Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
NOTA BENE
NESSUN EDITORE VUOL PUBBLICARE I MIEI LIBRI, COMPRESO AMAZON, LULU E STREETLIB
SOSTIENI UNA VOCE VERAMENTE LIBERA CHE DELLA CRONACA, IN CONTRADDITTORIO, FA STORIA
NOTA BENE PER IL DIRITTO D'AUTORE
NOTA LEGALE: USO LEGITTIMO DI MATERIALE ALTRUI PER IL CONTRADDITTORIO
LA SOMMA, CON CAUSALE SOSTEGNO, VA VERSATA CON:
accredito/bonifico al conto BancoPosta intestato a: ANTONIO GIANGRANDE, VIA MANZONI, 51, 74020 AVETRANA TA IBAN: IT15A0760115800000092096221 (CIN IT15A - ABI 07601 - CAB 15800 - c/c n. 000092096221)
versamento in bollettino postale sul c.c. n. 92096221. intestato a: ANTONIO GIANGRANDE, VIA MANZONI, 51, 74020 AVETRANA TA
SCEGLI IL LIBRO
PRESENTAZIONE SU GOOGLE LIBRI
presidente@controtuttelemafie.it
Via Piave, 127, 74020 Avetrana (Ta)3289163996 0999708396
INCHIESTE VIDEO YOUTUBE: CONTROTUTTELEMAFIE - MALAGIUSTIZIA - TELEWEBITALIA
FACEBOOK: (personale) ANTONIO GIANGRANDE
(gruppi) ASSOCIAZIONE CONTRO TUTTE LE MAFIE - TELE WEB ITALIA -
ABOLIZIONE DEI CONCORSI TRUCCATI E LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI
(pagine) GIANGRANDE LIBRI
WEB TV: TELE WEB ITALIA
NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA
(diritti esclusivi: citare la fonte)
ARTICOLI PER TEMA
Di Antonio Giangrande
INDICE
La politica e lo status quo.
Il Racket dei Baroni
Morire di denti
Liberalizzazioni Farlocche.
Avvocati con le palle
La Mafia Forense
La Moria degli Avvocati
La Casta degli editori
La politica e lo status quo.
Quando vedo che in Italia mai nulla cambia per
difendere lo Status Quo e che i vecchi della politica sono tutti contro Renzi e
contro quel partito democratico leninista che nel suo Dna nulla ha di comunista
stalinista;
Quando vedo che la sinistra stalinista, la destra liberale o reazionaria, i
cinquestelle dilettanti e confusionari sono tutti contro Renzi ed il suo
partito;
Quando vedo che tutti i manipolatori del web, anziché denunciare le malefatte
del sistema e del suo ordinamento giuridico mafioso, incitano all’odio contro
Renzi e le sue riforme;
Quando vedo che sui social ed in tv, così come sui giornali si propaganda solo
il voto per il no e si denigra il premier, sminuendolo agli occhi
internazionali;
Quando, comunque, si è contro questo Governo e contro tutti i Governi che lo
hanno preceduto e per questo è 20 anni che non si va a votare per mancanza di
rappresentanza;
Quando, comunque, non si può difendere una Costituzione massonica ed
antidemocratica e che tutela il lavoro e non la libertà;
allora è la volta buona per essere dalla parte del torto, tenuto conto che i
posti della parte della ragione son tutti occupati, ed andare a votare sì, così
a prescindere, giusto per essere contro corrente e dare un segnale di
cambiamento.
Il Racket dei Baroni
DALL’ACCESSO A NUMERO CHIUSO ALLE UNIVERSITA’ FINO ALLE LISTE D’ATTESA. IL RACKET DEI BARONI DELLA MEDICINA.
Pochi medici si spartiscono la torta della sanità. Impediscono l’accesso alla professione, limitando la concorrenza, e svolgono il doppio lavoro: pubblico e privato. Il lavoro presso gli ospedali a disposizione del lavoro presso lo studio privato. Intanto le liste d’attesa ingrossano, come le loro tasche: vuoi far prima? Paga……Ed in Parlamento ognuno tutela la propria lobby.
Perché nessuno ha il coraggio di dire veramente come stanno le cose. Basta leggere il libro del dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” http://www.controtuttelemafie.it, e scrittore-editore dissidente che proprio sul tema ha scritto e pubblicato “CONCORSOPOLI”. Libro facente parte della collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata sui propri siti web. Uno tra i 40 libri scritti dallo stesso autore e pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i media si astengono a dare la dovuta visibilità e le rassegne culturali ad ignorare.
Per esercitare le funzioni dello Stato, anche se sono truccati, i concorsi pubblici stabiliscono già il numero chiuso per l’accesso alla funzione.
Per quanto riguarda l’esercizio delle professioni, i concorsi pubblici non prevedono il numero chiuso, anche perché la Costituzione non lo prevede, ma tant’è i criminali impuniti (per abuso d’ufficio, falso, associazione a delinquere, concussione e corruzione, ecc.) stabiliscono da sé ed a loro vantaggio un limite invalicabile di numero di idonei. Questo numero, sempre e comunque, riconducibile a principi familistici od amicali.
Per limitare la concorrenza tutti gli Ordini professionali (di stampo ed origine fascista, con il bene placido di destra e sinistra) adottano sistemi di limitazione della concorrenza, ledendo il libero mercato e ledendo il diritto dei cittadini impedendo l’accesso meritocratico.
Gli avvocati, ed altri Ordini, intervengono durante i concorsi pubblici di abilitazione, stabilendo impunemente un limite di abilitazione che non supera mai il 20-30% dei candidati e con giudizi arbitrari, in quanto le prove non sono sottoposte a correzione, così come, d’altronde, succede per il concorso dei magistrati.
Altre professioni, tra cui l’Ordine dei medici, interviene direttamente sui bandi di accesso ai corsi dell’università, stabilendo un risibile numero chiuso ed oltretutto con criticabili test d’accesso, che nulla hanno a che fare con la professione da svolgere. Viene il voltastomaco, non tanto per gli abusi che si commettono, ma come la massa non si renda conto che continua a votare in Parlamento persone che sono impegnati a perpetrare una ignominia contro il popolo e solo a vantaggio della loro casta o lobbies.
Forse alcuni non lo considerano un problema politico o di interesse generale di cui occuparsi, invece lo è. Se non altro perché va a toccare la nostra pelle, cui tutti teniamo in maniera particolare. Per questo motivo la questione del numero chiuso a medicina deve interessare tutti. Si tratta di uno sbarramento assurdo e dannoso che va abolito al più presto. Esso dovrebbe “selezionare” gli studenti più adatti a fare il medico chirurgo. Ma i test che dovrebbero avere questa funzione sono un’accozzaglia di domande strampalate che a tutto possono servire, meno che a selezionare chi ha attitudine o meno a fare il medico. E non ci si venga a parlare di esigenze didattiche. Almeno per i primi tre anni si tratta per lo più di andare a lezione. La pratica al letto del malato viene successivamente. E poi, oltre ai policlinici universitari ci sono un sacco di ospedali dove gli studenti possono andare a imparare. E poi il vero problema sono le scuole di specializzazione. Infatti, su 11 mila studenti che hanno superato i test questo anno e inizieranno il percorso di studi in Medicina riusciranno a laurearsi, fra sei anni, 8.500/9 mila studenti (l’80% degli iscritti si laurea infatti entro il primo anno fuori corso). I posti disponibili per le scuole di specializzazione sono invece 5 mila e quelli per medicina generale circa mille. Sono destinati a restare così senza un’occupazione qualificata 3 mila nuovi medici. Ne consegue che pochi medici si spartiscono la torta della sanità.
Le “liste di attesa” sono il più grave degli scandali tollerati. È il sistema “intramoenia” che degenera in abusi ormai risaputi e rende privata la struttura pubblica. Occorrono mesi per una visita, un esame o un intervento. Bastano ore o giorni, se si paga. «C’è un sistema per far presto, accetta?» solita domanda. È il sistema “intramoenia” che degenera in abusi ormai risaputi, che rende privata la sanità pubblica, che favorisce i malati ricchi sui malati poveri. Come mai qualche medico ha poco tempo per chi è in lista, ma tanto per chi stacca l’assegno? La crisi della sanità pubblica nasce con lo scandalo del doppio lavoro dei medici. Perché la sanità italiana è così negativa nonostante i costi sopportati dalla collettività? Una spiegazione c’è. I medici sono i soli dipendenti pubblici in Italia autorizzati a fare il doppio lavoro. Ci sarebbe in realtà il divieto generale, per tutti quanti, sancito dal vecchio regolamento del 1957, ma a furia di deroghe con le contrattazioni pubbliche, la casta dei medici tramite il proprio sindacato di categoria ha ottenuto il privilegio di poter tenere il piede in due scarpe. Il doppio lavoro legalizzato porta illustri nomignoli latini: intramoenia ed extramoenia. Con la prima, il medico ospedaliero può usare la struttura pubblica a proprio comodo per visite private a pagamento. Con la seconda, il medico pubblico può direttamente lavorare in privato, in cliniche o studi (che paradossalmente potrebbero lavorare in convenzione con l’ospedale per il quale lavora in pubblico!), teoricamente fuori dall’orario del servizio pubblico. Così i medici lavorano a cottimo, senza sosta, nel pubblico a raccogliere i frutti di ciò che hanno seminato con le lucrose visite private. Il paziente pagante viene ricevuto con cortesia e dignità per l’intervento nella struttura pubblica, naturalmente dopo la visitina privata di prassi, e con la benedizione del medico viene operato con impegno e dedizione. A questo punto per accedere alla professione medica ogni sistema è buono, anche quello truffaldino dei test d’accesso. Ma il fatto è che si persegue penalmente sempre e solo i poveri cristi e non i mafiosi fautori del sistema criminale per l’accesso alla professione.
Morire di denti
A.D. 2014. MORIRE DI DENTI, MORIRE DI POVERTA’, MA I DENTISTI SI SCAGLIANO CONTRO ANTONIO GIANGRANDE.
«Siamo un paese di gente che, presi uno ad uno, si definisce onesta. Per ogni male che attanaglia questa Italia, non si riesce mai a trovare il responsabile. Tanto, la colpa è sempre degli altri!». Così afferma il dr Antonio Giangrande, noto saggista di fama mondiale e presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, sodalizio antimafia riconosciuto dal Ministero dell’Interno. Associazione fuori dal coro e fuori dai circuiti foraggiati dai finanziamenti pubblici.
«Quando ho trattato il tema dell’odontoiatria, parlando di un servizio non usufruibile per tutti, non ho affrontato l’argomento sulla selezione degli odontoiatri. Non ho detto, per esempio, che saranno processati a partire dal prossimo 6 marzo 2014 i 26 imputati rinviati a giudizio dal gup del Tribunale di Bari Michele Parisi nell’ambito del procedimento per i presunti test di ingresso truccati per l’ammissione alle facoltà di odontoiatria e protesi dentaria delle Università di Bari, Napoli, Foggia e Verona, negli anni 2008-2009. Ho scritto solo un articolo asettico dal titolo eclatante.»
LA LOBBY DEI DENTISTI E LA MAFIA ODONTOIATRICA.
In una sequela di corpi nudi, da quale particolare tra loro riconosceresti un indigente? Dai denti, naturalmente! Guardalo in bocca quando ride e quando parla e vedrai una dentatura incompleta, cariata e sporca.
In fatto di salute dentale gli italiani non si rivolgono alla ASL. I dentisti della ASL ci sono, eppure è solo l’8% degli italiani ad avvalersi dei dentisti pubblici. Nel 92% dei casi gli italiani scelgono un dentista privato. Più che altro ad influenzare la scelta per accedere a questa prestazione medica è perché alla stessa non è riconosciuta l’esenzione del Ticket. Ci si mette anche la macchinosità burocratica distribuita in più tempi: ricetta medica; prenotazione, pagamento ticket e finalmente la visita medica lontana nel tempo e spesso a decine di km di distanza, che si protrae in più fasi con rinnovo perpetuo di ricetta, prenotazione e pagamento ticket. La maggiore disponibilità del privato sotto casa a fissare appuntamenti in tempi brevi, poi, è la carta vincente ed alla fine dei conti, anche, la più conveniente. Ciononostante la cura dei denti ci impone di aprire un mutuo alla nostra Banca di fiducia.
Il diritto alla salute dei denti, in questo stato di cose, in Italia, è un privilegio negato agli svantaggiati sociali ed economici.
LA VULNERABILITA’ SOCIALE. Può essere definita come quella condizione di svantaggio sociale ed economico, correlata di norma a condizioni di marginalità e/o esclusione sociale, che impedisce di fatto l’accesso alle cure odontoiatriche oltre che per una scarsa sensibilità ai problemi di prevenzione e cura dei propri denti, anche e soprattutto per gli elevati costi da sostenere presso le strutture odontoiatriche private. L’elevato costo delle cure presso i privati, unica alternativa oggi per la grande maggioranza della popolazione, è motivo di ridotto accesso alle cure stesse anche per le famiglie a reddito medio – basso; ciò, di fatto, limita l’accesso alle cure odontoiatriche di ampie fasce di popolazione o impone elevati sacrifici economici qualora siano indispensabili determinati interventi.
Pertanto, tra le condizioni di vulnerabilità sociale si possono individuare tre distinte situazioni nelle quali l’accesso alle cure è ostacolato o impedito:
a) situazioni di esclusione sociale (indigenza);
b) situazioni di povertà:
c) situazioni di reddito medio – basso.
Perché il Servizio Sanitario Nazionale e di rimando quello regionale e locale non garantisce il paritetico accesso alle cure dentali? Perché a coloro che beneficiano dell’esenzione al pagamento del Ticket, questo non è applicato alla prestazione odontoiatrica pubblica?
Andare dal dentista gratis è forse il sogno di tutti, visti i conti che ci troviamo periodicamente a pagare e che non di rado sono la ragione per cui si rimandano le visite odontoiatriche, a tutto discapito della salute dentale. Come avrete capito, insomma, non è così semplice avere le cure dentistiche gratis e spesso, per averle, si devono avere degli svantaggi molto forti, al cui confronto la parcella del dentista, anche la più cara, non è nulla. E’ però importante sapere e far sapere che, chi vive condizioni di disagio economico o ha malattie gravi, può godere, ma solo in rare Regioni, di cure dentistiche gratuite a totale carico del Sistema Sanitario Nazionale. Diciamo subito che non tutti possono avere questo diritto: le spese odontoiatriche non sono assimilabili a quelle di altre prestazioni mediche offerte nelle ASL, negli ospedali e nelle cliniche convenzionate di tutta Italia. Inoltre, qualora si rendano necessarie protesi dentarie o apparecchi ortodontici, questi sono a carico del paziente: vi sono però alcune condizioni particolari che permettono, a seconda dei regolamenti regionali, di ottenere protesi dentali gratuite e apparecchi a costo zero o quasi. Le regioni amministrano la sanità, e dunque anche le cure dentistiche, con larghe autonomie che a loro volta portano a differenze anche sostanziali da un luogo all’altro. Bisogna, quando si nasce, scegliersi il posto!
Alla fine del racconto, la morale che se ne trae è una. E’ possibile che la lobby dei dentisti sia così forte da influenzare le prestazioni sanitarie delle Asl italiane e gli indirizzi legislativi del Parlamento? In tempo di crisi ci si deve aspettare un popolo di sgangati senza denti, obbligati al broncio ed impediti al sorriso da una ignobile dentatura?
Questo articolo è stato pubblicato da decine di testate di informazione. E la reazione dei dentisti non si è fatta attendere, anche con toni minacciosi. Oggetto degli strali polemici è stato, oltre che Antonio Giangrande, il direttore di “Oggi”.
«I Dentisti non sono mafiosi bensì gli unici che si prendono cura dei cittadini». ANDI protesta con Oggi per una delirante lettera pubblicata. Così viene definito l’articolo. Il 14 gennaio 2014 sul sito del settimanale Oggi, nella rubrica “C’è posta per noi”, è stata pubblicata una missiva del dott. Antonio Giangrande presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie dal titolo “La lobby dei dentisti e la mafia odontoiatrica”. Nella nota Giangrande analizza il bisogno di salute orale e le difficoltà del servizio pubblico di dare le risposte necessarie chiedendosi se tutto questo non è frutto del lavoro della lobby dei dentisti talmente potente da influenzare le prestazioni sanitarie delle Asl e le decisioni del Parlamento. ANDI, per tutelare l’immagine dei dentisti liberi professionisti italiani, sta valutando se intraprendere azioni legali nei confronti dell’autore della lettera e del giornale. Intanto ha chiesto di pubblicare la nota che riportiamo sotto. La Redazione di Oggi ha scritto il 24.1.2014 alle 16:59, Il precedente titolo della lettera del Dottor Giangrande era fuorviante e di questo ci scusiamo con gli interessati. Qui di seguito l’intervento dell’Associazione Nazionale Dentisti italiani, a nome del Presidente Dott. Gianfranco Prada, in risposta allo stesso Dottor Giangrande. «A nome dei 23 mila dentisti italiani Associati ad ANDI (Associazione Nazionale Dentisti Italiani) che mi onoro di presiedere vorrei rispondere alla domanda che il dott. Antonio Giangrande, presidente dell’Associazione Contro tutte le Mafie ha posto sul suo giornale il 14 gennaio. “E’ possibile che la lobby dei dentisti sia così forte da influenzare le prestazioni sanitarie delle Asl italiane e gli indirizzi legislativi del Parlamento? In tempo di crisi ci si deve aspettare un popolo di sgangati senza denti, obbligati al broncio ed impediti al sorriso da una ignobile dentatura?” La risposta è no. No, dott. Giangrande non c’è una lobby di dentisti così forte da influenzare le scelte della sanità pubblica. La causa di quanto lei scrive si chiama spending review o se vogliamo utilizzare un termine italiano dovremmo dire tagli: oltre 30 miliardi negli ultimi due anni quelli per la sanità. Poi io aggiungerei anche disinteresse della politica verso la salute orale che non ha portato, mai, il nostro SSN ad interessarsi del problema. Vede dott. Giangrande lei ha ragione quando sostiene che un sorriso in salute è una discriminante sociale, ma non da oggi, da sempre. Ma questo non per ragioni economiche, bensì culturali. Chi fa prevenzione non si ammala e non ha bisogno di cure. Mantenere sotto controllo la propria salute orale costa all’anno quanto una signora spende alla settimana dalla propria parrucchiera. Ed ha anche ragione quando “scopre” che le cure odontoiatriche sono costose, ma non care come dice lei. Fare una buona odontoiatria costa e costa sia al dentista privato che alla struttura pubblica, che infatti non riesce ad attivare un servizio che riesca a soddisfare le richieste dei cittadini. Inoltre, oggi, lo stato del SSN quasi al collasso, non consente investimenti nell’odontoiatria: chiudono i pronto soccorso o vengono negati prestazioni salva vita. Ma le carenze del pubblico nell’assistenza odontoiatrica non è neppure di finanziamenti, è di come questi soldi vengono investiti. Qualche anno fa il Ministero della Salute ha effettuato un censimento per capire le attrezzature ed il personale impiegato da Ospedali ed Asl nell’assistenza odontoiatrica e da questo è emerso che i dentisti impiegati utilizzano gli ambulatori pubblici in media per sole 3 ore al giorno. Ma non pensi sia per negligenza degli operatori, molto spesso è la stessa Asl che non può permettersi di attivare il servizio per più tempo. Non ha i soldi. Però poi succede anche che utilizzi le strutture pubbliche per dare assistenza odontoiatrica a pagamento e quindi per rimpinguare i propri bilanci. Come mai non ci indigna per questo? Il problema non è di carenza di attrezzature (mediamente quelle ci sono) sono i costi per le cure. Una visita odontoiatria è molto più costosa di una visita di qualsiasi altra branca della medicina. Pensi quando il suo dermatologo o cardiologo la visita e poi allo studio del suo dentista in termini di strumenti, attrezzature e materiali utilizzati. Anche con i pazienti che pagano il ticket l’Asl non riesce a coprire neppure una piccola parte dei costi sostenuti per effettuare la cure. Da tempo chiediamo ai vari Ministri che negli anni hanno trascurato l’assistenza odontoiatrica di dirottare quegli investimenti in un progetto di prevenzione odontoiatrica verso la fasce sociali deboli e i ragazzi. Una seria campagna di prevenzione permetterebbe di abbattere drasticamente le malattie del cavo orale, carie e malattia parodontale, diminuendo drasticamente la necessità di interventi costosi futuri come quelli protesici. Invece nelle nostre Asl e negli ospedali non si previene e non si cura neppure, perché costa troppo curare, così si estraggono solo denti… creando degli “sdentati” che avranno bisogno di protesi. Dispositivo che il nostro SSN non può erogare. Ma molto spesso lo fa a pagamento. Pensi, dott. Giangrande, siamo talmente lobbie che l’unico progetto di prevenzione pubblica gratuito attivo su tutto il territorio nazionale è reso possibile da 35 anni dai dentisti privati aderenti all’ANDI. Stesso discorso per l’unico progetto di prevenzione del tumore del cavo orale, 6 mila morti all’anno per mancata prevenzione. Per aiutare gli italiani a tutelare la propria salute orale nell’immediato basterebbe aumentare le detrazioni fiscali della fattura del dentista (oggi è possibile detrarre solo il 19%) ma questo il Ministero dell’Economia dice che non è possibile. Però da anni si permette ai cittadini di detrarre oltre il 50% di quanto spendono per ristrutturare casa o per comprare la cucina. Come vede, caro dott. Giangrande, il problema della salute orale è molto serio così come molto serio il problema della mafia. Ma proprio perché sono problemi seri, per occuparsene con competenza bisogna sforzarsi di analizzare il problema con serietà e non fare le proprie considerazioni utilizzando banali lunghi comuni. In questo modo insulta solo i dentisti italiani che sono seri professionisti e non truffatori o peggio ancora mafiosi. Fortunatamente questo i nostri pazienti lo sanno, ecco perché il 90% sceglie il dentista privato e non altre strutture come quelle pubbliche o i low cost. Perché si fida di noi, perché siamo seri professionisti che lavorano per mantenerli sani. Aspettiamo le sue scuse. Il Presidente Nazionale ANDI, Dott. Gianfranco Prada».
Antonio Giangrande, come sua consuetudine, fa rispondere i fatti per zittire polemiche strumentali e senza fondamento, oltre che fuorvianti il problema della iniquità sociale imperante.
Palermo. Morire, nel 2014, perché non si vuole – o non si può – ricorrere alle cure di un dentista. Da un ospedale all’altro: muore per un ascesso. Quando il dolore è diventato insopportabile ha deciso di rivolgersi ai medici, ma la situazione è precipitata, scrive Valentina Raffa su “Il Giornale”, martedì 11/02/2014. Una storia alla Dickens, con la differenza però che oggi non siamo più nell’800 e romanzi sociali come «Oliver Twist», «David Copperfield» e «Tempi difficili» dovrebbero apparire decisamente anacronistici. Eppure… Eppure succede che ai nostri giorni si possa ancora morire per un mal di denti. Un dolore a un molare che la protagonista di questa drammatica vicenda aveva cercato di sopportare. Difficile rivolgersi a un dentista, perché curare un ascesso avrebbe richiesto una certa spesa. E Gaetana, 18enne di Palermo, non poteva permettersela. Lei si sarebbe dovuta recare immediatamente in Pronto soccorso. Quando lo ha fatto, ossia quando il dolore era divenuto lancinante al punto da farle perdere i sensi, per lei non c’era più nulla da fare. È stata accompagnata dalla famiglia all’ospedale Buccheri La Ferla, di Palermo, dove avrebbe risposto bene alla terapia antibiotica, ma purtroppo il nosocomio (a differenza del Policlinico) non dispone di un reparto specializzato. Quando quindi la situazione si è aggravata, la donna è stata portata all’ospedale Civico. Ricoverata in 2^ Rianimazione, i medici hanno tentato il possibile per salvarle la vita. A quel punto, però, l’infezione aveva invaso il collo e raggiunto i polmoni. L’ascesso al molare era divenuto fascite polmonare. L’agonia è durata giorni. La vita di Gaetana era appesa a un filo. Poi è sopraggiunto il decesso. Le cause della morte sono chiare, per cui non è stata disposta l’autopsia. Nel 2014 si muore ancora così. E pensare che esiste la «mutua». Ma Gaetana forse non lo sapeva. Sarebbe bastato recarsi in ospedale con l’impegnativa del medico di base. è una storia di degrado, non di malasanità: ci sono 4 ospedali a Palermo con servizio odontoiatrico. Ma nella periferia tristemente famosa dello Zen questa non è un’ovvietà.
Morire di povertà. Gaetana Priola, 18 anni, non aveva i soldi per andare dal dentista scrive “Libero Quotidiano”. La giovane si è spenta all’ospedale civico di Palermo, dove era ricoverata dai primi giorni di febbraio 2014. A ucciderla, un infezione polmonare causata da un ascesso dentale mai curato. All’inizio del mese, la giovane era svenuta in casa senza più dare segni di vita. I medici le avevano diagnosticato uno choc settico polmonare, condizione che si verifica in seguito a un improvviso abbassamento della pressione sanguigna. Inizialmente, Gaetana era stata trasportata al Bucchieri La Ferla e, in seguito, era stata trasferita nel reparto di rianimazione del Civico. Le sue condizioni sono apparse da subito come gravi. I medici hanno provato a rianimarla ma, dopo una settimana di cure disperate, ne hanno dovuto registrare il decesso. Disperazione e dolore nel quartiere Zen della città, dove la vittima risiedeva insieme alla famiglia.
All’inizio era un semplice mal di denti, scrive “Il Corriere della Sera”. Sembrava un dolore da sopportare senza drammatizzare troppo. Eppure in seguito si è trasformato in un ascesso poi degenerato in infezione. Una patologia trascurata, forse anche per motivi economici, che ha provocato la morte di una ragazza di 18 anni, Gaetana Priolo. La giovane, che abitava a Palermo nel quartiere Brancaccio, non si era curata; qualcuno dice che non aveva i soldi per pagare il dentista. Un comportamento che le è stato fatale: è spirata nell’ospedale Civico per uno «shock settico polmonare». Le condizioni economiche della famiglia della ragazza sono disagiate ma decorose. Gaetana era la seconda di quattro figli di una coppia separata: il padre, barista, era andato via un paio di anni fa. Nella casa di via Azolino Hazon erano rimasti la moglie, la sorella maggiore di Gaetana, il fratello e una bambina di quasi cinque anni. Per sopravvivere e mantenere la famiglia la madre lavorava come donna delle pulizie. «È stata sempre presente, attenta, una donna con gli attributi», dice Mariangela D’Aleo, responsabile delle attività del Centro Padre Nostro, la struttura creato da don Pino Puglisi, il parroco uccisa dalla mafia nel ’93, per aiutare le famiglie del quartiere in difficoltà. L’inizio del calvario per Gaetana comincia il 19 gennaio scorso: il dolore è insopportabile tanto da far perdere i sensi alla diciottenne. La ragazza in prima battuta viene trasportata al Buccheri La Ferla e visitata al pronto soccorso per sospetto ascesso dentario. «Dopo due ore circa, in seguito alla terapia, essendo diminuito il dolore, – afferma una nota della direzione del nosocomio – è stata dimessa per essere inviata per competenza presso l’Odontoiatria del Policlinico di Palermo». Dove però Gaetana non è mai andata. Si è invece fatta ricoverare il 30 gennaio al Civico dove le sue condizioni sono apparse subito gravi: in seconda rianimazione le viene diagnosticata una fascite, un’infezione grave che partendo dalla bocca si è già diffusa fino ai polmoni – dicono all’ospedale -. I medici fanno di tutto per salvarla, ma le condizioni critiche si aggravano ulteriormente fino al decesso avvenuto la settimana scorsa. Al momento non c’è nessuna denuncia della famiglia e nessuna inchiesta è stata aperta. «È un caso rarissimo – spiega una dentista – ma certo non si può escludere che possa accadere». Soprattutto quando si trascura la cura dei denti. Ed è questo un fenomeno in crescita. «L’11% degli italiani rinuncia alle cure perchè non ha le possibilità economiche, e nel caso delle visite odontoiatriche la percentuale sale al 23% – denuncia il segretario nazionale Codacons, Francesco Tanasi – In Sicilia la situazione è addirittura peggiore. Chi non può permettersi un medico privato, si rivolge alla sanità pubblica, settore dove però le liste d’attesa sono spesso lunghissime, al punto da spingere un numero crescente di utenti a rinunciare alle cure».
“È un caso rarissimo – spiega una dentista – ma certo non si può escludere che possa accadere”, scrive “Canicattiweb”. Soprattutto quando si trascura la cura dei denti. Ed è questo un fenomeno in crescita. Il Codacons si è schierato subito al fianco dei familiari e dei cittadini indigenti. “Il caso della 18enne morta a Palermo a causa di un ascesso non curato per mancanza di soldi, è uno degli effetti della crisi economica che ha colpito la Sicilia in modo più drammatico rispetto al resto d’Italia”. “L’11% degli italiani rinuncia alle cure mediche perché non ha le possibilità economiche per curarsi, e nel caso delle le visite odontoiatriche la percentuale sale al 23% – denuncia il segretario nazionale Codacons, Francesco Tanasi – Ed in Sicilia la situazione è addirittura peggiore. Chi non può permettersi cure private, si rivolge alla sanità pubblica, settore dove però le liste d’attesa sono spesso lunghissime, al punto da spingere un numero crescente di utenti a rinunciare alle cure. Tale stato di cose genera emergenze e situazioni estreme come la morte della ragazza di Palermo. E’ intollerabile che nel 2014 in Italia si possa morire per mancanza di soldi – prosegue Tanasi – Il settore della sanità pubblica deve essere potenziato per garantire a tutti le prestazioni mediche, mentre negli ultimi anni abbiamo assistito a tagli lineari nella sanità che hanno prodotto solo un peggioramento del servizio e un allungamento delle liste d’attesa”.
Bene, cari dentisti, gli avvocati adottano il gratuito patrocinio, ma non mi sembra che voi adottiate il “Pro Bono Publico” nei confronti degli indigenti. Pro bono publico (spesso abbreviata in pro bono) è una frase derivata dal latino che significa “per il bene di tutti”. Questa locuzione è spesso usata per descrivere un fardello professionale di cui ci si fa carico volontariamente e senza la retribuzione di alcuna somma, come un servizio pubblico. È comune nella professione legale, in cui – a differenza del concetto di volontariato – rappresenta la concessione gratuita di servizi o di specifiche competenze professionali al servizio di coloro che non sono in grado di affrontarne il costo.
Liberalizzazioni Farlocche.
INCHIESTA ESCLUSIVA. PARLIAMO DELLE RIFORME CHE
NESSUNO VUOLE.
LIBERALIZZAZIONI FARLOCCHE E TUTELA DI CASTE E LOBBIES
ELETTORI. ATTENTI AL TRUCCO. ALZATE LA TESTA.
Tra liste bloccate per amici e parenti e boutade elettorali, ogni nuova tornata
elettorale, come sempre, non promette niente di nuovo: ergo, niente di buono. I
vecchi tromboni, nelle idee più che nell’età, minacciano il nostro futuro - dice
il dr Antonio Giangrande, scrittore dissidente e presidente dell'Associazione
Contro Tutte le Mafie ( www.controtuttelemafie.it )
- Nomi e numeri: al 15 agosto 2012 il parlamentare con maggiore permanenza (40
anni) alla Camera è Giorgio La Malfa, ex ministro negli anni 80, tra i leader
del Partito Repubblicano, di cui suo padre Ugo è stato uno storico dirigente: il
suo debutto da onorevole risale al 1972. Al secondo posto Mario Tassone, (Udc)
deputato da 34 anni e 14 giorni. Quindi Francesco Colucci (PdL) 33 anni e 34
giorni. Al quarto posto, appaiati, due "big" della scena politica nazionale: i
presidenti della Camera Gianfranco Fini (Fli) e il leader Udc Pier Ferdinando
Casini, entrambi con 29 anni e 32 giorni. ln Senato è il presidente della
Commissione Antimafia Beppe Pisanu ad essere saldamente al primo posto: 38 anni
e 128 giorni per lui. Il secondo, Altero Matteoli del Pdl, è staccato di ben 9
anni, come il collega di partito Filippo Berselli. La presidente dei senatori
del Pd Anna Finocchiaro è all'ottavo posto con 25 anni e 42 giorni, più di Emma
Bonino (21 anni e 90 giorni), ma soprattutto più di Franco Marini: 20 anni e 111
giorni. Maurizio Gasparri e i leghisti Roberto Calderoli e Roberto Castelli sono
parlamentari da 20 anni. E Pedica? Lui, che ha fatto le pulci ai suoi colleghi,
stilando la classifica dei vecchi, non lo scrive ma, eletto la prima volta alla
Camera il 6 giugno 2006 (ora è al Senato), finora ha trascorso da onorevole 6
anni e 71 giorni.
Paolo Del Debbio che su Rete 4 ha condotto la prima puntata di Quinta Colonna in
risposta ai cittadini in esterna a Roma che dicevano che i politici erano tutti
uguali e che dovevano andare a casa ha risposto: “ma li vota la gente, li votate
voi”. Bene. Questi giornalisti pagati dalla politica e dall’economia se nei loro
salotti, anziché ospitare le solite litanie di vecchi tromboni con idee vetuste
sulla società, invitassero qualcuno con idee innovative, forse sì che si
farebbero le riforme.
RIFORME VERE, NON ARTEFATTE E MILLANTATORIE.
Per esempio vi ricordate delle liberalizzazioni di Bersani? Dopo due decenni
alla voce carburanti i rincari più pesanti: +170%. Ma anche l'assicurazione non
scherza: i costi sono triplicati e ora contano per il 17% del totale, mentre le
tasse ammontano al 6%.
Per esempio sui concorsi pubblici a 13 anni dall'ultima selezione per esami e
titoli - che si è svolta in ambito regionale soltanto per alcune classi di
concorso - e dopo 22 anni da quella precedente, ancora valida per le materie
d'insegnamento con le graduatorie più affollate, è facile immaginare che le
persone interessate al concorso di insegnante sono davvero parecchie. La
dichiarazione più autorevole è quella dello stesso Ministro dell’Istruzione
Francesco Profumo che parla di concorso destinato a coloro che sono già
abilitati. In questo caso potrebbero partecipare tutti gli inclusi nelle
graduatorie ad esaurimento dei precari e tutti coloro che, pur non essendo
inclusi in queste liste, si sono abilitati attraverso i precedenti concorsi a
cattedre. Insomma, chi lo dice ai candidati che questo non è un concorso, ma una
sanatoria al precariato.
Ora parliamo delle riforme forensi ed in particolar modo di accesso alla
professione. Tralasciando le innumerevoli interrogazioni parlamentari che
denunciano le anomalie e l’irregolarità di un concorso che tutti sanno essere
truccato ed impunito, passiamo all’analisi politica dell’approccio al problema.
Con l’avvento di Berlusconi con le sue abbindolanti promesse di libertà si ebbe
l’illusione che l’Italia delle professioni stesse per cambiare.
L’on. Luca Volontè, (UDC) alla Camera, il 5 luglio 2001, presenta un progetto di
legge, il n. 1202, in cui si dichiara formalmente che in Italia gli esami per
diventare avvocato sono truccati. Secondo la sua relazione diventano avvocati
non i capaci e i meritevoli, ma i raccomandati e i fortunati. Propose il doppio
binario di abilitazione: esame ed al suo superamento l’abilitazione ovvero
patrocinio legale di 6 anni ed al termine l’abilitazione. Nel 2003 (Legge 180,
conv. Dl 112) si è partorito dalla mente geniale dei leghisti l’obbrobrio della
pseudo riforma razzista dei compiti itineranti. Il 12 luglio 2011 sulla strada
dell’approvazione della finanziaria il governo ha vissuto una giornata
incandescente. Questa volta non si è trattato di proteste dell’opposizione o di
leggi ad personam del premier. Il caso è esploso all’interno del Popolo della
libertà. Perché diversi esponenti del partito hanno alzato le barricate contro
una norma sulla liberalizzazione degli ordini professionali. Dopo una raccolta
di firme di parlamentari del Pdl, è arrivata la retromarcia dell’esecutivo, con
il ministro per i Rapporti con le Regioni Raffaele Fitto che ha spiegato: “E’
stata raggiunta l’intesa tra maggioranza e governo sull’emendamento relativo
alla liberalizzazione delle professioni”. L’annuncio dopo un incontro tra il
presidente del Senato Renato Schifani, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti
e altri membri del governo. Nella nuova versione della norma dovrebbe esserci
una distinzione tra gli ordini professionali che sostengono l’esame di Stato e
quelli che non lo sostengono. Il governo ha concesso le modifiche
all’emendamento dopo che 22 senatori del Pdl avevano inviato una lettera ai
presidenti del Senato, del gruppo Pdl e della Commissione Bilancio di Palazzo
Madama per esprimere la loro netta opposizione alla liberalizzazione degli
ordini professionali. E dopo che all’interno del partito era iniziata una
raccolta di firme. Tra gli ordini colpiti ci sarebbe stato quello degli
avvocati: secondo il disegno del governo per esercitare la professione di
avvocato in futuro sarebbe stato sufficiente avere conseguito la laurea e avere
svolto il praticantato. “Fino a quando non verrà tolta la norma che abolisce gli
ordini professionali, noi il testo – assicurava un avvocato del Pdl – non la
voteremo mai dovesse anche cadere Tremonti”. Gli avvocati del Pdl sono 44, 13 i
medici, un solo notaio. A difesa della posizione degli avvocati del Pdl, si era
schierato forse il più noto tra loro: Ignazio La Russa. “Da avvocato ritengo che
sia una norma che merita un approfondimento ulteriore. Non mi sembra materia da
inserire in un decreto. Ritengo che la protesta degli avvocati – conclude La
Russa – non sia affatto irragionevole”. Un’altra presa di posiziona, che rende
l’idea del caos nel partito, è stata quella del capogruppo al Senato Maurizio
Gasparri, secondo il quale il tema dell’abolizione degli ordini professionali
“non sussiste. La formulazione del tema è già superata. Molti reagiscono a un
testo che non c’è. Comunque ne stiamo parlando”.
Da qui si è capito che il centro-destra vuol tutelare gli ordini, quindi le
lobbies. Da loro non arriveranno mai riforme. Della serie: i raccomandati alla
riscossa.
Conosciute le pubbliche virtù del centro destra, si sperava nel centro sinistra,
che a parole sono contro i poteri forti. L’On. Mario Lettieri (Margherita)
presenta alla Camera una proposta di legge, n. 4048/03, contro gli abusi a danno
dei Praticanti Avvocato, prevedendo la remunerazione per gli stessi e
l’abolizione dell’esame. I Democratici di Sinistra, invece, chiedono un accesso
alla professioni forense più rigoroso - si parla addirittura di concorso, non di
esame di abilitazione - si schierano contro l'abolizione delle tariffe minime e
massime che favorirebbero i Giovani Avvocati ed i praticanti abilitati e
ripropongono quell'aberrazione rappresentata delle scuole di formazione forensi
e post-universitarie a pagamento ed obbligatorie per potere sostenere l'esame
forense.
Relazione introduttiva di Massimo Brutti (Responsabile DS Giustizia). Dal
Convegno "Giustizia: voltare pagina; Il contributo dei Ds a un nuovo programma
di governo" (30 giugno 2005) [.............] L'accesso alla professione va reso
maggiormente selettivo e il concorso (nazionale o decentrato in più sedi, ma non
certo presso ogni distretto) deve rappresentare il compimento di un complesso
percorso di professionalizzazione, a cui dovrebbero contribuire Università,
scuole comuni di formazione e scuole forensi.[.............]
Non basta: dello stesso parere il Senatore Guido Calvi DS che nello stesso
convegno si è scagliato anche contro il numero eccessivo e patologico di
avvocati e contro l'esame troppo facile.
La Proposta dei DS sulla Giustizia. 2 Novembre 2005. Commissione progetto DS.
Area Istituzioni e Pubblica amministrazione. Le politiche
istituzionali...............D’altro canto, gli abnormi numeri dell’avvocatura
italiana (quasi 160.000 avvocati) ci dicono che il problema non è affatto, come
per altre professioni, quello di una maggiore apertura alla concorrenza, ma di
come garantire l’indipendenza, la professionalità e la responsabilità di
professionisti così decisivi per la tutela di diritti primari dei
cittadini..............La professionalità deve essere assicurata sia attraverso
una maggiore selezione all’accesso, sia attraverso verifiche periodiche. In
proposito, possibili strade appaiono: a) una selezione di merito nell’accesso a
scuole post-universitarie obbligatorie e al tirocinio, ...............Proponiamo
una liberalizzazione delle tariffe relative alle consulenze ed alle attività
extra-giudiziarie............... (quindi non abolizione di quelle giudiziali che
più interessano ai praticanti abilitati ed ai Giovani Avvocati).
Relazione di Massimo Brutti alla conferenza nazionale dei DS. 13 Gennaio 2006.
Giustizia uguale per tutti e tutela dei diritti................. Numeri: quasi
160.000 avvocati. Il problema non è affatto, come per altre professioni, quello
di una maggiore apertura alla concorrenza,................La professionalità
deve essere assicurata sia attraverso una maggiore selezione all’accesso, sia
attraverso verifiche periodiche. In proposito, le vie da seguire sono: a) una
selezione di merito nell’accesso a scuole post-universitarie obbligatorie e al
tirocinio pratico,.................
Proponiamo una liberalizzazione delle tariffe limitatamente alle consulenze ed
alle attività extra-giudiziarie........
Donatella Ferranti, capogruppo dei democratici in Commissione Giustizia, in
riferimento al ritardo nel 2011, lamentato dall’avvocatura, nell’esame del
disegno di legge di riforma dell’ordine forense, sottolineava come “l’avvocatura
necessiti di un ordinamento nuovo, volto alla verifica degli accessi, a garanzia
della qualità e della professionalità”.
La senatrice Donatella Poretti, PD (in realtà Radicale) ha presentato in
parlamento il ddl S.2994. Annunciato nella seduta pom. n. 632 del 26 ottobre
2011. L’«uovo di Colombo» – capace di aumentare, e di non poco, le entrate dello
Stato – è quello di eliminare il limite di sei anni: si verrebbe così a creare
una figura intermedia di professionista, il patrocinatore legale, che aprirebbe
le porte al mondo del lavoro a circa 30.000 giovani, senza contrastare
l’articolo 33 della Costituzione. Il patrocinatore legale potrebbe quindi
decidere se rimanere tale (con limiti di materia e territorio) ovvero tentare,
senza assilli, la strada che lo abiliti al pieno esercizio della professione. Se
solo i 30.000 patrocinatori legali che si verrebbero così a creare versassero
allo Stato la media di euro 1.000 annue, l’Italia incasserebbe 30.000.000 di
euro in più, a partire da subito. Altra positiva innovazione che si propone, è
che, sempre in campo forense, finito il tirocinio, risultino abilitati ipso iure
i diplomati post-laurea alla scuola di specializzazione per le professioni
legali istituita secondo quanto previsto dall’articolo 17, commi 113 e 114,
della legge 15 maggio 1997, n. 127, e dall’articolo 16 del decreto legislativo
17 novembre 1997, n. 398, emanato in base alla delega conferita dal citato
articolo 17, comma 113: l’ingresso in detta scuola è a numero programmato, è
biennale e sono previsti tirocini. Si consideri infatti che il diploma
(attualmente) esonera da un anno di pratica forense.
Alla luce di questa proposta si deve sapere che i progetti e le proposte di
legge ogni fine legislatura decadono, quindi sono poco credibili quelle
presentate artificiosamente nell’imminenza delle nuove elezioni.
Da qui si è capito che anche il centro-sinistra vuol tutelare gli ordini, quindi
le lobbies. Da loro non arriveranno mai riforme. Della serie: i raccomandati
alla riscossa.
Per dare spazio alla meritocrazia basta eliminare gli Ordini di costituzione
fascista. (Ordinamento Forense, regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36). Oppure
basterebbe togliere gli esami, che si truccano, o fare almeno gli esami per test
attitudinali. Tutto il resto è truffa. Così come è stata l’ultima pseudo
riforma. Non ci sarà alcuna cancellazione degli ordini professionali: il
Consiglio dei ministri si è limitato a riorganizzarli. La questione era aperta
da più di un anno, con la Casta fortemente contraria alle liberalizzazioni. Ma
dopo i provvedimenti del governo, che non portano a grandi stravolgimenti,
alcune categorie professionali lamentano una scarsa attenzione da parte
dell’Esecutivo. Obbligo per i professionisti di stipulare polizze assicurative a
tutela del cliente, formazione continua, durata massima del tirocinio a 18 mesi,
separazione all’interno degli Ordini fra le funzioni disciplinari e quelli
amministrative, sì alla pubblicità informativa: sono i contenuti principali
della riforma delle professioni che dopo un lungo percorso è stata approvata lo
scorso 3 agosto 2012. Il Dpr “Regolamento recante riforma degli ordinamenti
professionali, a norma dell’articolo 3, comma 5, del decreto-legge 13 agosto
2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n.
148” è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 agosto ed è in vigore
dal giorno successivo. Per alcune norme (es.: obbligo assicurativo e formazione
continua) ci sono ancora 12 mesi di tempo. Vediamo in sintesi i principali punti
della riforma delle professioni.
Ambito di applicazione. Il regolamento riguarda solo le professioni
regolamentate il cui esercizio è consentito a seguito dell’iscrizione a ordini e
collegi. Significa che il decreto non riguarda gli iscritti ad albi o elenchi
tenuti da amministrazioni pubbliche (precedenti stesure del provvedimento
inglobavano invece anche queste professioni).
Tirocinio. L’obbligatorietà del tirocinio, o praticantato, continua a essere
stabilita dall’Ordine (ci sono professioni che non prevedono un periodo di
praticantato obbligatorio, e questo continuerà ad essere possibile). Per le
professioni che prevedono il praticantato, la durata massima è fissata in 18
mesi (quindi gli Ordini che prevedono praticanti più lunghi dovranno
uniformarsi). E’ previsto che il tirocinio possa essere svolto, per un periodo
massimo di sei mesi, presso enti o professionisti abilitati di altri paesi.
Prevista anche la possibilità di effettuare i primi sei mesi di praticantato nel
corso dell’ultimo anno di università, oppure dopo la laurea presso una pubblica
amministrazione. In entrambi i casi, è necessaria un’apposita convenzione fra
Ordine e ministero. Questo non riguarda le professioni sanitarie.
Pubblicità. La pubblicità informativa relativa a esercizio dell’attività,
titoli, studio professionale e tariffe è ammessa «con ogni mezzo». Deve essere
«veritiera e corretta», non deve violare il segreto professionale, non può
essere «equivoca, ingannevole o denigratoria». Le violazioni rappresentano
illecito disciplinare.
Assicurazione. E’ una delle novità introdotte dal decreto: il professionista ha
l’obbligo di stipulare un’assicurazione per i danni derivanti al cliente
dall’esercizio dell’attività professionali, anche relativi a custodia di
documenti e valori. L’assicurazione può essere stipulata attraverso convenzioni
collettive degli Ordini o degli Enti Previdenziali di categoria. Questa
disposizione diventa obbligatoria entro 12 mesi dall’entrata in vigore del
decreto, quindi dal 15 agosto 2013. L’obbligo di assicurazione non riguarda i
giornalisti. La violazione rappresenta illecito disciplinare.
Formazione continua. Anche questa è una novità introdotta dalla riforma, e per
dare il tempo di adeguarsi è previsto che entri in vigore entro 12 mesi: il
professionista ha l’obbligo della formazione continua, attraverso corsi di
formazione che possono essere organizzati da Ordini e Collegi, associazioni di
iscritti all’Albo o altri soggetti autorizzati dagli Ordini. Sono gli Ordini
che, entro un anno dal decreto (quindi entro il 15 agosto 2013) dovranno emanare
i regolamenti per prevedere modalità è condizioni dell’aggiornamento
professionale obbligatorio, requisiti minimi dei corsi, valore dei crediti
professionali. Prevista la possibilità di convenzioni con le università.
Procedimenti disciplinari. Viene stabilita l’incompatibilità fra le cariche
relative all’esercizio dei poteri disciplinari e quelle amministrative: prevista
l’istituzione dei consigli di disciplina territoriali, composti da persone
diverse dai consiglieri dell’Ordine.
Ma nel Governo dei tecnici che ha partorito una riforma, che non riforma un bel
niente, non vi era quel presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, che
diceva: «Sarebbe ora che gli Ordini professionali riconoscessero l'aleatorietà
di quegli esami. Si tratta di prove che spesso non premiano il merito. Meglio
prevedere percorsi più selettivi all'università e poi un quinto anno che serva
da tirocinio o praticantato. E poi subito l'ingresso nel mondo del lavoro».
Alle prossime elezioni, prima di andare a votare si sappia prima e bene chi
vuole veramente riformare questo paese allo sfascio.
Avvocati con le palle
LECCE E CAGLIARI: AVVOCATI CON LE PALLE
Lecce e Cagliari: avvocati con le palle. Gli avvocati protestano, credi che non
ti riguardi?
«Per una volta sorvolo sull’abilitazione truccata nell’avvocatura. E per quanto
ne parli, tanto me la fanno pagare. Ciononostante per la prima volta posso
osannare le gesta delle toghe leccesi e cagliaritane che si differenziano dalla
massa succube della politica e della magistratura».
Esordisce così, senza giri di parole il dr Antonio Giangrande.
«Da mesi gli avvocati cagliaritani e leccesi sono impegnati in un'azione di
astensione dalle udienze, nel silenzio dei media nazionali. Azione a carattere
generale che non attiene battaglie di bottega, come per esempio la chiusura
della sede distaccata di quel Tribunale o di quel Giudice di Pace. Qui trattasi
dei tagli e dell’aumento dei costi ad una giustizia allo sfascio che genera
ingiustizia. Lotta che ha lasciato indifferenti e silenziosi sia il presidente
del Consiglio Renzi che il ministro della giustizia Orlando». Continua
Giangrande, noto autore di saggi con il suffisso opoli (per denotare una
disfunzione) letti in tutto il mondo. «Le coraggiose toghe hanno promosso una
raccolta fondi tra gli avvocati di Lecce e Cagliari per acquistare una mezza
pagina pubblicitaria sul Corriere della Sera e spiegare, ancora una volta, le
ragioni che hanno portato negli ultimi mesi a scioperare e protestare. I media
se non li paghi non informano. E’ ammirabile il gesto se si tiene conto che la
protesta, questa volta, è mirata non solo a difesa della lobby, ma anche alla
tutela dei diritti del cittadino.»
Sul giornale leggi.
GLI AVVOCATI PROTESTANO:CREDI CHE NON TI RIGUARDI?
Lo sai che i tempi di un processo sono aumentati mediamente di 2 anni? E che,
invece, dal 2002 al 2012 il costo di ciò che tu paghi allo Stato per un processo
è aumentato fino al 182,67%? Lo Stato ha aumentato le tasse che tu paghi per
difendere i tuoi diritti e ha imposto la mediazione obbligatoria, con costi a
tuo carico prima di poter andare davanti a un giudice.
Lo sai che il Governo sta pensando di chiederti una tassa per sapere i motivi
delle sentenze? E i soldi che hai versato per la tassa non te li restituirà in
nessun caso?
Lo sai che in appello la tassa che hai pagato in primo grado viene aumentata del
50%. E in Cassazione si raddoppia? E che se perdi la devi pagare di nuovo?
Lo sai che se per esempio devi impugnare un’espropriazione al TAR la Tassa costa
almeno 650 euro (ma per gli appalti può arrivare fino a 6.000!), ed altri 650 (o
6.000) se successivamente dovrai impugnare altri atti e che al Consiglio di
Stato quella tassa viene aumentata del 50%? Perdi? Rischi di pagare di nuovo.
Lo sai che se hai ricevuto un accertamento fiscale o un fermo amministrativo
illegittimo e vuoi ricorrere in Commissione Tributaria devi pagare una tassa per
ogni accertamento impugnato e se siete in due (ad es. tu e tua moglie) dovete
pagare due volte? E che se vuoi impugnare in Commissione Tributaria Regionale
quella tassa viene aumentata del 50%?
Lo sai che se sei povero la Costituzione ti garantisce che l'avvocato te lo paga
lo Stato, ma che lo stesso Stato ha introdotto delle norme che lo rendono di
fatto impossibile?
Lo sai che lo Stato è talmente lento nel perseguire i reati che in media la
prima udienza dei processi si tiene quando già è trascorso il 70% del tempo
utile per la prescrizione del reato?
Lo sai che lo Stato nel settore penale minaccia di elevare fino a € 10.000,00 la
sanzione pecuniaria in caso di inammissibilità del ricorso?
Lo sai che, a causa della chiusura dei Tribunali periferici, i tempi e i costi
delle esecuzioni nei confronti del tuo debitore si sono allungati a dismisura?
Lo sai che senza l’avvocato la tua domanda di giustizia non sarebbe ascoltata?
Lo sai che è grazie al coraggio degli avvocati che sono andati contro la
giurisprudenza dominante se, ad esempio, oggi puoi fare causa alla banca per
l’anatocismo sui conti correnti? O se puoi fare causa al datore di lavoro che ti
ha licenziato ingiustamente? O se puoi lottare affinché tuo figlio non sia
allontanato dalla tua famiglia? O se puoi difenderti dall’accusa di un reato che
non hai commesso?
Per questo, e molto altro, gli Avvocati di Lecce e Cagliari sono in astensione
ad oltranza dalle udienze. Lo Stato sta smantellando la Giustizia. Sei ancora
convinto che se la giustizia non funziona è tutta colpa degli avvocati?
Per la Commissione di garanzia pare proprio di sì. La Commissione di garanzia
dell’attuazione della legge sullo sciopero ha aperto un procedimento nei
confronti dell’Ordine degli avvocati di Lecce, in particolare, nella persona del
suo presidente, Raffaele Fatano. Due sono le contestazioni mosse: violazione
dell’obbligo di preavviso minimo e della determinazione della durata dello
sciopero, e violazione della norma sulla durata massima dell’astensione. Le
toghe salentine hanno deciso di astenersi dalle udienze nel corso dell’assemblea
straordinaria riunitasi il 18 febbraio scorso. Decisione confermata il 14 aprile
in un successivo appuntamento assembleare laddove si decise di portare avanti lo
sciopero a oltranza fino al 3 giugno, anticipata al 28 maggio, giorno in cui gli
avvocati si riuniranno nuovamente per stabilire se continuare o meno a disertare
le aule dei tribunali. Un invito a sospendere l’astensione dalle udienze era
stato rivolto agli avvocati dall’Anm attraverso un documento stilato nel corso
dell’assemblea degli iscritti tenutasi lo scorso 23 aprile. Molto probabilmente
la Giustizia non è un sentire comune.
La Mafia Forense
LA MAFIA DEGLI AVVOCATI
L’Associazione Contro Tutte le Mafie denuncia: «Altro che liberalizzazioni. Non solo concorso di abilitazione notoriamente truccato ed impunito. L’Ordine degli avvocati ostacola la professione degli avvocati dei Paesi Ue: indagine Antitrust contro l’Ordine degli avvocati. La nota stampa dell’Antitrust pubblicata su molti giornali dell’11 gennaio 2012 rende pubblico un fatto risaputo che colpisce anche altri Fori.»
Avvocati nel mirino dell’Antitrust. L’Autorità, presieduta da Giovanni Pitruzzella, sta indagando su dodici Ordini – Chieti, Roma, Milano, Latina, Civitavecchia, Tivoli, Velletri, Tempio Pausania, Modena, Matera, Taranto e Sassari – perchè starebbero ostacolando «l’esercizio della professione in Italia da parte di colleghi qualificati in un altro Stato dell’Unione Europea, ponendo in essere intese restrittive della concorrenza. Le prassi degli Ordini «sarebbero discordanti dai criteri imposti dal diritto comunitario». L’istruttoria – spiega una nota dell’Autorità per la concorrenza e il mercato – «è stata avviata alla luce di due segnalazioni, effettuate da un avvocato che aveva conseguito il titolo in Spagna e dall’Associazione Italiana Avvocati Stabiliti, che rappresenta i possessori di titolo di laurea in giurisprudenza e chi ha acquisito l’abilitazione alla professione di avvocato in ambito comunitario». Secondo le due denunce, «gli Ordini segnalati hanno posto ostacoli all’iscrizione nella sezione speciale dell’albo dedicata agli “avvocati stabiliti”, in violazione di una direttiva comunitaria recepita in Italia dal decreto legislativo n. 96 del 2001. Il decreto consente l’esercizio permanente in Italia della professione di avvocato ai cittadini degli Stati membri in possesso di un titolo corrispondente a quello di avvocato, conseguito nel paese di origine. Il professionista che voglia esercitare in Italia deve iscriversi alla sezione speciale, potendo così esercitare sia pur con alcune limitazioni. Unica condizione è che il professionista sia iscritto presso la competente organizzazione professionale dello Stato d’origine. Successivamente, dopo tre anni di esercizio regolare ed effettivo nel paese ospitante, l’avvocato può iscriversi all’albo degli avvocati ed esercitare la professione di avvocato senza alcuna limitazione». I comportamenti degli Ordini, «che potrebbero costituire intese restrittive della concorrenza finalizzate a escludere dal mercato professionisti abilitati nel resto dell’Unione – conclude la nota – sono peraltro oggetto di valutazione anche della Commissione Europea, che l’Autorità intende affiancare con l’utilizzo dei propri poteri antitrust verso gli Ordini stessi».
LA MORIA DEGLI AVVOCATI. Chi studia giurisprudenza pensa che vale la forza della legge. Chi come me ha esperienza e perizia, afferma che vale la legge del più forte. Ossia: nei tribunali la prassi fotte la legge. In tutta Italia.
L’unico consiglio che io posso dare è che, ormai in questa Italia, è meglio non fare nulla, perché si fotte tutto lo Stato, e non avere nulla, perché si fottono tutto i legulei.
Già, i legulei.
I giornalisti approssimativi e disinformati da sempre ce la menano sul dato che in Italia ci siano 250 mila avvocati con la tendenza all’aumento di 15 mila unità all’anno. A loro è imputata ogni sorte di maldicenza. Al loro incremento numerico è addebitata la responsabilità della deriva della giustizia in Italia.
Cosà più falsa non c’è.
Sicuramente tra gli scribacchini ci sarà qualcuno che avvocato lo è o comunque ha partecipato invano all’esame per diventarlo e quindi la verità è a loro portata.
Eppure si sottace o si continua a negare l’evidenza sul come ci si abiliti all’avvocatura, alla magistratura, o ad ogni altra professione, così come attestato dalle sentenze dei Tar di tutta Italia. Un esame truccato nelle voglie dei commissari. Un sistema insito in tutti gli esami o i concorsi pubblici.
Abilitazione uguale a omologazione. Subisci e taci e non rompere il cazzo. Se sei diverso e ti ribelli: sei fuori.
Oggi c’è il paradosso che, a prescindere dall’esame truccato di abilitazione, non conviene più parteciparvi, in quanto pur superandolo non ci si può iscrivere agli albi per esercitare la professione.
Un ostacolo ulteriore per chi entra, un impedimento a proseguire per chi già c’è.
Ecco perché in tempo di crisi non si parla dell’imminente moria dei cosiddetti “pesci piccoli” forensi.
E’ da venti anni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo”, letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti ai magistrati, all’economia ed alla politica. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it, Lulu.com. CreateSpace.com e Google Libri, oltre che in forma di lettura gratuita e free vision video su http://www.controtuttelemafie.it , mentre la promozione del territorio è su http://www.telewebitalia.eu .
Non paghi di aver partorito in Parlamento una riforma forense contro l’inclusione dei giovani nel mondo leguleico, i marpioni, sempre in Parlamento, hanno adottato un riforma, affinchè chi sia entrato nel loro autarchico mondo venga espulso per stato di necessità. E cioè sono coloro che non ben ammanicati nel sistema forense giudiziario non ce la fanno a supportare le inani spese di gestione della professione.
Di questo nessuno ne parla. Ed aimè tocca a me farlo per una categoria che non merita solidarietà ma solo commiserazione.
Da sempre il popolo forense si divide in due parti.
I dinosauri privilegiati con degni natali e con potere in Parlamento, ma genuflessi alla magistratura;
i loro followers per ignavia o per necessità, ossia i praticanti ed i giovani avvocati.
Il 7 agosto 2014, il Ministero per del Lavoro e delle Politiche Sociali ha approvato il Regolamento attuativo dell’art. 21 della Legge Professionale n. 247 del 2012, che impone a tutti gli avvocati, iscritti all’apposito albo, l’iscrizione obbligatoria anche alla Cassa Forense, con versamento di un contributo di importo fisso indipendentemente dalle condizioni reddituali.
I contributi minimi dovuti dagli iscritti, rivalutati per ogni anno di iscrizione alla Cassa, sono i seguenti:
a) Contributo minimo soggettivo: € 2.780,00;
b) Contributo minimo integrativo: € 700,00;
c) Contributo di maternità: € 151,00.
Il regolamento prevede: o paghi o ti cancelli dall’Albo e nulla valgono le presunte agevolazioni previste.
«La conseguenza immediata di tale provvedimento è che, di qui a poco, circa cinquantamila avvocati italiani, soprattutto più giovani, rischiano di sparire dagli albi professionali, in quanto impossibilitati a far fronte agli onerosi contributi obbligatori richiesti! Molti avvocati con un reddito basso e insignificante non possono iscriversi alla Cassa per mancanza di liquidità economica e rischiano, pertanto, di subirne le relative conseguenze, ovvero la cancellazione forzata ed obbligata dai relativi albi professionali di appartenenza. Il versamento obbligatorio dei contributi previdenziali, così come previsto dalla nuova normativa, se per gli studi legali con giro d’affari multimilionario, risulterà praticamente insignificante, colpisce, tuttavia, una schiera di professionisti che avranno serie difficoltà a sostenere tale spesa: appunto, qualcosa come cinquantamila avvocati – coloro, cioè, che percepiscono un reddito inferiore ai 10.300 euro annui. Per loro sarà complicato trovare un’alternativa alla disoccupazione, vuoi per l’età, vuoi per l’alta specializzazione in un settore e in nessun altro», dice l’avv. Eugenio Gargiulo di Foggia.
Vero è che la contribuzione obbligatoria e l’esoso peso fiscale accompagnato dalla mano morta della burocrazia colpisce ogni categoria professionale. Ed è questa stagnazione dello status quo che alimenta la crisi economica.
Inoltre i liberi professionisti del ramo tecnico, ingegneri, architetti, geometri e periti sono alla fame. Nessuno ne parla. Sono un esercito di oltre 500.000 persone senza protezioni sociali.
E’ questa l’Italia che continuiamo a volere? Con l’astensionismo elettorale il popolo mette sotto processo la politica inconcludente ed ignava e rea di aver sfornato una classe dirigente inetta, frutto di familismo e raccomandazioni.
Perché in Italia, oramai, si lavora esclusivamente per mantenere le sanguisughe.
La rottamazione assoluta del sistema senza schemi identitari ed ideologici, se non ora, quando?
LA CASTA DEGLI EDITORI: LA CENSURA OCCULTA
“L’editoria è la casta più importante. Gli editori sono i veri censori e i manipolatori della coscienza civile. Il sistema prima riconosce la libertà di manifestare il proprio pensiero e poi ne impedisce l’esercizio” Questo dice il dr Antonio Giangrande, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
La libertà di manifestazione del pensiero è una delle principali libertà e diritto fondamentale dell’era moderna. Tanto più se è mirata allo sviluppo socio-economico-culturale della comunità. Questa libertà è riconosciuta da tutte le moderne costituzioni. Ad essa è dedicato l’art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, come l’art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dall’Italia con l. 4 agosto 1955, n. 848. L’art. 21 della Costituzione italiana stabilisce che: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Tale libertà è, tra le altre, considerata come corollario dell’articolo 13 della stessa Costituzione della Repubblica italiana, che prevede l’inviolabilità della libertà personale, tanto fisica quanto psichica.
L’interpretazione dell’art. 21 dà vita a dei principi: Il diritto di critica e di cronaca, oltre alla libertà di informare e la libertà di essere informati.
Il pensiero per essere manifestato ha bisogno di formarsi come merce accessibile a tutti, quindi essere pubblicato e distribuito.
Ciò avviene in proprio o con l’editore.
La produzione in proprio con distribuzione porta a porta, è un’ipotesi fallimentare. L’opera non essendo sostenuta dalle istituzioni e non pubblicizzata dai media, non è acquistata da una moltitudine di utenti finali.
La produzione tramite un editore può avvenire, in modo improprio con la compartecipazione alle spese, ovvero senza oneri per l’autore. Naturalmente l’editore vaglia, corregge e censura le bozze dell’opera, oltre che valutarne la commerciabilità. Spesso non è importante l’opera, ma che l’autore sia un personaggio noto alle cronache, o che sia seguito dal pubblico, per usufruire dei benefici di visibilità. Spesso si privilegiano argomenti fatui e non di approfondimento e di denuncia, perché la società contemporanea sente l’esigenza di estraniarsi dalla realtà quotidiana.
L’editore, acquisendo i diritti dell’opera, la distribuisce e la vende, riconoscendo una minima parte dei proventi all’autore, per di più dopo molto tempo.
Paradosso: l’impedimento alla libertà di manifestare il pensiero è posto proprio dal sistema che ne prevede l’esistenza.
L’autore autoprodotto non ha benefici, né sovvenzionamenti, né visibilità.
L’editoria, quindi un’attività economica privata, ha finanziamenti pubblici e pubblicitari, benefici postali, regime speciale IVA, sostegno dei media e delle istituzioni.
A questo punto, per manifestare liberamente il proprio pensiero, si è costretti a rivolgersi ad apparati: che conformano l’opera alle proprie aspettative; che sono omologati, in quanto foraggiati dalla politica e dall’economia ed intimoriti dalla magistratura; che hanno distribuzione esclusiva e rapporti promozionali poco trasparenti. A riguardo è impossibile essere invitati o premiati a manifestazioni culturali, se non si è tutorati da qualche editore, pur avendo scritto un capolavoro. Spesso gli editori sono proprietari di testate d’informazione o di emittenti radiotelevisive, quindi si parla dell’opera o dell’autore solo se si fa parte dell’enturage.
Inoltre per poter pubblicare un articolo d’informazione si è costretti a far parte di un’altra casta: quella dei giornalisti.
C’è da dire che non tutti gli editori sono parigrado. C’è prevaricazione dei più forti a danno dei più deboli. Alcuni di loro, operanti nel campo radiotelevisivo, sono vittime di tentativi di acquisizione illegale delle frequenze assegnatele, con mancanza di tutela reale.
Qualcuno spera che le opportunità tecnologiche, social network o blog, superino la censura mediatica. Poveri illusi. Non basta una piattaforma d’elite, chiusa ed autoreferenziale, con tecnologie non accessibili alla massa, oltretutto soggetta a sequestro ed ad oscuramento giudiziario.
Nulla, oggi, per arrivare a tutti, può soppiantare un buon articolo, un buon libro, una buona canzone, un buon film, o una buona trasmissione radiotelevisiva.
In conclusione. Con questo sistema si può ben dire che il libero pensiero, pur lecito e meritevole di attenzione, è tale solo quando è chiuso in una mente destinata all’oblio, altrimenti deve essere per forza conformato al sistema: quindi non più libero.