In Cassazione avremmo, invece, dovuto contestare una ordinanza di custodia basata sui risultati delle indagini che adesso sono superati perchè il processo sta portando alla luce una diversa ricostruzione dei fatti. Non era opportuno correre il rischio di una decisione negativa fondata su elementi superati - ha concluso Rella.
Resoconto della giornata.
Ore 10,30. Parla Battista Serrano. Ha deposto Battista Serrano, parente e vicino di casa, che ha riferito di aver visto confabulare di notte Sabrina Misseri e Ivano Russo qualche giorno prima dell'arresto della giovane, il 15 ottobre 2010, nel frattempo chiamata in correità dal padre. L’episodio sarebbe avvenuto intorno alle 3,30 del mattino, uscendo per andare al lavoro presso il suo bar in centro, ad Avetrana. Un orario abbastanza insolito per intrattenere una conversazione all’aperto e in pieno autunno. Inoltre, né Sabrina né Ivano hanno mai riferito di quell’incontro. In quella circostanza il testimone avrebbe visto per qualche attimo anche Cosima Serrano, la mamma di Sabrina, vestita con abiti per uscire. Quando lo stesso teste transitò con la propria auto dinanzi a casa Misseri, Cosima – ha riferito il testimone – non c'era più. Battista Serrano ha aggiunto che quella è stata l'unica volta che ha visto Sabrina e Ivano insieme a quell'ora sotto casa Misseri. La circostanza non è mai stata riferita né da Sabrina né da Ivano nei verbali d'inchiesta.
Ore 10.45. Parla Giuseppa Serrano. Giusy Serrano, cliente, cugina e vicina di casa di Cosima Serrano, ha confermato il racconto fatto nell'udienza precedente dalla madre, Anna Parisi, riguardo un episodio accaduto il giorno prima della confessione di Michele Misseri del 6 ottobre del 2010 quando l'uomo, marito di Cosima e padre di Sabrina, al termine del lungo interrogatorio, si autoaccusò del delitto della nipote Sarah. La testimone ha riferito – così come aveva già detto in aula in un'altra udienza la madre, Anna Parisi – che il 5 ottobre 2010 udì le grida di un uomo provenire da casa Misseri, senza però capire le parole. L'episodio, in riferimento a chi stesse gridando e ai motivi della lite, non è stato mai chiarito nell'inchiesta. La teste la mattina del 5 ottobre si recò a casa d Sabrina per un trattamento estetico (al posto della madre che aveva preso in un primo tempo l'appuntamento) e bussò al citofono del portone di casa Misseri diverse volte ma non rispose nessuno. Dall'interno sentì le urla di una voce maschile. Alla fine rinunciò e tornò nell'abitazione della madre nella stessa via Deledda. Poco più tardi a casa sua si presentò Sabrina dicendo che poco prima non aveva potuto risponderle e aprirle perché era in bagno.
Ore 11.45. Parla Ada Maria Serrano. Poco prima delle 14 del 26 agosto 2010, giorno in cui Sarah Scazzi venne uccisa, una cugina di terzo grado di Sabrina Misseri, Ada Maria Serrano, telefonò a Sabrina per fissare un appuntamento per trattamenti estetici che quest'ultima doveva fare, ma nessuno rispose. Lo ha riferito la stessa Ada Maria Serrano testimoniando al processo per l'omicidio di Sarah. La circostanza, per l'accusa, sarebbe importante perché Sarah sarebbe stata uccisa in un arco di tempo tra pochi minuti prima e pochi minuti dopo le 14. Sabrina e la cugina, secondo quanto riferito dalla teste, si videro il giorno dopo e Sabrina le avrebbe manifestato la convinzione che Sarah fosse stata rapita.
Ore 11.55. Parla
Bruno Scarciglia. «Michele Misseri mi
riferiva di Sarah che era molto timida e non scendeva mai in garage e che quando
era pronto da mangiare lei lo chiamava dall’abitazione». E' quanto ha riferito
Ore 12.30. Parlano Livia Olivieri, Oronzo Dimitri, Cosimo De Vanna, Marianna Cucci e Carmelo Sacco. Dichiarazioni irrilevanti: due, acquisendo direttamente i verbali in atti.
La presidente della Corte d'assise, Rina Trunfio, ha aggiornato i lavori del processo al prossimo 13 marzo. Per quella data sono stati convocati altri nove testimoni. Si tratta di Antonio Rizzato, Giacomo Conforti, Pasquale Di Mauro, Giovanna Donvito, Vito Lippolis, Gianvito Rossano, Biagio Caraglia, l'appuntato scelto dei Carabinieri Giuseppe Di Noi ed Emma Serrano, sorella di Cosima e Concetta Serrano. Quest'ultima è la madre della vittima.
13 marzo. Nona udienza. Parla Giacomo Conforti, Pasquale Di Mauro, Giovanna Donvito, Vito Lippolis, Gianvito Rossano, Biagio Caraglia, Giuseppe Di Noi, Carmelo Salvatore Parisi ed Emma Serrano.
L’obiettivo dell’accusa è quello di chiarire se Cosima Serrano la mattina è andata a lavorare nei campi oppure è rimasta a casa, ma tace la circostanza, come sostiene l’accusa, per nascondere la tensione fra la figlia Sabrina e la nipote Sarah. Per fare luce su questo punto sarà interrogato il datore di lavoro dell’imputata, Pasquale Di Mauro. Cosima ha sempre sostenuto di essere andata al lavoro quella mattina. Una circostanza confermata dal datore di lavoro, ma questo non ha dissolto i sospetti degli inquirenti secondo i quali potrebbe trattarsi di un tentativo di costituirsi un alibi per la mattina. Fra i testimoni della nona udienza del processo sul delitto di Avetrana, c’è la sorella dell’imputata, Emma Serrano. E’ stato citato anche Antonio Rizzato, proprietario del terreno in cui si trova il pozzo, in contrada Mosca. Riferirà sui lavori commissionati in passato a Michele Misseri per ricoprire il pozzo. Mentre Carmelo Salvatore Parisi sarà ascoltato sui lavori agricoli eseguiti con Michele nel corso del mese di settembre e in particolare il giorno del ritrovamento del cellulare di Sarah, il 29 settembre. Citati dai pm Mariano Buccoliero e Pietro Argentino anche Bruno Caraglia, proprietario del Consorzio agrario, una cliente di Sabrina, Giovanna Donvito, i tre operai impegnati in un cantiere nei pressi di via Deledda, Giacomo Conforti, Vito Lippolis, Gianvito Rossano e l’appuntato scelto dei carabinieri Giuseppe Di Noi in servizio alla stazione di Avetrana. Intanto è scattato l’arresto bis nei confronti di Cosima e Sabrina Misseri. I carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale hanno notificato in carcere alle due donne l’ordinanza emessa il 22 novembre 2011 dal tribunale del riesame di Taranto. L’esecuzione del provvedimento era prevista dopo la rinuncia della difesa al ricorso in Cassazione, una scelta, quella dei legali, dettata da una strategia tesa ad evitare che un eventuale pronunciamento sfavorevole alle due imputate pregiudicasse irrimediabilmente la loro posizione. Il riesame ha accolto per la seconda volta il ricorso dei pm Mariano Buccoliero e Pietro Argentino i quali a maggio 2011 avevano chiesto l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di madre e figlia per i reati di concorso in sequestro di persona, omicidio e soppressione del corpo di Sarah Scazzi. Il gip Martino Rosati dai capi d’imputazione aveva escluso il sequestro di persona. All’epoca, però, erano ancora in corso le indagini sulla scena inquietante riferita dal fioraio Giovanni Buccolieri il quale ha raccontato agli investigatori di aver visto, nel pomeriggio del 26 agosto 2010, Cosima che costringeva Sarah a salire a bordo della sua auto. La testimonianza, ritrattata e liquidata come un sogno dal fioraio, è stata ritenuta attendibile dal riesame e, in precedenza anche dalla Cassazione, perchè supportata dal contenuto di alcune intercettazioni. «Sarah non sarebbe mai scesa nel garage, neanche accompagnata»: era uno dei commenti che Emma Serrano fece con la sorella Cosima dopo che la quindicenne di Avetrana, uccisa il 26 agosto 2010, era scomparsa. Lo ha riferito la stessa Emma Serrano. Emma ha aggiunto che si reca quasi ogni settimana in carcere a trovare la sorella, mentre i rapporti con l'altra sorella nonché madre di Sarah, Concetta Serrano, si sono interrotti per volontà di quest'ultima dopo il coinvolgimento della famiglia Misseri nel delitto. La teste ha riferito anche di una circostanza particolare. Un giorno, dopo la scomparsa della quindicenne, vide un cane randagio, che solitamente Sarah accudiva, che aveva in bocca un pezzo di corda e stazionava nei pressi del garage di casa Misseri. Quel pezzo di corda venne conservato da Emma, dopo che aveva parlato della circostanza anche con Concetta, ma dopo qualche giorno venne gettato per poi essere recuperato dai carabinieri. Il giorno della scomparsa e uccisione di Sarah, Emma Serrano vide due volte la nipote: la prima volta la ragazzina si recò a casa sua per portarle del denaro, la seconda volta fu vista di sfuggita per strada mentre rincasava. Ad informare Emma della scomparsa di Sarah furono, nel pomeriggio del 26 agosto, Sabrina, l'amica Mariangela e la sorella di quest'ultima, minorenne, che la stavano cercando. Molti anni fa Michele Misseri avrebbe molestato una parente: ha continuato Emma Serrano in aula. Quello del presunto movente sessuale è una delle tesi avanzate dalla difesa delle due imputate, mentre Michele Misseri anche di recente si è accusato del delitto. Emma Serrano ha riferito di avere appreso delle presunte molestie dalla stessa vittima, senza indicare chi sia, aggiungendo che l'episodio si sarebbe verificato molti anni fa quando ancora non erano nate le figlie di Michele Misseri, quindi oltre 25 anni fa. «L'ho saputo a gennaio 2011 - ha detto Emma - siccome l'ho vista molto a disagio, non le ho chiesto quando fosse successo. Mi ha detto che lei e Michele erano nello stesso luogo e lui l'aveva molestata. Da quel momento ho visto Michele in maniera diversa». Emma ha riferito questa circostanza durante l'esame del legale della famiglia Scazzi, Nicodemo Gentile. Alla richiesta del legale di ulteriori dettagli sulle presunte molestie Emma ha risposto: «Preferisco che lo dica la diretta persona». Poi a metà mattinata in aula è arrivata la verità. Michele Misseri avrebbe molestato la sorella della moglie Cosima Serrano, Dora, quando questa aveva circa 15 anni: lo ha riferito in aula dopo essere stata ammonita dal presidente della Corte di Assise, Rina Trunfio, durante l'esame da parte del pm Mariano Buccoliero, che insisteva per avere chiarimenti sull'episodio citato in precedenza dalla stessa testimone. Emma Serrano, incalzata dal presidente della Corte, ha aggiunto di aver appreso la circostanza dalla stessa sorella Dora che lo aveva detto in precedenza al marito, e di sapere che la sorella sarebbe poi andata dai carabinieri a denunciare il fatto. La teste non ha indicato comunque la circostanza precisa in cui avrebbe saputo delle presunte molestie subite dalla sorella, dicendo solo di averlo appreso «qualche anno fa». Durante l'udienza sono stati ascoltati anche altri testimoni: in particolare, Pasquale Di Mauro, ha confermato che la mattina del 26 agosto 2010, giorno dell'uccisione di Sarah, accompagnò con il suo furgone al lavoro in campagna alcuni braccianti, tra i quali Cosima Serrano, riaccompagnandola a casa intorno alle 13.15-13.20. Il teste ha detto di ricordare la circostanza per aver segnato le presenze su un foglietto che comunque non ha mai consegnato ai carabinieri, neppure quando venne sentito dai militari in caserma. Un altro testimone, Giacomo Conforti, operaio che era al lavoro quel giorno in una scuola media a poche decine di metri da casa Misseri, ha riferito che nel pomeriggio due donne e un uomo si avvicinarono e gli chiesero se avesse visto passare una ragazzina bionda, rispondendo di no. Il teste non ha saputo riconoscere in aula se una delle due donne fosse Sabrina Misseri. Un conoscente di Michele Misseri, Biagio Caraglia, ha invece dichiarato di non aver mai sentito che Michele Misseri avrebbe molestato donne o ragazzine.
Rendiconto della giornata.
ORE 11:00 – Parla Emma Serrano. Emma Serrano, sentita come testimone, ha riferito di avere appreso delle presunte molestie dalla stessa vittima, senza indicare chi sia, aggiungendo che l'episodio si sarebbe verificato molti anni fa quando ancora non erano nate le figlie di Michele Misseri, quindi oltre 25 anni fa. «L'ho saputo a gennaio 2011 – ha detto Emma – siccome l’ho vista molto a disagio, non le ho chiesto quando fosse successo. Mi ha detto che lei e Michele erano nello stesso luogo e lui l'aveva molestata. Da quel momento ho visto Michele in maniera diversa». Emma ha riferito questa circostanza durante l’esame del legale della famiglia Scazzi, Nicodemo Gentile. Alla richiesta del legale di ulteriori dettagli sulle presunte molestie Emma ha risposto: «Preferisco che lo dica la diretta persona». Michele Misseri avrebbe molestato la sorella della moglie Cosima Serrano, Dora, quando questa aveva circa 15 anni. La teste ha riferito il nome dopo essere stata ammonita dal presidente della Corte di Assise, Rina Trunfio, durante l’esame da parte del pm Mariano Buccoliero, che insisteva per avere chiarimenti sull'episodio citato in precedenza dalla stessa testimone. Emma Serrano, incalzata dal presidente della Corte, ha aggiunto di aver appreso la circostanza dalla stessa sorella Dora che lo aveva detto in precedenza al marito, e di sapere che la sorella sarebbe poi andata dai carabinieri a denunciare il fatto. Poi ha parlato del rapporto tra la sorella Concetta Serrano Spagnolo, madre della vittima, e l'altra sorella Cosima. A quest'ultima Emma è rimasta più vicina sin dopo il primo arresto di Sabrina, ma anche dopo i nuovi arresti di madre e figlia. La teste ha affermato che le relazioni in famiglia prima di questi fatti erano buone e che la questione dell'eredità dei loro genitori non aveva creato tensioni, tanto che, quando i carabinieri chiedevano di sentire da sola Concetta in caserma, tutte e tre avrebbero chiesto di essere presenti perchè per loro era la stessa cosa. La donna ha negato che nel periodo della scomparsa ci fossero sospetti sulla badante rumena di casa Scazzi, Ecaterina Pantir, parte lesa nel processo per le calunnie che Sabrina le avrebbe rivolto, anche se il procuratore aggiunto Pietro Argentino le ha ricordato un verbale di testimonianza a sommarie informazioni durante il periodo della scomparsa di Sarah, risalente al 26 agosto del 2010, in cui la stessa Emma avanzava dei dubbi sulla collaboratrice domestica. Infine ha detto di essere stata convinta che Sarah non sarebbe mai scesa in garage. E di averlo detto a Cosima durante il periodo delle ricerche. Molti i 'non ricordo' sulla visita che, insieme a Cosima, fece a gennaio 2011, cioè durante le indagini, al cognato di quest'ultima, Carmine Misseri, imputato per concorso in soppressione di cadavere, durante il quale la stessa Cosima tirò fuori un telefonino di Sabrina cercando di farlo accendere all'uomo ma quest'ultimo, insospettito per una possibile trappola, si sarebbe rifiutato proprio per non compromettersi come non avrebbe accettato la proposta di estrarre un altro telefonino incastrato nell'auto di famiglia.
ORE 12.35 – Parlano Pasquale di Mauro, Giacomo Conforti, Biagio Caraglia, Giovanna Donvito, Vito Lippolis, Gianvito Rossano, Carmelo Salvatore Parisi. Con l’audizione di altri testimoni, si è conclusa la nona udienza del processo per l'omicidio di Sarah Scazzi. In particolare un testimone, Pasquale Di Mauro, ha confermato che la mattina del 26 agosto 2010, giorno dell’uccisione di Sarah, accompagnò con il suo furgone al lavoro in campagna alcuni braccianti, tra i quali Cosima Serrano, riaccompagnandola a casa intorno alle 13.15-13.20. Il teste ha detto di ricordare la circostanza per aver segnato le presenze su un foglietto che comunque non ha mai consegnato ai carabinieri, neppure quando venne sentito dai militari in caserma. Un altro testimone, Giacomo Conforti, operaio che era al lavoro quel giorno in una scuola media a poche decine di metri da casa Misseri, ha riferito che nel pomeriggio due donne e un uomo si avvicinarono e gli chiesero se avesse visto passare una ragazzina bionda, rispondendo di no. Il teste non ha saputo riconoscere in aula se una delle due donne fosse Sabrina Misseri. Un conoscente di Michele Misseri, Biagio Caraglia, ha invece dichiarato di non aver mai sentito che Michele Misseri avrebbe molestato donne o ragazzine. E va in archivio a Taranto la nona udienza del processo per il delitto di Sarah. La prossima udienza si terrà il 27 marzo. Quella programmata per il 20 marzo salterà per l'astensione nazionale degli avvocati, nulla valendo che ci siano persone in carcere e che i termini prescrizionali sono sospesi, come nulla vale la fatuità della protesta nei confronti di riforme legislative di nessuna valenza fattuale. In quella udienza saranno sentiti, tra gli altri, due ufficiali dei carabinieri del Ros e due esponenti della squadra di polizia giudiziaria.
27 marzo. Decima udienza. Parla Antonio Rizzato, Antonio Calò, Giovanni Bardaro, Paolo Vincenzoni, Giuseppe Pirò.
L’udienza programmata per il 20 marzo è saltata per l'astensione nazionale degli avvocati, nulla valendo che ci siano persone in carcere e che i termini prescrizionali sono sospesi, come nulla vale la fatuità della protesta nei confronti di riforme legislative di nessuna valenza fattuale. In questa udienza saranno sentiti, tra gli altri, due ufficiali dei carabinieri del Ros e due esponenti della squadra di polizia giudiziaria. Intanto per la serie “Chi si mette contro la Procura di Taranto è perduto” si viene a sapere che il giudice per le indagini preliminari Martino Rosati, accogliendo la richiesta del procuratore aggiunto Pietro Argentino e del sostituto Mariano Buccoliero, ha disposto il giudizio immediato nei confronti della psicologa Dora Chiloiro, 56 anni, dirigente dell’Asl di Taranto per la struttura complessa di psicologia clinica e psicoterapia dell’età adulta e evolutiva. La donna è difesa dagli avvocati Carlo e Claudio Petrone. Nella casa circondariale di Taranto Dora Chiloiro svolge ormai da oltre un decennio la funzione di esperto psicologo in forza di una convenzione stipulata tra la Asl e la Direzione dell’amministrazione penitenziaria. La professionista dovrà comparire in tribunale il 2 luglio 2012 in quanto non avrebbe detto la verità durante l’udienza svoltasi il 7 novembre 2011 dinanzi al giudice per l’udienza preliminare Pompeo Carriere, chiamato a vagliare la richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura nei confronti dei presunti autori dell’omicidio della 15enne di Avetrana. Era stato il procuratore aggiunto Pietro Argentino, in sede di replica, a chiedere al gup Pompeo Carriere la trasmissione degli atti riguardanti la deposizione della psicologa del carcere Dora Chiloiro per verificare la possibilità di contestarle la falsa testimonianza. La dottoressa Chiloiro, in particolare, nel corso della sua deposizione, sollecitata dalla difesa di Sabrina Misseri, aveva detto, come risulta dal verbale, di aver avuto diversi colloqui con Michele Misseri («all’inizio della detenzione con più frequenza, poi successivamente sono divenuti più radi»), aggiungendo di averlo rivisto dopo l’incidente probatorio del 19 novembre 2010, di aver saputo che verso Natale stava scrivendo lettere alle figlie e stava preparando il memoriale che poi ha consegnato al dottor Carriere nel corso dell’udienza preliminare. Testualmente la dottoressa Chiloiro ha detto: «Nelle lettere scriveva alle figlie e chiedeva perdono. Poi le lettere non venivano lette da noi. Il memoriale era invece la sua versione dei fatti, la sua confessione». La Procura, però, sostiene che, registri dei colloqui del carcere alla mano, in realtà risultano tre soli incontri tra Michele Misseri e la psicologa Chiloiro (il 10, il 13 ed il 17 ottobre 2010) e che gli stessi sono avvenuti quando il contadino di Avetrana non solo non era stato ancora sottoposto a incidente probatorio, ma non aveva nemmeno iniziato a scrivere le lettere alle figlie e il memoriale. Prova evidente, insomma, della falsa testimonianza, tanto da chiedere e ottenere l’emissione di un decreto di giudizio immediato nei confronti della professionista. I carabinieri che si sono occupati del caso Scazzi a partire dal 29 settembre, giorno della simulazione del ritrovamento del telefonino di Sarah, sono i primi testimoni interrogati nella decima udienza del processo sull’omicidio di Sarah in corso dinanzi alla Corte d’Assise di Taranto. Il luogotenente Giovanni Bardaro era fra i militari dell’Arma presenti sul pozzo in contrada Mosca nella notte fra il 6 e il 7 ottobre 2010. Quella sera, dopo la confessione, ha ricordato l’investigatore, Misseri “ci indicò la strada per raggiungere il pozzo all’interno del quale aveva nascosto il cadavere”. Il contadino di Avetrana, poi, ha simulato le fasi della soppressione del corpo la mattina del 6 novembre. “Michele Misseri ci mostrò come aveva gettato nel pozzo di contrada Mosca il corpo della nipote dopo averlo imbracato con una corda”. In relazione alle condizioni psico-fisiche di Michele, la mattina del 6 novembre, l’investigatore è fra coloro che non ha notato nulla di strano (il contadino a distanza di tempo ha sostenuto che era stordito dai tranquillanti presi in carcere la sera prima, circostanza che non risulta dai diari della casa circondariale). “Misseri ci ha portato sui luoghi della soppressione del corpo senza difficoltà. Era lucido e ci indicò l’albero di ulivo in cui aveva nascosto le chiavi della vittima”, è stata la constatazione del carabiniere. In questa udienza, in particolare, sotto la lente finiscono i tabulati delle telefonate e degli sms degli imputati e della vittima. Ma ci sono anche testimonianze di rilievo, come quella del luogotenente Antonio Calò che descrive Michele Misseri come "lucido e collaborativo" quando portò gli inquirenti nel luogo dove aveva bruciato i vestiti e gettato la batteria. Nel frattempo, il legali di Sabrina Misseri, imputata nel delitto insieme a Cosima Serrano, hanno chiesto di acquisire tutta la documentazione clinica riguardante Michele Misseri per il periodo in cui questo è stato detenuto nel carcere di Taranto, dal 7 ottobre 2010 al 30 maggio 2011. Dalla cartella clinica risulta che in più di un’occasione Michele Misseri si rifiutò di sottoporsi a trattamento farmacologico in carcere, contrariamente a quanto riferito dallo stesso Misseri in alcune interviste televisive nelle quali avrebbe sostenuto di aver accusato del delitto altre persone perché sotto effetto di farmaci. In aula sono presenti sia Sabrina che Cosima. “Uccidere per professione è un mestiere senza tempo”. È una citazione di uno scrittore di romanzi rimasta nelle bozze del cellulare di Sarah e mai inviata. Il messaggio è stato ritrovato nel corso degli accertamenti dai carabinieri del Ros, il raggruppamento operativo speciale dell’Arma che si occupa di indagini tecniche. La circostanza, che era già venuta fuori nel corso delle indagini, è stata ribadita in aula dal luogotenente Antonio Calò nel corso della sua deposizione. Il luogotenente Calò, che ha partecipato alle indagini dal 4 ottobre 2010, ha anche ricostruito una mappa dello scambio di telefonate e di sms tra Sabrina Misseri e la vittima Sarah Scazzi. Il testimone ha anche specificato quali celle telefoniche agganciarono i due cellulari. Dalla ricostruzione dei fatti è emerso che, in pochi minuti, a partire dalle 14 e 42, Sabrina provò a chiamare la cugina almeno cinque volte. Dal telefono della vittima, pur essendo libero, non ci fu risposta e si attaccò sempre la segreteria. Il cellulare di Sarah Scazzi alle 14.42 del 26 agosto 2010, giorno del suo omicidio, si trovava nel garage della famiglia Misseri, luogo nel quale 43 minuti dopo (alle 15.25) ricevette una telefonata l’apparecchio di sua zia Cosima Serrano. A ribadirlo alla corte d’assise, confermando quanto scritto in una perizia agli atti dell’inchiesta ormai da un anno, ieri sono stati il tenente colonnello Paolo Vincenzoni e il maresciallo Giuseppe Pirò, entrambi carabinieri del Ros ai quali la Procura commissionò il lavoro di mappatura dei cellulari dei protagonisti del giallo di Avetrana. Le testimonianze degli agenti di polizia giudiziaria hanno monopolizzato la decima udienza del processo per il delitto della 15enne di Avetrana. Se i luogotenenti Giovanni Bardaro e Antonio Calò, in forza al nucleo della Procura, hanno ripercorso i mesi delle indagini, ricostruendo i percorsi fatti dai protagonisti della vicenda, i loro tabulati telefonici, le loro testimonianze, sono stati gli specialisti del Ros ad offrire al procuratore aggiunto Pietro Argentino e al sostituto Mariano Buccoliero elementi utili da utilizzare nei confronti di Sabrina Misseri e di sua madre Cosima Serrano, imputate per sequestro di persona e omicidio. Una premessa tecnica è d’obbligo. Tutte le persone coinvolte nella vicenda usano cellulari Vodafone e malgrado l’aiuto fornito agli inquirenti dai tecnici del gestore, i cellulari non sono dotati di dispositivo satellitare gps e dunque è difficile accertare con estrema precisione la posizione dei cellulari. Nel caso di Avetrana c’è però una particolarità tecnica che ha aiutato gli investigatori. L’abitazione della famiglia Misseri è coperta infatti da un ripetitore Umts, quello di terza generazione (sul display dei cellulari compare infatti il simbolo 3G). Non così il garage, dove il segnale Umts non arriva e quindi i cellulari non solo scalano sulla frequenza Gsm, come avviene in questi casi, ma agganciano una cella che gli specialisti del Ros non hanno poi mai rilevato nella veranda, nel cortile e nell’abitazione degli zii di Sarah. Probabilmente una diabolica coincidenza di segnali e di campi che però ha permesso ai carabinieri del Ros di specificare in quale porzione della villetta di via Deledda si trovavano i cellulari dei protagonisti quel pomeriggio. Proprio usando questi parametri, secondo i militari del Ros, il telefono di Cosima Misseri alle 15.25 si trovava in garage, un luogo dove lei ha sempre negato di essere stata quel giorno e soprattutto in quelle ore. Invece, per 40 secondi, il suo cellulare ha agganciato un’altra cella, quella del garage, che, come detto, non è stata mai captata nella veranda, nel cortile e nell’abitazione. La mappatura telefonica compiuta dai carabinieri del Ros permette, allo stato degli atti, alla pubblica accusa di spostare ed individuare il luogo del delitto nella casa dei Misseri, dove si sarebbero trovati Sabrina, Cosima e Michele, con il corpo di Sarah successivamente trasportato nel garage. Sempre secondo la testimonianza dei militari del Ros, il 27 agosto 2010, dalle 10.26 alle 10.40, i telefonini di Cosima Serrano e di sua figlia Sabrina Misseri si trovavano in un’area rurale compresa tra Avetrana e San Pancrazio Salentino, una zona compatibile sia con la contrada Mosca, dove poi fu trovato il cadavere di Sarah, sia con la zona dove c'è l’albero di fico sotto il quale vennero rinvenuti i resti dei vestiti bruciati della vittima. Sulla perizia del Ros hanno dato battaglia gli avvocati difensori, contestando non solo la perentorietà delle conclusioni a cui i carabinieri sono giunti, ma anche il fatto che non sia più possibile ripetere l’accertamento, questa volta alla presenza dei consulenti di parte, in quanto dal settembre del 2011 la rete telefonica di Avetrana è cambiata. I Ros, peraltro, per completare il loro lavoro hanno anche consegnato alla vigilia dell’udienza una ulteriore relazione alla Procura per dimostrare che nei minuti delle chiamate finite sotto i riflettori della magistratura, ad Avetrana non c’era traffico telefonico tale da giustificare un cambio di rete. Concluso, intanto, il lavoro del perito incaricato dal pm Buccoliero di verificare il contenuto dei cellulari dei protagonisti della vicenda, lavoro conclusosi, però, senza novità rilevanti. ''Mai avuto lamentele sul comportamento di Michele Misseri in campagna, neppure con le altre donne che lavoravano nei terreni'': lo ha detto un testimone, Antonio Rizzato, al processo per l'omicidio di Sarah Scazzi in corso dinanzi alla Corte di Assise di Taranto. Rizzato è il proprietario del terreno in contrada Mosca, ad Avetrana, nel quale si trova il pozzo-cisterna in cui venne nascosto il corpo della quindicenne uccisa. L'agricoltore ha riferito di conoscere Michele Misseri da quando questi era bambino e che lo stesso Misseri, così come la moglie Cosima Serrano, hanno lavorato per diversi anni nel fondo in contrada Mosca, che comprende un tendone di uva. ''Conosco Michele Misseri da 40 anni e ha lavorato per me in campagna negli ultimi otto-nove anni, dal 2001 al 2010. E' stato il migliore operaio che ho avuto. Una persona perfetta. Per me lavoravano anche delle braccianti. Nessuna di loro si è mai lamentata del comportamento di Michele. Gli volevano tutti bene''. Così Antonio Rizzato, di Erchie, nel brindisino, proprietario del terreno in contrada 'Mosca' sulla strada tra Avetrana e San Pancrazio Salentino, dove venne trovato all'interno di un pozzo il corpo della 15enne Sarah Scazzi, uccisa il 26 agosto del 2010. L'uomo è stato sentito come testimone al processo in corso davanti alla Corte di Assise di Taranto. Rizzato ha raccontato che qualche tempo prima della scomparsa della 15enne, Michele si occupò di coprire con un grosso masso il foro del pozzo del terreno. Anche Cosima Serrano, la moglie di Misseri, e le figlie, Valentina e Sabrina avevano lavorato per l'uomo in campagna.
Diario della giornata.
ORE 12:30 – Parla Giovanni Bardaro. Un ex componente della squadra di pg, Giovanni Bardaro, ha riferito nella sua deposizione anche sulla sequenza temporale con la quale la sera del 6 ottobre 2010 Michele Misseri, confessando il delitto, condusse gli investigatori al pozzo in cui era stato gettato il cadavere di Sarah.
ORE 13:47 – Parla il luogotenente della squadra di polizia giudiziaria Antonio Calò. Il teste ha riferito circostanze tecniche sulle utenze telefoniche di Sarah e di alcuni imputati, queste ultime messe sotto controllo nel corso dell’inchiesta. In particolare, i riferimenti sono alle telefonate e agli sms del 26 agosto 2010, giorno dell’uccisione di Sarah.
ORE 14:00 – La difesa di Sabrina chiede l’acquisizione delle cartelle cliniche di Michele Misseri. Al processo in corso dinanzi alla Corte di Assise di Taranto per l’omicidio di Sarah Scazzi, i difensori di Sabrina Misseri, imputata del delitto insieme alla madre Cosima Serrano, hanno chiesto l’acquisizione di tutta la documentazione clinica riguardante Michele Misseri quando questi è stato detenuto nel carcere di Taranto, dal 7 ottobre 2010 al 30 maggio 2011. La Corte si è riservata di decidere. Nel fascicolo dibattimentale c'è già la cartella clinica di Michele Misseri, almeno fino all’incidente probatorio svoltosi in carcere il 19 novembre 2010. La richiesta della difesa di Sabrina è stata avanzata durante la testimonianza di un componente della squadra di polizia giudiziaria della Procura di Taranto, Antonio Calò. Questi ha riferito, tra l’altro, che Michele Misseri, nel periodo ottobre-novembre 2010, è sempre stato «lucido e collaborativo» e che dalla cartella clinica risulta che in più di un’occasione Michele Misseri si rifiutò di sottoporsi a trattamento farmacologico in carcere, contrariamente a quanto riferito dallo stesso Misseri in alcune interviste televisive nelle quali avrebbe sostenuto di aver accusato del delitto altre persone perchè sotto effetto di farmaci.
ORE 16:11 – Parla Antonio Rizzato. «Mai avuto lamentele sul comportamento di Michele Misseri in campagna, neppure con le altre donne che lavoravano nei terreni». Rizzato è il proprietario del terreno in contrada Mosca, ad Avetrana, nel quale si trova il pozzo-cisterna in cui venne nascosto il corpo della quindicenne uccisa. L’agricoltore ha riferito di conoscere Michele Misseri da quando questi era bambino e che lo stesso Misseri, così come la moglie Cosima Serrano, hanno lavorato per diversi anni nel fondo in contrada Mosca, che comprende un tendone di uva.
ORE 16:51 – parla Paolo Vincenzoni e Giuseppe Pirò. Alle 14.42 del 26 agosto 2010 (giorno dell’uccisione di Sarah Scazzi), quando risulta dai tabulati telefonici che Sabrina Misseri tentò senza risultato di comunicare con il cellulare della cugina, il telefonino della quindicenne si trovava nel garage di casa Misseri, agganciando una cella Gsm. Lo ha riferito il comandante dei carabinieri del Ros di Lecce, tenente colonnello Paolo Vincenzoni, testimoniando al processo per l’omicidio di Sarah. I carabinieri del Ros hanno eseguito una serie di accertamenti sulle celle telefoniche agganciate dai telefonini della vittima e di alcuni imputati del processo. Vincenzoni ha aggiunto che solo in un punto del garage il cellulare di Sarah aggancia una cella telefonica Gsm, mentre nel resto del complesso abitativo della famiglia Misseri aggancia celle telefoniche Umts. I Ros hanno inoltre accertato che il 26 agosto 2010 non ci furono anomalie di rete, secondo quanto riferito dalla Vodafone, gestore della scheda telefonica del cellulare di Sarah. Anche il cellulare di Cosima Serrano, madre di Sabrina, aggancia quel giorno alle 15.25 una cella telefonica compatibile solo con il garage dell’abitazione. Secondo l’accusa, Sabrina Misseri avrebbe tentato di depistare gli investigatori facendo la telefonata alle 14.42, sapendo invece che Sarah era già morta e sostenendo invece, al cospetto dell’amica Mariangela Spagnoletti con la quale si trovava in quei frangenti, che la cugina era scomparsa.
3 aprile. Undicesima udienza. Parla Claudio Russo.
Degli otto testimoni citati dall’accusa, si è presentato solo Claudio Russo, fratello di Ivano. Nell'udienza è saltata la deposizione di altri sei testimoni per un difetto di notifica, mentre non si è presentata Anna Di Noi, per la quale è stato disposto l'accompagnamento per la prossima udienza. Le parti si sono accordate per l'acquisizione del verbale di sommarie informazioni di Antonio Calò e Ottavio Misseri (fratello di Michele). «Dopo la scomparsa di Sarah, i Misseri vennero a casa nostra a portare un cesto di funghi e chiesero a mia madre cosa avesse detto Ivano ai carabinieri». Lo ha riferito Claudio Russo, fratello di Ivano, nel corso del processo in Corte d'Assise per l'uccisione di Sarah Scazzi. Il teste ha aggiunto di aver sentito la voce di Misseri e altre voci femminili, ma non ha confermato la presenza di Cosima Serrano e delle figlie Sabrina e Valentina. Il pubblico ministero Mariano Buccoliero ha chiesto a Claudio Russo di ricordare cosa avesse fatto il 26 agosto del 2010, giorno della scomparsa e dell’omicidio di Sarah. Il teste ha detto di essere andato al mare con la fidanzata e di essere tornato a casa intorno a mezzogiorno. Suo fratello Ivano, ha aggiunto, aveva finito di mangiare e riposava sul divano. Claudio Russo ha fatto presente che parlando col fratello, dopo la notizia della scomparsa di Sarah, non si era mai parlato dell’ipotesi del rapimento. «Ivano ebbe una telefonata e sembrava sconvolto. Mi disse che l’avv. Vito Russo, difensore di Sabrina Misseri, l’aveva contattato tramite un conoscente che vende le motociclette, amico di Alessio Pisello, e gli aveva fatto intendere che il suo arresto era imminente. Ivano aveva paura delle microspie. L'avv. Russo – ha aggiunto il teste – chiese a mio fratello se l’amica Mariangela Spagnoletti avesse una relazione con lui, almeno un approccio, e se era gelosa. Cercava evidentemente di screditare Mariangela e di far emergere che avesse dei rancori nei confronti di Sabrina. Io dissi ad Ivano – ha aggiunto - di non rispondere più all’avv. Russo e poi contattammo l’avv. Tarantini per riferirgli quanto accaduto». In tutto sono dieci i testi citati per la prossima udienza fissata per il 17 aprile: oltre ad Anna di Noi, Maurizio Misseri (figlio di Carmine), Anna Rita Panzuto, Vito Palmisano, Rita Di Noi, Salvatora Serrano (sorella di Cosima e Concetta), Pancrazio Spinelli, Antonella Spinelli, Alessandro Palmieri e Biagio Pisanò.
17 aprile. Dodicesima
In tutto sono dieci i testi citati per questa udienza: oltre ad Anna di Noi, Maurizio Misseri (figlio di Carmine), Anna Rita Panzuto, Vito Palmisano, Rita Di Noi, Salvatora Serrano (sorella di Cosima e Concetta), Pancrazio Spinelli, Antonella Spinelli, Alessandro Palmieri e Biagio Pisanò. Nella precedente udienza degli otto testimoni citati dall’accusa, si è presentato solo Claudio Russo, fratello di Ivano. Ma a Taranto succede anche altro. Torna in aula venerdì 27 aprile 2012, a oltre cinque mesi di distanza dall’ultima udienza nel corso della quale si presentò solo uno dei sei testimoni citato dal pubblico ministero, il processo per la morte di Carmela Cirella, la minorenne residente al quartiere Paolo VI suicidatasi il 15 aprile del 2007 dopo aver subito una violenza sessuale e non essere stata creduta da un magistrato di Taranto. In quel caso si trattò del sostituto procuratore Vincenzo Petrocelli, lo stesso del caso Domenico Morrone e Ezzedine Sebai. Nomi conosciuti di chi si occupa di errori giudiziari. Nel processo pubblico e con i nomi dati dalla stampa (La Gazzetta del Mezzogiorno in particolare) alla sbarra ci sono Filippo Landro, di 27 anni, Salvatore Costanzo, di 26 anni, entrambi di Acireale (difesi dall’avv. Calliope Murianni), e Massimo Carnevale, di 46 anni, di Taranto (assistito dall’avv. Maurizio Besio). Rispondono di due episodi distinti, risalenti al periodo compreso fra il 9 e l’11 novembre del 2006. I due siciliani avrebbero attirato la ragazzina con una scusa all’interno del loro camper e poi l’avrebbero costretta a subire atti sessuali. Il terzo imputato, che ha sempre negato le accuse, avrebbe violentato Carmela approfittando della sua fragilità psicologica. La ragazzina era stata affidata temporaneamente a un istituto per minori disagiati. Pare che la minore, dopo essere sparita per qualche giorno, fosse tornata a casa con i segni evidenti di violenza. Altri due imputati accusati di aver stuprato Carmela hanno ottenuto dal gup del Tribunale per i minorenni la cosiddetta «messa alla prova». E’ come se il reato non fosse mai stato commesso. A cinque anni dal suicidio di Carmela Cirella, il processo stenta insomma a decollare, tanto suscitare la protesta del padre di Carmela, Alfonso Frassanito, che in una lettera aperta chiede giustizia. «Ricorre il quinto vergognoso anniversario senza giustizia per Carmela, figlia, suo malgrado, di questo paese ipocrita e incivile, che con il suo silenzio - scrive Frassanito - e la sua indifferenza si rende complice di queste atrocità. Ogni martedì, in quello stesso tribunale di Taranto - ricorda Frassanito - che per il processo contro gli stupratori di Carmela di udienze riesce a farne solo una ogni sei mesi si svolgono le udienze per il delitto, altrettanto vergognoso della piccola Sarah Scazzi. Sembra di essere a Hollywood, telecamere dappertutto, imputati divenuti vip e calca di curiosi - dice Frassanito - disposti a perdere giornate di lavoro pur di apparire davanti alle telecamere. Ma dove sono quando la giustizia la si chiede per Carmela e per altre vittime come lei? E' evidente che 5 anni, in queste condizioni, sono un lasso di tempo talmente lungo da consentirmi di sentirmi in diritto di lasciar perdere la diplomazia inutile e dichiarare la mia assoluta mancanza di fiducia nella giustizia italiana, e allo stesso tempo di manifestarla con tutti i mezzi che posso avere a disposizione». Al di là di questa circostanza c’è un colpo di scena nel processo sulla morte di Sarah Scazzi. La perizia svolta dai Ros sulle celle agganciate dai cellulari della vittima e dei Misseri potrebbero uscire dal processo. L’avvocato Francesco De Jaco, difensore (insieme all’avvocato Luigi Rella) di Cosima Serrano, accusata insieme alla figlia Sabrina, di sequestro e omicidio della nipote, avvenuto il 26 agosto 2010, racconta a “Il Paese Nuovo” alcune novità sulla vicenda giudiziaria più seguita dagli italiani. Secondo il legale, dal dibattimento, in corso dinanzi alla Corte d'Assise di Taranto, stanno venendo alla luce tutte le falle dell'impianto accusatorio.
Avvocato, la perizia sulle celle telefoniche a sostegno dell’accusa potrebbe uscire dal processo. Perchè? «Sta a noi deciderlo, visto che era stata inserita nell'elenco degli accertamenti ripetibili, quindi verificabili. Questo, tuttavia, non è possibile farlo perchè la compagnia telefonica Vodafone lo scorso luglio ha modificato la mappatura delle celle, e la Procura non ha neppure avvisato la difesa. E quindi potremmo chiedere che l’accertamento non venga introdotto come prova a carico.»
Lo farete? «Lo stiamo valutando. In realtà a noi quell'esame potrebbe anche andar bene, poichè non stati trovati ulteriori elementi che lo supportino. La perizia disposta dalla Procura, e illustrata alla Corte dal tenente colonnello Paolo Vincenzoni, comandante dei carabinieri del Ros, ha dimostrato che il telefono di Cosima Serrano si è agganciato al garage solo un'ora dopo l'omicidio. Dove è quindi l'ipotesi di reato? Non è possibile che si sia andata a cercare il marito?»
L'accusa e gran parte dell'opinione pubblica non hanno dubbi: le assassine sono zia e cugina, mentre zio Michele si è occupato di occultare il cadavere in un pozzo. Come pensa di riuscire a difendere chi sembra già essere stato condannato? «Innanzitutto, c'è una pessima abitudine in Italia di fare i processi mediatici, dove la gente non ha cognizione reale del rapporto processuale e quindi sposa la tesi dell’accusa. E la responsabilità è in gran parte di un certo modo, sbagliato, di fare giornalismo. Questo caso farà scuola perchè il processo sta dimostrando l'opposto della tesi accusatoria. Tutte le testimonianze stanno sgretolando l'ipotesi della gelosia e della tempistica della ricostruzione fatta dagli inquirenti per arrivare ad accusare le due donne.»
Quanto al movente della gelosia di Sabrina per Ivano Russo? «L’accusa doveva in qualche modo trovare una logica per giustificare la responsabilità di Sabrina. Logica che è stata screditata: il ragazzo, ascoltato come teste, ha riferito (e lo stesso hanno fatto altri testimoni) che Sabrina Misseri non aveva mai palesato atteggiamenti di gelosia nei suoi riguardi, specie nei confronti di Sarah verso la quale aveva invece un atteggiamento protettivo e materno. Lo stesso vale per Cosima, la zia dalla quale desiderava essere adottata. Oltretutto quella che doveva essere la grande accusatrice, Mariangela Spagnoletti, in due minuti su sei ore di interrogatorio, ha detto di aver avuto solo la sensazione che Sabrina fosse gelosa. Ma non può essere una sensazione a far aprire le porte del carcere a una ragazza di vent'anni e condannarla all’ergastolo.»
Non ci sono quindi indizi di colpevolezza? «No, ma pubblica accusa e media non tornano sui loro passi perchè sarebbero screditati. Lo stesso procuratore generale della Cassazione, per la prima volta in Italia, ha sostenuto la tesi di dover spostare il processo. Quando una procura generale smentisce la propria procura vuol dire che evidentemente qualcosa non ha funzionato. Preciso anche che per ben quattro volte la Corte di Cassazione si è pronunciata sostenendo non ci fossero gravi indizi di colpevolezza tali da giustificare la misura restrittiva sia per Sabrina che per Cosima.»
Michele Misseri permette agli inquirenti di ritrovare il cadavere della piccola. Prima si autoaccusa, poi tira in ballo la figlia, e infine tenta di scagionarla. Perchè l’avrebbe accusata ingiustamente? «Mente dopo il suo arresto e durante l’incidente probatorio. Su suggerimento involontario di qualcuno, ritenendo fosse più utile, parla di un incidente che aveva riguardato la figlia. Lo fa senza essere al corrente che quella bugia avrebbe potuto costarle il carcere a vita. Ma una volta in cella, torna definitivamente sulle sue posizioni. Alla psicologa e allo psichiatra, dichiara di essere lui il colpevole. Quindi, ci troviamo di fronte a due innocenti dentro e a un responsabile fuori. È lui che fa ritrovare il cadavere, è lui che consegna il cellulare e le chiavi. E questa è la prova.»
Da aguzzino finisce con l'indossare i panni della "vittima". Vittima di una famiglia che lo maltratta e gli dà da mangiare gli avanzi? «Misseri è stato descritto come persona mite, ma in realtà è molto forte anche fisicamente (è in grado di sollevare fino a cento chili). C'è un'altra circostanza che non può essere tralasciata. Nel maggio del 2010 aveva urtato la testa in campagna. In seguito all'incidente era diventato molto irascibile: minaccia la moglie prima con un'accetta, poi con una pietra. Per questo la coniuge si rifiutava di dormire con lui. Quanto agli avanzi non vanno intesi come scarti: Cosima preparava cibo in quantità maggiori così da non dover cucinare per un paio di giorni, dovendosi recare in campagna. I cosiddetti avanzi erano destinati a tutto il nucleo familiare, non solo al marito.»
Che cosa ha fatto Cosima il giorno del delitto? «Si reca in campagna alle 4 del mattino e ritorna a casa alle 13.40, esausta dalla fatica e dal caldo (c'erano 37 gradi quel giorno). Stando alla ricostruzione dell'accusa, lei avrebbe trovato la forza di inseguire Sarah (che era giunta alle 13.55), mettendosi al volante dell'auto; Sabrina invece si sarebbe seduta dietro. E già questo è anomalo. Poi l'avrebbero raggiunta, ma a scendere dal mezzo per rincorrerla sarebbe stata l'anziana, anziché la figlia. Poi la 15enne anziché scappare avrebbe ubbidito alla zia salendo in auto. È evidentemente una menzogna, raccontata da uno dei testimoni all'amante solo per "vantarsi", ma smontata dallo stesso agli inquirenti ai quali ha spiegato che si trattava di un sogno.» In sede di udienza la Corte d'Assise ha acquisito il verbale con le dichiarazioni di Anna Di Noi ed ha provveduto ad ascoltare gli altri 9 testimoni citati dal pubblico ministero Mariano Buccoliero.
Rendiconto della giornata.
Ore 10:00 – Audizione di Rita Di Noi, del marito Vito Palmisano e dell'avv. Anna Rita Panzuto in riferimento a un incontro avvenuto in casa del legale il giorno della scomparsa di Sarah. Palmisano ha riferito di aver visto una station wagon vecchio tipo color vinaccia che procedeva ad alta velocità in direzione mare e passò due volte nel giro di cinque minuti. «Il conducente - ha detto il testimone, che ha poi riconosciuto in foto una Fiat Marengo - mi ha guardato: aveva un viso abbastanza rotondo con un ciuffo di capelli e indossava un girocollo blu». L'auto indicata è simile a quella di Cosimo Cosma (nipote di Michele Misseri), accusato anche lui di soppressione di cadavere.
Ore 11:49 – Parla Maurizio Misseri. «Il giorno dopo l’arresto di Sabrina Misseri vennero a casa mia la sorella Valentina e gli avvocati Russo e Mongelli. Valentina disse che era necessario cambiare avvocato al padre Michele perchè era stato nominato d’ufficio e non andava bene. Indicò l’avv. Mongelli, che scrisse il testo del telegramma da mandare in carcere». Lo ha detto, testimoniando in Corte d’Assise, a Taranto, Maurizio Misseri, figlio di Carmine, imputato di soppressione di cadavere nel processo per l’omicidio di Sarah Scazzi. Il teste ha aggiunto di aver mandato personalmente il telegramma da casa dello zio Ottavio. Maurizio Misseri ha poi detto di aver appreso della scomparsa di Sarah il 26 agosto 2010 dopo essere rientrato a casa dal lavoro e di aver telefonato intorno alle 21.40 a suo zio Michele, col cellulare del padre Carmine, per sapere cosa fosse successo.
Ore 13:07 – Parla Pancrazio Spinelli. «Mia moglie mi disse che quando aveva 12-13 anni Michele Misseri le fece delle avances dicendole “Che dobbiamo fare, facciamo qualcosa”. Lei si impaurì e se ne andò. Non successe nient'altro». Lo ha detto Pancrazio Spinelli, marito di Dora, una sorella di Concetta e Cosima Serrano, nel corso del processo per l’uccisione della piccola Sarah Scazzi. La circostanza è stata chiesta a Spinelli in relazione a dichiarazioni fatte in aula il 12 marzo scorso da un’altra sorella di Concetta e Cosima, Emma Serrano, secondo la quale Dora subì, circa 25 anni fa, quando era una ragazzina, molestie sessuali da parte di Michele Misseri. Emma Serrano aggiunse nella stessa udienza che Dora ne aveva parlato col marito, Pancrazio Spinelli, che per questo è stato sentito oggi. L’uomo ha confermato la circostanza spiegando di aver anche saputo che l’episodio delle avances sarebbe avvenuto nella casa materna della donna. «Mia moglie – ha detto ancora Spinelli – non mi disse che Michele Misseri la toccò e non mi ha raccontato di altri episodi. Ironizzai su altri risvolti, ma lei minimizzò. Non ne feci un problema». Il teste ha aggiunto di aver parlato nuovamente di questo episodio dopo l’arresto di Michele. «Quando sapemmo che Michele aveva avuto attenzioni sessuali nei confronti della vittima, andammo a casa di Cosima e Dora disse le stesse cose che aveva già rivelato a me». La versione della morte della piccola Sarah Scazzi per un incidente occorso mentre nel garage lo zio le faceva molestie sessuali compare in più versioni delle tante sull'omicidio fornite da Michele Misseri nel corso delle indagini.
Ore 13:36 – Parla Dora Serrano. Dora è sorella di Cosima e vive a San Pancrazio Salentino, comune del Brindisino poco distante da Avetrana, e nella cui casa Sarah in quell'agosto 2010 trascorse alcuni giorni prima di far ritorno ad Avetrana. Piange in aula, Cosima Serrano, mamma di Sabrina. La 'donna sfinge' per la prima volta mostra un'emozione. La zia di Sarah, detenuta insieme alla figlia con l'accusa di aver ucciso il 26 agosto del 2010 ad Avetrana la nipote quindicenne, si scioglie in lacrime quando al banco dei testimoni arriva la sorella Dora. Il volto è segnato dal pianto durante la deposizione della più piccola delle sorelle Serrano. Dora conferma, nel processo, le 'avances', oltre trent'anni prima da parte del cognato Michele Misseri quando lei era un'adolescente. Dora racconta di quando, quindicenne (viveva ancora nella casa paterna) venne avvicinata da Michele, che da poco aveva sposato la sorella Cosima. In quell'occasione - ha raccontato oggi a Taranto nella dodicesima udienza del processo in corte d'Assise - Michele le sfioro appena il braccio con la mano e sommessamente, mentre erano soli, le chiese in dialetto " amma' fa' na' cosa?". A quel punto, ripercorre Dora davanti alle sorelle Concetta (madre di Sarah) e Cosima, scappai via dalla stanza. Dora Serrano, la zia di Sarah Scazzi, sentita nell'aula 'Emilio Alessandrini' del Tribunale di Taranto nel processo in Corte di Assise per l'omicidio della 15enne di Avetrana, ha praticamente confermato le presunte avances di molti anni fa da parte del cognato Michele Misseri che erano state rivelate dalla sorella Emma in una precedente udienza. L'episodio si sarebbe verificato quando la donna aveva 15 anni. Si tratta della testimonianza più attesa della dodicesima udienza del processo che vede alla sbarra Sabrina Misseri e Cosima Serrano, rispettivamente cugina e zia della vittima, le due principali imputate, accusate di concorso in omicidio, sequestro di persona e soppressione di cadavere. Entrambe sono detenute. Le presunte molestie da parte del cognato Michele sarebbero avvenute su un terrazzo quando Michele era agli inizi del suo matrimonio con Cosima. Dora Serrano solo durante le indagini per il delitto di Sarah ha rivelato questa circostanza ai carabinieri. La sua deposizione ha presentato qualche contraddizione. Prima di lei anche il marito Pancrazio Spinelli ha confermato il racconto della moglie. La coppia vive nella vicina cittadina di San Pancrazio salentino. La testimonianza può essere importante poiché Michele, che si autoaccusa del delitto, aveva detto che qualche settimana prima avrebbe molestato la vittima. «Una sera, quando io ero ragazzina, le mie sorelle mi chiesero di andare sul terrazzo e di mettere al riparo i vasi con le piantine. Arrivò Michele Misseri per aiutarmi e mettemmo a posto i vasi. Finita questa cosa si avvicinò e mi disse alcune parole, tipo: 'Dobbiamo fare una cosa?'. Poi mi sfiorò il braccio destro e io scappai via. Tornai giù dalle scale e andai in camera mia senza riferire nulla a nessuno». Lo ha detto ai giudici oggi Dora Serrano, 44 anni, sorella di Cosima e Concetta, nel corso del processo per l'uccisione di Sarah Scazzi. «Raccontai l’episodio a mio marito e dopo l’arresto di Michele anche a sua moglie Cosima. In seguito – ha aggiunto – mi contattarono gli avvocati Russo e Velletri (primi avvocati di Sabrina Misseri) perchè avevano bisogno di una testimonianza in favore di Cosima, ma questo fatto che mi è capitato è vero. Avevo 15 anni quando avvenne l’episodio ed ero a casa dei miei genitori, in via Martiri d’Ungheria. C'erano papà, mamma, Emma e mi pare Concetta, ma non ricordo bene». Dora Serrano riferì l’episodio a Cosima Serrano nell’ottobre 2010, quando venne arrestato Michele Misseri. Il 18 gennaio 2011 si recò dai carabinieri di Avetrana per raccontare lo stesso episodio. «Michele – ha osservato la teste – abitava al piano superiore a quello dove abitavano i miei genitori. Per andare sul terrazzo c'erano le scale esterne e non c'era bisogno di passare dalla nostra abitazione. Mio marito, che diceva che era tutto normale, forse ha dimenticato che gli dissi di essere stata anche sfiorata da Michele». Il pm, Mariano Buccoliero, ha contestato il fatto che se l'episodio si verificò nel 1982 Concetta abitava altrove perchè era stata data in adozione. Nel corso della deposizione di Dora Serrano, sua sorella Cosima, presente in aula insieme alla figlia Sabrina Misseri, ha pianto. Pancrazio Spinelli, marito di Dora Serrano, durante il confronto con la moglie, ha detto di non ricordare se la donna gli avesse raccontato di essere stata sfiorata sul braccio da Michele Misseri in occasione dell’episodio delle presunte avances. Ha confermato invece che era in casa quando entrambi ricevettero la visita degli avvocati Russo e Velletri. Nel corso della testimonianza in Corte d’Assise, in seguito a contestazioni del pubblico ministero, Dora Serrano ha detto che l’episodio delle presunte 'avances' da parte di Michele Misseri sarebbero avvenute dopo che lei aveva ultimato le scuole medie e in quella occasione forse aveva anche meno di 15 anni. «Dopo quell'episodio – ha poi osservato – i comportamenti con Michele Misseri erano normali, come se nulla fosse accaduto. Raccontai anche ad Emma quanto mi era capitato. Andai a casa sua, ma mio marito non ne era a conoscenza». La teste ha aggiunto di essere andata a trovare Cosima in carcere con la sorella Emma. «Non abbiamo parlato – ha riferito – delle responsabilità, di chi potesse aver ucciso Sarah». Uno dei legali della famiglia Scazzi, che è parte civile, Luigi Palmieri, ha formulato una contestazione ricordando come Emma Serrano avesse dichiarato invece di averne parlato con Dora e che concordarono sulla circostanza che Sabrina «non avrebbe potuto fare male a nessuno». La donna ha quindi dichiarato di essere d’accordo con la sorella Emma. La Corte d’Assise, su richiesta del pm Buccoliero, ha disposto un confronto tra Dora Serrano e il marito Pancrazio Spinelli in relazione alle confidenze sulle presunte 'avancè di Michele Misseri.
Ore 18:45 – Parla Alessandro Palmieri. «L'avv. Vito Russo intimorì Ivano Russo perchè quest’ultimo si era rifiutato di sottoscrivere un verbale. L’approccio fu tranquillo, ma poi i toni si fecero accesi». Lo ha riferito Alessandro Palmieri, colui che agì da intermediario e offrì il suo telefono Blackberry per registrare le dichiarazioni di Ivano Russo, raccolte dall’avv. Vito Russo, ex legale di Sabrina Misseri, nell’ambito di indagini difensive. Palmieri, interrogato dal pm Mariano Buccoliero e controesaminato dall’avv. Gianluca Pierotti, difensore di Vito Russo, ha peraltro aggiunto di non aver visto strappare alcun verbale e che le registrazioni le curava in prima persona. In una delle precedenti udienze, invece, Ivano Russo disse che in un incontro, al quale erano presenti anche l’avvocato Emilia Velletri (moglie di Vito Russo e anche lei ex legale di Sabrina Misseri) e lo stesso Alessandro Palmieri, l’avvocato Vito Russo cancellò l’audio e strappò il cartaceo sostenendo che non andava bene per la loro assistita.
E' stato ascoltato anche un teste minore, Biagio Fusarò, in relazione a un incontro avuto con Sarah Scazzi la mattina del 26 agosto 2010, giorno della scomparsa e dell’uccisione della quindicenne.
Nell’udienza di martedì prossimo, 24 aprile, saranno ascoltati altri testimoni, tra i quali Antonella Spinelli, figlia di Dora Serrano, sorella di Cosima, la donna accusata dell’omicidio insieme alla figlia Sabrina Misseri.
24 aprile. Tredicesima udienza. Parla. Antonella Spinelli, Elena Baldari, Maria Ferrara, Salvatore Misseri, Michele Genovino, Clorinda Ferrara, Antonietta Genovino e Claudio Benni.
Sono otto i testimoni che saranno interrogati nella tredicesima udienza del processo sull’omicidio di Sarah Scazzi che inizierà fra poco dinanzi alla Corte d’assise di Taranto. Ma i riflettori saranno puntati soprattutto su tre di essi. La cugina di San Pancrazio Salentino, Antonella Spinelli, coetanea di Sarah, riferirà sugli ultimi giorni di quest’ultima. La vittima si è fermata a casa sua dal 23 al 25 agosto, quindi fino alla vigilia dell’assassinio. La ragazzina conosceva le amicizie di Sarah e i profili aperti su Facebook. E’ stata lei a fondare sul social network, nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa, quindi a fine agosto 2010, il gruppo per cercare Sarah. In quel periodo, la speranza di ritrovarla viva alimentava ancora le ricerche di forze dell’ordine e volontari. Nessuno poteva immaginare quale orrenda fine avesse fatto la povera Sarah, uccisa e gettata in fondo ad un pozzo. E’ atteso anche l’esame della mamma di Ivano Russo, il ragazzo conteso da Sarah e Sabrina. Elena Baldari è stata ascoltata più volte nel corso delle indagini sul pomeriggio del figlio Ivano, il ragazzo conteso da Sarah e Sabrina. Nelle precedenti udienze sono stati ascoltati lo stesso Ivano e il fratello Claudio. Oggi toccherà alla mamma. I pm Mariano Buccoliero e Pietro Argentino hanno citato anche Maria Ferrara, Salvatore Misseri, Michele Genovino, Clorinda Ferrara, Antonietta Genovino e Claudio Benni. Quest’ultimo è il marito dell’avvocato Anna Rita Panzuto, originaria di Avetrana e residente a Bologna, dove svolge la professione di avvocato civilista, ascoltata nella precedente udienza. Intanto, l’intervista di Sabrina fatta tramite uno dei suoi avvocati, Nicola Marseglia, al settimanale “Di Più” rischia di aprire un altro caso. A quanto pare, la Procura sarebbe intenzionata a produrre in aula le dichiarazioni della ragazza chiedendo alla Corte l’acquisizione. E’ già accaduto per altre interviste ai protagonisti del delitto di Avetrana. Non era ancora accaduto, invece, per un articolo pubblicato da un giornale di gossip. Una vergogna nazionale. A Taranto: subisci e taci. E dire che Sabrina in carcere è stata in buona compagnia. Durante la permanenza in carcere di Sabrina Misseri e di sua madre Cosima Serrano, con loro e per altri fatti sono stati reclusi il Sostituto della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, Matteo Di Giorgio; il giudice civile presso il Tribunale di Taranto, Pietro Vella; l’ex sindaco di Taranto e Parlamentare nazionale, Giancarlo Cito. Ecc. Ecc. Comunque, può Sabrina Misseri, in custodia cautelare in carcere dal 15 ottobre del 2010 per l’omicidio della cugina Sarah Scazzi, rilasciare interviste? A rispondere a questa domanda sarà probabilmente la Procura, destinataria della segnalazione che la direttrice del carcere di Taranto Stefania Baldassarri ha inviato anche all’Ordine dei giornalisti e all’Ordine degli avvocati dopo la pubblicazione di una lunga intervista al settimanale «Di Più» e di altre due interviste al quotidiano «La Stampa» e al sito «Tgcom24». Le interviste sono state realizzate grazie alla fattiva collaborazione dell’avvocato Nicola Marseglia, uno dei legali di Sabrina, che si è preso la briga di sottoporre alla giovane di Avetrana le domande e di raccogliere le sue risposte. Secondo la Gazzetta del Mezzogiorno al centro dell’esposto firmato dal direttore Baldassarri non c’è il contenuto delle interviste, che in fondo nulla di clamoroso aggiungono alla vicenda ormai nota praticamente a tutti gli italiani, ma le interviste in quanto tali perché Sabrina Misseri si trova in custodia cautelare in carcere anche per impedirle di comunicare con l’esterno. Insomma quelle interviste possono rappresentare una palese e clamorosa violazione di tale precetto. Un po’ come avvenne nel novembre del 2010 con Michele Misseri, padre di Sabrina, che fu intervistato dalla giornalista di «Libero» Cristiana Lodi, presentatasi in carcere con la parlamentare Melania Rizzoli della quale disse di essere la collaboratrice, vicenda per la quale la Procura ha presentato richiesta di rinvio a giudizio nei suoi confronti per falso. Intanto Sabrina Misseri ha rilasciato una lunga intervista al settimanale «Di Più». Ha accettato di parlare per la prima volta con un giornalista attraverso i suoi avvocati che hanno raccolto e sintetizzato le risposte durante i colloqui in carcere e le udienze in Corte d’assise. Nell’intervista a firma di Oliviero Marchesi la giovane imputata affronta, tra le altre cose, il rapporto conflittuale con Ivano dicendosi attratta da lui ma «senza nessuna ossessione». Sabrina parla poi delle abitudini con la cugina Sarah: «Eravamo come sorelle – dice – e spesso ci facevamo anche la doccia insieme». Sulla zia Concetta, mamma di Sarah, Sabrina esprime il desiderio di incontrarla dicendosi pronta a «rispondere a tutte le sue domande». Secondo l’estetista, in carcere dall’ottobre del 2010, la zia Concetta non sarebbe convinta della colpevolezza sua e di sua sorella Cosima. Parole forti anche nei confronti del padre che durante le numerose udienze, confessa di non essere mai riuscita a guardarlo negli occhi tranne la prima volta quando fu colta da malore. Parlando del futuro Sabrina non dimostra risentimento nei confronti di quella parte degli avetranesi che l’hanno già condannata prima ancora del processo. «Se sarò assolta tornerò al mio paese, non sono io che devo nascondermi». L’imputata infine non spreca critiche alla macchina dell’informazione che avrebbe violato la sua privacy nonostante il divieto di riprenderla durante le udienze. L’intervista si chiude con pensieri di Sarah. «Penso spesso a lei», dice della cugina della quale ricorda piccoli episodi della sua breve vita. "Quando qualcuno si allontana nell'ombra, ci si chiede sempre se è un caso giallo o un allontanamento volontario?" Apre così la puntata di Quarto Grado del 20 aprile 2012, il conduttore Salvo Sottile. Quarto grado affronta il caso di Sarah Scazzi: Sabrina Misseri ha inviato una lettera al TgCom24: "Spero di reggere fino in fondo, la mia vita è cambiata peggio di una malattia, Ivano mi piaceva, ero attratta da lui, avrei voluto una storia... In giro sentivo e sento solo falsità, sulla mia invidia nei loro confronti e sui presunti litigi. Sarah era una sorella per me, eravamo molto attaccate, stavamo sempre insieme, uscivamo insieme, facevamo persino la doccia insieme. Le volevo solo bene... Con mio padre notavo uno sguardo fugace, io ero sola, con mia madre, da dietro le grate e volevo farmi forte. Zia Concetta non è convinta fino in fondo sulle certezze su di me e mia madre. Ho ancora i ricordi intatti di Sarah, mi vengono in mente tanti piccoli episodi delle nostre vite." La replica di Concetta Serrano: “Nulla mi lascia immaginare che Sabrina e Cosima siano innocenti. Se loro continuano a dire di non aver ucciso Sara, dicessero il nome di chi l’ha uccisa, escludendo però Michele, perché lui non c’entra nulla con l’omicidio di Sarah”. Queste le parole indignate di Concetta Serrano, mamma di Sarah riferite a Filomena Rorro, inviata di Quarto Grado, dopo aver letto sul Corriere del Mezzogiorno l’anticipazione della lettera di Sabrina Misseri indirizzata a Tgcom24. “Spero di reggere fino in fondo, ho letto tutti gli atti processuali, ho letto qualche libro. La mia vita è cambiata completamente. Ti colpisce qualcosa della quale non ti sai dare una ragione, è peggio di una malattia che ti viene improvvisamente ma che almeno puoi riuscire a spiegarti perch‚”. Lo afferma Sabrina Misseri rispondendo, tramite uno dei suoi difensori, Nicola Marseglia, a domande poste da Ilaria Cavo su Tgcom 24. Su Ivano Russo – per l’accusa il movente dell’omicidio sarebbe la gelosia – Sabrina dice di non avere “nessuna ossessione. Ivano mi piaceva, ero attratta da lui, avrei voluto avere una storia con lui, niente di più e niente di meno. Eravamo e siamo rimasti amici”. “Ho sentito e continuo a sentire al dibattimento – aggiunge – tante assurdità su questo rapporto, sulla mia gelosia morbosa per Ivano, per Sarah, su presunti violenti litigi, ogni piccola cosa è stata gonfiata oltre ogni ragionevole contatto con la realtà". Sul rapporto con Sarah, Sabrina rileva: "Era per me una sorellina minore. Stava sempre con me, quando lavoravo, la sera quando uscivamo con gli amici, era attaccata a me, faceva anche la doccia insieme a me. Io le ho solo voluto bene. Su questo non dovrebbero esserci dubbi, era noto a tutti, e lo ha confermato anche zia Concetta". Se verrà assolta, Sabrina annuncia che “tornerò ad Avetrana non dovrei essere io a nascondermi”. Dal carcere, dov'è rinchiusa con l'accusa di aver ucciso la cuginetta Sarah Scazzi, Sabrina Misseri parla con Tgcom24 attraverso uno dei suoi legali, Nicola Marseglia, e racconta di sé, della vita in cella, di Sarah, del padre Michele e delle accuse che le vengono mosse. Un’intervista con portavoce, insomma.
La vita in carcere
«Spero di reggere fino in fondo - dice Sabrina -. Mi sforzo di partecipare alle attività programmate dall'istituto. Ho letto gli atti processuali che mi sono stati notificati. Ho letto qualche libro (la biblioteca dell'istituto è comunque ubicata nella sezione maschile)».
Il cambiamento
«La mia vita - prosegue - è cambiata completamente. Ti colpisce qualcosa della quale non ti sai dare una ragione, è peggio di una malattia che ti viene improvvisamente, ma che almeno puoi riuscire a spiegarti perché».
Ivano, il presunto movente
Sabrina sottolinea di non avere «Nessuna ossessione. Ivano mi piaceva, ero attratta da lui, avrei voluto avere una storia con lui, niente di più e niente di meno. Eravamo e siamo rimasti amici anche quando mi sono resa conto che non c'era la possibilità di trasformare l'amicizia in un sentimento più impegnativo. Fino a quando sono stata ad Avetrana abbiamo continuato a frequentarci, senza equivoci, come amici. Non ho mai nascosto nulla a nessuno; i nostri amici, soprattutto quelli con i quali mi conosco da anni (Alessio, Angela, Liala) sapevano benissimo quale era la reale natura dei nostri rapporti, seppure senza che io lo avessi desiderato erano venuti a conoscenza anche dei dettagli più intimi e riservati, non c'erano segreti. Ho sentito e continuo a sentire al dibattimento tante assurdità su questo rapporto, sulla mia gelosia morbosa per Ivano, per Sarah, su presunti violenti litigi, ogni piccola cosa è stata gonfiata oltre ogni ragionevole contatto con la realtà».
La serata a luci rosse con Ivano
Per l'accusa la conferma del fatto che la figura di Ivano sia il movente è nel fatto che in paese iniziava a girare la voce della serata hot in auto dei due giovani. Ma Sabrina smentisce seccamente. «L'episodio al quale si fa riferimento - spiega - non è avvenuto a giugno ma ad agosto 2010. Sarah non c'entra niente in ordine alla sua diffusione e glielo dissi chiaramente ad Ivano con il quale mi ero lamentata della mancanza di riservatezza. La responsabilità maggiore è di mio cugino Claudio, per quella sua incorreggibile abitudine di intromettersi nei fatti degli altri, di assumere un ruolo che non gli compete e che anche in questo caso non gli era stato richiesto».
Una sorella minore
«Sarah era per me una sorellina minore - prosegue la ragazza -. Stava sempre con me, quando lavoravo, la sera quando uscivamo con gli amici, era attaccata a me, faceva anche la doccia insieme a me. Io le ho solo voluto bene. Su questo non dovrebbero esserci dubbi, era noto a tutti, e lo ha confermato anche zia Concetta. Mi capita spesso di pensare a Sarah - rivela -. Tutti i ricordi che ho di lei sono intatti. Mi vengono in mente tanti piccoli episodi della nostra vita».
Il padre, Michele, e la confessione che la accusa
Quando ha saputo della confessione del padre, «rifiutavo di credere che potesse essere stato lui, mi sembrava incredibile, ho persino esternato questa mia disperata convinzione, ma anche questo è stato rigirato contro di me in maniera assurda, come del resto è avvenuto per altre circostanze. All'inizio aveva convinto tutti, inquirenti compresi, poi è cambiato qualcosa. Sarebbe importante approfondire, anzi chiarire definitivamente questo aspetto e mi auguro che ciò avvenga nel corso del processo. Con mio padre durante la prima udienza vi è stato solo uno sguardo fugace. Non ho pensato a nulla, ero disorientata, chiusa nella gabbia con mia madre, volevo sparire, mi sono fatta forza e sono andata avanti fino alla fine».
Zia Concetta, la mamma di Sarah
«Io penso che zia Concetta non è convinta fino in fondo, che non ha certezze circa la mia responsabilità e quella di mia madre. Ho già detto che sono pronta ad incontrarla quando lo vorrà, anche subito. Io la aspetto. Le risponderei a qualunque domanda».
Le accuse della gente
«Io non giudico nessuno - sottolinea Sabrina - anche se nei miei confronti è avvenuto esattamente il contrario. Comunque ho letto e ascoltato tante falsità, all'inizio mi sembrava di impazzire ora mi sono quasi abituata. Mi fa paura il pregiudizio. Mi fa paura che possa influenzare la decisione. Ci sono tanti casi di persone ingiustamente condannate e riabilitate dopo anni di ingiusta sofferenza. Spero che non accada a me. Ma in futuro, se sarò assolta tornerò ad Avetrana. Non dovrei essere io a nascondermi».
Il processo mediatico
«Quello che hanno fatto le televisioni ed i giornali in questa vicenda - conclude la giovane - va oltre ogni immaginazione. Anche oggi, i resoconti delle udienze sono sfacciatamente fuorvianti, riportano pressoché il contrario di ciò che è avvenuto o è stato detto in aula, da restare allibiti. Nonostante il divieto di riprendermi le mie immagini nell'aula della Corte di Assise sono state trasmesse via internet ed in televisione per soddisfare morbose curiosità».
Pensieri
«Mi capita spesso di pensare a Sarah. Tutti i ricordi che ho di lei sono intatti. Mi vengono in mente tanti piccoli episodi della nostra vita».
Tornando al processo sono otto i testimoni citati per l'udienza odierna dalla pubblica accusa.
Rendiconto della giornata.
ORE 11:00 - Parla Antonella Spinelli. Chiamata a testimoniare la cugina 15enne di Sarah, secondo la quale la ragazzina uccisa non disse mai di avere un interesse sentimentale per Ivano Russo, l'amico del quale, secondo l'accusa, Sarah e la cugina Sabrina Misseri si sarebbero invaghite. Sarah Scazzi soggiornò per un breve periodo, sino a due giorni prima di essere uccisa (26 agosto 2010), dalla cugina a San Pancrazio Salentino (Brindisi). «Mi raccontò di essere stata fidanzata per un giorno con un ragazzo di 16 anni, un certo Davide, che la baciò per gioco - ha riferito la ragazzina - ma la sera stessa si lasciarono. - La teste ha poi aggiunto - che Sabrina ogni tanto sgridava Sarah perchè lei diceva qualche parolaccia, ma era normale. Non credo che Sabrina e zia Cosima abbiano ucciso Sarah, ma zio Michele». Antonella Spinelli, testimoniando in aula al processo per l'omicidio della cugina 15enne Sarah Scazzi, ha detto anche di aver attivato un nuovo profilo su Facebook e di aver conosciuto le amiche di Sarah. In particolare ha parlato di Francesca Massari che gestiva un altro profilo Facebook di Sarah. «Io penso che se è uscita un'immagine distorta di Sarah non è colpa sua, ma delle amiche. Sabrina mi parlava di Ivano. Verso luglio ho cominciato a sentire parlare di lui, ma Sarah non mi ha mai detto niente di particolare sul rapporto tra Ivano e Sabrina. Non mi ha mai detto della storia del rapporto in macchina tra i due. Io questa storia l'ho sentita solo in televisione». La Spinelli ha anche risposto alle domande su una foto particolare postata su Facebook il 26 agosto del 2010 alle 21, che ritraeva un burattino legato con alcune corde. «Non c'entra nulla con la vicenda. Si riferiva a problemi che avevo con le mie amiche. Quel pomeriggio Sabrina chiamò per avvisarci che Sarah non si trovava. Io ho sempre detto che credo che Sabrina e zia Cosima non siano colpevoli. Io penso che sia stato mio zio Michele. Sabrina ci teneva tanto a Sarah. Io sono convinta di questa cosa, ma cerco di evitare l'argomento perchè non mi fa stare bene». La quindicenne ha poi parlato dei profili Facebook che aveva la cugina. «Lei non conosceva le password e i profili venivano gestiti dalle sue amiche. Spesso mi diceva al telefono di entrare nel suo profilo, ma mi dava password errate. La mattina del 25 agosto decidemmo di creare un altro profilo e la password la dovevo avere io perché di me si fidava». Quanto al rapporto tra Sarah e Ivano, la quindicenne ha sottolineato che la cugina le diceva «che per lei era un amico, che era simpatico, ma nulla di particolare. Non mi ha mai detto che gli piaceva. Decidemmo di fare un quaderno dove ognuno di noi scriveva qualcosa. Lei scrisse la mattina del 26 agosto. Scoprii che faceva riferimento ad Ivano e per me fu una sorpresa».
ORE 12:45 – Parla Elena Baldari. «Quando tornò a casa dopo essere rientrato dal lavoro, parlai con Ivano della scomparsa di Sarah e lui era sconvolto. Dopo aver mangiato uscì anche lui per andare a cercarla». Lo ha detto Elena Baldari, mamma di Ivano Russo, testimoniando al processo per l’omicidio di Sarah Scazzi. «Non mi parlò mai di Sarah – ha aggiunto la donna – prima della sua scomparsa, nè di Sabrina, conoscevo solo Alessio Pisello. Il 26 agosto 2010 mio figlio Claudio andò al mare e Ivano rimase a casa. Nel primo pomeriggio si mise a letto e alle 17.10 lo accompagnai dal suo datore di lavoro a San Pietro in Bevagna». Elena Baldari ha riferito che lungo la strada incontrarono Alessio e una ragazza. Ivano scese e parlò con loro qualche minuto. «Risalito in macchina – ha proseguito – mi disse che era scomparsa Sarah, la cugina di Sabrina». La teste non ha ricordato se Ivano avesse il cellulare in camera mentre riposava. Ai carabinieri, quando venne ascoltata nel corso delle indagini, riferì di aver udito un messaggio vocale sul telefonino del figlio nel primo pomeriggio del 26 agosto, ma poi precisò che si era sbagliata e aveva fatto confusione con le date. «Quando entrai in macchina per accompagnarlo al lavoro, Ivano lesse un messaggio di Sabrina e disse “mo si è persa pure la cugina” urtando il telefono sul cruscotto». Il pubblico ministero Mariano Buccoliero ha contestato alla donna sia l’orario in cui sarebbe stato letto il messaggio sia il contenuto. La donna, ascoltata dai carabinieri il 31 agosto 2010, attribuì a Ivano la frase “Ma cosa ne so io della cugina, io non sono uscito da casa”. La Baldari ha poi raccontato del giorno in cui ricevette la visita di Michele Misseri e di Sabrina che portarono una cesta di funghi e chiesero informazioni sul contenuto delle dichiarazioni rese dalla stessa donna e dal figlio Ivano. Ci fu anche un’altra visita dopo il ritrovamento del cellulare di Sarah. «Vennero Sabrina e Valentina Misseri – ha ricordato la madre di Ivano – io chiesi di questo ritrovamento e mi dissero che era stato scoperto dal padre Michele, che era andato in un fondo con un amico. Valentina aggiunse che era tornato per caso in quel fondo perchè si era dimenticato di un cacciavite speciale».
ORE 13:45 – Il refuso. Successivamente è stato ascoltato un altro testimone, Claudio Benni, mentre è saltata la deposizione di Salvatore Misseri (fratello di Michele), che ha inviato una certificazione medica. Maria Ferrara, moglie di Cosimo Cosma, imputato di concorso in soppressione di cadavere, si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Infine sono stati acquisiti i verbali di sommarie informazioni rese da Michele Genovino, Clorinda Ferrara e Antonietta Genovino, tutti in qualità di persone informate sui fatti. Questi che dovevano venire da Napoli non si sono presentati, adducendo con un fax l’impossibilità per motivi di salute, senza però produrre certificato medico. Sono stati multati di 500 euro a testa. La Corte d'Assise ha aggiornato il processo all'8 maggio prossimo, quando saranno ascoltati altri testimoni, tra i quali Anna Pisanò, una dei testi-chiave per l'accusa, il maresciallo Fabrizio Viva, comandante della stazione carabinieri di Avetrana, e il maresciallo Baiotta. Il pm ha chiesto inoltre alla Corte di acquisire agli atti l'intervista rilasciata nei giorni scorsi al settimanale “Di più” da Sabrina Misseri tramite uno dei suoi legali, l'avv. Nicola Marseglia. Lo stesso difensore ha chiesto alla Corte invece di produrre una mail del 17 aprile 2012, inviata al giornalista Oliviero Marchesi del settimanale “'Di più”, nella quale il legale avrebbe precisato che l’intervista era frutto della sintesi del difensore dopo una conversazione con la sua assistita. La Corte si è riservata la decisione.
8 maggio. Quattordicesima udienza. Parla Anna Pisanò, Antonella Tondo, Fabrizio Viva, Biagio Blaiotta e Giovanni Risi.
La testimonianza di Antonella Tondo suocera di Giuseppe Nigro titolare della Masseria “La Grottella”, albergo-sala ricevimenti in cui quel giorno si tenne un matrimonio, non è stata rilevante.
Anna Pisanò, una dei testi-chiave per l'accusa, il maresciallo Fabrizio Viva, comandante della stazione carabinieri di Avetrana, il brigadiere Blaiotta ed il responsabile della protezione civile di Avetrana, Giovanni Risi. Al processo per l’omicidio di Sarah Scazzi, la quindicenne di Avetrana (Taranto) uccisa il 26 agosto 2010, la Corte di Assise di Taranto si è riservata di decidere su due richieste avanzate rispettivamente dalla Procura e dalla difesa di Sabrina Misseri, quest’ultima – cugina di Sarah - accusata del delitto insieme alla madre, Cosima Serrano. La Procura ha chiesto l’acquisizione di un video contenente un’intervista rilasciata da Concetta Serrano il 27 maggio 2011 alla trasmissione “Quarto grado”, e un altro video realizzato con un cellulare che ritrae Sarah a San Pancrazio Salentino qualche giorno prima del suo ritorno ad Avetrana, nell’agosto 2010. La difesa di Sabrina Misseri ha invece chiesto alla Corte di acquisire la comunicazione che i carabinieri della Stazione di Avetrana inviarono il 26 agosto 2010 alla Procura presso il Tribunale per i minorenni di Taranto e alla Procura della Repubblica di Taranto, relativa alla scomparsa di Sarah. Al processo per l’omicidio di Sarah Scazzi è stato il giorno della testimonianza di Anna Pisanò, uno dei testimone chiave dell’accusa. La donna ha messo in fila una serie di rivelazioni che potrebbero essere decisive per la condanna di Sabrina Misseri e di sua madre Cosima Serrano. La Pisanò era a casa Misseri la mattina della scomparsa di Sarah. Anna Pisanò parla per quasi cinque ore, ricordando tutto il ricordabile malgrado i 20 mesi trascorsi dai fatti. Non sbaglia una data e anzi aggiunge, precisa, mette a fuoco, offrendo alla corte d’assise, ed ai giudici popolari in particolare, elementi conoscitivi ulteriori, forse non penalmente rilevanti, ma sicuramente in grado di tratteggiare con efficacia il contesto in cui maturò l’omicidio di Sarah Scazzi. Si dichiara amica di Sabrina Misseri, «Io voglio bene a Sabrina, ho ancora il suo numero nella rubrica del cellulare», ma Anna Pisanò, la super testimone nel processo per l’omicidio della 15enne di Avetrana, non le fa certo un favore, affondando i colpi sotto i quali l’alibi della giovane estetista vacilla, forse irrimediabilmente. Anna Pisanò non è un testimone qualsiasi perché è presente, suo malgrado, in molte fasi dell’inchiesta. Era a casa di Sabrina il giorno dell’omicidio, quando vide Sarah particolarmente triste e affranta come mai le era capitato di incontrarla; raccolse la confidenza di Sabrina la sera in cui il padre Michele confessò il delitto e fece ritrovare il cadavere («Lo hanno incastrato, lo hanno incastrato; anche io dopo sette ore sotto torchio avrei detto di averla uccisa e dove l'ho messa, dopo sette ore ti viene quella cosa di dire la verità e farla finita, ma io non l'ho fatto, non sono stupida»); è la madre di Vanessa Cerra, l’ex commessa del fioraio Giovanni Buccolieri che il pomeriggio del 26 agosto 2010 vide Sarah correre in via Deledda, in lacrime, inseguita e poi raggiunta dalla zia Cosima Serrano, madre di Sabrina, che la prese per i capelli e la costrinse a forza a salire sulla sua vettura. Ad onor del vero Anna Pisanò fa riferimento alla scuola Media, come luogo in cui vi fu la violenza, e non ad una traversa di via Verdi, come, invece indicato nel sogno del Buccolieri. Il racconto della Pisanò scorre fluido e si capisce perché l’altro difensore di Sabrina Misseri, il professor Franco Coppi, (fresco di vittoria per l'assoluzione di Raniero Busco accusato del delitto di Simonetta Cesaroni) bloccato a Roma a causa di un processo finito tardi il giorno precedente, aveva chiesto, senza successo, alla corte d’assise il rinvio dell’esame della testimone. La donna era una cliente fissa di Sabrina Misseri e quando non era lei a sottoporsi a trattamenti estetici, accompagnava una delle sue tre figlie. Dunque aveva dimestichezza con la famiglia Misseri e con Sabrina in particolare, tanto da sapere praticamente tutto di lei, a partire dall’invaghimento per Ivano Russo, il giovane conteso da Sabrina e Sarah. Addirittura in alcune occasioni Anna Pisanò avrebbe controllato Ivano, sia direttamente andando nel negozio dove lavorava che tramite il suo profilo Facebook, per conto di Sabrina. «Non ho mai visto Sabrina soffrire per la scomparsa di Sarah - ha ricordato la testimone - e anzi il giorno del funerale della bambina, dopo averla invitata inutilmente a venire con me al rito, andai a casa e la trovai a mangiare nutella e a pensare a Ivano, col quale si era riavvicinata. Mai un pensiero per Sarah, che sin dal primo giorno considerava morta». Il collegio difensivo ha cercato di minare la credibilità della Pisanò soprattutto sui tempi del suo racconto, sul fatto che si decise solo ad aprile del 2011 a raccontare l’episodio del sequestro di Sarah di cui era venuta a conoscenza un mese dopo la scomparsa di Sarah. «Ma mia figlia solo prima di partire per la Germania, il 17 marzo del 2011, mi disse che era stato il fioraio Buccolieri a raccontarle la storia del sequestro. Vanessa mi disse pure di non raccontare nulla, perché mi avrebbero preso per pazza o lui avrebbe detto che era un sogno. Ma a me non importava, l'unica cosa che contava era scoprire la verità».
Ore 11:00 – parla il maresciallo comandante della stazione dei carabinieri di Avetrana, Fabrizio Viva, il brigadiere Biagio Blaiotta ed il responsabile della protezione civile di Avetrana, Giovanni Risi. Il 26 agosto 2010 Concetta Serrano si presentò alle 15-15.15 alla caserma dei carabinieri di Avetrana (Taranto) per denunciare la scomparsa della figlia Sarah Scazzi. La donna poi rientrò a casa per prendere alcune foto della ragazzina e la denuncia venne formalizzata intorno alle 17-17.20. Lo ha riferito il comandante della Stazione dei carabinieri di Avetrana, maresciallo Fabrizio Viva, durante la deposizione al processo per l’omicidio della quindicenne. Più tardi, sempre in caserma, intorno alle 18.30, il maresciallo chiese a Sabrina Misseri se la cugina Sarah avesse un diario. “Sabrina – ha detto Viva – mi disse che non lo sapeva e che avrebbe visto. Il 31 agosto vennero acquisiti cinque agende e un quaderno di Sarah”. Alla deposizione di Viva è seguita quella di un altro carabiniere in servizio alla Stazione carabinieri di Avetrana. «Quando trovò un telefonino in campagna, che poi scoprimmo era quello di Sarah, Michele Misseri si mostrò preoccupato per le impronte lasciate sul cellulare e diceva "non è che ora mi accusano di qualcosa?"»: lo ha riferito il brigadiere dei carabinieri Biagio Blaiotta, in servizio alla Stazione di Avetrana (Taranto), che ha testimoniato al processo per l’omicidio di Sarah Scazzi, in corso a Taranto. Michele Misseri, ha aggiunto il carabiniere, disse più volte anche di "sentire" che quel telefonino era di Sarah. La circostanza è stata confermata successivamente anche dal responsabile della Protezione civile di Avetrana, Giovanni Risi, presente quando Michele Misseri consegnò il telefonino agli investigatori.
Ore 14:30 – parla Anna Pisanò. Anna Pisanò era diventata amica di Sabrina perché una delle figlie, Vanessa Cerra, dopo che si era sposata, era andata a vivere in via Deledda vicino a casa della famiglia Misseri. Inoltre, oltre che cliente insieme alle sue quattro figlie di Sabrina dello studio privato di estetista, conosceva anche Sarah da quando era piccola, poiché una delle sue figlie era coetanea della 15enne assassinata. E si era molto affezionata alla vittima. Il 26 agosto 2010, giorno in cui venne uccisa, Sarah Scazzi arrivò a casa della cugina Sabrina Misseri, che l’aveva chiamata al telefono, poco dopo le 9 e «aveva la faccia triste, il viso all’ingiù e non salutò, contrariamente a quello che faceva di solito, sedendosi su un divanetto a maneggiare il cellulare». Lo ha dichiarato una testimone, Anna Pisanò, al processo per l’omicidio della quindicenne di Avetrana. La Pisanò è uno dei principali testi dell’accusa. La teste quella mattina era a casa di Sabrina per un trattamento estetico. «Chiesi a Sarah se stesse male, ma lei non mi rispose – ha aggiunto – e Sabrina mi disse "Lasciala stare". Sabrina guardava praticamente sempre Sarah quella mattina, a me sembrava che volesse farle capire di non parlare. Andai via dopo 15-20 minuti». Poi ha confermato una deposizione fatta durante le indagini in cui sottolineava che Sabrina non le sembrò affatto preoccupata. «Anzi ci prendeva in giro con atteggiamento spavaldo. Anzi l'unica cosa che disse con tono serio, ribadendolo anche al vice sindaco, fu che gli autori del rapimento di Sarah erano sicuramente quelli di San Pancrazio. Sabrina disse che lo zio (Giacomo Scazzi padre di Sarah ) era immischiato nell'usura, forse doveva dare soldi a qualcuno. E quindi qualcuno poteva essersi vendicato.» La Pisanò continua: «La sera del 6 ottobre 2010 capii dalla tv che Michele Misseri aveva confessato il delitto. Ero in casa di mia figlia, che abitava di fronte ai Misseri. Vidi Sabrina uscire, mi avvicinai e lei mi disse “L'hanno incastrato, l'hanno incastrato”. Poi aggiunse “anche io dopo sette ore sotto torchio avrei detto di averla uccisa e dove l’ho messa, dopo sette ore ti viene quella cosa di dire la verità e farla finita, ma non l’ho fatto” e si mise a piangere». Durante la deposizione della Pisanò Sabrina Misseri è più volte scoppiata in lacrime. «Dopo la scomparsa di Sarah - ha continuato la teste - chiamavo ogni giorno Sabrina per sapere se c'erano notizie e lei mi diceva che si sentiva che la cugina era morta. Anche Michele diceva che Sabrina gli riferiva che Sarah era stata rapita da zingari, rumeni o per gli organi». Anna Pisanò ha aggiunto che Sabrina «voleva cambiare sempre discorso. Io le chiedevo: ma se non ne parli tu che sei la cugina? Allora molte volte si prendeva a parlare di Ivano (Russo il ragazzo del quale l'imputata era innamorata). Io invece le dicevo che mi sentivo e mi immaginavo che Sarah tornava. Lei mi rideva in faccia. Mentre io ero ansiosa per Sarah - ha sottolineato ancora - non ho mai visto un vero dolore in lei. Le ho chiesto dopo la scomparsa se pensava di continuare a lavorare e lei mi ha risposto che era normale riprendere a lavorare. E infatti riprese a prendere appuntamenti per il suo lavoro di estetista». Continuando la sua testimonianza Anna Pisanò ha dichiarato che la sera del 28 agosto 2010, due giorni dopo la scomparsa di Sarah, Vanessa Cerra, sua figlia, ex amica di Sabrina Misseri, appartandosi con il fidanzato vicino al palazzetto dello sport di Avetrana sentì qualcosa simile a lamenti umani provenire dalla campagna e telefonò a Sabrina. Quest’ultima rispose che si trovava in birreria «per dimenticare». Sabrina quella sera, ha aggiunto la Pisanò, arrivò più tardi accompagnata da un’amica, Mariangela Spagnoletti, e dopo che la Cerra aveva chiamato i carabinieri. Sul posto era giunto poco prima anche un altro amico della comitiva dei giovani, Alessio Pisello, che addirittura si armò di bastone in caso di evenienza. Poco dopo arrivò anche Ivano Russo, - ha proseguito Pisanò - Sabrina ci chiese anche: secondo voi Sarah potrebbe essere viva? Noi abbiamo risposto che ci speravamo con tutto il cuore ma se si era trattato di qualcos'altro, eravamo pronti a tutto. Sabrina disse che sentiva che era morta» «Sabrina commentò il fatto dicendo "avete visto troppi film", e poi disse che Sarah secondo lei era stata rapita da parenti del padre di Sarah che stanno a San Pancrazio Salentino». «Non ho mai visto Sabrina veramente addolorata per la scomparsa di Sarah, mai vista vera sofferenza. Anche qualche giorno dopo la scomparsa mi disse che, secondo lei, Sarah era morta. Il giorno del funerale fu lei a dirmi che si era riavvicinata sentimentalmente ad Ivano Russo. Rimasi così, le feci gli auguri». «Partecipavo ad una raccolta di firme ad Avetrana per far intensificare le ricerche di Sarah. Ma spesso, bussando a casa delle persone, queste mi rispondevano "chiedilo a Sabrina Misseri, che lei lo sa". Lo dissi a Sabrina e lei mi rispose: “secondo te io la uccidevo, la affogavo, la violentavo?” e la madre Cosima allora disse: “se Sabrina l’ha uccisa, 30 anni si deve fare, ma il corpo di Sarah viva o morta deve uscire”». «Io dissi a Sabrina – ha aggiunto Pisanò – di non credere alle parole della gente». «Alla fine di settembre 2010 mia figlia Vanessa mi riferì che una persona le aveva detto di aver visto il 26 agosto Sarah correre in strada, verso la scuola Briganti, seguita dall’auto di Cosima, che scese, l'afferrò per i capelli e la buttò in macchina». «Vanessa – ha aggiunto – non mi volle dire chi fosse quella persona, perchè le aveva detto che l’avrebbero scambiato per uno che si inventa le cose o aveva sognato. Io poi capii che quella persona era il fioraio da cui mia figlia lavorava, Giovanni Buccolieri, e quando lo dissi a Vanessa lei me lo confermò». «Vanessa allora – ha continuato Anna Pisanò – mi riferì anche che il fioraio le aveva motivato così il suo comportamento: “Se fosse stata mia figlia avrei fatto diversamente, ma siccome non è mia figlia non voglio entrare in questa storia”». La circostanza venne poi riferita da Vanessa ai carabinieri, mentre il fioraio, dopo averla confermata agli inquirenti, due giorni dopo ritrattò dicendo che aveva sognato tutto. Per questo motivo la posizione di Buccolieri è stata stralciata e l’uomo è indagato in procedimento connesso per false informazioni al pm. Durante la deposizione di Anna Pisanò anche Cosima Serrano in qualche circostanza, così come la figlia Sabrina, non ha trattenuto le lacrime.«Io andai il giorno del funerale a casa di Sabrina, la invitai a venire allo stadio (dove si tennero le esequie ) ma lei mi disse di no. Ci andai anche dopo la cerimonia. La signora Cosima piangeva. Le diedi le condoglianze, Sabrina era sulla poltrona. Io le ho detto che il funerale era stato terribile ma lei mi ha risposto dandomi la notizia che si era riavvicinata con Ivano. Adesso stiamo parlando del funerale della bambina, ho risposto io - ha riferito la teste - Ivano lasciamolo stare. Io le ho augurato che con Ivano potesse andare bene. Non la vidi piangere. Io le ho chiesto perché nelle interviste non aveva parlato della tristezza di Sarah quella mattina del 26 agosto a casa sua. Lei invece aveva detto che era allegra e avevano sentito musica. Perché hai detto questo?, le ho chiesto. E perché non hai detto che era così triste, che quasi piangeva? Lei mi ha risposto: “quello che ho detto ho detto: basta”. Io ho avanzato l'ipotesi che potessi parlare io ai carabinieri di quel particolare. Tu non devi parlare con i carabinieri, mi ha intimato. Se ti chiedono qualcosa, tu non sai niente. Infatti io non andai dai carabinieri proprio perché avevo dato la parola a Sabrina, se non il 27 ottobre quando mi convocarono. Per Sabrina avrei dovuto dire che era allegra e non triste. Non si voleva contraddire con le interviste che aveva dato. Quella mattina Sarah era arrabbiata», ha aggiunto rispondendo a una domanda dell'avvocato Nicola Marseglia, il difensore di Sabrina Misseri. Anna Pisanò ha raccontato anche della tendenza di Valentina e Sabrina ad allontanare il padre dalle altre persone quando si parlava della faccenda.
Con l’audizione della testimone Anna Pisanò, durata oltre quattro ore, si è conclusa l'udienza del processo per l’omicidio di Sarah Scazzi. In chiusura di udienza la difesa di Sabrina Misseri ha chiesto alla Corte di Assise l’acquisizione di un telefonino di Anna Pisanò nella quale sono contenuti messaggi da lei scambiati con Valentina Misseri, primogenita della famiglia, dopo l’arresto di Sabrina (15 ottobre 2010), e di quello della stessa Valentina. Accusa e difesa hanno chiesto anche la trascrizione del contenuto dei messaggi. Per il collegio difensivo Anna Pisanò non sarebbe teste attendibile. Ad esempio, perché registrare - pur se lo strumento glielo fornirono i carabinieri - i colloqui con un'amica che è citata come teste nel processo? La stessa amica oggi si è avvalsa della facoltà di non rispondere. “L'ho fatto per tutelarmi - ha replicato la Pisanò - perché non volevo che in paese si dicesse in giro che sono bugiarda”. Gli ultimi contatti della Pisanò con la famiglia Misseri sono dell'autunno 2010: sms con Valentina, di cui oggi è stata chiesta acquisizione alla Corte. Sempre la difesa di Sabrina ha chiesto anche l’acquisizione di tutti i tabulati telefonici del cellulare della Pisanò dal 20 ottobre 2010 al 31 maggio 2011. La Corte di Assise si è riservata di decidere sulle richieste. La teste Pisanò ha consegnato alla Corte il cellulare in questione, che – aveva già detto durante la deposizione – aveva portato con sè in borsetta.
Intanto, in quei giorni, ed esattamente il 2 maggio, emerge la posizione di un addetto ai lavori. Su l’amministrazione della Giustizia e la responsabilità civile dei magistrati. La verità di Matteo Di Giorgio. Il magistrato di Taranto arrestato dalla Procura di Potenza. Quello che la stampa non osa riportare. Così come fanno tutti i giornalisti locali e nazionali con il dr Antonio Giangrande, soverchiato da magistrati indegni della toga che indossano e coperti mediaticamente da giornalisti omertosi. La verità del magistrato Matteo Di Giorgio dopo l'arresto pubblicate in video ed in testi alla pagina territoriale di Taranto su www.telewebitalia.eu. Cose che Giangrande è da anni che le grida al mondo, accusando infami ritorsioni. Giudici contro. Della serie: anche i sostituti procuratori della Repubblica di Taranto provano l’onta dell’ingiustizia e subiscono la gogna mediatica. La voce agli imputati, presunti innocenti, in un sistema dove voce non hanno. La sua Verità di giudice arrestato e buttato nella bolgia infernale come i comuni mortali a provare la legge del contrappasso. Bene Matteo Di Giorgio ha dichiarato: «Il procedimento che mi riguarda prende le mosse proprio da una denuncia di Italo Pontassuglia, 22 settembre 2007. In questa denuncia, signori, si dice di tutto sul mio conto. Non si parla delle sciocchezze che sono emerse nell’ordinanza, perché poi vedremo sono comunque delle sciocchezze, anche se fossero vere e non lo sono. Ora, io non ho molto tempo per spiegarvi l’enormità, però devo far notare che quello che dice Pontassuglia è smentito da tutti gli atti del processo. Amministratore di fatto significa prendere le decisioni in luogo dell’amministratore formale, di colui il quale il Sindaco, o la Giunta, o il Consiglio Comunale, si sostituisse di fatto agli stessi. Ebbene. Signori sapete quante intercettazioni telefoniche ed ambientali hanno visto oggetto la persona del sottoscritto? Quasi cinquantamila. E io dico, meno male che ci sono le intercettazioni. Dico meno male che ci sono le intercettazioni, perché dalle intercettazioni non è emerso nulla. Perché la procura di Potenza, consentitemi da questa vicenda è strabica. Perché da un lato ha messo sotto processo Rocco Loreto per la minaccia rivolta a mio figlio, dall’altra ha arrestato me perché ho detto “ha minacciato mio figlio”. Io sono stato arrestato perché mi si dice “non è vero, tu hai diffamato Loreto, dicendo che ha minacciato tuo figlio”. Questo è l’oggetto dell’arresto mio, signori. Questo è. Ed è la prova che ho detto che c’è una certa contiguità tra gli investigatori ed i miei denuncianti. Volete un’altra prova? La disponibilità dell’ordinanza in originale. Questa è una copia dell’originale. E’ una copia che qualcuno ha avuto al più tardi il 18 novembre 2010, cioè una settimana dal mio arresto, quando l’ordinanza era coperta dal segreto istruttorio. E sapete da dove proviene questa ordinanza? Signori, sta scritto qua. E’ il signor Pontassuglia Italo: il mio denunciante. Questo è un avviso di accertamento tecnico irripetibile notificato il 15 novembre 2010 a Pontassuglia. Questo significa che Pontassuglia ha creato questo file, ha avuto l’ordinanza al più tardi il 18 di novembre 2010. Questo significa che una settimana dopo il mio arresto il mio accusatore aveva l’ordinanza. Chi gliel’ha data? Io certo no. Signori, questo è agli atti del processo, poi tutto il resto è inutilmente, perché a Potenza le porte sono chiuse. Questa è la prova che Pontassuglia ha una corsia preferenziale con Potenza, perché non può che averla ricevuta da Potenza. Non sono sospetti, questa è una prova. Io ho denunciato Potenza. Ci sarà un motivo se io ho denunciato gli Uffici giudiziari di Potenza. Perché a Potenza non sono tutelato. Io ho detto alla dottoressa Triassi, ho detto, quando mi ha fatto una valutazione giuridica, ho detto lei mi fa paura, ho detto. Come cittadino io ho paura di lei. Sapete perché? Perché quando la Cassazione ha annullato il capo d’imputazione della vicenda Coccioli, ha detto la Cassazione “me la date sta prova che Di Giorgio sta d’accordo con l’amministrazione comunale?”. E s’è rifatta l’udienza. Viene la dottoressa Triassi e dice “ecco la prova dell’accordo”. La prova dell’accordo è questo. In una telefonata tra il dottor Di Giorgio e l’assessore allo Sport, si tratta di Alfredo Cellammare, che nei 6 mesi successivi al fatto, in cui io ed Alfredo Cellammare parliamo di tutt’altra cosa. Non parliamo del contributo, parliamo di tutt’altro. E dice la dottoressa Triassi “ecco, questa è la prova che Di Giorgio e Cellammarre si conoscono. Io gli ho detto “guardi che avrebbe potuto chiedermelo, glielo avrei detto io, perché ci conosciamo da quando avevamo i calzoncini corti. Ma se la prova del concorso in un reato, scusatemi devo fare un discorso tecnico, risiede nel mero rapporto di conoscenza, allora io sono complice di tutti i reati commessi dai castellanetani, perché li conosco un po’ tutti. Quindi io verrò chiamato a rispondere in qualsiasi reato possa commettere un castellanetano. Questa è un abnormità; un’aberrazione giuridica. E io alla dottoressa Triassi dissi “lei mi fa paura. Io ho paura di una che ragiona così. Come uomo”. Se parliamo dell’amministrazione della Giustizia dobbiamo uscirne, se ciascuno di noi recupera il proprio ruolo. Che cosa voglio dire: la nostra magistratura vive di correnti, di amicizie. Io non sono iscritto a nessuna corrente ed ho sbagliato, perché se fossi stato iscritto, non mi sarebbe successo niente. Ve lo dico!! No, forse bisognerebbe anche avere il coraggio in Italia, io lo dico contro tutta la categoria, di introdurre il principio della responsabilità civile del magistrato, perché io devo avere paura di sbagliare. Ci devo pensare cento volte prima di far qualcosa. Perché signori il magistrato ha il compito più alto: decide della libertà delle persone; ha in mano la vita delle persone. Tutti possono sbagliare, ma purchè ci sia la buona fede e purchè ci sia il rispetto di alcune regole. Spesso ciò non avviene. L’altro giorno a chi a detto, e rispondo a quest’avvocato, che il rinvio a giudizio, parlo dell’avvocato Giuseppe Clemente, faccio nome e cognome, Clemente, il quale impazza su Facebook contro di me dicendo delle cose invereconde, delle quali io mi vergognerei. Quest’avvocato ha detto che un rinvio a giudizio è praticamente una affermazione di responsabilità penale. Ecco vorrei ricordare all’avvocato Clemente che in Italia ancora esiste l’articolo ventisette della Costituzione e quindi la presunzione di innocenza, tecnicamente di non colpevolezza, e che questa presunzione vale fino al terzo grado di giustizia. Io ancora non sono stato giudicato e gli ricordo Raniero Busco. Ce l’ho qua. L’altro giorno. E’ stato condannato in primo grado a ventotto anni di reclusione. E’ stato assolto dalla Corte d’Appello. Buon per lui che non sia stato sottoposto alla misura cautelare. Però io vi voglio leggere soltanto un passo di un’intervista di Raniero Busco, che la dice tutta. “Cosa ha imparato da questo processo? Che in queste aule non si trova niente di umano. Ognuno è proiettato a salvaguardare la propria idea, la propria posizione. Nessuno è disposto a fare un passo indietro in nome della verità. Questa sentenza però mi restituisce un po’ di fiducia nella Giustizia”. Ed è quello che dico io: perché a fronte di tutto ciò che è emerso dal processo potentino, dei tentativi di inquinamento, dei tentativi di agganciare i testimoni, non è successo niente. Perché ciascuno si innamora della propria posizione e la difende fino alla fine anche contro l’evidenza dei fatti. E questo un magistrato non lo deve fare mai. Il magistrato deve avere l’onestà di dire “ho sbagliato, faccio un passo indietro” e non deviare da alcune regole che sono indefettibili e che a Potenza sono state violate. Io lo dico qua perché l’ho già detto, l’ho già scritto e non posso tediarvi, perché è tardissimo, se no lo farei volentieri. E vi dimostrerei tutte le violazioni che sono avvenute nel mio caso. Tutte.»
15 maggio. Quindicesima udienza. Parla Maria Rosaria Carrozzo, Maria De Santis, Giancarlo Greco e Vito Ferrara.
Gli interrogatori riguarderanno il “sogno” del fioraio Giovanni Buccolieri, testimone nel processo e indagato per false dichiarazioni agli investigatori (la sua posizione e quella di un altro indagato, che risponde dello stesso reato, sono state stralciate in attesa dell’esito del processo di primo grado). Il commerciante, come è noto, ha raccontato agli investigatori di aver assistito ad una scena inquietante, il pomeriggio del 26 agosto 2010. Sarah sarebbe stata presa per i capelli e costretta dalla zia Cosima a salire in auto, a bordo della quale c’era anche Sabrina. Una testimonianza che il fioraio ha tentato di ritrattare e di liquidare come un sogno ma inutilmente. Infatti, sia l’accusa sia la Cassazione hanno ritenuto attendibile il racconto di fondamentale importanza per l’arresto di Cosima a maggio 2011.
Resoconto della giornata.
Ore 11:30 - Parla Maria Rosaria Carrozzo. Dinanzi alla Corte d'assise di Taranto ha deposto Maria Rosaria Carrozzo, titolare di una parafarmacia-erboristeria, che ha dichiarato di aver discusso della scomparsa della ragazzina con Maria De Santis, moglie di Salvatore Misseri (fratello di Michele, imputato di soppressione di cadavere) e di essere rimasta impressionata da una frase. «Mi disse - ha rivelato la teste - di aver sentito che quella povera ragazza l'avevano fatta pure vomitare, ma non chiesi a che cosa si riferisse e non detti alcun peso a quelle parole». Carrozzo ha aggiunto che si parlò anche del fioraio Giovanni Buccolieri come possibile testimone, ma era solo una sua supposizione non supportata da alcun riscontro.
Ore 12:00 - Parla Giancarlo Greco. «Giovanni Buccolieri disse anche a me di aver sognato Cosima Serrano che strattonava con forza Sarah Scazzi per farla entrare nella sua auto. Si parlò tanto di questa storia che a un certo momento appariva confuso e anche lui sembrava non riuscisse a distinguere se si trattava di sogno o realtà». Lo ha detto Giancarlo Greco, un orafo di Avetrana, riferendosi alle confidenze che gli fece l'amico fioraio Giovanni Buccolieri. I due andarono in viaggio in Argentina nell'aprile del 2011 e al loro ritorno Buccolieri fu convocato in caserma per essere interrogato dai carabinieri. Inizialmente Greco aveva detto che di non aver discusso con l'amico della scomparsa di Sarah ma poi, sollecitato dai pubblici ministeri, ha sostenuto che Buccolieri gli disse un giorno di essere preoccupato perché gli inquirenti non credevano alla versione del sogno.
Ore 12:30 - Parla Maria De Santis, cognata di Michele Misseri, la quale ha dichiarato che ricevette la visita di Cosima Serrano, accusata insieme alla figlia Sabrina Misseri dell'omicidio di Sarah Scazzi, e la donna le disse che in paese circolava la voce di un suo imminente arresto. Maria De Santis, messa a confronto con la farmacista Maria Rosaria Carrozzo, ha poi aggiunto di aver sentito, mentre faceva la spesa, due donne che parlavano tra di loro e dicevano che «Sarah l'avevano fatta pure vomitare».
Ore 13:30 – Parla Vito Ferrara. Con la deposizione di Vito Ferrara, dipendente di una macelleria di Avetrana, quella di Salvatore Erroi già sentito in una precedente udienza, dove si recarono Sarah Scazzi e il padre Giacomo intorno alle 12.40 del 26 agosto 2010, è terminata la quindicesima udienza del processo per l'omicidio della quindicenne. Il teste ha riferito che Giacomo Scazzi fece la spesa e la ragazzina rimase sull'uscio. Nulla più. Solo il fatto che aveva i capelli legati.
L'udienza è stata aggiornata al 22 maggio prossimo. Saranno ascoltati sette testimoni: Vanessa Cerra (figlia della supertestimone Anna Pisanò), Giovanni Pucci, Gaetano Colucci, Rocco Zecca, Giuseppina Scredo, Donata Prudenzano e Marco Buccolieri.
Oriana Fallaci in un famoso articolo dal titolo “Due colpevoli di troppo”, pubblicato nel lontano 1965 sul settimanale “L’Europeo” definì il caso Bebawi “uno strano processo” in cui “mentono tutti”. Mentivano a tal punto, scriveva, che se avesse chiesto a qualcuno l’ora e quello l’avesse indicata, lei anche in quel caso sarebbe stata portata a pensare che mentiva. In quella vicenda i due coniugi egiziani, Youssef e Claire Bebawi, si accusarono reciprocamente dell’assassinio di Faruk Chourbagi (amante di lei), recitando per tutto il processo e riuscendo così a confondere le acque. Alla fine, infatti, furono assolti in primo grado, in appello furono condannati a 22 anni ma ormai erano all’estero. Chissà Oriana Fallaci come avrebbe definito il caso Scazzi. Anche in questo processo sembra che i principali imputati recitino una parte. Cosima e Sabrina quella delle innocenti. Michele quella del colpevole, ma in due interrogatori in fase di indagine ha sostenuto di essere innocente. Imputati a parte, ci sono anche testimoni che recitano un ruolo.
Dopo i tanti “non ricordo” e “non so” di diversi testimoni, nell’udienza fiume tenuta l’otto maggio, a pochi metri dalle due imputate, la supertestimone Anna Pisanò racconta parecchie circostanze, dal broncio di Sarah con Sabrina la mattina del 26 agosto 2010, allo sfogo-confessione di Sabrina, al racconto del fioraio “sognatore” Giovanni Buccolieri, alle dichiarazioni della suocera di Giuseppe Nigro titolare della Masseria “La Grottella”, albergo-sala ricevimenti in cui quel giorno si tenne un matrimonio, Antonella Tondo, chiamata con Anna Pisanò a testimoniare in aula ed anche della confidenza di questa nella saletta dei testimoni. A proposito dell’arresto di Cosima, uno dei legali dell’imputata, l’avvocato Franco De Jaco, fa notare ad Anna Pisanò che lei la sera del 26 maggio 2011 era vicino alla caserma dei carabinieri. «Ero di passaggio con la macchina, ho visto la folla e mi sono fermata pensando a un incidente. Ho appreso che si trattava dell’arresto di Cosima. Ma non ero compiaciuta». Ribatte la donna a muso duro come quando De Jaco sottolinea la sua appartenenza ai Testimoni di Geova, che l’accomuna a Concetta Serrano Spagnolo Scazzi.
Forse la morbosità delle circostanze porta ad esaltare la figura di Anna Pisanò. Forse anche al di là dei meriti supposti. Per questo non si spengono le luci della ribalta gossippara e giustizialista per Anna Pisanò, una dei testi-chiave per l'accusa. Basta premere sul tasto dell’omertà ed il pubblico aizzato da ospiti improvvisati in beceri talk show va su tutte le giuggiole. Il luogo comune del paese retrogrado ed omertoso è lontano dal tramontare. Spalleggiati oltretutto, non da testate giornalistiche nazionali, ma, addirittura, da estemporanei giornalisti di alcuni quotidiani e tv locali, che oltretutto nessuno legge e che non meritano di essere nominati. Personaggi che spalleggiano le accuse della Procura di Taranto ed hanno assunto la posizione colpevolista nei confronti di Sabrina e Cosima. Ma il giornalista non dovrebbe conoscere e riportare i fatti e lasciare il commento a chi legge? «Molti sanno ma non parlano e anche per questo la povera Sarah non troverà mai pace». A ventiquattrore dalla faticosa deposizione davanti ai giudici, Anna Pisanò, la super testimone nel processo che vede alla sbarra Sabrina Misseri e Cosima Serrano, sua madre, rispettivamente cugina e zia della quindicenne uccisa il 26 agosto del 2010, si lascia intervistare da Nazareno Dinoi per “Il Corriere della Sera” per raccontare il drammatico faccia a faccia con la sua ex amica Sabrina.
Cos’ha provato ieri vedendola in aula?
«Non ci crederete, ma non ho provato odio, piuttosto pena per lei e per sua madre Cosima così invecchiata e spenta. Mentre rispondevo alle domande, sentivo i commenti di Sabrina che mi offendevano; rivolgendosi ai suoi avvocati mi dava della bugiarda oppure suggeriva la domanda che avrebbe voluto che mi facessero. Da questo punto di vista non è cambiata, sempre sulle sue, pronta ad attaccare. In quelle cinque ore è stato inevitabile che i nostri sguardi s’incrociassero ma sono stata sempre io la prima ad abbassare gli occhi mentre lei mi fissava con spavalderia e con aria di sfida. Un paio di volte mi ha persino sorriso, un sorriso beffardo, provocatorio. Non aveva l’aria di una che è sotto processo per un delitto così terribile; io al suo posto mi dispererei mentre lei sembrava a volte divertirsi».
La sua testimonianza è ritenuta fondamentale per l’accusa di Sabrina. Non le fa impressione visto che eravate amiche?
«Io non dico che è stata lei ad uccidere Sarah, racconto solo episodi che lo fanno pensare. Sta poi ai giudici valutare e decidere. Io dico solo la verità e non mi sento l’accusatrice di Sabrina ma un testimone che ha il dovere di raccontare. Io l’ho fatto, lo sto facendo con grandi sacrifici anche morali, ma c’è tanta gente ad Avetrana che potrebbe parlare e non lo fa, persone che hanno visto e restano in silenzio. Quel pomeriggio le strade di Sarah sono state frequentatissime. All’ora del suo passaggio verso via Deledda, ci sono state 250 persone che si sono recate al pranzo matrimoniale al ristorante La Grottella che dista poche centinaia di metri. Non ci credo che nessuno ha visto, non ci ho mai creduto».
Ora che ha visto la Corte e l’ambiente che deve giudicare Sabrina e gli altri imputati, che idea s’è fatta del processo e della giustizia?
«Ho paura che non si arriverà mai alla verità che solo con una confessione di Sabrina, se davvero è stata lei, potrebbe rendere certa».
Dello stesso tenore è stato l’intervento a “Quarto Grado” del venerdì successivo, 11 maggio.
Questo è quanto detto dalla Pisanò. Naturalmente, chiunque con un po’ di buon senso, prima di esprimere un’opinione dovrebbe adeguarsi al dogma: conoscere e non giudicare, per non essere poi giudicati. Però nessun giornale, né cartaceo, né telematico, come correttamente avrebbe dovuto fare, ha riportato le dichiarazioni dell’avv. Franco De Jaco invitato anch’esso il giorno dopo la deposizione della Pisanò da Bruno Vespa a “Porta a Porta” della RAI. Con il parterre abitudinario composto dal giudice Simonetta Matone, la criminologa Roberta Bruzzone, l’onorevole Melania Rizzoli, colei la quale fece entrare la giornalista nel carcere di Taranto, poi denunciata, e che ha scritto un libro sulle sue visite ai detenuti, e la scrittrice Marida Lombardo Pijola. A queste si è aggiunto l’avvocato e docente di criminologia alla “Sapienza di Roma” Natale Fusaro e il direttore de “La Gazzetta del Mezzogiorno” Carlo Bollino. De Jaco solo contro tutti i salottieri di rito, eccetto Fusaro attento alle problematiche della difesa, compresa la Roberta Bruzzone, già consulente di Michele Misseri ed la onnipresente giudice minorile Simonetta Matone . Il programma ha rendicontato sulle dichiarazioni rese dalla super testimone ed i commenti degli ospiti quasi tutti schierati contro Sabrina. Intervenendo in esterna da Taranto, intervistato con particolare accanimento dalla giornalista in loco Rosanna Santoro, l’avv. Franco De Jaco, difensore di Cosima Serrano. Quella Cosima Serrano che per la quale al momento non è emerso alcun elemento a suo carico, ma intanto è in prigione. De Jaco ha rimarcato il fatto che in studio vi sono persone che non hanno seguito “passo passo”, “carta carta” e “testimonianza testimonianza” tutta la vicenda e che quindi parlano senza cognizione di causa. Poi ha detto: «Intanto voglio precisare il comportamento di questa signora. La signora Pisanò, la quale in sostanza di fatti diretti non ne conosce. Se non quello che lei racconta e che è contrapposto alla versione di Sabrina Misseri, quindi c’è la parola sua contro quella di Sabrina Misseri, in relazione a ciò che abbiamo ascoltato. Ma è smentita decine di volte da tante altre testimonianze. Vi faccio semplicemente pochi esempi. Un primo esempio. La tristezza di Sarah, la presunta tristezza di Sarah. Bene, la mamma Concetta, nel momento in cui ha fatto ed ha reso la sua testimonianza, ha sottolineato come la ragazzina fosse uscita tranquillamente verso le otto e mezzo molto serenamente, senza nessun tipo di particolare tensione per recarsi a casa di Sabrina. La cliente che ha, come dire, seguito dopo Anna Pisanò, il trattamento presso Sabrina, afferma di aver visto Sarah molto serena e tranquilla, così come i due fornitori dove ella si è recata per acquistare prima la crema e poi col padre. E così come la zia Emma che nella stessa giornata l’aveva incontrata la mattina, quando era andata a prendere 5 euro, adesso non ricordo bene. Era tranquilla perché a casa di Sabrina, lei, nella visita successiva della cliente successiva, lei si dimostra assolutamente serena, così come è stato dimostrato dalla testimonianza, adesso non ricordo il nome di chi ha partecipato, ha fatto il trattamento. Questo è un dato, poi viene dato per scontato, ed ho sentito qui alcune volte ripreso quest’argomento, che lei avesse litigato il giorno prima. Bene. Di questo litigio, come dire, ne traduce l’aria, la signora De Luca. Ma Mariangela, che era in macchina con Sabrina, nella sua testimonianza dice che davanti a lei non c’è stato nessun litigio all’interno dell’autovettura». Bruno Vespa chiede se ciò sia contenuto nel diario. «Le sto dicendo, guardi, quello che appare. Siccome tutto si svolge nel processo e qualsiasi elemento emerga, deve emergere nel processo, io le dico ciò che emerge nel processo. E nel processo è emersa una testimonianza chiara di Mariangela Spagnoletti, la quale dice che nella propria autovettura non c’è stato alcun litigio. E questo è un elemento. Poi gli altri elementi in relazione a ciò che ha detto la signora». Gli chiedono se nel Pub c’è stato il litigio. «Nel Pub non c’è stato nessun litigio. Stefania De Luca dice di aver visto Sarah abbacchiata, le chiede il motivo e Sarah non le risponde. Lei ritiene che sia abbacchiata perché era partito il fratello. Le fa la domanda. Dice: “perché. Pensi che ..per tuo fratello sei abbacchiata?”. Lei dice:”Sì”. “Ma non ti preoccupare”, le dice la De Luca, “guarda che poi tornerà”. Questo è il dialogo con la De Luca, tra la De Luca e Sarah». Le viene fatto rilevare la frase “per due coccole si vende, lo dice anche sua madre detta da Sabrina a Sarah che china il capo, quasi in lacrime”. «Certo. Certo, ma questo non significa assolutamente che ci sia stato un contrasto. Tra due ragazzine probabilmente. Siccome Sabrina aveva un atteggiamento materno e protettivo nei confronti di Sarah, probabilmente..e l’abbiamo legato anche questo dire “si vende per due coccole” agli atteggiamenti che aveva Sarah nei confronti degli amici, sia di Ivano che degli amici, degli altri amici.. estremamente affettuosa, tanto da abbracciarsi o altro. Tant’è da essere stata ripresa da Sabrina proprio in questa circostanza.» Sull’obbiezione del perché Sabrina non avesse voluto far consegnare il diario De Jaco afferma: «Allora, mi scusi. Io rimango sempre come difensore di Cosima Serrano, però, siccome alcuni elementi coincidono, allora è evidente che devo spendermi anche in questa direzione. Rispondo alla Dottoressa Marida che in pratica non sono io a smentire ed a negare la circostanza che Sarah fosse, come dire, amareggiata. L’hanno testimoniato cinque persone. Solo la Pisanò dichiara questo e vi dico anche il motivo. Vi dico anche il motivo. Dagli atti è emerso che in pratica Sarah non avesse tanta, come dire, partecipazione nei confronti della signora Pisanò, perché l’aveva accusata di aver sparlato dei suoi genitori. Quindi, sostanzialmente, c’è anche una motivazione per cui Sarah in qualche modo non rivolgesse la parola alla Pisanò, checché dica la Pisanò. Quindi tutti questi elementi, se evidentemente non vengono presi in considerazione nel momento in cui si analizza la vicenda, beh, chiaramente possiamo prendere solamente quelli che danno in qualche modo ragione all’accusa e nessuno alla difesa. Però, badate bene…ha detto bene il professor Fusaro (in studio). Sa, il processo non si fa su questi aspetti. Si fa su riscontri obbiettivi, su dati di fatto. Su quello che dice la Pisanò non ci sono elementi per cui si possa arrivare mai ad una condanna per omicidio». Per quanto riguarda la mancata consegna del diario «Sabrina specifica per quale motivo all’inizio non aveva dato, non aveva inteso aiutare sotto questo aspetto a consegnare i diari. Perché siccome lei teneva molto ad Ivano Russo e siccome lì vi erano delle affermazioni che in qualche modo coinvolgevano Ivano Russo, ovviamente a difesa di Ivano Russo, siccome lo riteneva assolutamente estraneo, non voleva che fosse dato il diario. Chiaramente la lettura dell’accusa è diversa, perché lì si vuole in qualche modo concretizzare la ragione per cui Sabrina avesse a che dire con Sarah.» Alla richiesta di un commento sulle parole di Cosima Serrano “se è stata Sabrina deve fare 30 anni”. «Questa signora (Anna Pisanò) che si è data tantissimo da fare per spingere i testimoni a parlare, ha registrato con registratori alcuni incontri che lei ha avuto, che si è esposta in prima persona quando nessuno, sostanzialmente, poi dall’aprile dell’anno 2011 e non prima. Tenete presente che la signora Pisanò nella sua testimonianza afferma di aver saputo dalla figlia, a settembre 2010, che in pratica il Buccolieri aveva sognato. Lei ne parla il 5 aprile e a domanda specifica “signora ma quando l’ha saputo?”. “Ma io non l’ho detto prima perché non sapevo il nome”. “E quando l’ha saputo, signora?, “Mah, qualche giorno prima, cinque o sei giorni prima”. Ora il 5 aprile è la seconda volta che lei viene attenzionata in aprile ed il giorno prima, il 4, lei non fa parola di questa circostanza. Ancora, afferma di aver voluto creare la possibilità di trovare la verità su questa circostanza, fa quel dialogo con Sabrina Misseri, a conoscenza dell’altra vicenda legata al Buccolieri, non va dai carabinieri a raccontare il fatto o comunque anche il sospetto. Mentre invece, successivamente, fa tutto quel percorso che noi conosciamo. In relazione alla domanda che lei mi ha fatto, e mi scusi se ho trasgredito da quella, le dico semplicemente che, ovviamente, Cosima ha sempre sostenuto, sia nei confronti del marito, sia nei confronti della figlia, che pur ritiene assolutamente innocente, che se avessero in qualche modo qualche responsabilità nella vicenda, non dimenticate che la prima ordinanza di custodia cautelare era in concorso con il padre, quindi assolutamente, come dire, logico poi legare questa affermazione anche alla possibilità che si fosse realizzato un fatto del genere, lei ha sempre sostenuto, primo, che non avrebbe mai riavuto a casa il marito e, secondo, che sarebbe stata lei stessa a portare la figlia dai carabinieri se avesse mai sospettato di questo triste comportamento. Cosima sin dall’inizio aveva sostenuto che, essendo lei donna di altri tempi, essendo ancora la moglie, aveva il dovere di assistere il marito nella condizione in cui egli si trovava in carcere. Però lo faceva esclusivamente come dovere. Ha sempre sostenuto che non sarebbe mai più ritornata sotto lo stesso tetto e che quindi, in pratica, per quanto aveva fatto alla figlia, non l’avrebbe mai perdonato. Lei assolutamente lo ritiene responsabile dell’omicidio e ovviamente la cosa, che sottolinea sempre e costantemente, è che per quanto riguarda lei alla fine potrebbe succedere qualsiasi cosa, ma il fatto che la figlia, che sia così giovane, avesse la vita distrutta da questa situazione, la distrugge ancor di più. Direttamente da quello che dice la Cerra, nel suo interrogatorio, glielo riporto perché mi aspettavo che si precisasse tale circostanza. Risponde al Pubblico Ministero: “Il mio datore di lavoro mi ha raccontato di un sogno, non riesco a ricordare il giorno preciso. Buccolieri mi disse di aver sognato che Sarah camminava a passo svelto e che aveva il volto rattristato. Cosima, soprannominata Mimina, la madre di Sabrina, era passata davanti, in auto, ed aveva intimato Sarah a salire in auto. L’uomo disse che era un sogno, ma quando ci si sveglia talvolta uno pensa pure che sia la verità”. Questa è la dichiarazione di Cerra che contrasta con quanto afferma la stessa Pisanò, che racconta che la Cosima Serrano l’aveva presa per i capelli, è l’unica che afferma tale circostanza. Ancora, aggiungo, cosa dice Cerra della madre. Ad un certo punto. Vanessa Cerra ad un certo punto viene. La telefonata viene intercettata ed è agli atti. Sostanzialmente chiama Giovanni Buccolieri, il fioraio, e, anzi viene chiamata da Giovanni Buccolieri, il quale le dice: “Guarda che tua madre su Facebook mi ha detto ‘guarda, devi andare da Carabinieri, devi raccontare di questa cosa’”. E lui “ma come si permette di dire queste cose, per me è un sogno. E poi la figlia risponde, la Cerra risponde “domani mi faccio viva, allontano anche mia mamma, perché non voglio sentire neanche più mia mamma, perché mi sono scocciata e perfino ai carabinieri ho detto non mi chiamate più e lasciatemi in pace perché io non so niente. Se volete qualcosa lo dite a Giovanni perché Giovanni ha detto a me che è un sogno”. E poi aggiunge “a mia mamma tanto ultimamente non la capisco”. Questo è il ragionamento che fa Cerra nella telefonata intercettata che è agli atti. Quindi la signora Pisanò, su questa base, e voi la notate anche la contraddizione da come racconta il fatto, vedete bene che inizia e prima ancora che la figlia le dicesse che cosa era avvenuto “chi ti ha raccontato di questo?”. Se mandate di nuovo in onda il pezzetto, vi accorgete del contrasto che esiste nella sua dichiarazione. La Cassazione, innanzitutto, e lo ribadisco perché viene ribadito da alcuni interventi, non ha affermato assolutamente l’assoluta fondatezza del contenuto delle dichiarazioni di Anna Pisanò. E non le ha affermate in relazione a quanto detto dal Buccolieri. Ha affermato nella sua completezza che la dichiarazione della Pisanò in relazione, per esempio, ad alcuni fatti che sono stati dalla stessa raccontati, poteva essere credibile. Poi ha aggiunto. Mi scusi rispetto a questa circostanza vi sottolineo che per quattro volte la Cassazione ha dichiarato, sentenziando, che non vi erano gravi indizi che potessero portare all’affermazione di colpevolezza di Sabrina Misseri e di Cosima Serrano. Quindi è questo il dato obbiettivo, al di là della valutazione delle singole posizioni. Ciò che viene raccontato dal Buccolieri, abbiamo già sottolineato ed è stato sottolineato anche da una serie di altri elementi che sono emersi durante il processo, è frutto di una piccola esaltazione che in qualche modo il Buccolieri ha messo in atto verso la Cerra, dove voleva in qualche modo accreditarsi su una posizione. Poi ha affermato che era un sogno e la Cerra, così come altre testimonianze, hanno sempre sostenuto che il Buccolieri aveva richiamato quell’episodio come, esattamente, sogno. Se quel sogno fosse stato reale e concreto, lo stesso Buccolieri sarebbe andato dai carabinieri, oppure la Cerra od anche la Mamma della Cerra si sarebbero dovute produrre in tale direzione. Cosa che non è avvenuta e pertanto anche la stessa Pisanò probabilmente sin dall’inizio non ha creduto a questa circostanza. E poi faccio una piccola chiosa a tutto quello che ho detto. Pensate, questo processo è iniziato con questa dichiarazione del Pubblico Ministero: “Signori della Corte, voi dovete alla fine di questo processo dire chi è colpevole dell’omicidio di Sarah Scazzi, se è Michele Misseri o Sabrina o Cosima Misseri”. Nel momento in cui si pone un quesito di questo genere alla Corte, in relazione a due accusate di sequestro di persona e di omicidio, vuol dire che nemmeno loro credono a quanto hanno fino ad oggi sostenuto. Quello lo dice la Pisanò. Io mi devo attenere a quello che dice la Cerra durante l’interrogatorio che è durato cinque ore innanzi al Pubblico Ministero, che l’ha interrogata e di cui abbiamo le trascrizioni e in queste dichiarazioni, che poi probabilmente confermerà all’ascolto durante l’udienza, lei afferma esattamente che il Buccolieri le ha sempre raccontato di un sogno. Mi viene, mi sovviene un detto. Dice: “Dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io”. E’ quello che io verifico in queste circostanze ed in questo processo, dove presunti amici ricordano tutto di tutti e poi sostanzialmente però riscontri obbiettivi non ne danno. La stessa Pisanò continua a raccontare cose che possono essere contraddette dall’interessata, senza avere nessuna possibilità di essere creduta in assoluto, perché un riscontro a tutto ciò che viene detto dalla stessa non c’è. Siccome qua stiamo parlando di ergastolo, stiamo parlando di accusa di omicidio e sequestro di persona, io credo che l’onorevole Rizzoli abbia posto bene in essere un concetto. Queste sono persone innocenti che sono a giudizio, ma per le quali, fino alla sentenza finale di Cassazione, quindi la sentenza definitiva, non possono essere ritenute colpevoli, malgrado tutti i media, tutti coloro che in qualche modo si sono avvicendati a discutere di questo argomento, abbiano assunto una posizione da subito colpevolista, perché probabilmente o sono antipatiche le persone o perché, ovviamente, ci si è costruiti un’idea su ciò che si è visto e non su ciò che si è sentito in aula. Io mi auguro che questo non sia, come dire, io senso comune della giustizia, ma sia un momento, un episodio che possa passare alla storia come poi i tanti che si sono già rappresentati quando abbiamo sbattuto il mostro in prima pagina e poi invece la storia giudiziaria ci ha raccontato cose diverse». In seguito si è mandato in onda le dichiarazioni del comandante della stazione dei carabinieri di Avetrana maresciallo Fabrizio Viva rese in processo per contestare il fatto che la Mamma di Sarah non sapesse cosa la figlia indossasse, mentre Sabrina ha descritto quelli indumenti ad Alessio Pisello che lo ha riferito agli investigatori ed in dibattimento. «Il 26 agosto, io appresi dal militare di servizio alla caserma, appuntato Spagnolo, che intorno alle 15:00 – 15:15, si era presentata la signora Serrano Concetta Spagnolo ed aveva presentato denunzia di scomparsa. Il militare aveva rimandato la signora a casa per riprendere le foto, anche perché non era in condizioni di riferire come era vestita Sarah. Quindi ne fece ritorno, la signora, intorno alle 17:00. - Intorno alle ore 17:00 poi presentò una denuncia formale? - Sì alle 17:20, ero anche io presente, perché il militare mi chiamò e la signora fece…formalizzò la denuncia per iscritto, e quindi indicò anche gli indumenti che indossava Sarah. La stessa mi riferì che ciò gli era stato riferito dalla badante della signora, Pantil Maria.» Insomma: si indica il colpevole e tutto quello che questo dirà sarà poi usato contro di esso. A questo punto è scontato dire che è facile affermare “mai dire omertà”, specie se poi i giornalisti (e Carlo Bollino, direttore de “La Gazzetta del Mezzogiorno” era in studio) soni i primi e soli che si esimono dal riportare tutte le posizioni in causa.
E poi fidarsi di chi? Se i giornalisti sono superficiali e poco professionali, che dire degli avvocati? Qui bisogna aggiungere un altro aspetto inquietante: chi difende i difensori?
Il giudice per l'udienza preliminare del tribunale di Lecce Carlo Cazzella il 12 maggio 2012 ha condannato, per tentata violazione del segreto d'ufficio, a 6 mesi di reclusione l'avvocato penalista Nicola Marseglia e il luogotenente dei carabinieri in servizio alla Dia di Lecce Antonio Giaimis, e a 4 mesi di reclusione il noto pregiudicato Giuseppe Florio. I tre imputati erano coinvolti in uno stralcio dell'inchiesta antimafia denominata Scarface che il 12 ottobre del 2010 portò all'arresto di 47 persone. A tal proposito i giornali e le tv locali hanno sempre taciuto od omesso il nome dell’avvocato coinvolto nei riferimenti alla cronaca giudiziaria attinente l’inchiesta. La notizia, ormai inevitabilmente divulgata, non è riportata da tutta la stampa, tanto meno dai giornali e tv locali, nonostante il nome dell’avvocato legato alla difesa di Sabrina Misseri e quindi al delitto di Sarah Scazzi. Da Mimmo Mazza de “La Gazzetta del Mezzogiorno” si viene a sapere che il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Lecce Carlo Cazzella ha condannato, per tentata violazione del segreto d’ufficio, a 6 mesi di reclusione l’avvocato penalista di Manduria Nicola Marseglia, difensore tra gli altri di Sabrina Misseri in qualità di sostituto dell’avvocato Franco Coppi di Roma, e il luogotenente dei carabinieri in servizio alla Dia di Lecce Antonio Giaimis, e a 4 mesi di reclusione il noto pregiudicato Giuseppe Florio. I tre imputati erano coinvolti in uno stralcio dell’inchiesta antimafia denominata Scarface che il 12 ottobre del 2010 portò all’arresto di 47 persone. Il 21 ottobre del 2010 il giudice delle indagini preliminari Ercole Aprile, accogliendo la richiesta formulata dal sostituto procuratore Lino Giorgio Bruno, fece notificare dagli agenti della Squadra Mobile di Taranto una ordinanza di sospensione di due mesi dal servizio a Giaimis e un provvedimento di divieto temporaneo a svolgere la professione a Marseglia, indagati in concorso con Florio e un ristoratore tarantino - che ha scelto invece il rito ordinario - per tentato favoreggiamento e tentata divulgazione di atti coperti da segreto istruttorio. Il provvedimento interdittivo fu, peraltro, revocato dal tribunale del riesame. Proprio il ruolo avuto da Florio nell’organizzazione ha fatto scattare nei confronti dei due imputati eccellenti anche l’aggravante di aver favorito una associazione mafiosa. In sede di discussione, il pubblico ministero Elsa Valeria Mignone aveva chiesto di condannare Marseglia e Giaimis e 6 mesi di reclusione per l’accusa di tentato favoreggiamento e l’assoluzione di Marseglia, Giaimis e Florio per l’altro capo di imputazione, ovvero la tentata rivelazione di segreto d’ufficio. Secondo il sostituto procuratore Lino Giorgio Bruno, Florio, tramite alcune conoscenze, avrebbe cercato di carpire notizie sulle indagini sul suo conto. Per l’accusa, «Giaimis, su istigazione e determinazione di Marseglia e Florio, con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, profittando dei rapporti che, per ragione di servizio, intratteneva con il dirigente della Squadra Mobile di Taranto Fabio Abis, avrebbe compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad ottenere informazioni riservate sull’attività di indagine in corso di svolgimento nei confronti di Giuseppe Florio che dovevano rimanere segrete, così da rivelarle per il tramite di Marseglia, a Florio. Senza riuscire nell’intento per cause indipendenti dalla sua volontà». Il gup Cazzella, pur condannando Marseglia, Giaimis e Florio (difeso dagli avvocati Emidio Attavilla e Luigi Esposito) per la tentata rivelazione di segreto d’ufficio, ha ritenuto insussistente l’aggravante di aver agito per agevolare l’associazione mafiosa. Ossia: l’ufficio del PM chiede una cosa il Gup ne concede un’altra. Questo per quanto riguarda gli avvocati. E con i magistrati come siamo messi? Sempre a Lecce l’11 maggio 2012 sui giornali e le tv si parla del fatto che il CSM deciderà sul possibile trasferimento ad altro ufficio del presidente del tribunale di Lecce Alfredo Lamorgese. L'incompatibilità è stata confermata dal consiglio giudiziario e dall'ordine degli avvocati presieduto da Luigi Rella, avvocato con Franco De Jaco di Cosima Serrano. Incompatibilità per parentela con il figlio avvocato che opera in quel distretto e che ha centinaia di cause. A Taranto, in tema di incompatibilità, si è parlato di Aldo Petrucci, già Procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Taranto. Anomalia scoperta durante l’inchiesta “Toghe Sporche” in cui lo stesso era indagato con il capo dei GIP del medesimo Tribunale, Giuseppe Tommasino. I pm Cristina Correale e Ferdinando Esposito nel febbraio 2009 hanno messo sotto inchiesta l’ex procuratore capo di Taranto Aldo Petrucci e l’ex coordinatore dell'ufficio gip-gup Giuseppe Tommasino. Tutto ha preso il via da una segnalazione alla procura di Potenza, competente ad indagare sui magistrati ionici. L’attività delegata ai carabinieri ha rivelato più di una sorpresa, saltate fuori da diverse testimonianze e acquisizioni documentali. Così si sono fatti largo i sospetti su quel binomio in grado di gestire il destino dei fascicoli, spedendo in archivio quelli "sgraditi". Tra i presunti beneficiari l’ex primo cittadino di Martina, Leonardo Conserva. Il procuratore Petrucci, a parere dei pm potentini, si sarebbe assegnato un procedimento sul conto del sindaco. Le indagini sarebbero state condotte in maniera poco approfondita spianando la strada all’archiviazione, firmata puntualmente dal gip Tommasino. Ma tra sindaco e procuratore sarebbe nata una vera amicizia, tradotta dai pm nell´accusa di corruzione, in virtù delle consulenze comunali, per un valore di 283.000 euro, dirottate da Conserva verso lo studio legale in cui lavora la figlia del magistrato. Ad onor del vero c’è da dire che tale procedimento penale ha sortito l’assoluzione per entrambi i magistrati: Aldo Petrucci e Giuseppe Tommasino. A Brindisi il plenum del Csm ha deliberato il trasferimento d'ufficio del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi Giuseppe Giannuzzi, in seguito alla situazione di incompatibilità parentale con il figlio, l'avvocato Riccardo Giannuzzi, iscritto all'albo degli avvocati Lecce. Lo fa presente una nota di Palazzo dei Marescialli del 25 giugno 2008. Tutto nasce da un procedimento penale nel quale il figlio del magistrato assunse la difesa di alcuni indagati, sulla base di una richiesta al gip controfirmata dallo stesso procuratore capo. Bufera al palazzo di giustizia di Brindisi ma nessun commento ufficiale. Tutto quanto ciò succede nel distretto della Corte di Appello di Lecce a cui fanno capo i Tribunali di Taranto, Brindisi e Lecce fa riflettere sul modo in cui si amministra la giustizia. Della serie: non è mai troppo tardi per sollevare le anomalie, nonostante i protagonisti stentino a chiedere il trasferimento. Detto ciò ci mancherebbe anche che la stampa nazionale, oltre che omertosa, definisse Avetrana e tutto il Salento un covo di mafiosi.
Ma in questa storia non c’è limite a niente.
La notizia sconcertante la riporta “Il Quotidiano di Puglia” del 12 maggio. Giochi erotici che sarebbero finiti in tragedia, atti particolarmente cruenti tanto da portare alla morte Sarah. E' l'ultima, sconcertante ipotesi sulla morte della 15enne di Avetrana, contenuta in un rapporto di un'agenzia investigativa cui Claudio Scazzi, il fratello della vittima, si era rivolto per fare luce sulla vicenda. Secondo la "Aldo Tarricone Investigazioni", è l'ambiente avetranese ad essere "saturo" di pratiche sessuali «fuori norma», come può essere, ad esempio, lo scambio di coppia. Nello specifico, però, spiegano gli 007 privati assoldati da Claudio, Sarah potrebbe essere rimasta vittima di un "gioco" chiamato "breath play", ovvero il soffocamento allo scopo di procurare piacere erotico, sostanzialmente lo stesso che ha portato alla morte della ragazza di Guagnano, l'anno scorso. Ecco, allora, che lo scenario muta: Sarah e Sabrina potrebbero essersi trovate nel garage e dato il via al "gioco" - non è chiaro se Sarah fosse consenziente o meno. Poi tutto sarebbe sfuggito di mano, tanto da portare alla morte della ragazzina. Se la ricostruzione sia vera o meno, è difficile da capire, anche perché il documento prodotto dalla "Aldo Tarricone Investigazioni" non è agli atti del processo.
Intanto, Michele Misseri, lo zio di Sarah Scazzi e uno dei protagonisti del tristemente noto delitto di Avetrana, continua a catalizzare l'attenzione mediatica. Da quando fu scarcerato all'inizio di giugno del 2011, Michele Misseri è tornato nella sua abitazione. Spesso, però, i fotografi cercano di carpire particolari sulla sua vita. E sorpreso dallo scattare delle macchine fotografiche, lo zio ha perso la testa e come testimoniano le immagini pubblicate dai giornali, armato di chiave inglese, è schizzato fuori dal suo box per cercare di aggredire i fotografi.
22 maggio. Sedicesima udienza. Parla Giuseppina Scredo, Rocco Zecca, Marco Buccolieri, Gaetano Colucci, Donata Prudenzano.
Udienza che ruota, ancora, intorno al sogno del fioraio. È slittata la deposizione di Vanessa Cerra, l'ex commessa del fioraio Giovanni Buccolieri che raccontò, per poi definirlo solo un sogno, di aver assistito al presunto sequestro della ragazzina. E con lei è saltata anche la deposizione del marito.
Resoconto della giornata.
Ore 09:30 - parla Rocco Zecca. L'udienza si è aperta con la deposizione di Rocco Zecca, ex grossista di fiori di Leverano (Lecce) dal quale Giovanni Buccolieri si serviva. L'uomo non ha riferito nulla di significativo salvo che Buccolieri gli chiese se fosse stato interrogato dai carabinieri in merito alla scomparsa di Sarah.
Ore 10:15 – parla Giuseppina Scredo. «Dopo l'arresto di Michele Misseri mio marito mi disse che era sconvolto per un sogno che aveva fatto. Raccontò che aveva sognato Sarah che camminava per strada e Cosima la rincorreva con la macchina dicendole: sali in macchina, sali in macchina». Lo ha riferito deponendo in Corte d'assise Giuseppina Scredo, moglie di Giovanni Buccolieri, il fioraio che in un primo momento dichiarò agli investigatori di aver visto il 26 agosto 2010 Cosima Serrano costringere la ragazzina a salire a bordo della sua auto, salvo poi sostenere che si fosse trattato di un sogno. «Mio marito - ha aggiunto la donna - mi chiese: ti ricordi se quel giorno avevo fatto una consegna? Era turbato perchè diversi clienti avevano detto di aver sognato Sarah e lui si era fatto suggestionare». La teste ha precisato che la prima volta che Buccolieri le parlò del sogno c'era solo lei, mentre in una seconda circostanza c'era anche la commessa Vanessa Cerra. Quest'ultima consigliò al fioraio di andare dai carabinieri, ma lui rispose: «Perché devo andare dai carabinieri se non sono sicuro di una cosa?». Poi disse a Vanessa: «Non andare a dirlo in giro perché era solo un sogno». «Quando parlava di questo fatto - ha sottolineato ancora la donna - gli veniva la pelle d'oca». «Mio marito era turbato proprio per la presenza nel sogno di Cosima, che conosceva, e sapeva che stavano emergendo elementi a carico della donna». Il pm ha fatto presente alla teste che gli elementi investigativi a carico di Cosima Serrano emersero in un secondo momento, nel febbraio 2011. La donna ha precisato che all'epoca dei fatti, in televisione, non si parlava d'altro: «Se non si fosse trattato di un sogno Giovanni me lo avrebbe detto lo stesso giorno. Gli dissi: fai chiarezza nella tua mente, ma lui mi ripeteva che era solo un sogno. Lui comunque non sognava quasi mai». La teste ha poi avuto un'incertezza dicendo di non aver «mai capito il luogo in cui si sarebbe svolta la scena del sogno. Forse - ha osservato - via Umberto, ma non ricordo il luogo dove lui ha visto».
Ore 11:45 – parla Marco Buccolieri. Marco Buccolieri, fratellastro del fioraio Giovanni Buccolieri, ha riferito di aver appreso dalla televisione dell' episodio del sogno in relazione al caso della scomparsa di Sarah Scazzi e ha aggiunto di essersi recato il giorno dopo nel negozio di Giovanni insieme con la sua fidanzata Gabriella Fusarò. Quest'ultima, secondo quanto riferito dal teste, chiese a Giovanni del sogno. «Disse che la signora Cosima e sua figlia stavano trascinando in macchina Sarah e che il fatto era accaduto in via Deledda». Il pm ha contestato al testimone che in fase di interrogatorio non aveva fatto alcun riferimento a Sabrina Misseri.
Ore 12:30 - Si è avvalsa della facoltà di non rispondere Donata Prudenzano, sorella di Cosima Prudenzano, suocera di Giovanni Buccolieri.
Ore 12:45 – parla Gaetano Colucci. Gaetano Colucci, il marito della titolare di una pasticceria che, il 26 agosto 2010, consegnò una torta matrimoniale in un ristorante di Avetrana, ossia "La Grottella" di Giuseppe Nigro indagato con lo stesso Giovanni Buccolieri, e raggiunse il ristorante a bordo di un furgone bianco percorrendo via Ariosto, via Buonarroti, la strada del mare, via Martiri d'Ungheria e via Leoncavallo, strade lungo le quali potrebbe aver visto Sarah.
Nell'udienza, fissata per il 5 giugno prossimo, saranno ascoltati Cosimo Maggi, Giovanni Prignani, Rosa Martino (consulente del pm), Dora Chiloiro, Roberta Bruzzone, Clemente Di Crescenzo, Anna Lucia Morleo, Giovanni Lamarca (della Polizia penitenziaria) e tre carabinieri del Ris: il maresciallo capo Davide Numelli, il maresciallo capo Giuseppe Finizia e il maggiore Andrea Berti. La criminologa, consulente del primo difensore di Michele Misseri, l’avvocato Daniele Galoppa (da ottobre 2010 a gennaio 2011), è uno dei testi della pubblica accusa. Una buona parte della prossima udienza sarà dedicata a circostanze che riguardano il contadino di Avetrana considerando la presenza della Bruzzone ma anche di altri testimoni, Cosimo Maggi, Giovani Primiani e il commissario Giovanni Lamarca, rispettivamente infermiere, psichiatra del carcere di Taranto e comandante degli agenti della Polizia Penitenziaria. E’ stato convocato anche il compagno di cella di Michele, Clemente Di Crescenzo. I pm Mariano Buccoliero e Pietro Argentino hanno citato, fra gli altri, anche l’esperta di grafologia Rosa Martino (perito per la firma apposta su un assegno bancario di Cosima), i carabinieri del Ris di Roma, i marescialli Davide Numelli e Giuseppe Finizia e il maggiore Andrea Berti. I militari del Reparto investigazioni scientifiche hanno effettuato le consulenze sui cellulari di Sarah, Sabrina e Michele e i sopralluoghi nell’abitazione e nel garage. Altre udienze sono programmate per il 19 giugno, il 3, il 10 e il 17 luglio.
Intanto il plastico di villa Misseri di via Grazia Deledda ad Avetrana compare nel calendario della Polizia. La casa del delitto di Sarah è stata scelta per illustrare il mese di maggio 2013. La casa dove il 26 agosto fu uccisa la quindicenne Sarah Scazzi, il famoso garage e il cancello marrone divenuto ormai simbolo dell’orrore, rappresenta il mese di maggio. La polizia pensa di rilanciare la sua immagine puntando sui plastici di Bruno Vespa. In particolare quello di Avetrana, dove il 26 agosto 2010 venne uccisa la quindicenne Sarah Scazzi. Nel calendario ufficiale dove i dodici mesi sono illustrati con gli "amici" della Polizia, maggio è rappresentato da Bruno Vespa. La foto in particolare è quella che ritrae il plastico della villa con una rappresentante della polizia durante una puntata della trasmissione televisiva di Rai Uno, «Porta a Porta». Nei dodici mesi del calendario ufficiale della polizia compaiono gli amici del corpo con le stellette. E la foto scelta è quella del conduttore con addosso la tuta della scientifica che supportato da veri poliziotti "indaga" all'interno della villetta di Avetrana riprodotta in scala: uno degli innumerevoli plastici con cui a Porta a Porta vengono commentate le notizie di cronaca nera. In effetti è l’unico modo per vedere l’immobile nel suo prospetto originale dal momento che nella realtà l’intero edificio è stato occultato da una e impenetrabile rete di colore verde che permette al padrone di casa, Michele Misseri, la riservatezza persa da quando è stato scarcerato e trasferito nella sua residenza dove è costretto a vivere sotto i riflettori dei media. Sulla proprietà della casa, c’è da dire, hanno già puntato gli occhi alcuni suoi ex avvocati e consulenti che vantano crediti per parcelle e risarcimenti vari per diverse centinaia di migliaia di euro. C'è da chiedersi cosa ci sia di così esaltante nei plastici di Vespa. Chissà forse la Polizia avrebbe potuto affidare a qualcun'altro o a qualcos'altro la sua promozione...La casa del delitto di Vespa rappresenta il mese di maggio. Maria Grazia Cucinotta fermata ad un posto di blocco illustra novembre, a Lino Banfi nella parte del commissario incazzéto luglio, passando per la “banda” Bonolis-Laurenti in fuga col malloppo dicembre e i tiratori scelti Yuri Chechi e Luca Zingaretti ottobre.
Il 21 maggio 2012 arriva il cordoglio della Città di Avetrana per la morte di Melissa Bassi, morta per il tragico attentato a Brindisi, presso la scuola di moda che frequentava. Tra i tanti messaggi di cordoglio giunti per la morte di Melissa Bassi, crediamo meriti sottolineatura quello che giunge dal Comune di Avetrana (Taranto), paese anch'esso assurto agli onori delle cronache nazionali per l'omicidio di un'altra ragazza nel fiore degli anni, Sarah Scazzi. Ne riportiamo integralmente il testo:
Il Presidente del Consiglio, il Sindaco, i Consiglieri Comunali di AVETRANA (Ta) ESPRIMOMO il proprio Cordoglio per la vittima della violenza – la Studente MELISSA -; siamo vicini ai loro famigliari e ai giovani rimasti feriti. La matrice delle esplosioni non è ancora confermata, tuttavia in questo momento particolare per le comunità colpite e non solo, le vogliamo ricordare con un messaggio di speranza che Giovanni Falcone, ucciso venti anni fa, ebbe a dire: “ Certo che voglio l’esercito in Sicilia ( Puglia… ) ma un esercito di insegnanti, perché la mafia teme la cultura … “. La fiducia e la speranza di tutti noi rimane quella di una scuola che continui ad essere fucina di cultura e di legalità, rispetto per gli altri e per quelle regole che “sono il potere dei senza potere“ come ci sussurra Gian Carlo Caselli. Alla ragazza rimasta uccisa e ai parenti, unitamente a tutti i feriti, vanno il nostro ricordo e la nostra presenza di impegno. Altrettanto, per il mondo della scuola, delle forze dell’ordine, delle istituzioni ai vari livelli, la nostra solidale attenzione, certi, che tutti INSIEME, ognuno per la propria parte, diveniamo testimoni e promotori della Cultura della Solidarietà, della Democrazia, della Legalità, della Giustizia e della Pace.
Ma anche in questa occasione la stampa ha dato risalto ai suoi limiti. Il quotidiano Il Mattino ha realizzato una breve intervista video a C.S., l'uomo sospettato di essere l'autore dell'attentato di Brindisi. Il suo nome era finito sulle pagine di tutti i media nazionali, scatenando le furiose reazioni di centinaia di cittadini che, al suo arrivo in questura, hanno letteralmente tentato il linciaggio. Intanto la sua pagina Facebook era già stata presa d'assedio. «Ora - ha spiegato l'uomo - vorrei essere lasciato in pace dopo questa terribile avventura. Ho pagato con il sospetto l'avere la mano destra paralizzata che fa il paio con l'immagine del video dell'attentatore che ha la mano destra nella tasca destra. Ho pagato con il sospetto la mia capacità di lavorare con computer, radiotelevisioni e tutto quanto c'è di informatica. Ieri mattina sono venuti a casa mia poliziotti e carabinieri, mi hanno spinto su un divano. Con me c'era la mia bambina di 3 anni che poi è venuta con me e per tutta la notte è stata con me in questura». Piccola curiosità: al secondo 54 del video si sente una voce maschile, che sembrerebbe quella di Sandro Ruotolo, domandare a C.S. se sia stato trattato bene durante l'interrogatorio. Proprio il giornalista di “Servizio Pubblico”, il programma di Michele Santoro, noto per la sua piega giustizialista e pro magistrati, era stato uno dei primi a diffondere, via Twitter, nome e cognome del sospettato, oltre a una fotografia della sua casa. La diffusione del nome del sospettato aveva dato il via al linciaggio mediatico e solo le forze dell'ordine sono riuscite a evitare che si trasformasse anche in violenza fisica. Come si apprende dalla pagina Facebook di Sandro Ruotolo, per lui "l'ideale di un giornalista è raccontare i fatti come li vede, senza riguardo per le conseguenze o le polemiche che ne possono derivare". La domanda è "i fatti visti con i propri occhi, spesso velati di ideologia e pregiudizi, e comunque anche se la conseguenza è il linciaggio di un innocente?
La sociologia storica, è lo studiare lo stesso comportamento umano attuato nel tempo in riferimento a precise circostanze. In questo campo è un emerito rappresentante e studioso il presente rendicontatore della vicenda del delitto di Sarah Scazzi, ossia lo scrittore Antonio Giangrande. Ecco perché il racconto ha un taglio sociologico. Il delitto di Sarah Scazzi ed il suo processo non può essere alieno dalla realtà che lo circonda, per poter capire meglio le sue sfumature.
"La sociologia non si scrive con le maiuscole", Alain Touraine; "Sociologo è colui che va alla partita di calcio per guardare gli spettatori", Gesualdo Bufalino. Ecco perché riportiamo il parere del sociologo Emanuele Toscano riportato da “L’Espresso”.
SBATTI IL MOSTRO IN PRIMA PAGINA
La follia e il dolore che hanno caratterizzato i fatti di Brindisi, l’assurdità del gesto e la vulnerabilità delle vittime scelte hanno dato corpo a una mostruosità che ieri si è consumata sui media e sui social media italiani. Parlo della gogna mediatica cui è stato sottoposto il perito elettrotecnico brindisino interrogato in quanto sospettato (che è molto, molto diverso da “accusato“, che a sua volta è molto, molto diverso da “colpevole“) di essere l’uomo che si vede nei video registrati dalle telecamere di sicurezza poste dal lato opposto della strada di fronte la scuola, mentre sembra premere il grilletto che aziona l’esplosione. Mentre tutta l’Italia era – giustamente – stretta a sé per affrontare il dolore tremendo e incomprensibile generato dalla morte di Melissa, o impegnata nel seguire gli sviluppi del terremoto in Emilia, o a commentare i risultati dei ballottaggi alle amministrative, su Twitter e su Facebook è stato diffuso il nome del sospettato. Responsabili della fuga di notizie (e della scelta di pubblicarle) non sono stati solamente utenti qualsiasi dei social media, ma professionisti affermati del giornalismo nostrano: Sandro Ruotolo pubblica nome, cognome e addirittura una foto - ma poi la cancella – della via dove abita il sospettato. Subito, con forconi e torce virtuali, ci si è messi alla caccia del sospetto, che velocemente, con il passaparola e un paio di retweet, si è trasformato nel “mostro”. Per capire di cosa sto parlando, vi riporto alcuni dei post che sono stati scritti sulla pagina FB in cui il perito elettrotecnico pubblicizza la sua attività di riparazione di computer e apparecchi televisivi: “Spero ti fanno a pezzi e il telecomando te lo mettono nel culo..”; Brutto figlio di puttana bastardo carogna infame pezzo di merda…quella grandissima puttana di tua madre che ti ha concepito poteva andare a fare la puttana da qualche altra parte…te la sei presa con un anima innocente…devi morire” ecc. Post come sassi, lanciati per lapidare chi è stato giudicato colpevole ancora prima di essere non dico processato, ma anche solo accusato del reato. Un processo sommario consumato tra una pratica e l’altra dall’ufficio, seduti alla propria scrivania o in fila al supermercato, tornando a casa dal lavoro, durante i compiti del pomeriggio. Oltre alle giuste e condivisibili considerazioni proposte da pochi avveduti che considerano il giornalismo ancora una professione con una sua dignità e una sua etica, e non l’esercizio di un sensazionalismo gossipparo e morboso, è necessario riflettere su alcuni aspetti che la questione solleva. In Italia si è innocenti fino a prova contraria. Non colpevoli. Innocenti. E’ una conquista della democrazia, e deve essere difesa così come si difende il diritto alla libertà di informazione (qui si potrebbe aprire una lunga parentesi sul rapporto tra libertà e responsabilità, ma lo rimando ad un altro momento). Anche se, poniamo il caso, i sospetti si rivelassero fondati, e il sospettato quindi si trasformasse in accusato, sarebbe comunque tutelato dalla presunzione di non colpevolezza fino alla sentenza definitiva. Troppo spesso, però, si è affermata l’equazione per cui se si crede nella giustizia, regolamentata e esercitata da quei meccanismi di giudizio e valutazione che la storia dell’uomo ha elaborato e istituito nel corso dei secoli, si è in qualche modo indulgenti nei confronti dei sospettati o, peggio ancora, dei colpevoli. Volere un processo giusto, per qualunque crimine commesso, anche il più efferato, non significa voler perdonare. Assolutamente no. Il giustizialismo forcaiolo trova terreno fertile in un paese in cui la giustizia – come istituzione – è stata sistematicamente attaccata da una precisa parte politica ad uso e consumo del suo leader. Ma non solo. Secondo l’ultimo rapporto del Consiglio d’Europa, la giustizia italiana è in crisi anche e soprattutto perché vanta il non invidiabile record, in Europa, del maggior numero di sentenze inapplicate (2.522 su un totale di 10.689) a causa della sua lentezza nelle procedure. Crisi che è perfettamente percepita dagli italiani, che dichiarano di avere fiducia nel sistema giudiziario, secondo il Rapporto annuale sugli atteggiamenti degli italiani nei confronti delle istituzioni e della politica 2011 redatto da Demos, solo nel 41,6% dei casi (perdendo 8 punti percentuali rispetto all’anno precedente). In pratica 4 italiani su 10 non credono nella magistratura. E aggiungo io: visto che siamo al 4° posto in Europa per tasso di litigiosità con 4.768 contenziosi ogni 100.000 abitanti e che quindi i tribunali li frequentiamo parecchio, questo dato è probabilmente influenzato dalle esperienze dirette o indirette di inefficienza del sistema giudiziario e dal diffuso senso di impunità che la politica e il malaffare hanno contribuito ad alimentare. Ricostruire il paese è compito di tutti. Nessuno si senta escluso. Giornalisti, legislatori, politici, magistrati, singoli cittadini e cittadine. Ridare fiducia alle istituzioni, e riformarle per renderle degne di questa fiducia, è un’operazione irrinunciabile che è possibile solo con uno grande sforzo collettivo. Gianni Pacinotti ha raccolto in un video commenti del gruppo di Facebook “Lasciate lo zio di Sarah alla folla”, associando il commento all’immagine del profilo FB di chi lo aveva lasciato. Lo sforzo collettivo che bisogna fare, a mio avviso, deve essere tale da colmare la distanza che si percepisce tra le immagini del video e i commenti efferati lasciati dagli utenti. Per evitare lapidazioni sommarie e mostri in prima pagina.
A questo punto parliamo di Avetrana e Taranto, Mesagne e Brindisi ed i luoghi comuni.
La tragedia di Melissa Bassi dimostra ancora una volta la bassezza della nostra Italietta. Non quella Italia fatta di lavoratori che pagano le tasse e che si tolgono la vita quando non possono più sbarcare il lunario o dare un avvenire ai loro figli, ma quell’Italietta fatta da gente parassita che vive alle spalle della povera gente, finanziata dalle loro tasse. Gentaglia che rappresenta l'Italia in modo vergognoso. A tal proposito disgustato è il resoconto di Umberto Martelli su “Articolo Tre”. Ennesima caduta di stile, per una certa informazione italiana, che ha voluto cavalcare l'onda dell'attentato alla scuola Morvillo-Falcone di Brindisi, pubblicando le immagini della cameretta e della prima comunione di Melissa Bassi, l'unica giovane vittima che ha perso la vita in quell'infame mattinata del 19 maggio 2012. Ormai l'Italia è abituata ad un'informazione di "qualità" "sensibile" alle disgrazie e al dolore delle famiglie. L'ironia è da sottolineare. L'Italia è anche abituata a vedere vere e proprie orde di affamati e bavosi giornalisti pronti a scorgere una lacrima sul viso di un genitore, infilandosi nelle vite private delle famiglie cercando di scattare fotografie struggenti, appostandosi notte e giorno di fronte alle abitazioni di parenti e amici con la speranza di cogliere la disperazione per poi rivenderla al suo affamato quanto cinico pubblico, come se fosse una merce priva di significato, rendendo vano il lavoro di quelle centinaia di giornalisti che del loro mestiere ne hanno fatto una missione e non un infame gioco, alla ricerca della verità e molto spesso della giustizia. Turismo dell'orrore così è stato soprannominato dagli stessi mezzi d'informazione che molto spesso sono gli stessi fautori, gli stessi promotori di questo turismo basso e becero. Di esempi ne possiamo trovare a decine ma senza dover andare a rivangare troppo nel passato possiamo citare ad esempio l'assassinio di Sarah Scazzi dove proprio alcuni tg nazionali e alcuni giornali hanno marciato sull'uccisione di una ragazzina portando davanti al portone della casa di Avetrana centinaia di "stupidi", e scusate il termine, italiani. Oppure il caso Cogne, piccolo paese valdostano che ha visto negli anni successivi al processo Franzoni l'aumentare di vere e proprie processioni da tutta Italia per vedere la villetta dove si consumò il delitto del piccolo Samuele ed infine le fotografie dei "turisti" all'Isola del Giglio di fronte al relitto della Costa Concordia dove perirono 30 persone per la smania di un comandante un po' troppo su di giri. Nessuno vuole imputare ai mezzi d'informazione tutte le colpe per il cinismo e l'ignoranza di molte persone, ma c'è da dire che in qualche caso la colpa è evidente. Per fortuna l'Italia reale è un'altra rispetto a quella virtuale plasmata dall'informazione mainstream, l'Italia reale è quell'Italia che oggi su Twitter e su Facebook ha voluto gridare la propria indignazione a tale informazione postando decine di commenti sui profili web di molte tv e giornali ei media al grido di "vergogna", poi prontamente eliminati dai raffazzonati social media editor della redazione che forse non hanno capito che al web il bavaglio è difficile se non impossibile metterlo.
Ed i magistrati in Puglia? Ne parla Marco Ventura su Panorama. Ed allora Parliamone. Scoppiano tre bombole di gas collegate tra loro dentro un cassonetto dell’immondizia all’ingresso di una scuola di Brindisi e muore Melissa Bassi, 16 anni. Veronica, accanto a lei, lotta tra la vita e la morte, e ci sono altri quattro feriti. Figli nostri, nel mirino. Un orrore inaudito. L’Italia sotto shock. Ci si aspetta da chi indaga serietà, concordia e efficienza. Nulla di più, nulla di meno. Che i magistrati facciano il loro lavoro, che si mettano in silenzio a cercare il colpevole, o i colpevoli. Che s’impegnino con discrezione senza tregua. Assistiamo invece ad uno spettacolo indecente. I titolari dell’inchiesta sembrano impegnati più a litigare tra loro, a lanciare messaggi confusi, a tenere conferenze stampa e a dare interviste televisive (ma dove lo trovano il tempo?). L’impressione è quella del solito protagonismo, delle solite vanterie sulla rapidità degli accertamenti investigativi. Del solito caos, delle solite polemiche, perfino delle solite accuse ai giornalisti (che si limitano a divulgare le notizie fatte trapelare dai palazzi di giustizia). Davvero non sentivamo il bisogno di questa babele di voci in libertà, di alti funzionari dello Stato che aprono bocca e danno fiato uno contro l’altro tra gelosie malcelate, e che neppure di fronte a morti e feriti rinunciano a manifestare il loro incontenibile super Ego. Che si avventurano in ipotesi da loro stessi definite “premature” (ma che combaciano con l’interesse di ciascuno ad appropriarsi dell’inchiesta). L’ennesimo scontro di potere. Parliamone. Parliamo del procuratore capo di Brindisi, Marco Dinapoli, che all’indomani della strage convoca i giornalisti e rivela l’esistenza di immagini buone per l’inchiesta, registrate da una telecamera, “che ci siamo andati a prendere”. E lo dice, scrive l’agenzia di stampa nazionale ANSA, “sottolineando che gli investigatori hanno lavorato a testa bassa per raccogliere tutti gli elementi che vanno raccolti subito, altrimenti sarebbero andati perduti”. Che sarebbe il minimo, per degli investigatori. E aggiunge che in quel video c’è l’identikit dell’attentatore, anche se ancora non ha un nome: un uomo di 50-55 anni, bianco, probabilmente italiano. Esclusa di fatto la pista della mafia o della Sacra Corona Unita, così come quella del terrorismo eversivo, il procuratore capo di Brindisi già delinea il profilo psicologico dell’uomo: “Una persona arrabbiata e in guerra con il mondo, che si sente vittima o nemico di tutti e che utilizza una simile occasione per far esplodere tutta la sua rabbia”. I cronisti capiscono che la cattura è questione di ore. Che in realtà il nome esiste già, il giallo è risolto. Invece, colpo di scena, arriva un magistrato importante almeno quanto il suo collega, il procuratore capo della procura distrettuale antimafia di Lecce Cataldo Motta, che visibilmente contrariato dichiara alle Tv l’esatto opposto: “Non siamo in condizioni di dire che è il gesto di un folle. Non c’è da capire soltanto il movente, ma ancora tutto”. E quasi nega che esista un video. Intanto, però, le immagini del presunto attentatore vengono divulgate. Finiscono su Internet, la stampa le pubblica. Averle diffuse fa parte della strategia investigativa? Non per Motta, anzi: “Pubblicare quel video può aver danneggiato le indagini”. Attenzione: se anche litigano tra loro, i magistrati son sempre pronti a puntare l’indice sui giornalisti. “Pubblicare il video”, dice Motta. Non “divulgare”. La colpa è di quelli che divulgano le notizie (facendo il loro mestiere), non di quelli che le spifferano (contravvenendo al proprio dovere). Tanto, alla fine sono sempre i cronisti a “enfatizzare le diversità di vedute”. Motta incorre pure lui nell’errore del collega, avanzando teorie, “è difficile che abbia agito da solo”. Ma, precisa, “è prematuro dirlo”. Allora perché dirlo? Perché straparlare? Parliamone, invece, noi che non solo possiamo, ma dobbiamo. I genitori di Melissa e degli altri ragazzi meritano indagini più serie, più discrete, un messaggio più coerente e istituzionale da parte di chi dovrebbe cercare la verità e non il palcoscenico. Chi dovrebbe lavorare sulla scena del crimine, non su quella dei media.
Guai a mettersi contro i magistrati, ma non scherzano nemmeno i giornalisti, famosi per la loro permalosità. Ma è ancor di più pericoloso mettersi contro la chiesa, specie quella militante di sinistra sorretta e promossa dalla CGIL.
Già. Ma cosa centra Melissa Bassi con Don Ciotti e “Libera” con la sua schiera di sostenitori interessati, fruitori esclusivi dei beni confiscati alla mafia? Quel Don Ciotti e la sua creatura “Libera” osannata dalla stampa e dalla Tv ed a cui sono state dedicate sui servizi tv e sugli articoli di stampa più riferimenti e citazioni che alle Autorità presenti ed alla stessa Melissa.
Da una parte Marino Petrelli su “Panorama” spiega cosa è la Sacra Corona Unita e le sue possibili attinenze all’attentato. Melissa Bassi era nata a Mesagne 16 anni prima. Come Veronica Capodieci, e la sorella Vanessa, ricoverate a Lecce e Brindisi in condizioni gravi la prima, più stabili la seconda. Come le altre studentesse ferite nell’attentato all’istituto professionale “Morvillo Falcone”. Mesagne, città natale anche della Sacra Corona Unita. Da qui, l’allarme degli investigatori che inizialmente avevano pensato ad un collegamento tra l’attentato e la cosca malavitosa e avevano aperto un filone di indagini su quel pullman che portava le ragazze a scuola. Poi, la virata verso altre ipotesi e l’identikit che emergerebbe da un video tenuto ancora segretissimo dalla procura di Brindisi. Oggi il paesone di 27mila abitanti a dieci chilometri da Brindisi cerca di scacciare l’impronta mafiosa che subito i media hanno appiccicato sulle spalle scosse della cittadina, anche a seguito dell’episodio accaduto il 4 maggio con l’attentato alla macchina di Fabio Marini, presidente dell’antiracket locale. Cerca di “rompere questo silenzio senza indugi”, come ha dichiarato Don Ciotti nell’omelia della messa domenicale. È proprio lì che, nel 1981, è nata la Sacra Corona Unita (Scu), che nelle intenzioni di Giuseppe “Pino” Rogoli sarebbe dovuta diventare la quarta “stella” accanto alla mafia siciliana, la camorra napoletana e l’ndragheta calabrese. Sacra, perchè al momento dell’affiliazione il nuovo membro viene “battezzato” o “consacrato”. Corona, poichè nelle processioni si usa il rosario (appunto, una coroncina). Unita, per ricordare la forza di una catena fatta di tanti anelli. Come nel caso della liturgia mafiosa anche i pugliesi hanno la formula del giuramento che varia a seconda del clan. La Scu, al momento della sua massima espansione, era divisa in 47 clan, autonomi nella propria zona ma tenuti a rispettare interessi comuni a tutti i circa 1.600 affiliati. Il primo grado è la “picciotteria”, il successivo il “camorrista”. Seguono sgarristi, santisti, evangelisti, trequartisti, medaglioni e medaglioni con catena della società maggiore. Otto medaglioni con catena compongono la “Societa’ segretissima” che comanda un corpo speciale chiamato la “squadra della morte”. Recenti dati forniti dall’Eurispes dicono che la Scu guadagni 878 milioni di euro l’anno dal traffico di stupefacenti, 775 milioni dalla prostituzione, 516 milioni dal traffico di armi e 351 milioni dall’estorsione e dall’usura. Un giro d’affari di circa 2 miliardi e mezzo di euro. Secondo la Direzione investigativa antimafia, oggi la criminalità organizzata pugliese “si presenta disomogenea, anche in ragione della persistente pluralità di consorterie attive, molto diversificate nell’intrinseca caratura criminale e non correlate da architetture organizzative unificanti”. Con l’operazione “Last Minute” del 28 dicembre 2010, con la quale furono arrestati 18 tra capi e promotori della Scu, si riteneva di aver inflitto un colpo mortale alla criminalità organizzata locale. Lo scorso 9 maggio 2012, gli investigatori hanno portato a segno un altro colpo importante, arrestando, a Mesagne, 16 persone accusate di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, porto illegale di armi da fuoco, danneggiamento aggravato e incendio aggravato. E il 12 maggio 2012 è finita alla stazione Termini di Roma la latitanza di Roberto Nisi, ritenuto uno dei leader di un sodalizio criminale dedito al traffico di droga e alle estorsioni. Colpi duri inferti alla Scu, il cui terrorismo mafioso è stato scacciato in Puglia nell’ultimo decennio. In realtà, a San Pietro Vernotico, nel brindisino, c’era un gruppo chiamato dai media locali “i nipotini di Riina” perché usavano una violenza sempre esagerata, ispirata appunto al boss di Corleone. Gli esponenti di questo gruppo, arrestati in buona parte due anni fa, hanno assunto le pose della strategia corleonese diventando nel tempo sempre più pericolosi. Il pm Cataldo Motta ha dichiarato che “la loro pericolosità è legata principalmente alla capacità d’immagine ma anche a quella aggregazione di tutti quei piccoli malavitosi rimasti in circolazione. Oggi la Sacra Corona Unita non è in difficoltà, ha subito un cambiamento di pelle”. Intanto, un vile attentato ha portato via una ragazza del paese. Chi ha visto parlerà, dicono a Mesagne. Perché sarà meglio per gli assassini fare i conti con la giustizia dello Stato piuttosto che con quella della Sacra Corona Unita. I bambini non si toccano, neppure nel codice d’onore del peggior delinquente. Ma, codici a parte, Melissa non c’è più. E aveva soltanto sedici anni.
Quindi alla domanda: ma cosa centra Melissa Bassi con Don Ciotti e “Libera”, la risposta la danno i cittadini di Mesagne attraverso il racconto di Mimmo Mazza sul “La Gazzetta del Mezzogiorno”. La capitale dell'antimafia sociale (come la definisce il presidente della Carovana antimafia Alessandro Cobianchi) non ci sta. Listata a lutto in attesa dei funerali di Melissa Bassi, in programma oggi pomeriggio alle 16.30 nella chiesa madre alla presenza tra gli altri del presidente del Consiglio Mario Monti e del ministro dell'interno Anna Maria Cancellieri, Mesagne si ribella a chi utilizza l'attentato che è costato la vita alla 15enne studentessa dell'istituto professionale Falcone - Morvillo di Brindisi e ha provocato il ferimento di altre cinque giovani mesagnesi, per rispolverare antichi cliché, utilizzati venti anni fa per descrivere quella che era la capitale della Sacra Corona Unita. «Era» dice e sottolinea il sindaco Franco Scoditti. «Era anni e anni fa. Ora la storia è diversa, ora c'è una Mesagne che reagisce, che lotta e che lavora. Io e i miei cittadini proviamo dolore, sgomento e rabbia. Ma abbiamo anche voglia di cambiare, di dare una risposta ferma e immediata a quello che considero un atto barbarico. Ecco perché se da un lato ho proclamato il lutto cittadino in concomitanza con i funerali di Melissa, invitando i commercianti a rispettare questo momento di dolore collettivo, ho anche disposto che le scuole restino aperte. È giusto che il lutto sia vissuto dagli studenti nell'istituzione che è stata attaccata, che si parli di quello che è accaduto nelle scuole. Ci andremo noi amministratori, ci saranno i rappresentanti delle associazioni e tutti colori i quali sono portatori del messaggio di legalità perché la scuola è il primo presidio di legalità e democrazia». È stata una giornata di passione per Mesagne, e non solo per la calata di giornalisti provenienti da ogni dove (c'era perfino l'inviata del New York Times). Una giornata trascorsa in piazza. La mattina nella villa comunale per la tappa della Carovana della legalità con i discorsi, tra gli altri, del governatore Nichi Vendola e del presidente della Provincia Massimo Ferrarese. La sera in piazza IV Novembre, davanti alla chiesa matrice, nel cuore dell'incantevole centro storico, per la veglia di preghiera per Melissa voluta dal vicario don Pietro De Punzio. «Noi non ci fermeremo» dice Alessandro Cobianchi, coordinatore della Carovana, brindisino di nascita, e lo dice guardando negli occhi i ragazzi che gli sono davanti e che stringono tra le mani uno striscione con il nome di Melissa. «Ma per tutti la vera priorità è abbattere il muro della indifferenza e usiamo la solidarietà come antidoto alla violenza - dice dal palco Nichi Vendola - perché domani deve essere il giorno in cui bisogna pesare con attenzione le parole. Bisogna trovare le parole adeguate perché una generazione elabori questo lutto e riesca a pensare al futuro». Sono in tanti alle 21 del 20 maggio 2012, quasi in cinquecento, sfidando l'umidità e ignorando la finale di Coppa Italia, ad affollare piazza IV novembre. Accanto all'ingresso della chiesa viene esposta una gigantografia di Melissa. Ci sono famiglie intere, ci sono i giovani, gli amici di Melissa ma anche i ragazzi che pur non conoscendo la vittima dell'attentato, hanno voluto con la loro presenza testimoniare solidarietà e voglia di riscatto. «Avete fatto dono a Melissa - dice don Pietro, rompendo il silenzio - della vostra presenza. Facciamo fatica a credere e a sperare. Stiamo vivendo momenti terribili, perché la violenza sembra aver tarpato le ali alla speranza. la nostra città è stata colpita nel cuore nella parte più bella, nella voglia di vivere». Si parte con le parole di Giovanni Falcone: «Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno». Perché perfino la più banale delle rassicurazioni impartite dai genitori - «mi raccomando, dritti a scuola» - ormai non assicura più la salvezza. E si chiude, una serata che Mesagne non dimenticherà perché proprio non si può farlo, con un canto quasi liberatorio, «Resta qui con noi», pensando a Melissa e rivolto al Signore e a chi si chiede dove fosse, sabato mattina, il Signore, mentre una mano criminale azionava l'innesco della bomba che ha ucciso Melissa e ferito le sue amiche. Era lì, tra di loro, ustionato da tanta ferocia.
Ed ancora alla domanda: ma cosa centra Melissa Bassi con Don Ciotti e “Libera”, la risposta la danno i cittadini di Mesagne attraverso il racconto di Tonio Tondo sempre sulla Gazzetta del Mezzogiorno che dà voce ai Mesagnesi. «È guerra tra Stato e mafia e le vittime siamo noi». La gente del centro storico non si schiera, anzi non ha timore di scrivere su due improvvisati striscioni quello che pensa. «Qui siamo tutti d’accordo - sostiene Immacolata Doria, 42 anni, madre di una bambina di 11 anni -, la frase l’ho scritta io con il consenso degli altri». «Dia retta a me - aggiunge poi sicura -, la Sacra Corona Unita non c’entra proprio con questa storia di Brindisi, mai gli uomini della Scu hanno colpito le donne o peggio i bambini. I bambini sono sacri». Siamo in via degli Azzolino, la «strada longa» la chiamano i residenti, arredata con gerani e piante sempreverdi. I due striscioni sono collocati in piazzetta dei Giovanomo e all’ingresso della «strada longa». Piazza Orsini Del Balzo è a due passi, con il castello, palazzo Cavaliere e la chiesa di Sant’Anna, simboli del Barocco. In via degli Azzolino abita anche Franco Saponaro, detto Franco il coltivatore diretto, che ha condiviso l’iniziativa. Melissa era conosciuta. La ragazzina frequentava il laboratorio culturale del Comune, dove si ascolta musica e si può cantare, di fronte alla casa di Immacolata. C’è anche una radio libera. La famiglia Bassi vive in via Torre Santa Susanna, non lontano. Di Melissa si ricorda il sorriso. Gli striscioni si sono materializzati subito e con il consenso di tutti. Le parole farebbero pensare a una equidistanza tra Stato e mafia. Sembrano riecheggiare uno slogan politico degli anni Settanta e Ottanta («Nè con lo Stato né con le Brigate Rosse»), degli ambienti massimalisti della sinistra contigui con il terrorismo brigatista. La realtà di Mesagne ha una sua crudezza che va conosciuta e approfondita senza pregiudizi. Una realtà da scandagliare evitando gli schemi ideologici prefabbricati. Immacolata non si schiera con la criminalità e contro lo Stato, non esclude che l’attentato alla scuola Morvillo abbia una matrice malavitosa, ma se fosse così - aggiunge - «significherebbe che la follia assassina e la vigliaccheria hanno ormai vinto su tutto». Da quando la procura di Brindisi ha lanciato l’ipotesi di un «solitario» autore dell’attentato, a Mesagne il partito favorevole a questa tesi è uscito allo scoperto ed è cresciuto in poche ore, proprio tra la gente del centro storico. Ma la città si specchia e cerca di conoscersi attraverso la scuola Morvillo Falcone: la parte socialmente più debole ha sempre guardato a questa scuola come l’immagine della propria inadeguatezza sociale, ma anche come riferimento di un riscatto. Fisicamente la scuola è a Brindisi, ma la sua testa e il suo cuore pulsante sono qui, nel retroterra della provincia. Metà delle 630 alunne è di Mesagne, l’altra di Latiano, Oria e San Vito. Giancarlo Canuto, vice sindaco e professore di religione, ha insegnato all’istituto professionale fino a due anni fa. Conosce la sua storia e si commuove quando il discorso si sposta sulle ragazze. «Tra quei banchi si può conoscere e studiare la società di Mesagne, anzi le due società, quella dei figli delle famiglie più modeste, e però radicate sui principi di onestà e sacrificio, e l’altra, quella grigia, di famiglie anch’esse modeste ma disgregate e a rischio». Massimo Basso, papà di Melissa, lavora con una impresa edile di Taranto. Lavora sodo in questi tempi di paura. «E’ una famiglia che ha fatto enormi sacrifici per Melissa» - dice un operaio che ha lavorato con Massimo. Il papà di Veronica Capodieci, la ragazzina che lotta contro la morte, è un piccolo imprenditore nel campo del movimento terra. «E’ lontanissimo dagli ambienti malavitosi», osserva un giovane di Libera. Tra le ragazze ferite, qualcuna proviene da famiglie con precedenti penali. Le due dimensioni hanno quindi riferimenti anagrafici e culturali precisi: una parte non s’indigna, anzi parteggia, con le famiglie della zona grigia, a volte a rischio criminalità; l’altra, attenta ai temi della legalità. Canuto ricorda gli anni del maxiprocesso a Brindisi con le ragazze divise in due gruppi. Quando arrivavano i cellulari con i detenuti nell’aula del vicino tribunale c’era chi parteggiava per i detenuti, e chi difendeva poliziotti e magistrati. «Mai ci sono state contrapposizioni violente. La violenza stava fuori dalla scuola».
Quindi parlare di mafia significa dare spazio a quella componente politica-sociale che si definisce “antimafia” e serve a fargli propaganda e a far sentire la solita tiritera: «Tutti dobbiamo rompere l'omertà, i silenzi, le complicità. Dobbiamo avere il coraggio delle nostre azioni. Il cuore ci deve dare la forza». Lo ha detto don Luigi Ciotti nell'omelia che ha tenuto durante la celebrazione della messa che si è svolta nella cattedrale di Mesagne il 20 maggio 2012 per ricordare la 16enne Melissa Bassi morta il 19 maggio nell'attentato di Brindisi e tutte le ragazze rimaste ferite. Dopo la celebrazione della messa c'è stata una manifestazione organizzata dalla Carovana nazionale contro le mafie. In apertura un lungo applauso è stato dedicato al papà e alla mamma di Melissa. All'iniziativa hanno partecipano il presidente nazionale della Carovana, Alessandro Cobianchi, don Luigi Ciotti, il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, i sindaci di Mesagne e di Brindisi, Franco Scoditti e Mimmo Consales, e il presidente della Provincia di Brindisi, Massimo Ferrarese.
Già, la Carovana nazionale contro le mafie, i "buoni" (politici e sostenitori di sinistra, sindacalisti e uomini di chiesa, magistrati, giornalisti) contro i cattivi (tutta la gente comune, specie se di orientamento liberale e moderato). Carovana organizzata da quando nel 1992, a distanza di 57 giorni l’uno dall’altro, morivano uccisi dalla mafia i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E nel 2012 i 2.600 ragazzi che si imbarcheranno da Civitavecchia sulle due navi della legalità ribattezzate, per questo anniversario, “Giovanni” e “Paolo”, non erano nemmeno nati. Ma il 23 maggio, insieme ai loro coetanei palermitani, alle istituzioni, le forze di polizia, i magistrati, la società civile, saranno a Palermo per ricordare quel giorno e ribadire, con forza, il loro “No alla mafia”.
Già, basta essere però di una parte politica. Perchè la lotta alla mafia è una lotta di parte e di facciata. Ad accompagnare i ragazzi in partenza da Civitavecchia, tra i quali anche due compagne di classe e altre otto delle stessa scuola di Melissa Bassi, la 16enne uccisa sabato mattina 19 maggio 2012 nell’attentato di Brindisi davanti all’istituto intitolato proprio a Francesca Morvillo, sarà colui che fu il braccio destro di Giovanni Falcone, il Procuratore Nazionale Antimafia Piero Grasso. Quel Piero Grasso tanto vituperato dai suoi colleghi magistrati. Così come lo fu Giovanni Falcone in vita. Già povero Grasso, ma a difenderlo ci pensa Stefano Zurlo su su “Il Giornale”. Così va il mondo, ci eravamo persi qualcosa e ora è Marco Travaglio a spiegarci la vera storia dell’antimafia militante, dopo averci già proposto negli ultimi quindici anni la vera storia di Cosa nostra. Semplificando, tutti e due i fiumi portano a Silvio Berlusconi. Dunque sul Fatto quotidiano il Travaglio furioso ha messo a posto lo spudorato Grasso che a Radio 24, nel corso del programma La Zanzara, aveva riconosciuto a Berlusconi quel che è di Berlusconi e del suo governo: i meriti, alcuni meriti, nello lotta a cosa nostra. Eresia. Scandalo. Pianto greco. E allora il Travaglio sempre più furioso, invece di interrogarsi sul perché di quelle parole, le ha ricoperte di fango. Fango retrospettivo, fango capace di rovinare una carriera intera, fango che si attacca addosso. Sia chiaro: ci sono magistrati che non godono di una claque perenne, semplicemente perché fanno il loro lavoro, con discrezione. Alla Grasso, per intenderci: non c’è bisogno di strappare loro l’aureola perché nessuno l’ha mai appoggiata sulle loro teste. Altri giudici invece, al solo pronunciare il nome, vengono venerati come i santi. Due pesi e due misure. Pazienza. E allora Travaglio ha fatto di più: ha dipinto Grasso come un verme che striscia alla corte di Silvio e quando più gli serve, nel 2005, nei mesi in cui si deve nominare il nuovo procuratore nazionale, al posto di Piero Luigi Vigna, prossimo alla pensione, e due sono i contendenti: Grasso e Caselli. Due facce complementari della magistratura: Grasso è l’icona della normalità, Caselli è l’icona della magistratura militante. Ci eravamo persi però che Grasso fosse un verme. La sua colpa? Aver sfruttato le trame di Palazzo che, secondo il solito Travaglio, hanno accompagnato la sua elezione. Ecco, per il Fatto ci furono manovre e contromanovre per tenere alla larga da quella stanza Caselli e la compagine berlusconiana fra decreti e contorcimenti, le studiò tutte per affossare Caselli e mandare avanti il rivale. Non che non ci furono pressioni e schieramenti e divisioni, nella politica e nella magistratura, per quella poltrona come per tante altre. Stupisce però che si possa colpire così una persona perbene, fino a prova contraria, e si legga quella sofferta incoronazione come la didascalia di quella frase alla radio. Se non sbagliamo, e non sbagliamo, l’obliquo Grasso è lo stesso magistrato catapultato come giudice a latere al leggendario maxiprocesso, quello imbastito a Palermo contro la bellezza di 475 mafiosi e chiuso, dopo una camera di consiglio lunga come un conclave, con decine di ergastoli. Grasso, sì sempre lui, è lo stesso magistrato cui Giovanni Falcone, sì proprio Falcone, dice: «Vieni, ti presento il maxiprocesso», come il procuratore racconta nel suo freschissimo e a tratti commovente Liberi tutti (Sperling & Kupfer). Grasso, sì ancora lui, è lo stesso magistrato che rischia di saltare in aria quando i picciotti di Cosa nostra lo avvistano insieme a Giovanni Falcone, ancora lui, e a tre giornalisti - Attilio Bolzoni, Felice Cavallaro e Francesco La Licata - in un ristorante di Catania. Peccato che Travaglio ignori questi fastidiosi dettagli e tanti altri. Anzi, no. Uno va divulgato, come ha fatto lo stesso procuratore con Tiziana Panella per Coffee break su La7. L’11 aprile 2006 quando viene catturato un certo Bernardo Provenzano, Grasso, pm fino al midollo, non si perde in proclami e conferenze stampa ma prova, da siciliano a siciliano, a prospettargli una collaborazione con lo Stato. Tanto che l’altro, disorientato, vacilla un istante prima di rispondere: «Sì, ma ciascun nel suo ruolo». Oggi Grasso guarda a quel passato che a Palermo è scritto nelle lapidi e replica: «Se penso alle delegittimazioni che in vita hanno subito Falcone e Borsellino mi sento fortunato». Chapeau.
Già perché la mafia è “cosa nostra” ed i suoi beni sono “roba nostra” dice Don Ciotti.
«Fino al 1993 fuori dalla Sicilia non c'era la percezione che la mafia fosse un'emergenza sociale», ricorda Marcello Cozzi, memoria storica del movimento Libera fondato da don Luigi Ciotti. «Ricordo la stanzetta messa a disposizione dalle Acli per le prime riunioni, gli incontri con Giancarlo Caselli. Poi i banchetti nel marzo del 1995 per raccogliere le firme in favore della confisca dei beni ai mafiosi. Mai avremmo pensato di arrivare a un milione di sottoscrizioni e una legge già nel marzo del 1996». Da tutta Italia centinaia di ragazzi arrivano per lavorare sui terreni confiscati ai boss; nonostante intimidazioni e difficoltà nasce il consorzio “Libera Terra”, che coordina le attività delle coop di Libera. Ma già dodici anni dopo le stragi la rabbia sembra sbollire, fino a quando, la mattina del 29 giugno 2004, le strade del centro di Palermo sono tappezzate da adesivi listati a lutto con una frase lapidaria: "Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità". Nessuna rivendicazione, fino a quando diversi giorni dopo, un gruppo di "uomini e donne abbastanza normali, cioé ribelli, differenti, scomodi, sognatori" rompe l'anonimato. Sono gli 'attacchini' del comitato Addiopizzo, 'i nipoti di Libero', li battezza Pina Maisano Grassi, arrivano qualche anno dopo il primo comitato antiracket fondato da Tano Grasso, nel Messinese, a Capo D'Orlando.
Ma una domanda sorge spontanea: ma chi paga tutto l'ambaradan della Carovana cosiddetta antimafia?
5 giugno. Diciassettesima udienza. Parla Giovanni Lamarca, Giuseppe Finizia, Andrea Berti, Cosimo Maggi, Giovanni Prignani, Clemente Di Crescenzo, Roberta Bruzzone, Rosa Martino, Anna Lucia Morleo.
La criminologa, consulente del primo difensore di Michele Misseri, l’avvocato Daniele Galoppa (da ottobre 2010 a gennaio 2011), è uno dei testi della pubblica accusa. Una buona parte dell’udienza sarà dedicata a circostanze che riguardano il contadino di Avetrana considerando la presenza della Bruzzone ma anche di altri testimoni, Cosimo Maggi, Giovani Primiani e il commissario Giovanni Lamarca, rispettivamente infermiere, psichiatra del carcere di Taranto e comandante degli agenti della Polizia Penitenziaria. E’ stato convocato anche il compagno di cella di Michele, Clemente Di Crescenzo. I pm Mariano Buccoliero e Pietro Argentino hanno citato, fra gli altri, anche l’esperta di grafologia Rosa Martino (consulente del pm, perito per la firma apposta su un assegno bancario di Cosima), i carabinieri del Ris di Roma, il maresciallo Davide Numelli ed il maresciallo capo Giuseppe Finizia ed il maggiore Andrea Berti. I militari del Reparto investigazioni scientifiche hanno effettuato le consulenze sui cellulari di Sarah, Sabrina e Michele e i sopralluoghi nell’abitazione e nel garage. Altre udienze sono programmate per il 19 giugno, il 3, il 10 e il 17 luglio.
Si sente Roberta Bruzzone indicata dall’accusa come teste a carico degli imputati. Già quella criminologa ospite fissa e privilegiata dei salotti televisivi. Colei che ha scritto “Chi è l'assassino. Diario di una criminologa”. Come lavora, e ragiona, una criminologa? Quali tracce osserva sulla scena del delitto? Come conduce un interrogatorio? Da quali elementi risale al movente di un omicidio? Come ricostruisce il profilo dell'assassino? Come riconosce i tentativi di depistaggio? Roberta Bruzzone, criminologa, psicologa forense ed esperta di analisi e ricostruzione della scena del crimine, è stata consulente tecnico in alcuni degli episodi di cronaca nera più rilevanti degli ultimi anni, dalla strage di Erba all'omicidio di Sarah Scazzi. In questo libro ripercorre in prima persona tutte le tappe dei suoi casi più significativi: gli interrogatori, lo studio degli incartamenti, le analisi delle tracce sul luogo del delitto, i ragionamenti per entrare nella testa dell'assassino e risalire, passo dopo passo, al colpevole. I racconti della Bruzzone portano il lettore nel cuore delle dinamiche investigative più sofisticate, e negli anfratti più oscuri dell'animo umano. Roberta Bruzzone è psicologa forense e criminologa, perfezionata in psicologia e psicopatologia forense e in scienze forensi. Esperta in psicologia investigativa, criminalistica, Bloodstain Pattern Analysis e Criminal Profiling. Svolge attività di consulente tecnico nell’ambito di procedimenti penali, civili e minorili, con ricostruzioni 3D della scena del crimine e criminodinamica, analisi di casi di omicidio “a pista fredda”, tecniche di accertamento di sospetto abuso sui minori, valutazione dell’attendibilità testimoniale e tecniche di interrogatorio. È presidente dell’Accademia Internazionale delle Scienze Forensi e docente accreditato presso gli istituti di formazione della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri. Insomma: è tutto lei. Iniziamo a sfogliare il suo libro e subito ci imbattiamo nel caso cronologicamente più recente, quello dell’omicidio di Sarah Scazzi. Ricordiamo che Lei è stata consulente di Michele Misseri da novembre 2010 a febbraio 2011 e ha rimesso il Suo mandato quando Misseri ha revocato l’incarico all’avvocato Daniele Galoppa. Da allora Misseri si dichiara unico colpevole per la morte della nipote e accusa Lei e l’avvocato Galoppa di averlo indotto a coinvolgere sua figlia Sabrina nel delitto. Da qualche mese è iniziato il processo, che vede Sabrina e sua madre Cosima accusate di concorso in omicidio volontario, sequestro di persona e soppressione di cadavere. Per Michele Misseri, invece, l’accusa è “solo” di concorso in soppressione di cadavere. In occasione della rassegna culturale "miggianosilibra" del Comune di Miggiano, il 25 febbraio 2012 Roberta Bruzzone ha presentato il suo libro e ha parlato sugli ultimi sviluppi del delitto di Avetrana. Così come ha fatto in giro per l’Italia. All'evento hanno partecipato anche l'avv. Luigi Rella, presidente Ordine degli Avvocati di Lecce e difensore di Cosima Serrano (quella Cosima, madre di Sabrina, che a dire di Michele, è stata coinvolta dalle dichiarazioni proprio di Michele, indotte dalla Bruzzone e da Galoppa); l'avv. Daniele Galoppa, già difensore di Michele Misseri. Ha moderato Carlo Bollino, direttore de La Gazzetta del Mezzogiorno. Erano presenti noti esponenti delle Istituzioni locali e l’evento è stato accreditato dall’Ordine degli Avvocati di Lecce quale “Evento formativo”. Formativo di che? Se erano presenti tutti coloro che sono protagonisti della vicenda ed allo stesso tempo sono ospiti pagati dei talk show.
Non si può fare altro che rilevare un fatto: quella vicenda, da reale qual è, è stata trasformata in un feuilleton in cui tutti hanno parola – presunti assassini ed altrettanto presunti esperti in primis – tranne lei, la vittima. Sarah Scazzi è diventata un feticcio, pretesto dimenticato per dare il via a un «giallo» che prosegue a suon di confessioni, ritrattazioni, profferte, forse anche di intimidazioni. Invece qui il cadavere non è partorito della mente di uno scrittore o presunto tale. Quel cadavere apparteneva a una ragazzina che, in un giorno d’estate, esce di casa per andare al mare e invece va a morire assassinata poche centinaia di metri più in là.
Intanto Michele Misseri perde un fratello. Infatti il 2 giugno 2012 è morto Salvatore Misseri, marito di Maria De Santis, cognata di Michele Misseri, la quale ha dichiarato il 15 maggio che ricevette la visita di Cosima Serrano, accusata insieme alla figlia Sabrina Misseri dell'omicidio di Sarah Scazzi, e la donna le disse che in paese circolava la voce di un suo imminente arresto. Maria De Santis, messa a confronto con la farmacista Maria Rosaria Carrozzo, ha poi aggiunto di aver sentito, mentre faceva la spesa, due donne che parlavano tra di loro e dicevano che «Sarah l'avevano fatta pure vomitare».
Ed ancora si ha conoscenza che c’è un’intercettazione ambientale tra Michele Misseri e sua moglie Cosima Serrano che secondo la pubblica accusa del processo Scazzi quantunque tardivamente ritiene merita di essere risentita e interpretata. Questo è emerso nella sedicesima udienza in Corte d’assise che vede alla sbarra Sabrina Misseri e la madre Cosima, accusate di avere ucciso la quindicenne Sarah Scazzi, loro parente. Si tratta del colloquio catturato da una cimice montata sulla Opel Astra con cui il 6 ottobre del 2010 i coniugi Misseri si recarono a Taranto per essere interrogati. Fu l’ultimo interrogatorio per il contadino che confessò l’omicidio, poi ritrattato con la chiamata in reità della figlia. Durante quel viaggio, secondo quanto si è appreso in sede dibattimentale, Cosima Serrano avrebbe suggerito al marito le cose da dire agli inquirenti. Un aspetto che in un primo momento sarebbe sfuggito ai pubblici ministeri Pietro Argentino e Mariano Buccoliero, che hanno chiesto la trascrizione integrale della conversazione e la relativa acquisizione agli atti della Corte. E poi il reality show continua…"Cara Sabrina [...] non sono stato un buon padre per quello che ti ho fatto" - scrive il contadino di Avetrana in data 23 Aprile 2012 - "ed è giusto che tu mi punisca. Solo un bastardo di padre può farti quello che ti ho fatto io". E il senso di colpa si unisce alla disperazione: "Io maledico il giorno che mia madre mi ha messo al mondo [...] Quando vengo a Taranto e vedo te e la mamma sento come un piombo allo stomaco". Alla moglie, invece, parla di Sarah: "Io l'angelo biondo non l'ho sfiorato con un dito ed è sbagliato dire che ho abusato di lei [...] solo Dio sa cosa è veramente successo quel 26 agosto". E, nella lettera che riporta la data del 29 Aprile scorso, il contadino usa parole più dure: "Una sera vorrei addormentarmi senza risvegliarmi più, perchè sono stanco di vivere [...] qualche volta mi viene voglia di fare una strage". E sulle missive intime dei protagonisti la solita stampa pubblica ciò che non sarebbe mai potuto essere pubblicato. Senza lavoro e stressato dai turisti e dai curiosi che visitano la sua casa ad Avetrana, Michele Misseri sbotta: "Qualche volta mi viene di fare una strage". E' un passaggio della lettera che lo zio di Sarah Scazzi scrive alla figlia Sabrina e alla moglie Cosima Serrano in carcere con l'accusa di aver ucciso la ragazzina di 15 anni il 26 agosto 2010. Nella missiva, presentata da Tgcom24 e datata domenica 29 aprile 2012, Misseri ripete di "portare tre pesi troppo pesanti per lui". Poi lo sfogo: "Ci mancavano i turisti a rompermi i coglioni, qualche volta mi viene di fare una strage". Altre parole questa volta scritte dalla stessa Sabrina e risalenti al 27 settembre del 2010, trenta giorni dopo la scomparsa delle cugina Sarah e prima del ritrovamento del suo cadavere nel pozzo di Contrada Mosca, con il padre Michele autoaccusatosi e poi scagionato dagli inquirenti. La ragazza scrive alcuni sms all'amico Leonardo De Falco, tra le 13.32 e le 14.05. Frasi brevi, spezzate, buttate giù di getto. Quasi un flusso di coscienza i cui contorni non sono chiarissimi. Sabrina confessa di stare male, di essere depressa per quanto accaduto alla cugina. "Io non voglio più andare avanti vorrei tanto andare a letto a dormire e non svegliarmi più, odio la sofferenza sono realista per me non ha più senso, ogni cosa che faccio mi ricorda Sarah". E ancora: "Ho la rabbia, incominciando i gattini, poi il cane dopo 8 anni Sarah e per finire ora è morta la gatta preferita mia e di Sarah". Il contesto è quello di un periodo nero, sfortunato, culminato con la probabile disgrazia accaduta alla giovanissima cugina. Quindi l'ultimo sms, il più criptico: "Io non credo di riuscire a vivere bene con questo senso di colpa. Quel maledetto giorno, nessuno mi farà cambiare idea su sta cosa…". Il 27 settembre del 2010, quando Sarah Scazzi era scomparsa da un mese, sua cugina Sabrina Misseri scambiò 17 sms con il suo amico Leonardo De Falco. Lo scrive Nazareno Dinoi sul Corriere della Sera, spiegando che lo scambio di messaggi durò 33 minuti, dalle 13.32 alle 14.05. Dinoi ne riporta una parte. Il più significativo è probabilmente il seguente: «Io non voglio più andare avanti vorrei tanto andare a letto a dormire e non svegliarmi più, odio la sofferenza sono realista per me non ha più senso, ogni cosa che faccio mi ricorda Sarah». All’epoca il corpo senza vita di Sarah non era stato ancora ritrovato. Ecco altri sms riportati da Dinoi. Sabrina: «Ho la rabbia, incominciando i gattini, poi il cane dopo 8 anni Sarah e per finire ora è morta la gatta preferita mia e di Sarah». Ancora Sabrina: «Non credo proprio – scrive – è dal 98 che è iniziato con la morte di mio zio e pian piano ogni anno sempre di più, quest’anno proprio… 1 mese prima dalla scomparsa di Sarah ha fatto l’incidente la madre quasi miracolata. Più si va avanti più divento debole vorrei essere forte ma non ce la faccio». Dinoi spiega che l’amico cercava di consolare Sabrina, ma lei continuava: «Ho rabbia, odio, tu non puoi immaginare quello che mi sta frulla per la testa». Quindi Leonardo: «Così ti fai male da sola, non penso che Sarah ti voleva vedere così». Sabrina poi si sarebbe lasciata andare: «io non credo di riuscire a vivere bene con questo senso di colpa. Quel maledetto giorno, nessuno mi farà cambiare idea su sta cosa…». A questo punto, scrive Dinoi, Leonardo avrebbe chiesto: «Ma che colpa hai? Perché dici ste cose?». E a queste domande, conclude il giornalista, Sabrina non avrebbe mai risposto. L'amico le chiede di cosa stia parlando, ma Sabrina non risponde. il solito Nazareno Dinoi pubblica su “La voce di Manduria” il sunto della corrispondenza tra Michele e sua moglie Cosima. Corrispondenza che avrebbe dovuto rimanere segreta. «Ci mancavano anche i turisti a rompermi i coglioni, qualche volta mi viene di fare una strage … certo spero che tutto questo non avvenga …però che Dio ci aiuti». Michele Misseri continua a scrivere e lancia preoccupanti segnali di nervosismo nei confronti di chi lo circonda. Denuncia il suo stato d’animo in una lettera inviata alla moglie Cosima Serrano, in carcere con la figlia Sabrina accusate entrambe di avere ucciso la loro parente Sarah Scazzi. Nella missiva che porta la data del 29 aprile 2012, il contadino di Avetrana si lamenta della solitudine e si dice stanco della vita. «Mi manchi tanto sia tu che Sabrina — fa sapere Misseri nel suo italiano molto incerto — e vorrei che una sera io mi addormentassi e che non mi svegliavo più perché sono stanco di vivere». Nel resto della lettera lo zio di Sarah Scazzi si trasforma nel coniuge premuroso di sempre che informa la consorte dei lavori in campagna («il prossimo anno ci sarà molta uva, poi ti farò sapere … i fagiolini che avevo piantato sono nati tutti spero che non secchino senz’acqua»); delle difficoltà economiche dovute alla mancanza di lavoro («non ci sono soldi e nemmeno un po’ di lavoro per colpa degli avetranesi che sono andati da quella persona per non farmi lavorare»); e dei piccoli episodi domestici («le robe me le lavo a mano perché la lavatrice si è rotta ed ho riempito le fioriere di terra ma quest’anno anche i fiori sono tristi»). In un’altra lettera scritta sempre ad aprile scorso, Michele Misseri smentisce le sue presunte avance sessuali sulla cognata Salvatora Serrano quando questa aveva quattordici anni. «Io non ricordo di aver fatto questo e poi — scrive — tua sorella nel 1992 è venuta in Germania … e io non l’ho sfiorata nemmeno con un dito, con certe persone è meglio stare alla larga». Il 23 aprile Misseri scrive alla figlia Sabrina. «Lo so che non sono più un buon padre per quello che ti ho fatto … solo un bastardo di un padre può fare questo però non è stata colpa solo mia perché già dall’inizio non mi hanno voluto credere». Il contadino se la prende ancora una volta con il suo ex avvocato («mi ha raccontato tante balle e io come un fesso ci ho creduto») e chiude la lettera descrivendo il dolore che prova nel vedere lei e la moglie dietro le sbarre. «Quando vengo a Taranto e ti guardo sia a te che a tua madre (durante le udienze del processo), mi viene un blocco allo stomaco. Certo non è colpa vostra è solo colpa mia e per questa colpa non avrò pace per tutta la mia vita e non ci posso fare niente».
Non solo giornalisti fruitori di veline giudiziarie o forensi. Da Brindisi ad Avetrana, anche giornalisti predatori di Facebook. Cronisti voyeristi che saccheggiano impunemente foto e commenti delle vittime sui social network. Occorrono sanzioni precise per chi viola la privacy. Hai voglia a sgolarsi dice Pino Bruno su Globalist.it. Cogne, Avetrana, Brembate di Sopra e altre location di delitti atroci - e Brindisi purtroppo non sarà l'ultima - sono ormai entrate in circolo. Viaggiano nel sangue e nelle viscere dei voyer travestiti da cronisti. Ci mancavano i predatori dei profili Facebook, che saccheggiano impunemente foto, commenti, filmati depositati lì dalle vittime per tutt'altri scopi. Hai voglia a sgolarti, caro Enzo Iacopino, che puntualmente e giustamente da presidente richiami all'Ordine (dei giornalisti) i profanatori. Ha voglia a sgolarsi, gentile Garante della Privacy, che raccomanda "particolare responsabilità e sensibilità nell'utilizzare foto messe in rete dagli stessi ragazzi per condividere momenti della loro vita". "Troppe foto di minori - scrive Iacopino - sono state pubblicate. Troppe trasmissioni messe in onda per chiedere ai parenti delle vittime che cosa provassero mentre i loro figli erano in rianimazione o in terapia intensiva. Sono certo - aggiunge il presidente nazionale dell'Ordine dei giornalisti - che non ci sarà bisogno di aspettare che la competente autorità ci richiami al senso del dovere (come in circa 400 casi ha dovuto fare per la vicenda di Avetrana) e che, in spirito di collaborazione, ci saranno interventi rigorosi e pubblici da parte di tutti gli Ordini regionali". E già, perché non basta indignarsi, non è sufficiente invocare il rispetto delle carte deontologiche che pure i giornalisti hanno e dovrebbero conoscere e rispettare. Servono procedimenti disciplinari e sanzioni adeguate, ove fossero accertate le violazioni. Da Cogne ad Avetrana a Brindisi assistiamo a una pericolosa escalation. Dai cronisti citofonatori, dai giornalisti del "cosa prova?" e del "come ci si sente?" siamo passati agli assaltatori col microfono, ai molestatori di minorenni, agli sciacalli da barella ospedaliera, ai saccheggiatori di profili Facebook. Un punto fermo dobbiamo metterlo, dai grandi giornali e televisioni ai piccoli siti internet. Sarà la stampa, bellezza, ma non si vedono in giro Humphrey Bogart, mentre i Dracula abbondano.
Quindi: chi sono gli sciacalli?
Melissa è stata uccisa il 19 maggio davanti la scuola Morvillo Falcone di Brindisi. L'eco della bomba che il 19 maggio ha ucciso Melissa Bassi nell'attentato di Brindisi risuona ancora. Sui media sono state pubblicate fotografie, video, pezzi di vita di una ragazza scomparsa troppo presto, ancora minorenne. Fino al filmato della sua prima comunione, mandato in onda qualche settimana fa su TgCom24. Liturgia identica a quella dedicata a Sarah Scazzi. Per l'osservatorio sul giornalismo di ValigiaBlu questo esula dal diritto di cronaca. Resta un atto senza rispetto di un dolore privato, familiare, e supera i confini del giornalismo. L'associazione si è quindi appellata al Garante per la privacy e all'Ordine dei Giornalisti lombardo. Che invece ha risposto e deliberato: trasmettere il video è un atto lecito "per ricordarla". Nel servizio del TgCom24, intitolato "Le immagini più belle", si vede la vittima quando era ancora piccola, presumibilmente alla prima comunione, insieme a lei ci sono anche altri minori. Il video è anticipato da una pubblicità. "E' diritto di cronaca?", si chiedono in una lettera pubblicata sul sito di ValigiaBlu, Bruno Saetta e Arianna Ciccone. "Sentiamo il bisogno di attivarci perché le istituzioni prendano in un modo o nell'altro una posizione su come debbano essere trattate in rete le fattezze dei minori coinvolti quale vittima in eventi tragici". E il Consiglio dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia, riunito nella seduta del 24 maggio 2012, "dopo attenta valutazione di ogni elemento raccolto", ha riscritto. E deliberato l'archiviazione del procedimento in oggetto. "Questo Consiglio, visionato il video, ha verificato preliminarmente che chi lo ha messo in onda ha avuto cura, quanto meno, di schermare il viso degli altri bambini ripresi. Quanto alla violazione delle norme a tutela dei minori, questo Consiglio rileva, innanzitutto, che molte immagini di Melissa Bassi adolescente sono state pubblicate su tutti i mezzi di informazione dopo la sua tragica morte", si legge nella lettera di risposta. Così "il Consiglio ritiene che le immagini di Melissa Bassi bambina, pur non essendo strettamente attinenti al drammatico fatto di cronaca nel quale ella è rimasta coinvolta, siano uno strumento per ricordarla e per celebrarne la memoria. Ritiene, pertanto, di non dover irrogare sanzioni a chi tali immagini ha reso pubbliche pur stigmatizzando come inopportuno e di cattivo gusto il fatto che il video di Melissa Bassi bambina sia preceduto da un video pubblicitario. Questo Consiglio reputa che non si debbano formulare rilievi disciplinari a carico del giornalista Mario Giordano", conclude la lettera. A differenza di quello della Lombardia, il Consiglio regionale dell'Ordine dei giornalisti di Puglia, nel frattempo, alla luce degli stessi fatti relativi alla tragedia della scuola Morvillo Falcone di Brindisi, ha avviato l'esame di eventuali violazioni deontologiche da parte dei suoi iscritti e ha già aperto tre procedimenti disciplinari che saranno affrontati secondo le modalità e i tempi previsti dalle norme. "Eventuali violazioni compiute da giornalisti non iscritti in Puglia saranno, come stabilito dalla legge, segnalate agli Ordini regionali competenti. L'analisi dei servizi giornalistici trasmessi (web, radio, televisione e carta stampata) proseguirà nelle prossime settimane", si legge sul sito dell'Ordine che invita a inviare eventuali segnalazioni alla sua mail ufficiale. "Sostenere che le immagini siano un modo per ricordare Melissa e celebrare la memoria è un'ipocrisia imbarazzante", conclude Arianna Ciccone sul sito dell'associazione ValigiaBlu discostandosi dalla risposta dell'Ordine lombardo, "il giornalismo non ha di certo questo ruolo e per ricordare e celebrare la memoria basta una foto". “Voi delle tv speculate, ora state zitti e ascoltate”. E’ uno degli appelli scritti su un cartellone esposto sul palco di piazza della Vittoria a Brindisi il 26 maggio 2012 dove si è tenuta la manifestazione promossa dagli studenti ad una settimana dall’attentato alla scuola Morvillo-Falcone in cui è morta una studentessa. Altre cinque sono rimaste ferite. Negli interventi che si sono susseguiti sul palco, alcuni giovani hanno anche criticato i mass-media e in particolare le televisioni che “in questi giorni hanno speculato sul dolore”. “La notizia oggi non è il dolore, non è la morte di una persona - ha detto una ragazza dal palco - ma è che noi ci siamo svegliati, non ci importa se è stata la mafia, il terrorismo o un pazzo, a noi non interessa, noi non vogliamo più stare in silenzio e non vogliamo avere paura. La soluzione non è restare a casa ma ritornare a scuola, riprendere i nostri libri e cambiare questa cultura della violenza che ha ucciso Melissa”. Gli studenti hanno poi invitato le televisioni a smetterla di intervistare i mafiosi perchè “noi non vogliamo – hanno detto – l’aiuto della Sacra corona unita perchè respingiamo la loro cultura di violenza e di illegalità”.
Tanto tuonò che alla fine piovve, così il detto popolare spiega bene l’influenza negativa che i media infliggono ai cittadini. Il turismo dell’orrore che non si ferma dinnanzi a niente, nemmeno al terremoto che dal 20 maggio 2012 ha afflitto l’Emilia. I turisti del disastro in Emilia: scattano foto ai terremotati. Fotografi e videomaker improvvisati sul luogo del disastro. Insorgono le vittime del sisma: rispettate il nostro dolore. Sfilano uno dopo l’altro, muniti di telecamera e macchina fotografica. A Mirandola, a Cavezzo, a Novi di Modena; da una parte ci sono loro, i curiosi, e dall’altra chi ha perso tutto. Mentre i terremotati, casco in testa e busta in mano, aspettano di poter entrare nelle loro case per cercare di recuperare qualcosa, i curiosi cercano l’inquadratura migliore. Arrivano in auto o in moto nei luoghi violentati dal sisma; parcheggiano, fotografano, commentano e poi tornano a casa, come se fosse una gita fuori porta, in una domenica qualsiasi. Mi chiedo che emozione si possa provare a speculare sul dolore degli altri, in cambio di una foto da esibire a parenti e amici che dimostri la propria (inutile) presenza sul luogo del disastro. Gli sciacalli della sofferenza altrui ci sono sempre stati. I turisti del disastro sono in agguato anche in Emilia Romagna: videomaker in cerca di emozioni, fotografi improvvisati, semplici personaggi di passaggio con iPhone, pronti a sparare decine di clic sui terremotati disperati, sulle loro case distrutte. E tutto ciò senza essere mossi dal minimo desiderio di cronaca. “Turista fotografico, le foto valle a fare a casa tua”: è il cartello comparso a Finale Emilia accanto a un giardino pubblico dove diversi sfollati hanno collocato la loro tenda da campeggio. A questo si aggiunge il problema degli sciacalli da sisma, sempre attivi, pronti a truffare soprattutto gli anziani: con la scusa dei controlli post-terremoto entrano in casa e arraffano quel che possono. Forze dell'ordine già in allerta per individuare e arrestare gli odiosi protagonisti di queste truffe. Accadde a Perugia, dopo l'omicidio di Meredith. Ad Avetrana con zio Misseri e la casa dei tragici misteri. E poi all'isola del Giglio, il disastro della Costa Concordia. C’erano a Cogne, per fotografare la villetta in cui fu ucciso il piccolo Samuele Lorenzi, ad Avetrana, teatro dell’omicidio della quattordicenne Sarah Scazzi e si sono visti anche sull’isola del Giglio, pronti a farsi immortalare con la nave inabissata sullo sfondo. Non importa se sotto quella nave c’erano ancora dei corpi da recuperare, l’importante era esserci e soprattutto farlo sapere agli altri. È pur vero che duemila anni fa Lucrezio nel De rerum natura scriveva di quanto fosse piacevole osservare dalla riva una nave che colasse a picco “e non perché rechi piacere che qualcuno si trovi a soffrire,/ma perché è dolce scorgere i mali di cui siamo liberi”. Ma allora il termine spettatore aveva ben altre connotazioni e quello del poeta latino era solo un esorcismo velato dalla poesia. Oggi la moltiplicazione degli schermi ha decretato il trionfo dell’apparire, dove la realtà prende corpo nella misura in cui è proiettata su uno schermo, anche quello limitato di una fotocamera digitale o di un telefonino. Perciò anche la tragedia diventa spettacolo fino a travolgere le percezioni, a rubare le emozioni, a snaturare il senso intrinseco degli eventi, spingendo alcuni a prendervi parte con solidale indifferenza. Di fronte a queste ripetute dimostrazioni d’imbecillità io, da essere umano, mi vergogno. E parafrasando Battiato, posso solo aggiungere che in quest’epoca di pazzi ci mancavano gli idioti del turismo dell’orrore.
Resoconto della giornata.
Sono 11 i testimoni citati dalla pubblica accusa.
Ore 10.30 – parla Giovanni Lamarca. «Il 7 ottobre Michele Misseri fu alloggiato in un cella d’isolamento e guardato a vista. Poi il 18 dicembre lo spostammo al primo piano, nella cella numero 10, dove fu recluso fino al 26 gennaio 2011. - Lo ha riferito Giovanni Lamarca, comandante della Polizia penitenziaria del carcere di Taranto nel corso del processo per l’omicidio di Sarah Scazzi. - Un giorno prima, il 25 gennaio, un agente della sezione mentre faceva una normale ispezione – ha ricordato Lamarca - verificò che un detenuto, nella cella dove c'era anche Clemente Di Crescenzo, che faceva le pulizie nel corridoio, stava tagliando pagine di giornali e componendo delle lettere. Scoprimmo che stava scrivendo una missiva anonima con lettere ritagliate da giornali. Quel componimento fu sequestrato. Il giorno dopo – ha aggiunto il comandante delle guardie penitenziarie – decidemmo di fare una perquisizione accurata della cella e in tale occasione fu ritrovato aperto un quaderno di computisteria scritto non da quel detenuto, ma da Di Crescenzo, dove risultava più volte scritto il nome di Michele Misseri. Ci rendemmo contro che De Crescenzo aveva un diario delle conversazioni che aveva avuto in un mese e mezzo con Michele Misseri. Una specie di memoriale».
Ore 11.00 – parla Andrea Berti. Diciotto cinture, ritenute più interessanti tra quelle sequestrate dalla polizia giudiziaria nell’abitazione della famiglia Misseri, sono state analizzate dai carabinieri del Ris alla ricerca del Dna da comparare con quello degli indagati per l’omicidio di Sarah Scazzi. In alcuni casi sono state trovate tracce compatibili con il profilo genetico di Michele Misseri. Lo ha detto il maggiore Andrea Berti, ufficiale del Ris, nel corso della diciassettesima udienza del processo per l’omicidio della 15enne di Avetrana, uccisa e gettata in un pozzo il 26 agosto del 2010. Il maggiore Berti ha fatto presente che le cinture sono state divise in porzioni e analizzate separatamente con tampone. Sono stati compiuti accertamenti anche sul telefonino di Sarah Scazzi, che aveva la sim card inserita, una scheda di memoria Sd con batteria e un ciondolo composto da un lucchetto e una piccola lattina. Il maggiore ha aggiunto che il Reparto investigazioni scientifiche ha effettuati i rilievi sui pavimenti e sui muri della veranda, dell’ingresso, del corridoio e della cucina della villetta dei Misseri, in via Deledda, ma non in camera da letto. Sabrina Misseri, accusata insieme alla madre Cosima Serrano di aver ucciso Sarah Scazzi, ha pianto durante la deposizione dell’ufficiale del Ris.
Ore 11.30 – parla Giuseppe Finizia. Il cellulare di Sarah Scazzi presentava bruciature e aveva il display rotto, ma la scheda sim, estratta dal telefono e analizzata separatamente, era in uno stato di conservazione discreto e si potevano estrarre i dati. Lo ha riferito il maresciallo capo Giuseppe Finizia, del Ris di Roma, testimoniando al processo in Corte d’Assise per l’omicidio della quindicenne di Avetrana. «Il telefonino fu rimesso in funzione con una batteria nuova – ha sottolineato il maresciallo – e alla prima accensione sullo schermo apparve una foto di Sarah seduta in auto. Fu possibile estrarre liste di chiamate, messaggi in entrata e in uscita, una bozza di un messaggio non inviato. Anche dalla scheda di memoria furono estratti dati. Iniziammo – ha aggiunto il maresciallo del Ris – una collaborazione tecnica con l’azienda produttrice Vodafone. I messaggi erano contenuti nella memoria del telefonino e furono tutti recuperati».
Ore 12.00 – parla Cosimo Maggi. «La sera del 14 ottobre 2010 Michele Misseri rifiutò i farmaci perché diceva che il direttore doveva fare un sopralluogo e lui voleva rimanere vigile - Lo ha dichiarato l’infermiere del carcere di Taranto, Cosimo Maggi, testimoniando al processo per l’omicidio di Sarah Scazzi in corso a Taranto. - Dovevo fargli firmare – ha aggiunto – una liberatoria, ma aspettai perché poteva cambiare idea. La mattina dopo non c’era più, era stato portato via. Anche la terapia della mattina non gli fu somministrata. Dopo questi episodi a Michele Misseri non fu più somministrata una delle due compresse prescritte. Se non ricordo male – ha fatto presente l’infermiere – fu sequestrato il diario clinico del detenuto. La terapia della mattina prevedeva un antidepressivo, quella della sera un ansiolitico.»
Ore 12.30 – parla Giovanni Primiani. Dopo Maggi ha testimoniato lo psichiatra del carcere Giovanni Primiani, il quale prescrisse una compressa di antidepressivo e un tranquillante. «Nel secondo colloquio, dopo pochi giorni, mi disse - ha detto Primiani - che aveva interrotto la terapia. Dal 5 novembre la interrompemmo perché non era nemmeno più consigliata e Michele Misseri aveva ripreso molte delle sue capacità». Lo psichiatra del carcere di Taranto, Giovanni Primiani, rispondendo ad una domanda di uno dei legali di Sabrina Misseri che gli chiedeva se Michele Misseri avesse mai detto di essere stato molestato, ha risposto che “qualcosa c’é stato. Mi fece delle confidenze, ma su questo episodio non posso rispondere. E’ una cosa molto personale”. Lo psichiatra non ha voluto aggiungere altro e si é avvalso del segreto professionale, rifiutandosi di rispondere ad alcune domande del pubblico ministero e dei legali degli imputati. Primiani ha fatto presente che Michele Misseri nei vari colloqui disse sempre di essere stato lui il responsabile, gli manifestò il proposito di volersi suicidare e non spiegò il motivo per il quale aveva accusato la figlia Sabrina. «Nel primo colloquio del 7 ottobre – ha detto il teste – Misseri mi raccontò qualcosa che era successo nel garage. Non rivelò perché la ragazza fosse presente. Mi disse che lui era lì perché non funzionava il trattore. Ad un certo punto comparve la nipote Sarah. Tra i due non si capisce bene cosa fosse successo. Successivamente - ha proseguito Primiani - reagendo a qualcosa che aveva detto lui, Sarah gli avrebbe dato un calcio e si sarebbe girata per andare via. In quel momento l’avrebbe aggredita. Poi le avrebbe legato al collo una corda appoggiata su un trattore o una motozappa. In seguito Misseri raccontò di aver portato il cadavere di Sarah in auto sotto un albero di fico che per lui rappresentava una ‘via crucis’. In passato – ha detto Primiani – il padre lo avrebbe bastonato proprio in quel luogo. Non ricordo se riferì di averla seppellita nelle vicinanze». Duro scontro verbale in aula, nel corso del processo per l’omicidio di Sarah Scazzi, tra il pubblico ministero Mariano Buccoliero e l’avvocato Roberto Borgogno, sostituto processuale dell’avv. Franco Coppi, uno dei due legali di Sabrina Misseri. Durante la deposizione dello psichiatra del carcere di Taranto Giovanni Primiani, Borgogno ha contestato alcune domande formulate dal magistrato, il quale a sua volta aveva messo in dubbio alcune dichiarazioni rilasciate in precedenza dall’infermiere del carcere Cosimo Maggi. «Lei – ha detto Borgogno, riferendosi al pm – sta intimidendo il teste. La smetta». Il rappresentante della pubblica accusa ha risposto in maniera stizzita. «Io parlo solo con il presidente della Corte d’Assise. Lei stia zitto». Il legale ha risposto a muso duro e ha minacciato di abbandonare l'aula. “Se continua così, me ne vado”. E il pm ha replicato: “Farebbe bene ad andarsene”. La situazione è stata ricomposta dal presidente della Corte d’Assise, Rina Trunfio. Nella sua deposizione, Primiani ha riferito, tra l’altro, che il dosaggio dei farmaci che furono somministrati a Michele Misseri poteva rallentare la sua funzione intellettiva, ma non la sua capacità di giudizio e di relazione. Nei colloqui in carcere Michele Misseri mi disse sempre di essere stato lui il responsabile non spiegando il motivo per cui avesse accusato la figlia. Su questo rimandò tutto al memoriale. Così lo psichiatra Giovanni Primiani, del Dipartimento di salute mentale della Asl di Taranto, consulente per il carcere della città jonica, durante la lunga deposizione al processo in Corte di Assise. Specie nella prima parte della sua permanenza in carcere Misseri "pensava spesso al suicidio", ha riferito Primiani. Verso aprile-maggio del 2011 Primiani consigliò “la sospensione della terapia perché la situazione era migliorata. Si muoveva bene, aveva ripreso le sue capacità”. Incalzato dalle domande prima dei pm ma soprattutto dei legali della parte civile sul motivo per il quale, durante i numerosi colloqui, non avesse ritenuto di approfondire nell'ambito della comprensione della situazione psichiatrica le ragioni per cui avesse accusato la figlia, ha detto che gli psichiatri solitamente non fanno domande "di tipo giuridico, per questo non ho ritenuto di doverle chiedere, né lui ne ha parlato". Inoltre ha riferito alla Corte che Michele Misseri "aveva paura che la moglie non lo perdonasse". E che negli ultimi tempi "non aveva un buon rapporto con la moglie tanto che dormiva su una sdraio". Infine ha spiegato anche che Michele gli ha riferito che "tra Sarah e Sabrina non c'era nessun problema" e che, "attraverso il ritrovamento del cellulare voleva essere scoperto".
Ore 14.30 – Parla Clemente De Crescenzo. Misseri ha poi ritrattato tutto, come è noto. Lo ha fatto anche in carcere. "Mi disse che lo avevano imbrogliato, lo avevano confuso e convinto ad accusare ingiustamente la figlia nel periodo in cui assumeva gli psicofarmaci". Così il detenuto Clemente Di Crescenzo riferendosi alle confidenze che gli avrebbe fatto in carcere lo zio di Sarah e che lui annotava su un diario. "Nei giorni delle festività natalizie del 2010 - ha precisato Di Crescenzo - mi chiamò mentre facevo le pulizie, era molto triste e mi disse che stava scrivendo alla figlia Sabrina perché l'aveva incolpata. Diceva che Galoppa e Bruzzone lo avevano convinto ad accusarla perché in questo modo sarebbe andato ai domiciliari in un convento a curare un orto e sarebbe uscito dopo due anni. Mi chiedeva anche in che modo poteva revocare l'avvocato Galoppa perché diceva che era stato il legale a creare il processo". Di Crescenzo ha appuntato le conversazioni che aveva con Misseri su un quaderno che fu sequestrato dagli agenti, una sorta di diario di cui ha raccontato in aula Giovanni Lamarca, comandante della Polizia penitenziaria del carcere di Taranto: "Abbiamo ritrovato aperto un quaderno di computisteria scritto da Di Crescenzo, dove risultava più volte scritto il nome di Michele Misseri. Ci rendemmo contro che De Crescenzo aveva un diario delle conversazioni che aveva avuto in un mese e mezzo con Michele Misseri. Una specie di memoriale". "Nei giorni delle festività natalizie mi chiamò Michele Misseri: era triste, stava scrivendo una lettera a Sabrina per dirle che gli dispiaceva, che era innocente e che l'aveva accusata perché era sotto l'influenza di farmaci prescrittigli dagli psichiatri. Mi disse che la dottoressa Bruzzone e, mi sembra, l'avvocato Galoppa lo avevano convinto, consigliandogli di 'accollare' tutto a Sabrina, perché lei era giovane". Lo ha detto Clemente Di Crescenzo, della provincia di Caserta, attualmente detenuto nel carcere di Taranto, a proposito del periodo in cui nel penitenziario si trovava anche Michele Misseri, il contadino di Avetrana. L'uomo ha deposto al processo in Corte di Assise per l'omicidio della 15enne Sarah Scazzi di Avetrana. "A te ti mandiamo nel convento con l'orticello' - avrebbero detto la consulente della difesa e il suo ex avvocato a Misseri - tua figlia esce tra due anni. Poi aggiunse che i farmaci lo avevano un poco rimbambito. Mi disse anche che voleva revocare l'avvocato, non aveva buona stima del suo avvocato, gliel'ha fatto lui il processo, l'avvocato gli consigliava come fare. Poi disse che Galoppa aveva riportato in tv cose che non aveva detto perchè Galoppa non credeva alla tesi di Michele". ''Mi disse che lo avevano imbrogliato, lo avevano confuso e convinto ad accusare ingiustamente la figlia nel periodo in cui assumeva gli psicofarmaci''. Lo ha dichiarato il detenuto Clemente Di Crescenzo riferendosi alle confidenze che gli avrebbe fatto in carcere Michele Misseri e che lui annotava su un diario. Il riferimento è al primo difensore di Michele Misseri, avv. Daniele Galoppa, e alla criminologa ingaggiata da Galoppa come consulente, Roberta Bruzzone.
Ore 15.15 – Parla Roberta Bruzzone. "Io non ho ucciso Sarah, ero sulla sdraio: è stata Sabrina. A quel punto chiamammo i magistrati". Così la consulente criminologa Roberta Bruzzone deponendo come testimone al processo davanti alla Corte di Assise del Tribunale di Taranto a proposito dell'incontro con Michele Misseri in carcere del 5 novembre 2010 quando lo ascoltò in qualità di consulente dell'ex avvocato Daniele Galoppa insieme a quest'ultimo. «Questa frase nacque quasi all'improvviso - ha proseguito - si stava parlando di Sarah genericamente. Gli chiedemmo se potevamo chiamare i magistrati. E lui disse di sì». Poi la dottoressa Bruzzone ha ricordato che "quella settimana successiva al 5 novembre Misseri in carcere non volle incontrare nessuno dei familiari". Fu la prima e unica volta. Sull'incidente probatorio "era perfettamente certo del suo significato e cioè ad esempio che sarebbero state presenti le controparti e la difesa della figlia. Ricordo che aveva paura fisicamente della figlia perché si raccomandò di avere una posizione protetta nella stanza". La criminologa ha negato di aver mai avanzato a Misseri scenari come quello di una sua scarcerazione in caso di 'scarico' della colpa sulla figlia e di una pena lieve per la figlia. "Gli ho solo chiesto di dire la verità non un percorso a rate con informazioni discordanti", ha detto. "Nessun sotterfugio. Non ho mai suggerito di fare riferimento a un gioco tra Sarah e Sabrina", poi finito male", ha concluso. Michele Misseri disse "effettivamente che subiva pressioni continue e questo lo aveva infastidito e preoccupato non poco. Così aveva ritenuto di vivere la settimana dell'incidente probatorio senza pressioni della famiglia, in particolare da parte della figlia Valentina e della moglie con le quali c'erano stati due incontri". Per questo Misseri presentò una "domandina alla direzione del carcere" per non incontrare i familiari. "Me lo disse in tutte le circostanze in cui ebbi modo di parlare con lui", ha aggiunto Bruzzone. Gli avvocati di Sabrina, quest'ultima presente in aula insieme alla madre Cosima Serrano (entrambe sono detenute con le accuse di concorso in omicidio volontario, sequestro di persona e soppressione di cadavere), hanno fatto emergere la presunta contraddizione tra il ruolo di criminologa e quella di testimone e per il fatto di aver presentato una denuncia per calunnia e diffamazione nei confronti di Michele. "Ma io ho lasciato l'incarico il 4 febbraio del 2011", ha risposto, precisando di aver presentato la denuncia dopo la deposizione di Michele all'udienza preliminare nello scorso autunno 2011. In aula all'udienza erano presenti lo stesso Michele Misseri, imputato per concorso in soppressione di cadavere, e la madre di Sarah, Concetta Serrano Spagnolo.
Ore 16.30 – parla Rosa Martino e Anna Licia Morleo. Con la deposizione della grafologa Rosa Martino, consulente del pubblico ministero, e di Anna Lucia Morleo, madre di un’amica di Sabrina Misseri, si è chiusa la diciassettesima udienza del processo per l’omicidio di Sarah Scazzi. A deporre per ultima, dopo una seduta estenuante, è stata Anna Lucia Morleo, testimone citata dalla difesa di Sabrina Misseri, la cugina della vittima, quest'ultima detenuta insieme alla madre Cosima Serrano con le accuse di concorso in omicidio volontario, sequestro di persona e soppressione di cadavere. Anna Lucia Morleo ha riferito di aver visto Sarah alle 11.30 del 26 agosto e che la 15enne indossava jeans e maglietta rosa. Altri testimoni avevano detto invece che Sarah quando uscì da casa la mattina aveva un completino (maglietta e pantaloncini) di colore nero. A parte una notevole discordanza rispetto a tutti gli altri testi sentiti finora sull'abbigliamento che Sarah indossava la mattina dell'omicidio, si è trattato di una deposizione favorevole alle imputate poiché la signora Morleo, vicina di casa della famiglia Misseri, ha sottolineato gli ottimi rapporti tra le due cugine. Le sue figlie sono amiche di Sabrina ma frequentavano anche Sarah, specie la più piccola. "Non ho saputo di nessun litigio di Sabrina e Sarah", ha detto tranne dopo "in tv". "Non ho saputo di alcuno screzio per via di Ivano Russo", ha aggiunto. Su questa deposizione, soprattutto sull'insistenza di alcune domande alla teste del pubblico ministero sulla possibilità che possa essersi confusa tra l'abbigliamento indossato dalla 15enne la mattina e quello del pomeriggio, si è accesa la protesta dell'avvocato della difesa, Roberto Borgogno. Peraltro quel pomeriggio la donna ha detto di essere passata con suo marito in auto per andare al mare, alle 13,50, intorno all'orario in cui Sarah, sarebbe arrivata a casa Misseri, trovando la morte.
Le prossime udienze sono state fissate dalla Corte al 19 giugno e al 3 luglio, in particolare quest'ultima sarà particolarmente importante poiché sono previste le testimonianze della sorella di Sabrina, Valentina Misseri, di Vanessa Cerra, la commessa del fioraio del famoso 'sogno', il marito di questa Giovanni Pucci e del medico legale che effettuò l'autopsia sul cadavere della vittima il professor Luigi Strada.
19 giugno. Diciottesima udienza. Parla Adolfo Semeraro e Cosimo Monopoli.
Le foto shock del ritrovamento del cadavere di Sarah Scazzi sono state mostrate su schermo nell'aula di Corte d'Assise di Taranto nel corso della diciottesima udienza del processo per l'omicidio della quindicenne di Avetrana.
Ore 10:00 – Parla Il luogotenente Adolfo Semeraro, del Nucleo investigativo del comando provinciale di Taranto, che ha commentato le fasi del recupero del corpo, in un pozzo di contrada 'Mosca', e gli accertamenti compiuti la notte del 7 ottobre 2010. Dopo la prima proiezione delle foto, Concetta Serrano, la mamma di Sarah, è uscita dall'aula. Il luogotenente Semeraro ha sottolineato di essere arrivato in contrada Mosca intorno a mezzanotte e venti del 7 ottobre 2010 e di aver proceduto all'attività tecnica con foto e video. «Michele Misseri - ha riferito il teste - indicò il punto preciso dove si trovava il pozzo. Il punto di riferimento era un pezzo di legno fra un terreno e una piantagione. Alcuni militari procedettero alla rimozione del terriccio e degli arbusti e scavarono a mani nude. Diverse pietre coprivano il pozzo. A un certo punto si iniziò a scorgere il cadavere della ragazzina e calammo una telecamera per fare delle misurazioni. Le operazioni durarono tutta la notte». Nel pozzo si trovavano anche un laccio e una collana di cuoio con un ciondolo di scoiattolo. Il teste ha descritto inoltre le fasi del recupero dei vestiti bruciati di Sarah e della batteria del cellulare della 15enne e l'attività tecnica compiuta sui compressori del garage di casa Misseri.
ORE 13:17 – Chiesta l’acquisizione delle ultime lettere di Michele Misseri. Il pubblico ministero Mariano Buccoliero ha chiesto alla Corte d’Assise di Taranto l'acquisizione di cinque lettere di Michele Misseri pubblicate nell’aprile 2012 sul sito del Tgcom, una intervista rilasciata da Sabrina Misseri l’8 ottobre del 2010 alla trasmissione “Chi l'ha visto?” e un’altra intervista rilasciata da Michele Misseri l'8 maggio 2012 a “Porta a Porta”.
ORE 13:30 – Parla il brigadiere Cosimo Monopoli, all’epoca dei fatti in servizio al comando provinciale di Taranto, che ha parlato degli accertamenti compiuti il 21 ottobre 2010 sulla porta che dall’appartamento di casa Misseri conduce al garage.
Il pm Buccoliero ha rinunciato all’audizione del brigadiere Cosimo Micera e dei marescialli Antonio Lovreglio, Paolo Tempesta e Francesco Damiano. Nell’udienza del 3 luglio sono previste le deposizioni di Vanessa Cerra, Giovanni Tucci, del medico legale Luigi Strada, dell’ing. Cirino, di Lucia Pichierri e Valentina Misseri.
Per concludere bisogna soffermarsi su un aspetto di un’altra vicenda che dolente o volente è legata al caso di Sarah Scazzi.
Il 7 giugno 2012 alle ore 10.30 si è tenuta la Conferenza Provinciale Permanente presso la Prefettura di Taranto. E’ stato invitato il Presidente della Provincia di Taranto ed i sindaci delle maggiori città della provincia, tra cui Taranto. Sono state invitate le massime autorità cittadine, (polizia, carabinieri e Guardia di Finanza). Sono stati invitati i rappresentanti delle associazioni di categoria economica e sociale e di difesa del consumatore. E’ stato invitato il dr Antonio Giangrande, quale presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, iscritta presso la Prefettura di Taranto all’elenco antiracket ed antiusura. Il Prefetto ha aperto ed inoltrato i lavori con una sua relazione sui problemi della Comunità: crisi economica, instabilità e disagio sociale, rischio di usura.
L’Associazione Contro Tutte le Mafie è l’unica associazione nazionale antiracket ed antiusura, al contrario di “Libera” che è un coordinamento di Associazioni locali che spesso fanno capo alla CGIL. L’associazione Contro Tutte le Mafie è obbligata all’iscrizione territoriale in virtù dell’art. 1, comma 3, Decreto Ministro dell’Interno 24.10.2007, n. 220, ma di fatto, telematicamente, opera in tutto il territorio nazionale, assistendo tutti coloro che non vogliono o non possono rivolgersi ad un Front Office territoriale. Il presidente del sodalizio, dr. Antonio Giangrande, riguardo agli aspetti trattati dal Prefetto di Taranto ha comunicato ai presenti che, come presidente nazionale, quindi data la sua esperienza extraterritoriale, ha adottato alcune misure divulgabili ed adottabili da ogni ente governativo provinciale, per poterne usufruire ed apprezzare gli aspetti più utili.
L’Associazione Contro Tutte le Mafie:
con Tele Web Italia, la sua web tv nazionale, ospita tutte le web tv locali e dà visibilità gratuita al territorio ed alle aziende che ivi producono per superare la crisi di mercato o il pericolo di usura;
considerando che le vittime del racket e dell’usura non hanno bisogno di visibilità e non vogliono apparire per paura delle ritorsioni, ha predisposto sui suoi siti web associativi uno sportello telematico (VADEMECUM) affinchè le vittime, senza ausilio di intermediari, possano accedere agli strumenti di denuncia e di autotutela più adeguati, previa informazione senza filtri sui benefici di legge, questo perché gli sportelli antiracket aperti a Lecce, Taranto e Brindisi, od in altri posti, pur in apparenza utili, possono sembrare solo strumenti di propaganda politica e di speculazione economica per attingere ai progetti PON o POR;
ha invitato ad una collaborazione reale la Camera di Commercio e le associazioni di categoria attraverso l’accesso ai Cofidi o gli Interfidi per superare l’ostacolo della mancata fruizione di finanziamenti dalle banche, per evitare il fallimento delle aziende o l’accesso al mondo usuraio dei cittadini.
In virtù di tali atti e proposte inviate al Ministro dell’Interno, ai Sottosegretari all'Interno ed a tutte le Prefetture d’Italia, quindi, si sperava in una collaborazione senza oneri per lo Stato e che non sia solo di stampo burocratico, con la creazione di un Pool informale tra il delegato dell’ufficio competente presso la Prefettura territoriale, con il responsabile della locale Camera di Commercio, Industria, Agricoltura ed Artigianato, in rappresentanza delle categorie sociali ed economiche, con il magistrato delegato ai reati specifici, con la presente associazione che telematicamente aiuta i bisognosi sul territorio a trovare una sponda istituzionale per risolvere i loro problemi. Insomma, noi abbiamo bisogno di avere un solo nome presso cui convogliare le innumerevoli richieste di aiuto, per ovviare altresì ai disservizi esistenti nel sistema. Quel nome istituzionale, territorialmente, deve garantire: procedibilità della denuncia fondata presentata; immediato accesso ai finanziamenti dei Cofidi e Statali od ai risarcimenti di legge; tempestiva interruzione dei procedimenti giudiziari esecutivi a carico dell’usurato denunciante. Si proponeva quindi: visibilità mediatica agli strumenti di tutela e collaborazione tra gli attori sociali ed istituzionali. In questo modo si batte Racket ed Usura.
Silenzio assordante. Intanto il Prefetto di Taranto ha replicato che l’intervento non era in tema. Meno male che Giangrande, esperto anche di economia, non ha fatto cenno all’usura bancaria ed all’usura di Stato con i tassi ed emolumenti riconosciuti ad Equitalia; non ha fatto cenno alle cartelle pazze, non ha fatto cenno alle esecuzioni giudiziarie con mancato diritto di reciprocità: cioè le esecuzioni di Equitalia sono reali, quelle contro Equitalia sono bloccate. Certo non per colpa di Equitalia, ma dei parlamentari che approvano norme che dovrebbero rappresentare i cittadini e non i poteri forti. Dalle prime battute, però, è stato chiaro che la conferenza a Taranto era solo incentrata, secondo l’intento di stabilire la pace sociale e garantire allo Stato ed agli statali i sovvenzionamenti, sul gettare acqua sul fuoco riguardo i rapporti burrascosi tra il sistema sociale ed economico con Equitalia, che, purtroppo sfocia in vessazioni e disservizi da una parte e suicidi dall’altra. L’esordio del Prefetto è stato: niente polemiche, se no tolgo la parola; per cui il susseguirsi degli interventi è stato sulla falsariga intimata. Gioco facile per i rappresentanti di Equitalia replicare alle inconsistenti contestazioni dicendo che si impegneranno ad aprire centri di ascolto ed ad ampliare e dilazionare le riscossioni. Troppo poco per le aspettative di alcune associazioni presenti, che magari avrebbero voluto parlare delle sofferenze dei loro iscritti. Bene per i soliti personaggi genuflessi che fanno del lisciare il pelo al potere la loro missione quotidiana, anziché tutelare i loro associati. Molto bene per Equitalia che si è sentita a casa sua, ospite tutelato, al di là dei suoi meriti. La conferenza è stata chiusa dal Prefetto, istituzione a difesa di altra istituzione Equitalia con capitale Inps ed Agenzia delle Entrate, con un invito a vittime e carnefici di morandiana memoria: stiamo uniti e niente polemica. Subisci e taci, direbbe qualcuno.
L’esasperazione contro lo “Stato canaglia”, che spreme i suoi cittadini per mantenersi e dare in cambio solo ingiustizia e disservizi, di chi emulando gli imprenditori che assaltano le sedi di Equitalia con il sostegno morale dei vessati contribuenti e con il risalto dei media, o il convincimento remoto di molti che pensano sia un bene mettere una bomba al Tribunale per farla pagare a giudici ed avvocati corrotti non può giustificare la morte di una ragazza innocente nel fiore dei suoi anni. Senza dimenticare cazzate dette intorno ad una vicenda dove avvoltoi di tutte le risme hanno strumentalizzato e speculato. Il 9 giugno 2012 è scoppiato a piangere per Melissa, ma ha confermato tutto. E’ andato così, secondo il racconto del suo avvocato, l’interrogatorio durante l’udienza di convalida del fermo di Giovanni Vantaggiato, l’imprenditore 68enne di Copertino (in provincia di Lecce), accusato di aver compiuto l’attentato alla scuola di Brindisi nel quale è morta la studentessa di 16 anni Melissa Bassi e sono rimaste ferite in modo grave altre cinque ragazze. «Ha reso ulteriori particolari – ha spiegato l’avvocato Franco Orlando – ma sostanzialmente non è mutato assolutamente nulla. Rimane la sua confessione». Vantaggiato dinanzi al gip ha pianto ha però riferito Orlando: «L’interrogatorio è stato in alcuni momenti drammatico, il pensiero per la ragazza morta, per le ragazze rimaste ferite e in particolare un pensiero per la sua famiglia alla quale ovviamente rimane molto vicino». La prima frase sarebbe stata: “Chiedo perdono”. Il gip del tribunale di Lecce, Ines Casciaro, ha convalidato il fermo di Vantaggiato, ed ha emesso una ordinanza di custodia in carcere nei suoi confronti. Confermata l’ipotesi di reato di strage in concorso con finalità di terrorismo. Soprattutto Vantaggiato ha chiarito il movente: «Ho fatto un gesto dimostrativo perchè ho subito due truffe e perchè il fatturato negli ultimi anni è diminuito”. L’uomo ha specificato di non riuscire a sopportare l’idea di non dover essere risarcito da un suo cliente, Cosimo Parato, e da un fornitore di Avetrana, dai quali non ha ricevuto circa 400mila euro. I suoi affari, inoltre, avrebbero subito un forte ridimensionamento (da quattro a un milione di litri) da quando era cessato l’appalto con la Provincia per alcune scuole superiori di Brindisi, tra le quali proprio il professionale Morvillo. L’appalto era comunque cessato – a quanto si sa – nel 2003. A causa dei problemi economici, ha aggiunto Vantaggiato, ha dovuto ridurre da sei a una unità il personale della propria azienda e ha perso all’incirca il 70 per cento del fatturato. Inoltre sono emersi nuovi dettagli sulle modalità di realizzazione dell’innesco. Vantaggiato ha rivelato anche di aver fatto delle prove in campagna prima di trasportare, da solo, le bombole davanti all’ingresso della scuola nella notte tra il 18 e il 19 maggio 2012. L’uomo ha quindi negato di aver agito con la complicità di altre persone e ha dimostrato una notevole competenza in materia elettronica. Vantaggiato avrebbe trovato su un’enciclopedia – alla voce esplosivi – le istruzioni per miscelare la polvere pirica che ha poi versato nelle bombole che ha fatto esplodere davanti alla scuola. La truffa da 342mila euro. Due sarebbero stati gli eventi diventati un incubo per Vantaggiato: prima di tutto la scoperta di assegni a vuoto per 342mila euro dopo aver rifornito di gasolio un imprenditore agricolo di Torre Santa Susanna, piccolo comune in provincia di Brindisi. Nel 2007 aveva venduto 700mila litri e passa di gasolio più un migliaio di benzina a Cosimo Parato mai immaginando di essere costretto a sporgere denuncia . “Tre anni di processo per niente”, avrebbero detto al gip perché se da un lato l’imputato (solo lui a fronte di quattro persone rinviate al giudizio del Tribunale) era stato riconosciuto colpevole, dall’altro non c’era stata alcuna provvisionale rispetto alla richiesta di risarcimento dei danni quantificata in 400mila euro, facendo soprattutto riferimento ad “ansie e preoccupazioni”. E’ quello che si legge nella richiesta di costituzione di parte civile, ammessa dal gip Valerio Fracassi. La sentenza è arrivata il 19 aprile 2012, quindi un mese prima dell’attentato. Vantaggiato avrebbe detto di aver pensato al processo civile ma quando ha avviato le pratiche avrebbe scoperto che in realtà c’era poco quanto niente da aggredire. “Dove e come potevo recuperare tutti quei soldi?”. Dopo il buco ci sarebbe stato un altro colpo: il mancato pagamento di un cliente di Avetrana, in provincia di Taranto. Nel frattempo anche gli appalti con le Pubbliche Amministrazioni sarebbero venuti meno, complice l’avvento del metano. E’ successo così con la Provincia di Brindisi che aveva assegnato alla sua ditta l’appalto per la fornitura di gasolio nelle scuole superiori, tra le quali figura anche il Morvillo-Falcone: in tre anni, dal 2001 al 2003, aveva incassato – a fronte di fatture emesse – la somma di tre miliardi e mezzo di lire. L’attentato a Parato. Ce l’aveva con qualcuno in particolare? “No, con chi fa le leggi visto quello che mi è successo”, avrebbe risposto. Gli è stato chiesto se fosse stato lui a organizzare e ad eseguire l’attentato ai danni di Cosimo Parato, praticamente vivo per miracolo dopo l’esplosione che avvenne la domenica mattina del 24 febbraio 2008 davanti all’ingresso della palazzina in cui risiede, a Torre. “No, non sono stato io, non c’entro niente”. Vantaggiato ha insisto: “E’ la legge il problema”. Poi ha voluto precisare: “Io non appartengo a organizzazioni criminali o terroristiche e la politica non c’entra niente”. Ma allora per quale motivo da Copertino è arrivato a Brindisi e si fermato proprio davanti all’ingresso di una scuola? La risposta è stata impressionante: “A Lecce non ci potevo andare, sono di quelle parti, Bari è troppo lontana, Brindisi è vicina: ci sono arrivato facilmente e poi me ne sono andato”. Perché il Morvillo? Perché sarebbe stato il primo luogo che ha visto e ha ritenuto idoneo per posizionare il cassonetto con le tre bombole di gas, una volta arrivato nel capoluogo, appena superato l’incrocio del ponte del rione Sant’Angelo dove è stato “visto” dalle telecamere dei semafori. E’ stato immortalato la mattina del 19 maggio, in un orario “compatibile” con l’attentato: arrivo alle 7, strage alle 7,42, strada del ritorno imboccata due minuti dopo. E quella del 5 maggio, un sabato, alla stessa ora: in questo caso a incastrarlo c’è stata anche una telefonata che ha permesso di stabilire la presenza nella zona della scuola essendo stata agganciata la cella telefonica che serve il Morvillo. L’orrore non ha bisogno di grandi strategie. «Bari era troppo lontana, a Lecce rischiavo di essere riconosciuto. Ho scelto Brindisi perché sta a metà strada. E poi è un centro abbastanza grande. E io volevo fare un gesto dimostrativo, qualcosa di eclatante». È andata così, banalmente. Seguendo un filo logico di bassa praticità, con gli occhi sempre chiusi sulle conseguenze. «Non ho nulla contro l’Istituto Morvillo Falcone. Ho scelto quella zona dopo un sopralluogo. Ci arrivi in due minuti e in due minuti te ne vai, con rapido accesso alla superstrada. La via è abbastanza buia, quindi si prestava a mettere le bombole e collegare l’innesco». Povera Melissa Bassi, al momento sbagliato nel punto sbagliato, al centro del delirio vendicativo di un uomo meticoloso. Così meticoloso che dal carcere ha dato disposizione alla moglie di far sparire alcuni documenti. I poliziotti, che ovviamente hanno intercettato la lettera, sono andati a sequestrarli. Un tipo indecifrabile, Giovanni Vantaggiato. Alle 9 di mattina del 9 giugno 2012 si è presentato davanti al gip Ines Casciaro per l’udienza di convalida, ed è scoppiato a piangere: «Mi metto in ginocchio - ha detto all’inizio - chiedo perdono ai genitori della bambina. Gli scriverò. Chiedo perdono anche alla mia famiglia. Della mia vita non mi importa più nulla». Gli hanno detto di calmarsi, lo hanno fatto sedere. Poi, nell’aula all’interno del carcere di Lecce, hanno iniziato a tempestarlo delle stesse domande che tutta Italia si sta facendo da tre settimane. Perché? «Perché mi hanno rubato due volte i mezzi. Perché ho dovuto sottostare a un’estorsione. Perché me li hanno incendiati, con un danno da 50 mila euro. Per quel bidone da 345 mila euro che mi ha rifilato Cosimo Parato di Torre Santa Susanna e un’altra truffa da 120 mila euro da un fornitore di Avetrana. Ero esasperato». «Lei ce l’ha con i giudici?», gli ha domandato il gip. «No, sono le leggi che sono sbagliate. Se ci fossero leggi migliori, non mi sarei ridotto così. Ho fatto tre anni di processo e ho ottenuto nulla. Le leggi non tutelano i commercianti». Tre ore di verbale. Con un altro momento di pianto a singhiozzi, che costringe a un’interruzione. «Ci stavo pensando da Natale. Ho comprato i telecomandi, un manuale di chimica, 30 chili di polvere pirica. Ho fatto tutto io, tutto da solo». Non è stato un giorno di ordinaria follia. Ma un pensiero cullato a lungo, preparato con perseveranza. «Fra febbraio e marzo, per tre volte ho sperimentato la funzionalità dell’ordigno che stavo costruendo. Sono andato in una strada di campagna, dalle parti di Copertino. Tutto il circuito deve girare a 12 volt, volevo essere sicuro che la batteria non si bruciasse». Ma perché ha scelto proprio il 19 maggio per piazzare la bomba? «Perché prima la pioggia avrebbe potuto rovinare tutto». Ed ecco gli attimi terribili che precedono la strage: «L’innesco non partiva. Continuavo a schiacciare. È passato più di un minuto. Poi ho visto la fiammata, ho girato le spalle e me ne sono andato. Io non volevo uccidere, lo giuro. Non doveva andare così». Hanno chiesto a Vantaggiato del libro sequestrato a casa sua, «Manuale del Guerriero della Luce»: «Paolo Coelho? Chi è? Un mio cliente? Non lo conosco. No, non è mio quel libro. Io leggo riviste nautiche e cruciverba». Gli hanno chiesto della bomba gemella, esplosa nel 2008 a Torre Santa Susanna, che ha ferito il «nemico» Cosimo Parato: «Non sono stato io». Gli hanno domandato cosa abbia pensato rivedendosi nel video ripreso dalle telecamere di un chiosco, la mattina della strage: «Ho sperato che non succedesse nulla, perché l’immagine non era buona». Quanto al peso della morte, al dolore provocato, ha detto: «Ho cercato di non pensarci». Il gip: «Come ha passato la giornata, dopo aver messo la bomba davanti alla scuola?». Giovanni Vantaggiato: «Sono andato a lucidare la mia barca». Non ce l’ha con i giudici, «ma con chi scrive le leggi. Se fossero migliori, non sarei così esasperato». Era «frustrato» per aver subito due truffe ed estorsioni senza risarcimento. E perché colpire la scuola, in quel punto? «Volevo un gesto eclatante e lì “ci entravo comodo” (ci arrivavo bene) da Lecce. Conoscevo l’istituto poiché ci portavamo il gasolio, ma mo’ non più». E ha cominciato a preparare l’ordigno «da Natale», facendo «tre prove». Anche se quella mattina l’innesco si è inceppato, «ho dovuto schiacciare tre volte». Complici? «No, lo giuro sui miei nipoti». In tre ore d’interrogatorio per la convalida del fermo l’Unabomber del Salento, Giovanni Vantaggiato, circoscrive il movente alla rabbia per il crollo degli affari e a vari contenziosi andati male; e fa capire che la “Morvillo Falcone” è stata scelta perché comoda sul piano logistico e vicino al tribunale che frequentava con insofferenza. Prova anche a piangere: «Mi butto in ginocchio, chiedo perdono ai parenti della bambina (Melissa), voglio scrivere loro una lettera». Ma allora, ce lo vuole dire perché la bomba? Sono le 8.40 quando il gip, e con lei i pm Guglielmo Cataldi e Milto De Nozza, chiede al killer di spiegare. È il secondo interrogatorio ufficiale. E fa caldo, dentro il carcere di Borgo San Nicola. Vantaggiato si asciuga la fronte con una manica, quindi parte a razzo: «Sono esasperato dai problemi nella mia attività. Mi hanno rubato due volte i mezzi con il cavallo di ritorno (si paga per riaverli, di fatto un’estorsione)… una volta me li hanno incendiati, ho avuto un danno in casa da 50 mila euro, una truffa ad Avetrana da 70 mila, gasolio non pagato. Poi sono stato raggirato da Cosimo Parato». È, quest’ultimo, l’agricoltore di Torre Santa Susanna che gli ha fatto un “bidone” da 342 mila euro, saldando, nel 2007, 700 mila litri di combustibile con assegni scoperti. «Pensare che gli fece da garante un maresciallo dei carabinieri, Fiorita, nemmeno di loro ci si può fidare». Parla del processo contro Parato dopo la sua denuncia: «Quello è stato condannato, ma adesso che dovevamo avere la causa civile per i danni si è venduto tutto. Ho avuto tre anni di processo e nulla, non è tutelato chi fa il commercio… gli affari sono scesi del 70% con la metanizzazione delle scuole, per le quali avevo l’appalto di fornitura del gasolio da riscaldamento. Prima vendevo 4 milioni di litri l’anno, ora solo uno; avevo sei dipendenti, ne è rimasto uno. E quando devi utilizzare i risparmi per pagare i debiti, vuol dire che le cose vanno male». Il pm De Nozza lo interrompe: «Gliel’hai messa tu nel 2008 la bomba a Parato (che ferì gravemente l’agricoltore)?». «Assolutamente no». Poi torna sul possibile bersaglio. «Ma allora ce l’hai con i giudici, con il tribunale?». «No, con chi scrive le leggi. Fossero migliori, non sarei ridotto così». «Ho iniziato a mettere le cose da parte a Natale, non ho usato solo polvere pirica (come aveva detto la notte in cui fu fermato), ma un composto con solventi chimici, la miscela l’ho creata io». Però. «Dovevo provare la funzionalità. Il circuito è fatto apposta e deve girare a dodici volt, volevo essere sicuro che la batteria non si bruciasse. Ho fatto tre prove, in campagna. Mettevo un pochino di polvere, provavo e se c’era la fiammata voleva dire che funzionava. Ci ho lasciato tre batterie così. Ho sottovalutato la potenza, non volevo uccidere». «Sei bravo a fare ‘ste cose», le parole dei pm: «Non è che sono bravo, ho trovato su un enciclopedia, su un manuale, le istruzioni per miscelare la polvere». E quel libro di Paulo Coelho, il Manuale del guerriero della luce sul suo comodino con appuntata la frase “agire subito”? «Chi è Coelho, un cliente? Io leggo solo riviste di nautica e mi piacciono i cruciverba». Il gip chiede: possibile fosse solo?. «Lo giuro sulla cosa più cara che ho, i miei nipotini». Come già era accaduto, usa una volta la prima persona plurale: «Abb…, no, volevo dire ho caricato…so di aver fatto del male, anche alla mia famiglia. Ma loro non c’entrano nulla». L’epilogo è ricostruito meccanicamente: «Volevo fare un gesto eclatante; Bari mi sembrava troppo lontana, a Lecce avevo paura di essere riconosciuto; a Brindisi, e soprattutto lì, ci arrivi comodo. Dall’autostrada sono due minuti e te ne vai in fretta». I pm: «Ma allora ce l’hai con la scuola? «No, anche se la rifornivo fino a qualche anno fa: ci andava un autista. L’ho scelta perché era un posto abbastanza buio per mettere la bomba». Perché quel giorno? «Prima c’era stato brutto tempo, temevo che la pioggia potesse spegnere l’innesco». Lo stesso innesco che non funzionava a dovere e l’ha obbligato a premere il pulsante «tre volte». «Non mi sono accorto delle telecamere, quando hanno trasmesso il video in tv speravo non succedesse nulla perché l’immagine non era buona». I magistrati lo guardano storto. «Vantaggiato, l’ha vista l’esplosione?». «Ho visto la fiammata e sono andato via. Poi, per non pensarci, mi sono messo a lucidare la barca a secco».
Sugli sviluppi merita interesse quanto scritto da Fabio Mollica su “Brindisi Report”. Prima le illazioni sulle bombole di gas, poi le ipotesi più disparate sulle piste da seguire, infine i filmati del presunto attentatore (poi rivelatosi un poliziotto) sul luogo dell’attentato, ripreso mentre raccoglie detriti. La voglia di scoop, la necessità di trovare gli autori della strage e la possibilità di rendere pubbliche le proprie opinioni attraverso il web e i social network hanno cambiato il modo di raccontare un evento tragico, e forse perfino il modo di indagare. Ed è proprio sul web che si possono trovare le analisi più “originali” (per qualcuno le più strampalate) e le tesi più azzardate. Eccone alcune.
Enzo Di Frenna, sul suo blog ospitato da “Il Fatto Quotidiano”, non ha dubbi: dietro la bomba del 19 maggio ci sarebbe la solita oscura trama ordita da massoneria, politica corrotta, servizi segreti deviati e finanza speculativa. Il perché sarebbe semplice: «Oggi il cambiamento in Italia si sta manifestando attraverso i giovani a la Rete. La politica dal basso – che scuote i palazzi del potere – usa Internet. Se tale cambiamento si dovesse propagare sul piano nazionale, l’intreccio politica-mafia sarebbe in pericolo. Quindi i mandanti sono da cercare in pezzi deviati dei poteri dello Stato, che da anni hanno stretto un patto con le grandi organizzazioni criminali. Chi ha piazzato le bombe davanti a una scuola lo ha fatto tenendo all’oscuro la Sacra Corona Unita. È gente spietata che si è infiltrata nel territorio pugliese». Tutto chiaro, enigma risolto (eccezion fatta per i nomi degli stragisti): «Ho l’impressione che i mandanti siano i membri di quella Cupola Nera- composta da massoneria, politica corrotta, pezzi deviati dei servizi segreti e finanza speculativa – che da decenni tiene in scacco l’Italia. Il cambiamento sta scuotendo le fondamenta del loro potere. Si sentono minacciati. E quindi loro minacciano. Nel modo più feroce possibile».
Più o meno sulla stessa linea è (sul suo blog) Marco Cedolin, che non propone una tesi sugli autori dell’attentato, ma è certo su chi se ne avvantaggia, e cioé «lo stato e il governo, che erano in disgrazia», con il ministro Cancellieri che ora «avrà carta bianca per reprimere tutto ciò che possa infastidire l’esecuzione degli ordini della Bce, ad iniziare dalla No Tav, da lei stessa definita la maggiore preoccupazione del governo, unitamente alle contestazioni contro Equitalia ed a tutti i focolai di conflitto sociale che potranno crearsi quando la macelleria fra qualche mese entrerà in funzione a pieno regime».
Altro blog, altra tesi, quella di Gianni Fraschetti, su informare.over-blog.it, che sulla base delle immagini viste in tv esclude categoricamente che possano essere state utilizzate bombole di gas: «Allora, vorrebbero dirci che lì vi è stato il Bleve (l’esplosione) di tre bombole e che lo stato dei luoghi successivo a tale evento è quello che abbiamo visto? Ma non raccontassero cazzate per piacere. “Lì non è esplosa nessuna bombola, però sarebbe interessante sapere perché la menzogna comincia proprio da lì”. Quanto al movente, Frascetti ne propone uno, che porta molto lontano: all’America che non vuole il gasdotto russo South Stream: «Ecco dunque spiegati il perché di Brindisi, dove dovrebbe sbucare il South Stream, e questa strana bomba sulla quale sono state avanzate le più disparate congetture e che altro non era che un avvertimento in codice, pieno di simbolismi abbastanza difficili da decifrare per tutti, meno che da coloro che dovevano comprenderli. Insieme all’esplosivo infatti era stata collocata vicino alla scuola (le future vittime innocenti?) una bombola di gas vuota (il gasdotto?), con un po’ di morchie dentro che sono fisiologiche ed hanno provocato le ustioni ed un po’ di nerofumo sul muretto, il cui significato era chiaro. Provateci a fare il South Stream… ci dovete solo provare».
Di Frenna, Cedolin, Frascetti. Nomi poco noti, direte voi. E invece tra quanti si sono lasciati prendere la mano (e la penna) ci sono anche esperti del settore. Come il barese Aldo Giannuli, ricercatore di Storia contemporanea all’Università degli studi di Milano, già consulente delle procure di Bari, Milano (strage di piazza Fontana), Pavia, Brescia (strage di piazza della Loggia), Roma e Palermo. Nonché, dal 1994 al 2001, collaboratore della Commissione Stragi. Ecco la sua idea sui fatti di Brindisi: «Potrebbe esserci una pista diversa, di natura affaristica. Destabilizzare l’Italia potrebbe convenire per manovre speculative sui titoli italiani o sull’Euro, ma potrebbe esserci anche una ragione più specifica. Ad esempio, ragionando sull’attentato ad Adinolfi (il dirigente dell’Ansaldo) ipotizzavo che questo potrebbe anche essere messo in relazione con una pressione dei confronti del governo italiano per vendere subito ed a buon mercato il gruppo Finmeccanica, di cui, insieme all’Eni ed alle Ffss, si era ipotizzata la cessione per far fronte al debito pubblico. Della cosa poi non si è più parlato ed il progetto langue. Ora questi attentati indeboliscono la posizione dell’Italia che sembra avviata su un declino di tipo greco o sudamericano». Manca però qualsiasi elemento o riscontro. E infatti Giannuli avverte: «Non abbiamo alcun elemento concreto per sostenere che la pista affaristica collega i vari attentati, ma non c’è dubbio che, oggettivamente, essi vadano in questo senso, favorendo una svendita degli asset nazionali. Perché non proviamo a ragionarci su? È solo un’ipotesi, d’accordo, ma almeno un po’ più razionale di quella dell’improbabile pista mafiosa».
Antonio De Martini, sul blog “Ilcorrieredellacollera”, si spinge ancora più avanti, ipotizzando il complotto internazionale: «…Resta il movente dell’impedire a Monti di tornare vittorioso dagli USA coi capitali e qui ci restano due strade: il mandante è chi vuole sostituirlo oppure chi vuole che continuiamo a indebitarci pagando lauti interessi. Se il mandante fosse chi vuole sostituire Monti, farebbe parte della sua maggioranza, ma escluderei Berlusconi perché per far cadere il Premier, gli basterebbe farlo impallinare in Parlamento dopo aver portato a casa gli aiuti. Sarebbe più nel suo stile. Resta solo la seconda ipotesi, cioè che il mandante sia seduto al tavolo del G8 assieme a Monti e che in questo momento gli sta dicendo che è difficile inviare capitali in Italia perché sono stati “deployed” 20.000 uomini ed è corso del sangue sia a Genova che al Sud e i media hanno propagato le news». De Martini ha un dubbio, ma anche la risposta: «L’obiezione principale a questa personalissima ipotesi, sarebbe considerare irrealistica una alleanza armonica tra alta finanza e malavita. Il malloppo degli interessi pagati dall’Italia è di oltre 130 miliardi annui».
Insomma, secondo questi signori l’assassino di Melissa Bassi potrebbe essere seduto al tavolo del G8, o comunque avere accesso alle stanze dei bottoni, o magari a Wall Street.
Perfino il senatore leccese Giovanni Pellegrino non esclude piste degne di un film. Al Quotidiano Nazionale ha infatti dichiarato: «Mi viene da pensare a intelligence nemiche, che mascherano una sottile strategia offensiva con il carattere artigianale e dilettantesco dell’ordigno, per aumentare il terrore». L’ex presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi ricollega quello del Morvillo-Falcone a due attentati analoghi andati a vuoto: «Uno a Castelvolturno, e l’altro nel Torinese. Se fossero collegati, ci indicano una strategia precisa. Una bomba piazzata per uccidere dei ragazzi, degli studenti, come a Tolosa, come in Norvegia, è un segnale fortissimo e terrorizzante, di qualcuno che vuole comunicarci questo: siete finiti, non avete futuro».
Riguardo alle cazzate dette sul delitto di Melissa Bassi cito il pensiero di Filippo Facci di “Libero Quotidiano”. Vent’anni dopo si passa da Capaci a Brindisi, da Totò Riina a un probabile e terribile caso umano, dalla mafia militare – che è stata sconfitta – all’antimafia che ogni volta cerca di riesumarla. Non è il senno di poi, questo: comunque sia andata, bastavano trenta secondi per concludere che a Brindisi nessuna mafia o terrorismo avrebbe usato una bomba così sfigata, fatta con bombole del gas di uso comune e con un detonatore da vendita per corrispondenza, azionato da un professionista così abile da farsi riprendere da una telecamera; concludere che non c’era una sola ragione logica o territoriale perché la criminalità organizzata o chiunque altro dovesse passare dal tritolo serie T4 del 1993 (piazzato in punti culturalmente simbolici a Milano e Roma e Firenze) a un ordigno rudimentale piazzato proprio a Brindisi e proprio davanti a un istituto turistico; concludere, tra l’altro, che nessun precedente riporta a killeraggi del genere contro la popolazione e addirittura contro ragazzine di 16 anni. Tutto questo qualche addetto ai lavori l’ha anche detto subito, con tutte le accortezze del caso: ma non è bastato a fermare le solite germinazioni dietrologiche su un terreno che qualcuno, in Italia, si preoccupa sempre di irrigare a dovere. Scriviamo questo senza neppure sapere con precisione, a Brindisi, chi sia stato il colpevole: su chi non è stato, tuttavia, sono abbastanza certo, e lo dico, mi espongo. Ecco perché mi paiono così penose le parate di chi, anche tra gli inquirenti, «non esclude» questo e quest’altro. Il procuratore capo di Brindisi è arrivato a considerare seriamente, senza elementi, che l’attentato sia ricaduto su quella scuola perché intitolata neppure a Falcone, ma a sua moglie Francesca Morvillo. Di elementi in realtà ce n’era uno solo – il video del presunto attentatore – e sono riusciti a farlo uscire sui giornali praticamente in tempo reale, probabilmente danneggiando le indagini, sicuramente indisponendo la Dda di Lecce e non solo quella: ma non scriveremo di «guerra tra procure», sennò i procuratori si dispiacciono. A Brindisi ipotizzano l’attentato mafioso, a Lecce lo escludono: ci faranno sapere. Di Beppe Grillo non c’è da dire una parola: lui la bomba la «sentiva nell’aria» (poteva avvertire) ma ti spiegano che sparare cazzate fa parte della sua dimensione neopolitica. Peraltro sabato 9 giugno, alla manifestazione al Pantheon, si sentivano nell’aria anche i colpevoli, i soliti servizi-mafia-Stato che vorrebbero fermare il «nuovo»: a Palermo sarebbe Leoluca Orlando, uno che era già sindaco del 1985 e che mascariò Falcone come già raccontato. Nicola Zingaretti, il presidente della Provincia, ovviamente ha chiesto di colpire «i mandanti». Persino Gianni Alemanno ha parlato di attacco mafioso «che ha scelto il ventennale della morte di Falcone per lanciare un segnale». E poi la Cgil, Libera, l’Arci: chi fosse il colpevole pareva quasi secondario, il cui prodest eleggiava su tutto. Di Pietro si è scagliato contro «qualcuno che vuole il caos e che in questa situazione politica ed economica vede la possibilità di scatenarlo di nuovo». Maurizio Landini (Fiom) ha detto che «poteri occulti hanno tentato una strage per mettere paura proprio mentre sono in atto cambiamenti nel Paese». Poi il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia – poteva mancare? – ha parlato di analogie con le stragi di mafia del ’92-’93, chissà, magari c’è sotto una trattativa. Del resto Giancarlo Caselli, nume tutelare di Ingroia, aveva già parlato di «rischio di poteri occulti o deviati». Sono ancora lì che straparlano di mafia, questi. In Italia si ammette che è stato storicamente sconfitto il terrorismo, ma quello che non vi diranno mai – mai – è che anche la battaglia contro la mafia è stata sostanzialmente vinta. La struttura gerarchico-militare è stata decapitata, i capi-latitanti sono in galera, i sottoposti pure, non si contano killer ed estorsori e picciotti e prestanome e palazzinari pure incarcerati, i sequestri di armi e droga e ingenti patrimoni ormai non si contano, le bombe e le stragi e gli omicidi seriali non ci sono più, la presa sul territorio è scomparsa o allentatissima, i traffici internazionali sono interrotti o in mano alla ‘ndrangheta. Ovviamente persistono i piccoli clan nonché una criminalità organizzata più generica, dedita al riciclaggio, alla finanza, agli appalti «legali» soprattutto nella sanità: ma non è più un’emergenza territoriale e un terrore quotidiano. Va combattuta – come si fa in tutto il mondo – ma avrete notato come mafiologi e ciarpame antimafia, oggi, si concentrino soltanto sul passato, sulla paleontologia giudiziaria, sulla rielaborazione infinita e cervellotica di fatti ventennali, sull’eterno ritorno. Giovanni Falcone disse che la mafia è una cosa umana e che perciò avrebbe avuto una fine come tutte le cose umane. Ma parlava della mafia, non dell’antimafia: non delle cialtronate dietrologiche, delle fiaccolate e dei cortei luttuosi, dei video e degli appelli, dei clan dei familiari e degli avvoltoi, della retorica e dei picciotti della memoria. È il terzo giorno di fila che cito Luca Telese: domani vado a farmi vedere. Però, ecco: Telese nei giorni scorsi ha lasciato Il Fatto Quotidiano perché oltretutto c’erano personaggi come Beppe Grillo e Antonio Ingroia e Giancarlo Caselli che erano diventati degli intoccabili, ha detto. L’avrà fatto anche per altre ragioni, ma ha detto così. Ciò premesso, sappiamo che subito dopo la bomba di Brindisi furono dette le peggio cazzate, e infatti su Libero ci siamo divertiti a metterle alla berlina come avevamo già fatto subito dopo l’attentato. Non siamo stati i soli: per esempio, anche Il Fatto Quotidiano si è divertito a mettere alla berlina le cazzate eccetera. E - domanda - indovinate chi si sono dimenticati di citare? Proprio Grillo e Ingroia e Caselli, cioè quelli che avevano paventato gli scenari più foschi e inquietanti. E indovinate chi invece hanno citato? Proprio quelli che stanno sulle palle a Grillo e Ingroia e Caselli, oltreché a loro. Cioè: Grillo aveva detto, con evocazioni genere strage di Stato, che lui la bomba la «sentiva nell’aria» e l’aveva citata altre volte durante la campagna per le amministrative, roba tipo «bomba o non bomba arriveremo a Roma»; Ingroia aveva parlato di analogie con le stragi del ’92-’93 e aveva spiegato che «la mafia non riesce a fare a meno di rapporti con la politica e per mettersi sul mercato dimostra di essere ancora forte». Caselli, nume tutelare di Ingroia, aveva parlato di «rischio di poteri occulti o deviati» e via così, non la facciamo lunga. Ecco: sul Fatto, non una parola su di loro. E non una parola, a guardar bene, neppure su Antonio Di Pietro («qualcuno vuole il caos e in questa situazione politica vede la possibilità di scatenarlo di nuovo») e su Maurizio Landini della Fiom («poteri occulti hanno tentato una strage mentre sono in atto cambiamenti nel Paese») e altri ancora. E noi li comprendiamo, quelli del Fatto Quotidiano: siamo uomini di mondo e di strapaese. Al giornale di Padellaro lavora il figlio di Giancarlo Caselli (Stefano) e l’addetto stampa e compagno di vacanze di Ingroia (Travaglio) e l’ex addetto stampa di Di Pietro (sempre Travaglio) e il biografo personale di Beppe Grillo (Andrea Scazzi) e già che ci siamo: ci lavora pure il figlio del magistrato ed ex sindaco di Genova Adriano Sansa (Ferruccio) e ci scrive l’ex magistrato Bruni Tinti: i quali, tutti insieme, magari costituiscono la divisione contro i conflitti d’interesse. Però, ecco: piuttosto che coprirsi di ridicolo allora rinuncino all’articolo, non citino - come hanno fatto - solo il capo della Polizia, Antonio Manganelli, e poi naturalmente il procuratore antimafia Piero Grasso (che a Ingroia e Caselli fa venire l’orticaria) e poi Massimo D’Alema e Alfredo Mantovano e ancora un paio di ministri: tutta gente che peraltro non aveva detto granché, a ben vedere. Ripetiamo, siamo uomini di mondo e non c’è certo da prendersela con l’autrice dell’articolo omissivo, Silvia D’Onghia: nessuno, qui, sosterrà che sia andata incontro a censura. Infatti si chiama autocensura. Ci dev’essere un bel clima, da quelle parti.
A questo punto come non dare ragione, solo per una volta, però, a Carlo Bollino, il direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, con il suo editoriale dell’11 giugno 2012. Una volta perché il direttore spesso smentisce se stesso e le sue condivisibili opinioni. Anche con Sarah aprì con un bel editoriale di critica, per poi finire egli stesso nel calderone della demagogia e della disinformazione. Sarà la medesima risonanza mediatica che le due tragedie suscitano, o saranno forse alcune singolari coincidenze (davvero tali e almeno su questo non ci sono dubbi) che le accomunano, ma l’inchiesta sul mostro di Brindisi evoca ogni giorno che passa nuove, sinistre, assonanze con quella sull’uccisione di Sarah Scazzi. E non soltanto perché Sarah e Melissa avevano la stessa età, ed entrambe sono morte a loro insaputa mentre celebravano un innocuo rito della propria adolescenza (l’una stava per andare al mare, l‘altra a scuola). E neppure perché i protagonisti si assomigliano, anche fisicamente; persone qualunque della provincia contadina (Copertino dista da Avetrana meno di 30 chilometri), con una vita e un volto apparentemente inconciliabili con l’orrore che vien loro attribuito. No, la vera similitudine dai toni sinistri è che le due indagini continuano a disvelare punti interrogativi identici, e gli identici buchi neri. Con il rischio per entrambe che al di là delle energie spese dagli investigatori l’esito processuale, si trasformi poi nella disfatta della giustizia.
IL MOVENTE. Il primo buco-nero che ritorna nelle due inchieste è la difficoltà ad identificarne il movente. Se ancora oggi, a distanza di quasi due anni, non si ha nessuna certezza sul perché Sarah Scazzi sia stata strangolata, con l’attentato di Brindisi la prospettiva investigativa rischia di essere identica. Vendetta personale? E contro chi? Gesto di follia? Ma è davvero folle Giovanni Vantaggiato? La mancanza di un movente certo rischia di rendere fragile l’intera impalcatura accusatoria, come l’andamento del processo su Avetrana sta puntualmente dimostrando.
I COMPLICI. Il secondo buco-nero riguarda l’esistenza o meno di complici. Proprio come fece Michele Misseri quando (forse tradendosi) disse «abbiamo parcheggiato l’auto» riferendosi alla Marbella con dentro il cadavere della piccola Sarah, così Giovanni Vantaggiato (subito correggendosi) ha detto agli inquirenti «abbiamo messo la bomba». Perché «abbiamo» se hanno agito da soli? Nello sforzo di ricostruire la “squadra” che ha assassinato Sarah e ne ha poi nascosto il cadavere, in due anni sono corsi fiumi di inchiostro e cascate di parole, con la procura di Taranto impegnata nel lancio di una rete via via sempre più ampia che ha finito col coinvolgere un gran numero di indiziati nessuno dei quali, però, è stato mai inchiodato alla certezza di una prova. E così ancora oggi nessuno sa dire non soltanto se Sarah sia stata uccisa davvero dalla sola Sabrina, ma neppure chi partecipò con zio Michele all’orrido espediente di buttarne il cadavere in fondo al pozzo. Anche nell’inchiesta di Brindisi si parla di «complici», un’ipotesi riportata persino nel decreto di fermo per Giovanni Vantaggiato emesso tre giorni fa dalla procura di Lecce, esattamente come accadde al momento dell’arresto di zio Michele due anni fa. Annotazioni, questa come quella, destinate a rimanere indelebili. Con un dettaglio che aggiunge al caso di Brindisi ulteriore mistero: il riferimento, esplicito ed inquietante, ad un possibile mandante.
LE MOGLI. Poi le mogli. Per oltre un anno quella di Michele Misseri è rimasta ufficialmente fuori dall’inchiesta, anche se sin dal primo giorno fu indicata come la «complice sottointesa». Un ruolo che rischia di assomigliare a quello di un altro convitato di pietra dell’inchiesta di Brindisi: la moglie di Giovanni Vantaggiato. Pare che l’uomo sia crollato addossandosi ogni colpa al solo sentire evocare dal magistrato che lo interrogava la prospettiva di coinvolgere nelle indagini la sua donna, la cui autovettura Fiat Punto di colore bianco era stata effettivamente filmata sul luogo del delitto. Un tabù identico a quello tradito sin dall’inizio da Michele Misseri, che nell’atavica logica contadina del preservare “i beni” ha sempre escluso qualunque responsabilità della moglie, alla quale aveva demandato la gestione e la titolarità del patrimonio di famiglia. Destino che accomuna (almeno in questo) Cosima alla moglie di Vantaggiato, pure lei titolare legale dell’impresa del marito. Nessuna allusione a responsabilità penali, ma sono in tanti a chiedersi come sia stato possibile che almeno la moglie non abbia riconosciuto il marito in quel video dell’attentatore trasmesso in televisione cento volte. E perché abbia taciuto. E come abbia potuto il marito chiamarla al telefono, nelle concitate fasi del fermo, chiedendo proprio a lei di far sparire l’auto usata per l’attentato, evidentemente inconsapevole di essere intercettato.
LE PROVE. Infine le prove. L’entusiasmo tradito dagli investigatori nelle ore successive alla confessione di Giovanni Vantaggiato, evoca lo stesso ottimismo dimostrato a Taranto all’indomani della confessione di Michele Misseri. Poi sappiamo come andò a finire: Misseri ritrattò tutto, e gli investigatori hanno iniziato un’estenuante rincorsa sui dettagli (fatica in parte non ancora conclusa) nel complicato tentativo di trasformare la pur cospicua quantità di indizi a disposizione, nella dimensione inconfutabile di una prova. Ecco, per restare all’analogia tra le due inchieste: cosa accadrebbe se domani anche Giovanni Vantaggiato dovesse ritrattare? Sono già emerse nelle indagini sulla strage di Brindisi prove scientifiche che inchiodano l’assassino al di là delle sue stesse ammissioni, e che invece sono sempre mancate nell’inchiesta sull’omicidio di Avetrana? Per quanto se ne sa, non ancora. Non è prova ad esempio la presenza della macchina di Vantaggiato sul luogo della strage, perché non c’è prova che ne fosse lui alla guida. Per la stessa ragione non è prova la presenza del suo telefonino nella memoria delle celle compatibili con il luogo della strage, perché non c’è prova che si trovasse davvero lì per azionare il detonatore (e poi quanto era davvero vicino alla scuola visto che le celle telefoniche coprono un raggio di oltre due chilometri?). Né può essere considerata prova quel video (almeno non una prova schiacciante) che ha immortalato l’attentatore nel gesto di azionare l’ordigno, ma che lo raffigura in modo così poco nitido al punto da non renderlo riconoscibile con certezza neppure mettendoci affianco la foto dell’arrestato. Né aiuta il fatto che manchi ancora l’arma del delitto: il telecomando con cui è stato attivato l’ordigno sembra dissoltosi nel nulla proprio come la cintura che strangolò Sarah. Questo non per dire che Giovanni Vantaggiato sia innocente. Ma solo per ricordare agli inquirenti, e a tutti noi, che la «pistola fumante» mai trovata ad Avetrana probabilmente manca pure nell’inchiesta di Brindisi, e che è assolutamente necessario che le indagini vadano avanti con la stessa determinazione dimostrata finora, e che non si trascuri nessun elemento, né si risparmi su alcuno degli strumenti investigativi a disposizione pur di ottenere la prova regina. Sollecitazione tanto più opportuna nella prospettiva (purtroppo già all’orizzonte) di una battaglia procedurale tra procure per decidere quale ha la competenza ad indagare. Ormai ossessionati dalla «sindrome di zio Michele» non vorremmo fra qualche anno ritrovare in libertà Giovanni Vantaggiato intento a urlare, anche lui inascoltato, la sua colpevolezza di fronte ad un altro “mostro” che in cella si dispera invece nel proclamare la propria innocenza. Con tutti noi, esattamente come oggi, intenti ancora a macerare ipotesi per scoprire le autentiche, ignote e a quel punto definitivamente incomprensibili, ragioni della strage.
Passare da via Vespucci per una sbirciatina alla casa di Giovanni Vantaggiato sta diventando quasi un’ossessione per decine di automobilisti che fino a ieri non sapevano nemmeno che quella strada e quella casa esistessero. Non un pellegrinaggio dell’orrore, beninteso, e nessun paragone con il circo indemoniato di Avetrana. «Ma solo curiosità - dicono due ragazze a bordo di una utilitaria di ritorno dal mare - giusto per conoscere qualcosa in più di quello che ha gettato tanto fango sulla nostra Copertino». Intanto continuano ad essere presidiati l’abitazione e il deposito di carburanti lungo la provinciale per Leverano, rispettivamente da carabinieri e polizia. Tra l’altro, in quest’ultima struttura sottoposta a sequestro penale, le cisterne sono piene di gasolio essendo state rifornite appena due giorni prima del fermo di Vantaggiato. Nessun rapporto con l’esterno, invece, hanno deciso di avere gli inquilini dell’abitazione piantonata dai carabinieri al solo scopo di tutelarli. La moglie e le figlie dell’uomo, infatti, sono asserragliate in casa sin dalla mattina del 6 giugno scorso. Solo nella tarda mattinata di sabato, al termine di alcune perquisizioni condotte dalla polizia scientifica nell’abitazione in seguito all’intercettazione di un «pizzino» di Vantaggiato diretto alla moglie e nel quale si dava indicazione di far sparire certi documenti compromettenti, la moglie ha fatto capolino all’esterno, ma solo per chiudere il cancello della villa alle spalle degli investigatori e avendo cura di nascondere il volto ai cronisti. Poi nulla più. Nel perimetro esterno della casa incombe solo il silenzio: tra la vegetazione poco curata e pochi oggetti dall’apparente abbandono. Tra un gommone coperto da un telo e qualche giocattolo, spicca una bandierina tricolore, segno evidente dei valori patriottici appena celebrati dai nipotini di Vantaggiato in occasione del 2 giugno. Nessun parente, a quanto pare, avrebbe fatto visita alla famiglia. Nessuno in questi giorni è stato visto entrare con dei viveri. Chissà, forse di notte, è molto probabile. A girare la domanda ai vicini di casa ci si sente rispondere in maniera evasiva. Tutti si trincerano dietro il fatto che i Vantaggiato sono gente schiva e riservata. Insomma, nessuno sembra essere disposto a parlarne. Alla notizia del ritrovamento dell’arsenale nella campagne in località «Ensite», c’è chi rimane incredulo. «Non è possibile – dicono in tanti – che questo individuo che andava in giro con rotoloni da cento euro e che prima della metanizzazione consegnava gasolio da riscaldamento in quasi tutte le case del paese, fosse a contatto con l’inferno. Il fango che ci ha gettato addosso è talmente tanto che ci vorranno anni per rimuoverlo». Ad altri, invece, quell’ordigno nella campagne di Copertino ha riportato alla mente una vecchia storia secondo la quale, durante le feste di Natale l’uomo, invitato più volte da un commerciante ad acquistare i tradizionali petardi di capodanno, una volta rispose: «Tu li vendi, ma io li faccio». Sintomatica risposta della confidenza che Vantaggiato aveva con la polvere pirica. È possibile, infatti, che per mettere a segno le sue volontà stragiste possa essersela procurata mediante l’acquisto di centinaia (se non migliaia) di botti e mortaretti che molto facilmente si vendono tra Natale e Capodanno sulle bancarelle di ogni paese. Un’esistenza inquietante, insomma, quella di Vantaggiato che nessuno copertinese si sarebbe mai immaginato.
"La città di Copertino, sgomenta di fronte alle notizie del fermo del presunto autore della efferata strage del 19 maggio scorso, rinnova l'abbraccio e la solidarietà alla famiglia di Melissa Bassi e alle altre studentesse di Mesagne colpite ignobilmente dal vile attentato". Con questa nota il sindaco del paese pugliese, Giuseppe Rosafio, esprime ancora una volta il dolore che ha sconvolto la vita della sua comunità. "Non solo la comunità brindisina - aggiunge - ma tutti i cittadini italiani che hanno a cuore il futuro delle giovani generazioni e la speranza di veder crescere i nostri giovani in un clima di fiducia e di rispetto reciproco condannano con forza ogni gesto di violenza. Non posso che esprimere, a nome dell'intera cittadinanza, la più ferma e risoluta condanna e dissociazione da un gesto sconsiderato che ha portato dolore e lutto in tante case dei nostri conterranei". "I cittadini di Copertino - ribadisce Rosafio - sono ben lontani dalla logica assurda che ha portato il presunto autore dell'attentato a compiere un gesto esecrabile, che non può avere alcuna giustificazione. E' questa la condanna, che continueremo ad esprimere a maggior ragione, che Copertino assurge suo malgrado agli onori della cronaca". "Una condanna - sottolinea - che già avevamo programmato di esprimere anche il prossimo 17 giugno in occasione della visita del cardinale Giovambattista Re, vescovo di Lauria, presso il Santuario di San Giuseppe da Copertino, con una celebrazione di una messa nel ricordo di Melissa e del grande dolore della sua famiglia".
Il dolore, a Mesagne, si è trasformato in rabbia. Una rabbia infinita contro 'quel bastardo'. Una rabbia che ha dilagato anche in rete: già dal primo pomeriggio sono stati aperti gruppi su facebook, che invocano per Vantaggiato la pena di morte o almeno, l'ergastolo. Immediata anche la 'reazione' di twitter, con un hashtag per il reo confesso, anche se la rabbia è ancora cauta per il timore degli internauti di possibili smentite. Oltretutto, sono molti i posti in cui Vantaggiato viene paragonato a Michele Misseri, tragica figura della terribile vicenda dell'omicidio di Sarah Scazzi, ad Avetrana (Taranto). A volte, però, il semplice gusto di farsi notare non conosce limiti e rischia di cadere davvero in basso, forse troppo. A pochi giorni dalla terribile confessione di Giovanni Vantaggiato, 68enne di Copertino, il quale avrebbe dichiarato di essere l’artefice dell’attentato a Brindisi, ecco qui che su Facebook spunta un gruppo in suo onore. “Giovanni Vantaggiato eroe contemporaneo”. Un’offesa, una vergogna, uno schiaffo a Melissa Bassi. Questo gruppo e specialmente i post all’interno non fanno altro che elogiare un uomo che ha solo seminato panico e terrore. Peggio, c’è persino qualcuno che lo reputa eroe nel gruppo Facebook e posta immagini che oltraggiano la memoria di Melissa Bassi. Ci sono atroci foto, ovviamente false, in cui si tende a far riferimento ai corpi carbonizzati di Melissa e Veronica Capodieci. O peggio vi è persino un link in cui si accenna a un atto sessuale tra Vantaggiato e il povero angelo volato via. Per non parlare dello squallido post: “Giovanni Vantaggiato era solo innamorato di Melissa, ma dopo la prima volta lei era a far la p….,altrove e Giovanni è rimasto a bocca asciutta, lui giustamente ha fatto benissimo a farla saltare in aria, in questo modo ora stanno di nuovo insieme.. Ecco uno scatto dei primi paparazzi dopo l’esplosione alla scuola, lui vivo lei morta, in teneri gesti d’amore…”. Ma si può essere crudeli fino a questo punto? A quale fine? E’ davvero una vergogna. A tal proposito TrNews.it con un suo servizio al TG invita tutti a segnalare il gruppo, tramite le forme previste da Facebook: “aprite la pagina (all’indirizzo http://www.facebook.com/groups/414731801904580/), cliccate sulla rotellina in alto a destra del vostro schermo, poi cliccate ‘segnala’ e motivate con l’uso di espressioni che incitano alla violenza e all’odio.” Intanto, gli anziani che si riparano dal caldo sole di giugno sulle panchine della villa comunale non provano pietà per quell'uomo di 68 anni, reo confesso. 'Che c'entra Melissa?' ripete uno, 'che c'entra una ragazzina di 16 anni?'. E in un attimo si passa alla voglia di vendetta. 'E' meglio per lui che l'abbia fermato la polizia perché gli sarebbe andata peggio se l'avessimo avuto noi fra le nostre mani': questa frase è più volte usata dalle persone di una città che non vuole dimenticare. Proprio per questo l'edicolante di via Generale Falcone - che oggi ha raddoppiato le vendite - sulla porta d'ingresso ha ancora esposto il volantino con la scritta 'Mesagne piange Melissa'. E davanti al Comune c'è sempre il manifesto di lutto cittadino. Dentro la sede municipale il telefono del sindaco, Franco Scoditti, squilla continuamente: 'La nostra città è vittima, non carnefice come qualcuno aveva voluto far passare subito dopo l'attentato riconducendolo a collegamenti con la criminalità organizzata di Mesagne. E' vero - ammette - che qui ci sono dei problemi, ma al tempo stesso ci sono gli anticorpi. L'arresto di Vantaggiato dà sollievo alla nostra comunità - ribadisce Scoditti - ma è solo un conforto parziale perché nulla potrà cancellare il dolore della famiglia di Melissa e delle altre ragazze ferite nell'attentato'. Il sindaco chiude la porta del suo ufficio, torna a rispondere al telefono, ma nella piazza di Mesagne la gente continua ancora a chiedersi se il 'mostro' è veramente Vantaggiato, solo lui, o se dietro di lui ci sia qualche mostro ancora più terribile. Verrebbe da dire: la Stampa.
E proprio per questo su www.telewebitalia.eu , il portale delle tv web locali, sulla web tv di Avetrana, oltre a riportare le risorse culturali e storiche e tutto quanto riguarda il caso di Sarah Scazzi, rendicontato da Antonio Giangrande, un avetranese, si sono inseriti i personaggi che hanno dato lustro alla cittadina. Partendo dall’assunto: Avetrana, non solo Scazzi e Misseri; si sono inseriti i nomi noti in Italia e nel mondo. Si fa cenno al dr Antonio Giangrande, scrittore, i cui saggi ed inchieste sono lette in tutto il mondo, oltre che essere presidente dell’ “Associazione Contro Tutte le Mafie” e di “Tele Web Italia”. C’è l’avv. Mirko Giangrande, l’avvocato più giovane d’Italia, a venticinque anni e due lauree. C’è il dr Biagio Saracino, Cavaliere della Repubblica. C’è il prof. Antonio Iazzi dell’Università del Salento. C’è Leonardo Laserra Ingrosso, Tenente Colonnello, Maestro della banda musicale della Giardi di Finanza. C’è Leonardo Giangrande vice presidente della Camera di Commercio di Taranto e presidente della Confcommercio di Taranto. Infine c’è Vito Mancini, concorrente del Grande Fratello 12. Per qualcuno non è un vanto, ma tant’è. Comunque molti di loro, nonostante l’immeritata notorietà concessa sul portale visto in tutto il mondo, nessuna riconoscenza è stata dimostrata. Come, d'altronde la Stampa, nessun interesse ha concesso a tale evidenze. Per i media Avetrana è e sarà sempre impersonata da Michele Misseri, come Copertino sarà identificata da Giovanni Vantaggiato.
Ma a Brindisi ad essere vittima non è solo Melissa Bassi. «Ora voglio stare lontano da tutto». Angelo Rampino, il preside dell’istituto Morvillo-Falcone, è scosso. Al telefono con l’ANSA sottolinea la propria estraneità a ogni forma di coinvolgimento nell’attentato di Brindisi. Non si ritiene il bersaglio del killer e specifica di sentirsi «distrutto» e «annientato» dopo che i riflettori sono stati puntati su di lui quale possibile bersaglio dell’esplosione. Dopo l’arrivo in Questura di Giovanni Vantaggiato, infatti, e la diffusione della sua identità, si erano diffuse voci su presunte vecchie ruggini tra l’imprenditore reo confesso dell’attentato e il dirigente scolastico che nella sua carriera ha anche prestato servizio, come docente, a Galatina, paese vicino a Copertino dove vive il proprietario del deposito di carburante agricolo fermato. Allontana ogni sospetto, Rampino, e spiega di non essere in buone condizioni di salute. È intenzionato a restare in disparte, ancora per un pò. Nella speranza di ristabilirsi per poi ritornare al proprio lavoro. Il rientro a Brindisi, dietro la scrivania della presidenza della scuola di via Galanti, è previsto per lunedì 11 giugno. Ma non è ancora deciso nulla. Rampino è in ferie e precisa di averle richieste e di non aver subito alcun tipo di provvedimento da parte della Direzione scolastica provinciale. Si erano diffuse voci su “vacanze forzate” che però il preside smentisce. Al timone della scuola ci sono due vicepresidi che non hanno voluto rilasciare alcuna dichiarazione. L'attività didattica prosegue senza battute d’arresto, è ripresa nei giorni immediatamente successivi al drammatico 19 maggio, il giorno in cui è morta Melissa Bassi e sono rimaste ferite altre cinque studentesse, tutte ragazze mesagnesi che stavano varcando il cancello della scuola. Rampino è a casa sua e parla con un fil di voce. Chiede di essere lasciato in pace, annuncia di volersi allontanare dal caos mediatico che è destinato forse a durare ancora e che lo ha riguardato in prima persona quando è stata valutata l'ipotesi che fosse lui l’obiettivo degli ordigni rudimentali di qualcuno che avrebbe agito per mettere in atto una vendetta privata. Questa ipotesi, comunque, non è stata ancora del tutto esclusa anche se è tenuta in minore considerazione dagli investigatori che proseguono con l’attività tecnica per l'accertamento del movente. Il preside, che era stato accusato da qualcuno di essere stato oltremodo disponibile con la stampa, dopo la tragedia, ribadisce con forza di essere estraneo alla vicenda: non ne è la vittima prescelta, non ha nulla a che vedere con il titolare dell’impianto di distribuzione di carburante di Copertino, dice. Resta a casa, al momento, tempestato di telefonate cui risponde con garbo. «Adesso, però – conclude – voglio stare da solo». Anche la giornata del preside Angelo Rampino è stata segnata da un ritorno. Era dal 29 maggio che non rimetteva piede nella sua scuola. «Ma rimango in ferie, sono solo passato velocemente per avere notizie». Sono le vacanze più amare, le sue, quelle di una persona non grata. Gli inquirenti, forse anche il ministero dell'Istruzione, avevano caldeggiato da parte sua una classica pausa di riflessione. Parlava troppo, e intanto emergevano vecchie storie non proprio commendevoli sul suo conto. «Mi avete massacrato, tutti, e non avete intenzione di smettere». Infatti la stampa ha dato la notizia, comunque non attinente ai fatti di Melissa, che Rampino nel 2003 ha patteggiato una condanna per abusi sessuali ai danni di una trentenne sua vicina di casa. Molto fiele nella sua voce. Da qualche accenno emerge anche la consapevolezza che quello alla scuola non è un arrivederci, ma un addio. «Eppure io sono certo di non avere nulla a che fare con questo benzinaio. Continuo a pensare alla mia vita, e non ci trovo niente. Non ho nemici, non ho mai ricevuto minacce». Eppure nei suoi confronti l'aria è cambiata fin da subito. Da coraggioso docente di una scuola colpita in modo terribile e persona certo non sospettata, ma che in qualche modo doveva c'entrare con quel che era accaduto. «Non so come sia potuto succedere. Ma anche se ci fosse qualcuno che mi vuole male, perché colpirmi a scuola? Sono un uomo noioso e abitudinario, con una certa tendenza alla puntualità. Sono certo di non essere il bersaglio di una ritorsione. Ma allora, perché? Perché un benzinaio dovrebbe fare un gesto del genere?». È la cosa più importante, l'unica che ancora manca, a quanto pare. Intanto l’11 giugno 2012: Il preside? “Non si è visto: doveva rientrare oggi dalle ferie”. Angelo Rampino, dirigente del professionale “Morvillo-Falcone”, non era nella sua stanza, quella con porta blindata, perché è stato sospeso in via cautelare. Il provvedimento. La decisione è stata assunta dall’Ufficio scolastico regionale sulla base di motivazioni che rimandano all’opportunità di non abbinare per un certo periodo di tempo il nome di Rampino all’istituto davanti al quale è stata consumata la strage che ha strappato alla vita una studentessa, Melissa Bassi, e ha ferito gravemente altre ragazze iscritte all’istituto. Non fosse altro che il preside aveva parlato un po’ troppo con i giornalisti che da ogni parte d’Italia si erano catapultati in via Galanti per cercare di avere qualche notizie. Il dirigente qualcosa, in effetti, aveva detto nelle ore successive all’attentato, come per esempio, che esistevano altre immagini oltre a quelle registrate dalle telecamere del chiosco di fronte alla scuola. E questo avrebbe violato il segreto necessario a garantire il buon esito delle indagini che, inizialmente, sembravano ruotare attorno allo stesso Rampino poiché si ipotizzava che fosse il bersaglio di qualcuno che potesse avercela con lui per qualche questione rimasta in sospeso. Scolastica o personale, si disse. Nel vortice delle indagini si scoprì che il suo ufficio non era quello di una volta: c’era stata la richiesta di montare una porta blindata nel mese di marzo. E ci si chiese per quale motivo e soprattutto se questa circostanza potesse avere o meno concreta attinenza con il movente dell’attentato. Sospeso per aver parlato troppo. Inaudito. E cosa dire delle veline giudiziarie che sventolano fuori dalle aule dei PM. Per i responsabili in toga od in divisa, però, non vale la sospensione o addirittura l’incriminazione per violazione del segreto istruttorio. No. Per loro no, senno che paese di merda saremmo, se non fosse che in Italia non vale la forza della legge, bensì la legge del più forte.
3 luglio. Diciannovesima udienza. Parla Valentina Misseri, Luigi Strada, Vanessa Cerra, Giovanni Cucci, Sergio Civino.
Un'altra udienza per il delitto di Sarah Scazzi, la 15enne di Avetrana, il cui corpo è stato trovato in un pozzo in contrada Mosca. In aula vengono proiettate le fotografie dell'autopsia. In un’aula avvolta dal caldo asfissiante di “Caronte”, l’anticiclone africano che ha fatto boccheggiare tutta l’Italia, la madre della vittima, Concetta Serrano, resta a guardarle, mentre viene confermata la modalità del decesso. Ci sono stati anche momenti di tensione al Palazzo di Giustizia di Taranto durante l'udienza del processo per l'omicidio di Sarah Scazzi. Gli avvocati difensori non si sono dati nemmeno la mano tra di loro prima dell'inizio dei lavori. Presente l'avvocato di Sabrina, Franco Coppi, che prima dell'udienza ha rifiutato di dare la mano al pubblico ministero Pietro Argentino che lo voleva salutare. Atteggiamento, questo, che solo i grandi avvocati possono permetterselo. Avvocati che a Taranto mancano, permettendo ai magistrati locali di far divenire il foro di Tanto: il Foro dell’ingiustizia. Dato di fatto che va al di là del processo Sarah Scazzi.
Ore 09.30: salta la testimonianza di Venessa Cerra e Giovanni Cucci.
Sorpresa alla ripresa, dopo una breve pausa, del processo davanti alla Corte di Assise di Taranto del processo per l'omicidio della 15enne Sarah Scazzi, uccisa ad Avetrana il 26 agosto del 2010. Dopo la deposizione durata 15 minuti di un ingegnere consulente della Procura, Sergio Civino, che si è occupato di recuperare messaggi e foto contenuti in alcuni cellulari tra i quali quelli di Sabrina Misseri e Ivano Russo, è saltata infatti la deposizione di due testimoni. In particolare, la commessa del fioraio, Vanessa Cerra, e il marito, Giovanni Cucci, pur presenti, non sono stati ascoltati e, per un accordo tra tutte le parti, sono state date per acquisite alcune sommarie informazioni testimoniali rese in precedenza (il 23 ottobre e il 27 ottobre del 2010) e per rogatoria (il 27 giugno del 2011 per quanto riguarda la prima e il 27 ottobre del 2010 per il secondo). I due testimoni, la prima particolarmente importante perché avrebbe saputo dal fioraio Giovanni Buccolieri della scena a cui quest'ultimo avrebbe assistito il pomeriggio che poi il suo titolare ha ritrattato parlando di un sogno, risiedono attualmente in Germania. Intanto ecco in esclusiva uno stralcio di un'intercettazione telefonica che riguarda Vanessa Cerra e Giovanni Buccolieri, il fioraio che prima ha raccontato di aver assistito al sequestro della ragazzina e poi ha invece ritrattato, sostenendo di aver sognato tutto. La trascrizione integrale su TGcom24
V. pronto?
G. Vanessa?
V. Ciao
G. Giovanni sono
V. Ciao
G. Ascolta, senti…mi è arrivato ora un messaggio sopra facebook di tua madre che mi ha sconcertato
V. Com’è?
G. Che mi dice, che mi dice “se non vuoi combinare altri guai dì la verità. Perché lo sappiamo, perché non è un sogno. Fallo per Sarah. Affinchè possa riposare e sapere la verità….fallo Giovanni”
V. Eh meh? Io che c’entro mò??
G. Eh! Io ti voglio dire come si come si permette a dire queste cose…queste cose qua.
V. Questo te lo devi vedere con mia madre, con mia mamma. Perché io con mia mamma non ci parlo.
G. Va bene….ma non sono cose che si dicono, Vanessa.
V. Non sono neanche cose che si dicono quelle che hai detto tu, che hai messo mia mamma in mezzo e che fanno il mio nome…che mi vogliono venire a prendere qua.
G. Che..che ho detto io
V. Che hanno detto che sono la tua amante… tutte queste cose che devo sapere io da lontano quando io il tuo nome, non l’ho mai fatto il tuo nome!!
G. Va bene ma tu…
V. Non ti ho mai messo nella merda io e sono stata sempre un’amica per te
G. Senti… io ancora ti ritengo un’amica Vanessa
V. Eh!
G. E se hanno scritto quelle cose non sono stato io
V. E lo so… a me dicono sempre che sei tu… così… allora io ho detto…
G. Lo sai…
V. Domani mi faccio viva… allontano anche mia mamma perché non voglio sentire neanche più mia mamma perché mi sono scocciata e perfino ai Carabinieri ho detto “non mi chiamate più e lasciatemi in pace perché io non so niente… se volete qualcosa lo dite a Giovanni perché Giovanni ha detto a me che è un sogno”, poi il resto non lo so quello che ha Giovanni nella testa
G. E basta… allora… se stanno dicendo tutto questo i giornali lo sai perché sono tutte menzogne loro… lo sai… io non mi permetterei…
V. Lo spero io che tu non senti niente di me perché io… sono stata leale e non ho fatto…
G. Vanessa anche io sono stato leale con te e ancora ti stimo per questo per quello che sei stata per me… voglio dire… però io… noi due…. E… quando abbiamo parlato, abbiamo parlato di sogno e basta… non abbiamo parlato di niente altro… lo sai
V. Eh!
G. Tu solamente la sai la storia
V. Eh! Ed è quello che ho detto… io non capisco perché vogliono venire qua
G. E vogliono venire per interrogarti… per far vedere, per sentirti anche a te quello che io ho raccontato a te quel giorno… e basta
V. Ma io l’ho raccontato a loro… è inutile che vengono qua e mi rompono di nuovo… mi stanno stressando la vita… avanti e indietro… mi fanno il biglietto… devo venire… devo stare qua… poi vengono qua…mi devo prendere il tempo libero dal lavoro… io sono venuta qua per stare tranquilla e in pace e mi stanno rovinando, lo stesso mi stanno rovinando
G. Eh! Tu non sai quanto mi stanno rovinando pure a me Vanessa
V. Eh!
G. Eh! Mò pure questo messaggio… io stavo bello tranquillo… pure questo messaggio mò
V. E io non lo so…(…)… posso andare una volta ogni mille anni, io che ho una mamma, ieri ho chiamato a mia sorella e con lei non ci ho parlato, perché lei sta sempre indaffarata
G. Va bene, ma io
V. Io con lei non parlo e quando parlo con lei dice sempre le solite cose… quindi…
G. Ma non sono cose che si dicono… io mò questo lo faccio vedere all’avvocato mio e poi lui mi consiglierà Vanessa… perché come si permette a dire
V. Fai quello… fai quello che ritieni giusto non… non devi sentire che è mia mamma… fai quello che ti senti
G. No, infatti io prima ho chiesto a te il…il…
V. No!! Io non, non so niente, io mò sto arrivando dal lavoro
G. Sempre per rispetto tuo Vanessa
V. Se è se è mio rispetto, se tu pensi che è giusto così…tu sai quello che hai raccontato quello che hai detto… pensi che mia mamma non ti è piaciuto quello che ti ha scritto… fai quello che pensi sia giusto
G. Okay
V. Ehhh non… non ti posso dire io… non… non… a mia mamma tanto ultimamente non la capisco quindi… non… non ti devi preoccupare se mia mamma, non è mia mamma
G. Allora Vanessa… le cose stanno così allora a me… mi hanno… il primo giorno mi hanno fatto
V. Io sono… io sono un’altra persona e non ho niente a che vedere io
G. Lo so
V. Eh!
G. A me il primo giorno mi hanno fatto l’interrogatorio… mi hanno fatto e mi hanno messo in dubbio… no?... mi hanno tartassato tanto per dire quello che loro volevano… cioè praticamente loro mi hanno fatto raccontare il sogno come se fosse una realtà…no?..mi hanno suggestionato di tutte queste cose qua… io nella notte ho pensato… ma che ho detto??... ma che mi hanno fatto dire questi??
V. E perché… perché tu ti sei fato fare così???
G. E’ stato il mio sbaglio… è stato il mio sbaglio… io…io lo dico sempre, lo dico… è stato il primo giorno che mi sono fatto suggestionare per far raccontare questo sogno come…se fosse una realtà… difatti io lo dico sempre… questo qua…
V. Eh!
G. E poi il secondo giorno l’ho ritrattato, come si sente…però è tutt’altro, quello che senti… l’amante non amante… sono tutte cose che fanno… hanno fatto i giornali
V. …(…)… se esce veramente questa cosa…(…)… non so nemmeno cosa mi avrebbe fatto a me… che ha pensato a questa cosa… lo sai tu???
G. Pensa che…che…
V. Io ti ho dato la fiducia… ti ho mandato là a lavorare e tu… ha detto e voi mi fate così ha detto???
G. Uh! Penso che c’era pure tuo marito in casa quel giorno no???
V. Eh! No che hanno detto che tu mi avevi accompagnato a casa
G. Eh!
V. Perché tu mi hai accompagnato a casa no, io stavo con te che avrei visto tutto… io stavo con Giovanni a casa
G. Va bene, sono tutte cose che poi svaniscono Vanessa perché ci vogliono le prove le… le cose che… infatti non stanno cogliendo niente… non sanno proprio…(…)…
V. Io lo spero… io so solo che se devo venire in Italia, io non ci posso venire io
G. Perché??
V. Perché io arrivo, mi prendono e mi interrogano
G. E ma tu devi dire le cose giuste Vanessa
V. Ma io le ho detto le cose giuste… loro non mi possono tartassare per farmi dire le cose che non devo dire
G. E ma quelli non ci stanno credendo… non ci stanno credendo…non…
V. eeehh!!
G. Non li tenere conto…
V. Quello è un problema loro
G. Stanno andando… stanno andando e si è un problema loro e stanno…(…)… anche a noi di…(…)… purtroppo
V. Eehhh
G. Va bene dai
V. Per il resto come state??
G. E stiamo bene Vanessa stiamo bene… purtroppo oggi è morta pure una mia zia
V. Condoglianze
G. Grazie Vanessa… e speriamo che finisca subito questa storia Vanessa
V. Eh! Speriamo
G. Va bene dai
V. Allora salutami i bimbi e la Giusy va bene??
G. Okay Vanessa
V. Ciao ciao
G. Grazie ciao Vanessa
V. Ciao
Verbale chiuso alle ora 16:30 del 15.06.2011
Ecco la trascrizione fedele dell’interrogatorio del fioraio sentito dai pubblici ministeri, Pietro Argentino e Mariano Buccoliero il 9 aprile del 2011. "Con riferimento al giorno 26 agosto 2010, che era giovedì, ricordo che intorno alle 13,00 ho proceduto alla chiusura del negozio. Sono quindi salito sopra la mia abitazione attraverso la scala interna che collega il negozio all'abitazione stessa. Come consuetudine sono andato prima in bagno, dove mi sono lavato le mani e dove verosimilmente ho effettuato miei bisogni fisiologici … ho dato da mangiare ai pesciolini che si trovano nell'acquario, prendendo il mangime per i pesci che custodisco in un cassetto del salone-cucina (ambiente unico). Mi sono quindi messo a tavola, che era già apparecchiata, ed ho atteso qualche minuto fino a che mia moglie ha servito la prima pietanza. Non ricordo con precisione cosa abbia mangiato come primo piatto, verosimilmente, come sempre avviene, pasta asciutta. Ricordo che a tavola vi era anche del vino che ho bevuto nella misura di un bicchiere. Ho poi mangiato anche un secondo piatto, certamente a base di carne. Non ricordo se ho concluso il pasto con della frutta. A domanda risponde: con chi ha pranzato? Ricordo che il pranzo si è svolto insieme alla mia famiglia, quindi con mia moglie e con i miei due figli minori. A domanda risponde: cosa ha fatto mentre pranzava? Durante il pasto ho visto il telegiornale. Ricordo che quando sono salito sopra ed uscito dal bagno ho acceso la TV, sintonizzandola su Canale 5 il telegiornale era già iniziato. Questo prima di iniziare a pranzare. A domanda risponde: cosa ha fatto dopo aver finito di pranzare? Dopo aver finito il pranzo ho salutato mia moglie ed i bambini e sono andato via. Sono quindi sceso dalla scala che direttamente mi porta all'esterno dell'abitazione; potevano essere circa le 13,20. Ricordo che verosimilmente quel pomeriggio dovevo effettuare una consegna ad un cliente, quindi mentre scendevo da casa, ho preso dei fiori o delle piante che dovevo consegnare e che avevo momentaneamente posato sulle scale. Ovviamente la consegna la dovevo fare prima di recarmi a Leverano. Sono entrato quindi nel mio furgone ed ho percorso diverse vie di Avetrana sino a raggiungere il luogo dove effettuare la consegna commissionatami. Ricordo di avere percorso via Verdi secondo il suo senso di marcia naturale, certamente perché la consegna che dovevo effettuare riguardava un cliente residente in quella zona. Ricordo di avere quindi svoltato in via Umberto I. Nella circostanza, al momento della svolta, ovviamente ho dovuto rallentare all'incrocio con via Umberto I, quasi a passo d'uomo. In quel momento in via Umberto I a circa 3-4 metri dall'incrocio ho visto l'autovettura Opel Astra Sw, di colore azzurro-grigio, vicino alla quale si trovava Cosima Serrano, che si rivolgeva alla nipote Sarah Scazzi, dicendole con tono minaccioso: "moh ha 'nchianà intra la macchina (ora sali in macchina), facendo al suo indirizzo un gesto altrettanto perentorio con il braccio e con l'indice della mano rivolto all'indirizzo di Sarah. Ricordo che Sarah, che conoscevo di vista, era molto turbata e con la testa chinata. Ricordo anche, non solo che Cosima era all'esterno dell'auto che intimava a Sarah quello che ho già detto, ma anche che lo sportello posteriore destro dell'auto di Cosima Serrano era aperto. A domanda risponde: I finestrini del suo furgone come li aveva? Erano aperti o chiusi? Il finestrino lato guida era sicuramente aperto. Non ricordo se l'altro fosse anche aperto. Voglio precisare che il mio mezzo non è fornito di aria condizionata. A domanda risponde: Di che colore è il suo furgone? Il mio furgone è di colore bianco. A domanda risponde: Quale era la posizione di Sarah sulla strada? Sarah si trovava sul marciapiede destro di via Umberto I, dal lato dell'abitazione della sig.ra Emma Serrano (sorella di Cosima) con direzione via Martiri d'Ungheria, con le spalle quasi appoggiate al muro delle abitazioni. A domanda risponde: Quale era la posizione della signora Cosima Serrano? Cosima Serrano, come ho già detto, si trovava vicino alla sua macchina, non sul marciapiede ma sulla strada. A domanda risponde: Lei già conosceva l'autovettura di Cosima Serrano? La macchina era quella di Cosima Serrano perché la conoscevo. Voglio precisare che ho notato che nella parte posteriore dell'auto vi era verosimilmente il coprivano bagagli leggermente sollevato. Preciso, altresì, di avere notato all'interno dell'auto di Cosima, nella parte posteriore una sagoma che si abbassava. Mentre superavo la macchina di Cosima ho notato che Cosima era ancora all'esterno dell'autovettura e Sarah che invece stava entrando dentro attraverso lo sportello posteriore destro. Ho quindi proseguito per la mia strada recandomi a Leverano. A domanda risponde Può chiarire meglio le caratteristiche della sagoma di cui ha parlato sopra? Posso dire che la sagoma che ho notato apparteneva ad una persona di sesso femminile e di robusta costituzione. A domanda risponde: Perché lei dice di sesso femminile? Dico di sesso femminile perché ho notato i capelli che erano più lunghi di quelli che porta un uomo e soprattutto erano legati e raccolti all'indietro e di colore scuro. A domanda risponde: Ricorda l'abbigliamento di Cosima Serrano? Ricordo che Cosima era vestita di scuro. Ricordo che quando le sono passato accanto con il furgoncino ho incrociato il suo sguardo ed ho notato che la stessa ha avuto un sussulto di sorpresa, spalancando repentinamente gli occhi. A domanda risponde: Ricorda l'abbigliamento di Sarah Scazzi? Ricordo solo che Sarah aveva gambe e braccia scoperte, con i capelli sciolti. A domanda risponde: Dopo aver assistito a tale episodio che cosa ha fatto? Ho proseguito……… ..Qui il racconto continua con la descrizione del viaggio al mercato dei fiori di Leverano dove si era recato per acquisti all’ingrosso. Il giorno dopo il fioraio si presentò spontaneamente in procura accompagnato dal suo avvocato dicendo che tutto ciò che aveva detto e sottoscritto relativamente al rapimento era stato in realtà un sogno. In tribunale sarà la sua ex commessa a dirimere o adombrare ancora più dubbi su quei ricordi.
Ore 11.00: Parla Luigi Strada, il medico legale nominato dalla Procura di Taranto. Strada ha spiegato che il pasto ingerito da Sarah, il cordon bleu, è un cibo precotto e omogeneizzato che si dissolve dopo circa un'ora nel processo di digestione. Secondo Strada Sarah potrebbe aver digerito in fretta il cordon bleu che mangiò prima di recarsi a casa Misseri, il giorno in cui fu uccisa, e per questo motivo nel suo stomaco non c'era traccia di cibo. Secondo i consulenti di Sabrina, invece, per digerire il cordon bleu occorrerebbero dalle due alle quattro ore e la ragazzina, quindi, potrebbe essere stata uccisa almeno due ore dopo rispetto a quanto stabilito dai magistrati, cioè intorno alle 14 del 26 agosto 2010. «L'acido cloridico - ha detto in aula il medico legale - può aver disgregato il cibo assunto da Sarah il giorno dell'omicidio. Il cordon bleu ha un peso di circa 120 grammi, ma può essere stato tranquillamente assorbito». Nello stomaco della ragazzina, in fase di autopsia, furono trovati solo 20 centilitri di liquido grigiastro torbido. Non c'era traccia, invece, del cordon bleu mangiato frettolosamente dalla vittima poco prima di uscire, come riferito dalla madre. Il medico legale ha quindi riferito dei test fatti su Michele Misseri. Strada ha sottolineato rispondendo ad una domanda di Coppi di aver commesso un errore nel giudizio maturato dopo la prima visita medica a Michele Misseri, quando disse che le due ferite in via di cicatrizzazione rilevate sul braccio destro del contadino «per morfologia richiamavano le impronte di unghie». «Non poteva essere così - ha risposto in aula - perché le ferite erano profonde oltre un centimetro e ci sarebbe voluta un'unghia lunga e affilata, praticamente un artiglio». Misseri precisò in occasione della seconda visita medica che quelle ferite «se le era procurate mentre lavorava in un vigneto andando ad urtare contro delle punte di sarmenti tagliate a becco di flauto. Le lesioni riscontrate - ha confermato il medico legale - sono compatibili con questa versione». «La ragazzina fu strangolata con una cintura larga circa due centimetri e mezzo con impunture laterali che ha lasciato un solco sul collo. La morte sopraggiunse in due, tre minuti per asfissia»: Lo ha detto il medico legale Luigi Strada al processo a Taranto. Si tratta di una simulazione audiovisiva dell'omicidio che, nei risultati, scagionerebbe lo zio di Sarah. Michele, in tre episodi, davanti agli inquirenti, ha mimato la possibile scena del delitto e in particolare l'azione dello strangolamento. Secondo quanto ipotizzato dopo i test, è inverosimile che sia stato lui l'autore del delitto: l'azione simulata – è stato spiegato – è incompatibile con l'omicidio anche se la difesa di Sabrina Misseri ha contestato che Strada abbia fatto usare a Michele un foulard, e non una cintura, per poter mimare la scena dello strangolamento. Il professor Strada ha iniziato spiegando perché è giunto alla conclusione che l'arma del delitto sia stata una cintura e non una corda. In aula è stato proiettato un video che il professionista ha illustrato, nel momento in cui in carcere Michele Misseri, padre di Sabrina e marito di Cosima, subito dopo il suo arresto il 7 ottobre del 2010 simulò, con il medico legale nel ruolo di vittima, il modo in cui aveva avvolto la corda intorno al collo della vittima per strangolarla nella simulazione venne usato un foulard. Per due volte Michele Misseri, posto alle spalle del professore, avvolge il foulard iniziando dalla parte posteriore del collo e solo la terza volta inizia dalla parte anteriore. "Nel reperto non risulta un doppio giro", ha affermato il professore. Inoltre compiendo l'operazione in quel modo e cioè iniziando da dietro, "ci sarebbe stato bisogno di più tempo", ha concluso. In sostanza, Michele Misseri avrebbe sbagliato le prime due simulazioni facendo sorgere qualche dubbio che sia stato lui effettivamente a strangolare la ragazza. Inoltre stando ai segni presenti sul collo della 15enne, il medico legale ha anche escluso che l'arma del delitto possa essere stata una corda, ritenendo invece più compatibile le dimensioni di una cintura. Impossibile, secondo il medico rilevare lo stupro di cui si era accusato in un primo momento lo zio Michele Misseri, per la permanenza in acqua per oltre 40 giorni del corpo. In corte d'assise a Taranto Strada ha detto che è impossibile stabilire con veridicità se c'è stata violenza, in quanto la lunga permanenza, oltre 50 giorni, del corpo di Sarah nelle acque della cisterna hanno profondamente alterato sia gli organi che le loro caratteristiche.
Ore 13.30: Parla Valentina Misseri. Nessuna lite tra Sabrina e Sarah la sera prima dell'omicidio. "Stanno parlando di litigio, è stata una 'ripresa', così mi ha detto Sabrina". Così Valentina Misseri, la sorella di Sabrina Misseri, rispondendo alle domande del pubblico ministero Mariano Buccoliero durante il processo in Corte di Assise a Taranto per l'omicidio della 15enne di Avetrana, rispetto a quanto avvenuto in auto e in un pub tra le due cugine il 25 agosto. «Mia sorella Sabrina rimproverava la piccina perché bestemmiava sempre, si vestiva e si truccava come una donna di strada e poi perché si strusciava con tutti i ragazzi, non solo con Ivano». Non è stata per niente tenera Valentina Misseri con i ricordi della cugina Sarah Scazzi deponendo davanti alla Corte d’assise del tribunale di Taranto dove si svolge il processo sull’uccisione della quindicenne di Avetrana avvenuta il 26 agosto del 2010. La primogenita della famiglia Misseri, che il giorno dell’omicidio si trovava a Roma dove vive con il marito, non ha risparmiato parole dure neanche nei confronti del padre, Michele Misseri, che a tre metri da lei piangeva a dirotto: «Mio padre è stato sempre un gran bugiardo – ha detto – ma gli credo quando dice che è stato lui ad uccidere Sarah. Non glielo perdonerò mai, anche se rimarrà pur sempre mio padre». Mostrando la sicurezza di chi ha studiato per bene la parte del difensore delle imputate, sua sorella Sabrina con la madre Cosima Serrano, la terza donna di via Deledda ha parlato per tutto il pomeriggio non perdendo occasione di mettere in cattiva luce il «padre assassino» e non risparmiando qualche giudizio sgradevole nei confronti della cugina morta. Un comportamento che ha suscitato reazioni di rabbia nella madre della vittima, Concetta Serrano Spagnolo che all’uscita dell’aula non si è saputa trattenere: «sono schifata – ha detto – dalle parole di una donna così spudoratamente bugiarda». Secondo Valentina «Sabrina non era innamorata di Ivano ma solo attratta come lo erano in tante ad Avetrana, anche a me piaceva», ha ammesso la giovane che ha cercato così di far cadere il movente della gelosia su cui punta invece l’accusa che imputa alla sorella il delitto di omicidio volontario e sequestro di persona con il concorso della madre Cosima e soppressione di cadavere con l’aiuto del padre e di altri due parenti di quest’ultimo, Carmine Misseri e Cosimo Cosma. A proposito della presunta furiosa lite la sera prima della scomparsa tra le due cugine, Valentina ha spiegato così la sua teoria: «Mia sorella quella sera voleva riprendere Sarah per i suoi comportamenti sbagliati che agli occhi della gente la facevano sembrare una poco di buono». Sulla paternità dell’omicidio, nessun dubbio: «E’ stato mio padre – ha detto – anche se c’è stato un momento in cui ha accusato mia sorella ma solo perchè ingannato dall’avvocato Galoppa, che gli aveva fatto credere che Sabrina avrebbe scontato un paio d’anni e lui sarebbe andato in un convento a lavorare la terra». «"Si vende per due coccole", disse Sabrina riferendosi a Sarah che accusò il colpo e pianse come riferito da altri testi. Peraltro anche zia Concetta (madre di Sarah) - ha aggiunto - diceva queste cose alla figlia. Sabrina ha rimproverato qualche volta Sarah perché cominciava a bestemmiare oppure ad essere troppo affettuosa con altre persone in pubblico. In paese la gente parla. Però Sarah non era una persona scapestrata. Non la rimproverava per gelosia». Poi Valentina ha precisato di aver fatto molte domande alla sorella e alla madre nel periodo delle ricerche della cugina scomparsa. «Con loro mi sono atteggiata a pubblico ministero - ha sottolineato. Per quanto riguarda Ivano Russo, il giovane di cui sarebbe stata infatuata Sabrina, ha spiegato che quest'ultima - sperava che lui cambiasse e che diventasse una storia seria». Chi invece insiste sulle colpe del contadino è Valentina, l’unica della famiglia Misseri attualmente non imputata nel caso. E meno male che era a Roma e non ad Avetrana, altrimenti, forse, starebbe in carcere con sua madre e con sua sorella. Contrariamente all’accusa, che continua a dichiarare come movente per l’omicidio l’ossessiva gelosia che Sabrina nutriva per la cugina, Valentina Misseri afferma: «Non c’era alcun motivo di gelosia tra Sabrina e Sarah. Sabrina riprendeva Sarah per i suoi atteggiamenti troppo affettuosi con tutti i ragazzi, non solo con Ivano. Ma non ci si poteva arrabbiare con Sarah, era dolcissima, un gioiellino». Poi, riferendosi al padre, dice: «È stato un padre esemplare per 28 anni. Non mi accontentavo delle notizie sentite in tv, volevo sapere la verità…. Prima di far ritrovare il cellulare, papà mi chiese: “ma secondo te li trovano questi che hanno preso Sarah?” Io gli ho risposto di stare tranquillo, che prima o poi li avrebbero trovati. Poi papà disse che quel pomeriggio andava “su e giù” in garage. Dopo abbiamo capito che forse si riferiva al fatto che entrava e usciva dalla cantina per vedere se c’era qualcuno, visto che doveva nascondere il cadavere». La sera dell'interrogatorio e del fermo, il 15 ottobre nella caserma di Manduria, quando il padre Michele la chiamò la prima volta in correità, Sabrina Misseri mandò un messaggio sms alla sorella Valentina, sottolineato da uno smile triste, in cui diceva sostanzialmente: ''papà dice che ho aiutato a uccidere Sarah''. E io ho risposto che ''papà è impazzito, o è drogato o è una strategia. Questo è il succo di quello che le ho scritto''. ''Quando vengo a casa voglio vedere Ivano'', scrisse ancora Sabrina. ''Non c'era più l'interesse per lui ma l'affiatamento''. In un altro passaggio del lungo interrogatorio che a un certo punto è stato interrotto per circa mezz'ora dalla presidente Rina Triunfo poiché un condizionatore in aula ha cominciato a gocciolare vicino a dei fili elettrici, ha sottolineato che «con papà non parlavamo molto nel periodo delle ricerche. Solo una volta è scoppiato a piangere, eravamo a pranzo con Claudio, zia Concetta. Papà è scoppiato a piangere. Mi chiese: li trovano questi? Io dissi: li troveranno, li troveranno. - Quindi ha ribadito che - zia Concetta aveva dei dubbi sul marito, ne parlavamo con lei. Sì, in famiglia parlavamo delle piste sulla scomparsa di Sarah. In particolare ne prendevamo due in considerazione: quella straniera e quella di San Pancrazio Salentino. Mia zia Concetta (madre di Sarah) aveva sospetti su suo marito Giacomo. Lui in carcere c'era stato. Qualcuno per ripicca o vendetta poteva aver rapito la figlia a San Pancrazio»'. Così Valentina Misseri, sorella di Sabrina, durante la deposizione davanti alla Corte di Assise di Taranto, presieduta da Rina Triunfo, al processo per l'omicidio della 15enne di Avetrana Sarah Scazzi. Quest'ultima, poco prima della scomparsa, aveva trascorso tre giorni da alcuni zii proprio a San Pancrazio, cittadina del brindisino del quale il padre di Sarah era originario e dove Giacomo era conosciuto ''in certi ambienti'', ha tenuto a sottolineare la testimone. «Abbiamo trovato un clima ostile a San Pancrazio - ha aggiunto - Quando siano andati per la petizione molti non hanno voluto firmare. Anzi c'è stato chi ha rimproverato a mio zio Giacomo gli sforzi che le forze dell'ordine stavano producendo per cercare la figlia». «Sabrina - ha raccontato Valentina - si arrabbiava se Sarah aveva atteggiamenti troppo affettuosi nei confronti di Ivano Russo in pubblico, ma solo perché voleva proteggerla e non perché era gelosa. La gente è maligna e certi atteggiamenti potevano essere equivocati». Valentina ha detto inoltre che anche lei, quando seppe della scomparsa di Sarah, pensò che potesse essere stata rapita: «Dissi subito: l'hanno presa. Era una bravissima ragazza, non aveva mai avuto colpi di testa e non poteva essersi allontanata da sola». La teste ha parlato poi del ritrovamento del cellulare di Sarah e ha aggiunto che era stato proprio il padre a parlarne a Sabrina. All’epoca si facevano tante ipotesi sulla scomparsa di Sarah: «se io – ha sottolineato Valentina Misseri – avessi avuto subito dei sospetti su papà, con tante domande l’avrei fatto crollare» La teste ha ricordato, inoltre, di aver riconosciuto in Stefania De Luca, la donna che raccontò in una intervista televisiva di un litigio avvenuto tra Sarah e Sabrina. Valentina ha anche riferito di un incontro che il 22 novembre 2010, lei e la madre Cosima Serrano ebbero in carcere con Michele Misseri che all’epoca era arrestato dopo essersi autoaccusato dell’omicidio. «Ci disse che Sabrina avrebbe preso due anni perchè‚ lui – ha riferito la teste – aveva detto che era stato un incidente e aggiunse che l’avv. Galoppa gli aveva fatto vedere delle carte e che rischiavano anche Mimino Cosma e zio Carmelo» La primogenita di casa Misseri ha pianto ricordando la sera dell’arresto del padre e del ritrovamento del corpo di Sarah. «Noi – ha detto rispondendo alle domande del pm Mariano Buccoliero – piangevamo ogni giorno pensando a Sarah. Ecco perchè‚ me la prendo quando accusano la mamma e Sabrina». L'avvocato Franco Coppi, uno dei legali di Sabrina Misseri, ha chiesto alla teste se l’avv. Daniele Galoppa, ex difensore di Michele, avesse mai spinto il padre ad accusare Sabrina. «Certo - ha risposto Valentina – Disse che tanto Sabrina se la sarebbe cavata con due anni di carcere, poi ha ritrattato perchè‚ ha capito che non sarebbe stato così. Io invece sono convinta che sia stato mio padre a uccidere Sarah. Sono assolutamente convinta che ad uccidere Sarah sia stato mio padre, ma non posso dire se lo abbia fatto effettivamente per colpa del trattore che non partiva o per altro motivo». Poi ha parlato anche delle fasi dell’occultamento del cadavere e ha aggiunto che il padre le aveva sempre detto di aver utilizzato una corda e non una cintura per strangolare la nipote. «Me ne vado schifata per le tante falsità dette da una donna bugiarda e bugiarda», Concetta Serrano Spagnolo, mamma di Sarah Scazzi, la quindicenne di Avetrana trovata uccisa il 6 ottobre del 2010 dopo 42 giorni di scomparsa, ha lasciato il tribunale di Taranto con il fuoco nel cuore. Per due motivi. Aveva visto per la prima volta in aula come era ridotto il corpo della figlia Sarah Scazzi gettata nel pozzo in contrada Mosca; e poi perché aveva ascoltato le parole non certo cordiali della nipote Valentina Misseri che ha testimoniato di fronte alla Corte d’assise nella diciannovesima udienza del processo che vede alla sbarra Cosima Serrano e Sabrina Misseri, mamma e figlia rispettivamente zia e cugina della giovane vittima. Quella di Valentina, primogenita di casa Misseri che vive a Roma con il marito, è stata una difesa a tutto campo della sorella e della madre alla sbarra. «Ad uccidere Sarah è stato mio padre perché me lo ha detto lui quando sono andata a trovarlo in carcere», ha detto ai pubblici ministeri Mariano Buccoliero e Pietro Argentino che la interrogavano. «Papà è stato sempre un gran bugiardo, ma lo credo quando dice che è stato lui a commettere l’omicidio anche perché mia sorella Sabrina non dice mai le bugie», ha continuato Valentina mentre il padre, seduto a qualche metro di distanza, piangeva a dirotto. Michele Misseri, come si sa, continua a sostenere la sua colpevolezza, non creduto dai magistrati, nel tentativo di ritornare in carcere e liberare la moglie e la figlia che sono invece dietro le sbarre. La sorella dell’imputata ha poi descritto Sarah Scazzi con parole che non hanno fatto piacere alla memoria della cugina morta: «mia sorella Sabrina – ha detto - rimproverava la piccina perché bestemmiava sempre, si vestiva e si truccava come una donna di strada e poi perché si strusciava con tutti i ragazzi, non solo con Ivano». Sono state queste parole che hanno fatto arrabbiare mamma Concetta che per la prima volta oggi è riuscita a vedere le immagini del corpo martoriato della figlia. A mostrarle in aula è stato il medico legale perito della procura, Luigi Strada che ha confermato l’arma con cui è stata uccisa Sarah. «Dopo un primo periodo di indecisioni per quello che ci raccontava Michele Misseri – ha detto l’esperto – ci siamo definitivamente convinti che l’arma del delitto sia stata una cinta e non una corda come sostiene invece il signor Misseri». Nella prossima udienza del 10 luglio saranno ascoltati i carabinieri che si occuparono delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Il 17 luglio, invece, è prevista l’ultima udienza prima della pausa estiva con le deposizioni dei coimputati Angelo Milizia, Giovanni Buccolieri, Michele Galasso, Giuseppe Nigro, Antonio Colazzo, Anna Scredo e Cosima Prudenzano.
"Sarah non era un angelo ma una ragazzina". Intanto Claudio Scazzi racconta il suo dolore in un libro. Alcuni stralci sono pubblicati su “Affari Italiani” e “Quotidianamente”. Claudio Scazzi è nato nel 1985, dal 2010 promuove iniziative per ricordare l’impegno della sorella Sarah. Ha fondato l’associazione di volontariato “Sarah per sempre” per la difesa dei diritti degli animali, con la quale contribuisce a raccogliere fondi per la costruzione di un canile ad Avetrana (Ta). Claudio Scazzi, fratello di Sarah, racconta la sua storia, la storia della sua stessa reazione a una tragedia che ha investito la sorella ma anche l’intera sua famiglia, lui stesso, lui che non è più e mai potrà essere quello di prima. In un libro che è il resoconto appassionato e lucido di un ragazzo come gli altri, preso nel laccio di un avvenimento più grande di lui. Un libro che mostra cosa significhi essere consapevoli del proprio dolore e tuttavia continuare ad andare avanti, con il coraggio della giovinezza. Non diventa quindi indispensabile per Claudio trovare un colpevole, a due anni di distanza dal delitto di Avetrana, perchè, semplicemente, "non cambierà nulla". L'unica critica di Claudio Scazzi va verso le tv, colpevoli di aver trasformato Avetrana in un circo mediatico dell'orrore, con turisti e curiosi da ogni dove. E proprio contro questi curiosi Claudio si sfoga: "Si vede lontano un miglio che non gliene frega niente di quello che è successo. Sono lì solo per le telecamere." Nel libro non ci sarà alcuna accusa diretta ai Misseri, ma solo sfoghi personali: «Sono stanco di questo tutti contro tutti. Fa perdere di vista il punto. E il punto è che Sarah non c'è più. Nulla può restituire Sarah alla vita. Oggi il futuro non mi fa più paura. Semplicemente non esiste più. Perché io? Già: perché? Me lo sono chiesto spesso, leggendo e rileggendo queste lettere. E me lo chiedo ancora. La verità è che una risposta non ce l’ho. A volte mi sembra giusto parlarne, a volte no. Tutto qui. Non ho ancora capito se sia una cosa buona, un errore o una follia. Non lo sopporto. Mi disturba. Mi fa incazzare. E mi offende. Mi offende l’idea che la nostra vita diventi la trama di una fiction Tv (scommetto che in tanti ci hanno già pensato e che, prima o poi, qualcuno la produrrà) o il tema di un gioco in scatola, magari con tanto di tabellone con la piantina di Avetrana... la nostra casa, quella di Sabrina e quella di Ivano... i dadi e le pedine; Michele: l’orco vestito da contadino; Cosima: la strega; mia mamma: una mistica in preda al suo delirio religioso; io: nascosto nel cappello e perso nei miei pensieri e Sarah raffigurata come un fiore o un angelo. Sono tante le persone che la chiamano ‘il piccolo angelo’. Ma Sarah era una ragazzina, non un angelo e, per come la vedo io, una ragazzina è molto di più di un angelo! Un papà di Ferrara ha scritto: “Il posto di Sarah non era tra le stelle o in un altro mondo, ma qui sulla terra.” Sono d’accordo con lui, il posto di Sarah era qui sulla terra. E a me non manca un angelo, manca mia sorella. C’è un sacco di gente che non si rende conto che quello che è successo a Sarah (e a noi) è una tragedia, non una puntata di Don Matteo e non è nemmeno “Cluedo” o un qualunque altro gioco in scatola. Capisco il dolore (cazzo se lo capisco!), la commozione, l’indignazione. So che sono sentimenti nobili e leggere certe lettere aiuta, ma purtroppo dolore, commozione e indignazione non fanno di noi dei bravi poliziotti. Non danno il diritto di svolgere indagini, nemmeno con il pensiero. E, soprattutto, non aiutano a scoprire la verità. Al contrario: sono dannosi. È la ragione, non l’emozione che deve guidare certe ricerche. E sono i fatti che costituiscono indizi o prove, e non le impressioni, soprattutto quando le ricaviamo dal gossip di Tv e giornali. Quello che voglio dire è che tutti, noi per primi, desideriamo che venga fatta giustizia. Solo che questo desiderio non basta a trasformarci in giudici. Soprattutto quando è un desiderio così forte che diventa fame di giustizia. Perché la fame annebbia la vista e porta a fare cose sbagliate. Non so i miei, ma io mi sento vicino a chi mi dimostra affetto, solidarietà, comprensione e non a chi vuole a tutti i costi spiegarmi come sono andate le cose e di chi è la stramaledetta mano che ha strappato il fiore. Non cerco soluzioni, perché non ce ne sono. Punto. E anche quando la vicenda giudiziaria si sarà conclusa, il problema non sarà risolto, perché Sarah, purtroppo, non tornerà. Ecco perché non amo le lettere di chi si sente poliziotto o giudice. Poliziotti e giudici non mancano, quello che manca è qualcuno che capisce chi sei e come stai e si siede accanto a te in silenzio, per starti vicino e cercare di farti sentire un po’ meno il peso di tutto questo vuoto. Alcune lettere sono così, si siedono vicino a te, ti tengono la mano e se ne stanno lì in silenzio. Altre, invece, quando le apri ti sembra di accendere la televisione o entrare in un bar il lunedì mattina. E ti trovi in mezzo a gente che litiga sul derby e recrimina su rigori, arbitri, goal mancati e tutte le solite menate. Per loro, come per quelli della Tv, il punto non è Sarah e quello che è successo, il punto è far vedere che loro la sanno lunga, che loro non li freghi, che, se dipendesse da loro, il caso sarebbe risolto da un pezzo. Sì, perché Sarah non è la figlia di Concetta e Giacomo o la sorella di Claudio o una qualunque ragazzina di quindici anni che aveva diritto alla sua vita di ragazzina di quindici anni, ma un’occasione per mettersi al centro e diventare protagonisti, farsi belli davanti agli altri e agli amici e dimostrare che sono più furbi e più intelligenti degli altri e che loro non si sbagliano... fino al prossimo derby, al prossimo delitto, alla prossima Sarah. Di chi non c’è più (e magari è stato buttato fuori dalla vita a calci) e di chi resta solo, non frega niente a nessuno. La vittima (che parola orrenda!) è solo un pretesto, un’occasione, un’opportunità. E così Sarah diventa vittima due volte. Uccisa la prima volta dall’odio, la seconda dal cinismo. Tanto cosa rischiano? Cos’hanno da perdere, loro? Noi, invece, tutto quello che avevamo da perdere l’abbiamo già perso. L’abbiamo perso davvero.»
«In questo libro non dico nulla su Sabrina, Cosima, Michele, Ivano e gli altri. Non solo perché c’è ancora un processo in corso, ma perché le parole sporcano. Sporcano tutto, come quei fiumi di fango che vengono giù all’improvviso e travolgono tutto. Bella o brutta, questa è la mia vita e la vita della mia famiglia e non voglio vederla sommersa dal fango». Niente scoop dunque. Nessuna rivelazione, né accuse da parte di Claudio Scazzi, fratello di Sarah, la ragazza di soli 15 anni uccisa nel 2010. Perché «questo non è un libro confessione. Anche perché non ho niente da confessare. E non è nemmeno uno sfogo. Anche se di cose per le quali sfogarsi, invece, me ne vengono in mente tante». All’improvviso si ferma il fratello di Sarah, 26 anni, elettricista. Interrompe il flusso di parole, come se volesse sottolineare che questo è per lui un concetto chiave. Poi, lentamente riprende il filo del discorso e racconta la genesi di questo libro dal titolo Per Sarah, appena pubblicato da Bompiani e il cui ricavato andrà in solidarietà all’associazione «Sarah per sempre », per la costruzione di un canile ad Avetrana. Nelle 120 pagine del volume, Claudio ripercorre il dolore per l’omicidio della sorella, per provare a ricomporre il puzzle del suo cuore squarciato dalla tragedia, un dramma scandito «dai giorni strazianti della sparizione a quelli tremendi del ritrovamento del corpo, fino a quelli sconcertanti degli arresti». Mentre a Taranto continua il processo per l’omicidio di Sarah, con la zia Cosima e la cugina Sabrina sul banco degli imputati, Claudio si rigira fra le mani una copia di questo libro sottolineando di non voler «puntare il dito, non spetta a me», ma dove ammette invece che è stanco «di questo tutti contro tutti » che «fa perdere di vista il punto. E il punto è che Sarah non c’è più». Sono infatti passati quasi due anni dal delitto di Avetrana, ma la ferita del fratello maggiore, come dei genitori, non accenna a rimarginarsi. Quello scritto da Claudio è un libro che si legge in un fiato, è il frutto di «pensieri da cui nascono pensieri», ma è anche «un ringraziamento ai tanti che hanno scritto lettere a me, alla mia famiglia e soprattutto a mia mamma». E nel libro Claudio ritrae proprio la madre Concetta quando «sedeva in cucina, apriva le buste, tirava fuori le lettere, le leggeva, le rimetteva dentro le buste, richiudeva e le metteva via, secondo un ordine che conosceva solo lei. Poteva andare avanti così ore. Ogni lettera le regalava un respiro». Ma questo libro, continua il fratello di Sarah, «è stato anche un tentativo di dire la mia opinione su tante cose. Per esempio sul fatto che Tv e giornali hanno detto e scritto tutto e il contrario di tutto. Hanno trasformato il mio paese in un set cinematografico, hanno scavato nelle nostre vite quasi fossimo in una fiction e non nella vita vera, a tratti non hanno rispettato la nostra disperazione e il nostro dolore». Claudio spiega quando e dove ha scritto il libro. «L’ho buttato giù giorno dopo giorno, in un anno e mezzo. Diciotto mesi di calvario interiore, un periodo in cui ho rivisto fotogramma per fotogramma quello che è accaduto a Sarah, a me, ai miei genitori. L’ho concepito e scritto fra Avetrana, dove c’è il mio cuore, e San Vittore Olona, vicino a Milano, dove vivo e lavoro». «Sta alla giustizia, non a me, stabilire chi è stato e perché. E mi auguro che lo faccia. Ma anche quando sapremo la verità, quel fiore non tornerà a fiorire e nessuno di noi sentirà mai più il suo profumo, perché quando si strappa un fiore è per sempre». E continua: «Comunque vada a finire il processo, non ci sarà nessun vincitore: perderemo tutti, perché tutti abbiamo perso Sarah». Claudio è convinto che «in questa storia non c’è niente da capire, è tutto chiaro. E chi deve chiedere perdono, chieda perdono, sperando che, nel frattempo, chi deve perdonare abbia imparato a perdonare». Ma Claudio ha perdonato? «Perdono è una parola grande. Per dirla ci vuole un grande cuore e non so se oggi, il mio cuore è abbastanza grande». Ma più che sapere chi è, o chi sono colpevoli, il fratello di Sarah vorrebbe conoscere il motivo dietro il delitto: «Perché è stato fatto del male a Sarah?». Nel libro, come nella vita di Claudio, il filo della memoria si allunga in continuazione. «Sarah è sempre qui. Lo so. Lo sento. Me la ritrovo accanto all’improvviso, quando sembra un momento normale. Uno di quei momenti nei quali la vita somiglia a com’era prima». L’oggi invece è diverso: «Da quando Sarah non c’è più abbiamo cominciato a vivere un’altra vita: la vita di qualcun altro e nessuno, purtroppo, riuscirà mai a restituirci la nostra, persa per sempre insieme con Sarah ». I ricordi cedono il passo ai desideri: «Non so quanto darei per avere ancora un quarto d’ora da passare con Sarah. Chissà, magari ce ne andremmo al mare per stare in silenzio, a non fare niente e a fissare le onde, scegliendo quella sulla quale saltare su e andare via insieme». Su come immagina il suo do mani, confida: «Ora il futuro non mi fa più paura. Semplicemente non mi interessa più. Sarà come sarà. Ma chi ha portato via il futuro a Sarah, lo ha portato via anche a me e alla mia famiglia».
10 luglio. Ventesima udienza.
E' durata appena 10 minuti l'udienza davanti alla Corte di Assise del Tribunale di Taranto per l'omicidio di Sarah Scazzi, la 15enne uccisa il 26 agosto del 2010 ad Avetrana. Erano previste le audizioni di 11 testimoni, per lo più carabinieri impegnati nell’indagine, ma alcuni di loro non si sono presentati, mentre all'ascolto di altri ha rinunciato il pubblico ministero chiedendo l'acquisizione dei verbali delle sommarie informazioni testimoniali rese durante le indagini. La Corte d'Assise di Taranto ha acquisito, con il consenso delle parti, i prospetti delle intercettazioni telefoniche e ambientali ed i verbali con le dichiarazioni rese in fase di indagine dagli 11 testimoni che avrebbero dovuto deporre. Il 17 luglio, invece, è prevista l’ultima udienza prima della pausa estiva con le deposizioni dei coimputati Angelo Milizia, Giovanni Buccolieri, Michele Galasso, Giuseppe Nigro, Antonio Colazzo, Anna Scredo e Cosima Prudenzano. Verosimilmente sarà anche l’ultima udienza riservata ai testimoni dell’accusa. Probabilmente saranno chiamate a testimoniare anche le imputate.
17 luglio. Ventunesima udienza. Chiamati Sabrina Misseri, Cosima Serrano, Angelo Milizia, Giovanni Buccolieri, Michele Galasso, Giuseppe Nigro, Antonio Colazzo, Anna Scredo e Cosima Prudenzano, Anna Lucia Pichierri.
Madre e figlia citate come testimoni dall’accusa, in un insolito ruolo che sicuramente decideranno di rifiutare. Ma quale imputato sceglierebbe di fare da bersaglio sotto il fuoco incrociato di pubblici ministeri e avvocati? Una scelta che rifiuterebbe anche un autolesionista. L’unico pronto a parlare, per sostenere la sua colpevolezza, è Michele Misseri, teste della difesa ma non dei pm. Certo, nel processo sul delitto di Avetrana non si sa mai quello che può accadere, ma fino a questo momento l’aula non ha riservato nessuna novità, nessun colpo di scena. Da una parte c’è l’accusa, spinta dal furore mediatico, che sostiene la colpevolezza di Cosima e Sabrina. Dall’altra parte la difesa che si batte per dimostrare un’unica tesi: Michele Misseri ha ucciso Sarah. L’ha strangolata da solo e da solo ha nascosto il corpo in un pozzo interrato per lasciare che l’acqua lo distruggesse. D'altronde si parte da un punto fermo: è lui che ha fatto ritrovare la piccola Sarah. Difficilmente, quindi, le due principali imputate apriranno bocca e daranno uno scossone all’udienza. Clamorose sorprese non dovrebbero riservarne gli altri testimoni che sono o imputati in procedimento connesso come il fioraio “sognatore” Giovanni Buccolieri, i suoi amici Giuseppe Nigro, Michele Galasso e i parenti, la suocera Cosima Prudenzano, i cognati Antonio Colazzo e Anna Scredo (l’unica parente prosciolta dal gup). Se tutti faranno scena muta quella odierna (la 21ª) sarà un’udienza lampo come la precedente. Le sorprese sono rinviate alla ripresa del processo prevista il 18 settembre con l’esame degli imputati. Ed infatti…..Cosima Serrano e la figlia Sabrina Misseri, accusate dell’omicidio di Sarah Scazzi, si sono avvalse della facoltà di non rispondere quando sono state chiamate dall’accusa, in qualità di testimoni, a deporre al processo per l'omicidio della loro quindicenne parente. In calendario, da settembre, è previsto il loro “esame” come imputate. Anche Carmine Misseri e Mimino Cosma (fratello e nipote di Michele Misseri, che rispondono di concorso in occultamento del cadavere), si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. L'avv. Nicola Marseglia, uno dei difensori di Sabrina Misseri, aveva presentato una eccezione sostenendo che in base a una sentenza della Corte di cassazione gli imputati di reato connesso non possono essere citati anche come testimoni nell’ambito dello stesso procedimento. Il procuratore aggiunto, Pietro Argentino, ha chiesto alla Corte d’assise di trasmettere copia del verbale dell’interrogatorio al suo ufficio per valutare la possibilità di contestare ad Anna Lucia Pichierri (moglie di Carmelo Misseri) il reato di falsa testimonianza in quanto la donna in aula dell’odierna udienza non ha confermato la circostanza riferita in fase di indagine secondo la quale gli avvocati Russo e Mongelli le dissero che era necessario cambiare legale a Michele Misseri «per aiutare Sabrina ristretta in carcere». Sono saltate le deposizioni di Antonio Colazzo e Anna Scredo, cognati del fioraio Buccolieri, e di Michele Galasso. Ha testimoniato invece Giuseppe Nigro, imputato di reato connesso, direttore della masseria “La Grottella” di Avetrana, in relazione alla consegna della torta nuziale durante un ricevimento il 26 agosto 2010, mentre si è avvalso della facoltà di non rispondere il bancario di Avetrana, Angelo Milizia, altro imputato in un procedimento connesso. Il processo riprenderà il 18 settembre dopo la pausa estiva con la deposizione di Michele Galasso (amico del fioraio Bucolieri), Antonio Colazzo e Anna Scredo (cognati di Buccolieri), Valeria Scazzari (consulente di parte dell’avv. Missere, difensore di Cosma Cosimo) e l’esame degli imputati Antonio Colazzo, Giuseppe Nigro e Cosima Prudenzano. In mattinata, pure Giovanni Buccolieri, il fioraio di Avetrana che in un primo momento aveva dichiarato agli inquirenti di aver visto il 26 agosto 2010 una donna, probabilmente Cosima Serrano, costringere con la forza Sarah Scazzi a salire a bordo della sua auto per poi ritrattare quel racconto, sostenendo che si era trattato di un sogno, si è avvalso della facoltà di non rispondere. L'uomo, però, ne aveva fatto parola anche con un amico, con sua moglie Giuseppina Scredo e la sua ex commessa Vanessa Cerra. Oggi ha deposto Cosima Prudenzano, suocera di Buccolieri, che ha riferito di aver appreso del sogno dallo stesso Buccolieri quando il genero ne stava parlando con la commessa. Nelle precedenti udienze, invece, Scredo e Cerra avevano detto che Cosima Prudenzano non era presente. Numerose le contestazioni formulate dal pm alla teste, che ha pianto durante la deposizione. La testimone, per altro imputata nello stesso procedimento per falsa testimonianza, ha collocato temporalmente il racconto del genero al "27 o 28 ottobre 2010. Mi ricordo del giorno -ha aggiunto- perché ero tornata ad Avetrana da Parma per la ricorrenza dei defunti". La donna ha riferito che, al racconto, era presente, oltre a lei e al genero, anche la commessa, Vanessa Cerra, mentre sia quest'ultima che la figlia della signora Prudenzano, Giuseppina Scredo, moglie del fioraio, hanno affermato invece che la testimone non c'era. Questa e altre contraddizioni, oltre al contenuto di alcune intercettazioni ambientali e telefoniche, sono state oggetto di contestazione alla signora Prudenzano da parte del pubblico ministero Mariano Buccoliero.
“Taranto: non solo Scazzi, Serrano e Misseri. Quel Tribunale è il Foro dell’ingiustizia.”. Libertà di stampa violata ed adozione di atti intimidatori e persecutori per chi ha il coraggio di raccontare la verità. Antonio Giangrande, il noto scrittore di Avetrana, accusato di violazione della Privacy, il 12 luglio 2012 è stato assolto con la formula più ampia: per non aver commesso il fatto. Una sentenza che crea un precedente nel campo della libera informazione. E’ stato assolto dal giudice onorario della sezione distaccata di Manduria, avv. Frida Mazzuti, su richiesta del Pubblico Ministero Onorario avv. Gioacchino Argentino. E’ stato disposto, altresì, il dissequestro del sito web d’informazione inopinabilmente oscurato per anni dalla magistratura brindisina e tarantina. Nulla di che, se non si trattasse dell’epilogo di un atto persecutorio da parte della magistratura tarantina. E la notizia dell’assoluzione si deve dare senza remore, così come si fa se, invece, fosse stata una condanna. «Questa è una esperienza che insegna e che va raccontata – dice il dr Antonio Giangrande, autore di 40 libri pubblicati su “Amazon.it” e su “Lulu.com” - Il fatto risale al 2006 quando improvvisamente la Procura di Brindisi chiude completamente il portale web d’informazione dell’ “Associazione Contro Tutte le Mafie”. Sodalizio nazionale antimafia non allineato a sinistra. L’oscuramento del sito web effettuato con reiterati atti nulli di sequestro penale preventivo emessi dal Pubblico Ministero togato Adele Ferraro e convalidati dal GIP Katia Pinto. Lo stesso GIP che poi diventa giudice togato del dibattimento e che alla fine del processo proclamerà la sua incompetenza territoriale. Dopo anni il caso passa al competente Tribunale di Taranto. Qui il Gip Martino Rosati adotta direttamente l’atto di reiterazione del sequestro del sito web, senza che vi sia stata la richiesta del PM. Il reato ipotizzato è: violazione della Privacy. Non diffamazione a mezzo stampa, poco punitiva, ma addirittura violazione della privacy, reato con pena più grave. E dire che gli atti pubblicati non erano altro che notizie di stampa riportate dai maggiori quotidiani nazionali. Era solo un pretesto. Di fatto hanno chiuso un portale web di informazione e d’inchiesta di centinaia di pagine che riguardava fatti di malagiustizia, tra cui il caso di Clementina Forleo a Brindisi e una serie di casi giudiziari a Taranto, oggetto di interrogazioni parlamentari. Tra questi il caso di un Pubblico Ministero che archivia le accuse contro la stessa procura presso cui lavora; che archivia le accuse contro sé stesso come commissario d’esame del concorso di avvocato ed archivia le accuse contro la sua compagna avvocato, dalla cui relazione è nato un figlio. Fatti di malagiustizia conosciuti e scaturiti da esperienze vissute personalmente o raccontate dalle vittime, fino a quando mi hanno permesso di svolgere la professione di avvocato e successivamente in qualità di presidente di un’associazione antimafia. Dopo anni i magistrati togati di Taranto non hanno ottenuto la mia condanna, nonostante i più noti avvocati di quel foro abbiano rifiutato di difendermi e sebbene tutti i miei avvocati difensori mi abbiano abbandonato, eccetto l’avv. Pietro DeNuzzo del Foro di Brindisi. Qualcuno si è fatto addirittura pagare da me, nonostante abbia percepito i compensi per il mio patrocinio a spese dello Stato. Ed ancora dopo anni i magistrati togati di Taranto non hanno ottenuto la mia condanna, anche in virtù del fatto che il giudice naturale, Rita Romano, sia stata ricusata in questo processo, perché non si era astenuta malgrado sia stata da me denunciata. A dispetto di tutte le circostanze avverse vi è stata l’assoluzione, ma i magistrati togati hanno ottenuto comunque l’oscuramento di una voce dell’informazione. Voce che in loco è deleteria al sistema giudiziario e forense tarantino e contrastante con la verità mediatica locale. A tutti coloro, che in apparenza gridano alla libertà di stampa, direi di essere meno ipocriti, codardi, collusi e partigiani, perché i giornalisti e gli operatori dell’informazione locale, anziché esprimere solidarietà ad un collega, hanno pensato bene di trattarmi come appestato e recidere quelle collaborazioni che avevo con loro. A tutti quelli che spesso rappresentano un potere criminogeno e ciò nonostante proclamano “fuori i condannati dal Parlamento” direi: se i condannati sono coloro i quali sono perseguitati per le opinioni espresse, allora direi fuori le caste e le lobbies e le mafie e le massonerie dal Parlamento, che a quanto a pericolosità sociale non sono seconde a nessuno».
Riguardo al legame che c’è tra l’informazione e la giustizia, esemplare è il caso di Amedeo Cervetti. Questi è in carcere per omicidio. La Procura che lo fa condannare chiede la revisione: i giudici la negano. Si può restare in carcere quando perfino l’accusa ritiene che la condanna sia ingiusta? In Italia si può. Da anni Amedeo Cervetti è recluso a Lecce, condannato fin anche dalla Cassazione a quattordici anni e dieci mesi per omicidio volontario premeditato, porto abusivo e ricettazione di armi. Lui ha sempre negato di aver ucciso il pastore Lucio Mancarella. C’è una prova: il fucile calibro dodici trovato sul luogo del delitto era stato ceduto al Cervetti da un suo conoscente qualche giorno prima dell’omicidio avvenuto il 29 dicembre del 1996. Il Cervetti si è sempre proclamato innocente. Il colpo di scena. La svolta arriva nel 2005 quando si scopre che, durante un interrogatorio di quattro anni prima, il pentito Vito Di Emidio ha fatto i nomi di due persone che secondo le sue informazioni hanno ucciso Lucio Mancarella. Dalle dichiarazioni risulta evidente che Amedeo non c’entra niente. Precisa, fornendo molti dettagli, che non sarebbero stati tre gli assassini - come stabilito dalla sentenza di condanna - ma solo due e, tra questi, Amedeo Cervetti non c’è. Il primo paradosso è che queste rivelazioni erano state fatte nel 2001, quando il processo contro Cervetti era ancora in Corte d’Appello a Lecce, ma nessuno ha pensato di portarle davanti ai giudici. Perché queste dichiarazioni non sono state usate? La Procura era in possesso di una confessione che avrebbe potuto, una volta verificata, scagionare il Cervetti. E l'avvocato difensore ha adempito pienamente al suo mandato? Dopo cinque anni, il 25 gennaio 2006, è lo stesso Procuratore Generale di Lecce che chiede la revisione del processo per il Cervetti. La Corte d’Appello di Potenza la nega. Del fatto nessun accenno giornalistico: né organo di stampa, nè redazione televisiva, nazionale, ma ancor più locale: quelli che si fregiano di indipendenza, libertà, competenza. Troppo impegnati ad intrattenersi alle conferenze stampa degli amici Magistrati e Forze dell’Ordine. Se badate bene i fatti di cronaca giudiziaria riportano sempre la postilla: “conosciuti alle Forze dell’Ordine”, “con precedenti penali”, "incensurato", ecc.. Come se fossero più importante i precedenti penali del soggetto e non il fatto in sè. Locuzioni apposte solo da chi conosce le risultanze del casellario giudiziario non accessibili a tutti. Questo evidenzia il fatto che vi è integrale lettura delle veline da parte di giornalisti, senza alcuna esigenza deontologica di verificare la fondatezza o di dare voce alla difesa. Il secondo paradosso è che mi è stata chiesta nel 2012, non la rettifica, ma addirittura la cancellazione degli articoli di denuncia del fatto, pubblicati nel 2008 e contenuti sui miei ed altrui siti web, tra cui “Report On Line”,“Il Pittaccino”, “Salento Pocket”. Notizia cancellata su tutte le pagine web di mia pertinenza e su tutti i miei libri, per adeguarmi alla richiesta, ma inserita qui in questo contesto, in relazione al processo sull’omicidio di Sarah Scazzi, estrapolandola con citazione delle fonti su nominate. Questo al fine di denunciare le storture di un sistema giudiziario e forense, dove addirittura le vittime sono sottoposte a regime di intimidazione e di coartazione per far tacere le ignominie innominabili commesse da giudici ed avvocati a danno delle stesse vittime. D'altronde non vi è diffamazione a danno della vittima, né violazione della privacy, come conferma la sentenza che mi riguarda precedentemente riportata. E dire che non è la prima volta che la stessa vittima arriva a censurarmi, se non addirittura a denunciarmi per diffamazione a mezzo stampa. Denunciato per aver dato voce e difeso una vittima della malagiustizia. Questo fatto di essere denunciato per diffamazione a mezzo stampa è avvenuto con Giuseppe Dimitri di Avetrana.
Per quanto riguarda l’amministrazione della Giustizia da queste parti, bisogna puntualizzare alcune cose, come per esempio anche l’incredibile e strana vicenda di due Magistrati pugliesi: Matteo Di Giorgio e Giuseppe De Benedictis. La vicenda è sta oggetto di un articolo di Michele Imperio. Mesi fa vi fu la notizia dell’arresto quasi contemporaneo di due magistrati pugliesi Giuseppe De Benedictis e Matteo Di Giorgio, entrambi classificabili come Magistrati dell’area di centro destra, tendenza beninteso manifestata al di fuori dell'esercizio delle funzioni nell'ambito delle quali i due magistrati erano assolutamente irreprensibili. Giuseppe De Benedictis aveva addirittura concesso l’arresto dell’on.le Raffaele Fitto (PDL). E dato il clamore di certa stampa si era lanciato l’allarme che poteva trattarsi di un odioso piano dei giudici di Magistratura Democratica, i quali stavano cominciando ad avviare una sorta di pulizia etnica, oltre che di uomini politici anche di Magistrati di altra estrazione politica, utilizzando anche contro costoro (i colleghi Magistrati) lo strumento della incriminazione penale e della carcerazione preventiva. In questa perversa ottica si collocavano – secondo noi - le due quasi contemporanee carcerazioni dei magistrati pugliesi Matteo Di Giorgio e Giuseppe De Benedictis arrestati a distanza di soli quattordici giorni l’uno dall’altro, un evento che non si era mai verificato in tutta la storia della Puglia. Anzi in passato il Magistrato veniva rispettato in quanto tale. I panni sporchi, se c'erano, si lavavano - come si dice - in famiglia, onde non generare disdoro per le Istituzioni. Ora invece anche i Magistrati, classificabili come vicini ad ambienti politici di centro-destra, possono essere destinatari di questa iniziativa plateale e clamorosa che è l'incriminazione penale e la custodia cautelare che - lo ricordo - non è "pane e fichi" ma è una misura particolarmente umiliante e estremamente invasiva che bisogna adottare - stando alla legge - solo in presenza di situazioni di particolare gravità. Il dott. Matteo Di Giorgio già Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, insignito per meriti acquisiti sul campo dell’incarico di delegato della Procura distrettuale antimafia di Lecce presso il Tribunale di Taranto, è stato all'improvviso arrestato l’11 novembre 2010 con una serie di accuse per fatti vetusti, risalenti alcuni addirittura al 2001, alcuni dei quali già prima facie di scarsissima o nulla rilevanza penale (per esempio far mantenere aperto un bar dalla Amministrazione Comunale di Castellaneta anche se non era in regola con le licenze). Lo stesso mandato di cattura parlava di concussione, ma escludeva in modo assoluto che il Dott. Matteo Di Giorgio avesse mai preteso denaro per se o per altri soggetti per queste operazioni ipotizzandosi a suo carico soltanto la volontà di perseguire "mire e utilità politiche". Infatti con riferimento alle elezioni amministrative del 2008 (e questa è la sua vera colpa) egli aveva tentato, senza riuscirci, di candidarsi presidente della Provincia di Taranto senza coordinarsi con la Massoneria e con le alte sfere della magistratura associata che, evidentemente, nei Tribunali di Potenza e Taranto godono di spazi particolari. Vedi per esempio caso Cannizzaro-Genovesi-Restivo-Claps: Ora anche i profani sanno che affinché si configuri invece il reato di concussione occorre che l’attività estorsiva del pubblico ufficiale sia finalizzata a conseguire denaro o altra utilità (ovviamente simile al denaro). Ed è molto discutibile allo stato attuale della giurisprudenza che tra queste "altre utilità" rientrino le “utilità politiche” perché allora bisognerebbe incriminare del reato di concussione almeno il 90% della classe politica di destra di centro e di sinistra. L’ordinanza di custodia cautelare a carico del dott. Matteo Di Giorgio già per questi motivi appariva quindi anche al profano un’ordinanza di custodia cautelare alquanto esagerato, dato che il Magistrato può disporre - per legge - la cattura di un individuo solo se è certo che il fatto determinerà una condanna a una pena detentiva che superi il limite della sospensione condizionale della pena (anni due di reclusione). Peraltro il Procuratore Capo della Repubblica di Potenza Giovanni Colangelo, insediatosi però a Potenza quando già l'indagine era stata avviata, quel mandato di cattura non lo ha voluto firmare. Evidentemente non era d'accordo. Peraltro "voci" riferiscono che a Potenza non ci vuole stare più. Vorrebbe trasferirsi a Napoli. Torno ora a parlare di questa vicenda perché proprio la Corte di Cassazione ha annullato ben due dei quattro capi di accusa mossi al dott. Matteo Di Giorgio e precisamente:
1. aver indotto la prima vittima tal Giuseppe Di Fonzo a non denunciare il suo presunto strozzino, parente del Magistrato, promettendogli il suo interessamento per l'iter di accesso al fondo antiusura;
2. aver indotto la seconda vittima tal Giovanni Coccioli a ritrattare le accuse a lui stesso mosse dal Coccioli nell'ambito di un'annosa diatriba con un senatore del posto Rocco Loreto, facendogli ottenere in cambio la gestione di un bar abusivo allo stadio di Castellaneta. Il primo capo di accusa è stato annullato senza rinvio (cioè cancellato completamente) l'altro è stato annullato con rinvio al Tribunale del riesame di Potenza per nuovo esame. Ora è raro che la Cassazione annulli i capi di accusa di un’ordinanza di custodia cautelare senza rinvio. Se lo fa è perchè evidentemente si tratta proprio di una castroneria, nella specie confermata (ahimè) dal Tribunale del riesame di Potenza.
Annullati questi due capi di accusa rimangono a carico del Magistrato Matteo Di Giorgio altre due imputazione:
1. aver esercitato presunte pressioni sul proprietario di un villaggio turistico "Città del Catalano" per far revocare il servizio di vigilanza a tal Vito Pentassuglia (esponente, secondo l'accusa, dello schieramento politico avversario al suo quello di Sinistra) e poi aver fatto altre pressioni sempre sul titolare di quel villaggio turistico per farsi concedere due mesi di vacanza "quasi" gratuiti in due appartamenti del residence medesimo;
2. aver costretto alle dimissioni un consigliere comunale di Sinistra tal Domenico Trovisi dietro la minaccia di far arrestare due suoi familiari.
Ora la Cassazione - come tutti sanno - non entra nel merito delle vicende processuali perchè si limita a valutare solo i profili di legittimità (ossia il rispetto della legge sostanziale e processuale da parte del Magistrato che ha emesso il provvedimento). Però appare strano che un Magistrato si esponga fino a quel punto solo per farsi "quasi" pagare (e perchè non per intero?) una vacanza in un villaggio turistico della sua stessa città. Questo può capitare a un impiegato di quart'ordine che non ha il denaro sufficiente per pagarsi la vacanza ma non a un Magistrato il quale è lautamente retribuito. Inoltre "voci" apparse anche sulla stampa (settimanale locale "Wemag") riferiscono che gli episodi relativi alle dimissioni del consigliere comunale di Sinistra Domenico Trovisi non si sono svolte affatto come è stato raccontato nel mandato di cattura, ma si sono verificati con queste modalità: in quel periodo il Magistrato concittadino Matteo Di Giorgio si trovava ad esaminare per ragioni del suo ufficio alcune intercettazioni telefoniche dalle quali emergeva che due giovani familiari di Domenico Trovisi, persona molto in vista in città in quanto titolare di oleifici, discoteche ed altre importanti attività economiche, fossero responsabili di un grave reato. Per pietà e per senso di concittadinanza il giovane familiare non è stato arrestato dal Magistrato Matteo Di Giorgio e il Trovisi ha pensato bene - per decenza - di dimettersi spontaneamente da consigliere comunale. Però...... "voci"..... Mi chiedo: ma si può trattare un Magistrato come una pezza da piede per fatti di questo genere? Peraltro - come ho detto - tutti i capi di imputazione annullati o non annullati dalla Cassazione si riferiscono a vicende vecchie, datate nel tempo (intorno al 2001 circa) che ormai affondavano nelle polveri degli archivi della Procura della Repubblica di Potenza tanto era stato il tempo trascorso dalla loro archiviazione disposte queste archiviazioni da un valoroso Magistrato che allora era in forza alla Procura della Repubblica di Potenza, che si chiamava John Woodcock. Solo il trasferimento di questo Magistrato dalla Procura di Potenza a quella di Napoli ha consentito che quelle denunce fossero riprese e valorizzate. Per verificare queste denunce poi è stata messa in moto la macchina giudiziaria come per le grandi occasioni, riguardanti fatti gravissimi di criminalità organizzata, sono stati addirittura impiegati anche ex Carabinieri allontanati dall’Arma per ragioni disciplinari o penali e per ben due anni (pensate!) tutte le stanze del Tribunale di Taranto sono state disseminate di cimici per le intercettazioni ambientali!!!!!!!!!!! Al punto che personalmente una volta mi è capitato di essere invitato da un Magistrato a interloquire con lui nel bar del Tribunale anziché nel suo ufficio, proprio per la presenza – risaputa - di queste invasive cimici. Inoltre è successo pure che molti Magistrati del Tribunale di Taranto e - praticamente quelli più valorosi - infastiditi da tante pressioni, hanno chiesto e ottenuto il trasferimento presso altre sedi. E’ il caso per esempio della dott.sa P.N., del dott. G.D., del dott. G.C. e di altri. Anzi addirittura il dott. G.C., benchè giovanissimo, ricopriva nel Tribunale di Taranto, sua provincia di residenza, il prestigioso ruolo di presidente del collegio penale. Ebbene egli ha preferito chiedere il trasferimento presso un altro Tribunale e autoretrocedersi a giudice monocratico di piccoli paesi pur di sfuggire al clima giacobino e velenoso che, per via di queste intrusioni, si è creato nell'ambiente giudiziario tarantino. Mi chiedo: ma data l’inezia delle accuse e la mole delle forze messe in campo non sarà per caso che l'inchiesta contro il Magistrato Matteo Di Giorgio sia stata solo un pretesto e che invece da Potenza e forse da più in là qualcuno voleva inquisire tutti i Magistrati del Tribunale di Taranto per tentare una sorte di pulizia etnica a sfondo politico? Capisco che questa è un'ipotesi suggestiva ma l'arresto altrettanto plateale e contemporaneo del dott. Giuseppe De Benedictis di Bari a soli quattordici giorni di distanza e anche questo carico di simbologia, è opera - formalmente - di un'altra Procura esterna, la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. In quel periodo si vociferava di intrusioni del dott. Matteo Di Giorgio nella vicenda dei parchi eolici, un'inchiesta che partiva da Roma e precisamente dal P.M. dott. Giancarlo Capaldo, fratello di quel Pellegrino Capaldo, grande amico di Nicola Mancino, per la sinistra il noto e diabolico stratega del 1992. Questa inchiesta sui parchi eolici doveva fare strage di uomini politici e di Magistrati dell'area meridionale e poi invece si è rivelata un flop, un'autentica bolla di sapone. Ma ci ha fatto capire che la testa del drago di questa e di altre inchieste non sta a Taranto. E - forse - nemmeno a Potenza. Sta a Roma. Qual è il senso di questa pillola di attualità parallela al processo di Sarah Scazzi ed inserita in un contesto apparentemente alieno? Il senso da cogliere è che mai nulla è come appare. Il rovescio della medaglia è sempre bene esaminarlo. Mai soffermarsi alle apparenze, specie se mostrate da giornalisti e magistrati interessati.
SOSPENSIONE UDIENZE. PAUSA ESTIVA: 31 LUGLIO - 15 SETTEMBRE
Nelle more della pausa estiva del processo si coglie l’occasione per parlare della cornice in cui il giudizio stesso si svolge. Territorio, personaggi, eventi sono esemplificativi per rendere l’idea di un fatto che coinvolge emotivamente tutta una nazione. La giustizia a Taranto non può esser estrapolata da una realtà emblematica, che comunque il profano deve conoscere. Non si possono sputare opinioni, se non si conosce il contesto in cui i fatti si formano e, spesso, si raccontano, simulandoli e dissimulandoli. Si tenga sempre presente: mai nulla è, come appare!!!
Spending review, accorpamento delle province di Taranto e Brindisi. Avetrana vuole Lecce. La gente di Avetrana si mobilita per cambiare provincia, stante e sotteso l’inerzia delle istituzioni avetranesi che sono restie a cogliere l'occasione che offre l’art. 17, 3°comma, della legge 135/2012 detta Spending review in tema di riordino delle province. E dire che proprio il Comune di Avetrana ha aderito al progetto della “Regione Salento”. Da sempre Avetrana si sente salentina, perché lo è per la storia, le tradizioni, gli usi, i costumi, il dialetto. Inoltre per ragioni di opportunità l’occasione va colta, affinchè ci si smarchi dalla supremazia delle strutture politiche, economiche e sociali di Taranto ed ancor più dall’egemonia politica di Manduria per dirimere una volta per tutte la questione sulla competenza territoriale delle zone marine viciniori ad Avetrana e la spinosa vicenda del depuratore consortile che proprio Manduria ha voluto sulla spiaggia prospiciente Avetrana. Per questo motivo, su iniziativa dell’avv. Mirko Giangrande, presidente dell’associazione “Pro Specchiarica” e vice presidente nazionale della “Associazione Contro Tutte le Mafie” e di “Tele Web Italia”, gran parte della società civile di Avetrana, con le sue associazioni più rappresentative, il 16 settembre 2012 si riunisce per approntare una lettera indirizzata al presidente del Consiglio comunale di Avetrana, affinchè lo stesso convochi un Consiglio Comunale monotematico necessario ed urgente, ai sensi dello Statuto comunale, ed ivi avviare una discussione sull’opportunità del passaggio dalla provincia di Taranto a quella di Lecce ed approntare una presa d’atto sul da farsi e se del caso, con le risultanze argomentali positive, inviare l’ipotesi d’intenti alla regione Puglia entro il 2 ottobre, ossia nei ristretti termini stabiliti dalla legge ed obbligati dall’inerzia istituzionale e politica comunale. Il Consiglio Comunale si deve assumere la responsabilità di una decisione storica, qualunque essa sia. Le ipotesi e le proposte di riordino delle province di Taranto e Brindisi devono tener conto dell’iniziativa comunale avetranese volta a modificare le circoscrizioni provinciali esistenti e comunque l’iter procedurale della stessa proposta del comune di Avetrana non potrà concludersi se non sentiti tutti i cittadini avetranesi invitati ad esprimersi tramite un referendum da indire successivamente. Molti Avetranesi pensano che è meglio contare uno tra i cento comuni leccesi e sentirsi in casa propria, che contare niente sui pochi comuni tarantini e sentirsi abbandonati da una città, Taranto, che da sempre con la sua politica, la sua burocrazia ed i suoi media si è dimostrata egocentrica e disinteressata alla sua provincia.
Sprechi, tagli sui servizi, disservizi e solita partigianeria. Regione Puglia, Lazio, Sicilia e tutte le altre. Per favore non chiamatele Mafia. «Un certo tipo di giornalismo, che va per la maggiore, produce un certo tipo di politica imperante. Questi promuovono un certo tipo di antimafia monopolista: di parte e di facciata. - spiega il dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” www.controtuttelemafie.it , scrittore dissidente che proprio sul tema della mafia e della mala politica e della mala amministrazione ha scritto dei libri, tra i tanti libri scritti dallo stesso autore e pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. - I soliti giornalisti promuovono ed i soliti politici finanziano iniziative della solita antimafia monopolista. Iniziative volte a dare un’immagine della mafia come la manovalanza del crimine organizzato. Per loro la mafia deve essere il cafone analfabeta con la lupara in mano che chiede soldi a strozzo o denaro in cambio di sicurezza. Come dire: affidati allo Stato che con i soldi estorti con le tasse esso sì ti presta i soldi e ti assicura benessere, istruzione, cultura, salute, giustizia e sicurezza (sic). Invece per me la mafia siamo tutti noi: omertosi, emulatori, collusi e codardi. Questo tipo di giornalismo e questo tipo di antimafia, che addita gli avversari politici o la manovalanza criminale come mafiosi, è foraggiato da questo tipo di politica, spesso regionale. Ed è foraggiato con i nostri soldi estorti con le tasse. Invece di denunciare lo sperpero di denaro pubblico per amicarsi un certo sistema d’informazione ed un discutibile sistema antimafia, ai consiglieri ed agli assessori regionali si dà la colpa di dilapidare i nostri soldi. Ed i cittadini lì ad imprecare. Però si fa finta di non sapere che quei soldi, di cui a volte facciamo finta di chieder conto, non sono altro che quelli usati (per voto di scambio) per attirare favori e benevolenza da parte di quell’elettorato, che oggi è indignato. Quei soldi servono per comprare il consenso per la rielezione di quei politici che oggi si manda all’inferno. Fa niente se per mantenere lor signori si chiudono ospedali e tribunali. Ma tanto per il sistema tutto ciò non è racket, anche perché è omertosamente taciuto. Sulle emittenti tv vi sono sempre servizi di parte, se non servizi che raccontano altre realtà (su Studio Aperto alle 12.47 circa di tutti i giorni vi è un servizio sulla famiglia reale inglese). Certo che a fare vera informazione si rischia l’oscuramento del portale web o la galera (ma solo per il direttore de “Il Giornale”, Alessandro Sallusti, vi è stato il polverone). Anche di questo una certa politica si deve fare carico. Sul nostro canale Youtube MALAGIUSTIZIA abbiamo dovuto montare e produrre un video sugli scandali alle Regioni. Un video tratto da servizi caricati sul web dal TG3, dal 884c25tv e dal TRnews di Tele Rama. Un video che è bene far vedere a tutti perché si dimostra che tutte le regioni sono uguali. Spezzoni video di tv anche locali. Vi è anche una parte riferita alla Regione Puglia di Nicola Vendola (dispensatore di sogni e di speranze), affinchè ci si renda conto con che tipo di informazione e di antimafia e di politica il cittadino si deve confrontare e che con questo sistema informativo è dura debellare.»
PUGLIA. QUELLO CHE NON SI OSA DIRE. Regione-cuccagna: la Puglia è la capitale degli sprechi di Stato. Caso Frisullo, scandalo Mele e spese di Introna: breve viaggio in Puglia, l'impero degli sprechi raccontato da Franco Bechis su “Libero Quotidiano”. Per tutti gli italiani andare in pensione è diventato un calvario. Qui no: puoi ancora ritirarti a 55 anni avendo versato contributi solo per cinque anni. E l’assegno mensile anche così supera i tremila euro al mese, perché invece di essere tagliato come è avvenuto nel resto di Italia, viene periodicamente rivalutato. Dopo nemmeno un anno di lavoro puoi chiedere l’anticipo del Tfr, e fino a quando non hai raggiunto l’80% del dovuto puoi chiederlo anche l’anno dopo, e l’anno dopo ancora. Qui il numero uno può andare in giro su un’auto di lusso straniera tremila di cilindrata, e al suo vice è concessa una duemila di cilindrata con tutti i comfort, anche se c’è una legge che dice che sopra i 1.600 cc non si può salire. Benvenuti in Puglia, nel regno di Nichi Vendola, nel cuore di quel consiglio regionale che oggi è il paese della cuccagna della Casta. Qui tutto è ancora possibile, e se non ci fossero delibere, timbri amministrativi, stanziamenti effettivi, ci sarebbe da non credere ai propri occhi. Accadono cose nel cuore della politica pugliese che nemmeno la più fervida fantasia avrebbe immaginato esistere in Sicilia, la tradizionale patria di tutti i mali della spesa pubblica, del privilegio dei satrapi. In Puglia qualsiasi cosa è concessa. Tutto - anche quello che non pensavi possibile - diventa realtà. Grazie allo status di consigliere regionale possono rifarsi una vita politici che ne hanno combinata più di una e sono stati triturati dalle cronache. Prendiamo Sandro Frisullo, il luogotenente di Massimo D’Alema in zona, finito in carcere per l’inchiesta su soldi e donne elargiti da Giampaolo Tarantini. Per lui la carriera politica si è dovuta chiudere, ma la Regione gli ha consentito di ripartire grazie a bei mattoncini per rifarsi una seconda vita. Prima gli ha consegnato un assegno di fine mandato da 388.992,96 euro. Il 13 luglio 2010 ha chiesto e ottenuto di andare in pensione anticipata a 55 anni e gli è stato concesso. Da allora percepisce ogni mese dalla Regione un assegno da 10.071,80 euro lordi. Non sarebbe mai accaduto in un altro posto. Ma almeno Frisullo era stato consigliere regionale ininterrottamente dal 1995 al 2010: 15 anni. L’8 marzo di quest’anno la domanda di pensione anticipata appena compiuto il cinquantacinquesimo anno di età è giunta da un altro ex consigliere regionale: Cosimo Mele. Era deputato dell’Udc quando finì nei guai per una notte in albergo in via Veneto con due donne - una delle quali finì all’ospedale per overdose di cocaina. Mele fu mandato a processo, e il leader del suo partito gli impose le dimissioni da deputato. Fu però consigliere regionale per tutti i 5 anni della precedente legislatura (2000-2005). Solo quelli aveva alle spalle, così il suo assegno previdenziale è per forza ridotto: 3.403,82 euro lordi al mese che gli vengono corrisposti dal consiglio regionale dal primo aprile scorso. Non lo farà diventare ricco, certo. Bisogna però provare a raccontare agli italiani comuni che con il governo di Mario Monti e la stretta pensionistica di Elsa Fornero in vigore, c’è un Mele in Puglia che può andare in pensione a 55 anni, avendone lavorati solo cinque, con 3.403,82 euro lordi di pensione. I due nomi citati sono i più noti alle cronache nere nazionali, ma in Puglia sono a decine gli ex consiglieri che negli ultimi due anni sono andati in pensione prima dei 60 anni con emolumenti mensili di tutto rispetto (il più basso è quello di Mele). Non è una eccezione: è la regola. Per altro mentre le leggi nazionali in piena crisi economica dicevano tutt’altro e perfino i deputati e senatori tiravano la cinghia si tagliavano gli stipendi e i rimborsi spese, nel regno di Vendola è accaduto l’esatto opposto. I vitalizi sono stati ritenuti esenti dai tagli, e il loro importo è stato periodicamente rivalutato. Che le leggi in Puglia vadano in controtendenza, è evidente perfino dal ruolino delle cause davanti alla Corte Costituzionale. Due vedono contrapposti Vendola e il presidente del Consiglio, Mario Monti. La prima nasce dal fatto che quando la legge nazionale ha deciso di ridurre i consiglieri regionali, in Puglia si è fatto un taglietto, scendendo a 60, dieci in più del tetto imposto agli altri. E il governo ha fatto loro causa. La seconda diatriba nasce da una legge di Giulio Tremonti che riduceva la spesa per consulenze e collaboratori. Anche la Puglia si è adeguata, ma non per tutti. Vendola ha escluso dalla scure proprio i suoi collaboratori, e così è stato citato prima da Berlusconi e poi da Monti di fronte alla Corte costituzionale. Per capire come l’andazzo da queste parti sia di tutto altro tenore, tanto da trasformarsi nel paradiso della Casta, basta dare un’occhiata agli stanziamenti amministrativi che riguardano il presidente del consiglio regionale, Onofrio Introna, compagno di partito di Vendola in Sel. Quando si è insediato gli hanno messo a disposizione una Bmw. Lui ha voluto cambiare, preferendo una Audi A6 tremila di cilindrata. Siccome la Consip non ce l’aveva, ha costretto gli uffici della Regione a una trattativa privata con un noleggiatore del posto. Intanto che c’era, ha fatto prendere altre due Audi A6, però duemila di cilindrata, destinate al vicepresidente del consiglio regionale (Nicola Marmo, Pdl) e a un consigliere segretario. Non bastava l’auto di lusso. Quando Introna è nel suo bell’ufficio in Regione, che fa? Sicuramente scrive ad amici ed elettori. Perché ha chiesto e ottenuto una delibera amministrativa per la fornitura di carta intestata, buste e suppellettili a suo uso, indicandone anche i produttori prescelti: «500 buste shoppers della ditta Paperstore di Gravina di Puglia; n. 3mila fogli di carta intestata /Il Presidente/ e n. 3mila cartoncini formato americano intestati /Il Presidente/ della ditta Ragusa Tipografia di Bari; n. 70 cornici con riproduzione stemma Consiglio - lastra in argento - in vari formati, dalla ditta Braganti Antonio di Milano; n. 60 prodotti in terracotta artigianali /La nostra Terra/ dalla ditta Gallo Maria di Rutigliano (Ba)». Non si può dire che Introna non avesse idee sicure. Ma quando ha finito di scrivere? Nessun problema. Ha chiesto e ottenuto un abbonamento Sky che avesse dentro tutto, ma proprio tutto: partite di calcio, cinema, Hd, possibilità di registrare, perfino il pacchetto per le famiglie. Il primo anno valeva 65 euro al mese. Il secondo è lievitato a 1.800 euro anno, chissà perché. Visto che l’andazzo era quello, anche il vicepresidente Marmo non ha voluto esser da meno. Quando ha preso possesso del suo ufficio, ha deciso che i mobili erano «deteriorati e fatiscenti». E come il dirigente amministrativo ha voluto scrivere nella delibera di spesa, per coprirsi le spalle «considerato che lo stesso Vicepresidente ha fortemente insistito per la sostituzione degli arredi con quelli realizzati dalla ditta Fantoni», sono stati stanziati per la bisogna 9.513,60 euro. Con un clima così, ognuno ha abbandonato qualsiasi ritegno. In pieno scandalo Luigi Lusi il 10 maggio scorso la Regione Puglia ha pagato alla società di riscossione crediti Credit Tech una fattura Telecom da 403,3 euro protestata al vecchio gruppo consiliare della Margherita. L’aveva girata alla amministrazione l’ex presidente del gruppo, Francesco Ognissanti, dopo avere controllato sul vecchio conto corrente locale del partito: «Ha ragione Telecom», ha spiegato Ognissanti agli uffici amministrativi della Regione, «ho controllato sul nostro conto del Banco di Napoli e noi quella bolletta non l’abbiamo mai pagata. Potete tranquillamente pagarla voi». E la Regione Puglia di Vendola, che quando si tratta della Casta ha un cuore grande come un melone, ha pagato il debito della Margherita senza battere ciglio.
PUGLIA. Regione-avvelenata: la Puglia è la capitale dell'inquinamento.
Una regione avvelenata, secondo l’inchiesta di Emiliano Fittipaldi su “L’Espresso”. Non c'è solo l'Ilva: i siti considerati pericolosi sono quasi 500. E tre sono nella lista nera d'Europa. Un disastro che uccide l'economia, ma soprattutto le persone. Se Taranto è il centro dell'inferno e l'Ilva la bocca di Satana, anche il resto della Puglia non se la passa bene. Inquinamento alle stelle, emissioni di CO2 da record, tracce di diossina nel latte materno, incidenza di tumori troppo alta vicino ai poli industriali: la regione dei trulli è il tacco nero d'Italia, il luogo dove sorgono le fabbriche più inquinanti del Belpaese. L'Agenzia europea dell'Ambiente lo scorso anno ha stilato una classifica delle industrie più "sporche" del Vecchio Continente. Nelle prime cento posizioni ci sono cinque fabbriche italiane. Tre sono in Puglia e due in Sardegna. Se l'Ilva di Taranto è cinquantaduesima, la centrale termoelettrica dell'Enel di Brindisi è piazzata addirittura al diciottesimo posto, mentre l'altra centrale di Taranto (sempre dell'Enel) è all'ottantesimo posto. Non è tutto: secondo gli studi dell'Arpa tra Foggia e Santa Maria di Leuca si contano centinaia di altri siti potenzialmente pericolosi. In tutto sono 498, di cui 70 di origine industriale, 145 discariche, 11 luoghi a rischio contaminazioni da amianto. «Non stupisce», chiosa Annibale Biggeri, epidemiologo, professore ordinario a Firenze e perito del gip di Taranto che ha ordinato il sequestro dell'Ilva, «che in alcune zone della Puglia i dati epidemiologici siano così allarmanti». Taranto è il caso più devastante. Lo studio "Sentieri" ha definito la zona vicino l'Ilva«area insalubre», e la procura ha deciso - dopo anni di inedia da parte di istituzioni locali e nazionali - di intervenire bloccando la produzione. Il Gruppo Riva, oggi nel mirino dei magistrati, ha comprato il sito alla fine degli anni '90 e ha inquinato allegramente per quindici anni l'aria e il mare della città, ma sono almeno tre decadi che gli esperti degli istituti di ricerca andavano spiegando dei pericoli mortali dell'acciaieria più grande d'Italia. «A Taranto in 13 anni di osservazioni, che vanno dal 1998 al 2010», ricorda Biggieri, «sono attribuibili alle emissioni industriali (misurate come polveri sottili) ben 386 decessi. Circa 30 l'anno. Un eccidio». A settanta chilometri dall'Ilva, a Brindisi, c'è un altro dei siti d'interesse nazionale (Sin) che fa tremare gli esperti. Comprende la zona industriale della città, il porto e una fascia costiera che si estende per oltre 30 chilometri quadri. Qui sorge la Syndial, la Polimeri europa, l'Enipower, la Powerco, senza dimenticare le due enormi centrali dell'Enel, campioni nazionali nell'emissione di CO2. Gli studi in mano agli scienziati sono scioccanti. La mortalità per l'area di Brindisi è stata analizzata nel periodo 1990-1994, quando vennero segnalati eccessi di mortalità per tutte le cause e per tutti i tipi di tumore. Un report più recente, pubblicato nel 2004, riguardò l'area residenziale vicino al petrolchimico: i risultati evidenziarono un incremento «moderato» nel rischio di mortalità per tumore del polmone, della vescica e del sistema linfoematopoietico per chi risiedeva in un raggio di due chilometri dalle industrie inquinanti. L'Arpa recentemente ha effettuato nuovi rilievi del suolo e delle falde acquifere, trovando di tutto: l'arsenico supera i limiti del 63 per cento, lo stagno del 42, il mercurio del 14, ci sono troppi idrocarburi, composti cancerogeni di vario tipo, clorobenzeni. Nello studio "Sentieri" gli esperti ricordano pure la presenza massiccia di amianto, che potrebbe aver causato«l'eccesso di mortalità per tumore alla pleura», e le troppe malformazioni congenite presenti a Brindisi. Il ministero dell'Ambiente, nella conferenza di servizi del marzo 2011, ha chiesto al Comune di presentare un progetto di bonifica della zona, e di fare rapidamente gli interventi di messa in sicurezza d'emergenza delle acque di falda. Chissà a che punto stanno i lavori. Di sicuro la commissione bicamerale d'inchiesta, che ha pubblicato lo scorso giugno una relazione sulla situazione pugliese in tema di illeciti e criminalità ambientale, sul tema delle bonifiche ha bacchettato l'amministrazione guidata da Nichi Vendola, rea di essere troppo lenta negli interventi di pulizia. «Il piano di stralcio delle bonifiche (pubblicato nel bollettino ufficiale del 9 agosto 2011, ndr) non riporta né una definizione degli interventi prioritari né un quadro chiaro dei meccanismi di finanziamento degli stessi». L'unica eccezione positiva, nota il Parlamento, è il sito inquinato di Manfredonia. Qui, grazie alla «spinta propulsiva» di una procedura d'infrazione della Comunità europea (che avrebbe portato a pagare multe da centinaia di migliaia di euro al giorno) la Regione ha investito una quarantina di milioni ed ha bonificato tre discariche pubbliche che aspettavano di essere pulite da 13 anni. La situazione in città è migliorata, ma c'è ancora molto da fare. Innanzitutto nell'area della Syndial (Ex Enichem), che nel 1976 finì sulle prime pagine dei giornali per un'esplosione che provocò una nube tossica di arsenico. Dieci tonnellate di veleni caddero sotto forma di polveri, come ricorda la commissione bicamerale, «nei pressi dello stabilimento e fino all'estrema periferia» di Manfredonia, ricoprendo i tetti delle case, le strade, i campi e i giardini. Uno studio ha segnalato per la città - per quanto riguarda la mortalità- trend temporali in crescita per tutti i tumori. «Su quell'evento bisognerebbe indagare meglio: è un incidente tipo Seveso, non si sa cosa sia davvero successo alla salute delle persone, i possibili danni di chi fu esposto dovrebbero essere studiati con maggiore cura», ragiona Biggeri. Il quarto sito di interesse nazionale è quello di Bari, area Fibronit. Qui l'assassino è l'amianto, che ha ucciso negli anni (per asbestosi, tumori e malattie dell'apparato respiratorio) centinaia di persone, gli operai che andavano al lavoro, le mogli che venivano in contatto con le polveri nascoste nelle tute da lavoro, i figli che le respiravano. Nella zona, sostengono gli scienziati, c'è ancora un eccesso di malattie. La fabbrica ha chiuso da lustri, ma incredibilmente ci sono ancora migliaia di metri quadri da bonificare, con residui di eternit che rischiano di far ammalare, oggi, gli abitanti dei quartieri vicini: solo a Japigia vivono oltre 50 mila persone. Lo studio "Sentieri" dà alcuni suggerimenti: «Considerata la particolare complessità della città di Bari (ambiente urbano, area portuale, altri insediamenti produttivi) si ritiene opportuna una caratterizzazione ambientale più ampia, e un approfondimento del quadro di salute della popolazione». I biomonitoraggi, però, costano caro, e i loro risultati non sempre piacciono ai politici. Le bonifiche sono operazioni complesse e richiedono enormi sforzi economici: è impossibile fare una stima precisa, ma di sicuro mettere in sicurezza i quattro Sin pugliesi non costerebbe meno di una decina di miliardi di euro. Soldi che nessuno (né il pubblico né tantomeno i privati) ha mai voluto investire. La commissione bicamerale alza il dito anche contro la gestione commissariale in tema di rifiuti e bonifiche. «In Puglia come in altre regioni ha prodotto scarsi risultati, dal momento che il primo censimento dei siti contaminati è stato pubblicato nel 1994 dall'Enea, e quindi da allora si aveva contezza dello stato di degrado ambientale del territorio». Un disastro che ammazza anche l'economia: se i mancati investimenti dovuti all'inquinamento pesano sul Pil regionale per centinaia di milioni di euro l'anno (nel 2006 uno studio della Ue quantificò un costo annuale per le mancate bonifiche in un range che andava, per quanto riguarda l'Italia, tra i 2,4 e i 17,3 miliardi di euro), i veleni hanno penalizzato anche l'agricoltura, «martoriata», scrive la Commissione, «dalle emissioni industriali degli insediamenti di Brindisi e Taranto e dallo sversamento illegale di rifiuti». La commissione non risparmia nessuno, e se la prende anche con il ministero dell'Ambiente, che non avrebbe mai emanato il regolamento relativo agli interventi di bonifica. In assenza di norme precise, ogni situazione viene gestita «caso per caso, rendendo di fatto inefficaci le richieste di intervento». Senza un quadro normativo di riferimento, in pratica, tutto è demandato ai Tar. Che, in caso di ricorso, possono bloccare il lavoro di bonifica. Come è capitato alla Fibronit di Bari: il Comune voleva trasformare l'area in un parco cittadino dedicato alle vittime dell'amianto, il Tar ha bocciato il progetto, i lavori sono stati bloccati e i veleni sono rimasti a terra.
TARANTO, QUELLO CHE NON SI OSA DIRE
L’acciaieria di Taranto e il groviglio tra diritto alla salute e diritto al lavoro si sta dimostrando l’ennesimo capitolo della sfida lanciata dalla magistratura alla politica nell’ultimo ventennio, apertosi con la stagione di Mani pulite e segnato dalla «berlusconeide» giudiziaria. In ossequio a un rispetto formalistico della legge, le toghe di Taranto stanno chiudendo uno stabilimento che dà lavoro – diretto e nell’indotto – a 20mila persone: significa togliere l’ossigeno ad una città ed alla sua provincia e danneggiare l’intero Paese. La tutela della salute e dell’ambiente è un bene, (certo non lo spirito di protagonismo di certi ambientalisti), ma occorre perseguirlo nel modo più adeguato, cioè tenendo conto di tutti i fattori in gioco: spegnere un altoforno è un danno irreparabile, mentre – se esiste la volontà di farlo – si possono trovare soluzioni ragionevoli e graduali per mettere in sicurezza gli impianti senza comprometterne il futuro. Come per esempio costringere la proprietà a risarcire i danni causati, anche per patema d’animo, tanto da costringerli a sanificare le fonti d’inquinamento. La magistratura non vuole sentire ragione. Così è scesa in campo la politica: i leader della maggioranza sono compatti, specie del PD (non dimentichiamo che il presidente Ilva, l’ex prefetto Bruno Ferrante, fu candidato del centrosinistra a sindaco di Milano), il governo ha annunciato ricorsi alla Consulta, i ministeri valuteranno la legittimità dei provvedimenti. C’è anche l’appoggio dei sindacati. Per vent’anni una gran parte della politica si è trincerata dietro la magistratura per nascondere la propria incapacità e, soprattutto, per eliminare il grande nemico Silvio Berlusconi. Il quale è stato lasciato solo nel denunciare lo strapotere delle toghe, e questa sua battaglia è stata raccontata come difesa del proprio interesse. Forse a ragione, ma lo strapotere e il delirio di onnipotenza delle toghe rimane. Onnipotenza mal riposta tenuto conto del concorso truccato di abilitazione. Ora lo scenario politico è mutato, ma la magistratura non ha allentato la morsa: indagini su nuovi ministri e sottosegretari, intercettazioni sul capo dello stato, infine la sfida dell’Ilva. Improvvisamente Bersani, la Camusso, Vendola, Napolitano, Casini, i tecnici al governo, i poteri forti che li spalleggiano, scoprono che è stato un errore consegnare ai giudici le chiavi del Paese. E reagiscono: giustamente, ma un po’ ipocritamente. Spero che questo risveglio non sia tardivo. La politica assomiglia molto all’altoforno di Taranto: una volta spento, è impresa titanica (e costosissima) riaccenderlo. Difficilissimo sarà riprendere lo spazio colpevolmente ceduto alle procure in nome di interessi di bottega antiberlusconiani: sì, interessi, e qui nessuno ne evoca i «conflitti».
"L’Ilva sta chiudendo, il Taranto è fallito e neanche la birra Raffo si sente molto bene”. Parafrasa Woody Allen lo scrittore Giuliano Pavone, tarantino trapiantato a Milano che ha raccontato con ironia le varie anime della sua città d’origine nel romanzo “L’eroe dei due mari” (Marsilio). I ministri che si sono trovati a Taranto hanno trovato infatti una città in crisi d’identità. Il famigerato caso Ilva viene percepito come culmine di un progressivo smottamento delle certezze dei tarantini: la produzione di cozze è fortemente limitata dall’inquinamento marittimo; la squadra di calcio è fallita; la birra locale resiste sugli scaffali da quasi cent’anni ma, nonostante il recente inserimento nel logo dell’eroe eponimo Taras, l’acquisizione del marchio da parte della Peroni e la chiusura dello stabilimento cittadino sembrano ancora una ferita aperta. Dai giornali traspare l’immagine di una città tramortita e spaccata, in cui c’è chi protesta contro il sequestro dell’Ilva e chi protesta a favore. “Questa però è in buona parte una forzatura mediatica”, precisa Pavone. “Al contrario, credo che un aspetto positivo di questa vicenda sia proprio il necessario abbandono di certi opposti estremismi e il riavvicinamento dei due schieramenti: gli ambientalisti sono solidali con gli operai e questi ultimi non dimenticano mai di spendere una parola per l’ambiente. Questa ragionevolezza è per certi versi sorprendente, considerando l’estrema delicatezza della situazione, e credo che vada sottolineata in positivo”, dichiara ad Antonio Gurrado sul "Foglio". “D’altra parte è inevitabile: credo che in ogni famiglia ci sia un lavoratore dell’Ilva e contemporaneamente ogni famiglia sconta in qualche modo i danni che la grande industria porta con sé”. Meno ottimista, o più ottimista a seconda della prospettiva, è l’autore Maurizio Cotrona, ministeriale tarantino a Roma e collaboratore del webmagazine Bombacarta fondato da padre Antonio Spadaro. Nel suo romanzo “Malafede” (Lantana) Taranto è un lontano ricordo del protagonista, una specie di male necessario da frequentare il meno possibile. “L’Ilva è stata un alibi extralarge per i tarantini”, dice Cotrona al Foglio. “Negli ultimi trent’anni questo gigante siderurgico ha ridotto all’osso la possibilità di usare un margine di crescita con concretezza, fantasia ed entusiasmo”. Quindi, se l’Ilva sparisse con un colpo di bacchetta magico-giudiziaria, sarebbe meglio? “Personalmente respiro meglio solo all’idea. Superata la monocoltura dell’acciaio, Taranto potrà finalmente resistere alla tentazione dello scetticismo e cercare di darsi una dimensione sostenibile con un mix economico fatto di turismo, mitilicoltura, terziario avanzato e di molte altre cose che oggi non riusciamo nemmeno a immaginare”. Non è del tutto d'accordo Cosimo Argentina. Tarantino anche lui, professore in Brianza da vent’anni, nei suoi romanzi ha descritto una Taranto infernale e celiniana, un buco nero che divora anche chi è riuscito a trasferirsi altrove. In tempi non sospetti, Argentina ha dedicato all’Ilva il suo ultimo romanzo “Vicolo dell’acciaio” (Fandango). “Io stesso sono un prodotto del siderurgico perché mio padre lavorava all’Italsider”, rivela al Foglio. “Se l’Ilva non ci fosse più verrebbe fuori una nuova generazione non solo impoverita ma anche costretta a reinventarsi, con vantaggi e svantaggi: basta pensare alla parte di tessuto sociale estraneo alla fabbrica ma che da decenni si appoggia sulle commesse industriali. Il fatto è che, quando ci lavorava mio padre, decine di migliaia di famiglie campavano con l’Italsider mentre oggi sono molte meno; e soprattutto, indipendentemente dalla magistratura, prima o poi si arriverà a una chiusura dettata dalla concorrenza globale. L’acciaio dell’Ilva presto sarà improduttivo a fronte dei competitori extraeuropei, e il benessere creato dall’industrializzazione verrebbe meno comunque”. La questione centrale sembra essere proprio l'identità cittadina. Oggi Taranto ha più di 200.000 abitanti, spiega Cotrona, “ma dopo un decennio di smottamenti riscoprirà la voglia di essere una bella piccola città, da 70-80.000 abitanti, com’era prima dell’arrivo del Leviatano”. Argentina concorda: “Senza Ilva i tarantini dovrebbero riambientarsi in una città diversa, più piccola, riscoprendone la vocazione iniziale ossia la pesca, la Marina Militare”. Il discorso però, secondo Argentina, deve necessariamente trascendere l’Ilva: “Oltre al siderurgico e alla marina, a Taranto ci sono l’Eni e la Cementir, ma c’è anche un alto tasso di disoccupazione. Evidentemente qualcosa non quadra nel sistema: la grande industria non ha consentito lo sviluppo del microtessuto sociale, come invece è stato possibile nel Salento che qualche decennio fa era molto più arretrato di noi. Oggi invece il Salento brulica di turisti italiani e stranieri mentre gli stabilimenti della costa tarantina sono semivuoti. L’eventuale turista si domanda: perché dovrei andare in vacanza nella Manchester d’Italia?”. Rincara Pavone: “Anche se l’Ilva non chiudesse, Taranto dovrebbe comunque pensare a un’alternativa: è da decenni che il siderurgico non riesce a sopperire alla crisi occupazionale, e dai cittadini l’Ilva viene percepita più come ‘posto’ che come effettivo elemento di identificazione”. Fatte le debite proporzioni, non è peregrino azzardare un parallelo fra il caso Ilva e la vicenda pirandelliana della squadra del Taranto, attorno alla quale – negli anni gloriosi e tragici di Erasmo Iacovone, il cannoniere morto in un incidente stradale nel 1978 – si era orgogliosamente cementata l’identità cittadina. Nell'estate 2012 il Taranto è passato dalla mancata vittoria del campionato di Prima Divisione (l’ex C1) ai festeggiamenti per un ripescaggio in serie B rivelatosi poi uno scherzo di dubbio gusto, e infine al fallimento della società che a settembre ripartirà dai Dilettanti: un’altalena fra illusione e delusione che ricorda l’atteggiamento ambivalente dei tarantini nei confronti del siderurgico, foriero di lavoro e degrado, benessere e malattia al tempo stesso. “Però mi piacerebbe pensare che il parallelismo vada fatto con le modalità che hanno portato alla rinascita del club piuttosto che al fallimento”, argomenta Pavone. “I tifosi hanno dato vita a un’associazione di promozione sociale, la Fondazione Taras 706 a.C., che ha creato la nuova società sportiva lavorando con istituzioni e imprenditoria perché si arrivasse entro il tempo limite all’iscrizione in serie D, evitando la scomparsa del club. Il nuovo Taranto è la prima squadra di calcio in Italia fondata dai suoi tifosi. Nella realtà tarantina, storicamente caratterizzata da inerzia e individualismo, quest’esperienza di democrazia partecipata fa ben sperare”. Sarà possibile esportare sull'Ilva il modello calcistico, con una sinergia fra popolazione, istituzioni e impresa? Argentina è scettico: “Non so, ho fatto un recente giro delle associazioni culturali e civiche, giornali locali eccetera, e ognuna sembrava convinta di essere l’unica ad agire bene in città. E poi la nuova squadra del Taranto è improvvisata, ha prospettive abbastanza nere: non si vincono le partite solo col blasone e col nome di una squadra che è stata dodici anni di fila in B. Questo è indubbiamente un tratto comune fra calcio e industria”, dice al Foglio. “E poi l’Ilva, la squadra e la città hanno un nesso originario, una specie di maledizione: è come se il tarantino dovesse sempre pagare un conto più salato degli altri per quello che ottiene. Il presidente del Taranto che ha investito di più è lo stesso che l’ha portato al fallimento. Per cinquant’anni l’industrializzazione ha arrecato una specie di benessere però inscindibile dall’inquinamento. Entusiasmo e declino simultanei sembrano scritti nel destino della città e sono legati a un immobilismo, questo sì molto tarantino, che trascina con sé l’assenza di coesione”. La storia recente ha dunque fatto di Taranto una città contraddittoria, dai facili entusiasmi e dagli altrettanto facili scoramenti. Nel suo romanzo Pavone narra la parabola di Luis Cristaldi, il campione più forte della Serie A che fa voto di giocare una stagione in riva allo Ionio. La città intera gli si affida ciecamente, tanto che qualcuno scrive su un muro: “Cristaldi fa’ tu”; ma quando le cose volgono al peggio, una mano anonima trasforma la scritta in “Cristaldi fangù”. Chissà se può valere anche come metafora per l’Ilva. Pavone, se non altro, intravede una nota di speranza, ritenendo che l’affaire giudiziario possa paradossalmente ricompattare la città: “La spaccatura maggiore in realtà è fra chi tifa per la chiusura e chi invece crede che lavoro e ambiente possano essere conciliabili. Ormai però quasi tutti i tarantini sono consapevoli che stavolta o si vince o si perde tutti insieme”. Vedremo.
Appunto. E di cosa dovrebbero tener conto i tarantini se per decenni nessuno ha osato fermare lo scempio ambientale chiudendo occhi, turandosi il naso e tappandosi le orecchie? Oggi non esiste neppure una giunta comunale in carica degna di tale nome (stendiamo un velo pietoso) e il Consiglio è un’arma spuntata. Il 12 luglio del 1982 un giovane pretore, il dott.Franco Sebastio, condannò il vertice dell’Italsider per getto di polveri; anche l’allora sindaco Cannata ritirò la costituzione di parte civile del Comune (toh!); successivamente ci furono altre cinque sentenze penali tutte con condanne definitive: questi sono i fatti. Sono passati 30 anni: cos’è cambiato? Niente. Si veda la questione risarcimento Ilva in virtù della condanna in Cassazione dei vertici del siderurgico, di condanna per reati ambientali del 2005. Lo è soprattutto per ciò che concerne la volontà del Comune di Taranto. Solo a fine agosto 2012 il dirigente dell’ufficio avvocatura e affari legali del Comune di Taranto, Alessandro De Roma, ha firmato una determina che da una scossa alla vicenda dopo mesi di tentennamenti e di ambigui silenzi da parte dell’organo politico che amministra Palazzo di Città (in primis del sindaco Stefàno). Un passaggio tecnico, nulla più, ma dalla valenza non trascurabile. Con la determina 377 il Comune ha affidato all’avvocato Angela Maria Buccoliero l’incarico di vagliare come l’ente civico possa inserirsi nell’azione popolare promossa da Nicola Russo. Il responsabile di Taranto Futura, lo scorso 17 febbraio, avviò l’azione legale, dinanzi al tribunale di Taranto, chiedendo al giudice di condannare Emilio Riva e Luigi Capogrosso, rispettivamente amministratore delegato e legale rappresentante dello stabilimento Ilva spa negli anni presi in considerazione dalla condanna del 2005, al risarcimento dei danni subìti dai comuni di Taranto, di Statte e dalla Provincia di Taranto nella misura equitativa di 4 miliardi di euro (ad ente). Nessuna super perizia di parte sul banco del giudice quindi: Russo lasciò al magistrato il compito di indicare la cifra esatta del risarcimento affidandosi eventualmente a esperti indicati dalla stessa Procura. Il compito dell’avvocato Buccoliero adesso è quello di valutare se tale procedimento possa essere inglobato con quello già avviato dall’ente con i provvedimenti dirigenziali 358 e 418 del 2010 attraverso i quali il Comune pose le basi per una ‘autonoma’ richiesta di risarcimento in sede civile. Il percorso che intraprese il Comune fu dettato da un ordine del giorno che, su proposta e pressione del consigliere Mario Laruccia, fu approvato all’unanimità dallo scorso Consiglio Comunale. L’amministrazione, poi, dette mandato ad un esperto per la quantificazione del danno e della relativa richiesta economica. Da allora le dichiarazioni pubbliche del Sindaco sono diventate evasive. E’ giunto ad affermare addirittura che la richiesta risarcitoria è stata superata dalla nuova inchiesta della magistratura per disastro ambientale. “Chiederemo un risarcimento alla fine di quel procedimento”, ha affermato Stefàno in occasione della conferenza stampa sulla sanità promossa dal Pd. Lo stesso giorno in cui De Roma ha firmato la determina. Più passa il tempo, dunque, e più Ippazio Stefàno appare confuso quando affronta questa tematica. Ciò che è evidente però è il tempo perso. Dopo aver dichiarato di voler procedere in via civile a fine ottobre del 2010, ed aver affidato l’incarico per la perizia, è passato un anno e mezzo di assoluto silenzio amministrativo. Fino allo scorso 17 maggio ed alla firma del dirigente. Viene da pensare che l’Ente si sia mosso ora con urgenza perché la prima udienza dell’azione popolare è prevista per il mese di settembre 2012. Attendere quel giorno senza che il Comune avesse quantomeno espresso una posizione avrebbe rappresentato un silenzio difficile da spiegare a chi guarda a Palazzo di Città per ottenere giustizia. Probabilmente il Comune, inserendosi nel procedimento in sostituzione di Nicola Russo, così come prevede la legge, ingloberà la perizia tecnica che da tempo a Palazzo di Città dicono essere pronta ma che non è stata ancora depositata (o perlomeno non ne è stata data notizia). I quattro miliardi richiesti in forma equitativa, dunque, potrebbero lasciare spazio ad una richiesta più circostanziata. Nel concreto non dovrebbe cambiare molto in quanto l’ultima parola comunque spetterà al giudice e, dunque, ad esperti nominati dalla Procura. Non si hanno notizie invece riguardo a cosa voglia fare Angelo Miccoli, il sindaco di Statte. Per quanto riguarda Gianni Florido, invece, bisogna ricordare che a fine 2010, quando fu bloccata la prescrizione, affermò che non avrebbe proceduto con la quantificazione del danno e la causa civile. “Non voglio privare chi verrà dopo di me di uno strumento utile nel rapporto con l’Ilva. Nello stesso tempo procedere ora credo che sarebbe un errore”, affermò il Presidente della Provincia. Non solo. Dalla marcia contro l’inquinamento alla marcia in ordine sparso. Il fronte ambientalista si spacca nel periodo più caldo della vertenza-Ilva. C’è chi chiede prescrizioni più rigide per l’Aia e chi ritiene che l’Autorizzazione integrata ambientale non possa essere concessa a un’azienda sotto sequestro. C’è chi mantiene la linea intransigente e chi utilizza le criticità ambientali di Taranto per fare politica. Chi vuole difendere i bambini dai veleni della fabbrica e chi rivendica la primogenitura delle battaglie in difesa della salute dei cittadini. Chi fonda gruppi su Facebook per sostenere il gip che ha sequestrato gli impianti e chi sogna l’ecocompatibilità. I malumori covavano sotto la cenere da tempo. Poi è uscito allo scoperto Fabio Matacchiera, leader del Fondo Antidiossina onlus e già presidente dell’associazione ambientalista “Caretta Caretta”, che ha sostenuto durante la campagna elettorale per le amministrative il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli, ma ora torna «lupo solitario». Il presidente del Fondo Antidiossina Taranto Onlus, Fabio Matacchiera: «Lascio Bonelli con stima ed amicizia, ma prendo le dovute distanze da Altamarea. Mi duole riscontrare che anche lo stesso movimento di Altamarea, non aderisce più alla linea di chiusura dell’area a caldo e al fermo della produzione, deciso anche dalla Procura che, invece, io ho sempre fortemente sostenuto con chiarezza e determinazione, senza cambiamenti di posizione, riguardo questo fondamentale aspetto. Ragionamento analogo vale per Legambiente che non ha mai sostenuto chiaramente la chiusura della cokeria di Taranto (e tanto meno dell’area a caldo), mentre a Genova Legambiente si è schierata per la chiusura. Infine – ha concluso Matacchiera – sottolineo la mia stretta vicinanza all’amico e collega Alessandro Marescotti di Peacelink con il quale ho sempre condiviso e continuerò a condividere intenti e battaglie». Ambientalisti come quelli di Manduria.
Ma gli ambientalisti Manduriani non sono mafiosi? Ecco il testo completo dell’intervista rilasciata da Niki Vendola al giornalista Francesco Greco del Giornale di Puglia.
D. A Manduria e Sava la accusano di permettere di scaricare a mare le acque non potabilizzate, la fogna nera…
R. “Ci dovrebbero ringraziare perchè potremmo vietare la balneazione su quel litorale. A Manduria c’è la peggiore classe politica che si conosca, non solo, ma c’è anche una sintesi fra ambientalisti e criminalità organizzata. Le altre Regioni hanno i fiumi dove scaricano quelle acque, noi non ne abbiamo: dove dovremmo farle convergere?”.
Poi la rettifica che il direttore responsabile del giornale telematico si è affrettato a render pubblica ha, solo in parte, ristabilito la calma: «La presunta dichiarazione del presidente Vendola non corrisponde alle reali dichiarazioni rese». Certo è che le circostanze impongono una certa rettifica da parte del direttore, ove l'autore rimanga silente. Fa nulla che ci siano o meno le prove del Vendola-pensiero. Le querele promesse, la ritrattazione delle dichiarazioni e cosa più importante: chi si metterebbe contro il potere ed il carisma del presidente Vendola?
Sempre a proposito di Manduria. Un proverbio cinese recita "siediti sulla sponda del fiume ed aspetta che passi il cadavere del tuo nemico".
Che dire delle denunce contro gli amministratori di Manduria. Denunce archiviate dalla Procura di Taranto. Denunce presentate contro l’abbandono della zona costiera e la distrazione dei proventi ici e oneri concessori e contro il concorso truccato di comandante dei vigili urbani con coinvolgimento prefettizio e contro il mancato rilascio della ricevuta da parte dell’Ufficio Protocollo del Comune di Manduria per gli atti consegnati a mano?
Che dire dell’assegnazione e gestione dei beni confiscati alla mafia con coinvolgimento prefettizio, chiaramente favorente “Libera” non iscritta a Taranto e discriminante nei confronti dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, sodalizio nazionale con sede ad Avetrana?
Bene. Quel cadavere sta passando sotto gli occhi di tutti ed ha molti colori: politici si intende!
Intanto ciò che appare è chi è causa del suo mal pianga sè stesso. Questo assioma, però è riferito a Taranto. Conclusa la tornata elettorale del 6 e 7 maggio 2012, analizzando i risultati usciti dalle urne a Taranto si possono trarre le seguenti considerazioni:
il 70,58% degli elettori di Taranto non riconosce Ippazio Stefano sindaco della città;
nei quartieri Tamburi, Città vecchia e Borgo vi è stato un maggiore astensionismo, probabilmente anche a causa di una più alta presenza di anziani. Ciò dovrebbe far riflettere che forse organizzare un servizio di accompagnamento ai seggi elettorali convincerebbe e aiuterebbe questi cittadini ad esprimere il proprio voto per chi deve amministrare la città;
il peso sempre maggiore che i quartieri periferici Paolo VI e Lama/Talsano/San Vito vanno assumendo rende necessario per chi intende proporsi a guida della città un’attenzione maggiore per la soluzione dei loro problemi. Sarebbe comunque utile fermare questa espansione verso le periferie che comportano dei costi sempre più crescenti per l’amministrazione comunale e per le aziende municipalizzate ad essa collegata;
la perdita di consensi dei partiti politici (il più suffragato rappresenta appena l’8,8% degli elettori). Si pensi che i vecchi partiti: “Democrazia Cristiana e Partito Comunista” insieme sommavano quasi l’80% dei consensi;
l’eccessivo numero di liste e conseguentemente di candidati denota come la società tarantina sia frammentata e molto individualista. Questo è l’aspetto più negativo emerso dal voto e sul quale bisogna fare un serio esame. Taranto deve crescere come comunità, favorendo una cultura associativa capace di fare sistema;
i cittadini di Taranto non hanno premiato i movimenti ambientalisti. La certezza del pane ha prevalso su ogni altra considerazione. Ma sul tema dell’ambiente la guardia di tutti i cittadini deve essere altissima. Ricordiamoci di quello che è successo in passato in altre zone dell’Italia (Casal Monferrato – fabbrica Eternit) dove le polveri di amianto, la cui nocività, in un primo tempo sottovalutata, ha prodotto la morte di tanti lavoratori e abitanti del paese. E’ indispensabile che la cittadinanza prenda coscienza che Taranto deve cominciare da subito a diversificare la propria economia con lo scopo in un futuro non molto lontano di potersi affrancare dalla grande industria inquinante.
Il panorama ambientalista di Taranto è variegato ed appare come una galassia di individualità che si arrogano una sorta di primogenitura composto da diversi ambientalisti di diverse realtà. A Taranto il voto, che ha portato all’exploit della galassia ambientalista ascesa al 7.60 per cento dall’1.95 di cinque anni prima della federazione dei Verdi, è quindi in parte inquinato. In virtù dei 7241 voti guadagnati come raggruppamento di liste, gli ecologisti saranno presenti nel prossimo consiglio comunale con tre consiglieri, Bonelli compreso. Il candidato sindaco, Bonelli, ha sovrastato le sue liste raccogliendo sul piano personale 12.277 consensi, a dimostrazione che migliaia di tarantini hanno preferito altri gruppi, ma hanno coagulato sul suo nome il voto d’opinione.
Nell'estate 2012, durante la sospensione delle udienze riguardanti il processo sul delitto di Sarah Scazzi, i fari mediatici sono stati puntati sul caso ILVA. Di ripiego, come per colmare un buco. E’ come la pubblicità che interrompe un film, anche se di tutt’altra importanza per le sorti del territorio. Ma anche questo serve a far capire il sistema giustizia a Taranto.
Mimmo Mazza su “La Gazzetta del Mezzogiorno” ci ricorda che accadde tutto, anzi di tutto, il 26 agosto 2010. L’omicidio di Sarah Scazzi. L’incendio doloso a Castellaneta in cui persero la vita un uomo e la sua figlioletta di 5 anni. La visita al sostituto procuratore Mariano Buccoliero, di turno quel giorno, di due dei tre periti incaricati di verificare, su incarico del magistrato, da dove provenga la diossina che ha avvelenato migliaia di capi di bestiame. Il professor Lorenzo Liberti, indagato a piede libero assieme a tre dirigenti Ilva per corruzione in atti giudiziari, e il dottor Roberto Primerano, consulente della Procura al pari di Liberti, il 26 agosto del 2010, seguiti dalla Guardia di Finanza, si incontrano in un bar nei pressi di Palazzo di giustizia prima di far visita al dottor Buccoliero. I finanzieri, nell’ambito dell’indagine denominata «Ambiente venduto», ascoltano il colloquio dei due. Primerano dice a Liberti di non essere convinto riguardo ai parametri utilizzati per i valori del Pcb e della diossina. Liberti, però, vuole agire in fretta. La richiesta di incidente probatorio presentata dalla Procura alla fine di giugno 2010 lo preoccupa, perché teme che gli inquirenti abbiamo deciso di agire con la formula dell’incidente probatorio in quanto non si fidano più dei tre consulenti incaricati di fare la perizia. L’esplosione del caso Scazzi tranquillizza i tre periti. In una telefonata del 19 ottobre 2010, a quattro giorni dall’arresto di Sabrina Misseri, il professor Liberti, riferendosi alla Procura, dice «loro per adesso sono impegnati con la vicenda di Avetrana» e dunque non c’è alcun motivo di preoccupazione. Se sembra ormai destinata a non riservare ulteriori scossoni l’inchiesta sull’episodio di corruzione in atti giudiziari, per i quali sono indagati il professor Lorenzo Liberti, il vicepresidente del gruppo Riva Fabio Riva, l’ex direttore dello stabilimento Ilva Luigi Capogrosso e l’ex consulente Girolamo Archinà, l’uomo che avrebbe materialmente consegnato una busta bianca contenente 10mila euro a Liberti (il docente ha sempre respinto ogni addebito e la stessa Ilva sostiene che i soldi di cui si parla in alcune telefonate erano in realtà destinati alla diocesi di Taranto per la Pasqua 2010), c’è attesa per il troncone principale di «Ambiente venduto», indagine di cui è titolare il Pm Remo Epifani e che vedrebbe iscritti nel registro degli indagati una ventina tra politici e funzionari di enti pubblici, con reati ipotizzati molto gravi che vanno dall’associazione a delinquere alla corruzione, passando per la concussione. Sono state fissate le date dell’incidente di esecuzione (28 agosto) e delle udienze dei due ricorsi al Tribunale dell’appello (18 settembre) chiesti dall’Ilva riguardo ai provvedimenti del gip Patrizia Todisco relativi alla ridefinizione dei compiti dei custodi giudiziari e della revoca del presidente Bruno Ferrante proprio dal ruolo di custode. Con l’incidente di esecuzione, i legali dell’Ilva chiedono al Tribunale del Riesame (presidente Pietro Genoviva, giudici Paola Morelli e Filippo Di Todaro) quale titolo prevalga, se appunto quello del Riesame che nominava Ferrante, o quello del gip Todisco che lo ha revocato.
E giù la città di Taranto a sostenere la Todisco che vuol chiudere l’ILVA. Città di Taranto che non vede di buon occhio quella fabbrica che inquina e che dà lavoro perlopiù ai ragazzi provenienti dai paesi della provincia. Forse fatti entrare nel siderurgico proprio su spinta di politici e parlamentari non certo della città di Taranto. Taranto, la cui caratura e rappresentanza politica è pari a zero, però viene zittita. Quella Taranto che veniva foraggiata da regalie di ogni tipo. C’è la banda di Crispiano e la parrocchia Santi Angeli Custodi di Taranto. Il Lions club di Taranto e il Politecnico di Bari. Tutti inseriti, insieme a società sportive, comitati festeggiamenti ma anche due note enoteche dalle quali partivano casse di champagne per giornalisti e rappresentanti delle istituzioni ogni fine anno, nelle due pagine della voce «omaggi e regalie» del bilancio dell’Ilva finite nell’inchiesta della Guardia di Finanza per corruzione in atti giudiziari che vede indagati a piede libero il vicepresidente del gruppo, Fabio Riva; l’ex direttore dello stabilimento siderurgico, Luigi Capogrosso; l’ex consulente dell’Ilva per l’ecologia e i rapporti istituzionali, Girolamo Archinà e l’ex consulente della Procura di Taranto, Lorenzo Liberti, già preside del Politecnico. Due pagine, ottanta righe, spiega Giusi Fasano su “Il Corriere della Sera”. Ogni riga una data, un nome e una cifra. C'è la parrocchia dei Santissimi Angeli Custodi (2.500 euro il 19 ottobre 2010), c'è l'Unione italiana per il trasporto degli ammalati a Lourdes (5.000 euro il 23 luglio 2010), compare la Banda municipale del Comune di Crispiano (2.750 euro, il 31 dicembre del 2010), il Lions Club locale (2.500 euro il 15 giugno del 2011), piccole società sportive come la Okinawa karate (4.000 euro il 31 maggio 2011) o la Triton Taranto che si occupa di football (2.000 euro il 30 giugno 2011) o un'associazione tarantina di pattinatori (2.000 euro il 31 luglio del 2011). E poi società per azioni, aziende informatiche, il Politecnico di Bari, centri culturali, un comitato per un non meglio precisato festeggiamento, anche un omaggio floreale da 50 euro, il 5 aprile del 2011. Eccola qui la lista Ilva degli «omaggi e regalie» 2010-2011. Soldi regalati a questo o quello oppure spesi per comprare pacchi dono. Gesti che non comportano alcun reato, ma che secondo la Guardia di finanza indicano quanto elevato fosse il budget a disposizione di Girolamo Archinà, il capo delle relazioni pubbliche dell'azienda accusato di fare pressioni sulle istituzioni per favorire in ogni modo l'acciaieria. E la lista indica anche quanto estesa fosse la rete di contatti «sociali» dell'Ilva nel territorio. Contatti non solo locali, però. “Emilio Riva è il proprietario dell’Ilva, la fabbrica che da anni avvelena Taranto senza che la politica nazionale muova un dito per proteggere i cittadini e far rispettare la legge. Sarà una coincidenza, ma Emilio Riva è anche un grande finanziatore della politica. Uno di quelli che non fanno preferenze e foraggiano un po’ tutti, meno noi dell’Italia dei Valori che non accettiamo finanziamenti dai privati: un miliardo a destra, uno a sinistra e nessuno s’ingrugna”.
E’ quanto scrive sul suo blog il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. “Mentre appestava il mare, l’aria e la terra di Taranto, Riva donava 245mila euro a Forza Italia e 98mila non al Pd, che allora ancora non esisteva, né ai Ds, ma al futuro ministro dello Sviluppo Economico e futuro segretario del Pd, Pierluigi Bersani. Si trattava di finanziamenti leciti e del tutto regolari. Ma, che il signor Riva, un tipo accorto e ben attento al proprio portafogli, abbia cacciato tutti quei soldi gratis et amore Dei non lo crederebbe nemmeno un bambino: lo scopo era riceverne regalie. Riva si è fatto bene i suoi conti. Ha capito che avrebbe risparmiato milioni di euro intervenendo sul sistema e rendendoselo amico con il denaro, piuttosto che mettendo in sicurezza i suoi impianti e bonificando l’ambiente che aveva inquinato”.
Quella Taranto che per 40 anni ha taciuto ed ora protesta. Un’enorme zona rossa. Inavvicinabile. Come al G8 di Genova.
Sì, Taranto il 17 agosto 2012 sarà una città blindata. Chiusa. Una città in cui sarà di fatto impossibile manifestare e tanto meno sfilare in corteo. A stabilirlo è stato il questore di Taranto, Enzo Mangini, che ha fatto notificare dagli agenti della Digos un provvedimento con il quale viene di fatto annullata la manifestazione promossa e organizzata dal «Comitato cittadini lavoratori liberi e pensanti», lo stesso che lunedì 13 agosto aveva radunato in piazza della Vittoria un migliaio di persone per sostenere l’azione dei magistrati tarantini e in particolare della dottoressa Patrizia Todisco, il gip del Tribunale che a fine luglio ha ordinato il sequestro preventivo dell’area a caldo dell’Ilva; lo stesso comitato che aveva chiesto di poter sfilare in corteo (da piazza Municipio sino alla Prefettura) nella giornata del 17 agosto, quando a Taranto è previsto l’arrivo dei ministri Corrado Passera (Sviluppo economico) e Corrado Clini (Ambiente). Clini ha osservato che «a Taranto c’è un conflitto interno alla magistratura, visto che il Tar aveva valutato troppo severe le indicazioni dell’autorizzazione integrata ambientale, mentre il gip le ha considerate inadeguate». Ancora più dura è la posizione dell’ILVA. Il gip di Taranto Patrizia Todisco - secondo l’Ilva - ha usurpato poteri propri del tribunale del Riesame e della procura della Repubblica. Lo ha fatto per ben due volte firmando le ordinanze del 10 e 11 agosto. Con la prima ha ordinato all’Ilva di fermare la produzione nei sei reparti a caldo sequestrati il 26 luglio; con l’altra ha revocato al presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, l’incarico di custode e amministratore delle aree sotto sequestro affidatogli dai giudici del Riesame quattro giorni prima. A mettere nero su bianco le dure accuse al giudice Todisco è proprio il presidente del Siderurgico tarantino nei due appelli che egli stesso ha firmato e che ha voluto depositare personalmente nella cancelleria del tribunale del Riesame, assistito all’avv. Egidio Albanese. Il tribunale del riesame con le motivazioni ha confermato il sequestro degli impianti a caldo dell'Ilva, ma non la cessazione dell’attività. Il Riesame non ha concesso la facoltà d'uso, che peraltro - viene sottolineato - non era stata richiesta neppure dai legali del Siderurgico. Inoltre, dispone che «non si continuino a perpetrare i reati contestati nel provvedimento cautelare» e che si elimini «la fonte delle emissioni inquinanti» per «mantenere l'attività produttiva dello stabilimento», solo dopo averla resa «compatibile» con ambiente e salute. Secondo i giudici il «disastro» prodotto dall'Ilva è stato «determinato nel corso degli anni, sino ad oggi, attraverso una costante reiterata attività inquinante posta in essere con coscienza e volontà, per la deliberata scelta della proprietà e dei gruppi dirigenti». Questi «hanno continuato a produrre massicciamente nella inosservanza delle norme di sicurezza dettate dalla legge e di quelle prescritte, nello specifico dai provvedimenti autorizzativi». In un'altra parte del loro provvedimento i giudici del Riesame, sullo stesso tema, annotano: «Dalle varie parti dello stabilimento vengono generate emissioni diffuse e fuggitive non adeguatamente quantificate, in modo sostanzialmente incontrollato e in violazione dei precisi obblighi assunti dall'Ilva, nella stessa Aia e nei predetti atti d'intesa, volti a limitare e ridurre la fuoriuscita di polveri e inquinanti». Il disastro ambientale doloso prodotto dall'Ilva - prosegue il teso - è «ancora in atto» e «potrà essere rimosso solo con imponenti e onerose misure d'intervento, la cui adozione, non più procrastinabile, porterà all'eliminazione del danno in atto e delle ulteriori conseguenze dannose del reato in tempi molto lunghi». «Lo spegnimento degli impianti - proseguono i giudici - rappresenta, allo stato, solo una delle scelte tecniche possibili. Non è compito del tribunale stabilire se e come occorra intervenire nel ciclo produttivo (con i consequenziali costi di investimento) o, semplicemente, se occorra fermare gli impianti, trattandosi di decisione che dovrà necessariamente essere assunta sulla base delle risoluzioni tecniche dei custodi-amministratori, vagliate dall'autorità giudiziaria: per questo lo spegnimento degli impianti rappresenta, allo stato, solo una delle scelte tecniche possibili».
Mentre gli ambientalisti che si battono per la chiusura dello stabilimento, la pensano in modo diverso, anche travisando le parole. «Le motivazioni del Riesame - è scritto in una nota firmata da Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink Taranto, e Fabio Matacchiera, del Fondo Antidiossina Taranto Onlus - sono chiarissime: la produzione dell'Ilva va fermata perché è un pericolo per la salute. È esattamente quanto sostenevamo noi. Non era difficile interpretare il testo in italiano del dispositivo del tribunale del Riesame. E, tuttavia, da parte di Vendola e di Clini, vi era un susseguirsi di dichiarazioni forse fatte appositamente per confondere le acque. Sembrava che non volessero capire». L'Autorizzazione integrata ambientale, affermano ancora gli ambientalisti, «andrà rilasciata a impianti fermi e adottando solo le migliori tecnologie, sempre per chi nutra ancora la speranza, per noi a questo punto vana, considerando che un impianto di siffatte dimensioni e vicinanza alla città, possa essere mai ecocompatibile». Ambientalisti uniti nell'intento di far chiudere l'ILVA.
Antonio Giangrande, scrittore che proprio su Taranto ha scritto un libro su questioni che nessuno osa affrontare e presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” sodalizio nazionale antiracket ed antiusura che proprio a Taranto ha la sua sede legale, si chiede perché i magistrati, i partiti di sinistra, gli ambientalisti ed i cittadini di Taranto tutti a difendere il Gip Patrizia Todisco, che ha adottato atti a rischio di abnormità, e nessuno difende le prerogative violate del Tribunale del Riesame composto dal presidente Antonio Morelli, che è anche presidente del tribunale di Taranto, e dai giudici a latere Rita Romano e Benedetto Ruberto? Tribunale del Riesame che sembra apparire un optional nel caso ILVA e non un organo sovraordinato per legge a giudicare merito e legittimità delle decisione del Gip?
«Il collegio del riesame non ha bisogno di essere difeso, tantomeno da me – dice il dr Antonio Giangrande – che dovrei essere l’ultimo a farlo per grave inimicizia con i suoi componenti. Ma sembra che sia proprio costretto a farlo. Il Gip di Taranto Patrizia Todisco, il 10 e l'11 agosto 2012, ha, rispettivamente, ribadito il sequestro degli impianti e revocato la nomina di Bruno Ferrante a curatore dello stabilimento disposta dal Tribunale del riesame. Nel mirino c'è soprattutto il secondo provvedimento che sembra avere profili di «abnormità» sia perché è stato preso d'ufficio – mentre il Gip può intervenire soltanto su richiesta – sia perché sancisce l'incompatibilità tra la posizione di custode e quella di amministratore che il Tribunale aveva conferito a Ferrante il 7 agosto e che la Todisco ha revocato senza aspettare le motivazioni del Riesame. Da questo punto di vista, anche il primo provvedimento potrebbe essere considerato intempestivo perché interpreta la decisione del Riesame solo sulla base del dispositivo, senza conoscerne ancora le motivazioni. Gli errori interpretativi possono essere impugnati e, in caso di provvedimenti abnormi, si può ricorrere direttamente in Cassazione. Perché questa alzata di scudi a favore della Todisco? In ogni caso, la Todisco ha incassato solidarietà e stima da molti suoi colleghi e dall'Anm, che l'ha difesa ad oltranza. Non solo. Anche alcuni membri del CSM hanno promosso un’azione di tutela a favore della Todisco. Una richiesta di pratica a tutela del giudice per le indagini preliminari di Taranto, Patrizia Todisco è stata presentata dai componenti del Consiglio superiore della magistratura: Guido Calvi, Paolo Carfì e Francesco Vigorito. Il primo, membro laico del Pd e gli altri due, togati di Area (il cartello di Magistratura democratica e Movimenti per la Giustizia). Così racconta Antonella Mascali per “Il Fatto”. Palazzo dei Marescialli è chiuso per ferie, ma i tre consiglieri si sono sentiti al telefono, hanno commentato le reazioni scomposte che si sono susseguite dopo che la giudice ha confermato la chiusura degli impianti dell'Ilva, e ha destituito il presidente, Bruno Ferrante da custode dell'area sotto sequestro, e hanno deciso di inviare una richiesta di pratica a tutela al Comitato di presidenza del Csm. Nella breve lettera fanno riferimento a una "campagna stampa" dai toni "lesivi del prestigio della magistratura e dell'indipendenza...tali da determinare turbamento alla credibilità della funzione giudiziaria". Nella richiesta non c'è un riferimento specifico a quali giornali si riferiscano, ma il primo pensiero va al titolo apparso sul sito del quotidiano Libero, il 13 agosto: "Patrizia Todisco, gip: la zitella rossa (per i capelli) che licenzia 11 mila operai Ilva". Anche Il Giornale se l'è presa con la magistratura: "Le toghe si accaniscono. Produzione ferma all'Ilva ma l'azienda fa ricorso". Nelle mailing list dei magistrati ogni giorno si possono leggere decine di messaggi in solidarietà con la giudice. Proprio in merito al titolo di Libero, un magistrato (uomo) ha scritto: " In questo momento di crisi economica , di disoccupazione, di famiglie disperate e di suicidi, è un insulto ignobile, volgare e pericoloso". E un altro magistrato (donna): "se il gip di Taranto fosse stato uomo non avrebbero certamente fatto riferimento alla stato civile del giudice. Ed invece, oltre ad esserci il riferimento, lo stato é tradotto in un'accezione, secondo alcuni, offensiva: zitella. Perché una donna, sopratutto se non giovanissima, é zitella, non ‘single'. Purtroppo é il quid pluris che accompagna noi donne se svolgiamo un ruolo ‘non tradizionale'". Nella richiesta al Comitato di presidenza del Csm, che da prassi è sempre generica (a settembre 2012 entrerà nel merito la competente Prima commissione) non ci sono riferimenti alle prese di posizione del governo di questi giorni. Palazzo Chigi ha paventato un ricorso alla Corte costituzionale e un decreto legge, pur di neutralizzare l'ordinanza del gip Todisco. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà, il 13 agosto 2012, ha dato voce all'intenzione del governo di sollevare un conflitto davanti alla Corte costituzionale: "alcune volte queste sentenze non sembrano proporzionate rispetto al fine legittimo che vogliono perseguire e quindi noi chiederemo alla Corte costituzionale di verificare se non sia stato menomato un nostro potere: il potere di fare politica industriale". In contemporanea, il ministro della Giustizia, Paola Severino ha chiesto le carte del gip, ravvisando una possibile "abnormità". Ma sia il ricorso alla Consulta sia il decreto legge, di cui si è vociferato immediatamente dopo le decisioni di Todisco sono tramontati. Anche se il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, da Taranto ha addossato ai magistrati una responsabilità che è della politica: "si convinca la magistratura ad aiutare il processo di ammodernamento dell'Ilva, in modo tale che l'azienda sia totalmente in linea con le regole, ma che questo non porti alla chiusura dello stabilimento. In una fase così iniziale della procedura giudiziaria sarebbe per noi sbagliato che venissero prese delle decisioni, quelle sì irreversibili, che potrebbero causare un danno non più recuperabile...". L'associazione nazionale magistrati ha difeso Patrizia Todisco dalle accuse dell'esecutivo di aver travalicato i confini: "la magistratura non intende invadere l'ambito di competenza di altre autorità, ma, in presenza di violazioni della legge penale, non può fare a meno di intervenire, con gli strumenti giudiziari ordinari, ove gli organi amministrativi di controllo non siano riusciti ad assicurare negli anni la tutela ambientale, con gravissimo rischio per la salute dei cittadini". Colleghi, membri del CSM ed ANM che non ha avuto lo stesso atteggiamento con i magistrati del Tribunale riesame. Nessuna parola in loro favore. Nonostante per i giudici Genoviva, Di Todaro e Di Roma, del tribunale di Taranto, è ovvio che le decisioni del tribunale del Riesame prevalgano sui provvedimenti del gip Patrizia Todisco. Per questo motivo, i decreti del 10 ed 11 agosto 2012, con cui veniva revocata la nomina a custode giudiziario di Bruno Ferrante, sono stati annullati perché "inefficaci". I tre magistrati tarantini nel giro di poche ore hanno accolto il ricorso presentato dai legali di Ilva e reintegrato il presidente Bruno Ferrante fra i custodi giudiziari precisando che è la procura ionica, non il gip, che deve dare esecuzione e stabilire le modalità del sequestro in conformità con quanto stabilito il 7 agosto dai giudici del Riesame. Il provvedimento dei tre giudici è arrivato il 28 agosto poche ore dopo la discussione anche in ragione di "evidente urgenza di dirimere la questione per le intuibili, gravi e presumibilmente irreparabili conseguenze che una viziata esecuzione del sequestro giudiziario potrebbe comportare in ordine alla salvaguardia degli impianti e della strategica capacità produttiva dell'azienda, nonché ai livelli occupazionali ed alle stesse finalità di tutela dell`ambiente e della salute pubblica poste a base della disposta misura cautelare". Nel dispositivo di due pagine, i giudici sottolineano il cambio di rotta del Riesame che, pur confermando il sequestro senza facoltà d'uso, nominando Ferrante custode giudiziario, hanno anche rimosso la disposizione di immediato avvio delle "procedure tecniche e di sicurezza per il blocco delle specifiche lavorazioni e lo spegnimento degli impianti" indicando ai custodi invece di garantire la sicurezza degli impianti e di utilizzarli "in funzione della realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare situazioni di pericolo e della attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni inquinanti". Tutto comincia il 25 luglio, con il sequestro firmato appunto dal Gip Todisco a cui segue, il 7 agosto, la decisione del Tribunale del riesame: i giudici Antonio Morelli, Rita Romano e Benedetto Ruberto, «in parziale modifica del decreto di sequestro preventivo», nominano «custode e amministratore delle aree e degli impianti sequestrati» anche il presidente dell'Ilva Ferrante, revocando Mario Tagarelli nominato in precedenza dalla Todisco. Poi dispongono che «i custodi garantiscano la sicurezza degli impianti e li utilizzino in funzione della realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo e dell'attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni inquinanti». Fine. A molti viene il dubbio se, con queste parole, il Tribunale abbia confermato il blocco degli impianti oppure no, consentendolo solo per la messa in sicurezza dell'Ilva. Bisogna attendere il deposito delle motivazioni. Ma il 10 agosto, a seguito di una richiesta di direttive e indicazioni dei custodi, il Gip dà la sua interpretazione: non è prevista «alcuna facoltà d'uso degli impianti a fini produttivi». Quanto a Ferrante, ne ridimensiona i poteri di custode-amministratore conferitigli dal Tribunale e lo indica come «datore di lavoro» ai sensi della legge sulla sicurezza sul lavoro. A quel punto, un'agenzia Ansa dell'11 agosto, alle 16,43 riferisce che Ferrante «impugnerà immediatamente» il provvedimento. Il Gip la legge, va in ufficio, accende il computer e scrive che «le circostanze rendono manifesta l'incompatibilità del presidente del Cda con l'ufficio pubblico di custode e amministratore delle aree e degli impianti» dell'Ilva sottoposti a sequestro preventivo «stante il palese conflitto tra gli interessi» di cui Ferrante è portatore, in quanto amministratore e legale rappresentante dell'azienda, «e gli obblighi gravanti sui custodi e amministratori dei beni in sequestro». Gli revoca la nomina e rimette Tagarelli, cioè rovescia la decisione del Riesame, senza aspettare di leggerne le motivazioni. Senza prender posizione sul merito, ma a fil di diritto perché nessuno difende il tribunale del Riesame che sembra apparire un optional nel caso ILVA e non un organo sovraordinato per legge a giudicare merito e legittimità delle decisione del Gip? Decisioni del Tribunale del Riesame che possono essere impugnati e riesaminate solo dalla Corte di Cassazione.»
ILVA. LA GRANDE TRUFFA. TARANTO, IN CHE MANI SIAMO MESSI. A QUALI MAGISTRATI CREDERE?
Tutto l’ambaradan per avere i soldi dallo Stato ed i magistrati lì a fare la figura delle comparse. 336 milioni di euro stanziati dal Governo per risanare l’ambiente al posto dell’ILVA. I Riva, proprietari dell’ILVA, si dimettono dalla guida dell’azienda (Nicola, forse informato degli sviluppi dell’inchiesta penale, si dimette a pochi giorni dal sequestro e dal suo arresto)e nominano un ex alto funzionario statale, l’ex prefetto di Milano, Bruno Ferrante, come garanzia di tutela istituzionale.
SI E’ DALLA PARTE DELLA MAGISTRATURA, SI’, MA QUALE?
SI E’ CON LA PROCURA CHE CHIEDE LA CHIUSURA DELL’ILVA?
SI E’ CON IL GIUDICE DELLE INDAGINI PRELIMINARI CHE NE DISPONE LA CHIUSURA?
SI E’ CON IL COLLEGIO DEL RIESAME CHE SOLO PER LEGGE HA L’ULTIMA PAROLA NEL MERITO E LASCIA TUTTO COME E’ STATO PER 40 ANNI?
LA DIFFERENZA CON IL PROVVEDIMENTO DEL GIP - Secondo quanto disponeva il gip Patrizia Todisco su richiesta della procura, i tecnici erano incaricati di «avviare le procedure per il blocco delle specifiche lavorazioni e per lo spegnimento». «I custodi - dispone invece il tribunale del riesame - garantiscano la sicurezza degli impianti e li utilizzino in funzione della realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo e della attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni inquinanti». E, per rafforzare questa disposizione, il tribunale nomina custode giudiziario proprio il massimo rappresentante Ilva, Bruno Ferrante.
Al di la dei commenti di circostanza di politici e giornalisti (quelli con la lingua tagliata…) che volutamente evitano la polemica, vorrei analizzare da tecnico gli atti che sono stati prodotti sul caso ILVA - dice il dr Antonio Giangrande, scrittore e presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie”. - La ragion di Stato vuole che l’ILVA continui a produrre acciaio, tributi erariali e contributi INPS. Per questo il Ministro dell’economia Corrado Passera: "E' necessario evitare la chiusura dell'Ilva perché se si spengono quegli impianti, non si accendono più". Bruno Ferrante aveva espresso in Commissione rifiuti in Parlamento tutti i suoi dubbi sulla decisione relativa all'Ilva, sottolineando come da Taranto dipendano anche le sorti dei due stabilimenti di Novi e Genova. Anche il Ministro Corrado Clini si è sbilanciato in tal senso. “La parte offesa è l’ambiente, e chi lo rappresenta e dovrebbe tutelarlo é il ministro. Ministero, Regione, Provincia e Comune sono parti lese, che noi ci auguriamo di ritrovare dalla nostra parte nel processo”. Così si esprimeva esattamente il procuratore generale presso la Corte di Appello di Lecce, Giuseppe Vignola, in occasione della conferenza stampa presso il comando provinciale dei carabinieri a Taranto, il giorno dopo l’emissione dei provvedimenti del GIP Patrizia Todisco. Le motivazioni di tali affermazioni, trovavano spunto in una delle tante uscite folkloristiche del ministro all’Ambiente Corrado Clini, che poche ora prima aveva affermato quanto segue: “chiederò che il provvedimento di riesame avvenga con la massima urgenza”. Ignorando, tra l’altro, il fatto che non ha alcun potere per fare una cosa del genere. Ma il ministro dell’Ambiente Clini continua ancora oggi, pervicacemente, ad insistere sulla strada della difesa delle attività del siderurgico, esponendosi quasi fosse il ministro dell’Economia o addirittura un avvocato di parte. Dimenticando invece di essere la massima autorità statale in tema di tutela ambientale. Ed enunciando teoremi alquanto risibili. Come ad esempio quando ha affermato che i rischi ambientali riconducibili all’attività dell’Ilva di Taranto, “sono dei decenni passati, mentre è più difficile identificare una correlazione causa-effetto sull’eccesso di mortalità per tumori nell’area con la situazione attuale che, per effetto di leggi regionali e nazionali e misure ad hoc hanno avuto una evoluzione delle tecnologie con significative riduzioni delle emissioni, particolarmente della diossina e delle polveri”. Questo l’incipit del discorso del ministro che alla Camera, ha riferito sulla situazione del siderurgico, finito sotto inchiesta e sotto sequestro dopo i provvedimenti della magistratura tarantina.
Anche i cittadini (poveri illusi) hanno voluto manifestare la loro opinione in contrapposizione agli operai che hanno manifestato per la difesa del posto di lavoro. In piazza della Vittoria a Taranto un sit-in di sostegno alla magistratura, mentre in tribunale si discutevano le “sorti” dello stabilimento siderurgico più grande d’Europa. Liberi cittadini, associazioni ed operai, ma anche mitilicoltori ed allevatori, hanno partecipato alla manifestazione organizzata volutamente in concomitanza con l’avvio dell’udienza del Riesame, per mostrare vicinanza e piena solidarietà verso l’azione della magistratura. «Siamo qui con tutti i cittadini e le associazioni di Taranto che in questo momento chiedono vita e salute – spiega Rossella Balestra, coordinatrice del Comitato Donne per Taranto – siamo dalla parte della giustizia. Vogliamo che nessun tipo di interferenza, in questo momento, venga messa in atto nei confronti della magistratura, né di politici, né di sindacati o operai che chiedono solo il diritto al lavoro a prescindere dal diritto alla salute. Siamo cittadini consapevoli ed arrabbiati, disposti a bloccare l’intera città se non verremo ascoltati. Io dico con assoluta forza e certezza che c’è solo un diritto che deve essere salvaguardato, ed è proprio quello della salute. Onore quindi alla magistratura». Il Comitato cittadino Taranto Lider, in vista dell’udienza, ha realizzato un manifesto che campeggia in via Medaglie d’oro angolo via Marche, vicino al tribunale appunto. Difficile non notarlo. Una scritta nera a caratteri cubitali su uno sfondo giallo. Quasi accecante. la frase “Noi siamo con gli operai e fieri della magistratura”.
«Vogliamo dimostrare di esser solidali con la magistratura – spiega Grazia Maremonti in rappresentanza di Taranto Lider – perché è l’unica a voler tutelare la salute dei tarantini. Ritengo che si possano trovare gli strumenti giusti per dare finalmente una svolta a questa città, una svolta doverosa e necessaria. Taranto, sembra una città a vocazione industriale. In realtà la storia della nostra città, dice tutt’altro. Il nostro territorio ha mille altre opportunità culturali ed economiche, dal turismo alla pesca. Le alternative ci sono e bisogna dare nuova linfa vitale a Taranto”. Una manifestazione pacifica, come avevano promesso che fosse. O quasi. Già, perché qualcuno non ha gradito la presenza di Francesco Voccoli. Ex consigliere comunale e “colpevole” di essere un “politico”. Per la cronaca in piazza, di “politici” ce n’erano (legittimamente) anche altri. “Fuori dalla piazza!”, ha urlato la Balestra al megafono ad un certo punto, rivolgendosi indirettamente a Voccoli. Spogliato da mille occhi prima, ed invitato poi, con cori da stadio, ad andarsene ed abbandonare la piazza, l’ex consigliere di rifondazione comunista è stato accerchiato dai cittadini sempre più insistenti e innervositi. Voccoli non ha risposto, ha mantenuto la calma e solo dopo ha lasciato piazza. La manifestazione poi è ripresa regolarmente. Il sunto del messaggio è questo: il comitato Donne per Taranto: “Noi siamo con la magistratura”.
Al conflitto tra politica e magistratura, nella città dell'acciaio si consumano nuove fratture. Da un lato i lavoratori si sono divisi in due blocchi: Cisl e Uil hanno da una parte e, la Fiom dall’altra al grido di "Non attacchiamo i magistrati". Magistrati che in piazza sono stati difesi anche da mille persone del comitato "Cittadini liberi e pensanti" che hanno dedicato un lungo applauso al gip Todisco. Il conflitto tra ambiente e lavoro sta lacerando Taranto in due opposte fazioni.
SI E’ DALLA PARTE DELLA MAGISTRATURA, SI’, MA QUALE?
SI E’ CON LA PROCURA? "E' un'indagine a tutto campo per stabilire una volta per tutte che i morti determinati dagli inquinanti a Taranto, a Brindisi o a Lecce meritano rispetto, lo stesso rispetto, ad esempio, della Thyssen, di Marghera, di Genova. I nostri non sono morti di serie B. Sono persone, operai e cittadini che hanno lo stesso diritto costituzionalmente garantito di vedersi tutelati una volta per tutte". Così il procuratore generale della Corte di Appello di Lecce, Giuseppe Vignola, circa l'inchiesta della magistratura del capoluogo jonico che ha portato al sequestro degli impianti più importanti dello stabilimento siderurgico Ilva: le cokerie, l'agglomerato, la gestione delle aree ferrose, i parchi minerali, gli altiforni e le acciaierie. Le accuse, a vario titolo, sono di disastro ambientale doloso e colposo, getto e sversamento pericoloso di cose, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici. "Quindi - ha aggiunto - la necessità di intervenire con il sequestro nell'ambito dell'incidente probatorio con quella perizia medico-epidemiologica. Ci siamo limitati all'Ilva ma evidentemente questo si estenderà anche ad altre industrie inquinanti: Cementir, Agip o Eni e poi a Brindisi". Inoltre ha sottolineato che "mentre di giorno si rispettavano le prescrizioni imposte, la notte ci si muoveva in maniera diversa", ricordando che "dalla eloquente e impressionante documentazione filmata e fotografica del Noe sul reparto agglomerato" è emerso che di notte "venivano fuori dai camini le nubi contenenti polveri sottili. Questo è un fatto inoppugnabile ripreso fotograficamente. La perizia medico-epidemiologica è stata difficile ma ha dato risultati sui quali non penso si possa avanzare alcun serio dubbio". Infine Vignola si è augurato che presto venga istituito il registro tumori "che chiediamo da tempo" e che e' previsto dalla legge regionale approvata recentemente.
SI E’ CON IL GIUDICE DELLE INDAGINI PRELIMINARI? «La gestione del siderurgico di Taranto è sempre stata caratterizzata da una totale noncuranza dei gravissimi danni che il suo ciclo di lavorazione e produzione provoca all'ambiente e alla salute delle persone». È quanto scrive il gip di Taranto nell'ordinanza di sequestro dell'Ilva di Taranto. «Ancora oggi» gli impianti dell'Ilva producono «emissioni nocive» che, come hanno consentito di verificare gli accertamenti dell'Arpa, sono «oltre i limiti» e hanno «impatti devastanti» sull'ambiente e sulla popolazione. La situazione dell'Ilva «impone l'immediata adozione, a doverosa tutela di beni di rango costituzionale che non ammettono contemperamenti, compromessi o compressioni di sorta quali la salute e la vita umana, del sequestro preventivo. L'imponente dispersione di sostanze nocive nell'ambiente urbanizzato e non - scrive ancora il gip nelle carte - ha cagionato e continua a cagionare non solo un grave pericolo per la salute (pubblica)», ma «addirittura un gravissimo danno per le stesse, danno che si è concretizzato in eventi di malattia e di morte. In tal senso - aggiunge il gip - le conclusioni della perizia medica sono sin troppo chiare. Non solo, anche le concentrazioni di diossina rinvenute nei terreni e negli animali abbattuti costituiscono un grave pericolo per la salute pubblica ove si consideri che tutti gli animali abbattuti erano destinati all'alimentazione umana su scala commerciale e non, ovvero alla produzione di formaggi e latte. Trattasi di un disastro ambientale inteso chiaramente come evento di danno e di pericolo per la pubblica incolumità idoneo ad investire un numero indeterminato di persone». «Non vi sono dubbi sul fatto - conclude - che tale ipotesi criminosa sia caratterizzata dal dolo e non dalla semplice colpa. Invero, la circostanza che il siderurgico fosse terribile fonte di dispersione incontrollata di sostanze nocive per la salute umana e che tale dispersione cagionasse danni importanti alla popolazione era ben nota a tutti. Le sostanze inquinanti erano sia chiaramente cancerogene, ma anche comportanti gravissimi danni cardiovascolari e respiratori. Gli effetti degli Ipa e delle diossine sull'uomo non potevano dirsi sconosciuti». «Chi gestiva e gestisce l'Ilva ha continuato in tale attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza». Lo scrive il gip nel provvedimento di arresto nei confronti dei vertici del siderurgico tarantino.
SI E’ CON IL COLLEGIO DEL RIESAME CHE SOLO PER LEGGE HA L’ULTIMA PAROLA NEL MERITO E LASCIA TUTTO COME E’ STATO PER 40 ANNI? Il collegio del Riesame era formato dal presidente Antonio Morelli, che è anche presidente del tribunale di Taranto, e dai giudici a latere Rita Romano e Benedetto Ruberto. Sequestro finalizzato alla messa a norma, non alla chiusura. Colpo di scena, giuridicamente (c’è un precedente che riguarda una fabbrica nel Trentino) e soprattutto socioeconomicamente prevedibile, nell’inchiesta che il 26 luglio 2012 ha portato all’arresto di 8 tra proprietari e dirigenti dello stabilimento siderurgico Ilva e alla notifica di un decreto di sequestro preventivo firmato dal gip Patrizia Todisco su richiesta del procuratore capo Franco Sebastio, dell’aggiunto Pietro Argentino e dei sostituti Mariano Buccoliero e Giovanna Cannalire. Il tribunale del riesame (presidente Antonio Morelli, giudici Rita Romano e Benedetto Ruberto) ha confermato gli arresti domiciliari per Emilio e Nicola Riva, ex presidenti dell'Ilva, e per l'ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso ed ha accolto parzialmente il ricorso presentato dal gruppo Riva, annullando gli arresti dei capi-reparto Marco Andelmi, Angelo Cavallo, Ivan Dimaggio, Salvatore De Felice e Salvatore D’Alò, e - soprattutto - ha modificato il decreto di sequestro, revocando la nomina del commercialista Mario Tagarelli e affiancando il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante agli ingegneri Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento (già nominati dal gip Patrizia Todisco), nel compito di custodi e amministratori giudiziari delle aree e degli impianti sottoposti a sequestro. I quattro custodi dovranno garantire la sicurezza degli impianti e utilizzarli in funzione della realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo e della attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni inquinanti. Non c’è più, a differenza di come aveva disposto il gip Patrizia Todisco, il compito di «avviare immediatamente le procedure tecniche e di sicurezza per il blocco delle specifiche lavorazioni e lo spegnimento degli impianti, sovrintendendo alle operazioni ed assicurandone lo svolgimento nella rigorosa osservanza delle prescrizioni a tutela della sicurezza ed incolumità pubblica e a tutela della integrità degli impianti». Il tribunale del riesame con le motivazioni ha confermato il sequestro degli impianti a caldo dell'Ilva. Il Riesame non ha concesso la facoltà d'uso, che peraltro - viene sottolineato - non era stata richiesta neppure dai legali del Siderurgico. Inoltre, dispone che «non si continuino a perpetrare i reati contestati nel provvedimento cautelare» e che si elimini «la fonte delle emissioni inquinanti» per «mantenere l'attività produttiva dello stabilimento», solo dopo averla resa «compatibile» con ambiente e salute. Secondo i giudici il «disastro» prodotto dall'Ilva è stato «determinato nel corso degli anni, sino ad oggi, attraverso una costante reiterata attività inquinante posta in essere con coscienza e volontà, per la deliberata scelta della proprietà e dei gruppi dirigenti». Questi «hanno continuato a produrre massicciamente nella inosservanza delle norme di sicurezza dettate dalla legge e di quelle prescritte, nello specifico dai provvedimenti autorizzativi». In un'altra parte del loro provvedimento i giudici del Riesame, sullo stesso tema, annotano: «Dalle varie parti dello stabilimento vengono generate emissioni diffuse e fuggitive non adeguatamente quantificate, in modo sostanzialmente incontrollato e in violazione dei precisi obblighi assunti dall'Ilva, nella stessa Aia e nei predetti atti d'intesa, volti a limitare e ridurre la fuoriuscita di polveri e inquinanti». Il disastro ambientale doloso prodotto dall'Ilva - prosegue il teso - è «ancora in atto» e «potrà essere rimosso solo con imponenti e onerose misure d'intervento, la cui adozione, non più procrastinabile, porterà all'eliminazione del danno in atto e delle ulteriori conseguenze dannose del reato in tempi molto lunghi». «Lo spegnimento degli impianti - proseguono i giudici - rappresenta, allo stato, solo una delle scelte tecniche possibili. Non è compito del tribunale stabilire se e come occorra intervenire nel ciclo produttivo (con i consequenziali costi di investimento) o, semplicemente, se occorra fermare gli impianti, trattandosi di decisione che dovrà necessariamente essere assunta sulla base delle risoluzioni tecniche dei custodi-amministratori, vagliate dall'autorità giudiziaria: per questo lo spegnimento degli impianti rappresenta, allo stato, solo una delle scelte tecniche possibili».
LA DIFFERENZA CON IL PROVVEDIMENTO DEL GIP - Secondo quanto disponeva il gip Patrizia Todisco su richiesta della procura, i tecnici erano incaricati di «avviare le procedure per il blocco delle specifiche lavorazioni e per lo spegnimento». «I custodi - dispone invece il tribunale del riesame - garantiscano la sicurezza degli impianti e li utilizzino in funzione della realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo e della attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni inquinanti». E, per rafforzare questa disposizione, il tribunale nomina custode giudiziario proprio il massimo rappresentante Ilva, Bruno Ferrante.
Il Codacons, in merito alla vicenda dell'Ilva ha presentato alla Procura di Taranto la propria nomina di parte offesa in qualità di associazione ambientalista e un esposto in cui si chiede di estendere le indagini anche nei confronti dei Ministeri dell'ambiente e della salute, nelle persone dei ministri che si sono succeduti negli anni, e degli enti locali territorialmente competenti. "La gravissima omissione delle istituzioni italiane, centrali e locali - scrive il Codacons nella denuncia - consistita nel non aver dato alcun allarme ufficiale ma soprattutto il mancato seguito da parte delle Autorità competenti, di un'adeguata campagna di informazione rivolta ai cittadini coinvolti e le azioni e gli interventi previsti nonché la violazione del principio di precauzione ripetutamente connessa al principio di informazione a favore della popolazione, appare indice di negligenza grave considerato che solo la conoscenza può consentire di adottare sistemi di prevenzione. Di rilevante importanza, quanto disposto dal d.lgs. 152/2006 (c.d. testo unico ambientale) e dell'ultimo suo "correttivo" (d.lgs. 4/2008) che prevede all'art. 257 una fattispecie di omessa bonifica che non solo sostituisce, con formula diversa, e per certi versi più limitativa, la fattispecie dell'art. 51-bis d.lgs. 22/97, ma che ricomprende di sicuro, al suo interno, parte della previgente fattispecie di cui all'art. 58 d.lgs. 152/99 (Danno ambientale, bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati)".
Per fare un esempio come tutti sono genuflessi al sistema massonico-economico tarantino si rappresenta un breve excursus di tentativi di getto di fumo negli occhi per tacitare le voci libere non conformate.
“La prima sentenza di condanna dell’Ilva per lo spargimento di polveri minerali sulla città è del 1982. La emise un pretore di Taranto, Franco Sebastio, ora a capo della Procura ionica. Ma i 32 anni trascorsi da quella prima sentenza sino al sequestro degli impianti dell’area a caldo del Siderurgico, il 26 luglio scorso, sono costellati da pronunciamenti e disposizioni della magistratura che lanciano allarmi o puniscono i presunti responsabili dell’inquinamento di Taranto”. Così esordisce il dettagliato focus dell’agenzia Ansa pubblicato ieri. La stessa inchiesta che ha portato al sequestro, senza facoltà d’uso, degli impianti e all’arresto di una parte dei vertici Ilva, indagine nata alla fine del 2009, riunisce tre procedimenti penali che si sono incrociati negli ultimi anni: quello sull’abbattimento di animali risultati contaminati dalla diossina, un altro contenente relazioni dell’Arpa e alcuni esposti, e infine un terzo basato sulle denunce di oltre un centinaio di famiglie del rione Tamburi, a ridosso del Siderurgico, che lamentavano problemi di salute e il danneggiamento delle loro case per colpa delle polveri minerali che si depositavano su muri e balconi. Ma già in una sentenza del 19 gennaio 1998 la Corte di Cassazione scriveva che è stata raggiunta "la prova certa del nesso di causalità materiale tra le modalità di svolgimento dell’attività produttiva e il fenomeno dello spolverio", nonchè "del consapevole mancato apprestamento di misure effettivamente idonee ad evitare la situazione di pericolo per l’incolumità pubblica". In quel pronunciamento l’Ilva era stata citata in giudizio dal titolare di una serra di fiori situata a 500 metri dal Siderurgico e danneggiata irrimediabilmente dalla quantità eccessiva di polveri minerali fuoriuscite dallo stabilimento siderurgico. Il 7 dicembre 2000, in una lettera inviata a governo, prefetto, Regione Puglia, presidente della Provincia e sindaco di Taranto, la Procura ionica lanciò un allarme indicando che dalle inchieste in corso emergeva "una grave situazione di inquinamento atmosferico" in città e nei territori limitrofi. La Procura sottolineò in quella lettera un drammatico paradosso: le polveri minerali rilevate nel quartiere Tamburi di Taranto "risultano maggiori di quelle rilevate all’interno di una zona industriale quale quella del parco materiali del cementificio Cementir"; dunque, un quartiere cittadino risultava più inquinato di un grande sito industriale. Nella lettera si aggiungeva che "l’esigenza di tutelare posti di lavoro in una terra che vive ancora drammaticamente fenomeni di sottoccupazione e disoccupazione è ben nota a chi scrive che se ne fa anche carico", ma si ricordava anche ai destinatari che "la tutela dei posti di lavoro non può prescindere dal rispetto della salute degli operai e degli abitanti della città di Taranto e dei comuni limitrofi e dell’ambiente". E nel 2007 l’allora giudice monocratico del tribunale, Martino Rosati, condannò, tra gli altri, Emilio Riva a tre anni di reclusione e l’ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso a due anni e otto mesi, per aver omesso di adottare le misure idonee ad evitare che le batterie delle cokerie, ormai obsolete, disperdessero nei luoghi di lavoro e nelle aree circostanti fumi, gas, vapori e polveri di lavorazione in modo da "prevenire la possibilità di disastri, infortuni e malattie conseguenziali". Le batterie 3-4-5-6 delle cokerie erano state sequestrate nel 2001 su disposizione della magistratura, alcune di queste vennero completamente ricostruite. Ma il primo allarme era stato lanciato nel 1996, un anno dopo l’avvento del gruppo Riva al Siderurgico: il dipartimento di prevenzione della Asl Ta/1 scriveva, dopo un’ispezione nelle cokerie, che c’era "rilevante presenza di idrocarburi policiclici aromatici, sostanze cancerogene derivanti dai processi di distillazione del carbon fossile". All’epoca, precisava la Asl, erano 629 i lavoratori, tra dipendenti Ilva e delle ditte d’appalto, ad essere "particolarmente esposti" e quindi a rischiare di contrarre malattie gravi.
Bene, la giustizia a Taranto così è, se vi pare……
Ma su tutto c’è da ridire. Il rapporto investigativo delle Fiamme gialle che era stato per più di un anno fermo sul tavolo del pm Remo Epifani, titolare di un’inchiesta parallela sulla presunta corruzione del consulente della Procura, Lorenzo Liberti, è lo spaccato di come il management dell’acciaieria riuscisse a controllare e manipolare tutto: enti, istituzioni e soprattutto l’informazione. Sempre Archinà in un’altra telefonata con il suo subalterno, Cattaneo, si sfogava così: «Ancora una volta ho avuto ragione, ho sempre detto che bisogna pagare i giornalisti per tagliargli la lingua». La condizione di assoggettamento di alcuni organi di stampa locali emerge con allarmante evidenza in altre conversazioni registrate dagli investigatori dove Girolamo Archinà si complimenta con i responsabili di testate per come avevano sviluppato una notizia (ovviamente favorevole all’Ilva) o che gli passava la «velina» da far pubblicare il giorno dopo sotto nome di fantasia. Per tutti i giornali a Taranto in agosto 2012 si fa ancora più incandescente il "braccio di ferro" tra Ilva ed alcuni magistrati, dopo la nuova ordinanza del gip Patrizia Todisco con la quale il presidente Bruno Ferrante viene rimosso da custode e amministratore dei sei impianti delle aree "a caldo" sequestrati. La decisione ha immediati riflessi sul mondo politico con il leader del Bersani e quello del Pdl Alfano che chiamano in campo Monti invitando il premier a "fare chiarezza". Il governo non può restare a guardare e Monti telefona ai ministri Passera, Severino e Clini, poi sente l'ufficio legale di palazzo Chigi per un consulto sulle possibili contromosse con cui ricacciare il fantasma della fine della siderurgia di Taranto. Il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, che tuona: "La chiusura sarebbe un danno irreparabile. Bisogna unire risanamento, lavoro e produzione sostenibile". A questo punto Monti decide di inviare a Taranto la troyka dei ministri più direttamente interessati: la missione di Passera, Severino e Clini è di riferire al premier. La Severino si è già attivata: il ministro della Giustizia chiederà l'acquisizione dei due provvedimenti con i quali il gip ha confermato il sequestro degli impianti dell'Ilva di Taranto e ha revocato la nomina di Bruno Ferrante dall'incarico di curatore dello stabilimento. A Via Arenula si spiega che la decisione è motivata "dalla necessità di una valutazione degli atti per quanto è di competenza del ministro della Giustizia". Ma anche il ministro dell'Ambiente Clini ha fatto sentire la sua voce e ha pesantemente criticato la decisione del gip, sostenendo che "é in aperto contrasto" con i provvedimenti presi da lui. La revoca di Ferrante decisa dal gip è arrivata dopo l'annunciato ricorso dell' Ilva al secondo decreto di sequestro degli impianti senza l'uso ai fini della produzione. Secondo il gip, il ricorso dimostra che Ferrante sarebbe in "palese conflitto di interessi". Al suo posto il Gip ha nominato il presidente dell'Ordine dei commercialisti di Taranto, Mario Tagarelli. Per il giudice c'é una "manifesta incompatibilità" di Ferrante con "l'ufficio pubblico di custode ed amministratore delle aree e degli impianti dello stesso stabilimento sottoposti a sequestro preventivo". Era stato il Tribunale del Riesame, con l'ordinanza del 7 agosto che confermava il sequestro degli impianti dell'Ilva, a nominare Ferrante custode e amministratore delle aree e degli impianti sequestrati, revocando la nomina di Tagarelli disposta dal gip per le questioni amministrative. Ora Tagarelli ritorna e affiancherà i tre ingegneri nominati dal gip custodi e amministratori dei beni sequestrati, Barbara Valenzano (gestore e responsabile), Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento. La maggioranza di governo con i massimi esponenti Alfano,Bersani e Casini chiedono al Presidente del consiglio di intervenire subito. La richiesta che viene da ABC è chiara: l'Italia rischia un clamoroso autogol mettendo in forse la produzione di uno dei suoi gioielli e dando all'estero un' immagine negativa sul fronte dell'appeal economico internazionale verso il Belpaese. "Se vogliamo spaventare gli investitori ci stiamo riuscendo" , dice il segretario del Pdl Alfano. Stesso concetto da parte di Pierluigi Bersani:"Bisogna essere consapevoli che la confusione attorno al più grande stabilimento siderurgico d'Europa farà presto il giro del mondo". Pier Ferdinando Casini si attesta sulla stessa linea e critica la scelta della magistratura che "rischia di segnare il punto di non ritorno di una vicenda drammatica" dopo anni di "incuria e noncuranza in primo luogo da parte delle autorità locali preposte alla funzione di vigilanza e di controllo della salute". Una definizione che non esclude il ruolo primario della magistratura. Quella del Gip, secondo Casini, è una "entrata a gamba tesa" che fa "solo danno a tutti" perché viziata dal "protagonismo di certi magistrati di dubbia competenza". Anche il Pdl calca la mano sui magistrati di Taranto: "C'é un settore della magistratura che, pur di affermare le sue posizioni ideologiche, non esita a far correre il rischio a tutto il Paese della chiusura di una industria fondamentale come l'Ilva" accusa il capogruppo Fabrizio Cicchitto. Le opposizioni, Lega e Idv, confermano il loro ruolo e le loro vocazioni politiche; il Carroccio è allarmato per i possibili rapidi ricaschi che possono colpire Genova e la sua sede Ilva; Di Pietro per gli attacchi ai magistrati che fanno - dice - solo il loro dovere applicando la legge. L'ex Pm in particolare dice che ormai "è un gioco nazionale" scaricare le contraddizioni dei politici sulle spalle delle toghe. A lui bisogna chiedere a quali magistrati si riferisca: procura, Gip o riesame? A sinistra interviene Paolo Ferrero che attacca proprio le posizioni espresse da Alfano, Bersani e Casini dato che -dice- servono solo a far da megafono "agli interessi della famiglia Riva" (proprietaria dello stabilimento e inquisita dalla magistratura) che vuole "mantenere il controllo dell'Azienda e non investire i soldi necessari per abbattere drasticamente l'inquinamento".
Ferrante non vuol pronunciare la parola 'licenziamenti', ma "se ci bloccano la produzione - dice - la prospettiva si complica" perché "dire no all'attività produttiva vuol dire togliere linfa vitale all'azienda. Viene meno la ragione stessa dell'esistenza dell'Ilva. E poi banalmente, se non produco come faccio a pagare 12mila persone?". L'Ilva diventa un caso politico, scrive “Libero Quotidiano”, con Mario Monti contro il gip Patrizia Todisco: il governo si è detto pronto a fare ricorso alla Corte Costituzionale contro la decisione del gip di sequestrare gli impianti di Taranto, bloccandone la produzione, e revocare la nomina dell'ex prefetto di Milano Bruno Ferrante, attuale presidente dell'Ilva, dall'incarico di custode dello stabilimento. Di domenica invece è l'annuncio del premier di inviare a Taranto i ministri dell’Ambiente Corrado Clini e dello Sviluppo Corrado Passera per un sopralluogo sul sito industriale siderurgico sotto inchiesta per disastro ambientale. I ministri andranno a Taranto già venerdì 17 per un primo esame. Monti poi, che resterà in stretto contatto con loro, ha intenzione di far esaminare il quadro giuridico della vicenda e di verificare di conseguenza gli spazi di azione che ci sono per il governo. Il ricorso alla Consulta - "Partiamo dal presupposto che la tutela della salute e dell’ambiente è un valore fondamentale che anche il governo vuole perseguire e anche dal presupposto che noi rispettiamo le sentenze dei giudici. Però, alcune volte queste sentenze non sembrano proporzionate rispetto al fine legittimo che vogliono perseguire e quindi noi chiederemo alla Corte Costituzionale di verificare se non sia stato menomato un nostro potere: il potere di fare politica industriale": con queste parole il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Antonio Catricalà, intervistato dal Gr1 Rai, ha annunciato la nuova iniziativa del governo. Il ricorrere alla Consulta per Catricalà non vuol dire scontro con la magistratura: "Noi contestiamo un singolo atto ritenendolo sproporzionato - tiene a precisare - noi abbiamo stabilito con un decreto legge in linea con un orientamento preciso del Tribunale della Libertà di continuare le lavorazioni che non sono dannose, che non sono nocive e nel frattempo cominciare seriamente la politica di risanamento. E abbiamo stanziato centinaia di milioni proprio per questo. Questo decreto legge resterebbe privo di qualsiasi valore se l’industria dovesse smettere di lavorare, se il forno si dovesse spegnere". E conclude: "Sarebbe un fatto gravissimo per l’economia nazionale, sarebbe un fatto grave non solo per la Puglia ma per l’intera produzione dell’acciaio in Italia". Al Corriere della Sera il ministro Clini si è detto "preoccupato che il piano di risanamento dell’Ilva adesso venga interrotto e si ricominci da capo con i contenziosi interminabili del passato". "Bloccare la produzione - ha aggiunto critico nei confronti della decisione del gip Todisco - vuol dire chiudere lo stabilimento, c'è poco da dire. E io francamente non la trovo la scelta migliore". Se "questa è un’emergenza ambientale, allora dobbiamo fare presto - ha aggiunto -. Questi sono problemi che non si affrontano con la carta da bollo o mettendo un custode giudiziario davanti ai cancelli di un impianto chiuso. L’Ilva - ricorda Clini - aveva dato un segnale concreto di collaborazione con le istituzioni e il tribunale del riesame bene aveva fatto a nominare il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante custode degli impianti dell’area a caldo". Ciò, infatti, osserva il ministro, "voleva dire che l’impresa si assumeva la responsabilità diretta del risanamento, mettendo in campo le sue competenze e le risorse finanziarie necessarie. Ma adesso che il gip l’ha rimosso, cosa succederà? - si chiede Clini - Il risanamento degli impianti industriali va fatto da chi li conosce". E poi: "Se chiudiamo la produzione dell’Ilva, a parte la sorte dei 20mila lavoratori, chi fornirà l’acciaio per l’economia italiana? Chi ci guadagna? L’Italia ci perde, mentre alla finestra mi pare già di vedere i tanti competitori europei per non parlare dei cinesi, che ne trarrebbero di sicuro un grande vantaggio".
Magistrato di ferro, dalla pedofilia alle cosche, dice di Patrizia Todisco il “Quotidiano Nazionale” e “La Repubblica”. Si è occupata di violenza sessuale su minori, criminalità organizzata, usura, assenteismo e di reati ambientali prima di arrivare a diventare l’ incubo dell’Ilva. Anna Patrizia Todisco, il giudice per le indagini preliminari di Taranto che ha firmato l’ordinanza di sequestro dell’area a caldo, ma anche i provvedimenti di ... Si è occupata di violenza sessuale su minori, criminalità organizzata, usura, assenteismo e di reati ambientali prima di arrivare a diventare l’ incubo dell’Ilva. Anna Patrizia Todisco, il giudice per le indagini preliminari di Taranto che ha firmato l’ordinanza di sequestro dell’area a caldo, ma anche i provvedimenti di specifica e la revoca della custodia a Ferrante, è una donna di 49 anni, magra, capelli corti con sfumature rosse, segno zodiacale Toro, piglio più che deciso. Ha alle spalle una carriera all’insegna della difesa dei più deboli, i colleghi la definiscono «molto riservata e preparata». È nata a Taranto e ha da sempre negli occhi il profilo delle ciminiere dell’Ilva. Entra in magistratura nel 1993, arrivando tra i primi del suo concorso. L’ottima posizione in graduatoria le consente di scegliere la sede di lavoro e lei decide di rimanere a Taranto. Dal ’95 lavora presso il tribunale dei minori, poi passa al penale. Qui affronta casi di violenza in famiglia, ma anche di pedofilia: nel 2007, fece arrestate 21 uomini per aver abusato di due sorelle con grave disagio mentale, senza famiglia e senza alcun sostegno sociale. Persegue anche i clan ionico-salentini e i loro legami con la Sacra corona unita con un’operazione che nel 2009 porta in carcere 43 affiliati, per arrivare ad un caso di ‘lupara bianca’ nel 2011. Il suo nome è finito anche nel ‘caso dei casi’, quello di Avetrana. Dopo l’omicidio di Sarah Scazzi, Patrizia Todisco si reca nel carcere di Taranto per la convalida di arresto di un detenuto. Nello stesso istituto è rinchiusa Sabrina Misseri, la cugina di Sarah accusata dell’omicidio. In un’informativa riservata, poi pubblicata, il magistrato racconta: «Mentre attendevo nella sala magistrati transitava un agente di polizia penitenziaria il quale, rivolgendosi a me, profferiva con aria sconfortata una frase del tipo ‘dottoressa, non ce la facciamo più’. Per far capire a cosa si riferisse, racconta la Todisco, il poliziotto «passandomi davanti mi mostrava velocemente un foglio, ponendolo di fronte a me ed indicandomi il nome che vi compariva nella parte superiore e che riuscivo appena a leggere: ‘Misseri Sabrina’». Da lì si apre un’indagine interna per capire se il foglio mostrato al giudice fosse una lettera che Sabrina avrebbe tentato di far uscire dal carcere o una semplice richiesta di colloquio che non avrebbe avuto seguito.
Di tutt’altro tono è l’immagine data da “Libero Quotidiano”. “Patrizia Todisco, gip: la zitella rossa che licenzia 11mila operai Ilva”. Patrizia Todisco, il giudice per le indagini preliminari che sabato 11 agosto 2012 ha corretto il tiro rispetto alla decisione del Tribunale di Riesame decidendo di fermare la produzione dell'area a caldo dell'Ilva si Taranto lasciando quindi a casa 11mila operai, è molto conosciuta a Palazzo di giustizia per la sua durezza. Una rigorosa, i suoi nemici dicono "rigida", una a cui gli avvocati che la conoscono bene non osano avvicinarsi neanche per annunciare la presentazione di un'istanza. Il gip è nata a Taranto, ha 49 anni, i capelli rossi, gli occhiali da intellettuale, non è sposata, non ha figli e ha una fama di "durissima". Come scrive il Corriere della Sera, è una donna che non si fermerà davanti alle reazioni alla sua decisione che non si aspetta né la difesa della procura tarantina né di quella generale che sulle ultime ordinanze non ha aperto bocca.
Patrizia Todisco è entrata in magistratura 19 anni fa, e non si è mai spostata dal Palazzo di giustizia di Taranto, non si è mai occupata dell'Ilva dove sua sorella ha lavorato come segretaria della direzione fino al 2009. Non si è mai occupata del disastro ambientale dell'Ilva ma, vivendo da sempre a Taranto, ha osservato da lontano il profilo delle ciminiere che hanno dato lavoro e morte ai cittadini. La sua carriera è cominciata al Tribunale per i minorenni, poi si è occupata di violenze sessuali, criminalità organizzata e corruzione. Rigorosissima nell'applicazione del diritto, intollerante verso gli avvocati che arrivano in ritardo, mai tenera con nessuno. Sempre il Corriere ricorda quella volta che, davanti a un ragazzino che aveva rubato un pezzo di formaggio dal frigorifero di una comunità. Fu assolto, come dice un avvocato "ma lo fece così nero da farlo sentire il peggiore dei criminali".
Operai contro cittadini. Chi è in piazza, (con i sindacati, ma per la prima volta anche contro gli stessi sindacati che hanno svenduto la dignità di una classe operaia), per difendere il "diritto al lavoro" e chi, invece, non aspettava altro che l'intervento della magistratura per veder difeso il "diritto alla salute". Per anni chi ha provato a recarsi a Taranto per raccontare questa dicotomia, lavoro contro salute, ha incontrato una realtà difficile da capire prima ancora che da scrivere o riprendere. Perché a Taranto non ci sono famiglie che vivono di Ilva e famiglie che muoiono di Ilva. A Taranto "ci sono famiglie che vivono e muoiono di Ilva" spiegano i comitati che da anni si battono per chiedere la bonifica della città. «Cosa vogliamo? Lavorare e non inquinare. Si può, si deve». Parole in più non erano necessarie, né richieste. A migliaia di gradi, giù negli altiforni o volteggiando sulle gru, le parole si seccano. E infatti parlano poco gli operai dell’Ilva. In quelle giornate di lotta bastava il loro sguardo a far intuire che la maschera di fierezza non esiste. Esiste, semmai, l’umana paura del soldato in trincea: per sé, per le proprie famiglie e per il momento difficile da tutti contro tutti. Sindacati contro operai e viceversa, operai contro operai, lavoratori contro ambientalisti, cittadini contro operai. Tutti contro i politici, perché la politica è arrivata a un bivio di trasparenza oltre il quale c’è solo il precipizio se non si faranno scelte coraggiose.
Da parte sua anche l’Associazione dei magistrati è strabica nel difendere l’operato dei magistrati tarantini. Questi magistrati che di fatto hanno insabbiato ed oggi si sputtanano a vicenda emettendo ordinanze contrastanti. Neo-segretario generale dell’Associazione nazionale magistrati, titolare dell’inchiesta che nel settembre del 2001 portò al sequestro di 4 batterie dell’area cokerie dello stabilimento siderurgico, tarantino da ormai quasi 20 anni, Maurizio Carbone offre il suo punto di vista sulle polemiche sorte a seguito del sequestro dell’area a caldo dell’Ilva e all’arresto di 8 tra dirigenti e proprietari. «Di fronte alla contestazione di reati così gravi c'è una sconfitta, una sconfitta di tutti, significa che non hanno funzionato a dovere la politica e gli organi amministrativi di controllo. È un provvedimento che è stato molto sofferto, si parla di supplenza della magistratura, ma questo - dice Carbone a Mimmo Mazza su “La Gazzetta del Mezzogiorno” - è dovuto al fatto che non hanno funzionato evidentemente in questi anni gli altri organi di controllo. Non c'è dubbio che quando la magistratura interviene, interviene per salvaguardare il diritto alla salute e il diritto alla vita». Il segretario generale dell’Anm ricorda che «La magistratura tarantina è impegnata, purtroppo, devo dire, da decenni sulla questione ambientale, dell'inquinamento e dei gravi danni alla salute che questo comporta. Nella stessa ordinanza di sequestro sono citate le tante indagini che sono sfociate ricordiamolo in processi e con sentenze definitive di condanna. Si tratta di vicende giudiziarie che sono durate anni e che hanno portato a decisioni definitive, anche una decina di anni fa ci fu un altro sequestro che riguardò una parte dello stabilimento, in particolare alcune batterie delle cokerie, con questo voglio dire - spiega Carbone - che la questione è nota da tempo, sono state già accertate responsabilità con riferimento ai diversi settori dell'azienda e devo dire che oggi tra l'altro non aiuta fare riferimenti al passato». Carbone sottolinea che «oggi la preoccupazione di tutti noi che viviamo tra l'altro a Taranto è questa situazione di attuale pericolo per la salute e per la stessa vita, così come è stato delineato nel provvedimento del giudice Patrizia Todisco ed è molto triste vedere una cittadinanza dilaniata in due tra diritto al lavoro e diritto alla salute. Spero che al più presto, ma questo è un auspicio che faccio anche come cittadino di Taranto, che la politica si occupi in maniera seria della questione. Voglio sperare che non sia crei un clima di sfiducia nei confronti dei magistrati che sono intervenuti sino ad ora o peggio ancora una influenza o un condizionamento nei confronti degli altri magistrati che tratteranno della questione. Ci sono in ballo dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, è giusto che la magistratura operi in piena autonomia». Sulla vicenda interviene anche Cosimo Ferri, segretario di Magistratura indipendente, che chiede «fiducia e serenità, anche da parte dell'opinione pubblica, nei confronti dei magistrati requirenti e giudicanti che si stanno occupando del sequestro» degli impianti Ilva di Taranto. Secondo Ferri, i magistrati «stanno lavorando con grande impegno, professionalità e senso di responsabilità, garantendo il rispetto della legge, ben consapevoli dell'effetto dei loro provvedimenti. Desideriamo esprimere - conclude Ferri - profonda stima verso questi colleghi che con sobrietà, riservatezza svolgono il loro compito. Rispetto quindi per la delicatezza e la difficoltà del loro lavoro».
Vorrei dare un mio contributo alla discussione sul blocco degli impianti dell’ILVA di Taranto. Opinione letta il 3 agosto 2012 in diretta dal direttore di Bianco e Nero, trasmissione di TeleRamaNews, la tv del Grande Salento. Giuseppe Vernaleone ha letto e condiviso quanto io avevo scritto sui miei siti web e su altri organi d’informazione. Non che la mia opinione conti tanto, ma almeno per il fatto che per questa, come per altre problematiche, ho dato il mio apporto inascoltato per la soluzione dei problemi. Questo in virtù della mia esperienza e preparazione. Più domande sorgono spontanee. Perché l’ordinanza di sequestro degli impianti dell’ILVA solo ora dopo 40 anni di inquinamento e solo (si fa per dire) dopo 6 mesi dal deposito della perizia e perché si agisce contro i lavoratori? Perché un’ordinanza cautelare reale non è immediatamente esecutiva? Perché l’ordinanza di custodia cautelare per Emilio e Nicola Riva e per gli altri dirigenti è stata solo ai domiciliari e non in carcere come i comuni mortali? Perché la stessa ordinanza non è stata emessa anche per i dirigenti attuali, quale l’ex prefetto di Milano? Perché i dirigenti precedenti si sono dimessi una settimana prima dell’ordinanza? Qualcuno ne ha anticipato il contenuto per poter evitare l’arresto? Gli ambientalisti vogliono desertificare l’economia; i politici ci hanno portato alla fame; i magistrati prima insabbiano e poi mannaiano. Il Procuratore capo della Procura presso il Tribunale di Taranto, Franco Sebastio, è 20 anni che indaga i dirigenti dell'ILVA. Si va dal disastro doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, getto e sversamento pericoloso di cose, più una serie di altri reati sugli infortuni del lavoro. Mai, però, si era arrivati a questo punto. «Il provvedimento del gip è inevitabile, serio, sofferto. E’ un’indagine a tutto campo per stabilire una volta per tutte che i morti determinati dagli inquinanti a Taranto, a Brindisi o a Lecce meritano rispetto, lo stesso rispetto, ad esempio, della Thyssen, di Marghera, di Genova. I nostri non sono morti di serie B. Sono persone, operai e cittadini che hanno lo stesso diritto costituzionalmente garantito di vedersi tutelati una volta per tutte». Così ha parlato alla conferenza stampa del 27 luglio 2012 il procuratore generale della Corte di Appello di Lecce, Giuseppe Vignola, circa l’inchiesta della magistratura del capoluogo jonico che ha portato al sequestro degli impianti più importanti dello stabilimento siderurgico Ilva: le cokerie, l’agglomerato, la gestione delle aree ferrose, i parchi minerali, gli altiforni e le acciaierie. Le accuse, a vario titolo, sono di disastro ambientale doloso e colposo, getto e sversamento pericoloso di cose, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici. «Quindi – ha aggiunto – la necessità di intervenire con il sequestro nell’ambito dell’incidente probatorio con quella perizia medico-epidemiologica. Ci siamo limitati all’Ilva ma evidentemente questo si estenderà anche ad altre industrie inquinanti: Cementir, Agip o Eni e poi a Brindisi». Inoltre ha sottolineato che «mentre di giorno si rispettavano le prescrizioni imposte, la notte ci si muoveva in maniera diversa - ricordando che - dalla eloquente e impressionante documentazione filmata e fotografica del Noe sul reparto agglomerato è emerso che di notte venivano fuori dai camini le nubi contenenti polveri sottili. Questo è un fatto inoppugnabile ripreso fotograficamente. La perizia medico-epidemiologica è stata difficile ma ha dato risultati sui quali non penso si possa avanzare alcun serio dubbio». Infine Vignola si è augurato che presto venga istituito il registro tumori "che chiediamo da tempo" e che è previsto dalla legge regionale approvata recentemente. Il pg ha difeso le prerogative della magistratura. Citando Montesquieu sulla separazione dei poteri: “Nessuna invasione di campo”. Poi una nota polemica al ministro dell’ambiente Clini che ha sollecitato il reintervento del Riesame:”Dovrebbe essere parte offesa”. Già, ci chiediamo: per quarant'anni da quale parte è stata la magistratura ed ancora oggi da quale parte sta la politica. Com'è labile il confine tra legalità ed interesse. Ma c’è la legge: chi inquina, paga. La legge non dice: chi inquina, chiudilo. Perché devono pagare solo e sempre i lavoratori e non i poteri forti? Diritto al lavoro e diritto alla salute perché non possono coesistere? L’ILVA, come altre grandi imprese, privatizza il profitto e collettivizza le perdite. Sarà così anche stavolta. Possibile cassa integrazione per gli operai e bonifica dell’ambiente inquinato tutto a spese dello Stato. 336 milioni di euro stanziati. Se chiude l’ILVA il danno non è per la famiglia Riva. Loro hanno grandi principi del Foro che li difendono, compreso l’ex presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, Egidio Albanese. Con il ricatto occupazionale ci si può permettere di tutto in un’Italia politicizzata. In altri tempi proposi una class action per danno, anche esistenziale, contro l’ILVA, affinchè si intaccasse l’interesse privato dell’azienda. In questo modo essa per forza di cose era costretta a limitare l’emissioni nocive contro le persone e l’ambiente, per non moltiplicare le azioni di tutela della salute. Azioni che limiterebbero il profitto dell’azienda. Invece no. Si lascia attendere fino a che lo Stato è costretto ad intervenire a vantaggio di un’impresa privata. Nessuno ha seguito il mio consiglio. Non vorrei che l’astio contro l’ILVA mosso da vari personaggi tarantini e il disinteresse dei cittadini tarantini nei confronti delle sorti dei suoi operai fosse insito nel fatto che proprio quegli operai sono cittadini della provincia e sappiamo quanto i cittadini tarantini abbiano la puzza sotto il naso nei confronti dei provinciali. Naturalmente allo stato dei fatti, senso di superiorità mal riposta.
E che dire dei magistrati del Tar di Lecce, competenti anche sulla provincia di Taranto. "Ilva, il presidente del Tar di Lecce cognato dell'avvocato dell'azienda", scrive Giuliano Foschini su “La Repubblica”. I ricorsi del colosso sempre accolti. Esposto di Legambiente al Csm, bufera su Antonio Cavallari. "E' incompatibile". "Accuse infondate, il legale si occupa di cause di lavoro". Il primo a lanciare la pietra era stato il presidente dell'Arpa pugliese, Giorgio Assennato. "L'Ilva - aveva detto - non si è mai voluta sedere a un tavolo con noi. Sono rimasti sull'Aventino e hanno continuato a fare ricorsi su ricorsi al Tar di Lecce, sempre vinti... Sono sicuro che anche la Procura di Taranto perderebbe se fosse il Tar di Lecce a decidere sui suoi atti". Subito dopo erano intervenute le associazioni ambientaliste, segnalando come in questi anni molte decisioni di natura sanitaria prese da Comune e Asl fossero state sempre cassate dal Tar. Ora il caso arriverà davanti al Consiglio superiore della Magistratura. Perché? Il presidente del Tar di Lecce, Antonio Cavallari, è il cognato (hanno sposato due sorelle) di uno degli avvocati esterni dell'Ilva, Enrico Claudio Schiavone. "Una situazione - spiegano dal direttivo nazionale di Legambiente - che secondo noi è doveroso segnalare al Csm perché il Consiglio valuti eventuali situazioni di incompatibilità o anche soltanto di opportunità. La situazione è così delicata, che richiede il massimo della trasparenza a tutti i livelli. Anche quello della magistratura amministrativa". I due protagonisti però rimandano al mittente tutte le accuse. "Da un punto di vista tecnico, non siamo nemmeno affini. E soprattutto l'avvocato Schiavone non difende l'Ilva davanti al Tar". Schiavone è infatti un lavorista, è lui a difendere il siderurgico (in qualità di consulente esterno) nella maggior parte delle cause contro i lavoratori: "Questo della parentela - dice - è un dettaglio insignificante". Il Tar era finito nell'occhio del ciclone per aver accolto una serie di ricorsi dell'Ilva: dal referendum chiesto dai cittadini per decidere sulla chiusura dello stabilimento a una serie di ricorsi di natura sanitaria. A febbraio il sindaco di Taranto, Ippazio Stefano, aveva ordinato la fermata degli impianti per effettuare una serie di lavori per ridurre inquinamento e impatto ambientale. Ma il Tar aveva sospeso il provvedimento sostenendo che non esisteva un'emergenza sanitaria tale da giustificare "l'esercizio del potere di ordinanza attribuito al sindaco". Qualche mese dopo sarebbe arrivata la decisione del gip, Patrizia Todisco, di sequestrare l'impianto proprio per l'emergenza sanitaria. "Ma se c'è qualche responsabile in questa vicenda - dice Cavallari - è chi doveva controllare e non lo ha fatto. Noi in 23 anni abbiamo avuto appena 36 ricorsi dell'Ilva e molti sono stati respinti, come per esempio quelli su alcune prescrizioni dell'Aia". Assennato però faceva riferimento a un provvedimento dell'Arpa che, già nel 2010, imponeva all'Ilva di abbassare le emissioni di benzoapirene, l'inquinante segnalato come pericolosissimo oggi dai periti della procura. I tarantini potevano risparmiare due anni di veleno. Ma anche in questo caso, il provvedimento fu cassato. "Ma era incoerente - spiega il giudice amministrativo - si chiedeva all'Ilva di applicare determinate prescrizioni in materia di emissioni sulla base di parametri stabiliti in tempi successivi. Se si stabiliscono dei limiti alle emissioni, e poi quei limiti vengono abbassati, noi dobbiamo basarci sui parametri in vigore nel momento in cui si contesta il superamento di quei limiti". Cavallari, tra l'altro, in questi giorni è al centro di un'altra inchiesta giudiziaria. È indagato per abuso di ufficio con l'accusa di aver riassegnato un appalto a un'azienda che era stata esclusa per mafia. Firmò lui il provvedimento nonostante toccasse a un'altra sezione. "Ma era un provvedimento d'urgenza e la collega non c'era: agimmo in accordo. Sono serenissimo" conclude il giudice amministrativo. Già, però èindagato il presidente del TAR Lecce solo per abuso d’ufficio e solo lui. Antonio Cavallari, presidente del Tar di Lecce indagato per abuso d’ufficio per aver favorito un’azienda in odor di mafia difesa dal noto amministrativista leccese, avv. Pietro Quinto. Tutta la stampa ne parla. Un’azienda in odore di mafia. E un discusso decreto del Tar. Sono questi per “Il Quotidiano di Puglia” i due elementi alla base di un’indagine su cui la Procura, comprensibilmente, vuole mantenere il più stretto riserbo. Antonio Cavallari, presidente del Tribunale amministrativo regionale di Lecce, sarebbe indagato per abuso di ufficio, proprio in relazione a un suo provvedimento adottato nel marzo 2012. Sono queste le uniche notizie che trapelano dal Palazzo di giustizia. L’inchiesta sarebbe seguita personalmente dal procuratore capo di Lecce Cataldo Motta. La vicenda riguarderebbe un appalto per il servizio di raccolta dei rifiuti urbani di Casarano, vinto dalla Cogea. L’aggiudicazione provvisoria, però, era stata revocata subito dopo dall’amministrazione casaranese sulla scorta di una informativa antimafia, ossia un documento in cui si mette in guardia dalle possibili infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto economico e nell’organico di un’azienda. Nel documento, nello specifico, si ipotizzava un presunto legame della Cogea con Gianluigi Rosafio, imprenditore di Taurisano già condannato per traffico illecito di rifiuti, e legato a doppio filo con il boss ergastolano Giuseppe Scarlino, avendone sposato la figlia. A quanto pare, nell’informativa si faceva riferimento a una particolare vicinanza tra la Cogea e la Geotec Ambiente: entrambe le società avrebbero lo stesso direttore tecnico. E visto che la Geotec era già stata colpita da un’interdittiva antimafia perché aveva tra i suoi dipendenti proprio Gianluigi Rosafio, lo stesso provvedimento è stato preso nei confronti dell’altra società, neo aggiudicataria dell’appalto. I tempi sono stretti: il 2 marzo 2012 il Comune di Casarano revoca l’aggiudicazione; la Cogea fa ricorso al Tar e il giorno dopo il presidente Cavallari emette un provvedimento cautelare con cui accoglie l’istanza presentata dall’azienda e quindi sospende la revoca del Comune. Sarebbe questo il passaggio finito sotto la lente d’ingrandimento degli investigatori. I carabinieri, peraltro, su ordine della Procura di Lecce, hanno effettuato un veloce blitz negli uffici del Tar, in via Rubichi, a quanto pare sequestrando alcuni documenti e anche un computer. A cosa porterà l’indagine e che tipo di illecito punta eventualmente a scoprire, rimane ancora un mistero. Che verrà svelato solo quando la Procura riterrà di poter uscire allo scoperto.
Per il resto ognuno si faccia una propria idea secondo i fatti raccontati ed avvenuti.
Secondo Giangranco Lattante de “La Gazzetta del Mezzogiorno”: Un blitz riservatissimo. Un fascicolo blindato, chiuso a chiave, nella stanza del procuratore Cataldo Motta che gestisce il caso in prima persona. La faccenda è delicata. Riguarda un indagato eccellente: il presidente dal Tar di Lecce Antonio Cavallari. Abuso d’ufficio è l’ipotesi di reato. Tutto il resto è top secret. La Procura ha acceso un faro su una decisione-lampo assunta dal presidente Cavallari con un decreto cautelare. Una decisione che si innesta nell’ambito di una misura interdittiva. Cosa si voglia accertare e perché sia stata avviata l’inchiesta è materia ammantata dal massimo riserbo. Ma quando i carabinieri, su disposizione del procuratore, si sono presentati negli uffici del Tar hanno acquisito carte, fascicoli e documentazione relativa proprio al decreto cautelare che sospendeva l’efficacia della revoca di un appalto che era stato bloccato da un’interdittiva antimafia. Misure di questo tipo hanno l’obiettivo di evitare infiltrazioni della malavita nel tessuto produttivo. La visita dei militari del Nucleo investigativo del Reparto operativo del Comando provinciale risale ai primi giorni del marzo 2012. All’attenzione della Procura sarebbe finito il decreto cautelare emesso il 3 marzo (era un sabato) con il quale il presidente Antonio Cavallari ha accolto l’istanza presentata dalla società Cogea, la srl che si era visto revocare l’aggiudicazione provvisoria del servizio di raccolta dei rifiuti urbani di Casarano sulla scorta di un’informativa antimafia per via di presunti collegamenti con Gianluigi Rosafio, l’imprenditore di Taurisano condannato per traffico illecito di rifiuti e marito della figlia del boss ergastolano Giuseppe Scarlino, detto Pippi Calamita. La determinazione del responsabile del settore servizi tecnici del comune di Casarano, che aveva revocato l’aggiudicazione dell’appalto alla Cogea, era stata adottata il 2 marzo. Il giorno dopo il decreto cautelare del presidente del Tar Cavallari veniva depositato in segreteria. Più precisamente, l’interdittiva antimafia traeva origine nel fatto che il direttore tecnico di Cogea fosse lo stesso di «Geotec Ambiente», società a sua volta colpita da interdittiva per la presenza, fra i dipendenti, di Gianluigi Rosafio. L’unica volta che l’indagine è uscita allo scoperto è stato quando i carabinieri sono andati negli uffici del Tar, in via Rubichi a due passi da piazza Sant’Oronzo, per «prendere» le carte. L’episodio, peraltro, era stato vagamente richiamato dallo stesso presidente Antonio Cavallari in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale amministrativo regionale. Erano trascorsi appena sette giorni dalla decisione e dal blitz. Un’uscita, quella del presidente del Tar, che era stata sepolta da una montagna di smentite. E il Procuratore era al lavoro, a testa bassa.
“Cavallari indagato? E’ una cosa che non sta nè in cielo né in terra”. L’Avvocato Pietro Quinto a “Trnews” non nasconde la propria perplessità dopo la tegola giudiziaria che si è abbattuta solo sul Presidente del Tar di Lecce, Antonio Cavallari, indagato per abuso d’ufficio. Tutto per una vicenda che si collega ad un appalto per la raccolta dei rifiuti urbani a Casarano. I fatti risalgono allo scorso marzo 2012: la Cogea vince l’appalto, ma l’aggiudicazione provvisoria viene revocata dalla locale amministrazione comunale retta dal Commissario prefettizio Ermina Ocello, sulla scorta di una segnalazione. Nel documento si ipotizzerebbe un presunto collegamento fra l’azienda in questione e Gianluigi Rosafio, imprenditore di Taurisano, già condannato per traffico illecito di rifiuti con l’aggravante mafiosa, genero di Giuseppe Scarlino, detto ‘Pippi Calamita’, boss del sud Salento condannato all’ergastolo. L’azienda non ci sta e assistita dall’Avvocato Pietro Quinto fa ricorso al Tar, chiedendo un decreto d’urgenza. “I tempi sono stretti – ricorda Quinto – l’informativa arriva alla vigilia dell’avvio del servizio e l’azienda che teme un danno economico, chiede un decreto d’urgenza”. Ed ecco che in assenza del giudice della terza sezione, la situazione la prende in mano il Presidente in persona, Cavallari appunto, che emette un provvedimento con cui accogliendo l’istanza presentata dall’azienda di fatto sospende la revoca del Comune di Casarano e dà il via libera al servizio che partirà di lì a poche ore. “E’ stato fatto tutto alla luce del sole – sottolinea ancora l’Avv. Quinto – impossibile anche lontanamente parlare di abuso d’ufficio”. Ma intanto i carabinieri, al cui vaglio ci sono documenti e pc sequestrati dall’ufficio di Cavallari, vogliono andare a fondo. In effetti tutta la vicenda si è consumata in sole 48 ore. C’è però un altro risvolto. Dopo la pronuncia di Cavallari, la Prefettura emise una vera e propria interdittiva nei confronti della Cogea, interdittiva recepita dal Commissario Ocello che stilò un nuovo atto di revoca del bando. Intanto la Cassazione aveva annullato con rinvio l’aggravante mafiosa nei confronti di Rosafio, chiedendo la celebrazione di un nuovo processo. Ora si attende la decisione del Consiglio di Stato che si pronuncerà solo dopo decisione del giudice penale.
Ahhh...Quante volte io e tutti gli avvocati non principi del foro che bazzicano le aule del Tar di Lecce avremmo desiderato un atto di sospensiva di sabato ed in 24 ore!!!!!!!!
Questi sono i magistrati con cui si ha a che fare ogni giorno e che dire della stampa?
La stampa a Taranto non è nuova a scandali. Come riportato da “La Repubblica” avrebbero gonfiato i fatturati per ottenere un punteggio maggiore nella graduatoria di concessione dei contributi pubblici stilata ogni anno dal Corecom per le emittenti televisive pugliesi. Così due tv sono finite nei guai. A scoprire il raggiro è stata la guardia di finanza. A Taranto dal 2007 al 2009 l' emittente Studio 100 avrebbe emesso fatture per operazioni commerciali mai poste in essere. Il sistema sarebbe stato realizzato con l' aiuto di altre "società sorelle". Conti correnti, quote societarie, beni mobili e immobili di proprietà dell' emittente televisiva, del suo amministratore e dei due soci rappresentati delle "società sorelle" sono stati sottoposti a sequestro preventivo. Il profitto derivato dall' illecito conseguimento dei contributi sarebbe di 2,5 milioni di euro. In tre sono stati denunciati per truffa aggravata. A Castellana Grotte invece Puglia Channel, con la complicità di tre società, avrebbe dichiarato un fatturato fittizio per ottenere i contributi: i finanzieri hanno verificato l' utilizzo di fatture false per spot pubblicitari e prestazioni di servizio mai avvenute, per un totale di oltre 4,3 milioni. Lo scorso luglio 2011, nel corso di una complessa attività di indagine nei confronti di alcune emittenti televisive locali beneficiarie di contributi pubblici per il sostegno dell’informazione, previsti dalla legge nr. 448/98, i militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Taranto effettuarono un sequestro preventivo nei confronti della società proprietaria di una nota emittente locale tarantina e del suo legale rappresentante di beni mobili ed immobili fino alla concorrenza della complessiva somma di circa 900.000 euro, in relazione ad indebite percezioni di contribuzioni, relative alle annualità 2005 e 2006. Il prosieguo di detta attività d’indagine ha riguardato l’erogazione dei contributi relativi alle annualità dal 2007 al 2009 percepiti dalla stessa emittente televisiva. In particolare, nel corso di questi anni, il parametro di valutazione denominato “media dei fatturati dell’attività televisiva” risultante dal conto economico del bilancio di esercizio, utile per conseguire un maggiore punteggio nella graduatoria di concessione dei contributi, è risultato artatamente “gonfiato” con ricavi relativi a fatture emesse per operazioni commerciali che si ritiene non siano mai state effettivamente poste in essere. Questo sistema è stato realizzato con l’aiuto di altre società “sorelle” riconducibili ai soci di maggioranza e reali amministratori della stessa emittente locale. Le risultanze investigative sono state partecipate e condivise dalla Procura della Repubblica di Taranto che ha richiesto ed ottenuto dal giudice per le indagini preliminari l’emissione di un decreto di sequestro preventivo di conti correnti, quote societarie, beni mobili ed immobili di proprietà della stessa emittente locale, del suo amministratore pro tempore e di altri due soci, rappresentanti delle citate società “sorelle” protagoniste dell’illecito sopra descritto, fino alla concorrenza della complessiva somma di circa 2.500.000 euro, che costituisce l’ingiusto profitto derivato dalle indebite percezioni di contributi erogati nelle annualità dal 2007 al 2009 in favore dell’emittente stessa. L’amministratore pro-tempore dell’emittente televisiva e due soci di maggioranza sono stati denunziati all’Autorità Giudiziaria competente per le ipotesi di reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, nonchè per emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. E dire che proprio il 12 settembre 2008, un'ora e mezzo di trasmissione in diretta sulla tv tarantina Studio 100, per l'occasione collegata con le emittenti Canale 7, Telebari e Teleonda Gallipoli. Argomento: la ripartizione - da parte del Corecom - dei contributi pubblici all'emittenza privata, previsti dalla legge 448 del 98. Nel corso della diretta - condotta dal direttore Walter Baldacconi con tre ospiti, due avvocati e l'editore di Canale 7, Gianni Tanzariello - una circostanziata denuncia. 13 emittenti pugliesi, su 42 ammesse ai contributi, avrebbero prodotto - in autocertificazione - documentazione non rispondente al vero in merito alla regolarità dei contributi versati all'Enpals per i lavoratori dipendenti. Ancora da accertare le posizioni con Inps e Inpgi. L'anno di riferimento è il 2006. Il puntuale versamento dei contributi previdenziali, costituisce condizione vincolante all'erogazione delle provvidenze pubbliche in questione. La denuncia è oggetto di interrogazione parlamentare del senatore di AN, Adriana Poli Bortone, che - collegata in diretta nel corso della trasmissione - ha ribadito la sua ferma intenzione di voler andare fino in fondo, nell'interesse di tutti. Nel corso del dibattito televisivo è emerso un altro dato: se quelle tv non sono in regola, non potranno sanare a posteriori la loro inadempienza. E’ al momento della richiesta del contributo che bisogna avere i titoli, come prevede la legge. Se è vero che il Corecom è tenuto ad accettare per buona l'autocertificazione sostitutiva, è altrettanto vero che quando questa dovesse risultare non veritiera - come pare nel caso di specie – sarà il ministero, erogante il contributo, a sospendere la procedura, e pare che questo stia già accadendo, con una prima richiesta di chiarimenti agli interessati.
Comunque per far capire l’ambiente e le circostanze su cui dileggiano le varie firme di stampa e tv e per chiudere la bocca a chi si destreggia tra ingiurie e diffamazioni gratuite basta la risposta delle istituzioni. «La Puglia e il Salento non sono diverse dalle altre zone di Italia, il Lazio, Roma Capitale, la Lombardia. Il Salento non è terra di sedimentate infiltrazioni mafiose». È questa la prima risposta data alla platea e all’intervistatore al capo della Polizia, Antonio Manganelli, ospite d’onore nella serata di venerdì 11 agosto 2012 a Miggiano (LE) della rassegna «Miggianosilibra», organizzata dall’assessorato comunale alla Cultura e patrocinata da Regione Puglia e Provincia di Lecce. Un evento d’eccezione con in prima fila il prefetto, Giuliana Perrotta, e il questore di Lecce, Vincenzo Carella e quello di Brindisi, Alfonso Terribile, autorità militari, consiglieri regionali, la vicepresidente della Provincia, Simona Manca e numerosi sindaci. Camicia bianca e jeans, accompagnato dalla moglie con la quale sta trascorrendo nel Salento alcuni gironi di relax, il prefetto Manganelli, come raccontato da Giuseppe Martella della Gazzetta del Mezzogiorno è arrivato nel piccolo centro del Capo di Leuca poco dopo le 20. Ad attenderlo, il procuratore capo della Dda, Cataldo Motta. Tra loro un colloquio fitto che dura una manciata di minuti, prima che Motta saluti e vada via. Prima dell’inizio dell’intervista, curata dal giornalista Rosario Tornesello, il capo della Polizia si intrattiene con funzionari e autorità. «Molti dei colleghi che sono presenti qui stasera – dirà nel corso della serata Manganelli – sono stati con me nel corso della mia carriera quasi quarantennale e vissuta in larga misura per strada. Con loro ho consumato le notti durante sfiancanti appostamenti, con loro ho condiviso la paura». Investigatori eccellenti li definisce il prefetto Manganelli, anche se alla domanda del giornalista che gli chiede se qualcuno di loro potrebbe lavorare con lui a Roma, risponde: «Stanno bene qui, lavorano in maniera ottima e conquistano ogni giorno risultati importanti, al centro dei miei frequenti contatti telefonici col procuratore Motta». È innamorato del Salento «territorio di frontiera e accoglienza che ha saputo mettere in vetrina le sue peculiarità», di quel Salento che pochi mesi fa è stato ferito a morte dal vile attento dinanzi alla scuola «Morvillo Falcone» di Brindisi. Nelle ore successive all’esplosione, il capo della Polizia fu uno dei pochi a parlare del possibile gesto di un folle. Da navigato investigatore ricostruisce: «Il nostro lavoro spesso procede per esclusione. Esclusa la pista mafiosa. Cosa nostra colpisce per raggiungere obiettivi e non lascia la Sicilia per un atto dimostrativo dinanzi a una scuola di Puglia. Escluso il terrorismo rosso e l’anarco-insurrezionalismo. Gli anarchici colpiscono per poi rivendicare e spiegare e nell’omicidio di una povera studentessa non c’è nulla da spiegare. O si era di fronte a una cellula eversiva, oppure a un folle, come alla fine le indagini hanno dimostrato». Contrario a qualsiasi patto tra Stato e mafia «anche se bisogna distinguere tra i vari livelli di accordi, come quello che può insistere tra un investigatore e un criminale che decida di vuotare il sacco», Manganelli non si sottrae quando gli chiedono cosa ha provato a chiedere scusa per i casi Aldovrandi e G8 di Genova. «Quando si ha fiducia nella magistratura e nei pronunciamenti che essa presenta, condividendoli o meno, e nel momento in cui ci si trova dinanzi a sentenze definitive, è d’obbligo chiedere scusa e non nascondersi dietro un dito».
Così è la giustizia a Taranto, se vi pare……
26 AGOSTO 2012: L’ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI SARAH
Racconta Mimmo Mazza sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” che a due anni dalla morte di Sarah ad Avetrana le uniche parabole sono quelle sistemate sui tetti delle case. Le uniche code sono quelle verso il mare di Torre Colimena o Porto Cesareo. Gli unici titoli di giornale letti con attenzione sono quelli sull'esordio della Juve. Sono due anni che Sarah Scazzi è scomparsa ma non se lo ricorda praticamente nessuno. Passiamo un'ora nel cimitero che ha immediatamente dopo l'ingresso la tomba monumentale dove riposa lo scricciolo biondo drammaticamente strappato alla vita. L'anno scorso c'era una fila enorme, i vigili urbani e la protezione civile furono costretti a regolare il traffico fin dall'uscita del paese. Furono sistemate due transenne alle spalle della tomba per consentire a tutti di lasciare un ricordo, un fiore, un peluche, un cartello, una lettera per Sarah. Ieri, sotto un sole africano in tutto simile a quello del 26 agosto 2010, vediamo solo due carabinieri posare un fiore sulla tomba. Sono il maresciallo Fabrizio Viva, comandante della stazione, e il brigadiere Biagio Blaiotta. Sulla lapide ci sono altri fiori, qualche peluche, alcuni oggetti. Frutto del pellegrinaggio di alcuni turisti, ci dice il custode. Non del pensiero degli avetranesi che sembrano (finalmente?) aver rimosso Sarah e i suoi presunti assassini, Sarah e il circo mediatico che un anno fa trasmetteva in diretta, nei tg delle 20, la messa organizzata in suo ricordo su richiesta del padre Giacomo e del fratello Claudio, dopo aver messo le tende qualche giorno dopo la scomparsa della 15enne, aver militarizzato un intero paese e fatto diventare star nazionali tipi come zio Michele, un uomo tutto casa e campagna, che anche ieri, in silenzio, è andato alle 5 in caserma per assolvere all'obbligo di firma impostogli dopo la scarcerazione. Quest'anno, nemmeno una messa. Concetta, mamma di Sarah, è testimone di Geova e dunque non ha chiesto alcun tipo di commemorazione religiosa. Claudio è partito mercoledì scorso dopo aver cercato inutilmente di organizzare la presentazione del suo libro sulla sorella. Giacomo ha passato la giornata nel suo solito bar, a chiacchierare con gli amici, tra una birra e una partita a carte. Non una messa, non un manifesto, non una diretta. Concetta non concede interviste, dopo essere apparsa sui media di mezzo mondo ed aver subito anche l'intrusione in casa da parte di Fabrizio Corona. Ma a chi la va a trovare dice di avere fiducia nella giustizia. E che la verità alla fine del processo verrà a galla. Lo ha ripetuto anche ai componenti del gruppo Facebook «Verità e Giustizia per Sarah Scazzi» che le hanno fatto visita, regalandone una foto, elaborata al computer, di Sarah vestita da sposa. Concetta sente spesso i suoi avvocati, a partire dai tarantini Luigi Palmieri e Manuela Stallo. Chiede, suggerisce, consiglia. Non smette di indagare sul movente. Perché se 21 udienze del dibattimento e un centinaio di testimoni sfilati, direttamente o tramite verbale, dinanzi alla corte d'assise, hanno dimostrato che gli autori del delitto vanno cercati tra le ultime persone ad aver visto Sarah il pomeriggio del 26 agosto, ovvero Michele Misseri, sua figlia Sabrina e sua moglie Cosima, sul movente, quel mix di gelosia e rancore tratteggiata dai pubblici ministeri Mariano Buccoliero e Pietro Argentino, non c'è ancora sufficiente chiarezza. C'è una domanda, tra molte, che attende ancora una esauriente risposta: quanti sapevano già il 26 agosto del 2010 che a Sarah Scazzi era successo qualcosa di terribile? Il riferimento non è solo e soltanto al fioraio Giovanni Buccolieri che quel pomeriggio ha visto Sarah inseguita e poi costretta a salire in auto da Cosima Misseri, una ricostruzione che l’uomo ha prima confidato a conoscenti e amici e poi, però, non ha confermato in sede di interrogatorio, spiegando che era tutto frutto di un sogno. Buccolieri non sembra l’unico testimone – reticente o meno si vedrà solo al termine del processo – di quel giorno. Poche ore dopo la scomparsa di Sarah, quando la notizia comincia a circolare in paese, sul profilo Facebook chiamato «Regen» (pioggia in tedesco), gestito da alcune persone tra le quali ci sarebbero Antonella Spinelli, la cuginetta di Sarah di San Pancrazio Salentino, ma anche Sabrina Misseri (la cugina in carcere perché accusata di omicidio), Alessio Pisello, amico sia di Sarah che di Sabrina, e dalla stessa Sarah compaiono delle foto inquietanti (poi rimosse ma entrate in possesso della Gazzetta): un manichino legato da corde, una ragazza bionda che galleggia nell’acqua e un pozzo. Coincidenze? Il cadavere di Sarah – stando a quanto raccontato da Michele Misseri – è stato imbragato con una corda (praticamente come il manichino postato su Fb) per poi essere calato nella cisterna di contrada Mosca, cisterna piena di acqua. Un manichino con la corda, la ragazza in acqua, la botola di un pozzo. Possibile che a suo tempo ci fu qualcuno che cercò d’indirizzare gli inquirenti verso la verità ma non fu ascoltato? Il mistero resta. E forse si intreccia con quello riguardante la collana con un teschio che Sarah comprò assieme alla cugina Antonella a San Pancrazio prima di far ritorno a casa, il 25 agosto e due anni fa. Concetta ricorda di aver visto quella collana ma quel teschio non è mai stato ritrovato. Il 18 settembre si ritorna in aula, parte l'esame degli imputati, chissà se Sabrina e Cosima, da oltre un anno nella stessa cella del carcere di Taranto, si decideranno a raccontare la loro verità.
E “Perché i pm Pietro Argentino e Mariano Buccoliero tra i molti testimoni non hanno chiamato anche Valentino Castriota a testimoniare tutto quanto era da lui conosciuto sul caso Sarah Scazzi, essendo il Castriota il primo ad essere intervenuto da estraneo nell’ambiente familiare in qualità di portavoce della famiglia Scazzi nei rapporti con i media?”
Ripeto. Le 21 udienze del dibattimento e un centinaio di testimoni sfilati, direttamente o tramite verbale, dinanzi alla corte d'assise, hanno dimostrato che gli autori del delitto vanno cercati tra le ultime persone ad aver visto Sarah il pomeriggio del 26 agosto 2010, ovvero Michele Misseri, sua figlia Sabrina e sua moglie Cosima. Sul movente, quel mix di gelosia e rancore tratteggiata dai pubblici ministeri Mariano Buccoliero e Pietro Argentino, non c'è ancora sufficiente chiarezza e condivisione. Hanno sposato un tesi e non la vogliono abbandonare. Ma è quella giusta? Porta ad una verità giudiziaria, ma è anche quella storica? C'è una prima domanda di Mimmo Mazza del “La Gazzetta del Mezzogiorno”, tra molte, che attende ancora una esauriente risposta: quanti sapevano già il 26 agosto del 2010 che a Sarah Scazzi era successo qualcosa di terribile? Poche ore dopo la scomparsa di Sarah, quando la notizia comincia a circolare in paese, sul profilo Facebook chiamato «Regen» (pioggia in tedesco), gestito da alcune persone tra le quali ci sarebbero Antonella Spinelli, la cuginetta di Sarah di San Pancrazio Salentino, ma anche Sabrina Misseri (la cugina in carcere perché accusata di omicidio), Alessio Pisello, amico sia di Sarah che di Sabrina, e dalla stessa Sarah compaiono delle foto inquietanti (poi rimosse ma entrate in possesso della Gazzetta del Mezzogiorno): un manichino legato da corde, una ragazza bionda che galleggia nell’acqua e un pozzo. Coincidenze? Il cadavere di Sarah – stando a quanto raccontato da Michele Misseri – è stato imbragato con una corda (praticamente come il manichino postato su Fb) per poi essere calato nella cisterna di contrada Mosca, cisterna piena di acqua. Un manichino con la corda, la ragazza in acqua, la botola di un pozzo. Possibile che a suo tempo ci fu qualcuno che cercò d’indirizzare gli inquirenti verso la verità ma non fu ascoltato? Il mistero resta. E forse si intreccia con quello riguardante la collana con un teschio che Sarah comprò assieme alla cugina Antonella a San Pancrazio prima di far ritorno a casa, il 25 agosto e due anni fa. Concetta ricorda di aver visto quella collana ma quel teschio non è mai stato ritrovato. Attenti a parlare di omertà di un intero paese e della sua comunità. Si potrebbe parlare di reticenza di qualcuno o, quantomeno, di indagini svolte in modo approssimativo da gente forse non preparata a questo tipo di situazioni delittuose. Ma parlare di inadeguatezza degli inquirenti è un tabù per i giornalisti che si sono occupati del caso. Troppo amici dei magistrati, fonte delle loro notizie, per poter sputare nel piatto in cui mangiano. Da qui la domanda più importante.
«Vorrei farvi una domanda alla fine dell’audizione dei testi dell’accusa nel processo sul delitto di Sarah Scazzi: Perche non è mai stato ascoltato l’ex portavoce Valentino Castriota? - chiede il dr Antonio Giangrande, scrittore di Avetrana che proprio su Taranto e su Sarah Scazzi ha scritto libri pertinenti questioni che nessuno osa affrontare e presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” (www.controtuttelemafie.it) sodalizio nazionale antiracket ed antiusura che proprio a Taranto ha la sua sede legale - Perché i pm Pietro Argentino e Mariano Buccoliero tra i molti testimoni non hanno chiamato anche Valentino Castriota a testimoniare tutto quanto era da lui conosciuto sul caso Sarah Scazzi, essendo il Castriota il primo ad essere intervenuto da estraneo nell’ambiente familiare in qualità di portavoce della famiglia Scazzi nei rapporti con i media? “Il Corriere della Sera” e le altre testate, così come la rete, danno la notizia. Valentino Castriota nativo di Trepuzzi (Lecce) e residente a Roma è stato arrestato il 5 gennaio 2011 con l'accusa di truffa e millantato credito nell'ambito di un'inchiesta della Procura della capitale su finte assunzioni presso la Marina militare, di cui danno notizia alcuni quotidiani pugliesi. A Castriota è stata notificata dai carabinieri un'ordinanza di custodia cautelare del gip del Tribunale di Roma Giovanni Ariolli su richiesta del pm Ilaria Calò. L'uomo, a quanto riportato dai giornali, è accusato di aver millantato conoscenze nelle forze armate per garantire, in cambio di soldi, la ferma prolungata a otto militari in congedo illimitato. Per millantato credito e truffa: per questo è stato arrestato l' ex portavoce della famiglia Scazzi, Valentino Castriota. Avrebbe intascato soldi da ex ufficiali della Marina dietro la promessa di farli tornare in servizio. Valentino Castriota, 37 anni, di Trepuzzi, è stato arrestato dai carabinieri della stazione su delega dei colleghi del Nucleo in servizio presso il Ministero della Difesa: l’ordinanza di custodia cautelare del giudice per le indagini preliminari di Roma, Giovanni Ariolli, gli ha contestato di aver intascato diverse migliaia di euro da sette ufficiali della Marina in ferma prolungata, dietro la promessa di farli tornare in servizio. Uno di questi ha scoperto il raggiro contestato dal pubblico ministero Ilaria Calò, presentandosi negli uffici di Genova della Marina con lettera che avrebbe ricevuto per intercessione di Castriota: e fu allora che scoprì di essere stato raggirato. Castriota, tra l’altro, si rileva dalla stampa, non è nuovo a queste vicende nonostante si sia esposto come portavoce della famiglia Scazzi, ma anche come uno dei promotori dell’associazione “Famiglie fratelli ristretti di Brindisi” e recentemente ha fondato un sodalizio a difesa delle donne. Il pubblico ministero della Procura di Lecce, Giovanni De Palma, ha chiesto la proroga delle indagini su nove ragazzi che gli avrebbero consegnato del denaro per garantirsi un posto di lavoro. Chi per fare l’autista di Gianfranco Fini, chi per lavorare alla Stp e chi alle Poste. Quest’ultimo ha subito la stessa onta dell’ufficiale della Marina presentatosi a Genova: con una lettera si è rivolto alla direzione delle Poste centrali di Lecce credendo di essere stato assunto. Ma anche questa lettera non sarebbe stato altro che un tassello dell’ennesima truffa. Tra l’altro negli anni scorsi Castriota finì sotto processo al Tribunale di Mesagne per aver spillato 70 milioni di lire ad una biologa di Torchiarolo dopo averle promesso un posto in un ospedale del Nord Italia grazie all’intercessione di un fantomatico deputato di An chiamato Fittipaldi. Il processo si chiuse perché l’altro imputato risarcì la vittima convincendola così a rimettere la querela. Insomma, se le accuse che gli sono costate il carcere si riveleranno fondate, sembra azzeccata la descrizione della personalità di Castriota fatta dal Gip del Tribunale di Roma Giovanni Ariolli: “Una spiccata capacità mimetica, doti dialettiche ed organizzative non comuni”. Ma l’indagato si professa innocente e vittima di raggiri anche lui: «Attendiamo l’esito delle indagini e spero quanto prima che il mio assistito dimostri la sua estraneità», sostiene l’avvocato difensore Giovanni Battista Cervo. «Se quelle promesse non hanno trovato seguito, lo si deve a terze persone. Quelle che poi hanno preso i soldi». Valentino Castriota per qualche settimana si disse “portavoce” di casa Scazzi e alla famiglia propose la gestione dei media. Perché non è stato mai ascoltato? Si dirà: nel processo Sarah Scazzi è inattendibile od è ininfluente. Certo che un dubbio viene: non è forse perché si vuol tacitare l’errore commesso dagli organi investigativi che in quel frangente di tempo dicevano di cercare Sarah e comunicavano che le indagini approfondite erano in corso a 360° e che invece sfuggisse loro il fatto che proprio all’interno della famiglia nell’imminenza del fatto si era permesso di inserirsi un corpo estraneo, già noto anche come il presenzialista di “Striscia la Notizia”? Anomalia sconosciuta dai carabinieri e dalla procura di Taranto e resa nota proprio su mia segnalazione fatta settimane dopo la scomparsa di Sarah, per non essere accusato di protagonismo. Segnalazione che solo allora ha portato all’allontanamento del Castriota. O forse perché si vuol tacitare la pessima figura fatta proprio dai media, nazionali e in particolar modo locali, che si arrogavano una presunta emancipazione che non esiste (i cittadini tarantini vengono definiti dai provinciali: cozzari). Giornalisti così affamati di verità ed a tal fine impegnati a riportare chiacchiere, pettegolezzi e maldicenze sul paese e sulla ragazza scomparsa, tanto da non scoprire quanto era palese sotto i loro occhi? Gli stessi organi di informazione che prima cercavano Sabrina e che oggi sposano in pieno la tesi accusatoria della sua colpevolezza? Il Settimanale “Oggi” con Giuseppe Fumagalli su Focus nel mese di novembre 2011 pubblicò una bella intervista del CASTRIOTA il quale parlava dei depistaggi e non solo di quelli. Perché non è stato mai ascoltato?»
E poi, così come racconta Nazareno Dinoi su “Il Corriere della Sera”, chi, tra i docenti del liceo classico «Archita» di Taranto, poteva avere interessi per la famiglia Misseri di Avetrana durante le prime fasi delle indagini sull’uccisione di Sarah Scazzi? Quale professore di quell’istituto, il 26 novembre del 2010, a tre mesi dall’omicidio, ebbe premura di avvertire Cosima Serrano, moglie di Michele Misseri e mamma di Sabrina, circa un suo imminente coinvolgimento nell’inchiesta? E perché? E quali inspiegabili collegamenti legavano gli uffici della Procura, le stanze di un liceo statale della città capoluogo e la sperduta villetta di un remoto comune al confine della provincia? A distanza di due anni da quella tragedia, ecco l’ennesima ombra nel giallo che ha inorridito l’intero Paese. I particolari sono nascosti nelle migliaia di pagine che compongono gli atti del processo. È la trascrizione di un’intercettazione telefonica tra Valentina Misseri, sorella maggiore di Sabrina, e un certo Antonio Laserra che la chiama. «Valentì, - esordisce l’uomo - mi hanno chiamato per dirti una cosa, mi hanno mandato un messaggio e mi hanno detto che tua mamma è in pericolo e di cominciare a consultare un avvocato». In effetti in quei giorni la moglie di «zio Michele» è la sospettata numero tre di via Deledda. Proprio allora il suo nome viene iscritto nel registro degli indagati. Qualcuno, evidentemente ben collegato con gli ambienti investigativi, è preoccupato per il futuro della donna non ancora accusata dell’omicidio della nipote. La stessa Valentina nella telefonata non si spiega chi potesse avere tale interesse perciò ne chiede conto al suo interlocutore. «Me lo hanno detto i professori del liceo classico Archita - dice Laserra -, purtroppo non l’hanno potuto dire a te perché… non possono lo sai». È evidente che tutti sapevano di essere intercettati. Michele Misseri era in carcere dal 7 ottobre, sua figlia Sabrina lo sarà una settimana dopo e nessuno ancora, tranne gli investigatori e gli inquirenti della procura, ipotizzano, a quella data, un coinvolgimento così diretto di Cosima Serrano. Ad ogni modo l’allarme lanciato dal liceo classico di Taranto è colto senza stupore da Valentina che dopo aver salutato l’amico chiama subito sua madre. «Contatta il tuo avvocato, ma’… avvisalo, mi hanno detto così», dice la ragazza alla sua mamma che vuole sapere di più. «Mi sa che è anche per te adesso…», risponde la figlia riferendosi chiaramente alla possibilità di un arresto. «Ma non è che vengono oggi, no?», chiede Cosima preoccupata. In effetti i carabinieri busseranno alla sua porta molto tempo dopo, il 26 maggio del 2011, con un mandato di cattura che l’accusa di concorso in sequestro di persona, omicidio e soppressione di cadavere.
“Sabrina Misseri parla. Dal 26 agosto 2010 non ha fatto altro. Fondamentalmente ha espresso due concetti. Oggi che è in carcere, accusata dell’omicidio di Sarah, proclama la propria innocenza. Prima di essere arrestata proclamava la colpevolezza degli altri. La ragazza, dicono i suoi avvocati, è sempre stata sincera. Lo è oggi e lo era anche allora, quando non poteva immaginare un padre mostro e forniva elementi, spunti e suggerimenti che potevano rivelarsi utili alle indagini. «Storie», ribattono i magistrati. Per loro Sabrina è una gran bugiarda. Sapeva benissimo che fine aveva fatto la cugina e tutto quello che raccontava aveva come unico scopo il depistaggio, per tenere carabinieri e magistrati il più possibile lontani da casa sua e dalla scena del delitto. Colpevolisti o innocentisti, ognuno può vederla come vuole. O se ancora non si è fatto un’idea, può rivederla come un film in dvd. Avetrana ha riempito Internet, giornali, trasmissioni televisive e oggi quel materiale permette di tornare indietro, premere play e ripartire da zero. Può essere un esercizio interessante. Utile per raccoglierle i frammenti dispersi dalla cronaca e allinearli in un’unica storia. Per scoprire così che nei primi dieci giorni di ricerche Sabrina ha indicato almeno dieci piste. Una al giorno. In questo viaggio a ritroso la guida è Valentino Castriota, trentasettenne leccese, accorso ad Avetrana due giorni dopo la scomparsa di Sarah. «Un amico mio, parente della famiglia, mi presentò a Concetta, mamma della ragazza. Donna fredda? No, io ho visto una donna frastornata. Era assediata dai media, c’erano giornalisti che si infilavano in camera di Sarah e li abbiamo persino trovati a frugare nei cassetti, alla ricerca di chissà quale scoop. È allora che ho deciso di fare la mia parte e ho fatto da portavoce alla famiglia Scazzi. Gratis, naturalmente». In quei giorni Sabrina va e viene dalla casa di Sarah e Valentino entra subito in contatto con lei. «Quella ragazza era un fiume in piena», ricorda lui. «Appena arrivava voleva sapere tutto, le televisioni o i giornali che volevano intervistarla, gli orari delle trasmissioni e poi il suo look, se era meglio col codino o coi capelli sciolti, con gli occhiali o senza, col trucco o nature». Con gli inquirenti che non sanno da che parte girarsi, Valentino viene travolto dal tornado Sabrina. Lei produce ipotesi investigative a raffica, lui le organizza interviste, conferenze stampa, appelli. «Erano tutti lì a pendere dalle sue labbra», spiega, «e questo invece che intimidirla le dava una carica pazzesca. Qualsiasi cosa andava bene. Bastava una voce, la notizia apparsa su un giornale o anche una supposizione campata per aria e lei partiva in quarta. Che fosse in casa coi famigliari o in pubblico davanti alle telecamere non si fermava più». L’ex portavoce di casa Scazzi però prende nota e quando riordina gli appunti si spaventa. «All’inizio mi sono lasciato travolgere. Poi, col passare dei giorni, c’era qualcosa che non mi tornava e lei lo ha capito». I primi contrasti cominciano con la fiaccolata per Sarah. «Lei non la voleva», prosegue Castriota, «diceva che non serviva a niente, che sarebbero venute cento persone. Credo che Sabrina volesse avere tutto sotto il suo controllo e un evento pubblico come la fiaccolata la preoccupava. Temeva che la situazione le sarebbe scappata di mano. Il 9 settembre, dopo la fiaccolata, piangeva sulle mie spalle e ho pensato che avesse cambiato idea. La sera dopo quando mi sono avvicinato a casa sua lei non si è fatta vedere. È uscita solo Cosima, che mi ha preso a male parole, come uno che si stesse immischiando nelle loro faccende». In quel momento si consuma la rottura. Sabrina scarica Valentino e insiste perché Concetta faccia lo stesso. «Ormai c’era qualcosa che non mi convinceva», insiste lui, «non potevo far finta di niente e così mi sono tolto dai piedi. Le dieci storie che ho sentito raccontare a Sabrina però non le ho dimenticate. E nei giorni successivi le ho viste uscire tutte. E tutte si sono rivelate campate in aria». Valentino le elenca, dividendole in due capitoli. Il primo, più scarno riguarda due ipotesi di sequestro. Uno, ordito dalla rumena Maria Pantir, badante del nonno di Sarah, il secondo portato a termine dagli zingari. Segue il capitolo più corposo delle fughe. Tre per amore. La cugina poteva essere scappata con un ragazzo conosciuto qualche giorno prima a San Pancrazio, poi con un trentenne col quale chattava e infine per farsi notare da un compagno di scuola che le piaceva e da cui si sentiva ignorata. «Me lo ricordo ancora quel ragazzino», commenta Valentino, «mentre lancia un appello la sera della fiaccolata: “Torna Sarah, diventeremo amici, te lo prometto”». Ma l’amore non è tutto. E Sabrina si sbizzarrisce. Sarah? Forse è in Germania, a casa di un cugino che la chiamava. Anzi, se n’è andata perché insofferente alla fede religiosa della madre, testimone di Geova. E non andava trascurato un episodio di inizio estate, quando Sarah si era scattata delle foto buttando lì una frase strana: «Le useranno quelli di Chi l’ha visto?» (la trasmissione che si occupa di persone scomparse e che il 6 ottobre avrebbe annunciato il ritrovamento del cadavere). Siamo a otto. «Nove e dieci mi danno i brividi», continua Valentino. «Me la ricordo come fosse oggi, mentre si rivolge a Concetta e le confida il lato segreto della figlia, ragazza spinta e disinibita, desiderosa di vivere la sua libertà lontana dalla famiglia. E se davvero sapeva della fine di Sarah, mi chiedo con che coraggio il 1° settembre abbia mostrato a sua zia quel messaggio arrivato sul suo telefonino da un numero sconosciuto: “Mamma sto bene non ti preoccupare”». Siamo a dieci. Ma sono ancora di più se si considera la testimonianza di Mariangela, che delle ricerche iniziate il 26 agosto fotografa un particolare: «Sabrina ripeteva “l’hanno presa, l’hanno presa”». Dodici se si considera l’interrogatorio dell’8 settembre, quando mette a verbale i suoi «sospetti sul padre di Sarah, descritto come uno che allungava le mani alle donne». Il 21 ottobre 2011, quando il gip Martino Rosati decide di tenere Sabrina in galera ed elenca tutti gli indizi raccolti contro di lei, in testa ci sono i depistaggi. Che alla fine non depistano. E per i giudici, riportano sempre a casa Misseri.”
Un giorno d’estate di due anni prima Sarah Scazzi usciva di casa per le vie di Avetrana. Provincia normale di un Paese, l’Italia, con pochi colpevoli e tanti imputati. Un Paese dove i delitti di Perugia e Garlasco sono ancora avvolti nel mistero dopo anni di processi. Al contrario, il giallo di Avetrana soffre di un eccesso verità. Le troppe verità di Michele Misseri che continua ad autodenunciarsi dell’omicidio della nipote di 15 anni sostenendo che moglie e figlia sono in carcere da innocenti: ”L’ho uccisa io, ma non mi credono più”. Il tempo scorre lento ad Avetrana. Come sempre le stagioni si inseguono. Questa è quella del mare, delle spiagge dorate e del mare cristallino che bagna le coste a pochi chilometri dal paese dell’olio e del vino buono. E da due anni, il 26 agosto per la precisione, anche la stagione di Sarah. Già, Sarah Scazzi, la ragazzina di appena quindici anni strangolata e buttata in un pozzo a pochi passi dalle ultime case di Avetrana. Vittima due volte Sarah, la prima del suo carnefice, la seconda di un lucifero depistaggio, di chi è stato capace di cancellare le prove e mescolare mille volte le carte in tavola a scapito della verità. Ad Avetrana tutto sembrava cambiato dopo lo tsunami mediatico del noir che sembra non conoscere oblio. Eppure non è così. Qui nessuno ne parla più e non solo perché stremato dalla saturazione che del caso ne ha fatto la tv riempiendo i palinsesti mattutini, pomeridiani e serali per mesi. «Già due anni sono passati? E quando?» dice servendo il caffè al tavolo il barista che per settimane era stato una stella fissa dei cronisti a caccia di notizie. Gli fa eco un avventore solleticato dalla discussione. «Sai che c’è. Questo è un paese piccolo. Ci siamo fatti travolgere da questa invasione, ma poi, a riflettori spenti ci siamo ripresi grazie a Dio la nostra vita, il nostro quotidiano. L’omicidio di Sarah è un fatto vecchio ormai. Roba per turisti». La frase accende l’attenzione della cronista Maristella Massari . «Si, ogni tanto qualcuno che viene in vacanza da queste parti ci chiede di Sarah. Ma per noi ormai la bambina riposa in pace. Siete voi che continuate ad alimentare questa storia. Avete fatto diventare star certi personaggi che in paese quasi nessuno conosceva». Un’affermazione dura, ma realistica. Impossibile non associare le parole ai nomi degli imputati. Partendo dalle due donne ancora in carcere per l’omicidio della giovane di Avetrana: Sabrina Misseri e sua madre Cosima Serrano. Che, dopo le smorfie e le lacrime, sarebbero pronte ora a parlare in Corte d’Assise per raccontare la loro verità su quel maledetto 26 agosto. Sabrina, per gli inquirenti, prima di essere arrestata, il 15 ottobre del 2010, avrebbe utilizzato i media per farsi pubblicità, abbagliata - come molte ragazze di paese - dalla visibilità diabolica che può regalarti il piccolo schermo. Alla fine avrebbe tentato di gestire i media per coprire le proprie responsabilità, questa, almeno, la tesi dell’accusa. Ancora più tragica la figura di sua madre, Cosima Serrano, matrona sfingea, probabilmente trascinata nell’orrore. Molta gente, ad Avetrana, ha subito creduto alla tesi della Procura, l’ha subito bollata «assassina» e non ha celato piacere quando per lei si sono spalancate le porte del carcere. Trame di paese, copione già visto. Alla sbarra c’è anche Michele Misseri, marito e padre delle due donne, ma solo per soppressione di cadavere. Lui continua invece ad autoaccusarsi. Vive dividendosi tra la villetta di via Deledda e le sue amate campagne. Dopo il carcere, l’arresto della moglie e l’avvio del processo, è tornato ad occuparsi di vigne e ulivi. Personaggio controverso, difeso dai paesani («Quello non farebbe male a una mosca»), talvolta deriso, adesso - per quel che si sa - spesso ignorato. Dopo due anni, insomma, ciò che resta sembra solo indifferenza.
Un quadro accusatorio ben delineato, secondo i magistrati, che collima con straordinaria preveggenza e nei minimi particolari con quanto aveva sospettato il fratello della vittima, Claudio Scazzi, già pochi giorni dopo quell’indimenticabile 26 agosto 2010.
Era il 6 settembre ed erano trascorsi solo nove giorni dalla scomparsa di Sarah. Le cronache non erano ancora molto interessate alla scomparsa e l’ipotesi più battuta era quella dell’allontanamento volontario. In casa Scazzi, però, c’era già chi anticipava i futuri punti cardine dell’accusa della procura: un omicidio parentale, commesso da una o più donne, per gelosia e invidia. «Noi stiamo sospettando i maschi, però può essere pure femmina, magari per invidia … un parente stretto stretto di cui non abbiamo manco idea ». Questa frase fu intercettata al fratello di Sarah, Claudio Scazzi, che da Milano telefonava ai genitori ad Avetrana. La conversazione inizia con Claudio che formula ipotesi indirizzando subito i sospetti su qualcuno che conosceva bene la sorella. «Le persone che possono fare una cosa del genere li puoi contare sulle dita di una mano … amici di Sabrina … non sono tanti, magari esce una cosa così che uno ha detto io sto a casa e poi esce che il telefono suo stava in quella via in quel momento». Il primogenito della famiglia Scazzi parlando poi con suo padre, insiste su questa tesi avvicinandosi ancora di più a quello che sarà il convincimento investigativo futuro. «Io dissi alla mamma, vedi che io magari mi sto sentendo qualche cosa di assurdo che magari questa è una donna, invece noi ci stiamo soffermando sugli uomini; vedi magari cioè un parente stretto stretto di cui non abbiamo manco idea». L’allora venticinquenne restrinse i sospetti sull’amica Mariangela Spagnoletti, la ragazza, amica di Sabrina Misseri con la quale Sarah quel giorno doveva andare al mare, non escludendo la cugina futura imputata e facendo per la prima volta emergere il movente della gelosia. «Una volta – raccontò Claudio al padre – Mariangela con Sabrina fecero un discorso strano del tipo che loro escono con Ivano no? … e Mariangela disse ma non portare Sarah perché sennò Ivano non ci caca a tutte e due. Perché Ivano teneva questo vizio che si abbracciava la Sarah, se la coccolava e così no? Metteva parecchia attenzione la Sarah no … e loro, magari lei può essere che era gelosa però ci disse questa frase qua, io mi ricordo che Sabrina mi disse questa frase qua».
La famiglia uccide più dei criminali. Se da una parte calano di un terzo gli omicidi, rispetto a 20 anni fa, dall'altra, però, aumentano pericolosamente i delitti che si consumano tra le mura domestiche. L'Istat, secondo quanto si ricava da un'analisi dell'agenzia Ansa, fotografa la situazione dell'Italia relativa al 2010, confermando un trend che già si manteneva costante dalla fine degli anni '90. Vittime quasi sempre le donne, ne viene uccisa quasi una ogni due, tre giorni. Nel 2010 le donne uccise sono state 156, nel 209 erano 172, nel 2003 il picco del decennio scorso con 192 vittime. Avventure amorose finite nel sangue, follie dei mariti, aumenta così l'omicidio di matrice familiare o sentimentale. Circa il 70% di questi omicidi sono compiuti da partner o parenti, e solo nel 15% dei casi la vittima è un uomo. Se negli anni '90 la paura era rivolta alla criminalità organizzata, letta come mafia, soprattutto al sud Italia, ora la violenza si avvicina e diventa il compagno o la compagna do letto. Lo Stato pensava di avere vinto e superato la paura di questo tipo di violenze, ma si è trovato a fronteggiare un nuovo mostro. In base ai dati a disposizione dell'Associazione avvocati matrimonialisti italiani, in media dal 2006 gli omicidi tra familiari sono stati circa 200 l'anno, quelli della malavita organizzata 170. Altra analisi: secondo una «sottostima» dell'Eurispes, nel biennio 2009-2010 ci sono stati 235 omicidi «domestici», di questi 103 tra amanti. Se la coppia si sgretola iniziano i problemi: «Nelle coppie - spiega Gian Ettore Gassani, presidente dell'Associazione avvocati matrimonialisti italiani al Corriere della Sera - l'80% degli omicidi avviene nelle fasi in cui la relazione sta finendo o quando è appena finita. Nell'85% dei casi, l'omicida è l'uomo, sia perchè di solito sono le donne a lasciare sia perchè per l'uomo è più difficile accettare di essere lasciato. A volte poi ci sono questioni di "onore", specie nei piccoli paesi, oppure economiche, come la perdita della casa, ma anche di affetto, come le difficoltà per vedere i figli». C'è la denuncia di stalking (il 70% riguarda denunce a uomini), che nel 40% dei casi avviene prima dell'omicidio, ma non sempre si riesce a intervenire per fermare la violenza. L'Eurispes, nel rapporto Italia 2011, scende nel dettaglio: dei 103 omicidi che hanno riguardato "innamorati", «gli autori sono stati principalmente mariti o conviventi (63,1%), ma anche fidanzati/ex amanti (15,5%), fidanzati, amanti, rivali o spasimanti (13,6%) ed ex coniugi o conviventi (7,8%). Per quasi 6 autori su 10 il movente è stata la gelosia, la non rassegnazione alla separazione o a un abbandono».
Ed Ancora. A due anni dalla morte di Sarah Scazzi Don Dario De Stefano sul suo profilo facebook il 25 agosto 2012 ha annunciato il suo trasferimento alla parrocchia di San Giovanni Bosco a Manduria. Avetrana in segno di disapprovazione ha reagito. Una raccolta di migliaia di firme tenta di far smuovere il vescovo di Oria dalla sua decisione di trasferire Don Dario De Stefano, il parroco della parrocchia Sacro Cuore di Avetrana. Sua destinazione la parrocchia di San Giovanni Bosco a Manduria. Don Dario va via, viva Don Dario e fortunati quei manduriani che lo avranno come parroco. Non è una nota stampa, né un commento ad un fatto di cronaca, ma un ringraziamento pubblico a Don Dario De Stefano, parroco della parrocchia del Sacro Cuore di Avetrana e futuro parroco della parrocchia di San Giovanni Bosco a Manduria. Lo faccio io che dovrei essere l’ultimo a farlo, in quanto molto cristiano sì, ma poco frequentante le chiese. Anche se non c'è bisogno di essere cristiani per apprezzare Gesù Cristo: non per i suoi natali, ma per il suo insegnamento e, cosa più importante, per il suo esempio. Eppure non frequento molto la sua casa perché si accompagnano a Gesù in quei posti cattive compagnie. Laici peccatori che sulle panche consacrate sembrano angioletti che con un piccolo obolo si lavano la coscienza od usano le amicizie ivi coltivate a fini elettorali. E’ vero: il parroco raccoglie le pecorelle smarrite, ma mi trovo in disagio a frequentare interi greggi di ovini smarriti. Don Dario è un personaggio votato alle iniziative sociali, ma non alle lotte sociali. Eppure sono convinto che Don Dario, nonostante abbia nessun rapporto con me, merita di essere ringraziato. Una mia poesia dialettale contiene queste strofe:
“Ma ccapì: simu nisciunu e tutti ti passaggiu,
l’aitrana resta pi sempri e no ti tai aggiu.
Ci no lassi operi ca restunu,
tutti ti te si ni scordunu.
Pi l’autri paisi puè quistu ca ticu no iè diversu,
lu tiempu passa, nienti cangia e iè tuttu tiempu persu.”
Bene! Don Dario al suo arrivo era un giovane di Oria ambizioso, tenace, diplomatico fino ad un certo punto e con tanta voglia di fare. Io che guardo l’aspetto materiale, ossia i fatti, elenco alcune delle sue opere che resteranno alla storia sua e di Avetrana. Opere che vanno oltre la competenza parrocchiale, di cui tutta Avetrana ne ha tratto benefici: il rinnovo della sua chiesa e la costruzione del campanile, l’oratorio dove i giovani si educano e passano il loro tempo libero; i campi scuola; “il presepe vivente”; “la grande calza della Befana”; la squadra di calcio di Avetrana; la festa compatronale di Sant’Antonio; “Certe notti qui…”, ossia la “Notte Bianca”: evento agostano dove Avetrana per una notte è invasa dai turisti estasiati da decine di piccole e grandi manifestazioni culturali, culinarie, musicali, ecc…Non dimentichiamoci che ha gestito anche le funzioni religiose per la povera Sarah Scazzi ed avrebbe potuto fare di più se non fosse che la madre di Sarah è dei Testimoni di Geova ed il vescovo ha evitato inutili polemiche con nuove iniziative in suo ricordo. Questo è solo piccola cosa di quanto lui abbia fatto per la sua parrocchia e per tutta Avetrana. Non è stato facile per Don Dario fare tutto ciò in un piccolo paese con piccole vedute, molte maldicenze e con il braccino corto, specie da parte degli imprenditori che fanno affari con gli eventi organizzati da Don Dario. Non sono mancati sin dall’inizio tra i suoi fedeli fazioni contrarie che spinte da gelosie prima hanno cercato di allontanarlo, per poi, non riuscendoci si sono allontanati loro stessi. Così come Don Dario è stato frenato e si è scontrato con degli amministratori poco illuminati e spesso incapaci a sostenere le sue o le altrui iniziative. Così come è stato vittima dei contrasti politici tra le avverse fazioni. Intanto, a parità di fondi finanziari gestibili, ha fatto più Don Dario (orietano) in nove anni che tutti i politici avetranesi messi insieme per tutta la loro vita. Lui ha tirato dritto. Si è accompagnato con giovani fidati che lui stesso ha cresciuto. (In nove anni i bambini diventano ragazzi). Naturalmente lui ha i suoi pregi, ma anche i suoi inevitabili difetti, che sono infimi e non si notano pensando alla sua instancabile operosità. Avetrana perderà un attivissimo parroco, nella speranza che il nuovo, con la scomoda eredità, non lo faccia rimpiangere. Ecco perché a lei ed ai suoi lettori, per i passati di Don Dario posso dire: Don Dario va via, viva Don Dario e fortunati quei manduriani che lo avranno come parroco. E pensate un po’ cosa sarebbe una diocesi guidata da gente come lui……..
Il parroco di Avetrana che, come spiega Nazareno Dinoi su “La Voce Di Manduria”, smaschera i difensori “preventivi”. Don Dario De Stefano è furioso. Qualcuno gli ha fatto leggere il suo nome su un articolo che lo indica come colui che ha segnalato alla famiglia Misseri, per la difesa di Sabrina, l’avvocato del foro di Taranto, Vito Russo. «Io ho consigliato chi? Assolutamente no. Non conosco questo avvocato», commenta il sacerdote visibilmente contrariato. Rilegge la notizia e la pressione gli alza. «Ecco un’altra delle cose che non mi piacciono di questa storia, ormai non se ne può più», sospira don Dario il cui volto è stato tra quelli più diffusi nei primi giorni della scomparsa di Sarah Scazzi. Da qualche settimana però, il parroco di Avetrana, fugge ai mezzi d’informazione perché, si dice, la curia vescovile di Oria ha consigliato di tenersi lontano dal circolo mediatico. Non può però tacere o celare la rabbia e, seppure con molto risparmio di parole, si lascia sfuggire dei commenti. «Come si chiamerebbe questo avvocato? Russo? E di dov’è, chi lo ha mai conosciuto?». Il nome e il volto del legale, ben noto oggi grazie alle trasmissioni televisive, era saltato fuori all’improvviso la mattina del 15 ottobre quando la villa dei Misseri fu circondata dai carabinieri del Ris, inquirenti e investigatori che indagano sulla morte della quindicenne. Via Deledda fu dichiarata off limit e a nessuno fu consentito avvicinarsi al luogo delle operazioni. Nemmeno all’avvocato Russo che con la sua grossa auto fu invitato da un carabiniere ad attendere poco distante da lì. Qualche giornalista lo riconobbe così il suo nome cominciò a circolare senza che nessuno riuscisse a spiegarsi la ragione della sua presenza. Anche l’avvocato Daniele Galoppa, il giorno dopo, difensore della controparte, Michele Misseri, si chiedeva come mai il suo collega il giorno prima si trovasse a venti metri da via Deledda se Sabrina, sua futura assistita, non era stata nemmeno interrogata né poteva sapere che dodici ore dopo sarebbe stata addirittura arrestata per la confessione del padre che coinvolgeva nel delitto. In effetti fu lo stesso avvocato Russo, successivamente, a dichiarare pubblicamente che la sua venuta ad Avetrana era stata caldeggiata dal suo «amico don Dario». Il religioso, però, è pronto a smentire. «Per favore non mi mettete in mezzo a queste cose, per questi comportamenti mi rifiuto di rilasciare interviste, questo modo di fare non mi piace proprio». E non che le richieste siano poche. «Sto dicendo di no a tutti e mi dispiace perché per colpa di pochi debbano patire tutti», afferma don Dario che torna sull’argomento. «Questa notizia dell’avvocato o è una sua invenzione o un’invenzione del giornalista». L’avvocato Russo, informato del risentimento del parroco, spiega meglio e raddrizza il tiro. «Come? Don Dario non mi conosce? Ho qui i tabulati di due telefonate che personalmente gli ho fatto il giorno prima il mio arrivo ad Avetrana», informa il legale non spiegando, però, il contenuto e il tono di quelle conversazioni».
Ed ancora a due anni dalla morte si Sarah, il 26 agosto 2012: Che fine ha fatto il canile di Claudio? Si chiede Carlo Bollino su “La Gazzetta del Mezzogiorno”. A due anni dalla morte di Sarah Scazzi, ormai restituita alla normalità la cittadina di Avetrana investita per mesi e mesi dal clamore mediatico e spenti i riflettori persino sul processo (complice certamente la pausa estiva), c’è un mistero che resta da chiarire: che fine ha fatto il canile che Claudio Scazzi, fratello di Sarah, voleva costruire ad Avetrana per poterlo dedicare alla memoria della sorellina uccisa? Per finanziarlo Claudio Scazzi nell’ottobre 2010 ha costituito una onlus chiamata “Sarah per sempre” , un’associazione di volontariato senza scopo di lucro “per la prevenzione del randagismo ad Avetrana”. Una iniziativa in verità sostenuta anche da mamma Concetta, da papà Giacomo e patrocinata dal comune di Avetrana. Sarah aveva la passione dei cani, specialmente per quelli randagi, e quindi il fratello e i genitori avevano scelto di onorarne la memoria seguendo la sua passione. A sostegno dell’attività della Onlus, Claudio ha pubblicato prima un libro addirittura con l’editore Bompiani, e poi un calendario, assicurando in entrambi i casi che l’intero ricavato sarebbe stato devoluto al progetto del canile intestato a Sarah. Il calendario foriero di polemiche. L'appuntamento è stato preceduto da numerose polemiche, tanto che alla fine il sindaco di Avetrana, Mario De Marco, e il parroco della chiesa di Sant'Antonio, don Dario, hanno deciso di annullare la conferenza stampa di presentazione dell'iniziativa nell'oratorio della parrocchia, così com'era previsto inizialmente e di spostare il tutto nella sala dedicata ai Caduti di Nassiriya, dove fu allestita la camera ardente per Sarah. «Pensavo che l'esercito dei denigratori si fosse definitivamente messo a tacere. Purtroppo mi sbagliavo: sono stati gettati fango e ombre sulla trasparenza dell'iniziativa. Noi vogliamo fare solo un canile, senza polemiche e senza fango» ha detto il fratello di Sarah, Claudio Scazzi. Molte le ragazze di Avetrana che, alla fine della presentazione, si sono fatte fotografare con l'ex tronista di Uomini e donne, Giovanni Conversano, testimonial dell'evento, sulla cui presenza, nei giorni scorsi, si sono scatenate le critiche del presidente della Pro loco di Avetrana, Emanuele Micelli. «Sulla tragedia di Sarah Scazzi c'è stata una spettacolarizzazione ben più grave del calendario che viene presentato questa sera in sua memoria» ha detto Conversano, che spiega il suo pensiero parlando con i giornalisti poco prima della presentazione del calendario - nel quale compare - e di un cd in memoria della quindicenne di Avetrana uccisa e gettata in un pozzo il 26 agosto scorso. «Solo Micelli ad Avetrana ha un giudizio critico su questa iniziativa - ha detto il primo cittadino - Attraverso questo finto moralismo ha cercato un modo per diventare protagonista della vicenda. Del resto siamo vicini alle elezioni e lui si vuole candidare. La speculazione politica probabilmente è la sua». A sostegno della sua tesi, il sindaco ha sottolineato che quella di mercoledì sera «doveva essere una festicciola tra pochi intimi all'interno di un oratorio da 100 posti. Se avessimo voluto dargli clamore mediatico l'avremmo organizzata nel palazzetto dello sport. La presenza del tronista è dovuta anche al fatto che, dopo aver fornito la sua immagine per il calendario come altri personaggi, si trova da queste parti perchè lui è di Lecce. Solo grazie a questa polemica del presidente della Pro Loco si è trasformata in un evento per il quale arriveranno molte televisioni».
L’associazione Sarah per sempre ha anche un suo sito (www.sarahpersempre.it) sul quale tuttora campeggia sin dalla homepage il numero di conto corrente sul quale effettuare i versamenti. Un sito pieno di buone idee ma rimasto in gran parte vuoto. L’unica sezione che per alcuni mesi è stata aggiornata è stata quella dedicata al riepilogo delle offerte ricevute. E così apprendiamo che tra il primo novembre 2010 e il 5 settembre 2011 l’associazione “Sarah per sempre” ha raccolto complessivamente 21.970, 93 euro. Una bella sommetta. Ma il punto è questo. Che fine ha fatto questa somma donata da tanti comuni cittadini a nome di Sarah? Il sito non ne fa menzione e a scandagliare sul web non si trova una sola notizia che riferisca di nuove iniziative condotte dall’associazione, né di attività finanziate con quel fondo. E neppure si spiega (né sul sito dell’associazione, né altrove) se altre somme siano state donate e raccolte sul conto corrente della onlus dal 5 settembre 2011 ad oggi. A due anni dalla morte della 15enne, sarebbe giusto che almeno il comune di Avetrana che si offrì di essere il garante dell’iniziativa, riferisca a che punto è giunta l’attività dell’associazione e che fine abbia fatto il progetto del canile dedicato alla memoria di Sarah.
Invece la mamma di Sarah, Concetta Spagnolo Serrano, non crede più nella giustizia. «La morte di Sarah è un segreto che si porteranno sempre dentro Cosima e Sabrina». Queste alcune delle parole di Concetta Serrano, madre di Sarah Scazzi, raccolte dall'inviato di Quarto Grado e in onda su Retequattro alle 21.10 del 7 settembre 2012. «Quel 26 agosto - racconta Concetta Serrano parlando con l'intervistatore del giorno della scomparsa della figlia quindicenne - ho avuto l'impressione che a Sarah fosse accaduto qualcosa di grave, ma non sapevo di preciso cosa. Mai avrei immaginato nulla del genere». «Mia figlia - afferma la donna - è stata vittima della cattiveria di Sabrina e Cosima. Il fatto che mia sorella, insieme alla figlia, abbiano rincorso Sarah, mi fa pensare a qualcosa di più squallido della gelosia. Secondo me oltre a quello ci sono altre cose». Già, ma quali? Per esempio le cose che ha pubblicato Panorama? «La mia Sarah non era incinta. Panorama ha dato la notizia ed ha fatto pessimo giornalismo». Così Concetta Scazzi alla trasmissione Quarto Grado. Il settimanale mondadoriano pubblicava, attribuendola ad abitanti di Avetrana, una indiscrezione che sembrava davvero poco credibile. Soprattutto perché sarebbe risultato dall’autopsia. L’attuale processo, nove mesi e ventuno udienze, sempre secondo Concetta, sembra una farsa. Panorama, il settimanale di Mondadori, manda Giacomo Amadori ad Avetrana per occuparsi del delitto di Sarah Scazzi. E lui prima accenna all’interno dell’articolo ad un rapporto ‘incestuoso’ tra Michele Misseri e la ragazzina, e poi scrive esplicitamente nel finale del pezzo: “Una quindicenne come tutte le altre”, dice il fratello Claudio. Ma era limpida come appariva? Qualcuno sostiene che fosse incinta, che il ciclo mestruale si fosse interrotto da mesi, ma che Sarah non aveva un ragazzo. C’è ora chi insinua che forse, con lo zio, fosse iniziato un torbido rapporto da tempo. Da quando lei era cresciuta, diventando sempre più simile a Cosima (la moglie di Michele) da giovane. Si dice veramente di tutto ad Avetrana.”Chissà, forse è vero che nel paese si dice di tutto. Anche se purtroppo non sapremo mai se questo è stato veramente detto, visto che un’indicazione più precisa delle fonti non c’è. E su Avetrana se ne son dette di cose non vere. Di certo però c’è una cosa: si può certo dire di tutto, ma non è certo un dovere pubblicare tutto, anche quello che ad occhio pare palesemente inverosimile. Il corpo di Sarah Scazzi è stato oggetto d’autopsia, ed i risultati – nell’escludere la possibilità di provare la violenza sessuale post-mortem confessata dallo zio - non hanno fatto alcun cenno alla possibilità che la ragazza fosse incinta. Ad onor del vero tale possibilità è stata esclusa perché era impossibile procedere all’esame, tenuto conto lo stato del corpo. E il particolare non poteva passare inosservato, visto che avrebbe costituito un sicuro movente nei confronti di Misseri, che all’epoca non aveva ancora parlato delle responsabilità della figlia Sabrina nell’omicidio. Insomma, ad occhio questa sembra davvero una ‘chiacchiera da bar di paese’. E non si capisce davvero come possa finire, senza riscontri e vista l’inverosimiglianza, su un articolo di giornale. «In questi mesi non ho mai avuto il desiderio di parlare con loro – continua Concetta riferendosi a Cosima e Sabrina – semplicemente perché tanto, vigliaccamente, non si assumono le loro responsabilità dicendo la verità. Continueranno sempre con quella versione all'infinito. È una pugnalata quando mi guardano con quegli occhi indemoniati e pieni di scherno. Mi sento tradita e penso che un tempo erano altre persone». «Non so se ci sia ancora poco o molto da scoprire sull'omicidio di mia figlia. L'importante - dice ancora la donna - è che si arrivi alla verità. Questo è un segreto che si portano dentro Cosima e Sabrina e non so come facciano a sopportare questo peso atroce sulla coscienza, ammesso che ne abbiano una». La donna conclude parlando del processo e del suo stato d'animo quando si trova in aula: «Quando sono in aula - racconta - mi sembra di perdere il contatto con la realtà. In questi mesi ho assistito alle udienze e sono rimasta profondamente turbata. Mi sembra un processo assurdo, tant'è che spesso mi pongo degli interrogativi e dico: ma questo processo perché si svolge? A chi serve? Chi se ne avvantaggia? La vittima? Non direi proprio». «Se la giustizia deve rendere a ciascuno il suo - conclude Concetta Serrano - a Sarah cosa verrà corrisposto?»
Nell'ambito della trasmissione Quarto Grado su Retequattro è stata rivelata anche che Ivano Russo, il ragazzo ritenuto dai pm «presunto movente» del delitto di Avetrana sta per diventare padre. E’ in attesa di un figlio dalla sua attuale compagna. Naturalmente l’intervista si è spinta fin’anche sull’aspetto religioso, come tutte le interviste a Concetta Spagnolo Serrano. E dire che è questo l’aspetto che più stona della vicenda. Nella trasmissione "Quarto Grado", in onda su Rete 4, è intervenuta la mamma della povera Sarah, la bimba uccisa due volte: prima dall’omicida e dopo dai media. Pur comprendendo il dolore di una madre a cui viene uccisa una figlia, in modo crudele e da parenti, c'è da dire che la signora ha lanciato una serie di nefandezze. Nessuno le toglie il diritto sacrosanto di pretendere giustizia giusta e vedersi risarcita per la perdita della figlia. Tuttavia, questo non la autorizza, in pubblico via Tv, a lanciare proclami di vendetta, parole forti e ancor di più fare ingiusta pubblicità alla setta dei Testimoni di Geova. Proprio lei che afferma che chi invita "zio Michele" nelle trasmissioni tv, lo invita in cerca audience a buon mercato. Concetta Spagnolo Serrano più volte ha detto che vuole vendetta, che questa vendetta è gradita a Dio Geova. Insomma, un Dio vendicatore e giustiziere, una vera eresia mandata in diretta, senza che nessuno degli ospiti avesse avuto il coraggio di contraddirla. A parere della mamma di Sarah Scazzi, Dio dovrebbe mandare fulmini e saette sugli assassini. Una concezione eretica e blasfema, perché detta da una persona di fede. Quel Dio a cui la signora si riferisce forse è il Dio del vecchio testamento, adorato dai Testimoni di Geova, dagli ebrei e dai mussulmani. Il Dio di Gesù Cristo è Dio fatto da amore puro e misericordia e sa perdonare, se pentito, anche il peggior delinquente. Se Dio fosse stato come dice la signora, non sarebbe morto di Croce, avrebbe sterminato facilmente i suoi aguzzini. Bisogna distinguere: Dio non manda mai il male, ma lo permette, quando questa specie di catechismo del male, serve per ottenere un bene. La sparata della signora Scazzi, ci fa riflettere su come la Tv esageri con dibattiti relativi ai delitti, alle morti. Si ascoltano parole in libertà, interviste che potrebbero anche essere frutto di contrattazione e teorie spesso senza fondamento, in quanto nessuno dei soloni, ha letto le carte processuali. Non sarebbe ora di smetterla con questi catechizzatori mediatici, senza arte, ma di parte, che ci lavano il cervello?
Si nota, forse sbagliando, che i testimoni di Geova come i mussulmani, (confessione religiosa), i comunisti (ideologia politica tramutata in varie sigle partitiche di sinistra) come i razzisti xenofobi (società arretrate a nord del mondo che covano odio per gli stranieri, avversione contro tutto ciò che non appartiene alla propria nazione o etnia, ostilità pregiudiziale per gli stranieri. In Italia si indicano come razzisti i leghisti, ma sotto sotto lo sono molto gli italiani del centro nord) si accomunano in una cosa: qualsiasi sia l’argomento trattato in una conversazione, dopo il buon giorno di rito iniziano immediatamente a portare il discorso, pur iniziato con tutt’altro argomento, sul tema della religione o della politica, al fine di inculcare il loro credo. Convinti di una superiorità culturale e portatore di una verità assoluta assillano l’interlocutore con ragionamenti che non ammettono repliche o contestazioni. Attività di persuasione, spesso fuori luogo, secondo le circostanze di tempo, luogo e situazioni. Tutto al fine di fare proseliti per vincere le battaglie contro il loro “male” che li ostacola per il governo del mondo. A questo punto è innegabile il fatto che con la vicenda Sarah Scazzi i testimoni di Geova hanno avuto un insperato e forse cercato ritorno promozionale. Per rispondere alla domanda di Concetta non vogliamo credere che tra le altre cose, a cui ella fa riferimento, non ci sia anche quella riconducibile all’aspetto religioso della vicenda, così come agli inizi si era fumosamente prospettato e non approfondito. Ma a scanso di illazioni, certo è strano, anche lì tra le altre cose, come la scomparsa di una ragazzina, una tra le migliaia, abbia innescato un vortice mediatico nazionale, più che locale, sin dalle prime ore, come se fosse tutto pre-organizzato e premeditato. Sarebbe utile, per esempio sapere come tutto è cominciato e da chi è stato suscitato e perché i direttori, all’unisono, hanno deciso di seguire il caso nella sperduta e sconosciuta Avetrana.
25 settembre 2012. Ventiduesima udienza. Parla Antonio Colazzo, Anna Scredo, Valeria Scazzari, Michele Galasso. Nei giorni precedenti “Il Corriere della Sera” comunica che Michele Misseri, imputato nel processo in Corte d’assise per la soppressione del cadavere della nipote Sarah Scazzi, dovrà pagare una parcella di cinquantamila euro al suo ex avvocato Daniele Galoppa. Il giudice onorario del Tribunale civile di Taranto, dott. Santoro, ha sciolto la riserva accogliendo la richiesta di sequestro conservativo dei beni per equivalente presentata dal penalista «licenziato» dal contadino di Avetrana perché accusato di avergli estorto le accuse rivolte alla figlia Sabrina. Il giudice ha ritenuto equa la richiesta del professionista acconsentendo al sequestro preventivo «risultando accertato – scrive -, anche in virtù delle note vicende giudiziarie, che il patrimonio del residente è insufficiente in relazione alla non attuale ma fortemente probabile esposizione debitoria tale da rendere fondato il timore» dell’avvocato «di perdere le garanzie del proprio credito». Misseri oltre alla villa di via Deledda è cointestatario con la moglie Cosima Serrano di un altro appartamento ancora incompleto nella stessa strada e numerosi terreni agricoli coltivati ad uliveto e vigneto. Lo zio di Sarah, inoltre, dovrà sobbarcarsi anche l’onorario dei due legali di Galoppa, Angelo Roma di Ostuni e Francesco Morgese di Mesagne oltre alle spese del giudizio. Niente male se si tiene conto che l’avvocato Galoppa si è impegnato a “cercare la verità” per la Procura di Taranto e che tale somma riguarda solo la parcella per il lavoro svolto, senza tener conto l’ulteriore richiesta di risarcimento danni per il processo penale intentato dallo stesso Galoppa contro Misseri. Per il giudice onorario, collega avvocato del Galoppa, è congrua la cifra di 50 mila euro riferita a pochi incontri con il cliente, poche udienze e tante comparsate pagate in tv. La stessa cifra è pari a quella che un operaio guadagna in 5 anni. Per questo motivo la professione di avvocato non è aperta a tutti. Detto questo si ritorna al processo. Riparte dopo i due mesi di pausa estiva, il processo di primo grado per l’omicidio di Sarah Scazzi, arrivato alla ventiduesima udienza. L’udienza del 18 settembre è slittato per l’ennesimo, inutile e pretestuoso sciopero dei penalisti. Sciopero di una lunga serie messo in atto perché gli avvocati, nonostante loro siano una forte lobby incontrastata, gli sono sopraffatti dalla forte casta dei magistrati. Una lotta leguleia per spartirsi equamente il potere a svantaggio dei diritti dei cittadini. In questa udienza, davanti alla Corte d’Assise di Taranto presieduta da Rina Trunfio, erano presenti le due principali imputate Sabrina Misseri e la madre Cosima Serrano, rispettivamente cugina e zia della vittima, accusate di concorso in omicidio volontario, sequestro di persona e soppressione di cadavere. C'era anche Michele Misseri, lo zio di Sarah, marito di Cosima e padre di Sabrina. Non era presente la madre della vittima, Concetta Serrano Spagnolo. Sfileranno ancora una volta i testimoni citati dalla pubblica accusa ed è la volta di Michele Galasso, Antonio Colazzo e Anna Scredo, rispettivamente amico e cognati di Giovanni Buccolieri, l’uomo che in un primo momento dichiarò agli inquirenti di aver visto, quel 26 agosto 2010, Cosima Serrano costringere Sarah a salire a bordo della sua auto, salvo poi sostenere che si fosse trattato di un sogno. Poi segue la deposizione di Valeria Scazzari, consulente di parte dell’avvocato Raffaele Missere, difensore di Cosimo Cosma e l’esame di tre degli imputati minori: Antonio Colazzo, Cosima Prudenzano e Giuseppe Nigro, tutti e tre accusati di favoreggiamento del fioraio Giovanni Buccolieri, la cui posizione è stata stralciata prima dell’udienza preliminare. Il pm Mariano Buccoliero ha citato la cognata del fioraio, Anna Scredo (unica parente prosciolta dal gup) e Michele Galasso, imputato in procedimento connesso per false informazioni all’autorità giudiziaria (la sua posizione è stata stralciata come quella del suo amico fioraio) e gli imputati Giuseppe Nigro, Antonio Colazzo e Cosima Prudenzano. Quest’ultima è stata interrogata come testimone prima della pausa estiva. In quella circostanza, è caduta diverse volte in contraddizione e quando si è ritrovata alle corde si è rifugiata in qualche “non mi ricordo”. Il contenuto di alcune intercettazioni non sembra lasciare spazio ad interpretazioni. «Come diceva Giovanni, dentro la macchina è avvenuto il fatto». E’ stata la considerazione della donna durante un colloquio con la figlia Giuseppina, quasi ipotizzando che il delitto sia avvenuto nell’auto di Cosima. Ma c’è anche un’altra intercettazione che incastra lei e la cognata di Buccolieri, nel passaggio in cui la Prudenzano dice ad Anna Scredo: «Se si va a scoprire che lui veramente stava là… ». Indicando, con quel là, un luogo fisico. Non certo virtuale. In apertura di udienza la corte ha preso atto del deposito da parte del perito delle trascrizioni delle intercettazioni ambientali riguardanti Cosima Serrano e Sabrina Misseri. Il marito della Scredo, Antonio Colazzo, imputato al processo per un reato minore (false dichiarazioni ai pm), si è avvalso della facoltà di non rispondere, in quanto avrebbe dovuto riferire su circostanze relative a una prossima congiunta, la suocera Cosima Prudenzano, anche lei imputata di false dichiarazioni. Sono stati anche sentiti Michele Galasso, amico del fioraio, indagato con quest'ultimo in un procedimento connesso per falsa testimonianza, e la dottoressa Valeria Scazzari, consulente di parte dell'avvocato Raffaele Missere, difensore di Cosimo Cosma. Cosima Prudenzano e Giuseppe Nigro, gli altri testi, non si sono presentati. Ha reso testimonianza, invece Valeria Scazzari. L'orario della morte di Sarah Scazzi andrebbe posticipato di un’ora e mezza-due ore e quindi indicato tra le 15.30-16.00 e non fissato alle 14-14.10, come stabilito dalla Procura. Lo ha affermato al processo la biologa Valeria Scazzeri, che ha eseguito una perizia di parte, affidatale dall’avvocato Raffaele Missere, difensore di Cosimo Cosma, in relazione alla durata della digestione delle vittima, prima che venisse uccisa. Cosimo Cosma è nipote di Michele Misseri ed è accusato, insieme allo stesso e al fratello di zio Michele, di soppressione di cadavere. Sarah, il 26 agosto 2010, prima di raggiungere casa della cugina Sabrina Misseri, mangiò nella propria abitazione in tutta fretta un cordon bleu. Secondo quanto asserito dalla biologa, per digerire l’alimento la ragazzina avrebbe dovuto impiegare 90-120 minuti, e non è possibile che lo abbia digerito in 30-40 minuti come affermato dal medico legale Luigi Strada nella perizia autoptica disposta dalla Procura. Nel corpo di Sarah in avanzato stato di decomposizione vennero rinvenuti, secondo la perizia autoptica, solo 20 cc di liquido grigiastro, forse derivante dalla putrefazione di una mucosa, mentre la biologa ha contestato l’assenza dell’esame dell’intestino della vittima da parte del medico legale. Secondo la biologa, se al momento di ingerire il cordon blue l’intestino di Sarah era completamente libero, per digerirlo completamente sarebbero potute occorrere anche 6-7 ore dal momento dell’ ingestione. I pm hanno consegnato alla corte una nota aggiuntiva di relazione del professor Strada e non è escluso che la corte decida di riascoltare il medico legale in aula in una udienza successiva. Anna Scredo ha riferito di aver saputo dalla madre che il cognato, il fioraio Giovanni Buccolieri, si trovava nei "casini" per colpa di un sogno; aveva cioè sognato che Sarah veniva strangolata con una corda nell’auto di Cosima Serrano. Prossima udienza il 2 ottobre quando sono previste le deposizioni di tre imputati: Carmine Misseri, fratello di Michele, Cosimo Cosma, nipote di Michele, entrambi accusati di concorso in soppressione di cadavere, e l'avvocato Vito Russo, ex legale di Sabrina, imputato per reati minori. Poi per due settimane, e cioè nelle udienze del 9 e del 16 ottobre, il processo si fermerà per riprendere a fine ottobre, il 23 con le deposizioni di Cosima e Sabrina.
2 ottobre 2012. Ventitreesima udienza. Parla Carmine Misseri, Cosimo Cosma, Vito Russo.
All'inizio della seduta i due imputati Carmine Misseri e Cosimo Cosma, rispettivamente fratello e nipote di Michele Misseri, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Sono tutti e tre accusati di concorso in soppressione di cadavere. I loro difensori hanno sostenuto che alcune loro deposizioni, rilasciate nel corso di interrogatori a sommaria informazione testimoniale, non sono utilizzabili nel processo in quanto nel momento in cui le fornivano Carmine e Mimino erano già indagati e sottoposti a intercettazioni. Dalla verifica degli atti si è riscontrato, tuttavia, che ciò sarebbe avvenuto prima della data di iscrizione nel registro degli indagati. Per cui quei verbali sono stati acquisiti al processo. Verbali delle deposizioni dei due uomini rese prima in qualità di testimoni e poi come indagati. E' stato quindi ascoltato l'avvocato Vito Russo, ex legale di Sabrina Misseri. Vito Russo, accusato di favoreggiamento personale e intralcio alla giustizia per il delitto della ragazza uccisa il 26 agosto del 2010 nella casa degli zii Michele Misseri e Cosima Serrano e di sua cugina Sabrina Misseri, ha ribadito di non aver mai distrutto i verbali di indagini difensive riguardanti Ivano Russo, il ragazzo conteso tra Sarah e sua cugina Sabrina. Mai distrutto verbali di indagini difensive riguardanti Ivano Russo, il ragazzo che sarebbe stato conteso tra Sarah e Sabrina; «meravigliato» invece che lo stesso Ivano lo abbia accusato di aver tentato di intimidirlo per avere dichiarazioni favorevoli alla sua assistita dell'epoca, Sabrina Misseri. Così l'avvocato Vito Russo, ex difensore di Sabrina Misseri, si è difeso in Corte d'Assise al processo per l'omicidio di Sarah Scazzi. Vito Russo è imputato di favoreggiamento personale nei confronti di Sabrina e di intralcio alla giustizia. La prima accusa deriva da un telegramma fatto inviare dalla sorella di Sabrina, Valentina, per far sostituire il legale del padre Michele Misseri, che aveva accusato la figlia Sabrina del concorso nel delitto. Vito Russo ha riferito in aula di aver solo accompagnato Valentina in auto a casa di Carmine Misseri, fratello di Michele, per un telegramma, ma di non aver avuto nulla a che fare con il testo del telegramma stesso. L'accusa di intralcio alla giustizia per l'avvocato Russo è legata ad un verbale di Ivano Russo, da lui sentito per indagini difensive, che secondo l'accusa sarebbe stato strappato perché non favorevole a Sabrina, e sostituito con un secondo verbale. Vito Russo ha negato in aula questa circostanza, riferendo che il primo verbale venne chiuso poco dopo l'inizio perché le domande erano ancora troppo "generiche" e se ne aprì un altro; modalità difensive, ha detto, che sarebbero state anche consigliate nei vari corsi forensi da lui sostenuti. Di quelle dichiarazioni di Ivano Russo l'ex legale di Sabrina non ha registrazione, che pure venne fatta con un Blackberry di una terza persona che li aveva fatti incontrare. Vito Russo ha detto oggi di aver tentato in più occasioni di avere copia della registrazione, ma senza riuscirci. La prossima udienza è stata fissata al 23 ottobre prossimo quando alla sbarra ci sarà Michele Misseri, zio della vittima, uno dei personaggi chiave del mistero di Avetrana.
Nella puntata di Quarto Grado del 28 settembre 2012, Salvo Sottile ha mandato in onda un documento esclusivo, risalente proprio alle settimane successive al ritrovamento del corpo di Sarah. A video vengono mostrate le parole che si sono scambiate una sera al cellulare la mamma di Sarah con suo figlio Claudio. La donna confessa di sospettare con certezza di Michele e Sabrina, descrivendo la ragazza come una i cui nervi “scattano facilmente”. Si tratta di una intercettazione telefonica, una conversazione tra la mamma Concetta ed il Fratello Claudio. I due cercano di ipotizzare il movente dell’omicidio e chi ha potuto commetterlo. Concetta in quella telefonata solleva dubbi su Cosima e Sabrina e ipotizza sul fatto che Sarah fosse stata uccisa proprio in casa loro. Concetta e Claudio, parlando al telefono, cercano di capire il perché dell’uccisione di Sarah e traggono questa conclusione: probabilmente in paese si era venuta a sapere la storia d’amore di Sabrina ed Ivano. Probabilmente questo ha dato fastidio a Cosima, che avrebbe rimbrottato la ragazza. A quel punto Sabrina, secondo Concetta, avrebbe aggredito Sarah, fino ad ucciderla. Un delitto d’impeto, secondo la tesi di Concetta, scaturito da una profonda lite. Che siano state le supposizioni di Concetta Spagnolo Serrano, che indicavano Cosima e Sabrina come autori del delitto, ovvero che siano state le congetture di Claudio Scazzi, inerenti al fatto che gli autori dell’omicidio siano state donne e parenti, ad influenzare i giudizi della pubblica accusa?
GIOCA CON I FANTI, MA LASCIA STARE I SANTI. DELLA SERIE: SUBISCI E TACI, SE NO TI TACCIO. MA IN CHE MANI SIAMO?
«Silvia mia carissima, mi regge feroce la certezza della mia onestà totale. Lo sbigottimento per questa mascalzonata, o errore, o macchinazione, o non so cosa. L’unica cosa che so è che sono innocente. Voglio, devo vivere fino a sentirlo dire. Dopo non mi importerà più di nulla. Mia dolcissima Silvia aspetto con tanta ansia in questo zoo di disperati un tuo scritto. Qui non faccio che vedere gente che da sette mesi od un anno aspetta un interrogatorio. Questo, te lo confermo, è un paese infame. Se c’è un posto dove sorge automatico il disgusto per questo Italia, beh questo posto è proprio la galera. Sai qui si vive come i malati di un ospedale lugubre. O come scoiattoli che girano sempre alla stessa ruota. Sento la radio e non ho più colpi al cuore quando mi accorgo che il mio nome è diventato il grottesco pretesto per una macabra pulcinellata. Così è, Silvia. Così è andata. Mai come adesso ho fatto appello a quel poco che so di filosofia e di stoici. Io sono, certe volte, proprio disperato. In questo paese non succede nulla. E’ questo che mi avvelena e mi dispera. Una ad una le speranze di una rigenerazione morale se ne vanno. Una Stampa stupida, serva, incline solo al pettegolezzo ed ai circensi. Aliena ai problemi veri e reali. Uno spettacolo immondo. Quanto dovrà passare per la riforma dei codici e per la riduzione della carcerazione preventiva? Sono deluso Silvia. Mi pare di aver gettato via la mia vita e debbo fare anche autocritica. Credevo nella legge, nei magistrati e nelle istituzioni. Non promettete mai una lettera, una visita, se poi non mantenete. Il carcere corrompe anche i sogni. Ho sognato di far parte, comportandomi benissimo, di una banda di svaligiatori di appartamenti. Quello che non si sa è che una volta gettati in galera non si è più cittadini, ma pietre. Pietre senza suoni, senza voce, che a poco a poco si ricoprono di muschio. Una coltre che ti copre con atroce indifferenza. Ed il mondo gira: indifferente a quest’infamia.» Questa, per chi non lo sapesse è la testimonianza di Enzo Tortora alla figlia Silvia. La testimonianza di un innocente sbattuto in quell’inferno auspicato dai tanti benpensanti. Questi sono coloro che, quando le disgrazie capitano agli altri godono, se non che sbraitano quando gli altri sono loro.
Prendendo spunto dalla parole di chi è diventato la luce per gli innocenti in carcere ed al fine di contestualizzare il processo di Taranto sul delitto di Sarah Scazzi in un quadro nazionale e locale, evidenziando l'ignominia dei giornalisti sulla tv e la carta stampata nei rapporti con la verità e con la sudditanza all'alterigia dei magistrati permalosi, è utile conoscere alcuni risvolti riguardanti i magistrati ed i giornalisti con cui ci rapportiamo ogni giorno. Si legge sul “Il Corriere della Sera” che sono stati notificati gli avvisi di conclusione delle indagini per abuso d'ufficio al procuratore di Bari, Antonio Laudati, e al suo ex sostituto Giuseppe Scelsi. Il caso riguarda il procedimento penale sulle escort che l'ex imprenditore barese, Gianpaolo Tarantini, ha portato dall'ex premier Silvio Berlusconi a Palazzo Grazioli. Lo stesso atto, che solitamente prelude alla richiesta di rinvio a giudizio, è stato notificato anche a sei giornalisti accusati di diffamazione. L'inchiesta a carico del procuratore di Bari è stata avviata dopo che Laudati è stato accusato da un suo ex pm, Scelsi (ora sostituto procuratore presso la Corte d'appello di Bari), di aver di fatto rallentato l'indagine sulle escort. Dopo i primi accertamenti, la procura di Lecce aveva indagato Laudati per favoreggiamento personale, abuso d'ufficio e tentativo di violenza privata. I sei giornalisti indagati per diffamazione sono stati invece denunciati dal procuratore Laudati nel corso del tempo. A proposito del procuratore di Bari, Antonio Laudati, la procura di Lecce ipotizzando il reato di abuso d'ufficio scrive: «Nello svolgimento delle funzioni di procuratore avrebbe intenzionalmente arrecato ingiusto danno ai magistrati Giuseppe Scelsi e Desirèe Digeronimo consistito nella indebita aggressione alla sfera della personalità per essere stati i due magistrati illecitamente sottoposti da parte della guardia di finanza ad investigazioni e ad abusivo controllo della loro attività professionale e della loro immagine». Ed ancora è scritto nell'avviso di conclusione delle indagini Laudati avrebbe «delegato, senza alcun atto scritto, al personale di polizia giudiziaria della guardia di finanza attività d'indagine - seguendone personalmente gli sviluppi - sulle modalità di conduzione delle indagini sulla sanità pubblica pugliese svolta dai sostituti procuratori Giuseppe Scelsi e Desirèe Digeronimo e sulle irregolarità e criticità di esse in violazione sia dell'articolo 11 del codice di procedura penale, sia delle disposizioni del decreto legislativo n. 109/2006 in materia di accertamento della responsabilità disciplinare nonché della relativa normativa secondaria del Csm che non consentivano di avviare di iniziativa indagini per accertare eventuali profili di legittimità svolte dai magistrati del suo ufficio». Il procuratore di Bari, Antonio Laudati, è anche accusato di favoreggiamento personale per aver aiutato sia «Gianpaolo Tarantini ed altri indagati» ad eludere le indagini sulle escort, sia «aiutato» Silvio Berlusconi ad eludere le stesse indagini «dirette ad accertare anche l'eventuale suo concorso nei suddetti reati». A Laudati viene contestato di aver disposto «arbitrariamente», il 26 giugno 2009, due mesi e mezzo prima di insediarsi nell'incarico di procuratore di Bari, che le indagini sulle escort portate da Tarantini nelle residenze di Berlusconi «venissero sospese e non si adottasse alcuna iniziativa fino a quando non avesse assunto le funzioni» di capo della procura. L'incontro avvenne nella scuola allievi della Guardia di finanza di Bari alla presenza del pm inquirente, Giuseppe Scelsi, e di ufficiali della Gdf a cui erano state delegate le indagini. L'insediamento di Laudati avvenne il 9 settembre 2009. Dando quelle disposizioni - secondo l'accusa - «con abuso dei poteri e violazione dei doveri di magistrato» Laudati, tra l'altro, ha impedito «l'assunzione di sommarie informazioni dalle altre escort non ancora ascoltate» e ha causato «ritardo ed intralcio nello svolgimento delle investigazioni per la maggiore difficoltà di accertamento di fatti e circostanze conseguente alla maggiore distanza temporale del momento investigativo dal loro verificarsi». In questo si è concretizzato - secondo i magistrati salentini - il reato di favoreggiamento personale aggravato contestato al procuratore di Bari. Laudati avrebbe quindi - è scritto nell'avviso di conclusione delle indagini - «aiutato Gianpaolo Tarantini e gli altri indagati» ad «eludere le indagini» nel procedimento per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione delle «cosiddette escort» avviato dal pm Giuseppe Scelsi «nel quale era coinvolto quale fruitore delle prestazioni sessuali il presidente del Consiglio dei ministri, on. Silvio Berlusconi (al fine di favorire indirettamente quest'ultimo preservandone l'immagine istituzionale) ed aiutato anche quest'ultimo ad eludere le suddette indagini, dirette ad accertare anche l'eventuale suo concorso nei suddetti reati». Avrebbe «intenzionalmente arrecato ingiusto danno» ad un altro pm della procura di Bari, Desirèe Digeronimo, e a un'amica di quest'ultima, Paola D'Aprile, attuando una «indebita aggressione alla sfera della loro personalità» intercettandone le conversazioni «per fini estranei alla funzione giurisdizionale»: è con questa motivazione che la procura di Lecce contesta al pm barese Giuseppe Scelsi (ora sostituto procuratore generale) il reato di abuso di ufficio nell'avviso di conclusione delle indagini a suo carico e a carico del procuratore di Bari, Antonio Laudati. La vicenda attribuita a Scelsi nel capo di imputazione è estranea alle indagini escort che riguardano il suo ex capo Antonio Laudati. La contestazione del reato all'ex pm riguarda invece le inchieste sulla sanità della Regione Puglia che tra il 2008 e il 2009 conducevano sia Digeronimo (che aveva tra gli indagati l'ex assessore Alberto Tedesco) sia Scelsi stesso, che avrebbe agito per «ripicca», secondo la procura di Lecce, e per «costringere» la collega ad astenersi. Per perseguire le proprie finalità «estranee alla funzione giurisdizionale», Scelsi, infatti, avrebbe più volte usato «surrettiziamente» elementi acquisiti durante altre intercettazioni, che lui stesso alcuni mesi prima aveva ritenuto penalmente irrilevanti. Sempre per perseguire il proprio intento, avrebbe anche coinvolto la guardia di finanza chiedendo informative che giustificassero le sue richieste di intercettazione di D'Aprile, che sapeva amica di Digeronimo. L'accusa dei confronti di Antonio Laudati per abuso di ufficio è invece legata alla costituzione di un'aliquota di finanzieri voluta dallo stesso procuratore e che aveva l'incarico di lavorare esclusivamente ai suoi ordini. Secondo la denuncia presentata a suo tempo da Scelsi quei finanzieri avrebbero però svolto una sorta di indagine parallela sul modo in cui veniva condotta l'indagine su Tarantini. La Procura di Lecce sostiene oggi che di fatto Laudati "spiò" il pm Scelsi e la collega Desierè Digeronimo eseritando nei loro confronti una vera e propria violenza privata, deleggitimandone anche la funzione agli occhi dei finanzieri incaricati di controllarli. Sul caso era intervenuta anche la commissione disciplinare del Csm che aveva tuttavia archiviato il fascicolo. L'avviso di conclusione delle indagini è stato notificato anche a sei giornalisti accusati di diffamazione a mezzo stampa al procuratore di Bari, Antonio Laudati. I cronisti indagati sono di Massimiliano Scagliarini de "La Gazzetta del Mezzogiorno" per un articolo che riguarda la stessa materia per la quale oggi la procura ha indagato Laudati. Poi Gianni Lannes, accusato di aver offeso in un articolo la reputazione di Laudati, del presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, e dell’allora capo di gabinetto di quest’ultimo, Francesco Manna. L’articolo faceva riferimento ad un finanziamento concesso dalla Regione ad un convegno sulla giustizia organizzato a Bari da Laudati. Gli altri 'pezzi' ritenuti diffamatori per la reputazione del procuratore Laudati sono quelli della cronista di "Repubblica-Bari", Mara Chiarelli, (di omesso controllo risponde il direttore del quotidiano Ezio Mauro), e di Nazareno Dinoi del "Corriere del Mezzogiorno-Puglia" e direttore de “La Voce di Manduria” (di omesso controllo è accusato il direttore della testata, Marco De Marco).
Quando si dice la legge del contrappasso. Nazareno Dinoi, citato pocanzi è il giornalista di Manduria ben informato sulle carte del processo Scazzi, tant’è che ha pubblicato le famose foto della ragazza morta. Lui come i suoi colleghi non disdegna di sbattere il mostro in prima pagina. E’ incline a pubblicare le disgrazie degli altri. Oggi tocca a lui essere il mostro di turno sbattuto sulle prime pagine dei giornali nazionali: un po’ poco su quelli locali, molto attenti al rispetto della colleganza ed al rispetto per i magistrati. In loco la notizia è apparsa sul tg di Antenna Sud e sul tg di Tele Norba (con critiche del direttore ai magistrati di Lecce), niente di niente su TRNews, il tg di Tele Rama di Lecce. Nazareno Dinoi non ha avuto alcuno scrupolo nel scrivere, sui giornali che gli consentivano di farlo, della condanna in primo grado per abusivo esercizio della professione e per circonvenzione d’incapace a carico del sottoscritto dr Antonio Giangrande, per aver difeso una sua cliente nell’esercizio della professione forense, con regolare abilitazione. Condanna infondata e che non poteva essere altrimenti né in cielo, né in terra. Condanna generata dalla grave inimicizia con i magistrati di Taranto per non aver adottato la comune omertà in riferimento ai grossolani errori ed abusi che questi commettono. Non solo ha scritto della condanna, ma ha evidenziato il fatto che il Giangrande fosse il Presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie”, sodalizio notoriamente non di sinistra. Questo per creare nocumento al Giangrande ed ancor di più alla sua associazione. Il Giangrande era lo stesso che ha denunciato magagne ai concorsi pubblici quando Manduria era sostenuta da una Giunta di Sinistra. Denuncie ben censurate sulla stampa di Manduria. Certamente Nazareno Dinoi ha pensato bene di non scrivere, però, sullo stesso giornale in cui ha dato la notizia a caratteri cubitali della condanna, che in appello la condanna non è stata confermata e che il magistrato del primo grado è stato denunciato a Potenza perché non nuova a sentenze ritorsive contro lo stesso Giangrande. Ha pensato bene di non scrivere di questa assoluzione come di tutte le altre assoluzioni per non aver commesso il fatto riguardo alle incriminazioni del reato di diffamazione a mezzo stampa. Reato che tocca proprio i giornalisti e che è il loro spauracchio. Oggi tocca a lui e di questo mi dispiace, perché non si augura a nessuno quello che si prova ad essere vittima di gogna mediatica.
Ma i giornalisti sono vittime od artefici di questo sistema informativo-giudiziario censorio od omertoso. «Con un’informazione libera l’Italia cambierebbe in 24 ore. I giornalisti italiani si suddividono in tre categorie: gli indipendenti (pochi, eroici e spesso emarginati), gli schiavi (tantissimi, sfruttati e pagati 5/10/20 euro a pezzo) e i Grandi Trombettieri del Sistema, nominati in posizioni di comando dai partiti e dalle lobby (direttori di testata, caporedattori, grandi firme, intellettuali per meriti sul campo). - E’ quanto scrive Beppe Grillo sul proprio blog, nell’iniziativa "Intervistiamo i giornalisti". - Il conflitto di interessi tra informazione e potere economico e politico è diventato insopportabile - sottolinea il comico - Siamo manipolati dai partiti, dalle banche e dalle industrie che, attraverso i media, stravolgono la realtà. L'Italia è un'Isola dei Famosi, un reality show di sessanta milioni di persone che ascoltano favole, racconti fantastici in dosi così massicce e da così lungo tempo da aver trasformato il Paese in un gigantesco Truman Show in cui la verità è menzogna e la menzogna è verità. Più il Sistema si decompone, più i media ne diventano l'ultimo feroce baluardo (dopo infatti non c'é più alcuna difesa) perdendo ogni ritegno e vergogna. La maggior parte degli italiani è informata da sette televisioni e tre giornali. Rai1, Rai 2 e Rai 3 sono occupate dai partiti, Canale 5, Italia 1 e Retequattro sono di proprietà di Berlusconi, a capo di un partito, la7 appartiene a Telecom Italia. La Repubblica è di De Benedetti, tessera numero uno del Pdmenoelle, La Stampa è della famiglia Agnelli, gli azionisti di riferimento del Corriere della Sera sono le banche e Confindustria. Siamo manipolati dai partiti, dalle banche e dalle industrie che, attraverso i media, stravolgono la realtà - aggiunge il fondatore del Movimento 5 Stelle. - Vorremmo però sapere qualche cosa di più su chi ci informa. Una questione di reciprocità. Il perché talvolta non riportano i fatti, se sono costretti o se è una loro attitudine. Vorremmo sapere quali direttive ricevono da parte dei loro giornali o telegiornali. Perché fanno le domande che fanno (talvolta tendenziose per dimostrare una tesi a priori). Vorremmo conoscerli più da vicino: i loro nomi, il loro curriculum, i loro pensieri» conclude Grillo.
Riguardo alla violazione del diritto di cronaca su “Il Giornale” c’è un appunto di Filippo Facci Quando una campagna tipo «Sallusti libero» mette d’accordo praticamente tutti (destra e sinistra, da Libero a Ingroia, dal Giornale a Di Pietro) vien voglia di rimettere qualche puntino sulle i e di sforzare la memoria prima di rincoglionire del tutto. Allora:
1) Non è vero che il caso Sallusti accomuna tutti i giornalisti nello stesso modo: il cosiddetto «omesso controllo» riguarda solo i direttori della carta stampata ed esclude invece i direttori delle testate online e delle testate televisive.
2) Non è vero che siano finiti in galera per diffamazione solo Giovanni Guareschi e Lino Jannuzzi. A parte che Jannuzzi finì solo ai domiciliari (prima di essere graziato) finirono dentro altri colleghi tra i quali ricordiamo solo Stefano Surace (che finì dentro a 70 anni per una diffamazione di trent’anni prima: Libero ci fece una campagna) e poi Gianluigi Guarino (direttore del Giornale di Caserta) per non parlare dei casi di Vincenzo Sparagna e Calogero Venezia del periodico Il Male.
3) Non è vero che Sallusti mercoledì potrebbe finire in carcere: in caso di conferma della condanna, essendo la sua pena inferiore ai 3 anni e non essendo quindi immediatamente esecutiva, occorrerebbe attendere che la Cassazione notifichi la sua decisione alla procura di Milano (e già qui passa del tempo) e poi che la Procura faccia eguale notifica ai legali di Sallusti (altro tempo che passa) sinché da quel momento, cioè dalla ricezione, gli avvocati avrebbero altri 30 giorni di tempo per proporre delle pene alternative come per esempio il classico affidamento ai servizi sociali. La semi-libertà no, perché la pena supera i sei mesi. Insomma, tempo per fare qualcosa ce n’è.
4) Non è vero che i giudici si sono limitati ad applicare la legge. Il tribunale può giostrarsi tra sospensione della pena e riconoscimento delle attenuanti generiche, e, anche se la pena non fosse sospesa, possono decidere se infliggere il carcere in totale discrezionalità: in genere infatti si limitano a una pena pecuniaria. Così non è stato.
5) Non è vero, purtroppo, che le cause intentate dai magistrati corrano in corsia di sorpasso surrettiziamente: l’hanno addirittura codificato e previsto da una circolare del Csm (la n. 5245 dell’11 giugno 1981) che teorizza «la trattazione più sollecita» dei procedimenti riguardanti i magistrati. Chi l’ha deciso? I magistrati.
6) Non è vero, o pare strano, che i legali del giudice diffamato, ora, dicano che ingabbiare Sallusti non gli interessa e che a fronte di un «equo risarcimento» ritirerebbero la querela: la sentenza della Corte d’Appello ha già previsto multe e quantificazione del danno (5000 Sallusti, 4000 Montinone, altri 30mila generici) e quindi non è chiaro perché la querela non la ritirino subito, visto che il pagamento è obbligato. Se ingabbiare Sallusti non fosse stato tra gli obiettivi, dunque, non è chiaro perché non si siano limitati ad un’azione civile (che puntasse solo ai soldi) e perché il pm che rappresenta l'accusa, soprattutto, abbia formulato Appello e dunque richiesto che carcere fosse.
7) È vero che molti giornalisti e molti giornali, ormai, tendono a considerare le cause per querela come un costo ordinario da mettere a bilancio: i tempi e i costi della giustizia portano a transigere (si paga una cifra e buonanotte) e si rinuncia a far valere le proprie ragioni. Qui le colpe sono da ripartire tra la lentezza della giustizia e una certa pigrizia di qualche avvocato e giornalista, non c’è dubbio.
8) È vero che la situazione di Sallusti è stata peggiorata da recenti decisioni dei governi di centrodestra: anche se è vero che tutti i governi, negli ultimi lustri, se ne sono fottuti. Per diffamazione semplice non si può finire in carcere, ma per quella «a mezzo stampa» sì in quanto è quasi sempre «aggravata» dall’attribuzione di un fatto determinato. Dalla famigerata «ex Cirielli» del 2005 in poi, peraltro, è impedito ai recidivi (come Sallusti, colpevole di altri «omessi controlli») di ottenere la sospensione del carcere per le pene che non superino i tre anni; non bastasse, sono state introdotte delle restrizioni nell’accedere alle pene alternative per chi abbia dei precedenti come i citati «omessi controlli». Nel caso di Sallusti, tuttavia, va detto che di precedenti che prevedano la carcerazione non ce ne sono: il direttore ha solo delle condanne indultate o trasformate in pena pecuniaria, nessuna delle quali per articoli scritti da lui.
9) È vero che la solidarietà tra penne d’ogni bandiera è una buona cosa, ma certi toni di sufficienza fanno prudere la penna. Il Giornale - direttore Maurizio Belpietro - nell’estate 1998 pubblicò la prima inchiesta in assoluto sul tema della diffamazione a mezzo stampa: 9 puntate, 60.277 battute a cura dello scrivente. Seguirono pochi servizi di Panorama e del Foglio mentre la Fnsi, sollecitata, fece solo sapere che: «Abbiamo chiesto agli editori l’istituzione di un fondo per coprire le spese legali». Traduzione: per risolvere il problema delle querele, basta pagare; come a dire che per risolvere il problema della malagiustizia basta andare in galera. Fu il Giornale a pubblicare regolarmente i monitoraggi del professor Vincenzo Zeno-Zencovich (anche qui, silenzio) e furono giornalisti di centrodestra o comunque non di sinistra (Roberto Martinelli, Alessandro Caprettini) a promuovere incontri e convegni. Di una fantomatica proposta di legge annunciata da Luciano Violante non si seppe più nulla, di un’altra presentata dal senatore radicale Pietro Milio, pure ispirata dalle inchieste del Giornale, pure nulla. Analogo destino ebbe una proposta del senatore Marcello Pera di Forza Italia. Tutto questo sempre nel silenzio: tranne un paio di casi (forse uno solo, nel 2009) in cui il condannato era di sinistra e allora c’è stato un po’ di baccano.
10) È vero che Antonio Di Pietro ora fa il buono e invoca un decreto per salvare Sallusti. Ma andrebbe ricordato che un suo progetto di legge prevedeva il «decreto cautelare di rettifica» oltreché la rilettura obbligatoria dei virgolettati agli intervistati, nonché - inevitabile - un inasprimento delle pene per il reato di diffamazione: alle testate che di tale diffamazione si macchiassero, a suo dire, doveva appunto essere imposta un’esponenziale sospensione delle pubblicazioni: più diffamazioni ergo più sospensioni, ogni volta più prolungate. Se per salvare Sallusti finiamo nelle mani del molisano, uh, siamo a posto.
A questo punto ci tocca dare la parola all'indagato. Cosa che nè i giornali fanno, nè i magistrati consentono. Laudati contrattacca con una intervista a di Giovanni Longo su “La Gazzetta del Mezzogiorno”. «Mi accingo a chiedere formalmente alla Procura di Lecce di essere sentito. Non si possono condurre indagini sull'attività di un procuratore senza ascoltarlo». Amareggiato, ma al tempo stesso combattivo. Il Procuratore della Repubblica di Bari Antonio Laudati, indagato dalla Procura di Lecce, respinge le accuse e fa quadrato intorno all’ufficio inquirente che dirige da tre anni. L’inchiesta è quella partita dalla denuncia del Pm Giuseppe Scelsi (oggi alla Procura generale), il magistrato che per primo ha indagato sulle escort reclutate da Gianpaolo Tarantini per partecipare a feste esclusive in residenze private dell’ex premier Silvio Berlusconi.
Procuratore, due giorni fa alcuni suoi sostituti sono stati sentiti come persone informate sui fatti dal procuratore di Lecce Cataldo Motta. Come commenta la notizia?
«Ho il massimo rispetto delle procedure istituzionali e sono convinto che chi svolge una funzione come la mia pubblica e di rilievo deve essere sottoposto a ogni forma di controllo. Sono sicuro di non avere nulla da temere perché ho improntato il mio comportamento al rispetto della legge, all’imparzialità della mia funzione e al perseguimento della giustizia».
Prima il Csm, poi gli ispettori ministeriali (i cui accertamenti al momento sono finiti con un nulla di fatto), infine la Procura di Lecce. Le verifiche sul suo operato non finiscono mai?
«Non posso non rilevare che questo tipo di accertamenti è iniziato un anno fa, ma un’indagine a carico di un procuratore non può durare tanto. Occorre dare risposte rapide sia che siano stati commessi reati, sia che non siano stati commessi, soprattutto per la credibilità dell’ufficio».
La pensano allo stesso modo migliaia di persone indagate che vivono in un «limbo» e che chiedono senza fortuna di potere dire la loro. La giustizia non è uguale per tutti?
«Capita a me quello che accade a tanti cittadini. Rappresento, però, che, indipendentemente dalla vicenda personale, la questione si riverbera sull'intero ufficio. Non sostengo che la mia posizione è diversa, ma lamento che così si mette a rischio la credibilità della giustizia e delle istituzioni. Una situazione che deve essere definita in tempi rapidi. Per questo voglio subito essere interrogato».
In realtà l’inchiesta di Lecce sembra volere accendere un faro non tanto o non solo sulla sua attività, ma anche su quella di alcuni suoi sostituti. Qual è il clima che si respira nel Palagiustizia?
«Non so se la vicenda riguarda altri magistrati, e comunque, leggendo i giornali, si tratta di cose avvenute prima del mio arrivo a Bari. Sono dispiaciuto della rappresentazione che viene data del nostro ufficio. In questi tre anni abbiamo svolto una grande mole di lavoro in rapporto all’organico e alle scarse risorse disponibili. Occorrerebbe guardare quello che facciamo tutti i giorni e mandare in soffitta tutti i veleni».
Eppure proprio l’indagine più delicata sarebbe stata rallentata. E poi ci sono l’aliquota e la banca dati volute da lei.
«Al mio arrivo mi sono posto due obiettivi: trasparenza ed efficienza. Ho istituito pool di magistrati, un coordinatore, è stata potenziata la polizia giudiziaria, ho applicato alla Procura di Bari quanto ho imparato in Antimafia: si lavorava in pool per garantire maggiore correttezza possibile delle decisioni (sei occhi guardano meglio di due) e per evitare la sovraesposizione di un singolo Pm».
Alla luce delle accuse che le vengono mosse, considera gli obiettivi raggiunti?
«L’inchiesta Tarantini è stata divisa in sette tronconi tutti a processo, prima che arrivassi non era stato neanche arrestato. Il processo Tedesco è all’udienza preliminare, prima del mio arrivo non era stata notificata neanche un’informazione di garanzia. Per tutti questi processi c'è la valutazione di Gip, del Riesame e della Cassazione. Trovo una certa amarezza nel fatto che il lavoro dei miei colleghi, al prezzo di grandi sacrifici anche personali, passi in secondo piano. Nessun rallentamento, dunque, per non parlare della fantomatica ricostruzione della “aliquota”. Sono solo stati creati gruppi “ad hoc” di Carabinieri (per Tedesco) Gdf (per Tarantini) e Polizia (per le fughe di notizie) decisi dai vertici della forze di polizia. L’accusa è smentita dai fatti».
Pensa di avere commesso qualche errore?
«Sì, per esempio, con il senno di poi, non avrei trasmesso al Procuratore generale presso la Cassazione la “relazione Sportelli”, in cui venivano evidenziate tutte le anomalie commesse prima del mio arrivo. Pensavo fosse mio dovere segnalarle, e, invece, la relazione si è ritorta contro di me».
Prima dello scandalo si parlava di lei come possibile Procuratore di Napoli o Roma o come prossimo Procuratore nazionale antimafia. Tutto sfumato? Pentito, oggi, di avere scelto Bari?
«Chi assume un ruolo come il mio in un distretto importante come Bari accetta anche il rischio della sovraesposizione. Sono stati anni pesanti, ma ho fatto una scelta di cui non mi pento. Sono convinto che il tempo è galantuomo e mi darà ragione».
Tra un anno scade il suo primo «mandato». Ne seguirà un altro? Cosa farà da grande?
«Chi fa il Procuratore ha incarichi a termine, indipendentemente dalla propria volontà. La legge stabilisce quanto devo rimanere, ma è un problema che non mi pongo adesso anche perché fino a quando non avrò dimostrato ai cittadini l'assoluta infondatezza di tutte le questioni sollevate nei miei confronti, mai penserò di cambiare incarico. Credo di dovere dare ai cittadini la sicurezza che hanno avuto un Procuratore al di sopra di ogni sospetto e che non ha commesso alcun reato».
Perquisizioni e spogliarelli: le intimidazioni ai cronisti, scrive Gian Marco Chiocci su “Il Giornale”. Uno studio rivela i metodi dei magistrati, dai blitz alle ispezioni "personali". Scrivere per il Giornale, o per qualsiasi altro giornale, sta diventando rischioso. Se adesso si va dritti in galera non è che fino a ieri la magistratura ci andasse leggera e non avesse altri strumenti per renderti la vita e la professione impossibili. Utilizzava (e utilizza) intercettazioni a strascico e soprattutto si avvale di uno strumento invasivo, ritorsivo, intimidatorio: quello della perquisizione-sfregio, a casa e in ufficio, nelle stanze dei tuoi bimbi o in redazione, a ficcare il naso nelle tue agende, aprendo i libri, i cd, tra la biancheria, in garage o in frigorifero, nell'appartamento di mamma e papà, perfino dai tuoi nonni. Tutto per scoprire la «fonte» e sequestrare il documento - che non trovano mai - all'origine di quella rappresaglia. Ormai è routine: si presentano all'alba, ti sequestrano fisicamente spesso fino a notte fonda, con decine di sbirri a mettere Le mani nel cassetto (e talvolta anche addosso), come titola uno studio del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti rintracciabile su internet sui cronisti perquisiti. Storie drammatiche e paradossali. Il Giornale ovviamente la fa da padrone con Vittorio Feltri e Nicola Porro a raccontare la violenza del blitz che colpì anche Sallusti, sulla farsa del ricatto all'ex presidente di Confindustria. «La Procura di Napoli era partita lancia in resta contro la supposta macchina del fango da me diretta - racconta Feltri - nel frattempo però mi ero dimesso, cedendo il comando a Sallusti (...) e al mio posto fu perquisito lui che non c'entrava nulla, al tempo dei fatti, salvo aver firmato il pezzo. Fu perquisito anche Nicola Porro. Fisicamente. Carabinieri dappertutto: al Giornale e nelle abitazioni dei reprobi. Roba da matti. Ventiquattr'ore dopo pubblicammo davvero un dossier sulla Marcegaglia». Era un falso, collezionato con gli articoli dei giornali illuminati e progressisti. Porro non se lo scorderà più quel giorno. Nudo davanti ai carabinieri come un boss mafioso. «Sono stato perquisito per un'intercettazione telefonica. Il sottoscritto all'epoca dell'intercettazione non era indagato. Il reato di cui mi sarei macchiato (violenza privata) non è di quelli per cui il codice prevede le intercettazioni. Con questi criteri anche Babbo Natale sarà presto messo sotto controllo (...)».Tra i racconti dei cronisti del Giornale inseriti nel pamphlet anche quello di chi scrive, recordman del triste settore (una ventina di perquisizioni all'attivo, l'ultima in albergo a Montecarlo per la casa Fini-Tulliani). Poi c'è il nostro Stefano Zurlo, anzi suo figlio Giacomo (all'epoca aveva 4 anni) a cui le forze dell'ordine piombate in cameretta chiesero dove papà nascondesse le carte di uno scoop su Pacini Battaglia. E che dire di Anna Maria Greco «colpevole» di aver recentemente pubblicato su questo quotidiano un atto sulla pm Boccassini: perquisita davanti alla famiglia schierata, invitata a spogliarsi e sottoporsi a ispezione personale («...Mi dicono: "ci dia i documenti, così la finiamo qui: dove li ha nascosti?". Ho risposto: "Non ce li ho". Mi hanno detto che dovevano procedere anche alla perquisizione "personale". Mi sono preoccupata seriamente quando la donna carabiniere ha infilato i guanti di lattice. Mi ha fatto entrare in un bagno e mi ha detto di spogliarmi. "Anche la biancheria intima", ha precisato. Non volevo crederci. "E che, nascondo documenti segreti nelle mutande?"». Sull'onda del trattamento-Greco passiamo ai perquisiti degli altri giornali, come Roberta Catania di Libero, anche lei invitata a togliersi tutto per accertare che non nascondesse una chiavetta-dati coi segreti dell'inchiesta sul G8. Idem Carlo Mion de la Nuova Venezia che a quattro mesi dalla pubblicazione di un video dell'inchiesta Unabomber, è sollecitato a denudarsi: «Eh no, mi offendete! Ma pensate che per quattro mesi vado in giro col dischetto infilato da qualche parte?». Lo spogliarello è evitato, la perquisizione no. A Fabio Amendolara della Gazzetta del Mezzogiorno, per il caso Claps, e ad Enzo Bordin del Mattino di Padova, per una storia di trafficanti di droga, in assenza della pistola fumante sequestrarono interi archivi e fascicoli estranei al caso. Quanto capitato nel 2008 a Emiliano Fittipaldi e a Gianluca Di Feo de l'Espresso, per inchieste su camorra e politica, non ha eguali: «Ho subito due perquisizioni a una settimana l'una dall'altra su due inchieste differenti», racconta il primo. Anche Fiorenza Sarzanini del Corriere della Sera è stata perquisita due volte in una settimana, nel 2002, «perché nel primo controllo non era stata trovata la mia agenda personale». Nella casetta delle Barbie delle figlie della brava Alessandra Ziniti di Repubblica il Ros cercò l'identikit del capomafia Provenzano. L'appartamentino venne smontato, senza alcun riguardo per i vestitini, le scarpe e le borse delle bambole. La faccia del boss non saltò fuori. Quella della figlia Giulia, arrabbiatissima per il mini guardaroba in disordine, i carabinieri non la scorderanno. Le pagine del rapporto curato dall'Ordine dei giornalisti nel 2011 sui cronisti fatti perquisire dai magistrati è sotto gli occhi di tutti.
Direttori plurindagati in tutte le redazioni: non solo al Giornale, scrive Stefano Zurlo su “Il Giornale”. Anche a carico di chi guida "Corriere" e "Repubblica" decine di inchieste per diffamazione. La pena più dura? Sotto i sei mesi. Ventisei nell'arco di due anni. E solo al tribunale di Milano. È il numero degli articoli del Corriere della sera finiti sotto processo insieme ai giornalisti che li hanno scritti e al direttore della testata. Un record, ma in una graduatoria affollata di imputati. Il Giorno è a quota 17, Panorama segue a ruota a 15, poi via via tutti gli altri. Fa parte del mestiere, una professione che si svolge su un confine difficile, mai fissato con chiarezza. Basta poco e scatta l'accusa di diffamazione. L'avvocato Sabrina Peron ha sviluppato nel 2007 uno studio approfondito, uno dei pochi sul tema, per conto dell'allora presidente dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia Franco Abruzzo. La fotografia è un po' datata ma molto interessante perché al setaccio del legale sono passate tutte la cause arrivate al tribunale di Milano fra il 2003 e il 2004 e poi tutti i procedimenti definiti dalla corte d'appello del capoluogo lombardo nel triennio 2003-2005. Le cifre del contenzioso sono imponenti: un flusso continuo di carte bollate che ritorna nelle aule in cui si discutono i procedimenti di secondo grado. Qua troviamo il Giornale che sfuggiva al rilevamento precedente perché gran parte delle sentenze che lo riguardano arriva dal tribunale di Monza. E il Giornale è al vertice di questa poco invidiabile classifica con 55 processi, ma gli altri vengono dietro, sia pure a distanza: Panorama è a 19, Repubblica a 16, il Corriere della sera a 13, la Padania a 8, le tv di Mediaset a 7. Non è possibile generalizzare, ma si può affermare che i processi per diffamazione sono all'ordine del giorno, per non parlare di quelli civili che richiedono alti conteggi. Attenzione: una sentenza come quella che riguarda Alessandro Sallusti si fa però fatica a trovarla. In tribunale, nel giro di 24 mesi, la punizione più dura è sempre sotto i 6 mesi. E in corte d'appello si scende ancora, anche se su un calendario spalmato su tre anni: il massimo della pena è di 4 mesi e 15 giorni, a correzione di un verdetto precedente, non di matrice ambrosiana, che aveva appioppato al giornalista una pena pesantissima di 24 mesi di carcere. In secondo grado, come si vede, la punizione è stata mitigata, il contrario di quel che è accaduto ad Alessandro Sallusti che in prima battuta era stato condannato a pagare 5mila euro, ovvero una pena pecuniaria. La multa è la pena standard di questi processi, il carcere l'eccezione. Si è chiuso a colpi di euro il 94 per cento dei processi in tribunale, solo il 6 per cento delle querele è finito con la condanna al carcere, ma sempre con una pena poco più che simbolica. In corte d'appello le proporzioni cambiano ma non di molto: il 72 per cento delle condanne non va oltre la multa e solo il 20 per cento si traduce in una condanna detentiva. Insomma, il caso Sallusti è in controtendenza: è raro che la pena salga passando dal primo al secondo grado. È ancora più difficile trovare una condanna a 14 mesi e, anche se mancano dati specifici, sembra davvero un unicum la mancata concessione della condizionale. Non sorprende invece il fatto che a querelare il direttore dimissionario del Giornale sia stato un magistrato. In tribunale, dove già sono di casa, i giudici sono parte offesa nel 18 per cento dei procedimenti per diffamazione. Le persone giuridiche, quindi società e associazioni, rappresentano il 14 per cento del totale, contro il 9 per cento dei politici. In appello i magistrati svettano con il 19 per cento delle querele, ma i politici li appaiano con la stessa percentuale, mentre gli amministratori delle persone giuridiche si fermano al 9 per cento. I custodi della legge sono dunque fra le categorie più attente nel non farsi pestare i piedi. L'alluvione di numeri può anche risultare indigesta, ma aiuta a far capire lo guerriglia che si combatte su quel confine inquieto. In particolare sul terreno della cronaca dove spesso si accende la scintilla della disputa: nel 46 per cento dei casi in tribunale, un po' meno in secondo grado. Certo, nove sentenze su dieci puniscono l'assenza del criterio di verità, insomma la pubblicazione di notizie false. Patacche. Ma in appello emerge un altro fenomeno allarmante che rischia di mandare al macero tutti gli altri numeri: un quarto dei processi svanisce nella nuvola della prescrizione. Le cancellerie sono ingolfate, ma col passare del tempo le accuse si assottigliano e le pene scendono. Con Sallusti è successo tutto il contrario. Ma, si sa, le statistiche non hanno la faccia del direttore del Giornale.
Tortora, Sallusti. E Giangrande?
Enzo Tortora, icona dell’ingiustizia in Italia: un esempio per nulla. E poi Alessandro Sallusti esempio inane di ritorsione censoria. Ma perché nessuno parla di Antonio Giangrande?
«Questa è un’Italia ipocrita e dissimulatrice. - spiega il dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” www.controtuttelemafie.it , e scrittore-editore dissidente che proprio sul tema ha scritto e pubblicato “Italiopolitania, Italiopoli allo sbaraglio”. La premessa alla collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata sui propri siti web, su Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo. Uno tra i 40 libri scritti dallo stesso autore e pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i media si astengono a dare la dovuta visibilità e le rassegne culturali ad ignorare – Si parla sempre a sproposito di meritocrazia, ma nulla si fa contro le rendite di posizione. Ruoli, funzioni ed incarichi pubblici immeritati? No! Meglio parlare sempre e solo di crisi e di soldi o sparlare di quella politica stantia che gli italioti votano e sempre voteranno. Il solito populismo sempre in cerca di una competenza ed onestà di parte. Periodicamente si parla di Enzo Tortora come icona dell’ingiustizia e di tutti coloro che scontano da innocenti le pene dell’inferno in carcere: “Silvia mia carissima questo, te lo confermo, è un paese infame. Io sono, certe volte, proprio disperato. In questo paese non succede nulla. E’ questo che mi avvelena e mi dispera. Una ad una le speranze di una rigenerazione morale se ne vanno. Una Stampa stupida, serva, incline solo al pettegolezzo ed ai circensi. Aliena ai problemi veri e reali. Uno spettacolo immondo. Sono deluso Silvia. Mi pare di aver gettato via la mia vita e debbo fare anche autocritica. Credevo nella legge, nei magistrati e nelle istituzioni. Quello che non si sa è che una volta gettati in galera non si è più cittadini, ma pietre. Pietre senza suoni, senza voce, che a poco a poco si ricoprono di muschio. Una coltre che ti copre con atroce indifferenza. Ed il mondo gira: indifferente a quest’infamia.” (lettere di Enzo Tortora alla figlia Silvia). Enzo Tortora un martire che illumina le battaglie per la responsabilità dei magistrati, che i manettari non vogliono. Poi si è passati a parlare di Alessandro Sallusti come la vittima esemplare della ritorsione censoria del potere giudiziario. Un esempio per tutti i giornalisti liberi e coraggiosi che scrivono anche contro i magistrati, denunciandone abusi ed omissioni. Ma la Cassazione smentisce sé stessa pur di irrorare una pena esemplare: punire uno per tacitarne mille. La sentenza 19985 del 30 settembre 2011 della terza sezione della Cassazione parlava di «immediata rilevanza in Italia delle norme della Convenzione europea dei diritti dell'uomo», di «obbligo, da parte del giudice dello Stato, di applicarle direttamente» e di «tenere presente l'interpretazione delle norme contenute nella Convenzione che dà la Corte di Strasburgo attraverso le sue decisioni». Ma cosa dicono la Convenzione e la Corte Europea si chiede “Il Giornale”? Innanzitutto, stabiliscono un principio cardine e fondamentale: nessun giornalista può andare in carcere per il reato di diffamazione. L'assunto è stato ribadito nella sentenza del 2 aprile 2009 nella quale la Corte di Strasburgo ha condannato la Grecia a risarcire il giornalista Kydonis perché «le pene detentive non sono compatibili con la libertà di espressione» e perché «il carcere ha un effetto deterrente sulla libertà dei giornalisti di informare con effetti negativi sulla collettività che ha a sua volta diritto a ricevere informazioni». Se ciò non bastasse, la Corte di Strasburgo ha anche sottolineato come la previsione del carcere sia «suscettibile di provocare un effetto dissuasivo per l'esercizio della libertà di stampa». Anche la Corte Costituzionale è stata snobbata. Nella sentenza 39/2008, la Consulta aveva stabilito che «le norme della Convenzione europea devono essere considerate come interposte e che la loro peculiarità, nell'ambito di siffatta categoria, consiste nella soggezione all'interpretazione della Corte di Strasburgo, alla quale gli Stati contraenti, salvo l'eventuale scrutinio di costituzionalità, sono vincolati a uniformarsi». Concetto espresso anche dal Consiglio d'Europa. Oltretutto è indagato il magistrato che querelò Sallusti: però, fascicolo fermo. Così scrive Andrea Morigi su “Libero”.
L'accusa a Cocilovo: abuso d'ufficio nella gestione del patrimonio di una donna. Il figlio: "La rovinò". Dal 2009 nessuna novità. Il magistrato Giuseppe Cocilovo dovrà pazientare ancora un po’ per affermare che «giustizia è fatta». Almeno finché non si risolverà la vicenda giudiziaria che lo vede iscritto al registro degli indagati sin dal 15 giugno 2009 per il delitto di abuso d’ufficio. È un esposto, depositato alla Procura di Milano una decina di giorni prima, a chiamarlo in causa per una vicenda che risale agli anni fra il 2006 e il 2008, quando Cocilovo era giudice tutelare presso la VII sezione civile del tribunale di Torino. Per qualche motivo ancora da chiarire, tutta la documentazione relativa al procedimento giaceva fino a venerdì mattina sul tavolo del giudice per le indagini preliminari Fabrizio D’Arcangelo, nonostante una motivata richiesta d’archiviazione da parte del pubblico ministero Grazia Colacicco risalente al 17 febbraio 2010. Certo, com’è noto per l’articolo a firma Dreyfus comparso su Libero nel febbraio 2007, nel giro di soli cinque anni e mezzo si è giunti a una sentenza definitiva di condanna contro Alessandro Sallusti. Ma in quel caso il torto subito dal magistrato è stato riparato. A questo punto, anziché indignarsi contro i magistrati, monta l’antipolitica e lì la stampa a cavalcare l’indignazione sugli sprechi dei politici. Dallo spreco e dall’approfittamento si passa direttamente a parlare di corruzione. I giustizialisti ed i manettari sviano i temi forti e sono sempre lì pronti a crocifiggere tutti coloro che sono, addirittura, colpiti solo da un rinvio a giudizio. Tapini loro che si beano della loro ignoranza o dissimulano la loro malafede. Loro non sanno, o fanno finta di non sapere, che ben pochi sono coloro che hanno il privilegio di subire un giudizio, rispetto a milioni di denunce, che spesso ci si astiene dal presentare per l’improvvida conclusione (insabbiate o archiviate), e che il Gip-Gup non è altro che la “Longa Manu” del Pubblico Ministero. Spesso tali rinvii a giudizio sono per reati bagatellari commessi da poveri cristi o per reati di opinione. Molte volte tali giudizi si risolvono in assoluzioni o proscioglimenti in senso lato. Quasi mai si procede per abuso d’ufficio: il reato dei poteri forti. Ergo: l’arma pretestuosa della giustizia per discernere i buoni (ricchi e potenti) dai cattivi (poveri ed analfabeti); gli amici (di sinistra) dai nemici (di destra). In questo stato di appannamento mentale, influenzato dalla crisi, che addita i politici della fazione opposta come causa di tutti mali, c’è chi racconta una realtà diversa. Antonio Giangrande è il portavoce nel mondo in video ed in testi (non icona, non esempio) di chi in questa Italia bigotta voce non ha. Rappresenta centinaia di migliaia di candidati non idonei ai concorsi pubblici truccati, denunciandone le anomalie: per questo da 15 anni avvocati e magistrati non lo abilitano alla professione forense. Gente, che lui ha denunciato, solo in 2 minuti giudica i suoi elaborati, lasciandoli immacolati ed immotivati. Elaborati tecnici che, a parte le operazioni ante e post, si leggono con la dovuta attenzione in non meno di 10 minuti. Egli rappresenta centinaia di migliaia di innocenti in carcere, raccontando della malagiustizia che rende il sistema inefficiente e facendo conoscere singole storie di ordinaria ingiustizia che altrimenti rimangono nell’oblio. Egli, a parte ciò, racconta l’Italia per quella che è, approfondendo tutte le problematiche che l’attanagliano. Ma non senza, però, dal presentare al mondo con la sua “Tele Web Italia” la bellezza di cui la penisola è composta. Egli discerne l’Italia dagli italiani. Per questo i suoi siti web di informazione vengono chiusi e lui accusato del reato di diffamazione a mezzo stampa. Peccato però, che a differenza di Alessandro Sallusti, egli in sentenza è sempre dichiarato estraneo ai fatti. Non innocente, ma estraneo ai fatti incriminati. Già. Ma, stante l’utilità sociale del suo operato e le ritorsioni subite, perché di Antonio Giangrande nessuno ne parla?»
29 ottobre 2012. Ventiquattresima udienza. Parla Michele Misseri. Da imputato.
L’ennesimo ed inutile sciopero degli avvocati penalisti ha imposto il rinvio dell’udienza del 23 ottobre. Preliminarmente l'avv. Franco Coppi, uno dei difensori di Sabrina Misseri accusata con la madre Cosima Serrano dell'omicidio e di sequestro di persona, ha chiesto di dichiarare inutilizzabili le parti del verbale dell'incidente probatorio del 19 novembre 2010 nelle quali Michele Misseri accusa del delitto la figlia Sabrina. Per il legale, nel corso dell'incidente probatorio, il gip avrebbe rivolto un avvertimento troppo sintetico sulle conseguenze che avrebbero potuto provocare le dichiarazioni accusatorie verso terzi da parte di Michele Misseri, tenuto conto che l'incidente probatorio era stato fissato proprio perchè l'agricoltore intendeva accusare del delitto altre persone e non se stesso, come aveva fatto nelle precedenti settimane. In particolare, Michele Misseri non sarebbe stato avvertito del fatto che, accusando terzi, sarebbe diventato anche testimone del processo, oltre che imputato. In subordine, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale. La richiesta è stata fatta dall'avv. Coppi prima che la Corte iniziasse l'eventuale interrogatorio di Michele Misseri. La Corte di Assise di Taranto, al processo per l'omicidio di Sarah Scazzi, dopo cinque ore e mezzo di camera di consiglio ha rigettato la richiesta della difesa di Sabrina Misseri di dichiarare inutilizzabile il verbale dell'incidente probatorio del 19 novembre 2010 nel quale Michele Misseri accusò del delitto la figlia Sabrina. La Corte ha inoltre dichiarato «manifestamente infondata» la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa di Sabrina sempre in relazione al verbale dell'incidente probatorio. Nell'ordinanza con la quale ha rigettato le eccezioni della difesa di Sabrina Misseri, la Corte di Assise di Taranto ha indicato che, quando venne sentito nell'incidente probatorio il 19 novembre 2010, Michele Misseri era incompatibile con il ruolo di eventuale testimone della difesa, in quanto ancora coindagato con la figlia Sabrina per omicidio volontario. Per questo motivo l'eccezione sollevata dalla difesa di Sabrina relativa al mancato avviso completo a Michele Misseri delle conseguenze delle sue dichiarazioni è, per la Corte, da considerarsi superata. Il decreto di archiviazione dall'accusa di omicidio volontario a carico di Michele Misseri venne firmato solo nel 2011. Potere dei media. Michele Misseri in aula a Taranto per l'udienza del processo per l'omicidio di Sarah Scazzi ha sfoggiato il consueto "look da intellettuale". Michele Misseri è tornato a parlare dopo mesi di silenzio. Silenzio dovuto al fatto che nessuno gli crede. Quando si è seduto dinanzi alla Corte di Assise e il presidente della Corte, Cesarina Trunfio, gli ha chiesto se volesse rispondere alle domande, Michele Misseri ha detto «per il momento no». Il presidente gli ha fatto presente che era quello il momento e allora l'agricoltore ha detto «mi avvalgo della facoltà di non rispondere». Prima della chiusura dell'udienza, il pm Mariano Buccoliero ha chiesto l'acquisizione di una serie di verbali contenenti dichiarazioni di Michele Misseri rilasciate ai magistrati nel corso dell'inchiesta ed ha poi consegnato la relazione dei carabinieri del Ros di Lecce, il Reparto operativo speciale, con cui si stabilisce che il giorno dopo l'omicidio di Sarah, Sabrina e sua madre Cosima sarebbero andate al pozzo per controllare come Michele avesse nascosto il corpo della ragazzina. Il lavoro degli uomini guidati del colonnello Vincenzoni smentisce la parole di Valentina, la sorella di Sabrina, che aveva raccontato di aver ricevuto una telefonata dalla madre e dalla sorella il 27 settembre mentre erano nei loro campi fuori città. I tabulati dimostrano che quella telefonata c'è stata. Ma le due donne non erano nelle loro campagne: la cella telefonica agganciata è quella invece che fa riferimento al pozzo, il luogo dove Michele Misseri aveva nascosto il cadavere di Sarah. Bisogna tener conto, sotto l’aspetto processuale, che Michele Misseri è stato chiamato a rendere l’esame in qualità di imputato. Se avesse parlato, secondo il suo intendimento palesato dalle frequenti comparsate in tv, si sarebbe auto accusato del delitto. In questo modo avrebbe disatteso le indicazioni del suo avvocato, il quale invece ha interesse a scriminare la posizione del suo cliente. Se ci fosse stata la dichiarazione, forse, avrebbe portato al lascito del mandato di difesa. Il rilasciare le dichiarazioni spontanee non avrebbe conseguito lo stesso effetto, in quanto queste sono prese in minor considerazione dai giudici. Probabilmente le attese dichiarazioni di Michele Misseri saranno rese quando costui sarà chiamato a parlare in qualità di testimone della difesa si Sabrina e Cosima. Allora sì che non ci sarà imbarazzo dell’avvocato e ci sarà obbligo di risposta, salvo per quelle parti che lo inchioderebbero al delitto. Agli atti del processo restano dunque le diverse versioni - tre nella sostanza, almeno sette se si tiene conto delle variazioni nella ricostruzione dell’omicidio – fornite da Michele Misseri nel corso dell’inchiesta. Da quella autoaccusatoria di tutto del 6 ottobre 2010, quando fece ritrovare anche il corpo della povera Sarah, alla chiamata in correità della figlia Sabrina del successivo 15 ottobre, all’ accusa del 4 novembre, sempre alla figlia, di aver ucciso lei la cuginetta, sino a tornare ad addossarsi tutte le responsabilità, a partire dai primi mesi del 2011. "Sono stato io", "Ho fatto tutto da solo", "E' stata mia figlia", "No, ho mentito, l'ho uccisa io". Queste le versioni antitetiche di Michele Misseri, almeno 7, a cominciare da quella del 6 ottobre 2010, quando "zio Michele" crolla dopo ore di interrogatorio nella caserma del comando provinciale dei carabinieri di Taranto. Dice di aver ucciso la nipote in garage dopo un avance sessuale e il rifiuto della ragazzina, poi porta gli investigatori al pozzo in contrada Mosca nelle campagne di Avetrana, facendo ritrovare il cadavere e successivamente i resti di alcuni effetti personali della nipote. Trascorrono nove giorni, è il 15 ottobre 2010, quando Michele Misseri tira in ballo la figlia Sabrina: è lei, dice, che ha trattenuto per le braccia Sarah mentre lui la strangolava con una corda. Sabrina viene arrestata. Il 4 novembre arriva il primo forte atto d'accusa nei confronti di sua figlia: è accaduto tutto in garage, Sabrina ha strangolato Sarah, mentre lui dormiva in casa ed è stato svegliato proprio dalla figlia che cercava aiuto. Ancora, due mesi dopo, alla vigilia di Natale, Michele Misseri "si pente" e scrive dal carcere alle figlie Sabrina e Valentina dicendo di aver accusato ingiustamente la secondogenita. Nel febbraio 2011, ma la notizia trapela solo dopo qualche settimana, Michele Misseri scrive al suo legale scagionando completamente la figlia. Da quel momento in poi "zio Michele" continua ad autoaccusarsi del delitto, cambiando però spesso ricostruzione. Per la Procura, tuttavia, la ricostruzione è chiara: Sarah sarebbe stata uccisa dalla cugina per gelosia, folle di amore per Ivano, amico di entrambe ma molto più vicino, negli ultimi tempi a Sarah. Il delitto sarebbe avvenuto in casa, con l'aiuto della mamma di Sabrina, Cosima Serrano. Michele Misseri, invece, sarebbe responsabile solo di soppressione di cadavere oltre che del furto del cellulare della nipote e di danneggiamento seguito da incendio (bruciò vestiti e zaino della ragazzina). Via via sono cadute invece le accuse di omicidio volontario e violenza sessuale (inizialmente raccontò agli inquirenti di aver abusato del cadavere prima di nasconderlo). «Tutto quello che fa lo zio Michele è sbagliato. Nessuno mi crede. Per questo non parlo più. Ero diventato il burattino di tutti». Michele Misseri torna a parlare in televisione e lo fa a “Il Graffio”, programma di approfondimento del Gruppo Norba e condotto dal direttore Enzo Magistà, in onda, lunedì 22 ottobre 2012, alle ore 21, su TgNorba24. «Non mi credono - aggiunge Misseri al microfono de “Il Graffio” - ma la verità non la sanno neanche loro. Io so solo che due innocenti sono in carcere e io continuerò a lottare per dimostrare che questa storia non c’entrano niente». “Lei continua a dire che è colpevole mentre sua figlia e sua moglie sono innocenti, allora perché non viene a dirlo in un’aula di tribunale?”, ha chiesto la giornalista a zio Michele che ha risposto: “Non lo faccio per non aggravare ancora di più la posizione degli innocenti perchè quando parlo io, da una cosa se ne capisce sempre un’altra, non c’è niente di lucido. Loro sanno parlare l’italiano e sanno rispondere, io invece non so rispondere e può essere che faccio venire a loro carico ancora più cose”. Zio Michele che deve rispondere della sola soppressione del cadavere mentre si accusa anche dell’omicidio, si rifiuta quindi di parlare con i giudici ma lo fa con le telecamere. Ad esempio, il 28 ottobre 2012, si è nuovamente fatto intervistare dalla giornalista Mediaset, Ilaria Cavo, assieme alla quale sono andati vicino al pozzo in contrada Mosca dove il 26 agosto del 2010 ha soppresso la nipote. Nell’occasione Misseri ha deposto dei fiori davanti alla foto di Sarah Scazzi posta nella colonna che qualcuno ha fatto erigere per ricordare il luogo dell’orrore.
Sei notizie in media ogni giorno su abusi e maltrattamenti subite da bambine e ragazze in Italia. E' il dato più significativo di un Dossier sulla condizione delle minorenni italiane messo a punto dall'agenzia ANSA , insieme a Terre des Hommes, in occasione della Giornata Mondiale delle bambine e delle ragazze indetta dall'Onu. Il dossier, realizzato su materiale tratto dall'archivio dell'Agenzia, prende in esame la cronaca di 18 mesi (gennaio 2011-giugno 2012). In questo periodo sono state trasmesse oltre 130 mila notizie di cronaca; i casi di abusi e maltrattamenti che hanno interessato bambine e ragazze sono state 3.196, appunto circa 6 al giorno. Inoltre, si sono registrati 804 casi di pedofilia e adescamento online, sempre in 'rosa', seguiti da fatti di violenze familiari, abbandoni, trascuratezze, bullismo. I primi cinque casi più “popolari” al centro della cronaca nera per mesi sono stati quelli di Sarah Scazzi (914 notizie), Yara Gambirasio (413), Elisa Claps (304), delle gemelle Schepp (280), assieme alle notizie (46) che ancora oggi arrivano sulla scomparsa di Denise Pipitone. Certo è che nel riferire i fatti, bisogna parlare del contesto.
PARLIAMO DELLA MAFIA DEGLI AUSILIARI GIUDIZIARI. A quanto ammonteranno i compensi per i custodi giudiziari dell’ILVA? I custodi giudiziari spesso si spacciano anche per amministratori giudiziari, per poter pretendere con l’avvallo dei magistrati compensi raddoppiati e non dovuti. «Essendo i consulenti tecnici, i periti, gli interpreti ed i custodi/amministratori giudiziari i principali ausiliari dei magistrati, come a questi ci si pretende di porre in loro una fiducia incondizionata. Spesso, però ci si accorge che tale fiducia è mal riposta, sia nei collaboratori, che nei magistrati stessi. Ma a ciò bisogna far buon viso a cattivo gioco (giudiziario), se no succede quello che succede a me - spiega il dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” www.controtuttelemafie.it , e scrittore-editore dissidente che proprio sul tema ha scritto e pubblicato “Malagiustiziopoli” nella collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata sui propri siti web, su Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo. Uno tra i 40 libri scritti dallo stesso autore e pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i media si astengono a dare la dovuta visibilità e le rassegne culturali ad ignorare – Io sono inviso dalla classe forense e giudiziaria, in quanto rendo pubbliche le magagne che si annidano presso gli uffici giudiziari. Il giornalista che va per la maggiore non vuole o non può pubblicare certe notizie, perché non ha il coraggio o, pur saccente, non ha la perizia giuridica per affrontare tematiche processuali, che solo scaltri avvocati riescono a scalfire. Per esempio, pragmaticamente, su sollecitazione di molti avvocati di Taranto vicini all’Associazione Contro Tutte le Mafie, prendiamo il caso concreto della decisione del Presidente del Tribunale di Taranto, Antonio Morelli. Già abbiamo affrontato il caso di quel consulente tecnico che non ha risposto alle domande postegli dal giudice delegante ed anzi andò in antitesi alla consulenza tecnica della parte convenuta e ben oltre la richiesta della consulenza tecnica della parte attrice. In quel caso il Pm archiviò a carico del CTU la denuncia per falso, ma, ciò nonostante, il dr Antonio Morelli estromise tale CTU dall’apposito elenco e per gli effetti quel consulente non fu più chiamato. L’archiviazione dette modo al consulente estromesso di rivalersi contro il denunciante per calunnia. Il denunciante a sua volta denunciò, inopinatamente il sottoscritto che lo difendeva in giudizio, per diffamazione a mezzo stampa per aver svolto un’inchiesta giornalistica sul funzionamento della giustizia a Taranto. Una golosa occasione per i magistrati di Taranto per tacitarmi, così come spesso hanno fatto, non riuscendoci. Ma arriviamo al caso di specie. Trattiamo della nomina e della remunerazione dei custodi/amministratori giudiziari. In questo caso trattasi di custodia dei beni sequestrati in procedimenti per usura. Il custode ha pensato bene di chiedere il conto alle parti processande, ben prima dell’inizio del processo di I grado ed in solido a tutti i chiamati in causa in improponibili connessioni nel reato, sia oggettive che soggettive. Chiamati a pagare erano anche a coloro a cui nulla era stato sequestrato e che poi, bontà loro, la loro posizione era stata stralciata. Questo custode ha pensato bene di chiedere ed ottenere, con l’avallo del Giudice dell’Udienza Preliminare di Taranto, ben 72.000,00 euro (settantaduemila) per l’attività, a suo dire, di custode/amministratore. Sostanzialmente il GUP, per pervenire artatamente all’applicazione delle tariffe professionali dei commercialisti, in modo da maggiorare il compenso del custode, ha ritenuto che la qualifica spettante al suo ausiliario non fosse di custode i beni sequestrati (art. 321 cpp, primo comma), ma quella di amministratore di beni sequestrati (art. 321 cpp, secondo comma, in relazione all’art. 12 sexies comma 4 bis del BL 306/1992 che applica gli artt. 2 quater e da 2 sezies a 2 duodecies L. 575/1965). Il presidente Antonio Morelli ha riconosciuto, invece, liquidandola in decreto, solo la somma di euro 30.000,00 (trentamila). A parte il fatto che non tutti possono permettersi di opporsi ad un decreto di liquidazione del GUP, è inconcepibile l’enorme differenza tra il liquidato dal GUP e quanto effettivamente riconosciuto dal Presidente del Tribunale di Taranto. Questa differenza fa sorgere qualche dubbio circa la bontà legale dei presupposti, a fondamento della richiesta, e la susseguente decisione di accoglimento della stessa. Va da sé che i giudicanti sono ingiudicati e poi si sa che su tutto si trova una giustificazione. E’ da scuola la lezione, però, data dal presidente del Tribunale, Antonio Morelli, al suo collega Giudice dell’Udienza Preliminare. Morelli ha spiegato che è sbagliato considerare il custode giudiziario tour cour come amministratore e per gli effetti liquidare un compenso maggiore. Per due ordini di motivi: il primo è che non è ancora intervenuto il DPR previsto dal DLgs 14/2010 (istituzione dell’albo degli amministratori giudiziari); il secondo è che l’attività ed i compiti del custode, che danno diritto all’indennità prevista dall’art. 58 del DPR 1157/2002, sono infatti quelli di custodire e conservare la cosa custodita. “Né la figura dell’amministratore giudiziario, inserita dal legislatore nell’ampio contesto normativo di contrasto alle associazioni mafiose ed alle forme di criminalità similari, ha soppiantato la figura del custode, ma soprattutto non ha abolito, pur nell’ambito della sua qualifica, le attività tipiche di quello e cioè la custodia e la conservazione del bene sequestrato. E’ sufficiente, oltre che alla logica ed ai principi generali, fare riferimento al comma 8 dell’art. 2 sexies della legge 575/1965 che attribuisce all’amministratore il compito di provvedere alla custodia, alla conservazione ed alla amministrazione dei beni sequestrati anche al fine di incrementare, se possibile, la redditività dei beni medesimi. Il senso del ragionamento - spiega Morelli - è che in concreto, tenuto conto della natura dei beni sequestrati, l’amministratore può svolgere attività tipiche del custode (custodire e conservare la cosa custodita), indipendentemente dal criterio nominalistico che lo definisce. Se si ragionasse diversamente si dovrebbe ritenere diverso dal custode colui che, nominato amministratore in procedimento per reati che prevedono tale figura, in concreto fosse chiamato a svolgere compiti di mera custodia o di conservazione del bene nel senso sopra definito. Nel caso di specie i beni “amministrati” erano semplici immobili ad uso abitativo e le attività svolte non possono che considerarsi appropriata alla figura del custode e più in particolare al suo compito di sovrintendere alla conservazione del bene. Le argomentazioni di cui sopra conducono ad una conclusione di notevole rilievo in ordine ai criteri per determinare il compenso in maniera proporzionata alla natura e alla consistenza dei beni e delle attività svolta dal custode/amministratore. È infatti noto che ai sensi degli artt. 58 e 59 del DPR 115/2002 le tariffe relative alle indennità di custodia sono devolute a un decreto ministeriale e in mancanza agli usi locali. È noto, altresì, che il decreto ministeriale 256/2006 unico a provvedere un tariffario, contempla soltanto alcuni beni (motocarri, autoveicoli, motoveicoli e natanti) e che per gli immobili di cui al sequestro in questione, non vi sono usi locali che determinano le indennità di custodia. Non può allora che farsi ricorso ad un criterio di liquidazione secondo equità che, a parere del giudicante, deve prescindere dalle tariffe stabilite dagli ordini professionali, in quanto tutta la normativa in tema di custodia, così come di perizia e di consulenza tecnica, si scosta notevolmente dalle tariffe professionali, stante la diversità ontologica tra i compensi per attività chieste liberamente da privati e i compensi per attività costituenti un incarico di carattere pubblicistico. Prova di tale conclusione sta proprio nella necessità che il legislatore ha sentito di devolvere ad un decreto, non ancora emesso, un tariffario che, se avesse voluto, avrebbe potuto identificare con quello della categoria professionale. Alla stregua di tale considerazione, considerato il tempo della custodia, nonché la diligenza e la puntualità con la quale la stessa è stata espletata, ma anche la natura e la consistenza del patrimonio amministrato e la relativa semplicità degli interventi gestionali spiegati, si stima equo determinare l’indennità in euro 30.000,00” e non 72.000,00!! Tutto ciò sta a dimostrare che spesso e volentieri vi è una certa complicità tra magistrati ed ausiliari a speculare sulle disgrazie di chi, poi spesso, è prosciolto dalle accuse. Caso limite e quello di Giuseppe Marabotto. Come racconta “La Stampa” ed altri organi d’informazione, Giuseppe Marabotto era scampato a un primo processo per un serio reato (aveva rivelato a un indagato che il suo telefono era sotto controllo). Chiacchierato da molti anni e divenuto procuratore di Pinerolo, ha costruito in una tranquilla periferia giudiziaria un regno personale e il malaffare perfetto per chi, come lui, si sentiva impunito stando dalla parte della legge: 11 milioni di euro sottratti allo Stato sotto forma di consulenze fiscali seriali ed inutili ai fini di azioni giudiziarie. Si sapeva dal 2005. Si sa anche che i commercialisti e consulenti della procura restituivano a un suo collettore il 30 per cento. «Ci sono spese da sostenere» veniva detto loro. In tre hanno confessato. Pesanti le accuse: corruzione, associazione per delinquere, truffa aggravata ai danni dello Stato. Per questo motivo anche a Taranto si augura lunga vita professionale al Presidente del Tribunale di Taranto, Antonio Morelli, anche perché il pensiero corre ai custodi giudiziari nominati per lo spegnimento degli impianti ILVA. Si pensi un po’, prendendo spunto da quanto suddetto ed adottando i criteri di liquidazione del GUP, quanto a questi sarà riconosciuto come compenso?»
PARLIAMO DI INTIMIDAZIONE. Per la serie: Giornalisti in galera, ma solo quelli che raccontano la verità e non sono accondiscendenti ai magistrati, specie ai PM. Si riporta la testimonianza di Umberto Brindani, direttore di “Oggi”. Il caso Sallusti, Salman Rushdie e una piccola storia che ci riguarda. Pochi giorni fa, potevo finire in galera anch’io. D’accordo, non è del tutto vero, ma mi sembra un buon incipit, forse sufficiente a convincervi a non girare immediatamente pagina. Da qualche settimana si ragiona del caso Sallusti (condannato a 14 mesi in via definitiva) e della questione dei giornalisti in carcere. So benissimo che alla maggior parte di voi, come dicono a Roma, non gliene potrebbe fregare di meno. E anzi, forse molti di coloro che non fanno parte della categoria, o della corporazione, qualche «pennivendolo» dietro le sbarre in fondo ce lo vedrebbero con gusto. Ma ne parlo perché la libertà di stampa, e cioè la libertà di esprimere il proprio pensiero, è il fondamento di ogni democrazia. E, se si manda in prigione una persona per aver scritto o detto qualcosa, è la democrazia stessa che comincia a incrinarsi, travolgendo poi, a poco a poco, la libertà di tutti. Per capirlo, basta leggere il nuovo, meraviglioso libro di Salman Rushdie (Joseph Anton, Mondadori, appena uscito). Joseph Anton è il nome falso che lo scrittore anglo-indiano dovette assumere per salvare la propria vita dalla fatwa dell’ayatollah Khomeini. Il libro racconta i suoi anni da «uomo invisibile», prigioniero in casa (in case sempre diverse), zittito,umiliato, minacciato, ricercato da squadre della morte. La sua colpa? Aver scritto I versetti satanici, un’opera sgradita agli islamici radicali. Rusdhie scrisse un libro, loro decisero di ucciderlo. in confronto a questa storia il caso Sallusti fa ridere. E il mio caso fa addirittura scompisciare. È successo che tempo fa abbiamo pubblicato un articolo su Claudio Scazzi (il fratello della povera Sarah, assassinata ad Avetrana) e una sua visita presso Lele Mora nell’ambito della quale i due avevano parlato anche della possibilità che il ragazzo facesse televisione. Scazzi si è sentito diffamato e ha querelato. Il pubblico ministero ha chiesto per me e il collega autore del pezzo una pena incredibile: due anni e sei mesi di galera! Per fortuna il giudice l’ha vista diversamente. Siamo stati assolti perché il fatto non sussiste (cioè abbiamo raccontato la verità) e comunque perché il fatto non costituisce reato (cioè, se anche avessimo inventato, non avremmo diffamato nessuno). Bene, per ora pericolo scampato. Qualcuno potrebbe trovare assurdo, o quanto meno esagerato, che venga chiesta ufficialmente una reclusione di due anni e mezzo per una vicenda così minuscola. Chissà che pena avremmo rischiato se avessimo scritto cose davvero pesanti, davvero diffamatorie. Eppure, il pm ha fatto il suo: ha chiesto una pena prevista dalla legge. già, la legge. Ecco il punto. Proprio per «salvare il soldato Sallusti» si discute di un decreto che elimini la galera per i giornalisti. Ma, sostiene tra gli altri l’avvocato Caterina Malavenda (co-autrice di un bel libro appena uscito: Le regole dei giornalisti, Il Mulino), se si moltiplicano le pene pecuniarie viene comunque messa in pericolo la libertà di stampa, perché non sempre giornalisti ed editori avranno i soldi per risarcire. E quindi i cronisti preferiranno auto-censurarsi. Insomma, la questione è aperta. Mi viene però un dubbio. Non sarà che alcuni vengono assolti e altri condannati solo perché i primi hanno semplicemente scritto la verità?
PARLIAMO DI TOGHE INFAMI E FALSE. Infamie e falsità. Se affidata a mani indegne la giustizia rischia di essere violenta, falsa e arrogante. Nella sentenza di Aldo Grassi e Antonio Bevere si legge che il direttore del Giornale avrebbe una "spiccata capacità a delinquere". La replica di Sallusti: "È una vera infamia, che non permetto neppure a un presidente di Cassazione, basata su odio ideologico e su una serie di menzogne". Così scrive Alessandro Sallusti su “Il Giornale”. C'è qualcosa che fa peggio dell'ipotesi di finire in carcere. È prendere atto di quanto violenta, falsa e arrogante possa essere la giustizia se affidata a mani indegne. È successo ieri, leggendo le motivazioni della sentenza, firmata da tale Aldo Grassi e tale Antonio Bevere (consigliere estensore), con cui la Cassazione mi condanna a 14 mesi di reclusione per un articolo neppure scritto da me. Si legge che io avrei una «spiccata capacità a delinquere», mi paragona a un delinquente abituale. È una vera infamia, che non permetto neppure a un presidente di Cassazione, basata su odio ideologico e su una serie di menzogne. Mi prendo tutta la responsabilità di quello che dico e sollevo il mio editore dal risponderne in tribunale. Ve lo dico io, in faccia, signori Grassi e Bevere: avete abusato del vostro potere, la vostra sentenza è un'infamia per me e per i miei parenti. Non si gioca con la vita delle persone come se fossero cose nella vostra disponibilità senza pagare dazio. Le motivazioni della vostra sentenza sono delinquenziali, non il mio lavoro. Sono parole basate su falsi, montate per costruire teoremi che esistono solo nella vostra testa. E ve lo spiego. È falso che io abbia scritto alcunché. È falso che io abbia deliberatamente pubblicato notizie sapendole false. È falso che io mi sia rifiutato di pubblicare una smentita, nessuno me l'ha mai chiesta né inviata. È falso che sul mio giornale dell'epoca, Libero, sia stata pubblicata una campagna contro un giudice (un articolo di cronaca ripreso da La Stampa e un commento non possono in alcun modo costituire una campagna). È falso che non fosse possibile identificare chi si celava dietro lo pseudonimo Dreyfus: bastava chiederlo, non a me che come direttore sono tenuto al segreto deontologico, ma a chiunque e avreste accertato che si trattava di Renato Farina (lui stesso lo ha scritto in un suo libro). È falso che io abbia un numero di condanne per omesso controllo (7 pecuniarie in 35 anni di mestiere) superiore alla media dei giornalisti e direttori di quotidiani italiani. Delinquente, quindi, lo dite a qualcun altro. Non vi stimo, non vi rispetto, non per la condanna, ma per quelle vostre parole indegne. Vergognatevi di quello che avete fatto. E forse non sono l'unico a pensarla così. Ci sarà un motivo se il Parlamento sta lavorando per cancellare la vostra infamia e se un vostro collega, il procuratore di Milano Bruti Liberati, si rifiuta di applicare la vostra sentenza del cavolo nonostante io mi sia consegnato alle patrie galere, in sfregio a voi, rinunciando a qualsiasi pena alternativa. E adesso fate pure quello che credete, rispetto a me e alla mia storia siete un nulla.
PARLIAMO DI SCIENZIATI CON LA TOGA. Una barbarie le toghe che fanno gli scienziati. "Grazie a magistrati senza responsabilità e irresponsabili stiamo diventando un Paese di barbari", scrive Franco Battaglia su “Il Giornale”. Grazie a magistrati senza responsabilità e irresponsabili stiamo diventando un Paese di barbari. Barbarie è stato l'arresto di un imprenditore di 86 anni accusato di aver ucciso adulti e bambini con le emissioni della sua acciaieria. Abbiamo già scritto che il rapporto epidemiologico di cui s'è servita la magistrata è scientificamente carente e redatto da signori che già in passato si erano distinti per puntare il dito contro l'inesistente inquinamento elettromagnetico. Questi signori, anziché essere oggetti di una indagine che valuti i presupposti del procurato allarme, sono i consulenti della nostra magistratura. I dati ci dicono che a Taranto non si muore né si contrae tumore più che altrove in Italia, eppure è da due giorni che tutte le agenzie di stampa strillano perché un rapporto, chiamato «shock», rivelerebbe che a Taranto si sarebbe riscontrato un «eccesso del 419% di mortalità maschile per mesiotelioma pleurico». Soltanto chi conosce solo la statistica di Trilussa si allarma. In tutta la Puglia, negli 8 anni 1993-2001, vi furono 197 maschi con mesiotelioma pleurico certo, di cui 13 nel 1993, 32 nel 1996, e 20 nel 2001. Diremmo che nel 1996, in Puglia, ve ne fu il 146% in più che nel 1993? Lo diremmo se fossimo Trilussa o abituati a procurare, impuniti, allarme, anziché riconoscere che sono numeri troppo piccoli per fare quella statistica. (Peraltro, i Trilussa avrebbero anche dovuto dire che nel 2001 ve ne furono il 38% in meno che nel 1996, ma questo non fa notizia). Dicono che il colpevole sarebbe il benzopirene misurato con concentrazioni di 1.8 nanogrammi per metro cubo, ma sembra che ignorino che chi fuma una sola sigaretta al giorno di benzopirene ne aspira 20 di nanogrammi. Ora, siccome ci sono gli elementi per rassicurare (cioè, a dispetto delle frottole di questi giorni, non è vero che a Taranto si muore o ci si ammala di più che altrove in Italia) è nostro dovere rassicurare. Rischiando così di essere sbattuti in galera da chi ha il potere - impunibile se sbaglia - di sbatterci in galera. E questa è barbarie. Come quella che ha fatto condannare a 6 anni di galera alcuni stimati uomini di scienza - uomini che dovremmo tenere in conto come nostro fiore all'occhiello - per omicidio colposo plurimo. Su questo dobbiamo però essere precisi, perché a ridere del fatto che siano stati condannati per non aver previsto il terremoto, non si rende giustizia della barbarie in atto. E, soprattutto, si giustificherebbe la barbarica condanna nel momento stesso in cui essa dovesse rivelare motivazioni diverse da quelle per le quali oggi si ride sgomenti. Non è per non aver previsto il terremoto che sono stati condannati, né di questo erano accusati, ma - hanno dichiarato i pubblici ministeri - «per una carente valutazione degli indicatori di rischio e una errata informazione». Insomma, i condannati sono colpevoli di avere rassicurato la gente. Siccome le dichiarazioni del professor De Bernardinis sono ascoltabili in rete, le riporto testuali: «Dobbiamo mantenere uno stato d'attenzione senza avere uno stato d'ansia, capendo che abbiamo da affrontare situazioni per le quali dobbiamo essere sì, pronti, ma anche sereni di poter vivere la nostra vita quotidiana». Per la magistratura italiana questo sarebbe omicidio colposo plurimo. De Bernardinis, invece, non ha fatto altro che il proprio dovere: rassicurare. Non per minimizzare il terremoto (che è stato sì devastante, ma solo col senno di poi) ma perché di fronte all'ignoranza (nessuno può prevedere né tempi né intensità dei sismi) il primo dovere è non creare i presupposti per un panico destinato ad avere, quello sì con certezza, conseguenze devastanti. Nel momento in cui scrivo un terremoto di magnitudo 3 è stato registrato sul Pollino: evacuerà la magistratura Castrovillari? La magistratura o, più precisamente, alcuni magistrati sono il nostro problema: ignoranti di statistica, di gestione dei rischi, di scienza, malati di protagonismo, imbevuti di preconcetti ideologici, sono liberi di muoversi senza freno e senza responsabilità. A cominciare dal fatto che possano far conoscere le motivazioni di una sentenza non contestualmente alla stessa, lasciando così il dubbio che possa essere aggiustata a seconda delle reazioni conseguenti. Una barbarie. Che non giova né al Paese né alla Magistratura stessa.
30 ottobre 2012. Venticinquesima udienza. Avrebbero dovuto parlare Sabrina Misseri e Cosima Serrano. Da imputate.
In tribunale a Taranto è il giorno delle due donne accusate dell'omicidio di Sarah Scazzi. In aula c'è la madre della ragazza, Concetta. Concetta Serrano, mamma di Sarah, all'ingresso in aula ha detto ai microfoni di Tgcom24 di "vivere con grande ansia questo processo", aggiungendo che "quello che dice Michele Misseri non viene più considerato". Misseri è solo imputato per concorso in soppressione di cadavere. La difesa della cugina di Sarah chiede di depositare i 'memoriali' di Michele, che si è avvalso della facoltà di non rispondere. La difesa di Sabrina ha chiesto un rinvio di 15 giorni perché la ragazza accusata dell'omicidio della cugina 15enne Sarah Scazzi vorrebbe rispondere in tribunale, ma non ha avuto modo di leggere tutti gli atti. Sabrina Misseri vorrebbe prepararsi al meglio per l'interrogatorio, per difendersi dalle accuse di concorso omicidio volontario, sequestro di persona e soppressione di cadavere, che la vedono imputata insieme alla madre Cosima Serrano. Il pm non si è opposto alla richiesta dei legali della giovane. Inoltre, in avvio di udienza, sono stati depositati quattro quaderni manoscritti di Michele Misseri forniti dalla figlia Valentina. La richiesta di un rinvio di 15-20 giorni è stata avanzata dall'avvocato Franco Coppi, difensore di Sabrina. Stessa richiesta è stata successivamente avanzata dal difensore di Cosima Serrano, Franco De Jaco. Sempre Coppi ha chiesto di depositare i 'memoriali' di Misseri che - ha spiegato il legale - sono stati consegnati a Valentina Misseri dal padre Michele perché venissero utilizzati per la difesa di sua figlia. Coppi ha spiegato che Sabrina intende rispondere alle domande della Corte, dell'accusa e della difesa, ma non ha avuto modo di avere a disposizione e leggere tutti gli atti del processo che la riguardano. Inoltre, ha aggiunto Coppi, Michele Misseri scrive alla figlia in carcere quasi una lettera alla settimana, ma dal carcere - secondo quanto riferito da Sabrina al legale - alla detenuta sarebbe impedito di portare le lettere in aula. "Siamo in una posizione singolare e drammatica" ha detto Coppi. Stesse motivazioni ha addotto la difesa di Cosima. La Procura non si è opposta alla richiesta di rinvio, chiedendo di valutare i tempi e gli atti ai quali si riferiscono le difese delle due imputate. La presidente della Corte, Cesarina Trunfio, ha proposto, trovando iniziale consenso tra le parti, di invertire il programma per le prossime udienze, cominciando ad ascoltare i testimoni della difesa. Ma quando anche la difesa di Cosima ha chiesto il rinvio dell'udienza, i pm si sono opposti all'esame anticipato dei testi della difesa. I pubblici ministeri non si sono opposti alla richiesta, motivata in funzione del diritto di difesa, chiedendo alla Corte solo di valutare l'entità del rinvio e la possibilità o meno di sospensione dei termini di custodia cautelare delle due donne. I pm tuttavia si sono opposti alla proposta di sentire le due imputate dopo l'audizione di alcuni testimoni della difesa. Michele Misseri, che in qualità di imputato per concorso in soppressione di cadavere nell'ambito del processo per l'omicidio della 15enne Sarah Scazzi si era avvalso della facoltà di non rispondere davanti alla Corte d'Assise, è stato chiamato a confermare in aula, su richiesta del pubblico ministero, di essere l'autore dei 4 manoscritti-memoriali depositati agli atti dalla difesa di Sabrina Misseri, sua figlia, imputata insieme alla madre Cosima Serrano per concorso in omicidio volontario, sequestro di persona e soppressione di cadavere. «Sì - ha spiegato - li ho scritti io questi diari - aggiungendo che - «contengono tutto quello che è successo in questa storia e quello che faccio ogni giorno. Li avevo dati a Valentina (l'altra figlia) per farne quello che voleva. Scrivo tuttora. Ho iniziato a scrivere quando sono uscito dal carcere». Ma, subito dopo, quando il pm Mariano Buccoliero gli ha fatto notare su alcune pagine sono riportate delle date riferite al periodo in cui era detenuto, Misseri ha ammesso che almeno un diario era stato iniziato quando era rinchiuso nel penitenziario. A proposito della richiesta dei legali, la presidente della Corte Rina Trunfio ha letto una nota della direzione del carcere che in mattinata ha spiegato come "alla data odierna risultavano in giacenza una lettera del 30 settembre 2012 della detenuta Misseri Sabrina (a lei scritta dal padre Michele) autorizzata con nulla osta del 5 ottobre 2012 da codesta Corte ma non ritirata dal difensore, nonché il fascicolo processuale depositato dall'avvocato difensore Nicola Marseglia il 20 ottobre 2012 per il quale è pervenuto il nulla osta di codesta Corte e di essere in attesa del nulla osta della procura della Repubblica. Per Cosima presso questa direzione risultano giacenti lettere autorizzate ma non ritirate dai difensori di fiducia. L'eventuale consultazione degli atti processuali ovvero la corrispondenza epistolare in udienza necessita della richiesta da parte delle detenute che, per quanto riguarda quelle in oggetto, non hanno mai presentato richiesta. Questa documentazione è ora a disposizione delle parti". Il processo riprenderà il 6 novembre, essendo stata annullata l'udienza del 5 poiché le parti civili hanno rinunciato all'ascolto dei loro testimoni. La prossima udienza è prevista il 6 novembre, quando verranno sentiti i testimoni citati dalle difese.
6 novembre 2012. Ventiseiesima udienza. Parla Stefania Zizza, Antonio Panzuto.
Intanto l’avv. Franco Coppi e gli avvocati Walter Biscotti e Nicodemo Gentile sono tutti reduci da sonore sconfitte, in quanto il primo è difensore dell’imputato condannato Giulio Selvaggi, uno dei componenti, come direttore del Centro nazionale Terremoti, della Commissione grandi rischi, sotto processo all'Aquila. Infatti il giudice unico Marco Billi dell'Aquila ha emesso la sentenza di condanna, per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose, a sei anni per tutti e sette i componenti della Commissione Grandi Rischi tra cui Selvaggi. I secondi, difensori del condannato all’ergastolo, Salvatore Parolisi, per l’uccisione della moglie Melania Rea. Oggi, intanto, sono stati ascoltati alcuni testimoni convocati dalla difesa. “Non potevo aver visto Cosima Serrano sequestrare Sarah Scazzi e farla salire in macchina perché ero ad un matrimonio”. Giovanni Buccoliero, fioraio di Avetrana, ha ritrattato così una sua iniziale testimonianza resa agli inquirenti. L’uomo aveva raccontato di aver visto con i suoi occhi Sarah salire a forza nella macchina della zia Cosima il 26 agosto 2010. Salvo poi ritrattare tutto: era un sogno, si era difeso, quel giorno non potevo aver assistito a quella scena perché ero a un matrimonio in qualità di fioraio alla masseria La Grottella di Avetrana. È stato smentito da una testimone, Stefania Zizza, responsabile di sala di una struttura ricettiva, il fioraio di Avetrana che ritrattò una sua deposizione contro Cosima Serrano asserendo di aver solo sognato quanto in un primo momento aveva dichiarato di aver visto: il sequestro di Sarah Scazzi nella vettura di Cosima. Zizza e un altro teste sono stati i soli protagonisti dell'udienza odierna. Altri citati dal collegio difensivo non si sono presentati (e per uno di loro è scattata un'ammenda di 400 euro), mentre alcuni saranno nuovamente citati a testimoniare. La teste Zizza ha detto che il 26 agosto 2010, giorno dell'uccisione di Sarah Scazzi, alla masseria "La Grottella" di Avetrana (Taranto) nella quale si festeggiava un matrimonio, degli addobbi floreali della sala si occupò un fioraio di Erchie (Brindisi), non il fioraio di Avetrana Giovanni Buccolieri. La teste ha detto anche di non conoscere Buccolieri. Quest'ultimo, che è indagato in processo connesso per false dichiarazioni al pm, quando disse agli inquirenti che aveva solo sognato il sequestro di Sarah, raccontò che quel giorno doveva consegnare dei fiori per un matrimonio alla masseria "La Grottella". La testimone era stata citata dalla difesa di Giuseppe Nigro, titolare e gestore della masseria, il quale - sentito in una precedente udienza - aveva dichiarato che quel giorno Buccolieri non fece alcuna consegna di fiori. Anche Antonio Panzuto, padre del giovane che festeggiò quel giorno il matrimonio alla "Grottella", ascoltato in aula dopo Zizza, ha confermato che Buccolieri non ricevette alcun incarico per il matrimonio né fu visto quel giorno alla masseria.
A proposito di persone scomparse e della straordinaria, inusuale ed ingiustificata mobilitazione per cercare Sarah c’è da rilevare che in Italia scompaiono 28 persone al giorno. Fenomeno in crescita. Ma arriva una nuova legge: ricerche immediate e supporto dei media, scrive Nino Materi su “Il Giornale”. Una media da desaparecidos; eppure non siamo nell'Argentina del dittatore Videla: nel nostro paese non ci sono vuelos de la muerte né Ford Falcon verdi senza targa. Eppure, quotidianamente, allo scoccare della 24esima ora, all'appello mancano sempre 28 persone. Ventotto persone sempre diverse che, senza interruzione, sprofondano nel gorgo dell'imponderabile. Una nebbia li avvolge, e poi nulla più. Di loro si «perdono le tracce», come scrivono polizia e carabinieri nei loro verbali. Scomparsi. Missing. Ci piace pensare che qualcuno tra loro sia un po' come il protagonista del film Into the wilde, il giovane che abbandona la «civiltà» per il fascino primordiale delle Terre Selvagge. Scelta coraggiosa. Tanto di cappello. Ma quella era fiction cinematografica (sebbene ispirata - pare - a una storia reale). Fatto che, nel concreto, dall'anno scorso in Italia gli «spariti» risultano aumentati del 10%. È il dato più rilevanti della relazione semestrale sulle persone scomparse, presentata al Viminale dal commissario straordinario, Michele Penta. Dal 1974 ad oggi, data di istituzione della banca dati interforze, sono complessivamente 25.453 le persone scomparse e di cui non si hanno più notizie. Di questi, 9.396 sono italiani, 16.057 stranieri; 14.855 sono invece i maggiorenni e 10.598 i minorenni. Rispetto al 31 dicembre 2011, sono 541 in più gli uomini, le donne e i minorenni che non sono stati ancora rintracciati. A questi si devono aggiungere i 135 italiani scomparsi all'estero, di cui 115 maggiorenni e 20 minorenni. Ma è proprio di ieri un'importante novità legislativa. La commissione Affari costituzionali del Senato ha infatti approvato la cosiddetta «legge sulle persone scomparse». Via libera ad un provvedimento che aiuterà «i familiari che finora non potevano avvalersi di alcuno strumento legislativo per ritrovare i propri cari», spiega Roberto Di Giovan Paolo del Pd, primo firmatario del ddl. Tra i punti significativi l'introduzione dell'obbligo di immediato avvio delle indagini, il consolidamento del ruolo dell'Ufficio del Commissario per le persone scomparse e il coinvolgimento delle associazioni dei parenti degli scomparsi e dei media. Intanto il monitoraggio dei dati, spiegano dal Viminale, evidenzia, ancora una volta, il progressivo aumento del numero degli scomparsi. Ed infatti, dalle 105.092 denunce presentate al 30 giugno del 2011 si è passati alle 115.366 del 30 giugno 2012. Si tratta di 10.274 denunce in più che rappresentano, appunto, un aumento percentuale su base annua del 9,78%; l'aumento è invece del 4,78% negli ultimi sei mesi. «Il fenomeno - ha confermato Penta - è ben lungi dall'essere in fase regressiva anche se fortunatamente la percentuale delle denunce di scomparsi e inferiore al numero delle persone che ogni anno vengono ritrovate». Anche il numero dei minori scomparsi è in aumento: si è infatti passati dai 10.319 segnalati al 31 dicembre dell'anno scorso ai 10.598 di quest'anno: la maggior parte di quelli italiani sono scomparsi in Campania (339), mentre quelli stranieri nel Lazio (1.964). Verranno mai ritrovati?
Ecco perché non si capisce come mai nessuno ha posto queste domande ai giornalisti intervenuti nei primi momenti della scomparsa di Sarah. Chiamati a testimoniare, i giornalisti, sarebbero obbligati a rispondere a questo quesito: perché questo impari trattamento tra persone scomparse e chi ha dato il via all’ambaradan mediatico con risvolti salottieri e gossippari e morbosi?
Scrive un libro su Yara e Sarah e finisce in caserma. "Yara e Sarah, due vite rubate". Non è ancora il titolo di un libro. E forse non lo sarà mai. Ma potrebbe anche diventarlo presto… Per il momento, è solo un manoscritto, come si dice in questi casi, inviato dal suo autore agli editori Rizzoli, Mondadori, Bompiani e Sellerio. Un manoscritto, però, che pur essendo ancora tale, sta già ricevendo una certa “notorietà”; il tutto, perché il suo autore, Alessandro Castellani, un giovane scrittore che di mestiere fa l’infermiere, si è ritrovato vittima di una terribile coincidenza, una vicenda che sta balzando agli onori della cronaca. Il caso nasce a causa di una convocazione che l’infermiere di Castiglion Fiorentino ha ricevuto da parte delle forze dell’ordine. I carabinieri, infatti, lo hanno convocato perché nel manoscritto sono presenti particolari che i media non hanno diffuso. Il libro, ovviamente, parla di Sarah Scazzi e Yara Gambirasio, protagoniste dei tragici fatti di cronaca che da qualche tempo sono presenti in numerose trasmissioni televisive. Nel libro, Yara e Sarah, due vite rubate (questo è il titolo del manoscritto) Castellani ha immaginato le vite delle due ragazze da adulte. Racconta come sarebbe stata la loro esistenza se non fosse stata “interrotta”. Come già accennato, il problema è nato perché all’interno del manoscritto i carabinieri hanno rinvenuto dei particolari sconosciuti. Ovvero che la studentessa di Brembate, Yara, aveva una passione per i Modà e che voleva iscriversi al liceo Scientifico. Ecco perché è scattato l’interrogatorio. “Lei sa particolari che tv e giornali non hanno mai diffuso”, gli hanno detto i militari. Il sito Arezzo Notizie, ha intervistato Castellani. Alla domanda: “Quando è stato interrogato? E che cosa le hanno contestato, esattamente?”, il giovane infermiere-scrittore ha risposto: “Sono stato convocato nella caserma di Castiglion Fiorentino lo scorso 14 settembre, alla presenza del comandante della compagnia di Cortona. I Carabinieri mi hanno rivolto diverse domande. In quella circostanza i militari sono stati molto gentili, mi hanno spiegato che quella convocazione era necessaria, voluta degli inquirenti del caso Yara. Nel libro racconto la storia di Yara fino ai 30 anni. Racconto che riuscirà a coronare il suo sogno, quello di diventare una ginnasta professionista. Tra i tanti dettagli sulla sua esistenza ne aggiungo tre: la passione per la band dei Modà, che tra l’altro piace anche a me, l’iscrizione al liceo scientifico dopo le scuole medie e l’abilità in cucina di una nonna. Tutti frutto della mia fantasia che, coincidenza, avevano riscontri con la realtà. Yara amava i Modà, aveva intenzione di iscriversi allo scientifico e aveva una nonna brava tra i fornelli. Un caso“.
A proposito di libri tra i tanti scritti sulla vicenda.
Cosima Serrano, moglie di Michele Misseri, ha depositato ai carabinieri della stazione di Avetrana una querela per diffamazione nei confronti della giornalista Mariella Boerci e della società editrice “Anordest”, che ha pubblicato il libro della Boerci “La bambina di Avetrana” inerente all'inchiesta sull'omicidio di Sarah Scazzi. Lo ha riferito il legale di Cosima Serrano, l'avv. Franco Se Jaco. Nella querela Cosima Serrano chiede anche il sequestro del libro su tutto il territorio nazionale. Secondo la donna, il libro conterrebbe valutazioni diffamatorie sulla famiglia Serrano e anche alcuni dialoghi frutto di invenzione. Il testo, supportato dall’associazione Telefono Rosa, è stato l’incipit per dare il via ad un progetto di borsa di studio istituita per studenti tra i 13 e i 19 anni, i quali potranno partecipare al concorso presentando un breve racconto sul tema della violenza con particolare attenzione alla violenza sulle donne. La discutibile iniziativa, dopo l’ormai noto calendario utilizzato per la raccolta fondi destinati all’associazione “Sarah per Sempre”, mira a pubblicare attraverso l’Anordest tutti i racconti raccolti annualmente devolvendo i profitti al Telefono Rosa. Il corpus del progetto è stato presentato nel corso del Festival della cultura di Galatina favorendo un incontro anche con alcuni protagonisti della vicenda, quasi fossero attori del nuovo film approdato nelle sale cinematografiche: l’ex avvocato di Michele Misseri Daniele Galoppa, l’autrice del libro e il direttore editoriale Marco Tricarico. L’avvocato di Cosima Misseri ha declinato l’invito all’ultimo momento per i successivi sviluppi della vicenda. E sempre in provincia di Lecce, in occasione della rassegna culturale "Miggianosilibra" del Comune di Miggiano, Roberta Bruzzone ha presentato il suo libro e ha parlato sugli ultimi sviluppi del delitto di Avetrana. All'evento partecipano anche l'avv. Luigi Rella, presidente Ordine degli Avvocati di Lecce e difensore di Cosima Serrano; l'avv. Daniele Galoppa, già difensore di Michele Misseri. Modererà Carlo Bollino, direttore de La Gazzetta del Mezzogiorno. Saranno presenti noti esponenti delle Istituzioni locali e l’evento è accreditato dall’Ordine degli Avvocati di Lecce quale “Evento formativo”. Ed ancora. Su Sarah Scazzi un altro libro si aggiunge a quello scritto dal fratello Claudio,"Un futuro spezzato da chi ha ucciso Sarah, per futili motivi di gelosia", promosso sulla tv di Stato al programma “La Vita in diretta” e sulle tv commerciali. Ossia in tutte le trasmissioni che da anni speculano sulla disgrazia che ha colpito la famiglia Scazzi e la comunità di Avetrana. Sempre con la litania secondo la quale il ricavato delle vendite sarà impiegato per la costruzione del canile dedicato a Sarah. All'edizione serale di "Studio Aperto", è stato dedicato un servizio in memoria di Sarah Scazzi e alla presentazione di un libro che il fratello Claudio le ha dedicato. Centoventidue pagine nelle quali sono stati raccolti i pensieri, le confidenze e i progetti che Sarah aveva espresso per il suo futuro, parlando con il fratello. Si diceva a quel libro di Claudio si aggiunge quello di Michele Misseri e il suo libro su Sarah Scazzi. Si chiamerà "Il diario della tristezza", scrive Floriana Rullo su “Giornalettismo”. Intanto sotto esame finiscono i suoi quattro diari. Quattro diari. La verità di Michele Misseri sulla morte della nipote Sarah sarebbe tutta contenuta lì. Poche pagine che di fatto secondo lo zio di Avetrana scagionerebbero la figlia Sabrina e di fatto proverebbero la sua di colpevolezza. Quaderni scritti durante la detenzione del contadino in carcere e consegnati poi alla figlia maggiore Valentina e che ora, depositati dalla difesa di Sabrina, imputata insieme alla madre Cosima per concorso in omicidio volontario, sequestro di persona e soppressione di cadavere, sono in mano dei giudici della Corte di Assise di Taranto insieme agli interrogatori fatti all’agricoltore. Ma che zio Michele fosse un piccolo amanuense era di fatto già noto. Lettere, in un italiano sgrammaticato, dal carcere e da fuori, indirizzate sia alla moglie che alla figlia ne aveva scritte a decine. E poco importava se le due donne le leggessero o no. Scritti dove ora, dopo aver ritrattato le due versioni della verità sull’omicidio, la prima in cui raccontava che Sabrina aveva agito con lui seguita dalla seconda che accusava solamente la figlia, si carica totalmente di tutte le colpe per l’omicidio della nipote 15enne chiedendo scusa alle due donne perché da innocenti stanno pagando per lui. Già perché loro sono in carcere ma non hanno ucciso Sarah, invece lui, che l’avrebbe invece ammazzata, è in libertà. Corroso dal senso di colpa. Così, dopo che ieri in qualità di imputato per concorso in soppressione di cadavere nell’ambito del processo per l’omicidio Scazzi si era avvalso della facoltà di non rispondere davanti alla Corte d’Assise, oggi è stato chiamato a confermare in aula, su richiesta del pubblico ministero, di essere l’autore dei 4 manoscritti-memoriali. “Sì, i diari li ho scritti io. Contengono tutto quello che è successo in questa storia e quello che faccio ogni giorno. Li avevo dati a Valentina per farne quello che voleva”. Ergo, dovevano servire alla difesa di Sabrina per scagionarla. Ma zio Michele non si ferma qui. “Scrivo tuttora. Ho iniziato a scrivere quando sono uscito dal carcere” afferma. Un’altra mezza verità però per il contadino di Avetrana. A smascherarla il pm Mariano Buccoliero che gli ha fatto notare che su alcune pagine sono riportate delle date riferite al periodo in cui era detenuto e che quindi i quaderni li aveva iniziati a scrivere molto tempo prima. Un’altra bugia per Misseri che colto in fallo ha ammesso che almeno un diario lo aveva cominciato quando era rinchiuso nel penitenziario. Povero zio Michele, nessuno ormai crede più alle sue parole. Tanto che a non ascoltarlo non sono solo i giudici di Taranto ma anche la mamma di Sarah, Concetta Serrano, che ha affermato di non starlo neanche più a sentire. E così Misseri per provare a farsi ancora ascoltare scrive, e non solo lettere e diari. Tanto che nonostante il suo italiano poco corretto, ha deciso di scrivere un libro sull’omicidio della nipote. Del resto lo fanno tutti, non si capisce perché lui non debba cimentarcisi. La notizia era contenuta in una delle sette lettere scritte alla figlia che fanno parte del fascicolo consegnato l’anno scorso e già in mano ai Pm. E il libro, cui ricavati secondo lui dovevano andare in beneficienza, si sarebbe dovuto chiamare “il diario della tristezza”. Un titolo azzeccato, forse l’unica cosa, per questa triste vicenda dai contorni sempre più oscuri. E intanto a Taranto oggi è stato rinviato, dopo la richiesta del legale di Sabrina, Franco Coppi, fino al 20 novembre il processo per l’omicidio di Sarah. Stessa cosa chiesta anche dal difensore di Cosima Serrano, Franco De Jaco. Il motivo è semplice: Sabrina e Cosima vogliono rispondere alle domande della Corte, dell’accusa e della difesa, ma non hanno avuto modo di avere a disposizione e leggere tutti gli atti del processo. Senza contare che papà Michele scrive una lettera alla settimana alla figlia in carcere, ma alla detenuta sarebbe impedito di portarle in aula. Una posizione singolare e drammatica, a dire dei difensori delle donne. Per questo Sabrina Misseri e Cosima Serrano saranno ascoltate il 20 novembre. Il processo invece riprenderà il 6, essendo stata annullata l’udienza del 5 poiché le parti civili hanno rinunciato all’ascolto dei loro testimoni. Sempre che zio Michele non regali prima qualche altro colpo di scena televisivo. Ma quello che più colpisce, a parte il sapere che il caso di Avetrana continua ad essere un caso mediatico che si sciorina più in tv che nei tribunali a colpi di scoop, dichiarazioni, interviste e plastici, è che il contadino "ignorante", che il primo giorno dopo la scomparsa della piccola Sarah, vestito malamente, con un cappello in testa improbabile e con le mani sporche di terra, si era consegnato in pasto ai giornalisti raccontando una delle tante verità che in questi due anni ha rivelato, non esiste più. Si è, almeno all'apparenza, emancipato. Così in aula si presenta con un nuovo look, vestito di tutto punto con una camicia bordeaux senza cravatta, una giacca a quadrettoni e gli occhialini da intellettuale. Come a dire, il vecchio Michele non c'è più. All'apparenza almeno. Quella che si vede è una persona diversa, seria, composta. Quasi aggraziato. Un Misseri che ascolta in silenzio, dritto sulla sedia, tutta l'udienza e poi con calma si va ad accomodare al banco degli imputati. Quasi con un'eleganza irriconoscibile. Salvo poi a sentirlo parlare. Lì il vecchio Michele torna a farsi sentire come non mai. E anche il suo vizietto di raccontare alle televisioni le sue verità e non ai giudici. Insomma lo zio più conosciuto d'Italia, e non per aver ricevuto il premio "parente migliore dell'anno" visto che è accusato dell'occultamento del cadavere della nipote Sarah e continua a dichiararsi colpevole anche della sua morte, è sempre più un caso mediatico. Forse attorno a lui un po' di silenzio non basterebbe allora. E non solo in aula, luogo forse dove invece sarebbe ora di parlare e di raccontare la verità, quella vera questa volta che solo lui sa quale sia davvero.
Libri e scrittori. Intanto sono stati assolti i giornalisti di «Oggi». Li denunciò il fratello di Sarah Scazzi, scrive “Eco di Bergamo”. Per un'intervista uscita sul settimanale «Oggi» nel novembre 2010, Claudio Scazzi, il fratello di Sarah, la ragazza uccisa ad Avetrana, aveva querelato per diffamazione il giornalista Giuseppe Fumagalli e il direttore della testata Umberto Brindani. Che sono stati però assolti. Il titolo dell'articolo diceva: «Anche il fratello di Sarah bussa alla corte di Mora» con sottotitolo: «Claudio Scazzi incontra Lele e dice: La tv? Per lui non sono adatto. Però mi aiuterà per il canile dedicato a mia sorella». Claudio Scazzi aveva deciso di querelare il settimanale perché secondo lui quell'intervista non l'avrebbe proprio rilasciata e perché nell'articolo c'erano contenuti diffamatori. Lo si sarebbe presentato, infatti, come persona «a caccia di soldi e fama». Per la difesa invece l'intervista era stata regolarmente raccolta e non c'era nessuna intenzione di diffamare. Il giudice monocratico del tribunale di Bergamo (competente per territorio in quanto il settimanale è stampato nella nostra provincia) ha però assolto ambedue gli imputati perché il «fatto non sussiste o comunque non costituisce reato». Ed a proposito di comparsate in tv nella settimana si può contare sull’intervista esclusiva a Giacomo Scazzi, il padre di Sarah che parla per la prima volta in tv con Barbara D’Urso su Domenica Cinque del 4 novembre, mentre Claudio Scazzi appare su Quarto Grado del 2 novembre ed alcuni giorni prima su la vita in diretta con Mara Venier. Gli Scazzi, come sempre, alzano sempre gli ascolti in tv, con un pubblico di gente guardona che non ha altro da preoccuparsi, nonostante l’Italia allo sfascio. Giacomo Scazzi, padre della piccola Sarah che, ospite per la prima volta in uno studio televisivo, in diretta durante la trasmissione di Canale5 condotta da Barbara D'Urso, parla dell’omicidio della figlia. «Michele l'ha buttata ma non l'ha ammazzata» afferma il sig. Scazzi durante l’intervista ai microfoni di Domenica Live. «Non è stato lui (Michele Misseri) perché secondo me non ne è capace. Io penso siano state le due donne». Giacomo Scazzi, con l’aiuto della conduttrice, parla a cuore aperto e ripercorre quei brutti momenti raccontando la sua vita. La lunga trasferta, per lavoro, a Milano, il ritorno della moglie e della figlia ad Avetrana per assistere la madre ammalata ed il padre rimasto solo. Il lavoro da muratore. I giorni a casa, in quella che doveva essere una vacanza, ma che è diventato un vero e proprio incubo per la scomparsa della figlia, le ricerche ed il ritorno a Milano perché, nonostante tutto, il lavoro non poteva attendere. La D’Urso chiede delle foto di una ragazza trovate sul cellulare e con la stessa calma il signor Scazzi spiega, per l’ennesima volta, che erano foto che non sapeva cancellare ma che non aveva scattato lui in quanto erano rimaste in quel telefono comperato al mercatino dell’usato. I sospetti e le indagini su di lui sembrano il male minore soprattutto quando la conduttrice, a cuore aperto, dice ai telespettatori che nonostante la faccia burbera ha davanti un uomo molto dolce, un uomo che arriva a ribadire di andare sicuramente in aula, per l’udienza, il 20 novembre prossimo perché vuole conoscere la verità. Quando la conduttrice inizia a parlare del processo, l'uomo cambia in volto e si dice convinto che «non parleranno mai. Se non lo hanno fatto finora non lo faranno certo al processo. Voglio solo dire loro “Se avete sbagliato, ditelo e basta”».
E non è tutto sul circo mediatico su cui tutti hanno speculato. Dalle carte processuali, intanto, secondo il ben informato (da chi?) Nazareno Dinoi su “Il Corriere della Sera”, emergono fatti che mettono in luce uno spaccato che non dà lustro ad alcuni protagonisti del giallo. Si parla di un mercato di foto e interviste che vede coinvolto anche Fabrizio Corona. «Qualsiasi apparizione sui giornali ed in televisione dovrai dire: "parlate con Fabrizio Corona",... incominciamo da questi otto, poi te ne faccio guadagnare degli altri, almeno venti, venticinquemila euro l’anno». Così l'agente di fotografi ha tirato nella sua rete Ivano Russo, le cui attenzioni nei confronti di Sarah Scazzi sarebbero state causa di litigi tra la quindicenne assassinata e sua cugina Sabrina Misseri accusata del delitto. L’«adescamento» di Ivano da parte dell’ex compagno di Belen, è contenuta nelle oltre cinquemila pagine di intercettazioni telefoniche. «Adesso che non sei ricco, ottomila euro ti fanno comodo, no?», chiede Corona. Il profumo dei soldi non lascia indifferente Ivano protagonista, nelle telefonate successive, di un’estenuante trattativa per la vendita di un servizio fotografico con intervista a lui e alla sua fidanzata Virginia. Anche i contenuti dell’intervista facevano parte degli accordi: «Solo un ricordo su Sarah - spiega Corona nella telefonata intercettata del 14 aprile del 2011 -, dirai che era una ragazza dolce, una ragazza bella, che Sarah era una ragazza meravigliosa e sensibile». Dalle carte si scopre che i due inviati di Corona, una giornalista e un fotografo, tornarono a mani vuote a Milano perché Ivano non si sentiva "tutelato". «Gli accordi non erano questi», spiegherà il giorno dopo all’ex fotografo che lo richiama infuriato chiedendogli le spese sostenute dai suoi collaboratori. A recuperare i rapporti tra i due fu il fratello di Corona, Federico, che in un’altra conversazione intercettata raggiunse nuovi accordi. Ma Ivano precisa: «Ci deve essere un'offerta sia per me che per la mia ragazza, cioè non è che io metto sul giornale la mia ragazza così… Era quello il prezzo, la mia ragazza ha detto: "no, no, per così poco io non ... non posso mettermi su tutti i giornali"». (Ivano vuole diecimila euro da dividere con la sua compagna). Il fratello di Corona fa la sua offerta di 1500 euro: «Diviso due sono settecentocinquanta euro per un'intervista che dura venti minuti, cioè, voglio dire non mi sembra pochissimo, cioè non lo so poi che richieste abbia la tua ragazza, sono tanti soldi che la gente guadagna in un mese quasi». Erano in tanti, in quel periodo, ad alimentare il commercio di foto e di comparse televisive con Ivano Russo. Sempre le intercettazioni sono un puntuale resoconto di richieste e offerte in tal senso. Il 9 aprile 2011, ad esempio, un operatore Rai invita il giovane in trasmissione: «Non lo so - dice -, se lei vuole qualcosa noi siamo anche disposti a dargliela, eh, non lo so». Così per la trasmissione di Quarto Grado. «La cifra dovrebbe aggirarsi intorno ai cinquecento euro», spiega la segretaria della produzione Mediaset che riceve le perplessità di Ivano: «Doveva essere di più, cioè io ho parlato con Enzo tempo fa, disse che era di più». Enzo era evidentemente il consigliere di Ivano. Nella trattativa con "Pomeriggio sul due" è ancora Enzo che gioca al rialzo. «Mi ha chiamato quello della redazione, mi ha detto: "per la diretta cinquecento», lo informa Ivano. Ed Enzo: «No, no, che c.. stai dicendo? ... di più ... no, no, che c..., com'è? Alza, alza».
Ed a proposito di Ivano. Intercettato: "Dì che quel giorno dormivo". A distanza di due anni dal delitto spuntano nuove intercettazioni. Ecco alcuni stralci trasmessi da “Studio Aperto” del 6 novembre 2012. Ivano Russo parla con sua madre Elena mentre in auto si stanno dirigendo alla caserma dei carabinieri per essere ascoltati. Sono i giorni immediatamente successivi alla scomparsa di Sarah.
Elena: «Io comunque credo che non sia morta.»
Ivano: «Io spero che la trovino viva così finisce tutto. Hanno scritto cose assurde… Sabrina si arrabbiava con lei (Sarah) perché si avvicinava a me. Ma la ragazza non si avvicinava a me.»
Elena: «No io invece ho detto: “Mio figlio non è mai uscito solo con la ragazzina”.»
Gli investigatori vogliono sapere quali fossero realmente i rapporti tra il giovane e la piccola Sarah e soprattutto vogliono ricostruire la giornata di Ivano nelle ore della scomparsa ma lui imbocca la madre su cosa dire agli inquirenti.
Ivano: «Senti se ti chiedono qualcosa dici: “Mio figlio stava dormendo”. “E’ sicura?”. “Si, sono sicura anche perché c’era anche mio figlio, mia cognata che stavano sopra… Arrivarono tardi quel giorno perché c’era la partita del Napoli….”»
Elena: «No, non è che erano arrivati in ritardo…»
Ivano: «Arrivarono in ritardo, arrivarono all’una e io e mio figlio già avevamo mangiato e lui è andato subito (…) per andare a dormire. E quindi lui neanche li ha visti.»
Elena: «No, tu li hai visti. Hai pure riso!»
“Un mercato sotterraneo e inquietante di foto, video, documenti e persino interviste a pagamento”. È quanto denuncia l’ordine dei giornalisti della Puglia che ha annunciato per il 3 novembre una riunione straordinaria per affrontare “quanto sta avvenendo nel mondo dell’informazione attorno alla vicenda dell’omicidio di Sarah Scazzi e valutare se vi siano state violazioni disciplinari”. Un intervento che nel mondo dell’informazione pugliese e nazionale, cerca di riportare il lavoro delle centinaia di cronisti che si sono occupati dell’omicidio di Avetrana nell’alveo della deontologia professionale. “A fianco alla cronaca che quotidianamente decine di colleghi hanno fatto con correttezza e impegno – scrive Paola Laforgia, presidente dell’Ordine Pugliese - si è sviluppata e ha preso sempre più piede una informazione che è stata alimentata e ha alimentato a sua volta forme di curiosità morbosa con la pubblicazione di notizie, interviste e atti d’inchiesta anche segreti che hanno sforato il perimetro del corretto esercizio del diritto-dovere di cronaca”. Del resto giorni e giorni di dirette da Avetrana, migliaia di servizi giornalistici su ogni aspetto della vita privata di Sarah e della sua famiglia rischiano di far perdere la bussola anche ai più esperti cronisti. Da qui, l’intervento dell’Ordine. “ Il Consiglio regionale valuterà eventuali azioni disciplinari – conclude Laforgia - ma soprattutto intende richiamare tutti i colleghi a riprendere in mano il destino della nostra professione e autoimporsi una frenata su una strada scivolosa che rischia di attenuare sempre più, fino a cancellarlo, il senso del rispetto per le persone, per il dolore, per la vita, per la morte, e infine anche per la dignità e la credibilità della nostra professione”.
20/26/27 novembre 2012. Ventisettesima, ventottesima, ventinovesima udienza. Parla Sabrina Misseri.
«Sabrina dirà la sua verità, ma come faccio a crederle? Ci sono tanti indizi»: sono le poche parole pronunciate da Concetta Serrano, madre di Sarah Scazzi, poco prima di entrare in aula oggi per assistere al processo per l'omicidio della figlia Sarah Scazzi. Concetta Serrano è stata intervistata nel corso della trasmissione “La vita in diretta” della Rai. In apertura d'udienza del 20 novembre al processo dinanzi alla Corte di assise di Taranto per l'omicidio di Sarah Scazzi, la difesa di Sabrina Misseri ha prodotto 49 lettere scritte da Michele Misseri alla figlia Sabrina e un ulteriore memoriale dello stesso agricoltore. Nelle lettere e nel memoriale Michele Misseri si assume la responsabilità del delitto. Già in una precedente udienza la difesa di Sabrina aveva consegnato alla Corte quattro diari, con lo stesso contenuto, scritti da Michele Misseri. Poi l'avvocato Franco Coppi, uno dei difensori di Sabrina, ha eccepito dinanzi alla Corte di Assise di Taranto la inutilizzabilità del verbale della deposizione, in qualità di persona informata dei fatti, resa da Sabrina ai pm il 30 settembre 2010. Secondo Coppi, i pm sin dall'inizio avrebbero mostrato l'atteggiamento di chi non crede comunque a quello che sta per dire il testimone, facendo intendere al teste che rischia di essere incriminata per falsa testimonianza. Per il difensore di Sabrina, anche dall'interrogatorio successivo del 15 ottobre 2010, giorno in cui Sabrina venne fermata, i pm erano già convinti che la ragazza fosse coinvolta nell'omicidio. In base all'art.63 del Codice di procedura penale, ha sostenuto Coppi, se i pm avevano elementi perchè Sabrina dovesse passare da teste a indagata, l'esame doveva essere sospeso chiamando un legale a difesa della stessa persona, cosa che il 30 settembre non avvenne. "Se la persona doveva essere sentita sin dall'inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini - recita il secondo comma dell'art. 63 Cpp - le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate". La Corte di Assise ha rigettato l'eccezione della difesa. La Procura aveva chiesto il rigetto dell'eccezione, sostenendo che la Cassazione ha già chiarito la circostanza: si parlava all'epoca di indizi e a carico di Sabrina il 30 settembre 2010 non era emerso nulla, né la norma impone di interrompere immediatamente l'esame del teste. Inoltre, secondo i pm, l'art.63 non prevede «sic et simpliciter» l'inutilizzabilità del verbale, perchè quelle dichiarazioni possono essere usate nei confronti di altri imputati. Cosima Serrano, accusata di concorso in omicidio, si è invece avvalsa della facoltà di non rispondere. L’interrogatorio di Sabrina è durato oltre sette ore e mezza ed è stato interrotto per ben due ore a causa delle lacrime di Sabrina Misseri. Durante la seduta la 24enne Sabrina ha avuto un momento di scontro molto duro con il pubblico ministero Mariano Buccoliero che ha contestato e incalzato in modo aggressivo Sabrina Misseri riguardo alle parole scambiate da Sabrina nel primo pomeriggio del 26 agosto col padre Michele Misseri davanti alla loro villetta. Durante l’interrogatorio Sabrina è scoppiata in lacrime gridando “io non ho fatto niente, so io come stavo quel giorno, sapendo che mio padre era un assassino. Se avessi fatto qualcosa l’avrei detto, non riuscirei a sopportare il peso, io non ho fatto niente lo volete capire?” ha urlato l’imputata. Di fronte a queste dichiarazioni il Pubblico Ministero si è rivolto a Sabrina dicendo “ma che sta dicendo Sabrina? Si mette a piangere?” a quel punto i difensori dell’imputata si sono rivolti al pm: “ma come si permette?” hanno tuonato e subito dopo il difensore di Sabrina, l’avvocato Coppi, ha chiesto di sospendere l’interrogatorio perché in quel momento l’imputata non era più in condizioni di sostenere ancora un dialogo con il pubblico ministero a causa, secondo il legale, del suo atteggiamento. Nessun avvocato di Taranto mai si sarebbe permesso di rivolgersi così ad un Pubblico Ministero. Troppi intrallazzi e commistioni amicali o di interessi professionali avrebbero impedito a costoro di tutelare l’immagine e la dignità della loro assistita. Questo rende l’avv. Franco Coppi diverso dagli altri. Alcuni passaggi da nessun giornale sono stati riportati integralmente, se non da “Porta a Porta”.
Sabrina: «Questa cosa della gelosia. Non c’entra niente la gelosia….Io non ho fatto niente…Io non so niente.»
Pm Buccoliero a Sabrina: «Ce lo dica lei il movente allora…»
Coppi: «Eh no! Eh no! Questa domanda non può essere fatta “ce lo dica lei il movente”. Ma scherziamo? Questo non è possibile. “Ci dica lei il movente”. Ma scopritelo voi? »
Sabrina: «Si confonde la tutela, la protezione con la gelosia. Perché voi non avete conosciuto Sarah. Non avete avuto la fortuna di conoscerla.»
Giudice Trunfio: «Ha bisogno di una pausa?»
Sabrina: «Per me non c’è bisogno. Mi sono fatta due anni di carcere da innocente. Posso andare avanti. Non ho bisogno di pause io… »
Pm Buccoliero a Sabrina: «Allora io le dico questo. Lei mentre sta facendo quella chiamata in un’intervista dell’8 ottobre dice che sta parlando con suo padre.»
Coppi: «Adesso le contestiamo l’intervista?»
Pm: «Sì, le contestiamo l’intervista perché è agli atti del fascicolo… Lei dice addirittura che suo padre le dice “che non ti sta rispondendo Sarah?” E questo lei lo dice piangendo l’8 ottobre.»
Sabrina: «Ho capito…»
Pm: «E’ così, o non è così?»
Sabrina: «Io in quei periodi come stavo confusa potevo dire di tutto nell’intervista…»
Pm: «E vabbè….»
Sabrina: «E vabbè, e vabbè…So io come stavo per la scomparsa di Sarah. Non lo può sapere nessun altro.»
Pm: «L’8 ottobre?»
Sabrina: «L’8 ottobre, appunto. Aveva confessato pure mio padre. Se permetti come stavo io....»
Pm: «Appunto…»
Sabrina: «Appunto io lo so come potevo stare. Per una figlia sapere che il padre è un assassino. Io sto dicendo in quel periodo come stavo male, confusa. Non sapevo più che cosa capire. Tutta quella situazione. Io potevo dire qualsiasi cosa…Non stavo bene con la testa in quel periodo. I miei amici lo sanno. Non mangiavo da un sacco di giorni.»
Pm: «Che sta dicendo Sabrina…»
Coppi: Questo, no! Questo, no!»
Giudice Trunfio: «Pubblico Ministero, si astenga dai commenti!!!»
Coppi: «Questo, no! Questo, no! Non si può permettere nei confronti di un imputato di dire una cosa del genere! Cominci a rispettare un essere vivente. Incominci e abbia pazienza. Questo, no!»
Pm: «Ha ragione. Ha ragione…»
Sabrina: «Io non ho fatto niente. Lo ribadisco per l’ennesima volta. Non sapevo niente. Non ho fatto niente. Se io l’avessi fatto, non riuscivo a sopportare un peso così grande. Ma lo vuole capire il bene che tenevo a Sarah. Non riuscivo a stare….Questione di ore. L’avrei già detto. Non avrei avuto problemi a dirlo.»
Pm: «Allora risponda a queste domande.»
Giudice Trunfio: «Per favore, ha bisogno di una pausa.»
Al rientro in aula, il pubblico ministero si è scusato con Sabrina Misseri e l’interrogatorio è proseguito con una particolare attenzione sui fatti riguardanti il 26 agosto. Sabrina ha risposto alle domande sui suoi spostamenti confermandole anche di fronte alle diverse testimonianze contrastanti. Sarah Scazzi come una sorella minore, qualche rimprovero sì, ma non litigi. Con Ivano Russo un rapporto sessuale non completo. Sabrina Misseri in aula nel processo in Corte d'Assise a Taranto ha risposto così alle domande sul rapporto con la cugina, la 15enne uccisa ad Avetrana il 26 agosto del 2010. Il pm Mariano Buccoliero ha interrogato Sabrina prima sul rapporto con Sarah, poi con Ivano Russo. Secondo gli inquirenti la gelosia per Ivano fu il movente che scatenò l'omicidio della piccola Sarah. «Non c'entro nulla, non ho fatto nulla», ha detto Sabrina piangendo. «La mia era protezione per Sarah e non gelosia - ha aggiunto Sabrina in lacrime - sono da due anni in carcere da innocente». E poi in lacrime, riferendosi a Sarah, ha detto: «Non avete avuto la fortuna di conoscerla». La Corte ha deciso a questo punto di sospendere l'udienza per alcuni minuti. Sabrina: «Sara per me era come una sorellina minore». «Reputavo Sarah una sorella minore, non una cugina, e la trattavo di conseguenza. Qualche rimprovero sì, ma non litigi» ha detto Sabrina Misseri. «Sarah si faceva dei complessi sul suo fisico, tipo le orecchie a sventola o la dentatura imperfetta. Glielo dicevano anche sua madre e gli amici di scuola» ha risposto Sabrina alla domanda del pm Mariano Buccoliero, che le ha letto il contenuto di un sms tra lei e Ivano Russo nel quale Sabrina dice che la cugina la sta «stressando». «Ivano mi piaceva, c'era anche attrazione fisica ma non ero innamorata di lui» ha detto Sabrina Misseri rispondendo alle domande sui suoi rapporti con Ivano Russo, amico comune anche di Sarah Scazzi. «Non mi sono mai posta il problema di mettermi o no con lui» ha aggiunto Sabrina, rispondendo al pm che le contestava il fatto che diversi suoi amici hanno dichiarato che lei era quasi ossessionata dal pensiero di volersi fidanzare con Ivano. La gelosia per Ivano seconda la procura sarebbe proprio il movente dell'omicidio di Sarah. «Con Ivano rapporto sessuale non completo». «Il 2 agosto 2010 con Ivano c'è stato un rapporto sessuale, comunque non completo» ha riferito Sabrina. «I messaggi affettuosi con Ivano erano sempre a livello di scherzo», ha detto Sabrina in un primo momento sempre rispondendo a Buccoliero che le indicava alcuni delle centinaia di sms che si sono scambiati in pochi mesi Sabrina e Ivano Russo nel 2010. Sabrina ha anche detto di non ricordarsi il messaggio del 22 giugno 2010 mandatole da Ivano, in cui - secondo l'accusa - il giovane fa capire che la sera prima con Sabrina ci sarebbe stato un rapporto sessuale non completo. «Ci siamo dati probabilmente un bacio, ma non c'è stato nulla» ha risposto Sabrina la quale, successivamente, ha riferito che il 2 agosto 2010 con Ivano c'è stato un rapporto sessuale, non completo. Chi sapeva del rapporto con Ivano. «Di quel rapporto sessuale io riferii a Valentina e Mariangela (l'amica Spagnoletti), ma nè Sarah nè il fratello Claudio sapevano nulla» ha aggiunto. Sulla circostanza che ad Avetrana, si stesse spargendo la voce su quell'episodio, Sabrina ha raccontato che Ivano «si lamentò con me ritenendo che fossi stata io a diffondere la voce, ma non era vero». Sabrina ha poi detto del cugino Claudio, fratello di Sarah, che con lui non ha mai «avuto un buon rapporto, anche perché sempre lui cercava di mettere zizzania nelle nostre comitive». La sera prima dell'omicidio di Sarah. «La sera del 25 agosto in birreria non ho litigato con Sarah, può darsi al massimo che le abbia fatto un rimprovero» ha detto Sabrina. Sarah scomparve e venne uccisa il giorno dopo, 26 agosto 2010. Sabrina, che qualche giorno prima aveva litigato con Ivano Russo e aveva detto in birreria «questa volta è finita», ha confermato di aver detto in quella occasione, riferendosi a Sarah, «si vende per due coccole», aggiungendo però che «era una frase che ci dicevamo spesso io e Sarah», al pari di una frase di circostanza. Sabrina ha negato che quella sera Sarah, come riferito invece da altri testimoni, avesse gli occhi lucidi, come di pianto. «Sarah aveva sempre la faccia bianca e le guanciotte rosse - ha detto Sabrina - ma non gli occhi lucidi». «Più di qualche volta rimproveravo Sarah perché stava magari troppo appiccicata a degli amici e non volevo che in paese si spargessero voci strane. Può darsi che lo abbia fatto anche il 25 agosto» ha raccontato. «Sì, è vero - ha aggiunto - che Sarah aveva quella sera una lacrimuccia, ma perché Stefania (l'amica di Luca, ndr) insisteva per sapere» perché la ragazzina stesse imbronciata. «Per me quella del 25 agosto fu una serata come le altre» ha spiegato. Sabrina, Sarah e Ivano. «Mai notato che Sarah fosse gelosa per Ivano. Piuttosto amava stare al centro dell'attenzione. Con Ivano ogni tanto scherzava, qualche abbraccio, qualche bacetto sulla guancia, questo era il tipo di coccole». Il diario segreto di Sarah. «Non ho mai prelevato i diari di Sarah da casa di mia zia per portarli a casa mia - ha riferito Sabrina - Sbagliammo, lo ammetto, a non portare il diario segreto con lucchetto ai carabinieri, fu una decisione di comune accordo con i miei zii, non mia. Secondo noi quel diario non c'entrava nulla con la scomparsa di Sarah». Nel diario segreto Sarah diceva di essere «confusa» perché non riusciva a capire se quella con Ivano Russo fosse solo un'amicizia o qualcosa di più. Il pm Buccoliero ha rilevato all'imputata di aver scritto in un sms a Ivano «meno male che non l'abbiamo portato ai carabinieri» perché altrimenti il giovane sarebbe diventato il primo sospettato per la scomparsa di Sarah.
L'INTERROGATORIO QUASI INTEGRALE IN AULA, così come pubblicato da Nazareno Dinoi su “Il Corriere della Sera”.
Il pm Mariano Buccoliero legge alcuni messaggi del 26 aprile 2010 che Sabrina inviò a Ivano Russo: «Hai fatto una cosa buona con Sarah, che ora mi tortura. È così magra che mi fa male».
Sabrina risponde che non ricorda il contesto del messaggio e sulla magrezza di Sarah intendeva che le faceva male quando la prendeva sulle gambe e le sue ossa le facevano male. Sarah aveva complessi per le orecchie a sventola.
Un altro sms letto dal pm: «Ti giuro mi sto esaurendo tenerla 24 ore su 24».
Sabrina risponde: « Mi riferivo sempre ai suoi complessi delle orecchie. Io sempre dicevo, Sarah sei una bella ragazza non hai le orecchie a sventola».
Pm Buccoliero: «Perché i messaggi sempre a Ivano?
Sabrina: «Perché avevamo la promozione Vodafone e non pagavo i messaggi».
Pm: «Che tipo di confidenza c’era tra Sarah e gli amici?»
Sabrina:« Sarah era una ragazza molto affettuosa, spesso dava qualche abbracci a tutti..»
Pm: «Mariangela aveva interesse per Ivano?»
Sabrina: «Non lo so ricordo però la prima volta che lo vide disse: Però è proprio bono. I rapporti tra me e Ivano - prosegue Sabrina - sono iniziati per gioco quando lui era al militare e ci scambiavamo messaggi che non pagavamo per la promozione. Poi sono cominciati gli sfottò tra di noi. Mi piaceva ma non avevo interesse, c’era l’attrazione fisica non lo nego ma non era amore. Mi piacevano alcuni lati del carattere ma non ero innamorata».
Pm: «Come mai molti amici dicono che lei era innamorata di Ivano?»
Sabrina: «Sono deduzioni loro dalla mia bocca non è mai uscita la parola amore riferita a Ivano. Quando ho scritto nel messaggio Dio Ivano era un gioco di parole per dire DIO IVANO riferito ad un gioco sui dieci comandamenti che facevamo insieme».
Pm: «Ricorda un sms inviato a Sarah in cui le chiedeva chi era sceso per primo dalla macchina la sera prima in cui era uscita lei ed altri amici con Ivano e lei non c’era chi era sceso per primo dalla macchina?»
Sabrina: «Ivano buttava la pietra e nascondeva la mano, volevo capire con chi faceva questi discorsi relativi ai pettegolezzi della gente sul nostro conto. Volevo sapere con chi parlava Ivano di queste cose se era Mariangela o Sarah».
Pm: «In un sms dice ti voglio un mondo di bene, sei unico tu per me sei come un Dio».
Sabrina:«Scherzavamo erano messaggi in chiave scherzosa».
Pm: «Dio Ivano ti voglio un mondo di bene mi dispiace per come ci siamo lasciati».
Sabrina: «Forse avevamo litigato non ricordo».
Pm: «Ivano scrive a lei amore».
Sabrina: «Scherzavamo ancora, era lo sfottò solito perché a lui non piaceva questa parola che si scambiavano alcuni suoi conoscenti del militare».
Pm: «Cosa c’è stato il 22 giugno tra lei e Ivano?»
Sabrina: «Non ricordo ma sarà successo qualcosa, ci saremo appartati ma non c’ è stato un rapporto forse un bacio.. scherzando scherzando siamo andati a finire in quel modo…».
Pm: Legge un sms del primo luglio in cui Sabrina scrive a Ivano: «Amore inutile nasconderci a tutti dobbiamo uscire ala luce del sole.
Sabrina: «Questo è vero perché la gente chiacchierava si faceva una idea e su questo fatto ci scherzavamo sopra.
Il pm: Evita di leggere alcuni sms (del 4 agosto) dal contenuto esplicito e «più spinti». ma chiede spiegazioni all'imputata.
Sabrina. «Quel periodo lui mi stuzzicava, e mi faceva richieste sfacciate. Sabrina racconta l’episodio di un rapporto sessuale durato pochi secondi. «Lui si fermò perché per quel rapporto non voleva rovinare la nostra amicizia».
Pm: «Quindi non era uno scherzo?»
Sabrina: «Comunque c’era sempre l’attrazione fisica.»
Pm: «Era stata lei a provocare Ivano?»
Sabrina: «Non era nel mio genere buttarmi addosso, era lui che come al solito buttava la pietra e nascondeva la mano. Io dicevo di assumersi le responsabilità come io avevo fatto. Cercavo di sviare dicendo che se non aveva le precauzioni inutile andare oltre».
Pm.:«Sarah sapeva di questi aspetti sessuali tra lei e Ivano?»
Sabrina: «Sarah non ha saputo niente solo mia sorella sapeva tutto. Ivano aveva sempre l’atteggiamento di allungare le mani anche davanti alle persone, tipo mettere la mano sul sedere. Siccome Claudio Scazzi parlava troppo diceva che non vedeva normale il mio rapporto con Ivano e mi disse che tutti avevano saputo del rapporto sessuale tra me e Ivano».
Pm: «Ha mai pedinato Ivano?»
Sabrina: «Non io, una volta lo facemmo con la macchina di Mariangela ma fu una sua esigenza non mia».
Pm: «Come mai Mariangela dice il contrario?»
Sabrina: «Glielo chieda a lei».
Pm: «Cosa ha fatto Sarah dopo il 21 agosto?»
Sabrina: «Sarah quella notte dormì a casa mia poi il lunedì andò a San Pancrazio» (dagli zii).
Pm: «Quando è stata a San Pancrazio vi siete sentite con Sarah?»
Sabrina: «Non ricordo».
Pm: «Dai tabulati risultano degli squilli».
Sabrina: «Ero rimasta male con lei perché in quei giorni mi aveva lasciata da sola per andare a San Pancrazio».
Pm: «Ricorda quando è tornata Sarah?».
Sabrina: «Il 25 agosto di sera io ero in località Urmo con dei parenti. Sarah mi chiamò al telefono».
Pm: «Come faceva a chiamarla se aveva tre centesimi di ricarica?»
Sabrina:«Probabilmente con il telefono di qualcuno, della madre...»
Pm: «Lei sapeva che quella sera doveva tornare Sarah?»
Sabrina: «Per come ricordo io sì».
Pm: «Si ricorda che quel pomeriggio ci furono dei lunghi messaggi con Mariangela?»
Sabrina: «Forse aveva chiesto un appuntamento di lavoro o perché mi chiedeva che non uscivo».
Pm: «Cosa avete fatto quella sera?»
Sabrina: «Siamo uscite con la macchina di Mariangela io e Sarah, prima a Torre Colimena poi alla birreria 101 ad Avetrana. In birreria c’era pure Stefania de Luca. Io confidai al proprietario, Michele, che con Ivano era tutto finito».
Pm: «Era finito cosa? L’amicizia?»
Sabrina: «Non specificai a Michele cosa fosse finito.»
Pm: »Come era l’umore di voi tre amiche?»
Sabrina: «Era una serata normale, non eccezionale, Sarah era un po' dispiaciuta»
Pm: «Entrando nel bar lei cosa disse?»
Sabrina:«Non ricordo bene più o meno: basta è finito tutto… prendemmo una red bull e poi ci mettemmo sedute fuori dove c’era Stefania. Non ricordo minuto per minuto tutto. Ricordo che anche a Stefania dissi che con Ivano non volevo più uscire. Stefania chiese a Sarah del fratello che era partito.»
Pm: «Perché Sarah era dispiaciuta?»
Sabrina: «Perché io dissi che non sarei più uscita ma io dissi non ti preoccupare anche se non usciamo avremmo visto dei film a casa. Era felice per il fatto che saremmo andate al mare».
Pm: «Ricorda se quella sera ha litigato con Sarah?»
Sabrina: «Escluso che abbia litigato… se si riferisce a quella frase: "si vende per poche coccole", quella frase era da intendere come un consiglio; Sarah era molto accondiscendente e questo non andava bene. Anche lei usava questa frase nei miei confronti ma non era offensiva tra di noi. Ma non ricordo prima di arrivare a quelle frase cosa ci siamo dette… Io intendo "per coccole" che non doveva dire sempre si per ottenere quello che voleva, anche io mi facevo sfruttare da Mariangela perché pur di andare a mare con la sua macchina pagavo la benzina».
ORE 15. 50 - Riprende l’udienza. Il pm Mariano Buccoliero riprende l’interrogatorio di Sabrina Misseri.
Pm: «Ricorda se la sera prima della comparsa ci fu una lite tra lei e Sarah all’ interno della macchina di Mariangela?»
Sabrina: «No, non ricordo, non credo. Sarah quella sera era triste perché il fratello era partito.
Pm: «Nei diari di Sarah si parla di quella sera. Sarah scrive il 26 agosto. Oggi ho avuto il dolce risveglio con il trapano… Sabrina come al solito si è arrabbiata perché dice che sono sempre appiccicata con Ivano».
Sabrina: «È vero ma non mi sono arrabbiata, l’ho rimproverata perché era sempre appiccicata a Ivano».
Pm: «In quel diario Sarah dice altre cose. Il 9 giugno scrive di una gita al mare e scrive: "Sabrina vuole stare da sola con Ivano e quando fa così mi dà ai nervi».
Sabrina: «In quel momento dovevo parlare di cose mie e di Ivano e non mi andava di portare Sarah».
Pm: «Poi scrive: "Sabrina sta facendo la stronza e non mi fa uscir con lei… "».
Sabrina: «Sempre per lo stesso motivo quando pensavo che una ragazza di 15 anni non poteva ascoltare alcune cose io la lasciavo a casa».
Pm: «Mariangela era gelosa di Ivano?».
Sabrina: «Gelosia proprio no, magari le piaceva stare al centro dell’ attenzione, quello sì».
Pm: «Quando il 25 agosto dice nella birreria: basta questa volta è finita proprio, a cosa si riferiva?»
Sabrina: «Lo stavo dicendo al titolare della birreria e mi riferivo alla lite con Ivano del 21 agosto».
Pm: «E lo diceva con tono alterato?».
Sabrina: «Non ero alterata è il mio tono di voce che è proprio così».
Pm: «Sarah era interessata a qualche ragazzo?»
Sabrina: «Diceva che stava bene da sola».
Pm: «Lei ha detto che in macchina quella sera ha gridato per rimproverare a Sarah di stare troppo vicina a Ivano. Si ricorda di questo?»
Sabrina: «Non ricordo di aver gridato...».
Pm: «Quando lei non usciva, Sarah aveva la possibilità di uscire da sola con Ivano?
Sabrina: «No, usciva solo con me e Ivano abitava lontano e non poteva andare a piedi. Usciva con il fratello.»
Pm: «Sarah scriveva sms a Ivano?
Sabrina: «No era il fratello Claudio che utilizzava il telefonino della sorella per messaggiare con Ivano. Io ero categorica dicevo sempre specifica che sei tu per evitare equivoci…»
Pm: «Come fa ad esserne sicura? Era sempre presente lei?
Sabrina: «Ne sono sicura….»
Pm: «Claudio smentisce questo.. »
Sabrina: «Claudio lo deve ammettere perché spesso si lava le mani.»
Pm: «Cosa successe con i diari di Sarah?»
Sabrina: «I carabinieri mi chiesero dei diario e io dissi a mia zia Concetta di trovarli. Poi mia zia tirò fuori un diario segreto con il lucchetto dove c’era scritto che Sarah provava simpatie per Ivano… lì ho sbagliato perché in accordo con mia zia e mio zio abbiamo deciso di non consegnarli ai carabinieri. Ma io non ho mai portato diari di Sarah a casa mia».
Pm: «Perché ha deciso di non consegnare quel diario?
Sabrina: «È stato di comune accordo con la madre e il padre di Sarah perché il contenuto non ci sembrava collegabile con la scomparsa di Sarah».
Pm: «Ha detto a Ivano circa il contenuto di quel diario?»
Sabrina: «Sì e anche lui è rimasto basito di questo e poi ha detto "vabbè l’ importante è che non mi metti nei casini". Questo perché temeva di essere sospettato… Tutti eravamo sorpresi di quello che Sarah scriveva su Ivano».
Pm: «Perché il giorno della scomparsa avvertì Ivano che aveva il telefono sotto controllo? Come faceva a saperlo?»
Sabrina: «Perché i carabinieri mi chiesero i numeri di telefono dei nostri amici… e poi perché era normale che glielo dicessi non solo a lui ma anche a Alessio e Mariangela».
Pm: «Ha fatto delle ipotesi circa la scomparsa di Sarah?»
Sabrina: «Sì ho sempre escluso la fuga, ho pensato sempre ad un rapimento, poi ai rom, poi alla badante, addirittura al traffico di organi, prostituzione. Per questo mi arrabbiavo con i carabinieri perché dicevo non perdete tempo con la fuga volontaria».
Pm: «Perché a Ivano scrisse che secondo lei Sarah non era viva?»
Sabrina: «Perché avevo alti e bassi e in quel momento pensavo così, poi perché Ivano era sempre ottimista».
Pm: «Ha mai chiesto a Sarah se avesse simpatia per Ivano?»
Sabrina: «Sì anche perché il fratello Claudio si era insospettito. In precedenza aveva chiesto anche se si fosse attaccata a Alessio».
Pm: «Cosa sapeva Sarah del suo rapporto con Ivano?»
Sabrina: «Sapeva che ci vedevamo, poi sapeva dei nostri litigi».
Pm: «Le ha mai detto di mandarlo a quel paese?».
Sabrina: «Questo sì ma poi sapeva che facevamo pace».
Pm: «A lei davano fastidio le coccole che Sarah riceveva e dava a Ivano?»
Sabrina: «No, non mi dispiaceva ma la proteggevo sempre per la questione delle chiacchiere. La pulce nell’orecchio fu Claudio Scazzi a mettermela».
Pm: «In che periodo Sarah si era attaccata a Ivano secondo lei?»
Sabrina: «Non escludo che fosse da marzo aprile».
Pm: «Ha mai chiesto a Ivano o Alessio cosa pensassero di Sarah?»
Sabrina: «No, vedevo che per loro era una bambina. Una volta il fratello Claudio mi chiese se mi ero accorta mai di qualcosa, soprattutto nei confronti di Ivano. Claudio secondo me era geloso di Ivano perché tutte le ragazze scherzavano con Ivano e non con lui».
Pm: «Ma l’osservazione di Claudio riguardava solo Ivano, come mai?».
Sabrina: «Perché Claudio non vedeva come si comportava con Alessio perché Alessio non usciva spesso con noi poiché lavorava».
Pm: «È vero che aveva timore che Sarah si legasse troppo con Ivano?»
Sabrina: «Sì, ma perché temevo che se un giorno non dovessi più frequentare Ivano più lei ci sarebbe rimasta male».
ORE 17: UDIENZA SI INTERROMPE PERCHE' SABRINA SCOPPIA IN LACRIME
Pm: «Ha mai avuto il dubbio che Ivano fosse interessato a Sarah?»
Sabrina: «No, se l’avessi avuto sarei andato da lui a dirglielo.»
Pm: «Quando Sarah le consigliava di lasciar perdere Ivano lei cosa rispondeva?»
Sabrina: «Sarah era terrorizzata che se avessi litigato con Ivano non sarei uscita per un periodo.»
Pm: «Il 28 agosto e poi il 31 agosto e 2 settembre, il 6, 8, 15 e 28 30 settembre. Per quale ragione in tutti questi verbali non ha mai parlato dei rapporti che aveva con Ivano Russo soprattutto della vicenda della birreria e del rapporto che Sarah aveva con Ivano?»
Sabrina: «Perché io ho sempre risposto alle domande dei carabinieri e basta».
Pm: «Se si cercava una bambina scomparsa, non era importante dire anche la vicenda del rapporto con Ivano? Soprattutto quello che accadde la sera prima della scomparsa?»
Sabrina: «Perché per me quella sera non era successo niente di importante».
Pm: «La sera che ha visto i diari ed ha avuto conferma dell’interesse di Sarah per Ivano, perché lo ha tenuto nascosto ai carabinieri?»
Sabrina: «Ho detto che ho sbagliato e comunque sapevo che Ivano non centrava niente con la scomparsa di Sarah… tra le lacrime Sabrina dice che per l’omicidio non centra niente il movente della gelosia. Tra me e sara non c’è la gelosia si fa confusione tra protezione e gelosia. Parlate così perché non avere conosciuto Sarah, non avete avuto la fortuna di conoscerla…».
Sabrina piange, la Corte chiede se vuole fermarsi per una pausa.
Sabrina dice di andare avanti. «Ho fatto due anni di prigione da innocente, posso andare avanti» risponde. La difesa chiede all’accusa se ha intenzione di proseguire a lungo. La corte concede una pausa. L'udienza si sospende.
ORE 17.30 - RIPRENDE L'UDIENZA
Pm: «Cosa le disse Sarah?»
Sabrina: «Non ricordo se la rimproverai ancora per la vicenda della sera prima. Poi parlammo di quello che era avvenuto dalla cugina a San Pancrazio, ma era allegra. Con Anna Pisanò non parlò perché con Anna Pisanò qualche anno prima c’ era stata una vicenda. Con poca delicatezza raccontò alla ragazzina che il padre allungava le mani alle donne. Quella sera Sarah era molto triste e noi la portammo in pizzeria per distrarla. Sarah continuava a piangere e io, tornate a casa di Sarah, dissi a mia zia la vicenda. Da quel momento Sarah e anche mia sorella cambiò comportamento nei confronti di Anna Pisanò. Sarah rimase comunque scossa tanto è vero che per un po di giorni non volle dormire a casa perché aveva soggezione nei confronti del padre. ("non è vero", fa cenno Concetta).
Pm: «Anche lei ha cambiato atteggiamento con Anna Pisanò?».
Sabrina: «Io non ho mai avuto buoni rapporti con lei, era lei che voleva sempre sapere da pettegola… spiava quando veniva Ivano di cui diceva che era un bel ragazzo. Non ho mai detto cose intime a Anna Pisanò. Sarah non saliva in macchina».
Pm: «Come mai Concetta non dice niente di tutto questo?»
Sabrina: «Forse lo ha dimenticato.»
Pm: «Quella mattina non era triste Sarah?».
Sabrina: «No, era anzi divertita perché parlavamo del diario segreto di nostra zia di San Pancrazio.»
Pm: «Con Ivano avevo fatto pace nel frattempo?»
Sabrina: «Sì la notte stessa o la mattina presto avevamo fatto pace con Ivano».
Pm: «Fino a che ora siete rimaste a casa quella mattina?»
Sabrina: «Sino alle 12, o 12,30».
Pm: «Quella mattina ha parlato con Anna Pisanò dello stato d’animo di Sarah?»
Sabrina: «Fu lei giorni dopo che mi parlò di questo stato di umore di Sarah. Io le dissi vai dai carabinieri e raccontalo a loro».
Pm: «Pisanò ha dichiarato che lei le disse di non dire che era triste quella mattina.»
Sabrina: «Tutto il paese la conosce e sa che Anna Pisanò dice sempre le bugie.»
Pm: «Come siete rimaste d’accordo per il mare?»
Sabrina: «Che l’avrei avvisata se mi avesse chiamato Mariangela».
Pm: «E poi cosa ha fatto quando è andata via Sarah?»
Sabrina: «Ho messo a posto nello studio e mi sono messo a letto intorno all’una circa.»
Pm: «Non ha pranzato?»
Sabrina: «No, perché dovevo andare al mare.»
Pm: «Ma non sapeva ancora se andava o no al mare.»
Sabrina: «A casa mia non ci sono orari per mangiare, avrei mangiato dopo se fosse saltato l’appuntamento».
Pm: «Quando stata a letto cosa è accaduto?»
Sabrina: «Dopo le 13,30 è arrivata mia madre, piuttosto dopo non prima..»
Pm: «Chi arrivò prima mamma o papà?»
Sabrina: «Io ricordo mia madre… nel sonno veglia sentivo parlare mio padre che parlava con mia madre. Quando arrivò mia madre si mise anche lei nel letto».
Pm: «Suo padre dice di arrivare a casa prima di sua madre. Lei quando si è resa conto che suo padre stava in casa?».
Sabrina: «Quando l’ho sentito parlare in dormiveglia.»
Pm: «Quando si è svegliata?»
Sabrina: «Se non sbaglio intorno alle 14 arrivò una chiamata a cui non ho risposto».
Pm: «Come mai non ha risposto?»
Sabrina: «In quel momento non mi andava di rispondere, ho messo il muto.»
Pm: «Sua madre le disse perché non rispondi?»
Sabrina: «Non ricordo se me lo disse e comunque decido io se devo rispondere o meno.»
Pm: «Suo padre dove dormiva?»
Sabrina: «Da un po' di tempo dormiva sulla sdraio anche di notte.»
Pm: «E perché? Glielo ha chiesto?»
Sabrina: «Non lo so sono fatti loro».
Pm: «Cosa ha fatto dopo?»
Sabrina: «Dopo un po' è arrivato il messaggio di Mariangela.»
Pm: «Dopo quanto tempo di aver sentito suo padre parlare è arrivato il messaggio di Mariangela?
Sabrina: «Non lo posso dire dire non lo so…»
Pm: «Non riesce a collocare il tempo del sms?»
Sabrina: «Se non mi sbaglio dopo le parole di mio padre arrivò il messaggio di Mariangela.»
Pm: «Dopo l’sms di Mariangela riceve altri messaggi?»
Sabrina: «Io mando il messaggio a Sara dicendo di mettersi il costume veloce, poi un altro messaggio a Mariangela per dire se potevo dirlo a Sarah e poi un altro messaggio a Sarah per dire se avesse letto quello precedente.»
Pm: «Suo padre nel frattempo dove stava?»
Sabrina: «Non lo so comunque non credo fosse in casa perché se dormiva avrei sentito russare altrimenti i rumori in cucina.»
Pm: «Cosa scriveva Mariangela nel sms?»
Sabrina: «Il tempo di mettere il costume e arrivo e io chiesi se potevamo portare Sarah».
Pm: «Come mai Mariangela dice che eravate d’accordo dalla sera prima che sareste andate tutte al mare?»
Sabrina: «Non lo so non lo ricorda. Lo dice lei io dico un’altra cosa».
Pm: «Perché secondo lei Mariangela dice questo?»
Sabrina: «Lo chieda a lei.»
Pm: «Poi cosa ha fatto?»
Sabrina: «Avvisò Sarah di mettersi il costume.»
Pm: «Questo sms è dello 14,25. e dopo che fa?»
Sabrina: «Dopo rifaccio un altro messaggio per dire se ha letto quello precedente.»
Pm: «E nel frattempo dove si trova lei?»
Sabrina: «Sempre nel letto.»
Pm:«Il 15 ottobre lei disse che quando arrivò lo squillo di Sarah lei era in bagno Sabrina: dopo lo squillo sono andata in bagno».
Il pm fa rilevare alcune contraddizioni sugli orari e sui comportamenti di Sabrina il pomeriggio del 26 agosto a cui l’imputata non sa rispondere giustificandosi con il fatto di non ricordare.
Pm: «Alle 14, 28,26 arriva lo squillo di Sarah. Poi invia un sms a Mariangela dicendo sto tentando in bagno. Perché quel messaggio?»
Sabrina: «Per sdrammatizzare, volevo fare una battuta. Ero in bagno e non riuscivo a fare il bisogno così ho scritto quel messaggio».
Pm: «E come mai al gip ha detto di aver fatto quel bisogno fisiologico? E come è possibile che in 14 secondi fa tutte queste cose? Alzarsi dal letto, andare in bagno, fare il bisogno e fare il messaggio a Mariangela?»
Sabrina: (ride) «Scrivevo il messaggio mentre camminavo per andare in bagno… non ci vuole molto… »
Pm: «Prima ha detto che il messaggio lo ha mandato quando era seduta sul water.»
Sabrina: «Non ricordo».
Pm: «Poi lei fa un sms a Mariangela e dice: sono pronta, dove si trova in quel momento?»
Sabrina: «Se non sbaglio mentre stavo uscendo sotto la veranda.»
Pm: «Quando stava sotto la veranda cosa è successo?»
Sabrina: «Ho sentito rumore del portone del garage che sembrava si chiudesse e ho gridato: papà, ancora qui stai? E lui mi ha risposto dicendomi che il trattore non partiva e che avrebbe preso la macchina. Io ho chiesto se vedeva arrivare Sarah e lui mi ha detto di no. A quel punto è arrivata Mariangela e quando è arrivata io sono scesa in strada. Mi sono avvicinata alla macchina di Mariangela che aveva il motore acceso e nel frattempo ho visto mio padre che svuotava il portabagagli della macchina.
Pm: «Il portone era aperto?»
Sabrina: «Sì e mio padre faceva sue giù dalla cantina.»
Pm: «Aveva qualcosa in mano?»
Sabrina: «Credo di sì, forse una zappa.»
Pm: «La macchina di suo padre com’era parcheggiata?»
Sabrina: «Vicino al garage e dietro c’era la macchina di mia madre la Opel Astra. Il cofano della Marbella era aperto.»
Pm: «Quando suo padre faceva su e giù e c’era Mariangela cosa è accaduto?»
Sabrina:« Ho detto a mio padre di fare attendere Sarah se fosse arrivata mentre Mariangela con un certo nervosismo mi diceva di salire in macchina, questa cosa mi ha fatto innervosire ed ho detto aspetta fammi prima telefonare a Sarah.»
Pm: «Quando scende dalla veranda ha in mano l’asciugamano con sé?»
Sabrina:«Non me lo ricordo».
Pm: «Dopo il messaggio di Mariangela sua madre dormiva?»
Sabrina: «Non ricordo, forse no perché le ho detto che sarei andata al mare ma non ricordo.»
Pm: «Lei ha visto questo su e giù di sua padre mentre c’era Mariangela. In quel momento ha avuto un colloquio con suo padre?»
Sabrina: «Per dire di fare aspettare Sarah».
Pm: «Si ricorda se il cofano si manteneva da solo o aveva difetti?»
Sabrina: «non lo so anche se è intestata a me non la conosco proprio.»
Pm: «poi cosa è accaduto?»
Sabrina: «Ho telefonato a Sarah mentre salivo in macchina ma dopo qualche squillo si è inserita la segreteria. Dopo un po ho riprovato a chiamare ma era spento».
Pm: «Mentre faceva questa telefonata stava parlando con suo padre?»
Sabrina: «Non lo ricordo».
Pm: «In quel momento quando faceva gli squilli dove stava suo padre?»
Sabrina: «Non lo so».
Pm: «In una sua intervista televisiva fatta ad ottobre 2010 lei disse piangendo che mentre faceva quella telefonata a Sarah stava parlando con suo padre».
Sabrina (scoppia in lacrime): «In quel periodo lei non sa come stavo io con un padre assassino. Ero confusa. Io non ho fatto niente lo ribadisco per l’ ennesima volta se avessi fatto qualcosa lo avrei detto, non riuscirei a sopportare questo peso, lo volete capire? A quest’ora l’avrei detto. (Piange) La difesa chiede una nuova sospensione che la Corte concede.
ORE 19.18 - RIPRENDE L'UDIENZA
Pm: «Quando fa la telefonata a Sarah alle 14,42 del 26 agosto dov’era suo padre?»
Sabrina: «Non me lo ricordo di preciso se mio padre era già sceso».
Pm: «Quando scende dalla veranda vede suo padre?»
Sabrina: «Lo vedevo fare su e giù».
L’esame continua con la ricostruzione del pomeriggio in cui fu uccisa Sarah ed è su questo che Sabrina continua a mostrare lacune nei ricordi. Ancora una volta è sul ricordo dell’intervista contestata in precedenza che la ragazza riprende a piangere, questa volta trattenendo a forza le lacrime.
Pm: «Come mai suo padre dice che non si trovava fuori dal garage?»
Sabrina: «Chiedetelo a lui e comunque non fate affidabilità su quello che dice mio padre perché non ha buona memoria».
Pm: «La stessa cosa la dicono anche Mariangela e la sorella che era in macchina con lei».
Sabrina: «Però sono sorelle e avranno parlato tra loro. Non posso dare giustificazioni di quello che dicono gli altri».
Pm: «Suo padre dice che mentre strangola Sarah squilla il cellulare. Com’è possibile se lei dice di vederlo sopra?»
Sabrina: «Questo lo deve spiegare lui... So solo che la memoria di mio padre non è di ferro. Non posso dare una spiegazione per mio padre».
Pm: «Dove ha parcheggiato Mariangela?»
Sabrina: «Quasi in mezzo alla strada, un po' verso destra».
Pm: «Cosa ha fatto quindi?»
Sabrina: «Ho fatto gli squilli poi sono salita in macchina e siamo andati a casa di Sarah. Esce mio zio Giacomo e chiedo di Sarah, lui dice che è venuta a casa mia».
Pm: «Quando arrivate la prima volta a casa di Sarah c’è solo suo zio Giacomo?»
Sabrina: «Sì solo con lui ho parlato».
Pm: «Come spiega la telefonata che fa a suo padre subito dopo?»
Sabrina: «Non lo so non ricordo».
Pm: «È vero che appena è salita in macchina di Mariangela ha detto "l’hanno presa, l’hanno presa?"»
Sabrina: «L’ho detto al secondo giro non al primo perché ancora non era tanto allarmante».
Pm: «Alle 14,55 cosa dice a suo padre al telefono?»
Sabrina: «Se ha visto Sarah ma lui mi dice che non è più a casa perché sta andando in campagna.»
Sabrina incorre in diverse contraddizioni e molti “non ricordo” quando deve raccontare l’episodio dell’arrivo di Mariangela Spagnoletti e la collocazione del padre in quel contesto.
Pm: «Com’era vestita Sarah quella mattina del 26 agosto?»
Sabrina: «Se non sbaglio era vestita di nero».
Pm: «E il pomeriggio?»
Sabrina: «Non l’ho saputo subito ma solo il tardo pomeriggio. L’ho chiesto a mia zia che non sapeva perciò lo ha chiesto alla badante».
Alle 20 il processo viene aggiornato a lunedì prossimo 26 novembre.
Anna Pisanò all’uscita del tribunale, palesemente alterata, davanti alle telecamere del TG5, in riferimento all’accusa di Sabrina di essere una bugiarda ha sbottato: «Se sono io bugiarda e pettegola, perché lei sta dentro ed io sto fuori?»
E poi a Nazareno Dinoi su “Il Corriere della Sera”. «Ho sopportato di tutto in questa brutta storia che mi tormenta da due anni, ma essere definita pettegola e bugiarda da Sabrina questo proprio non lo mando giù». Anna Pisanò era presente in aula quando la sua ex amica, ora imputata nel processo in Corte d’assise per l’omicidio di Sarah Scazzi, l’ha insultata durante l’interrogatorio di martedì scorso. Per questo, venendo meno al principio di non visibilità rispettato sinora, ha deciso di far sentire così la sua voce. Per la Procura, Pisanò è una dei testimoni chiave contro la figlia di Michele Misseri. Sabrina Misseri ha detto che lei è una nota bugiarda e che Sarah conservava del rancore nei suoi confronti per dei pettegolezzi sul conto del padre che lei le avrebbe confidato quando aveva ancora tredici anni. «E la bugiarda sarei io? Si faccia un giro in paese e chieda chi sono io e chi è la signorina Sabrina. La sua sfacciataggine ha raggiunto livelli incredibili quando s’è inventata la storia secondo cui avrei detto a Sarah che suo padre allungava le mani sulle donne. Mai detta una cosa simile. Il papà di Sarah — argomenta Anna Piasanò — l’ho conosciuto quando lei era già scomparsa. Sino a quel momento ero convinta che i genitori della povera Sarah fossero separati da tempo. Se avessi saputo una cosa simile e avessi avuto la confidenza giusta, lo avrei detto piuttosto a Concetta non alla ragazzina. Sono mamma di tre figlie e ho rispetto per i bambini io, non come lei che si permetteva di far vedere a Sarah e a mia figlia minorenne le immagini di un libro di kamasutra che aveva nel suo studio». Pisanò spiega che «noi tutti di casa abbiamo voluto bene a Sarah ed anche lei ce ne voleva, altro che odio come vuol far credere Sabrina per nascondere quella sua bugia del giorno della scomparsa di Sarah». A cosa si riferisce? «La mattina del 26 agosto mi trovavo a casa Misseri per un trattamento estetico e vidi Sarah che era molto triste e insolitamente taciturna. Qualche giorno dopo sentì dire a Sabrina in un’intervista che la cugina quella mattina era stata allegra, che avevano sentito della musica ed avevano giocato. Le chiesi perché non aveva detto la verità che forse sarebbe stata utile alle ricerche; mi fulminò con lo sguardo e disse: "ormai ho detto così e se ti chiamano dì pure tu la stessa cosa, non mi mettere nei casini"».
Intanto si viene a sapere da “Il Corriere della Sera” che proprio il direttore responsabile del quotidiano locale «La voce di Manduria» e collaboratore del «Corriere del Mezzogiorno-Corriere della Sera», Nazareno Dinoi, ha sporto denuncia ai carabinieri nei confronti di Ivano Russo, il giovane di Avetrana del quale, secondo la Procura di Taranto, si sarebbero invaghite Sabrina Misseri e la cugina Sarah Scazzi, tanto da indurre Sabrina a uccidere Sarah il 26 agosto 2010. Dinoi ( a suo dire) sarebbe stato minacciato da Russo in relazione ad un articolo, pubblicato il 6 novembre scorso dai due quotidiani, sul contenuto di alcune intercettazioni telefoniche, agli atti del processo Scazzi, dalle quali emergerebbe una presunta trattativa tra Russo e Fabrizio Corona per la vendita di alcune foto riguardanti la vicenda. Nella tarda mattinata del 6 novembre, denuncia Dinoi, Russo lo ha chiamato al telefono lamentandosi per l'articolo e minacciandolo di aggredirlo fisicamente. Russo, è scritto sempre nella denuncia, avrebbe concluso la telefonata offendendo Dinoi e i suoi parenti defunti.
Lo stesso Nazareno Dinoi che su “Il Corriere della Sera” pubblica le lettere inviate a Michele Misseri dalle sue fans. Si chiama Fiorella, è sposata, ha cinquant’anni e vive a Roma. È lei la «pasionaria» di Michele Misseri, la donna che gli scriveva accorate lettere quando il contadino di Avetrana si trovava ancora in carcere per il delitto di Sarah Scazzi. Una corrispondenza molto calorosa, che forse non si è interrotta con la scarcerazione per decorrenza dei termini (superfluo dire che l’uomo è imputato nel processo in Corte d’assise e deve rispondere di soppressione del cadavere della nipote quindicenne), e della quale si trova traccia negli atti del processo. In particolare nel fascicolo che raccoglie le trentasette lettere ed altri documenti sequestrate dai carabinieri il 17 gennaio 2011 nella cella di zio Michele. Le missive in questione portano la data del 6 e 20 dicembre del 2010. In quel periodo, il papà di Sabrina e marito di Cosima Serrano, le due donne in carcere perché accusate di avere ucciso la ragazzina, aveva preso a scrivere lettere e memoriali indirizzate ai suoi familiari (soprattutto alla figlia Sabrina tuttora detenuta), che non hanno mai risposto al mittente. A compensare questa carenza d’affetto, di cui Misseri comincia a lamentarsi nel suo «diario della tristezza e del dolore» consegnato in questi giorni alla Corte d’assise (cinque quaderni di computisteria scritti di suo pugno), a lenire le ferite, almeno allora, ci ha pensato Fiorella. «Ti scrivo per dirti quanto sono triste per tutto quello che ti è accaduto», si legge nella corrispondenza datata 6 dicembre. Con una grafia elementare ma chiara e priva di errori, la donna romana fa chiari apprezzamenti sul detenuto di Avetrana. «Si vede dal tuo viso che sei una persona per bene». Poi si spinge più in là: «Un uomo dolce con occhi meravigliosi che incantano». Sino alla dichiarazione più esplicita: «Se non fossi sposata - scrive - ti porterei con me a Roma, lontano da tutto quel dolore». Il primo a non credere a tanta dolcezza, forse, sarà stato lo stesso Michele poco abituato a simili affettuosità in un periodo così triste per la sua esistenza. Di sicuro gli avrà fatto bene vedere i tre cuoricini disegnati alla fine della lettera sotto il nome della sua ammiratrice: tre simboli dell’amore con dentro scritte frasi di affetto e di speranza: «Sei sempre nel mio cuore», «uscirai presto» e «sei una persona meravigliosa». Due settimane dopo a Michele fu consegnata un'altra lettera. Sullo stesso foglio a quadretti è ancora Fiorella a scrivergli. «Come vedi torno a scriverti con la speranza di darti un po’ di compagnia e affetto. Mi sta molto a cuore la tua situazione — insiste la signora — e vorrei che finisse tutto al più presto possibile». Sempre con l’intento di alleviare le sofferenze della persona internata, la cinquantenne romana invita Michele Misseri a «pensare che ti sei preso un periodo di riposo, visto che hai lavorato tanto nella tua vita». La chiusura della lettera è più intima. «Anche se non mi vedi, io sono sempre vicino a te. Un bacio sui tuoi splendidi occhi». L’ossessione di Michele Misseri, comunque, resta la figlia Sabrina a cui continua a scrivere memorie. L’altro ieri gli avvocati che difendono la ragazza, il penalista romano Franco Coppi e il tarantino Nicola Marseglia, hanno depositato alla presidenza della Corte d’assise 49 buste contenenti altrettante lettere scritte dal padre e un quinto quaderno del suo «diario della tristezza e del dolore».
Invece il rendiconto del “La Gazzetta del Mezzogiorno” la dice tutta sulla parzialità della sua posizione contro Sabrina. “Sicura, fiera, forte. Non rispondeva alle domande dei magistrati dal 15 ottobre del 2010 Sabrina Misseri, finita a giudizio con la madre Cosima Serrano per l’omicidio della cugina Sarah Scazzi, la 15enne scomparsa ad Avetrana il 26 agosto di due anni fa. Chiusa in cella per oltre 24 mesi - da innocente, come ha urlato, piangendo due volte nella lunghissima udienza di ieri - Sabrina Misseri, a differenza della madre, ha accettato di sottoporsi all’esame delle parti processuali, riacquistando il colorito e la baldanza dei giorni compresi tra la scomparsa della cugina e il suo arresto, giorni contrassegnati da interviste e ospitate nei salotti televisivi nazionalpopolari, quando Sarah sembrava svanita nel nulla e quasi nessuno sospettava che l’estetista potesse essere addirittura l’assassina. Compresa nel ruolo di imputata ma tutt’altro che rassegnata, Sabrina ha risposto per oltre 7 ore alle domande del sostituto procuratore Mariano Buccoliero e del procuratore aggiunto Pietro Argentino. Il racconto di Sabrina fila sui binari di due anni fa, senza novità di rilievo e con alcuni non ricordo quando le domande della pubblica accusa riguardavano aspetti che nel corso delle 26 udienze del processo avevano incrinato quanto Sabrina aveva detto in precedenza.” Quei non ricordo. Anche Bollino, il direttore, a “Porta a Porta” si è soffermato su quei non ricordo, dichiarando che era stati molti, rimbrottato dall’avv. De Jaco, che ha precisato che l’affermazione non corrispondeva a verità. In quel salotto vi era anche la Bruzzone che con veemenza sposava la tesi colpevolista per Sabrina, nonostante lei fosse lì come opinionista, e non come ex consulente di Michele Misseri, chiamata da Galloppa ed entrambi accusati dal contadino di Avetrana di averlo indotto ad accusare la figlia. Ed il commento sempre su quel giornale (La Gazzetta del Mezzogiorno) di Carmela Formicola conferma la tesi di parzialità. “Piange, Sabrina, in aula. Il pm la bacchetta: «Ma che si mette a piangere...». Perché per il pm Sabrina è un’assassina. E agli assassini è negato il diritto alle lacrime. Processo Scazzi, ennesima udienza. Parla l'imputata, Sabrina Misseri, la cugina- mostro che avrebbe ucciso la dolce piccola Sarah per gelosia. Lei nega. Nega da sempre, granitica, dietro la maschera di innocenza che continua ad indossare, ancora oggi, dopo una lunghissima carcerazione che proverebbe chiunque, perfino un assassino. Nega, controbatte, spiega, ricostruisce la sua verità, col suo grumo di segreti e rimpianti e l’eredità morbosa del paese che la giudica, della famiglia che custodisce fantasmi. E della morte, la morte di Sarah, che abita i suoi pensieri. Quindi «la tigre» s’arrende alle lacrime. Paura? Rabbia? Dolore? L’emozione non la governi. Entra a valanga, nella fredda aula di Tribunale dove tutti i protagonisti sono seduti, una quinta pirandelliana. Lo zio, il padre, la cognata, il cugino, la madre, la nipote. La famiglia. I Misseri, i Serrano, uniti e divisi dal sangue, finiti nel tritacarne dei media che ben oltre la morte violenta della piccola Sarah hanno fiutato l’audience di una storia impastata di reality e fiction in egual misura. Ma Sabrina, con le sue lacrime, non ci consegna il dubbio sulla sua colpevolezza (dubbio che probabilmente nemmeno una sentenza potrà mai fugare del tutto). Ci ricorda soltanto il sentimento del rispetto. Ce lo insegna nuovamente. Rispetto per l’altro, che sia una vittima o un assassino, rispetto per la sofferenza (l’etica cristiana parla piuttosto di «misericordia»), perché comunque la trama di orrore, misteri e mistificazioni toccata a Sabrina e alla sua maledetta famiglia ha cambiato le loro vite per sempre. Ha stravolto l’esistenza dolcemente grigia, la vita di campagna, le serate al pub, le confessioni tra amiche, i piccoli sogni da estetista. La speranza, il futuro: tutto finito, spazzato via dalla violenza, dal destino, dall’omicidio. E anche il pm lo capisce, se nella fredda aula di giustizia, dove irrompe l’emo zione, s’arrende anche lui al pianto di Sabrina. E dopo averla aggredita, le chiede scusa, perché alla fine s’accorge di non guardare l’assassina ma l’anima dolente.”
Di tutt’altro tenore (più equilibrato) è il resoconto di Maria Corbi su “La Stampa”. “E’ il giorno di Sabrina, della sua voce che risuona flebile nell’aula del Tribunale di Taranto dopo due anni di silenzio. Entra con i capelli sciolti, lunghissimi, che sembrano scandire il lento passare del tempo in cella. Più di due anni. Ed è lei a ricordarli quando dopo 4 ore di domande scoppia a piangere e al pm che le chiede se vuole un’interruzione singhiozza: «è da due anni che sono in carcere da innocente, possiamo andare avanti». Le lacrime scivolano sulle guance della ragazza che urla la sua innocenza: «non ho fatto niente, non so niente». E il suo amore per Sarah: «non avete avuto la fortuna di conoscerla», dice ai pubblici ministeri. Un’udienza carica di tensione. Appena entra in aula Sabrina stringe la mano del suo avvocato, il professor Franco Coppi, con affetto e fiducia. La ragazza di Avetrana e il principe del Foro. Lui l’ha preparata a questo giorno, alle domande dei pubblici ministeri, alla curiosità avida della gente. Prima che lei parli la difesa presenta 47 lettere che il padre le ha scritto. Fogli in cui Misseri continua a chiedere perdono e in cui ribadisce la sua colpevolezza. Un modo per fare entrare nel processo la sua voce fino ad oggi inascoltata. Nell’ultima, quella dell’11 novembre, Michele spiega alla figlia perché in aula si è rifiutato di rispondere e le assicura che dirà tutto quando sarà ascoltato come teste della difesa. Un’ udienza che inizia battagliera con Coppi che chiede alla corte l’inutilizzabilità dell’interrogatorio reso dalla sua assistita il 30 settembre 2010 quando era ancora solo una persona informata sui fatti. Dalle prime pagine del verbale che riporta quella testimonianza i pm fanno a capire a Sabrina, con modi molto bruschi, che su di lei ci sono sospetti che vanno ben al di la delle false dichiarazioni («Si rende conto che sta mentendo in una maniera pazzesca», pag 158 del verbale). E in questo caso, quando esistono indizi a carico, spiega Coppi, «secondo l’articolo 63 del codice di procedura penale, i pm hanno l’obbligo di interrompere l’esame per la nomina di un difensore. E tutte le dichiarazioni rese fino al momento diventano inutilizzabili». Anche se confermate dall’indagato successivamente. I pm si oppongono e la Corte respinge l’eccezione che rimane una «zeppa» per eventuali e futuri ricorsi in Cassazione. Sabrina ascolta attenta, una mano sulla guancia con l’aria rassegnata di chi vede tutto contro di lei. I pubblici ministeri, Mariano Buccoliero e Pietro Argentino, vogliono sentire prima Cosima che si avvale della facoltà di non rispondere come consigliato dai suoi legali. Ed ecco Sabrina, con il volto pallido e tirato. Il padre seduto dietro di lei sembra una statua, immobile con gli occhi fissi non si sa dove. Mamma Concetta, la fissa. Poco prima di entrare in aula aveva detto: «Sabrina racconterà la sua verità. Come faccio a crederle?». Il pm Buccoliero inizia chiedendo a Sabrina dei suoi rapporti con la cuginetta Sarah. «Io la reputavo una sorella minore, non una cugina», dice la ragazza. Il pm gli contesta alcuni sms inviati a Ivano Russo che dimostrerebbero secondo l’accusa la gelosia della Misseri per Sarah Uno dice: «Hai fatto una cosa buona con Sarah e una brutta. E’ così magra che mi fa più male». Sabrina spiega che non era invidia per la linea della ragazzina ma che quando la abbracciava sentiva le ossa appuntite e le faceva male. Dalle parole della Misseri un rapporto di affetto, di frequentazione con la cugina e anche di rimproveri. «Più di qualche volta rimproveravo Sarah perché stava magari troppo “appiccicata” a degli amici, a Ivano o ad Alessio, e non volevo che in paese si spargessero voci strane. Può darsi che lo abbia fatto anche il 25 agosto e il 26». Domande ripetute, circolari, che tornano al punto di partenza. I pm Buccolierio e Argentino usano una tecnica di interrogatorio a goccia cinese, ma Sabrina Misseri sembra leggerla. E’emozionata ma tranquilla e spesso si è sentita confortata dagli interventi della Corte o della sua difesa. Si procede passo passo per trovare, nelle sue precedenti dichiarazioni, incongruenze, contraddizioni e soprattutto gli elementi che possono scolpire il movente della gelosia portato avanti dall’accusa. Ma Sabrina chiarisce che per Ivano c’era attrazione fisica, non innamoramento. E che quell’unico rapporto sessuale, in macchina il 2 agosto, è «durato pochi secondi». Comunque iniziano in quell’auto le incomprensioni che minano l’amicizia tra i due ragazzi. E Sabrina lo racconta. Ivano l’accusava di avere raccontato tutto al cugino Claudio. «Non l’ho mai fatto», ha spiegato la ragazza in aula, dicendo di non aver mai rimproverato alla cugina di avere messo in giro voci su quella sera. Si torna alla sera prima della scomparsa quando una testimone disse che Sarah era triste: «Sì, è vero che Sarah aveva quella sera una lacrimuccia, ma perché Stefania insisteva chiedendo del fratello che era partito e se era per quello che era triste». «La sera del 25 agosto in birreria non ho litigato con Sarah, può darsi al massimo che le abbia fatto un rimprovero«, ha spiegato Sabrina. Ha anche ricordato che qualche giorno prima aveva litigato con Ivano Russo e aveva detto in birreria «questa volta è finita». E che la frase «si vende per due coccole» - che l’accusa ritiene fondamentale nella ricostruzione del movente - era ricorrente nel loro modo di parlare. « Volevo dire che Sarah era sempre troppo condiscendente con gli altri». Chiarisce sui diari che, secondo l’accusa, ha nascosto: «Non ho mai prelevato i diari di Sarah da casa di mia zia per portarli a casa mia. Sbagliammo, lo ammetto, a non portare il diario segreto con lucchetto (dove Sarah confidava la sua attrazione per Ivano) ai carabinieri. Fu una decisione di comune accordo con i miei zii, non mia. Secondo noi quel diario non c’entrava nulla con la scomparsa di Sarah». Ivano, il movente, è su di lui che battono le domande a Sabrina. Interminabili, tanto che all’avvocato Marseglia (insieme a Coppi difensore di Sabrina) scappa la pazienza e cita i metodi «alla Guantanamo». Il giudice Rina Trunfio invita alla calma. Domande a raffica anche sull’umore di Sarah la mattina del 26 agosto. Una cliente di Sabrina dice che quel giorno quando ha visto Sarah a casa Misseri era triste. Ma Sabrina spiega che non era così. Semplicemente alla cugina quella signora stava antipatica perchè tempi prima le aveva fatto dei commenti sulla debolezza del padre Giacomo per le donne. Sabrina nega di avere mai cercato di convincere questa teste a non andare dai carabinieri a raccontare del broncio di Sarah quella mattina. Il pm insiste e lei spiega che tutti sanno che quella signora è una pettegola. E si arriva alle ore del delitto. Alla gita al mare che Sabrina e Saeah dovevano fare con Mariangela. Ai messaggi e alle telefonate che scandiscono l’ora del delitto e che sono determinanti per l’alibi di Sabrina. «In quel telefonino è scritta l’innocenza di Sabrina», sostiene la difesa. Mentre per l’accusa quel telefonino è stato il mezzo con cui la ragazza ha tentato di depistare i sospetti. Quando arriva il messaggio di Mariangela Sabrina era nel letto. «Mio padre non so dove fosse», spiega. Poi il pm inizia a martellare con domande sul messaggio «sto tentando in bagno» che Sabrina mandò a Mariangela. Buccoliero vuole sapere quale bisogno corporale esattamente stava tentando e se ci è riuscita. E così via con una serie infinta di minuziose contestazioni. Alle 18,38 Sabrina è sfinita. Inizia a cedere. Ha un altro sfogo: «Non ho fatto niente, volevo bene a Sarah». Al pm che gli contesta delle dichiarazioni fatte nei giorni dopo l’arresto del padre spiega: «In quei giorni ero confusa, avevo scoperto di avere un padre assassino». Buccoliero perde la pazienza: «Ma che stai a dire...». Coppi interviene duramente - «questo non lo permetto!» - e si interrompe l’udienza per permettere a Sabrina di asciugarsi le lacrime. Sono più di sei ore che si va avanti e appena rientrata Sabrina ha un’altra crisi. Altra pausa. Ma il presidente della Corte è inflessibile: si va avanti. Buccoliero ricomincia con le domande su quell’intervallo di tempo che comprende delitto e occultamento del cadavere. Interrogatorio infinito «Abbiamo tempo», chiarisce il pm Buccoliero. La battaglia è solo all’inizio.”
La seconda parte della puntata di Quarto Grado del 23 novembre 2012, programma in onda su rete 4 e condotto da Salvo Sottile, è stata dedicata proprio al caso Sarah Scazzi ed alle ultime dichiarazioni rilasciate da Sabrina Misseri. Si parte con l’ascoltare la lettura (anzi, recitazione) delle dichiarazioni di Sabrina in aula, la quale, in lacrime, continua ad affermare di non aver ucciso Sarah e di essere innocente. La Misseri ribadisce di non aver mai litigato con Sarah ma, al massimo, di averla presa in giro come sempre faceva (riferendosi ad una sera passata in birreria in cui dei testimoni sostengono di averle viste litigare). Si torna in studio e la parola va alla psicologa forense Silvia Gimelli, la quale aveva già ascoltato Sabrina Misseri all’inizio della vicenda; Sottile le chiede se riscontra dei cambiamenti in Sabrina rispetto alla prima volta che l’ha ascoltata, e la psicologa risponde di essere convinta dell’innocenza della ragazza. Viene mostrata un’altra parte dell’interrogatorio della ragazza, dove si parla di Ivano Russo e di uno scambio di messaggi tra lui e Sabrina. Stando a questi sms Sabrina e Ivano avrebbero avuto inizialmente un rapporto sessuale non completo e, in seguito, vedendosi, avrebbero continuato ad avere dei rapporti fisici, di cui però Sarah, secondo quanto detto da Sabrina, non avrebbe mai saputo niente (vengono letti vari sms scambiati tra Ivano e Sabrina). Si torna di nuovo in studio e, dopo il lancio della pubblicità, viene mostrata un’intercettazione inedita che coinvolge Michele Misseri, Sabrina Misseri e Ivano Russo. L’intercettazione è alquanto confusa e, infatti, non se ne capisce bene il contenuto. Quello che si capisce per certo è che Michele, Sabrina e Ivano parlano del ritrovamento del cellulare di Sarah, che Michele racconta di aver avvistato mentre cerca un cacciavite; i toni dei tre sembrano ansiosi e preoccupati, soprattutto quello della ragazza, ma nulla di confermato può esserci a riguardo. Si torna in studio è la parola va di nuovo alla psicologa forense, che “accusa” il pm che ha esaminato Sabrina, di aver quasi indotto le risposte della ragazza, “etichettandola” già come colpevole e, in alcuni casi, anche bugiarda. A questo punto Sabrina Scampini legge alcuni messaggi arrivati dal pubblico da casa; gli spettatori sono divisi: c’è chi crede nell’innocenza della ragazza, soprattutto dopo aver sentito le sue ultime dichiarazioni, e c’è chi invece considera le sue lacrime di coccodrillo e continua, senza indugiare, a puntarle il dito contro.
A Domenica Live del 25 novembre la D’Urso prova ancora a contrapporre la cronaca, questa volta nera, alla politica e agli argomenti più “impegnati” di Rai1. In esclusiva intervista a Concetta Serrano, madre di Sarah Scazzi, la ragazzina uccisa ad Avetrana. Dopo la presenza del fratello e del padre di Sarah questa volta è toccato alla madre “raccontare e raccontarsi” a Domenica Live. Lo stile è Dursiano in tutti i sensi con le dovute faccette di ordinanze. Domenica Live: Barbara D'Urso, intervistando Concetta Serrano, mamma di Sarah Scazzi, forse per metterla a suo agio e creare "empatia" con lei, le diceva: "Sono terrona come te". Se per terrona si intende ignorante e cafona, si è data ed ha dato una bella definizione. E più avanti ripeteva: "Sono terrona, siamo due terrone". La D'Urso argomentando sul delitto di Avetrana, si definiva inoltre una giornalista. Se lo è (e non ho motivo di non crederle) usi termini più consoni alla cronaca, al buongusto e al politicamente corretto. Oltre che al buon giornalismo, che non deve essere "giornalettismo". Perché auto-definirsi in qualità di abitante del sud o originaria del meridione con un temine antipatico, abitualmente usato come dispregiativo? Per accontentare o assecondare il bisogno del pubblico guardone, seduto in studio od a casa, forse? Intanto nel corso del programma di canale 5 "Domenica Live" sono stati proposti alcuni stralci delle 49 lettere, appena acquisite agli atti del processo, che Michele Misseri ha scritto a Cosima e Sabrina, per chiedere perdono e per ribadire la sua colpevolezza, senza mai ricevere risposta. Dura la replica della mamma di Sarah, "sono parole suggerite". "Non sono autentiche e poi esistono una serie di riscontri che incolpano Sabrina e Cosima" ha spiegato Concetta Serrano, ospite di Barbara d’Urso, dopo aver ascoltato le parole del cognato. Alla conduttrice che le chiede a chi si riferisca Concetta risponde: "Non so chi frequenta lui, sicuramente non le scrive e non le pensa lui". “Perché non parla con noi? Noi ci siamo sempre in udienza come c’è lui, scrive tanto ma non parla mai. Lo sa che racconta frottole e forse lo fa perché lui non è più utile a nessuno, né alla sua famiglia, né alla mia- Ha avuto un momento di coscienza quando ha accusato la figlia ma poi si è rinchiuso dentro se stesso”. Spesso nelle sue lettere Misseri fa riferimento a Sarah e alla sua famiglia.
Come in queste pagine, scritte a Sabrina il 19 dicembre 2011: "Gli inquirenti hanno sbagliato tutto però per non fare brutta figura non vogliono ammettere di avere sbagliato e vogliono andare avanti col sogno del fioraio…solo il mio sogno non si avvererà mai…perché l’altra notte ho sognato l’angelo biondo – io lo chiamo così perché Concetta non vuole che la nomino col suo nome, Sarah, …l’ho sognata , c’era tanta nebbia e mi diceva: zio, la verità secondo me non arriverà mai".
Così scrive il 2 febbraio scorso, dopo la deposizione del fratello e della mamma di Sarah: "All’udienza sono rimasto male per quello che ha dichiarato Claudio, io volevo gridare ma non potevo intervenire…e anche quello che ha dichiarato Concetta non è niente vero…per questo io non chiedo perdono perché Concetta non vuole credere che io ho distrutto tante famiglie e io chiederò perdono quando Concetta mi crederà… e solo allora l’angelo biondo riposerà in pace".
Queste le sue riflessioni del 6 maggio: "E’ molto triste la vecchiaia, dovevo stare bene e invece ho combinato un grande crimine che non potrò mai dimenticare… per l’angelo biondo e anche per te e la mamma perché solo io posso sapere che siete innocenti".
Poi, ancora, un riferimento a Concetta, (2 giugno 2012) : "Ho bisogno di parlare con mamma Concetta solo che devo riflettere quando lo farò".
Il primo luglio scrive alla moglie: "Cara Mimina, i rimorsi sono quelli che mi stanno facendo soffrire …io chiedo perdono sia a te, sia a Sabrina e anche a mamma Concetta, anche se non mi vuole credere…io lo faccio per l’angelo biondo, per farla riposare in pace. Chiedo perdono a tutti i parenti dell’angelo biondo. Perdonatemi, nella vita tutti possono sbagliare, certo io ho fatto uno sbaglio molto brutto".
E quindici giorni dopo scrive: "Sento ancora la voce dell’angelo biondo che quando veniva alla metà dello scivolo del garage …io rimpiango il passato perché non riesco a capire perché ho fatto tutto questo".
Poi, ancora, si rivolge a Sabrina (5/8/2012): "Per la gente di tutto il mondo sei un’assassina, è assurdo perchè tu quell’angelo biondo non avresti toccato nemmeno un capello".
Dopo aver deciso di non rispondere alle domande dei pm fa recapitare un’ultima lettera alla figlia (11/11/2012): "Avevo deciso di non scriverti più perché ti ho colpito ancora per non aver parlato al mio interrogatorio…mi devi perdonare ma non ero pronto quel giorno".
Al proseguo del 26 novembre Sabrina Misseri è tornata in aula. La giovane imputata, insieme alla madre Cosima Serrano, accusata di aver ucciso la 14enne Sarah Scazzi, è stata sottoposta ad un vero e proprio fuoco di fila di domande e contestazioni da parte dei Pm. L'accusa, che ha incalzato l'imputata con un numero incredibile di domande sulla ricostruzione dei minuti e delle ore successive alla scomparsa di Sarah, ha più volte suscitato l'insofferenza della difesa che ha attribuito al Pm la volontà di "sfiancare" la ragazza con domande ripetitive. Ed effettivamente Sabrina appare sfinita, esausta, mormora "Non ricordo" e appare psicologicamente provata. Sabrina ha giustificato le ripetute incongruenze tra varie versioni fornite e i vuoti di memoria dicendo che in quel "momento non ero lucida, ero in confusione". Le domande dell'accusa hanno riguardato in particolare la ricostruzione degli spostamenti e delle telefonate fatte e ricevute da Sabrina subito dopo la scomparsa di Sarah e le persone che ha incontrato mentre, con amici e parenti, girava in paese alla ricerca della cuginetta scomparsa. Si era interrotto martedì 20 l’interrogatorio di Sabrina Misseri principale imputata per l’omicidio della piccola Sarah Scazzi, dopo ben 8 ore in cui la più piccola di casa Misseri aveva tentato di descrivere i suoi rapporti con la cugina e con il bello di Avetrana, Ivano Russo, ritenuto principale movente del delitto. È ripreso esattamente da dove lo avevano lasciato dinanzi alla Corte d'Assise di Taranto. In apertura dell’udienza, il pm Mariano Buccoliero ha chiesto di ascoltare in aula alcune interviste televisive rilasciate dall’imputata nei giorni successivi alla scomparsa di Sarah, con particolare interesse per quella dell’8 ottobre 2010, quando suo padre aveva appena fatto ritrovare il corpo senza vita della giovane in quel pozzo in contrada Mosca e tutte quelle rilasciate nei giorni precedenti al suo arresto. Secondo l'accusa, infatti, la ricostruzione fatta da Sabrina in queste interviste non coinciderebbe con quella resa in udienza. Ad assistere ci sono tutti i protagonisti di questa triste vicenda. C’è Concetta Serrano che ai microfoni - con poche parole – ha sempre espresso il suo desiderio di conoscere la verità e c’è Michele Misseri, accusato di soppressione di cadavere e forse l’unico in grado di raccontare cosa sia veramente successo in quell’assolato pomeriggio del 26 agosto 2010. Al centro dell’interrogatorio questa volta c'è la ricostruzione degli spostamenti che Sabrina fece quel giorno. «Non ricordo», ha risposto spesso una Sabrina ben diversa da quella che vista in tv. L'accusa, che ha incalzato l'imputata con domande sulla ricostruzione dei minuti e delle ore successive alla scomparsa di Sarah, ha più volte suscitato l'insofferenza della difesa che ha attribuito al pm la volontà di «sfiancare» la ragazza con domande ripetitive. In particolare, c'è un buco di un'ora e mezzo tra le 15.30 e le 17.00 quando la ragazza ha accompagnato la madre nella caserma dei carabinieri per denunciare la scomparsa di Sarah che ancora non è stata chiarita. Mancano quei “dettagli” che avrebbero potuto fare la differenza, forse. Si è poi parlato del ritrovamento da parte di Michele Misseri del telefonino di Sarah. L'udienza è stata sospesa per il pranzo. Alla ripresa si ascolterà l'audio di una intercettazione ambientale nella quale Sabrina e sua sorella parlano della scheda Sim del telefonino di Sarah che il padre aveva detto di avere trovato casualmente per strada e di avere poi perso. Le due sorelle avrebbero concordato sul fatto di non dovere dire nulla della questione ai carabinieri. Come nella precedente occasione, anche durante questo interrogatorio Sabrina ha avuto un crollo emotivo, in particolare quando ha dovuto ricordare la sera del ritrovamento del cadavere della cugina in contrada Mosca, vicino ad Avetrana, dopo la confessione del padre Michele Misseri. La giovane ha detto che prima non era mai stata o comunque non conosceva quel luogo ma i pm hanno contestato questa circostanza. L’altro momento drammatico è stato quando ha ricordato di avere appreso per televisione del ritrovamento del cadavere e in relazione alla frase che lei avrebbe pronunciato incontrando una conoscente e cliente, Anna Pisano’, testimone chiave del processo. I pm ritengono quella frase una sorta di confessione extragiudiziale. Qualche difficoltà e diversi non ricordo da parte di Sabrina relativamente alle ore successive alla scomparsa di Sarah il 26 agosto del 2010. Per quasi nove ore la ragazza ha continuato a dichiararsi innocente non riuscendo ancora una volta a trattenere le lacrime, scrive Nazareno Dinoi su “La Voce di Manduria”. A tratti spavalda e sicura di sé, esibendo qualche sorriso tra le risposte, l’estetista si è scontrata con tanti non ricordo ad alcune domande più insidiose dei pubblici ministeri. Sono stati tre i momenti di maggiore criticità in cui la ragazza ha accusato il colpo di fronte alle precise contestazioni dell’accusa. Il primo è stato quando il pm Mariano Buccoliero ha voluto sapere il senso di un’intercettazione ambientale tra lei e i suoi familiari in cui si parla di una Sim trovata dal padre, Michele Misseri, che poteva essere della quindicenne scomparsa. L’imputata si è trincerata dietro il «non ricordo» chiedendo di ascoltare l’audio della conversazione che, per motivi tecnici, non è stato possibile produrre in aula. Voce tremante anche quando i pm le chiedevano conto di un’ora e mezza di buco nel suo racconto del pomeriggio della scomparsa in cui lei e sua madre Cosima sarebbero rimaste a casa, «sotto la veranda a parlare» mentre gli altri andavano in giro per cercare Sarah. Imbarazzo anche quando è stato affrontato il capitolo delle presunte molestie del padre nei confronti della nipote. Alla domanda del pm, Sabrina ha detto di avere creduto a questo quando sentì il racconto di una sua zia secondo la quale, da giovanissima, era stata insidiata da Michele Misseri. Ripresa dal procuratore aggiunto, Pietro Argentino, sul fatto che in precedenza aveva sempre escluso che il padre potesse essere un molestatore, la giovane si è lasciata andare in un’altra crisi di nervi e lacrime provocando la reazione dei suoi avvocati che si sono opposti al genere di domande. Sempre in aula ieri è stata fatta ascoltare un’intervista rilasciata da Sabrina subito dopo l’arresto del padre in cui dichiarava, piangendo, che il giorno della scomparsa del padre lei la chiamava sul telefonino mentre il padre si trovava fuori dal garage. Circostanza questa che scagionerebbe zio Michele il quale, secondo la sua stessa ricostruzione autoaccusatoria, quando il cellulare della nipote riceveva quegli squilli, lui la stava uccidendo nel garage. Dopo le domande dell’accusa, la presidente della Corte d’assise, Rina Trunfio, ha passato la parola alle parti civili e alla difesa. Qui, ovviamente le cose per Sabrina sono andate liscia potendo smentire ogni addebito nei suoi confronti e, alla domanda finale di uno dei suoi legali, Franco Coppi, ha rispondendo con convinzione di non avere ucciso Sarah Scazzi. "Sarah non l'ho uccisa io". Ha risposto senza esitazioni, dopo 9 ore di interrogatorio, alla domanda dell'avv.Franco Coppi, suo difensore, Sabrina Misseri imputata dinanzi alla Corte d'Assise di Taranto per l'omicidio di Sarah Scazzi. Allora perché suo padre l'accusa?, ha chiesto Coppi a Sabrina: "Il perché - ha risposto - è scritto nelle lettere e nei memoriali che continua a scrivermi e nei quali mi chiede perdono e nei quali si accusa di essere stato lui l'unico autore dell'omicidio".
« E' falso , è falso, è falso!». Scrive “La Gazzetta del Mezzogiorno”. Con decisione, la testa alta, senza «non so» e i «non ricordo» che poco prima avevano infarcito per sette ore le sue risposte ai pm, Sabrina Misseri riconquista la sua sicurezza e rispondendo alle domande del suo difensore e per un’ora smentisce tutte le accuse di avere ucciso Sara Scazzi. Sono quelle prevalentemente contenute nell’incidente probatorio in cui suo padre, Miche Misseri, la indica come responsabile dell’omicidio e quelle fatte da alcuni testimoni dell’accusa. L’avvocato Franco Coppi le cita puntualmente, una per una, e lei punto per punto nega tutto. A cominciare dalla domanda più diretta: lei ha ucciso Sarah? «No», risponde . Ma allora, le chiede l’avvocato, perchè suo padre l’accusa? «Il perchè – dice – è nei memoriali e nelle lettere che mio padre ha scritto e che continua a scrivermi e nei quali mi chiede spesso perdono». «Lui questo peso se lo vuole togliere – dice - e nelle lettere si accusa di essere stato l’unico responsabile dell’omicidio». Nella seconda udienza dedicata al suo interrogatorio – che così come la prima è durata dal mattino sino alla sera - Sabrina ha dapprima risposto per sette ore alle domande dei pm Mariano Buccoliero e Piero Argentino che alla sua sequela di «non ricordo» hanno risposto con altrettante contestazioni citando le dichiarazioni rese da Sabrina in precedenti interrogatori. Domande incalzanti e insistenti che a più riprese hanno indotto i difensori della ragazza a intervenire sino ad imputare ai pm la volontà di «sfiancare» l’imputata più che aiutarla a ricordare. Quasi sempre Sabrina non ha ricordato e soprattutto, non è stata in grado di riempire un vuoto di un’ora e mezza tra le 15.30 e le 17 del 26 agosto quando era a casa con sua madre, Cosima, coimputata. Domanda non pertinente, ha detto la difesa. Per niente, ha risposto l'accusa: il procedimento riguarda anche l’occultamento di cadavere. Finito, stremata, il confronto con l’accusa, con un momento di commozione solo quando ha ricostruito gli eventi della sera della scoperta del corpo di Sarah e l’incredulità per la confessione del padre, Sabrina ha risposto alle parti civili. Poi, con l’interrogatorio della difesa ha riconquistato tutta la sua forze e la memoria, sfoderando una serie di «non è vero», e fornendo la sua versione dei fatti, smentendo la versione del padre e anche quella dei testimoni che l’accusano. E' falso quel che dice suo padre, che il 26 agosto 2010 Sarah era a casa Misseri tra le 13 e le 14 e ha pranzato con loro. E' falso che stavano giocando a cavalluccio sotto la veranda. E' falso che lei ha svegliato suo padre che dormiva sulla sedia sdraio per chiedergli aiuto dopo avere ucciso Sarah. È falso che ha fatto da palo per strada mentre Michele Misseri si occupava di fare scomparire il corpo. Non è vero che aveva una cintura verde e che l’aveva appesa in garage. «Tutto quello che ha dichiarato mio padre è falso – dice ancora – non è vero che Sarah mi dava fastidio e che ero gelosa di lei a causa di Ivano. Non avevamo litigato la sera prima della scomparsa e comunque, quando la riprendevo per qualche motivo, poi le passava subito». Poi racconta delle liti continue tra suo padre e sua madre e della reazione violenta di quest’ultimo che una volta avrebbe aggredito sua moglie con un’accetta. Descrive il legame affettuoso con la sua cuginetta che non usciva mai senza di lei. Insomma, ha concluso il suo avvocato, possiamo dire che con la morte di Sarah lei ha perso una sorella? «Sì- ha risposto – possiamo dirlo».
Al proseguo del 27 novembre Sabrina Misseri è tornata in aula. E' ripreso con il controesame di Sabrina Misseri da parte dell’avv.Francesco De Jaco, difensore di Cosima Serrano, il processo per l’omicidio di Sarah Scazzi, la 15enne di Avetrana uccisa e gettata in un pozzo il 26 agosto 2010. Il legale ha chiesto a Sabrina particolari della vita di coppia tra Michele e Cosima e di un violento litigio avvenuto nella villetta di via Deledda. Nell’aula di Corte d’Assise si sono ascoltate alcune intercettazioni ambientali che riguardano Cosima, Valentina e Sabrina Misseri in cui si parla anche del telefono di Sarah Scazzi fatto ritrovare da zio Michele. L'imputata, accusata di aver ucciso la cuginetta con la complicità di sua madre Cosima Serrano, ha risposto alle domande, spiegando il contenuto delle conversazioni con la madre Cosima e la sorella Valentina. E’ poi cominciato l’esame del perito del tribunale che si è occupato delle intercettazioni ambientali. Alle ore 15 si è concluso l’esame di Sabrina. Dopo l’audizione del perito che si è occupato della trascrizione delle intercettazioni ambientali dei colloqui in carcere tra Michele Misseri e la moglie Cosima Serrano, il presidente della Corte d’Assise di Taranto, Rina Trunfio, ha aggiornato l’udienza del processo per l’omicidio di Sarah Scazzi al 4 e 5 dicembre prossimi. Il 4 dicembre comincerà l’esame dei testi indicati dal collegio difensivo, tra cui il capitano Nicola Abbasciano, ex comandante del Nucleo investigativo del comando provinciale carabinieri di Taranto, che si occupò delle indagini sull'uccisione della 15enne di Avetrana. Nell’udienza del 5 dicembre prossimo del processo per l’omicidio di Sarah Scazzi deporrà Michele Misseri, il contadino di Avetrana che consentì il ritrovamento del cadavere della nipote. Misseri inizialmente confessò il delitto della nipote 15enne, qualche tempo dopo invece addossò tutta la responsabilità sulla figlia Sabrina. Il 4 dicembre deporrà anche la psicologa Dora Chiloiro, mentre nell’udienza del 10 dicembre saranno ascoltati due consulenti della difesa e Liala Nigro, amica di Sabrina Misseri.
Udienze sotto tono per il marasma scatenato per l’Ilva. Ilva, indagati anche il sindaco di Taranto e un sacerdote. Da email e intercettazioni, spunta una rete di relazioni che tira in ballo la politica a tutti i livelli. I pm indagano sulle vecchie autorizzazioni ambientali. Il direttore dell'Arpa, Assennato: "Mai avuto pressioni da Vendola". Avviso di garanzia anche per il sindaco di Taranto Stefano e un sacerdote, scrive Chiara Sarra su “Il Giornale”. A Taranto gli operai non si arrendono e combattono contro la chiusura dell'Ilva. Ma la magistratura va avanti per la sua strada. Sette arresti e tutta la produzione degli ultimi quattro mesi (da quando cioè sono stati messi i sigilli) è stata sequestrata. Almeno altre cinque persone hanno ricevuto avvisi di garanzia e la procura di Taranto sta indagando anche a Bari e a Roma sulla vecchia Autorizzazione integrata ambientale (Aia) rilasciata il 4 agosto 2011 all’Ilva, poi riesaminata e approvata alcune settimane prima. Quel che viene fuori, però, è il chiaro coinvolgimento della politica locale: oltre all'ex assessore provinciale Michele Conserva, finito ai domiciliari, indagati anche il sindaco di Taranto Ippazio Stefano (Sel) e don Marco Gerardo, segretario dell'ex arcivescovo della diocesi. Dalle carte dei pm spunta anche il nome di Nichi Vendola, che avrebbe fatto pressioni sul direttore dell'Arpa Puglia, Giorgio Assennato, perché non pubblicasse gli studi sulle emissioni inquinanti dello stabilimento. Alla base di tutto ci sarebbe però, il consulente Girolamo Archinà. Ci sarebbe, infatti, proprio l’ex responsabile per i rapporti istituzionali dell'azienda dietro la fitta rete di esponenti politici messa in piedi per tenere bassa l'attenzione sulle emissioni dello stabilimento. Coinvolti esponenti a tutti i livelli: dal sindaco, appunto, al presidente della Provincia, Gianni Florido (Pd), ma anche consiglieri regionali e parlamentari (sia Pd che Pdl). Spuntano anche azioni "virtuose", come quella compiuta dall'onorevole democratico Roberto Della Seta (Pd) che ha provato a far inserire norme più restrittive sulle emissioni di benzo(a)pirene, scatenando però la reazione dell'azienda. Emilio Riva, patron dell'Ilva, avrebbe infatti scritto direttamente a Pier Luigi Bersani attraverso Archinà spiegando le sue ragioni per far tornare indietro Della Seta chiedendogli di "non fare il coglione". E le intercettazioni tirano in mezzo altri bersaniani, a partire dal deputato Ludovico Vico che avrebbe minacciato di far "uscire il sangue" alla Camera al collega. Senza dimenticare, come rivela il Fatto Quotidiano, i 98mila euro che la famiglia Riva diede a Bersani per la sua campagna elettorale...
Inoltre da “La Repubblica” si viene a sapere che ad Avetrana anche gli scuolabus sono coinvolti nelle truffe. L'Asaps rileva un caso appena scoperto ad Avetrana che interessa le irregolarità sugli automezzi utilizzati da una ditta privata appaltatrice del servizio di trasporto scolastico dei bambini. Fino a quando ci sono in ballo salumi e latticini si potrebbe dire "poco male", ma nel momento in cui viene messa a repentaglio la sicurezza dei bambini allora c'è poco da scherzare. In passato frodi e contraffazioni di tutti i tipi hanno visto coinvolte vetture e veicoli commerciali di vario tipo ma quanto successo ad Avetrana, comune salentino già salito agli onori della cronaca per il delitto di Sarah Scazzi, rasenta l'incredibile. A essere coinvolto nella vicenda è lo Scuolabus, mezzo adibito al trasporto dei più piccoli nel tragitto casa scuola e viceversa, che dovrebbe garantire sicurezza e tranquillità ai genitori che affidano al servizio i propri figli. Ebbene invece sembra proprio che non sia così poiché l'Associazione sostenitori amici polizia stradale ha rilevato come tutto questo venga clamorosamente disatteso: "Nella giornata di giovedì 22 novembre, infatti, durante un normale controllo effettuato dagli uomini del Distaccamento Polstrada di Manduria, sono emerse situazioni al limite dell'assurdo riguardo gli automezzi utilizzati da una ditta privata appaltatrice del servizio Scuolabus del comune in provincia di Taranto. Già ad un primo controllo gli agenti hanno accertato che le targhe appartenevano ad altri mezzi scuolabus e, inoltre, il certificato assicurativo era visibilmente contraffatto. Il Comando ha così deciso di procedere con un ulteriore controllo, effettuato il giorno successivo, a tutti gli automezzi presenti nella rimessa della ditta di trasporti. Con non poca sorpresa gli uomini accertavano l'apposizione di una targa non appartenente all'automezzo su un altro Scuolabus, peraltro sprovvisto di copertura assicurativa, e l'utilizzo di un terzo mezzo con destinazione diversa da quella per cui era stato immatricolato e, cioè, al trasporto di bambini fino a undici anni di età; in realtà trasportava ragazzi di età superiore che frequentano la scuola media". Una volta accertate le varie irregolarità il servizio è stato immediatamente interrotto, come sottolineano all'Asaps: "Ovviamente il passo successivo è stato il sequestro dei mezzi sprovvisti di copertura assicurativa e il fermo per targa non propria, nonché al ritiro della carta di circolazione per il veicolo adibito a destinazione diversa. Il conducente è stato denunciato in stato di libertà per i documenti assicurativi contraffatti. Nonostante gli uomini della Stradale siano abituati, quando effettuano certi controlli, a vederne di tutti i colori, questa volta la sorpresa è stata elevata alla potenza dal comportamento inqualificabile e (si può dire) criminale di queste persone che con una spregiudicatezza senza limiti hanno messo a repentaglio la sicurezza e la tranquillità di intere famiglie sicure di affidare in mani e automezzi sicuri i propri figli. I controlli effettuati sugli automezzi adibiti al trasporto dei bambini e degli studenti, sia per trasferimenti giornalieri sia per gite scolastiche, costituiscono una regola ferrea capace di dissuadere certi comportamenti che ledono qualsiasi parvenza minima di sicurezza e regolarità". Insomma una vicenda piuttosto sconvolgente poiché non è la solita truffa ai danni delle assicurazioni ma coinvolge diversi illeciti che mettono a rischio la sicurezza di un servizio che invece dovrebbe garantirla e perseguirla come obiettivo principale.
4 dicembre 2012. Trentesima udienza. Parla Andrea Merico, Nicola Abbasciano.
“Un giorno trovai Sarah che piangeva in casa di Sabrina. Seppi che Anna Pisanò, un’amica di Sabrina, le aveva detto che il padre andava dietro a donne”. Andrea Merico ha parlato dell’ottimo rapporto che esisteva tra le due cugine ma anche dell’odio che Sarah nutriva per Anna Pisanò da quando quest’ultima le avrebbe rivelato presunti tradimenti coniugali del padre. “Per Sabrina Sarah era quasi una sorella”. Sono queste le parole di Andrea Merico, fidanzato di Sabrina Misseri dal 2005 a ottobre 2009. Rapporti buoni, fraterni quelli tra le due cugine, almeno secondo Merico tanto che la ragazza veniva trattata “quasi come una sorella”. Parole che però non hanno convinto il pm Mariano Buccoliero che ha contestato alcune dichiarazioni dell’ex di Sabrina Misseri. In particolare, Merico avrebbe dichiarato che il suo rapporto sentimentale con Sabrina si sarebbe concluso nell’ottobre del 2009 e che ne era rimasto innamorato solo per poco tempo. Eppure, secondo il pm, non sarebbe stato così, visto il contenuto di alcuni sms dell’aprile 2010 scritti dal giovane a Sabrina, dai quali sarebbe emerso, invece, che il giovane era ancora innamorato della ragazza, anche se lei già frequentava Ivano Russo. Il ragazzo che ha cercato di mostrare il suo disinteresse nei confronti della sua ex, è apparso imbarazzato quando il pm ha letto alcuni suoi sms indirizzati a Sabrina, risalenti ad aprile e maggio del 2010, in cui traspare invece una forte attrazione per la ragazza che, in uno di questi messaggi recuperati, definisce «strabonazza». Processo che continua nella corte di Assise di Taranto, dove mentre sfilano uno ad uno i teste della difesa, fra gli altri, il capitano Nicola Abbasciano, all’epoca comandante del Nucleo investigativo dei carabinieri del comando provinciale di Taranto, si attende con trepidazione l’udienza di domani, il giorno di Michele Misseri. La trentesima udienza del processo in Corte d’assise sull’uccisione di Sarah Scazzi, ha fatto rivivere in aula i momenti in cui Michele Misseri, una settimana dopo il suo arresto per il confessato omicidio della nipote, ritrattò parte di responsabilità coinvolgendo la figlia Sabrina Misseri nel delitto. Su richiesta dell’avvocato Nicola Marseglia, difensore dell’imputata che grazie alle accuse del padre deve rispondere di omicidio volontario in concorso con la madre Cosima Serrano, sono state proiettate le immagini del primo sopralluogo di zio Michele nel garage di Via Deledda dove, secondo il suo racconto, fu uccisa Sarah. Le riprese hanno riguardato anche la visita quello stesso giorno nelle campagne in contrada Mosca dove il contadino portò il corpo senza vita della nipote per nasconderlo e vi bruciò i vestiti e lo zainetto che indossava. In quelle scene si è visto un uomo visibilmente provato, nel fisico e nell’animo, schiacciato dal peso d’inconfessabili verità che forse non dirà mai o, secondo la sua ultima versione, che ha già detto senza essere creduto. Michele Misseri indossa gli stessi abiti della notte di una settimana prima quando con la sua confessione shock fa ritrovare il corpo di Sarah nel pozzo in contrada Mosca. Nel garage di via Deledda, ambiente sporco e buio con tanti arnesi da lavoro ma anche tante cianfrusaglie d’improbabile utilità, zio Michele non ha proprio l’apparenza dell’orco che ha strangolato la nipote quindicenne. E’ impaurito, spesso china la testa, alle domande del pm Mariano Buccoliero risponde con difficoltà e a volte con lunghi silenzi. Assistito dal suo avvocato di allora, Daniele Galoppa, il presunto omicida inciampa soprattutto nella ricostruzione della vicenda della ricerca della Sim che, secondo il suo ricordo, cadde dal telefonino della nipote mentre la uccideva. In quella fase non aveva ancora accusato la figlia, lo farà nel primo pomeriggio nella caserma dei carabinieri di Manduria dove sarà portata anche Sabrina prima di essere trasferita con lui nel carcere di Taranto. La drammatica videocronaca di quel 15 settembre è servita all’avvocato Marseglia per dimostrare lo stato di evidente spossatezza in cui si trovava Michele, ma anche per rinfrescare la memoria del capitano Nicola Abbasciano chiamato a deporre in qualità di teste della difesa in quanto protagonista delle ricerche e del successivo ritrovamento del cadavere della ragazzina e all’arresto di Michele Misseri. I pm dell’accusa, Buccoliero e Pietro Argentino, hanno rinunciato ad ascoltare il teste, mentre i difensori di Cosima Serrano, gli avvocati Franco De Jaco e Luigi Rella, hanno ritenuto utile fare le loro domande. Fra gli altri testi citati anche alcuni consulenti.
5 dicembre 2012. Trentunesima udienza. Parla Michele Misseri.
Trentunesima udienza del processo per l'omicidio di Sarah Scazzi, incentrata sulla deposizione di Michele Misseri, lo zio della vittima, che consentì il ritrovamento del cadavere la notte tra il 6 e il 7 ottobre 2010. Misseri, che si era avvalso della facoltà di non rispondere quando era stato chiamato a deporre in qualità di imputato, ha accettato (ora nelle vesti di testimone citato dalla difesa di Cosima Serrano e Sabrina Misseri) di rispondere alle domande. Il contadino di Avetrana inizialmente confessò di aver ucciso da solo la nipote Sarah perché aveva respinto le sue avances sessuali, poi chiamò in correità la figlia Sabrina, a cui addossò tutte le colpe nel corso di un incidente probatorio. Il contadino, affrancato dall'accusa di omicidio, ora risponde solo di concorso in soppressione del cadavere. Dopo essere tornato in libertà zio Michele è tornato ad autoaccusarsi dell'omicidio, ma fino a questo momento lo ha fatto solo nelle interviste televisive. In aula è presente Concetta Serrano, la mamma di Sarah Scazzi. «Parlerò, dirò tutto», ha assicurato prima di essere sentito in aula. E il suo avvocato Armando Amendolito ha confermato con un sibillino: «qualcosa diremo». Un’udienza che potrebbe presentare dunque colpi di scena, ma sarà difficile che il contadino di Avetrana possa rimanere muto avvalendosi della facoltà di non rispondere come ha fatto nella sua veste di imputato di reato connesso. Michele Misseri in una lettera a Sabrina le assicura che dirà la verità. E non si possono dimenticare i cinque memoriali depositati dalla difesa di Sabrina Misseri (avvocato Franco Coppi insieme a Nicola Marseglia) in cui Misseri ricostruisce il delitto e spiega anche il perchè abbia accusato la figlia. Sarà l’avvocato Coppi a fare le domande a Misseri e sarà la terza volta che il grande avvocato si troverà a interrogare il contadino di Avetrana. La prima volta avvenne in carcere a gennaio 2011 quando Coppi fece riconoscere a Misseri le lettere scritte alla figlia in cui si accusava e chiedeva scusa. La seconda volta in udienza preliminare quando Coppi chiese esplicitamente: «E’ lei l’assassino?» e zio Michele rispose di sì. Domande e risposte in corte di Assise avranno un peso determinante per la sorte di Sabrina nonostante i pm abbiano spesso ripetuto che a loro le auto accuse di Misseri non interessano. Difficile sarà però superarle (se le ripeterà in aula) soprattutto dopo l’udienza del giorno prima dove è stato ascoltato, tra gli altri, il maresciallo dei carabinieri. Abbasciano, che nei mesi successivi alla scomparsa di Sarah dirigeva le indagini, ha descritto un Michele Misseri stordito quel giorno in garage quando iniziò ad accusare la figlia. Cosa che Misseri ha sempre ripetuto, sostenendo di avere preso dei tranquillanti, confortato anche dalle dichiarazioni del suo psichiatra. Le parole di un carabiniere presente quel giorno sono adesso difficili da smentire. Ma soprattutto è il video, proiettato in aula, a parlare e a raccontare che quel giorno Michele Misseri era assai confuso. «Ho ucciso io Sarah, questo rimorso non lo posso più portare dentro di me….Non è stata Sabrina ad uccidere Sarah» così Michele Misseri ha risposto piangendo a Franco Coppi, difensore di sua figlia Sabrina accusata dell’omicidio di Sarah Scazzi. «Quindi a provocare la morte di Sarah è stato lei, lo sta dicendo davanti alla Corte d’Assise», ha insistito il legale: «Si, sono stato io», ha risposto il contadino. Nella sua deposizione, Michele Misseri, piangendo, ha ricostruito quanto avvenuto il 26 agosto 2010 nel garage della sua villetta, quando fu uccisa Sarah. «Non ho visto scendere Sarah, era dietro di me. Mi ha detto: “zio perché stai gridando?” Le ho detto: vattene. Non ho capito cosa voleva da me, mi stava dando fastidio. Quando gli inquirenti mi hanno portato in garage per raccontare quello che era successo, ero drogato. Forse mi ha chiesto se poteva suonare al citofono della mia abitazione o forse mi ha chiesto perché stavo gridando. Io ho chiesto a Sarah di andarsene, io l'ho sollevata, io l’ho spostata per farla andare via, ma lei mi ha dato un calcio - ha detto - Da questo calcio è partito tutto. L'ho afferrata alle spalle e ho preso un pezzo di corda e l’ho stretta, avvolgendola con tre giri. Ma di questo me ne sono reso conto dopo. Non so nemmeno quanto è durato. Lei si è accasciata ed è caduta su un compressore, che è stato prelevato dagli inquirenti dopo tanti mesi». Quindi Misseri ha spiegato che "stava suonando il telefono di Sarah". Ad un certo punto la ragazza "si è accasciata - ha continuato il testimone - ed è caduta sul compressore. Non so nemmeno io quanto è durato tutto. Sono rimasto scioccato e non sapevo cosa dovevo fare in quel momento.» Quando il contadino di Avetrana ha iniziato la sua deposizione con queste dichiarazioni autoaccusatorie, il suo legale di fiducia, avvocato Armando Amendolito, ha rinunciato al mandato perché le dichiarazioni del suo assistito non collimano con la linea difensiva. «E' stata una decisione sofferta. E' una decisione che deriva non da scelte puramente tecniche. Io avevo consigliato a Misseri di astenersi da posizioni che potevano danneggiarlo ulteriormente. Ne abbiamo parlato fino a un quarto d’ora prima di entrare in aula e non sapevo se la sua scelta sarebbe ricaduta sulla sua posizione di autoaccusarsi, cosa che poi è avvenuta. Io ho precisato a Michele Misseri che nel momento in cui si fosse autoaccusato io avrei lasciato». Lo ha detto l’avv. Armando Amendolito, il legale che oggi in aula ha rimesso la difesa di Michele Misseri in conseguenza delle dichiarazioni che il suo assistito ha fatto alla corte di assise. A chi lo ha accusato di aver abbandonato il proprio assistito, Amendolito risponde: «Non ho mai sottovalutato l'aspetto umano con il mio assistito e mi ha dato fastidio sentire che Misseri è stato abbandonato. Io sotto il profilo tecnico non ero più in grado di offrirgli l’adeguato supporto, tuttavia dal punto di vista umano credo di poter continuare a coltivare un rapporto umano che si è creato in più di un anno di assistenza». Anzi a “Porta a Porta” della sera stessa Amendolito ha dichiarato che non ha mai dubitato della sincerità di Michele Misseri. L’udienza è stata sospesa in attesa che il Tribunale fornisca a Michele Misseri un avvocato d’ufficio. Già, gli avvocati. C’è chi per mesi ha cercato la verità, come Galoppa, per poi lasciare, e chi poi lascia perché si dice la verità!! I saluti cordiali di Amendolito con il Pm Buccoliero ed Argentino e la sua morale di avvocato che gli impone di difendere a tutti i costi il cliente da ulteriori accuse, che incastrerebbero, sì Michele, ma che renderebbero innocente Sabrina e Cosima, dà un’idea malsana della giustizia. D’altronde è da mesi che Michele ripete in tv e con le missive che è stato lui ad uccidere Sarah. Quindi perché meravigliarsi se tutto ciò viene confermato in aula? Meno male che c’è l’avv. Coppi che rimarca le posizioni: Pubblico Ministero per l’accusa; difensore per l’imputato. Onore delle armi ma battaglia all’ultimo sangue. L'avvocato Armando Amendolito è il quarto difensore di Michele Misseri che rimette il mandato. Prima di lui avevano preso la stessa decisione gli avvocati Daniele Galoppa, Francesco de Cristofaro e Massimo Saracino. Uno dei legali, Daniele Galoppa, ha poi denunciato per calunnia Michele Misseri, che lo accusò di averlo convinto ad addossare tutte le responsabilità dell'omicidio di Sarah Scazzi su sua figlia Sabrina. Galoppa ha rinunciato perché gli era stato affiancato Francesco De Cristofaro, l’avvocato romano, che a sua volta ha lasciato la difesa di Michele in quanto è stato perseguito dalla procura per reati, a loro dire, attinenti proprio la conduzione della difesa. Massimo Saracino ha rinunciato per motivi personali. La Corte d'assise ha disposto una pausa di cinque minuti. La Corte ha nominato l'avvocato Luca Latanza difensore d'ufficio di Michele Misseri dopo la rinuncia di Armando Amendolito. Il legale è stato individuato tramite il call center del sistema informatizzato. L'udienza prosegue perché il nuovo difensore e il suo assistito non hanno chiesto termine per consultare le carte processuali. Prima di Latanza era stato contattato l'avvocato Giovanni Rana, che ha comunicato la sua indisponibilità trovandosi fuori città. Il penalista ha accettato l’impegno permettendo all’interrogatorio di proseguire. Per le otto ore che sono seguite, si è visto un imputato a due facce: remissivo, debole e spesso in lacrime davanti alle domande del professore Coppi e deciso e a volte persino sfrontato quando a chiedere conto di ciò che ha fatto il giorno del delitto erano i pubblici ministeri. Nella prima parte zio Michele ha drammaticamente espresso a parole quanto sostiene da un anno e mezzo attraverso le lettere e le interviste televisive: «Sono io l’assassino, ho ucciso Sarah e poi l’ho gettata nel pozzo, ho fatto tutto da solo; mia figlia e mia moglie sono innocenti, io deve andare in galera e loro libere». Il movente è quello che racconta da sempre: «Il trattore non partiva, il sangue alla testa e non ho capito più niente». L’imputato ha più volte contestato «le indagini sbagliate dei magistrati» ma soprattutto ha accusato il suo ex avvocato, Daniele Galoppa, con la sua consulente, la criminologa Roberta Bruzzone: «Sono stati loro a spingermi con l’inganno ad accusare mia figlia», ha ripetuto Misseri giustificandosi con argomentazioni che lasciano interdetti: «Mi hanno detto che se accusavo Sabrina lei avrebbe fatto solo due anni e io sarei uscito subito». E ancora: «Quando mi hanno parlato dell’incidente probatorio ho capito che dovevo dire che Sarah era morta per un incidente di gioco così ho inventato la storia del cavalluccio». Per nove volte, di fronte al professore Coppi, è stato costretto a fermarsi per via delle lacrime e la commozione nel ricordare la nipote morta e la figlia accusata ingiustamente. Diverse e spesso contraddittorie le risposte che ha fornito poi ai due pm, Mariano Buccoliero e Pietro Argentino. Con loro Misseri è inciampato più volte ma soprattutto in due casi avrà fatto tremare i polsi alla difesa di Sabrina. È stato quando ha detto che la figlia, il pomeriggio del delitto, si trovava già sulla veranda quando lui è sceso per andare nel garage (in questo caso Sabrina avrebbe visto arrivare Sarah prima che questa scendesse nella cantina). Il secondo inciampo è stato quando ha dichiarato che la mattina del sopralluogo del garage (il 15 ottobre 2010) lui era stato «drogato dalle medicine» e che «solo nel pomeriggio» si è ripreso ed è stato più lucido. A quel punto il pm Buccoliero gli ha dato ragione: «Infatti signor Michele – ha detto – è stato proprio nel pomeriggio che lei ha accusato sua figlia mentre la mattina l’aveva nascosta». Il contadino ha dichiarato che in occasione del sopralluogo nel garage con gli inquirenti era stato «drogato», riferendosi a degli psicofarmaci che gli sarebbero stati somministrati mentre era in carcere. L'avvocato Franco Coppi, difensore di Sabrina Misseri, ha fatto presente al testimone che «nel caso, diremo alla Corte d'assise di recarsi sul posto e lei farà vedere come sono andate le cose». Michele Misseri ha ricostruito quanto avvenuto il 26 agosto del 2010 a partire dalla prima mattinata, quando si recò a un Consorzio per acquistare due lattine di olio e in seguito andò in campagna con il fratello Carmine. Al ritorno passò dalla banca per depositare un assegno. «Quel particolare l'ho ricordato in un secondo momento. Il bancario (Angelo Milizia, imputato anch’esso) - ha sottolineato zio Michele - mi disse che ci voleva la firma di mia moglie. Risposi che sarei tornato ma lui mi consentì di firmare al suo posto perché ci conoscevamo da tanto tempo». Misseri ha poi precisato che quel giorno aveva un forte mal di testa e che al suo ritorno a casa stava facendo un incidente stradale. «L'auto ha sbandato e stavo finendo fuori strada. Non so nemmeno io come sono riuscito a rimettermi in carreggiata. Peccato - ha detto piangendo - perché sarebbe stato meglio, la bambina si sarebbe salvata». Quando parla dell’oggetto utilizzato per uccidere la ragazzina, però, si esprime nuovamente al plurale, come già fece durante gli interrogatori nelle prime fasi del suo fermo. Ieri ha detto testualmente: «Quando abbiamo spostato il cadavere». Zio Miché non usa certamente il plurale perché ha fatto carriera ecclesiastica, ma è vero anche che non è un accademico della Crusca e quindi l’uso disinvolto della sintassi italiana non va esibito come la prova regina delle sue menzogne per coprire la verità giudiziaria su cui si incardina l’accusa per la figlia Sabrina e la moglie Cosima Serrano, in carcere da due anni. Certo che l’aspetto più importante non è quando Michele Misseri ha iniziato ad autoaccusarsi ed il suo legale di fiducia, Armando Amendolito, ha rinunciato al mandato, perché le dichiarazioni del contadino non collimavano con la linea difensiva. Ma l’aspetto forse più importante è che per la prima volta, con ragionevole certezza si sia arrivati a definire l’ora esatta della morte di Sarah. Zio Miché non ha parlato di orari, ma ha riferito una circostanza talmente precisa nella ricostruzione dell’omicidio che consente, grazie all’esame dei tabulati telefonici, di datare al secondo la morte di Sarah Scazzi. «Ho stretto Sarah con forza e a un certo punto ha cominciato a squillare il telefonino, che è caduto per terra». Se davvero la manovra di strangolamento è avvenuta mentre squillava il cellulare della ragazzina è sufficiente consultare i tabulati per verificare se quello squillo avvenne alle 14,42 del 26 agosto, cioè quando Sabrina, allarmata della scomparsa della cuginetta, le telefonò senza ottenere risposta. In un caso di omicidio in cui manca la certezza dell’ora della morte, questo elemento rischia di diventare un momento cardine di tutta la querelle processuale. Se quell’ora risultasse compatibile con gli altri dati processuali, Sabrina sarebbe innocente, come si proclama da due anni. La versione fornita ieri non è un colpo di scena, perché ricalca quella dei memoriali e delle interviste televisive, ma stavolta Misseri ha parlato davanti ai giudici, anche se è vero che, messo alle strette dai pm, è più volte caduto in contraddizione. Dalla confessione di Michele un altro dato appare evidente: il contadino avrebbe incrociato Sarah nel garage dell’abitazione per caso e solo per pochi minuti, prima che la nipote incontrasse Sabrina per andare al mare. Sarah sarebbe arrivata a casa Misseri tra le 14,35 e le 14,40. «Io voglio andare in carcere e pagare per quello che ho fatto. Sarah non riposerebbe mai in pace con delle persone innocenti in carcere». Lo ha detto Michele Misseri nel corso del processo aggiungendo di non voler coprire responsabilità della figlia Sabrina. «Se fosse stata lei - ha spiegato - le avrei detto che aveva sbagliato e avrei chiamato un medico». L'avvocato Franco Coppi, difensore di Sabrina Misseri, ha chiesto al teste di riferire delle lettere e dei memoriali scritti nei mesi scorsi. «Era l'unico modo per sfogarmi e dire la verità. Per questo - ha precisato - ho scritto a Sabrina prima di Natale, per scusarmi». Il contadino ha sostenuto di non aver mai molestato alcuna donna, neppure la cognata Dora, che invece aveva raccontato di un tentativo di approccio del parente, pur se risalente a moltissimi anni fa. Misseri ha ricordato anche i due episodi in cui minacciò la moglie Cosima, la prima con un'accetta, la seconda con una pietra. In questa seconda circostanza, la moglie se ne andò con l'auto lasciandolo solo in campagna. «Quando fece buio - ha detto Misseri - chiamai Sabrina e mi vennero a prendere lei e Sarah». Dopo una breve interruzione dell'udienza, Michele torna a raccontare i dettagli del delitto ma quando parla dell'oggetto utilizzato per uccidere la ragazzina, rispondendo a una domanda dell'avvocato Coppi, si esprime nuovamente al plurale, come già fece durante gli interrogatori fatti dagli inquirenti nelle prime fasi del suo fermo, e dice: «Quando abbiamo spostato il cadavere». Il contadino ha sottolineato di aver utilizzato una corda per strangolare la nipote e che era stata la criminologa Roberta Bruzzone a dire, invece, che era stata usata una cintura. «Buttai la corda, insieme alle scarpe, in un cassonetto», ha ricordato il teste. «Ho stretto Sarah con forza e a un certo punto ha cominciato a squillare il telefonino, che è caduto per terra. Non avevo visto che si era rotto, poi l'ho raccolto e messo nell'auto». Lo ha detto Michele Misseri, ricostruendo le fasi dell'omicidio di Sarah Scazzi. Il contadino ha aggiunto di aver premuto leggermente con le dita sugli occhi di Sarah. «Era una tecnica che avevo appreso in un corso che avevo seguito in Germania. Quando schiacci con il dito, se l'occhio si muove la persona è ancora viva, ma non si muoveva niente». Misseri ha poi sottolineato di aver cercato più volte di far trovare il telefonino di Sarah. «L'ho lasciato davanti alla caserma dei carabinieri - ha affermato Misseri - perché volevo che mi scoprissero, che era inutile girare e che ero stato io, ma non avevo il coraggio di confessare. In un secondo momento l'ho portato in una stazione di servizio di Manduria, dove c'erano due pietre grandi, ma nemmeno lì lo trovarono». «La terza volta - ha detto ancora - lo lasciai nei pressi di un vecchio autolavaggio dove poi ho scoperto che abitava Ivano. Quando lo trovarono tra gli arbusti mi misi a piangere: anche quello era un modo per far cadere le attenzioni su di me». «Quando lo seppe Sabrina - ha detto infine - mi disse: «se lo hanno lasciato lì, ti vogliono incastrare, ma ovviamente non sapeva che ero stato io». «Di quello che avevo fatto non lo sapeva nessuno, nemmeno Cosima e Sabrina. Loro mi vedevano piangere quando vedevo in tv le immagini di Sarah - ha continuato Michele in aula - mi stavo suicidando con un potente veleno - ha aggiunto - ma in questo modo però non avrebbero trovato il corpo della ragazza». Il contadino ha poi parlato nuovamente dell'omicidio ribadendo che Sarah gli aveva tirato un calcio. «Da lì- ha precisato - è partito tutto. Per questo mi è venuto il calore alla testa». Rispondendo alle domande dell'avv. Franco Coppi, alla ripresa dell'udienza sospesa per la nomina di un difensore d'ufficio, Misseri ha detto che tutte «le versioni in cui ha accusato Sabrina sono false». Misseri ha consegnato alla Corte una lettera anonima di minacce nei suoi confronti e ricordato che alcuni giorni prima qualcuno avvelenò i suoi 8 gatti. Inoltre, ha detto che il suo ex difensore Daniele Galoppa gli impedì di raccontare la verità, anche quando, dopo l'incidente probatorio, si era «pentito di aver raccontato cose non vere». «Non posso andare avanti così - ha aggiunto zio Michele - altrimenti devo pensare al suicidio. Mi dissero: arresteranno tuo fratello e tua moglie. Io lo so che mi inguaieranno perchè loro sono creduti e io sono uno stupido contadino. Dissero che mi potevano aiutare. - Piangendo, il contadino ha aggiunto - Tutti si sono approfittati della mia debolezza. Sanno che mi portano dove vogliono. Quello che dico è: proprio a me doveva succedere?» Rispondendo alle domande dell'avvocato Franco Coppi, Misseri ha detto che tutte "le versioni in cui ha accusato Sabrina sono false". Misseri ha consegnato alla Corte una lettera anonima di minacce nei suoi confronti e ricordato che alcuni giorni prima qualcuno avvelenò i suoi otto gatti. Inoltre, ha detto che il suo ex difensore Daniele Galoppa gli impedì di raccontare la verità, anche quando, dopo l'incidente probatorio, si era "pentito di aver raccontato cose non vere". Il contadino di Avetrana ha negato di aver abusato del cadavere della nipote. "Ho dichiarato il falso - ha detto ai giudici della Corte di assise di Taranto - solo quando ho affermato di aver abusato del cadavere di Sarah". Misseri ne aveva parlato nella sua prima deposizione agli inquirenti, quando aveva confessato di aver ucciso la piccola, determinando il proprio arresto. A proposito di presunte avances alla ragazzina, Misseri ha precisato: "C'è stato solo un episodio, quando detti a Sarah una pacca sul sedere e alcuni spiccioli". Misseri ha poi fatto una precisazione su una intercettazione ambientale e ha detto che gli inquirenti hanno trascritto male una sua frase: "Dissi: “mi scoprirò” e non “lo scoprirò” o “li scoprirò” con riferimento all'assassino di Sarah. «Non volevo uccidere Sarah. Ho spiegato come è successo. Questo rimorso lo porterò con me per tutta la vita. Vorrei che fosse tutto finito». «Abbiamo aspettato due anni – ha aggiunto – e ancora non si fa chiarezza». Poi il contadino si è asciugato le lacrime e ha detto alla corte: «Vabbè, andiamo avanti». «Io voglio andare in carcere e pagare per quello che ho fatto. Sarah non riposerebbe mai in pace con delle persone innocenti in carcere». Il pm Mariano Buccoliero ha rivolto diverse contestazioni a Michele Misseri per dichiarazioni che contrastavano con quelle rilasciate agli inquirenti nel corso degli interrogatori. In particolare si è parlato della porta interna della villa di via Deledda che dà accesso al garage in cui sarebbe stata uccisa Sarah Scazzi. In un colloquio in carcere del 7 marzo 2011 con la moglie Cosima, i due coniugi discutevano del fatto che i carabinieri avevano trovato una traccia di sangue per terra. Misseri disse alla moglie: “è possibile che ti sei tagliata quando sei scesa”. Ma, ha fatto notare il pm, il contadino non poteva sapere che Cosima era scesa da quella porta, aperta successivamente dagli inquirenti, ed era andata nel garage. Un’altra contestazione ha riguardato le dichiarazioni di Misseri relative a quanto avvenuto il 26 agosto 2010, dopo che il teste aveva pulito il trattore ed era salito in casa per mangiare. Misseri ha riferito di aver visto Sabrina e Cosima dormire sul letto matrimoniale. Nell’interrogatorio del 6 ottobre 2010, invece, l’agricoltore disse che aveva parlato con Sabrina e che era stata sua figlia a riferirle che la madre riposava nella stanza da letto. «L'ho sollevata da terra e mi ha tirato un calcio e forse anche uno schiaffo. Ho afferrato la corda ma non ricordo come l’ho strangolata. Dopo ho visto che c'erano due giri di corda». Michele Misseri ha ricostruito le fasi dell’omicidio di Sarah Scazzi, ma non ha saputo spiegare come si è avvicinato alla quindicenne e in che modo ha utilizzato la corda per soffocarla. Sul punto ci sono state numerose contestazioni da parte del pubblico ministero Mariano Buccoliero, che ha chiesto al contadino di raccontare nei particolari quanto avvenuto nel garage della villetta di via Deledda il 26 agosto 2010. Misseri più volte ha chiesto di essere portato sulla scena del delitto. Il contadino ha detto che lo spessore della corda era all’incirca di 12 millimetri. “Cercai la scheda sim del telefono di Sarah insieme a Sabrina”. Lo ha detto Michele Misseri nel corso del processo in Corte d’Assise, incorrendo nell’ennesima contestazione del pm Buccoliero. Alcuni giorni dopo l’omicidio il contadino si sarebbe fatto aiutare dalla figlia Sabrina per cercare nel garage della villa di via Deledda la sim del cellulare della nipote. Alla figlia, però, disse che avrebbero dovuto cercare una vite. “Come ha fatto – ha detto il pm – a correre il rischio pazzesco di trovare la sim del telefonino di Sarah e di farsi scoprire visto che Sabrina non sapeva nulla dell’omicidio?”. Sul punto Misseri ha risposto in maniera vaga. Contestazioni risibili confronto alla confessione di chi, dichiarandosi colpevole del delitto, è libero. Contestazioni ingigantite, però da coloro che vogliono vedere in Sabrina l’arpia colpevole della morte di Sarah. Per chi ha fede non ci vogliono prove, per chi non ha fede le prove non sono mai abbastanza. Nell’ultima parte dell’udienza Michele Misseri ha parlato dei momenti successivi all’occultamento del cadavere della 15enne nel pozzo in località 'Mosca'. Di versioni ne ha fornite più di una indicando vari moventi e accusando prima se stesso e poi sua figlia, ma è dai primi mesi del 2011 che Michele Misseri ripete sempre la stessa cosa: “Sarah l’ho uccisa io da solo, e da solo ho nascosto il cadavere”. Ed è la stessa versione fornita oggi quando, dinanzi ai giudici della Corte d’Assise di Taranto, è stato interrogato come teste dalla difesa di sua figlia Sabrina, la giovane imputata dell’uccisione di Sarah Scazzi (avvenuto ad Avetrana il 26 agosto 2010) in concorso con sua madre Cosima. L'autoaccusa di Michele Misseri ha prodotto la rimessione del mandato del suo difensore, l’avv. Armando Amendolito, il quarto da quando, nell’ottobre 2010, è cominciata la sua vicenda giudiziaria. Anche Michele Misseri infatti è tuttora imputato nel processo, ma solo per sottrazione di cadavere e, mentre sua moglie e sua figlia sono in carcere, lui è in libertà. Dalla prima confessione del 6 ottobre 2010, la notte in cui fece anche ritrovare il cadavere di Sarah nascosto in un pozzo nelle campagne di Avetrana, zio Michele ha cambiato più volte idea. In sostanza le versioni sono tre, ma contando le variazioni sulle tesi principali si arriva sino a sette. La notte della confessione Michele disse di avere ucciso Sarah e di avere compiuto abusi sessuali sul suo corpo. Qualche giorno dopo, il 15 ottobre, chiamò in causa sua figlia Sabrina sostenendo che lei aveva trattenuto la ragazza mentre lui la strangolava in garage. Poi, in una ulteriore versione, cristallizzata in un incidente probatorio il 19 novembre 2010, ha attribuito tutta la responsabilità a Sabrina, sostenendo di avere visto Sarah quando era già morta in garage, e di essersi occupato solo di nascondere il corpo. Mai, in tutte le sue versioni, ha chiamato in causa sua moglie Cosima. La versione fornita nell’incidente probatorio è quella attorno a cui ruota l’accusa: Misseri ha indicato come movente la gelosia che Sabrina provava nei confronti della cuginetta Sarah, a causa del loro comune amico Ivano del quale entrambe erano invaghite. A partire dai primi mesi del 2011, zio Michele ha riavvolto il nastro ed è tornato ad addossarsi tutta la responsabilità dell’omicidio (escludendo però il movente sessuale) e accusando il suo primo difensore, l’avv. Daniele Galoppa, e la criminologa nominata da Galoppa come consulente, Roberta Bruzzone, di averlo indotto a accusare sua figlia che invece è innocente. La confessione in aula di Corte di Assise scalza la confessione resa nell’incidente probatorio. Nonostante ciò durante la giornata i talk show si rincorrevano a dedicare la programmazione all’evento mediatico. Tutti a trovare ed a rimarcare le contraddizioni delle dichiarazioni del contadino di Avetrana ed a sminuirne la portata processuale. Perché, se Misseri è inattendibile, vienn ecreduto solo quando accusa Sabrina? Viene in mente quando qualcuno chiese a Michele sulle scale del Tribunale di Taranto “non ci sono prove della tua colpevolezza” e lui rispose “perché per Sabrina ce ne sono?”.
Il rendiconto quasi integrale ed asettico della giornata da parte dell’inviata de “La Stampa”, Maria Corbi.
«Non è stata Sabrina ad uccidere Sarah» così Michele Misseri ha risposto piangendo a Franco Coppi, difensore di sua figlia Sabrina accusata dell’omicidio di Sarah Scazzi. «Quindi a provocare la morte di Sarah è stato lei, lo sta dicendo davanti alla Corte d’Assise», ha insistito il legale: «Si, sono stato io», ha risposto il contadino. Nella sua deposizione, Michele Misseri, piangendo, ha ricostruito quanto avvenuto il 26 agosto 2010 nel garage della sua villetta, quando fu uccisa Sarah. Racconta la sua verità. Inizia dalle prime ore di quella mattina del
26 agosto:
«Quella mattina sono andato al consorzio a prendere due lattine di olio. Avevo mal di testa. Mentre andavo a lavorare sono uscito fuori strada con la macchina. Era meglio se quel giorno fossi morto io invece di quella bambina». «Quella mattina non ho sentito Cosima e Sabrina litigare (come invece detto in incidente probatorio) perchè dopo l’olio sono andato subito in campagna senza tornare a casa. Quel giorno stavamo preparando gli ulivi per la raccolta. Ho lavorato fino alle 12,30. Non sono tornato direttamente a casa, sono andato alla banca a depositare un assegno. E il banchiere mi disse: vedi che qui ci vuole la firma di tua moglie. E poi mi disse di metterla io la firma di mia moglie che tanto ci conoscevamo.. Non sono entrato a casa e sono andato direttamente in garage. Avevo avuto in prestito un arnese e volevo andare a lavorare per poi restituirlo. Quando stavo in garage non ho visto che ora era. Dalli Cuturi ad Avetrana sono 12 chilometri, massimo quindici minuti di vogliono perchè io non vado veloce in macchina. Dal deposito dell’assegno di può vedere che ora era quando stavo in banca. Quando sono salito in casa dopo il garage sono salito sopra e ho visto mia moglie e mia figlia che riposavano».
La morte di Sarah
«Sarah o non l’ho vista scendere, l’ho sentita dietro di me. E non lo so se mi chiedeva se potevo aprirle perchè non voleva suonare per non svegliare mia moglie, o se mi voleva dire qualcos’altro. Le ho detto Sarah vattene. Agli inquirenti quando mi hanno portato in garage non lo ho potuto dire perchè stavo drogato. Lei insisteva e la ho girata di peso per spostarla e lei mi ha dato un calcio. E da questo calcio è successo tutto. Sempre di spalle l’ho presa. E c’era un pezzo di corda, mica ho visto che ho fatto tre giri intorno al collo, solo quando gliela ho tolta me ne sono accorto. Non so nemmeno quanto ho stretto. Era una corda. Poi si è accasciata ed è andata a cadere sul compressore. Non so nemmeno io quanto è durato. Sono rimasto choccato, e non sapevo che fare. Bisogna capitarci per capire».
La confessione
Avvocato Franco Coppi: «Quindi non è stata Sabrina ad uccidere Sarah?
Misseri: «No».
Coppi: «E’ stato lei?»
Misseri: «Si».
L’avvocato di Misseri rimette il mandato
Una confessione in aula che provoca la reazione del suo avvocato, Armando Amendolito: «Rimetto il mandato perchè il mio cliente non ha aderito alla linea difensiva concordata». E cosa significhi questo non lo spiega. Avevano concordato di continuare ad avvalersi della facoltà di non rispondere? Amendolito non lo dice e fugge dal tribunale. Entra così un ennesimo legale per Misseri, nominato d’uffico, Luca La Tanza. L’avvocato chiede a Misseri cosa desidera fare. «Voglio parlare oggi», dice sicuro il contadino. E allora La Tanza decide di non chiedere i termini a difesa. Si va avanti. Coppi riprende da quel «Sì ho ucciso Sarah e porterò sempre il rimorso» e chiede il perchè delle sue tante versioni. Dalla confessione alle accuse alla figlia fino alla ritrattazione passando per un incidente probatorio in cui sosteneva che la morte di Sarah era avvenuta in seguito a un gioco tra le ragazze, il «cavalluccio».
L’inizio delle accuse a Sabrina
«Ricordo di un carabiniere che quel giorno in garage mi disse “e se diciamo che Sabrina ti ha portato Sarah e tu le hai messo la corda al collo?”. Io ho detto che non potevo accusare mia figlia e lui mi ha assicurato che tra «padre e figlia non ci sono reati. Ma voglio liberarmi la coscienza perchè non posso andare più avanti se no devo andare al suicidio».
Perchè ho accusato Sabrina
«Alla consulente ho raccontato le cose come sono andate. Lei mi disse: “Ti possiamo aiutare, se diciamo che è stato un incidente tu uscirai adesso, tua figlia tra due anni. E perciò io non sapevo che cosa era un incidente probatorio. Si sono approfittati tutti della mia debolezza». Misseri piange ma vuole andare avanti: «Mi devo sfogare». Lei (la consulente) si è sdraiata due volte a terra per farmi vedere come andava messa la cintura. E così è nata la versione della cintura.
Avvocato Coppi: «Perchè tutti ci chiediamo come fa un padre ad accusare la figlia».
Misseri: «Io con lo psichiatra ho detto che ho fatto la falsa perchè loro mi dissero che altrimenti avrebbero arrestato mia moglie e mio fratello». Ma alla dottoressa Chiloiro, a un’altra dottoressa, allo psichiatra al cappellano, agli agenti penitenziari, al detenuto che puliva i pavimenti ho sempre detto di essere io l’assassino.
Io con il mio ex avvocato non potevo parlare perchè non mi ha mai creduto. Lui mi diceva anche che non dovevo riconoscere le lettere che avevo scritto a Sabrina chiedendole scusa».
Coppi chiede se ricorda chi ci fosse quel giorno in carcere quando lui lo interrogò e gli chiese delle lettere. Misseri risponde di si, che si ricorda.
Qualcuno sapeva?
Coppi: «Lei ha mai confessato prima di essere arrestato quello che era successo a sua moglie e a sua figlia?»
Misseri: «Mai, ma io piangevo tutte le notti. Io stavo morendo e piangevo e Sabrina mi aveva visto in questo stato».
Perchè?
«Non mi so dare una spiegazione di quello che è successo. Dal calcio è partito tutto. Se non me lo avesse dato forse non sarebbe successo niente. Io so solo che quando ho detto Sarah vattene, la ho sollevata di peso».
Cinta o corda?
«Tutti dicevano che era una cintura, che si vedeva. Invece era una corda. Quella corda io l’ho buttata insieme alle scarpe nel cassonetto vicino a casa mia. Nessuna cintura. Sarah è cascata sul compressore con il collo e forse quei segni sono del compressore».
Incidente probatorio
«Dell’incidente probatorio non c’è niente di vero. Io volevo dopo che gli inquirenti mi interrogassero. De Cristofaro mi ha detto che se volevo dovevo scrivere una lettera per fare una richiesta e lui la avrebbe portata. Mi avevano detto che doveva sembrare un incidente e mi sono inventato il gioco del cavalluccio».
Coppi: «Tutte le accuse a Sabrina sono false?
Misseri: «Tutte false. Io sono qui solo per Sarah. Io volevo parlare anche l’altra volta, ma poi mi hanno ucciso i gatti, mi volevano avvelenare con delle merendine e allora non l’ho fatto. Ho avuto anche lettere di minaccia».
Bugie
«Non è vero che quel giorno andai a riposare dopo pranzo e non è vero che ascoltai Sarah e Sabrina che scherzavano. Non sapevo che dovevano andare al mare. La consulente mi disse se vuoi salvare tua moglie devi dire che Sabrina ti aveva svegliato sulla sdraio per farsi aiutare dopo aver ucciso Sarah».
Il garage
«Al garage non si poteva passare dalla casa in quel tempo ma solo dalla strada. Io avevo tolto la maniglia» (Secondo l’accusa il delitto è stato commesso in casa e poi il corpo trasportato in garage).
La scomparsa
«Sabrina mi ha chiesto più volte se avevo visto Sarah dicendomi che se la vedevo dovevo farla aspettare. E quando lei se ne è andata ho fatto marcia indietro con la macchina e ho caricato il corpo della ragazza, poi ho parcheggiato la macchina. Poichè Cosima mi aveva detto che dovevo andare a fare fagiolini con mio cognato, io le dissi che dovevo andare da mio fratello che erano scappati i cavalli. Per questo chiamai Carmine e gli dissi che se chiamava mia moglie doveva dirgli dei cavalli».
Il telefonino
«Non ho mai avuto il coraggio di confessare, ma volevo liberarmi la coscienza per questo ho lasciato il telefonino di Sarah davanti alla caserma dei carabinieri. Dopo 3, 4 giorni lo ho portato al benzinaio sulla strada di Manduria. Ma nemmeno li è stato trovato. Poi lo ho portato a un vecchio autolavaggio e nemmeno sapevo che lì abitava Ivano. Poi lo ho portato in campagna dove lo ho trovato. Ho telefonato a Valentina dicendo che mi ero dimenticato un cacciavite e che avevo trovato un telefonino. Mia figlia disse che dovevamo chiamare i carabinieri. Sabrina mi disse che qualcuno lo aveva messo lì per incolparmi. Non mi ha mai detto di non darlo ai carabinieri. Non avevo il coraggio di confessare perchè ad Avetrana mi conoscono tutti come una brava persona. Adesso non lo sono più».
Il soliloquio in macchina
Avvocato Coppi. «Lei il 6 ottobre 2010 di trovava in macchina e parlava da solo. Io traggo da questa pagina il contenuto di parole che pronunciava da solo. Prego l’avvocato Marseglia di leggere in dialetto l’intercettazione ambientale». Il presidente Trunfio spiega che non si può leggere l’estratto di quell’atto. «Io dicevo io mi scoprirò e poi mi riferivo alla famiglia Scazzi e dicevo che mi dispiacevo per la loro figlia. E’ stato tradotto malissimo».
Lettere e memoriali
«Quello che c’è scritto è verità». «Io sono andato in carcere cosciente di quello che dovevo subire. Io non volevo uscire dal carcere. Venne il direttore del carcere La Marca e mi disse che doveva darmi una brutta notizia. “Mi dispiace ma devi uscire”, disse».
Altarino per Sarah
«L’ ho messo li l’altarino perchè lì è morta. Io tutti i giorni prego. Per me Sarah è ancora lì, se ne andrà quando tutto sarà finito».
Pozzo
«Al pozzo sono andato una volta con una giornalista. Li ho portati».
Sabrina
«Sono pentito di quello che ho fatto. Devo pagare per quello che ho fatto. Non è giusto che paghino degli innocenti. Non ho mai coperto nessuno. Se fosse stata mia figlia le avrei detto hai sbagliato. Ma visto che era successo a me non volevo farmi scoprire».
Vilipendio di cadavere
«Ho detto una bugia, non l’ho toccata. L’unica volta che l’ho toccata è stato qualche giorno prima quando le ho dato una pacca sul sedere. E lei mi ha detto che se lo rifacevo un’altra volta lo avrebbe detto a Sabrina.
La valigia
«L’ho sempre pronta per tornare in carcere»
Il fratello e il nipote
«Non c’entrano niente, se gli avessi chiesto di aiutarmi avrebbero buttato me nel pozzo, non il cadavere. Sarah non pesava niente, è stato facile sollevarla da solo».
Già è un’aberrazione giuridica quella di affidarsi al libero convincimento di un giudice (una persona normale con i suoi limiti umani, non un dio), figuriamoci esser influenzati dal libero e personale convincimento di salottieri televisivi improvvisati e spesso interesati, come lo è Roberta Bruzzone che su “Porta a Porta” le viene dato modo di giustificarsi sulle dichiarazione di Michele che accusa lei e Galoppa di aver influito sulle accuse alla figlia Sabrina. Quando i parterre televisivi ospitano gente che ha tutto l’interesse a indicare Sabrina come l’omicida di Sarah, il popolino credendo a dei mistificatori, prende per buono quel che si starnazza nei salotti televisivi (l’hanno detto in televisione).
Michele Misseri, il contadino di Avetrana coinvolto nell’omicidio della giovane Sarah Scazzi, è stato dall’inizio di questo tragico delitto forse quello che, tra gli indagati, maggiormente ha fatto discutere. Ha fatto discutere perché “zio Michele” è stato colui che per primo ha confessato l’omicidio, che ha fatto ritrovare il corpo della nipote Sarah, colui che ha anche avanzato particolari ricostruzioni intorno al delitto di Avetrana ma che poi ha tirato in ballo la figlia Sabrina, ora in carcere (mentre lui è libero) con l’accusa di aver ucciso la cugina insieme alla madre Cosima Serrano. Ma da quando Misseri ha ritrovato la sua libertà non ha fatto altro che cercare di convincere gli inquirenti di essere il vero responsabile della morte di Sarah, di meritare il carcere al posto delle donne della sua famiglia. E proprio a loro Misseri ha scritto diverse lettere in questi mesi, Tgcom24 ne ha pubblicato alcune in esclusiva: ha preso foglio e penna e si è rivolto a Sabrina e a Cosima, protagoniste delle ultime udienze del processo a Taranto. Nelle lettere Misseri parla di tante cose, compreso un tentativo di avvelenamento nei suoi confronti. Alla figlia Sabrina lui si rivolge in questo modo: “Quella mattina che io dovevo essere interrogato mi avevano messo nella cassetta della posta due fette biscottate al latte…c’erano due buchi invisibili, forse volevano avvelenarmi come hanno fatto coi gatti”. Così Misseri scrive delle presunte minacce di morte giunte nei suoi confronti, insieme a una “brutta lettera” di cui parla ancora a sua figlia. Ammette di non riuscire più a dormire, di essere stanco di vivere “in questo schifo di vita”. Quando, al processo, avrebbe potuto parlare ai giudici Misseri si è detto “stanco” e si è avvalso della facoltà di non rispondere ma a Sabrina dice: “La prossima volta al processo devo parlare per forza ma non so se gli inquirenti mi crederanno”. Poi ci sono le lettere indirizzate a Cosima Serrano, sua moglie. A lei Misseri ribadisce il suo pensiero sugli inquirenti e sulla giustizia, quella giustizia nella quale lui ormai non crede più.
Tgcom24 pubblica alcune missive che “zio Michele”, accusato di occultamento di cadavere della nipote Sarah Scazzi, ha scritto alle donne della sua famiglia tuttora in carcere. “Ho ricevuto minacce, non riesco più a dormire, volevano avvelenarmi come hanno fatto coi gatti”. In esclusiva per Tgcom24, le lettere di Michele Misseri che ha scritto alla moglie Cosima, in carcere, e alla figlia Sabrina. Nelle missive, l'uomo sostiene di non essere creduto dagli inquirenti e di dubitare nella giustizia. Proprio a Cosima, scrive: “Chi sbaglia paga ma gli inquirenti non mi credono, io non sto coprendo niente io prima avevo fiducia nella giustizia ora non più”. Nella missiva alla figlia, invece, scrive: “Ho ricevuto una brutta lettera di minacce…io non riesco più a dormire..sono stanco di vivere in questo schifo di vita”. Sempre alla figlia, dichiara: “La prossima volta al processo devo parlare per forza ma non so se gli inquirenti mi crederanno”. Le presunte minacce di morte si sarebbero concretizzate in un tentativo di avvelenamento: "Quella mattina che io dovevo essere interrogato mi avevano messo nella cassetta della posta 2 fette biscottate al latte…c’erano due buchi invisibili, forse volevano avvelenarmi come hanno fatto coi gatti”. «Sabrina dice tante bugie e una che ha bisogno di mentire è chiaro che fa venire sospetti ». Lo ha detto Ivano Russo, in un intervista mandata in onda il 3 dicembre 2012 durante la trasmissione di Rai 1, «La vita in diretta» con Marco Liorni, accompagnato da un nuovo avvocato accompagnatore, Francesco Mancini. Avvocato per che cosa, se non è indagato né imputato? «Se potessi tornare indietro non vorrei mai aver conosciuto quella famiglia», ha detto ancora il giovane che secondo la Procura rappresenta il movente inconsapevole del delitto di Sarah Scazzi. Una delle tante domande del giornalista Giuseppe La Venia, che ha soppiantato Giacinto Pinto, chiede se fosse vero, come sostiene Sabrina, di non essere stata mai innamorata di lui. L’ex amico dell’imputata ha confessato, per la prima volta, «di avere avuto l’impressione, soprattutto negli ultimi tempi, di un suo atteggiamento diverso». Russo ha smentito ancora l’estetista: «Ha detto in aula che io la toccavo davanti a tutti, ma anche questo non è vero». A proposito di menzogne sembra nell’intervista che Ivano entri in contraddizione con quanto se stesso ha dichiarato da sempre e, oltre che apparire reticente, si rimangi la sua deposizione resa in aula, da cui può scaturire reato di falsa testimonianza, e scarica l’amica Sabrina. Ad averne amici così. Ma fa un’altra cosa. Mette a nudo l’improvvisazione degli organi inquirenti che si aggrappano a qualsiasi movente, pur se risibile ed assurdo, facendo leva sul libero convincimento dei giudici nell’emettere sentenza. E comunque una domanda sorge spontanea: tenuto conto delle circostanze palesate dalle precedenti intercettazioni con Corona, quanto ha contrattato per apparire su Rai 1 in due successive comparsate, in un salotto oltremodo pieno di opinionisti mal disposti contro Sabrina? Certo è che è stato un forte spot per trovare lavoro, in quanto la Rai è apparsa un’enorme ufficio di collocamento.
Giornalista: «Sono passati oltre due anni dalla scomparsa di Sarah Scazzi. Lei secondo i magistrati è stato il movente inconsapevole di tutta questa vicenda e ne ha pagato le conseguenza in tutta la sua vita privata. Innanzi tutto, oggi come sta Ivano Russo.»
Ivano Russo: «Oggi sto molto meglio, perché comunque ….ho…devo diventare papà. Sto cercando di ripartire per garantirmi un futuro a me ed a tutte le persone…. cioè a mio figlio in particolar modo.»
Giornalista: «Il processo per l’omicidio di Sarah Scazzi sta procedendo. Ormai siamo alle battute finali. Lei lo sta seguendo?»
Ivano Russo: «E’ inevitabile non sentire quello che succede. Ci sono parecchie cose che ho sentito che non sono veritiere. Ho sentito, per esempio, che io davanti a tutti la palpeggiavo. Io non l’ho mai palpeggiata davanti a nessuno. Cioè non ho mai fatto un atto del genere.»
Giornalista: «Sabrina per esempio ha detto “io non ero innamorata di Ivano”.»
Ivano Russo: «Non mi ha dato mai dimostrazioni che aveva dei sentimenti nei miei riguardi del genere..eh…sentimenti del genere, quindi…eh…diciamo che con il tempo invece un po’ il sospetto mi ha colpito, perché comunque alcuni atteggiamenti non mi sono stati più chiari.»
Giornalista: «Nei mesi successivi all’arresto di Sabrina lei diceva “non ho mai sospettato di Sabrina e sono sicuro fino a prova contraria che Sabrina sia innocente. Adesso con l’inchiesta e con il processo con tutto ciò che sta emergendo, ha cambiato idea o resta con l’opinione di allora?»
Ivano Russo: «Come ho detto prima…eh…questa donna dice tante bugie…ne dice proprio tante. Quindi io penso che quando una persona ha bisogno di mentire è perché nasconda qualche cosa. Eh..se all’inizio mi ero fidato di un’amica, adesso io ho dei seri dubbi su questa persona..proprio sul perché questa donna ha bisogno di mentire e quindi non mi è più chiara la sua situazione.»
Giornalista: «Qualche volta ha imprecato dicendo “magari non avessi mai conosciuto Sabrina, mai sarei entrato in questo guaio.»
Ivano Russo: «Diciamo che io non….se tornassi indietro…maledico quel giorno che ho incontrato Sabrina, che ho conosciuto questa famiglia. Ed adesso se dovessi scegliere, preferirei di non conoscerli.»
Giornalista: «Lei ha mai temuto un errore, un errore giudiziario?»
Ivano Russo: «C’è stato un momento che io mi sono sentito come un sospettato. Anche perché soprattutto mi ricordo al primo interrogatorio c’è stata una frase di un carabiniere. Parlandomi ha detto che….siccome mi stavano tenendo per parecchie ore, io gli ho chiesto “ma perché mi tenete qua tante ore” e lui mi rispose che praticamente…siccome a me era venuto a mancare mio padre, avevo…ero arrabbiato con l’esistenza, con Dio, poi…allora sarei stato capace di fare qualche cosa di grave, E lì ho incominciato ad aver paura di un errore giudiziario.»
Giornalista: «Di Sarah che cosa le resta dentro?»
Ivano Russo: «Mi auguro che chi ha fatto questo reato, possa un giorno, almeno per un giorno, eh…capire realmente quello che ha fatto. E che magari la propria coscienza si smuova un po’, perché stiamo parlando di una ragazzina indifesa che non aveva nessuna colpa e che non meritava questa tragica fine. Io la ricordo con tenerezza e mi dispiace che sia morta così. Ha avuto una fine così tragica e così giovane. Perché, ritorno a dire, non se lo meritava.»
Già il giorno prima sempre Ivano Russo, in un intervista mandata in onda il 2 dicembre 2012 durante la trasmissione di Rai 1, «Così è la vita» con Lorella Cuccarini, accompagnato sempre dal suo nuovo avvocato accompagnatore.
Giornalista: «La tua vita è cambiata, coinvolto tuo malgrado in questa bruttissima vicenda e c’è ancora un processo in corso. Tu torni a parlare con la stampa dopo un lunghissimo periodo di silenzio per parlare delle tue paure e del momento che stai attraversando. Quali era e quali sono le tue paure.»
Ivano Russo: «Le mie paure, all’inizio..diciamo che…siccome..i sospetti sono, in un primo momento, incentrati sulla mia persona, avevo paura di un errore giudiziario. Tutte le volte che mi ritrovavo a pensare se questo poteva succedere, mi faceva un certo effetto, perché, comunque, essendo una persona che sempre è stata tranquilla e che, comunque, non centra niente con quello che è successo alla povera Sarah, mi ritrovavo a pagare delle colpe che non avevo.»
Giornalista: «Volevi spiegare in quel momento che pochi ti credevano che certamente in quel periodo i riflettori erano stati accesi su di te. Però adesso stai vivendo un momento particolarissimo della tua vita, un momento molto felice, perché la tua compagna, Virginia, sta per renderti papà, perché tra poche settimane nascerà tuo figlio. Che cosa cambia per te.»
Ivano Russo: «Cambia tanto, perché, comunque, sarà una gioia immensa ed un punto sulla quale partire per una nuova vita, per un futuro. Lo devo fare per me e soprattutto per mio figlio e per la mia ragazza.»
Giornalista: «Le ripercussioni di questa vicenda, di questa inchiesta giudiziaria, ci raccontavi, che riguardano la tua vita privata e riguardano la tua famiglia, perché hai molte difficoltà a trovare un posto di lavoro, nonostante tu abbia tentato più volte. Perché questo.»
Ivano Russo: «Diciamo che all’inizio era ancora più difficile. Io sono una persona come tante altre, che al giorno d’oggi non riesce a trovare lavoro, soprattutto per il fatto che lavoro, comunque, non c’è ne. Un incentivo in più sul fatto che io ero…appartenevo a questo caso, anche se come movente, un incentivo in più per non assumermi. Quindi la difficoltà era maggiore.»
Lorella Cuccarini: «Senti Ivano. C’è la tua vita privata. C’è la tua intimità. Poi ci sono gli investigatori, l’inchiesta, ci sono i media, quindi anche la grande attenzione della gente, a volte morbosa. Tu hai dichiarato di essere stato come investito da un Tir. A cosa ti riferisce ed a chi ti riferisci in particolare?»
Ivano Russo: «La mia vita era talmente tanto tranquilla. Io vivevo…ho vissuto sempre di piccole cose e quindi ritrovarsi in questo trambusto mediatico e giudiziario era qualcosa che mi ha colto di sorpresa ed era una cosa del tutto inaspettata. Per questo motivo mi sono trovato ad affrontare una cosa più grande di me e che, diciamo, mi ha condizionato la vita per lungo tempo.»
Don Antonio Mazzi: «Senti Ivano, io conosco fatti di questo tipo. Soprattutto conosco l’incidenza che questi fatti hanno sul paese. Questi paesi piccoli, talaltro, questi paesi piccoli, adesso non dico..non voglio star dire qui a dire ci sono paesi più svegli e paesi meno svegli. E’ chiaro che un fatto come questo crea una mentalità e crea una mentalità di malessere generale che poi gira gira gira va a finire che un colpevole lo devono trovare, anche se un colpevole che in qualche maniera non ha delle prove, in qualche maniera si crea. Allora volevo lanciare un messaggio al paese. Che interesse ha il paese a rendere così problematica la vita di una persona. Che interesse ha il paese ad essere sempre nell’occhio del ciclone per cose che non sono chiare e quasi sempre forse non sono vere. Allora io vorrei proprio lanciare da prete, da persona di cultura, da chi conosce queste cose, cerchiamo di smontare questa baracca, che comunque è facile montarla, ma è terribile smontarla. Noi conosciamo altri paesi che hanno vissuto questo, per cui io credo, Ivano, se hai qualcosa da dire, dilla, nel luogo che devi dirla e nel modo che devi dirla. E poi, io spero, che la nascita di tuo figlio non solo serva a te, ma serva al paese intero, per non creare un ulteriore emarginato, un ulteriore figlio di genitori che soffrono e soprattutto aumentare nel paese il disagio che già c’è. Siamo vicini al Natale. Fate..….invito il parroco, invito il Sindaco, invito le quattro…. le scuole, cerchiamo di lavorare per smontare questa baracca, che in fondo è una montatura.»
Lorella Cuccarini: «Ivano, c’è un primo responsabile per tutto questo che ti è successo?»
Ivano Russo: «Mah…io penso che la responsabilità bisogna darla a ad una famiglia di bugiardi. Perché comunque con le falsità hanno messo sotto pressione, come si diceva prima, un intero paese. E quindi è stato etichettato, questo paese, in una certa maniera, quando invece è un bel paese. Essendo una zona balneare c’è ospitalità, c’è cordialità, c’è gente fatta per bene. La responsabilità massima la do a loro, poi a tutto quello che intorno si è creato, perché comunque su casi del genere bisogna andare con molta cautela e non trovare un colpevole giusto per trovarlo e per avere un colpevole e dovevano andare con molta calma…..»
Lorella Cuccarini: «Perché comunque, Ivano, c’è la grande preoccupazione da parte tua, perché c’è il sospetto, tu leggi il sospetto negli occhi della gente che pensa che tu sappia qualcosa che non hai detto. Ecco, come vivi con questi atteggiamenti?»
Ivano Russo: «Mah…io ho detto sempre tutto e l’ho fatto con la massima tranquillità. Quindi che so che sono a posto con la mia coscienza, purtroppo andando…essendo un caso mediatico, molta gente quando vai in giro ti guarda con una certa maniera, magari ti guarda con un certo sospetto. E’ una cosa che all’inizio mi ha fatto male, perché, comunque, essendo a posto con se stessi, vedere questi sguardi così dubbiosi nei tuoi confronti non mi facevano certo del bene….»
Don Antonio Mazzi: «Ivano, smonta la tua rabbia. Tu dai un grande esempio ai tuoi colleghi ed ai tuoi compaesani. Poi lancio un messaggio agli industriali. A chi in qualche maniera può darti del lavoro. So che tu stai cercando lavoro, hai fatto cento lavori. Dimenticate anche voi e cerchiamo di dare una mano in modo che questo bambino che nasce abbia un padre che gli può dare da mangiare.»
Naturalmente dopo la testimonianza di Sabrina e la confessione del padre Michele Misseri con l’abbandono del suo avvocato, Anna Pisanò, l’avv. Armando Amendolito e Roberta Bruzzone sono stati ospiti delle solite trasmissioni salottiere. Talk show con un unico comun denominatore: ospitare solamente le voci colpevoliste a danno di Sabrina Misseri.
10 dicembre 2012. Trentaduesima udienza. Parla Dora Chiloiro e Luigina Quarta.
Non si smette mai di parlare di Avetrana e del delitto di Sarah Scazzi, i colpi di scena non sono ancora finiti né in tv né in tribunale. Tutta la settimana ed in special modo la domenica 9 tutti i talk show pomeridiani parlando di Michele Misseri, si concentravano a trovare breccia nelle sue dichiarazioni per minarne la sua attendibilità. Da un lato ieri domenica 9, mentre venivano mandate in onda le dichiarazioni che Michele Misseri aveva rilasciato a Ilaria Cavo e Barbara d’Urso su Canale 5 intervistava Anna Pisanò, supertestimone al processo, lo zio di Sarah è intervenuto telefonicamente. Misseri si è scagliato contro Anna Pisanò, coinvolgendo anche la conduttrice Barbara d’Urso per quello che ha definito un programma colpevolista che influenza la gente: “Voi la verità non la conoscete. E quando questa uscirà, vedremo chi avrà ragione. Sono arrabbiato non con voi, ma con me. Tu Anna perché vai in televisione? Tu non c’eri quel giorno, sei una bugiarda, vuoi influenzare la gente così nessuno crede alla mia verità. Sarah non voleva più vederti, lo sai!”. Dall’altro ieri in aula a Taranto durante la 31esima udienza del processo hanno parlato due testimoni che hanno fatto dichiarazioni davvero inaspettate. Nel processo prima di tutto ha parlato l’ex psicologa del carcere pugliese, Dora Chiloiro, citata come teste dalla difesa di Sabrina Misseri. La donna ha ritrattato alcune sue parole dichiarando di essere stata imprecisa nell’udienza preliminare del 7 novembre 2011. Allora disse di aver avuto dei colloqui con Michele Misseri quando l’uomo era in carcere e che questo aveva detto di essere il responsabile della morte della nipote Sarah. Dora Chiloiro ha affermato di aver avuto tre colloqui con Misseri (il 10, 13 e 17 ottobre): “Sono stata imprecisa perché dopo ho potuto controllare i miei registri interni. Quei colloqui erano solo degli ascolti, in cui Misseri esprimeva stati d’animo, sensazioni, non c’erano contenuti e non erano previste domande”. La donna, rinviata a giudizio per falsa testimonianza, si è giustificata dicendo che in quel periodo era esposta a una forte pressione mediatica ed emotiva. La seconda persona ascoltata invece è l’ingegnere Luigina Quarta, consulente della difesa di Cosima Serrano. Secondo la Procura, e secondo la relazione dei carabinieri dei Ros, il 26 agosto 2010 il cellulare della madre di Sabrina Misseri, alle 15,25, al momento di una telefonata effettuata al marito Michele, risultava nel garage della casa della famiglia Misseri in via Deledda sulla base dello studio delle celle telefoniche. L’ingegnere Quarta ha sostenuto che la frequenza utilizzata e quindi la cella poteva essere agganciata in tutta la casa quindi anche nella parte sovrastante dell’abitazione. Peraltro l’esame dei Ros potrebbe essere stato fatto in un momento in cui le condizioni meteorologiche erano diverse dal momento del delitto. La donna ha dichiarato: “E’ quasi impossibile che un’onda radio non venga captata anche negli altri vani della casa. Si sarebbe dovuto misurare l’accertamento più di una volta. Ogni giorno i telefonini danno risultati sempre diversi. Il risultato è approssimativo, statistico, mai certo”. Poco più di un anno fa, la Chiloiro in udienza preliminare, aveva detto di aver avuto numerosi colloqui in carcere con Michele Misseri, che le avrebbe tra l’altro confessato di aver ucciso lui la nipote Sarah Scazzi. Dora Chiloiro, ex psicologa del carcere di Taranto, aveva ribadito quelle circostanze anche qualche mese fa dinanzi alla Corte di Assise che sta celebrando il processo per il delitto della quindicenne di Avetrana. Ma dai registri interni al carcere era emerso che la psicologa aveva avuto solo tre colloqui nell’ottobre 2010 con "zio Michele" e per questo motivo era finita sotto processo per falsa testimonianza. Oggi, citata come teste dalla difesa di Sabrina Misseri dinanzi alla stessa Corte, la psicologa ha ritrattato quelle dichiarazioni. Ascoltata col suo difensore in aula, l’avvocato Carlo Petrone, in quanto imputata per falsa testimonianza in un procedimento connesso, ha fatto dietro front spiegando di non aver raccolto gli sfoghi di Misseri che si autoaccusava dell’esclusiva responsabilità del delitto. La psicologa si è giustificata sostenendo di aver fatto confusione fra gli incontri di staff e i colloqui col detenuto. La sua deposizione, di fatto, ha rappresentato un autogol per la difesa e un punto in favore dell’accusa. “Michele Misseri non confessò“: ancora un colpo di scena al processo per l’omicidio di Sarah Scazzi, in corso a Taranto, dove la ex psicologa del carcere di Taranto Dora Chiloiro, citata come teste dalla difesa di Sabrina Misseri, ha ritrattato sulle sue precedenti testimonianze, sostenendo di essere stata ”imprecisa” nell’udienza preliminare del 7 novembre 2011. In quell’occasione la dottoressa Chiloiro riferì di aver avuto numerosi colloqui in carcere con Michele Misseri, di averlo sentito in carcere anche dopo l’incidente probatorio del 19 novembre e che Michele Misseri aveva detto di essere stato lui ad uccidere Sarah. ”Ho avuto tre colloqui il 10, 13 e 17 ottobre – ha detto Chiloiro – sono stata imprecisa perché dopo ho potuto controllare i miei registri interni. Quei colloqui erano solo degli ascolti, in cui Misseri esprimeva stati d’animo, sensazioni, non c’erano contenuti e non erano previste domande”. Per questi motivi Chiloiro è stata già rinviata a giudizio per falsa testimonianza, avendo confermato le dichiarazioni dell’udienza anche nel processo dinanzi alla Corte di assise. ”In quel periodo – si è giustificata – eravamo esposti ad una forte pressione mediatica ed emotiva. Abbiamo fatto spesso riunioni di staff sul caso, ma Misseri non l’ho più visto dopo il 17 ottobre 2010”. Per la Procura, che sostiene la tesi della colpevolezza di Sabrina e della madre Cosima per il delitto e la responsabilità di Michele Misseri solo per la soppressione del cadavere di Sarah, la ritrattazione della psicologa sono manna dal cielo, un supporto alle proprie tesi. Da tenere presente una cosa: trattare come veritiere le dichiarazioni di Dora Chiloiro rese nell’udienza preliminare e nella precedente testimonianza in Corte d’Assise o considerare quest’ultima trattazione come la vera verità? Certo che a rettificare la dichiarazione nello stesso procedimento, porta la Chiloiro a liberasi del fardello del procedimento penale per falsa testimonianza, non incorrendo così nelle conseguenze di carattere professionale. Questa cosa dà da pensare. Scegliere la propria carriera ed i propri interessi o salvare delle vite umane dal carcere? Una scelta di carattere pratico o una strategia difensiva, oppure cedere al rimorso della coscienza? Questa è solo una considerazione di carattere logico, non una diffamazione nei confronti di chiunque. Ma ad Avetrana non solo di processo Scazzi si parla. Due ragazze di 16 anni morte e cinque feriti, quasi tutti giovanissimi, tra cui quattro in prognosi riservata. E’ il pesantissimo bilancio di un incidente stradale avvenuto l’8 dicembre, festa dell’Immacolata sulla Avetrana – Erchie. Due automobili, una Alfa 159 e una Bmw 318 che procedevano in direzioni opposte si sono scontrate frontalmente a pochi chilometri da Avetrana. Il tremendo impatto ha ucciso sul colpo la sedicenne Ilaria Cosma, di Avetrana, che viaggiava su una Bmw guidata dal fratello Mattia con a bordo in tutto cinque persone. L’alfa, invece, era guidata dal diciannovenne Marco Carrozzo che trasportava la sua fidanzata, Chiara Scarciglia, di Erchie, deceduta nella notte nella rianimazione dell’ospedale Perrino di Brindisi. In coma anche Giuseppe Marra che si trovava a bordo della Bmw, ricoverato nella stessa rianimazione dell’ospedale brindisino. Due feriti meno gravi sono stati ricoverati nell’ospedale di Francavilla Fontana mentre gli altri due, L’autista della Bmw, Carrozzo, e Maurizio Nigro, sono stati trasportati prima al Giannuzzi di Manduria. Successivamente Nigro è stato trasferito nella neurochirurgia del Santissima Annunziata di Taranto per delle lesioni alla colonna vertebrale. La prognosi di quest’ultimo è riservata. Il destino che accomuna le povere ragazze decedute è atroce. Li collega al destino di Sarah Scazzi e Melissa Bassi. Appunto, Ilaria Cosma era cugina di Ivano Russo; Chiara Scarciglia era compagna di classe di Melissa Bassi. Una linea maledetta corre tra Brindisi e Avetrana, passando per Mesagne. Una linea di morte e mistero lunga 45 chilometri che si percorrono in meno di un’ora. In poco più di due anni qui hanno perso la vita e la spensieratezza dell’adolescenza Sarah Scazzi, uccisa 2 anni prima forse da sua cugina, forse da suo zio, e Melissa Bassi, studentessa di Mesagne fatta saltare in aria da uno squilibrato bombarolo davanti alla sua scuola di Brindisi, e poi due sedicenni che per quei casi assurdi della vita erano in qualche modo legate alle prime due. Ilaria Cosma e Chiara Scarciglia sono rimaste uccise in un incidente sulla provinciale che collega proprio Brindisi ad Avetrana. Ilaria era una compaesana di Sarah e cugina di Ivano Russo. La Bmw su cui viaggiava, insieme a quattro amici, rimasti feriti, si è schiantata contro l’Alfa Romeo guidata dal fidanzato di Chiara, che invece era una compagna di scuola di Melissa. Un’altra morte e altro dolore per gli studenti della Falcone-Morvillo, un anno da dimenticare: ci sono ancora nove ragazze che portano le ferite di quell’attentato per cui è in carcere Giovanni Vantaggiato, imprenditore 68enne, padre e nonno amorevole. Ancora non ha spiegato il perché di quell’ordigno davanti a una scuola. Della morte violenta di Sarah Scazzi, scomparsa ad agosto 2010, l’Italia continua a parlare perché una verità su chi l’ha uccisa non c’è. Brindisi e Avetrana, 50 chilometri di morte e misteri.
12 dicembre 2012. Trentatreesima udienza. Riparla Michele Misseri.
"A dire la verità adesso mi sento più leggero, cioè con tutto quello che avevo accumulato adesso sto meglio. Più parlo e più mi libero": così Michele Misseri racconta in una intervista esclusiva nel corso di 'Domenica Live', in onda su Canale 5 il 9 dicembre, il suo stato d'animo dopo la sua confessione nell'udienza di qualche giorno prima. Misseri ha negato l'esistenza di un movente sessuale nell'omicidio: "Non c'è, non c'è - ha detto - perché devo dire che c'è se non c'è? Il trattore non partiva, dalla mattina, come ho detto in aula, avevo già un dolore alle testa, poi dal calcio è partito tutto". Quanto al fatto che, durante la confessione, Misseri ha descritto quanto accaduto prima e dopo l'omicidio, ma non il momento dell'omicidio stesso, ha risposto: "E ma io l'ho detto, non ricordo nemmeno io come ho fatto, come è successo io ho detto che i giri della corda li ho visti quando li ho tolti dal collo, erano due o tre giri, non so, due sicuro". Eppur la situazione si complica sempre di più nel caso Scazzi, tra testimoni che ritrattano le loro passate dichiarazioni, testimonianze di colpevolezza e lapsus vari. Esattamente a distanza di 48 ore dalla precedente udienza dedicata all’esame di altri testimoni della difesa, fra cui la psicologa Dora Chiloiro che ha fatto dietro front spiegando di non aver raccolto gli sfoghi di Misseri che si autoaccusava del delitto, oggi riprende il controesame di Michele Misseri. Dopo la scorsa udienza ovviamente le carte in tavola sono notevolmente cambiate, la psicologa ha ritrattato le sue dichiarazioni, sostenendo di aver fatto confusione fra gli incontri di staff e i colloqui col detenuto e, oltre ad essere indagata per falsa testimonianza, ha concesso all’accusa molti spunti nonostante fosse una testimone della difesa. La 33ª udienza è stata molto lunga e complicata, si è basata esclusivamente sul controesame del contadino di Avetrana da parte dell’accusa, ovvero del pm Mariano Buccoliero e del procuratore aggiunto Pietro Argentino. Il contadino di Avetrana, interrogato per undici ore (un'ora è stata la pausa pranzo) in qualità di testimone nel processo per l'omicidio della nipote Sarah Scazzi, ha risposto con aria di sfida alle domande dei pubblici ministeri. «Non volete la verità. Solo io sto facendo la verità per quella poveretta. Io l'ho ammazzata una volta, voi chissà quante volte l'avete ammazzata». Affermazioni che hanno costretto la presidente della Corte d'Assise, Rina Trunfio, ad ammonire il teste, chiedendogli di non parlare a ruota libera. Michele Misseri ha parlato tranquillamente e prima che gli venisse fatta qualunque domanda, mentre il pm Buccoliero cercava tra i verbali, ha preso dalla tasca della sua giacca una corda e si è alzato per mimare qualcosa. Il presidente Rina Trunfio ha detto al teste che non poteva parlare a ruota libera dal momento che si trattava di un controesame e non di dichiarazioni spontanee. Misseri si è allora seduto di nuovo e ha ripreso a rispondere alle domande dell’accusa. Il contadino di Avetrana ha ribadito di essere l’unico autore dell’omicidio ed ha nuovamente spiegato come sarebbero andati i fatti. Misseri ha ripreso il suo racconto, sempre più dettagliato. «Ho utilizzato la corda perchè era appoggiata sul trattore. Se avessi avuto il cacciavite, avrei preso il cacciavite». Il contadino ha poi ricordato l'interrogatorio del 5 novembre 2010. «Nel verbale c'è scritto cosa ho detto io, ma non cosa mi dissero di riferire». In questo modo è tornato ad accusare il difensore, Galoppa, e la criminologa Bruzzone, nominata consulente, sostenendo di essere stato indotto da loro ad accusare sua figlia Sabrina. Per questo la criminologa nei giorni scorsi lo ha nuovamente querelato. In aula sono state ascoltate fino a sera anche le intercettazioni ambientali più significative e dopo ore di interrogatorio, Misseri è crollato. Ha pianto e ha cercato di giustificarsi: «Chiedo perdono a tutti, non solo alla mamma di Sarah, che dopo tutto ha perso una figlia e io sono nei panni suoi. Devo parlare anche per gli innocenti che stanno in carcere». È stato l'unico momento di commozione che si è concesso il testimone. L'ennesimo colpo di scena. Si è parlato dell’avvicinamento al garage della giovane Sarah, dello strangolamento con la corda, dell’occultamento del suo cadavere e del ritrovamento del telefono cellulare che è risultato fondamentale per gli arresti di Cosima e Sabrina. I pubblici ministeri hanno rivolto molte domande al contadino che si è contraddetto più volte, in particolare riguardo al suo memoriale. Ad esempio, nell’interrogatorio reso tra il 6 e il 7 ottobre 2010, Misseri ammise di aver ucciso Sarah e di essersi occupato subito di gettare in un cassonetto le scarpe infradito che indossava la vittima insieme alla corda utilizzata per il delitto. Nel memoriale, invece, afferma che le scarpe e la corda erano rimaste nel garage e che successivamente le aveva recuperate, precisamente quando era tornato per prendere le cassette per andare a raccogliere i fagiolini in un campo vicino alla sua abitazione insieme al cognato. L’uomo in alcuni interrogatori parla anche del fatto di aver rimesso le scarpe alla ragazza in campagna quando l’aveva rivestita. Riguardo a queste dichiarazioni, il teste ha detto: “Ho sbagliato a scrivere nel memoriale di aver messo le scarpe nello zaino”. Inoltre spesso il contadino si è sbagliato e ha parlato al plurale, nonostante sostenga di essere l’unico colpevole. Ha dichiarato: “Ho preso i vestiti di Sarah dopo aver gettato il cadavere nel pozzo quando ce ne siamo andati”. Durante l’udienza c’è stato spazio anche per parlare della telefonata del 26 agosto tra Michele Misseri e il fratello Carmine. Misseri che si trovava in campagna nella zona del pozzo, chiese a Carmine di mentire con sua moglie, se Cosima avesse chiesto di lui bisognava dire che era andato in campagna a controllare che i cavalli non scappassero. Numerosissime sono state le contestazioni relative alle difformità tra le dichiarazioni rilasciate oggi e quelle che emergono dai verbali. «Tutto ciò che ho detto dal 15 ottobre in poi non lo riconosco perché o ero drogato dai farmaci o ingannato dal mio primo difensore e la sua consulente», ha ripetuto Misseri. Il momento più difficile è stato il confronto con le numerose intercettazioni ambientali in cui, secondo l’accusa, emergerebbe la sua estraneità al delitto. Misseri si è difeso fornendo interpretazioni che non sempre hanno convinto. Non sono mancate, poi, nuove accuse agli investigatori. «Il giorno del sopralluogo nel garage – ha detto – mi avete portato dove avete voluto voi. Non vi do nemmeno risposte perchè stavo con i tranquillanti. Doveva essere l’avvocato Galoppa a dire “basta, questo interrogatorio non va avanti”». Oltre al suo primo difensore il contadino ha accusato anche la criminologa Roberta Bruzzone, nominata consulente dal’ex difensore, sostenendo di essere stato indotto dai due ad accusare la figlia Sabrina. Intanto si apprendono particolari inediti del periodo post omicidio. «Io voleva far trovare Sarah molto prima, infatti dopo qualche giorno che l’ho uccisa – ha detto zio Michele – ho pure cercato di infilarmi nel pozzo per tirarla fuori e lasciarla vicino al paese ma non ci sono riuscito perché era troppo stretto». «Presidente, io ho bisogno almeno di un’altra ora». Così, nella precedente udienza di mercoledì scorso, il procuratore aggiunto Pietro Argentino fece sapere alla corte che le domande da fare a Michele Misseri erano ancora tante. E l’imputato fu il primo a non cedere alla stanchezza, nonostante fosse lì da quasi otto ore: «Per me possiamo andare avanti anche sino a domattina», disse con aria di sfida zio Michele prima della decisione della presidente Rina Trunfio che aggiornò la seduta a questa udienza. Lo zio di Sarah, che anche oggi si autoaccuserà dell’uccisione della nipote scagionando la figlia Sabrina, in carcere con la madre Cosima Serrano accusate entrambe di omicidio in concorso, dovrà riprendere l’esame da parte dei pubblici ministeri partendo dal sopralluogo del 15 ottobre del 2010, quando, a una settimana dal suo arresto per omicidio colposo, soppressione e vilipendio di cadavere, fu portato prima nel garage di via Deledda e poi sui luoghi dove il 26 agosto di quell’anno aveva portato il corpo di Sarah per nasconderlo. Fu quel giorno che il contadino di Avetrana accusò la figlia di averlo aiutato a uccidere la quindicenne. «Ero drogato dai farmaci che mi avevano dato in carcere», si giustifica ora Misseri sostenendo la tesi di una sorta di induzione farmacologica all’accusa. «La mattina non capivo niente, man mano che passava il tempo mi sentivo meglio», ha detto Misseri mercoledì scorso, subito incalzato dal pm Mariano Buccoliero: «Infatti – ha detto il magistrato – lei ha accusato sua figlia la sera». Le immagini del sopralluogo del 15 ottobre di due anni fa in contrada «Sierri» e poi «Mosca», sono documentate in un video che riprende il contadino mentre mostra al pm, agli ufficiali dei carabinieri e agli investigatori di polizia giudiziaria, il famoso albero di fico dove aveva denudato e approfittato della nipote morta e il punto esatto dove aveva bruciato lo zaino con i vestiti della nipote. Il filmato, della durata di pochi minuti, fa vedere zio Michele con i soliti vestiti uguali a quando era stato arrestato, barba rasata e apparentemente lucido tanto da rispondere con cognizione alle domande del pm Buccoliero. Un altro momento difficile che Misseri dovrà superare in aula sarà la visione di un colloquio intercettato in carcere tra lui e una sua nipote, Antonella Greco, alla quale ha confidato di non aver partecipato all’uccisione di Sarah». «Ho preso i vestiti di Sarah dopo aver gettato il cadavere nel pozzo quando ce ne siamo andati». Ancora una volta Michele Misseri ha commesso una gaffe, parlando al plurale nel corso del processo per l’omicidio della nipote Sarah Scazzi, come se fosse stato aiutato da qualcuno ad occultare il corpo della ragazzina. Mercoledì scorso Michele Misseri, rispondendo alle domande dell’avv. Franco Coppi (difensore di Sabrina Misseri), ha sostenuto di aver ucciso da solo la nipote Sarah e di aver accusato ingiustamente la figlia su suggerimento del suo ex legale Daniele Galoppa e della criminologa Roberta Bruzzone, all’epoca consulente di parte. Anche nel corso di quella udienza, aveva in qualche caso utilizzato il plurale descrivendo le fasi successive dell’omicidio. I pubblici ministeri hanno rivolto altre contestazioni al contadino, che si è contraddetto ricordando alcune telefonate in cui parlava con il nipote Cosimo Cosma, imputato per soppressione di cadavere. Il pm Mariano Buccoliero ha letto un passo del verbale del 5 novembre 2010 in cui gli inquirenti chiesero al contadino di Avetrana: "Sabrina ha mai manifestato la preoccupazione di essere scoperta o che potevate essere scoperti?". Il teste rispose: "Mai. Lei diceva: papà è troppo bravo e non lascia piste". Il contadino a quel punto ha chiamato in causa l'avv. Daniele Galoppa e l’ex consulente Roberta Bruzzone. Misseri è apparso provato dal lungo interrogatorio e in più occasioni, incalzato dalle domande dei pubblici ministeri, si è limitato a rispondere con un "Non ricordo". Numerosissime sono state le contestazioni relative alle difformità tra le dichiarazioni rilasciate oggi e quelle che emergono dai verbali. «Non volete la verità. La verità è quella che so io. Io l’ho ammazzata una volta, voi chissà quante volte l’avete ammazzata». Lo ha detto Michele Misseri rivolgendosi ai pm Mariano Buccoliero e Piero Argentino in aula durante il processo. Per queste affermazioni il teste ha ricevuto un richiamo dal presidente della Corte d’Assise Rina Trunfio, che gli ha chiesto di limitarsi a rispondere alle domande senza fare commenti. «Ho utilizzato la corda perchè era appoggiata sul trattore. Se avessi avuto il cacciavite, avrei preso il cacciavite». Lo ha detto Michele Misseri riferendosi all’oggetto utilizzato per uccidere la nipote Sarah Scazzi. Il pm Mariano Buccoliero gli aveva chiesto per quale ragione non avesse strangolato Sarah con le mani visto che l'aveva afferrata per portarla sulla rampa del garage. Misseri ha aggiunto. «Non potete comprendere. Quanto alla gelosia che Sabrina avrebbe nutrito per Ivano Russo, del quale si sarebbe invaghita anche Sarah Scazzi, Michele Misseri ha dichiarato di averlo appreso da alcuni amici della figlia, come Alessio Pisello, e che in ogni caso ne avevano parlato diffusamente le trasmissioni televisive. I pubblici ministeri hanno fatto domande anche sul contenuto di alcune intercettazioni, in parte ascoltate in aula. Nel corso della sua testimonianza in Corte d’assise, Michele Misseri ha pianto e ha detto: «Chiedo perdono a tutti». Lo sfogo del contadino è avvenuto dopo oltre sei ore di interrogatorio da parte dei pubblici ministeri e dei difensori degli imputati. «Non ha altro da aggiungere per fare chiarezza definitiva su tutto?» ha chiesto a Michele Misseri l’avv. Franco Coppi, uno dei difensori della figlia Sabrina. «Devo chiedere solamente – ha risposto zio Michele - perdono a tutti, anche alla mamma di Sarah che io non ho voluto mai contraddire perchè dopo tutto ha perso una figlia. Io sto nei panni suoi. Io non ho mai commentato contro di lei». «Lei – ha aggiunto il contadino riferendosi a Concetta Serrano – è convinta che sono state mia figlia e mia moglie, ma se erano state loro perchè io mi devo assumere ancora la responsabilità? Non ce la faccio ad andare avanti, devo parlare anche per gli innocenti che stanno in carcere». Da far notare un aspetto della vicenda. A fine giornata tutti i giornali e le televisioni hanno riportato un solo messaggio all’opinione pubblica: Michele Misseri è caduto in contraddizione con le sue precedenti dichiarazioni e vi sono state tanti non ricordo. 11 ore di interrogatorio su richiesta di esame della difesa degli imputati non può conseguire per loro una risultanza negativa, eppure per la stampa è stato così, influenzando in questo modo il popolino. Certo è che nessuno ha paventato l’ipotesi che facendo così Misseri passa dall’essere accusato di omicidio e di calunnia in aggiunta agli altri reati contestatogli ad essere accusato di falsa testimonianza ed auto calunnia, sempre in aggiunta al resto dei reati già contestati. Ma quanto può essere attendibile un testimone ed il suo racconto. Quando si parla di testimonianza si intende il racconto di un evento, filtrato tramite l'esperienza di un narratore che ha vissuto la scena; è chiaramente implicita, dunque, la connotazione soggettiva della testimonianza. Parte proprio da questa semplice osservazione il nodo del problema che si pone a riguardo: quanto può essere attendibile una testimonianza? La testimonianza riporta sia una parte di verità oggettiva sia una costruzione soggettiva dei fatti, legata a componenti emozionali e situazionali che influenzano il ricordo, ma anche ad errori di memoria. In questo lavoro si cerca di mettere in luce gli effetti di distorsione della memoria del testimone, al fine di dimostrare che la sicurezza mostrata nel resoconto testimoniale, non è predittore di accuratezza, in quanto il testimone è vittima della fallacia della propria memoria. Data la grande rilevanza della testimonianza diretta, è posta grande attenzione al testimone oculare in casi giudiziari, in particolare alle caratteristiche della testimonianza, nell'intenzione di giudicare nel miglior modo possibile l'effettiva veridicità della stessa; ma si può credere in assoluto ad un individuo che dice di ricordare esattamente un evento che “ha visto con i suoi occhi”? La memoria è un meccanismo imperfetto, dal momento che è influenzato da molteplici fattori che possono intervenire nelle tre diverse fasi precedentemente citate ed ostacolare così la modalità corretta di codifica, mantenimento e recupero di un ricordo. Molti studi ed esperimenti hanno dimostrato che nell’osservazione e nel racconto di un evento, è fondamentale l’influenza delle caratteristiche proprie di un individuo, dei suoi schemi mentali e delle sue conoscenze pregresse, nonché delle caratteristiche della situazione. Si può affermare che l'attendibilità di una testimonianza possa essere determinata da due fattori principali: Accuratezza, ovvero la corrispondenza tra realtà oggettiva e soggettiva e Credibilità, ovvero il rapporto tra ciò che si ritiene di sapere e le motivazioni a dichiararlo. Purtroppo gli esperimenti hanno evidenziato che il giudicante non è in grado di giudicare in maniera corretta l'attendibilità del testimone ed hanno messo in luce una sorta di processo inferenziale attraverso cui sembra che le persone, per giudicare l'attendibilità di un testimone, si affiderebbero al grado di sicurezza da lui stesso mostrato nel corso di una testimonianza. Sembra, infatti, che la percezione che i giurati hanno della sicurezza di un testimone, sia responsabile per un 50% delle variazioni nel loro giudizio sulla credibilità del testimone e che, in ogni caso, la maggior parte delle giurie crede che la sicurezza e la precisione di un resoconto testimoniale siano tra loro correlate positivamente, reputando più attendibile la testimonianza resa dalle forze dell'ordine o di chi riferisce nel racconto molti dettagli marginali, sopravvaluta il tempo impiegato per commettere un crimine e la possibilità di riconoscere un volto a distanza di mesi. Non si può concludere che il grado di sicurezza ostentato da un testimone sia un parametro da considerare come predittore di attendibilità. Vale come esempio l’interrogazione in classe o ad un esame. Tutti si studia un certo tipo di testo, tanto da memorizzare le risposte ad eventuali domande che verranno poste, eppure, pur avendo una fonte in comune, tutti, dico tutti, daranno risposte differenti tali da produrre valutazioni e giudizi diversi da parte degli interroganti. Certo è che quasi nessuno di è impegnato ad approfondire il segreto inconfessabile dell’infanzia di Michele, emerso durante l’interrogatorio del prof. Coppi. Si rifiuta di rispondere alla domanda del professor Franco Coppi e confessa un segreto che finora, sostiene, non aveva avuto il coraggio di rivelare a moglie figlia. Michele Misseri racconta che il padre sotto quel fico gli riservava botte e, ha lasciato intendere, non solo quelle. Il particolare emerge durante il controesame di Sabrina. Dinanzi alla Corte d’assise di Taranto, Misseri smentisce che Sarah lo aveva «stuzzicato» allungando una mano verso di lui con un’intenzione sessuale, come aveva riferito il 7 ottobre 2010 al medico legale, professor Luigi Strada. «Perché lo ha detto, perché ha offeso la memoria della bambina. Lo ha detto allo psichiatra Primiani, lo ha ripetuto il 5 novembre». E Michele: «L’ho detto per farmi credere. Il 5 novembre l’ho detto per mantenere quella versione, poi me l’hanno fatto smentire. Ho detto tante bugie…» La violenza sul cadavere, spiega Misseri, «era una bugia con altre bugie». Perchè, sostiene, lui non ha mai tentato di violentarla e tantomeno ha oltraggiato il cadavere. «L’ho fatta trovare nuda nel pozzo e prima che me lo dicessero loro (gli inquirenti ndr) l’ho detto io». Michele spiega il significato che ha per lui il luogo in cui porta il corpo della nipote. «Sotto il fico mio padre mi picchiava». Ha subito altre violenze lì? Gli chiede Coppi. Michele, in difficoltà, non smentisce: «Questo è stato sempre un segreto, che non conoscono né mia moglie né mia figlia. Non vorrei rispondere a questa domanda». Il contadino di Avetrana afferma di essersi accusato falsamente della violenza per rendersi credibile ed esclude non solo il movente ma anche qualsiasi approccio sessuale con la nipote. Ammette solo la pacca datale sul sedere qualche giorno prima dell’omicidio e il rimprovero della ragazza: «Zio, se lo fai di nuovo lo dico a Sabrina». Spiega che ha perso le staffe quando gli ha sferrato un calcio alle parti basse, ma non fornisce nessun particolare, non versa una lacrima e non c’è pathos nel suo racconto dell’omicidio. Secondo l’accusa, Misseri mente. Malgrado il suo atteggiamento che rende difficile la sua difesa, da una settimana è assistito dall’avvocato Luca La Tanza (il quinto difensore in due anni), Misseri continua ad essere un cliente ambito. Nel corso dell’interrogatorio spiega di aver ricevuto diverse proposte: «L’altro giorno mi è arrivato il telegramma dell’avvocato Canzona, di Striscia. In aula altri avvocati mi hanno messo i biglietti in tasca. Se fossi un santo – è la sua considerazione – probabilmente non sarei un cliente ambito».
18 dicembre 2012. Trentaquattresima udienza. Richiesta di sopralluogo garage e pozzo. Si è conclusa alle 11,30 davanti alla Corte di Assise del Tribunale di Taranto la 34° udienza del processo per l’omicidio di Sarah Scazzi, uccisa il 26 agosto del 2010 ad Avetrana. La difesa di Sabrina Misseri, imputata di concorso in omicidio volontario, sequestro di persona e soppressione di cadavere, ha chiesto come mezzo di prova un nuovo sopralluogo nel garage da parte del padre Michele Misseri, imputato di concorso in soppressione di cadavere e di reati minori, perchè, come spesso lo stesso contadino ha detto durante la testimonianza resa nei giorni scorsi, quello del 15 ottobre del 2010, il giorno della prima chiamata in correità della figlia, si sarebbe svolto mentre lui era in condizioni fisiche non adeguate. Michele Misseri ha detto davanti alla Corte di essere stato in quella circostanza sotto l’effetto di tranquillanti. Alla richiesta si è associata la difesa di Cosima Serrano, madre di Sabrina, detenuta insieme a lei, con le stesse accuse. Inoltre l’avvocato Lorenzo Bullo, difensore di Carmine Misseri, fratello di Michele e imputato di concorso in soppressione di cadavere, ha chiesto un sopralluogo nella zona del pozzo in contrada Mosca dove venne sepolta la vittima e nella zona dell’albero di fico. I pm della Procura di Taranto vogliono riascoltare il colonnello Paolo Vincenzoni, comandante dei carabinieri del Ros di Lecce e il perito tecnico Giovanni Leo riguardo la questione delle celle telefoniche e l’analisi del telefonino di Sarah e su alcune intercettazioni ambientali. La difesa di Sabrina ha chiesto di riascoltare Alessio Pisello, amico della giovane imputata, di Sarah e di Ivano Russo, in particolare sui rapporti di quest’ultimo con altre ragazze, e il titolare del pub 102 di Avetrana dove Sabrina e la cugina Sarah trascorsero la sera precedente al delitto. In particolare su “sopraggiunti interessi affettivi di Ivano nei confronti delle altre ragazze” e Michele D’Ippolito, proprietario del pub in cui si trovavano le due cugine il giorno prima del delitto. Infine l’avvocato Serena Missere, difensore del nipote di Michele Misseri, Cosimo Cosma, ha chiesto di poter produrre una valutazione scientifica sull’autopsia eseguita dal medico legale Luigi Strada. Nel corso della prossima udienza prevista per l’8 gennaio la presidente della Corte Rina Trunfio deciderà su queste richieste.
Newtown come Avetrana. Tutto il mondo dei media è paese. La città della strage in Usa è assalita da onde di cronisti e camion tv. Almeno 27 morti, tra cui 20 bambini, tra i 5 e i 10 anni, sono stati falciati il 14 dicembre 2012 da un giovane con problemi mentali, Adam Lanza, poco più che ventenne. Dopo la sparatoria, non c’è tempo per il dolore. La piccola città è letteralmente invasa dai media e dai giornalisti. A denunciare tutto il racconto di un cronista della BBC, Johnny Dymond, così come ripreso da “Giornalettismo”. “E ‘insopportabile. Che cosa vogliono tutti? Sono quattro o cinque famiglie che hanno perso i bambini ed è troppo per loro, con tutti i media qui. Che cosa cerchi?” gli racconta nella hall dell’albergo dove dorme, uno degli abitanti, infastidito dalla troppa attenzione. Il villaggio della scuola di Sandy Hook, è cambiato. Tra camion, microfoni e crocevia di persone, le stradine non sono più le stesse. Dymond racconta: «Sembra un bel posto, un classico villaggio del New England, con le case di legno bianco e negozi carini. Ma è difficile sapere che cosa è ora in realtà, perché da sabato è stato trasformato in un set, uno sfondo per lo sciame di giornalisti che ha raggiunto il posto. La strada principale, Church Hill Road, che porta verso la scuola elementare di Sandy Hook, è invasa dalle macchine. Difficile immaginarla diversamente come invece accade ogni giorno. Ho seguito storie di cronaca per 15 anni, alcune delle più grandi, e non ho mai visto nulla di simile, né mi sono così sentito a disagio nel farne parte. Nel piccolo parcheggio di fronte alla chiesa metodista, ci sono camion satellitari che fanno continuo rumore con i gas di scarico. Su e giù per la strada vagano cameraman, filmano il traffico, riprendono i negozi, le persone. - Il cronista continua con raccontare dei camion che puntellano la zona - Nella parte inferiore della chiesa di Hill Road, dove la collina comincia a salire verso la caserma dei pompieri e la scuola, c’erano più camion, che corrispondenti per la diretta televisiva. Sabato scorso alcuni negozi hanno abbassato le saracinesche, solo due/tre avevano un messaggio di lutto sulle serrande. Oggi, un santuario di candele e orsacchiotti e messaggi attrae un flusso costante di visitatori, con filmati e interviste delle troupe televisive onnipresenti. - E non risparmia critiche verso i colleghi - Normalmente noi giornalisti siamo pressanti, sbattiamo i nostri nasi contro le finestre delle case, riportando tutto ciò che vediamo. Così gli abitanti della città, si fermano, guidando molto lentamente, stupiti del paradossale show che è calato in città. Ci sono centinaia e centinaia di giornalisti qui, tutti alla ricerca di un nuovo punto di vista su una storia che, in realtà, si è chiusa in pochi terribili minuti, questo venerdì mattina. Cosa altro si può dire sull’orrore? Forse non molto. Sabato scorso, nel giro di 10 forse 15 minuti, mentre ho cercato invano di convincere i membri di un club femminile di Newtown per un’intervista, ho visto una donna che mentre portava un cartello è stata assalita da più di una dozzina di cameraman e giornalisti. Nel bene o nel male, capisco il meccanismo delle notizie. La BBC ha solo quattro canali di informazione h24 (due radio, due televisioni, ciascuno rispettivamente per il pubblico nazionale ed internazionale) con bollettini televisivi di tre notizie al giorno, quattro notiziari radiofonici quasi tutti i giorni, riassunti della giornate e il nostro flusso on-line. E i network americani e canali via cavo nuovi hanno inviato decine di persone qui, per i loro notiziari e i loro programmi; CNN ha lanciato da Newtown praticamente una non-stop del massacro. - Il cronista spiega che il “troppo” soffoca - Sulle reti, programma dopo programma è tutto legato alla città. Non si può negare che si tratta di un evento straordinario che il pubblico vuole conoscere. Ma la nostra presenza nella piccola Sandy Hook è eccezionalmente pesante. E dopo un po’, c’è da chiedersi cos’altro c’è da dire. I bambini sono morti. I loro poveri genitori sono in lutto. La polizia non dice niente di più. Alcuni report somigliano allo strappo di un cerotto. Guardare, ascoltare o leggere troppo, cullandosi nel dolore degli altri. ‘Vai a casa’, mi suggerì l’uomo della hall, ‘Vai a casa’. E penso proprio che lo farò.»
Il paradosso e l’inverosimile è successo martedì 18 dicembre 2012 ad Avetrana. Mentre la mattina si teneva l’udienza presso la Corte di Assise di Taranto, il pomeriggio Avetrana veniva invasa da una moltitudine di turisti giapponesi. Questi, con l’immancabile macchina fotografica o la telecamera hanno immortalato il paese di Sarah Scazzi. Abbracciando gli stupiti ed a volte impauriti ragazzini che si trovavano lì in piazza centrale , li facevano mettere in posa per una foto ricordo nel “paese degli orchi”. E non solo. Domenica 16 dicembre 2012 su Canale 5 a “Domenica Live” Barbara D’Urso intervista Michele Misseri. Lui parla di un padre orco, un padre padrone che maltratta tutta la famiglia e che gli fa patire la fame. Dice che lo legava all’albero di fico e lo seviziava, così come facevano altre persone. Non ha potuto studiare. Solo a quattordici anni ha iniziato a studiare e d preso la quarta elementare alle serali con suo fratello Carmine. La quinta l’ha presa al militare. A 21 anni ha conosciuto Cosima per una strana circostanza: aver sostituito Carmine alla vendemmia di un campo in cui c’era lei con altre braccianti. L’ha sposata dopo 6 mesi su spinta della madre. Michele dice che non è vero che mangiava gli avanzi. Erano tutti a mangiarli perché si andava in campagna e si cucinava in più per non perder tempo. I piatti li lavava volontariamente e dormiva sulla sdraio perché russava a letto, disturbando Cosima. Oggi dorme ancora sulla sdraio, perché avendo l’obbligo di dimora è soggetto a controlli anche notturni da parte dei carabinieri e quindi, dormendo nel letto non li sente. Ha lavorato in Germania nel cimitero per 3 anni e Cosima lavorava in una fabbrica di cioccolato, facendo i turni. Michele durante le ferie estive lavorava in campagna ad Avetrana. Valentina è nata il 9 febbraio 1982 e l’hanno portata in Germania quando aveva poche settimane e poi la lasciavano ad una badante portoghese che le insegno la sua lingua, tanto da non farle parlare più l’italiano. Sabrina è nata il 10 febbraio 1988. Quando è nata è stata una gioia ed era molto attaccata al padre. Sarah frequentava la casa di Sabrina. Michele spiega che era benvoluto da tutti, amici e parenti, e ora tutti lo hanno abbandonato , eccetto Salvatore morto da pochi mesi. Dice che scrive a Cosima e Sabrina, ma che non gli rispondono. Inoltre in aula lo guardano con odio. Spiega che nei primi 42 giorni non riusciva a dire la verità perché era chiuso in sè stesso, piangeva e nessuno gli chiedeva il perché. In quel periodo era in crisi di coppia, nessuno gli parlava ed ha cercato di uccidersi con un potente veleno. Non lo ha fatto per amor di verità. Ha portato Sarah sotto il fico, perché lì era nascosto e la denudata perché voleva bruciare i vestiti e poi si è ricordato del pozzo. Non è stato al funerale perché in carcere. Ha detto che Anna è una bugiarda perché il gatto “Schinki” è il gatto di Sarah ed ha tre anni, Sabina non è capace di accavallare le gambe e non è golosa del cioccolato. Valentina non lo pilota e comunque, per non sentire maldicenze, la figlia quando viene da Roma sta a dormire da altre persone. Michele si chiede perché i testimoni sono usciti dopo e non prima dei 42 giorni e dice anche che non si immola per la figlia, perché se fosse stata lei, sarebbe stato il primo a denunciarla. Ha risposto in un certo modo perché informato male dall’avvocato, avendogli presentato la minaccia di arresto di altri innocenti. Era buono con tutti e per tutti, per questo non gli credono, nonostante le sue versioni siano sempre le stesse: psiche alterata per il caldo e perché il trattore non partiva; Sarah che disturbava e che quando veniva cacciata, sferrava un calcio ai testicoli dello zio che perdeva i lumi della ragione e che la uccideva senza accorgersi di farlo, nascondendo il malefatto a tutti, compreso Sabrina. La D’Urso, nonostante la versione del delitto sia stata identica a tante altre rilasciate nel tempo, cercava di trovare le contraddizioni e di cogliere in fallo Michele. La trasmissione sembra la sede per trarre in inganno l’ospite per farlo capitolare a favore della procura di Taranto. Ma Michele non ci è cascato. Ha risposto che i giudici non gli hanno mai creduto: hanno messo in mezzo la figlia, la moglie, il fratello e il nipote. Pensa sempre a Sarah tanto da avergli dedicato un altarino, presso il quale prega e mette dei fiori. E’ pentito e non sa perché lo ha fatto. Ha fatto trovare il telefonino, ha fatto trovare il corpo e lo ha fatto per rimorso e per questo dice la verità. Non va più in chiesa perché la gente lo attacca. Gli sono rimasti pochi amici e per parenti solo le nipoti. Chiede perdono a tutti, anche a coloro i quali non gli credono.
TARANTO FORO DELL’INGIUSTIZIA. MICHELE MISSERI E BEN EZZEDINE SEBAI, CONFESSI OMICIDI NON CREDUTI E SULLO SFONDO L’ILVA. Il paradosso dei rei confessi in libertà e di chi, dichiarandosi innocente, senza cedimenti e da presunti innocenti nelle more del processo, rimane per anni in carcere. A Taranto sono troppi gli errori giudiziari ed i reo confessi che non sono creduti, in onore di una tesi accusatoria frutto di un personale modo di pensare proprio di un magistrato requirente, che non può pregiudicare anni d’indagine da lui condotte, ed in virtù di un appiattimento a questa tesi dovuto ad un libero convincimento di una persona normale, suo collega, che fa il magistrato giudicante avendo vinto un concorso pubblico. Magistrati inseriti in un ambiente dove si tifa per la colpevolezza di qualcuno sotto influenza mediatica locale e nazionale. La stampa, anziché riportare i fatti e concentrasi sul perché l’evento confessato sia avvenuto, si concentra a minare la credibilità del confessore. E meno male che la confessione nel codice di procedura penale è considerata una prova regina! E che dire dei moventi, a cercare qualcosa che si adatta si trova sempre. Per Sabrina Misseri è la gelosia. Ivano Russo: «C’è stato un momento che io mi sono sentito come un sospettato. Anche perché soprattutto mi ricordo al primo interrogatorio c’è stata una frase di un carabiniere. Parlandomi ha detto che….siccome mi stavano tenendo per parecchie ore, io gli ho chiesto “ma perché mi tenete qua tante ore” e lui mi rispose che praticamente…siccome a me era venuto a mancare mio padre, avevo…ero arrabbiato con l’esistenza, con Dio, poi…allora sarei stato capace di fare qualche cosa di grave, E lì ho incominciato ad aver paura di un errore giudiziario.» In virtù di una giustizia che va alla rovescia (chi si dichiara colpevole sta fuori, chi si dichiara innocente sta dentro) tutta la settimana, ed in special modo la domenica, tutti i talk show pomeridiani condotti da improvvisati conduttori, parlando di Michele Misseri, si concentravano a trovare breccia nelle sue dichiarazioni per minarne la sua attendibilità, fino a tendergli delle trappole televisive. Da un lato domenica 9 dicembre 2012, mentre venivano mandate in onda le dichiarazioni che Michele Misseri aveva rilasciato a Ilaria Cavo, Barbara d’Urso su Canale 5 intervistava Anna Pisanò, supertestimone dell’accusa al processo contro Sabrina Misseri e sua madre Cosima. Lo zio di Sarah è intervenuto telefonicamente. Misseri si è scagliato contro Anna Pisanò, coinvolgendo anche la conduttrice Barbara d’Urso per quello che ha definito un programma colpevolista che influenza la gente: “Voi la verità non la conoscete. E quando questa uscirà, vedremo chi avrà ragione. Sono arrabbiato non con voi, ma con me. Tu Anna perché vai in televisione? Tu non c’eri quel giorno, sei una bugiarda, vuoi influenzare la gente così nessuno crede alla mia verità. Sarah non voleva più vederti, lo sai!”. Nel proseguo del 16 dicembre la stessa D’Urso, con la sua maschera napoletana, definendosi anch’essa figlia del popolo che conosce il modo di pensare nei paesini (sic) tendeva delle trappole a Michele per trarlo in inganno con l’intento di farlo capitolare e fargli confessare le colpe di Sabrina. Un chiaro esempio di servilismo e sottomissione ai magistrati ed uno sfregio ad una emittente televisiva, se pur privata, che arriva in tutte le case della gente. Né Michele, né sua moglie, né sua figlia da anni non capitolano e non certo perché sono dei professionisti del crimine. 11 ore di interrogatorio di Michele da aggiungere alle altre 11 precedenti e su richiesta di esame della difesa degli imputati non può conseguire per la stessa difesa una risultanza negativa, eppure per la stampa è stato così, influenzando in questo modo il popolino. Certo è che nessuno ha paventato l’ipotesi che confessando l’omicidio Michele Misseri deve essere accusato di omicidio e di calunnia e di falsa testimonianza in aggiunta agli altri reati contestatogli ovvero essere accusato di falsa testimonianza ed auto calunnia, sempre in aggiunta al resto dei reati già contestati. Ma quanto può essere attendibile un testimone ed il suo racconto? Quando si parla di testimonianza si intende il racconto di un evento, filtrato tramite l'esperienza di un narratore che ha vissuto la scena; è chiaramente implicita, dunque, la connotazione soggettiva della testimonianza. Parte proprio da questa semplice osservazione il nodo del problema che si pone a riguardo: quanto può essere attendibile una testimonianza? La testimonianza riporta sia una parte di verità oggettiva sia una costruzione soggettiva dei fatti, legata a componenti emozionali e situazionali che influenzano il ricordo, ma anche ad errori di memoria. Data la grande rilevanza della testimonianza diretta, è posta grande attenzione al testimone oculare in casi giudiziari, in particolare alle caratteristiche della testimonianza, nell'intenzione di giudicare nel miglior modo possibile l'effettiva veridicità della stessa; ma si può credere in assoluto ad un individuo che dice di ricordare esattamente un evento che “ha visto con i suoi occhi”? La memoria è un meccanismo imperfetto, dal momento che è influenzato da molteplici fattori che possono intervenire nelle tre diverse fasi precedentemente citate ed ostacolare così la modalità corretta di codifica, mantenimento e recupero di un ricordo. Molti studi ed esperimenti hanno dimostrato che nell’osservazione e nel racconto di un evento, è fondamentale l’influenza delle caratteristiche proprie di un individuo, dei suoi schemi mentali e delle sue conoscenze pregresse, nonché delle caratteristiche della situazione. Si può affermare che l'attendibilità di una testimonianza possa essere determinata da due fattori principali: Accuratezza, ovvero la corrispondenza tra realtà oggettiva e soggettiva, e Credibilità, ovvero il rapporto tra ciò che si ritiene di sapere e le motivazioni a dichiararlo. Purtroppo gli esperimenti hanno evidenziato che il giudicante non è in grado di giudicare in maniera corretta l'attendibilità del testimone ed hanno messo in luce una sorta di processo inferenziale attraverso cui sembra che le persone, per giudicare l'attendibilità di un testimone, si affiderebbero al grado di sicurezza da lui stesso mostrato nel corso di una testimonianza. Sembra, infatti, che la percezione che i giurati hanno della sicurezza di un testimone, sia responsabile per un 50% delle variazioni nel loro giudizio sulla credibilità del testimone e che, in ogni caso, la maggior parte delle giurie crede che la sicurezza e la precisione di un resoconto testimoniale siano tra loro correlate positivamente, reputando più attendibile la testimonianza resa dalle forze dell'ordine o di chi riferisce nel racconto molti dettagli marginali, sopravvaluta il tempo impiegato per commettere un crimine e la possibilità di riconoscere un volto a distanza di mesi. Detto questo e in riferimento alle confessioni si richiama un altro caso. Il “killer delle vecchiette”. Ma ormai il “killer delle vecchiette” è morto. E se dalla stampa era venuto questo appellativo di killer qualche omicidio doveva pur averlo commesso, sì, ma per i magistrati di Taranto era colpevole solo per quell’unico delitto per il quale non erano stati capaci di accusare qualcuno. E' morto il 15 dicembre 2012 nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Padova il detenuto tunisino 49enne Ben Mohamed Ezzedine Sebai, conosciuto come il 'serial killer delle vecchiette', trovato impiccato il giorno prima nella sua cella del carcere di Padova. Il legale di Sebai, l’avvocato veneziano Luciano Faraon, ha anche sollevato dubbi sul fatto che il suo assistito si sia effettivamente suicidato. Secondo il legale, dopo una recente sentenza della Cassazione che ha annullato con rinvio una condanna per un omicidio commesso da Sebai a Lucera, il tunisino era infatti nelle condizioni di ottenere la revisione dei suoi processi in quanto non in grado di intendere e volere a causa di una lesione cerebrale subita da piccolo. Aveva quindi, secondo il legale, molte speranze di potere tornare a casa o in un centro adatto alla sua patologia. Condannato a cinque ergastoli per altrettanti omicidi di donne, Ezzedine Sebai aveva confessato di essere l’autore di 14 omicidi di anziane, avvenuti in Puglia tra il 1995 e il 1997. «L'ultima volta che ho incontrato in carcere Sebai, circa 10 giorni fa, mi aveva chiesto la Bibbia. Nonostante Sebai sia un musulmano – precisa il legale – mi aveva chiesto la Bibbia perchè io, da cristiano, gli ero vicino. - Secondo Faraon, che è anche presidente dell’Anveg, Associazione nazionale vittime errori giudiziari, Sebai, in carcere dal 1997, - decise di confessare altri omicidi nel 2006 per una crisi di coscienza, dopo aver appreso del suicidio in carcere di un tarantino condannato per uno degli omicidi confessati dal serial-killer». Condannato a cinque ergastoli per altrettanti omicidi di donne, Ezzedine Sebai aveva confessato di essere l’autore di 14 omicidi di anziane, avvenuti in Puglia tra il 1995 e il 1997. L'avvocato Faraon ha chiesto che venga disposta l’autopsia sul corpo. Secondo quanto riferito dal legale, quando aveva sette anni il tunisino sarebbe stato colpito alla testa dal padre con una chiave inglese. Il colpo gli aveva provocato gravi lesioni cerebrali. Ed era del serial killer delle vecchiette l’impronta digitale dimenticata per 9 anni in casa della vittima. Fu rinvenuta su una scatola di caramelle «Rossana» nell’appartamento di Anna Maria Stella, la maestra settantenne di Trinitapoli sgozzata a scopo di rapina nella sua abitazione il primo maggio del ‘97. Ma per scoprire che appartenesse al serial-killer ci sono voluti 9 anni; la riapertura dell’indagine dopo la confessione dell’imputato arrivata nel 2006; l’intuito del pm foggiano Ludovico Vaccaro; gli accertamenti dei carabinieri del Ris. Proprio l’interrogatorio di un sottufficiale del Reparto investigazioni scientifiche di Roma ha caratterizzato l’udienza in corte d’assise del processo a Ben Ezzedine Sebai, il tunisino di 45 anni in cella dal settembre ‘97, già condannato a 4 ergastoli per altrettanti omicidi di vecchiette e che nel 2006 ha confessato d’aver ucciso e/o aggredito 15 anziane negli anni Novanta in Puglia e Basilicata. Sostiene d’aver agito perchè erano le voci a ordinargli di ammazzare. «Recentemente la corte di Cassazione ha disposto l'annullamento con rinvio di una condanna a 18 anni di carcere - precisa Faraon – per un omicidio compiuto a Lucera (Foggia) per esaminare, anche sulla base della perizia del prof. Mastronardi, la sua capacità di volere». Il legale ribadisce che nelle vicende giudiziarie che hanno riguardato Sebai ha «sempre visto delle abnormità». «Due confessi omicidi che a Taranto non sono creduti. La magistratura requirente sposa una tesi spesso sbagliata e la magistratura giudicante gli va a ruota. Non è la prima volta che succede. Non era tanto malsana l’idea di Franco Coppi di chiedere la rimessione del processo Sarah Scazzi in altro foro» spiega Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” e scrittore-editore dissidente, che proprio sul delitto di Sarah Scazzi e su Taranto ha scritto dei libri inseriti nella collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata su www.controtuttelemafie.it ed altri canali web, su Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo. Saggi pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i media si astengono a dare loro la dovuta visibilità e le rassegne culturali ad ignorare. Basta ricordare i precedenti. «Non ha altro da aggiungere per fare chiarezza definitiva su tutto?» ha chiesto a Michele Misseri l’avv. Franco Coppi, uno dei difensori della figlia Sabrina. «Devo chiedere solamente – ha risposto zio Michele - perdono a tutti, anche alla mamma di Sarah che io non ho voluto mai contraddire perchè dopo tutto ha perso una figlia. Io sto nei panni suoi. Io non ho mai commentato contro di lei». «Non volete la verità. Solo io sto facendo la verità per quella poveretta. Io l'ho ammazzata una volta, voi chissà quante volte l'avete ammazzata». Lo ha detto Michele Misseri rivolgendosi ai pm Mariano Buccoliero e Piero Argentino in aula durante il processo sull’omicidio su Sarah Scazzi. «Lei – ha aggiunto il contadino riferendosi a Concetta Serrano – è convinta che sono state mia figlia e mia moglie, ma se erano state loro perchè io mi devo assumere ancora la responsabilità? Non ce la faccio ad andare avanti, devo parlare anche per gli innocenti che stanno in carcere». E poi la violenza sul cadavere, spiega Misseri, “era una bugia con altre bugie”. Perchè, sostiene, lui non ha mai tentato di violentarla e tantomeno ha oltraggiato il cadavere. «L’ho fatta trovare nuda nel pozzo e prima che me lo dicessero loro (gli inquirenti) l’ho detto io». Michele spiega il significato che ha per lui il luogo in cui porta il corpo della nipote. «Sotto il fico mio padre mi picchiava». Ha subito altre violenze lì? Gli chiede Coppi. Michele, in difficoltà, non smentisce: «Questo è stato sempre un segreto, che non conoscono né mia moglie né mia figlia. Non vorrei rispondere a questa domanda». Caso Michele Misseri e caso Sebai, stessa sorte, stesso muro di gomma.
Il 13 febbraio del 2009 il giudice per l’udienza preliminare Valeria Ingenito emise sentenza di assoluzione per l’omicidio di Grazia Montemurro, la 75enne di Massafra ammazzata il 4 aprile del 1997, nei confronti del serial killer Ben Ezzedine Sebai, 43enne di Kairouan (Tunisia), reo confesso. Quella sentenza è stata impugnata dall’avv. Giorgio Faraon, difensore di Sebai, e dall’avv. Ignazio Dragone, legale di parte civile. Sebai dopo essere stato condannato in via definitiva a 4 ergastoli per l’assassinio di altrettante anziane, ha deciso di confessare altri 10 omicidi e un tentato omicidio. Autoaccusandosi, intende scagionare detenuti che a suo dire sono stati accusati ingiustamente. Il gup Valeria Ingenito lo ha condannato all’ergastolo per l’omicidio di Rosa Lucia Lapiscopia, di 90 anni, uccisa a Laterza il 21 agosto del 1997, mandandolo assolto dai delitti di Celestina Commessatti, 73 anni (Palagiano, 13 agosto 1995), Pasqua Rosa Ludovico, 86 anni (Castellaneta, 14 maggio 1997) e, appunto, Grazia Montemurro. A puntare alla condanna di Sebai è in maniera particolare l’avv. Ignazio Dragone, costituitosi parte civile per conto dei parenti della vittima ma legale anche di Cosimo Montemurro, l’ex dj di Massafra condannato a 18 anni di reclusione per l’omicidio della zia Grazia. Secondo l'accusa, Cosimo Montemurro avrebbe assassinato sua zia perchè non sopportava più di essere rimproverato. Il cadavere dell'anziana fu rinvenuto nell'abitazione di via Felice Cavallotti. Il nipote, che aveva trascorso la giornata a Mottola, dove abitava la fidanzata, rientrò a casa intorno alle 22. Fra zia e nipote, secondo le motivazioni della sentenza di condanna, scoppiò l'ennesimo diverbio. Colto da un raptus, Montemurro avrebbe afferrato un coltello da cucina con la lama zigrinata e sferrato un fendente alla gola dell'anziana zia. Poi avrebbe abbandonato l'appartamento per incontrarsi con due amici. Intorno a mezzanotte, sempre secondo la ricostruzione degli inquirenti, il presunto assassino sarebbe tornato sul luogo del delitto per allertare le forze dell'ordine. Il giovane massafrese crollò dopo quattordici ore di interrogatorio, motivando la follia omicida con la reazione ad un pesante rimprovero da parte della donna. Il caso sembrava chiuso. Poi, il presunto assassino ritrattò tutto, attaccando i carabinieri che lo avrebbero indotto, con la forza, a dichiarare il falso. Con la confessione del serial killer, Cosimo Montemurro, tornato in libertà dopo 10 anni di carcere, è tornato a sperare nella revisione del processo. La maestra sgozzata Anna Maria Stella fu sgozzata e rapinata nella sua abitazione di Trinitapoli il primo aprile del ‘97. In quel periodo in tutta la Puglia c’era la psicosi del killer delle vecchiette che aveva già colpito ripetutamente e ucciso: entrava in casa di anziane che vivevano sole, le uccideva con coltelli o punteruoli, rovistando in casa e rubando ori e soldi. All’epoca della morte della maestra trinitapolese, Ben Sebai non era stato ancora catturato: successe qualche mese dopo, il 16 settembre del ‘97, quando il tunisino fu arrestato dai carabinieri in flagranza a Palagianello, in provincia di Taranto, subito dopo aver ammazzato l’ennesima vecchietta. In seguito all’arresto di Ben Sebai, la Procura foggiana lo indagò formalmente - l’informazione di garanzia per omicidio gli venne notificata in carcere nel novembre del ‘98 - per l’omicidio della maestra trinitapolese. Fu disposto l’esame del dna su una cicca di sigaretta trovata in casa della vittima per verificare se fosse di Ben Sebai: visto l’esito negativo di quell’accertamento, le accuse contro il tunisino in relazione all’omicidio Stella furono archiviate. Nessuno pensò in quella fase investigativa di verificare se le due impronte digitali trovate su una scatola di caramelle in casa Stella fossero del serial killer. Le indagini sull’omicidio Stella (ed anche il delitto Garbetta e l’aggressione alla foggiana Assunta Aprile) si riaprirono nel 2006 con la decisione di Ben Sebai, detenuto da 9 anni, di confessare 15 delitti. Il pm Ludovico Vaccaro riaprì le indagini sui casi foggiani; rilesse il fascicolo processuale relativo al delitto Stella (non era lui il titolare dell’inchiesta nel ‘97/98); notò che su una scatola di caramelle rinvenuta in casa Stella furono trovate due impronte digitali; ordinò al Ris d’accertare se appartenessero al seriale killer. Responso positivo per una delle due impronte, il che rappresenta un fondamentale riscontro alla confessione del tunisino: basti pensare che Ben Sebai ha anche confessato l’omicidio di due anziane per le quali non è stato creduto, tant’è che sono stati condannati altri imputati. Quando Ben Sebai fu arrestato nel settembre ‘97 e poi condannato a 4 ergastoli per altrettanti omicidi si dichiarava innocente. La svolta e la confessione arrivarono 9 anni dopo nel carcere milanese: disse che le voci gli ordinavano di uccidere le vecchiette che gli ricordavano la madre e la nonna con cui da bambino aveva un rapporto di odio-amore. Il difensore, l’avv. Lucian Faraon, punta ad una perizia psichiatrica, ma Ben Sebai vi è stato già sottoposto recentemente per un altro omicidio scoperto dopo la confessione (quello della lucerina Madonna Celeste uccisa in casa il 24 aprile ‘96, per il quale è stato condannato a 18 anni) e gli esperti hanno escluso l’infermità mentale del serial killer.
La Vergogna di essere italiano. Faiuolo, Orlandi, Nardelli, Tinelli, Montemurro, Donvito sono innocenti, ma colpevoli solo per convinzione personale dei giudici? Ben Mohammed Ezzedine Sebai (il Killer delle vecchiette), che tra il 1995 e il 1997 si macchiò dell’omicidio di ben 14 anziane tra Puglia e Basilicata. Nonostante il legittimo sospetto che non vi potesse essere serenità di giudizio, ed non essendo prevista la ricusazione del PM, si è permesso di giudicare il Sebai a Taranto con il rito abbreviato per delitti di cui altri già erano già stati condannati dal quel foro e accusati, in particolare, dagli stessi PM. Nessuno delle parti in causa (pubblici ministeri, avvocati e giudice), che abbia chiesto la rimessione del processo in altro foro per legittimo sospetto di parzialità nel giudizio. I media tacciono la vergogna. Nella puntata di “Agorà” dell’8 febbraio 2011 su Rai Tre, dalle 9.00 alle 11.00, sarebbe dovuta andare in onda un’inchiesta della giornalista Angela Caponnetto sulla censurata vicenda Sebai. Nell’inchiesta si sarebbero potute ascoltare le parole di Michele Donvito, fratello di Vincenzo, suicidatosi nel carcere di Teramo nel 2005, accusato dell’omicidio di Celestina Commessatti, uccisa nella sua abitazione di Palagiano, in provincia di Taranto, il 14 agosto 1995. Eppure già nel 1999 il tunisino Ben Mohamed Ezzedine Sebai si era dichiarato colpevole dell’omicidio della stessa, confessione rafforzata di particolari e dettagli solo nel 2006. In studio era presente anche la giornalista che per cinque ore ha intervistato Donvito sulla triste vicenda, che ha coinvolto e stravolto la sua famiglia, eppure, a detta del suo conduttore, Andrea Vianello, di tempo non ce n’è stato a sufficienza e il servizio è saltato. La Caponnetto è stata liquidata con delle semplici scuse e la vicenda rimane nell’oblio. La quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha accolto la richiesta di revisione del processo, trasmettendo gli atti alla Corte d'Appello di Potenza, nei confronti di Vincenzo Faiuolo, arrestato per il delitto di Pasqua Ludovico, anziana uccisa in provincia di Taranto negli anni '90. Faiuolo è una delle otto persone arrestate per diversi omicidi di anziane uccise in Puglia in quegli anni. Omicidi dei quali poi si è confessato colpevole Ben Mohamed Ezzedine Sebai, soprannominato 'il serial killer delle vecchiette'. A darne notizia è l'avvocato Claudio Defilippi, legale dello stesso Faiuolo, condannato a 25 anni di carcere, di cui ne ha scontati 15 anni. Defilippi spiega che è stata accolta anche la richiesta di revisione del processo, con rinvio alla sezione per i minorenni della Corte d'Appello di Potenza, nei confronti di Davide Nardelli, all'epoca dei fatti minorenne, che fu condannato a 7 anni per il delitto di un'altra anziana e che ha già finito di scontare la pena. "La Cassazione dice che la revisione dei processi deve andare avanti. Chiediamo ora che siano riaperti i procedimenti per questi diversi omicidi", afferma Defilippi. Il signor Sebai viene schedato con foto ed impronte sin dal 1991, dai carabinieri di Bolzano. Egli, nel corso delle dichiarazioni rese al sostituto procuratore del tribunale di Milano, dottor Nobili, in data 10 febbraio 2006, e successivamente confermate, a dicembre 2008, davanti al sostituto procuratore del tribunale di Foggia, dottor, Ludovico Vaccaro, ha confessato i seguenti omicidi, compiuti tra il gennaio 1994 ed il settembre 1997:
gennaio 1994, presunta vittima ignota, in assenza di riscontri investigativi, poi identificata a seguito dell'interrogatorio di Sebai avanti al pubblico ministero di Foggia (avvenuto nel dicembre 2008, come citato in premessa) in Aprile Assunta, la quale è l'unica vittima sopravvissuta;
8 luglio 1995, Vernetti Petronilla, anni 83, Melfi (Potenza), assolto;
13 agosto 1995, Commessatti Celeste, anni 83, Palagiano (Taranto), per il quale delitto sono stati condannati Nardelli Davide e Tinelli Giuseppe, minorenni all'epoca del fatto, e Donvito Vincenzo, suicidatosi nel 2006 nella Casa di Reclusione di Teramo;
24 aprile 1996, Madonna Celeste, anni 81, Lucera (Foggia), omicidio irrisolto, nel 2008 Sebai condannato a 18 anni;
30 maggio 1996, Garbetta Giuseppina, anni 72, San Ferdinando di Puglia (Foggia), omicidio irrisolto fino alla confessione di Sebai;
10 agosto 1996, Stano Anna, anni 85, Ginosa (Taranto), ergastolo;
15 gennaio 1997, Totaro Maria, anni 76, Cerignola (Foggia), ergastolo;
5 aprile 1997, Montemurro Grazia, anni 76, Massafra (Taranto), per il quale delitto è stato condannato diciotto anni di reclusione Montemurro Cosimo, nipote della vittima;
1o maggio 1997, Stella Anna Maria, anni 69, Trinitapoli (Foggia), omicidio irrisolto fino alla confessione di Sebai;
9 maggio 1997, Leone Santa, anni 82, Canosa di Puglia (Bari), processato e assolto;
14 maggio 1997, Ludovico Pasqua, anni 86, Castellaneta (Taranto) per il quale delitto sono stati condannati Faiulo Vincenzo e Orlandi Francesco, rei confessi;
28 luglio 1997, Valente Maria, anni 84, Palagiano (Taranto), ergastolo per il quale delitto, oltre all'ergastolo per Sebai, sono stati condannati anche Tinelli Giuseppe e la di lui madre e sorella;
21 agosto 1997, Lapiscopa Rosa Lucia, anni 90, Laterza (Taranto), ergastolo;
27 agosto 1997, Sansone Angela, anni 84, Spinazzola (Bari), ergastolo;
15 settembre 1997, Nico Lucia, anni 75, Palagianello (Taranto), ergastolo;
per il delitto del gennaio 1994, ai danni di Aprile Assunta, unica sopravvissuta delle 15 vittime, quantunque ricoverata in prognosi riservata, gli investigatori non rilevarono le impronte digitali e, inoltre, a dispetto delle accuratissime descrizioni dell'aggressore, fornite dalla vittima, non fu esperita alcuna ricerca fra le foto schedate nel casellario centrale. Un tale accertamento avrebbe potuto impedire tutti i successivi 14 delitti, risalendo ai dati del Sebai schedati sin dal 1991;
per il delitto del 13 agosto 1995, ai danni di Commessatti Celeste, il signor Sebai viene fermato con la refurtiva sottratta alla vittima, viene fotografato, vengono rilevate le sue impronte digitali e poi rilasciato. In tale circostanza, la negligenza investigativa, manifestatasi già nel 1994, assume connotati gravi aprono la strada ai successivi 5 delitti, confessati dal Sebai;
per il delitto del 1o maggio 1997, ai danni di Stella Anna Maria, nel corso delle indagini successive, furono rilevate le tracce di Dna sulle cicche di sigaretta, rinvenute sulla scena del delitto, nonché le impronte digitali. Comparato il Dna a quello di Sebai, risultando negativo, Sebai fu rilasciato senza comparare le impronte digitali. Solo nel 2008, cioè 11 anni dopo, a seguito degli accertamenti disposti dal nuovo sostituto procuratore del tribunale di Foggia, dottor Ludovico Vaccaro, si scoprirà che Sebai aveva lasciato l'impronta sulla scena del delitto Stella. L'accertamento sulle impronte, omesso nel 1997, consente al Sebai lo stato di libertà nel corso del quale compie altri 6 omicidi. ''La procura di Taranto è spaccata sull'attendibilità del serial killer delle vecchiette pugliesi, Ben Mohamed Ezzedine Sebai. Per due pm il tunisino non è credibile e va assolto dall’accusa di aver compiuto tre omicidi; per un altro pm è invece credibile e va condannato a 30 anni di reclusione”. Lo evidenzia l’avv. Claudio Defilippi legale di sei delle otto persone (una si è suicidata in carcere dopo la condanna) detenute da lunghi anni “pur essendo innocenti”.
Altra vergogna, altro precedente.
15 aprile 2007. Carmela volava via, dal settimo piano di un palazzo a Taranto, dopo aver subito violenze ed abusi, ma soprattutto dopo essere stata tradita proprio da quelle istituzioni a cui si era rivolta per denunciare e chiedere aiuto. «Una ragazzina di 13 anni - scrive Alfonso, il padre di Carmela - che il 15 aprile del 2007 è deceduta volando via da un settimo piano della periferia di Taranto, dopo aver subito violenze sessuali da un branco di viscidi esseri», ma poi anche le incompetenze e la malafede di quelle Istituzioni che sono state coinvolte con l’obiettivo di tutelarla», perché «invece di rinchiudere i carnefici di mia figlia hanno pensato bene di rinchiudere lei in un istituto (convincendoci con l’inganno) ed imbottendola di psicofarmaci a nostra insaputa». Carmela aveva denunciato di essere stata violentata; e nessuno, né polizia, né magistrati, né assistenti sociali le avevano creduto o l’avevano presa sul serio. Ma le istituzioni avevano anche fatto di peggio. Hanno considerato Carmela «soggetto disturbato con capacità compromesse» e, quindi, poco credibile.
Altro precedente. È il più clamoroso errore giudiziario del dopoguerra. Ora il ministero dell’Economia ha deciso di staccare l’assegno più alto mai dato a un innocente per risarcirlo: 4 milioni e 500mila euro. Circa nove miliardi di lire, a fronte di 15 anni, 2 mesi e 22 giorni trascorsi in carcere per un duplice omicidio mai commesso. Il caso di Domenico Morrone, pescatore tarantino, si chiude qua: con una transazione insolitamente veloce nei tempi e soft nei modi. Il ministero dell’Economia ha capitolato quasi subito, riconoscendo il dramma spaventoso vissuto dall’uomo che oggi può tentare di rifarsi una vita. Così, per il tramite dell’avvocatura dello Stato, Morrone si è rapidamente accordato con il ministero e la corte d’appello di Lecce ha registrato come un notaio il «contratto». In pratica, Morrone prenderà 300mila euro per ogni anno di carcere. E i soldi arriveranno subito: non si ripeteranno le esasperanti manovre dilatorie già viste in situazioni analoghe, per esempio nelle vertenza aperta da Daniele Barillà, rimasto in cella più di 7 anni come trafficante di droga per uno sfortunato scambio di auto. Morrone fu arrestato mezz’ora dopo la mattanza, il 30 gennaio ’91. Sul terreno c’erano i corpi di due giovani e le forze dell’ordine di Taranto cercavano un colpevole a tutti i costi. La madre di una delle vittime indirizzò i sospetti su di lui. Lo presero e lo condannarono. Le persone che lo scagionavano furono condannate per falsa testimonianza. Nel ’96 alcuni pentiti svelarono la vera trama del massacro: i due ragazzi erano stati eliminati perché avevano osato scippare la madre di un boss. Morrone non c’entrava, ma ci sono voluti altri dieci anni per ottenere giustizia. E ora arriva anche l’indennizzo per le sofferenze subite: «Avevo 26 anni quando mi ammanettarono - racconta lui - adesso è difficile ricominciare. Ma sono soddisfatto perché lo Stato ha capito le mie sofferenze, le umiliazioni subite, tutto quello che ho passato». Un procedimento controverso: due volte la Cassazione annullò la sentenza di condanna della corte d’assise d’appello, ma alla fine Morrone fu schiacciato da una pena definitiva a 21 anni. Non solo: beffa nella beffa, fu anche processato e condannato a 1 anno e 8 mesi per calunnia. La sua colpa? Se l’era presa con i magistrati che avevano trascurato i verbali dei pentiti.
Altro precedente: Non erano colpevoli, ora chiedono 12 mln di euro. Giovanni Pedone, Massimiliano Caforio, Francesco Aiello e Cosimo Bello, condannati per la cosiddetta «strage della barberia» di Taranto, sono tornati in libertà dopo 7 anni di detenzione e vogliono un risarcimento. Per la Procura, che sostiene la tesi della colpevolezza di Sabrina e della madre Cosima per il delitto e la responsabilità di Michele Misseri solo per la soppressione del cadavere di Sarah, la ritrattazione della psicologa sono manna dal cielo, un supporto alle proprie tesi. Da tenere presente una cosa: trattare come veritiere le dichiarazioni di Dora Chiloiro rese nell’udienza preliminare e nella precedente testimonianza in Corte d’Assise o considerare quest’ultima trattazione come la vera verità? Certo che a rettificare la dichiarazione nello stesso procedimento, porta la Chiloiro a liberasi del fardello del procedimento penale per falsa testimonianza, non incorrendo così nelle conseguenze di carattere professionale. Questa cosa dà da pensare. Scegliere la propria carriera ed i propri interessi o salvare delle vite umane dal carcere? Una scelta di carattere pratico o una strategia difensiva, oppure cedere al rimorso della coscienza? Questa è solo una considerazione di carattere logico, non una diffamazione nei confronti di chiunque. Anche perché a Taranto ogni logica, anche giuridica viene disattesa. Taranto dove i magistrati si sentono anche legislatori. I magistrati di Taranto hanno una loro ben definita contrapposizione: «Prendiamo atto che il governo, di fronte ad una situazione complessa e con gravi ripercussioni occupazionali, si è assunto la grave responsabilità di vanificare le finalità preventive dei provvedimenti di sequestro emessi dalla magistratura e volti a salvaguardare la salute di una intera collettività dal pericolo attuale e concreto di gravi danni», dice il segretario dell'Associazione magistrati (Anm), Maurizio Carbone, proprio a Taranto sostituto procuratore. Per Carbone «resta tutta da verificare la effettiva disponibilità dell'azienda ad investire i capitali necessari per mettere a norma l'impianto e ad adempiere alle prescrizioni contenute nell'Aia», tenuto conto che «sino ad ora la proprietà ha dimostrato di volersi sottrarre all'esecuzione di ogni provvedimento emesso dalla magistratura». Ed ancora non ha lesinato critiche al provvedimento d'urgenza di Palazzo Chigi: «È un'invasione di campo, dov'è finito il principio della separazione dei poteri? Il decreto legge vanifica di colpo tutti gli effetti dei provvedimenti presi dai magistrati per la tutela della salute dei cittadini. Il governo, così facendo, si è preso una grossa responsabilità». Per il gip di Taranto Patrizia Todisco la nuova Aia per l'Ilva «non si preoccupa affatto della attualità del pericolo e della attualità delle gravi conseguenze dannose per la salute e l'ambiente». L'attività produttiva dell'Ilva è «tuttora, allo stato attuale degli impianti e delle aree in sequestro, altamente pericolosa». I tempi di realizzazione della nuova Aia sono «incompatibili con le improcrastinabili esigenze di tutela della salute della popolazione locale e dei lavoratori del Siderurgico», scrive il gip. Tutela che «non può essere sospesa senza incorrere in una inammissibile violazione dei principi costituzionali» (articoli 32 e 41). Come è possibile, sulla base di quanto emerso dalle indagini, «autorizzare comunque l'Ilva alle attuali condizioni e nell'attuale stato degli impianti in sequestro, a continuare da subito l'attività produttiva», senza «prima pretendere» gli interventi di risanamento? aggiunge il gip dicendo no al dissequestro degli impianti. La partita con l'Ilva non è finita, «abbiamo ancora qualche cartuccia da sparare», sorride amaro il procuratore capo di Taranto, Franco Sebastio, che proprio non ci sta a passare per «il talebano», così come viene definito sui giornali, «il pazzo nemico di 20 mila operai», «se solo avessi cinque minuti per un caffè con il presidente Napolitano e con Mario Monti racconterei loro dei bambini che qui nascono già malati di tumore...», si sfoga il vecchio magistrato. La Procura solleva eccezioni di incostituzionalità del decreto legge di Palazzo Chigi, chiedendo l'intervento della Corte Costituzionale. Il diritto all'eguaglianza, ad esempio: la legge è uguale per tutti, no? Ma se la legge è nata per l'Ilva, dove finiscono i principi di astrattezza e generalità? Intanto, oltre al sindaco di Taranto, alcuni preti della città, alcuni giornalisti tarantini, alcuni parlamentari locali, l’inchiesta coinvolge anche la provincia. Così come per il delitto di Avetrana: nel dubbio, tutti dentro, avvocati compresi. L'inchiesta afferra il Presidente della provincia di Taranto, Gianni Florido, un passato importante da sindacalista quale ex segretario regionale della Cisl e un presente da dirigente locale del Pd. Un'informativa di 182 pagine in parte mutilata da omissis e allegata all'ordinanza di custodia cautelare che aveva già bussato al palazzo della Provincia, relegando agli arresti domiciliari l'ex assessore all'ambiente Michele Conserva, lo fulmina in poche righe. "Si evidenzia - scrivono i militari della Finanza - che alla luce di quanto accertato, vanno ascritte al dottor Gianni Florido, Presidente della Provincia di Taranto, specifiche responsabilità penali per il delitto di concussione o, in subordine, di violenza privata". Certo è che qualcuno dovrebbe spiegare ai magistrati, che si lamentano quando la legge si stila senza la loro dettatura, che non vi è scontro tra poteri, proprio perché la magistratura non è un potere.
Se l’articolo 1 della Costituzione detta che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, ne consegue che Potere è quello Legislativo che legifera in modo ordinario e quello Esecutivo che legifera in modo straordinario. La Costituzione all’art. 104 afferma che “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere.” Ne conviene che il dettato vuol significare non equiparare la Magistratura ad altro potere, ma differenziarne l’Ordine con il Potere che spetta al popolo. Ordine costituzionalizzato, sì, non Potere. Ordine, non potere, come invece il più delle volte si scrive, probabilmente ricordando Montesquieu; il quale però aggiungeva che il potere giudiziario é “per così dire invisibile e nullo”. Solo il popolo è depositario della sovranità: per questo Togliatti alla Costituente avrebbe voluto addirittura che i magistrati fossero eletti dal popolo, per questo sostenne le giurie popolari. Ordine o potere che sia, in ogni caso è chiaro che di magistrati si parla. Per gli effetti l’art. 101 dichiara che “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge.” Ergo: i magistrati devono applicare la legge, rispettarla e farla rispettare, non formarla, né criticarla. Non devono sentirsi portatori di una missione non loro. E nessuna risonanza mediatica può essere ammessa, in special modo quando vi sono interessi più grandi che quelli castali. E si deve ricordar loro, ai magistrati ed alla claque che li santifica, che c’è anche quella legge ambientale che prevede il dogma “chi inquina paga”. Non esiste il dettato tutto di stampo tarantino: “chi inquina, chiude i battenti e tutti a casa”, specialmente se l’industria che viene chiusa, con le tasse che paga, mantiene i suoi detrattori.» Una cosa è certa: a Taranto non si deve dire la verità. Chi parla paga. Così come è successo al dr Antonio Giangrande: denuncia la malagiustizia a Taranto e le pratiche mafiose a Manduria, paese retto da un commissario e sotto indagine per infiltrazioni mafiose, e viene processato a Potenza per diffamazione a mezzo stampa. Processo che dura da anni e che non vede fine. Giangrande, però, non può bearsi, come per Alessandro Sallusti, della “solidarietà” dei coraggiosi colleghi giornalisti, in quanto il Giangrande non fa parte di un Ordine, come tutti gli ordini professionali, di origine normativa fascista, ma è un semplice scrittore che racconta ai posteri quello che oggi non si osa dire.
SOLO A TARANTO. ILVA, SARAH SCAZZI, BEN EZZEDINE SEBAI. AVVOCATI SUCCUBI DEI MAGISTRATI. Nel resto d’Italia c’è una sana contrapposizione tra la funzione accusatoria e quella difensiva. Interessi diversi che portano PER FORZA a posizioni diverse. QUESTI SIGNORI GIURANO DI RISPETTARE E FAR RISPETTARE LA LEGGE. I MAGISTRATI HANNO L'OBBLIGO DI APPLICARE LA LEGGE NON DI EMANARLA. GLI AVVOCATI HANNO L’OBBLIGO DI DIFENDERE I CITTADINI INNOCENTI ACCUSATI INGIUSTAMENTE DAI MAGISTRATI, NON ESSERE LORO SCHIAVI. INVECE A TARANTO TUTTI FANNO TUTT’ALTRO.
Il decreto legge 207 sull'Ilva ha operato un «grave vulnus ai principi di obbligatorietà dell'azione e di indipendenza del pm» (articoli 112 e 107 della Costituzione) e questo «non appare tollerabile». Così scrive la Procura della Repubblica di Taranto nel ricorso inviato alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sul decreto legge salva-Ilva, convertito in legge il 20 dicembre 2012. Per i pubblici ministeri, il decreto ha fatto di peggio, ha cioè «legittimato la sicura commissione di ulteriori fatti integranti i medesimi reati» contestati, a partire ovviamente da quello di disastro ambientale. Per questi motivi la Procura chiede alla Consulta di dichiarare che «non spetta, nel caso di specie, al Governo della Repubblica autorizzare la prosecuzione dell'attività produttiva per periodo di tempo predeterminato», e che questa autorizzazione non può scavalcare gli eventuali provvedimenti di sequestro di beni dell'impresa adottati dalla magistratura. La vicenda Ilva, al di là degli aspetti processuali e penali, è di «enorme importanza da un punto di vista sociale ed etico» ha voluto chiarire il procuratore, Franco Sebastio, e per questo motivo è stato chiesto alla Corte costituzionale «un contributo di chiarezza», ma «non c'è nessuno scontro». Dubbi di costituzionalità della legge vengono affacciati anche dal presidente dell'Ordine degli avvocati di Taranto, Angelo Esposito, che parla di «problema serio di sospensione dei provvedimenti giudiziari». Per Esposito, se il provvedimento «fosse stato intrapreso da un governo di qualunque matrice politica, sarebbe scoppiata una rivoluzione», ma «è la prima volta che un governo sospende un reato a tempo» e che «assistiamo ad una intromissione così invasiva ed efficace del governo e del legislatore rispetto alla magistratura». Non solo, ma «non è serio dire che chi difende l'operato della magistratura è contro il lavoro», sottolinea Esposito, perchè «se la procura è intervenuta, è perchè aveva il dovere di farlo». Che ci sia o meno scontro istituzionale, sulla legge salva-Ilva si vanno definendo posizioni nette: da una parte magistrati e avvocati, dall'altra governo e, ovviamente, azienda. Con questo scenario si va chiudendo un tormentato 2012 per lasciare il posto ad un 2013 che non si preannuncia affatto tranquillo per il colosso siderurgico.
Ed è giallo di Natale nei luoghi della tragedia di Sarah Scazzi. Era stata dai parenti per il pranzo di Natale e poco dopo il rientro a casa è stata trovata impiccata all’albero del suo giardino. Così l’inspiegabile fine di una donna di 37 anni, Oksana Warkentin, originaria del Kazakistan ma residente ad Avetrana, dove viveva con il marito e due figli minorenni. Nessuno dei familiari sa darsi una spiegazione. La signora non pare soffrisse di depressione né di altre patologie della mente. I parenti hanno detto ai carabinieri che a pranzo era stata serena, aveva dialogato a lungo con le cognate e si era congedata senza nessun segnale che potesse presagire un gesto suicidario. Il dramma si è consumato proprio la sera del 25 dicembre 2012 in una villetta della cittadina jonica, scrive Mario Diliberto su “Il Nuovo Quotidiano di Puglia”. Il cadavere della donna che penzolava da un ramo è stato trovato dal figlio di quindici anni. E’ stato lui a tirare giù il corpo della mamma. La stava cercando dopo averla sentita litigare con il papà. Proprio l’uomo uscendo di casa si era rivolto al figlio. «Vai a consolare tua madre» gli aveva detto, prima di imboccare la porta per recarsi in un bar vicino. Cinque minuti dopo il ragazzino si è fiondato verso quella zona del giardino, proprio dietro la casa. Per la mamma quell’albero era il luogo dove fermarsi a fumare e magari a riflettere su un menage familiare pare alquanto accidentato. Quando il quindicenne ha visto il cadavere penzolare dal ramo lo ha tirato giù. Poi ha avvisato il padre ed un vicino. Assieme al padre, poi, l’avrebbe liberata dalla cintura e trascinata sul divano dove avrebbero tentato di rianimarla ma inutilmente. E solo dopo è stato avvisato il 118. Quando è intervenuto il 188 la donna era già morta. Quando sono giunti in casa i soccorritori non hanno potuto fare altro che constatare la morte della donna, una casalinga di nazionalità tedesca. I dettagli della tragedia, però, hanno insospettito i carabinieri. Su quella ricostruzione ora indagano i carabinieri che coordinati dal pm Maurizio Carbone conducono l’inchiesta con l’ipotesi di reato di induzione al suicidio per il momento senza indagati. Il marito e il figlio sono stati interrogati per ore. Sempre secondo la versione dei familiari, la vittima quella sera aveva litigato con il marito che ad un certo punto è uscito per andare al bar raccomandandosi con il figlio di consolare la madre. Sarebbe stato allora che il ragazzo è andato a cercare la madre facendo la terribile scoperta. Gli investigatori hanno acquisito le registrazioni delle telecamere della villetta dove è avvenuta la tragedia ma pare che proprio quella che avrebbe potuto riprendere la scena dell’impiccagione non era in funzione. E qualcosa davvero sembra non tornare se il giorno di Santo Stefano, ad Avetrana sono piombati il pubblico ministero di turno Maurizio Carbone ed il comandante del nucleo operativo dei carabinieri Giovanni Tamborrino, in compagnia del medico legale Marcello Chironi. Il magistrato e i carabinieri hanno lungamente interrogato il marito della vittima ed il figlio che ha fatto la tragica scoperta. Dal loro racconto sono emersi i momenti del burrascoso Natale trascorso in quella casa. Con una lite tra coniugi a pranzo e proseguita a cena. Sino a quando l’uomo, un idraulico di 37 anni, è uscito invitando il figlio a “consolare” la madre. I militari hanno repertato la vecchia cintura, forse una delle bretelle di uno zainetto, che la casalinga avrebbe utilizzato per impiccarsi. La cinta sarà esaminata dagli esperti della sezione scientifica. Ed il pubblico ministero Maurizio Carbone ha disposto l’autopsia che sarà effettuata quasi certamente domani. L’esame autoptico sarà decisivo e servirà soprattutto a decifrare i segni sul collo della vittima e la loro compatibilità con il suicidio.
Tra amori che portano alla morte e amori non corrisposti ad Avetrana succede di tutto. Si chiama Fiorella, è sposata, ha cinquant’anni e vive a Roma, scrive Nazareno Dinoi su “Il Corriere della Sera”. È lei la «pasionaria» di Michele Misseri, la donna che gli scriveva accorate lettere quando il contadino di Avetrana si trovava ancora in carcere per il delitto di Sarah Scazzi. Una corrispondenza molto calorosa, che forse non si è interrotta con la scarcerazione per decorrenza dei termini (superfluo dire che l’uomo è imputato nel processo in Corte d’assise e deve rispondere di soppressione del cadavere della nipote quindicenne), e della quale si trova traccia negli atti del processo. In particolare nel fascicolo che raccoglie le trentasette lettere ed altri documenti sequestrate dai carabinieri il 17 gennaio 2011 nella cella di zio Michele. Le missive in questione portano la data del 6 e 20 dicembre del 2010. In quel periodo, il papà di Sabrina e marito di Cosima Serrano, le due donne in carcere perché accusate di avere ucciso la ragazzina, aveva preso a scrivere lettere e memoriali indirizzate ai suoi familiari (soprattutto alla figlia Sabrina tuttora detenuta), che non hanno mai risposto al mittente. A compensare questa carenza d’affetto, di cui Misseri comincia a lamentarsi nel suo «diario della tristezza e del dolore» consegnato in questi giorni alla Corte d’assise (cinque quaderni di computisteria scritti di suo pugno), a lenire le ferite, almeno allora, ci ha pensato Fiorella. «Ti scrivo per dirti quanto sono triste per tutto quello che ti è accaduto», si legge nella corrispondenza datata 6 dicembre. Con una grafia elementare ma chiara e priva di errori, la donna romana fa chiari apprezzamenti sul detenuto di Avetrana. «Si vede dal tuo viso che sei una persona per bene». Poi si spinge più in là: «Un uomo dolce con occhi meravigliosi che incantano». Sino alla dichiarazione più esplicita: «Se non fossi sposata - scrive - ti porterei con me a Roma, lontano da tutto quel dolore». Il primo a non credere a tanta dolcezza, forse, sarà stato lo stesso Michele poco abituato a simili affettuosità in un periodo così triste per la sua esistenza. Di sicuro gli avrà fatto bene vedere i tre cuoricini disegnati alla fine della lettera sotto il nome della sua ammiratrice: tre simboli dell’amore con dentro scritte frasi di affetto e di speranza: «Sei sempre nel mio cuore», «uscirai presto» e «sei una persona meravigliosa». Due settimane dopo a Michele fu consegnata un'altra lettera. Sullo stesso foglio a quadretti è ancora Fiorella a scrivergli. «Come vedi torno a scriverti con la speranza di darti un po’ di compagnia e affetto. Mi sta molto a cuore la tua situazione — insiste la signora — e vorrei che finisse tutto al più presto possibile». Sempre con l’intento di alleviare le sofferenze della persona internata, la cinquantenne romana invita Michele Misseri a «pensare che ti sei preso un periodo di riposo, visto che hai lavorato tanto nella tua vita». La chiusura della lettera è più intima. «Anche se non mi vedi, io sono sempre vicino a te. Un bacio sui tuoi splendidi occhi».
8 gennaio 2013 35ª udienza e Michele Misseri candidato al Parlamento
8 gennaio 2013. Trentacinquesima udienza. Parla Paolo Arbarello. È la prima udienza del 2013 davanti alla corte d’assise di Taranto per il processo per l’omicidio di Sarah Scazzi. Dinanzi alla corte d’assise dovrebbero presentarsi gli ultimi due testimoni, Liala Nigro, amica del cuore di Sabrina Misseri, e il professor Paolo Arbarello, luminare di medicina legale, consulente della difesa di Sabrina Misseri. Il perito della difesa di Sabrina demolisce la perizia dell’accusa redatta dal medico legale Luigi Strada. Il professor Paolo Arbarello, direttore del dipartimento di medicina legale dell’Università La Sapienza di Roma, citato dal professor Franco Coppi (sostituito oggi dall’avvocato Roberto Borgogno) e dall’avvocato Nicola Marseglia, solleva una serie di obiezioni su metodo e conclusioni. Secondo il perito, i segni trovati sul collo della povera Sarah Scazzi, durante l’autopsia effettuata il 7 ottobre 2010, quindi a distanza di 43 giorni dal delitto e a poche ore dal ritrovamento del cadavere nel pozzo, in contrada Mosca, non sono quelli di uno strangolamento. Il tessuto esaminato, spiega riferendosi al segno trovato sotto il mento, non presenta emorragie, sostiene il docente universitario sulla base dell’esame della documentazione fotografica e della relazione dell’esame autoptico: «Non si tratta di un segno dovuto ad una compressione, perché non ci sono segni di stravaso emorragico». «Non ci sono elementi per affermare con certezza che la sfortunata ragazza sia morta per strangolamento». Arbarello ha fatto presente che «il livello in cui si colloca la lesione non è compatibile con lo strangolamento. Guardando le foto, la fascia è molto sotto il mento. Non c'è una ragione che mi spieghi, anche in termini isto-patologici, perchè – ha aggiunto – la cute della povera ragazza immersa in acqua abbia questa fascia preservata.» Il solco biancastro rilevato sarebbe, secondo Arbarello, più compatibile con l’impiccamento. La compressione del collo, ha precisato il docente universitario, avrebbe dovuto provocare un’emorragia che non è stata riscontrata in sede di esame autoptico. Arbarello ha criticato la metodologia utilizzata dal medico legale Luigi Strada, consulente dei pubblici ministeri, sia in relazione alla scelta di eseguire un solo prelievo, ai fini degli esami istologici, per la zona che riguarda il collo, sia per l’esame del contenuto gastrico e intestinale, ritenuto non approfondito. «E' irrituale – ha detto Arbarello – che nel corso dell’autopsia non si faccia un prelievo del contenuto gastrico». Il 'solco biancastro' rilevato dal medico legale Luigi Strada, secondo Arbarello, deriva «quasi certamente dalla postura della ragazza, che aveva il capo reclinato da un lato e pressava sul tronco». Si tratta del «tratto di pelle meno compromesso dal resto del processo di macerazione nell’acqua». L’esperto ascoltato in aula ritiene che non ci siano elementi per stabilire se la ragazzina sia morta strangolata e se l’arma del delitto sia una cintura. I processi di putrefazione e di macerazione provocati dall’acqua hanno cancellato molte tracce, quindi, secondo Albarello, è impossibile stabilire con certezza se il solco trovato sulla parte posteriore del collo sia stato provocato da una cinta: «Non abbiamo cinture, corde o altri oggetti con cui confrontare quella lesione. Dopo oltre 40 giorni in cui il corpo è stato in quelle condizioni, la macerazione rende impossibile identificare dei segni di una cintura o delle cuciture esterne». Il perito della difesa sottolinea di essere in «dissenso totale» con le conclusioni del suo collega Strada e di ritenere che la 15enne di Avetrana sia stata impiccata e non strangolata in considerazione del fatto che il segno «è troppo al di sotto del mento rispetto a quanto riscontrato in numerosi casi di strangolamento». Rispondendo alle domande dei pubblici ministeri e della difesa, Arbarello ha precisato che «Strada attribuisce la macerazione ritardata della cute a una compressione di una zona di derma, ma non c’è alcun segno di compressione e non si evidenziano aree di infiltrazione emorragica». Quanto all’ ipotesi che Sarah sia stata strangolata, il consulente ha detto che «non abbiamo un confronto tra la lesione e il mezzo che l’ha provocata. Sono indicazioni puramente teoriche. Arbarello ha mosso anche rilievi sulla situazione di stress che secondo Strada avrebbe potuto accelerare la digestione dei cibi ingeriti da Sarah prima di morire. Può accadere l’esatto contrario – ha sostenuto il consulente di Sabrina – cioè che lo stress possa aver «bloccato la digestione». «Non concordo con quanto affermato dal prof. Strada, il quale ha sostenuto che la mancanza di ulteriori lesività della struttura del collo sta a significare che la vittima sia deceduta rapidamente nell’arco di due-tre minuti. Ulteriori lesività sono impossibili da vedere con il processo di macerazione del corpo immerso in acqua. L’azione omicidiaria, anche se non è un elemento importante, secondo il mio parere è durata almeno quattro-cinque minuti». Sicuramente, ha aggiunto, «c'è stata una iposia con insufficienza cerebrale acuta che ha fatto perdere ossigeno al cervello». Arbarello ha anche giudicato «molto discutibili le affermazioni di Strada che ha prima ha detto che i segni sulle braccia di Michele Misseri erano compatibili con due unghiature e in un secondo momento ha sottolineato di essersi sbagliato perchè c'erano state lesioni da grattamento che avevano potuto comportare delle modifiche». Dopo la deposizione del consulente di Sabina Misseri, Paolo Arbarello, è saltata la deposizione di Liala Nigro, amica di Sabrina, che ha comunicato di essere tornata in Polonia dove sta studiando per il progetto Erasmus e di essere impossibilitata a testimoniare. Il procuratore aggiunto Pietro Argentino aveva chiesto alla Corte di rinunciare al suo esame e di acquisire le dichiarazioni rilasciate dalla teste nella fase di indagini preliminari, ma la difesa si è opposta. La corte si è riservata di decidere. La difesa di Sabrina aveva già chiesto l’esame di Alessio Pisello e del gestore di un pub di Avetrana e un nuovo sopralluogo nel garage da parte di Michele Misseri perchè lo stesso contadino ha spesso detto che quello del 15 ottobre del 2010, il giorno della prima chiamata in correità della figlia, si sarebbe svolto mentre lui era in condizioni fisiche non adeguate perché gli erano stati fatti assumere tranquillanti. I legali hanno chiesto di ascoltare in aula la registrazione degli interrogatori di Michele Misseri del 6 e 7 ottobre 2010 nei quali il contadino confessa di essere l’autore dell’omicidio della nipote. I pm hanno espresso parere negativo. Dopo l’ascolto di una intercettazione video e audio in carcere, di un dialogo fra Michele Misseri e il fratello Salvatore (deceduto alcuni mesi fa), il processo è stato aggiornato a lunedì 14 gennaio dal presidente della Corte d’assise di Taranto Rina Trunfio per la decisione sulle richieste di integrazione probatoria fra cui quella, avanzata dalla difesa, di riportare Michele Misseri nell’abitazione del garage di via Deledda per un nuovo sopralluogo. La Corte deciderà anche sull’esame della teste Liala Nigro, l’amica del cuore di Sabrina, citata dalla difesa dell’imputata.
Intanto a contorno della vicenda la notizia aveva dell'incredibile, pur in una campagna elettorale come quella attuale, che di colpi di scena ne ha già visti molti: a metà del 7 gennaio alcuni siti internet riferivano che il Partito dei Pensionati aveva offerto un posto in lista nientemeno che a Michele Misseri, lo zio Michele coinvolto nell'omicidio di Sara Scazzi ad Avetrana. Possibile? Contattato da Tgcom24, Michele Misseri negava risolutamente, definendo la notizia una "buffonata", l'ennesima "bufala" nei suoi confronti. "Io con la politica non ho e non avrò mai nulla a che vedere" ha spiegato con la rabbia nella voce. Insomma: sospettato di omicidio è un conto, ma in politica mai e poi mai. Si deve riflettere su una cosa. Persino Michele Misseri ha schifo di questi nostri politici. "Ma che candidato? Io di questa storia non so nulla". Michele Misseri cade dalle nuvole quando gli chiedono se è davvero in corsa alle prossime elezioni. Lo zio di Avetrana, autodichiaratosi l'assassino della nipote Sarah Scazzi, imputato nel processo per soppressione di cadavere della 15enne, lascia per un momento la cronaca nera per finire nella politica, argomento caldo in vista delle elezioni di febbraio 2013. C'è infatti chi lo inserisce nella mischia diffondendo un comunicato in cui si fa il nome. "E' una buffonata, non ne so niente. Non sono mai stato avvicinato da nessuno. Forse farò una denuncia perché ancora non si sa proprio nulla. Ormai scrivono di tutto, quindi forse è una provocazione. La cosa più importante per me è il processo, la politica non la seguo". Il numero fisso di un fax di una agenzia di onoranze funebri di Milano e un cellulare dal quale ogni volta il tizio dà un nome diverso, scrive Giuliano Foschini su “La Repubblica”. E' una bufala la notizia circolata attraverso un falso comunicato stampa recapitato nella posta elettronica degli organi di informazione pugliesi che annuncia la discesa/salita in campo di Misseri con i pensionati italiani. In tempo di liste, un nome che sorprende e lascia di stucco. Troppo assurdo per essere vero e infatti di falsa notizia si tratta. Come aveva fatto sospettare anche il legale dell'uomo, tagliando corto: "Non ne so nulla, ma non se ne parla proprio", la sintesi delle sue parole. Sul web intanto si è scatenata l'ironia, con i creativi di Quink che hanno lanciato lo slogan "Michele Misseri - Il senso dell'ho stato". Il comunicato era arrivato in mattinata: "Vi comunichiamo - si legge nelle righe - che il Sig. Michele Misseri ha accettato la candidatura nella lista civica dei pensionati italiani per le prossime elezioni politiche 2013. Lo stesso si presenterà per la Circoscrizione XXI (Puglia). La candidatura è possibile perché il regolamento del Ministero degli Interni impone, al fine della ammissione nelle liste, che tutti i candidati presentino un certificato di iscrizione nelle liste del Comune di appartenenze, un certificato di godimento dei diritti politici ed un certificato penale. Ebbene dal certificato penale del Sig. Michele Misseri rilasciato qualche giorno fa risulta 'NULLA'. Il noto procedimento penale che ha in corso risulta sui carichi pendenti della Procura ma tale documento non è richiesto per la candidatura e non rileva per la stessa. Distinti saluti". Seguono i numeri di telefono fasulli e, presumibilmente, i sospiri di sollievo. Il Partito pensionati informa inoltre di essere del tutto estraneo alla vicenda che "non ha nulla a che fare con le battaglie per la dignità e i diritti dei pensionati, da sempre condotte dal partito".
14 gennaio 2013. Trentaseiesima udienza. Michele Misseri. La prima e l’ultima confessione a confronto.
In aula è stata ascoltata la registrazione integrale dell’interrogatorio reso da Michele Misseri la notte tra il 6 e il 7 ottobre 2010, quando confessò di essere l’unico autore del delitto. Nell’aula della Corte d’assise dove è in corso la trentaseiesima udienza del processo Scazzi riecheggia la voce dell’interrogatorio di Michele Misseri quando confessò per la prima volta l’omicidio ritrattato poi con l’accusa alla figlia Sabrina Misseri. La Corte presieduta dalla giudice Rina Trunfio ha accolto la richiesta avanzata dalla difesa della cugina della vittima, principale sospettata dell’omicidio, che ha chiesto di riascoltare la registrazione originale delle drammatiche deposizioni della sera del 6 ottobre del 2010 e della notte seguente in cui il contadino di Avetrana fece trovare il corpo della nipote nel pozzo in contrada Mosca. La stessa corte ha respinto invece la richiesta di un nuovo sopralluogo sui luoghi del delitto. L’imputato che ora si accusa nuovamente del delitto, ascolta in silenzio le sue parole registrate. Così alle 21,15 del 6 ottobre del 2010 Michele Misseri confessò di avere ucciso la nipote Sarah Scazzi e di averne gettato il corpo nel pozzo in contrada Mosca. E’ importante riascoltare la prima confessione del 6 e 7 ottobre 2010, perché spontanea e genuina, non contaminata da interferenze psicologiche esterne. Fattori di disturbo create dai familiari, dagli inquirenti, dagli avvocati e dai consulenti e per ultimo dai media. Influenze e fattori di disturbo psicologici, consapevoli ed inconsapevoli, che per la loro autorevolezza creano pressioni psicologiche ad un contadino non avvezzo al crimine come può essere un killer di professione od indole. Intanto sono state respinte dalla Corte d’Assise quasi tutte le richieste di integrazione probatoria nel processo per l’uccisione di Sarah Scazzi, compresa quella della difesa di Sabrina Misseri di un nuovo sopralluogo nel garage con Michele Misseri. Questa richiesta era stata fatta perchè Misseri ha spesso detto che il sopralluogo del 15 ottobre 2010, giorno della chiamata in correità della figlia, si sarebbe svolto mentre lui era in condizioni fisiche non adeguate perchè gli erano stati fatti assumere tranquillanti. E' stata respinta anche l’istanza del pm Mariano Buccoliero di ascoltare nuovamente il colonnello Paolo Vincenzoni, del Ros di Lecce (sull'accertamento tecnico sulle celle telefoniche agganciate dai telefonini di alcuni imputati il 27 agosto 2010) e il perito Giovanni Leo (in relazione ad intercettazioni ambientali sia in carcere del 18 aprile 2011 tra Michele Misseri e alcuni parenti sia all’interno dell’auto di Carmine Misseri dell’8, del 16 e del 24 novembre 2010). La Corte ha accolto la richiesta del pm di acquisire un’intervista televisiva rilasciata da Ivano Russo alla trasmissione “La vita in diretta” del 3 dicembre 2012, la nota dei carabinieri sulle foto del garage che riprendono il trattore e il manuale in cui viene indicato come funziona il “sistema di attacco a tre punti” di cui ha parlato Michele Misseri in aula. Trascrizione dell’interrogatorio trasmesso nell’aula della Corte d’assise di Taranto dove è in corso il processo sull’uccisione della quindicenne di Avetrana.
Pm Buccoliero: «serenamente e tranquillo. Ce lo dica. Lei sa che Sarah non ha avuto ancora il battesimo vero? Almeno ce lo faccia fare questo battesimo con serenità. Non si può portare per tutta la vita una cosa del genere, una bambina di 15 anni. Purtroppo, ripeto, capitano queste disgrazie. Almeno ci dica dove sta il corpo, almeno quello.»
Dopo alcuni secondi di silenzio….
Misseri: «allu Mosca.»
Pm Buccoliero: «ma dov’è alla Mosca?»
Misseri: «vicino al fondo di mio padre».
Pm Buccoliero: «ma in un pozzo o sottoterra?»
Misseri: «in un pozzo, se volete vi posso portare.»
Pm Buccoliero: «possiamo andare? Ci porta adesso?»
Misseri: «solo che non si vede…»
Pm Buccoliero: «non fa niente. »
Pm Argentino: «non fa niente, non si preoccupi…»
Pm Buccoliero: «e così ci andiamo insieme, tutti e due insieme. Va bene? Posso venire pure io?»
Misseri: «si. »
Pm Buccoliero: e il procuratore?»
Misseri: «solo che non si vede niente adesso là…»
Pm Buccoliero: «non si preoccupi… stia tranquillo, in macchina ci mettiamo io, il procuratore e lei. Facciamo
guidare i carabinieri, però adesso ci dica…»
Misseri: «perché? Non lo posso raccontare in un secondo tempo? Quello che è successo, la vicenda…»
Pm Buccoliero: «no, diccelo adesso con calma, almeno per ricostruire…»
Pm Argentino: «almeno più o meno cosa è successo.. »
Misseri: «quindi, lei è scesa in cantina, non so come abbia successo.»
Pm Buccoliero: «ma perché è scesa signor Misseri?»
Misseri: «non lo so. Quel giorno mi stavo confuso e le ho messo una corda al collo.»
Pm Buccoliero: «e perché signor Misseri? Non le voleva bene alla bambina?»
Misseri: «si, lo so, però non… non so. …e l’ho uccisa.»
Ha pianto Sabrina Misseri durante l'ascolto in aula della registrazione dell’interrogatorio reso dal padre, Michele, il 6 ottobre 2010, quando confessò di aver ucciso la nipote Sarah Scazzi e consentì il ritrovamento del cadavere. Sabrina Misseri, in carcere insieme alla madre Cosima Serrano, è accusata di omicidio volontario. In particolare, Sabrina non è riuscita a trattenere le lacrime nella parte della registrazione in cui Michele Misseri, incalzato dal pubblico ministero Mariano Buccoliero che gli chiedeva di collaborare per dare alla ragazzina “una degna sepoltura”, indicò il luogo in cui aveva seppellito il cadavere. Questa è invece la identica confessione-testimonianza resa il 5 dicembre 2012 durante il processo. E’ importante riascoltare la prima confessione del 6 e 7 ottobre 2010, perché spontanea e genuina, non contaminata da interferenze psicologiche esterne. Fattori di disturbo create dai familiari, dagli inquirenti, dagli avvocati e dai consulenti e per ultimo dai media. Influenze e fattori di disturbo psicologici, consapevoli ed inconsapevoli, che per la loro autorevolezza creano pressioni psicologiche ad un contadino non avvezzo al crimine come può essere un killer di professione od indole. «Ho ucciso io Sarah, questo rimorso non lo posso più portare dentro di me….Il trattore non partiva ero già nervoso dalla mattina. Il portone del garage era tutto aperto: Sarah non l'ho vista scendere, è giunta improvvisamente alle mie spalle. Mi ha chiesto perché stavo gridando. Non so cosa volesse. Io ho detto “Sarah vattene”. Non ho capito bene cosa voleva da me. Mi stava dando fastidio così ho preso la corda e l'ho uccisa.» Si è conclusa l’udienza del processo Scazzi. Nella prossima udienza prevista per il 29 gennaio è previsto l’interrogatorio di Liala Nigro, citata come testimone dalla difesa di Sabrina, essendo stata forse la migliore amica di quest’ultima, che però in diverse occasioni non si è presentata in udienza senza addurre giustificazioni valide, per questa è stata multata di 500 euro. La Corte ha stabilito che, se non dovesse presentarsi in quella data, sarà sentita utilizzando la procedura della rogatoria internazionale, in quanto la giovane si trova in Polonia per il progetto Erasmus. Inoltre Michele Misseri potrà lavorare tranquillamente nei campi per l’intera giornata. La Corte d’assise di Taranto ha revocato l’obbligo di doppia firma a cui era sottoposto dal 26 novembre 2011 accogliendo la richiesta avanzata dal suo difensore, avvocato Luca La Tanza. Quindi, il contadino non dovrà più recarsi in caserma a firmare due volte al giorno, dalle 12 alle 13 e dalle 17 alle 18 ed osservare, quindi, obblighi ritenuti eccessivamente restrittivi poichè rappresentavano un ostacolo per il suo lavoro di agricoltore. La Corte, invece, ha confermato l’obbligo di dimora che scade a novembre prossimo e il divieto di uscire di casa dalle 19 alle 7. Il provvedimento è stato parzialmente confermato in quanto il processo è ancora in corso. Il provvedimento è stato adottato dal gup Pompeo Carriere il 26 novembre di due anni fa su richiesta avanzata dalla Procura subito dopo una “trasferta” di Michele a Roma per prendere parte come ospite ad una diretta televisiva. Per raggiungere rapidamente gli studi capitolini della trasmissione “Matrix”, secondo l’accusa, aveva firmato il registro dei carabinieri della caserma di Avetrana in anticipo di dieci minuti. Poi Misseri ha continuato a fare il divo nelle dirette tv anche in seguito, con i collegamenti da Avetrana. Intanto a Sava si parla di giornalismo ma si ignora chi fa informazione sul territorio.
Su come si fa informazione in loco e come si promuove l’attività giornalistica la spiega bene Mirella Minerva su “La Voce di Manduria”. Studenti da tutte le regioni italiane e giornalisti di varie testate nazionali giungeranno a Sava tra giovedì 17, venerdì 18 e sabato 19 gennaio 2013. L’iniziativa è promossa dall’Istituto Tecnico Settore Tecnologico e Liceo delle Scienze Applicate “Oreste del Prete” di Sava. Temi interessanti quelli proposti che promuovono la valorizzazione dell’attività giornalistica fra i ragazzi identificandolo quale strumento comunicativo utile al confronto intellettuale e umano, in un’atmosfera di collaborazione e di rispetto dell’altro. Progetto proiettato verso il panorama nazionale e forse poco attento alla realtà locale. Sono assenti, infatti, nel folto numero di giornalisti invitati, i giornalisti delle testate locali come La Voce di Manduria, o Vivavoce di Sava e il Giornale di Sava come Liberamente e Casalnuovo di Manduria e Nuovo Marubbiando di Maruggio. Scelta questa che personalmente non comprendiamo e che vorremmo ci spiegassero. L’introduzione dei ragazzi a esperienze comunicative o lavorative dovrebbe prevedere anche il possibile sviluppo collaborativo tra scuola e imprese e quindi per uno dei criteri dei Pon quali “la coesione economica e sociale per ridurre il divario tra le regioni più avanzate e quelle in ritardo di sviluppo”, sarebbe opportuno coinvolgere soprattutto chi opera, a livello locale, nel settore e produce informazione, anche a titolo gratuito, e che interessa da vicino i nostri studenti e le problematiche del territorio. Al concorso hanno aderito centinaia di scuole italiane di ogni ordine e grado e sono tre le scuole della provincia di Taranto che saranno premiate: il circolo didattico “De Amicis” di Grottaglie, la scuola primaria “Michele Greco” di Manduria, l’istituto comprensivo “Deledda” di Ginosa. Ed ecco la straordinaria presenza numerica di giornalisti invitati al forum di tre giorni dove si può notare la nota stonata dell’assenza dei giornalisti del posto, unica eccezione Lucia Iaia, corrispondete di Quotidiano a Sava. Giovedì 17 gennaio interverranno Carlo Bollino, direttore de “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Fulvio Colucci, redattore de “La Gazzetta del Mezzogiorno”. Venerdì 18 gennaio interverranno Mario Diliberto, giornalista de “La Repubblica”, Gianni Svaldi, giornalista de “Il Corriere del Giorno” e Lucia Iaia, giornalista de “Il Quotidiano di Puglia”. Sabato 19 gennaio interverranno Giuliano Foschini, giornalista de “La Repubblica”, Guido Rotolo, giornalista de “La stampa”, Mario Diliberto, giornalista de “La Repubblica”, Fulvio Colucci, giornalista de “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Nico Pillinini, vignettista de “La Gazzetta del Mezzogiorno”. Questo, giusto per spiegare, che nessuno è profeta nella sua patria. «A Manduria si sono assegnati i beni confiscati ai mafiosi affinandoli agli amici di Libera di Don Ciotti, ma si ignora chi opera in loco, il solo titolato e dà lustro e fa informazione sul territorio. Questo nel silenzio della stampa locale. Bisogna dire che anche chi è stato estromesso dal contesto dl progetto e non è stato invitato alla rassegna non può certo scagliare la prima pietra» Spiega il dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” e scrittore-editore dissidente, che proprio sul tema dell’ambiente truccato ha scritto un libro inserito nella collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata su www.controtuttelemafie.it ed altri canali web, su Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo, oltre che su Google libri. Saggi pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i media si astengono a dare loro la dovuta visibilità e le rassegne culturali ad ignorare.
E su come si combatte la mafia da queste parti ne dà notizia Nazareno Dinoi su “La Voce di Manduria”. L’udienza preliminare a carico dei 31 indagati dell’operazione Giano da parte dell’antimafia di Lecce che ha dato origine al sospetto di infiltrazione mafiosa nel comune di Manduria, si è chiusa con un colpo di scena. Il gup Carlo Cazzella ha stralciato la posizione dell’ingegnere comunale Antonio Pescatore dichiarandosi incompetente sul caso specifico e rinviando tutto alla Procura di Taranto. Secondo il giudice salentino, il reato contestato al dirigente comunale (avrebbe favorito una società controllata da elementi della sacra corona unita nella gestione dei parcheggi a pagamento) non è di competenza della direzione distrettuale antimafia ma della procura ordinaria. Resta a Lecce invece il giudizio a carico di tutti gli altri indagati tra cui imprenditori, esponenti della malavita locale e l’ex boss della Scu, Vincenzo Stranieri che ha partecipato all’udienza grazie ad un collegamento in videoconferenza da un carcere del centro Italia dove è recluso in regime di isolamento del 41 bis. La decisione del gup Cazzella di derubricare il reato di mafia all’ingegnere Pescatore (che a questo punto risponderebbe al massimo del solo abuso d’ufficio), pone buone speranze per il futuro amministrativo del comune finito sotto i riflettori del ministero i quali, come si sa, hanno proposto lo scioglimento per infiltrazioni mafiose. Pescatore, infatti, è l’unico indagato che avrebbe potuto tessere il filo rosso capace di collegare la criminalità organizzata con le attività politica e amministrativa dell’ente. A meno che le indagini dei magistrati antimafia non abbiano nel frattempo individuato responsabilità dirette dei politici che al momento non risulterebbero indagati. Durante l’inchiesta ci sono stati momenti di tensione tra il giudice e Vincenzo Stranieri che si è lamentato per le parole pronunciate sul suo conto quando il magistrato pensava di non essere ancora collegato con il sistema. Le piaccia o no, lei mi deve ascoltare perché è un mio diritto, ha detto più o meno Stranieri che è apparso molto provato e abbattuto dal punto di vista fisico. L’operazione Giano ha portato il blitz scattato il 14 febbraio del 2011 che portò in carcere 16 persone e 2 agli arresti domiciliari, per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, concernenti armi ed esplosivi, attentati dinamitardi, tentato omicidio, rapina, estorsioni, traffico di sostanze stupefacenti e spari in luogo pubblico. Tredici invece gli indagati a piede libero tra cui l’ingegnere Pescatore difeso dall’avvocato Raffaele Fistetti. Ma anche Giovanni Longo su “La Gazzetta del Mezzogiorno” spiega bene l’ambiente. Niente revisione del processo. Francesco Cavallari è l’unico colpevole. La Corte d’Appello di Lecce ha rigettato l’istanza di revisione della sentenza con la quale il gup del Tribunale di Bari aveva ratificato nel 1995 il patteggiamento a una pena (sospesa) di 22 mesi con l’accusa di associazione mafiosa nei confronti dell’ex «re» della sanità privata pugliese imputato nell’ambito dell’operazione «Speranza». Tutti gli altri imputati erano stati assolti in via definitiva dalla stessa accusa. Di qui l’istanza di revisione del processo sulla base di quello che ai suoi difensori appare un paradosso: non può esistere un sodalizio mafioso con se stesso. Di diverso avviso il sostituto procuratore generale Antonio Maruccia che, al termine di una discussione durata due ore, ha chiesto fosse dichiarata l’inammissibilità dell’istanza. Ci sono volute altre cinque ore di camera di consiglio perché i giudici della Corte d’Appello di Lecce (presidente Giacomo Conte, relatore Nicola Lariccia) entrati nel merito, rigettassero l’istanza. «Tra quindici giorni leggeremo le motivazioni - dice l’avvocato Mario Malcangi che non si dà per vinto - ma certamente faremo ricorso per Cassazione. Sedici giudici (Tribunale di Bari, Corte d’Appello di Bari, Corte di Cassazione sia nel merito, sia sotto il profilo cautelare) hanno in un certo senso “perso” contro un solo giudice, quello che ha ratificato il patteggiamento». Se l’istanza fosse stata accolta, la condanna sarebbe stata immediatamente revocata, con tutte le conseguenze non solo sul piano penale, ma anche su quello civile. A partire dalla restituzione dei beni che furono confiscati a Cavallari.
29 gennaio 2013. Trentasettesima udienza. Parla Liala Nigro.
Sarà Liala Nigro, amica di Sabrina Misseri, l’ultima testimone che chiuderà oggi la fase dibattimentale del processo in Corte d’assise sulla morte di Sarah Scazzi. La testimonianza della giovane che è ritenuta tra le amiche più stretti di Sabrina, è stata chiesta dalla difesa dell’imputata. La studentessa Liala che è rientrata ad Avetrana dalla Polonia, dove si trova per motivi di studio, proprio per deporre a favore dell’amica (precedentemente non si era presentata per tre volte), dovrebbe chiarire i rapporti che intercorrevano tra Sabrina e Ivano Russo ritenuto il movente del delitto. La Nigro, studentessa universitaria, ha risposto alle domande di accusa e difesa, spiegando che fra Sabrina e Sarah c'era un normale rapporto fra cugine e di non aver mai notato gelosia o contrasti. La Nigro ha ricordato di aver ricevuto alcune confidenze da Sabrina circa un momento di intimità avuto con Ivano Russo, un bacio, dopo il quale i due giovani avrebbero deciso di non rovinare il rapporto di amicizia ed ha confermato che Sabrina era innamorata di Ivano e si lamentava del fatto che lui continuava a provocarla, ad avere atteggiamenti ambigui, nonostante non volesse fidanzarsi e fosse d'accordo nel restare semplici amici. La notizia dell'approccio intimo fra Sabrina ed Ivano si diffuse fra gli amici della comitiva e Sabrina si arrabbiò con Liala pensando che fosse stata lei a riferirlo. Dopo qualche giorno Sabrina le riferì che era stato il fratello di Sarah, Claudio, a diffondere il pettegolezzo. La Nigro ha aggiunto di non aver mai parlato con l'amica Sabrina del pomeriggio del 26 agosto 2010. Quest'ultima ipotizzava che Sarah fosse stata rapita. "Sabrina in un paio di occasioni, probabilmente un anno prima della morte di Sarah, mi disse che era preoccupata per il padre, temeva comportamenti strani, diceva che il padre aveva problemi di memoria ed aggressività" ha raccontato la Nigro in aula, aggiungendo che Sabrina si auspicava di far visitare il padre da un medico e precisando che fra Sabrina e suo padre Michele Misseri c'era un ottimo rapporto. "Sabrina adorava il padre e le piaceva Ivano Russo proprio perché le ricordava la figura del padre". La testimone ha ricordato che sua madre, Anna Lucia Morleo, vide Sarah Scazzi fra l'una e l'una e trenta del 26 agosto, poco prima della sua morte, passare davanti casa mentre ascoltava la musica nelle cuffie e indossava una maglia rosa (secondo gli investigatori in mattinata Sarah era vestita di nero ed indossò la maglia rosa quando si cambiò per andare a mare con la cugina). La testimonianza confermerebbe la tesi della procura secondo cui Sarah è uscita di casa ed è arrivata dai Misseri prima delle 14:00. Secondo l'accusa, la gelosia nei confronti di Ivano Russo, sarebbe il movente alla base del delitto. Sabrina Misseri e sua madre Cosima Serrano sono accusate di concorso in sequestro di persona ed omicidio. «Sarah e Sabrina erano molto legate, si vedevano praticamente ogni giorno. Il loro rapporto era tranquillo e personalmente non ho mai visto screzi tra le due, nè ho notato atteggiamenti di gelosia o invidia per l'amicizia con Ivano Russo. I rapporti erano tranquilli e normali come possono essere quelli tra due cugine, una più grande e una più piccola». Lo ha detto Liala Nigro, amica di Sabrina Misseri, nel corso del processo per l'omicidio di Sarah Scazzi, la 15enne di Avetrana uccisa e gettata in un pozzo il 26 agosto del 2010, dinanzi alla corte d'Assise di Taranto. Liala Nigro, in occasione di udienze precedenti, non si è presentata per deporre perchè impegnata all'estero, precisamente in Polonia per un progetto Erasmus tanto che è stata anche multata dalla Corte. «Sapevo della simpatia e dell’innamoramento tra Sabrina e Ivano, dell’attrazione che ci può essere tra ragazzi di vent’anni. Non sono arrivati al fidanzamento, ma Sabrina mi disse che una sera ci fu una piccola effusione fisica tra i due che, però, non ha portato a nulla». La testimone ha ricordato che dopo l’arresto di Michele Misseri non andò a trovare Sabrina per alcuni giorni “perchè – ha osservato – mi sembrava indelicato. Quando ci siamo viste, in un momento successivo, lei sembrava abbastanza triste per quello che era accaduto”. La sera precedente l’arresto di Sabrina, Liala Nigro organizzò una cena a cui parteciparono la stessa Sabrina, Ivano Russo, Alessio Pisello e Valentina Misseri con il marito. “Avevo sentito Sabrina al telefono – ha aggiunto l’amica – e lei piangeva. Per quello decisi di organizzare qualcosa per distrarla”. La testimone ha sottolineato che Sarah usciva con loro solo quando era presente Sabrina e che era piuttosto taciturna. «Rimaneva - ha aggiunto - comunque sulle sue, non esprimeva tanto i suoi pareri perché noi facevamo discorsi lontani dai suoi interessi». «In un paio di occasioni, un annetto prima che accadesse il fatto, Sabrina mi disse che era preoccupata per il padre, sosteneva che aveva comportamenti un po' strani, che il suo rapporto con la madre si era deteriorato e che aveva problemi di memoria e di aggressività» ha detto Nigro. La teste ha parlato dei rapporti tra Sabrina e Mariangela Spagnoletti, osservando che tra le due ci fu una frequentazione più assidua per alcuni mesi ma che «non si poteva parlare di una vera e propria amicizia» e che ci fu «una simpatia» tra Ivano e Desiree, un'amica comune, «che si è concretizzata in un rapporto fisico e nulla più». Liala Nigro, amica di Sabrina Misseri, nel corso della deposizione nell’ambito del processo per l’omicidio di Sarah Scazzi ha sottolineato che sua madre riferì ai carabinieri di aver visto Sarah il giorno dell’omicidio (il 26 agosto 2010) intorno alle 13-13.30 e che un paio di giorni dopo la sua scomparsa sempre la madre provò a telefonare a Sarah e il cellulare della 15enne in una occasione squillò. I pm hanno consegnato agli atti una serie di foto aeree dei luoghi di Avetrana ed una planimetria dell'itinerario casa Scazzi-casa Misseri. Per confermare il clima ostile creato dai media e per avvalorare la mancata serenità di giudizio dei giudici che emetteranno una sentenza già scritta prima del processo, un episodio spiacevole è stato denunciato in aula dall'avvocato Nicola Marseglia legale di Sabrina Misseri, durante l'udienza del processo in corso davanti alla Corte d'Assise del Tribunale di Taranto per l'omicidio della 15enne Sarah Scazzi. Nel corso dell'esame dell'unica testimone ascoltata oggi un giudice popolare avrebbe espresso un apprezzamento pesante nei confronti della stessa testimone. L'avvocato Marseglia, quindi, ha chiesto alla persona che avrebbe espresso questo giudizio, rivolgendosi ad un altro giudice che le era al fianco, di valutare la possibilità di dimettersi. A quel punto la presidente della Corte ha deciso di sospendere la seduta e di ritirarsi con tutti i componenti in Camera di Consiglio per discutere della questione. Secondo quanto riferito dall'avvocato Marseglia, questo non sarebbe il primo episodio del genere che si è verificato dall'inizio del processo. In seguito si è astenuta ufficialmente «per motivi personali e familiari» una dei sei giudici popolari della corte d’assise impegnata nel processo per l’uccisione di Sarah Scazzi. Nei confronti della donna l’avv. Nicola Marseglia, (difensore di Sabrina Misseri) si era riservato di chiedere la ricusazione perchè avrebbe espresso giudizi «poco lusinghierì nei confronti della testimone Liala Nigro. La decisione di astenersi del giudice popolare è stata comunicata, dopo una camera di consiglio durata trenta minuti, dal presidente della Corte d’Assise, Rina Trunfio, che ha anche proceduto alla sostituzione con un altro giudice popolare. Il colpo di scena è arrivato proprio in chiusura della fase dibattimentale. La Corte d’Assise di Taranto ha messo a punto le date delle ultime udienze del processo per l'uccisione di Sarah Scazzi. Il 25 e il 26 febbraio è prevista la requisitoria del pubblico ministero Mariano Buccoliero, il 4 marzo prenderà la parola il procuratore aggiunto Pietro Argentino, poi sono state fissate altre udienze per la discussione delle parti civili e dei difensori degli imputati fino all’8 aprile. Gli imputati sono nove. Sono accusate di omicidio volontario, sequestro di persona e soppressione di cadavere la zia di Sarah, Cosima Serrano, e sua figlia Sabrina Misseri. Michele Misseri è imputato di concorso in soppressione di cadavere con le due donne e del furto del telefonino di Sarah e di danneggiamento, seguito da incendio, degli effetti personali di Sarah. Carmine Misseri e Cosimo Cosma sono accusati di concorso in soppressione di cadavere. Gli altri quattro imputati a giudizio sono l'avvocato Vito Russo, ex difensore di Sabrina, al quale vengono contestati i reati di favoreggiamento personale e intralcio alla giustizia, e altri tre presunti favoreggiatori: Antonio Colazzo, Cosima Prudenzano e Giuseppe Nigro, che sono il cognato, la suocera e l’amico del fioraio di Avetrana Giovanni Buccolieri che dapprima raccontò di aver visto Cosima Serrano costringere Sarah, con la forza a entrare nella propria automobile e poi disse che si era trattato di un sogno. Buccolieri non è a giudizio in questo processo.
Concetta Serrano, fuori dall’aula nella pausa del processo, in collegamento con Giancarlo Magalli a “I Fatti Vostri” non ha perso occasione di accusare i suoi parenti e di promuovere la sua religione (Testimoni di Geova) con citazioni bibliche che ha lasciato inebetiti gli interlocutori in studio. (Vi era anche l’avv. Nino Marazzita). Intervistata da Filomena Rollo (la giornalista definita “cretina” da Michele Misseri perché accusata di essere giustizialista nei confronti di Sabrina) ha, anche, accusato i testimoni chiamati in aula di pensare più alla loro posizione che ad affermare la verità. Intanto l’odio parla per bocca della madre si Sarah. «L'hanno uccisa per tapparle la bocca. Perché‚ Sarah non doveva parlare più. Ho la sensazione che la bambina sapesse o avesse visto qualcosa… che sotto ci fosse qualcosa di grave». Lo ha detto Concetta Serrano, madre di Sarah Scazzi, la ragazzina uccisa ad Avetrana, in un'intervista che verrà trasmessa il 25 gennaio da "Quarto Grado" su Retequattro e della quale è stata diffusa un'anticipazione. Per Concetta, «la bugia più grossa di mia nipote Sabrina (Sabrina Misseri, accusata con la madre Cosima dell'omicidio) è stata quando ha detto "Mio padre è un vigliacco"». «Quando Sabrina dice così - ha detto ancora - vuol far credere che sia stato Michele ad uccidere Sarah e non lei. Secondo me, in realtà, il senso è un altro: lo dice perché‚ suo padre ha parlato e invece doveva stare zitto, come hanno fatto lei e la madre tutto questo tempo». Per Concetta, «visto che non hanno nessun altro a cui dare la colpa, le due si nascondono vigliaccamente alle spalle di Michele. Lui si presta, perché‚ sono le sue donne: la figlia e la moglie». Parlando del comportamento di Michele in aula, la signora Serrano ritiene probabile «che in aula Michele stia recitando o calcolando la corda giusta per impiccarsi, visto che dice che vuol farla finita». In chiusura Concetta parla della sorella Cosima: «C'è un detto che dice "Chi tace acconsente". Prima nelle interviste Cosima sbandierava la frase "Male non fare, paura non avere". Adesso si è ammutolita. Vorrei capire perchè davanti al giudice non parla». «Da sorella a sorella - conclude - vorrei chiederle cosa voleva dire il 26 agosto, in caserma, quando ha detto riferendosi a Sarah: "Questa volta l'ha fatta grossa. Questa sera, se viene, quando viene, le devi tirare uno schiaffone". Vorrei capire cos'ha fatto di grosso o cos'ha detto di tanto grave Sarah». Non c’è dubbio nel suo pensiero, né discernimento tra i fatti avvenuti e quelli raccontati. Stille di odio e non di razionalità. L’esperienza dovrebbe insegnare e i suoi avvocati, proprio loro che difendono Salvatore Parolisi, dovrebbero spiegarle che nulla è mai come appare e che i giudizi (e le condanne) vanno date al di là di ogni ragionevole dubbio. E spesso l’odio o le influenze interessate sono cattive consigliere.
IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA. LA STRAGE DI ERBA. Non si arrendono i sostenitori dell’innocenza di Olindo Romano e della moglie Rosa Bazzi, definitivamente condannati all’ergastolo come autori della strage di Erba, l’11 dicembre del 2006. La notizia, rimbalzata via internet, riguarda la costituzione di un "Comitato Rosa - Olindo:”giustizia giusta", fondato dall'avvocato Diego Soddu e dai giornalisti Paola Pagliari e Cristiana Cimmino, quest'ultima già autrice di una pubblicazione, "Finché morte non ci separi", che raccoglie le lettere di Rosa e Olindo dal carcere. Secondo i sostenitori dell'innocenza della coppia, «il Comitato ha come scopo principale quello di promuovere le iniziative e le attività che ritiene idonee al fine di dimostrare l'ingiusta condanna di Rosa Angela Bazzi e Olindo Romano, attualmente condannati all'ergastolo. Sono campi di intervento del Comitato tutti quelli in cui si può impegnare in una lotta civile contro le forme di ignoranza, intolleranza, preconcetti, emarginazione e discriminazione nei confronti di Rosa Angela Bazzi e Olindo Romano». Tra i propositi ci sono quelli di organizzare convegni, dibattiti, riunioni, di lanciare petizioni, raccolte pubbliche di adesioni, fondi e firme. I due coniugi erbesi, lo ricordiamo, furono riconosciuti, dopo tre gradi di giudizio, colpevoli di una delle più orrende stragi dell'Italia del Dopoguerra. Persero la vita una giovane mamma, Raffaella Castagna, all'epoca 30 anni, disoccupata, volontaria in una comunità di assistenza a persone disabili, colpita con una spranga e da dodici coltellate; Paola Galli, 60 anni, casalinga, madre di Raffaella, lei pure uccisa a colpi di coltello, e la vicina di casa Valeria Cherubini, 55 anni, commessa, accorsa per prestare aiuto. Con un unico colpa alla gola, Rosa Bazzi assassinò il piccolo Youssef Marzouk, un bambino di due anni e tre mesi, figlio di Raffaella. Il marito della Cherubini, Mario Frigerio, 63 anni, si salvò per un miracolo. La sua testimonianza si rivelò fondamentale per la condanna degli assassini. Sono ormai passati più di sei anni da uno dei delitti più efferati, la strage di Erba, ma nonostante la confessione dei due colpevoli, i coniugi Olindo e Rosa Romano che abitavano nello stesso palazzo in cui sono avvenuti i fatti, c'è chi li difende e ha deciso di fondare anche un comitato a loro sostegno. E' sempre difficile riuscire a dimenticare un caso di cronaca particolarmente grave nonostante il passare degli anni e il delitto di Erba è certamente uno di questi proprio perchè a causa di alcune liti di condominio due coniugi, Olindo e Rosa Romano, che sono ora stati condannati all'ergastolo, hanno deciso di agire con grande crudeltà attraverso coltellate e spranghe uccidendo quattro persone, tra cui anche il piccolo Youssef, che al tempo aveva solo due anni e mezzo e senza mostrare alcun tipo di pentimento. A distanza di qualche anno Carlo Castagna, che con questo delitto ha perso moglie, figlia e nipotino, ha trovato la forza di perdonare comunque gli assassini, anche se ben diversa è la reazione di Azouz Marzouk, il suo ex genero, che non solo si è ricostruito una famiglia, ma clamorosamente è arrivato addirittura a ipotizzare che i colpevoli non siano Rosa e Olindo. Il parere de tunisino, pur essendo sorprendente, non è però l'unico e lo dimostra anche la nascita di un comitato nato in loro dfesa chiamato appunto "Comitato Rosa - Olindo: giustizia giusta", che si pone proprio l'obiettivo quello di promuovere una serie di iniziative e attività volte a dimostrare l'ingiusta condanna della coppia. Si tratta comunque di un progetto apolitico e apartitico nato dall'iniziativa dell'avvocato Diego Soddu e delle giornaliste Paola Pagliari e Cristiana Cimmino, autrice del libro "Finchè morte non ci separi", che raccoglie proprio le lettere che i due si son scambiati da quando sono rinchiusi in carcere a dimostrazione che il loro legame, per quanto li abbia portati a compiere un atto tanto grave, non ha scalfito minimamente il loro amore. Da qui in avanti si proverà quindi a lottare contro ogni forma di ignoranza, intolleranza, preconcetti, emarginazione e discriminazione nei confronti di Rosa Angela Bazzi e Olindo Romano. Chi lo vorrà potrà quindi aderire a questa iniziativa attraverso la partecipazione a dibattiti, convegni, riunioni o raccolte fondi che saranno organizzati nei prossimi mesi. Azouz Marzouk scagiona Olindo e Rosa: "Non hanno ucciso loro Youssef e Raffaella". Una rivelazione che può riaprire il processo. Il marocchino pensa che i due assassini della moglie e del figlio non sono i vicini di casa. Parole che fanno discutere. I colpevoli non sono più colpevoli. Una rivelazione che può ribaltare una sentenza. Azouz Marzouk torna a parlare sulla strage di Erba. La sua dichiarazione lascia molte ombre su quello che è successo in quelle sera quando morirono il figlio Youssef, di 2 anni e la moglie Raffaella Castagna, e la suocera. Per l'omicidio sono stati condannati Olindo Romano e Rosa Bazzi, che per discussioni condominiali avevano deciso di fare fuori un'intera famiglia. Ora Marzouk parla e mette in dubbio la colpevolezza di Olindo e Rosa: "Loro non sono i colpevoli, sono solo dei poveretti che stanno pagando la loro ingenuità. Credo che giustizia non sia stata fatta – spiega al quotidiano “Il Giorno” a firma di Gabriele Moroni -. Ogni volta che ci penso, mi vengono in mente particolari che mi convincono che a ucciderli non siano stati i Romano”. Azouz vorrebbe la riapertura del procedimento per dimostrare che i due vicini non hanno compiuto la strage. “Ci sono dei colpevoli in giro e degli innocenti in galera. Prima o poi farò uscire la verità”. Su Erba il sipario non cala mai. «Olindo e Rosa sono innocenti. Mi batterò perché la loro innocenza venga a galla». Azouz Marzouk sei anni dopo. A sei anni dalla strage di Erba, quell’11 dicembre di orrore infinito, nella casa di ringhiera, grande come un falansterio, in via Diaz 25/C. Il giovane tunisino, marito, padre e genero di tre delle quattro vittime, parla da Zaghouan, la cittadina dove vive. E va oltre. La Cassazione si preparava a confermare l’ergastolo ai coniugi Romano, i vicini di casa che si erano autoproclamati giustizieri, e già Azouz auspicava una rilettura dell’inchiesta. Oggi Marzouk compie un passo in più. «Credo - dice scandendo le parole nell’italiano corretto di sempre - che giustizia non sia stata fatta. Ogni volta che ci penso, mi vengono in mente in mente particolari sia del processo sia della vita passata di mia moglie e di mio figlio che mi convincono che a ucciderli non sono stati loro, i Romano. Vedremo per un nuovo processo». Lancia quella che suona come una sfida. «Non ho mollato il processo. Chi pensa che mi sia fatto da parte si sbaglia. Prima o poi farò uscire la verità». L’ex netturbino di Erba e la moglie, la colf maniaca di ordine e pulizia, sono allora due innocenti murati nel carcere a vita? Azouz denuncia il suo parere assolutorio: «Sono dei poveretti che stanno pagando la loro ingenuità. Ci sono dei colpevoli in giro e degli innocenti in galera. Lo so perché ho passato anch’io il carcere da innocente, sottolineo da innocente». Una nuova moglie conosciuta a Lecco, una bambina, la proprietà di un minimarket nella sua città. Quanto pesa il passato sulla vita che ha ricominciato? «Porto nel cuore la breve vita che abbiamo passato insieme, io, Raffa, nostro figlio. La ripercorro almeno una volta la settimana per non dire tutti i giorni. L’amore per loro non lo può cancellare nessuno. L’uomo non è un computer a cui è possibile cancellare la memoria». Quella sera acqua mista e sangue lungo le scale, ristagnava nell’ampio cortile. Nell’appartamento al primo piano i corpi massacrati di Raffaella Castagna, della madre Paola Galli, del piccolo Youssef, due anni, sgozzato, riverso su un divano. Valeria Cherubini, la premurosa vicina, era vissuta giusto il tempo di risalire le scale, nove gradini, un pianerottolo, un’altra rampa e altri nove gradini, inseguita dal coltello assassino, per andare morire nella sua mansarda. Un uomo contemplava il massacro della sua famiglia: Carlo Castagna, il marito di Paola, il padre di Raffaella, il nonno di Youssef. Uomo di lavoro e di fede. Lì affonda la sua serenità, la stessa che usa per commentare le affermazioni di Azouz: «Non ho parole. Rispetto la sua posizione, anche se non riesco a capire cosa lo abbia indotto a prenderla. Mi pare incredibile, dopo tre gradi di giudizio. Come mi pare incredibile il ricorso della difesa a Strasburgo, come se non si avesse fiducia nella magistratura italiana. Vado avanti. Vivo nel ricordo di quelli che ho perduto, nella speranza e nell’attesa di raggiungerli. Nella vita ho messo il fieno in cascina con mia moglie Paola. Tanto fieno. Mi ha aiutato a passare questi inverni gelidi». Il coltello che gli trapassa la gola e recide una corda vocale. Nelle orecchie le invocazioni di aiuto della moglie. Mario Frigerio, il marito di Valeria Cherubini, è l’unico sopravvissuto. Ha lasciato Erba, vive in una paese vicino (ancora in via Diaz), a pochi passi dalla casa di Elena, la figlia dolce e forte. «Il nostro dolore - dice Elena - lo teniamo tutto dentro. La sofferenza è ancora tanta, tanto grande che è difficile esprimerla a parole». La truce saga di Erba forse non è ancora conclusa. Il difensori di Olindo e Rosa tenteranno di ottenere un nuovo processo. «Stiamo lavorando - dice l’avvocato Fabio Schembri - per la revisione. Abbiamo raccolto elementi interessanti, nuove dichiarazioni».
IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA. FABRIZIO CORONA: la giustizia sbaglia, ma non perdona, spiega Antonio Pellegrino. Dopo la fuga in Portogallo, Fabrizio Corona si è consegnato alle autorità portoghesi. Tornato in Italia, dovrà scontare 7 anni, 10 mesi e 17 giorni di carcere (la condanna iniziale era di 5 anni). Il reato di estorsione deve essere sicuramente punito e non ci sono scusanti. (Ma quel fatto configura l’estorsione e se sì, perché non perseguire tutto il sistema gossipparo?) In tale sede mi preme sottolineare il modus operandi quantomeno discutibile, a mio avviso della giustizia italiana. Il titolo del blog in esame non deve indurre il lettore in errore: con la locuzione “la giustizia sbaglia” non intendo affermare che la pena inflitta al fotografo dei vip sia erronea, bensì credo sia sbagliata nella sua commisurazione. Un esempio su tutti può evidenziare il mio ragionamento: Michele Misseri, noto alle cronache per essere implicato nella vicenda che ha portato all'uccisione di sua nipote, Sarah Scazzi, fu accusato di occultamento di cadavere. Si parla quindi di una vicenda legata alla morte di una persona, per di più una ragazza quindicenne. L'articolo 412 del codice penale recita testualmente: “Chiunque occulta un cadavere, o una parte di esso, ovvero ne nasconde le ceneri, è punito con la reclusione fino a tre anni”. Il reato di estorsione, dal canto suo, è disciplinato dall'articolo 619 del codice penale: “Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 516 a euro 2.065”. C'è qualcosa che non quadra nelle due vicende: nella prima, quella riguardante Corona, quest'ultimo viene condannato a 5 anni dalla Cassazione (pena poi aumentata per la fuga) per aver estorto 25 mila euro a David Trezeguet, calciatore plurimilionario; nella seconda, legata all'omicidio di una ragazza, il codice prevede per occultamento di cadavere una pena massima di tre anni (il giudice decide da da zero a tre anni). Badate bene: con questo esempio non voglio scagionare il più noto paparazzo d'Italia, ma sottolineare l'incongruità della sua pena. Il reato di estorsione è sì grave, ma come molte norme del codice, penale o civile, c'è bisogno sempre di una interpretazione giurisprudenziale. L'estorsione di 25 mila euro fatta ad un calciatore plurimilionario è sicuramente meno grave rispetto a quella fatta ad una qualsiasi persona che porta a casa uno stipendio “ordinario”. In questo caso, anche 1000 euro sarebbero influenti nell'economia familiare. La giustizia italiana, talvolta, mostra alcune incongruenze e non solo. Lettera aperta a Tempi di Giuseppe Lucibello, avvocato di Fabrizio Corona: “Inspiegabile disparità di trattamento. In tutta questa vicenda l’aspetto che suscita maggiori perplessità è l’inspiegabile disparità di trattamento tra un Tribunale e l’altro”. «Nel paese dove tutti si sentono allenatori della Nazionale di calcio si assiste, da qualche giorno, ad un nuovo, avvincente, esercizio intellettuale: improvvisarsi avvocato difensore del sig. Fabrizio Corona. In televisione e sui giornali ognuno dice la sua spingendosi sino a voler individuare, retrospettivamente, le migliori strategie processuali. Tuttavia, prima di lanciarsi in più o meno autorevoli, nonché improvvisate, dissertazioni su come si sia giunti alle sentenze di condanna occorrerebbe avere piena cognizione delle vicende processuali. Pertanto abbandonando il riserbo che mi ero imposto per non incentivare inutili illazioni e strumentalizzazioni sulla pelle di Fabrizio e sulla tragedia che sta vivendo, ritengo che sia doveroso, a questo punto, effettuare alcune considerazioni, avendo vissuto questa vicenda in prima persona (sia pur a processi già avviati, con le ovvie preclusioni del caso). Quando sono iniziate le sue vicissitudini giudiziarie (Potenza- Woodcock – con l’inchiesta Vallettopoli) Fabrizio era stato rappresentato come il dominus di una sorta di S.P.E.C.T.R.E. del gossip, seppur incensurato. Dopo anni di processi, grazie alla paziente e laboriosa opera anche dei colleghi che mi hanno preceduto o affiancato, l’ipotesi accusatoria di Potenza è stata smontata e la quasi totalità delle accuse mosse a Corona è venuta meno. L’imputazione di associazione per delinquere non è giunta neanche al dibattimento. Conseguentemente le contestate estorsioni, si sono “sparpagliate” – per ragioni di competenza territoriale – in mezza Italia, creando così il primo serio danno a Fabrizio, costretto a difendersi in più sedi anziché innanzi ad un unico Giudice. I giudizi sono stati i più disparati; come si suol dire paese che vai usanza che trovi. Per i Giudici di Roma il pagamento di decine di migliaia di euro – da parte di un noto sportivo – per il ritiro di un servizio giornalistico non aveva natura illecita, tant’è che il procedimento è stato archiviato. I Giudici di Milano, competenti per sette casi di estorsione tentata o consumata, tra il primo ed il secondo grado, hanno ritenuto di mandare assolto Corona in ben 5 di essi. La condanna, ad un anno e 5 mesi, per i due residui tentativi è intervenuta per l’eccessiva lesività delle foto. Nonostante le decisioni di Roma e Milano, i Giudici di Torino, per un fatto indiscutibilmente analogo a quelli per cui vi è stata assoluzione, hanno ritenuto Corona colpevole condannandolo alla pesantissima pena di 5 anni di reclusione. Un esito particolarmente infausto che conclude un iter travagliato e denso di colpi di scena: basti pensare che il GUP inizialmente aveva mandato assolto Fabrizio o che la Corte d’Appello, “giocando” tra attenuanti ed aggravanti, ha aumentato la pena inflitta dai Giudici di primo grado da tre anni e quattro mesi a cinque anni. In punto di pena basti pensare che il Tribunale di Milano, in primo grado, per un’estorsione consumata e tre casi di estorsione tentata aveva inflitto una pena di tre anni e otto mesi! Ebbene il sottoscritto è ancora fermamente convinto che le condanne inflitte in relazione alla pratica del “ritiro” siano assolutamente ingiuste e che prospettare a qualcuno l’esercizio di un diritto quale la pubblicazione di un servizio fotografico (realizzato lecitamente) non ha nulla a che fare con la coercizione tipica del reato di estorsione. Del resto è singolare che dal 2007 ad oggi la lotta a questa “diffusissima pratica” si sia risolta unicamente nel processo a Fabrizio Corona ed ai suoi collaboratori. Se fosse bastata una sola inchiesta a smantellare definitivamente una pratica illecita ci troveremmo innanzi alla più efficace operazione anticrimine di questo paese. Ma posto che il “ritiro” dei servizi risulta essere ancora, pacificamente, in auge è evidente come Corona abbia assolto la funzione di capro espiatorio e che nella eccessiva severità di questa condanna siano entrate in gioco molte, troppe, variabili. Tra queste variabili che peso hanno avuto le assoluzioni di Corona a Milano nella condanna di Torino? In definitiva, in tutta questa vicenda l’aspetto che suscita maggiori perplessità è l’inspiegabile disparità di trattamento tra un Tribunale e l’altro e la circostanza che, pur applicando le stesse norme di diritto, i Giudici siano giunti a sentenze così diverse. Mai come in questo caso, in effetti, la supplenza giurisdizionale volta a colmare l’ennesimo vuoto legislativo ha prodotto risultati così discordanti.
IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA. OMICIDIO DI MELANIA REA. Altra incongruenza. Il delitto di Melania Rea. Salvatore Parolisi è stato condannato per l'omicidio di Melania Rea? Si chiede Michela Murgia. Dipende dai punti di vista. Certo, in un'ottica giuridica la sentenza contro di lui non è nulla di meno che una condanna all'ergastolo, ma le motivazioni che sono state depositate dal giudice Tommasini raccontano piuttosto la storia di un'assoluzione civile. Raccontano, perché è questo che le motivazioni alle sentenze devono fare, e lo fanno nello stesso modo in cui lo fanno i romanzi, al punto che alcuni romanzieri italiani tengono appositi corsi ai giudici per insegnare loro a scriverle in modo narrativo. Se dovessimo quindi vederla dal punto di vista letterario, la ricostruzione del caso Rea mostra una trama che lascia interdetti, perché l'omicida vi appare come una figura fragile e deviata, preda di incontrollabili istinti, ma sottomessa e vessata dalla personalità forte di una moglie che lo umiliava di continuo. Melania Rea viene descritta invece come un'Erinni che faceva vivere il marito «in una sorta di sudditanza morale e fisica, già peraltro esistente per il divario economico e culturale ravvisabile tra le rispettive famiglie d'origine». In che modo venire da famiglie di diversa condizione socio-economica dovrebbe determinare sudditanza morale e addirittura fisica tra due coniugi non è per nulla chiaro, ma il giudice lo racconta come se il rapporto fosse logico. Tutte le ipotesi di premeditazione per odio, avidità e desiderio di vivere senza impedimenti un'altra relazione sono venute a cadere in questa nuova narrazione: quello di Parolisi è un «delitto d'impeto», un altro di quei «delitti passionali» che tante aggravanti fanno cadere nei processi per femminicidio. Di passione, intesa come brama sessuale, nella narrazione del giudice Tommasini ce n'è proprio tanta. Pure troppa per essere letterariamente credibile, al punto che viene presentato come verosimile un uomo che si eccita alla vista della moglie occupata in funzioni fisiologiche in un prato e vuole accoppiarsi sul posto a dispetto della figlia minore che poco distante dorme in auto. Ma persino il lettore di gialli di serie B riterrebbe fuori luogo che nel 2013 il rifiuto di Melania Rea ad avere rapporti sessuali in una situazione come quella venga raccontato come «l'ennesima umiliazione» inferta al marito e che l'omicidio feroce che ne è derivato sia motivato come reazione istintiva a un'umana passione respinta con sprezzo. Nella narrazione della sentenza del giudice Tommasini Melania Rea non è morta perché Parolisi la odiava, la tradiva e non sopportava che i soldi in casa li avesse lei. È morta invece perché ha rifiutato di soddisfare le «impellenti esigenze sessuali» di un uomo certamente bugiardo e avido, ma che lei umiliava ripetutamente e che aveva nei suoi confronti un rapporto di «sudditanza fisica e morale». È Melania Rea che è morta, ma nelle motivazioni della sentenza la vittima alla fine è Salvatore Parolisi. Che brutta storia ha scritto, signora giudice. Da qui lo sfogo di Salvatore Parolisi riportato da “Il Centro”. «Io e Melania quel giorno siamo stati a Colle San Marco. L’ho sempre detto, nessuno mi ha creduto. Oggi un giudice riconosce questa verità. Ma per me non c’è nessun sollievo. Di che cosa dovrei sentirmi sollevato? Io so di non essere l’assassino. Ma come posso difendermi da accuse che cambiano sempre?» Salvatore Paroli si si prepara ad affrontare il secondo processo di un’altra vita: quella senza moglie, senza figlia, con una condanna di primo grado all’ergastolo. Nella sala colloqui di Castrogno consegna amarezza e paure all’avvocato Nicodemo Gentile, uno dei legali che lo difende con Valter Biscotti e Federica Benguardato. Chi è il caporal maggiore? L’assassino di Melania Rea o lo sventurato protagonista di un destino maligno che gli ha assegnato, in un solo colpo, due tragedie: la moglie ammazzata con 35 coltellate e le accuse contro di lui ? «Ora è un uomo molto preoccupato a cui non dà più sollievo nemmeno il fatto di sapersi innocente», dice Gentile, «perchè si trova davanti un’accusa in continua evoluzione, con una dinamica che cambia di giudice in giudice». A cominciare dal movente. Il giudice Marina Tommolini, il magistrato che lo ha condannato all’ergastolo al termine di un rito abbreviato, nelle sue motivazioni ne ipotizza un altro: Parolisi avrebbe ammazzato la moglie perchè lei gli ha negato un rapporto sessuale. «Mi sono difeso dall’imbuto passionale, mi sono difeso dal segreto inconfessabile della caserma e continuerò a difendermi perchè io non ho ucciso», dice all’avvocato, «ma come faccio a difendermi da accuse che cambiano sempre? Il perchè e il come di questo delitto continuano a mutare.Se è così, è davvero facile condannare una persona». Lo fa nel giorno in cui all’Aquila s’inaugura l’anno giudiziario e il presidente della Corte d’appello Stefano Schirò dice che le «sentenze vanno criticate, ma non denigrate». Al suo avvocato, pronto a dire «che c’è il massimo rispetto per il giudice Tommolini, l’unico che ha avuto il coraggio di dire che erano stati violati i diritti della difesa», racconta che non è Melania, non è la loro vita quella tratteggiata nelle sessanta pagine di una sentenza che ha letto e riletto. «Quel 18 aprile non c’era tensione, Melania mi aveva perdonato per il mio tradimento. Melania non è mai stata aggressiva, non è mai stata dominante», dice il caporal maggiore, «da quelle pagine emerge un’immagine distorta di mia moglie». Entro i primi giorni di marzo i legali depositeranno il ricorso in Appello e molto probabilmente già prima dell’estate ci sarà la prima udienza del processo di secondo grado. Processo che Parolisi chiederà di tenere a porte aperte. Nel canovaccio che in questi giorni sta prendendo forma nelle mani dei difensori tanti spunti, a cominciare da quello del vilipendio sul corpo di Melania. Per la Tommolini il caporal maggiore l’avrebbe fatto nella mattinata del 20 aprile , giorno in cui nel pomeriggio venne scoperto il cadavere. «Alle 8.57 di quella mattinata», ricostruisce Gentile, «Parolisi chiama i carabinieri che stanno indagando perchè deve consegnare delle cose che gli hanno chiesto nell’ambito delle ricerche. Gli dicono di aspettare a casa e così lui fa. Resta fino alle 10.49 ad attendere i militari con cui si intrattiene anche a parlare per un po’ di tempo. Come avrebbe fatto a raggiungere il bosco di Ripe in un momento, in cui quella zona era piena di elicotteri e forze dell’ordine impegnati nelle ricerche?». Per tutto il resto bisognerà aspettare l’inizio del secondo processo per l’omicidio di Melania Rea. Parla di “nulla totale” uno dei componenti della difesa di Salvatore Parolisi, l’ex caporalmaggiore condannato all’ergastolo per l’omicidio di sua moglie Melania Rea. Il nulla totale corrisponde al fatto che non c’è niente, secondo Federica Benguardato, che colleghi Parolisi alla scena del crimine. Ed è questa, a suo dire, la vera prova della sua innocenza. L’avvocato del marito di Melania è tornato a parlare del caso nella trasmissione televisiva “Attualità” su Vero, ha parlato delle tanto discusse motivazioni della sentenza di condanna e del ricorso in appello. Un ricorso che, ha spiegato, spingerà sulla mancanza di prove sulla scena del crimine: “Non c’è una sola goccia di sangue o solo un capello che leghi Parolisi alla scena del crimine, la sentenza ha ancora molti dubbi aperti e le interpretazioni sono contraddittorie”. Per questi motivi il lavoro della difesa di Salvatore Parolisi, come avevano già annunciato gli avvocati, si muoverà su due fronti: il ricorso in appello per la sentenza di condanna all’ergastolo e l’azione legale per far incontrare il loro assistito con la figlia Vittoria. Secondo l’avvocato Benguardato, infatti, è importante che i due possano vedersi perché la bimba è stata tenuta lontana dal padre anche prima del processo. A proposito della mancanza di prove nell’omicidio, l’avvocato parla in televisione della questione del Dna rinvenuto sulla bocca di Melania e appartenente a Parolisi. Quella traccia è stata considerata per l’accusa una prova schiacciante ma l’avvocato ha affermato che “non ci sono studi che determinano il tempo di permanenza del Dna all’interno della bocca, quindi nessuno è in grado di stabilire quanto tempo prima è avvenuto il contatto”. Per la difesa di Parolisi, inoltre, ci sono molte incongruenze da chiarire anche riguardo al luogo in cui si trovava Melania Rea il giorno della sua uccisione e, infine, non manca in televisione il riferimento al rapporto tra l’ex caporalmaggiore e la sua amante Ludovica Perrone. “Il giudice ritiene la relazione fra i due non forte, è vero Parolisi tenta nell’immediato di depistare le indagini, ma si giustifica come un tentativo di protezione nei confronti della famiglia e della figlia. Gli indizi a suo carico in questo caso non sono stati, infatti, ritenuti sufficienti dal giudice”, ha affermato l’avvocato. Insomma, sia per la sua difesa che per il giudice che ha emesso la sentenza, l’atteggiamento di Parolisi non può far supporre direttamente un coinvolgimento nell’omicidio.
25-26 febbraio, 4-5 marzo 2013. 38ª, 39ª, 40ª, 41ª udienza. Requisitoria dell’accusa: Mariano Buccoliero e Pietro Argentino.
A poco più di un anno dall'avvio del processo, e dopo 37 udienze, il procedimento si avvia verso la chiusura. La requisitoria del pm Mariano Buccoliero occuperà la seduta del 25 e 26 febbraio e 4 marzo 2013, mentre martedì 5 marzo ci sarà l'intervento del procuratore aggiunto Pietro Argentino. Poi interverranno in aula i rappresentanti delle parti civili e fra questi gli avvocati della famiglia di Sarah, Nicodemo Gentile e Walter Biscotti. Gli interventi degli avvocati della difesa sono invece calendarizzati fino a quando interverrà l'avvocato Franco Coppi che difende Sabrina Misseri dall'accusa di concorso in omicidio volontario (con la madre) e sequestro di persona. Eventuali repliche e dopodiché la Corte d'assise, presieduta dal giudice Cesarina Trunfio, si ritirerà in camera di consiglio per la sentenza. La bomba atomica era pronta ad esplodere». E’ uno dei passaggi della lunga requisitoria del 25 febbraio da parte del pubblico ministero Mariano Buccoliero nel processo in corte d’Assise sull’uccisione di Sarah Scazzi. L’enfatizzazione del pm serviva ad introdurre il momento in cui, secondo la sua ricostruzione, la venticinquenne Sabrina Misseri, accusata di omicidio volontario assieme alla madre Cosima Serrano, avrebbe ucciso sua cugina Sarah perché accecata dalla gelosia per Ivano Russo. Ore di strali che fanno a pezzi Sabrina Misseri, la cugina accusata di aver strangolato Sarah con la complicità della madre Cosima Serrano. Il pm la dipinge come una strega, divorata da rabbia e gelosia, sino a trasformarsi in carnefice. Sabrina barcolla sotto il fuoco di accuse terribili. Spesso sembra sull’orlo di una crisi di pianto. Poi si riprende, mangiucchia le unghie e parla nell’orecchio dei legali. “E’ tutta invenzione” - sbotta ad un certo punto. Ma per il pm dubbi non ce ne sono. Fu lei ad uccidere Sarah e le bugie del papà Michele non possono nascondere la verità raccontata “da fatti e testimonianze”. “Michele - ha detto il pm - mente quando si addossa la responsabilità del delitto. Vuole recuperare quel patto scellerato stretto con le donne di casa il giorno dell’omicidio”. Doveva tacere Michele e invece prima consentì di ritrovare il corpo della nipote e poi accusò la figlia. In ore di eloquio interrotto da tre brevi pause, il rappresentante dell’accusa ha illustrato l’impianto del movente, la gelosia appunto, ricostruendo momento per momento i rapporti conflittuali che esistevano tra le due cugine entrambe attratte sentimentalmente dal bell’Ivano. Una requisitoria molto intensa, emotivamente coinvolgente e a tratti drammatica quella del pm Buccoliero, e non poteva esser altrimenti: dall’esito del processo ne va la reputazione e credibilità dell’intera procura di Taranto agli occhi dell’Italia che li guarda e che vogliono essere convinti con molto di più di quello che servirebbe alla Trunfio ed al suo collegio. Così il pm Mariano Buccoliero ha delineato lo scenario dell’omicidio di Sarah Scazzi, la ragazzina di Avetrana (Taranto) strangolata e gettata in un pozzo in contrada Mosca, nelle campagne del paese, il 26 agosto 2010, e il cui corpo venne ritrovato nella notte tra il 6 e il 7 ottobre successivi.
IL MOVENTE: LA GELOSIA E L’IMBARAZZO. Buccoliero ha esordito con queste parole: «Signor presidente, signori della corte, questo è il processo sul massacro di una bambina perciò nel giudicare serenamente mettiamo da parte le lacrime di plastica che abbiamo visto sul volto degli imputati. Questo non è il processo delle lacrime di Sabrina, lacrime di plastica, dei silenzi di Cosima, delle corde sventolate in faccia, qui in aula, da Michele Misseri. Questo è il processo del massacro di un bambina di 15 anni. Noi dobbiamo ricostruire la verità mettendo da parte le bugie di Sabrina e Michele Misseri». "Massacro". "Patto scellerato". "Lacrime di plastica". Parole pesantissime, quelle sentite nell'aula Alessandrini del tribunale, dove in corte d'assise va in scena la prima puntata della requisitoria nel processo più mediatico di sempre, quello per l'omicidio della piccola Sarah Scazzi, strangolata e gettata in un pozzo il 26 agosto 2010. C’è la gelosia dietro il dramma, ma non solo. C’è anche la rabbia di chi pensava di poter continuare a “dominare una bambina che bambina più non era. Sarah stava diventando una bella ragazza e quindi una rivale” - ha spiegato Buccoliero. Una nemica soprattutto perché attirava le attenzioni di Ivano, il bello del gruppo di cui Sabrina era innamorata. E per inchiodare la giovane imputata il pm ha scelto di far parlare la vittima, citando le lunghe frasi che annotava sul diario. A cominciare da quelle scritte poche ore prima della sua morte. Dopo la scomparsa di Sarah, Sabrina tentò di nascondere quel diario. In quelle pagine, la cuginetta raccontava di come il loro legame si fosse deteriorato. E soprattutto riportava la lite tra le due ragazze avvenuta la sera prima del delitto in un pub. Di quella lite Sabrina non parlò mai agli inquirenti. “La principale testimone contro Sabrina è proprio Sarah” - ha tuonato il pm. Al centro del dissidio Ivano Russo, l’amore di Sabrina. “Ci sono 4500 messaggi e le testimonianze a spiegare che Sabrina era ossessionata da quel ragazzo” - ha aggiunto il pm. Un rapporto impari quello che tre anni fa legò quei due giovani. E sul quale “in aula - ha detto il magistrato - ha mentito spudoratamente lo stesso Ivano. Lei era follemente innamorata. Lui, invece, era spinto dall’istinto della conquista sessuale”. Approcci diversi ad un legame sfociato anche in fugaci rapporti sessuali consumati in macchina. Poi la violenta sterzata di Ivano, che ad agosto 2010 decise di troncare quel rapporto sul quale Sabrina aveva scommesso. In mezzo Sarah, testimone che rivelò al fratello di quel sesso in auto, che Sabrina le aveva confidato. Rapporti di cui Claudio chiese conto al ragazzo, mandando su tutte le furie il bello di Avetrana. Segreti rivelati e le attenzioni di Ivano per Sarah, convinsero Sabrina che il suo sogno d’amore era al capolinea. E individuò la causa nella bella cugina. Al punto da assassinarla. «E' il processo per il massacro di una bimba di 15 anni, che ha due colpevoli e un movente preciso, la gelosia di Sabrina perchè quella bimba 15enne, che bimba ormai non era più, si era invaghita come lei dell’amico comune, Ivano Russo, e rischiava di esserle d’intralcio. I colpevoli di quell'omicidio furono Sabrina Misseri e Cosima Serrano. Fu il massacro di una bimba di quindici anni. Di questo si tratta. Il primo teste di accusa - ha incalzato il pm - è Sarah Scazzi che purtroppo non può essere smentito, con i suoi scritti sul diario, con le tracce del suo cellulare e i segni sul povero corpo martoriato. Il delitto è stato commesso in casa, dove in quel momento c'erano tre persone: Sabrina, Cosima e Michele.» «Negli ultimi tempi Sabrina guardava alla cugina come una rivale» perché «Sarah era presa da Ivano Russo, non ci sono dubbi. Lo scrive nel suo diario», ha raccontato il pm leggendo le innocenti confessioni che la ragazzina scriveva sui quaderni divenuti poi strumenti di accusa nei confronti di sua cugina. «Negli ultimi mesi prima del delitto – ha detto il pm – è evidente che i rapporti tra le due cugine sono cambiati completamente, Sarah non era più la bambina da coccolare e tutelare e a un certo punto è costretta ad accettare i soprusi di Sabrina, unico modo per poter uscire con quella comitiva, e con Ivano». Nei confronti del giovane conteso, il pubblico ministero ha usato parole durissime facendo prevedere nei suoi confronti possibili risvolti penali. Il giovane, secondo l’accusa, avrebbe dimenticato di riferire alcuni particolari del suo rapporto con le due cugine tendendo in generale a minimizzare il suo rapporto con Sabrina e sulla sua infatuazione per lui. «Una falsa testimonianza più grossa di questa non si è mai vista in un’aula di giustizia», ha detto il pm Buccoliero descrivendo Ivano Russo come «uno che non vedeva, non sentiva e che non ha detto tutto». Il magistrato ha letto in aula le ultime frasi scritte sul suo diario dalla piccola vittima. In quelle poche righe Sarah raccontava della lite del giorno prima dell'omicidio avvenuta in un pub di Avetrana. Durante la discussione la cugina la rimproverò per i rapporti che la ragazzina aveva con Ivano. «C'era molto di più» ha aggiunto. Fu la pubblicità che Sarah e di conseguenza il fratello Claudio Scazzi avrebbero dato di un rapporto sessuale tra Sabrina e Ivano risalente alla notte tra il 3 e il 4 agosto a suscitare prima il risentimento di Ivano nei confronti di Sabrina, accusata dal giovane di aver messo in piazza l'episodio, poi la decisione del primo di interrompere da quel momento i contatti con Sabrina (dal 23 al 26 agosto, ha ricordato il pm) e infine la rabbia di quest'ultima nei confronti della cuginetta al suo ritorno da San Pancrazio salentino il 25 agosto. Quella sera infatti ci sarebbe stata la famosa lite in macchina poi sfociata nella tensione delle due ragazze al pub, notata e riferita da alcune testimoni, anche al processo, soprattutto da Stefania De Luca e dopo da Mariangela Spagnoletti. Secondo il pm il 21 agosto ci sarebbe stato un chiarimento a tre tra Sabrina, Ivano e Sarah. I rapporti tra Sabrina e Sarah si sarebbero definitivamente deteriorati, secondo l’accusa, a partire dal 16 agosto 2010 quando parecchi del giro erano venuti a conoscenza di un rapporto sessuale non completo in auto tra Ivano e Sabrina risalente al 3 agosto. Sarah lo avrebbe saputo da Sabrina e lo avrebbe detto al fratello maggiore Claudio, il quale avrebbe chiesto a Ivano le sue reali intenzioni nei confronti della cugina Sabrina. Ivano avrebbe attribuito a quest’ultima la colpa di aver sparso la voce sull'episodio e da quel momento i rapporti con Sarah non sarebbero stati più gli stessi. Ma già dal 20 luglio, secondo il pm, tra Sarah e Sabrina non c'era più il feeling di prima. Proprio quel giorno, sul suo diario, Sarah scriveva: «Sabrina non mi sta facendo uscire più, è una stronza, la odio». E a proposito di diari, Buccoliero ha sottolineato che Sabrina, carpendo la buona fede della mamma di Sarah, se ne fece consegnare due o tre custodendoli per giorni prima di darli nelle mani dei carabinieri e quindi verificando cosa ci fosse scritto. Più volte il pm ha menzionato la figura e il ruolo di Ivano, ma solo per ricordare le «falsità» che avrebbe detto in aula nella sua deposizione, tanto che per lui si profila, a fine requisitoria, una richiesta alla Corte di trasmissione degli atti alla Procura per valutare se sussista l’ipotesi di reato di falsa testimonianza.
I TEMPI ED I DEPISTAGGI. «Misseri non può, in quattro minuti, aver ucciso Sarah, cercato di coprire il corpo ed essere uscito dal garage per parlare con Sabrina che già era in veranda. Il delitto è stato commesso in casa, dove in quel momento c'erano tre persone: Sabrina, Cosima e Michele. Lasciamo stare le chiacchiere di Michele Misseri, questo è il processo di Sabrina Misseri, che ha sempre negato persino che Sarah quel giorno sia arrivata a casa sua, tirando fuori la storia del rapimento, e del suo risentimento e della sua gelosia nei confronti di Sarah per il rapporto con Ivano Russo. La prima teste di accusa contro Sabrina è proprio Sarah con i suoi scritti, le tracce del suo cellulare e i segni del suo corpo martoriato. Tutte circostanze che smentiscono le bugie e i depistaggi di Sabrina….Questa ragazza, subito dopo la scomparsa della cugina, ipotizzò di tutto e lanciò accuse sul papà di Sarah e sulla badante rumena. Tacque solo sulla lite del giorno prima con Sarah. Lo fece per non fornire agli investigatori un elemento determinante.» Ancora su Sabrina: dopo la scomparsa di Sarah "è stata sentita dagli inquirenti ma non ha mai fatto riferimento ai rapporti con Ivano Russo e alla lite della sera prima nel pub tra lei e Sarah. Sabrina avrebbe potuto parlare di screzio o di Sarah turbata, al massimo per la partenza del fratello. Lo ha fatto un'altra testimone, Stefania De Luca, che si è “presentata spontaneamente” e che per questo viene considerata "molto credibile". «Gli imputati hanno detto una serie di falsità, a cominciare da Michele Misseri che si accusa del delitto ma non ha neppure visto uccidere Sarah. Lui, riferendo che era stata la figlia Sabrina per poi tornare ad accusarsi del delitto, ha rotto un patto familiare scellerato. E' impossibile che Michele - ha proseguito Buccoliero - abbia potuto uccidere Sarah per una serie di fatti temporali, testimonianze, le perizie dei Ros. Non è credibile che un padre accusi la figlia dell'omicidio della cugina perché glielo hanno detto il suo avvocato dell'epoca e la dottoressa Bruzzone. Lasciamo stare le chiacchiere di Michele Misseri, questo è il processo di Sabrina Misseri - ha aggiunto - per i rapporti familiari, per la ricostruzione dei tempi dell'omicidio, dei depistaggi, non solo quelli riguardanti la badante e il padre di Sarah ma quelli iniziati dai momenti successivi al delitto». Entrando subito nel cuore della vicenda, il pm ha voluto smontare con «i fatti» la ricostruzione del momento omicidiario fatta dalla difesa delle due donne alla sbarra. «Dando anche ragione all’organizzazione temporale fatta dagli imputati – ha detto – non sarebbe comunque possibile giustificare la morte della ragazzina in appena 8 minuti, vale a dire dalle 14,34 quando dicono che Sarah è arrivata in casa Misseri sino alle 14,42 quando il suo telefono squillava mentre lo zio la strangolava nel garage: è sufficiente questo per provare la colpevolezza i Sabrina Misseri». «Quel giorno Michele Misseri strinse un patto con le donne della sua famiglia. Un patto scellerato che ora cerca disperatamente di recuperare. Per questo ha ricominciato a dire di essere l'unico responsabile. Questo non è - ha sottolineato il pm - il processo delle lacrime di Sabrina e Michele o del silenzio di Cosima, ma della morte di Sarah. A quel delitto, che sarebbe avvenuto nella villa dei Misseri in via Deledda, Michele Misseri, secondo il pm, non avrebbe neppure assistito, anche se l’agricoltore se ne addossa tutta la responsabilità da due anni dopo aver accusato la figlia Sabrina rompendo un «patto famigliare scellerato». «Bugie e depistaggi hanno caratterizzato subito l’atteggiamento di Sabrina Misseri. Questo non vuol dire che chi è bugiardo è anche un assassino ma da parte dell’imputata c’è stato un atteggiamento teso a nascondere episodi ed elementi che consentivano di risalire al movente e al fatto che la ragazzina era arrivata in casa Misseri quel pomeriggio. - Fra gli episodi, il pm cita quello dei diari - Mentre la cugina era scomparsa, Sabrina si adoperava per non far venire fuori il nome di Ivano e i sentimenti di Sarah nei confronti del ragazzo». Era questo, sostiene l’accusa, il motivo alla base del suggerimento dato ai genitori della ragazzina di non consegnare ai carabinieri il diario in cui Sarah descriveva il suo stato d’animo, di risentimento nei confronti di Sabrina per i rimproveri che le riservava spesso e di affetto verso quel ragazzo che la coccolava, Ivano Russo. L’imputata si premura – aggiunge il pubblico ministero – di dire a Ivano che quel diario in cui Sarah parla dei suoi sentimenti con lui è rimasto al sicuro”.
LA RICOSTRUZIONE DEL DELITTO. «I movimenti di Sarah – ha detto il magistrato – sono riscontrati da quei dati oggettivi e dalle testimonianze di chi era in casa quel giorno. Tutto quello che Sabrina Misseri ha detto in quest’aula è falso. Come è falso tutto quello che hanno detto Cosima e Michele. Per questo le loro versioni sono piene di contraddizioni. Perché la verità è una sola, mentre i loro racconti sono costruiti». Il pm Buccoliero in aula ha ricostruito i momenti drammatici dell’aggressione subita da Sarah partendo da un dato che ritiene provato. «Sarah Scazzi uscì da casa intorno alle 13.45-13.50 del 26 agosto 2010 dopo aver mangiato un cordon bleu, secondo alcune testimonianze tra cui quella della badante dello zio di Sarah, e dopo aver ricevuto verso le 13 un messaggio da Sabrina che dovevano andare al mare. Dunque la quindicenne di Avetrana arrivò a casa Misseri verso le 14. L'uscita da casa – ha detto tra l’altro il pm – non può essere collocata verso le 14.30. Se l’unico messaggio ricevuto da Sarah fosse stato quello delle 14.25 e 11 secondi, Sarah sarebbe dovuta arrivare a casa Misseri dopo l’amica Mariangela Spagnoletti che, a detta della stessa Sabrina, ha detto che arrivò alle 14.40. Dopo le 14 il cellulare di Sarah viene sollecitato da cinque chiamate, ma nessuno si è accorto di nulla in casa perchè Sarah era già uscita. Sarah quel giorno entrò nella villetta di via Deledda». Il magistrato ha attaccato Sabrina sostenendo che l’imputata ha aggiustato le sue dichiarazioni nel corso delle indagini a seconda dei progressi degli investigatori. In questo tentativo avrebbe anche cercato di influenzare la deposizione di Mariangela Spagnoletti, l’amica con la quale quel giorno doveva andare al mare con la cuginetta. Le dichiarazioni della ragazza non collimavano con quelle di Sabrina, e per questo l’imputata avrebbe cercato di farle cambiare versione nel corso di un dialogo intercettato nella caserma dei carabinieri, poco prima di un interrogatorio. Il pm ha fatto riferimento ad una intercettazione ambientale del 30 settembre 2010 (il corpo di Sarah non era stato ancora trovato) con il colloquio tra Sabrina e Mariangela. Sabrina avrebbe tentato inutilmente di convincere l’amica che il 26 agosto 2010, giorno del delitto, la stava attendendo nella veranda di casa per andare al mare con Sarah. Mariangela ha sempre riferito che, arrivando in aula con la sorellina, trovò Sabrina già in strada, agitata, che poi pronunciò le parole “L'hanno presa, l’hanno presa”. «Secondo quanto racconta Michele Misseri, e quanto si ricava dalle dichiarazioni di Sabrina, l'agricoltore avrebbe ucciso in garage Sarah e si sarebbe affacciato per parlare con la figlia che era in veranda, tutto in meno di quattro minuti. Ma è tecnicamente impossibile stando alle loro stesse dichiarazioni. La verità è che Michele parlava su 'imbeccata' di Sabrina. Sarah arrivò a casa Misseri e vi entrò prima delle 14. La conferma - ha aggiunto – è una telefonata senza risposta che Ada Maria Serrano fa a Sabrina alle 13,59 e 11 secondi. Sabrina non si rende neanche conto degli squilli perchè è impegnata a fare altro con la madre Cosima. Sabrina dice invece che era a letto con la madre e decise di non rispondere mettendo il 'muto' alla suoneria. Già, in quella casa tutti dormivano in quel momento, anche Michele. Anzi, in via Deledda tutti dormivano, solo la notte non dormono ad Avetrana. Così come tutto quello che Sabrina ha detto in questa aula è falso». «Se Michele Misseri avesse ucciso Sarah con una corda, come dice, avrebbe fatto trovare anche l'arma del delitto, come ha fatto con tutto il resto. Michele Misseri – ha aggiunto – vide arrivare Sarah e la lasciò con Sabrina con la quale lui si era visto in veranda prima di scendere in garage. Sarah entrò in casa Misseri prima delle 14».
IL PRESUNTO SEQUESTRO. Il pm è passato poi alla ricostruzione del presunto sequestro di Sarah. Sarah, arrivata in casa di Sabrina avrebbe trovato un clima ostile. A questo punto avrebbe deciso di andare via. Siamo a poco dopo le 14. Sarebbe stata ripresa con la forza per i capelli e infilata in auto da Cosima Serrano per riportarla a casa Misseri. Episodio al quale avrebbe assistito il fioraio Giovanni Buccolieri. Fioraio che riferì l’accaduto a Vanessa Cerra che lo raccontò a sua madre Anna Pisanò. Fioraio, il quale poi ritrattò sostenendo che si era trattato di un sogno. Sarah Scazzi venne uccisa in casa Misseri da Sabrina e dalla madre Cosima Serrano tra le 14.10 e le 14.20 del 26 agosto 2010, dopo che le due donne l’avevano riportata con la forza a casa prelevandola in strada con la loro auto, e in casa in quei frangenti non c'era Michele Misseri. «Dopo l’omicidio – ha aggiunto il pubblico ministero – il corpo venne spostato in garage per essere trasferito nella Seat Marbella di Michele Misseri. Lo spostamento avvenne attraverso una porta interna che i Misseri hanno sempre detto essere bloccata da tempo, ma che invece si apriva con un cacciavite, come dimostrato in un sopralluogo dei carabinieri. Quella porta venne aperta il giorno del delitto per far passare il cadavere: lo conferma una intercettazione ambientale del 7 marzo 2011 durante un colloquio in carcere tra Cosima Serrano e Michele Misseri».
LE CONCLUSIONI. Sarah Scazzi venne uccisa nella villetta dei Misseri dalla cugina Sabrina e dalla zia Cosima Serrano tra le 14.10 e le 14.20 del 26 agosto 2010 mentre Michele Misseri non era in casa. Il corpo venne trasportato in garage attraverso una porta interna, che si è cercato di far credere agli inquirenti che fosse bloccata da tempo, per poi venire caricato nella Seat Marbella di Michele e far scomparire il cadavere nel pozzo in contrada Mosca. «Quel giorno in casa Misseri - ha detto in aula Buccoliero - ha prevalso l'istinto di conservazione. L'istinto normale, dopo quello che era accaduto, avrebbe fatto chiamare un medico, magari anche sapendo che non c'era più niente da fare. Invece l'unica preoccupazione era di prendere il cadavere e farlo sparire. E poi quel sequestro di persona che si sarebbe concretizzato, per il pm, poco prima del delitto quando Cosima e Sabrina avrebbero bloccato in strada Sarah che stava tornando a casa, costringendola a salire a bordo della Opel Astra di Cosima per riportarla alla villetta dei Misseri. Scena alla quale avrebbe assistito il fioraio Giovanni Buccolieri, che però poi ritrattò dicendo che si era trattato di un sogno. Ma allora, ha sostenuto il pm, non si spiega perché Cosima e Sabrina, che hanno sempre detto che in quei frangenti dormivano in casa, si siano premurate di contattare, ad esempio, il padre di una compagna di scuola di Sarah, che quella Opel Astra l'aveva vista in strada, per fargli cambiare versione. Secondo il pm Buccoliero quando madre e figlia riprendono in auto la piccola Sarah con la forza in una strada vicina a via Deledda, "prolungano il percorso perché devono calmare la bambina. Forse ci riescono e forse no", ha detto in aula. In quel giro l'Opel Astra di Cosima Serrano viene vista, stando a questa ricostruzione mentre procede ad alta velocità, da un potenziale testimone, Donato Massari, che Cosima Serrano e Sabrina Misseri, in particolare la prima, avrebbero "cercato di indurre a rendere false dichiarazioni agli inquirenti il 4 settembre del 2010", quando Sarah non era stata trovata, suggerendogli di cambiare il colore di un furgone visto quel pomeriggio, da blu a bianco per depistare gli inquirenti e comunque allontanare i sospetti dalla loro famiglia. "Insomma - ha sottolineato Buccoliero - Sabrina e Cosima capiscono di essere state viste da Massari quel pomeriggio. Su un punto non ha avuto incertezze il testimone Massari e cioè di aver visto l'Opel Astra di Cosima Serrano". Inoltre il pm Buccoliero ha chiesto alla Corte di assise di spiegare nella sentenza per quale motivo e chi ha spostato l'auto di Cosima vicino all'abitazione tra le 14 e le 14,25 di quel pomeriggio. Infatti la vicina di casa Lucia Morleo, quando va al mare poco prima delle 14, vede l'Opel Astra parcheggiata in una direzione e in una determinata posizione, mentre l'amica di Sabrina, Mariangela Spagnoletti, che arriva alle 14,40 la vede in un'altra direzione e in un'altra posizione. "Che bisogno aveva - ha chiesto il pm - di spostare la macchina? L'ha spostata per andare a prendere la povera Sarah. Non c'e' altra spiegazione allo spostamento della macchina ". L'uccisione di Sarah Scazzi da parte della cugina Sabrina Misseri e di sua madre Cosima Serrano non fu premeditata, ma frutto di uno scatto d’ira. L’azione omicida di strangolamento, in casa Misseri, durò da tre a cinque minuti; l’una persona avrebbe potuto fermare l’altra ma ciò non avvenne perchè c'era “una comune volontà omicida”. E' la tesi sostenuta dall’accusa al processo dinanzi alla Corte di Assise di Taranto per l’omicidio della quindicenne di Avetrana (Taranto), avvenuto il 26 agosto 2010. «Le assassine sono Sabrina e sua madre Cosima, una teneva la piccina ferma e l’altra la strangolava», ha detto Buccoliero che per Michele Misseri ha riservato il ruolo del «becchino» e del complice inconsapevole e impotente di quanto accadeva tra le tre donne. «Dopo l’uccisione Sabrina faceva da palo ferma in strada ad aspettare l’amica Mariangela – ha sostenuto il pm – mentre Cosima e Michele Misseri sistemavano le cose in casa». Sempre secondo l’accusa quando l’amica di Sabrina arrivò davanti casa con l’intenzione di prendere Sabrina e Sarah e andare al mare, «il corpo senza vita della bambina era già nella Fiat Panda». Sulle fasi dell’occultamento in contrada Mosca, poi, il pubblico ministero è stato categorico: «impossibile che Michele Misseri abbia potuto fare tutto da solo in così poco tempo e con un’imboccatura del pozzo così stretta: qualcuno lo deve aver aiutato tenendo le braccia della bambina perpendicolari al corpo mentre lui la sollevava per i piedi infilandola nella cisterna». Dopo una dettagliata elencazione degli orari ricavati dai tabulati telefonici e dalle testimonianze, l’accusa ha praticamente smontato ogni possibile difesa delle due imputate smentendo anche la disperata autoaccusa di Michele Misseri definita «una strampalata sceneggiata assolutamente priva di credibilità». Suggestiva poi la spiegazione di Buccoliero per giustificare l’alibi del delitto. «Oltre alla gelosia – ha detto – c’era anche la necessità, da parte di Cosima, di impedire che Sarah parlasse». E qui il magistrato ha dipinto inquietanti scenari di sesso tra gli amici di Sabrina descritti nei 4500 sms che Sabrina si era scambiata con Ivano Russo. Messaggi dai contenuti hot per niente adatti ad una ragazza per bene di 23 anni e ancor meno per la sua cugina quindicenne. In aula gli sms bollenti di Sabrina e Ivano. Dettagli di una gioventù celebrata tra ammiccamenti e approcci a sfondo sessuale. Di cui Sarah era a conoscenza e che avrebbe potuto raccontare. "Il giorno del delitto nella villetta dei Misseri ci fu una lite furiosa. Di quella lite fu protagonista Cosima che rimproverò la nipote. Quella discussione accesa segnò il punto di rottura dei rapporti tra le due cugine, ma anche tra Sarah e i Misseri. La ragazzina uscì in lacrime. Mamma e figlia uscirono a riprenderla perché temevano che Sarah raccontasse alla mamma altri fatti appresi in casa Misseri". Con queste parole il pubblico ministero Mariano Buccoliero ha raccontato i momenti che precedettero il delitto di Avetrana. Secondo il pm, le donne di casa Misseri raggiunsero e uccisero Sarah proprio perché temevano che i suoi racconti potessero screditare il buon nome di quella famiglia e di Sabrina. In particolare sugli atteggiamenti compromettenti della cugina con Ivano o con altri ragazzi. A riprova di questa tesi il magistrato ha letto sms a sfondo sessuale e esplicito tra la stessa Sabrina e Ivano. Il 26 agosto 2010, ha ricostruito il pm, Sarah arriva a casa Misseri verso le 13.50. Sabrina è in veranda, Michele è in cucina e scende in garage. Poco dopo Sarah va via turbata per tornare a casa, viene vista dal fioraio Giovanni Buccolieri mentre Cosima e Sabrina l’hanno raggiunta in auto per riportarla in via Deledda. Il ritorno a casa è alle 14.10, tra le 14.18 e le 14.23 Sarah non può più rispondere perchè viene uccisa in una stanza della villa. “Se Cosima è uscita e ha preso l’auto per riprenderla – ha detto il pm – vuol dire che era necessario impedire che Sarah tornasse a casa e raccontasse le ragioni del litigio e di tutto ciò che era accaduto in casa Misseri. Qualcosa di grave, legato allo stato di tensione tra le due cugine”. Quel “qualcosa di grave” non avrebbe riguardato solo la “pubblicità” in paese dei rapporti intimi tra Sabrina e Ivano Russo, e discussioni tra Sabrina e la madre per quello che avrebbe potuto dire la gente c'erano, a detta dal pm. Buccoliero ha letto in aula alcuni sms tra Sabrina e Ivano dai quali emerge un contesto scabroso che avrebbe caratterizzato la comitiva di cui faceva parte anche Sarah, dove i discorsi a sfondo sessuale sarebbero stati un’abitudine e dove compare persino uno “spogliarello” maschile con “paghetta” per lo spettacolo offerto. Un contesto, sostiene il pm, che se fosse stato svelato anche dalla stessa Sarah alla madre avrebbe danneggiato irrimediabilmente l’immagine della famiglia Misseri in un piccolo centro di provincia quale Avetrana. “Quel 26 agosto, in quella casa, è mancata la pietà umana – ha commentato il pm - ed ha prevalso l’istinto di conservazione, che ancora è prevalente in quest’aula da parte di tutti e tre”, riferendosi ai componenti della famiglia Misseri. Per il pm i Misseri hanno mentito sempre e su tutto e sono smentiti da una mole impressionante di dati emersi dal dibattimento. In aula il pm Mariano Buccoliero ricostruisce l'omicidio della quindicenne di Avetrana. E lo fa partendo proprio dai frammenti di verità ricostruiti nell'inchiesta. "All'arrivo di Mariangela Spagnoletti a casa Misseri il corpo di Sarah era già nel cofano dell'auto di Michele Misseri". Sabrina Misseri ha mentito quando ha detto di aver saputo come Sarah era vestita perché gliel’aveva riferito la madre della vittima, Concetta Serrano: «La madre non lo sapeva, lo sapeva la badante». Inoltre, per il pm, quando a casa Misseri arrivò l’amica Mariangela Spagnoletti, Sarah era già morta. Non a caso Sabrina andò ad aspettarla sulla strada. Per la procura, doveva fare da palo mentre la madre Cosima e il padre Michele nascondevano il corpo della vittima nel bagagliaio dell’auto. Una «farsa» quella dei Misseri, smentita da una montagna di dati e testimonianze. Il pm ha anche stigmatizzato in aula una delle contraddizioni più evidenti della versione di Sabrina Misseri: il giorno della scomparsa, infatti, la ragazza descrisse dettagliatamente all'amico Alessio Pisello i vestiti che indossava Sarah. Ma, lei stessa, ha sempre detto di non aver visto la cugina, quindi non poteva sapere come era vestita. "Sabrina - ha aggiunto - disse di aver saputo come Sarah era vestita da Concetta, che lo aveva saputo dalla badante. Ma è falso, falsità finalizzate ad impedire che si riconduca all'arrivo di Sarah a casa Misseri". Per il pm Sabrina avrebbe raccontato almeno due grandi falsità: la prima sui momenti in cui Mariangela arrivò a casa e l'altra sui frangenti nei quali Mariangela lasciò a casa per la prima volta Sabrina dopo l'inizio delle ricerche. "Da parte di Sabrina - ha spiegato Buccoliero - c'è la volontà di impedire a Mariangela di scendere dall'auto, e poi Sabrina ha funzione di palo perchè in garage c'erano padre e madre che si occupavano delle cose di Sarah". Cosima Serrano ha mentito quando ha dichiarato che quel giorno, dalle 15, dormiva: «I tabulati dimostrano che intercorsero almeno una decina di telefonate con la figlia». "Cosima ha sempre sostenuto che era a letto a riposare dalle 15 in poi di quel giorno. Ma i tabulati testimoniano una decina di contatti telefonici. Molti dei quali con la figlia Sabrina". Così il pubblico ministero ha analizzato la posizione di Cosima Serrano nei momenti successivi al delitto. "Cosima quel giorno è stata l'organizzatrice dei movimenti perché lei era in casa a far sparire tutto. Perché in quella casa era stata strangolata la povera piccina". Il magistrato ha anche sottolineato come la presunta dama nera di via Deledda alle 15.18 era giù in garage, come testimonia il segnale del suo cellulare. A quell'ora, infatti, la zia di Sarah telefonò al marito che era già nella zona del pozzo di contrada Mosca dove nascose il cadavere della ragazzina. Sarah era in intimità con la cugina, raccoglieva confidenze anche di natura sessuale e probabilmente alla base del delitto, c'è anche il timore che dopo il litigio scoppiato intorno alle 14:00 del 26 agosto in casa Misseri, Sarah tornasse a casa e raccontasse in famiglia alcuni episodi scabrosi che avrebbero rovinato l'immagine della famiglia Misseri. Michele Misseri non è riuscito a tenere il segreto, ha fatto ritrovare il cellulare della nipote ed intercettato durante un soliloquio nella sua auto, poco prima di portare i carabinieri nel luogo dove ha nascosto il corpo, confessa di non credere alla versione che le donne di casa gli hanno rivelato. Sugli assassini il pm non ha avuto dubbi: «Sono state Sabrina e sua madre Cosima e non è stato un delitto premeditato ma l’effetto micidiale di un mix di rabbia, paura e risentimento». La rabbia della giovane ventitreenne per come la cugina più piccola riuscisse ad attirare su di sé le attenzioni del bell’Ivano Russo di cui lei era innamorata; la paura di Cosima che la nipote Sarah potesse diffondere notizie sconvenienti per il «buon nome della famiglia e per l’onore della figlia Sabrina»; infine il risentimento di entrambe nei confronti della mamma della vittima, Concetta Serrano Spagnolo, baciata dalla fortuna e da due ricche eredità che non erano andate alle altre sorelle. Sconvolta si è detta invece Concetta, mamma di Sarah che intervistata all’uscita del tribunale ha espresso «disgusto» per i messaggi a luci rosse tra Sabrina, Ivano e Alessio Pisello. «Se lo avessi saputo – ha detto Concetta – non avrei certo lasciato mia figlia nelle loro mani». "Del suicidio non mi interessa. Ma nella vita mai dire mai". Così Concetta Serrano Spagnolo, la mamma di Sarah Scazzi, ha commentato le ultime dichiarazioni in televisione del cognato Michele Misseri, arrivando in Tribunale. Durante la trasmissione domenica live su canale 5 del 3 marzo 2013 l'uomo aveva minacciato di togliersi la vita in caso di condanna in Cassazione della figlia e della moglie alla sbarra. In aula, presenti i principali imputati. Concetta Serrano, madre di Sarah, prima che iniziasse l’udienza e riferendosi alle ultime dichiarazioni televisive del cognato Michele Misseri, ha commentato seccamente: “Per farsi pubblicità gli mettono la camicia a quadri e lo mandano in tv. Quando tutto sarà finito, dovrà fare i conti con la propria coscienza”.
LE COMPLICITA’. Carmine Misseri quel 26 agosto 2010 ricevette dal fratello Michele diverse telefonate, inizialmente alle 15.08 e alle 17.25. Nella prima Michele lo avrebbe chiamato piangendo, secondo quanto emerso dalle intercettazioni, per chiedere un aiuto perchè era accaduta una disgrazia. Entro le 15.30 Michele è al pozzo in contrada Mosca per nascondere il cadavere e lì c'era anche il fratello Carmine. E’ la tesi del pubblico ministero Mariano Buccoliero che nell’ultima parte della sua requisitoria al processo per l’omicidio di Sarah Scazzi sta esaminando le posizioni degli imputati Carmine Misseri e Cosimo Cosma, accusati di concorso in soppressione di cadavere. Dopo la telefonata delle 15.08, ha spiegato il pm, Carmine non è più in casa con la moglie. Carmine invece riferì che in quei frangenti era a lavorare in alcuni terreni con la moglie in una zona però diversa da quella che risulta dai tabulati telefonici. In una intercettazione ambientale del 27 dicembre 2010 tra Carmine e la moglie si ipotizza anche di trovare un falso testimone che confermi la presenza di Carmine in quei terreni e non nella zona del pozzo. In un’altra intercettazione ambientale emergerebbe che Carmine avrebbe visto il cadavere di Sarah in contrada Mosca, rimanendo turbato. In una intercettazione ambientale Carmine Misseri, parlando con la moglie, indica esplicitamente il coinvolgimento anche del nipote Cosimo Cosma nella soppressione del cadavere di Sarah Scazzi nel pozzo in contrada Mosca, operazione che sarebbe stata eseguita da Michele Misseri insieme al fratello e al nipote. Cosma, ha sostenuto il pm, ha dato due versioni su cosa fece nel pomeriggio del 26 agosto 2010, giorno dell’uccisione di Sarah. Nella prima disse di essere stato a lavorare in campagna dalle 15.30 alle 21; nella seconda disse di essersi trattenuto a casa sino alle 18.30, ma perchè a quell'ora Cosma risponde ad una telefonata di Michele sul cellulare della moglie, che è nell’abitazione. In realtà, ha affermato il pm, dalle 13.42 alle 16.26 Cosma non è in casa e dice il falso. «Quel giorno - ha aggiunto – Michele in auto, col cadavere di Sarah nel cofano, passò a prendere dalla sua abitazione il nipote Cosimo e, facendo una piccola deviazione, andò al pozzo per nascondere il corpo. Quel giorno lì erano in tre, non conosciamo però i ruoli che ebbero nella soppressione del cadavere».
LE RICHIESTE. Ergastolo: la parola, pesantissima, è risuonata in aula Emilio Alessandrini del tribunale di Taranto alle 18.15 del 5 marzo 2013, pronunciata dal pm Mariano Buccoliero. Il volto di Cosima Serrano ha mostrato un attimo di turbamento per poi rimanere impassibile, sua figlia Sabrina Misseri è invece scoppiata in lacrime mentre il rappresentante della pubblica accusa proseguiva con le richieste di condanna per i nove imputati. «Con serenità, ma anche con un pizzico di amarezza, signor presidente, il pubblico ministero domanda per Misseri Sabrina e Serrano Cosima di dichiararle colpevoli del reato di omicidio volontario e sequestro di persona e condannarle alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per la durata di mesi sei, interdizione perpetua dai pubblici uffici e decadenza della potestà genitoriale». «Oltre a togliere la figlia ad una madre – ha detto riferendosi alle imputate –, hanno tentato di togliere ad una mamma il diritto di piangere sulla tomba della propria figlia; hanno fatto questo con il cadavere della bambina sotto i piedi. In quella casa – ha ripetuto il pm – è mancata la pietà umana e quel giorno forse il nostro Signore si è distratto un attimo». Consapevole della pesantezza delle richieste da avanzare alla corte, il sostituto procuratore ha voluto giustificare così la durezza delle pene: «Sono richieste che i pm sono stati costretti ad avanzare - ha detto il pm - per le modalità dell'azione, la capacità a delinquere, i modi, i luoghi. Sarah è morta dove è stata cresciuta. È entrata in quella casa per andare a mare, è uscita in lacrime, è stata ripresa in lacrime, riportata in casa in lacrime ed uccisa in lacrime. Lacrime che non hanno sortito alcun effetto. L'omicidio - ha aggiunto il pm - è durato dai tre ai cinque minuti. Lei ha capito in quei minuti che stava morendo per mano di chi diceva di volerle bene. Nessuna delle due donne ha avuto un momento di resipiscenza, fermarsi e dire che stiamo facendo». I pm hanno chiesto il massimo della pena per Cosima Serrano e Sabrina Misseri per la gravità del danno, «togliere la vita ad una ragazzina di 15 anni, privare la madre persino della possibilità di andare a piangere su una tomba». «E subito dopo - ha concluso il pm - è scattata l'organizzazione, con ruoli specifici, l'istinto di conservazione. Ripeto, signori della Corte, ciò che ho detto ieri, è mancata la pietà umana quel giorno». Prima di lui ha parlato il procuratore aggiunto Pietro Argentino. «L’estrema gravita dei reati di cui ci stiamo occupando e l’efferatezza e spregiudicatezza di chi li ha commessi – ha detto il numero due della procura tarantina – ci ha costretti a porci sopra il minimo di pena previsto». “Un delitto per motivi abietti”: così il procuratore aggiunto di Taranto, Pietro Argentino, ha definito l’uccisione della quindicenne Sarah Scazzi iniziando la sua requisitoria, al termine di quella del sostituto procuratore Mariano Buccoliero, durata tre udienze e mezza. “Sabrina stessa – ha detto tra l’altro Argentino – ammette che aveva scatti d’ira anche per cose non importanti. Lei non aveva solo risentimento nei confronti di Sarah perchè avrebbe letto alla presenza di altri un sms di Sabrina riferito ad Ivano e per aver riferito al fratello Claudio del rapporto sessuale avuto dalla stessa Sabrina in auto con Ivano, ma anche rabbia perchè Ivano l’avrebbe umiliata più volte pubblicamente”. La formulazione del pm è stata seguita dalle lacrime di Sabrina. Cosima Misseri era turbata, mentre Michele Misseri è rimasto impassibile. Condanne pesanti sono state chieste anche per gli altri sette imputati. Nove anni per Michele Misseri e otto a testa per suo fratello Carmine e il nipote Cosimo Cosma, tutti e tre per il reato di soppressione di cadavere. Per tutti sono state applicate le aggravanti previste. Esemplare anche la richiesta di pena per l’avvocato Vito Russo, ex difensore di Sabrina Misseri che rischia tre anni e mezzo di reclusione e l’interdizione dalla professione per cinque anni. Tre anni a testa per favoreggiamento per Antonio Colazzo e Cosima Prudenzano, cognato e suocera di Giovanni Buccoliero, il fioraio protagonista del presunto sogno sul sequestro di Sarah. Tre anni anche per Giuseppe Nigro, albergatore di Avetrana che avrebbe indotto una teste del processo a dichiarare il falso. Sono otto invece i testimoni (di loro parliamo a parte) che saranno sottoposti ad indagine perchè sospettati di falsa testimonianza. Il pubblico ministero Mariano Buccoliero in 23 ore di requisitoria, fisicamente estenuante ma professionalmente ineccepibile, tutta minuti, tabulati, testimonianze e perfino bugie incrociate, ha portato all’attenzione della corte d’assise la condotta di una famiglia che non ha avuto pietà di una bambina o che non ha cercato una chiamata al 118 o ad un medico amico di restituirla alla vita. Queste le sue richieste.
MISSERI MICHELE ANTONIO (concorso in soppressione di cadavere, danneggiamento seguito da incendio, furto aggravato): nove anni di reclusione, interdizione perpetua dai pubblici uffici, interdizione legale e sospensione della potestà genitoriale per la durata della pena; non doversi procedere per il reato di danneggiamento, così derubricato dalla imputazione originaria, per difetto di querela; a pena espiata, un anno di libertà vigilata;
SERRANO COSIMA (concorso in omicidio volontario, concorso in sequestro di persona, concorso in soppressione di cadavere, concorso in furto aggravato): ergastolo con isolamento diurno per sei mesi, interdizione perpetua dai pubblici uffici, interdizione legale e decadenza dalla potestà genitoriale; pubblicazione della sentenza di condanna mediante affissione nei Comuni di Taranto e di Avetrana, nonchè sul sito Internet del ministero della Giustizia per 30 giorni;
MISSERI SABRINA (concorso in omicidio volontario, concorso in sequestro di persona, concorso in soppressione di cadavere, concorso in furto aggravato, calunnia): ergastolo con isolamento diurno per sei mesi, interdizione perpetua dai pubblici uffici, interdizione legale e decadenza dalla potestà genitoriale; pubblicazione della sentenza di condanna mediante affissione nei comuni di Taranto e Avetrana, nonchè sul sito Internet del ministero della Giustizia per 30 giorni;
MISSERI CARMINE (concorso in soppressione di cadavere): otto anni di reclusione, interdizione perpetua dai pubblici uffici, interdizione legale e sospensione della potestà genitoriale per la durata della pena; a pena espiata, un anno di libertà vigilata;
COSMA COSIMO (concorso in soppressione di cadavere): otto anni di reclusione, interdizione perpetua dai pubblici uffici, interdizione legale e sospensione della potestà genitoriale per la durata della pena; a pena espiata, un anno di libertà vigilata;
RUSSO VITO JUNIOR (intralcio alla giustizia, favoreggiamento personale): tre anni e sei mesi di reclusione, interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, interdizione dall’esercizio della professione per la durata della pena;
COLAZZO ANTONIO (favoreggiamento personale): tre anni di reclusione, interdizione dai pubblici uffici per cinque anni;
NIGRO GIUSEPPE (favoreggiamento personale): tre anni di reclusione, interdizione dai pubblici uffici per cinque anni;
PRUDENZANO COSIMA (favoreggiamento personale): tre anni di reclusione, interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.
Non solo. I pubblici ministeri hanno chiesto alla corte d’assise la trasmissione degli atti riguardanti le deposizioni fatte durante il processo da Ivano Russo, il ragazzo conteso tra Sabrina e Sarah, Alessio Pisello, componente della comitiva delle due cugine, Anna Scredo, moglie di Antonio Colazzo, Giuseppe Olivieri, imprenditore di Avetrana datore di lavoro della moglie del testimone Antonio Petarra che vide il giorno del delitto Sarah Scazzi mentre si recava verso l’abitazione dei Misseri, Anna Lucia Pichierri, moglie di Carmine Misseri, e infine Giuseppe, Dora e Emma Serrano, fratelli e sorelle con Cosima e Concetta, schierate nelle loro testimonianza a favore della prima.
Ivano Russo in collegamento da Avetrana con “La Vita In Diretta” con Marco Liorni si è lamentato del fatto che lui ha rischiato di essere arrestato perché sospettato del delitto o comunque di essere reticente o falso, oggi verrebbe indagato, pur inquadrate le responsabilità del delitto, per essere stato reticente e falso.
11 marzo 2013. 42ª udienza. Arringhe delle Parti civili: Nicodemo Gentile, Valter Biscotti e Francesco Cozza per Concetta Serrano, Giacomo Scazzi e Claudio Scazzi; Luigi Palmieri per Maria Ecaterin Pantir.
Nonostante lo smacco giudiziario e l’offesa mediatica a tutta la popolazione avetranese il sindaco della ridente località, Mario De Marco, cosa fa? Ha affidato agli avvocati Giuseppe e Pasquale Corleto del foro di Lecce la costituzione di parte civile per il ristoro del danno a carico di Michele, Carmine e Sabrina Misseri, Cosima Serrano e Cosimo Cosma. Anziché prendersela con chi ci sputtana, le loro ire si rivolgono alle parti più deboli, responsabili di delitti che niente hanno a che fare con le insinuazioni o le vere e proprie accuse di omertà ed arretratezza sociale e culturale della comunità. «In tutta questa situazione la popolazione di Avetrana è rimasta letteralmente disorientata, privata della propria serenità, impossibilitata ad osservare il dovuto silenzio e rispetto nei confronti della giovane vittima, nonché violentata in ogni aspetto della quotidianità, oltre che letteralmente assediata dai mezzi di informazione». Una «sete di giustizia», continua il documento della costituzione di parte civile, per «un’offesa enorme, una ferita profonda che merita di essere valutata e adeguatamente riparata in sede giudiziaria». Per gli amministratori che si dichiarano parte offesa, quindi, «il nome di Avetrana è ormai tristemente associato al crimine del quale sono chiamati a rispondere gli imputati» che dovrebbero così, se condannati, rifondere la somma «che sarà poi quantificata - ha spiegato il penalista Corleto - in un secondo tempo e in sede civilistica». C’è anche la corona di fiori servita per i funerali di Sarah Scazzi (costo 250 euro) nell’elenco delle spese sostenute dal comune di Avetrana per l’ultimo saluto alla ragazza uccisa. Come anche il fascio di orchidee per lo stesso evento, il funerale, la sepoltura, le sedie e il palco della cerimonia funebre, le locandine con la foto della scomparsa: dodicimila euro in tutto. Ed è solo una piccola parte del conto che l’ente civico presenterà ai cinque dei nove imputati del processo davanti alla Corte d’assise di Taranto. Più corposo e «incalcolabile» il danno morale subito dalla comunità la cui «offesa» viene così esposta nelle nove pagine firmate dai legali Corleto. Oggi è stato il giorno della discussione dei legali di parte civile nel processo per l'omicidio della quindicenne di Avetrana. Mamma Concetta ha gli occhi umidi. Ha lo sguardo perso, è una maschera di dolore. Sarah il prossimo 4 aprile avrebbe compiuto 18 anni: lo ricorda l'avvocato Gentile prima di affondare i colpi contro la famiglia Misseri. In aula c'è un'atmosfera surreale. Gli avvocati si rivolgono direttamente agli imputati, qualche volta danno le spalle ai pubblici ministeri e alla Corte d'Assise. Si incrociano gli sguardi: Michele Misseri china spesso la testa, mentre Sabrina piange e la mamma Cosima mantiene un atteggiamento imperturbabile.
Pasquale Corleto per il Comune di Avetrana. Pasquale Corleto del Foro di Lecce che in riferimento all’esame di avvocato ebbe a dire: “non basta studiare e qualificarsi, bisogna avere la fortuna di entrare in determinati circuiti, che per molti non sono accessibili”. Lo stesso avvocato che dovrebbe difendere la reputazione di Avetrana afferma inopinatamente «Avetrana è una città di gente che lavora e vi preannunzio per andare sempre più in fretta LA GENTE DI AVETRANA E’ COME MICHELE MISSERI. se ad Avetrana non ci fosse stata gente sana, non avremmo potuto parlare della contestazione d'accusa di sequestro di persona». E MENO MALE CHE DIFENDE L'ONORE DI AVETRANA, perchè gli avetranesi non gettano i bambini nei pozzi!!!! L’avvocato Pasquale Corleto il quale, in rappresentanza del Comune di Avetrana, ha fatto un’esposizione giuridica che ha ricalcato, potenziandola, la tesi dei pubblici ministeri. Difendendo a suo parere subito la «parte sana» della comunità avetranese (e meno male se fosse stato il contrario?), per il cui danno all’immagine ha chiesto 300 mila euro di risarcimento danni, il penalista leccese ha esordito dicendo che «la popolazione di Avetrana non è omertosa, è fatta di persone buone», fatta eccezione, ha aggiunto diffamando gratuitamente, prima con un’intervista a Blustar TV e poi in aula, coloro che in giudizio non sono, «Il collegio dei Falsi, cioè Valentina (Misseri) e compagni, buttando a mare tutti gli avvocati precedenti hanno imposto questa linea della banda del falso che come Ivano Russo sono i giganti del turpiloquio e del depistaggio: una serpe. E’ il soggetto più turpe, più viscido. La serpe che entra nel processo. Che parla fuori, dentro le aule, le interviste, alle telecamere e tutto ciò che sapete, quando deve dire qualcosa di concreto, è questo il vangelo dettato dalla regia. Quando si sono visti con le mani al collo non potevano più dire chiacchiere a gente con la toga e dicono non ricordo». Il decano dei penalisti leccesi ha poi descritto Michele Misseri come «un uomo buono, schiacciato tra il peso dello scrupolo e l’amore per la figlia Sabrina, ma era anche uno zio che voleva bene a Sarah e per questo alla fine non ce l’ha fatta ed è crollato». Quindi il legale si è soffermato sulla paura che Michele Misseri provava per la moglie come «un’Arpia che lo ha soggiogato». Convinto della colpevolezza delle due donne per le quali il pm aveva chiesto l’ergastolo, l’avvocato Corleto ha evidenziato come «Sabrina, in quel periodo, si sia impossessata dei media che a loro volta l’hanno utilizzata per i propri scopi». L'avv. Pasquale Corleto per conto del Comune di Avetrana ha parlato dell’attenzione mediatica riservata al processo e si è soffermato sul lavoro degli investigatori definendolo «eccezionale». «Non dobbiamo cercare all’esterno la verità. È una realtà circoscritta, un cerchio. Come si fanno ad avanzare altre teorie». Quindi l’Avvocato Corleto ha sottolineato che “Michele Misseri non è un delinquente”. E’ un personaggio che “fa tenerezza”, poichè “è combattuto” tra il bene che vuole alla figlia e quello per la nipote ed è avvinto dal rimorso. Alla fine vince questa lotta disperata. Infine, ha evidenziato che “se ad Avetrana non ci fosse stata gente sana, non si sarebbe potuto parlare della contestazione d’accusa di sequestro di persona”. Più di tutti parla del testimone Ivano Russo, “insieme ad altri, gigante del turpiloquio, del falso e del depistaggio”. ”Questi testimoni, parlano fuori dall’aula, magari nelle interviste, ma quando devono dire qualcosa di concreto, si rifugiano dietro i “non ricordo”.Poi rincara la dosa: “Sarah è stata usata in un gioco sadico”. Per l'avvocato Pasquale Corleto, il processo è chiuso, "non c'è ipotesi alternativa, la tesi difensiva è disperata". «Avetrana - ha detto il patrono di parte civile in aula - è una città di persone che lavorano, colpita al cuore nel primo pomeriggio di quel giorno di agosto da un fatto totalmente atipico ma c'è stata una banda del falso, ben identificata, a cominciare da Ivano Russo, che spesso s'è nascosto dietro i “non-ricordo”». L'avvocato Corleto ha avuto parole dure per Sabrina Misseri, definita una "criminale tendenziale" per la sua attività di depistaggio dopo il delitto, una "assassina che diventa la regista di intelligenza diabolica del muro di gomma ed omertà, si inserisce nel mondo dei media e trionfa perché lo utilizza". Il delitto, senza il pentimento di Michele Misseri, sarebbe rimasto irrisolto. Per l'avvocato del Comune di Avetrana, credere che il fioraio Buccolieri abbia solo sognato la scena del sequestro, farebbe ridere il mondo. "Ci sono testimoni, - ha detto Corleto - persone perbene di Avetrana, che hanno smontato il sogno e l'hanno buttato giù dal castello". «Michele Misseri è un grosso personaggio della storia giudiziaria. Ha lavorato in Germania, ha guadagnato il pane per la sua famiglia, è un uomo buono che ha sempre vissuto a contatto con la natura». «Michele – ha aggiunto – si è trovato nel labirinto di Minosse, tra il peso di uno scrupolo enorme e l’amore per la prediletta Sabrina. È un uomo che si aggira nel labirinto e non ce la fa più. La verità l’ha detta nell’incidente probatorio. Alla fine ha prevalso lo scrupolo». L’avv. Corleto ha poi detto che Avetrana è stata «colpita nel cuore in una giornata d’agosto, alla controra, quando è accaduto un fatto che è di una atipicità unica». Per il legale Sabrina ha ucciso e poi ha chiamato il padre: «Papà, papà, guarda che è successo». E Michele, «che non avrebbe saputo schiacciare una mosca, dice: ci penso io. Ma se avesse pensato in maniera totale oggi non saremmo qui». Michele Misseri, ha precisato Corleto, «vuole bene a Sarah e non abbandona Sarah dall’inferno del pozzo dove lui stesso la depone». Su Misseri ha ribadito che "è un uomo buono che vuole bene a Sarah e non la abbandona, perché la verità l'ha detta nell'incidente probatorio". Michele è un uomo buono, diviso tra lo scrupolo di dire la verità e il desiderio di salvare la figlia prediletta. Ed è soggiogato dalla moglie arpia, capace di un predominio diabolico. Secondo il legale del Comune di Avetrana Michele ha adempiuto a un «dovere criminale proveniente da una regia assassina. Sabrina, invece, non solo uccide ma rileva una criminalità tendenziale. Uccide e dopo un secondo inizia la criminale attività di depistaggio. Un depistaggio che fa paura. E' stata pervicace regista del branco della prova distorta che ha impedito l’attività dell’amministrazione della giustizia». Corleto ha ricordato le fiaccolate organizzate da Sabrina quando ancora non si sapeva che Sarah era stata uccisa. «L'assassina - sottolinea il legale – diventa la regista dalla intelligenza diabolica che si inserisce nel mondo dei media e trionfa». Anche Ivano Russo viene definito dal legale «un gigante dei depistaggi». Parole dure sono piombate anche sugli amici di Sabrina bollati come "banda di bugiardi". In particolare nel mirino è finito Ivano Russo definito come "gigante del turpiloquio, del falso e dei depistaggi". "Questi testimoni - ha concluso - parlano fuori dall'aula, nelle interviste, ma quando devono dire qualcosa di concreto si rifugiano dietro i non ricordo". Il legale ha anche depositato una memoria con la quale ha formalizzato la richiesta di risarcimento di 300.000 euro.
Nicodemo Gentile per la famiglia Scazzi. "Alzatevi tu e tuo padre e dite finalmente la verità". Così l'avvocato Nicodemo Gentile del foro di Perugia, legale di Concetta Scazzi si è rivolto a Sabrina Misseri nel corso della sua arringa in Assise, durante il processo per l'omicidio di Sarah Scazzi. Sabrina non ha battuto ciglio. «La mamma di Sarah ha sempre chiesto giustizia, e mai vendetta. Qui si celebra un processo per il peggiore dei massacri. Sarah - ha aggiunto - doveva essere squagliata, doveva sparire. Doveva diventare parte dell'esercito degli scomparsi. Un massacro gestito con metodi mafiosi. Sarah Scazzi è stata massacrata ed è un massacro peggiore per le condotte successive al delitto che denotano un metodo mafioso, da 416 bis. Sarah non doveva essere solo uccisa - ha spiegato - ma doveva sparire ed essere annientata. Non doveva esistere più. Doveva diventare uno di quei tanti volti che fanno parte dell'esercito di scomparsi. E' stata messa sotto terra e gettata nel pozzo nuda. Lo dice Michele Misseri qual è stata la ragione di questa scelta: 'l'ho spogliata perché i vestiti non si squagliano'. La realtà è che Sarah doveva sparire. Questa donna vi ha consegnato il suo dolore. Lei vuole una giustizia giusta, proporzionata a quello che è accaduto. Il nostro ordinamento lo prevede - ha sottolineato l’avv. Nicodemo Gentile parlando di Concetta Serrano - questa è anche la storia di un omicidio domestico. Sarah è stata dipinta come la terza figlia dei Misseri e la seconda sorella di Sabrina, ma non é vero. Sarah è stata massacrata in casa, nel posto dove si sentiva più sicura, dove Concetta la mandava perché si fidava.. Michele Misseri è il becchino di Avetrana che ha abbandonato Sarah come un qualsiasi rifiuto e questo é il processo dell'umiliazione gratuita. Concetta è stata umiliata quando addirittura si voleva additare al suo comportamento la causa della morte di Sarah perché la faceva uscire troppo e la mandava a casa della zia. Concetta non ha avuto la possibilità di dare nemmeno l'ultimo bacio alla figlia. Sabrina è una mente che fabbrica le bugie. L'imputata giustifica la bugia con un'altra bugia che non ammette anche quando è impossibile negare. Non avevamo bisogno delle testimonianze della Spagnoletti, della Nigro, della Cimino per dire che Sabrina era completamente partita con la testa per Ivano. È lei che ha continuamente negato questa circostanza. Qui non si colpevolizza Sabrina perchè, come si dice in questi casi, aveva “sbroccato" per Ivano, ma perchè ha negato. Il forte conflitto tra la madre e la figlia Sabrina. Quest'ultima ha una sua attitudine a essere aggressiva. Questa è anche la storia di un omicidio domestico avvenuto in casa dei parenti dove la madre di Sarah la mandava perchè si fidava della nipote Sabrina. E invece è stata umiliata e ferita dai suoi parenti, non solo dalle imputate ma anche dalle sorelle Emma e Dora Serrano e dal fratello Giuseppe quando hanno testimoniato ed il gelo interiore degli imputati, dei familiari e di molti testimoni. Michele Misseri è il becchino di Avetrana: ha abbandonato Sarah nel pozzo come un frigorifero che non funziona più. Questo è qualcosa di più di un processo indiziario». L'intercettazione in carcere, quando Michele Misseri chiede all'altra figlia Valentina: “cosa sta nascondendo Sabrina? Che parlasse”, secondo l'avvocato Gentile basterebbe alla condanna. Per il legale della famiglia Scazzi le prove vengono dagli stessi imputati non tanto dagli altri testimoni. «Siete voi che vi contraddite - ha affermato l'avvocato Gentile, rivolgendosi ai tre imputati, Sabrina Misseri, Cosima Serrano e Michele Misseri - alzatevi e dite la verità». Ma poi ci sono due confessioni extragiudiziali, ha ricordato l'avvocato, e cioè le parole dette da Sabrina Misseri all'amica Anna Pisanò la sera del ritrovamento del cadavere, il 6 ottobre del 2010, e il soliloquio di Michele Misseri poche ore prima dell'interrogatorio durante il quale fece la sua prima confessione. «La seconda confessione extragiudiziaria di Michele Misseri, quella della ritrattazione, è stata etero-indotta. È falsa. Ed emerge anche dalle successive indagini. Il contadino non sa nulla dell'evento omicidiario». Gentile ha ricordato alcune intercettazioni ambientali e poi ha censurato il comportamento di «alcuni personaggi, con smania patologica di mettersi in evidenza, che hanno invaso i mezzi di informazione in ogni momento e anche di recente andando a vomitare pareri e sentenze. Ma qui - ha aggiunto - si sta oltraggiando la memoria di una bambina di 15 anni a cui è stato spento il sorriso. La mamma della quindicenne uccisa ad Avetrana, una mamma – ha detto il legale – che non vuole vendetta, ma giustizia. Sarah – ha detto Gentile – è stata umiliata, maltrattata e il pm Mariano Buccoliero l’ha presa sulle sue spalle, è riuscito a stare sempre un passo indietro, fuori dal clamore. Questo è "il processo dell'umiliazione gratuita. Concetta è stata umiliata quando addirittura si voleva additare al suo comportamento la causa della morte di Sarah perché la faceva uscire troppo e la mandava a casa della zia. Concetta non ha avuto la possibilità di dare nemmeno l'ultimo bacio alla figlia». Gentile ha ringraziato il pm Buccoliero, rappresentante dell’accusa insieme al procuratore aggiunto Pietro Argentino (definito dal legale «il secondo papà di Sarah“), facendo presente che il magistrato «si è fatto carico di un sentimento collettivo e l’abbiamo visto anche in difficoltà emotiva. La giovane età e la incensuratezza di Sabrina astrattamente richiederebbero dei benefici nei suoi confronti ma lei non ha avuto un attimo di pietà per la terza sorella e quindi non è giusto che abbia alcuna attenuante. A meno che non decida di farlo prima di farlo prima della fine di questo processo. L'avvocato Gentile si è associato alla richiesta dei pm della Procura di Taranto della pena dell'ergastolo sia per la 24enne che per la madre Cosima Serrano. Per questa "resipiscenza" e per questo "pentimento" occorrerebbe che "il gelo si sciolga". Secondo il legale le due donne nella scelta tra la sicurezza dell'impunità e la necessità di dare una degna sepoltura a Sarah non hanno avuto alcuna esitazione, non sono arretrate di un centimetro». E Concetta, la madre di Sarah, proprio su questo "non riesce a capire l'atteggiamento della sorella Cosima". Gentile ha anche evidenziato che la ragazzina "è morta in casa Misseri perché non aveva interesse ad entrare in garage". E si è soffermato su alcuni componenti della comitiva che frequentava la vittima. "Tutti dicevano che era come una sorella ma l'hanno tradita", ha concluso.
Walter Biscotti per la famiglia Scazzi. Secondo un altro avvocato della famiglia Scazzi, Valter Biscotti, «è Cosima la regista dell'attività di depistaggio e ce lo fa capire Michele Misseri la sera in cui confessa e consente il ritrovamento del corpo della bambina quando chiede agli inquirenti di non dire nulla alla moglie». Biscotti ha fatto riferimento anche a un'intercettazione ambientale in carcere, in particolare a quella in cui il contadino di Avetrana dice: “Quel pomeriggio abbiamo fatto i furbacchioni, forse dovevamo chiamare il 118". Secondo il legale, Michele Misseri "ci fa capire che dopo l'omicidio c'è stata una discussione sul da farsi nella famiglia, tra Michele e le due donne. Forse non si può dire che ci sia stata una trattativa perché Michele non aveva la capacità di trattare in quel momento”". «Il tempo sta per scadere. Se davvero vuole bene a sua figlia ha un’ultima carta da giocare, non la boccettina bianca che ci ha fatto vedere con la minaccia del suicidio, ma quella di dire la verità. Sua figlia – ha aggiunto Biscotti – è giovane. Forse lei è l’unico che la può salvare dall’ergastolo. C'è ancora tempo e invece di guardare l’altarino che ha in garage provi a pensare a cosa è passato per la mente di Sarah quando la stavano uccidendo». Gli avvocati Nicodemo Gentile, Walter Biscotti e Antonio Cozza si sono associati alle richieste di condanna dei pubblici ministeri per gli imputati al processo per l'omicidio di Sarah Scazzi e confermato la richiesta di risarcimento danni per 33 milioni di euro. Ogni componente della famiglia Scazzi, infatti, ha chiesto tre milioni di euro ciascuno a Michele, Cosima e Sabrina Misseri e due milioni ciascuno a Carmine Misseri e Cosimo Cosma, fratello e nipote di Michele accusati di averlo aiutato a nascondere il cadavere della ragazza di Avetrana, nel pozzo di contrada Mosca. L’udienza si è conclusa con le arringhe dell’avvocato Antonio Cozza, parte civile di Claudio Scazzi, fratello di Sarah e Luigi Palmieri che rappresenta l’altra parte civile del processo, Ecaterina Pantir, la badante rumena calunniata, secondo l’accusa, da Sabrina Misseri. Al processo è intervenuto anche l'avvocato Luigi Palmieri, parte civile per Maria Pantir, la badante romena di casa Scazzi (assisteva il nonno di Sarah deceduto a settembre 2010) accusata ingiustamente da Sabrina Misseri di essere coinvolta nella scomparsa della cugina. La collaboratrice familiare della famiglia di Sarah è parte offesa per il reato di calunnia contestato a Sabrina Misseri. Secondo l’accusa, l’opera di depistaggio dell’imputata è sfociata anche nel tentativo di adombrare sospetti sulla donna in un interrogatorio dinanzi ai carabinieri a settembre 2010.
12 marzo 2013. 43ª udienza. Arringhe delle Difese di Michele Misseri e delle parti meno importanti: Paquale De Laurentiis per Giuseppe Nigro, Giovanni Scarciglia e Lello Lisco per Cosima Prudenzano e per Antonio Colazzo, Gianluca Pierotti per Vito Russo, Luca Latanza per Michele Misseri.
Come volevasi dimostrare dopo la scorpacciata di immagini, interviste, servizi tv a favore della requisitoria dell’accusa e delle arringhe delle parti civili, farcite anche di gratuite ed impunite calunnie e diffamazioni o, come ha riferito Franco Coppi ad Anna Gaudenzi su Affari Italiani, « Sono state dette troppe cose e non abbiamo apprezzato alcune battute poco eleganti.» Bene si diceva che dopo l’abbuffata di poco corrette prese di posizioni della stampa, a dare voce alla difesa non c’è nessuno. E’ passata sotto silenzio la 43ª udienza. Poche righe dedicate e servizi assenti o striminziti. Rimasugli dedicati a Michele Misseri. Tra i media locali addirittura Telerama news ha ignorato l’evento.
Paquale De Laurentiis per Giuseppe Nigro. E' ripreso il processo per l'omicidio di Sarah Scazzi e lo ha fatto con l'arringa dell'avvocato Pasquale De Laurentiis, difensore di Giuseppe Nigro, accusato di favoreggiamento personale. Il Legale ha chiesto l’assoluzione per il suo assistito. Pasquale De Laurentis che difende l’albergatore di Avetrana, Giuseppe Nigro, titolare de “La Grottella” accusato di favoreggiamento. «Per aver cercato di nascondere irregolarità contributive su una sua parente-dipendente – ha detto De Laurentis – avete trascinato nella marmaglia una persona per bene che nulla a che vedere con un delitto così terribile».
Giovanni Scarciglia e Lello Lisco per Cosima Prudenzano e per Antonio Colazzo. I legali hanno chiesto l’assoluzione per i loro assistiti, suocera e cognato di Giovanni Buccolieri, il fioraio che prima disse di aver visto la scena del sequestro di Sarah da parte della zia Cosima Serrano il pomeriggio del 26 agosto 2010 e poi ritrattò sostenendo che si era trattato di un sogno.
Gianluca Pierotti per Vito Russo. Ha chiesto l'assoluzione “perché il fatto non sussiste o perché non costituisce reato” l'avvocato Gianluca Pierotti, che difende il suo collega Vito Russo, ex difensore di Sabrina Misseri, al processo davanti alla Corte di Assise del Tribunale di Taranto per l'omicidio di Sarah Scazzi. La sua arringa è durata poco meno di due ore. L'avvocato Vito Russo è imputato di intralcio alla giustizia e favoreggiamento personale relativamente a un unico episodio. Accusato di favoreggiamento ed intralcio alla giustizia per aver cercato di estorcere una testimonianza ad Ivano Russo favorevole alla sua assistita, Sabrina appunto, facendogli intendere che rischiava l'arresto. L'accusa, che per lui ha chiesto 3 anni e 6 mesi di reclusione, sostiene che nel corso di indagini difensive avrebbe minacciato un testimone, Ivano Russo, nel tentativo di indurlo a cambiare versione, e avrebbe anche distrutto un verbale di interrogatorio. «Vi chiedono di condannare una persona per bene incensurata – ha detto Pierotti – per quello che ha detto uno come Ivano Russo che la stessa procura ha chiesto di indagarlo per falsa testimonianza». Per meglio inquadrare «il personaggio», l’avvocato Pierotti ha letto alcune intercettazioni ambientali in cui il giovane Russo concordava la vendita di interviste a giornali e televisioni «alimentando così – ha detto – un vergognoso mercimonio sulla disgrazia di una bambina». In particolare l'avvocato Pierotti nella sua arringa ha puntato sulla dubbia credibilità della testimonianza di Ivano Russo."Mente sapendo di mentire", ha detto, sottolineando che è la stessa Procura a ritenerlo "un testimone bugiardo". Ed infatti per Ivano, il giovane che sarebbe stato la causa della tensione tra Sabrina e Sarah, i pm, al termine della requisitoria, hanno chiesto alla Corte la trasmissione degli atti intravedendo l'ipotesi di reato di falsa testimonianza. Scontata anche per lui la richiesta di assoluzione per il suo assistito.
Luca Latanza per Michele Misseri. L'avvocato Luca La Tanza, legale di ufficio di Michele Misseri al processo in Corte di Assise a Taranto per l'omicidio di Sarah Scazzi, ha chiesto l'assoluzione del suo assistito dall'accusa di concorso in soppressione di cadavere e, in subordine, la riqualificazione del reato in occultamento di cadavere. Quest'ultimo reato prevede una pena più leggera. La Procura della Repubblica al termine delle requisitorie del pm Mariano Buccoliero e del procuratore aggiunto Pietro Argentino aveva chiesto per Misseri una pena a nove anni di reclusione. Il contadino di Avetrana è imputato anche per il furto del cellulare di Sarah e di danneggiamento seguito da incendio anche se per quest'ultima accusa la Procura ha chiesto il proscioglimento per difetto di querela. Una «richiesta assurda e provocatoria», l’ha definita lo stesso legale il cui intervento ha chiuso la 43sima udienza del processo in Corte d’assise che vede alla sbarra, accusate di omicidio, Sabrina Misseri e Cosima Serrano, sua madre, per le quali la procura ha chiesto l’ergastolo. Andando contro il volere del suo assistito, dunque, l’avvocato La Tanza ha fatto ciò che doveva, difendendo l’imputato che dichiarandosi colpevole cerca di ridare la libertà alla figlia Sabrina e sua moglie Cosima accusate, sostiene lui, ingiustamente. Ignorando volutamente la fase omicidiaria della giovane vittima, l’avvocato La Tanza («non è quello il mio compito», ha detto), ha citato una frase intercettata a Misseri durante un colloquio in carcere con la nipote Maria Greco. «Quando l’hanno seppellita io non c’ero», disse l’uomo in quella occasione. Per la procura quella frase era riferita ai funerali della nipote Sarah e non al suo occultamento in contrada Mosca. L'avvocato La Tanza ha sottolineato che "ci troviamo di fronte a un processo 'sui generis'" e si è soffermato "sulle difficoltà che ha presentato la difesa di Michele, un personaggio atipico e pittoresco". Inoltre ha ricordato che "i sanitari del carcere hanno riferito in aula del malessere psicologico di Michele Misseri. Lo stato confusionale è stato evidenziato dalle parti processuali più volte. Ma nessuno ha potuto verificare le condizioni effettive di Michele Misseri". In subordine l'avvocato ha chiesto la riqualificazione del reato trasformandolo da soppressione in occultamento di cadavere. Per quest'ultimo il Codice penale prevede una pena meno pesante perché nel primo caso si vuole impedire qualsiasi ritrovamento mentre nel secondo si tratta di nascondere il cadavere solo in modo temporaneo. Secondo l'avvocato La Tanza, Misseri avrebbe subito "uno shock emotivo particolarmente violento" determinato dal fatto di essersi autoaccusato di un delitto così grave. Ciò ha determinato in lui "una confusione e un caos mentale che hanno profondamente inciso su di lui e quindi sul processo, lamentando così il fatto che non è mai stata eseguito esame psichiatrico sul contadino. Per l'avvocato La Tanza comunque "Michele aveva fin dall'inizio la volontà di far ritrovare il corpo di Sarah e ha fatto di tutto per renderlo possibile", perché Misseri ha lasciato segnali sul pozzo, ha fatto di tutto per attirare l'attenzione di media ed investigatori su di sé e per far ritrovare il telefonino ed il corpo della nipote. Ad esempio lasciando il cellulare vicino alla caserma dei carabinieri e in una stazione di servizio o mettendo la pietra e il ceppo di vite sul pozzo. L'avvocato ha chiesto l'assoluzione dalle accuse di furto e di danneggiamento seguito da incendio. "O Michele non viene ritenuto credibile o solo in minima parte credibile - ha detto il legale - oppure se è credibile allora il procedimento ha un'altra storia che ora qui io non dirò".
18 marzo 2013. 44ª udienza. Arringhe delle Difese di Carmine Misseri e Cosimo Cosma, Lorenzo Bullo per Carmine Misseri e Raffaele e Serena Missere per Cosimo Cosma.
Come volevasi dimostrare dopo la scorpacciata di immagini, interviste, servizi tv a favore della requisitoria dell’accusa e delle arringhe delle parti civili, farcite anche di gratuite ed impunite calunnie e diffamazioni o, come ha riferito Franco Coppi ad Anna Gaudenzi su Affari Italiani, « Sono state dette troppe cose e non abbiamo apprezzato alcune battute poco eleganti.» Bene si diceva che dopo l’abbuffata di poco corrette prese di posizioni della stampa, a dare voce alla difesa non c’è nessuno. E’ passata sotto silenzio la 44ª udienza. Poche righe dedicate e servizi assenti o striminziti. Rimasugli dedicati a Michele Misseri. Tra i media locali addirittura Studio 100 News ha ignorato l’evento.
Lorenzo Bullo per Carmine Misseri. Lorenzo Bullo ha seguito la linea dell’innocenza del suo assistito, il venditore di ortaggi manduriano fratello di Michele Missere assieme al quale, secondo la procura, avrebbe soppresso il 26 agosto del 2010 il cadavere di Sarah Scazzi con l’aiuto del nipote, Cosimo Cosma, argomentando sui tempi in cui sarebbe avvenuto l’occultamento ed anche sul comportamento dell’imputato. In merito ai tempi l’avvocato ha parlato di «contraddizioni macroscopiche» nella ricostruzione del pubblico ministero. «Il mio assistito non sapeva nemmeno dove fosse il pozzo. Il pubblico ministero si sofferma sugli indizi, ma bisogna vedere quanto pesano dal punto di vista probatorio questi indizi. Il rischio è che ci possano essere nelle lettura globale delle contraddizioni macroscopiche». L'avv.Bullo ha dedicato parte dell’arringa alla ricostruzione del calcolo dei tempi necessari per raggiungere il pozzo di contrada Mosca e ha commentato l’intercettazione ambientale nel corso della quale Carmine Misseri dice che non conosceva la zona del pozzo. Secondo il legale, che ha chiesto l’assoluzione, non si trattava di una confessione ma di un commento alle notizie riportate dai giornali. «Lo dico con rispetto ma in questa inchiesta il pubblico ministero ha avuto paura a fare delle scelte. Con tutte queste schegge di indizi il rischio è quello di trovarsi di fronte a contraddizioni macroscopiche». Nella prima parte del suo intervento l'avvocato si è soffermato soprattutto sul calcolo dei tempi occorrenti per raggiungere il pozzo di contrada "Mosca" in quel pomeriggio del 26 agosto del 2010, sia da parte di Michele, che partiva da Avetrana, che di Carmine Misseri che partiva da Manduria e che, secondo quanto accertato dall'esame dei tabulati telefonici, venne chiamato dal fratello Michele alle 15,08 mentre quest'ultimo si trovava già al pozzo e Carmine era ancora a Manduria. Per il pm Michele avrebbe fatto "un'accorata richiesta di aiuto al fratello" senza specificare che Sarah era stata uccisa, né tantomeno chi era stato il responsabile. «Per arrivare al pozzo da Manduria - ha specificato il difensore - occorrono 23 minuti, secondo quanto dice il pm, e quindi l'arrivo di Carmine andrebbe collocato alle 15,31-15,32. Ma durante l'incidente probatorio, che è una prova, Michele, rispondendo a una domanda su cosa stava facendo alle 15,25 quando lo chiama al telefonino la moglie Cosima, afferma che stava al pozzo, aveva finito tutto e stava per andarsene. Se aveva finito tutto, e Carmine Misseri doveva ancora arrivare al pozzo qual è il suo aiuto a sopprimere il corpo della bambina nel pozzo? Magari dal punto di vista umano può essere deplorevole che sia arrivato lìquando gli abiti erano già stati bruciati ma nelle carte del processo io credo che ci sia la prova che non è mai partito da Manduria e che ha sempre detto la verità su quella telefonata.» La conversazione telefonica citata è quella in cui Michele Misseri, secondo la sua versione, chiamò il fratello per concordare una copertura con sua moglie Cosima in caso l’avesse chiamato (devi dire che sono andato ai cavalli). “Manco dalla zona del pozzo da 34-35 anni. Da bambino ci ho abitato ma non me lo ricordo”. E' una intercettazione ambientale citata dall'avvocato Lorenzo Bullo. La frase si riferisce a un colloquio tra Carmine e la moglie Lucia Pichierri che gli chiedeva proprio se avesse conosciuto l'area nella quale venne seppellito il cadavere della ragazzina. Il difensore si è soffermato su un’altra frase registrata durante un colloquio tra marito e moglie che, secondo la Procura, incastrerebbe anche Cosimo Cosma, imputato come Carmine di concorso in soppressione di cadavere (“Cosimo Cosma ha aiutato a gettare la bambina nel pozzo”). L’avvocato Bullo ha affermato che non si è trattato di una confessione ma che «è evidente – ha detto – che stanno commentando una notizia dei giornali visto che da poco c’era stato l’interrogatorio di Cosimo Cosma». «Restituite dignità a Carmine Misseri che ha già pagato una pena enorme. Qualunque sia la sua sorte processuale, come Michele è passato per il “becchino” di Avetrana, lui passerà come il “becchino di Manduria”» ha concluso Bullo chiedendone l’assoluzione.
Raffaele e Serena Missere per Cosimo Cosma. «Merita di essere assolto, di tornare a una vita normale: campagna, sacrifici e duro lavoro». E' quanto ha chiesto l’avv. Serena Missere per Cosimo Cosma, nipote di Michele Misseri, accusato di soppressione di cadavere nell’ambito del processo per l’omicidio di Sarah Scazzi. «Non c'è niente nelle intercettazioni per cui si possa dire che Cosimo Cosma e la moglie si siano assunti qualsiasi responsabilità su quello che è successo», ha aggiunto l’avv. Missere nel corso della sua arringa. «L'interessamento di Cosma alla vicenda, successivo alla scomparsa, è assolutamente normale, visti i rapporti – ha aggiunto il difensore – che c'erano tra le famiglie e visto il fatto che era sparita una bambina, peraltro coetanea del figlio di Cosma». Quanto all’intercettazione in cui Carmine Misseri sostiene che «Cosimo Cosma ha aiutato a gettare la bambina nel pozzo», secondo il legale faceva riferimento «a qualcosa che aveva appreso dai giornali, dai giornalisti o dalla televisione». «Non c'è una verità provata. Questo è un processo del nulla e l’unica verità è che una bambina è stata uccisa e chiede dall’aldilà che in quest’aula si faccia giustizia. Ma non si sa chi l’ha uccisa, come è stata uccisa e come è morta». Lo ha sottolineato nel corso della sua arringa difensiva nel processo per l’uccisione di Sarah Scazzi, l'avv. Raffaele Missere. L’avv. Missere ha criticato la perizia del medico legale Luigi Strada, che, a suo dire, ha mostrato “alterigia e supponenza”. Ma, fatto ancora più grave, ha affermato di non aver aperto l'intestino per non inquinare. Per l'avvocato Missere il medico legale ha mostrato "alterigia e supponenza, spocchia e indolenza. Questa carenza o incapacità, voluta o meno, è venuta da parte di un perito che doveva fornire gli elementi necessari alla Corte per una verità che non abbiamo. E' un processo nato male dove c'e' un deserto di verità. Il legale ha parlato di una perizia “carente” perchè “non è stato scritto nemmeno se nei polmoni della ragazzina c'era acqua o meno”. «Inoltre, pur avendo trovato liquido nella cavità toracica, il prof. Strada – ha detto l'avvocato – non lo ha analizzato». Missere ha detto che con la richiesta che presentò alla Corte di riesumazione del corpo non intendeva “offendere nessuno” ma voleva “difendere la verità per la bambina che non c'è più e per chi c'è ancora”. «Prendo atto dell'impegno e dei sacrifici dell'ufficio della Procura per giungere alla verità - ha aggiunto - ma purtroppo non l'ha raggiunta. In questo processo c'è stata la volontà di ognuno dei protagonisti di apparire oltre a qualsiasi esigenza». Quindi ha invitato soprattutto i giudici non togati della Corte di Assise, a stare in guardia «dai messaggi inquietanti dei media dove sono state fatte ricostruzioni cinematografiche. Qui tutti sono voluti diventare protagonisti e parte di uno spettacolo che è andato avanti e continua ad andare avanti. Anche la testimonianza "di chi ha perso la bambina" - ha proseguito l'avvocato Missere riferendosi evidentemente alla madre di Sarah e agli altri più stretti parenti – è stata inquinata dai media». Ha inoltre sottolineato ch il numero di testimoni è stato eccessivo "rispetto al ragionevole". Infine ha chiesto alla Corte "che in camera di consiglio tutte le intercettazioni ambientali e telefoniche siano ritenute inutilizzabili perché effettuate in violazioni di legge". «Non piegate le vostre coscienze a una volontà di condanna. Non cercate un colpevole per forza». Lo ha detto l'avvocato Raffaele Missere, Il legale ha chiesto l'assoluzione del suo assistito, che è imputato di concorso in soppressione di cadavere. Per la Procura della Repubblica, invece, deve essere condannato a otto anni di reclusione, così come Carmine Misseri. Quanto all'alibi, l'avvocato Missere ha evidenziato che in genere «quanto più è preciso, tanto è più falso. E, comunque, il solo fatto di aver dato un alibi falso, non può portare a essere accusati della responsabilità di un determinato fatto. E' vero che cambia un orario nel corso dello stesso interrogatorio ma sostanzialmente quello che Cosma dice nell'interrogatorio a sommaria informazione testimoniale del 16 novembre 2010 - ha proseguito il legale – è quello che ha ripetuto nelle successive occasioni e quando viene sentito dal gip nell'interrogatorio di garanzia in carcere». In pratica, secondo l'avvocato Missere ha cambiato leggermente versione solo in una occasione ma poi l'ha mantenuta sempre.
FUORI ONDA: GIUDICI IMPARZIALI? FORSE!
19 marzo 2013. 45ª udienza. Arringa della Difesa di Cosima Serrano. Franco De Jaco e Luigi Rella.
Come volevasi dimostrare dopo la scorpacciata di immagini, interviste, servizi tv a favore della requisitoria dell’accusa e delle arringhe delle parti civili, farcite anche di gratuite ed impunite calunnie e diffamazioni o, come ha riferito Franco Coppi ad Anna Gaudenzi su Affari Italiani, « Sono state dette troppe cose e non abbiamo apprezzato alcune battute poco eleganti.» Bene si diceva che dopo l’abbuffata di poco corrette prese di posizioni della stampa, a dare voce alla difesa non c’è nessuno. E’ passata sotto silenzio la 45ª udienza. Poche righe dedicate e servizi assenti o striminziti.
Franco De Jaco per Cosima Serrano. Anche Hollywood fa la sua comparsa nel processo Scazzi. L’accurata arringa dell’avv. Franco De Jaco affida al potere delle immagini di un film in bianco e nero del 1957 il destino della sua assistita. La pellicola diretta da Sidney Lumet, intitolato “Parola ai giurati” e magistralmente interpretato da un superbo Henry Fonda, racconta l’accorata difesa di un ragazzo di diciotto anni accusato di aver ucciso il padre che lo picchiava. Nella pellicola, rivolgendosi ai giurati, riuniti in Camera di Consiglio, spetta all’avvocato del giovane dimostrare che non ci può essere una condanna quando sussista quel “ragionevole dubbio” di fronte al quale è impossibile emettere un verdetto di colpevolezza. Per primo ha preso la parola l'avvocato Franco De Jaco «Perché qui commetterete un altro omicidio, oltre quello perpetrato in danno di una povera ragazzina. E un altro omicidio è quello di mettere in galera, all’ergastolo due innocenti, una giovanissima. E’ un altro omicidio. E’ inutile per la difesa arrampicarsi sugli specchi perché tanto la Corte, attenzione, non la gente, la Corte ha già la sentenza, ha già deciso. Quando io sento queste cose mi sento mortificato come cittadino, pur sapendo che ciò non è vero. Però quando viene trasferito questo segnale, quando viene trasferito questo pensiero, noi generiamo nella gente quello che sta avvenendo: la rivolta. Non la rivolta verso la politica; la rivolta verso le istituzioni.» Secondo De Jaco non ci sono prove che al fatto abbia partecipato Cosima Serrano. «Lo dimostra la proporzione dell'attenzione che i Pm hanno riservato nelle 30 ore di disamina della requisitoria, se non collegandola al famoso sogno del fioraio Buccolieri. In questo processo chiunque ha detto cose in contrasto con la tesi accusatoria è stato tacciato di falso, mentre ben altri testi non hanno detto la verità e sono passati per super testimoni». Parole pesantissime, quelle risuonate in Assise e pronunciate dall’avv. Franco De Jaco, uno dei difensori di Cosima Serrano, nella sua arringa al processo per l’omicidio di Sarah Scazzi. Cosima, come è noto, è accusata, insieme alla figlia Sabrina, di omicidio, sequestro di persona e soppressione di cadavere. Per entrambe è stato chiesto l’ergastolo. «Quanto è avvenuto in questo processo non ha dimostrato assolutamente il coinvolgimento di Cosima Serrano nell’omicidio, tanto che la Procura ha dedicato alla sua figura pochi passi in relazione al presunto sogno del fioraio - ha sottolineato De Jaco - Perchè, ad esempio – ha aggiunto criticando l’operato della Procura – quando si è accertato che Sarah, uscita da casa, era arrivata in quella dei Misseri, non è stata sequestrata l’abitazione dei Misseri? Il delitto non è avvenuto - ha sottolineato - con la partecipazione, né attiva né passiva, di Cosima Serrano». Per l’avvocato De Jaco l’unica prova evidente nel processo per l’omicidio di Sarah Scazzi l’ha data Michele Misseri, che ha fatto trovare il cadavere. E’ lui l’assassino e lo ha ripetuto. Poi, contestando ancora la tesi della Procura, De Jaco ha aggiunto che la sera prima dell’omicidio, il 25 agosto 2010, non c’e’ stato alcun litigio tra Sabrina Misseri e Sarah Scazzi. Altrimenti, perché la mattina dopo già alle 8 Sarah esce da casa e va da Sabrina, se fosse stata realmente offesa? Per Franco De Jaco non c'è nessun elemento di prova, né morale né materiale, del coinvolgimento di Cosima Serrano nel delitto di Sarah Scazzi. Il legale ha puntato il dito contro la perizia del professor Strada, che si occupò dell'autopsia sul corpo della vittima e contro alcuni testimoni, che prima sono apparsi in televisione e poi sono venuti in aula, migliorando i loro ricordi mesi dopo i fatti cui avevano assistito. L'avvocato De Jaco si è soffermato sul ruolo di alcuni testimoni che cambiano versione da agosto-settembre 2010 a giugno 2011, e che a distanza di mesi fanno precisazioni. In particolare secondo l'avvocato De Jaco a dire il falso in aula sarebbe stata Anna Pisanò, la donna che parlò della porta che dal garage di casa Misseri conduceva in casa, un passaggio che il giorno del delitto sarebbe stato utilizzato per trasferire il corpo di Sarah Scazzi in garage per poi portarlo in campagna al pozzo dove fu nascosto. Mandare le due donne all'ergastolo - ha detto il legale in aula - sarebbe un altro omicidio. Per i difensori, l'accusa per Cosima si fonda "sull'acqua" e il movente "che è stato tirato fuori negli ultimi minuti della requisitoria, nasce da falsi presupposti". "Le uniche prove - ha detto l'avvocato De Jaco - ce le ha date Michele Misseri, unico colpevole del delitto, che ha condotto gli investigatori al pozzo dove era il corpo della vittima, ha fatto ritrovare il cellulare. Io ho interrogato in modo brutale Cosima Serrano, lei ha sempre risposto con la sua frase, male non fare paura non avere". Franco De Jaco, ha concluso la sua arringa chiedendo l’assoluzione per la sua assistita.
Luigi Rella per Cosima Serrano. L’avv. Luigi Rella, difensore di Cosima Serrano, ha chiesto alla Corte di Assise la nullità di alcuni accertamenti tecnici eseguiti dai carabinieri del Ros di Lecce perchè «atti irripetibili eseguiti senza la presenza dei difensori». Si tratta degli accertamenti sulla cella telefonica agganciata dal cellulare di Cosima poco dopo l’ora presumibile del delitto, cella che corrisponderebbe, secondo gli accertamenti, al garage di casa Misseri. «Tale accertamento tecnico – ha detto Rella – è stato eseguito senza la preventiva comunicazione agli indagati che non hanno potuto quindi nominare un perito di parte o perlomeno presenziare attraverso i propri legali». La perizia di cui si parla, ha inoltre spiegato la difesa, non è più ripetibile «perché la Vodafone nel frattempo ha modificato irrimediabilmente la rete». Per l'avvocato Rella, che ha chiesto di non utilizzare gli accertamenti scientifici del Ros dei carabinieri, i testimoni al processo non sono credibili perché ascoltati più volte su episodi del loro quotidiano che non si possono vivere col cronometro. Il legale ha chiesto alla corte d'assise di non considerare la testimonianza del fioraio Giovanni Buccolieri, (che in aula non è mai stato ascoltato), l'uomo che avrebbe assistito sul presunto sequestro di Sarah, salvo poi dire di aver solo sognato la scena. Il legale ha infine precisato che nessuno ha mai parlato di Cosima, neanche Michele Misseri ha mai fatto riferimento al coinvolgimento della moglie nel caso. «La percezione che hanno diversi testimoni è che quello del fioraio sia un sogno». Per l’avv. Rella anche l’ex commessa di Buccolieri, Vanessa Cerra, ha riferito agli inquirenti che il fioraio le aveva parlato di un sogno. «Peraltro – ha aggiunto Rella – di questo girovagare a quell'ora di Buccolieri in paese non abbiamo riscontro. La vera fantasia di questo processo è stato il presunto litigio tra Sabrina e Sarah che non c'è mai stato». Proprio riferendosi al movente, il legale ha sostenuto che ci sarebbe una carenza di motivazione “così come indicato anche dalla Cassazione” quando la Suprema Corte annullò con rinvio, nel settembre 2011, l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per Cosima, poi però confermata dal Tribunale di Taranto. Una carenza di motivazione circa il movente, ha spiegato l’avv. Rella, che esclude anche il coinvolgimento di Cosima nel delitto. Concludendo la sua arringa al processo per l’uccisione di Sarah Scazzi, l’avv. Luigi Rella, difensore di Cosima Serrano, oltre a chiedere l’assoluzione da tutte le imputazioni per la sua assistita (omicidio, sequestro di persona e soppressione di cadavere) ha chiesto in subordine, se la Corte di Assise dovesse ritenere che Cosima abbia avuto un ruolo nella sparizione del corpo della 15enne, di qualificare uno dei capi di imputazione in occultamento di cadavere e non soppressione. «Lo si evince – ha spiegato Rella – dalle stesse ammissioni di Michele Misseri, che ha detto di aver nascosto il cadavere nel pozzo perchè pensava poi di recuperarlo per dargli degna sepoltura».
25, 26, 27 marzo, 9 aprile 2013. 46ª, 47ª, 48ª, 49ª udienza. Video fuori onda, astensione dei magistrati ed arringa della Difesa di Sabrina Misseri. Franco Coppi e Nicola Marseglia.
Nicola Marseglia per Sabrina Misseri. «Questo è un processo particolare, abbastanza atipico. E' il processo di Sabrina Misseri, a Sabrina Misseri. E' stato così sin dal primo momento. Il capitano Nicola Abbasciano, ex comandante del Nucleo investigativo dei carabinieri, che fu posto al vertice delle indagini, l'aveva individuata fin dal primo momento insieme a Ivano Russo – dice l'avvocato Nicola Marseglia nell’udienza del 25 marzo - Si coltiva questa ipotesi di lavoro dall'inizio. La confessione di Michele Misseri - ha aggiunto Marseglia - ha spiazzato l'ufficio del pubblico ministero e ha introdotto un elemento spurio di ipotesi di lavoro a cui non aveva pensato nessuno. Da qui nasce l'equivoco nei confronti di Sabrina, che subisce una serie di aggiustamenti nel corso delle indagini che non conoscono alternative. E' un primo dato - ha sottolineato il legale - su cui invito a fare una riflessione. Io sono convinto che Sabrina non ha commesso alcun reato. Abbiamo assistito alla richiesta incredibile della procura di chiedere e ottenere l'archiviazione per Michele Misseri e non si è arrivati a ciò che chiedeva tutta l'Italia: portiamo a giudizio tutti e tre, Michele, la figlia Sabrina e la moglie Cosima, e vediamo cosa decide la Corte. Siamo oltre l'immaginazione processuale. Hanno lasciato tornare ad Avetrana – ha aggiunto - quello che fino a quel momento era stato il peggio e che ora viene additato come un pover'uomo che ha voluto aiutare la figlia». Il legale ha citato parte della relazione introduttiva del pm Mariano Buccoliero del 10 gennaio 2012, che chiedeva alla Corte di riconoscere nella stessa sentenza, se gli elementi a carico di Sabrina e Cosima non saranno ritenuti sufficienti, la colpevolezza di Michele Misseri. «Ma questo – ha osservato Marseglia – non è possibile. Misseri è protetto dalla legge, caso mai si dovrà aprire un altro procedimento.- Secondo il legale - potremmo uscire da quest'aula senza un colpevole: è il rischio di questo processo. Cosa dobbiamo dire alla famiglia di Sarah? Secondo voi non c'era niente a carico di Michele Misseri? E' uno degli aspetti più paradossali di questo processo, definito da tutti processo mediatico, processo indiziario. La questione degli orari in questo processo è di una importanza fondamentale. La prova passa attraverso la ricostruzione oraria del fatto, tutto il resto è paccottiglia. La ragazzina - ha detto il legale - è uscita dalla sua abitazione tra le 14.25 e le 14.30, non prima, per andare a casa di Sabrina, con cui aveva appuntamento per andare a mare. Mi devono spiegare perchè l’orario è questo e non quest’altro. Voglio capire a che ora Sarah è uscita e a che ora è entrata in casa della cugina - Marseglia si è poi soffermato su un dato che ritiene fondamentale, cioè che - alle 14.23 Sabrina riceve una telefonata da Mariangela Spagnoletti che le dice di mettere il costume perché sta per uscire da casa. Questo orario non lo può contestare nessuno. Le tre ragazze (Mariangela, Sabrina e Sarah) si sono accordate la sera precedente di andare al mare il pomeriggio del 26 agosto - ha spiegato - ci sarebbe dovuta essere solo la conferma di Mariangela che doveva rientrare dal lavoro. Al mare - ha continuato l'avvocato Nicola Marseglia - andavano sempre alle 14,30. L'accusa pretende che Sarah uscì di casa un'ora prima. E che andassero sempre a quell'orario al mare lo dicono i testimoni, Mariangela Spagnoletti, Ada Maria Serrano e Emma Serrano, gli stessi genitori di Sarah - ha sottolineato l'avvocato Marseglia. Quest'ultima non è mai andata al mare prima di quell'ora nei giorni feriali di fine agosto, magari di domenica era diverso. Quindi non poteva uscire di casa prima di quell'ora. Proprio perchè tutto dipendeva dagli impegni di Mariangela Spagnoletti. In questo processo abbiamo alterato un principio cardine del nostro ordinamento – rileva Marseglia – ovvero che la prova si formi nel dibattimento. Qui, invece, questo non è avvenuto. C’è stata sul caso Scazzi una continua e costante attenzione dei media e i testimoni non sono stati mai sereni». L'avvocato Marseglia, che insieme a Coppi difende Sabrina Misseri dall'accusa di sequestro di persona e omicidio, ha parlato di principio della formazione della prova mortificato durante il dibattimento, puntando il dito contro la partecipazione attiva del media alla vicenda e la "collaborazione intima tra informazione e parti del processo". Il legale si è soffermato a lungo sull'influenza che i media avrebbero avuto sul processo. «Siamo stati costretti a rincorrere – ha osservato – l'acquisizione di interviste e filmati, veri e propri esami testimoniali. Vi è una collaborazione intima tra informazione e parte del processo. E poi non bisogna dimenticare tutte le trasmissioni di approfondimento dove c'erano i protagonisti di questa vicenda giudiziaria. E’ come se fosse andata a parlare la presidente della Corte d’Assise, Trunfio». Marseglia ha sottolineato poi che «il principio cardine del nostro ordinamento è che la prova si formi nel dibattimento. Dove sono le prove? – ha detto - E' stato mortificato il principio della formazione della prova. Il testimone non è stato mai sereno, c'è stata sempre pressione». Nel ricostruire i fatti del 26 agosto 2010, giorno del delitto, il legale ha detto in aula che quel giorno Sarah Scazzi uscì di casa alle 14:30, orario che si incastra con la responsabilità di Michele Misseri nel delitto. «Petarra è smentito clamorosamente dai familiari di Sarah prima che dai tabulati. Quando dice di aver visto Sarah alle 13,45 del 26 agosto e afferma di aver controllato l'orologio e di averla seguita con lo sguardo sta dicendo il falso». Così l'avvocato Nicola Marseglia, uno dei legali di Sabrina Misseri, parlando di un testimone oculare, Antonio Petarra, che ha dichiarato di aver visto la vittima ben tre volte quella mattina ad Avetrana, compreso il momento in cui, appunto verso le 13,45, Sarah sarebbe passata davanti alla sua abitazione diretta a casa Misseri in via Deledda mentre lo stesso teste era impegnato nella tinteggiatura esterna dell'edificio. «Petarra è inattendibile, parziale e deleterio - ha proseguito - forse si confonde, non si ricorda bene oppure dice cose in libertà». E ha evidenziato che gli avvistamenti complessivi descritti da lui nelle sommarie informazioni testimoniali dal 21 settembre al 9 dicembre 2010 "passano da due a tre". A questo proposito l'avvocato Marseglia ha evidenziato «l'enorme influenza mediatica senza precedenti su questa vicenda». Il difensore di Sabrina ha ricordato che Petarra dice di essersi confuso sull'orario e poi esclude di averla vista alle12,45" poiché il momento del passaggio di Sarah coincideva con quello in cui la moglie lo invitò a salire in casa per accudire il loro figlio piccolo visto che la donna doveva andare a lavorare. Per il difensore di Sabrina Petarra "non sapeva nemmeno come era vestita Sarah". Il difensore di Sabrina ha poi presentato tesi che metterebbero in discussione l’attendibilità dell’altra testimone chiave del processo, Anna Pisanò, definita anche lei una «falsa testimone che s’inventa le cose più assurde pur di far condannare Sabrina». Testimoni inattendibili, testimoni che si calano nel ruolo di informatori, come se fossero personaggi di una fiction televisiva del tipo “Ris” o “Distretto di Polizia”. Il difensore di Sabrina, Nicola Marseglia, nell’udienza del 9 aprile continua sulla strada già tracciata nella prima parte dell’arringa. Mette in dubbio la ricostruzione della pubblica accusa perché basata su “dichiarazioni testimoniali che non possono essere ritenute credibili”, è la tesi dell’avvocato che, rivolgendosi ai giudici della Corte li invita a riflettere sulla richiesta dell’accusa di infliggere l’ergastolo a madre e figlia e sulle prove testimoniali prodotte per argomentare quella richiesta: «Vi stanno proponendo un errore giudiziario sulla base di prove acquisite in modo barbaro, in perfetto stile cubano. Sulla base di elementi forniti da testimoni che sostengono una giusta causa perché è una giusta causa, sono i metodi per sostenerla che non sono giusti, che fanno indignare e impegnano la difesa fino allo spasimo perché questo modello procedimentale, prima che processuale, non deve passare, perché questa inchiesta è stata condotta in maniera intollerabile in quanto ad acquisizione della prova». Secondo il difensore, Sabrina è finita nel mirino degli inquirenti sin dai giorni successivi alla scomparsa di Sarah, quando l’ipotesi dell’omicidio non era stata ancora presa in considerazione, la svolta delle indagini, con la simulazione del ritrovamento del telefonino da parte di Michele Misseri, era ancora lontana. Era lei il loro obiettivo. Poi lo è diventata anche la madre. L’avvocato di Sabrina Misseri, Nicola Marseglia, è andato giù duro nella sua arringa finale quando ha definito «barbaro, in stile perfetto cubano» il modo in cui sono state condotte le indagini dei pubblici ministeri. Invitando inoltre i giudici della corte d’assise a non prestarsi «ad un enorme errore giudiziario costruito su prove acquisite nel corso di deposizioni in cui gli inquirenti hanno usato metodo sbagliato che la legge vieta». In quasi sette ore di intervento, il legale del foro di Taranto che con il penalista romano Franco Coppi ha il difficile compito di far assolvere la ragazza per la quale l’accusa ha chiesto l’ergastolo, ha cercato di demolire le testimonianze più importanti a carico della sua assistita. Sostenendo, appunto, la tesi di una presunta cattiva interpretazione se non manipolazione di dichiarazioni rese da alcuni testimoni sentiti a sommaria informazione. Secondo questa lettura dunque, i testi si sarebbero trasformati in una sorta di alleati dell’accusa inficiando in questo modo «la genuinità e l’attendibilità delle loro stesse dichiarazioni». Si è concentrata soprattutto sulla testimone-chiave Mariangela Spagnoletti l'arringa dell'avvocato Nicola Marseglia. «Mariangela - ha detto il legale - aveva un rapporto competitivo con Sarah e Sabrina per Ivano Russo e Massimiliano Fantastico. Con Sarah non erano amiche, tanto che non aveva neppure il suo numero di cellulare. Questo emerge dagli atti processuali». La testimonianza di Mariangela, la ragazza che passò a prendere Sabrina Misseri e Sarah Scazzi nel pomeriggio del 26 agosto del 2010 per andare al mare, è importante sotto vari aspetti, in particolare quando descrive il punto in cui Sabrina l'aspettava e cioè per la strada e non sulla veranda, e lo stato d'animo nervoso con cui l'accolse. ''L'hanno presa, l'hanno presa'', avrebbe detto Sabrina entrando nell'auto di Mariangela. Il legale ha contestato il contenuto delle deposizioni dei principali testimoni d’accusa. "Mariangela Spagnoletti – ha detto ad esempio – non ha mai dichiarato che, quando arrivò dinanzi a casa Misseri quel 26 agosto, Sabrina era agitata". Sotto accusa soprattutto Mariangela Spagnoletti, testimone chiave del processo che a un certo punto delle indagini, sempre secondo l’avvocato Marseglia, avrebbe cambiato versione adeguandosi a quello che le veniva prospettato e «facendole addirittura credere di essere tra le persone sospettate». Prima accusatrice di Sabrina, è stata lei a dire di aver visto l’amica, il pomeriggio della scomparsa di Sarah, che l’aspettava in strada in evidente agitazione e con gli occhi lucidi. «Tutto falso e costruito quasi a tavolino» ha detto Marseglia facendo intendere l’esistenza di una regia che curava «attentamente le informazioni dei testimoni». Molto chiara anche, per il difensore della ragazza, la pressione esercitata su Michele Misseri quando ha chiamato in reità la figlia. Marseglia ha rispolverato la vicenda del primo colloquio in carcere avvenuto tra Michele Misseri, l’avvocato Daniele Galoppa e la consulente criminologa Roberta Bruzzone. In quell’occasione il contadino che sino a quel momento aveva detto prima di essere l’unico assassino e poi di avere commesso il delitto insieme alla figlia, cambiò nuovamente versione accusando Sabrina dell’omicidio. «Due strane interruzioni di quell’interrogatorio – ha detto Marseglia – mi fanno pensare all’esistenza di pressioni esercitate sul signor Misseri: una prima pausa prima che arrivassero i magistrati che erano stati chiamati dall’avvocato e dalla criminologa – ha detto il legale – e una seconda sempre di un ora poco dopo l’inizio dell’interrogatorio vero e proprio». «Michele Misseri ha ricevuto pressioni da tutti quelli che dicevano di sapere già cosa era successo, cioè che nell’omicidio di Sarah c’entrava Sabrina». Per il legale di Sabrina, Michele Misseri – che da due anni si accusa del delitto e della soppressione del cadavere sostenendo di aver fatto tutto da solo – ha avuto nel corso delle indagini un comportamento “a metà tra il moralmente condivisibile e l’utilitaristicamente appetibile”. Marseglia ha poi dato una diversa interpretazione del contenuto di un soliloquio del 5 ottobre 2010 in auto di Michele Misseri, intercettato dagli investigatori. “Lui dice ‘io mò mi scoprirò – ha sostenuto Marseglia – e non ‘li scoprirò riferito ai famigliari, come sostiene l’accusa”. Per il legale, inoltre, “deve essere provato che c’è stato un patto famigliare” in base al quale Michele Misseri si sarebbe assunto la responsabilità di tutto per salvare moglie e figlia. Il difensore di Sabrina ha criticato i risultati dell’autopsia eseguita dal prof. Luigi Strada ("farneticazioni medico-legali passate come dato scientifico") ed ha parlato di "suggestioni e forzature nell’approccio alle fonti di prova pregiudizialmente negativo per Sabrina". Infine la insussistenza del movente dell’omicidio. "Non potete condannare – ha detto Marseglia rivolgendosi alla Corte – se non si sa perchè la povera Sarah è stata uccisa". «Siamo entrati in questo processo respirando l’aria malsana dal pregiudizio. Ho potuto constatarlo prima come semplice spettatore e poi come difensore. Non basta mai niente per vincere il pregiudizio nei confronti di Sabrina, per sconfessare quello altri hanno sostenuto. L’opinione pubblica si aspetta un verdetto di condanna e prendere una decisione impopolare non è facile ma secondo me questa Corte ha le capacità per prendere qualsiasi decisione». Secondo il difensore, Sabrina è finita nel mirino degli inquirenti sin dai primi giorni, quando si indagava sulla scomparsa della 15enne e l’ipotesi dell’omicidio non era stata ancora presa in considerazione. La svolta delle indagini, con la simulazione del ritrovamento del telefonino da parte di Michele Misseri, era ancora lontana. Era lei il loro obiettivo. Poi lo è diventata anche la madre. Il giallo di Avetrana, secondo Marseglia poteva risolversi molto prima se qualcuno avesse compreso cosa intendesse dire Michele in caserma ad Avetrana il 28 settembre: «Sono andato in contrada Mosca a cercare Sarah, diceva Michele e se qualche carabiniere gli avesse dato retta, la vicenda sarebbe arrivata ad una soluzione molto prima, anche perché in quel periodo Michele era libero dalle pressioni che ha subito dopo». Il 4 ottobre gli notificano l’avviso dell’interrogatorio del 6. Questa volta dire contrada Mosca vuol dire molto di più per Michele. Lo dimostra il soliloquio in dialetto, in macchina del 5 ottobre. Secondo l’accusa, con quelle frasi «mi dispiace per la mia famiglia … ma io li scoprirò … cosa voglio fare fanno a tua figlia», Michele dimostra di aver deciso di rompere il fatto scellerato con le due donne e di confessare. Secondo Marseglia «malgrado lo spessore delle persone che si sono cimentate, viene data una lettura talmente assurda. L’interpretazione dell’accusa «è fuorviante». Lui ne propone una differente. Quella frase « …e se non avessi voluto andare», si riferiva al telefonino di Sarah e non al corpo, come sostiene l’accusa. «Non c’era nessun patto familiare, non c’è nulla che lo provi». Michele piange in aula e tira fuori il fazzoletto.. La lunga arringa durata 8 ore che si è conclusa nel tardo pomeriggio è servita al difensore per chiedere l’assoluzione da tutti i reati di cui è accusata la sua assistita, con formula piena e per non aver commesso il fatto. Non è stata avanzata alcuna richiesta subordinata. «Le accuse nei suoi confronti sono inconsistenti», ha detto Marseglia. Soddisfatto del suo lavoro lo stesso Misseri che con gli occhi lucidi ha dichiarato: «l’avvocato è l’unico ad aver capito tutto». Michele piange perché, dice a qualcuno, Marseglia è l’unico avvocato ad aver compreso il suo pensiero. Michele Misseri ha una nuova consulente al suo fianco. Nell’udienza, il contadino di Avetrana era affiancato da una psicologa, Annamaria Casale, 39 anni, originaria di Castellammare di Stabia, specializzata in psicoterapia e sessuologia, consulente del tribunale di Roma, già giudice onorario del tribunale di sorveglianza di Napoli, collaboratrice del professor Francesco Bruno. Da quanto si è appreso, non ha ricevuto formalmente l’incarico ma affianca Michele in vista di un eventuale processo per calunnia che potrebbe essere aperto a suo carico qualora la Corte d’assise di Taranto decidesse di trasmettere gli atti alla Procura per le valutazioni del caso. Michele, come è noto, ha accusato l’ex difensore Daniele Galoppa e la criminologa Roberta Bruzzone, ex consulente, di avergli suggerito di accusare la figlia Sabrina. Dichiarazioni pesanti che, in caso di trasmissione degli atti, passeranno al vaglio della magistratura inquirente. Il rapporto fra Galoppa e Michele, come è noto, è cambiato, da difensore e assistito i due sono diventati parti avverse di un procedimento civile. L’ex difensore ha chiesto e ottenuto il sequestro dei beni del contadino di Avetrana fino a 50.000 euro esibendo un cospicuo credito relativo alla sua parcella. Misseri, assistito in questa vicenda dall’avvocato Armando Amendolito (nel processo sull’omicidio dall’avvocato Luca La Tanza) aveva presentato reclamo ma il tribunale (presidente Marcello Diotaiuti, relatore Stefania D’Errico, giudice Antonio Attanasio) lo ha rigettato, confermando il sequestro dei beni disposto dal giudice onorario togato Lucia Santoro a settembre 2012. La lunga arringa durata 8 ore che si è conclusa nel tardo pomeriggio è servita al difensore per chiedere l’assoluzione da tutti i reati di cui è accusata la sua assistita, con formula piena e per non aver commesso il fatto. Non è stata avanzata alcuna richiesta subordinata. «Le accuse nei suoi confronti sono inconsistenti», ha detto Marseglia. Soddisfatto del suo lavoro lo stesso Misseri che con gli occhi lucidi ha dichiarato: «l’avvocato è l’unico ad aver capito tutto».
L’alibi di Sabrina Misseri, raccontato da Maria Corbi de “La Stampa”. L’alibi di Sabrina Misseri, secondo la difesa è offerto dalla successione dei messaggi da lei scambiati con Sarah, Mariangela Spagnoletti e Angela Cimino. «Un alibi talmente granitico», ha scritto la difesa di Sabrina in un ricorso in Cassazione, «e formidabile che ha costretto l’accusa – inizialmente convinta, sulla scorta delle dichiarazioni dei genitori e della domestica di Sarah, corroborate da alcune testimonianza esterne, che il delitto fosse stato consumato fra le 14.28 e le 14.37 – ad arretrare di mezz’ora l’ora dell’omicidio, attraverso una artificiosa rilettura di dichiarazioni testimoniali, nel frattempo progressivamente modificate dagli stessi testimoni ed arricchite di nuovi e sempre meno attendibili particolari. Tutto ciò al fine di corroborare l’ardita tesi che l’asserito “alibi” di Sabrina sarebbe in realtà un finto alibi che la stessa indagata si sarebbe procurato – con fredda deliberazione criminale – “fingendo” scambi di messaggi con Sarah del tutto fittizi». Ecco la successione dei messaggi tra Sarah e Sabrina e Mariangela Spagnoletti risultante dai tabulati telefonici: Mariangela Spagnoletti, alle 14.23.31, in base al generico accordo intervenuto la sera prima con Sabrina e Sarah di andare al mare non appena Mariangela si fosse liberata, invia un SMS alla Misseri, che in quel momento si trova a letto: “il tempo di mettere il costume e vengo”; alle 14.24 Sabrina le risponde con un altro SMS “avviso Sara?”; la Spagnoletti risponde con lo stesso mezzo: “ok”; alle 14.25 Sabrina manda un SMS a Sara per avvisarla di arrivare; alle 14.28 e 13 secondi Sabrina manda un ulteriore messaggio a Sarah, che non aveva risposto al primo; alle 14.28 e 26 secondi Sarah risponde con uno squillo a Sabrina per confermare che sta arrivando; alle 14.28 e 40 secondi Sabrina invia un altro SMS alla Spagnoletti: “sto tentando in bagno”; alle 14.31 e 44 secondi Sabrina riceve un messaggio da una sua conoscente Angela Cimino; alle 14.35 e 37 secondi Sabrina risponde al messaggio della Cimino; alle 14.39 Sabrina invia alla Spagnoletti un ulteriore messaggio: “pronta”; alle 14.42, Sabrina, ormai in compagnia di Mariangela, tenta di contattare il cellulare di Sarah senza riceverne risposta, di lì a poco il cellulare di Sarah risulterà spento. La difesa di Sabrina Misseri sottolinea lo strano fenomeno per il quale, nel presente processo, delle dichiarazioni dei testimoni ascoltati al fine di ricostruire l’ora del delitto o gli spostamenti delle persone oggetto di indagine esistono sempre due (o addirittura tre) versioni diverse (spesso fra loro assolutamente inconciliabili) e che, altrettanto stranamente, fra le versioni in conflitto viene sempre ritenuta più attendibile la seconda o la terza (quella cioè che, almeno in linea di principio, dovrebbe ritenersi meno genuina, in quanto più lontana dai fatti e possibile frutto di contaminazioni e suggestioni esterne, soprattutto nell’ambito di una vicenda oggetto di spasmodica attenzione da parte dei media). La difesa di Sabrina Misseri «sottolineando la necessità di far leva, al fine di stabilire l’ora in cui Sarah è uscita di casa il 26 agosto e, per conseguenza, l’ora del delitto, sugli unici dati certi a disposizione degli inquirenti; il documentato invio di due messaggi da parte di Sabrina a Sarah a distanza di tre minuti l’uno dall’altro (ore 14.25 e ore 14.28) per avvertirla che Mariangela Spagnoletti si era liberata e che quindi, come concordato la sera prima, ci si poteva preparare per andare al mare. Un dato certo che collima perfettamente con le univoche dichiarazioni fornite dalla madre di Sarah e dalla domestica Pantir circa il fatto che, indipendentemente da ogni più o meno preciso riferimento temporale da loro fornito, Sarah era comunque uscita di casa dopo aver detto di aver ricevuto un messaggio di Sabrina che la sollecitava ad uscire per andare al mare. Circostanza che, a sua volta, collima con il fatto, riconosciuto dalla stessa Spagnoletti, che le tre ragazze avevano concordato la sera prima di andare al mare, senza fissare un orario preciso, perché bisognava attendere che la Spagnoletti si liberasse dagli impegni di lavoro. Quindi Sarah è uscita di casa dopo le 14,25/14,28. Per superare questa ricostruzione temporale i pm sono costretti a sostenere che la piccola Sarah abbia detto una bugia alla madre per uscire prima e non lavare i piatti. E il messaggio di Sabrina non sarebbe che un depistaggio.
Per quanto preannunciato a tutta la stampa ed ad “Oggi” il 16 febbraio 2012, senza intenti diffamatori ho chiesto agli avvocati in causa ed a tutta la stampa: come è possibile che a presiedere la Corte d’Assise di Taranto per il processo di Sarah Scazzi, in violazione al principio della terzietà ed imparzialità del giudice, sia il giudice Cesarina Trunfio, ex sostituto procuratore di Taranto, già sottoposta del Procuratore Capo di Taranto Franco Sebastio e collega dell’aggiunto Pietro Argentino e del sostituto Mariano Buccoliero. Ex colleghi oggi facenti parte dell’attuale collegio accusatore nel medesimo processo sul delitto di Sarah Scazzi dalla Trunfio presieduto? Qualsiasi decisione finale sarà presa, sarà sempre adombrata dal dubbio che essa sia stata influenzata dalla colleganza funzionale e territoriale. Ma avvisaglie ci erano già state. Non devono essere piaciute le risposte della testimone Liala Nigro alla giudice popolare. Troppo a favore di Sabrina Misseri? Certamente quella frase sfuggita ad alta voce e detta all’orecchio della sua collega di giuria popolare non è sembrata opportuna alla difesa, tanto che l’avvocato Nicola Marseglia ha fatto presente il fatto alla presidente Rina Trunfio chiedendo l’astensione della signora. E dopo una breve riunione la giudice ha letto la sua astensione «per motivi personali». Sarà, commenta Maria Corbi, giornalista de “La Stampa”. E il fatto che la giudice si sia astenuta certo fa pensare. E che dire dei giudizi espressi dai giudici togati. Tutto tranquillo se non foss’altro che un fuorionda tra i giudici irrompe nel processo. Conversazione avvenuta martedì 19 marzo, prima dell’arringa di Franco De Jaco, difensore di Cosima Misseri, tra il presidente della Corte e il giudice a latere del processo Scazzi. Tutto ciò potrebbe sembrare un’anticipazione del giudizio, assolutamente negata dal Diritto e dall’etica, tenuto conto che le difese ancora non hanno parlato. Presidente Trunfio: «certo vorrei sapere, là, le due posizioni sono collegate. Quindi bisogna vedere se si sono coordinati… tra di loro e se si daranno l’uno addosso all’altro.» Giudice latere Misserini: «ah, sicuramente.» Presidente Trunfio: «bisogna un po’ vedere, no, come imposteranno… potrebbe essere mors tua via mea. Non è che negheranno in radice.» Il fuori onda semina imbarazzo al processo per l'omicidio di Sarah Scazzi. Nelle mani della difesa è finito un dialogo, in aula, tra il giudice Rina Trunfio, presidente della Corte di Assise, e il giudice a latere Fulvia Misserini. Le due discutono delle imputate, Sabrina Misseri e sua madre Cosima, che potrebbero, secondo le supposizioni dei giudici - sembra dalla conversazione - optare per una strategia incrociata nella difesa che le porterebbe ad accusarsi a vicenda, La conversazione è stata catturata dai microfoni delle telecamere autorizzate a riprendere il dibattimento. In particolare la frase che ha colpito gli avvocati è quella dove il presidente della corte d’assise, il giudice Cesarina Trunfio, dice: “(Non è che) negheranno in radice”. «Si evince che hanno già una ben definita opinione che non rinviene necessariamente da una valutazione attenta degli atti ma da un'idea precostituita». Spiega l'avvocato Franco De Jaco. Il professor Franco Coppi parte da solo all’attacco, e non poteva esser altrimenti, e viene seguito soltanto da un componente del collegio difensivo, Franco De Jaco, legale di Cosima, nella formulazione della richiesta di astensione dei giudici della Corte d’assise. Ed è sulle iniziative da adottare dopo il fuorionda che si spacca l’ampio collegio difensivo. Uno degli avvocati di Cosima, Luigi Rella, dimissionario presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lecce, va via in netto anticipo rispetto alla fine dell’udienza. Marseglia nel corso del suo intervento spara a zero sugli inquirenti e sulla conduzione dell’inchiesta ma lascia da solo il professore nell’iniziativa contro l’assise giudicante. «Non posso che invitarvi a valutare la possibilità e il dovere di astenervi», ha chiesto senza mezzi termini ai giudici. «Domani – ha aggiunto Coppi – siamo disposti a riprendere il cammino se ci verrà restituita quella serenità che in questo momento mi è stata tolta. Un difensore – spiega Coppi – non può non rappresentare ai giudici le sue perplessità e le sue preoccupazioni, il giudice ha diritto alla sua serenità ma anche il difensore ha diritto alla serenità di parlare con un giudice terzo, imparziale, che fino all’ultimo momento è disposto ad ascoltare le ragioni dell’accusa e della difesa. Con quale spirito continuiamo ad affrontare al processo? Vi chiediamo una dichiarazione che vi rassereni ma che ci chiarisca il senso di quelle frasi che suscitano preoccupazione. Ci aspettiamo dalla corte un chiarimento che ci restituisca serenità salvo decisioni diverse che potete assumere. Chiediamo che i giudici togati valutino la possibilità di astenersi». Coppi non ha gradito una frase relative a possibili strategie difensive in cui «si fa riferimento ad accordi fra i difensori, c’è cordialità ma non accordi». La presidente Trunfio, da parte sua, visibilmente contrariata, ha alzato le spalle dicendo che non dipendeva da lei tale decisione facendo così intendere di essere disposta al rischio di una ricusazione la cui ultima parola spetta, in questo caso, alla Corte d’appello del Tribunale. Medesima richiesta di astensione è stata fatta subito dopo dall’avvocato De Jaco mentre il suo collega del collegio difensivo, Luigi Rella, aveva lasciato inaspettatamente l’aula. Alla richiesta di astensione formulata dal professore si associa soltanto un componente del collegio difensivo, composta dai tantissimi avvocati, più del numero richiesto rispetto ai molti imputati. Avvocati locali, tra cui Lorenzo Bullo, difensore di Carmine Misseri e già praticante avvocato di Nicola Marseglia, di cui ha assunto il modus operandi. Franco De Jaco: «Sono frasi che ci hanno messo in allarme. E’ normale per noi che due colleghi si scambino delle opinioni ma quello che ci preoccupa è l’ultima frase, “non possono negare in radice i fatti”. Diamo la patente di buona fede a quelle dichiarazioni, non ci sono dubbi di nessun genere. Domani se noi la rivedremo qui e saremo rasserenati». Le affermazioni, che De Jaco definisce «imprudenti», anche per il difensore evidenzierebbero «una opinione già precostituita». «Non posso far finta di niente di fronte a certe affermazioni». Imbarazzante, infine, la posizione di Marseglia il quale è stato colto di sorpresa dalla mossa del professore. Da segnalare l’evidente scollamento del collegio difensivo di Sabrina Misseri. «Il mio intervento è a titolo individuale perchè non ho avuto modo e tempo di potermi consultare con l’avvocato Marseglia impegnato nella fatica della sua discussione», ha voluto precisare Coppi mentre il suo collega Marseglia dopo 7 ore di arringa lasciava il tribunale inseguito dai giornalisti ai quali ha confermato di essere all’oscuro di tutto. «Se le cose stanno come mi dite – ha poi dichiarato riferendosi al fuori onda galeotto – spero domani di sentire le spiegazioni della presidente Trunfio e di poter andare avanti con la mia arringa che è ancora impegnativa». Ma nessun avvocato del foro si associa. Solitamente sono i legali a lamentare il condizionamento ambientale dei magistrati presentando richiesta di rimessione. Evidentemente il condizionamento ambientale non vale soltanto per i magistrati. Da pensare è il fatto che un avvocato che si mette contro i giudici può rischiare di non esercitare più la professione forense (procedimenti penali pretestuosi o procedimenti disciplinari fittizi), ovvero rischia di perdere tutte le cause, ovvero rischia che i suoi protetti non passino l’esame di avvocato con i magistrati criticati nelle commissioni d’esame. Chi lo dice? Pasquale Corleto del Foro di Lecce che in riferimento all’esame di avvocato ebbe a dire: “non basta studiare e qualificarsi, bisogna avere la fortuna di entrare in determinati circuiti, che per molti non sono accessibili”. Questo deve far riflettere i profani del diritto. Riflessione generale sul mondo forense italico. A chiacchiere son tutti bravi. I veri avvocati si distinguono dagli “azzeccagarbugli” succubi del potere di manzoniana memoria, proprio nell’adozione di certi atti. Ma come disse don Abbondio “se il coraggio uno non ce l’ha, non se lo può dare”. Peccato però che gli avvocati vili e ignavi continuano sì ad esercitare in combutta con i magistrati, ma intanto a pagarne le pene sono i loro clienti. Per esempio in questo caso si noterà chi è molte spanne sopra ai colleghi, presunti principi del Foro. Chi lo dice questo? Lo dice chi principe del foro lo è davvero. Franco Coppi: «Poi c’è chi ritiene di far finta di niente e chi ha il coraggio di dire alla giudice che in questo momento non si fida.» «La difesa non è spaccata. Il professor Coppi ha sempre la forza e il coraggio di assumere tutte le posizioni che deve assumere un avvocato comode o scomode che siano». Così risponde, suo malgrado, Nicola Marseglia, l’altro difensore, con Coppi, di Sabrina Misseri. Naturalmente i media stanno lì a limitare la portata della gravità delle affermazioni ed ad affannarsi ad accusare i legali di difesa di prendere la palla al balzo per bloccare un processo terminale. Esemplare è l’editoriale pro magistrati del direttore di studio 100 tv, emittente tarantina e notoriamente vicina alla Procura di Taranto. «Insomma. Naturalmente tutti usano i mezzi possibili ed immaginabili per far vincere le proprie tesi. Sullo sfondo di queste tesi difensive, però, il ficcante lavoro della procura che abbiamo visto nelle udienze passate ha scandagliato con accuratezza la grande mole di indizi, intercettazioni, testimonianze e confidenze, entrando anche e soprattutto, non dimentichiamolo questo, nell’humus sociale, culturale e familiare nel quale si è realizzato il terribile omicidio.» Dice a mo di lacchè dei magistrati Walter Baldacconi, direttore del TG di Studio 100 tv, emittente “Padana” con sede a Taranto, criticando le tesi difensive di Nicola Marseglia e le prese di posizione di Franco Coppi in merito al fuori onda che hanno dato l’imput all’astensione dal processo Scazzi della Trunfio e della Misserini. Sia mai che le imputate, ancora presunte innocenti, potessero uscire di galera. In seguito di ciò la corte d’Assise di Taranto ha deciso di astenersi nel processo sull’omicidio di Sarah Scazzi trasmettendo gli atti al presidente del Tribunale dopo la diffusione del video con fuori onda tra presidente e giudice a latere. Questa la dichiarazione letta in aula in apertura di udienza dal presidente della Corte di Assise: ”Le sottoscritte Cesarina Trunfio e Fulvia Misserini, rispettivamente presidente e giudice a latere della Corte di Assise di Taranto, preso atto dell’invito ad astenersi avanzato nell’udienza del 25 marzo 2013 dagli avvocati Coppi e De Jaco, difensori delle imputate Sabrina Misseri e Cosima Serrano, ritenuto che le frasi captate prima dell’inizio dell’udienza in data 19 marzo 2013 non siano espressive di un parere e di un convincimento sull’oggetto delle imputazioni, trattandosi di mere considerazioni in termini interrogativi circa le possibili strategie difensive in sede di discussione finale (coordinamento o alternatività tra loro delle impostazioni difensive inerenti posizioni processuali collegate? Radicale confutazione o meno delle ipotesi ricostruttive illustrate dalle altre parti processuali?); ritenuto tuttavia, ferma la consapevolezza della propria serenità di giudizio, l’opportunità di sottoporre al vaglio dell’autorità competente la valutazione dei fatti, ove ravvisi gravi ragioni di opportunità; visto l’art. 36 c.p.p.; Dichiarano di astenersi dalla trattazione del processo a carico di Misseri Michele Antonio + 8, disponendo la trasmissione degli atti al sig. Presidente del Tribunale”. «Abbiamo chiesto ai giudici di valutare l’opportunità o meno di astenersi, abbiamo sollevato un problema come qualsiasi altro difensore degno di questo nome avrebbe fatto. I giudici hanno dato dimostrazione di scrupolo rimettendo la valutazione dell’astensione al presidente del tribunale. Non si tratta di ottenere o non ottenere qualcosa – ha aggiunto Coppi – non era un risultato al quale noi puntavamo. Abbiamo sollevato semplicemente un problema che ci sembrava non potesse non essere sollevato in relazione a delle frasi che erano state rese pubbliche. Ci atterremo alla decisione del presidente del tribunale. Chi dice che si tratta di un attacco strumentale alla Corte si deve vergognare di dirlo perchè io ero sceso a Taranto per discutere il processo. Ieri c'è stata questa sorpresa - ha aggiunto Coppi – e io, che ho insegnato sempre ai miei allievi che bisogna avere con la toga addosso di avere il coraggio di assumere tutte le iniziative che rientrano nell’interesse del cliente, ho fatto quello che la mia coscienza mi imponeva di fare. Non vado a cercare mezzucci, che me ne importa del rinvio di un giorno o di un mese in un processo dove si discute di ergastolo. Quindi chi dice queste cose è completamente fuori strada e dovrebbe anzi vergognarsi di dirle, se sono state dette.» Il presidente del Tribunale di Taranto Antonio Morelli ha respinto l'astensione dei giudici Cesarina Trunfio e Fulvia Misserini, rispettivamente presidente e giudice a latere della Corte d'Assise chiamata a giudicare gli imputati al processo per l'omicidio di Sarah Scazzi. I due magistrati si erano astenuti, rimettendo la decisione nelle mani del presidente del Tribunale dopo la diffusione di un video in cui erano “intercettate” mentre si interrogavano sulle strategie difensive che di lì a poco gli avvocati avrebbero adottato al processo. Secondo il presidente del Tribunale però dai dialoghi captati non si evince alcun pregiudizio da parte dei magistrati, non c'è espressione di opinione che incrini la capacità e serenità del giudizio e quindi non sussistono le condizioni che obbligano i due giudici togati ad astenersi dal trattare il processo. A chiedere astensione e chiarimenti erano stati gli avvocati Franco Coppi e Franco De Jaco, difensori di Sabrina Misseri e Cosima Serrano, cugina e zia di Sarah Scazzi accusate di sequestro di persona ed omicidio. Alla richiesta non si sono associati invece gli altri due difensori delle donne, Nicola Marseglia e Luigi Rella. Prima di astenersi la presidente Trunfio ha chiarito che le frasi captate, per giunta in un momento in cui l'udienza non era ancora iniziata, non esprimevano un parere o un convincimento sulle imputazioni ma erano mere considerazioni in termini interrogativi sulle possibili strategie difensive.
Franco Coppi per Sabrina Misseri. Superata l’impasse con il sollievo di molti, la 48esima udienza del 27 marzo è stata aperta dall’avvocato Coppi che ha voluto giustificare la sua mossa. «Spero che nessuno pensi a doppi fini. Avremmo potuto fare molto di più, ma ci siamo rimessi alla decisione dei giudici perché volevamo una risposta che ci acquietasse. I pm non hanno capito i fatti di questo processo chiedendo alla cieca la pena perpetua. Hanno dimenticato che il delitto d’impeto da loro stessi definito, non prevede l’ergastolo. Quando abbiamo chiesto di interrogare Michele Misseri – ha denunciato -, siamo stati costretti a farlo alla presenza del procuratore, mentre a noi limitavano la libertà di difensori, hanno permesso ad una consulente di partecipare agli interrogatori consentendole di fare domande all’indagato. L’unico assassino in quest’aula – ha detto il professore – è Michele Misseri che ha ucciso sua nipote per motivi sessuali, con insulse voglie nei confronti della giovane nipote che cominciava a sbocciare. La storia del calore alla testa per il motore che non partiva è una banale scusa; Michele – è la tesi di Coppi -, ha tentato approcci sessuali su Sarah la quale poverina si è rifiutata. Per la vergogna e la paura di essere scoperto, il contadino l’ha uccisa. Un uomo solo – lo ha definito Coppi – una vita di fatica, di stanchezza, di aridità, ma anche un uomo capace di violenza, di approcci sessuali. Non è succube delle due “megere” di casa. E' un uomo che da piccolo ha subito violenze, brutalità, da quello che abbiamo capito, e non ne ha voluto parlare. E’ questo l'uomo che il 26 agosto, preso da raptus, ha causato la morte di Sarah Scazzi. Non c'è nessuno - ha aggiunto il difensore – che ci dica che quell'atteggiamento tra Sabrina e Sarah fosse cambiato, la rimproverava solo per alcuni comportamenti che potevano essere fraintesi con amici più grandi di lei, mai liti furibonde. Sarah non è mai stata una presenza ingombrante. Dov'è la rivale che doveva essere schiacciata, eliminata? Michele Misseri di fronte a voi ha dichiarato di essere l'unico assassino di Sarah Scazzi e non basta dire che è un bugiardo per cancellarlo. Non ci sono telefonate e squilli durante l'omicidio. Sono invenzioni di Michele Misseri». Il contadino, che al processo è imputato di concorso in soppressione di cadavere, ha riferito ripetutamente che, mentre uccideva la 15enne nel garage della sua abitazione in via Deledda ad Avetrana, il telefonino della vittima squillava. Questa, per l'accusa è una prova a carico di Sabrina, poiché quest'ultima ha riferito che mentre effettuava quegli squilli al cellulare della cuginetta il padre si trovava davanti al garage. Quanto a Sabrina e alle sue presunte attività di depistaggio dopo il delitto «se era alla ricerca di un alibi perché doveva far partire due messaggi dal telefonino di Sarah e non uno? E poi poteva avvisare Mariangela dicendo di non poter andare più al mare perché si sentiva male - ha proseguito l'avvocato Coppi. - Per evitarsi il carcere Michele accusò ingiustamente la figlia anche perché qualcuno lo aveva convinto che Sabrina se la sarebbe cavata con due anni di reclusione.» L'avvocato Coppi ha spiegato alla Corte d'Assise che il 28 settembre del 2010, quando non era neanche indagato, Misseri ha raccontato che il 26 agosto, giorno del delitto, intorno alle 14:30, scese per quindici minuti in garage e poi vide Sabrina davanti alla villa incontrare l'amica Mariangela Spagnoletti mentre telefonava alla cugina Sarah che non era arrivata. In quei quindici minuti, per il legale, Misseri ebbe tutto il tempo di uccidere la nipote. «Noi non trasformiamo in realtà sogni che hanno la consistenza della schiuma del mare» ha detto in aula il professor Coppi riferendosi al racconto/sogno del fioraio che disse di aver assistito al sequestro. «Dobbiamo liberarci dalle suggestioni del senso comune, dai pettegolezzi delle donnette di paese, sostituendo al senso comune il buon senso», ha aggiunto Coppi. Il legale romano non ha mancato di lanciare una stoccata alla procura definendo unico il processo anche per il numero di testimoni per cui è stata chiesta l'incriminazione per falsa testimonianza, «qui non si può dire una parola in favore di Sabrina che immediatamente si finisce sotto processo». L'avvocato Coppi si è chiesto poi come mai Michele Misseri, dopo essersi occupato, su sollecitazione della figlia e della moglie, di far sparire il corpo di Sarah (secondo la tesi dell'accusa), «non ha chiesto in 42 giorni alle due donne come avevano fatto, per esempio, a rincorrere la ragazzina per le vie di Avetrana, a far entrare in auto Sarah che si opponeva, come l'avevano trascinato in casa, come l'avevano uccisa nella stessa abitazione». Silenzio anche "sul ruolo della moglie". Insomma, ha sottolineato il difensore di Sabrina, in modo retorico "ha aiutato a nascondere il corpo e non ha detto nulla sul resto". «Molti aspetti della vita di Sabrina sono stati esplorati minuziosamente e secondo me incomprensibilmente. Dettagli neutri, comprensibili nella logica dei ragazzi di oggi. In quest'aula ci si è sorpresi del numero di messaggi tra Sabrina e Ivano non considerati come prova di attrazione o di un rapporto che sta nascendo. Qui è diventata prova di una gelosia che si libera soltanto con l'omicidio. Sul contenuto erotico degli sms - ha aggiunto - si costruisce il ritratto di una personalità attratta morbosamente dal sesso e vittima dell'ossessione di Ivano. E questi sms sono la prova di uno stato d'animo che deve portare necessariamente al un omicidio? Non si capisce la richiesta di ergastolo. Ha detto o non ha detto il pm che non c'è un omicidio premeditato? Ha detto o non ha detto che c'è stato dolo di impeto scatenato da una frase? E per questo si chiede la pena dell' ergastolo?. Non voglio semplicemente lamentarmi dell'entità della sanzione. Io voglio dimostrare l'infondatezza delle richieste del pm. La richiesta sembra corrispondere a una larghissima attesa dell'opinione pubblica. Non voglio dire che voleva compiacere l'opinione pubblica. Ma sta di fatto che corrisponde ai pettegolezzi e alle chiacchiere del paese e dei salotti televisivi. Ma la “vox populi” non sempre è “vox dei”. Non c'e stata nessuna lite furibonda tra Sarah e Sabrina in auto prima di arrivare al pub la sera prima del delitto. E neanche dopo. Ce lo dice Mariangela Spagnoletti: erano tranquille. Sabrina aveva nei confronti della cugina un atteggiamento protettivo che, come dicono tutti i testimoni e componenti del gruppo di amici, dura fino al giorno dell'omicidio. Non c'è nessun testimone che dica il contrario. E questo comportamento da sorella maggiore la portava a qualche rimprovero ad esempio la spronava a fare i compiti, visto che lei non ne aveva voglia. Oppure la metteva in guardia da atteggiamenti eccessivamente espansivi nei confronti dei ragazzi della comitiva, non solo Ivano Russo ma anche Alessio Pisello. E del resto, nel gruppo ha notato un interesse di Sarah per Ivano, né di Ivano per Sarah. Nei diari il sentimento di Sarah per Ivano è confuso, tanto che non ne ha parlato con alcuna amica. E quando negli stessi diari sottolinea che lui la coccolava mentre Sabrina la rimproverava, questo è un sentimento di reazione ai controlli della cugina, per esempio sui compiti, e non significa un effettivo trasporto sentimentale per Ivano. Questa ragazza è innocente», ha detto per questo il difensore ha chiesto l'assoluzione piena senza richieste subordinate né attenuanti generiche. «Vi affido con fiducia la sorte di Sabrina, convinto che lei sia innocente e che Michele Misseri sia l'assassino».
Il giorno della difesa, scrive Maria Corbi su “La Stampa”. Il presidente del Tribunale di Taranto ha respinto l’astensione dei giudici dopo che era stata sollecitata dalle difese per un video fuori onda con frasi imbarazzanti dei giudici sulle strategie difensive delle imputate. E adesso si va avanti con il processo. Tocca all’arringa di Franco Coppi. Posti in piedi in aula. Tutti gli avvocati del circondario si sono dati appuntamento per sentire il principe del Foro. Coppi inizia spiegando il perché della loro richiesta di astensione: «L’avvocato De Jaco ed io abbiamo sollecitato l’astensione in relazione alle frasi note. Noi difensori non avremmo potuto fare nulla di diverso. Hanno detto che era un’ancora di salvezza insperata. Chi ha detto quelle cose offende quella toga che io indosso e che forse anche lui indossa. Nulla è stato fatto per rendere più difficile il cammino della giustizia. E da un mese che studiamo per l’arringa difensiva. Sono venuto a Taranto domenica scorsa con la voglia di discutere questo processo. Abbiamo appreso di questo scambio di battute, abbiamo fatto quello che tutti gli avvocati degni di questo nome avrebbero fatto. Ci siamo rimessi esplicitamente alla coscienza dei giudici, non c’era bisogno della ricusazione. Volevamo una risposta che ci acquietasse. …abbiamo parlato alle vostre coscienze…. Abbiamo messo in gioco la simpatia presso di voi, ma la toga impone iniziative di questo tipo. Noi dovevamo fare quello che abbiamo fatto. Abbiamo avuto una risposta che viene dalle vostre coscienze e spero che la vicenda sia chiusa così. Se ci saranno altri seguiti non dipenderà da noi. Credo di essere ugualmente legittimato di porre a lei il mio saluto e la dimostrazione del mio ossequio insieme all’augurio che la sentenza che voi state per pronunciare sia quale il popolo attende, ossia solamente espressione di verità e di giustizia».
Professor Coppi: «Dunque ergastolo parola tanto attesa da un’opinione imbevuta di messaggi televisivi. Questa parola è stata finalmente pronunciata, non un dubbio scuote il pm e di ciò noi non abbiamo nessun dubbio. Altrimenti la richiesta sarebbe stata diversa. Dice di essere sereno caso mai condito con un po’ di amarezza. Non importa che Michele Misseri abbia ripetuto in questa aula di essere stato lui l’unico assassino. E questo non è sufficiente a far venire un ragionevole dubbio, nonostante la sentenze della Cassazione che sottolineano come una condanna oltre ogni ragionevole dubbio debba esserci solo quando non esiste una ipotesi alternativa. E non vediamo come si possa parlare di una tesi oltre ogni razionalità umana, quando Misseri ha confessato, ha fatto ritrovare i vestiti, il cellulare, il luogo di sepoltura. Come si può pensare che questa ipotesi sia al di la della razionalità umana? …. Non riusciamo a comprendere come l’ipotesi di Michele Misseri colpevole non sia dotata di razionalità pratica. Altrimenti seguendo il ragionamento del pm dobbiamo dire che la Cassazione è ininfluente. E dobbiamo ricordare che due volte la corte di Cassazione ha dichiarato fragile l’indizio del movente gelosia, e che non ci sono sufficienti gravi indizi a carico di Sabrina. Ma questo non ha nessuna importanza per i pm. Anzi hanno la massima serenità nel chiedere la condanna all’ergastolo per questa ragazza. Un’accusa cieca che non si rende conto delle contraddizioni delle accuse con cui chiede la condanna al’ergastolo. Ha detto o non ha detto che è stato un movente d’impeto? E per questo si chiede l’ergastolo. E’ vero che viene contestato il sequestro in cui assorbe l’omicidio. Ma questo è il processo per l’omicidio di Sarah Scazzi, non di sequestro. E l’omicidio è delineato come animato da un dolo d’impeto. Nonostante tutto ciò: ergastolo. Dico questo per sottolineare alcuni aspetti dell’intervento del pm, per spiegare poi tutto l’apparato critico che intendo dispiegare per dimostrare l’infondatezza dell’impostazione del pm. Ma iniziamo con il dire che la richiesta del pm coincide con una larghissima attesa dell’opinione pubblica. Nego che il pm abbia voluto compiacere all’opinione pubblica, ma certamente c’è una corrispondenza. E una corrispondenza con le sentenze emesse nei vari salotti televisivi. Non è detto che la vox populi sia anche una vox dei. Io ricordo l’ammonizione del presidente di questa corte che ci ha avvertito che a loro interessa solo quello che accade in questa aula».
Il professor Coppi parla anche di conduttori, consulenti, qualche magistrato che vanno in televisione «che senza conoscere gli atti di questo processo hanno pontificato con quella sciocca sicumera che è figlia dell’ignoranza». «Abbiamo visto anche testimoni che hanno applaudito quando Cosima è stata arrestata. Voi dovreste essere solo i notai di queste sentenza di condanna popolare. Quest’aula, anche se non ha la responsabilità di quello che accade fuori di essa, ha comunque assorbito il fastidio e l’astio nei confronti dei difensori degli avvocati di Sabrina Misseri. Non abbiamo nessuna intenzione di trasformare questa discussione in una questione personale, lasciamo perdere gli insulti di cui siamo stati oggetti. Lasciamo stare le minacce. Che ci lasciano del tutto indifferenti. Lasciamo perdere tutte le sfide, tutti i paragoni, le domande impudenti volte a sapere chi è che ha retribuito la nostra attività. E quale sarebbe il tornaconto che a noi verrebbe? A tutti ricordo che io sono un vecchio avvocato innamorato della giustizia e mi sia concesso di ripetere a voce alta: solo questo m’arde e solo questo mi innamora. Sono qui soltanto per spirito di giustizia. Non accuserei mai di un omicidio Misseri sapendo che è colpevole la mia cliente. Se posso far passare sotto silenzio le offese che riguardano la mia persona non posso far passare le offese sul merito di questa causa». «Una barzelletta è stata definita la nostra ipotesi del movente sessuale. Vedremo se questa tesi è una barzelletta. Certo non posso negare che quel giudizio non sia anche una sorprendente offesa nei confronti della mia persona. Ne parleremo a lungo della responsabilità esclusiva di Michele Misseri. Il pm dice che hanno dovuto subire una istanza di remissione, come se questo costituisse un offesa. Ma vi siete chiesti signori del pm cosa abbiamo dovuto subire noi difensori? Vi siete chiesti perché l’abbiamo chiesta? Vogliamo ricordare i motivi di quella remissione? Ma vi rendete conto che quando noi abbiamo inteso svolgere investigazioni difensive, anche solo per andare in carcere a sentire Michele Misseri, che il giudice ha imposto la presenza del procuratore della Repubblica a una attività difensiva? C’è tutta l’Italia che ride. E non dovevamo proporre un’istanza di remissione? E vi siete chiesti perché la procura generale ha espresso parere favorevole alla remissione? E vogliamo ricordare le modalità con cui si è proceduto all’interrogatorio di Michele Misseri? “Ma Michele stai tranquillo, a Sabrina non succederà niente”. Vogliamo ricordare l’incidente del giudice popolare che si è dovuto dimettere? (per avere offeso una testimone della difesa). Vogliamo ricordare la lista dei testi messi sotto processo per falsa testimonianza e favoreggiamento? Non si può dire una parola a favore di Sabrina Misseri senza finire sotto processo. Vogliamo ricordare la nomina di una consulente di Michele Misseri che data la sua specializzazione non capiamo a cosa servisse, che addirittura partecipa all’interrogatorio, che sposta il difensore per procedere lei stessa a fare domande? Anche perché questa consulente si era già pronunciata dicendo che Michele era un pedofilo, l’unico responsabile del delitto. Aveva già conquistata la ribalta televisiva accusando il suo futuro cliente. Una nomina che mi porta a pensare all’articolo 64 secondo comma, all’articolo 188 … Io mi sono dovuto ben guardare di svolgere qualche attività non per paura ma per l’interesse della mia cliente. Noi abbiamo una sola speranza e per questo abbiamo valutato l’astensione. Noi vogliamo avere la fiducia che voi signori giudice saprete allontanarvi dalle suggestioni che vengono da fuori ma anche da dentro questa aula riconoscendo le ragioni della difesa. Le nostre ragioni sono basate sui fatti non alla fantasia e attingono alla logica e al buon senso. Manzoni diceva «Il buon senso c’è, ma è nascosto dal senso comune». Noi dobbiamo guardare agli atti sostituendo al senso comune il buon senso. Uno scrittore americano ha scritto che esistono quattro categorie di giudici quelli con il cuore ma senza testa, quelli con la testa ma senza cuore, quelli senza cuore e senza testa e quelli con il cuore e con la testa. Noi siamo convinti di parlare a giudici che fanno parte di quest’ultima categoria e testa e cuore significa coscienze e cuore di un giudice che ha la forza di sconfessare i pm e di assolvere un imputato per cui è stata chiesta la pena dell’ergastolo. Una domanda che si fa spesso è se un genitore colpevole possa mai accusare una figlia innocente. Signori della Corte voi lo sapete è un interrogativo che grava su questo processo dall’inizio e fatto proprio dal pubblico ministero. Abbiamo madre che uccidono figli, padri chele violentano figlie, che usano i figli e di fronte a queste situazioni ci chiediamo se un padre può accusare una figlia innocente? Provate ad immaginare Misseri colpevole, e allora vi chiedo può un uomo che ha provato un approccio sessuale e poi ha uccisa la nipote, avere scrupoli nell’accusare la figlia soprattutto se si è convinto, o è stato convinto, che la figlia potrebbe cavarsela con una pena mite? A un uomo del genere in fondo un sacrifico della figlia era una ipotesi accettabile. Nell’ambito di ogni racconto dobbiamo chiedersi: ha sempre detto tutta la verità? Dobbiamo procedere con un metodo corretto. Dobbiamo respingere la faciloneria di chi dice che ha detto troppo versioni e quindi dobbiamo toglierlo dall’orizzonte di questo processo. Ecco perché i pm dicono di potere fare a meno di Michele Misseri. Troppo comodo. Questo non è il processo a carico di Michele Misseri per omicidio ma è una fonte di prova che esclude la responsabilità di Sabrina, specialmente in dibattimento, davanti a voi signori giudici che lo avete ascoltato accusarsi del delitto. Certo il nostro sistema processuale consente di procedere a contestazioni e di riesumare in aula quello che è stato acquisito nelle indagini preliminari, ma la prova di cui dovete tenere conto è la prova che si forma nel contraddittorio tra le parti in aula, non la prova che viene raccolta nel segreto delle indagini. Perché noi italiani siamo riusciti a fare un processo accusatorio mantenendo quello inquisitorio. Non potete sostituire una verità istruttoria a quella dibattimentale. Il punto di riferimento deve essere quello che Michele Misseri ha dichiarato di fronte a voi ossia che è lui l’assassino. Le due possibilità sono: o è stato lui o Sabrina. (Per quanto riguarda Cosima penso che c’entri come i cavoli a merenda, ma non me ne occupo io). E’ chiaro che Michele Misseri è caduto in contraddizioni se si sono fornite varie versioni. Ma le contraddizioni pericolose sono quelle che si formano dentro il racconto, non mi interessa la contraddizione fra una tesi e l’altra. Ma non mi potete dire che quando accusava Sabrina diceva una cosa e quando accusava se stesso diceva un’altra, questo non vale. Noi dobbiamo dargli credibilità o quando mantiene inalterata una versione o quando una sua versione ha qualche riscontro. Io ritengo preziosissimo il verbale sit del 28 settembre 2010 quando non è ancora accusato di nulla, non ha ancora fatto trovare il telefonino, quindi può raccontare ciò che vuole senza la preoccupazione di tradirsi. Il corpo di Sarah purtroppo giace in quel maledetto pozzo che nessuno aveva trovato. Michele Misseri rileva alcune circostanze che sono riscontrate da Mariangela e da altre fonti di prova. Cosa racconta ai carabinieri il 28 di settembre? Il 26 agosto sono tornato dal lavoro, ho pranzato, sono sceso in garage, sono salito in strada dopo 15 minuti e vedo Sabrina con Mariangela che sta telefonando. Ora questa telefonata che lui vede in quel momento non può essere altro che la telefonata che Sabrina sta facendo a Sarah, la prima delle due, prima di correre a casa della zia per vedere che fine aveva fatto Sarah. Telefonata delle 14,42. provate a togliere 15 minuti e si arriva alle 14, 27, ora in cui Sarah è arrivata a casa Misseri. Quindici minuti sono stati in garage e poi esce e vede Sabrina fare la telefonata. In quel verbale dice di aver partecipato alle ricerche di Sarah e di essere andato in contrada Mosca proprio dove è il pozzo. E non c’è dubbio che Sabrina stava telefonando e che lo ha fatto appena arriva Mariangela e la telefonate alle 14,42 emerge dai tabulati. 15 minuti sono più che sufficienti a uccidere la nipote. Pochi minuti ha detto il dottor Albarello, pochi minuti ha detto Strada. Molto meno ha detto lui. Quindi quando noi diciamo che alle 14,30 era nel garage, proprio in coincidenza con l’arrivo di Sarah facciamo una affermazione confermata da dati obiettivi. E infatti che Sarah sia arrivata nel garage qualche istante prima delle 14,30 lo dice Michele, perché nell’interrogatorio del 15 ottobre conferma che l’orario di arrivo è tra le 14,25 e le 14,30. Un riscontro ce lo fornisce il pm: “Guarda che Sarah alle 14,25 era nei pressi del garage, ne abbiamo la prova perché ce lo dicono due fidanzatini, La Stella.” (interrogatorio del Novembre 2010). Poi si cercherà di cambiare gli orari (e io non so se la santa inquisizione aveva questi metodi,.Mamma mia). La mattina quando la Pisanò ha visto Sabrina ha verificato che stava male. Quindi Sabrina poteva dire a Mariangela che non voleva andare al mare. Ma quale interesse aveva Sabrina omicida ad andare al mare? Aveva tutto l’interesse di allontanare Sarah dalla sua casa. Aveva interesse di non avvertirla e di dire che non la aveva più vista dalla tutto avrebbe mattina. Soprattutto avrebbe dovuto evitare che arrivasse Mariangela. Ma vi sembra un atteggiamento logico? Se partiamo dall’idea che Sabrina possa essere l’autrice del delitto dobbiamo procedere con logica. La verità è che non ci sono telefonate mentre Michele uccide Sarah, queste sono solo invenzioni di Michele, Michele Misseri risponde come vogliono gli inquirenti. Dopo il messaggio delle 14,28, non ci sono altre telefonate fin alle 14,42 a meno che non crediamo che Sabrina con il cadavere tra i piedi inizia a mandare tutti quei messaggi per crearsi l’alibi. Ma vogliamo mettere in dubbio che qualche giorno prima ha molestato Sarah? Non ha potuto negare alle mie domande che gli ha dato una pacca sul sedere ed è difficile escludere il movente sessuale quando uno rifila una pacca sul sedere a una ragazzina, è un atto erotico che suscita il risentimento di Sarah. Era un’attenzione non gradita: “queste cose non si fanno, dice Sarah allo zio, lo dico a Sabrina”. Michele Misseri lo dice fino al suo primo esame 8 ottobre ammette di avere allungato le mani, e anche quando chiama in correità Sabrina. Pag 3t interrogatorio dell’8 ottobre davanti al Gip. Poi il 5 Novembre pagina 92 conferma questo episodio e pure non avvenne nessun motivo di farlo visto che sta cercando di uscire dal delitto. Invece il 5 di Novembre ripete di aver tentato un approccio sessuale con la nipote e al dibattimento lo ripete. Purtroppo siamo tutti adulti e sappiamo come vanno queste cose. Il giorno 26 tenta un approccio perché già prima stava nascendo un interesse sessuale nei confronti di Sarah. «Ho visto le tette che le stavano sbocciando», dice. Il 26 Michele tenta un nuovo approccio. E’ più comodo dire “non so perché l’ho fatto”, ma, non per motivi sessuali. Nella sua testa ammettere l’omicidio ma negare l’approccio sessuale lo fa sentire meno colpevole, lui trova nella sua vigliaccheria una giustificazione nel raptus, nella vampa alla testa che lo ha preso. La mattina stavo male, ero nervoso, dice, un miracolo che non sono finito fuori strada. Quindi lui nega il movente sessuale perché questo rende più accettabile questo delitto, innanzi tutto verso se stesso, verso la famiglia, verso la collettività, verso l’ambiente carcerario dove non perdonano atti sessuali nei confronti di bambini. Michele vuole essere compreso se non perdonato. E sente che questo non sarebbe possibile se credono che lui abbia molestato Sarah. Contro di lui ci sono moltissime prove. Il pm dice è una barzelletta, Sarah non scendeva mai in garage. Non è vero scendeva per i gatti, per stendere la biancheria, per avvertire lo zio che il pranzo era pronto. Lo ammetterà Michele Misseri (verbale del 6 ottobre, pagina 18, quando ancora non ha confessato). Ma Pisello (un altro candidato alla falsa testimonianza) interrogato, pag 309 e 311 delle sue dichiarazioni dice che Sarah scendeva nel garage. Lo ha saputo da Sabrina. Dice che lo aveva appreso anche prima della scomparsa di Sarah. Tutti i nostri testimoni sono sotto processo per falsa testimonianza. I pm dicono, ma perché Sarah doveva scendere in garage dopo gli approcci dello zio? Sarah è una ragazza pulita, una ragazza per bene, ingenua. Ha avvertito lo zio: “non lo fare più”. E non lo farà più. Questa è la spiegazione più ovvia. E sta di fatto che quel giorno scende in garage. Alle 14,28 è nei pressi della casa Misseri. Michele Misseri, verbale del 6 ottobre,, alla domanda può essere che l’ha chiamata lei? «Eh mi pare che l’ho chiamata». Quindi è un’idea che nasce perché ricaviamo dagli atti. Eh signori noi abbiamo troppe prove che Michele Misseri ha tentato un approccio sessuale. Michele Misseri ha ripetuto troppe volte di averci provato per pensare che sia tutto inventato. Il 6 ottobre ammette di aver tentato di violentarla e poi di avere vilipeso il cadavere. Il 7 (pag 72 73) ammette di aver voluto l’atto sessuale. E spiega il suo stato d’animo con parole tali che non si può dubitare: “Non l’avevo mai vista così vestita”. Ma come si può continuare a dire: invenzione. Noi siamo convinti della innocenza di Sabrina. Ma neanche un ragionevole dubbio? 8 ottobre ribadisce: mai vista così. Non so dire se le ho messo le mani addosso, ma lei non voleva. Come non sai se le hai messo le mani addosso, se lei non voleva? Se non hai fatto niente cosa è che non voleva volere? Sono ovvie le domande che gli fanno: ma dove gli hai messo le mani? Risponde: la davanti, tra le gambe. Lei però non voleva. Allora ho perso la pazienza, appena si è girata ho preso una corda e l’ho strangolata. Poi il… dice “lei mi aveva toccato”. Ha il coraggio di dire che l’approccio sessuale è di Sarah. Poi ripete di essere stato lui (pag 90 – 98). Ma insomma signori, ce lo stiamo inventando noi? Il 5 novembre Misseri consuma l’ennesima vigliaccheria: dice che è lei che stuzzicava sempre! Signori della famiglia state a sentire queste cose prima di dire che Sabrina è la colpevole. Sabrina per prima smentisce il padre dicendo che Sarah era una ragazza pulita. Ma proprio al dibattimento Michele si tradisce completamente. Dice che il 26 era nervoso ha detto “vattene” a Sarah, e poi che l’ ha afferrata da dietro per spostarla. Perché non bastava spingerla? E allora perché Sarah reagisce con un calcio nelle parti basse. E’ questa la reazione di una bambina a uno zio che dice spostati? O invece è la reazione di una bambina insediata, per bene? Ma questo aveva dato del denaro alla ragazzina per comprarne la simpatia. Forse Sarah disse che sarebbe andata a dirlo alla cugina e alla zia. Ma secondo me l’idea che Sarah doveva essere eliminata la concepisce giorni prima quando Sarah lo aveva minacciato di dire degli approcci sessuali alla zia. Può essere che l’idea nasca solo il 26, ma sono perseguitato dall’idea che Michele era ossessionato dall’idea di difendersi da Sarah. Perché l’idea che si doveva portare Sarah in garage per darle una lezione? Perché lui questa idea l’aveva. Brandelli di verità che sono importanti per noi. Va punita Sarah, e la prima idea che gli viene in mente per spiegare perché Sabrina porta Sarah in garage (una delle versioni di accusa) è proprio questa. Quale valore possono avere le sue dichiarazioni dopo tante versioni? La ritrattazione della ritrattazione? Potremmo dire che una ritrattazione annulla l’altra e si deve tornare alla confessione. Ma abbiamo ben altri argomenti. Iniziamo a chiederci il valore della confessione. Come si può definire prima di riscontri la sua confessione? Visto che ha fatto ritrovare telefonino, corpo, chiavi. La confessione è comunque una prova che non esige riscontri, come stabilisce la Cassazione. Non ha bisogno di riscontri esterni. Ma quanti ergastoli sono stati dati con una semplice confessione. Michele Misseri il 6 ottobre è ascoltato come persona informata sui fatti. I pm a quel punto hanno già sospetti su Sabrina, l’hanno già ascoltata il 30 e le hanno detto che sta dicendo delle falsità pazzesche. Questo è l’atteggiamento dei pm come risulta dall’interrogatorio del 30 settembre. I pm maturano l’idea che Sabrina sappia, che sia addirittura coinvolta bell’omicidio, Ma quel 6 ottobre Misseri inizia a cadere in qualche contraddizione, sugli orari, sulla raccolta dei fagiolini. E lo incitano a dire la verità. E il pm inizia a insinuare l’idea che possa essere capitato un incidente, una disgrazia. «Si liberi un po’, ci faccia capire». La confessione spiazza i pm, bisogna nominare un difensore d’ufficio, ma la pista Sabrina non viene eliminata. E i pm non hanno la capacità di eliminare una pista a cui si erano affezionati. E iniziano gli interrogatori. Michele prima coinvolge la figlia come spettatrice (papà cosa hai fatta) , poi c’è la chiamata in correità e infine la chiamata in reità. Mi chiedo se non si siano state tecniche persuasive che hanno vincolato la libera determinazione di Michele Misseri, che non aveva la forza di resistere alle domande di un pubblico inquisitore. E’ singolare, come i mutamenti di versione avvengono quasi sempre dopo una sospensione di un interrogatorio e dopo una serie di rassicurazioni e di inviti su Sabrina. «Questo per scagionare Sabrina, Miché, stai tranquillo….». La cintura: «il 5 novembre si sapeva già che l’arma del delitto poteva essere una cintura perché durante l’autopsia il perito legale lo aveva detto alla presenza del difensore di Michele Misseri.» Chi ha convinto Michele a accusare la figlia? «Io sto al fatto che dagli atti esiste una attività persuasiva della consulente e del suo legale. Non credo che sia stato fatto con dolo, ma è stato fatto.»
10 aprile 2013, 50ª udienza. Replica finale dell’accusa: Pietro Argentino e Mariano Buccoliero.
Nell’aula Alessandrini del Palazzo di giustizia di Taranto è iniziata l’udienza del processo per l'omicidio di Sarah Scazzi, dedicata alla replica della Procura. Il procuratore aggiunto, Pietro Argentino, ha contestato alcune affermazioni fatte nelle udienze precedenti da alcuni difensori degli imputati nelle loro arringhe. In particolare, Argentino ha contestato con sarcasmo alcune frasi pronunciate ieri dall’avv. Nicola Marseglia, difensore di Sabrina Misseri, che aveva parlato di "metodo barbaro, in perfetto stile cubano" usato dagli investigatori nel corso delle indagini. Il difensore di Sabrina ha anche criticato i risultati dell'autopsia eseguita dal prof. Luigi Strada (“farneticazioni medico-legali passate come dato scientifico”) ed ha parlato di “suggestioni e forzature nell'approccio alle fonti di prova pregiudizialmente negativo per Sabrina”.. «Speriamo di non causare un incidente diplomatico - ha commentato il procuratore aggiunto.- Questo ufficio ha sempre rispettato le leggi e le regole del codice!» Il procuratore aggiunto Pietro Argentino ha anzi messo in dubbio l’attendibilità di un testimone della difesa. «Paolo Arbarello, presidente dell’Istituto nazionale di medicina legale – ha detto Argentino – quando ha deposto quale teste è venuto meno all’impegno di dire la verità». Secondo Argentino il professore romano non avrebbe «davvero visionato tutto il materiale messogli a disposizione dallo studio dell’avvocato Franco Coppi (che con Marseglia difende la ragazza imputata di omicidio). È veramente attendibile – ha detto il pm – oppure è una offesa per la giustizia l’averlo ascoltato? Nessuna spiegazione razionale è stata data - ha detto il procuratore Argentino - sul passaggio del soliloquio in auto di Michele Misseri è stata data dalla difesa di Sabrina quando dice “quello che vogliono fare a tua figlia fanno”. Sabrina aveva la necessità di dimostrare, come si è sforzata di fare per 51 giorni dopo la scomparsa, che Sarah non era mai arrivata a casa sua». Lo avrebbe fatto, secondo l'accusa, perché sapeva che il padre di Sarah, Giacomo, la madre Concetta e la badante erano a conoscenza che la ragazza era uscita per recarsi da lei. Inoltre Sabrina, per Argentino, "deve dimostrare che Sarah è arrivata dopo lo squillo delle 14,28". A fine udienza l’altro pm, Mariano Buccoliero, depositerà una memoria di circa 600 pagine.
15 aprile 2013, 51ª ed ultima udienza. Replica finale delle difese.
I difensori degli imputati hanno lamentato di essersi trovati di fronte a una memoria di 599 pagine depositata la scorsa udienza dal pubblico ministero che, al contrario di quanto era stato assicurato, non sarebbe una mera riproduzione della requisitoria pronunciata in aula, ma conterrebbe alcuni fatti nuovi, che stravolgerebbero la stessa e presenterebbe delle contraddizioni.
Nicodemo Gentile, legale di parte civile della mamma di Sarah Scazzi, Concetta Serrano Spagnolo, aprendo l'udienza del processo per l'uccisione della quindicenne di Avetrana. « La famiglia Scazzi non è venuta qui a raccattare giustizia. Qualcuno ha cercato di descrivere Sarah come una ragazzina che mendicava coccole. Basta leggere invece un messaggio di Sabrina Misseri a Ivano del 6 luglio 2010: “quando mi arrabbio esce il peggio di me stessa per contrastare mia madre e la mia paura più grande è di diventare come lei”. Ecco l'errore fatto da Sarah e da Concetta: l'aver frequentato quella casa perché lì è stata uccisa». Gentile ha definito il movente sessuale, indicato dalla difesa di Sabrina quale causa del delitto che sarebbe stato commesso da Michele Misseri, una "filastrocca per bambini, esclusa dallo stesso Michele Misseri" quando si autoaccusa dell'omicidio. Gentile ha accusato anche Sabrina di non aver aiutato la Corte dicendo di non ricordare molte circostanze su cosa accadde il 26 agosto 2010, giorno del delitto. «Non è vero che i testimoni siano tutti militanti a favore dell'accusa, ci sono stati anche tanti testimoni militanti a favore delle imputate». E a questo proposito ha citato la zia Emma e la sorella Valentina Misseri. Per Gentile «il vero testimone di questo processo è Sarah e non è militante. Si arriva all'assurdo - ha sottolineato - che la colpa è della madre di Sarah che ha mandato la figlia dagli zii. Questo è stucchevole. Meno male che aveva compiuto 14 anni, altrimenti Concetta sarebbe stata accusata di abbandono di minore». Infine ha ribadito che la difesa "non vuole vendette muscolari ma che sia dato a ciascuno il suo". «L'unico errore che si può commettere in questa vicenda è di lasciare la giustizia italiana senza parole, magari dicendo che Michele era confuso, Sabrina non ha commesso nulla, Cosima dormiva e meno male che Sarah aveva compiuto già 14 anni sennò magari Concetta sarebbe stata accusata di abbandono di minore». Gentile ha definito Michele Misseri, che si accusa del delitto, "un ventriloquo, un invertebrato senza spina dorsale che ha paura delle donne di casa". «La famiglia Scazzi - ha concluso - vi ha consegnato il suo dolore e attende una risposta dalla giustizia italiana che non sia muscolare né una vendetta.» Per l'avvocato Gentile basta incrociare i messaggi di Sabrina, i dati e le intercettazioni per capire come sono andate le cose. Il movente della gelosia è confermato dal diario di Sarah. «Sparisce la cugina, cosa fa Sabrina? Chiama Ivano per dirgli che i loro cellulari sono sotto controllo. E poi non dice ai carabinieri che il giorno prima aveva litigato con Sarah». Per il legale Sabrina in aula si sarebbe nascosta dietro i "non ricordo" per quasi 500 volte. «Sarah ha cercato affetto nella casa sbagliata. Sarah è stata uccisa proprio in quella casa da chi si fidava. Basta leggere gli sms di Sabrina per capire cosa accadeva in quella casa», ha insistito l'avvocato riferendosi ad un messaggino del 6 luglio 2010 nel quale l'imputata scriveva che "a casa riesco a dare il peggio di me stessa". «Sabrina - ha continuato - ha taciuto elementi fondamentali agli investigatori per allontanare da se stessa e dalla sua famiglia ogni sospetto. Contro di lei è sua madre ci sono testimoni che non hanno motivo di mentire. Mentre lei ha nascosto tutto quello che poteva. La piccola Sarah - ha insistito - è la testimone principale contro le sue aguzzine. Ha parlato in questo processo con le ultime parole scritte nei suoi diari. Quando racconta di come era avvelenato il rapporto con la cugina».
Franco Coppi, uno dei legali di Sabrina Misseri, rispondendo a quanto affermato dalla pubblica accusa su presunte diversità di vedute su questo aspetto con l'altro difensore, l'avvocato Nicola Marseglia. «Ho letto che questa difesa cerca di confondere le acque. Questo non me lo ha mai detto nessuno! Il movente sessuale c'è ed è provato. Non c'è contrasto tra la ricostruzione dell'avvocato Marseglia e la mia. Non c'è una differenza di veduta tra me e l'avvocato Marseglia - ha aggiunto - ma solo due percorsi diversi. La conclusione è la stessa. Io parto da quel primo episodio dell'approccio di qualche giorno prima che Michele ha sempre ammesso. Anche la frase detta da Sabrina a Mariangela Spagnoletti quando arrivò a casa sua il 26 agosto del 2010 “l'hanno presa, l'hanno presa” non denoterebbe una responsabilità di Sabrina ma sarebbe giustificata dalla sorpresa del ritardo della ragazzina. Sarah era un orologio svizzero - ha detto l'avvocato Coppi - Destava sconcerto che non fosse arrivata anche per il fatto che Mariangela aveva fatto lo stesso percorso di Sarah e non l'aveva incontrata durante il tragitto». Durante la sua replica l'avvocato ha rimproverato Michele Misseri che scuoteva la testa. «E' inutile che fa sempre di no con la testa, stia a sentire per una volta». «L'innocente ha bisogno solo di giustizia. Oggi sono due anni e sei mesi che Sabrina è detenuta. Mi appello alla vostra ragione di assolverla. Se la assolverete - ha aggiunto - ci saranno i soliti cori sgangherati: ancora un delitto senza colpevole? No, ogni delitto ha un colpevole, e qui c'é uno che si proclama colpevole. La giustizia vince o perde solo se è stata pronunciata o meno una sentenza giusta. Come potrete superare ogni ragionevole dubbio sulla colpevolezza di Sabrina di fronte ad un uomo come Michele Misseri che si accusa del delitto, poi ritratta, e poi ancora ritratta la ritrattazione accusandosi di tutto da due anni?. Gli interrogatori da parte degli inquirenti sono stati portati avanti in maniera fuorviante - ha aggiunto Coppi - Siamo certi - ha detto ancora riferendosi al possibile movente del delitto - che il movente sia la gelosia di Sabrina?» Il legale ha quindi attaccato la credibilità di alcuni testimoni dell'accusa. «Non accetto che si dica che la difesa di Sabrina abbia cercato di confondere le acque - ha poi sottolineato l'avv. Franco Coppi - Michele Misseri, che da due anni si accusa del delitto, ha sempre detto - ha sostenuto Coppi - di aver tentato approcci sessuali con la nipote Sarah e, di fronte al diniego, quel giorno gli salì il calore alla testa e strangolò Sarah. Non ha mai ritrattato questo. Il movente sessuale c'è ed è provato. Potete voi dire di aver superato ogni ragionevole dubbio - ha detto il legale rivolgendosi alla Corte - che ad uccidere non sia stato Michele Misseri, che ci ha portato al pozzo, ci ha ridato il cellulare, che da due anni si proclama colpevole, anche in aula, minaccia di suicidarsi, scrive lettere e memoriali? C'è tutta Italia che ride del fatto che il presunto assassino è a piede libero. Come farete a superare ogni dubbio con incrollabile certezza?» Per il legale romano le prove dell'innocenza di Sabrina sono negli squilli e nei messaggi che la ragazza si scambia con la vittima poco prima delle 14:30 del giorno del delitto. A quell'ora, secondo l'accusa invece Sarah è già morta e la cugina si fa gli squilli col cellulare della vittima per crearsi un alibi. «Nel dubbio non si condanna. Il dubbio nel processo penale, per poter giungere a una condanna, deve trasformarsi in certezza - così, citando alcuni illustri giuristi, il legale Franco Coppi - Il giudice - ha proseguito rivolgendosi ai due togati e ai sei non togati che compongono la Corte - deve raggiungere una convinzione incrollabile sulla verità dell'accusa. Potete dire in piena coscienza, tranquillità e serenità che le prove dell'accusa producono una incrollabile certezza sulla tesi accusatoria?» E inoltre ha avvertito: «non si condanna sulla base di un giudizio probabilistico. Quello che viene rappresentato dall'accusa deve avere un significato univoco», ha sottolineato Coppi. Quindi ha elencato una serie di "temi" decisivi del processo sui quali la Corte dovrà superare "ogni ragionevole dubbio" e raggiungere "una incrollabile certezza". «Si può condannare solo se è provata al di là ogni ragionevole dubbio la colpevolezza di un imputato, non perchè non è stata dimostrata la sua innocenza. Il concetto di “oltre ogni ragionevole dubbio” – ha aggiunto - deve essere, come dicono illustri giuristi, regola di giudizio».
Nicola Marseglia, co-difensore di Sabrina Misseri insieme con l'avv. Franco Coppi. «Possiamo inventarci le cose. Sino a questa mattina Michele Misseri - ha detto tra l'altro - ha scritto alla figlia Sabrina dicendo di essere il colpevole. Noi sosteniamo cose logiche e ancorate ai dati processuali». Marseglia si è anche detto "indignato" perché "una farneticazione come il sogno del fioraio (che avrebbe visto Cosima costringere Sarah a salire in auto, sostenendo poi però di aver sognato tutto) sia entrata nel fascicolo processuale". «Se i tabulati telefonici dicono il vero - ha detto ancora Marseglia - il processo non ha senso perché sono incompatibili con il coinvolgimento di Sabrina Misseri, crolla tutta l'impalcatura di menzogne su di lei». «Ma io non ho mai fatto niente di tutto questo» ripete lei da sempre ai suoi avvocati, il professor Franco Coppi e Nicola Marseglia. Ieri cercava il loro sguardo mentre gli agenti penitenziari la riportavano in carcere (dove divide la cella con la madre e con una detenuta romena). Cercava di capire dai loro occhi se tenere accesa la speranza o arrendersi. L’hanno portata via di corsa, non c’è stato nemmeno il tempo di una parola. Solo una richiesta: «Posso avere la memoria difensiva?»: Stavolta non è per annotare passaggi o studiare dettagli, ma per rileggere la storia di se stessa fra quel 26 agosto, quando Sarah sparì, e quel 7 ottobre, quando suo padre rivelò dov’era il corpo. I suoi avvocati raccontano che durante quasi tutto il processo ha vinto la Sabrina scoraggiata: «Lo so che mi aspettano al varco. Si vede che sono antipatica a tutti, sono contro di me qualunque cosa dica». E anche se nelle ultime udienze sembrava più tranquilla «emotivamente è a pezzi, non riesce più a mangiare senza vomitare ed è in apnea in attesa di questa sentenza», giura Nicola Marseglia.
Luigi Rella, uno dei difensori di Cosima Serrano «Non ci sono indizi convergenti su Cosima». Poi si è soffermato in particolare sulla questione degli esami irripetibili sulle celle telefoniche.
Franco De Jaco, uno dei legali di Cosima Serrano: «Lo spazio riservato in questo processo a Cosima Serrano è così risibile e ininfluente per cui non si capisce come si possa giungere a considerarla concorrente nel reato di omicidio». Il legale ha aggiunto che Cosima «voleva sottoporsi all'esame, ma noi difensori abbiamo detto di no perchè non era necessario visto lo svolgimento processuale. Una persona non abituata a queste situazioni, come Cosima, si sarebbe potuta contraddire, ma non perchè sia colpevole, ma perchè è detenuta da tempo, ha una figlia anche lei in carcere e un marito che si accusa del delitto. Una situazione che non può darle serenità».
Lorenzo Bullo, difensore di Carmine Misseri (fratello di Michele): «Negli atti c'è la prova dell’incertezza della ricostruzione sui movimenti di Carmine Misseri.» Bullo ha depositato una breve memoria.
Di un processo "incompiuto" ha parlato l’avv. Raffaele Missere, difensore di Cosimo Cosma, nipote di Michele Misseri e anche lui accusato di concorso in soppressione di cadavere. «In questo processo – ha detto – manca la figura di un uomo che la Procura ha volutamente tenuto fuori. Si è preso da Michele Misseri quello che serviva».
A fine udienza la difesa di Sabrina e le difese degli altri avvocati hanno depositato una memoria in risposta a quella di 600 pagine circa già depositata dalla Procura.
Giallo di Avetrana, l’ultima udienza. La memoria della difesa in attesa del verdetto su Cosima e Sabrina. Memoria riportata da Maria Corbi de “La Stampa”. Siamo alla fase finale, agli ultimi atti del processo di Avetrana. Questa mattina le repliche della parte civile e delle difese, poi la Corte di Assise si chiuderà in Camera di Consiglio da cui uscirà con un verdetto: Sabrina e Cosima colpevoli o innocenti. E insieme a loro altri 7 imputati di reati minori. I pubblici ministeri hanno chiesto l’ergastolo, la difesa delle due donne (Franco de Jaco e Luigi Rella per Cosima Serrano; Franco Coppi e Nicola Marseglia per Sabrina Misseri) l’assoluzione piena. E in mezzo il tribunale incivile dei Talk show televisivi che ha già emesso la sua sentenza. Si dovrà vedere se i giudici manterranno unite le posizioni di madre e figlia, oppure se separeranno i destini, in questo caso scrivendo un’altra trama ancora di questo delitto. Una sentenza attesa per metà di questa settimana. Intanto parlano in aula le parti civili. La parola a Nicodemo Gentile, che rappresenta la famiglia Scazzi. Nella sua replica la convinzione della responsabilità di Sabrina e Cosima che assistono a questa udienza. Sabrina è cambiata, l’ombra di se stessa. Molto dimagrita, con i lunghi capelli neri che incorniciano un volto pallido e smarrito. Sta male. Non mangia e vomita. Non l’aiuta più nemmeno il sostegno psicologico. Nemmeno un ragionevole dubbio nelle parole dell’avvocato Gentile, quello che pretendono nel caso del loro assistito Parolisi condannato all’ergastolo. Ma quello che tristemente si evidenzia in un processo così ossessivamente mediatico è la marginalità che fino ad ora è stato dato al principio costituzionale del ragionevole dubbio, solo oltre il quale si può condannare. Figuriamoci poi quando si tratta di un ergastolo. E il professor Coppi nella sua memoria prende il via proprio da questo, ricordando alla corte che si deve andare oltre ogni ragionevole dubbio, come continuamente nelle sue sentenze ricorda la corte di Cassazione. E non è facile andare oltre quando c’è un reo confesso, Michele Misseri, che ha ripetuto anche in aula, dove si forma la prova secondo il nostro ordinamento, che è lui e solo lui il colpevole. L’assassino di Sarah. Ma, sostiene la difesa si può anche prescindere da lui, perché la prova dell’innocenza di Sabrina è nei fatti. In quello che è accaduto quel maledetto 26 agosto.
Scrive la difesa nella sua memoria: «Quanto accade in quel primo pomeriggio del 26 agosto, almeno fino alle ore 14.28’26’’ corrisponde puntualmente a quanto era stato concordato la sera del 25 agosto con Mariangela Spagnoletti: e ciò, tra le tante altre prove favorevoli per Sabrina Misseri di cui già si è detto e di cui ancora si dovrà dire, costituisce un vero e proprio alibi in favore della tesi della innocenza di Sabrina Misseri». Nella ricostruzione di quanto accaduto la difesa conta su alcuni punti obiettivi costituiti dagli orari riportati nei tabulati telefonici. Dal memoriale: «La sera del 25 agosto Sabrina e Mariangela si accordano per andare al mare il giorno successivo se Mariangela cesserà in tempo dal lavoro e non sarà troppo stanca. Le due ragazze convengono che Mariangela si farà viva con una telefonata o con un messaggio. Il colloquio, naturalmente, si svolge tra Mariangela e Sabrina alla presenza di Sarah che, in un certo senso, non ha voce in capitolo perché la sua partecipazione alla gita è naturalmente subordinata a quanto decideranno e potranno fare Mariangela e Sabrina. Non si può per altro non sottolineare che se quella sera fosse scoppiata tra Sarah e Sabrina una lite furibonda e se Sabrina avesse maltrattato Sarah appare sorprendente che Sabrina non abbia escluso dalla gita Sarah o che quest’ultima non abbia dichiarato di non voler andare al mare in loro compagnia. Il giorno successivo alle ore 14.23’31’’ Mariangela invia a Sabrina il messaggio tanto atteso: “il tempo di mettere il costume e vengo”. Si è fatto un gran discutere circa il fatto se Sabrina in quel momento si trovasse nel proprio letto o in quello della madre grazie alle confuse dichiarazioni di Michele Misseri. Sta però di fatto che Sabrina, che secondo l’Accusa aveva appena ucciso la piccola cugina dopo averla rincorsa in compagnia della madre per le vie di Avetrana, risponde immediatamente (e con sorprendente prontezza se pensiamo che aveva appena ucciso la cugina, secondo l’ipotesi accusatoria) con un messaggio che viene inviato dopo neppure trenta secondi: il messaggio di risposta è infatti delle ore 14.24. Sabrina risponde: “avviso Sarah?” L’Accusa si chiede che bisogno vi fosse di chiedere a Mariangela se Sarah doveva essere avvisata: non erano già le tre ragazze tutte d’accordo? A parte quanto subito diremo circa l’assurdità di un tale messaggio nell’ipotesi in cui Sabrina fosse stata colpevole della uccisione della cugina, appaiono plausibili le più ovvie spiegazioni, rappresentate dalla stessa Sabrina: si trattava di chiedere in definitiva alla proprietaria della automobile, che già una volta non aveva nascosta una sua antipatia per Sarah, se ella – a parte quanto era stato detto la sera prima in presenza di Sarah – aveva nulla in contrario a che costei fosse della partita e se quindi andasse avvertita per rendersi a sua volta rapidamente pronta. Avendo Mariangela espresso il suo consenso, parte subito il primo messaggio di Sabrina verso Sarah. Sono le ore 14.25. E’ il messaggio che Sarah attendeva e che sperava di avere; si era già preparata per non perdere tempo e per poter subito raggiungere la cugina ed infatti comunica subito ai familiari di aver ricevuto il messaggio di Sabrina e di uscire per recarsi al mare. E poiché Sarah non risponde al primo messaggio di Sabrina, costei alle ore 14.28’13’’ invia un secondo messaggio a Sarah proprio per essere sicura che costei aveva ricevuto la prima avvertenza. Sarah, nello spazio di pochi secondi, e precisamente alle ore 14.28’26’’, invia alla cugina uno squillo che, secondo le loro abitudini, stava a significare che ella aveva ricevuto il messaggio e che confermava la sua partecipazione alla gita. Ricevuto il messaggio di Sarah, Sabrina invia a Mariangela, alle ore 14.28’40’’ il messaggio “sto tentando in bagno” contrassegnato da uno smile. È ragionevole ritenere che Sabrina abbia voluto giustificare qualche minuto di ritardo da parte sua e che ella abbia voluto “ingentilire” il messaggio proprio con lo smile di cui si è detto: e non si può ancora una volta non sottolineare che tutto ciò accadrebbe, secondo l’ipotesi accusatoria, pochi minuti dopo la consumazione dell’omicidio. Se infatti l’Accusa sostiene che i messaggi risultanti registrati sui tabulati relativi ai cellulari di Sabrina e di Sarah sarebbero stati formati tutti da Sabrina per costituirsi un alibi (ma sul punto torneremo di qui a poco), non si può certamente negare che il messaggio “sto tentando in bagno” è certamente autentico e che francamente appare sbalorditivo il fatto che Sabrina abbia avuto addirittura la spudoratezza e la freddezza di accompagnare il messaggio con lo smile dopo aver ucciso da pochi minuti la cugina. Ricevuto alle ore 14.31’44’’ un messaggio da Angela Cimino, al quale non viene data immediata risposta proprio perché Sabrina in quel momento si trovava in bagno e risposto alla Cimino con messaggio alle ore 14.35’47’’, Sabrina finalmente alle ore 14.39 manda a Mariangela l’ultimo messaggio: “pronta” esce di casa non trova Sarah, come probabilmente si attendeva dato lo squillo delle ore 14.28’26’’ e, all’arrivo di Mariangela, dopo aver chiesto all’amica se per caso aveva visto Sarah lungo la strada, prova alle ore 14.42 di mettersi in contatto con la cugina: il telefono lancia qualche messaggio per poi tacere: è la scena descritta da Michele Misseri nelle sue dichiarazioni del 28 settembre». La sequenza dei messaggi e il loro contenuto, sostiene la difesa di Sabrina, hanno una logica coerente con gli accordi del giorno precedente: accade esattamente tutto ciò che era stato convenuto. Dal memoriale: «Sabrina attende un messaggio e questo arriva; Sarah a sua volta attende un messaggio della cugina e anche questo giunge a destinazione. Ma il messaggio atteso da Sarah giunge alle ore 14.25 e Sarah non ha bisogno alcuno di inventarsi - come invece sostiene l’Accusa – messaggi non ancora inviati allo scopo di anticipare la sua uscita di casa: il messaggio atteso è proprio quello delle ore 14.25 e non è un caso che inizialmente, prima che incominci il solito balletto sugli orari, Concetta e la badante indichino nelle 14.30 l’orario di uscita di Sarah dalla casa per andare al mare; così come non è un caso che i fidanzati affermino di aver visto Sarah tra le ore 14.15 e le ore 14.30 e non prima comunque delle ore 14.00 come avrebbe dovuto essere invece se Sarah fosse uscita, come sostiene l’Accusa, tra le ore 13.45/13.50; così come non è un caso che La Stella individui la presenza di una persona, identificabile in Sarah sicuramente non prima delle ore 14.20». E ancora dal memoriale: «I messaggi corsi tra il cellulare di Sabrina e quello di Sarah sono veri e reali: quelli provenienti dal cellulare di Sabrina sono stati inviati da costei e sono gli unici che ella ha inviato; Sarah risponde effettivamente con il suo squillo. Non c’è alcuna simulazione, non c’è alcuna finzione realizzate allo scopo di costruire un alibi falso e di alterare o manipolare la realtà». Sul piano psicologico, fa notare la difesa «è incredibile la freddezza di cui avrebbe dovuto far mostra Sabrina – una ragazza di 22 anni! – che dopo aver ucciso con le modalità immaginate dall’Accusa la propria cugina avrebbe dovuto immediatamente avvertire la necessità di costituirsi un alibi e avrebbe immediatamente pensato allo scambio di messaggi sul cellulare suo e su quello della cugina morta in modo da lasciar credere che quest’ultima fosse invece ancora in vita alle ore 14.28 ed a consentirle di mettere in atto la successiva scena all’arrivo di Mariangela! Ancora più incredibile è il fatto che Sabrina, oltre ad avere la freddezza necessaria a concepire l’alibi, abbia poi potuto, senza un fremito della mano, manipolare i cellulari in modo da scambiare tra l’uno e l’altro i noti messaggi. Sempre sul piano psicologico, e guardando ora alla condotta di Sarah, non si riesce a comprendere la ragione per la quale ella avrebbe dovuto raccontare una bugia e sostenere di aver ricevuto ben prima delle ore 14.00 l’atteso messaggio di Sabrina ed uscire subito dopo di casa. Perché avrebbe dovuto cambiarsi, mettersi il costume e uscire di casa se non aveva certezza alcuna della effettuazione della gita? Cosa avrebbe dovuto andare a fare a casa della cugina molto tempo prima di ricevere il messaggio senza certezza alcuna che la cugina non fosse a letto a dormire e senza certezza alcuna che la porta le sarebbe stata aperta? La tesi dell’Accusa, secondo la quale Sarah avrebbe inventato il messaggio e sarebbe uscita di casa ben prima delle ore 14.00, per non sbrigare le faccende di casa è francamente del tutto inconsistente. Sembra che in realtà Sarah si dedicasse poco alle faccende di casa tanto è vero che la madre si lamentava del fatto che la figlia non dava una mano in casa e trovava sempre una scusa per allontanarsi; e non risulta che la madre fosse particolarmente severa nel pretendere dalla figlia collaborazioni domestiche. D’altra parte, quando Sarah uscì realmente di casa e cioè alle ore 14.25, la famiglia non aveva ancora terminato di desinare e quindi, comunque, Sarah non avrebbe potuto in nessun modo sbrigare le faccende domestiche, a meno di non rinunciare alla gita o di dover pregare Sabrina e Mariangela, già pronte, di attenderla per il tempo necessario ad accudire alle faccende domestiche. Tutte considerazioni queste che appaiono, all’evidenza, del tutto inconsistenti e che non possono essere prese in seria considerazione. Sta il fatto obiettivo che Sarah attendeva un messaggio; che questo arrivò alle ore 14.25; che tra la casa Scazzi e la casa Misseri la distanza era molto breve e percorribile da una ragazza giovane e veloce, quale è stata descritta Sarah in tre/quattro minuti; che Sarah giunse a casa Misseri, purtroppo entro le ore 14.30, quando Sabrina era in casa». Le tesi dell’Accusa secondo la difesa, sono insostenibili anche sul piano logico. Dal memoriale: «Se fosse vera la tesi dell’Accusa, Sarah era già morta quando Sabrina ricevette, alle ore 14.23, il messaggio di Mariangela. Ed allora è inevitabile chiedersi perché Sabrina, che l’Accusa immagina così scaltra da costruirsi in pochi attimi un alibi in proprio favore, non avrebbe dovuto subito inventarsi una scusa per evitare di trovarsi tra i piedi Mariangela quando nel garage si trovava il corpo ancora caldo di Sarah? Bastava dire che ella quel giorno era indisposta, non stava bene, soffriva di dolori alla cervicale (sul punto avrebbe potuto persino testimoniare la stessa Pisanò che la mattina l’aveva vista talmente sofferente da sottoporsi ad un trattamento diverso da quello previsto). Sarah era stata appena uccisa dopo un inseguimento per le vie di Avetrana; bisognava convincere il padre a collaborare nell’occultamento del cadavere; bisognava far sparire ogni traccia del delitto e studiare con calma una strategia. Tutto suggeriva, insomma, di allontanare dal luogo del delitto Mariangela e di poter dire di non aver visto quel giorno Sarah, di non averle telefonato, di non sapere cosa costei avesse fatto e di manifestare meraviglia quando, certamente più tardi, la famiglia di Sarah, non vedendola tornare dal mare, le avesse chiesto informazioni: ella non aveva telefonato, non aveva preso appuntamenti con Sarah, aveva rinunciato ad andare al mare, nulla sapeva di cosa la cugina potesse aver fatto e poteva quindi disporsi a fingere interesse per la sua ricerca. Perché invece avrebbe dovuto complicarsi la via verso l’impunità mandando a Mariangela, dopo aver ucciso la cugina, il messaggio: “avverto Sarah?”, creando così un collegamento con la cugina che aveva invece tutto l’interesse a nascondere? È questo un argomento insuperabile sul piano logico: se fosse stata l’assassina Sabrina aveva tutto l’interesse ad allontanare Sarah da sé quel giorno, a non fornire la prova che esse dovevano incontrarsi, a non fornire la prova che l’aveva cercata e che era stata in contatto con lei fino alle ore 14.28». La difesa si chiede: Perché addirittura due messaggi? La spiegazione è logica, dice il professor Coppi: «Essendo Sabrina innocente, i due messaggi si spiegano agevolmente: Sarah non ha risposto al primo sia perché a corto di credito, sia perché sapeva di poter raggiungere in pochi minuti la cugina; non ricevendo risposta Sabrina reitera il messaggio e si spiega facilmente perché la cugina dia riscontro attraverso un semplice squillo. Logica e buon senso consentono di spiegare agevolmente la successione dei messaggi nella prospettiva della innocenza di Sabrina, così come è per ogni profilo di questa vicenda che trova sempre convincente spiegazione secondo logica e buon senso in termini coerenti alla innocenza dell’imputata. Nella versione del Pubblico Ministero invece la condotta di Sabrina appare assolutamente incomprensibile dal punto di vista logico e psicologico».
LA CORTE SI E’ RIUNITA IN CAMERA DI CONSIGLIO PER LA SENTENZA.
Una cella di pochi metri quadri condivisa con la madre Cosima e una ragazza romena. Una gabbia. La casa di Sabrina Misseri da due anni e mezzo. Alla vigilia della sentenza, quelle pareti scrostate sembrano ancora più soffocanti. Per scaramanzia non è stata fatta nessuna sacca. Troppe delusioni in questi anni, troppe richieste di scarcerazione rifiutate. «La mia custodia cautelare è un sequestro di persona. Ho avuto incubi terribili, e mi sono svegliata piangendo, poi mi sono fatta forza da sola». Sabrina è provata, non mangia, e quando lo fa vomita. E’ seguita da uno psicologo e prende delle pillole per dormire. Ma non bastano. L’unico che riesce a tranquillizzarla è il suo avvocato, il professor Franco Coppi. «Io sono innocente e sentire il professore che spiegava le ragioni della mia innocenza mi ha fatto bene al cuore. Io non ho fatto niente, volevo bene a Sarah come una sorella e mi manca moltissimo». «So che anche l’assoluzione non servirebbe a cancellare i dubbi dalla testa di mia zia, ma ci sarà un luogo e un tempo in cui dovrò incontrarla. Io voglio parlarle perchè non ho fatto niente e a testa alta, con il cuore, voglio dirle che mai avrei fatto del male a mia cugina».
Sabrina sa che fuori l’aspettano astio e sospetto, almeno di buona parte della gente di Avetrana. «Lo percepisco, so di essere antipatica e non mi spiego perchè». «Mi fa impazzire l’idea che possano pensare che io sia un’assassina». Il suo legale Nicola Marseglia vorrebbe mandarla in un convento, in Umbria, lontana dalla curiosità e dall’odio. Lei fino a qualche tempo fa insisteva nel dire che voleva tornare ad Avetrana a testa alta: «Sono gli altri che dovranno abbassarla». Ma adesso ha cambiato idea, due anni e mezzo di galera la hanno vinta: «Voglio solo sparire». «Mi tiene in vita solo la speranza di essere assolta» Questo dice Sabrina Misseri ad uno dei suoi difensori, l’avv. Nicola Marseglia, mentre attende in carcere a Taranto la sentenza della Corte di Assise per l'omicidio della cugina Sarah Scazzi, del quale è accusata di essere stata l’esecutrice materiale insieme alla madre, Cosima Serrano, anche lei detenuta. Le parole sono state riferite dallo stesso legale, che è andato a trovare in carcere Sabrina. «Ci sarà un luogo o un momento nella vita in cui incontrerò zia Concetta e le voglio dire, guardandola negli occhi, che non ho fatto niente a Sarah: non l’avrei toccata per nulla al mondo. Lei mi deve guardare negli occhi e mi deve credere: deve capire che io non ho ucciso Sarah, perché so che se anche mi assolveranno a lei resterà sempre un dubbio. Lo so che mi aspettano al varco. Si vede che sono antipatica a tutti, sono contro di me qualunque cosa dica» Al suo legale Marseglia che le chiede: «Ma se uscirai, dove vuoi andare?» risponde così: «Voglio sparire: ci sarà un posto dove posso sparire». Poi ritorna la Sabrina scoraggiata che i suoi avvocati hanno visto durante tutto il processo: «Lo so che ce l’hanno tutti con me - ammette - ma un filo di speranza ce l’ho». Comunque mantiene i piedi per terra e aspetta il verdetto: per il momento «starò ad ascoltare quello che decidono».
Cronologia dei fatti principali
26 agosto 2010. Sarah Scazzi esce da casa ad Avetrana (Taranto) per recarsi al mare con la cugina Sabrina Misseri. Scompare nel nulla. Di venerdì, le tracce di Sarah Scazzi, quindici anni, si persero da vico Verdi dove abitava a via Grazia Deledda dove era diretta. Doveva andare al mare con la cugina Sabrina Misseri ed altre due amiche, le sorelle Mariangela e Alessandra Spagnoletti. Nessuna traccia, nessun segnale della sua presenza, scomparsa nel nulla. L’ultimo segno di vita la ragazzina lo fece alle 14,28 con uno squillo che inviò alla cugina per dire che stava per arrivare a casa. Poi più nulla. Iniziarono da quel giorno le ricerche della quindicenne a cui, nei giorni che seguirono, parteciparono forze dell’ordine con unità cinofile, militari a cavallo e volontari della Protezione civile. E naturalmente anche i parenti e il gruppo di amici. Di Sarah non fu trovata nessuna traccia.
6 settembre. La mamma di Sarah rivolse un appello al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, chiedendo l’impiego di più forze per la ricerca della figlia.
8 settembre. La Procura della Repubblica cominciò a prendere sul serio la scomparsa che in un primo momento era stata considerata come un allontanamento volontario. Il pm Mariano Buccoliero, che dirige le indagini col procuratore aggiunto Pietro Argentino, confermò in quella data l’apertura di un fascicolo a carico di ignoti per sequestro di persona.
10 settembre. Gli amici organizzarono una fiaccolata che vide una massiccia partecipazione di cittadini di Avetrana e di altri comuni confinanti. Assente la mamma della ragazzina, Concetta Serrano Spagnolo, in prima fila c’erano le cugine, Sabrina e Valentina Misseri, gli amici e i compagni di scuola della quindicenne.
29 settembre. Michele Misseri, zio di Sarah e papà di Sabrina, trovò il telefonino della nipote e lo consegnò ai carabinieri ai quali disse di averlo trovato in un uliveto dove lui stesso, il giorno prima, aveva eseguito dei lavori. L’apparecchio era bruciacchiato. Misseri disse di averlo trovato su un mucchio di foglie secche a cui lui e un altro suo collega il giorno prima avevano dato fuoco.
30 settembre. Sabrina Misseri fu ascoltata per la prima volta dai magistrati a Taranto. In quella la ragazza fu costretta ad ammettere l’esistenza di dissidi tra lei e la cugina Sarah. Sempre in quell’occasione si parlò del litigio avvenuto tra loro due la sera prima della scomparsa della ragazzina. Lite che Sabrina negò di avere avuto.
6 ottobre. Michele Misseri confessa di aver ucciso Sarah, strangolandola, e fa ritrovare i resti del corpo in un pozzo nelle campagne di Avetrana. I magistrati convocarono a Taranto per essere interrogati, Michele Misseri, la moglie Cosima, e l’altra loro figlia, Valentina. In quella occasione Michele Misseri fece trovare il corpo di Sarah che lui stesso aveva gettato in un pozzo in contrada Mosca. L’uomo quella stessa sera confessò di avere ucciso Sarah strangolandola con una corda e di avere abusato sessualmente dopo la morte. Per Misseri scattò il fermo per sequestro di persona, omicidio volontario, occultamento di cadavere.
8 ottobre. Il gip Martino Rosati convalidò il fermo di Misseri a cui venne contestato anche il reato di vilipendio di cadavere: egli stesso confessò di aver violentato la piccola Sarah dopo averla uccisa.
Il 9 ottobre. Migliaia di persone parteciparono ai funerali di Sarah che si svolsero nel campo sportivo di Avetrana. Nessuno della famiglia Misseri fu presente alla cerimonia funebre.
14 ottobre. La bara di Sarah fu tumulata nel cimitero del paese.
15 ottobre. Michele Misseri chiama in correità nel delitto la figlia Sabrina, che finisce in cella. Gli inquirenti portarono Michele Misseri nel garage di via Deledda per un sopralluogo. Lì il contadino descrive la scena del delitto. La stessa cosa farà in contrada Mosca nei luoghi della soppressione. In serata, nella caserma dei carabinieri di Manduria, Misseri chiamò in correità la figlia Sabrina che fu arrestata per concorso in omicidio.
5 novembre. Michele Misseri accusa la figlia Sabrina di aver ucciso Sarah. Michele Misseri ritratta e accusa la figlia Sabrina di essere l’unica autrice dell’omicidio.
19 novembre. Nell'incidente probatorio Michele Misseri conferma le accuse del 5 novembre nei confronti della figlia. Nel carcere di Taranto si svolse l’incidente probatorio. Alla presenza di tutte le parti chiamati in causa, tra cui la figlia Sabrina e gli avvocati difensori e di parte civile, oltre naturalmente al gip Rosati e ai pubblici ministeri, Michele Misseri conferma le accuse nei confronti della figlia. Il Gip riprende l’Avv. Di Michele, Daniele Galoppa, perché attraverso le domande suggeriva le risposte al suo assistito.
23 dicembre. Michele Misseri scrisse una prima lettera alla figlia Valentina (che ne saranno tante in seguito indirizzate anche alla moglie Cosima e a Sabrina stessa), in cui si assunse nuovamente tutte le colpe della morte di Sarah. Da quel giorno il contadino di Avetrana ha continuato a sostenere quella tesi senza più essere creduto dagli inquirenti che archiviano l’accusa di omicidio mantenendo solo il reato di soppressione di cadavere.
23 febbraio 2011. I carabinieri arrestano Carmine Misseri e Cosimo Cosma, fratello e nipote di Michele Misseri, per concorso in soppressione di cadavere. I carabinieri arrestarono Carmine Misseri e Cosimo Cosma, rispettivamente fratello e nipote di Carmine Misseri, con l’accusa di avere aiutato Michele a sopprimere il cadavere di Sarah. I due lasceranno il carcere l’11 marzo su decisione della Cassazione.
10 marzo. Il Tribunale del Riesame scarcera Carmine Misseri e Cosimo Cosma.
26 maggio. Viene arrestata Cosima Serrano, moglie di Michele Misseri e madre di Sabrina. E' accusata di concorso in omicidio e sequestro di persona. Analogo provvedimento viene notificato a Sabrina in carcere.
30 maggio 2011. Michele Misseri viene scarcerato. Ora è accusato solo di soppressione di cadavere.
1 luglio 2011. La Procura chiude le indagini preliminari.
29 agosto 2011. Dinanzi al gup comincia l'udienza preliminare, che si chiuderà con nove rinvii a giudizio, tre assoluzioni e un proscioglimento.
Tutte la tappe del processo Scazzi.
Ecco le tappe principali del processo per l’uccisione di Sarah Scazzi.
10 gennaio 2012. Prima udienza. Cosima e Sabrina sono nella gabbia riservata agli imputati. Sabrina è in lacrime.
17 gennaio. Cosima e Sabrina ottengono di poter assistere al processo fuori dalla gabbia, vicino ai loro avvocati.
31 gennaio. Viene sentito il teste Ivano Russo. «Con Sabrina - dice – si instaurò mano a mano un rapporto confidenziale. Ad un certo punto però vidi da parte sua atteggiamenti ambigui, complimenti che andavano oltre. Le ho chiesto se per lei era ancora amicizia o qualcos'altro, e lei mi disse che era amicizia».
7 febbraio. Viene sentito il fratello di Sarah, Claudio. «Il mio rapporto con Sarah era confidenziale. Mai mi parlò di aver avuto problemi con zio Michele o di aver subito molestie. Lo zio aveva sempre imbarazzo a parlare delle donne». Depone anche Concetta Serrano, mamma di Sarah. Per la donna, Sabrina era invaghita di Ivano, ma anche Sarah aveva preso una “cotta” per lo stesso ragazzo all’insaputa della stessa Concetta, che lo scoprì leggendo un suo diario dopo la scomparsa della figlia. Con la sorella Cosima, i rapporti non sarebbero stati mai idilliaci, perchè «lei era invidiosa di me» soprattutto per questioni di eredità.
21 febbraio. Quando arrivò sotto casa Misseri insieme alla sorellina perchè aveva appuntamento per andare al mare, Sabrina era già in strada e Sarah non c'era: lo dice Mariangela Spagnoletti, l’ex amica del cuore di Sabrina. Mariangela ribadisce che Sabrina disse subito “L'hanno presa, l’hanno presa”.
3 luglio. «Sono assolutamente convinta che ad uccidere Sarah sia stato mio padre, ma non posso dire se lo abbia fatto effettivamente per colpa del trattore che non partiva o per altro motivo». Lo dichiara Valentina Misseri, sorella di Sabrina, sentita come testimone.
17 luglio. Cosima Serrano e la figlia Sabrina Misseri, accusate dell’omicidio di Sarah Scazzi, si avvalgono della facoltà di non rispondere quando vengono chiamate a deporre dall’accusa, in qualità di testimoni. Stessa cosa fanno Carmine Misseri e Mimino Cosma (fratello e nipote di Michele Misseri, che rispondono di concorso in occultamento del cadavere).
29 ottobre. Michele Misseri si avvale della facoltà di non rispondere quando viene chiamato dalla Corte di Assise per essere esaminato come imputato.
30 ottobre. La Corte di Assise, su richiesta dei pubblici ministeri, acquisisce i quattro memoriali scritti da Michele Misseri e consegnati dalla difesa di Sabrina, e i verbali degli interrogatori dell’agricoltore, questi ultimi depositati dalla Procura.
20 novembre. Cosima Serrano, accusata di concorso in omicidio, citata dalla difesa, si avvale della facoltà di non rispondere.
20 novembre. «Reputavo Sarah una sorella minore, non una cugina, e la trattavo di conseguenza. Qualche rimprovero sì, ma non litigi»: lo dichiara Sabrina Misseri,imputata di concorso nell’omicidio di Sarah Scazzi, durante l’esame della difesa.
5 dicembre. «Ho ucciso io Sarah, questo rimorso non lo posso più portare dentro di me». Lo dichiara Michele Misseri e subito dopo il suo difensore, Armando Amendolito, rimette il mandato perchè, spiegherà, gli aveva detto di astenersi. Viene sostituito dall’avv. Luca Latanza.
29 gennaio 2013. Uno dei sei giudici popolari viene “pescato” mentre esprime giudizi poco lusinghieri su una testimone durante la deposizione di quest’ultima. Si astiene ufficialmente «per motivi personali e familiari» e viene sostituito con un giudice supplente.
25 febbraio. «Questo è il processo per il massacro di una bambina di 15 anni». Così il pubblico ministero Mariano Buccoliero inizia la requisitoria.
5 marzo. La Procura di Taranto, a conclusione della requisitoria, formula le richieste di condanna: ergastolo per Sabrina e Cosima, nove anni per Michele Misseri, otto anni per Carmine Misseri e Cosimo Cosma, pene minori per altri quattro imputati.
11 marzo. Iniziano le arringhe con gli avvocati di parte civile.
25 marzo. Un “fuori onda” tra presidente della Corte e giudice a latere, risalente al 19 marzo, induce la difesa di Sabrina a chiedere alla Corte se non intenda astenersi dal processo.
26 marzo. La Corte d’Assise decide di astenersi dal processo, rimettendo gi atti al presidente del Tribunale, che il giorno dopo rigetta l’astensione e dispone la prosecuzione del processo.
15 aprile. Si chiudono le repliche dei difensori. Alle 17.30 la Corte si ritira in camera di consiglio per la sentenza.
20 aprile 2013, ore 14,13 LA SENTENZA
Condannate, in primo grado, all’ergastolo Sabrina Misseri e sua madre Cosima Serrano per l’omicidio di Sarah Scazzi. La Corte di Assise di Taranto ha disposto anche l’isolamento diurno di 6 mesi in carcere per entrambe. 8 anni a Michele Misseri per concorso nella soppressione del cadavere della nipote e per furto aggravato del telefonino della vittima. Condannati a 6 anni Carmine Misseri e Cosimo Cosma, fratello di Michele Misseri il primo e nipote il secondo, per concorso in soppressione di cadavere. 2 anni a Vito Russo, ex avvocato di Sabrina, condannato per intralcio alla giustizia. 1 anno a Antonio Colazzo e Cosima Prudenzano e 1 anno e 4 mesi a Giuseppe Nigro, tutti testimoni del processo condannati per falsa testimonianza, con pena sospesa. La Corte di assise di Taranto ha condannato anche Michele Misseri, Cosima Serrano e Sabrina Misseri al risarcimento dei danni, da stabilire in separata sede, alla famiglia Scazzi e al Comune di Avetrana. Nello stesso tempo ha stabilito una provvisionale di 50mila euro ciascuno ai genitori di Sarah, Giacomo Scazzi e Concetta Serrano, e di 30mila euro per il fratello Claudio. La sentenza è stata letta in aula dalla presidente Rina Trunfio che ha dovuto chiedere a forza il silenzio per fermare l’applauso spontaneo dei presenti in aula alla lettura della sentenza. Nella sentenza per l’omicidio di Sarah Scazzi, la Corte ha disposto la trasmissione di copia degli atti al procuratore della Repubblica nei confronti di Michele Misseri per verificare se esistano elementi per contestargli il reato di autocalunnia. L’agricoltore da due anni si autoaccusa del delitto e della soppressione del cadavere, dopo aver accusato la figlia Sabrina. La Corte ha inoltre disposto la trasmissione alla Procura degli atti riguardanti sei testimoni del processo: Ivano Russo, Alessio Pisello, Anna Scredo, Giuseppe Olivieri, Anna Lucia Pichierri, e Giuseppe Serrano. Nei loro confronti i pm avevano ipotizzato nella requisitoria il reato di falsa testimonianza. «Perchè piangi? Tanto lo sapevamo»: così Cosima Serrano si è rivolta alla figlia, Sabrina Misseri, al rientro in cella nel carcere di Taranto dopo la sentenza della Corte di Assise che le ha condannate all’ergastolo per l’omicidio di Sarah Scazzi. Per tutto il tragitto dal Palazzo di giustizia alla casa circondariale, Sabrina ha continuato a piangere, sia pure in maniera contenuta, e ad asciugarsi le lacrime. Nessuna reazione emotiva avrebbe lasciato trasparire invece la madre Cosima.