Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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WEB TV: TELE WEB ITALIA
NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA
(diritti esclusivi: citare la fonte)
ARTICOLI PER TEMA
Di Antonio Giangrande
INDICE
Gli amici su facebook: Averne migliaia che ti ignorano o averne pochi, ma veri e sinceri?
“La gente non legge, non sa, ma sceglie, decide e parla”.
Non si è colti, nè ignoranti: si è nozionisti,
ossia: superficiali.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo.
Quindi, oggi, cosa bisogna sapere?
Editoriale stampa. La Casta degli editori: la censura occulta.
Recensione della Collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo”.
Cultura, informazione e Società. A proposito di Wikipedia, l’enciclopedia censoria.
La censura video.
Censura da Amazon libri. Del Coronavirus
vietato scrivere.
I giornalisti di sinistra: voce della verità? L’Espresso e l’ossessione per
Silvio Berlusconi.
Editoriale stampa. Censura o Giornalismo fascista???
Editoriale stampa. “Mostri in prima pagina” e “Bufale giornalistiche", ecco la casta dei giornalisti.
Il disastro ferroviario in Puglia sulla tratta
Corato-Andria ed il Binario unico del giornalismo italiano.
Come il fatto diventa notizia
Prescrizione. Manlio Cerroni e la malafede dei
giornalisti.
Plagio e Verità
Ignoranza e diritto d'autore. Se questi son giornalisti...
Il Diritto di Citazione e la Censura dei giornalisti.
Diritto all'oblio
I Peccati dei Media
Le Fake News della stampa italiana sulla Turchia.
Campagna per la legalità
Per fare vero giornalismo forse è meglio non essere giornalisti.
Il diritto d'autore dei cittadini.
La Censura del Politicamente Corretto
Gli amici su facebook: Averne migliaia che ti
ignorano o averne pochi, ma veri e sinceri?
Un antico detto dice: Chi trova un amico, ha trovato un tesoro. Oggi, nel
tempo delle contraffazioni tutti voglion diventare ricchi. Succede, quindi, nel
mondo virtuale dei social network che si hanno amici di cui si detesta e si
contesta ogni post pubblicato, o che distribuiscono pillole di idiozie, specie
quelli distinti ideologicamente da destra come da sinistra, passando dai
5stellati, o che ignorano quello che sei o che fai, se non addirittura ti
detestano o travisano ogni tua opinione e, per sminuirti, non condividono i tuoi
post, ma pubblicizzano il prodotto dei tuoi concorrenti. Amici, meglio perderli
che trovarli, ma ce li si tiene comunque per far numero. Spesso gli stessi amici
virtuali, per strada ti incontrano e non ti salutano. Io, di mio non ho mai
chiesto l’amicizia a nessuno in un mondo omologato, ma ai miei amici
faceboocchiani, che hanno chiesto ed ottenuto la mia amicizia, do il beneficio
della verifica di solidità e sincerità ed attuo il controllo della strumentalità
della loro richiesta. Al termine dell’anno amicale li cancello. Se rinnovano la
richiesta di amicizia, chiedendomi il perché, si palese il loro interesse ad
avermi come amico. Ergo: a quel punto ho trovato un tesoro.
Avevo migliaia di amici FB, la maggior parte di sinistra. Quelli che coltivano odio, non proposte. Li ho cancellati. Non capiscono che chi attenta alla libertà di stampa sono proprio i giornalisti. Parlare sempre di Berlusconi, significa tacere i problemi reali e l'incapacità di risposta di Governo ed opposizione. Nessuno si è scandalizzato per Carlo Vulpio, Incriminato dai PM e cacciato dal suo giornale.
Art. 21 della Costituzione: diritto di manifestare il proprio pensiero. Diritto di critica e di cronaca; diritto di informare ed essere informati. C'è qualcuno che crede, invece, che sia diritto al villipendio e alla diffamazione, nascondendosi dietro l'anonimato. Più io cerco di cancellare questi pseudo amici infiltrati per fare propaganda politica, più loro si moltiplicano.
Sui post che i miei cosiddetti amici di facebook
pubblicano vedo citazioni e condivisioni di ogni risma ed argomento. Non si fa
mai cenno a note o citazioni di frasi o periodi tratti dai miei libri.
Nonostante vi sia attinenza. A questi amici chiedo: avete mai letto un mio
libro, o almeno scorso i titoli dei capitoli, per capire di cosa si tratti,
nonostante lo si possa fare gratuitamente su Google libri?
E se non avete mai letto un mio libro o guardato un mio video, perché avete
chiesto la mia amicizia?
“La gente non legge, non sa, ma sceglie, decide e parla”.
Intervista al sociologo storico Antonio Giangrande, autore di un centinaio di saggi che parlano di questa Italia contemporanea, analizzandone tutte le tematiche, divise per argomenti e per territorio.
Dr Antonio Giangrande di cosa si occupa con i suoi saggi e con la sua web tv?
«Denuncio i difetti e caldeggio i pregi italici. Perché non abbiamo orgoglio e dignità per migliorarci e perché non sappiamo apprezzare, tutelare e promuovere quello che abbiamo ereditato dai nostri avi. Insomma, siamo bravi a farci del male e qualcuno deve pur essere diverso!»
Perché dice che “La gente non legge, non sa, ma sceglie, decide e parla”.
«Libri, 6 italiani su dieci non leggono. In Italia poi si legge sempre meno. Siamo tornati ai livelli del 2001. Un dato resta costante da decenni: una famiglia su 10 non ha neppure un libro in casa. I dati pubblicati dall’Istat fotografano l’inesorabile diminuzione dei lettori, con punte drammatiche al Sud. Impietoso il confronto con l’estero, scrive il 27 dicembre 2017 Cristina Taglietti su “Il Corriere della Sera”. La gente usa esclusivamente i social network per informarsi tramite lo smartphone od il cellulare. Non usa il personal computer perchè non ha la fibra in casa che ti permette di ampliare più comodamente e velocemente la ricerca e l’informazione. La gente, comunque, non va oltre alla lettura di un tweet o di un breve post, molto spesso un fake nato dall’odio o dall’invidia, e lo condivide con i suoi amici. Non verifica o approfondisce la notizia. Non siamo nell’era dell’informazione globale, ma del “passa parola” totale. Di maggiore impatto numerico, invece, è la ricerca sui motori di ricerca, non di un tema o di un argomento di cultura o di interesse generale, ma del proprio nome. Si digita il proprio nome e cognome, racchiuso tra virgolette, per protagonismo e voglia di notorietà e dalla ricerca risulta quanti siti web lo citano. Non si aprono quei siti web per verificare il contenuto. Si fermano sulla prima frase che appare sulla home page di Google o altri motori similari, estrapolata da un contesto complesso ed articolato. Senza sapere se la citazione è diffamatoria o meritoria o riconducibile all’autore da lì partono querele, richieste di rimozione per diritto all’oblio o addirittura indifferenza».
Ha un esempio da fare sull’impedimento ad informare?
«Esemplari sono le querele e le richieste di rimozione. Libertà di informazione, nel 2017 minacciati 423 giornalisti. I dati dell’osservatorio promosso da Fnsi e Ordine. La tipologia di attacco prevalente è l’avvertimento (37 per cento), scrive il 31 dicembre 2017 “La Repubblica”. Ognuno di questi operatori dell’informazione è stato preso di mira per impedirgli di raccogliere e diffondere liberamente notizie di interesse pubblico. La tipologia di attacco prevalente è stata l’avvertimento (37 per cento) seguita dalle querele infondate e altre azioni legali pretestuose (32 per cento)».
E sull’indifferenza…
«Le faccio leggere un dialogo tra me e un tizio che mi ha contattato senza conoscermi, nonostante la mia notorietà. Uno dei tanti italiani che non si informa, ma usa internet in modo distorto. Uno di quel popolo di cercatori del proprio nome sui motori di ricerca e che vive di tweet e post. Un giorno questo tizio mi chiede “Lei ha scritto quel libro?”
E’ un saggio – rispondo io. – L’ho scritto e pubblicato io e lo aggiorno periodicamente. A tal proposito mi sono occupato di lei e di quello che ingiustamente le è capitato, parlandone pubblicamente in modo disinteressato, come ristoro delle sofferenze da lei subite, pubblicando l’articolo del giornale in cui è stato pubblicato il pezzo. Inserendolo tra le altre testimonianze. Comunque ho scritto anche un libro sul territorio di riferimento. Come posso esserle utile?
“Volevo giusto capire, io mi sono imbattuto per caso nell’articolo, cercando il mio nome… E sotto l’articolo ho visto un link che mi collegava al suo saggio…Capire più che altro perché prendere articoli di giornale su altra gente e farne un saggio… Sono solo curiosità”.
E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte – spiego io. – I letterati, che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta…” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso…” e parlare di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che fece il primo saggista mondiale. In generale. Dico, in generale: io non esprimo mie opinioni. Prendo gli articoli dei giornali, citando doverosamente la fonte, affinchè non vi sia contestazione da parte dei coglioni citati, che siano essi vittime, o che siano essi carnefici. Perchè deve sapere che i primi a lamentarsi sono proprio le vittime che io difendo attraverso i miei saggi, raccontando tutto quello che si tace.
“Siccome io le ho detto mi sono solo imbattuto per “caso”… Io ho visto questa cosa e sinceramente l’ho letta perché ho visto il mio nome, ma se dovessi prendere il suo saggio e leggerlo non lo farei mai. Perché: Cerco di lavorare ogni giorno con le mie forze. I miei aggiornamenti sono tutt’altro. Faccio tutto il possibile per offrirmi un futuro migliore. Sono sempre impegnato e non riuscirei a fermarmi due minuti per leggere”.
Rispetto la sua opinione – rispondo. – Era la mia fino ai trent’anni. Dopo ho deciso che è meglio sapere ed essere che avere. Quando sai, nessuno ti prende per il culo…
“Ma per le cose che mi possono interessare per il mio lavoro e il mio futuro nessuno mi può prendere per il culo … Poi è normale che in ogni campo ci sia l’esperto…”»
Come commenta…
«Confermo che quando sai, nessuno ti prende per il culo. Quando sai, riconosci chi ti prende per il culo, compreso l’esperto che non sa che a sua volta è stato preso per il culo nella sua preparazione e, di conseguenza sai che l’esperto, consapevole o meno, ti potrà prendere per il culo».
Comunque rimane la soddisfazione di quei quattro italiani su dieci che leggono.
«Sì, ma leggono cosa? I più grandi gruppi editoriali generalisti, sovvenzionati da politica ed economia, non sono credibili, dato la loro partigianeria e faziosità. Basta confrontare i loro articoli antitetici su uno stesso fatto accaduto. Addirittura, spesso si assiste, sulle loro pagine, alla scomparsa dei fatti. Di contro troviamo le piccole testate nel mare del web, con giornalisti coraggiosi, ma che hanno una flebile voce, che nessuno può ascoltare. Ed allora, in queste condizioni, è come se non si avesse letto nulla».
Concludendo?
«La gente non legge, non sa, ma sceglie, decide e parla…e vota. Nel paese degli Acchiappacitrulli, più che chiedere voti in cambio di progetti, i nostri politici sono generatori automatici di promesse (non mantenute), osannati da giornalisti partigiani. Questa gente che non legge, non sa, ma sceglie, decide e parla, voterà senza sapere che è stata presa per il culo, affidandosi ai cosiddetti esperti. I nostri politici gattopardi sono solo mediocri amministratori improvvisati assetati di un potere immeritato. Governanti sono coloro che prevedono e governano gli eventi, riformando ogni norma intralciante la modernità ed il progresso, senza ausilio di leggi estemporanee ed improvvisate per dirimere i prevedibili imprevisti».
Non si è colti, nè ignoranti: si è nozionisti,
ossia: superficiali.
Nozionista è chi studia o si informa, o, più spesso, chi insegna o informa
gli altri in modo nozionistico.
Nozionista è:
chi non approfondisce e rielabora criticamente la massa di informazioni e
notizie cercate o ricevute;
chi si ferma alla semplice lettura di un tweet da 280 caratteri su twitter o da
un post su Facebook condiviso da pseudoamici;
chi restringe la sua lettura alla sola copertina di un libro;
chi ascolta le opinioni degli invitati nei talk show radio-televisivi
partigiani;
chi si limita a guardare il titolo di una notizia riportata su un sito di un
organo di informazione.
Quel mondo dell'informazione che si arroga il diritto esclusivo ad informare in
virtù di un'annotazione in un albo fascista. Informazione ufficiale che si basa
su news partigiane in ossequio alla linea editoriale, screditando le altre fonti
avverse accusandole di fake news.
Informazione o Cultura di Regime, foraggiata da Politica e Finanza.
Opinion leaders che divulgano fake news ed omettono le notizie. Ossia praticano:
disinformazione, censura ed omertà.
Nozionista è chi si abbevera esclusivamente da mass media ed opinion leaders e
da questi viene influenzato e plasmato.
Ad ogni azione umana nefasta si trova sempre una giustificazione...lo si fa per le piante...lo si fa per gli animali...lo si fa per le persone! Ma, alla fine, rimane solo un'azione nefasta che fa male al prossimo...e, spesso, il prossimo siamo noi. A parte il partito preso, noi siamo tutti responsabili delle azioni nefaste di uno, quando gli permettiamo di farle.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che
diventassimo.
Da una parte, l’ideologia comunista si è adoperata con la corruzione culturale:
attraverso la televisione di Stato e similari;
con la propaganda ideologica continua dei giornalisti militanti di regime;
con insegnamenti ed indottrinamenti ideologici scolastici ed universitari frutto
di una egemonia culturale.
Dall’altra parte, la depravazione culturale messa in opera dalle televisioni
commerciali di Berlusconi, anticomuniste ed antimeridionaliste.
Infine con la perversione delle religioni, miranti ad avere il predominio delle
masse per il proprio sostentamento.
Insomma. Lavaggio del cervello: dalla culla alla tomba.
Solo i comunisti potevano pensare una Costituzione, il cui principio portante
fosse il Lavoro e non la Libertà. Libertà che la Carta pone solo come obbiettivo
per poter esercitare alcuni diritti dalla stessa Costituzione elencati. Libertà
come strumento e non come principio. Libertà meno importante addirittura
dell’Uguaglianza. Questa ultima inserita, addirittura, come principio meno
importante del Lavoro e della Solidarietà. Già. Per i comunisti “IL LAVORO RENDE
LIBERI”. ARBEIT MACHT FREI (dal tedesco: “Il lavoro rende liberi”) era il motto
posto all'ingresso di numerosi campi di concentramento. Una reminiscenza tratta
da una ideologia totalitaria che proprio dal socialismo trae origine: il
Nazismo.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo.
Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
Imparare ad imparare. Ci ho messo anni a capire
l’importanza del significato di questa frase. L’arroganza e la presunzione
giovanile dapprima me lo ha impedito. Condita da una buona dose di conformismo.
Poi con il passare del tempo è arrivata la saggezza.
Capire di dover capire significa non muoversi a casaccio, senza una meta, senza
un fine, senza un programma. Capire di dover capire significa chiedersi che
senso ha ogni passo che ci indicano di compiere e che compiamo, ogni prova che
superiamo, ogni giorno che spendiamo insieme a delle persone. Quante volte
approcciamo un problema con la reale convinzione di risolverlo con indicazioni
di altri, senza chiederci se davvero esiste una strada differente per arrivare
ad una conclusione sensata.
Ecco, capire di dover capire. Non muoversi a caso, per sentito dire, parlando
con le persone sbagliate, non valutando attentamente ogni passo che si deve
compiere. Per fare questo dobbiamo essere pronti ad “imparare ad imparare”
ovvero lasciare da parte nozioni acquisite e preconcetti e ad aprirci al nuovo.
Imparare ad imparare significa creare un percorso.
Serve leggere libri? Se la risposta è positiva dobbiamo adottare un metodo per
selezionare quali libri leggere perché la mole dei libri in circolazione è tale
che non potremmo reggere il passo, ne, tantomeno, compararne logica e verità.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
Liberale=amante della libertà propria e rispetto di quella altrui. Secondo diritto naturale, non economico. Per esempio: i poveri non si sostengono economicamente, per farli rimanere tali, ma si aiutano a diventare ricchi, eliminando ogni ostacolo posto sulla loro strada da caste e lobbies.
In parole povere. Spiegazione con intercalare efficace: Fare i cazzi propri, senza rompere il cazzo agli altri.
Attenzione, pero, a nominare il termine “liberale” invano, perché i liberali non esistono.
Si spacciano come tali quelli come Berlusconi, ma sono solo lobbisti capitalisti. E molto hanno in comune con i comunisti, leghisti e fascisti e gli inconsistenti 5 stelle. Tutti fanno solo i cazzi loro, rompendo il cazzo agli altri.
Qual è la differenza tra equità e uguaglianza?
L’uguaglianza comporta che chi non si vuole sbattere, ottenga lo stesso di chi invece si fa il mazzo.
Equità significa che se uno per esempio fa carriera (e i soldi) e l’altro no, pur avendo frequentato entrambi la stessa scuola nelle stesse condizioni, quello rimasto al palo, dovrebbe biasimare solo sè stesso, perchè hanno avuto entrambi la stessa opportunità.
Quindi, oggi, cosa bisogna sapere?
Non bisogna sapere, ma è necessario saper sapere.
Cosa voglio dire? Affermo che non basta studiare il sapere che gli altri od il
Sistema ci propinano come verità e fermarci lì, perché in questo caso diveniamo
quello che gli altri hanno voluto che diventassimo: delle marionette. E’
fondamentale cercare il retro della verità propinata, ossia saper sapere se
quello che sistematicamente ci insegnano non sia una presa per il culo. Quindi
se uno già non sa, non può effettuare la verifica con un ulteriore sapere di
ricerca ed approfondimento. Un esempio per tutti. Quando si studia
giurisprudenza non bisogna fermarsi alla conoscenza della norma ed eventualmente
alla sua interpretazione. Bisogna sapere da chi e con quale maggioranza
ideologica e perchè è stata promulgata o emanata e se, alla fine, sia realmente
condivisa e rispettata. Bisogna conoscere il retro terra per capirne il
significato: se è stata emessa contro qualcuno o a favore di qualcun'altro; se è
pregna di ideologia o adottata per interesse di maggioranza di Governo; se è
un'evoluzione storica distorsiva degli usi e dei costumi nazionali o influenzata
da pregiudizi, o sia una conformità alla legislazione internazionale lontana
dalla nostra cultura; se è stata emanata per odio...L’odio è un sentimento di
rivalsa verso gli altri. Dove non si arriva a prendere qualcosa si dice che non
vale. E come quel detto sulla volpe che non riuscendo a prendere l’uva disse che
era acerba. Nel parlare di libertà la connessione va inevitabilmente ai liberali
ed alla loro politica di deburocratizzazione e di delegificazione e di
liberalizzazione nelle arti, professioni e nell’economia mirante all’apoteosi
della meritocrazia e della responsabilità e non della inadeguatezza della classe
dirigente. Lo statalismo è una stratificazione di leggi, sanzioni e relativi
organi di controllo, non fini a se stessi, ma atti ad alimentare corruttela,
ladrocinio, clientelismo e sopraffazione dei deboli e degli avversari politici.
Per questo i liberali sono una razza in estinzione: non possono creare consenso
in una massa abituata a pretendere diritti ed a non adempiere ai doveri.
Fascisti, comunisti e clericali sono figli degeneri di una stessa madre: lo
statalismo ed il centralismo. Si dicono diversi ma mirano tutti
all’assistenzialismo ed alla corruzione culturale per influenzare le masse:
Panem et circenses (letteralmente «pane e [giochi] circensi») è una locuzione
latina piuttosto nota e spesso citata, usata nell'antica Roma e al giorno d'oggi
per indicare in sintesi le aspirazioni della plebe (nella Roma di età imperiale)
o della piccola borghesia, o d'altro canto in riferimento a metodi politici
bassamente demagogici.
Oggi la politica non ha più credibilità perchè non è scollegata dall’economia e
dalle caste e dalle lobbies che occultamente la governano, così come non sono
più credibili i loro portavoce, ossia i media di regime, che tanto odiano la
"Rete". Internet, ormai, oggi, è l'unico strumento che permette di saper sapere,
dando modo di scoprire cosa c'è dietro il fronte della medaglia, ossia cosa si
nasconda dietro le fake news (bufale) di Stato o dietro la discultura e
l'oscurantismo statalista.
John Keating: Qualunque cosa si dica in giro,
parole e idee possono cambiare il mondo. Sono salito sulla cattedra per
ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni
diverse. E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? Venite a
vedere voi stessi. Coraggio! È proprio quando credete di sapere qualcosa che
dovete guardarla da un'altra prospettiva. Carpe diem. Cogliete l'attimo,
ragazzi... Rendete straordinaria la vostra vita!
Gerard Pitts: Cogli la rosa quando è il momento, che il tempo, lo sai, vola e lo
stesso fiore che sboccia oggi, domani appassirà. John Keating: Non leggiamo e
scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo
membri della razza umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge,
economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro
sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l'amore, sono queste
le cose che ci tengono in vita. Dal film L'attimo fuggente (Dead Poets Society),
film del 1989 diretto da Peter Weir e con protagonista Robin Williams.
Studiare non significa sapere, volere non significa potere. Ai problemi non si è
capaci di trovare una soluzione che accontenti tutti, perché una soluzione per
tutti non esiste. Alla fine nessuno è innocente, perché in questa società
individualista, violenta e superficiale tutti sono colpevoli. Io ho preso la mia
decisione mentre la totalità di voi non sa prenderne alcuna (anche nelle cose
più semplici). Come potreste capire cosa è veramente importante nella vita? Non
saprete mai se avete preso la decisione giusta perché non vi siete fidati di voi
stessi. Accusate il sistema, ma il sistema è freddo inesorabile matematico, solo
chi è deciso a raggiungere la riva la raggiungerà. Vi auguro tutto il meglio per
la vostra vita. “Class Enemy”, di Rok Bicek film del 2013.
Dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger,
videomaker, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, destinatario
delle denunce presentate dai magistrati per tacitarlo e ricevente da tutta
Italia di centinaia di migliaia di richieste di aiuto o di denunce di malefatte
delle istituzioni. Ignorato dai media servi del potere.
Come far buon viso a cattivo gioco ed aspettare che dal fiume appaia il corpo
del tuo nemico. "Subisci e taci" ti intima il Sistema. Non sanno, loro, che la
vendetta è un piatto che si gusta freddo. E non si può perdonare...
Correggi un sapiente ed esso diventerà più colto.
Correggi un ignorante ed esso diventerà un tuo acerrimo nemico.
Molti non ti odiano perché gli hai fatto del male, ma perché sei migliore di
loro.
Più stupido di chi ti giudica senza sapere nulla di te è colui il quale ti
giudica per quello che gli altri dicono di te. Perché le grandi menti parlano di
idee; le menti medie parlano di fatti; le infime menti parlano solo male delle
persone.
Le bugie sono create dagli invidiosi, ripetute dai cretini e credute dagli
idioti, perché un grammo di comportamento esemplare, vale un quintale di parole.
Le menti mediocri condannano sempre ciò che non riescono a capire.
E se la strada è in salita, è solo perché sei destinato ad attivare in alto.
Ci sono persone per indole nate per lavorare e/o combattere. Da loro ci si
aspetta tanto ed ai risultati non corrispondono elogi. Ci sono persone nate per
oziare. Da loro non ci si aspetta niente. Se fanno poco sono sommersi di
complimenti. Guai ad aspettare le lodi del mondo. Il mondo è un cattivo pagatore
e quando paga lo fa sempre con l’ingratitudine.
Il ciclo vitale biologico della natura afferma che si nasce, si cresce, ci si
riproduce, si invecchia e si muore e l’evoluzione fa vincere i migliori. Solo a
noi umani è dato dare un senso alla propria vita.
Ergo. Ai miei figli ho insegnato:
Le ideologie, le confessioni, le massonerie vi vogliono ignoranti;
Le mafie, le lobbies e le caste vi vogliono assoggettati;
Le banche vi vogliono falliti;
La burocrazia vi vuole sottomessi;
La giustizia vi vuole prigionieri;
Siete nati originali…non morite fotocopia.
Siate liberi. Studiare, ma non fermarsi alla cultura omologata. La conoscenza è
l'arma migliore per vincere.
Editoriale stampa. La Casta degli editori: la censura occulta.
“L’editoria è la casta più importante. Gli editori sono i veri censori e i manipolatori della coscienza civile. Il sistema prima riconosce la libertà di manifestare il proprio pensiero e poi ne impedisce l’esercizio” Questo dice il dr Antonio Giangrande, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
La libertà di manifestazione del pensiero è una delle principali libertà e diritto fondamentale dell’era moderna. Tanto più se è mirata allo sviluppo socio-economico-culturale della comunità. Questa libertà è riconosciuta da tutte le moderne costituzioni. Ad essa è dedicato l’art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, come l'art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dall'Italia con l. 4 agosto 1955, n. 848. L'art. 21 della Costituzione italiana stabilisce che: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Tale libertà è, tra le altre, considerata come corollario dell'articolo 13 della stessa Costituzione della Repubblica italiana, che prevede l'inviolabilità della libertà personale, tanto fisica quanto psichica.
L'interpretazione dell'art. 21 dà vita a dei principi: Il diritto di critica e di cronaca, oltre alla libertà di informare e la libertà di essere informati.
Il pensiero per essere manifestato ha bisogno di formarsi come merce accessibile a tutti, quindi essere pubblicato e distribuito.
Ciò avviene in proprio o con l’editore.
La produzione in proprio con distribuzione porta a porta, è un’ipotesi fallimentare. L’opera non essendo sostenuta dalle istituzioni e non pubblicizzata dai media, non è acquistata da una moltitudine di utenti finali.
La produzione tramite un editore può avvenire, in modo improprio con la compartecipazione alle spese, ovvero senza oneri per l’autore. Naturalmente l’editore vaglia, corregge e censura le bozze dell’opera, oltre che valutarne la commerciabilità. Spesso non è importante l’opera, ma che l’autore sia un personaggio noto alle cronache, o che sia seguito dal pubblico, per usufruire dei benefici di visibilità. Spesso si privilegiano argomenti fatui e non di approfondimento e di denuncia, perché la società contemporanea sente l’esigenza di estraniarsi dalla realtà quotidiana.
L’editore, acquisendo i diritti dell’opera, la distribuisce e la vende, riconoscendo una minima parte dei proventi all’autore, per di più dopo molto tempo.
Paradosso: l’impedimento alla libertà di manifestare il pensiero è posto proprio dal sistema che ne prevede l’esistenza.
L’autore autoprodotto non ha benefici, né sovvenzionamenti, né visibilità.
L’editoria, quindi un’attività economica privata, ha finanziamenti pubblici e pubblicitari, benefici postali, regime speciale IVA, sostegno dei media e delle istituzioni.
A questo punto, per manifestare liberamente il proprio pensiero, si è costretti a rivolgersi ad apparati: che conformano l’opera alle proprie aspettative; che sono omologati, in quanto foraggiati dalla politica e dall’economia ed intimoriti dalla magistratura; che hanno distribuzione esclusiva e rapporti promozionali poco trasparenti. A riguardo è impossibile essere invitati o premiati a manifestazioni culturali, se non si è tutorati da qualche editore, pur avendo scritto un capolavoro. Spesso gli editori sono proprietari di testate d’informazione o di emittenti radiotelevisive, quindi si parla dell’opera o dell’autore solo se si fa parte dell’enturage.
Inoltre per poter pubblicare un articolo d’informazione si è costretti a far parte di un’altra casta: quella dei giornalisti.
C’è da dire che non tutti gli editori sono parigrado. C’è prevaricazione dei più forti a danno dei più deboli. Alcuni di loro, operanti nel campo radiotelevisivo, sono vittime di tentativi di acquisizione illegale delle frequenze assegnatele, con mancanza di tutela reale.
Quale è il trucco ?!
Ogni emittente ha una frequenza su cui è autorizzata a trasmettere con un'antenna di una certa potenza, per non disturbare le trasmissioni delle emittenti viciniori. Alcune di loro, tra cui alcuni grandi network nazionali, pensano bene di centuplicare illegalmente la loro potenza, irradiando il loro segnale di molto oltre a quello per cui sono autorizzati. In questo modo disturbano o oscurano le trasmissioni altrui, impedendo a questi l'acquisizione del mercato pubblicitario, fonte di sostentamento, che leso, porta al fallimento dell'impresa.
Il Ministero, informato dalla parte interessata, comunica la data dell'ispezione alla controparte, che ha il tempo di ripristinare la legalità, per poi ripetere l'abuso ad ispezione finita. Tempi e costi dell'operazione tecnica sono ammortizzabili da chi si avvantaggia illegalmente dell'acquisizione pubblicitaria indebita. Mal che vada, comunque, la parte colta in fragrante, deve sorbire solo una piccola multa.
Esemplare è il caso di Radio Padania. Il ministero dello Sviluppo economico zittisce la voce di Radio Padania Libera nel Salento. In una nota del 24 gennaio 2011 fatta pervenire in copia al Comune di Alessano, i competenti organi ministeriali scrivono che l’impianto dell’emittente leghista «non si intende autorizzato». Radio Padania dal 17 dicembre 2010 ha trasmesso nel Capo di Leuca da una postazione situata proprio ad Alessano e dotata di un sistema radiante collegato a un impianto da due kilowatt di potenza. Il segnale viaggia sui 105.600 MHZ in modulazione di frequenza e disturba quello dell’emittente salentina Radio Nice del gruppo leccese Mixer Media dell’editore Paolo Pagliaro, che trasmette su identico canale da Parabita. La radio lumbard ha i contenuti dei palinsesti carichi di risentimenti contro i meridionali espressi a chiara voce dai radioascoltatori padani, cui si lascia microfono libero. Ma la nota del ministero dello Sviluppo economico che sospende le trasmissioni di Radio Padania non risolve l’anomalia di mercato delle frequenze. Infatti il vero problema consiste nel fatto che Radio Padania gode del triplice privilegio di acquisire le frequenze in deroga, di avere un contributo annuale da parte del governo, di diventare proprietaria della frequenza trascorsi novanta giorni. La vera anomalia è proprio questa: in un momento in cui il mercato delle frequenze è bloccato, Radio Padania può, trascorsi novanta giorni, permutare le proprie frequenze ottenute in deroga con altre frequenze di radio commerciali. Occorre modificare questo privilegio concesso dalla finanziaria Bossi-Berlusconi del 2001. L’emittente della Lega Nord, in quanto comunitaria dovrebbe rendere un servizio, ma l’unica cosa che fa è quella di riempire di insulti i meridionali, senza che mai nessuno abbia denunciato il suo direttore per diffamazione a mezzo stampa.
Qualcuno spera che le opportunità tecnologiche, social network o blog, superino la censura mediatica. Poveri illusi. Non basta una piattaforma d’elite, chiusa ed autoreferenziale, con tecnologie non accessibili alla massa, oltretutto soggetta a sequestro ed ad oscuramento giudiziario.
Nulla, oggi, per arrivare a tutti, può soppiantare un buon articolo, un buon libro, una buona canzone, un buon film, o una buona trasmissione radiotelevisiva.
In conclusione. Con questo sistema si può ben dire che il libero pensiero, pur lecito e meritevole di attenzione, è tale solo quando è chiuso in una mente destinata all’oblio, altrimenti deve essere per forza conformato al sistema: quindi non più libero.
Recensione della Collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo”.
Una lettura alternativa per l’estate, ma anche per
tutto l’anno. L’autore Antonio Giangrande: “Conoscere per giudicare”.
"Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Dante,
Inferno XXVI.
La collana editoriale indipendente “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo”
racconta un’Italia inenarrabile ed inenarrata.
È così, piaccia o no ai maestrini, specie quelli di sinistra. Dio sa quanto gli
fa torcere le budella all’approcciarsi del cittadino comune, ai cultori e
praticanti dello snobismo politico, imprenditoriale ed intellettuale, all’élite
che vivono giustificatamente separati e pensosi, perennemente con la puzza sotto
il naso.
Il bello è che, i maestrini, se è contro i loro canoni, contestano anche
l’ovvio.
Come si dice: chi sa, fa; chi non sa, insegna.
In Italia, purtroppo, vigono due leggi.
La prima è la «meritocrazia del contenuto». Secondo questa regola tutto quello
che non è dichiaratamente impegnato politicamente è materia fecale. La
conseguenza è che, per dimostrare «l'impegno», basta incentrare tutto su un
contenuto e schierarsene ideologicamente a favore: mafia, migranti,
omosessualità, ecc. Poi la forma non conta, tantomeno la realtà della vita
quotidiana. Da ciò deriva che, se si scrive in modo neutro (e quindi senza farne
una battaglia ideologica), si diventa non omologato, quindi osteggiato o
emarginato o ignorato.
La seconda legge è collegata alla prima. La maggior parte degli scrittori
nostrani si è fatta un nome in due modi. Primo: rompendo le balle fin
dall'esordio con la superiorità intellettuale rispetto alle feci che sarebbero i
«disimpegnati».
Secondo modo per farsi un nome: esordire nella medietà (cioè nel tanto odiato
nazional-popolare), per poi tentare il salto verso la superiorità.
Il copione lo conosciamo: a ogni gaffe di cultura generale scatta la presa in
giro. Il problema è che a perderci sono proprio loro, i maestrini col ditino
alzato. Perché è meno grave essere vittime dello scadimento culturale del Paese
che esserne responsabili. Perché, nonostante le gaffe conclamate e i vostri moti
di sdegno e scherno col ditino alzato su congiuntivi, storia e geografia, gli
errori confermano a pieno titolo come uomini di popolo, gente comune, siano
vittime dello scadimento culturale del Paese e non siano responsabili di una sub
cultura menzognera omologata e conforme. Forse alla gente comune rompe il cazzo
il sentire le prediche e le ironie di chi - lungi dall’essere anche solo
avvicinabile al concetto di élite - pensa di saperne un po’ di più. Forse perché
ha avuto insegnanti migliori, o un contesto famigliare un po’ più acculturato, o
il tempo di leggere qualche libro in più. O forse perchè ha maggior dose di
presunzione ed arroganza, oppure occupa uno scranno immeritato, o gli si dà
l’opportunità mediatica immeritata, che gli dà un posto in alto e l’opportunità
di vaneggiare.
Non c'è nessun genio, nessun accademico tra i maestrini. Del resto, mai un vero
intellettuale si permetterebbe di correggere una citazione errata, tantomeno di
prenderne in giro l'autore. Solo gente normale con una cultura normale pure
loro, con una alta dose di egocentrismo, cresciuti a pane, magari a
videocassette dell’Unità di Veltroni e citazioni a sproposito di Pasolini.
Maestrini che vedono la pagliuzza negli occhi altrui, pagliuzza che spesso non
c'è neppure, e non hanno coscienza della trave nei loro occhi o su cui sono
appoggiati.
Per dimostrare quello che non si osa dire:
1) La migliore giornalista italiana non è giornalista (Sic) giusto per
dimostrare che nelle professioni spesso si abilita chi non lo merita.
2) Grillo vuol solo rottamare l’ordine dei giornalisti. Come tutti gli altri è
prono alle lobbies.
Questa è “Mi-Jena Gabanelli” (secondo Dagospia), la Giovanna D’Arco di Rai3, che
i grillini volevano al Quirinale. Milena Gabanelli intervistata da Gian Antonio
Stella per "Sette - Corriere della Sera".
Sei impegnata da anni nella denuncia delle storture degli ordini professionali:
cosa pensi dell'idea di Grillo di abolire solo quello dei giornalisti?
«Mi fa un po' sorridere. Credo che impareranno che esistono altri ordini non
meno assurdi. Detto questo, fatico a vedere l'utilità dell'Ordine dei
giornalisti. Credo sarebbe più utile, come da altre parti, un'associazione seria
e rigorosa nella quale si entra per quello che fai e non tanto per aver dato un
esame...».
Ti pesa ancora la bocciatura?
«Vedi un po' tu. L'ho fatto assieme ai miei allievi della scuola di giornalismo.
Loro sono passati, io no».
Essere bocciata come Alberto Moravia dovrebbe consolarti.
«C'era una giovane praticante che faceva lo stage da noi. Le avevo corretto la
tesina... Lei passò, io no. Passarono tutti, io no».
Mai più rifatto?
«No. Mi vergognavo. Per fare gli orali dovevi mandare a memoria l'Abruzzo e io
lavorando il tempo non l'avevo».
Nel senso del libro di Franco Abruzzo, giusto?
«Non so se c'è ancora quello. So che era un tomo che dovevi mandare a memoria
per sapere tutto di cose che quando ti servono le vai a vedere volta per volta.
Non ha senso. Ho pensato che si può sopravvivere lo stesso, anche senza essere
professionista».
Cultura, informazione e Società. A proposito di Wikipedia, l’enciclopedia censoria.
Wikipedia, secondo la presentazione contenuta sulla sua home page web, è un’enciclopedia online, collaborativa e gratuita. Disponibile in 280 lingue, Wikipedia affronta sia gli argomenti tipici delle enciclopedie tradizionali sia quelli presenti in almanacchi, dizionari geografici e pubblicazioni specialistiche. Wikipedia, a suo dire, è liberamente modificabile: chiunque può contribuire alle voci esistenti o crearne di nuove. Ogni contenuto è pubblicato sotto licenza Creative Commons CC BY-SA e può pertanto essere copiato e riutilizzato adottando la medesima licenza. La comunità di Wikipedia in lingua italiana è composta da 771.190 utenti registrati, dei quali 8.511 hanno contribuito con almeno una modifica nell’ultimo mese e 105 hanno un ruolo di servizio. Gli utenti costituiscono una comunità collaborativa, in cui tutti i membri, grazie anche ai progetti tematici e ai rispettivi luoghi di discussione, coordinano i propri sforzi nella redazione delle voci. Quello che non si dice di Wikipedia, però, è che, pur lagnandosi essa stessa del pericolo della censura, i suoi utenti con ruolo di servizio svolgono proprio un’attività censoria. Non tutti i contenuti inseriti, nuovi o di rettifica, sono pubblicati sulla cosiddetta enciclopedia libera. Wikipedia ha una serie di regole e di linee guida per la pubblicazione, ma poi ti accorgi che sono puri accorgimenti per censurare contenuti e personaggi non aggradi all’utente di turno con mansioni di servizio. Censura dovuta ad ignoranza o mala fede. Un esempio: provate a cercare Antonio Giangrande, o i suoi 40 libri, o Associazione Contro Tutte le Mafie. Non troverete nessuna pagina a loro dedicata, e si potrebbe capire non reputandoli degni di attenzione, ma non troverete anche alcun riferimento a contenuti attinenti ed esistenti ed inclusi in altre pagine. Per esempio, alla voce mafia tra le associazioni antimafia non vi è l’Associazione Contro Tutte le Mafie. Addirittura hanno tolto il riferimento bibliografico al libro con il titolo “Sarah Scazzi, il delitto di Avetrana. Il resoconto di un Avetranese”, scritto da Antonio Giangrande e da tempo inserito alla pagina “Il Delitto di Avetrana”. Ognuno, comunque, può verificare da sé con i propri contenuti. Alla fine ti accorgi che, mancando alcune opere, fatti, personaggi o contenuti nuovi o di rettifica, dovuti al fatto perché vi è impedimento al loro inserimento, Wikipedia proprio un’enciclopedia libera non è.
La censura video.
INVITO ALL’APPROFONDIMENTO: LA RAI, YOUTUBE E
LA CENSURA.
Può la Rai, servizio pubblico di un’azienda di Stato, finanziata con il
canone e le tasse dei cittadini, vantare diritti esclusivi di diritto d'autore
su fatti di cronaca ed impedire la divulgazione di notizie di interesse pubblico
e violare le norme internazionali del fair use o del fair dealing ai sensi delle
leggi vigenti sul copyright?
Tutto inizia e finisce con una E-mail.
Venerdì 18/05/2018 19:40 da YouTube <accounts-noreply@youtube.com> ad ANTONIO
GIANGRANDE <presidente@ingiustizia.info>: [Avviso di rimozione per violazione
del copyright] Il tuo account YouTube verrà disattivato tra 7 giorni.
Salve ANTONIO GIANGRANDE, In seguito a una richiesta di rimozione per violazione
del copyright siamo stati costretti a rimuovere il tuo video da YouTube: Titolo
del video: Sarah Scazzi. Il processo. 1ª parte. La scomparsa.
Rimozione richiesta da: RAI. Questo significa che non sarà più possibile
riprodurre il video su YouTube. Hai ricevuto un avvertimento sul copyright. Al
momento hai 3 avvertimenti sul copyright. Per questo motivo, è prevista la
disattivazione del tuo account tra 7 giorni. Il tuo canale rimarrà pubblicato
per i prossimi 7 giorni per consentirti di cercare una soluzione e mantenerlo
attivo. Se ritieni di non essere in torto in uno o più casi sopra descritti,
puoi fare ricorso inviando una contronotifica. Durante l'elaborazione della
contronotifica, il tuo account non verrà disattivato. Tieni presente che l'invio
di una contronotifica con informazioni false può comportare gravi conseguenze
legali. Puoi inoltre contattare l'utente che ha rimosso il tuo video e
chiedergli di ritirare la richiesta di rimozione. Durante questo periodo, non
potrai caricare nuovi video e gli avvertimenti sul tuo account non scadranno.
Risposta: Il mio utilizzo dei contenuti soddisfa i requisiti legali del fair use
o del fair dealing ai sensi delle leggi vigenti sul copyright. Le norme
nazionali ed internazionali mi permettono di fare copie singole di parti di
opere per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. Infatti
sono autore del libro che racconta della vicenda. A tal fine posso assemblarle o
per fare una rassegna stampa. In ogni caso le immagini sono di utilizzo pubblico
così come stabilito dal tribunale di Taranto in virtù del decreto
dell’autorizzazione esclusiva alle telecamere di “Un Giorno in Pretura” con
obbligo di condividere i filmati con gli altri media. Su questo filmato altre
rivendicazioni analoghe sono state ritirate in seguito alla stessa
contestazione. E comunque, stante che il filmato è già stato rimosso da youtube,
si chiede alla signoria vostra di ritirare l’avvertimento, affinchè l’intero
canale “Antonio Giangrande” con 387 video di Pubblico Interesse non venga
disattivato.
Insomma non si presenta la contronotifica, per minaccia di azioni legali del
colosso Rai e si genuflette per un diritto.
Ma Youtube non si ferma qua. Già, sul portale di informazione ed approfondimento
in oggetto, pagava solo 1 decimo di tutti i video di cui si era chiesto la
monetizzazione. E non solo a quel portale.
California, a sparare una youtuber: «Era arrabbiata perché la società le aveva
sospeso i pagamenti». Il padre della donna che ha aperto il fuoco, Nasim Aghdam:
«Odiava la società». Aghdam, 39 anni scriveva: «Non c'è libertà di parola»,
scrive Marta Serafini il 4 aprile 2018 su "Il Corriere della Sera". Era
arrabbiata perché «YouTube aveva smesso di pagarla per i video che pubblicava
sulla piattaforma». Gli investigatori scavano nel passato di Nasim Aghdam, 39
anni, attivista vegana e animalista residente a San Diego, che ha fatto fuoco
nel campus di San Bruno ferendo tre persone per poi togliersi la vita. A
confermare l’ipotesi che la donna fosse furibonda con YouTube, il padre Ismail
Aghdam che in un’intervista ad un giornale locale ha spiegato come la figlia
fosse sparita lunedì e non rispondesse al telefono da due giorni. «Era
arrabbiata perché YouTube aveva sospeso tutto, li odiava», ha dichiarato l’uomo.
L’ipotesi è la società avesse sospeso i pagamenti o a causa dei contenuti
inappropriati dei filmati postati dalla donna o a causa di un calo dei follower.
Secondo la Nbc un suo filmato era stato censurato da YouTube e secondo il New
York Times tutti i suoi canali erano stati rimossi martedì notte. Il 20 febbraio
YouTube ha stabilito nuove regole che escludono dalla monetizzazione i canali
con meno di 10.000 abbonati e meno di 4.000 ore di visualizzazione e
probabilmente i filmati di Aghdam sono rientrati in questo giro di vite.
Cos'è accaduto e chi era la donna. Aghdam, di origini iraniane, aveva una
presenza sul web «rilevante», un sito internete postava video dal 2011 con il
nickname di Nasim Wonderl e sul suo sito. Il contenuto variava: dalle ricette
vegane, passando per le parodie musicali, fino ai commenti contro la violenza
sugli animali e gli esercizi di bodybuilding. «Tutti i miei video sono
autoprodotti senza l'aiuto di nessuno», scriveva orgogliosa. Aghdam si sarebbe
lamentata più volte pubblicamente perché alcuni suoi post erano stati vietati ai
minori, un trattamento che la stessa youtuber aveva denunciato non essere
applicato a filmati dai contenuti più espliciti come i video clip di Miley Cyrus.
«Non c’è libertà di parola nel mondo e verrai perseguitata per aver detto la
verità», scriveva. Su Instagram il 18 marzo si lamentava di nuovo della censura
di YouTube. La donna era anche un’attivista della Peta e manifestava a favore
dei diritti degli animali. «Per me gli animali devono avere gli stessi diritti
degli esseri umani», diceva a Los Angeles Times nel 2009.
YouTube sta rendendo più restrittive le regole che consentono agli iscritti di
inserire pubblicità nei propri video e di guadagnare soldi. Lo scopo principale
dell’iniziativa è quello garantire agli inserzionisti che i propri spot non
finiscano all’interno di contenuti inappropriati o con immagini disturbanti,
come avvenuto in passato.
La novità è stata annunciata dalla stessa azienda con un post sul blog “YouTube
creators”: a partire da ieri, per iscriversi al “Programma partner” sono
necessari almeno 1000 iscritti al proprio canale e 4000 ore di visualizzazione
nell’arco degli ultimi 12 mesi.
“Le nuove regole ci permetteranno di migliorare in maniera significativa la
nostra capacità di individuare i canali che contribuiscono positivamente alla
nostra community e ci aiuteranno a generare maggiori entrate pubblicitarie per
loro (e a tenerci lontano dai "cattivi attori"). Questi standard più elevati ci
aiuteranno anche a evitare che i video potenzialmente inappropriati possano
monetizzare, danneggiando i ricavi per tutti”, hanno spiegato Neal Mohan, chief
product officer e Robert Kyncl, chief business officer. In precedenza, il
requisito minimo per accedere al programma era quello delle 10mila
visualizzazioni complessive. La differenza sembra sostanziale: a pagarne le
conseguenze saranno sicuramente i canali più piccoli, che non attraggono un
pubblico vasto ma che fino due giorni fa potevano guadagnare e perlomeno
sostenere la realizzazione dei propri video. Prima di diventare famosi e
raggiungere i requisiti richiesti, adesso gli aspiranti Youtuber dovranno
trovare delle strade alternative per finanziare i propri progetti. YouTube pensa
ovviamente ai propri interessi: un paio di mesi fa, aveva perso milioni di
dollari di ricavi, in seguito alla decisione di alcuni inserzionisti – tra i
quali Adidas, Mars, Deutsche Bank – di lasciare la piattaforma dopo essersi
ritrovati la propria pubblicità sui dei video disseminati di commenti pedofili.
Come sottolinea il sito d’informazione The Next Web, l’approccio sembra
contraddittorio: i nuovi criteri rendono la vita più difficile ai canali con
pochi iscritti e visualizzazioni, lasciando tuttavia uno spiraglio ai
trasgressori che distribuiscono contenuti inappropriati, ma che hanno successo.
YouTube pensa di risolvere la questione affidandosi non solo alla metrica
quantitativa, ma anche alle segnalazioni che arrivano dalla community e a
metodologie di rilevazione di spam o altri abusi più efficaci.
L’annuncio arriva a distanza di una settimana della vicenda che ha coinvolto
Logan Paul: il famoso Youtuber, apprezzatissimo tra i teenager, aveva condiviso
il video di un suicidio avvenuto in Giappone. A rimuovere il contenuto però non
era stato YouTube, bensì il suo stesso creatore. Con le identiche modalità era
scomparso il video caricato qualche mese fa da PewPewDie – che con i suoi 12
milioni di dollari è tra le 10 star più pagate del Tubo nel 2017 – nel quale
comparivano due uomini a petto nudo che avevano in mano un cartello con la
scritta “Death to All Jews”. I due episodi, in particolare, hanno spinto YouTube
a modificare anche le regole di Google Preferred, la soluzione di advertising
dedicata ai canali più popolari (circa il 5% del totale): tutti i contenuti del
programma saranno valutati da un moderatore e approvati manualmente. Se da un
lato le mosse appaiono logiche e sensate, soprattutto per non perdere la fiducia
degli inserzionisti e milioni di ricavi dalla pubblicità, dall’altro non si può
fare a meno di notare che che la nuova policy, rischia di stroncare sul nascere
i sogni di migliaia aspiranti youtuber e di rendere esclusiva una piattaforma
che ha fatto invece dell’inclusività uno dei fattori chiave del suo successo.
Le migliori alternative a YouTube, scrive "1and1". YouTube è il campione
indiscusso tra i portali video e può tranquillamente essere definito come il
leader del settore. Con oltre un miliardo di utenti, secondo i dati forniti
dalla compagnia stessa, quasi un terzo di tutta l’utenza Internet naviga su
YouTube. È indubbio che la piattaforma da tempo sia stata riconosciuta anche
come un efficace strumento di marketing. I video sono caricabili con pochi click
e tramite la generazione automatica di un codice HTML sono facilmente postabili
su siti web esterni. Inoltre, dal 2010, quando YouTube e SIAE hanno firmato un
accordo riguardo ai video musicali e ai proventi generati dalle visualizzazioni
di questi, è diventato ancora più difficile per la concorrenza. Dunque è lecito
porsi la seguente domanda: quali alternative ci sono a YouTube?
Le alternative attive a YouTube presentate in questo articolo sono cinque e sono
Vimeo, Dailymotion, Veoh, Vevo e Flickr. Questi quattro servizi offrono agli
utenti privati ed a coloro che li utilizzano per lavoro molte possibilità
diverse, come guardare e mettere a disposizione contenuti eccezionali.
Dailymotion è un portale video di origine francese, che rappresenta una delle
migliori alternative a YouTube in termine di numero utenti, soprattutto nel suo
paese di origine. Nel 2015 il servizio ha registrato una utenza attiva del 23%.
Comparando a livello internazionale, nessun altro servizio raggiunge un valore
simile. In Francia infatti Dailymotion si trova secondo solo a YouTube, che ha
una utenza attiva del 57%. Ad ogni modo, anche in altri paesi Dailymotion si
trova al secondo posto dietro a YouTube. La compagnia calcola i suoi utenti in
giro per il globo attorno ai 300 milioni. Mensilmente vengono visualizzati 3,5
miliardi di video su Dailymotion. In Italia Dailymotion riceve 6 milioni di
unique viewers al mese, registrando un totale di circa 65 milioni di
visualizzazioni tra tutti i tipi di dispositivi. Dailymotion punta
principalmente sulle specifiche di upload: con file video fino a 2GB e 60 minuti
di durata. Vengono supportati numerosi formati video e audio, così che è
possibile scegliere tra file con estensione .mov, .mpeg4, .mp4, .avi e .wmv.
Come codec video e audio vengono consigliati rispettivamente H.264 e AAC con un
frame rate di 25FPS. La risoluzione massima possibile è 1080p (Full HD). In
questo modo il portale si confà anche agli uploader più esigenti; i file di
grandi dimensioni sono ben accetti tanto quanto lo è una qualità convincente
dell’immagine. Il layout, di colore blu e bianco, è semplice e comodo da
utilizzare. L’ordine degli elementi è decisamente orientato a quello di YouTube,
che ha il vantaggio, che anche i principianti riescono a raccapezzarci qualcosa
sin da subito. Anche l’integrazione e la condivisione dei video su piattaforme
esterne è semplice; con un click il codice HTML corretto viene automaticamente
generato. Ci sono inoltre ulteriori funzioni per i cosiddetti partner, i quali
hanno la possibilità di guadagnare soldi con Dailymotion esattamente come su
YouTube. Anche con Dailymotion si può monetizzare con i video, personalizzare il
player e controllare i proventi attraverso il tool di analisi. Perciò
Dailymotion è una delle migliori alternative a YouTube particolarmente per i
blogger, che vogliono mettere i propri contenuti a disposizione solo a pagamento
o che vogliono offrire dei contenuti premium separati. Chi ad esempio vuole
usufruire della monetizzazione offerta da Dailymotion per un sito web, può sia
attivare il proprio sito sia incorporare un dispositivo speciale del provider.
Alcuni partner rinomati hanno già preso parte a questo programma, e tra questi
vi sono ad esempio la CNN, la Süddeutsche Zeitung e la Deutsche Welle. Anche la
vasta scelta di App di Dailymotion risulta piacevole. L’alternativa a YouTube è
presente con apposite App su molte Smart TV, set-top box o sulla Playstation 4
della Sony, e può essere guardata comodamente dal divano di casa. Il servizio
può essere utilizzato anche da dispositivo mobile con applicazioni iOS, Android
o Windows.
Censura da Amazon libri. Del Coronavirus
vietato scrivere.
"Salve, abbiamo rivisto le informazioni che ci hai fornito e confermiamo la
nostra precedente decisione di chiudere il tuo account e di rimuovere tutti i
tuoi libri dalla vendita su Amazon. Tieni presente che, come previsto dai nostri
Termini e condizioni, non ti è consentito di aprire nuovi account e non
riceverai futuri pagamenti royalty provenienti dagli account aggiuntivi creati.
Tieni presente che questa è la nostra decisione definitiva e che non ti
forniremo altre informazioni o suggeriremo ulteriori azioni relativamente alla
questione. Amazon.de".
Amazon chiude l’account del saggista Antonio Giangrande, colpevole di aver
rendicontato sul Coronavirus in 10 parti.
La chiusura dell’account comporta la cancellazione di oltre 200 opere
riguardante ogni tema ed ogni territorio d’Italia.
Opere pubblicate in E-book ed in cartaceo.
La pretestuosa motivazione della chiusura dell’account: “Non abbiamo ricevuto
nessuna prova del fatto che tu sia il titolare esclusivo dei diritti di
copyright per il libro seguente: Il Coglionavirus. Prima parte. Il Virus.”
A loro non è bastato dichiarare di essere l’esclusivo autore del libro in
oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio account Amazon.
A loro non è bastato dichiarare che sul mio account Amazon non sono pubblicate
opere con Kdp Select con diritto di esclusiva Amazon.
A loro non è bastato dichiarare altresì di essere l’esclusivo autore del libro
in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio account Google, ove si
potrebbero trovare le medesime opere pubblicate su Amazon, ma solo in versione
e-book.
A loro interessava solo chiudere l’account per non parlare del Coronavirus.
A loro interessava solo chiudere la bocca ad Antonio Giangrande.
Che tutto ciò sia solo farina del loro sacco è difficile credere.
Il fatto è che ci si rivolge ad Amazon nel momento in cui è impossibile trovare
un editore che sia disposto a pubblicare le tue opere.
Opere che, comunque, sono apprezzate dai lettori.
Ergo: Amazon, sembra scagliare la pietra, altri nascondono la mano.
AMAZON. CENSURA LA CONTRO-INFORMAZIONE SUL COVID. Cristiano Mais su La Voce delle Voci il 7 Ottobre 2020. La scure della censura contro le verità che danno fastidio. L’oscuramento di tutto coloro i quali, in modo autonomo e indipendente, con i propri mezzi e sforzi personali, cercano di fare autentica controinformazione. Succede adesso, è il caso di dirlo, ad un pioniere della comunicazione, Alberto Contri. Proprio come è successo, alcuni mesi fa, ad un pioniere nel campo dei vaccini, Giulio Tarro, con il suo “Covid, il virus della paura”. Allievo di Albert Sabin che scoprì l’antipolio, per ben due volte nella cinquina del Nobel per la Medicina, Tarro è l’autore di un libro che ha subito cercato di far luce sul bollente tema del Coronavirus e la disinformazione imperante. Incorrendo subito negli strali di Amazon, che ha inserito il volume nella sua vetrina virtuale, impedendone però l’acquisto. La strategia di Amazon era il fresco frutto avvelenato di un accordo per la “non informazione” siglato addirittura con l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, il super organismo internazionale controllato da Bill Gates. L’OMS, infatti, non gradiva tutto ciò che avrebbe potuto aprire gli occhi a tanti cittadini. Costretti invece ad ingurgitare montagne di fake news propinate dai media di regime. Lo stesso copione, adesso, per l’altrettanto scomodo “La sindrome del criceto”, firmato da Alberto Contri ed edito da “La Vela”, piccola casa ma coraggiosa casa editrice guidata da David Nieri. Denunciano Contri e Nieri: “Abbiamo fatto in estate una intensa campagna social per promuovere il libro, con buoni risultati di vendita. Ma non con Amazon: sappiamo che ha ricevuto molte richieste alle quali non ha dato e non dà seguito, perché dicono che stanno ristrutturando i processi di acquisizione e vendita e poi hanno problemi di algoritmo”. Un modo come un altro per boicottare in modo palese l’uscita del Criceto. Sottolineano ancora Contri e Nieri: “I monopolisti della distribuzione, oltre a distruggere intere filiere concorrenti, intervengono sulla libertà di pensiero, agevolando od ostacolando la presenza di prodotti e di libri nei loro scaffali virtuali. Semplicemente vergognoso. Ricordiamo che il nostro libro si può ordinare direttamente andando sul sito edizionilavela.it”. Contri è stato il fondatore e per anni animatore della Federazione Italiana della Comunicazione, quindi presidente di Pubblicità Progresso.
Amazon denunziata per la censura di libri sul Coronavirus. su La Voce delle Voci il 30 Giugno 2020. Amazon nega anche ad un giornalista italiano, Francesco Amodeo, la vendita on line di un libro sul coronavirus. Lo scrittore non si arrende e decide di chiedere alla giustizia l’autorizzazione alla vendita del suo testo e il risarcimento danni subiti rispetto ad altri autori, preferiti da Amazon, conferendo mandato all’avvocato Angelo Pisani di trascinare in tribunale il colosso commerciale del web per combattere ogni forma di censura. L’avvocato Angelo Pisani, nel denunciare all’Autorità Giudiziaria ogni violazione in danno del giornalista censurato e la arbitraria e fuorviante strategia commerciale di Amazon, chiede anche l’immediato intervento dell’Antitrust e massima tutela per le vittime indifese del sistema Amazon. Il caso del giornalista Amodeo non è l’unico. Anche il professor Giulio Tarro ed altri autori sono stati esclusi dalla piattaforma Amazon per il mancato gradimento da parte di qualcuno dei loro iscritti, ma non è possibile giustificare simili violazioni dei fondamentali principi di informazione legalità e democrazia. Insomma, esplode una guerra legale contro il colosso del web per porre freno a censure e discriminazioni e comprendere il perché di tanto interesse e volontà di indirizzamento. Questo l’attacco di Pisani. «Ingiustificabile e discriminatoria la strategia della società Amazon, che la comunica al giornalista Amodeo il rifiuto di vendere il suo libro-inchiesta “31 coincidenze sul coronavirus e sulla nuova Guerra Fredda USA-Cina” sulla loro piattaforma kindle, perché violerebbe le loro linee guida, spiegando che a causa del rapido cambiamento delle condizioni relative al Virus Covid19, si sarebbe deciso di indirizzare la clientela verso fonti ufficiali per ottenere informazioni sul virus, proponendo pertanto all’autore del libro l’assurda scelta di valutare la rimozione dei riferimenti al Covid19, affinchè lo stesso possa vendersi sulla piattaforma Amazon». Pare che l’algoritmo censuri in automatico i libri che fanno riferimento alla parola “coronavirus” nel titolo. Non sembra però un’ipotesi plausibile, dal momento che sul portale Amazon sono in vendita libri che contengono nel titolo la parola “coronavirus”, come il libro di Roberto Burioni, intitolato: “Virus, la grande sfida: Dal coronavirus alla peste: come la scienza può salvare l’umanità”. «Purtroppo – denuncia l’avvocato Pisani – risulta chiaro che se il libro è in linea con una certa versione sul virus, non esistano linee guida né algoritmi capaci di intercettarne le parole. Se in fase di revisione i libri fossero letti si sarebbero accorti che nel libro inchiesta di Amodeo sono pubblicate 150 foto tratte solo da fonti ufficiali, analizzando oltretutto il coronavirus non dal punto di vista sanitario, ma dal punto di vista giornalistico e geopolitico. Non vi era quindi alcuna ragione di censurarlo, ma il sistema preferisce imporre un altro sapere». Di fronte a queste condotte, al di là degli approfondimenti e di indagini su tematiche delicate e stravolgenti come quelle su mondo del coronavirus – dichiara l’avvocato Pisani – non si può far finta di nulla e non chiedere tutela per l’autore discriminato Francesco Amodeo vittima di illegittima censura e discriminazione ingiustificabile da parte del sistema Amazon che, in barba ai fondamentali principi di trasparenza, correttezza e buona fede non può escludere libri non graditi accettando invece il libro di Burioni (sul quale invece il reportage delle Iene ha dimostrato il conflitto di interessi con le case farmaceutiche). Oltre a presentare ricorso cautelare e richiesta risarcitoria alla Magistratura, ricorriamo anche dell’Antitrust e dell’Ordine dei giornalisti per la tutela dei diritti di tutti noi e la difesa del diritto di informazione, in uno alla corretta concorrenza commerciale. Dalle prime indagini emerge in realtà che proprio l’Organizzazione Mondiale della Sanità non voglia vedere in giro tesi contrarie sul coronavirus. Stavolta però si mina la libertà d’informazione, in combutta con Amazon. Per la serie: i due big boss a stelle e strisce Bill Gates, fondatore di Microsoft e grande finanziatore dell’OMS, e Jeff Bezos, in sella al colosso della distribuzione, sono oggi uniti nell’indirizzamento dei lettori e negano la commercializzazione e diffusione di altri testi, generando anche ingiustificabile disinformazione. Così si impedisce ai cittadini di farsi una propria idea e di comprendere la vera storia del coronavirus e quali sono i motivi e gli autentici responsabili della pandemia che sta mettendo in ginocchio il mondo. «Pochi lo sanno – attacca Pisani – ma già ad inizio febbraio 2020 OMS, Amazon e altri book store a livello internazionale hanno deciso di indirizzare i lettori a fonti preferenziali tramite un accordo che va sotto il nome di “Covid Policy”, con lo scopo dichiarato di “bloccare la vendita di libri che avrebbero, a dire del sistema dominante, l’obiettivo di fomentare la paura o, peggio, di diffondere teorie di cospirazione sul Covid”. Con queste ultime, strategiche parole, in pratica viene attuata una politica di vendite editoriali che nessuno mai in democrazia si sarebbe mai sognato di mettere in atto: meglio, a questo punto, bruciarli, quei libri scomodi, invece che vigliaccamente impedirne la diffusione». «Pare che a qualcuno dia fastidio la conoscenza di quanto è successo per la tragedia del coronavirus: non si devono ricercare colpevoli della strage e capovolgimento del mondo in corso, ma fortunatamente noi continueremo sempre a scrivere per l’amore della verità e dell’informazione, garantisce l’avvocato al giornalista oscurato da Amazon».
AMAZON. BLOCCA l’USCITA DEL LIBRO-ACCUSA DI TARRO SUL COVID. Paolo Spiga su La Voce delle Voci il 20 Giugno 2020. L’Organizzazione Mondiale della Sanità colpisce ancora. Stavolta la libertà d’informazione, in combutta con Amazon. Per la serie: i due big boss a stelle e strisce Bill Gates, fondatore di Microsoft e grande finanziatore dell’OMS, e Jeff Bezos, in sella al colosso della distribuzione, sono oggi uniti nella lotta per la disinformazione. Impediscono ai cittadini di conoscere la vera storia del coronavirus e quali sono gli autentici responsabili della pandemia che sta mettendo in ginocchio il mondo. Pochi lo sanno, infatti, ma già ad inizio febbraio 2020 OMS, Amazon e altri book store a livello internazionale hanno sottoscritto un patto che va sotto il nome di “Covid Policy”, il cui scopo dichiarato e basilare è stato ed è quello di “bloccare la vendita di libri che hanno l’obiettivo di fomentare la paura o, peggio, di diffondere teorie di cospirazione sul Covid”. Con queste ultime, strategiche parole, in pratica viene attuata una politica di vendite editoriali che neanche i nazisti si sarebbero mai sognati di mettere in atto: meglio, a questo punto, bruciarli, quei libri eretici, invece che vigliaccamente oscurarli e con sotterfugi impedirne la diffusione. E soprattutto la conoscenza di quanto è successo per la tragedia del coronavirus: dove ci sono nomi, cognomi e indirizzi dei colpevoli della strage, fino ad oggi impuniti, a piede libero. E guarda caso, i colpevoli si possono rintracciare proprio sotto i vessilli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e della Bill & Melinda Gates Foundation, come abbiamo documentato nell’inchiesta del 19 giugno. Ovvio, quindi, che killer e mandanti si siano ben attrezzati e premuniti – come testimonia la “Covid-Policy” – per nascondere le verità, per affossare quella contro-informazione, quei libri che spiegano e documentano la scientifica strage del Covid-19, ottimamente studiata a tavolino, mossa per mossa, azione per azione. Un esempio fresco e lampante? Amazon ha appena bloccato la vendita del libro firmato dal più autorevole virologo italiano, Giulio Tarro, intitolato “Covid, il Virus della paura”, che fa luce su una serie di fatti e vicende che la dicono lunga sulle responsabilità di Big Pharma nella coronavirus-story, su quelle dell’OMS, della Fondazione Gates, e – sul fronte di casa nostra – del governo e di tanti, troppi cialtroni travestiti da scienziati. Evidentemente un pugno nello stomaco per amici & sodali di Amazon, come appunto sancito dalla “Covid-Policy” ammazza libertà e democrazia. Così dichiara Tarro. “Invece di indossare i panni del martire, preferisco evidenziare come i condizionamenti posti dalla "Covid-Policy" stanno facendo perdere credibilità soprattutto alle riviste scientifiche. Mi riferisco alla planetaria figuraccia della rivista ‘The Lancet’ sulla idrossiclorochina. Se "The Lancet" ha dovuto ritirare il suo articolo è solo perché centinaia di medici, tra i quali molti che avevano pazienti in cura con idrossiclorochina, si sono dovuti mobilitare contro quell’articolo che aveva immediatamente fatto sospendere la vendita di un farmaco efficace. Una mobilitazione che spero segni l’inizio di una presa di coscienza politica in una categoria, quale quella dei medici, che non brilla certo per coraggio. Basti pensare, ad esempio, alle vaccinazioni alle quali, come è noto, la stragrande maggioranza dei medici non si sottopone (e molti, addirittura, arrivano a redigere falsi certificati di vaccinazione per i propri pazienti). Ma quando si trattò di prendere posizione contro la radiazione del medico Roberto Gava, "colpevole" di esternare pubblicamente alcune sacrosante considerazioni sui vaccini, tra i 400mila medici italiani iscritti all’Ordine, solo pochissimi hanno sottoscritto una lettera di protesta”. Aggiunge Tarro: “Sembra normale che "The Lancet", considerata la Bibbia della Medicina, non si sia degnata di verificare che gli strampalati dati sui quali si basava l’articolo erano falsi? Ma cosa c’era davvero dietro la pubblicazione di quell’articolo destinato a togliere di mezzo un farmaco che faceva svanire i guadagni legati al vaccino anti-Covid? Ma quali intrallazzi si nascondono dietro tanti articoli che pubblicati su autorevoli riviste scientifiche spianano ai loro autori una carriera accademica? Basta leggersi il libro di Marcia Angell, già direttrice del "New England Journal of Medicine", ovvero "Farma&Co. Industria farmaceutica: storie di straordinaria corruzione". Che ovviamente non è disponibile su Amazon”.
PER IL NUOVO COLOSSO MONDADORI-RIZZOLI IN ARRIVO L’ANTITRUST. MA ECCO COSA SUCCEDE NEGLI USA CON IL CASO AMAZON. Paolo Spiaga su La Voce delle Voci il 24 Ottobre 2015. Mondadori ingoia Rizzoli, un affare da 127 milioni di euro. Dopo sette mesi di tira e molla, di trattative, di “si dice”, manifesti anti fusione, esternazioni anti berlusconiane da parte di un nutrito gruppo di autori, ai primi di ottobre il matrimonio si fa e nasce il nuovo colosso che sfiora il 40 per cento del mercato dei libri, mettendosi alle spalle – iperdistanziate – le altri sigle (Gems al 10, Giunti al 6, Feltrinelli col 5 e De Agostini con il 2 per cento). Sconto da circa 8 milioni sulla base iniziale della trattativa, perchè Mondadori si “accolla” il rischio Antitrust: vale a dire cosa dirà, a questo punto, l’autorità di controllo circa la legittimità o meno di un colosso del genere, che – secondo alcuni addetti ai lavori – in qualche comparto (ad esempio i tascabili), arriva addirittura a detenere l’80 per cento del mercato. Minimizzano il rischio alla Mondadori: “nella scolastica – osservano – non superiamo il 25 per cento mentre nel commerciale in senso ampio non andiamo oltre il 35 per cento: quindi quote compatibili in un libero mercato”. Le cifre dei fatturati, comunque, sono elevatissime: ai circa 240 milioni di introiti della divisione libri della Mondadori, infatti, si sommeranno gli oltre 220 che arrivano dalle entrate di Rcs Libri (ossia i nuovi marchi Bompiani, Fabbri, Sonzogno, Marsilio e la stessa Rizzoli). Un’operazione fortemente voluta da Ernesto Mauri, convinto che la nascita del nuovo colosso possa dare impulso al mercato del libro in Italia, allineandoci ai trend dei paesi esteri (e anche per fronteggiare l’assalto di Amazon). Di parere opposto, ad esempio, un altro Mauri, Stefano, al timone di Gems dalla sua nascita (in tandem con Spagnol), tra i parti più riusciti quello di Chiarelettere. Ai microfoni di Lilli Gruber per Otto e mezzo, Stefano Mauri ha espresso i suoi dubbi circa la nascita del colosso-competitor: e ha denunciato l’esistenza di un vero e proprio “monopsonio”. Tecnicamente si tratta della presenza, sul mercato, di “un solo acquirente a fronte di una pluralità di venditori” (mentre il monopolio è caratterizzato da “un unico venditore che offre il suo prodotto”). E’ la stessa accusa che negli Stati Uniti tre storiche e agguerrite sigle associative – American Bookseller Association, Authors United e Authors Guild – hanno formulato nei confronti di Amazon a metà luglio, chiedendo un pronunciamento da parte dell’Antitrust a stelle e strisce, in particolare al “Justice Department of the Antitrust Division”. I promotori chiedono di verificare l’esistenza di una “posizione dominante” nel mercato editoriale ormai detenuto da Amazon, che “ha ottenuto una posizione di monopolio nella vendita dei libri e di monopsonio nell’acquisto di libri”. Il gruppo di Seattle – spiegano alcuni esperti – sarebbe cioè “venditore unico o quasi nel primo caso, compratore unico o quasi nel secondo caso”. Se il buongiorno si vede dal mattino, Amazon ha buone chance per farla franca, o quasi. Il numero uno dell’Antitrust, William J. Baer, ha “esternato” a giugno in modo “leggermente” inappropriato, celebrando – scrive il New York Times – il modello economico “selvaggio” di Amazon nel campo degli e-book: “è servito ad alimentare la competizione”, “a ravvivare il mercato”, è il parere di Baer. Qualche “conflitto” in vista anche negli Usa e nelle “sentenze”? Di parere opposto – cita ancora il New York Times – una nota firma statunitense, Peter Meyers, fresco autore di “Breaking the Page” sul passaggio dalla stampa al digitale: “Il successo di Amazon – sottolinea Meyer – ha schiacciato la competizione”. Insomma un Golia senza alcun Davide all’orizzonte capace di intimorirlo. Ma vediamo, più in dettaglio, le principali accuse contenute nel documento (24 pagine) inviato al Dipartimento di giustizia dalle tre sigle associative, “gruppi che rappresentano – scrive ancora il New York Times – migliaia di autori, agenti e librai indipendenti”. In primo luogo, viene sottolineato, “Amazon ha usato la sua posizione dominante in modi che secondo noi danneggiano i lettori americani, impoveriscono l’industria editoriale nel suo complesso, danneggiano le carriere di molti autori (generando paura fra di essi) e impediscono il libero scambio delle idee nella nostra società”. Bordate da non poco. “Non esiste un solo esempio, nella storia americana, dove la concentrazione di potere nella mani di una sola compagnia abbia alla fine portato benefici ai consumatori”. Ecco alcune fra le pratiche più “distruttive” adottate da Amazon nella sua politica iperaggressiva: “vendere alcuni libri e non altri sulla base di precise tendenze politiche; vendere alcuni libri sottocosto in modo tale da mettere in serie difficoltà, fino ad estromettere, le aziende editoriali dotate di minori mezzi economici; bloccare o ridurre la vendita di alcuni libri (per milioni di copie) per esercitare pressione sugli editori; esercitare la sua posizione dominante per ottenere una percentuale sulle vendite superiore rispetto agli altri editori”. Pratiche e tattiche commerciali che “minano alla base l’ecosistema dell’intera industria del libro negli Stati Uniti”, in una misura che risulterà molto dannosa anche per gli autori della “mid list”, quelli emergenti, le “voci delle minoranze”. Ci voleva la guerra con Amazon (che oggi controlla un terzo del mercato dei nuovi prodotti stampati e i due terzi delle vendite di e-book) per riuscire a riunire sigle storicamente mai gemellate, come ad esempio la Bookseller Association e Author Guilds, che mettono insieme 9000 autori e 2.200 punti vendita. “I nostri punti di vista fino ad oggi sembra siano stati ignorati”, lamentano, ma confidano nel fatto che “il clima sta cambiando”. E, a quanto pare, sperano (sic) nell’Europa. “Ci sono dei grossi sforzi all’interno dell’Unione Europea – Germania e pochi altri Paesi – per esaminare con più attenzione il dossier Amazon. Ciò può avere dei positivi riflessi in quello che accade qui da noi”. Nota il sito “Consumerist”: “a giugno l’Unione Europea ha annunciato che aprirà formalmente una pratica di Antitrust per quanto riguarda i particolari contratti di vendita stipulati da Amazon sul fronte degli e-book”. Saranno allora curiosi, negli States, di conoscere gli sviluppi del nostro Antitrust alle prese con la patata bollente del nuovo colosso “Mondazzoli”?
I giornalisti di sinistra: voce della verità?
L’Espresso e l’ossessione per Silvio Berlusconi.
«Quando la disinformazione è l’oppio dei popoli, che li rincoglionisce. I
giornalisti corrotti ed incapaci ti riempiono la mente di merda. Anziché essere
testimoni veritieri del loro tempo, si concentrano ad influenzare l’elettorato
manovrati dal potere giudiziario, astio ad ogni riforma che li possa coinvolgere
e che obbliga i pennivendoli a tacere le malefatte delle toghe, non solo
politicizzate», così opina Antonio Giangrande, sociologo storico ed autore di
tantissimi saggi, tra cui “Governopoli”, “Mediopoli” ed “Impunitopoli”.
Il declino di un’era. 20 anni di niente. Silvio Berlusconi: ossessione dei
giornalisti di destra, nel difenderlo, e di sinistra, nell’attaccarlo.
1977: quell'articolo premonitore di Camilla Cederna su Silvio Berlusconi. Uno
splendido pezzo di una grande firma de "L'Espresso". Che aveva già capito tutto
dell'ex Cavaliere, agli albori della sua ascesa.
1977: Berlusconi e la pistola. Il fotografo Alberto Roveri decide di trasferire
il suo archivio in formato digitale. E riscopre così i ritratti del primo
servizio sul Cavaliere. Immagini inedite che raccontano l'anno in cui è nato il
suo progetto mediatico. Con al fianco Dell'Utri. E un revolver sul tavolo per
difendersi dai rapimenti, scrive Gianluca Di Feo su “L’Espresso”.
Il Caimano in prima pagina: vent'anni di copertine dell'Espresso. Sono 88. La
prima, il 5 ottobre del 1993. L'ultima, ma non ultima, il 25 novembre 2013. Ecco
come l'Espresso ha sbattuto il Cavaliere in prima pagina.
5 ottobre 1993. Berlusconi a destra. Nuove Rivelazioni: QUI MI FANNO NERO!
Dietro la svolta: Le ossessioni, la megalomania, la crisi Fininvest….
17 ottobre 1993. Esclusivo. I piani Fininvest per evitare il crac. A ME I SOLDI!
Rischio Berlusconi. Rivelazioni. Il debutto in politica e l’accordo con segni. A
ME I VOTI!
21 novembre 1993. Elezioni. Esclusivo: tutti gli uomini del partito di
Berlusconi. L’ACCHIAPPAVOTI.
7 gennaio 1994. BERLUSCONI: LE VERITA’ CHE NESSUNO DICE. Perché entra in
politica? Forse per risolvere i guai delle sue aziende? Che senso ha definirlo
imprenditore di successo? Quali sono i suoi rapporti oggi con Craxi? Cosa
combina se si impadronisse del Governo? Quali banchieri lo vedono già a Palazzo
Chigi? Esistono cosi occulti nella Fininvest? Chi sono? Insomma: questo
partito-azienda è una barzelletta o una cosa seria?
4 marzo 1994. Speciale elezioni. CENTO NOMI DA NON VOTARE. Dossier su: buoni a
nulla, dinosauri, inquisiti, riciclati, voltagabbana.
11 marzo 1994. DIECI BUONE RAGIONI PER NON FIDARSI DI BERLUSCONI. Documenti
esclusivi da: commissione P2, magistratura milanese, Corte costituzionale.
29 luglio 1994. Troppe guerre inutili. Troppi giochetti d’azzardo. Troppe
promesse a vuoto. Troppo disprezzo degli altri. Troppe docce fredde per lira e
borsa….LA FANTASTICA CANTONATA DEGLI ITALIANI CHE SI SONO FIDATI DI BERLUSCONI.
26 agosto 1994. Tema del giorno. Atroce dubbio su Berlusconi: ci sa fare o è
un…ASINO?
18 novembre 1994. Dossier Arcore: LA REGGIA. Storia di un Cavaliere furbo, di un
avvocato, di un’ereditiera. Dossier alluvione. LA PALUDE. Storia di un governo
ottimista e di una catastrofe.
14 aprile 1995. L’incubo di pasqua. Ma davvero la destra vince? VENDETTA!
9 giugno 1995. L’AFFARE PUBBLITALIA. Tre documenti eccezionali. 1. Dell’Utri.
Viaggio tra i fondi neri. Della società che voleva conquistare un paese. 2.
Berlusconi. Le prove in mano ai giudici: dal caso Berruti alla pista estera. 3.
Letta. I verbali dei summit di Arcore. Con i big di giornali e televisioni
Fininvest.
10 settembre 1995. Case d’oro/ esclusivo. L’ALTRA FACCIA DELLO SCANDALO.
Rapporto sui raccomandati di sinistra. Rivelazioni: manovre ed imbrogli della
destra.
17 settembre 1995. L’ALTRA FACCIA DI AFFITTOPOLI/NUOVE RIVELAZIONI.
745.888.800.000! Come, dove e quanto hanno incassato i fratelli Berlusconi
rifilando palazzi e capannoni agli enti previdenziali.
25 ottobre 1995. SHOWMAN. Berlusconi ultimo grido. L’attacco a Dini e Scalfaro:
astuzie, bugie, sceneggiate.
2 febbraio 1996. L’uomo dell’inciucio. Segreti, imbrogli, stramberie, pericoli….
SAN SILVIO VERGINE.
5 aprile 1996. Dall’album di Stefania Ariosto: festa con il cavaliere. C’ERAVAMO
TANTO AMATI. Nuove strepitose foto/La dolce vita di Berlusconi & C. Caso
Squillante/Tutto sui pedinamenti. E sui gioielli Fininvest. Se vince il Polo
delle Vanità/Poveri soldi nostri…
24 ottobre 1996. D’Alema e Berlusconi: il nuovo compromesso. Origini,
retroscena, pericoli. DALEMONI.
18 dicembre 1996. FORZA BUFALE. Rivelazioni. Chi e come alimenta la campagna
contro Di Pietro. Qual è la fabbrica delle false notizie agghiaccianti sul Pool
Mani Pulite. Che cosa fa acqua nei rapporti della Guardia di Finanza. I segreti
dell’agenda di Pacini Battaglia. Le grandi manovre per l’impunità. E il ritorno
di fiamma dell’amnistia….C’è in Italia un partito antigiudici. Ha capi, quadri,
ha compagni di strada. Per vincere deve spararle sempre più grosse. Inchiesta su
un malessere che non passa. E che nessuna riforma risolve.
3 maggio 1996. THE END.
10 aprile 1997. ALBANIA SHOW. Speciale/tragedie e polemiche, sceneggiate e
pericoli.
3 agosto 2000. Esclusivo. Un rapporto dei tecnici della Banca d’Italia. COSI’ HA
FATTO I SOLDI BERLUSCONI.
22 marzo 2001. LA CARICA DEI 121. Fedelissimi, folgorati e riciclati. Con loro
Berlusconi vorrebbe governare l’Italia.
16 maggio 2001. L’AFFONDO. Berlusconi si gioca il tutto per tutto. Ma la partita
è ancora aperta. Le urne diranno se sarà alba o tramonto.
24 magio 2001. E ORA MI CONSENTA. L’Italia alle prese con il Cavaliere
pigliatutto.
19 dicembre 2001. GIUSTIZIA FAI DA ME. Sondaggio choc: i giudici, gli italiani e
Berlusconi.
7 febbraio 2002. L’importante è separare la carriera degli imputati da quella
dei giudici. L’ILLUSIONE DI MANI PULITE.
15 maggio 2003. COMPARI. Negli affari, nella politica, nei processi. Berlusconi
e Previti pronti a tutto. A riscrivere le leggi e a sconvolgere le istituzioni.
11 settembre 2003. Esclusivo. GLI ZAR DELLA COSTA SMERALDA. Le foto segrete
dell’incontro Berlusconi-Putin.
29 gennaio 2004. RISILVIO. Vuole rifare il governo, rifondare Forza Italia,
riformare lo Stato. E per cominciare si è rifatto.
13 maggio 2004. LE 1000 BUGIE DI BERLUSCONI. Il suo governo ha stabilito il
record di durata. E anche quello delle promesse non mantenute. Ecco il bilancio.
24 giugno 2004. – 4.000.000. Ha perso voti e credibilità. Ora gli alleati gli
presentano il conto. L’estate torrida del cavalier Silvio Berlusconi.
3 marzo 2005. AFFARI SUOI. Società e fiduciarie nei paradisi fiscali. Falsi in
bilancio. Così Silvio Berlusconi dirottava i proventi del gruppo Mediaset sui
diritti Tv.
7 aprile 2005. RISCHIATUTTO. Il voto delle regionali segnerà il destino dei
duellanti. Romano Prodi e Silvio Berlusconi? Ecco che cosa ci aspetta dopo il
verdetto delle urne.
21 aprile 2005. FARE A MENO DI BERLUSCONI. L’ennesima sconfitta ha chiuso un
ciclo. Gli alleati del Cavaliere pensano al dopo. E a chi potrà prendere il suo
posto.
2 febbraio 2006. PSYCHO SILVIO. Impaurito dai sondaggi tenta di rinviare la
campagna elettorale. Occupa radio e tv. Promuove gli amici nei ministeri.
Distribuisce una pioggia di finanziamenti clientelari. Così Berlusconi le prova
tutte per evitare la sconfitta.
6 aprile 2006. DECIDONO GLI INDECISI. Identikit degli italiani che ancora non
hanno scelto. Ma che determineranno l’esito del voto del 9 aprile.
9 novembre 2006. LA CASA DEI DOSSIER. Da Telecom-Serbia alle incursioni
informatiche. Ecco il filo che lega le trame degli ultimi anni. Con un
obbiettivo: delegittimare Prodi e la sinistra.
29 novembre 2007. Retroscena. VOLPE SILVIO. Il piano segreto di Berlusconi per
far cadere Prodi e tornare al Governo. Fini e Casini azzerati. L’Unione
sorpresa. Ma Veltroni è tranquillo. Non mi fanno paura.
24 aprile 2008. Elezioni. L’ITALIA DI B&B. Il ciclone Berlusconi. Il trionfo di
Bossi. Lo scacco a Veltroni. E l’apocalisse della sinistra radicale rimasta
fuori dal Parlamento.
15 maggio 2008. Inchiesta. LA MARCIA SU NAPOLI. Silvio Berlusconi arriva in
città con il nuovo governo. Per liberarla dai rifiuti ma anche per spazzare via
la sinistra da Comune e Regione.
25 giugno 2008. DOPPIO GIOCO. Si propone come statista. Aperto al dialogo. Ma
poi Berlusconi vuole fermare i suoi processi. Ricusa i giudici. Vieta le
intercettazioni. Manda l’esercito nelle città. Ed è solo l’inizio.
3 luglio 2008. Esclusivo. PRONTO RAI. Raccomandazioni. Pressioni politiche.
Affari. Le telefonate di Berlusconi, Saccà, Confalonieri, Moratti, Letta,
Landolfi, Urbani, Minoli, Bordon, Barbareschi, Costanzo….
19 febbraio 2009. Berlusconi. L’ORGIA DEL POTERE. L’attacco al Quirinale e alla
Costituzione. Il caso Englaro. La giustizia. Gli immigrati. L’offensiva a tutto
campo del premier.
19 marzo 2009. Inchiesta. PIER6SILVIO SPOT. Le reti Mediaset perdono ascolto. Ma
fanno il pieno di pubblicità a scapito della Rai. Da quando Berlusconi è tornato
al governo, i grandi inserzionisti hanno aumentato gli investimenti sulle tivù
del cavaliere.
14 maggio 2009. SCACCO AL RE. Il divorzio chiesto da Veronica Lario a Berlusconi.
Tutte le donne e gli amori del Cavaliere. La contesa sull’eredità. Le possibili
conseguenze sulla politica.
11 giugno 2009. SILVIO CIRCUS. Per l’Italia la fiction: tra promesse fasulle e
clamorose assenze come nel caso Fiat-Opel. Per sé il reality: le feste in villa
e i voli di Stato per gli amici.
17 giugno 2009. Governo. ORA GUIDO IO. Umberto Bossi è il vero vincitore delle
elezioni. E già mette sotto ricatto Berlusconi e la maggioranza.
Nell’opposizione Di Pietro si prepara a contendere la leadership al PD, reduce
da una pesante sconfitta.
25 giugno 2009. ESTATE DA PAPI. Esclusivo. Le foto di un gruppo di ragazze
all’arrivo a Villa Certosa. Agosto 2008.
9 luglio 2009. Il vertice dell’Aquila. G7 E MEZZO. Berlusconi screditato dalle
inchieste e dagli scandali cerca di rifarsi l’immagine. Con la passerella dei
leader della terra sulle macerie. L’attesa per un summit che conferma la sua
inutilità.
16 luglio 2009. SILVIO SI STAMPI. Tenta di intimidire e limitare la libertà dei
giornalisti. Ma Napolitano stoppa la legge bavaglio. E i giornali stranieri non
gli danno tregua. Umberto eco: “E’ a rischio la democrazia”.
23 luglio 2009. TELESFIDA. Tra Berlusconi e Murdoch è il corso una contesa senza
esclusione di colpi. Per il predominio nella Tv del futuro. Ecco cosa succederà
e chi vincerà.
30 luglio 2009. Esclusivo. SEX AND THE SILVIO. Tutte le bugie di Berlusconi
smascherate dai nastri di Patrizia D’Addario. Notti insonni, giochi erotici,
promesse mancate, E ora la politica si interroga: può ancora governare il paese?
12 agosto 2009. Governo. SILVIO: BOCCIATO. Bugie ed escort. Conflitti con il
Quirinale. Assalti al CSM. Debito Pubblico. Decreti di urgenza. Soldi al Sud.
Clandestini e badanti. Bilancio del premier Berlusconi. E, ministro per
ministro, a ciascuno la sua pagella.
3 settembre 2009. DOPPIO GIOCO. Montagne di armi per le guerre africane. Vendute
da trafficanti italiani a suon di tangenti. Ecco la Libia di Gheddafi cui
Berlusconi renderà omaggio. Mentre l’Europa chiede di conoscere il patto anti
immigrati.
10 settembre 2009. SE QUESTO E’ UN PREMIER. Si scontra con la chiesa. Litiga con
l’Europa. Denuncia i giornali italiani e stranieri non allineati. E, non
contento, vuol metter le mani su Rai 3 e La7.
1 ottobre 2009. GHEDINI MI ROVINI. Oggi è il consigliere più ascoltato del
premier. Autore di leggi ad personam e di gaffe memorabili. Storia
dell’onorevole-avvocato, dai camerati al lodo Alfano.
8 ottobre 2009. SUA LIBERTA’ DI STAMPA. Attacchi ai giornali. Querele. Bavaglio
alle trasmissioni scomode della tv. Così Berlusconi vuole il controllo totale
dell’informazione.
15 ottobre 2009. KO LODO. La Consulta boccia l’immunità, Berlusconi torna
imputato. E rischia un’ondata di nuove accuse. Ma la sua maggioranza si rivolge
alla piazza. E apre una fase di grande tensione istituzionale.
19 novembre 2009. LA LEGGE DI SILVIO. Impunità: è l’obbiettivo di Berlusconi.
Con misure che annullano migliaia di processi. E con il ripristino dell’immunità
parlamentare. Mentre Cosentino resta al governo dopo la richiesta di arresto.
16 dicembre 2009. SCADUTO. I rapporti con i clan mafiosi. Lo scontro con Fini. I
guai con la moglie Veronica e con le escort. L’impero conteso con i figli.
L’anno orribile di Silvio Berlusconi.
21 gennaio 2010. Palazzo Chigi. SILVIO QUANTO CI COSTI. 4.500 dipendenti. Spese
fuori controllo per oltre 4 miliardi di euro l’anno. Sono i conti della
Presidenza del Consiglio. Tra sprechi, consulenze ed eventi mediatici.
4 marzo 2010. UN G8 DA 500 MILIONI DI EURO. Quanto ci è costato il vertice tra
la Maddalena e l’Aquila. Ecco il rendiconto voce per voce, tra sprechi e
raccomandazioni: dal buffet d’oro ai posacenere, dalle bandierine ai cd
celebrativi.
18 marzo 2010. SENZA REGOLE. Disprezzo della legalità. Conflitti con il
Quirinale. Attacchi ai magistrati e all’opposizione. Scandali. E ora per la
sfida elettorale Berlusconi mobilita la piazza. Con il risultato di portare il
paese nel caos.
31 marzo 2010. STOP A SILVIO. Le elezioni regionali possono fermare la deriva
populista di Berlusconi. Bersani: “Pronti al dialogo con chi, anche a destra,
vuole cambiare”.
13 maggio 2010. IL CASINO DELLE LIBERTA’. Le inchieste giudiziarie. Gli scontri
interni al partito. La paralisi del Governo. Dopo le dimissioni di Scajola,
Berlusconi nella bufera.
27 maggio 2010. STANGATA DOPPIA. Prima il blocco degli stipendi degli statali, i
tagli sulla sanità, la caccia agli evasori e un nuovo condono. Poi la scure
sulle pensioni e un ritorno alla tassa sulla casa.
8 luglio 2010. I DOLORI DEL VECCHIO SILVIO. La condanna di Dell’Utri per mafia e
il caso Brancher. La rivolta delle Regioni contro i tagli e l’immobilismo del
governo. Le faide nel Pdl e i sospetti della Lega. Il Cavaliere alla deriva.
15 luglio 2010. SENZA PAROLE.
11 novembre 2010. BASTA CON ‘STO BUNGA BUNGA. BASTA LO DICO IO.
18 novembre 2010. QUI CROLLA TUTTO. Le macerie di Pompei. L’alluvione annunciata
in Veneto. L’agonia della maggioranza. L’economia in panne. Per non dire di
escort e bunga bunga. Fotografia di un paese da ricostruire.
16 dicembre 2010. La resa dei conti tra Berlusconi e Fini è all’atto finale. Chi
perde rischia di uscire di scena. FUORI UNO.
22 dicembre 2010. FINALE DI PARTITA. Voti comprati. Tradimenti. Regalie…Berlusconi
evita a stento la sfiducia, ma ora è senza maggioranza e deve ricominciare
daccapo. Anche se resisterà, una stagione s’è chiusa. Eccola, in 40 pagine, di
foto e ricordi d’autore.
27 gennaio 2011. ARCORE BY NIGHT. Un harem di giovanissime ragazze pronte a
tutto. Festini, orge, esibizioni erotiche, sesso. L’incredibile spaccato delle
serate di Berlusconi nelle sue ville. Tra ricatti e relazioni pericolose.
10 febbraio 2011. PRETTY MINETTI. Vita di Nicole, ragazza chiave dello scandalo
Ruby. Intima di Berlusconi, sa tutto sul suo harem. Se ora parlasse.
26 maggio 2011. MADUNINA CHE BOTTA! Milano gli volta le spalle, Bossi è una mina
vagante, il PDL spaccato già pensa al dopo. Stavolta Berlusconi ha perso
davvero. Analisi di una disfatta. Che, Moratti o non Moratti, peserà anche sul
governo.
21 giugno 2011. Esclusivo. VOI QUORUM IO PAPI. Domenica 12 giugno l’Italia
cambia, lui no. Domenica 12 giugno l’Italia corre a votare, lui a villa Certosa
a occuparsi d’altro. In queste foto, la wonderland del cavaliere. Lontana anni
luce dal paese reale.
7 luglio 2011. Sprechi di Stato. IO VOLO BLU MA PAGHI TU. Il governo brucia
centinaia di milioni per i suoi viaggi. E Berlusconi si regala due super
elicotteri. A spese nostre.
21 luglio 2011. MISTER CRACK. La tempesta economica. La borsa in bilico. La
paura del default. E un premier sempre isolato. Il varo della manovra è solo una
tregua. Prima della resa dei conti. E spunta l’ipotesi di un governo guidato da
Mario Monti.
25 agosto 2011. LACRIME E SANGUE. Diceva: meno tasse per tutti. Ma la pressione
fiscale non è mai stata così alta. Chiamava Dracula gli altri. Ma ora è lui a
mordere i soliti. Processo all’iniqua manovra d’agosto. Che ci cambia la vita e
non tocca gli evasori.
15 settembre 2011. E SILVIO SI TAGLIO’ 300 MILIONI DI TASSE. Il Premier impone
il rigore agli italiani. Ma gli atti sulla P3 svelano le trame per evitare la
causa fiscale sulla Mondadori. Dal presidente della Cassazione al
sottosegretario Caliendo, ecco chi si è mosso per salvarlo dalla maximulta.
29 settembre 2011. SERIE B.
13 ottobre 2011. SQUALIFICATO. Condannato dalla Chiesa, mollato dagli
imprenditori, bocciato dalle agenzie di rating. E’ l’agonia di un leader né
serio né credibile che non si decide a lasciare. Denuncia Romano Prodi a
“L’Espresso”: Qualsiasi governo sarebbe meglio del suo.
17 novembre 2011. THE END. Berlusconi tenterà di sopravvivere, ma ha dovuto
prendere atto della fine del suo governo. Intanto la crisi economica si fa
sempre più drammatica e la credibilità dell’Italia è ridotta a zero. Non c’è più
tempo da perdere.
19 gennaio 2012. I GATTOPARDI. Crescita, liberalizzazioni, lotta all’evasione e
alla casta…Monti è atteso alla prova più dura. Ma i partiti frenano. Come se
avessero voluto cambiare tutto per non cambiare niente.
5 luglio 2012. RIECCOLO. Attacco euro e Merkel. Destabilizza il governo Monti.
Blocca la Rai. E rivendica la leadership del suo partito. Così Berlusconi prova
ancora una volta a farsi largo.
14 febbraio 2013. VI AFFONDO IO. Pur di risalire al china Silvio Berlusconi
sfascia tutto accende la campagna elettorale con promesse da marinaio e
terrorizza i mercati. Davvero può farcela? Chi lo fermerà? E come dovrebbe
reagire il PD? L’Espresso lo ha chiesto a due guru.
19 settembre 2013. BOIA CHI MOLLA. Accettare il silenzio la decadenza o
l’interdizione. O fare un passo indietro prima del voto. Berlusconi ha pronta
una via d’uscita. Per restare il capo della destra.
29 novembre 2013. EXTRA PARLAMENTARE. Per Berlusconi si chiude un ventennio e
comincia lo scontro finale: fuori dal Senato e in piazza, dalle larghe intese
all’opposizione dura. Contro il governo, contro Napolitano, contro l’Europa…..
Editoriale stampa. Censura o Giornalismo fascista ???
Art. 21 Cost., “libertà di manifestare il pensiero”, sì, ma solo per i giornalisti (fascistizzati). Questo afferma il dr. Antonio Giangrande, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ed autore del libro “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo”.
In tema di intercettazioni da più parti si solleva il problema della libertà di espressione del proprio pensiero, costituzionalmente garantito.
I Magistrati vorrebbero il libero arbitrio sul loro uso a fini investigativi. Nel mucchio si cerca la prova per manifestare un reato, spesso ad uso di lotta politica, invertendo l’ordine della giustizia, ossia: prima la denuncia di reato, poi la prova della sua fondatezza.
I Politici vorrebbero l’assoluto impedimento sul loro uso, per garantirsi l’impunità.
I giornalisti vorrebbero il totale uso, sia a fini investigativi che informativi, affinché siano liberi di allestire gogne mediatiche e di sbattere i mostri in prima pagina.
Nessuno che chieda al cittadino, intercettato e sputtanato, spesso senza che ci sia reato, cosa pensa. Tutti parlano e sparlano, nessuno ascolta la voce del popolo.
Quindi ecco il vero problema: c’è libertà di parola??
L'art. 21 della Costituzione stabilisce che: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
La Corte di Cassazione italiana ha recentemente stabilito una serie di requisiti affinché una manifestazione del pensiero possa essere considerata rientrante nel diritto di critica e di cronaca: veridicità (non è possibile accusare una persona sulla base di notizie false), continenza ed interesse pubblico. Se si tratta di fatti personali, anche se veri e continenti, non dovrebbero essere pubblicati. Al riguardo operano i limiti previsti dai reati di diffamazione ed ingiuria. In generale costituiscono un evidente limite al diritto di cronaca anche l'onorabilità e la dignità della persona. Tutto ciò è diventato sempre più vero dopo la legge sulla privacy del 1996. Chi è coinvolto in procedimenti giudiziari non potrebbe essere fotografato in un momento in cui è sottoposto a carcerazione. Allo stesso modo il nome e le immagini di minori sono oscurati dal 1996. Quindi, il diritto di manifestare il proprio pensiero si concretizza nella libertà di critica, di informare ed essere informati. La libertà di informare e la libertà di essere informati danno luogo al c.d. diritto all’informazione. Circa le modalità di esternazione del pensiero, anche critico, la Cassazione ha affermato che esso può manifestarsi anche in maniera estemporanea, non essendo necessario che si esprima nelle sedi, ritenute più appropriate, istituzionali o mediatiche, ove si svolgano dibattiti fra i rappresentanti della politica ed i commentatori. Diversamente, verrebbe indebitamente limitato, se non conculcato, il diritto di manifestazione del pensiero che spetta al comune cittadino. Inoltre, sempre la Cassazione, ha affermato che la critica può esplicarsi in forma tanto più incisiva e penetrante, utilizzando anche espressioni suggestive, quanto più elevata è la posizione pubblica della persona che ne è destinataria.
Questo è quanto scritto nelle norme superiori, ma di fatto, poi, il sistema ti dà e il sistema ti toglie.
Carlo Ruta è uno storico siciliano che l'8 maggio 2008 è stato condannato per "stampa clandestina" perché proprietario di un sito internet, che faceva informazione civile senza che fosse stata eseguita la registrazione presso la cancelleria del Tribunale di Modica. La violazione è quella dell'art. 16 della legge 47 del 1948 che riguarda principalmente i giornali cartacei, ma che è stata in questo caso applicata al web e ai blog. Negli Stati Uniti d'America, il primo emendamento della Costituzione, che protegge la libertà di stampa, tutela anche blog e altri website "amatoriali". In Italia i blogger, come ultimo baluardo di verità, rischiano ogni giorno di essere querelati o addirittura incriminati per diffamazione a mezzo stampa, processo che può essere chiesto anche, pretestuosamente, da personaggi dichiarati colpevoli in sede penale e condannati a lunghe pene detentive anche per fatti gravissimi.
Questo cosa vuol dire?
Vuol dire che nell’Italia repubblicana “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” solo se si manifesta sulla stampa periodica.
La stampa periodica e gli altri strumenti di informazione vengono imbrigliati dalla legge sulla stampa (L. n. 47 dell'8 febbraio 1948), nella quale i due cardini sono la creazione del direttore responsabile e l'istituzione dell'Ordine dei giornalisti ( L. n. 69 del 1963). I criteri ispiratori della legge sono quel «senso altissimo di responsabilità» di cui ha parlato Mussolini alla prima riunione dei giornalisti fascisti, e la «prevalenza della libertà dello Stato su quella del cittadino» sbandierata da Amicucci, segretario del sindacato nazionale fascista dei giornalisti, che prende il posto della disciolta Federazione della stampa.
Altro problema si è posto con la nascita dell'emittenza privata e con le radio e telegiornali diffusi dai privati e per questo la legge 14 aprile 1975 "Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva" ha sancito con l'articolo 7: “Ai telegiornali ed ai giornali radio si applicano le norme sulla registrazione dei giornali e periodici contenute negli articoli 5 e 6 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, i direttori dei telegiornali e dei giornali radio sono, a questo fine, considerati direttori responsabili”. Con il programma radiotelevisivo di approfondimento informativo si analizza una notizia che ha già formato oggetto di cronaca, quindi acquisita dal telespettatore, allo scopo di garantirgli un’adeguata informazione su un fatto di indubbio interesse pubblico. Un contenitore molto gradito al grande pubblico è il talk show, dove il conduttore, generalmente in piedi, è idealmente circondato dai partecipanti. Introdotto il tema della trasmissione, il conduttore dà via al dibattito, ponendo domande alle quali i partecipanti rispondono esponendo le loro tesi.
Nel programma di approfondimento informativo l’obiettivo primario del giornalista conduttore è dissipare ogni dubbio facendo emergere la verità. Di conseguenza, presenterà il fatto così come accertato attraverso inchieste, testimonianze, provvedimenti giudiziari, documenti, fonti ufficiali, etc. Ricorrerà all’ausilio di soggetti dotati di una particolare competenza sul tema da trattare. Insomma, dovrà favorire la relazione del telespettatore al fatto. Qui il giornalista conduttore produce informazione. Ha un ruolo attivo nel programma e ne è il protagonista, parte essenziale del contraddittorio. Può, anzi, deve interrompere, contraddire l’ospite, che fa affermazioni non rispondenti al vero, avendo unicamente la funzione di relazionare il telespettatore alla realtà. Quando il suo atteggiamento è a ciò finalizzato, il giornalista conduttore non può mai essere tacciato di “faziosità”, perché garantisce l’obiettività dell’informazione. Ma negli ultimi anni è andata manifestandosi la tendenza a far prevalere sull’accertamento della verità il punto di vista, la valutazione, la posizione soggettiva di chi partecipa al programma. Tendenza marcata nei programmi informativi a contenuto politico. Qui l’aspetto dell’inchiesta giornalistica è marginale, a volte assente. I protagonisti del programma sono i soggetti politici, rappresentati nel rispetto del principio del pluralismo, ma che nella maggior parte dei casi sono, per ovvi motivi, portatori di un interesse incompatibile con l’interesse della collettività ad acquisire il fatto nella sua completezza ed obiettività. Da più parti si attribuisce il fenomeno ad una precisa scelta delle testate e degli stessi giornalisti conduttori, che volutamente rinunciano ad approfondire il fatto per dare spazio alle voci dei politici. E’ anche vero, però, che una simile conduzione è sostanzialmente imposta dalle norme che negli ultimi periodi si sono incaricate di disciplinare il sistema radiotelevisivo, in gran parte emanate dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza, organo di natura indiscutibilmente politica, visto come sono nominati i suoi 40 membri (pariteticamente dai presidenti di Camera e Senato, ma scelti tra tutti i gruppi parlamentari).
Quindi, per manifestare il proprio pensiero bisogna essere giornalisti. Inoltre, la maggior parte delle agenzie di stampa, dei giornali e delle televisioni sono di proprietà editoriale privata. Molto spesso questo proprietario è un partito, oppure sono gestiti da grandi gruppi economici e finanziari che esercitano ogni tipo di influenza. Quando la proprietà è pubblica, essa è in mano agli schieramenti politici. Da qui l’espressione di lottizzazione del sistema informativo pubblico: fazioso e disinformativo.
Quale libera informazione può essere fornita da soggetti prezzolati dall’economia (proprietà o pubblicità) o genuflessi alla politica, alla magistratura, o all’Ordine che ne detiene l’Albo.
“All'albo siam fascisti” è un contributo sul tema di Rinaldo Boggiani.
Furono i Gesuiti, nell'Ottocento, a proporre che i giornalisti fossero obbligati ad iscriversi ad un Albo professionale. Da allora... L'istituzione di un sistema che selezioni coloro che possono scrivere sulla stampa periodica, è nei programmi politici dei gesuiti. "Il giornalismo non ha nessuna garanzia" scrive Civiltà Cattolica il 4 dicembre 1883. E ancora nel 1913: "Il peggio è che la professione di giornalista è libera nel suo esercizio da qualunque impaccio, non richiedendosi né prova d'idoneità, né abilitazione, né garanzie di moralità, Insomma di tanti esami e patenti, la stampa n'è affatto immune. In nome del popolo sovrano ogni educatore deve possedere il suo certificato in carta bollata, dal dotto universitario al sottomaestro di villaggio. N'è fornita perfino la suora che vigila sui marmocchi nei giardini d'infanzia; solo il grande pulpito della pubblicità è libero; qualunque mestatore o farabutto può salirvi in veste da profeta per esprimere la sua opinione".
"Con l'istituzione dell'Albo professionale" scriverà Ermanno Amicucci, il proponente della legge che istituisce Ordine e Scuola di giornalismo, futuro Segretario Generale del Sindacato Nazionale Giornalisti, ultimo direttore del Corriere della Sera dell'era fascista, "il Fascismo ha risolto questo problema: che usurpatori non autorizzati s'impadroniscano d'un potere. Non sarà più possibile d'ora innanzi fare del giornalismo, l'agognato refugium peccatorum, il comodo asilo di tutti i profughi, il ricorrevo di molti spostati; per esercitare la professione di giornalista, a norma delle disposizioni contenute nel regolamento per l'Albo, occorrerà possedere ben determinati titoli culturali e morali". Art. 7 legge 31 dicembre 1925, n. 2307: "È istituito un ordine dei giornalisti che avrà le sue sedi nelle città ove esiste corte d'appello". L'albo risponde a un'ideologia di vertice, di controllo, di comando, di pianificazione quindi, che i fascisti accolgano l'idea dei gesuiti, non fa certo meraviglia, anzi è la conferma che un'organizzazione dall'alto non può rinunciare a un tale controllo.
Con la caduta del fascismo, la neonata democrazia avrebbe dovuto abolire l'albo, metterlo fra i tristi ricordi della follia totalitaria: quelli da far studiare ai ragazzi per alimentare la memoria storica. Ma gli obiettivi politici della nuova classe dirigente, erano altri. Come cancellare un tale strumento di potere? Un veloce maquillage e voilà, il gioco è fatto. I giuristi, quelli che vivono all'ombra della sedia del principe, si misero al lavoro cambiando alcune parole. Così l'art. 4 del regio decreto del 26 febbraio 1928, n. 384: "L'albo dei giornalisti è composto di tre elenchi, uno dei professionisti, l'altro di praticanti, il terzo di pubblicisti", diventò l'art. 1 della legge repubblicana del 3 febbraio 1963, n. 69: "È istituito l'ordine dei giornalisti. A esso appartengono i giornalisti professionisti e i pubblicisti, iscritti nei rispettivi elenchi dell'albo". E ancora: Regio decreto 26 febbraio 1928, a. 1: "Presso ogni sindacato regionale fascista dei giornalisti esistente nel regno è istituito l'albo professionale per i giornalisti. I giornalisti che siano residenti nelle colonie, sono iscritti nell'albo professionale di Roma". Legge repubblicana del 3 febbraio 1963, n. 69, a. 26: "Presso ogni Consiglio dell'Ordine regionale o interregionale è istituito l'albo dei giornalisti. I giornalisti che abbiano la loro abituale residenza fuori del territorio della Repubblica sono iscritti nell'albo di Roma".
Ecco fatto: tutto come prima. Oggi ci ritroviamo a rimpiangere le libertà del ‘800.
"Albi di giornalisti!" ha detto Luigi Einaudi, "Idea da pedanti, da falsi professori, da giornalisti mancati, da gente vogliosa di impedire agli altri di pensare con la propria testa. L'albo è un comico non senso, è immorale perché tende a porre un limite a quel che limiti non ha e non deve avere, alla libera espressione del pensiero".
Ritorniamo sul problema: non si sa mai che ci sfugga qualcosa. Si può giustificare l'Ordine dei giornalisti in un sistema democratico, e può continuare in democrazia un istituto voluto da un regime totalitario?
In merito all'Ordine dei giornalisti, cosa ne pensa la Corte Costituzionale?
"La legge istitutiva dell'Ordine", ha detto il giudice che doveva ripulire l'ordinamento dalle invenzioni fasciste, "disciplina l'esercizio professionale giornalistico e non l'uso del giornale come mezzo di manifestazione del pensiero, sicché, esso non tocca il diritto di manifestare liberamente il pensiero che l'articolo 21 della Costituzione riconosce a tutti" (sentenza n. 11 del 1968). Concetto scombinato: da una parte l'esercizio professionale dall'altra l'uso del giornale.
Se l'Ordine dei giornalisti non ha alcuna legittimazione democratica; se la sua istituzione è storicamente e logicamente fascista, quale giustificazione danno, a quali argomentazioni affidano la propria difesa i vertici dell'Ordine stesso?
Le argomentazioni sono di questo tenore: "L'Ordine significa il riconoscimento giuridico della professione di giornalista. L'esame di Stato è prescritto dall'articolo 33 della Costituzione. Senza esami e senza titolo chi lavora nelle redazioni si riduce a essere un impiegato o un mestierante. Senza la legge istitutiva dell'Ordine verrebbe meno, inoltre, l'obbligatorietà giuridica di osservare regole etiche".
Primo: sono argomentazioni già sentite. "Il Sindacato Nazionale Fascista dei Giornalisti si propone di tutelare gli interessi morali e materiali dei professionisti della categoria".
Secondo: l'art. 33 della Costituzione al comma 5 dice: "È prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale". Non dice altro. Dal testo della dichiarazione, detta e scritta in più occasioni, sembra che la Costituzione legittimi l'Ordine.
Terzo: "l'obbligatorietà giuridica di osservare regole etiche", risponde solo a un'ideologia totalizzante; è un ossimoro, cioè un serpente logico che si mangia la coda, del tipo libertà obbligatoria. "La libertà di stampa" dichiarò infatti il Duce, al primo Congresso del Sindacato Nazionale Fascista dei giornalisti in Campidoglio nel gennaio 1924, "non è soltanto un diritto, è un dovere".
L'Ordine, insomma, è a tutela della moralità e professionalità del giornalista. "L'Ordine dei giornalisti" dicono i vertici istituzionali dell'Ordine "è a garanzia dell'indipendenza".
Secondo il rapporto del maggio 1994 della organizzazione privata americana Freedom House sulla libertà di stampa nel mondo, l'Italia figura all'ultimo posto tra i paesi industrializzati a causa dell'intreccio fra media, potere economico e potere politico.
Mettere i giornalisti davanti al fenomeno Tangentopoli è come sparare a un morto: dove erano i giornalisti mentre il sistema imputridiva? Cosa scrivevano quando tutti sapevano tutto? In un sistema democratico il giornalista controlla tutti. In Italia tutti controllano i giornalisti.
E veniamo, per chiudere il cerchio, ai circoli della stampa. "Ciascun Sindacato regionale fascista" scrive l'on. Amicucci "ha istituito uno o più Circoli della Stampa, luoghi di riunione in cui i giornalisti raccolgono intorno a sé la parte più eletta del mondo intellettuale della città". E così ancora oggi. "L'episodio più vergognoso dell'intera vicenda Tortora è forse rappresentato dall'accorrere della Napoli bene al Circolo della Stampa per la presentazione del libro “Gianni il bello”, autobiografia di Giovanni Melluso (uno dei pentiti autoaccusatosi di traffico di droga per poter accusare Tortora) dettata da questo personaggio a una signora, congiunta di un alto magistrato. Attorno alla depositaria della preziosa narrazione fecero ressa magistrati, consorti dei medesimi, direttori di giornali, uomini di mondo e di affari, cortigiani vari". "I Circoli della Stampa" scrisse l'on. Ermanno Amicucci, "hanno una funzione ricreativa e culturale".
Editoriale stampa. “Mostri in prima pagina” e “Bufale giornalistiche", ecco la casta dei giornalisti.
“Quando la notizia non si dà, ma si fa”, dice il dr Antonio Giangrande, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Sbatti il mostro in prima pagina……e se il mostro fosse totalmente estraneo al reato imputatogli e assolutamente innocente, come successe a Enzo Tortora e ad altri 5 milioni di cittadini innocenti, vittime di errori giudiziari negli ultimi decenni ?
Sbatti il mostro in prima pagina è un film del 1972 diretto da Marco Bellocchio ed interpretato da Gian Maria Volontà. La trama definisce la Milano degli anni ’70. Nel clima teso della contrapposizione politica, nella redazione del quotidiano fittizio “Il Giornale” (l'omonimo verrà fondato 2 anni dopo, nel 1974) il redattore capo, su invito della proprietà, segue gli sviluppi di un omicidio a sfondo sessuale per incastrare un militante della sinistra extraparlamentare e strumentalizzare il fatto politicamente. La campagna mediatica sortisce l'effetto sperato, ed il mostro viene condannato innanzitutto sulle prime pagine del giornale e la condanna, in primis morale, aiuta l'area reazionaria a screditare gli ambienti della sinistra nella fase elettorale.
Il cinema ha posto attenzione su un fenomeno diffuso in Italia. Il tempo passa, le parti si invertono, ma il vizio non si perde.
Si usa denominare quarto potere la capacità dei mass media di influenzare le opinioni e le scelte dell'elettorato. È questo un uso metaforico del termine potere, distinguendolo da quello legislativo, esecutivo e giudiziario.
In Italia ogni notizia diffusa dalla stampa sembra la lettura pedissequa della velina passata dalle autorità giudiziarie o di pubblica sicurezza. Il gergo è quello dell’accusa.
Nessuno spazio è dato alla difesa. Nessuna remora a pubblicare l’immagine e i dati delle persone.
Naturalmente le fughe di notizie, per fatti sottoposti a segreto istruttorio, dovrebbero essere perseguite, incriminando i magistrati che ne sono i custodi. Invece la punizione è parziale.
Carlo Vulpio, già inviato del Corriere della Sera, è uno tra quelli che ha seguito passo passo le inchieste della procura di Catanzaro portate avanti dal Pm Luigi De Magistris. Le ha seguite così da vicino che è stato incriminato assieme al Pm e ad altri giornalisti per associazione a delinquere finalizzata alla diffamazione a mezzo stampa. Lui, in particolare, per concorso morale. Capi d’accusa mai ipotizzati da quando esiste la Repubblica. Non solo è stato incriminato, ma è stato anche rimosso dal giornale. Ma torniamo all’oggetto dell’inchiesta.
Il fenomeno dei falsi scoop è la dèbacle del giornalismo italiano.
18 luglio 2009: a partire dalle 15,30 tutte le Agenzie battono la notizia di tre suore fermate in autostrada tra Torino e Aosta perchè correvano a 180 all'ora per correre dal Papa in ospedale. Il troppo stroppia: un'altra notizia che mette in cattiva luce delle religiose? Nella redazione di “Avvenire” qualcuno ricorda che pochi giorni prima si parlava di una neo-suora, di cui erano state pubblicate foto piccanti su Facebook; di un sacerdote beccato a guidare ubriaco perchè aveva fatto 4 messe di seguito... E allora parte il primo controllo, in parallelo -va aggiunto- a quello dei cronisti de “Il Giornale”. In un minuto e mezzo “Avvenire” scopre che dietro queste storie ci sono sempre gli stessi avvocati. E scopre che alla Polizia non risulta niente.
“Falsi giornalistici. Finti scoop e bufale quotidiane” (Guida editore). Il saggio presenta un tema scottante, quello dei falsi giornalistici. Esso mette in luce come, negli ultimi anni, molti dei quotidiani italiani, che hanno calamitato l'attenzione dei lettori, risultino invece falsi del tutto. Tra l'altro i redattori hanno sempre meno la possibilità di verificare la credibilità delle notizie, che vengono diffuse alcune volte con lo scopo di diminuire la credibilità dei giornali, oppure per utilizzare gli stessi come strumento per calunniare o mettere in difficoltà qualcuno. Il volume è stato adottato nell'Università di Salerno, Facoltà di Sociologia e Corso di laurea in Scienze della comunicazione.
Ma allora, viene da chiedersi, come la mettiamo con i media, che spesso propongono ai loro lettori, oltretutto con ambizioni di ufficialità, burle fantasiose ed inverosimili almeno quanto quelle pubblicate, con chiaro intento provocatorio e clownesco, dai siti internet sparsi per il pianeta?
Un esempio lampante è stato offerto dal celebre quotidiano francese "Le Monde", che anni fa diede in prima pagina la notizia della morte di Monica Vitti, provocando lo sconcerto dell'attrice.
I giornalisti, senza che vi sia intervento disciplinare da un ordine elevato a casta, continuano ad attentare alla reputazione dei cittadini indifesi, coprendosi dietro il diritto di critica o di cronaca. D’altro canto, invece, tacciono le malefatte dei poteri forti, per collusione o per codardia.
Per fare sensazione e nocumento si redigono i pezzi, improntandoli in modo tale da anticipare giudizi di condanna: giudizi che sono propri di un procedimento giudiziario in contraddittorio e, come ben si sa, già di per sé inattendibili con un “sistema giustizia” allo sfascio.
Neanche, poi, che i giornalisti venissero dalla luna, senza macchia e senza peccato. Invece si scopre che le modalità di accesso alla professione sono identiche a quelle degli avvocati, magistrati, professori universitari, ecc..(con inchieste che ne hanno inficiato la credibilità), o che i media sono foraggiati dalla politica e dall’economia. Fatti, questi, che ne minano la credibilità.
Poi, spesso, si scopre, anche, che chi vorrebbe imporre a noi la morale, invece è peggio del mostro sbattuto in prima pagina. Notorio è quanto è successo al direttore di “Avvenire”, il cui curriculum morale è stato pubblicato da Vittorio Feltri su “Il Giornale.”
Il disastro ferroviario in Puglia sulla tratta
Corato-Andria ed il Binario unico del giornalismo italiano.
Che fine hanno fatto la mamma e la figlia trovate morte avvinghiate?
La puntualizzazione del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico,
giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Sono 23 le vittime del disastro ferroviario avvenuto in Puglia il 12 luglio 2016
sulla tratta Corato-Andria; 52 i feriti transitati dai pronto soccorsi degli
ospedali; 24 le persone attualmente ricoverate, otto dei quali in prognosi
riservata, tra cui il piccolo Samuele che ha 7 anni appena compiuti e che era
con la nonna, morta nell'incidente ferroviario. Non ci sono dispersi. I dati
sono stati ufficializzati in una conferenza stampa che si è tenuta dal
presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano e dal professor Franco
Introna, primario di Medicina Legale del Policlinico di Bari il 13 luglio 2016
alle ore 14.30. Otto cadaveri individuati da dettagli: anelli, fotografie o
carte che gli infermieri hanno mostrato ai familiari. Per quasi tutti i giornali
Giuseppe Acquaviva è lo sfortunato contadino morto sul suo campo. Per “Andria
Live”, invece, Giuseppe Acquaviva, 59 anni, di Andria, era disoccupato e
viaggiava con la sorella Serafina Acquaviva, detta Lella, 62 anni, anche lei
morta nell'impatto. Per “La Repubblica”, invece, era un ragioniere. E poi la
chicca. Da più fonti e con più interviste si è parlato che i soccorritori si
sono ritrovati anche davanti ad una scena di due corpi esanimi abbracciati: una
madre e sua figlia. I loro nomi, però, non risultano tra quelli comunicati dalle
autorità come vittime riconosciute o non riconosciute. Sono state ritrovate
senza vita una madre e sua figlia, avvinghiate l'una all'altra in quell'ultimo
abbraccio istintivo e protettivo. Una scena drammatica che i soccorritori si
sono trovati dinanzi agli occhi, non appena giunti sul luogo del disastro, su
quel tratto ferroviario a binario unico che collega Bari a Barletta, in Puglia.
A raccontarlo sono gli stessi soccorritori all'emittente locale Telenorba ed ad
altre emittenti private. Testimonianze su cui hanno ricamato i loro commenti
centinaia di giornalisti. "Erano contro un ulivo, la mamma con il suo corpo
proteggeva la bimba piccola ed erano in posizione fetale. Sono le prime che ho
trovato, in mezzo a teste, braccia, mezzi busti sparsi ovunque sotto gli ulivi",
ha raccontato Marianna Tarantini, una volontaria del Ser di Corato, una delle
prime ad arrivare sul luogo dell'incidente”. Che sia una bufala a cui tutti ci
sono cascati?
Come il fatto diventa notizia
ITALIA. PROCESSO ALLA STAMPA. COME IL FATTO
DIVENTA NOTIZIA.
Siamo sicuri di essere e di voler essere correttamente informati di quello
che succede intorno a noi?
In Italia la notizia è tale solo se data da un giornalista iscritto all’albo di
origine fascista e non perché il fatto vero, raccontato correttamente da
chiunque, può suscitare un pubblico interesse. Se non creata dal pennivendolo,
la notizia è solo una misera e opinabile opinione. L’opinione si eleva a notizia
solo se è pubblicata come editoriale dal direttore dell’organo di informazione,
o da un suo delegato. Gli esperti, che hanno molto da dire, invece, se graditi,
parlano solo se intervistati.
Il giornalista, come in tutte le categorie professionali, può essere un incapace
raccomandato, vincitore di un esame-concorso truccato. Come tutti, del resto, in
Italia. Inoltre in questa professione può essere anche uno sfruttato a 5 euro al
pezzo.
La preparazione culturale del giornalista non permette alcuna competenza
specifica, né egli ha alcuna esperienza diretta dei fatti, vivendo recluso in
redazione, di conseguenza si appoggia alle considerazioni di coloro che lui
reputa esperti. Quindi, non ci si aspetti da lui un approfondimento peritale del
fatto.
Importante sapere è che i fatti non sono cercati dalle redazioni giornalistiche,
d'altronde non possono prevedere gli eventi, ma sono vagliati in base alle
segnalazioni ricevute. Sono cestinati i suggerimenti scomodi o che comportano
approfondimento e ricerca. Sono dileggiate le note che urtano i loro
convincimenti o danno fastidio ai loro amici. Alcune fonti, poi, sono da loro
trattati erroneamente come mitomani o pazzi.
Quindi come far diventare notizia, un fatto vero ed interessante ed
assolutamente conoscibile?
“Conditio sine qua non” è che il fatto deve essere giornalisticamente
pubblicabile: vero; pubblicamente interessante; con obbiettiva, corretta e
civile esposizione. A questi requisiti noti si aggiunge il modus operandi
corrente: comodo, condiviso ed omologato. Insomma diventa notizia quella che
tutti danno. Non esiste lo scoop, se non quello artefatto.
Chi ha un fatto da far conoscere, per prima cosa ha bisogno di attivarsi nel
cercare quanto più contatti redazionali, per poter inviare la segnalazione o il
contributo pre confezionato in stampo giornalistico. Tra il mucchio si può
trovare la redazione interessata alla problematica condivisa dalla sua politica
editoriale. Le grandi testate nazionali, che nessuno più legge, destinati
all’estinzione dall’inevitabile assottigliarsi del numero dei loro lettori,
disdegnano tutto quanto esce dalla loro dotta (a loro dire) professionalità. Le
piccole testate lette solo dal parentado redazionale ed interessate
esclusivamente alle loro sagre paesane, scartano le segnalazioni non attinenti
la competenza condominiale. Eccezionalmente, nel mucchio si può anche trovare
qualcuno che si impietosisce e fa passare il suggerimento come l’istanza di un
caso umano.
Se la nota parte da un organo politico o istituzionale, avrà fortuna solo se il
ricevente è un suo referente politico o destinatario di contributi pubblici.
Invece le veline dei magistrati e degli organi di polizia giudiziaria, pur
attinenti fatti coperti da segreto istruttorio, hanno pubblicazione certa e
pedissequa alla virgola, specie se si sbatte il mostro in prima pagina.
Il contributo già formato in stampo giornalistico, inoltre, non deve urtare la
suscettibilità del ricevente. Bisogna apparire inferiori intellettualmente.
Quindi non deve essere perfetto in sintassi e grammatica ed essere zoppicante
nella fluidificazione del discorso. Avere un linguaggio politically correct. Non
avere intercalari di linguaggio comune e moderno, né usare un lessico
comprensibile al popolo. Non offendere nessuno. Meglio appuntare i nomi. Non
denunciare il malaffare di magistrati ed avvocati e comunque del sistema di
potere precostituito di cui i giornalisti sono servi, salvo eccezioni. Chi è
giornalista lo sa, chi dice verità scomode è tacciato di mitomania, pazzia o
addirittura accusato di diffamazione a mezzo stampa. Oggi il valore del
giornalista si compara alla quantità delle querele a carico. Parlar male della
politica e di politici in particolare, può segnare l’interesse della redazione
avversa a quel partito.
Non approfondire la tematica, pur se esperti, sareste chiamati prolissi. Basta
l’accenno del profano. Non collegarli a casi similari, sareste chiamati
confusionari. Basta l’allusione dell’inesperto. L’autore del contributo non si
deve presentare nel testo, sarebbe accusato di autocelebrazione ed autocitazione.
Meglio essere anonimi. Sia mai che diventi propaganda gratuita, perché la
pubblicità è l’anima del commercio….e pure dell’informazione. E poi, il testo
come può essere firmato come proprio da chi lo riceve e lo pubblica?
Le recensioni dei libri, inviate alle redazioni cultura, devono essere attinenti
ai testi pubblicati dall’editore della testata: non è permesso agevolare la
concorrenza. Gli scrittori, poi, violentino il loro talento e diano una parvenza
di inettitudine allo scritto. Insomma, bisogna essere sintetici e divulgativi. I
giornalisti superano l’esame di abilitazione nello svolgimento di una prova di
sintesi di un articolo o di un altro testo scelto dal candidato tra quelli
forniti dalla commissione in un massimo di 30 righe di 60 caratteri ciascuna,
per un totale di 1.800 caratteri compresi gli spazi. Per le moderne testate
tutto questo spazio è troppo, meglio centellinare i periodi, se no nella pagina
non entra nello spazio lasciato libero dalle inserzioni pubblicitarie. Per
esempio, questo pezzo è troppo lungo è sarebbe di sicuro cestinato.
L’espressione del pensiero deve essere misurato e limitato in spazi
preconfezionati. Non si consulti il dizionario, ma la calcolatrice.
Seguendo queste basilari regole, forse, dico forse, tra 1500 testate, ai cui
contatti email arrivano le note stampa, qualcuno di loro può prendere in
considerazione la missiva sotto forma di lettere al direttore e far leggere ai
suo pochi lettori quello che solo allora diventa notizia.
In caso contrario, se i giornalisti altezzosi o permalosi ci ignorano, ci si
apre un blog o si fa parte di un social network o di un portale di giornalismo
partecipativo. In tal caso, però ci si accorge che i commenti dei lettori alla
notizia da noi data, spesso, sono postate da gente esaltata ed alienata: lo
specchio della società. Solo allora ci si rende conto qual è l’umanità frustrata
che ci circonda e che la notizia dovrebbe leggere. A quel punto ci si pensa che
è meglio tenere il fatto per sé, non elevandolo a notizia, e far vivere gli
altri nell’illusione di essere informati su tutto. Perché gli altri son convinti
che la notizia è solo quella detta dai tg. Perche?!? Perché l’ha detto la
televisione!!!
Per inciso ed in conclusione, voglio dire che sui media ho scritto un saggio
“Mediopoli. Disinformazione, censura ed omertà”. Ho cognizione di causa. Facendo
parlar loro, la cronaca diventa storia. Per il resto i miei scritti, quelli sì,
pur non pubblicizzati, sono al vaglio del giudizio dei miei tanti lettori, anzi
studiosi, oggetto delle loro tesi di laurea. Ad ognuno il suo.
Prescrizione. Manlio Cerroni e la malafede dei
giornalisti.
Un indagato/imputato prescritto non è un colpevole salvato, ma un soggetto,
forse innocente, NON GIUDICABILE, quindi, NON GIUDICATO!!!
Incubo carcere preventivo: quattro milioni di innocenti. In 50 anni troppe
vittime hanno subìto l’abuso della detenzione. C’è del marcio nei palazzi di
giustizia. Si ostinano a chiamarli “errori giudiziari”, ma sono la prova che il
sistema è al collasso, fin nelle fondamenta, scrive Giorgio Mulè su “Panorama”.
Quello che mi fa ribollire il sangue è che si ostinano a chiamarli “errori
giudiziari”, a presentarli come casi isolati da inserire nel naturale corso
della dialettica processuale. E invece sono la prova provata di un sistema
giudiziario marcio fin nelle fondamenta. Aprite i giornali e ogni giorno
troverete uno di questi “errori”. Facciamo insieme due passi nelle cronache
recentissime e ripercorriamole a ritroso.
Eppure i figli di…Travaglio divulgano certi messaggi fuorvianti atti ad
influenzare gli ignoranti cittadini, che poi votano ignoranti rappresentanti
politici e parlamentari.
A tal proposito viene in aiuto l’esempio lampante di come un tema scottante ed
attuale venga trattato dai media arlecchini, servi di più padroni.
Assolti? C’è sempre un però. E go te absolvo, sussurra il prete dietro la grata
del confessionale. Ma se lo dice il giudice allora no, non vale. In Italia ogni
assoluzione è un’opinione, per definizione opinabile o fallace; e d’altronde
ogni processo è già una pena, talvolta più lunga d’un ergastolo.
TG1: ROMA PROCESSO MALAGROTTA, ASSOLTO CERRONI. Andato in onda il 06/11/2018.
“Il processo sulla discarica di Malagrotta e la gestione dei rifiuti a Roma.
Assolto l’ex patron dello stabilimento, Manlio Cerroni, dall’accusa di
associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti”. Flavia
Lorenzoni.
Nel servizio si fa cenno al fatto che il processo è durato 4 anni. E meno male
che l’abbia detto. Ma lì si è fermato. Però, di seguito, il TG1 ha mandato in
onda il servizio sulla strage di Viareggio e sugli affetti che la prescrizione
avrebbe avuto su di esso.
Nel servizio al TG5 di questo tempo processuale di Cerroni nemmeno se ne fa
cenno.
A cercare su tutta la restante stampa e sugli altri tg non si trova altro che
cenni all’assoluzione, tacendo i tempi per il suo ottenimento, ma insistendo ad
infangare ed inficiare la reputazione dell’ultra novantenne Cerroni.
Solo il detuperato e vituperato giornale di Pero Sansonetti mi apre gli occhi:
“Cerroni assolto dopo 14 anni di processi. L’imprenditore era accusato di
associazione a delinquere”, scrive Simona Musco il 7 Novembre 2018 su “Il
Dubbio”. “Non c’è mai stata un’associazione a delinquere finalizzata al traffico
illecito di rifiuti a Roma e nel Lazio. Sono serviti quasi 10 anni di indagini e
quattro di processo, nonostante il giudizio immediato, per arrivare alla
conclusione raggiunta lunedì, dopo otto ore di camera di consiglio, dalla prima
sezione penale del tribunale di Roma: l’imprenditore Manlio Cerroni non ha
commesso il fatto, dunque va assolto”.
14 anni sotto la scure della giustizia. Ma in tema di campagna contro la
prescrizione meglio tacciare quest’aspetto della notizia, sia mai si ledano i
favori dei potenti di turno.
Una censura o un’omertà assordante, nonostante: “In 30 anni ho finanziato tutta
la politica. Tutta no, i Radicali non me l’hanno mai chiesto”. Manlio Cerroni,
intervistato da Myrta Merlino su La 7 il 6 settembre 2017.
Lo scandalo non sta nel fatto che scatta la prescrizione, dopo anni dal presunto
reato e anni dall’inizio del procedimento penale. Lo scandalo sta nel fatto che
non sono bastati anni alla magistratura per concludere l’iter processuale.
La prescrizione è garanzia di giustizia, i pm la trasformano in un mostro
giuridico. Lo studio dell’associazione “Fino a prova contraria”. Annalisa
Chirico, giornalista e fondatrice del movimento “Fino a prova contraria”, ha
pubblicato sul Foglio un interessante studio dei dati relativi alla prescrizione
dei procedimenti penali in Italia. Studio che merita di essere approfondito e
commentato, visto che cristallizza in maniera inconfutabile alcune verità che
non faranno certamente piacere ai giustizialisti in servizio permanente
effettivo. Partendo dalle rilevazioni statistiche del Ministero della Giustizia,
raccolte in un documento dello scorso maggio, la giornalista ha potuto
constatare che circa il 60% delle prescrizioni avvengono nella fase delle
indagini preliminari. Quindi nella fase in cui il pubblico ministero è dominus
assoluto del procedimento e dove la difesa, usando una metafora calcistica, “non
tocca palla”. Il dato smentisce una volta per tutte la vulgata che vedrebbe
l’indagato ed il suo difensore porre in essere condotte dilatorie per sottrarsi
al giudizio. Quella che viene comunemente chiamata “fuga dal processo”. Di
contro, certifica l’assoluta discrezionalità dell’ufficio del pubblico ministero
nella gestione del procedimento.
Nonostante la verità si appalesa, certi politici, continuano a cavalcare barbare
battaglie di inciviltà giuridica e sociale.
Prescrizione: Salvini, voglio tempi brevi processo e in galera colpevoli, scrive
Adnkronos l’8 Novembre 2018 su “Il Dubbio”. “La mediazione è stata positiva,
accordo trovato in mezz’ora. Voglio tempi brevi per i processi. In galera i
colpevoli, libertà per innocenti. La norma sulla prescrizione sarà nel ddl ma
entra in vigore da gennaio del 2020 quando sarà approvata la riforma del
processo penale. La legge delega, che scadrà a dicembre del 2019, sarà all’esame
del Senato la prossima settimana”. Lo dice il vicepremier Matteo Salvini, dopo
l’intesa trovata a Palazzo Chigi sulla prescrizione.
Prescrizione: Di Maio, soddisfatto da accordo, stop furbetti, scrive Adnkronos
il 9 Novembre 2018 su “Il Dubbio”. “Prescrizione? Mi sono svegliato dopo bene
dopo l’accordo, mi soddisfa totalmente, perché l’obiettivo di riformare la
prescrizione è sempre stata un obiettivo del M5S per fermare i furbetti. Allo
stesso modo sapere che il 2019 sarà l’anno del processo penale è importante”. Lo
ha detto il vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi
Di Maio, incontrando la stampa estera a Roma. “Per me è molto importante
confrontarmi con voi – ha aggiunto – i media mondiali con cui vorrei
confrontarmi su temi importanti”.
Non si vuole curare il male, ma vogliono eliminare il rimedio di tutela.
Come si sa, i Giustizialisti Giacobini dormono, la notte, adagiati fra le teste
mozzate dei nemici uccisi. Di essi hanno bevuto il sangue. Delle loro carni si
sono saziati. Non c’è nulla di più detestabile di un Giustizialista Giacobino.
In lui infatti convergono, tautologicamente, due orribili vizi: l’essere
giustizialista, e l’essere giacobino.
Il Giustizialista Giacobino è colui che non evoca la giustizia come risoluzione
di alcuni problemi giudiziari, ma vorrebbe perversamente che essa li risolvesse
tutti.
Il Giustizialista Giacobino è colui che una la differenziazione della giustizia.
Ciò ha un che di antiquato, di classista, distinguere ricchi da poveri,
privilegiati e non, potenti e miserabili. Questa ignobile creatura sa infatti
molto bene, ma finge di non sapere, che se la giustizia è sempre giusta non
sempre lo sono i giudici. Essi si dividono in Giudici Giustizialisti Giacobini e
Giudici Non Giustizialisti e Non Giacobini. I primi condannano per scopi
politici, per rancori personali, per invidia sociale. I secondi sono animati da
giustizia, saggezza e santità. Per riconoscere una sentenza come Giustizialista
basta individuare chi è stato colpito da essa.
Il Giustizialista Giacobino è colui che invoca una giustizia rapida,
inflessibile, con inasprimento delle pene e accelerazione dell’iter processuale,
incarcerazione preventiva prolungata e cancellazione delle attenuanti e dell’habeas
corpus per i reati commessi dai nemici giurati della comunità civica e dunque
della giustizia giusta. Sì, però, va detto che la giustizia è sempre giusta, ma
i giudici possono essere giusti ed ingiusti.
La Prescrizione. E’ l’istituto più odiato dai giustizialisti, sto parlando della
prescrizione del reato. Vorrebbero tempi di prescrizione lunghissimi,
praticamente infiniti. Non conta quando hai commesso un reato, dicono, conta se
lo hai commesso, e se lo hai commesso devi essere punito, punto e basta. Non è
un caso, in conclusione, che uno dei padri della scienza penalistica italiana,
come Francesco Carrara (Lucca, 18 settembre 1805 – Lucca, 15 gennaio 1888),
abbia avuto modo di insegnare l’importanza giuridica dell’istituto della
prescrizione: «Interessa la punizione dei colpevoli, ma interessa altresì la
protezione degli innocenti. Un lungo tratto di tempo decorso dopo il fatto
criminoso che vuolsi obiettare ad alcuno rende a questo punto infelice, quasi
impossibile, la giustificazione della propria innocenza […]. Qual sarebbe l’uomo
che chiamato oggi a dar conto di ciò che fece in un dato giorno dieci anni
addietro sia in grado di dire e dimostrare dove egli fosse, e come sia falsa la
imputazione che contro di lui si dirige? La perfidia di un nemico può avere
maliziosamente tardato a lanciare lo strale della calunnia per farne più sicuro
lo effetto».
Tuttavia la veemenza con cui, negli ultimi anni, opinione pubblica e
rappresentanti politici e della magistratura ritengono una ferita alla civiltà
giuridica un istituto che, dai tempi del diritto romano, ne è stato invece
baluardo, ha origini mediocri.
Ma se è mediocre la veemenza, è antica la genesi dell’istituto della
Prescrizione.
E’ indubbio che l’istituto della prescrizione – nato come istituto di natura
processuale (la longi temporis praescriptio del diritto romano) che estingue
l’azione (civile o penale) e come tale disciplinato nel diritto penale risponde
in primo luogo all’esigenza di garantire la certezza dei rapporti giuridici,
esigenza cui è evidentemente interessato soprattutto l’imputato. Nell’Atene
classica esisteva un termine di prescrizione di 5 anni per tutti reati, ad
eccezione dell’omicidio e dei reati contro le norme costituzionali, che non
avevano termine di prescrizione. Demostene scrisse che questo termine fu
introdotto per controllare l’attività dei sicofanti.
“Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria (Milano 15 marzo 1738 – Milano 28
novembre 1794). CAPITOLO XXX PROCESSI E PRESCRIZIONE. Conosciute le prove e
calcolata la certezza del delitto, è necessario concedere al reo il tempo e
mezzi opportuni per giustificarsi; ma tempo cosí breve che non pregiudichi alla
prontezza della pena, che abbiamo veduto essere uno de’ principali freni de’
delitti. Un mal inteso amore della umanità sembra contrario a questa brevità di
tempo, ma svanirà ogni dubbio se si rifletta che i pericoli dell’innocenza
crescono coi difetti della legislazione. Ma le leggi devono fissare un certo
spazio di tempo, sì alla difesa del reo che alle prove de’ delitti, e il giudice
diverrebbe legislatore se egli dovesse decidere del tempo necessario per provare
un delitto.
Plagio e Verità
PLAGIO E VERITA’. LA CRONACA PUO’ DIVENTARE
STORIA?
Antonio Giangrande: “stavolta io sto con Roberto Saviano”.
Intervento di Antonio Giangrande, scrittore tarantino, autore di decine di saggi
d’inchiesta.
Lo scrittore napoletano, autore di “Gomorra” e “Zerozerozero”, è accusato di
aver inserito delle frasi altrui nei suoi libri, tratte da fonti non citate.
Saviano si difende: “è cronaca…e la cronaca appartiene a tutti”.
Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un
ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a
quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati
monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo
giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma
inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto:
dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento
politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro
sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo
che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati,
che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e
saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi
di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si
sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti
condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di
cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere
delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti
perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di
sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e
della fine che fece il primo saggista mondiale.
Da sempre diffido di chi, vestito da lupo, è pecora genuflessa alla
magistratura. I saccenti giustizialisti dei 5 stelle che provino a proporre la
figura del difensore civico giudiziario con poteri di magistrato, senza essere
uno di loro, per poter metter le mani nelle carte dei fascicoli e poterle
sparigliare. Io da anni mi batto inascoltato per questo. I signori dei 5 stelle
non si degnano nemmeno di rispondere ai messaggi degli esperti: tanto san tutto
loro. A sbraitare son bravi, ma a proporre leggi sensate, mi sa che non son
capaci. Parlan solo di soldi, soldi, soldi ed onestà, certificata dai loro
magistrati, e mai parlano di libertà ed opportunità senza concorsi ed esami
pubblici truccati.
Ad ogni azione umana nefasta si trova sempre una giustificazione...lo si fa per
le piante...lo si fa per gli animali...lo si fa per le persone! Ma, alla fine,
rimane solo un'azione nefasta che fa male al prossimo...e, spesso, il prossimo
siamo noi. A parte il partito preso, noi siamo tutti responsabili delle azioni
nefaste di uno, quando gli permettiamo di farle.
Parlare nei miei libri del caso singolo del semplice cittadino significa
incorrere nell’accusa di mitomania, pazzia o calunnia, oltre che ne
disinteresse. Invece parlo di loro, delle istituzioni che delinquono impunite.
Parlo della vera mafia. Cosa posso dire di più di quello che ho scritto e che
altri non dicono? Credo che quanto divulgato possa essere di grande
soddisfazione per le vittime, non potendo avere altro che quella in questa
Italia con italiani di merda a cui interessa solo di loro stessi e se ne fottono
degli altri.
Come far sì che si parli di questioni delicate e pericolose che gli scribacchini
non fanno? Come si fa a far conoscere situazioni locali e temporali su tutto il
territorio nazionale e raccontate da autori poco conosciuti?
Quello che succede quotidianamente davanti ai nostri occhi è quello che vedono
tutti e non ci sono parole diverse per raccontarlo. I racconti sono coincidenti.
Possono cambiare i termini, ma i fattori non cambiano. Gli scribacchini, poi,
nel formare i loro pezzi, spesso e volentieri si riportano alle veline dei
magistrati e delle forze dell’Ordine.
Ergo: E’ una bestialità parlare di plagio.
E poi, l’informazione di regime dei professionisti abilitati alla conformità non
è tutta un copia ed incolla?
Si deve sempre guardare il retro della medaglia. Come per esempio: si dice che i
soldi vadano ai migranti e ce la prendiamo con loro. Invece i soldi vanno ai
migranti tramite le cooperative di sinistra e della CGIL. Ergo: Ai migranti
quasi niente; alla sinistra i soldi dell'emergenza ed i voti dei futuri
cittadini italianizzati. Ecco perchè i comunisti sono solidali fino a voler
mettere i mussulmani nelle canoniche delle chiese cristiane. Quegli stessi
mussulmani che in casa loro i cristiani li trucidano. Poi per l’aiuto agli
italiani non c’è problema: se sei di sinistra, hai qualsiasi cosa: case
popolari, anche occupate, e sussidi ed occupazioni nelle cooperative. Se sei di
destra, invece, vivi in auto da disoccupato, non per colpa della sinistra, ma
perché quelli di destra ed i loro politici son tanto coglioni che non sanno
neppure tutelare se stessi.
A proposito dell’invasione dei mussulmani senza colpo ferire….diamo proposte e
non proteste. Se lo sbarco incontrollato dei clandestini è dovuto alla guerra
fratricida nei loro paesi: fermiamo quella guerra con una guerra giusta
sostenendo la ragione. Per molto meno si è bombardato l’Iraq, l’Afghanistan e la
Libia, senza aver un interesse generale europeo, se non quello di assecondare le
mire americane. E poi, dalla patria in fiamme non si scappa, ma si combatte per
la sua liberazione. Gli italiani non sono scappati in Africa dalla occupazione
tedesca. O i comunisti hanno combattuto non per liberare l’Italia ma per
consegnarla all’URSS? Se il motivo dello sbarco incontrollato dei clandestini è
quello economico, evitiamo di farci espropriare il nostro benessere ottenuto con
sacrifici. Per la sinistra è un sistema che vale in termini elettorali, ma è
ingiusto. Difendiamoci dall'invasione in pace. Apriamo aziende nei luoghi di
espatrio dei clandestini. Imprese finanziate da quei fondi destinati a mantenere
gli immigrati a poltrire in Italia. In alternativa tratteniamo i più giovani di
loro per dargli una preparazione ed una istruzione specialistica, affinchè siano
loro stessi ad aprire le aziende.
E comunque, senza parer razzista…In Italia basterebbe far rispettare la legge a
tutti, compreso i clandestini, iniziando dalla loro identificazione, e se
bisogna mantenere qualcuno, lo si faccia anche con gli italiani indigenti. Per
inciso. Non sono di nessun partito. Non voto da venti anni, proprio perché sono
stufo dei quaquaraqua in Parlamento e di quei coglioni che li votano.
La sinistra usa la stessa solidarietà adottata con i migranti come nella lotta
alla mafia: farsi assegnare i beni confiscati e farli gestire da associazioni o
cooperative vicine a loro a alla CGIL o a Libera, che è la setta cosa.
Io ho trovato un sistema affinchè non sia tacciato di mitomania, pazzia o
calunnia: faccio parlare chi sul territorio la verità scomoda la fa diventare
cronaca ed io quella realtà contemporanea la trasformo in storia affinchè non si
dimentichi.
Io generalmente non sto con Saviano: per il suo essere di sinistra con quello
che comporta in termini di difetti ed appoggi. La sinistra, per esempio, non
dice che mafia ed antimafia, spesso, sono la stessa cosa, sol perché l’antimafia
è da loro incarnata. Ma stavolta io sto con Saviano perché la verità appartiene
a tutti e noi abbiamo l’obbligo di conoscerla e divulgarla. Saviano ha
raccontato una realtà conosciuta, ma taciuta. Verità enfatizzata e
strumentalizzata dalla sinistra tanto da renderla nociva. Può aver appreso da
scritti altrui? Può darsi. Basta che sia verità. Se qualche autore vuol
speculare sulla verità raccontata, allora la sua dignità vale quanto la moneta
pretesa. Se poi chi critica ed aizza mesta nel fango, questi vuol distogliere
l’attenzione sulla sostanza del contenuto, anteponendo artatamente la forma. Ed
i lettori, in questa diatriba, non guardino il dito, ma notino la luna.
Io, da parte mia, le fonti le cito, (eccome se le cito), per dare credibilità
alle mie asserzioni e per dare onore a chi, nelle ritorsioni, è disposto con
coraggio a perdere nel nome della verità in un mare di viltà. I miei non sono
romanzi, ma saggi da conoscere e divulgare. Perché noi dobbiamo essere quello
che noi avremmo voluto che diventassimo. E delle critiche: me ne fotto.
Ignoranza e diritto d'autore. Se questi son giornalisti...
Dr Luigi Amicone, sono il dr Antonio Giangrande. Il soggetto da lei indicato a Google Libri come colui che viola il copyright di “Qualcun Altro”. Così come si evince dalla traduzione inviatami da Google. “Un sacco di libri pubblicati da Antonio Giangrande, che sono anche leggibile da Google Libri, sembrano violare il copyright di qualcun altro. Se si controlla, si potrebbe scoprire che sono fatti da articoli e testi di diversi giornalisti. Ha messo nei suoi libri opere mie, pubblicate su giornali o riviste o siti web. Per esempio, l'articolo pubblicato da Il Giornale il 29 maggio 2018 "Il serial Killer Zodiac ... ". Sembra che abbia copiato l'intero articolo e incollato sul "suo" libro. Sembra che abbia pubblicato tutti i suoi libri in questo modo. Puoi chiedergli di cambiare il suo modo di "scrivere"? Grazie”.
Mi vogliono censurare su Google.
Premessa: Ho scritto centinaia di saggi e centinaia di migliaia di pagine, affrontando temi suddivisi per argomento e per territorio, aggiornati periodicamente. Libri a lettura anche gratuita. Non esprimo opinioni e faccio parlare i fatti e gli atti con l’ausilio di terzi, credibili e competenti, che sono ben lieti di essere riportati e citati nelle mie opere. Opere che continuamente sono utilizzati e citati in articoli di stampa, libri e tesi di laurea in Italia ed all’estero. E di questo ne sono orgoglioso, pur non avendone mai data autorizzazione preventiva. Vuol dire che mi considerano degno di essere riportato e citato e di questo li ringrazio infinitamente. Libri a lettura anche gratuita. Il mio utilizzo dei contenuti soddisfa i requisiti legali del fair use o del fair dealing ai sensi delle leggi vigenti sul copyright. Le norme nazionali ed internazionali mi permettono di manifestare il proprio pensiero, anche con la testimonianza di terzi e a tal fine fare copie singole di parti di opere per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico.
Reclamo:
Non si chiede solo di non usare i suoi articoli, ma si pretende di farmi cambiare il mio modo di scrivere. E questa è censura.
Ho diritto di citazione con congruo lasso di tempo e senza ledere la concorrenza.
Io sono un giurista ed un giornalista d’inchiesta. Opero nell’ambito dell’art. 21 della Costituzione che mi permette di esprimere liberamente il mio pensiero. Nell’art. 65 della legge 53 il legislatore sancisce la libertà di utilizzazione, riproduzione o ripubblicazione e comunicazione al pubblico degli articoli di attualità, che possiamo considerare come sinonimo di cronaca, in altre riviste o giornali. Distinta dalla mera cronaca è l’inchiesta giornalistica, la quale parte da fatti di cronaca per svolgere un’attività di indagine, c.d. “indagine giornalistica”, con la quale il professionista si informa, chiede chiarimenti e spiegazioni. Questa attività rientra nel c.d. “giornalismo investigativo” o “d’inchiesta”, riconosciuto dalla Cassazione nel 2010 come “la più alta e nobile espressione dell’attività giornalistica”, perché consente di portare alla luce aspetti e circostanze ignote ai più e di svelare retroscena occultati, che al contempo sono di rilevanza sociale. A seguito dell’attività d’indagine, il giornalista svolge poi l’attività di studio del materiale raccolto, di verifica dell’attendibilità di fonti non generalmente attendibili, diverse dalle agenzie di stampa, di confronto delle fonti. Solo al termine della selezione del materiale conseguito, il giornalista inizia a scrivere il suo articolo. (Cass., 9 luglio 2010, n. 16236, in Danno e resp., 2010, 11, p. 1075. In questa sentenza la Corte Suprema precisa che “Con tale tipologia di giornalismo (d’inchiesta), infatti, maggiormente, si realizza il fine di detta attività quale prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, per sollecitare i cittadini ad acquisire conoscenza di tematiche notevoli, per il rilievo pubblico delle stesse”).
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
Io sono un Segnalatore di illeciti (whistleblower). La normativa italiana utilizza l'espressione segnalatore o segnalante d'illeciti a partire dalla cosiddetta "legge anti corruzione" (6 novembre 2012 n. 190). Italia. L'art. 1, comma 51 della legge 6 novembre 2012, n. 190 ha disciplinato per la prima volta nella legislazione italiana la figura del whistleblower, con particolare riferimento al "dipendente pubblico che segnala illeciti", al quale viene offerta una parziale forma di tutela. Negli Stati Uniti la prima legge in tema fu il False Claims Act del 1863, che protegge i segnalatori di illeciti da licenziamenti ingiusti, molestie e declassamento professionale, e li incoraggia a denunciare le truffe assicurando loro una percentuale sul denaro recuperato. Del 1912 è il Lloyd–La Follette Act, che garantisce agli impiegati federali il diritto di fornire informazioni al Congresso degli Stati Uniti d'America. Nel 1989 è stato approvato il Whistleblower Protection Act, una legge federale che protegge gli impiegati del governo che denunciano illeciti, proteggendoli da eventuali azioni di ritorsione derivanti dalla divulgazione dell'illecito.
Io sono un Aggregatore di contenuti tematici di ideologia contrapposta con citazione della fonte, al fine del diritto di cronaca e di discussione e di critica dei contenuti citati.
Quando parlo di aggregatore di contenuti non mi riferisco a colui che, per profitto, riproduce tout court integralmente, o quasi, un post o un articolo. Costoro non sono che volgari “produttori” di plagio, pur citando la fonte. Ci sono Aggregatori di contenuti in Italia, che esercitano la loro attività in modo lecita, e comunque, verosimilmente, non contestata dagli autori aggregati e citati.
Vedi Giorgio dell’Arti su “Cinquantamila.it”. LA STORIA RACCONTATA DA GIORGIO DELL'ARTI. “Salve. Sono Giorgio Dell’Arti. Questo sito è riservato agli abbonati della mia newsletter, Anteprima. Anteprima è la spremuta di giornali che realizzo dal lunedì al venerdì la mattina all’alba, leggendo i quotidiani appena arrivati in edicola. La rassegna arriva via email agli utenti che si sono iscritti in promozione oppure in abbonamento qui o sul sito anteprima.news”.
Oppure come fa Dagospia o altri siti di informazione online, che si limitano a riportare quegli articoli che per motivi commerciali o di esclusività non sono liberamente fruibili. Dagospia si definisce "Risorsa informativa online a contenuto generalista che si occupa di retroscena. È espressione di Roberto D'Agostino". Sebbene da alcuni sia considerato un sito di gossip, nelle parole di D'Agostino: «Dagospia è un bollettino d'informazione, punto e basta».
Addirittura il portale web “Newsstandhub.com” riporta tutti gli articoli dei portali di informazione più famosi con citazione della fonte, ma non degli autori. Si presenta come: “Il tuo centro edicola personale dove poter consultare tutte le notizia contemporaneamente”.
Così come il sito web di Ristretti.org o di Antimafiaduemila.com.
Esercito il mio diritto di cronaca e di critica. Diritto di cronaca, dico, che non ha alcuna limitazione se non quella della verità, attinenza-continenza, interesse pubblico. Diritto di cronaca su Stampa non periodica.
Che cosa significa "Stampa non periodica"?
Ogni forma di pubblicazione una tantum, cioè che non viene stampata regolarmente (è tale, ad esempio, un saggio o un romanzo in forma di libro).
Stampa non periodica, perché la Stampa periodica è di pertinenza esclusiva della lobby dei giornalisti, estensori della pseudo verità, della disinformazione, della discultura e dell’oscurantismo.
Con me la cronaca diventa storia ed allora il mio diritto di cronaca diventa diritto di critica storica.
NB. In dottrina si evidenzia che “per uso di critica” si deve intendere l’utilizzazione oggettivamente finalizzata ad esprimere opinioni protette ex art. 21 e 33 della Costituzione. Con me la cronaca diventa storia ed allora il mio diritto di cronaca diventa diritto di critica storica. La critica storica può scriminare la diffamazione. Cassazione penale, sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506. L'esercizio del diritto di critica può, a certe condizioni, rendere non punibile dichiarazioni astrattamente diffamatorie, in quanto lesive dell'altrui reputazione. Resoconto esercitato nel pieno diritto di Critica Storica. La critica storica può scriminare la diffamazione. Cassazione penale, sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506. La ricerca dello storico, quindi, comporta la necessità di un’indagine complessa in cui “persone, fatti, avvenimenti, dichiarazioni e rapporti sociali divengono oggetto di un esame articolato che conduce alla definitiva formulazione di tesi e/o di ipotesi che è impossibile documentare oggettivamente ma che, in ogni caso debbono trovare la loro base in fonti certe e di essere plausibili e sostenibili”. La critica storica, se da una parte può scriminare la diffamazione. Cassazione penale, sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506, dall'altra ha funzione di discussione: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera".
Il Diritto di Citazione e la Censura dei giornalisti.
Il Commento di Antonio Giangrande.
Nel libro di Antonio Giangrande “L’Italia dei Misteri” di centinaia di pagine,
veniva riportato, con citazione dell’autore e senza manipolazione e commenti,
l’articolo del giornalista Francesco Amicone, collaboratore de “Il Giornale”.
Articolo di un paio di pagine che parlava del Mostro di Firenze ed inserito in
una più ampia discussione in contraddittorio. L’Amicone, pur riconoscendo che
non vi era plagio, criticava l’uso del copia incolla dell’opera altrui. Per
questo motivo ha chiesto ed ottenuto la sospensione dell’account dello scrittore
Antonio Giangrande su Amazon, su Lulu e su Google libri. Google ha sospeso la
pubblicazione del libro oggetto di contestazione, seguito dal ripristino
immediato, data l’infondatezza delle pretesa. Invece Amazon e Lulu hanno sospeso
addirittura l’intero account con centinai di libri non interessati alla vicenda.
Nei libri di Antonio Giangrande, per il rispetto della pluralità delle fonti in
contraddittorio per una corretta discussione, non vi è plagio ma Diritto di
Citazione.
La vicenda merita un approfondimento del tema del Diritto di Citazione.
Il processo a Roberto Saviano per “Gomorra” fa precedente e scuola.
Alcuni giornalisti contestavano a Saviano l’uso di un copia incolla di alcuni
articoli di giornale senza citare la fonte.
Da Wikipedia: Nel 2013 Saviano e la casa editrice Mondadori sono stati
condannati in appello per plagio. La Corte d’Appello di Napoli ha riconosciuto
che alcuni passaggi dell’opera Gomorra (lo 0.6% dell’intero libro) sono
risultate un’illecita riproduzione del contenuto di due articoli dei quotidiani
locali Cronache di Napoli e Corriere di Caserta, modificando così parzialmente
la sentenza di primo grado, in cui il Tribunale aveva rigettato le accuse dei
due quotidiani e li aveva anzi condannati al risarcimento dei danni per aver
“abusivamente riprodotto” due articoli di Saviano (condanna, questa, confermata
in Appello). Lo scrittore e la Mondadori in Appello sono stati condannati in
solido al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, per 60mila euro più parte
delle spese legali. Lo scrittore ha presentato ricorso in Cassazione contro la
sentenza e la Suprema Corte ha confermato in parte l’impianto della sentenza
d’Appello e ha invitato alla riqualificazione del danno al ribasso, stimando
60000 euro una somma eccessiva per articoli di giornale con diffusione
limitatissima. La condanna per plagio nei confronti di Saviano e della Mondadori
è stata confermata nel 2016 dalla Corte di Appello di Napoli, che ha
ridimensionato il danno da risarcire da 60.000 a 6.000 euro per l’illecita
riproduzione in Gomorra di due articoli di Cronache di Napoli e per l’omessa
citazione della fonte nel caso di un articolo del Corriere di Caserta riportato
tra virgolette.
Conclusione: si condanna l’omessa citazione dell’autore e non il copia incolla
della sua opera.
Cosa hanno in comune un giurista ed un giornalista d’inchiesta; un sociologo e
un segnalatore di illeciti (whistleblower); un ricercatore o un insegnante e un
aggregatore di contenuti?
Essi si avvalgono del Diritto di Citazione. A norma dell’art. 70, comma 1 della
Legge sul diritto d’autore: “Il riassunto, la citazione o la riproduzione di
brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se
effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali
fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica
dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica
l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non
commerciali.”
Cassazione penale, sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506, dall’altra ha funzione
di discussione: “Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di
parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per
uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché
non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera”.
Il Diritto di Citazione è il Diritto di Cronaca di un’indagine complessa
documentale e testimoniale senza manipolazione e commenti con di citazione di
opere altrui senza lesione della concorrenza con congruo lasso di tempo e
pubblicazione su canali alternativi e differenti agli originali.
Il Diritto di Citazione si svolge su Stampa non periodica. Che cosa significa
“Stampa non periodica”?
Ogni forma di pubblicazione una tantum, cioè che non viene stampata regolarmente
(è tale, ad esempio, un saggio o un romanzo in forma di libro).
Il diritto di cronaca su Stampa non periodica diventa diritto di critica
storica.
NB. In dottrina si evidenzia che “per uso di critica” si deve intendere
l’utilizzazione oggettivamente finalizzata ad esprimere opinioni protette ex
art. 21 e 33 della Costituzione. Con me la cronaca diventa storia ed allora il
mio diritto di cronaca diventa diritto di critica storica. La critica storica
può scriminare la diffamazione. Cassazione penale, sez. V, sentenza 10/11/2016
n° 47506. L’esercizio del diritto di critica può, a certe condizioni, rendere
non punibile dichiarazioni astrattamente diffamatorie, in quanto lesive
dell’altrui reputazione. Resoconto esercitato nel pieno diritto di Critica
Storica. La critica storica può scriminare la diffamazione. Cassazione penale,
sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506. La ricerca dello storico, quindi, comporta
la necessità di un’indagine complessa in cui “persone, fatti, avvenimenti,
dichiarazioni e rapporti sociali divengono oggetto di un esame articolato che
conduce alla definitiva formulazione di tesi e/o di ipotesi che è impossibile
documentare oggettivamente ma che, in ogni caso debbono trovare la loro base in
fonti certe e di essere plausibili e sostenibili”. La critica storica, se da una
parte può scriminare la diffamazione. Cassazione penale, sez. V, sentenza
10/11/2016 n° 47506, dall’altra ha funzione di discussione: “Il riassunto, la
citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione
al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei
limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza
all’utilizzazione economica dell’opera”.
L’art. 21 della Costituzione permette di esprimere liberamente il proprio
pensiero. Nell’art. 65 della legge l. n. 633/1941 il legislatore sancisce la
libertà di utilizzazione, riproduzione o ripubblicazione e comunicazione al
pubblico degli articoli di attualità, che possiamo considerare come sinonimo di
cronaca, in altre riviste o giornali. Distinta dalla mera cronaca è l’inchiesta
giornalistica, la quale parte da fatti di cronaca per svolgere un’attività di
indagine, c.d. “indagine giornalistica”, con la quale il professionista si
informa, chiede chiarimenti e spiegazioni. Questa attività rientra nel c.d.
“giornalismo investigativo” o “d’inchiesta”, riconosciuto dalla Cassazione
nel 2010 come “la più alta e nobile espressione dell’attività giornalistica”,
perché consente di portare alla luce aspetti e circostanze ignote ai più e di
svelare retroscena occultati, che al contempo sono di rilevanza sociale. A
seguito dell’attività d’indagine, il giornalista svolge poi l’attività di
studio del materiale raccolto, di verifica dell’attendibilità di fonti non
generalmente attendibili, diverse dalle agenzie di stampa, di confronto delle
fonti. Solo al termine della selezione del materiale conseguito, il giornalista
inizia a scrivere il suo articolo. (Cass., 9 luglio 2010, n. 16236, in Danno e
resp., 2010, 11, p. 1075. In questa sentenza la Corte Suprema precisa che “Con
tale tipologia di giornalismo (d’inchiesta), infatti, maggiormente, si realizza
il fine di detta attività quale prestazione di lavoro intellettuale volta alla
raccolta, al commento e alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto
di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, per
sollecitare i cittadini ad acquisire conoscenza di tematiche notevoli, per il
rilievo pubblico delle stesse”).
A norma dell’art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d’autore: “Il riassunto,
la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro
comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di
discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano
concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di
insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per
finalità illustrative e per fini non commerciali.”
La normativa italiana utilizza l’espressione segnalatore o segnalante d’illeciti
a partire dalla cosiddetta “legge anti corruzione” (6 novembre 2012 n. 190).
Italia. L’art. 1, comma 51 della legge 6 novembre 2012, n. 190 ha disciplinato
per la prima volta nella legislazione italiana la figura del whistleblower, con
particolare riferimento al “dipendente pubblico che segnala illeciti”, al quale
viene offerta una parziale forma di tutela. Negli Stati Uniti la prima legge in
tema fu il False Claims Act del 1863, che protegge i segnalatori di illeciti da
licenziamenti ingiusti, molestie e declassamento professionale, e li incoraggia
a denunciare le truffe assicurando loro una percentuale sul denaro recuperato.
Del 1912 è il Lloyd–La Follette Act, che garantisce agli impiegati federali il
diritto di fornire informazioni al Congresso degli Stati Uniti d’America. Nel
1989 è stato approvato il Whistleblower Protection Act, una legge federale che
protegge gli impiegati del governo che denunciano illeciti, proteggendoli da
eventuali azioni di ritorsione derivanti dalla divulgazione dell’illecito.
Quando si parla di aggregatore di contenuti non mi riferisco a colui che, per
profitto, riproduce tout court integralmente, o quasi, un post o un articolo.
Costoro non sono che volgari “produttori” di plagio, pur citando la fonte. Ci
sono Aggregatori di contenuti in Italia, che esercitano la loro attività in modo
lecita, e comunque, verosimilmente, non contestata dagli autori aggregati e
citati.
Vedi Giorgio dell’Arti su “Cinquantamila.it”. LA STORIA RACCONTATA DA GIORGIO
DELL’ARTI. “Salve. Sono Giorgio Dell’Arti. Questo sito è riservato agli abbonati
della mia newsletter, Anteprima. Anteprima è la spremuta di giornali che
realizzo dal lunedì al venerdì la mattina all’alba, leggendo i quotidiani appena
arrivati in edicola. La rassegna arriva via email agli utenti che si sono
iscritti in promozione oppure in abbonamento qui o sul sito anteprima.news”.
Oppure come fa Dagospia o altri siti di informazione online, che si limitano a
riportare quegli articoli che per motivi commerciali o di esclusività non sono
liberamente fruibili. Dagospia si definisce “Risorsa informativa online a
contenuto generalista che si occupa di retroscena. È espressione di Roberto
D’Agostino”. Sebbene da alcuni sia considerato un sito di gossip, nelle parole
di D’Agostino: «Dagospia è un bollettino d’informazione, punto e basta».
Addirittura il portale web “Newsstandhub.com” riporta tutti gli articoli dei
portali di informazione più famosi con citazione della fonte, ma non degli
autori. Si presenta come: “Il tuo centro edicola personale dove poter consultare
tutte le notizia contemporaneamente”.
Così come il sito web di Ristretti.org o di Antimafiaduemila.com, o di
pressreader.com.
Così come fanno alcuni giornali e giornalisti. Non fanno inchieste o riportano
notizie proprie. Ma la loro informazione si basa anche su commento di articoli
di terzi. Vedi “Il giornale” o “Libero Quotidiano” o Il Corriere del Giorno o il
Sussidiario, o twnews.it/it-news, ecc.
Diritto all'oblio
DIRITTO ALL’OBLIO. FINE DELLA STORIA!
Per gente indegna. Umanità senza vergogna e con la memoria corta. Nata, ma
per i posteri mai vissuta.
Voi umani, dimenticate il passato. Hitler, Stalin ed ogni piccolo e grande
criminale innominabile dai giudici avrà la facoltà di essere innominato.
Intervista al dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista,
blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Cosa c’entra Lei che non è giornalista con il Diritto all’Oblio?
«Io della Cronaca faccio Storia. Ciononostante personalmente sono destinatario
degli strali ritorsivi dei magistrati. A loro non piace che si vada oltre la
verità giudiziaria. La loro Verità. Oggi però sono intere categorie ad essere
colpite: dai giornalisti ai saggisti. Dagli storici ai sociologi. Perché oggi in
tema di Diritto all'Oblio e Libertà di espressione, la Cassazione tutela meno
del Regolamento Privacy. Una recente sentenza della Cassazione colpisce un
giornale (Prima Da Noi) con una interpretazione inedita e pericolosa del diritto
all'oblio. Superando le previsioni dei Garanti Privacy e della Corte europea dei
Diritti dell'Uomo».
Cosa dice la legge sulla Privacy?
«La nuova normativa, concernente il rapporto tra il diritto alla privacy ed il
diritto di cronaca, è contenuta negli articoli 136 e seguenti del Codice privacy
che hanno sostanzialmente recepito quanto già stabilito dal citato art. 25 della
Legge 675 del 1996. In base a dette norme chiunque esegue la professione di
giornalista indipendentemente dal fatto che sia iscritto all'elenco dei
pubblicisti o dei praticanti, o che si limiti ad effettuare un trattamento
temporaneo finalizzato esclusivamente alla pubblicazione o diffusione
occasionale di articoli saggi o altre manifestazioni del pensiero:
può procedere al trattamento di dati sensibili anche in assenza
dell'autorizzazione del Garante rilasciata ai sensi dell'art. 26 del D. Lgs. 196
del 2003;
può utilizzare dati giudiziari senza adottare le garanzie previste dall'art. 27
del Codice privacy;
può trasferire i dati all'estero senza dover rispettare le specifiche
prescrizioni previste per questa tipologia di dati;
non è tenuto a richiedere il consenso né per il trattamento di dati comuni né
per il trattamento di dati sensibili».
Cosa prevedeva la Legge e la Giurisprudenza?
«Come è noto, il diritto di manifestare il proprio pensiero ex art. 21 Cost. non
può essere garantito in maniera indiscriminata e assoluta, ma è necessario porre
dei limiti al fine di poter contemperare tale diritto con quelli dell’onore e
della dignità, proteggendo ciascuno da aggressioni morali ingiustificate. La
decisione si trova in completa armonia con altre numerose pronunce della Corte.
La Cassazione, infatti, ha costantemente ribadito che il diritto di cronaca
possa essere esercitato anche quando ne derivi una lesione dell’altrui
reputazione, costituendo così causa di giustificazione della condotta a
condizione che vengano rispettati i limiti della verità, della continenza e
della pertinenza della notizia. Orbene, è fondamentale che la notizia pubblicata
sia vera e che sussista un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti. Il
diritto di cronaca, infatti, giustifica intromissioni nella sfera privata
laddove la notizia riportata possa contribuire alla formazione di una pubblica
opinione su fatti oggettivamente rilevanti. Il principio di continenza, infine,
richiede la correttezza dell’esposizione dei fatti e che l’informazione venga
mantenuta nei giusti limiti della più serena obiettività. A tal proposito, giova
ricordare che la portata diffamatoria del titolo di un articolo di giornale deve
essere valutata prendendo in esame l’intero contenuto dell’articolo, sia sotto
il profilo letterale sia sotto il profilo delle modalità complessive con le
quali la notizia viene data (Cass. sez. V n. 26531/2009). Tanto premesso si può
concludere rilevando che pur essendo tutelato nel nostro ordinamento il diritto
di manifestare il proprio pensiero, tale diritto deve, comunque, rispettare i
tre limiti della verità, pertinenza e continenza. Diritto di Cronaca e gli
estremi della verità, della pertinenza e della continenza della notizia. L'art.
51 codice penale (esimente dell'esercizio di un diritto o dell'adempimento di un
dovere) opera a favore dell'articolista nel caso in cui sia indiscussa la verità
dei fatti oggetto di pubblicazione e che la stessa sia di rilevante interesse
pubblico. In merito all'esimente del Diritto di Cronaca ex art. 51 c.p., la
Suprema Corte con Sentenza n 18174/14 afferma: "la cronaca ha per fine
l'informazione e, perciò, consiste nella mera comunicazione delle notizie,
mentre se il giornalista, sia pur nell'intento di dare compiuta
rappresentazione, opera una propria ricostruzione di fatti già noti, ancorchè ne
sottolinei dettagli, all'evidenza propone un'opinione". Il diritto ad esprimere
delle proprie valutazioni, del resto non va represso qualora si possa fare
riferimento al parametro della "veridicità della cronaca", necessario per
stabilire se l'articolista abbia assunto una corretta premessa per le sue
valutazioni. E la Corte afferma, in proposito: "Invero questa Corte è costante
nel ritenere che l'esimente di cui all'art. 51 c.p., è riconoscibile sempre che
sia indiscussa la verità dei fatti oggetto della pubblicazione, quindi il loro
rilievo per l'interesse pubblico e, infine, la continenza nel darne notizia o
commentarli ... In particolare il risarcimento dei danni da diffamazione è
escluso dall'esimente dell'esercizio del diritto di critica quando i fatti
narrati corrispondano a verità e l'autore, nell'esposizione degli stessi, seppur
con terminologia aspra e di pungente disapprovazione, si sia limitato ad
esprimere l'insieme delle proprie opinioni (Cass. 19 giugno 2012, n. 10031)"».
Con la novella di cosa si sta parlano?
«La sentenza 13161/16 del 24 giugno 2016 (Presidente Salvatore Di Palma,
relatore Maria Cristina Giancola) entrerà nella storia perché cancella la
Storia. La Suprema Corte ha infatti allargato di parecchio la sfera del diritto
all’oblio (right to be forgotten) secondo cui si può far valere il diritto ad
essere dimenticati, ovvero a fare in modo che il nostro passato non ritorni a
galla con una ricerca online anche dopo anni. La Cassazione, ha stabilito che
“un articolo di cronaca su un accoltellamento in un ristorante dovesse essere
cancellato dall’archivio digitale perché pur essendo corretto, raccontando la
verità e non travalicando i limiti di legge, aveva prodotto un danno ai
ricorrenti, cioè i soggetti attivi della vicenda di cronaca giudiziaria”.
Vicenda che, ai tempi della richiesta di rimozione dell’articolo, non si era
ancora conclusa in giudizio. Spiega Vincenzo Tiani: “La Cassazione richiama la
celebre sentenza Google Spain (C-131/12) che ha sancito per prima l’esistenza di
un diritto ad essere dimenticati, e le linee guida dell’Art. 29 Data Protection
Working Party (WP29) redatte dopo la sentenza (novembre 2014). Peccato che ciò
che la Corte di Giustizia Europea (CJEU) ha sancito in quell’occasione è che
ogni soggetto ha diritto sì alla de-indicizzazione dai motori di ricerca delle
notizie che lo riguardano, qualora lesive della sua dignità, denigratorie, non
più rilevanti per l’opinione pubblica, ma mai ha stabilito che tali informazioni
dovessero essere rimosse dagli archivi dei giornali, soprattutto laddove tale
pubblicazione fosse legale, come nel caso in specie. Ci si riferisce sempre alla
lista di risultati che fornisce il motore di ricerca e mai alla notizia di per
sé. Se poi andiamo a leggere le linee guida di WP29, al paragrafo 18 questo
indirizzo viene confermato. Si dice infatti che la de-indicizzazione non
riguarda i motori di ricerca di piccola portata come quelli dei giornali online.
Ergo non vi è un obbligo per la testata non solo di rimuovere l’articolo ma
neanche di de-indicizzarlo dal proprio motore di ricerca, cosa che avrebbe lo
stesso effetto di rimuoverlo visto che lo renderebbe di fatto introvabile.”»
Cosa dice la sentenza Google Spain?
«La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea C-131/12 (Google Spain
case, nda), del 13 maggio 2014, ha disposto che i singoli individui possono
chiedere ai motori di ricerca di rimuovere specifici risultati che appaiono
effettuando una ricerca con il proprio nome, qualora tali risultati siano
relativi all’interessato e risultino obsoleti. Un risultato può essere
considerato obsoleto quando la tutela dei dati personali dell’interessato
prevale rispetto all’interesse pubblico alla conoscenza della notizia cui tale
risultato rimanda. E su questo che si deve ragionare. I risultati della ricerca
devono essere vagliati per verificare quale dei due diritti fondamentali, quello
alla privacy e quello di cronaca, debba prevalere. Ciononostante con la nuova
GDPR (General Data Protection Regulation, Reg. 2016/679), che entrerà in vigore
nel 2018 sostituendo la ormai obsoleta direttiva 95/46/EC, il Diritto alla
Cancellazione (o diritto all’Oblio) è stato introdotto dall’Art. 17. Secondo la
nuova norma, qualora sussistano alcuni dei motivi previsti successivamente,
l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la
cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo
e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato
ritardo i dati personali […] Tuttavia, al comma 3, si prevedono talune
eccezioni. Chi detiene e fa uso dei dati dell’interessato (il titolare del
trattamento, il giornale in questo caso) non dovrà dare seguito alla richiesta
di cancellazione qualora tale uso sia stato lecitamente fatto:
a) per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione;
d) a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o
storica o a fini statistici conformemente all’articolo 89, paragrafo 1, nella
misura in cui il diritto di cui al paragrafo 1 rischi di rendere impossibile o
di pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale
trattamento».
Quali sono stati gli effetti?
«Google rende noti i dati relativi al diritto all'oblio fino al 2015 introdotto
da una sentenza della corte di Giustizia Ue nel maggio 2014, che garantisce il
diritto dei cittadini europei a veder cancellati sui motori di ricerca i link a
notizie personali "inadeguate o non più pertinenti". I link rimossi sono
580mila».
Allora sembra essere tutto risolto!
«Per nulla! Siamo in Italia e per gli ermellini nostrani l’interesse pubblico
cessa dopo due anni. Spiega Vincenzo Tiani: “Quello che la Cassazione ha pensato
invece è che, scaduti 2 anni e 6 mesi, tale eccezione venga meno. Non solo
questa interpretazione mette a repentaglio il diritto alla libera informazione,
lasciando spazio a una censura della stampa approvata dalla Corte stessa, ma
viola il diritto di difesa (artt. 24 e 25 Cost.) poiché si basa su una legge non
scritta e su una interpretazione totalmente libera e priva di solide basi che la
possano rendere condivisibile. Il termine di 2 anni e 6 mesi è totalmente
arbitrario oltre che ingiustificato. Forse che la stampa sia destinata, in un
prossimo futuro, a sopravvivere giusto il tempo di un like su facebook?”»
Cosa ha detto la vittima azzannata degli ermellini?
«"Confesso che ci abbiamo messo più di un giorno per comprendere che si trattava
di una sentenza reale ed ufficiale del massimo organo giudiziario – scrive il
direttore Alessandro Biancardi il 30 Giugno 2016 su “Prima Da Noi”. La cosa ci
ha colpito ulteriormente perchè dopo le pessime esperienze nel piccolo tribunale
di provincia riponevamo una certa fiducia nella inappellabile Cassazione. Ci
siamo sbagliati ma almeno ora sappiamo di che morte dovremo morire noi, la
libertà di stampa e soprattutto la libertà di informarsi. Non spenderemo più
parole per esprimere il nostro sdegno ed il nostro disgusto per aver raccolto
solo umiliazioni in una guerra che abbiamo deciso di combattere da soli contro
tutti per la libertà e la dignità di un Paese quando nessuno sapeva cosa fosse
il diritto all’oblio, una invenzione che nella nostra esperienza permette a
lobby e pregiudicati di tornare nell’ombra indisturbati. Siamo di fronte ad una
situazione più che assurda generata dal giudice dei giudici che condanna un
giornalista che ha fatto bene il proprio mestiere ma che ha provocato un danno
violando una norma che non esiste e che stabilisce la scadenza di un articolo.
Assurdo perchè siamo stati condannati una prima volta perchè non avevamo
cancellato l’articolo e pure una seconda volta pur avendolo cancellato ma non
abbastanza in fretta. Assurdo perchè gli ermellini dicono in sostanza che i due
che si sono accoltellati nel loro ristorante hanno avuto un danno all’immagine
(loro e del ristorante) non dalla violenza del gesto di cui si spera siano
responsabili ma dal suo racconto rimasto fruibile sul web. Assurdo perchè si
stabilisce che in venti anni il Garante della Privacy non ci ha capito niente.
La domanda però è: ora ci dite come avremmo dovuto e potuto fare per non
incorrere in questa violazione? Dove avremmo dovuto leggere la data di scadenza
dell’articolo? Sul retro, sul tappo, sul codice civile, penale, deontologico? A
proposito ma un giornalista che cancella articoli siamo sicuri che rispetta le
leggi della categoria (l’autocensura è condannata, la post censura no)? Ma
sappiamo bene il perchè dopo sei anni siamo i primi ad essere stati condannati
per questo: perché la maggior parte dei siti preferisce cancellare per non
‘avere problemi’ nonostante non ci sia una legge che impone il dovere di farlo.
Dal canto nostro non riusciremo a far fronte alla mole di danni che abbiamo
provocato con 800mila articoli in archivio esercitando correttamente il nostro
lavoro di onesti giornalisti e per questo molto difficilmente il quotidiano
potrà sopravvivere, schiacciato da superficialità, poteri forti e sentenze
impossibili da immaginare in un Paese davvero serio. Ma noi siamo l’ultimo dei
problemi, cercheremo giustizia fuori dall'Italia e con il tempo anche la gente
capirà, ci volessero anche 20 anni ma alla fine capirà…".»
Ed allora, quali gli effetti sul suo operato?
«Il mio utilizzo dei contenuti soddisfa i requisiti legali del fair use o del
fair dealing ai sensi delle leggi internazionali vigenti sul copyright. Le norme
internazionali mi permettono di fare copie singole di parti di opere per ricerca
e studio personale o a scopo culturale o didattico. Infatti sono autore di oltre
un centinaio di libri con centinaia di pagine che raccontano l'Italia per
argomento e per territorio. A tal fine posso assemblare le notizie afferenti lo
stesso tema per fare storia o per fare una rassegna stampa. Questo da oggi lo
potrò fare nel resto del mondo, ma non in Italia: la patria dell'Omertà. Perchè
se non c’è cronaca, non c’è storia. Ed i posteri, che non hanno seguito la
notizia sfuggente, saranno ignari di cosa sono stati capaci di fare di ignobile
ed atroce i loro antenati senza vergogna».
I Peccati dei Media
I MEDIA ED I LORO PECCATI: DISINFORMAZIONE, CALUNNIA, DIFFAMAZIONE.
Per il pontefice “il clima mediatico ha le sue forme di inquinamento, i suoi veleni. La gente lo sa, se ne accorge, ma poi purtroppo si abitua a respirare dalla radio e dalla televisione un’aria sporca, che non fa bene. C’è bisogno di far circolare aria pulita. Per me i peccati dei media più grossi sono quelli che vanno sulla strada della bugia e della menzogna, e sono tre: la disinformazione, la calunnia e la diffamazione. Dare attenzione a tematiche importanti per la vita delle persone, delle famiglie, della società, e trattare questi argomenti non in maniera sensazionalistica, ma responsabile, con sincera passione per il bene comune e per la verità. Spesso nelle grandi emittenti questi temi sono affrontati senza il dovuto rispetto per le persone e per i valori in causa, in modo spettacolare. Invece è essenziale che nelle vostre trasmissioni si percepisca questo rispetto, che le storie umane non vanno mai strumentalizzate”. Infatti nessuno delle tv ed i giornali ne hanno parlato di questo intervento.
"Evitare i tre peccati dei media: la disinformazione, la calunnia e la diffamazione". E' l'esortazione che rivolge al mondo dell'informazione e della comunicazione Papa Francesco, cogliendo l'occasione dell'udienza del 15 dicembre 2014 in Aula Paolo VI dei dirigenti, dipendenti e operatori di Tv2000, la televisione della Chiesa italiana. «Di questi tre peccati, la calunnia sembra il più grave perché colpisce le persone con giudizi non veri. Ma in realtà il più grave e pericoloso è la disinformazione, perché ti porta all'errore, ti porta a credere solo a una parte della verità. La disinformazione, in particolare spinge a dire la metà delle cose e questo porta a non potersi fare un giudizio preciso sulla realtà. Una comunicazione autentica non è preoccupata di colpire: l'alternanza tra allarmismo catastrofico e disimpegno consolatorio, due estremi che continuamente vediamo riproposti nella comunicazione odierna, non è un buon servizio che i media possono offrire alle persone. Occorre parlare alle persone “intere”, alla loro mente e al loro cuore, perché sappiano vedere oltre l'immediato, oltre un presente che rischia di essere smemorato e timoroso del futuro. I media cattolici hanno una missione molto impegnativa nei confronti della comunicazione sociale cercare di preservarla da tutto ciò che la stravolge e la piega ad altri fini. Spesso la comunicazione è stata sottomessa alla propaganda, alle ideologie, a fini politici o di controllo dell'economia e della tecnica. Ciò che fa bene alla comunicazione è in primo luogo la “parresia”, cioè il coraggio di parlare con franchezza e libertà. Se siamo veramente convinti di ciò che abbiamo da dire, le parole vengono. Se invece siamo preoccupati di aspetti tattici, il nostro parlare sarà artefatto e poco comunicativo, insipido. La libertà è anche quella rispetto alle mode, ai luoghi comuni, alle formule preconfezionate, che alla fine annullano la capacità di comunicare. Risvegliare le parole: ecco il primo compito del comunicatore. La buona comunicazione in particolare evita sia di "riempire" che di "chiudere". Si riempie quando si tende a saturare la nostra percezione con un eccesso di slogan che, invece di mettere in moto il pensiero, lo annullano. Si chiude quando alla via lunga della comprensione si preferisce quella breve di presentare singole persone come se fossero in grado di risolvere tutti i problemi, o al contrario come capri espiatori, su cui scaricare ogni responsabilità. Correre subito alla soluzione, senza concedersi la fatica di rappresentare la complessità della vita reale è un errore frequente dentro una comunicazione sempre più veloce e poco riflessiva. La libertà è anche quella rispetto alle mode, ai luoghi comuni, alle formule preconfezionate, che alla fine annullano la capacità di comunicare».
Questa sub cultura artefatta dai media crea una massa indistinta ed omologata. Un gregge di pecore. A questo punto vien meno il concetto di democrazia e prende forma l’esigenza di un uomo forte alla giuda del gregge che sappia prendersi la responsabilità del necessario cambiamento nell’afasia e nell’apatia totale. Sembra necessario il concetto che è meglio far decidere al buon e capace pastore dove far andare il gregge che far decidere alle pecore il loro destino rivolto all’inevitabile dispersione.
Francesco di Sales, appena ordinato sacerdote, nel 1593, lo mandarono nel Chablais, che poi sarebbe il Chiablese, dato che sta nell’Alta Savoia, ma l’avevano invaso gli Svizzeri e tutti si erano convertiti al calvinismo, scrive Lanfranco Caminiti su “Il Garantista”. Insomma, doveva essere proprio tosto predicare il cattolicesimo lì. Però, lui aveva studiato dai Gesuiti e poi si era laureato a Padova, perciò poteva con capacità d’argomentazione affrontare qualunque disputa teologica. Era uno che lavorava di fino, Francesco di Sales. Solo che tutto quello che diceva dal pulpito non sortiva grande effetto in quei cuori e quelle menti montanare, e allora per raggiungerli e scaldarli meglio con le sue parole gli venne l’idea di far affiggere nei luoghi pubblici dei “manifesti”, composti con uno stile agile e di grande efficacia, e di far infilare dei “volantini” sotto le porte. Il risultato fu straordinario. È per questo che san Francesco di Sales è il santo patrono dei giornalisti. Per lo stile e l’efficacia, per la capacità di argomentare la verità. Almeno fino a ieri. Perché da ieri c’è un altro Francesco che ha steso le sue mani benedette sul giornalismo, ed è papa Bergoglio. «Evitare i tre peccati dei media: la disinformazione, la calunnia e la diffamazione». È l’esortazione che papa Francesco ha rivolto al mondo dell’informazione e della comunicazione, cogliendo l’occasione dell’udienza in Aula Paolo VI di dirigenti, dipendenti e operatori di Tv2000, la televisione della Cei, conferenza episcopale italiana. In realtà, ne aveva già parlato il 22 marzo, incontrando nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, i membri dell’Associazione ”Corallo”, network di emittenti locali di ispirazione cattolica presenti in tutte le regioni italiane. Ora c’è tornato sopra, ora ci batte il chiodo. Si vede che gli sta a cuore la cosa, e come dargli torto. Evidentemente non parlava solo ai giornalisti cattolici, papa Francesco, e quindi siamo tutti chiamati in causa. «Di questi tre peccati, la calunnia – ha continuato Francesco – sembra il più grave perché colpisce le persone con giudizi non veri. Ma in realtà il più grave e pericoloso è la disinformazione, perché ti porta all’errore, ti porta a credere solo a una parte della verità». Era stato anche più dettagliato nell’argomentazione il 22 marzo: «La calunnia è peccato mortale, ma si può chiarire e arrivare a conoscere che quella è una calunnia. La diffamazione è peccato mortale, ma si può arrivare a dire: questa è un’ingiustizia, perché questa persona ha fatto quella cosa in quel tempo, poi si è pentita, ha cambiato vita. Ma la disinformazione è dire la metà delle cose, quelle che sono per me più convenienti, e non dire l’altra metà. E così, quello che vede la tv o quello che sente la radio non può fare un giudizio perfetto, perché non ha gli elementi e non glieli danno».
Sono i falsari dell’informazione, i peccatori più gravi.
«E io a lui: “Chi son li due tapini
che fumman come man bagnate ’l verno,
giacendo stretti a’ tuoi destri confini?”.
L’una è la falsa ch’accusò Gioseppo;
l’altr’è ’l falso Sinon greco di Troia:
per febbre aguta gittan tanto leppo».
Così Dante descrive nel Canto XXX dell’Inferno la sorte di due “falsari”, la moglie di Putifarre e Sinone. Sinone è quello che convinse i Troiani raccontando un sacco di panzane che quelli si bevvero come acqua fresca e fecero entrare il cavallo di legno, dentro cui si erano nascosti gli Achei che così presero la città. La moglie di Putifarre, ricco signore d’Egitto – così si racconta nella Genesi –, invece, s’era incapricciata del giovane schiavo Giuseppe, cercando di sedurlo. Solo che Giuseppe non ci sentiva da quell’orecchio. Offesa dal rifiuto del giovane, la donna si vendicò accusandolo di aver tentato di farle violenza. Per questa falsa accusa Giuseppe fu gettato nelle prigioni del Faraone. Eccolo, il “leppo” dantesco, che è un fumo puzzolente. E fumo puzzolente si leva dalle pagine dei giornali di disinformacija all’italiana.
Durante la Guerra fredda i russi si erano specializzati nel diffondere informazioni false e mezze verità: raccontavano un sacco di balle sui propri progressi, o magnificavano le sorti delle nazioni che erano sotto l’orbita del comunismo, e nello stesso tempo imbrogliavano le carte su quello che succedeva nell’Occidente maledettamente capitalistico. Pure gli americani avevano la loro disinformacija. Le loro porcherie diventavano battaglie di libertà e le puttanate che compivano erano gesti necessari per difendere la democrazia dall’orso russo e dai cavalli cosacchi. Fare disinformaciija non è banale, non è che ti metti a strillare le stronzate, è un lavoro sottile. Quel cervellone di Chomsky – e ne capisce della questione, visto che è un linguista – riferendosi alle falsificazioni delle prove e delle fonti l’ha definita “ingegneria storica”. Devi orientare l’opinione pubblica, mescolando verità e menzogna; devi sminuire l’importanza e l’attenzione su un evento dandogli una scarsa visibilità e, all’opposto, ingigantire gli spazi informativi su questioni di secondaria importanza; devi negare l’evidenza inducendo al dubbio e all’incredulità. Insomma, è un lavoraccio, che presuppone una vera e propria “macchina disinformativa”. Cioè, i giornali. «Ciò che fa bene alla comunicazione è in primo luogo la parresia, cioè il coraggio di parlare con franchezza e libertà», ha aggiunto papa Francesco. Ha ragione papa Francesco, ragione da vendere. Qualunque direttore di giornale, qualunque editore, qualunque comitato di redazione, qualunque corso dell’ordine dei giornalisti, ti dirà che questi, della franchezza e della libertà, sono i cardini del lavoro dell’informazione. Ma sono chiacchiere. Francesco, invece, non fa chiacchiere. E magari succede che domani troveremo in qualche piazza dei dazebao o dei volantini sotto le nostre porte con la sua firma.
Dalla prova scientifica a quella dichiarativa, passando per il legame tra magistratura e giornalismo. Il dibattito sul processo penale organizzato il 12 dicembre 2014 a Palmi, in provincia di Reggio Calabria, nell’auditorium della Casa della Cultura intitolata a Leonida Repaci dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati con la collaborazione del Comune e della Camera penale, è stato molto più di un semplice dibattito, andato oltre gli aspetti prettamente giuridici, scrive Viviana Minasi su “Il Garantista”. Si è infatti parlato a lungo del legame che esiste tra la magistratura e il giornalismo, quel giornalismo che molto spesso trasforma in veri e propri eventi mediatici alcuni processi penali o fatti di cronaca nera. Se ne è parlato con il direttore de Il Garantista Piero Sansonetti, il Procuratore di Palmi Emanuele Crescenti, il presidente del Tribunale di Palmi Maria Grazia Arena, l’onorevole Armando Veneto, presidente della Camera penale di Palmi e con il presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati Francesco Napoli. Tanti gli ospiti presenti in questa due giorni dedicata al processo penale. Al direttore Sansonetti il compito di entrare nel vivo del dibattito, puntando quindi l’attenzione su quella sorta di “alleanza” tra magistratura e giornalismo, a volte tacita. «Mi piacerebbe apportare una correzione alla locandina di questo evento, ha detto ironicamente Sansonetti – scrivendo “Giornalismo è giustizia”, invece che “Giornalismo e giustizia”. Perché? Perché molto spesso, soprattutto negli ultimi decenni, è successo che i processi li ha fatti il giornalismo, li abbiamo fatti noi insieme ai magistrati». Fatti di cronaca quali il disastro della Concordia, Cogne, andando indietro negli anni anche Tangentopoli, fino a giungere all’evento che ha catalizzato l’attenzione dei media nazionali negli ultimi giorni, l’inchiesta su Mafia Capitale, sono stati portati alla ribalta dal giornalismo, magari a danno di altri eventi altrettanto importanti che però quasi cadono nell’oblio. «Ci sono eventi di cronaca che diventano spettacolo – ha proseguito il direttore Sansonetti – e questo accade quando alla stampa un fatto interessa, quando noi giornalisti fiutiamo “l’affare”». Sansonetti ha poi parlato di un principio importante tutelato dall’articolo 111 della Costituzione, l’articolo che parla del cosiddetto “giusto processo”, che in Italia sarebbe sempre meno applicato, soprattutto nella parte in cui si parla dell’informazione di reato a carico di un indagato. «Sempre più spesso accade che l’indagato scopre di essere indagato leggendo un giornale, o ascoltando un servizio in televisione, e non da un magistrato». Su Mafia Capitale, Sansonetti ha lanciato una frecciata al Procuratore capo di Roma Pignatone, definendo un «autointralcio alla giustizia» la comunicazione data in conferenza stampa, relativa a possibili altri blitz delle forze dell’ordine, a carico di altri soggetti che farebbero parte della “cupola”. Suggestivo anche l’intervento di Giuseppe Sartori, ordinario di neuropsicologia forense all’università di Padova, che ha relazionato su “tecniche di analisi scientifica del testimone”. Secondo quanto affermato da Sartori, le testimonianze nei processi, ma non solo, sono quasi sempre inattendibili. Il punto di partenza di questa affermazione è uno studio scientifico condotto su circa 1500 persone, che ha dimostrato come la testimonianza è deviata e deviabile, sia dal ricordo sia dalle domande che vengono poste al testimone. Un caso che si sarebbe evidenziato soprattutto nelle vicende che riguardano le molestie sessuali, nelle quali il ricordo è fortemente suggestionabile dal modo in cui vengono poste le domande. Il convegno era stato introdotto dall’ex sottosegretario del primo governo Prodi ed ex europarlamentare Armando Veneto, figura di primo piano della Camera penale di Palmi. L’associazione dei penalisti da anni è in prima linea per controbilanciare il “potere” (secondo gli avvocati) che la magistratura inquirente avrebbe nel distretto giudiziario di Reggio Calabria e il peso preponderante di cui la pubblica accusa godrebbe nelle aule di giustizia. Le posizione espresse da Veneto, anche all’interno della camera penale di Palmi, sono ormai state recepite da due generazioni di avvocati penalisti.
Purtroppo, però, in Italia non cambierà mai nulla.
Mamma l’italiani, canzone del 2010 di Après La Class
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
nei secoli dei secoli girando per il mondo
nella pizzeria con il Vesuvio come sfondo
non viene dalla Cina non è neppure americano
se vedi uno spaccone è solamente un italiano
l'italiano fuori si distingue dalla massa
sporco di farina o di sangue di carcassa
passa incontrollato lui conosce tutti
fa la bella faccia fa e poi la mette in culo a tutti
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
a suon di mandolino nascondeva illegalmente
whisky e sigarette chiaramente per la mente
oggi è un po' cambiato ma è sempre lo stesso
non smercia sigarette ma giochetti per il sesso
l'italiano è sempre stato un popolo emigrato
che guardava avanti con la mente nel passato
chi non lo capiva lui lo rispiegava
chi gli andava contro è saltato pure in a...
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
l'Italia agli italiani e alla sua gente
è lo stile che fa la differenza chiaramente
genialità questa è la regola
con le idee che hanno cambiato tutto il corso della storia
l'Italia e la sua nomina e un alta carica
un eredità scomoda
oggi la visione italica è che
viaggiamo tatuati con la firma della mafia
mafia mafia mafia
non mi appartiene none no questo marchio di fabbrica
aria aria aria
la gente è troppo stanca è ora di cambiare aria
mafia mafia mafia
non mi appartiene none no questo marchio di fabbrica
aria aria aria
la gente è troppo stanca è ora di cambiare aria
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
vacanze di piacere per giovani settantenni
all'anagrafe italiani ma in Brasile diciottenni
pagano pesante ragazze intraprendenti
se questa compagnia viene presa con i denti
l'italiano è sempre stato un popolo emigrato
che guardava avanti con la mente nel passato
chi non lo capiva lui lo rispiegava
chi gli andava contro è saltato pure in a...
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
spara la famiglia del pentito che ha cantato
lui che viene stipendiato il 27 dallo Stato
nominato e condannato nel suo nome hanno sparato
e ricontare le sue anime non si può più
risponde la famiglia del pentito che ha cantato
difendendosi compare tutti giorni più incazzato
sarà guerra tra famiglie
sangue e rabbia tra le griglie
con la fama come foglie che ti tradirà
mafia mafia mafia
non mi appartiene none no questo marchio di fabbrica
aria aria aria
la gente è troppo stanca è ora di cambiare aria
mafia mafia mafia
non mi appartiene none no questo marchio di fabbrica
aria aria aria
la gente è troppo stanca è ora di cambiare aria
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
Le Fake News della stampa italiana sulla Turchia.
Ma è vero che in Turchia c’è la dittatura ed un sistema elettorale fondato sui brogli?
Secondo i giornalisti italiani, legittimati dalla legge ad essere i soli a scrivere e ad essere i soli ad essere letti, abilitati per concorso pubblico per raccontare fatti secondo verità, continenza, e pertinenza, sì.
Il commento del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Premesso che proprio gli italiani sui brogli elettorali meglio che tacciano, se già ci furono dubbi sui risultati della consultazione elettorale con il referendum istituzionale del 2-3 giugno 1946, che sancì la nascita della Repubblica italiana.
Poi ci aggiungiamo le accuse periodiche di brogli per ogni tornata elettorale italiana, tralasciando quelle sulle primarie e sui tesseramenti della sinistra: “Noi abbiamo una tradizione molto negativa nel nostro passato circa le votazioni, in molte occasioni ci sono stati sottratti voti per la professionalità nei brogli della sinistra”. Lo dice Silvio Berlusconi al Corriere Live spiegando che, senza un metodo tecnologicamente più avanzato, la correttezza del voto non è assoluta: “Fino a quando noi non avremo un voto diverso dalla matita i brogli sono possibili”. Tuttavia, aggiunge il leader di Fi, “ritengo che quando c’è un risultato elettorale, chi perde non può non riconoscere la vittoria dell’altra parte. Poi si possono eventualmente avanzare richieste di riconteggio dello schede, una volta fatte delle verifiche”. (02/12/2016 Adnkronos.com).
Broglio, da Wikipedia. La moderna espressione italiana deriva da un analogo termine veneziano. Nell’antica Serenissima era infatti consuetudine per i membri della nobiltà impoverita riunirsi in uno spazio antistante il Palazzo Ducale di Venezia per far commercio dei propri voti in seno al Maggior Consiglio che reggeva la città e nel quale sedevano per diritto ereditario. Tale spazio era allora noto col nome di Brolio dal latino Brolus, cioè “orto”, retaggio del fatto che la terra su cui tuttora sorge piazza San Marco era in antico proprietà agricola del vicino monastero di San Zaccaria.
L’accusa di brogli elettorali in Italia è antica. Durante il Risorgimento, le annessioni dei regni preunitari al Regno d’Italia, vennero sempre ratificate mediante plebisciti. Tali consultazioni, a suffragio censitario, si svolsero senza tutela della segretezza del voto e talvolta in un clima di intimidazione. I “no” all’annessione furono in numero irrisorio e statisticamente improbabile. Il procedimento dei plebisciti durante il Risorgimento fu criticato da diverse personalità politiche ed il The Times sostenne che fu «la più feroce beffa mai perpetrata ai danni del suffragio popolare». Tale evento è stato anche trattato nel romanzo “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Alla nascita della Repubblica Italiana, i monarchici attribuirono la loro sconfitta a brogli elettorali. Nella puntata del 5 febbraio 1990 della trasmissione Mixer, condotta da Giovanni Minoli, andò in onda un falso scoop secondo il quale il re avrebbe fatto in modo che il referendum proclamasse la Repubblica per evitare al paese la guerra civile, ma si trattava soltanto di un abile montaggio per esibire quanto la televisione potesse deformare la realtà dei fatti e influenzare il pensiero dei cittadini, e scatenò un mare di polemiche.
Appena conclusesi le consultazioni per il rinnovo del parlamento italiano del 2006 il premier Silvio Berlusconi, primo caso nella cinquantennale storia della Repubblica di una tale grave contestazione da parte di un esponente del governo uscente, ha paventato l’ipotesi di brogli elettorali sebbene il presidente Ciampi e il Ministro dell’interno Pisanu avessero espresso il loro compiacimento per lo svolgimento regolare delle elezioni. Durante i giorni dell’insediamento del Senato della Repubblica della XV legislatura Roberto Calderoli ha continuato ad insistere sulle ipotesi di brogli elettorali, confermando la sua convinzione secondo la quale la Casa delle Libertà è risultata vittima di un complotto che l’ha privata della vittoria elettorale. Piuttosto, forti sospetti ha destato l’insolito comportamento di Pisanu. Mai infatti, nella storia dell’Italia repubblicana, un ministro dell’interno aveva abbandonato il Viminale nel corso delle operazioni di spoglio elettorale. Convocato da Berlusconi, il ministro ha dovuto sostenere un faccia a faccia con quest’ultimo e, cosa ancora più strana, nessuno è a conoscenza di quello che fu l’oggetto della loro discussione. Sulla vicenda dei possibili brogli alle elezioni politiche italiane del 2006 sono anche usciti un romanzo e un documentario: Il broglio di Aliberti editore; Uccidete la democrazia!
Altra cosa è l’accusa di tirannia turca.
Porca miseria, mi spiegate quali poteri prende Erdogan? Si chiede Nicola Porro il 18 aprile 2017 sul suo canale youtube. «Tutti quanti i giornali oggi parlano di Erdogan e la vittoria del referendum di misura del 51%. L’intervista del Corriere della Sera sugli osservatori OCSE che avrebbero contestato e che contestano le elezioni di Erdogan sono fatte da una vecchia conoscenza del Parlamento Italiano: Tana de Zulueta. Ex corrispondente dell’Economist una vita contro Silvio Berlusconi, una parentesi contro Erdogan. Vi leggete l’intervista sul Corriere della Sera e capite che i brogli probabilmente ci sono stati, forse sono stati significativi. Non lo so. Ricordiamo che anche la nostra Repubblica è nata sui brogli. Lì è nata forse una dittatura, dicono gli osservatori più attenti, ma l’intervista di Tana De Zulueta, tutto fa, come rappresentante dell’OCSE, tranne rassicurarci sulla serietà, non solo di Erdogan, ma anche dell’Ocse. Ma questo è un discorso a parte. La domanda, che io mi faccio e che rivolgo a tutti quanti voi, è: quali sono questi poteri che Erdogan avrebbe acquistato dopo i referendum?
Porca miseria: A, B, C, secondo me, del giornalismo. Ma siete tutti quanti voi che comprate i giornali, pochi per la verità, dei fenomeni, degli esperti di geopolitica. E volete tutti vendere commenti, di leggervi Ferrari; di leggervi Sergio Romano; leggervi, son so, Montale; leggervi Kissinger; leggervi Dante Alighieri; o qualcuno di voi alza il dito: scusate, ma quali sono i poteri che Erdogan prende con questo referendum?
Non c’è un porca miseria di giornale che oggi, il giorno in cui passa il referendum, ci scrive con semplicità, quali sono questi poteri dittatoriali che ha preso Erdogan. Li avrà presi sicuramente, non lo metto in dubbio, ma almeno scrivete. Io che sono banalmente uno che legge i giornali, oggi avrei voluto vedere sui giornali che cosa succedeva alla Turchia da domani. Mentre non riesco a capirci nulla. Lego l’intervista al presidente del Parlamento Europeo, e non solo lui, Tajani, che dice “forse farà un referendum per chiedere la pena di morte. Quindi in futuro farà un referendum a cui faranno giudicare i turchi sulla pena di morte. Se dovesse fare, accettare, vincere quel referendum non potrebbe più partecipare alla discussione sull’Europa. Ma oggi, con questo referendum che poteri ha avuto Erdogan? Un solo dettaglio lo leggo.
Erdogan potrà, da presidente della Repubblica turca, potrà anche tornare a diventare segretario della AKP, che è il partito confessionale che lo ha visto leader. Quindi una delle riforme, è che lui potrà fare: Presidente della Repubblica e Segretario del partito. Mi chiedo: ma questa cosa in Italia, per esempio, che non è una dittatura, vi suona familiare? I presidenti del Consiglio che sono anche segretari di partito, non l’avete mai sentita? Lo chiedo. Perché se questa è la riforma che rende dittatura la Turchia, anche noi siamo una dittatura».
PROPOSTA DI RIFORMA COSTITUZIONALE. Da Wikipedia. Descrizione analitica delle modifiche.
1. Articolo 9. La magistratura è tenuta ad agire in condizioni di imparzialità.
2. Articolo 75. Il numero di seggi nel parlamento aumenta da 550 a 600.
3. Articolo 76. L’età minima per candidarsi ad un elezione scende da 25 anni a 18 anni. È abolito l’obbligo di aver completato il servizio militare obbligatorio per i candidati. Gli individui con rapporti militari sono ineleggibili e non possono partecipare alle elezioni.
4. Articolo 78. La legislatura parlamentare è estesa da 4 a 5 anni. Le elezioni parlamentari e presidenziali si tengono nello stesso giorno ogni 5 anni. Per le presidenziali è previsto un ballottaggio se nessun candidato ha ottenuto la maggioranza assoluta al primo turno.
5. Articolo 79. Vengono istituite le regole per i cd. «parlamentari di riserva», che vanno a sostituire i posti dei deputati rimasti vacanti.
6. Articolo 87. Le funzioni del Parlamento sono: a) approvare, cambiare e abrogare le leggi; b) ratificare le convenzioni internazionali; c) discutere, approvare o respingere il bilancio dello Stato; d) nominare 7 membri del Supremo Consiglio dei Giudici e dei Pubblici Ministeri; e) usare tutti gli altri poteri previsti dalla Costituzione.
7. Articolo 98. Il parlamento monitora il governo e il vicepresidente con ricerche parlamentari, indagini parlamentari, discussioni generali e domande scritte. L’istituto dell’interpellanza è abolito e sostituita con le indagini parlamentari. Il vicepresidente deve rispondere alle domande scritte entro 15 giorni.
8. Articolo 101. Per candidarsi alla presidenza, un individuo deve ottenere l’approvazione di uno o più soggetti che hanno ottenuto il 5% o più nelle elezioni parlamentari precedenti e di 100.000 elettori. Il presidente eletto non è obbligato a interrompere la sua appartenenza a un partito politico.
9. Articolo 104. Il presidente diventa sia il capo dello Stato che capo del governo, con il potere di nominare e rimuovere dall’incarico i ministri e il vicepresidente. Il presidente può emettere «decreti esecutivi». Se l’organo legislativo fa una legge sullo stesso argomento di un decreto esecutivo, quest’ultimo diventerà invalido, mentre la legge parlamentare entrerà in vigore.
10. Articolo 105. Il Parlamento può proporre un’indagine parlamentare nei confronti del Presidente con la maggioranza assoluta (301). La proposta va discussa per 1 mese, per poi essere aperta con l’approvazione di 3/5 (360) dei deputati (votazione segreta). Concluse le indagini, il parlamento può mettere in stato di accusa il presidente con l’approvazione dei 2/3 (400) dei parlamentari (votazione segreta).
11. Articolo 106. Il Presidente può nominare uno o più Vicepresidenti. Se la Presidenza si rende vacante, le elezioni presidenziali devono svolgersi entro 45 giorni. Se le future elezioni parlamentari si dovessero svolgere entro un anno, anch’esse si svolgono lo stesso giorno delle elezioni presidenziali anticipate. Se la legislatura parlamentare termina dopo più di un anno, allora il neo-eletto presidente serve fino alla fine della legislatura, al termine della quale si svolgono sia le elezioni presidenziali che parlamentari. Questo mandato non deve essere contato per il limite massimo di due mandati del presidente. Le indagini parlamentari su possibili crimini commessi dai Vice Presidenti e ministri possono iniziare in Parlamento con il voto a favore di 3/5 deputati. A seguito del completamento delle indagini, il Parlamento può votare per incriminare il Vice Presidente o i ministri, con il voto a favore di 2/3 a favore. Se riconosciuto colpevole, il Vice Presidente o un ministro in questione viene rimosso dall’incarico solo qualora il suo crimine è uno che li escluderebbe dalla corsa per l’elezione. Se un deputato viene nominato un ministro o vice presidente, il suo mandato parlamentare termina immediatamente.
12. Articolo 116. Il Presidente o 3/5 del Parlamento possono decidere di rinnovare le elezioni politiche. In tal caso, il Presidente decade dalla carica e può essere nuovamente candidato. Le nuove elezioni saranno sia presidenziali che parlamentari.
13. Articolo 119. La possibilità del presidente di dichiarare lo stato di emergenza è ora oggetto di approvazione parlamentare per avere effetto. Il Parlamento può estendere la durata, accorciarla o rimuoverla. Gli stati di emergenza possono essere estesi fino a quattro mesi tranne che durante la guerra, dove non ci saranno limitazioni di prolungamento. Ogni decreto presidenziale emesso durante uno stato di emergenza necessita dell’approvazione del Parlamento.
14. Articolo 123. Il presidente ha il diritto di stabilire le regole e le procedure in materia di nomina dei funzionari dipendenti pubblici.
15. Articolo 126. Il Presidente ha il diritto di nominare alcuni alti funzionari amministrativi.
16. Articolo 142. Il numero dei giudici nella Corte costituzionale scende da 17 a 15. Quelli nominati dal presidente scendono da 14 a 12, mentre il Parlamento continua a nominarne 3. I tribunali militari sono aboliti a meno che non vengono istituiti per indagare sulle azioni dei soldati compiute in guerra.
17. Articolo 159. Il Supremo Consiglio dei Giudici e dei Pubblici Ministeri viene rinominato in “Consiglio dei Giudici e dei Pubblici Ministeri”. I membri sono ridotti da 22 a 13, e i dipartimenti giudiziari scendono da 3 a 2: quattro membri sono nominati dal Presidente, sette dal parlamento, gli altri 2 membri sono il ministro della giustizia e il sottosegretario del Ministero della giustizia. Ogni membro nominato dal parlamento viene eletto in due turni: nel primo necessita dell’approvazione dei 2/3 dei parlamentari, al secondo dei 3/5.
18. Articolo 161. ll presidente propone il bilancio dello Stato al Grande Assemblea 75 giorni prima di ogni nuova sessione annuale di bilancio. I membri della Commissione parlamentare del Bilancio possono apportare modifiche al bilancio, ma i parlamentari non possono fare proposte per cambiare la spesa pubblica. Se il bilancio non viene approvato, verrà proposto un bilancio provvisorio. Se nemmeno il bilancio provvisorio non approvato, il bilancio dell’anno precedente sarà stato utilizzato con il rapporto incrementale dell’anno precedente.
19. Diversi articoli. Adattamento di diversi articoli per il passaggio dei poteri esecutivi dal governo al presidente.
20. Temporaneo articolo 21. Le prossime elezioni presidenziali e parlamentari si terranno il 3 novembre 2019. L’elezione del Supremo Consiglio dei Giudici e dei Pubblici Ministeri avverrà entro 30 giorni dall’approvazione della presente legge. I tribunali militari sono aboliti con l’entrata in vigore della legge.
21. Diversi articoli. Gli emendamenti 2, 4 e 7 entreranno in vigore dopo nuove elezioni, gli altri emendamenti (tranne quelli temporanei) entreranno in vigore con il giuramento del nuovo presidente.
Se la Turchia è una dittatura, cosa dire di quella tanto decantata democrazia invidiata da tutti?
Potere esecutivo USA, da Wikipedia.
Il potere esecutivo è tenuto dal Governo federale, composto dal Presidente degli Stati Uniti (President of the United States of America), dal Vicepresidente (Vice President of the United States of America) e dal Gabinetto (Cabinet of the United States), cioè il gruppo di “ministri” (tecnicamente chiamati “Segretari”, tranne colui a capo dell’amministrazione della giustizia, nominato “Procuratore generale”) a capo di ogni settore della pubblica amministrazione, i Dipartimenti. Se, come è ovvio, i Segretari sono di nomina presidenziale, il Presidente e il Vicepresidente vengono eletti in occasione di elezioni presidenziali separate dalle elezioni per il rinnovo del Congresso e che si svolgono ogni quattro anni (con il limite massimo di due mandati).
I poteri del Presidente sono molto forti. Oltre ad essere a capo del governo federale ed essere sia il comandante supremo delle forze armate e capo della diplomazia, il Presidente possiede anche un forte potere di veto per bloccare la promulgazione delle leggi federali emanate dal Congresso (potere superabile soltanto quando la legge viene approvata a larga maggioranza).
Paesi democratici e non tirannici sono naturalmente anche quei paesi, come l’Olanda e la Germania, che hanno impedito i comizi di esponenti turchi presso le loro comunità, ma non hanno potuto impedire a questi (senza brogli) di esprimere un voto maggioritario di gradimento alla riforma del loro paese.
Campagna per la legalità
CAMPAGNA PER LA LEGALITA' E LA VALORIZZAZIONE DEL TERRITORIO
TELE WEB ITALIA, la web tv dell'Associazione Contro Tutte le Mafie è vista in tutto il mondo e i suoi filmati sono visibili a tutte le ore.
TW ITALIA promuove il territorio e la sua comunità per la legalità e lo sviluppo economico. Ogni città o paese ha la sua pagina, in cui vi sono i video di enti pubblici, associazioni, aziende e cittadini attivi.
L'impresa che non paga il "pizzo" presenta la propria azienda.
I sindaci, gli enti pubblici e le associazioni che si dissociano dalla cultura socio mafiosa, presentano la loro attività, il loro territorio e gli eventi più importanti.
Gli istituti scolastici presentano i loro indirizzi e i loro programmi di studio e i loro sbocchi professionali.
Le società sportive presentano le loro squadre.
I cittadini attivi denunciano disservizi e sprechi.
Il servizio è gratuito, basta aderire all'associazione; filmare o fotografare i luoghi o gli eventi e montarli in un video; pubblicare il filmato su you tube o similare, comunicare il codice di riproduzione.
A norma di legge della Privacy, del diritto d'autore e del codice penale, il filmato deve contenere contatti e dati identificativi dell'ente o azienda; contenere come sottofondo midi scaricabili; non deve proferire frasi diffamatorie; le immagini delle persone devono essere autorizzate al trattamento e sono vietate le immagini dei minori.
Il video sarà riportato sulla pagina territoriale della web tv, nell'apposita sezione, sino al termine dell'adesione, valida fino al 31 dicembre.
Le emittenti tv possono convenzionarsi ed usare gli spot delle aziende reclamizzate, che aderiscono al progetto, per farle conoscere al di là del loro raggio di trasmissione.
L'adesione comporta la compilazione del modello e il versamento della quota associativa.
Per info visionare www.telewebitalia.eu
Un sito web di promozione turistica dell’Italia.
Serve un sito internet all’altezza dell’Italia, scrive Gian Antonio Stella su “Il Corriere della Sera”. Antonio Giangrande: il sito web c’è www.telewebitalia.eu , oltretutto senza oneri per lo Stato, ma tutti lo ignorano.
Secondo il giornalista del Corriere cinque mesi abbondanti non sono bastati alla squadra del ministro del Turismo, Piero Gnudi, per rimuovere certe macerie del sito «italia.it», il portale da tempo immemorabile messo in cantiere prima dal governo Berlusconi, poi dal governo Prodi (memorabile lo spot in english-romanesco di Francesco Rutelli di invito agli stranieri: «Pliz, vizit Italy»), poi ancora dal nuovo governo Berlusconi e da Michela Vittoria Brambilla. La quale, dopo avere cambiato il logo scelto dal predecessore perché le pareva un errore la forma della «t» di Italia (titolo del Giornale : «La Brambilla cancella il "cetriolo" di Rutelli») aveva portato a compimento il faticosissimo cammino del sito web, costato ai vari governi nel complesso l'enormità di 35.451.355 euro, con alcune scelte contestate. Basti ricordare la home page della versione cinese dove spiccavano le foto prese col copia-incolla dal sito cinese dell'Emilia Romagna con il risultato che pareva che non solo la capitale fosse Bologna (con tanto di mappa con le freccette e di panoramica della città) ma che l'intero nostro Paese fosse riassumibile così: parmigiano, prosciutto, Ferrari e Ducati. Una «svista» che, dopo le pubbliche denunce, è stata rimossa. «Per favore - dice Stella - vista l'importanza di Internet per il turismo (il solo sito TripAdvisor ha 35 milioni di recensioni e 29 milioni di visitatori al mese ) potremmo una buona volta metterci una pezza?»
«Basterebbe – risponde Antonio Giangrande, autore della collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” con 40 libri all’attivo, e presidente di Tele Web Italia – non essere altamente autoreferenziali e prestare maggiore attenzione a ciò che vi è sul web e che non sia a se stessi o al sistema di potere riconducibile. Essere slegati dal sistema editoriale od istituzionale, con oneri per lo Stato, non vuol dire non produrre prodotti di alta qualità. Il nostro portale turistico ha ampi consensi e visite da tutto il mondo. In Italia per essere credibile e pubblicizzato devi per forza allattare dalle mammelle statali».
Presidente Dr Antonio Giangrande ASSOCIAZIONE CONTRO TUTTE LE MAFIE
Per fare vero giornalismo forse è meglio non essere giornalisti.
Questa è “Mi-Jena Gabanelli” (secondo Dagospia), la Giovanna D’Arco di Rai3, che i grillini volevano al Quirinale. Milena Gabanelli intervistata da Gian Antonio Stella per "Sette - Corriere della Sera".
Sei impegnata da anni nella denuncia delle storture degli ordini professionali: cosa pensi dell'idea di Grillo di abolire solo quello dei giornalisti?
«Mi fa un po' sorridere. Credo che impareranno che esistono altri ordini non meno assurdi. Detto questo, fatico a vedere l'utilità dell'Ordine dei giornalisti. Credo sarebbe più utile, come da altre parti, un'associazione seria e rigorosa nella quale si entra per quello che fai e non tanto per aver dato un esame...».
Ti pesa ancora la bocciatura?
«Vedi un po' tu. L'ho fatto assieme ai miei allievi della scuola di giornalismo. Loro sono passati, io no».
Bocciata agli orali per una domanda su Pannunzio.
«Non solo. Avrò risposto a tre domande su dieci. Un disastro. Mi chiesero cos'era il Coreco. Scena muta».
Come certi parlamentari beccati dalle Iene fuori da Montecitorio...
«Le Iene fanno domande più serie. Tipo qual è la capitale della Libia. Il Coreco!».
Essere bocciata come Alberto Moravia dovrebbe consolarti.
«C'era una giovane praticante che faceva lo stage da noi. Le avevo corretto la tesina... Lei passò, io no. Passarono tutti, io no».
Mai più rifatto?
«No. Mi vergognavo. Per fare gli orali dovevi mandare a memoria l'Abruzzo e io lavorando il tempo non l'avevo».
Nel senso del libro di Franco Abruzzo, giusto?
«Non so se c'è ancora quello. So che era un tomo che dovevi mandare a memoria per sapere tutto di cose che quando ti servono le vai a vedere volta per volta. Non ha senso. Ho pensato che si può sopravvivere lo stesso, anche senza essere professionista».
Il diritto d'autore dei cittadini.
DIRITTO D’AUTORE E FINANZIAMENTO PUBBLICO. IL COPYRIGHT DEI CITTADINI.
In questa Italia, quanto vale il diritto del cittadino, rispetto al diritto della lobby dell’informazione?
Il cittadino utente è titolare del diritto d’autore rispetto alle opere intellettuali prodotte da aziende che si finanziano totalmente o parzialmente con i soldi pubblici: quindi, opere pagate dallo stesso cittadino contribuente?
Queste sono le risposte che nessun giornalista darà mai. Sfido la Milena Gabanelli e la redazione di Report a trattare questo tema delicato. Lei che lavora in Rai ed al Corriere della Sera.
La tematica da approfondire è nata sulla diatriba dell’uso libero a fini non commerciali dei video e specialmente sull’utilizzo dei video soggetti al diritto di cronaca pubblicati sul web.
Insomma si parla del divieto persistente di scaricare e pubblicare liberamente su youtube il video di terzi.
Per quanto riguarda l’impedimento dello scarico dei suoi video da parte di Mediaset si potrebbe prospettare una ragione palesata dal suo spot sulle reti del Biscione:
“Qui non incassiamo finanziamenti pubblici
qui non siamo colossi americani
qui contiamo solo sulle nostre forze
e qui ogni mattina arrivano migliaia di persone
che cercano di fare il massimo per regalare una televisione moderna, vivace e completa.
Undici reti gratuite e centinaia di programmi in onda ogni giorno, anche su Internet.
Che non ti costano niente, niente.
Nemmeno un bollettino postale.
Così… giusto per ricordarlo.”
Al contrario la Rai è concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo; percepisce, come finanziamento pubblico, un canone pagato dai cittadini e stabilito per legge; con denaro pubblico vengono ripianificati i passivi di cui l’azienda è gravata; è una impresa a carattere pubblico, con finalità non legate al profitto; per le prerogative suddette deve assicurare una comunicazione (politica, culturale, di intrattenimento) equa e qualificante.
Secondo le previsioni della riforma del canone Rai l’importo massimo dovrebbe oscillare intorno ai 60 euro, il minimo intorno ai 35 euro. L’introito stimato per finanziare il servizio pubblico sarà intorno ai 2 miliardi, rispetto al miliardo e 700 milioni attuale, anche grazie a parte dei proventi che lo Stato ricava da tutti i Giochi, compresa la Lotteria Italia.
Ergo la Rai è servizio pubblico e quindi risponde al cittadino contribuente utente.
Eppure su “Il Corriere della Sera” on line del 6 giugno 2014 si legge “Quaranta video. E’ quanto rimane degli oltre 40 mila video storici del canale YouTube della Rai. Nei giorni scorsi, come raccontato anche dal Corriere della Sera, era stato annunciato: i filmati verranno rimossi tutti i 40.000 mila video verranno progressivamente smantellati da YouTube e trasportati sulla piattaforma Rai.tv. E lo stesso accadrà anche per la grande quantità di materiale collocato su YouTube da singoli utenti che hanno ripreso, anche artigianalmente, intere trasmissioni o singole parti: video che comunque appartengono alla Rai. Morale, tutti i video – anche quelli storici – spariscono dal canale. Il rapporto tra la piattaforma video e viale Mazzini si è chiuso senza incidenti. E la motivazione è di tipo prettamente economico. Il ritorno economico di 700 mila euro all’anno è stato considerato insoddisfacente dalla Rai. Da qui la decisione di rimuovere i contenuti dalla piattaforma di Mountain View e di trasferirli su un portale Rai. Morale, per il momento, su YouTube rimangono solo 40 clip. La più vista? «Non ci resta che…», con un’intervista a Massimo Troisi, scomparso 20 anni fa. Poi il link al portale RaiTv per vedere l’intervista integrale.”
Andiamo ai giornali. Se infatti è vero che grandi testate come Il Corriere della Sera, Repubblica, Il Sole 24Ore, non ricevono sussidi diretti, è altrettanto vero che beneficiano ogni anno, come tutti gli altri giornali, dei cosiddetti contributi indiretti: un mare magnum all’interno del quale è difficile orientarsi e che è quasi impossibile censire, visto che le varie agevolazioni fanno riferimento a diversi ministeri e organi di competenza, scrive Gabriella Colarusso su “Lettera 43”. Il grosso dei contributi indiretti ai giornali viene dalle riduzioni fiscali e dalle «forfetizzazioni dell’Iva sulle rese». I quotidiani cartacei infatti pagano l’Iva al 4%, agevolazione che non è concessa anche alle testate giornalistiche online perché la direttiva europea sul commercio elettronico non riconosce loro questo beneficio. Non solo, i giornali di carta hanno anche la possibilità di forfetizzare l’Iva sulle rese (art. 74, dpr 633): l’imposta cioè non viene pagata sulle copie effettivamente restituite, non vendute, ma calcolata a forfait. Si tratta non di soldi dati direttamente ai quotidiani o ai periodici ma di mancate entrate per lo Stato, il cui importo è quasi impossibile conoscere visto che non risulta agli atti del bilancio della presidenza del Consiglio. È l’«Agenzia delle Entrate che ha questi dati», dice una fonte ministeriale a Lettera43.it, «ma finora non li ha resi noti».
Dice il Dr Antonio Giangrande: di questo come di tante altre manchevolezze dei media petulanti e permalosi si parla nel saggio “Mediopoli. Disinformazione. Censura ed omertà”. E’ da venti anni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo”, letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti ai magistrati, all’economia ed alla politica. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it, Lulu.com. CreateSpace.com e Google Libri, oltre che in forma di lettura gratuita e free vision video su http://www.controtuttelemafie.it , mentre la promozione del territorio è su http://www.telewebitalia.eu .
Parlando con un giornalista di un noto quotidiano nazionale – continua il dr Antonio Giangrande, sociologo storico – dopo averne tessuto le lodi per un suo coraggioso video servizio, scaricato da me tal quale da un canale youtube e divulgato sui miei canali web senza profitto, e di cui mi segnalava la mancanza del logo de “Il Corriere della Sera” detentore dei diritti, ho avuto contezza del problema che ha dato spunto a questa inchiesta.
Giornalista A.C.: “Gentile dott. Giangrande, mi hanno appena linkato il canale youtube dell’Associazione contro tutte le mafie, di cui lei è presidente, con la raccolta delle mie inchieste sulle carceri. La ringrazio per l’attenzione ma la pregherei di inserire la fonte da dove ha preso quei video, ossia il sito del Corriere della Sera, nonché di inserire i link originali delle videoinchieste . La precisazione è doverosa poiché il Corriere della Sera detiene i diritti d’autore delle mie opere (quindi non basta citare l’autore) ed è l’unico soggetto legittimato a disporne la pubblicazione, tanto più che dai video caricati su YouTube risulta tagliato il logo CorriereTv in alto a destra che ne indica la proprietà. Sicuro di un suo sollecito riscontro, le porgo cordiali saluti”.
Giangrande: “Le porgo le mie scuse, oltre che annunciarle la mia ammirazione. In 20 anni, su 70 libri scritti e pubblicati e centinaia di video montati e pubblicati, nell’indifferenza generale dei media, è la prima volta che qualcuno sollecita una modifica al mio lavoro. Faccio ammenda ed ho già provveduto alla sua sollecitazione, visibile sulla presentazione del video in oggetto, annunciandole che la modifica è possibile sulla presentazione, ma non nel video, in quanto gli spezzoni originali usati e tratti da altre fonti erano già di per sé sguarniti del logo. Salutandola cordialmente le indico che questa è la modifica inserita in presentazione. Ove non bastasse, mi si solleciti la cancellazione totale del video ed io lo farò, tenendo presente comunque che attraverso il mio canale decine di migliaia di utenti usufruiscono della visione. – Inchiesta video del bravo e coraggioso giornalista A.C., pubblicata su you tube in vari video e su varie fonti, che ne hanno consentito la copia ed il montaggio. Da queste fonti è omessa l’indicazione del logo del detentore dei diritti di pubblicazione. Mancanza non riconducibile al curatore di questo video, ossia il dr Antonio Giangrande, che immediatamente provvede a precisare su sollecitazione dell’autore. La precisazione è doverosa poiché il Corriere della Sera detiene i diritti d’autore delle opere dell’autore (quindi non basta citare l’autore) ed è l’unico soggetto legittimato a disporne la pubblicazione, tanto più che dai video caricati su YouTube risulta tagliato il logo CorriereTv in alto a destra che ne indica la proprietà. Di seguito si indica la fonte ….. Il video serve a sollecitare l’interesse dell’opinione pubblica ed a far conoscere la problematica e l’autore che se ne è interessato, attraverso i canali di una associazione nazionale antimafia riconosciuta dal ministero dell’interno. Uso del video non a fini commerciali. E’ interesse del detentore dei diritti sollecitare l’immediata cancellazione del video, nel caso in cui non aderisse all’iniziativa benefica. Si dà il caso che, invece, sul libro anche a lettura libera “Giustiziopoli. Ingiustizia contro i singoli”, saggio esclusivo d’inchiesta sulla giustizia italiana, ogni articolo di stampa riporta autore e testata di riferimento con il link che riporta all’articolo originale…..Si cerca di fare servizio pubblico, disinteressato e con ritorsioni impunite e taciute, nel rispetto della legalità. Per questo si ringraziano i detentori del copy right dei pezzi di cui non si è chiesta la cancellazione”.
Giornalista A.C.: “La ringrazio per le parole di stima. I suggerimenti che le davo erano per evitare che si attivi l’ufficio legale del Corriere. Ho visto che nel testo ha inserito le precisazioni ma il video risulta ancora senza logo CorriereTv. Se guarda il link che le ho inviato può vedere che il logo c’è e c’è sempre stato. Pertanto le suggerirei di prendere le videoinchieste nella loro interezza come da pubblicazione.”
Giangrande: “Dr A.C. il video in oggetto ha avuto 27.613 visioni e non sono pochi, tenuto conto dell’argomento che tira poco, rispetto alla visione di tette e culi che vanno per la maggiore. Questo è anche merito del canale divulgativo con i canali ad esso associati. Canali che non ricevono emolumenti da You Tube per la pubblicità, nonostante le 50 mila visioni settimanali dei suoi video.
Con questo mio video ho voluto dare onore a lei, e solo a lei, per il lavoro svolto, rimarcando il nome dell’autore. Del fatto che il Corriere ne detenesse i diritti non ne ero a conoscenza, fino a quando non mi è arrivata la notizia da lei, tanto è vero che i video li ho tratti da….. Video pubblici e liberamente scaricabili. Youtube mi ha comunicato la semplice violazione di brani, che colpiscono il video sin dall’origine e che ne vietano la visione in Germania…..Una cosa le voglio precisare: Il Corriere della Sera, a differenze di La Repubblica o altri giornali con TV web, non permette assolutamente lo scarico dei suoi video, o così risulta a me. I video di La Repubblica ed altri si possono scaricare per pubblico interesse, attinenza e verità. Essi sono già con il logo incorporato ed il nome dell’autore. E’ scandaloso non poter scaricare i video, se il Corriere percepisse il finanziamento pubblico per l’editoria. In tal caso il diritto d’autore dovrebbe essere condiviso col pubblico, come dovrebbe essere per la Rai. Anche in questo caso ci troviamo a non poter scaricare i video, nonostante da pagatori del canone siamo piccoli azionisti della RAI. Visionarli e sciropparci preventivamente la pubblicità, invece sì, ci è permesso. Comunque, per gli effetti dell’impedimento, anche se volessi, non potrei riprogrammare il video. A questo punto, non potendomi permettere una lite con il Corriere, né con chicchessia; Avendo già ampie ritorsioni per quello che io faccio, e che nessuno fa, contro i poteri forti: specialmente i magistrati, che in galera ci mandano, spesso, gli innocenti. Non avendo amici a cui chiedere aiuto, né sovvenzionamenti, non essendo di sinistra, e non essendo Libera; Essendo già vittima predestinata di ritorsioni impunite; Tenendo alla mia onorabilità ed alla mia missione improntata alla difesa della legalità, in estrema gratuità, non mi rimane che eliminare il video dal mio canale, così la forma è fatta salva, mentre per la sostanza non mancherò di produrre altri video trattanti il tema. In questo modo tutti saremo contenti, meno la libertà dell’informazione: la verità esiste solo se conosciuta e certamente non va remunerata. Ogni forma divulgativa va sfruttata. Mi spiace per lei, il cui nome non sarà più accomunato ad una giusta battaglia. Ed è quello che fino ad oggi ho voluto fare. Con ossequi, rimanendo intatta la mia stima per lei.”
Giornalista A.C: “Non sto qui a discutere la sua personale interpretazione del diritto d’autore (lei vuole scaricare gratis ciò che altri hanno pagato senza neanche chiedere il permesso). I video che segnala non sono pubblici e nemmeno liberamente scaricabili, presto o tardi verranno bloccati da chi ne detiene i diritti, avendoli pagati. Stia tranquillo che la libertà di informazione su questo tema non sarà intaccata. Tutte le videoinchieste sulle carceri sono liberamente visionabili con una semplice ricerca su google, sono stabilmente in home page sul sito del Corriere (home- inchieste – Le nostre prigioni) e non hanno bisogno di pubblicità avendo superato le migliaia di visualizzazioni. Inoltre periodicamente sono riprese dai vari network che ne hanno interesse previo consenso del Corriere. Nessuno le ha imposto di togliere i video ma di citarli correttamente e mandarli in onda senza alterazioni rispetto all’originale. Se questo per lei rappresenta una difficoltà allora fa bene ad eliminarli. Può piacere o meno ma questi sono i doveri e hanno pari dignità dei diritti. La ringrazio per le intenzioni più felici e nobili, spero di esserle stato di aiuto in qualche modo.”
Non ho voluto andare in polemica, sicuro della piega che il seguito avrebbe avuto. Passare per stravagante ed ignorante va bene, ma avevo ben fatto intendere che tenendo alla mia onorabilità ed alla mia missione improntata alla difesa della legalità, in estrema gratuità, non mi rimaneva che eliminare il video dal mio canale, non potendolo modificare, né lo potevo scaricare direttamente da “Il Corriere della Sera”. Così la forma è fatta salva, mentre per la sostanza non mancherò di produrre altri video trattanti il tema.
Ma la doverosa precisazione va data a tutti quelli che pensano di detenere lo scettro della verità e questo potere usato per far poltiglia nell’opinione pubblica.
Per prima cosa va detto, per chi è digiuno di giurisprudenza, che il Diritto materiale nasce su volontà di una maggioranza storica in Parlamento, spesso trasversale e molte volte influenzata da lobbies di potere. Solo per questo la maggioranza in Parlamento ha sempre ragione, traviando l’interesse della maggioranza dei cittadini. Comunque dura lex, sed lex.
Per secondo va precisato che non è degno di vanteria il fatto che qualcuno paghi dei diritti, arrogandone la proprietà, con i soldi di terzi (i cittadini), a cui poi se ne nega la paternità.
Queste convinzioni, essendo tacciate di opinioni, vanno supportate da fatti, iniziando proprio da quel brocardo “dura lex, sed lex”.
C’è un articolo, nella legge sul diritto d’autore, che rappresenta, mutata mutandis, quello che in altri paesi del mondo viene chiamato fair use e fair dealing: è l’art. 70 della Legge 22 aprile 1941 n. 63, che al primo comma recita: “Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali.” Questa norma, massima espressione del concetto di libera utilizzazione, è sempre più dimenticata ed ignorata, scrive “Movimento Costo Zero”. Addirittura c’è chi sostiene, come Enzo Mazza, presidente di FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana) che “l’uso di materiale coperto da diritti senza autorizzazione è sempre illecito, le storie sull’education ecc. sono bufale che girano in rete”. Ad affermazioni di questo genere, fanno eco le spiegazioni delle denunce che SIAE ha indirizzato verso i gestori di siti didattici e culturali: ecco che la citazione parziale di un’opera, così come permessa dall’art. 70, diventa una manipolazione (non gradita: ma la lesione dell’onore e della reputazione non dovrebbe essere rilevata dagli autori o dai loro eredi?) dell’opera stessa, che SIAE, non si capisce a che titolo (visto che il mandato SIAE può avere ad oggetto soltanto i diritti di utilizzazione economica), avrebbe il dovere di sanzionare.
“Il giornalista è uno che, dopo, sapeva tutto prima”. (Karl Kraus), scrive Dagoreport su “Dagospia”. “Il Salario (confutato) dell’impostura. “Su un punto la tranquillizzo: i contributi pubblici ai giornali indipendenti come il nostro sono oggi (per fortuna) inesistenti. I nostri stipendi ce li pagano lettori e inserzionisti”. L’impudica rispostina di Sergio Rizzo (“contributi inesistenti”) appariva sotto la lettera di un ingenuo deputato, Silvano Moffa, che si lagnava per la campagna anti parlamentari del Corrierone. Per altro, meritevole. Nonostante le omissioni. Si tratta presidente della Commissione lavoro della Camera che una volta ricevuti i pesci in faccia dal Corriere, si troverà nell’aula di Montecitorio a votare l’ennesima proroga milionaria ai Signori dell’editoria.
Almeno fino al 2014, secondo la promessa di Monti. Una missiva garbata e argomentata in cui il povero Moffa, en passant, ricordava al Gabibbo (impunito) i contributi pubblici versati all’editoria (un miliardo di euro annui) con cui anche i giornalisti arrotondano lo stipendio. Magari turandosi il naso o ignorandone addirittura la puzza (di provenienza). Ma i professionisti dell’Anti casta sono fatti così. Moralisti à la carte. Tant’è che al momento di andare al “mercatino delle pulci” (altrui) non guardano mai cosa si vende (di guasto) sulle proprie bancarelle dove acquistano per mangiare. E fanno finta di non vedere che da molto tempo i grandi giornali (Corriere, Repubblica, Stampa etc) sono in mano ai Poteri marci. E che questi giornaloni, come ha osservato Salvatore Bragantini (autorevole collaboratore del giornale in cui scrive, spesso sbugiardato, Sergio Rizzo), “sotto il profilo della cronaca economica (…) formano una formidabile flotta, che segue per lo più un’aurea massima: Cane non mangia cane”. La citazione appare nel volume dal titolo eloquente: “Capitalismo all’italiana, come i furbi comandano con i soldi degli ingenui”. Ma nella stampa (in genere), rovesciando una massima di Calderon de La Barca: “Il servo più furbo trova sempre che la valigia del padrone sia più leggera da portare della sua”. Già, perché sembra calato dalla luna chi, proprio sul Corrierone dei “padroni del vapore”, disquisisce di “giornali indipendenti” e senza prebende pubbliche. O si sente addirittura fortunato, disconoscendo persino che l’editoria non riceva soldi dallo Stato. Stiamo parlando di un miliardo annuo pagato con le tasse dei cittadini attraverso ben sette voci di sussidi: contributi diretti, credito d’imposta per investimenti, fondo mobilità e rimborsi per carta e teletrasmissioni; Iva privilegiata al 4% rispetto a un’imposta ordinaria del 20%. Un regalino da niente, da parte del governo e del parlamento. Per poi sentirsi accusare di dirigismo. E mettere in croce notai, benzinai, tassisti, avvocati, commercianti, medici e chi più ne ha più ne metta. In un recente studio del Reuter Institute for the Study of Journalism dell’Università di Oxford, tra i cinque paesi presi in esame Italia risulta al primo posto quanto a flussi di sovvenzioni pubbliche rispetto al numero effettivo dei lettori. Il campione esaminato riguarda Italia, Francia, Stati Uniti, Inghilterra e Germania. Nello studio si osserva pure che da questo meccanismo di aiuti (public support) non c’è “nessuna correlazione tra spesa pubblica (sussidi) e penetrazione dei giornali (copie vendute)”. Come a dire? Si stratta di soldi dello Stato che finiscono al macero. Come le copie rese dalle edicole. Sergio Rizzo sembra appartenere allora a quella categoria di giornalisti che, per dirla con Francesco Giavazzi (altro editorialista di punta di Flebuccio de Bortoli), “non sanno distinguere tra gli interessi dei loro editori e le regole della trasparenza”. E, spesso, neppure si avvedono “che l’essenza della libertà sta anche “nel diritto di opporsi a difendere le proprie convinzioni solo perché sono le nostre convinzioni” (Isaiah Berlin).
E la doppia morale del Corriere della Sera? Scrive “Stampa Alternativa”. La “Terza pagina” del Corriere della Sera, sabato scorso ha deciso di trattare il libro La casta dei giornali di Beppe Lopez, edito da Stampa Alternativa e Rai Eri, che in un paio di settimane è stato ristampato quattro volte e ha venduto 50 mila copie. Un successo, nonostante lo spinoso tema: “come l’editoria italiana è stata finanziata e assimilata dalla casta politica”. Passaparola, grande accoglienza dal mondo di Internet e dei blog, della televisione pubblica e privata, da radio e giornali regionali. I grandi giornali nazionali, infatti, hanno sinora ignorato o trattato il libro marginalmente, con reticenza o sotto titoletti incomprensibili. E il motivo è comprensibile: La casta dei giornali racconta e documenta il portentoso flusso di danaro pubblico, circa 700 milioni di euro all’anno, che finisce nelle casse dei grossi gruppi editoriali, rimpolpaldo di conseguenza anche gli utili degli azionisti. Andando più nel dettaglio, si parla di 29 milioni a Mondadori, 23 milioni a Rcs, 19 milioni al Sole 24 Ore, 16 milioni a Repubblica Espresso, eccetera. Con ovvia distorsione del mercato e annientamento dell’editoria regionale e indipendente, e conseguente manipolazione della circolazione delle idee e della democrazia. Ora, il “Corriere della Sera” recensisce, meritoriamente controccorrente, l’inchiesta di Lopez. Ma seguendo un metodo trasversale e liquidando con poche battute il cuore del libro. Pierluigi Panza che ha scritto il pezzo ha puntato a delegittimarlo, semplicemente parlando d’altro. Sin dal titolo: “La doppia morale della Rai”. Si attacca la Rai, che poi è come sparare sulla Croce Rossa. Panza si dichiara deluso, si sarebbe aspettato di “trovarci svelate le segrete trame, i legami lobbistici, il sistema delle raccomandazioni diffuso nei giornali con tanto di nomi e cognomi”. Si sarebbe aspettato cioè tutto un altro libro. Magari “sul modello della Casta di Stella e Rizzo”, dove si parla meritoriamente di tutti e di tutto, meno che dei finanziamenti pubblici all’editoria. Ma la Rai non è quell’editore finanziato con le tasche di tutti i cittadini? Ma la Rai, almeno, non faccia la morale agli altri, pubblicando con i soldi dei cittadini un libro contro il finanziamento agli (altri) editori. È il nocciolo della recensione. Ma sarebbero bastati un paio di minuti a Panza per verificare che la partnership editoriale della Rai Eri con Stampa Alternativa per La casta dei giornali non prevede, da parte sua, l’esborso anche solo di un euro. Anzi, il contratto firmato dalla due case editrici, prevede che la Rai Eri non solo non ha investito economicamente sul progetto ma percepirà il 2% sui diritti di vendita. Sarebbe gradita e corretta, come nella grande tradizione del “Corriere della Sera”, pubblicare un’errata corrige al riguardo, anche perché sarebbe una beffa non conforme alla storia di Stampa Alternativa, dopo aver garantito alla Rai Eri il suo guadagno, passare addirittura per gli ennesimi mungitori di “mamma Rai”.
Alla bisogna , sempre sul web si trova: Finalmente abolito il copyright sui contenuti prodotti con fondi pubblici, scrive Simone Aliprandi sul suo blog. Ci voleva l’intervento dei cosiddetti “saggi” per fare questo grande passo innovativo… ma l’importante è che sia stato fatto. Sì, perchè è proprio una mossa saggia quella di abolire il diritto d’autore su tutto ciò che è stato prodotto da enti pubblici e con finanziamento prevalentemente pubblico. Una condizione già presente in altri ordinamenti giuridici e che l’Italia, presa da faccende più urgenti, non aveva mai preso seriamente in considerazione. Ma ecco che con la prima riunione dei “saggi” (nominati da Napolitano) tenutasi questa mattina al Quirinale, il primo passo è stato effettuato. Dunque, testi, immagini, video, musiche, trasmissioni televisive, contenuti multimediali, siti web, banche dati e anche software: tutto senza vincoli di diritti d’autore e diritti connessi a condizione che siano prodotti da un ente pubblico o che comunque la loro produzione sia stata finanziata con fondi pubblici per più della metà. Il provvedimento produrrebbe i suoi effetti a partire da 60 giorni dalla data della sua formale adozione. Dunque entro quest’estate dovremmo già riuscire ad avvantaggiarci di questa sostanziale innovazione. Negativo ovviamente il parere del CPPC (Consorzio Produttori Pubblici di opere sotto Copyright), il quale minaccia di sollevare al più presto una questione di legittimità costituzionale.
Su queste basi è nato un movimento di libertà civica “Scarichiamoli”. L’accesso pubblico al sapere e la libera fruizione delle opere dell’ingegno rappresentano un minimo comune denominatore per movimenti tra loro diversi, che si occupano di problemi diversi, ma che trovano una base condivisa nello sviluppo “aperto” della Società della Conoscenza. In armonia con i principi promossi da questi movimenti, vorremmo che le opere dell’ingegno finanziate (a fondo perduto) con soldi pubblici e le opere di pubblico dominio fossero:
pubblicamente accessibili (facilmente reperibili su Internet);
universalmente accessibili (accessibili anche per i diversamente abili);
liberamente fruibili (non occorre pagare per: leggere un testo, vedere un’immagine, ascoltare una musica);
legalmente fruibili (l’utente è certo di poter scaricare un file nella piena legalità);
ottimamente fruibili (qualità digitale idonea a garantire una buona visualizzazione e/o un buon ascolto).
Inoltre, vorremmo che le opere dell’ingegno finanziate (a fondo perduto) con soldi pubblici fossero:
persistentemente non soggette a tutti o ad alcuni diritti di utilizzazione economica (l’autore rilascia la propria opera con licenza free/open content persistente o con licenza libera copyleft: innanzitutto, ciò consente a chiunque di riprodurre l’opera e di metterla in circolazione);
persistentemente non soggette a diritti connessi all’esercizio del diritto d’autore (altri diritti esclusivi che impediscono, innanzitutto, di riprodurre l’opera e di metterla in circolazione);
persistentemente non soggette a misure tecnologiche di protezione (l’autore rilascia la propria opera con licenza, free/open content persistente o libera copyleft, contenente una clausola anti-TPM o più clausole anti-TPM).
La Censura del Politicamente Corretto
LINGUAGGIO E COMUNICAZIONE. L’ALTRA FORMA DI CENSURA: IL POLITICAMENTE CORRETTO.
Il mondo è una community sui social network. Nessuno comunica più fisicamente. L’anonimato sui social ci protegge. Fisicamente non ci rimane che comunicare a gesti, oppure conformarsi al politicamente corretto di sinistra o al bacchettone bigotto di destra.
Riportiamo l’opinione del Dr Antonio Giangrande, sociologo storico e noto saggista, autore della collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo”.
La virtualizzazione della società si fa sentire in molti aspetti della nostra vita quotidiana. Uno degli ambiti in cui è più presente, e spesso ha effetti più limitanti, è quello della comunicazione fra mezzi d’informazione e pubblico, fra istituzioni e cittadini, fra cittadini e altri cittadini.
Era della comunicazione dove non comunichiamo. Questo paradosso la dice lunga e ci avverte che non si ascolta più, si parla e basta.
Leggiamo sui giornali o ascoltiamo in televisione, morto per overdose…, si uccide perché va male a scuola, bambino di tre anni ucciso in circostanze misteriose,…, figli che uccidono i genitori, madri che uccidono i figli e quel che è incredibile è che le persone si stanno abituando ai fatti negativi. Divenendo negativi essi stessi. Abitudine che potrebbe essere la punta di un iceberg, dove sotto c’è un vuoto di valori causato anche da una generazione che è riuscita a mettere in discussione tutto e il contrario di tutto.
Sono andati in crisi le istituzioni, la chiesa, la famiglia, la scuola, il mondo del lavoro e siamo senza un collante per regole e certezze e la community virtuale è la nostra isola felice dove sfogarci.
Ci indaffariamo a cercare amici sui social e ad aumentarne il numero sui nostri profili per avere visibilità e proseliti, per poi scoprire che proprio amici non sono. Ostilità od indifferenza sono le loro caratteristiche. Le nostre caratteristiche, perchè loro siamo noi.
Recentemente, ci sono stati diversi casi di chiusura di account legati a minacce ed offese sui principali social network. Non ultimo, il direttore del TG di La7, Enrico Mentana, che ha deciso di cancellare il proprio profilo Twitter a causa di continui insulti. Personaggi noti, del mondo dello spettacolo e non, denunciano quasi quotidianamente questo fenomeno dilagante. Insulti gratuiti, minacce, gravi offese e istigazioni alla violenza di ogni genere. C’è un po’ di tutto nei social network più famosi. Chiunque, sui social network, inserisce ciò che vuole: considerazioni su politica, personaggi dello spettacolo, link divertenti, video divertenti, fotografie, aggiornamenti di stato….
Questo popolo social ciarlante ed imperito, spesso, vuol far politica……
Il paradosso è che il potere si difende punendo questi comportamenti, con l’intento di renderci tutti conformisti.
Conformista come già cantò Giorgio Gaber
“Io sono un uomo nuovo, talmente nuovo che è da tempo che non sono neanche più fascista.
Sono sensibile e altruista, orientalista ed in passato sono stato un po’ sessantottista.
Da un po’ di tempo ambientalista, qualche anno fa nell’euforia mi son sentito come un po’ tutti socialista.
Io sono un uomo nuovo, per carità lo dico in senso letterale.
Sono progressista, al tempo stesso liberista, antirazzista e sono molto buono, sono animalista.
Non sono più assistenzialista, ultimamente sono un po’ controcorrente, son federalista.
Il conformista è uno che di solito sta sempre dalla parte giusta.
Il conformista ha tutte le risposte belle chiare dentro la sua testa, è un concentrato di opinioni che tiene sotto il braccio due o tre quotidiani e quando ha voglia di pensare, pensa per sentito dire.
Forse da buon opportunista, si adegua senza farci caso e vive nel suo paradiso.
Il conformista è un uomo a tutto tondo che si muove senza consistenza.
Il conformista s’allena a scivolare dentro il mare della maggioranza, è un animale assai comune che vive di parole da conversazione.
Di notte sogna e vengon fuori i sogni di altri sognatori, il giorno esplode la sua festa che è stare in pace con il mondo e farsi largo galleggiando.
Il conformista, il conformista.
Io sono un uomo nuovo e con le donne c’ho un rapporto straordinario, sono femminista
Son disponibile e ottimista, europeista, non alzo mai la voce, sono pacifista.
Ero marxista-leninista e dopo un po’ non so perché mi son trovato cattocomunista.
Il conformista non ha capito bene che rimbalza meglio di un pallone.
Il conformista aerostato evoluto, che è gonfiato dall’informazione, è il risultato di una specie che vola sempre a bassa quota in superficie, poi sfiora il mondo con un dito e si sente realizzato.
Vive e questo già gli basta e devo dire che oramai somiglia molto a tutti noi.
Il conformista, il conformista.
Io sono un uomo nuovo, talmente nuovo che si vede a prima vista sono il nuovo conformista.”
Non so più dove girarmi. Giornali on line e non, social network, radio, tv…Non c’è scampo: il buonismo dilaga ovunque. Un buonismo fintissimo: quello politicamente corretto.
Perché oggi, in Italia, se critichi qualsivoglia malvivente sei razzista (se è straniero).
Sei intollerante (se è italiano).
Sei sessista (se è un uomo e tu una donna, e viceversa).
Sei cattivo (se è un essere umano).
Dobbiamo essere tutti bravi, altruisti e generosi. Comprensivi, giusti e dalla mente aperta. Certo che dobbiamo! Ma non significa certo che dobbiamo anche giustificare tutto e tutti o conformaci alla cultura mediatica che va per la maggiore.
Potremmo esprimere il nostro pensiero con un linguaggio che nel gergo quotidiano è consentito, mentre se diffuso a mezzo stampa è definito scorretto?
Potremmo esprimere un’opinione, senza essere tacciati come discriminatori?
La discriminazione consiste in un trattamento non paritario attuato nei confronti di un individuo o un gruppo di individui in virtù della loro appartenenza ad una particolare categoria. Alcuni esempi di discriminazione possono essere il razzismo, il sessismo, lo specismo e l’omofobia.
L’espressione politicamente corretto (traduzione letterale dell’inglese politically correct) designa una linea di opinione e un atteggiamento sociale di estrema attenzione al rispetto generale, soprattutto nel rifuggire l’offesa verso determinate categorie di persone. Qualsiasi idea o condotta in deroga più o meno aperta a tale indirizzo appare quindi, per contro, politicamente scorretta (politically incorrect). L’opinione, comunque espressa, che voglia aspirare alla correttezza politica dovrà perciò apparire chiaramente libera, nella forma e nella sostanza, da ogni tipo di pregiudizio razziale, etnico, religioso, di genere, di età, di orientamento sessuale, o relativo a disabilità fisiche o psichiche della persona.
Insomma, politicamente corretto significa ipocrisia.
“L’ipocrisia è il linguaggio proprio della corruzione”. Lo afferma Papa Francesco, nell’omelia durante la messa mattutina celebrata nella cappella della Domus Santa Marta in Vaticano, presenti fra gli altri i vertici della Rai, con la presidente Anna Maria Tarantola e il direttore generale Luigi Gubitosi. “L’ipocrisia – sottolinea il Papa, facendo riferimento alla pagina del Vangelo sulla domanda dei farisei sulla liceità del tributo da dare a Cesare – non è un linguaggio di verità, perché la verità mai va da sola, mai, ma va sempre con l’amore. Non c’è verità senza amore, l’amore è la prima verità e se non c’è amore non c’è verità”. I farisei, gli ipocriti, “vogliono invece una verità schiava dei propri interessi; l’amore che c’è è quello di se stessi e a se stessi: quell’idolatria narcisista li porta a tradire gli altri, li porta agli abusi di fiducia”. Francesco punta il dito sui falsi amici che “sembrano tanto amabili nel linguaggio”, sui “corrotti che con questo linguaggio cercano di indebolirci”. Infatti, “gli ipocriti che cominciano con la lusinga, con l’adulazione, finiscono cercando falsi testimoni per accusare chi avevano lusingato. Il nostro linguaggio – conclude il Papa – sia il parlare dei semplici, con anima di bambini, il parlare in verità dall’amore”.
Il politicamente scorretto è tale, però, ad intermittenza.
Sto pensando agli epiteti che sono stati lanciati ad Andreotti sulla sua scoliosi, a Berlusconi o Brunetta per la loro altezza, Alfano per il suo viso… etc. La scusa sciocca della satira non basta: anche al sesso maschile (o femminile purchè del campo avverso) vengono riservate considerazioni sgradevoli. Vogliamo fare una carrellata che non ha scandalizzato stranamente nessuno?
“Condoleezza [Rice], con quelle guancette da impunita, è la leader maxima delle donne-scimmia” (Lidia Ravera, L’Unità, 25 ottobre 2004).
“Di sicuro [il Ministro Gelmini] non è un essere umano. Dovremmo chiamare i professori di chimica per capire che cos’è” (Andrea Camilleri).
“Se dopo De Nicola, Pertini e Fanfani, ci ritroviamo con Schifani, sono terrorizzato dal dopo: le uniche forme residue di vita sono il lombrico e la muffa. Anzi, la muffa no perché è molto utile” (Marco Travaglio).
Appari politicamente scorretto, anche se non lo sei? Scatta l’invettiva, secondo l’accusa dei giornalisti, anche per frasi o comportamenti innocenti.
L’invettiva razzista. Il caso forse più noto tra quelli registrati, però, riguarda la televisione. Si tratta della vicenda che ebbe per protagonista Paolo Bonolis il quale, nel corso della trasmissione di Canale 5 “Avanti un altro” ebbe la infelice idea di travestirsi da domestico filippino e di esibirsi in una gag che scatenò la reazione indignata della comunità filippina in Italia, stufa di essere considerata alla stregua di un’associazione di camerieri e di donne di servizio. Romulo Sabio Salvador, consigliere aggiunto di Roma Capitale, a nome dei suoi connazionali scrisse una lettera indignata a Mediaset, all’Agcom e, appunto, all’Unar. Tavecchio ha dichiarato: «Le questioni di accoglienza sono un conto, le questioni del gioco sono un altro. L’Inghilterra individua i soggetti che entrano, se hanno professionalità per farli giocare. Noi, invece, diciamo che Opti Poba – dice inventando un nome – è venuto qua, che prima mangiava le banane, adesso gioca titolare nella Lazio. E va bene così. In Inghilterra deve dimostrare il suo curriculum e il suo pedigree» Tavecchio è stato punito dai media, dalla UEFA e dalla FIFA.
L’invettiva omofoba. Eziolino Capuano, allenatore dell’Arezzo (Lega Pro), «Prendere gol in superiorità numerica al 90’ è vergognoso, non lo accetto», ha detto a Radio Groove dopo la sconfitta di Alessandria degli amaranto, e prima di esplodere: «Se avessero perso in maniera diversa non avrei detto nulla, però in campo le checche non vanno bene. In campo devono andare gli uomini con le palle e non le checche» Capuano è stato crocifisso dai giornali. Ormai la lobby gay in Parlamento non solo mira ad avere un matrimonio tutto loro ed avere figli non loro, ma sulla comunicazione comune vieta ogni parola riferita alla loro condizione sessuale. Più per gli uomini. Ormai è vietato dire quelli dell’altra sponda, quelli dell’altra parrocchia e poi frocio, ricchione, finocchio, culo, culattone, culano, culatino, bucaiolo, buso o busone, bardassa o bardascia, buggerone, checca, cupio, garrusu, invertito, gay, urningo o uraniano, femminello, mezzafemmina, pederasta, sodomita, invertito, pigliainculo.
L’invettiva sessista. Il settimanale diretto da Alfonso Signorini pubblica quattro fotogrammi rubati del ministro mentre mangia un gelato con il titolo “ci sa fare con il gelato” e l’Ordine dei giornalisti apre un procedimento. “Uno schifo”. “Qualcosa di disgustoso”. “Spazzatura”. L’indignazione, a dir poco, esplode in rete insieme a disgusto e incredulità per quattro fotogrammi rubati al ministro Marianna Madia, e messi in doppia pagina su “Chi” con un titolo volgare e ammiccante. I tweet e i post su Facebook sono migliaia. Due facciate che vengono “difese” proprio dal direttore di Chi, Alfonso Signorini. che twitta: “Calippo si e gelato no?”, con l’ashtag #duepesiduemisure. Il riferimento è alle foto di Francesca Pascale apparse nel febbraio 2013. Il riferimento non è puramente casuale, anzi è chiaro e diretto al servizio pubblicato tempo fa da Oggi, gruppo Rcs, in cui venivano riproposte vecchie immagini di Francesca Pascale che mangiava un Calippo nel corso di una clip per una televisione locale. Il direttore di Chi poi, intervistato da Giorgio Mulè alla presentazione del suo libro “L’altra parte di me” nella tappa catanese del tour Panorama d’Italia, ha spiegato meglio il suo pensiero: “Chi oggi s’indigna per il titolo che ho fatto alle foto della Madia che mangia il cono gelato ha marciato per anni sul calippo della Pascale. Io aderisco a una scuola di pensiero secondo cui la malizia sta negli occhi di chi guarda e non di chi la fa, accusare me di sessismo o di persecuzione a sfondo sessuale è assurdo, per non parlare di certe campagne davvero infamanti, per usare la stessa parola che usano oggi contro di me, sulle giarrettiere della Brambilla o il calendario della Carfagna”.
L’invettiva pedofila. Del resto oggi tutto ha il sapore di proibito, ma anche solo pensare di essere amorevole con i figli, ti conduce subito sulla sponda più terribile: quella dei genitori oggetto di riprovazione. È una categoria semplice, assoluta e falcidiante. Ha il potere di bloccare l’azione sul nascere, perché influisce direttamente sul pensiero: è la forza del politicamente corretto, che rovina perfino i momenti di divertimento o di affetto. È il motivo per cui non si dà più un bacio innocente o una carezza, agli adulti, così come ai bambini: passi immediatamente per un maniaco o per un pedofilo. Ecco il motivo per cui i bambini non giocano più nei cortili, non prendono più un ascensore da soli, non possono giocare a palla in riva al mare, mentre è così difficile fermare i piccoli sbandati o i delinquenti, quelli veri. Ed è molto più facile fare sentire un genitore come un criminale, che fare divertire un bambino.
L’invettiva giudiziaria. Le lacrime e la rabbia lasciano il posto alla determinazione. «Mi devono uccidere per fermarmi», dice Ilaria Cucchi all’indomani della sentenza della corte di appello di Roma che vede tutti assolti gli imputati per la morte del fratello Stefano, deceduto il 22 ottobre di cinque anni fa dopo una settimana di ricovero in ospedale. Una vicenda che ha provocato uno strascico di polemiche su cui interviene anche il presidente della Corte d’Appello di Roma, Luciano Panzani: «Basta gogna mediatica, non c’erano prove».
L’invettiva specista. Lo specismo è l’attribuzione di un diverso valore e status morale agli individui a seconda della loro specie di appartenenza. Il termine fu coniato nel 1970 dallo psicologo britannico Richard Ryder, per calco da razzismo e sessismo, con l’intento di descrivere in particolare gli atteggiamenti umani che coinvolgono una discriminazione degli individui animali non umani, inclusa la concezione degli animali come oggetti o proprietà. Il termine viene usato comunemente nel contesto della letteratura sui diritti animali, per esempio nelle opere di Peter Singer e Tom Regan. Succede spesso di leggere sui giornali o di vedere video su youtube di incredibili salvataggi, per mano umana, di animali (specialmente cani) in difficoltà. Quello che però lascia perplessi è leggere di un intervento simile proprio in un luogo come quello di Carloforte, noto per la tradizionale mattanza dei tonni. Questo salvataggio, se ci si sofferma un attimo a pensare, ha davvero dell’incredibile. Uomini che si uniscono e si impegnano con tutte le loro energie per salvare una vita da annegamento certo mentre stanno per calare le reti che spezzeranno le vite, attraverso una lenta e dolorosa sofferenza, di centinaia e centinaia di pesci. Purtroppo questo è lo specismo, che quotidianamente e ovunque nel mondo continua a dilagare ma che dobbiamo cercare di abbattere. Come per l’allevamento Green Hill, ovvero: la preoccupazione riguarda solo i cani di Green Hill, non c’è nessuna condanna delle inenarrabili crudeltà perpetrate in laboratorio su altri animali quali topi, ratti o maiali.
Era della comunicazione dove non comunichiamo. Non si ascolta più, si parla e basta….
In conclusione. Come si può non essere politicamente corretti e conformisti? Basta essere corretti e veritieri nell’espressione del pensiero. Basterebbe abbeverarsi dal sapere dei buoni maestri senza tema di smentita, pensare un attimo a quello che si dice o si scrive e non vedere cose brutte in cose estremamente innocenti!