Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE
DI ANTONIO GIANGRANDE
LA SCIENZA E’ ESATTA?
E’ SCIENTIFICAMENTE PROVATO?
QUELLO CHE LA SCIENZA NON CI DICE…
Se nel mondo d’oggi nulla è come appare e tutti noi siamo soggiogati da immense menzogne, chi ci dice che anche la scienza non sia una fonte di presa per il culo. Quanto di menzognero ci viene propinato e quanto la scienza tace per arroganza o per interesse economico? Se i media, la politica e le istituzioni hanno perso quasi tutta la loro credibilità, può l'arroganza degli scienziati convincerci che loro medesimi sono diversi dagli altri?
INDICE
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
INTRODUZIONE.
LA CRISI DELLA RAZIONALITÀ SCIENTIFICA ED IL FALLIMENTO DELLA RIPRODUCIBILITA’.
LA SCIENZA.
LA NASCITA DELLA SCIENZA.
LA SCIENZA E LA FILOSOFIA.
LA SCIENZA E LA LEGGE.
TERREMOTO E GIUSTIZIA.
TERREMOTO E PREVISIONE.
LA SCIENZA E LA NEW AGE.
QUELLI PRO…SCIENZA.
QUELLI CONTRO…LA SCIENZA.
LA MATEMATICA E’ UN’OPINIONE.
L’OCCULTO E LA SCIENZA OCCULTA.
LE SCIENZE OCCULTE.
SCIENZA E MAGIA.
SCIENZA ED ALCHIMIA.
GLI X-FILES DELLA SCIENZA.
IL PARANORMALE E LA SCIENZA.
LA TELEPATIA.
LA TELECINESI.
I FANTASMI.
I MEDIUM.
LA SCIENZA ED IL CREATORE.
LA SCIENZA E L’ANIMA.
LA SCIENZA, LA MENTE E LO SPIRITO UMANO.
IL SUPERMONDO E LE SUE 43 DIMENSIONI. ETTORE MAJORANA E LA BANALITA’.
L’ESPERIMENTO FILADELFIA: REALTA’ O LEGGENDA METROPOLITANA?
LA VICENDA MAJORANA.
IL VIAGGIO NEL TEMPO.
IL TELETRASPORTO.
LE EMERGENZE TACIUTE.
QUELLE BUGIE SUL CLIMA.
LA BUFALA DELL’ENERGIA ECOLOGICA.
GIULIANO PREPARATA. CHE FINE HA FATTO LA FUSIONE FREDDA?
LA MEDICINA ALTERNATIVA.
IL METODO HAMER E LA MEDICINA ALTERNATIVA.
GLI SCIAMANI. I GUARITORI.
SCIENZA E BUSINESS. LA SPECULAZIONE DELLA MEDICINA.
LA GRANDE TRUFFA. IL VACCINO E L’ OMEOPATIA.
SULLA PELLE DEI TUMORATI...
SI MUORE DI CANCRO E DI MAFIOSITA'.
COSI' HANNO TRUFFATO DI BELLA.
GIUDICI O MEDICI?
PARLIAMO DI RICERCA SUL CANCRO
DAVIDE VANNONI. STAMINALI: CURA MIRACOLOSA O BUFALA?
BUSINESS NON SOLO SUI TUMORATI.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
Cultura e cittadinanza attiva. Diamo voce alla piccola editoria indipendente.
Collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo”. Una lettura alternativa per l’estate, ma anche per tutto l’anno. L’autore Antonio Giangrande: “Conoscere per giudicare”.
"Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Dante, Inferno XXVI.
La collana editoriale indipendente “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” racconta un’Italia inenarrabile ed inenarrata.
Intervista all’autore, il dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Cosa racconta nei suoi libri?
«Sono un centinaio di saggi di inchiesta composti da centinaia di pagine, che raccontano di un popolo difettato che non sa imparare dagli errori commessi. Pronto a giudicare, ma non a giudicarsi. I miei libri raccontato l’indicibile. Scandali, inchieste censurate, storie di ordinaria ingiustizia, di regolari abusi e sopraffazioni e di consueta omertà. Raccontano, attraverso testimonianze e documenti, per argomento e per territorio, i tarli ed i nei di una società appiattita che aspetta il miracolo di un cambiamento che non verrà e che, paradosso, non verrà accettato. In più, come chicca editoriale, vi sono i saggi con aggiornamento temporale annuale, pluritematici e pluriterritoriali. Tipo “Selezione dal Reader’s Digest”, rivista mensile statunitense per famiglie, pubblicata in edizione italiana fino al 2007. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi nei saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali di distribuzione internazionale in forma Book o E-book. Canali di pubblicazione e di distribuzione come Amazon o Google libri. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche. I testi hanno una versione video sui miei canali youtube».
Qual è la reazione del pubblico?
«Migliaia sono gli accessi giornalieri alle letture gratuite di parti delle opere su Google libri e decine di migliaia sono le pagine lette ogni giorno. Accessi da tutto il mondo, nonostante il testo sia in lingua italiana e non sia un giornale quotidiano. Si troveranno, anche, delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato».
Perché è poco conosciuto al grande pubblico generalista?
«Perché sono diverso. Oggi le persone si stimano e si rispettano in base al loro grado di utilità materiale da rendere agli altri e non, invece, al loro valore intrinseco ed estrinseco intellettuale. Per questo gli inutili sono emarginati o ignorati. Se si è omologati (uguali) o conformati (simili) e si sta sempre dietro alla massa, non si sarà mai primi nella vita, perché ci sarà sempre il più furbo o il più fortunato a precederti. In un mondo caposotto (sottosopra od alla rovescia) gli ultimi diventano i primi ed i primi sono gli ultimi. L’Italia è un Paese caposotto. Io, in questo mondo alla rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo sono ignorato o perseguitato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che cazzo di vita è? Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il culo. Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante tracce lasci del tuo percorso. Il difetto degli intelligenti è che sono spinti a cercare le risposte ai loro dubbi. Il pregio degli ignoranti è che non hanno dubbi e qualora li avessero sono convinti di avere già le risposte. Un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”».
Qual è la sua missione?
«“Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente…Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati. Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili”. Citazioni di Bertolt Brecht. Rappresentare con verità storica, anche scomoda ai potenti di turno, la realtà contemporanea, rapportandola al passato e proiettandola al futuro. Per non reiterare vecchi errori. Perché la massa dimentica o non conosce. Denuncio i difetti e caldeggio i pregi italici. Perché non abbiamo orgoglio e dignità per migliorarci e perché non sappiamo apprezzare, tutelare e promuovere quello che abbiamo ereditato dai nostri avi. Insomma, siamo bravi a farci del male e qualcuno deve pur essere diverso!»
Perché è orgoglioso di essere diverso?
«E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati, che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta...” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso...” e parlare di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che fece il primo saggista mondiale».
Dr. Antonio Giangrande. Orgoglioso di essere diverso.
La massa ti considera solo se hai e ti votano solo se dai. Nulla vali se tu sai. Victor Hugo: "Gli uomini ti stimano in rapporto alla tua utilità, senza tener conto del tuo valore." Le persone si stimano e si rispettano in base al loro grado di utilità materiale, tangibile ed immediata, da rendere agli altri e non, invece, al loro valore intrinseco ed estrinseco intellettuale. Per questo gli inutili da sempre, pur con altissimo valore, sono emarginati o ignorati, inibendone, ulteriormente, l’utilità.
Dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Fa quello che si sente di fare e crede in quello che si sente di credere.
La Democrazia non è la Libertà.
La libertà è vivere con libero arbitrio nel rispetto della libertà altrui.
La democrazia è la dittatura di idioti che manipolano orde di imbecilli ignoranti e voltagabbana.
Cattolici e comunisti, le chiese imperanti, impongono la loro libertà, con la loro morale, il loro senso del pudore ed il loro politicamente corretto.
Per questo un popolo di coglioni sarà sempre governato ed amministrato da coglioni.
Facciamo sempre il solito errore: riponiamo grandi speranze ed enormi aspettative in piccoli uomini senza vergogna.
Un altro errore che commettiamo è dare molta importanza a chi non la merita.
"Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Dante, Inferno XXVI
Le pecore hanno paura dei lupi, ma è il loro pastore che le porta al macello.
Da sociologo storico ho scritto dei saggi dedicati ad ogni partito o movimento politico italiano: sui comunisti e sui socialisti (Craxi), sui fascisti (Mussolini), sui cattolici (Moro) e sui moderati (Berlusconi), sui leghisti e sui pentastellati. Il sottotitolo è “Tutto quello che non si osa dire. Se li conosci li eviti.” Libri che un popolo di analfabeti mai leggerà.
Da queste opere si deduce che ogni partito o movimento politico ha un comico come leader di riferimento, perché si sa: agli italiani piace ridere ed essere presi per il culo. Pensate alle battute di Grillo, alle barzellette di Berlusconi, alle cazzate di Salvini, alle freddure della Meloni, alle storielle di Renzi, alle favole di D’Alema e Bersani, ecc. Partiti e movimenti aventi comici come leader e ladri come base.
Gli effetti di avere dei comici osannati dai media prezzolati nei tg o sui giornali, anziché vederli esibirsi negli spettacoli di cabaret, rincoglioniscono gli elettori. Da qui il detto: un popolo di coglioni sarà sempre amministrato o governato da coglioni.
Per questo non ci lamentiamo se in Italia mai nulla cambia. E se l’Italia ancora va, ringraziamo tutti coloro che anziché essere presi per il culo, i comici e la loro clack (claque) li mandano a fanculo.
Antonio Giangrande, scrittore, accademico senza cattedra universitaria di Sociologia Storica, giornalista ed avvocato non abilitato. "Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere mettiti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percorso io, vivi i miei dolori, i miei dubbi, le mie risate...vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono caduto io e rialzati come ho fatto io. Ognuno ha la propria storia. E solo allora mi potrai giudicare." Luigi Pirandello.
Dapprima ti ignorano. Poi ti deridono. Poi ti emarginano. Poi ti combattono. Tu sei solo, ma non per sempre. Loro sono tanti, ma non per sempre. Ed allora sarai vincente, ma solo dopo la tua morte. I primi a combatterti sono i prossimi parenti ed i compaesani ed allor "non ragioniam di loro, ma guarda e passa" (Dante Alighieri). “Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi”. Mt 13, 54-58.
Se si disprezza quello che gli altri sono e fanno, perché, poi, si è come gli altri e si osteggiano i diversi?
"C’è un’azione peggiore che quella di togliere il diritto di voto al cittadino e consiste nel togliergli la voglia di votare.” (R. Sabatier)
«La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile» - Corrado Alvaro, Ultimo diario, 1961.
Vivere senza leggere, o senza sfogliare i libri giusti scritti fuori dal coro o vivere studiando dai saggi distribuiti dal sistema di potere catto comunista savoiardo nelle scuole e nelle università, è molto pericoloso. Ciò ti obbliga a credere a quello che dicono gli altri interessati al Potere e ti conforma alla massa. Allora non vivi da uomo, ma da marionetta.
Se scrivi e dici la verità con il coraggio che gli altri non hanno, il risultato non sarà il loro rinsavimento ma l’essere tu additato come pazzo. Ti scontri sempre con la permalosità di magistrati e giornalisti e la sornionità degli avvocati avvezzi solo ai loro interessi. Categorie di saccenti che non ammettono critiche. Se scrivi e sei del centro-nord Italia, i conterranei diranno: che bel libro, bravo, è uno di noi. Se scrivi e sei del centro-sud Italia i conterranei diranno: quel libro l’avrei scritto anch’io, anzi meglio, ma sono solo cazzate. Chi siamo noi? Siamo i “coglioni” che altri volevano che fossimo o potessimo diventare. Da bambini i genitori ci educavano secondo i loro canoni, fino a che abbiamo scoperto che era solo il canone di poveri ignoranti. Da studenti i maestri ci istruivano secondo il loro pensiero, fino a che abbiamo scoperto che era solo il pensiero di comunisti arroganti. Prima dell’ABC ci insegnavano “Bella Ciao”. Da credenti i ministri di culto ci erudivano sulla confessione religiosa secondo il loro verbo, fino a che abbiamo scoperto che era solo la parola di pedofili o terroristi. Da lettori e telespettatori l’informazione (la claque del potere) ci ammaestrava all’odio per il diverso ed a credere di vivere in un paese democratico, civile ed avanzato, fino a che abbiamo scoperto che si muore di fame o detenuti in canili umani. Da elettori i legislatori ci imponevano le leggi secondo il loro diritto, fino a che abbiamo scoperto che erano solo corrotti, mafiosi e massoni. Ecco, appunto: siamo i “coglioni” che altri volevano che fossimo o potessimo diventare. E se qualcuno non vuol essere “coglione” e vuol cambiare le cose, ma non ci riesce, vuol dire che è “coglione” lui e non lo sa, ovvero è circondato da amici e parenti “coglioni”.
John Keating: Qualunque cosa si dica in giro, parole e idee possono cambiare il mondo. Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? Venite a vedere voi stessi. Coraggio! È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un'altra prospettiva. Carpe diem. Cogliete l'attimo, ragazzi... Rendete straordinaria la vostra vita!
Gerard Pitts: Cogli la rosa quando è il momento, che il tempo, lo sai, vola e lo stesso fiore che sboccia oggi, domani appassirà. John Keating: Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l'amore, sono queste le cose che ci tengono in vita. Dal film L'attimo fuggente (Dead Poets Society), film del 1989 diretto da Peter Weir e con protagonista Robin Williams.
Studiare non significa sapere, volere non significa potere. Ai problemi non si è capaci di trovare una soluzione che accontenti tutti, perché una soluzione per tutti non esiste. Alla fine nessuno è innocente, perché in questa società individualista, violenta e superficiale tutti sono colpevoli. Io ho preso la mia decisione mentre la totalità di voi non sa prenderne alcuna (anche nelle cose più semplici). Come potreste capire cosa è veramente importante nella vita? Non saprete mai se avete preso la decisione giusta perché non vi siete fidati di voi stessi. Accusate il sistema, ma il sistema è freddo inesorabile matematico, solo chi è deciso a raggiungere la riva la raggiungerà. Vi auguro tutto il meglio per la vostra vita. “Class Enemy”, di Rok Bicek film del 2013.
Dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, destinatario delle denunce presentate dai magistrati per tacitarlo e ricevente da tutta Italia di centinaia di migliaia di richieste di aiuto o di denunce di malefatte delle istituzioni. Ignorato dai media servi del potere.
Come far buon viso a cattivo gioco ed aspettare che dal fiume appaia il corpo del tuo nemico. "Subisci e taci" ti intima il Sistema. Non sanno, loro, che la vendetta è un piatto che si gusta freddo. E non si può perdonare...
Un padre regala al figlio un sacchetto di chiodi. “Tieni figliolo, ecco un sacchetto di chiodi. Piantane uno nello steccato Ogni volta che che perdi la pazienza e litighi con qualcuno perchè credi di aver subito un'ingiustizia” gli dice. Il primo giorno il figlio piantò ben 37 chiodi ma nelle settimane successive imparò a controllarsi e il numero di chiodi cominciò piano piano a diminuire. Aveva infatti scoperto che era molto più facile controllarsi che piantare chiodi e così arrivò un giorno in cui non ne piantò nemmeno uno. Andò quindi dal padre e gli disse che per quel giorno non aveva litigato con nessuno, pur essendo stato vittima d'ingiustizie e di soprusi, e non aveva piantato alcun chiodo. Il padre allora gli disse: “Benissimo figliolo, ora leva un chiodo dallo steccato per ogni giorno in cui non hai perso la pazienza e litigato con qualcuno”. Il figlio ascoltò e tornò dal padre dopo qualche giorno, comunicandogli che aveva tolto tutti i chiodi dallo steccato e che non aveva mai più perso la pazienza. Il padre lo portò quindi davanti allo steccato e guardandolo gli disse: “Figliolo, ti sei comportato davvero bene. Bravo. Ma li vedi tutti quei buchi? Lo steccato non potrà più tornare come era prima. Quando litighi con qualcuno, o quando questi ha usato violenza fisica o psicologica nei tuoi confronti, rimane una ferita come questi buchi nello steccato. Tu puoi piantare un coltello in un uomo e poi levarlo, e lo stesso può fare questi con te, ma rimarrà sempre una ferita. E non importa quante volte ti scuserai, o lui lo farà con te, la ferita sarà sempre lì. Una ferita verbale è come il chiodo nello steccato e fa male quanto una ferita fisica. Lo steccato non sarà mai più come prima. Quando dici le cose in preda alla rabbia, o quando altri ti fanno del male, si lasciano delle ferite come queste: come i buchi nello steccato. Possono essere molto profonde. Alcune si rimarginano in fretta, altre invece, potrebbero non rimarginare mai, per quanto si possa esserne dispiaciuti e si abbia chiesto scusa".
Io non reagisco, ma mi si permetta di raccontare l'accaduto. Voglio far conoscere la verità sui chiodi piantati nelle nostre carni.
La mia esperienza e la mia competenza mi portano a pormi delle domande sulle vicende della vita presente e passata e sul perché del ripetersi di eventi provati essere dannosi all’umanità, ossia i corsi e i ricorsi storici. Gianbattista Vico, il noto filosofo napoletano vissuto fra il XVII e XVIII secolo elaborò una teoria, appunto dei corsi e ricorsi storici. Egli era convinto che la storia fosse caratterizzata dal continuo e incessante ripetersi di tre cicli distinti: l’età primitiva e divina, l’età poetica ed eroica, l’età civile e veramente umana. Il continuo ripetersi di questi cicli non avveniva per caso ma era predeterminato e regolamentato, se così si può dire, dalla provvidenza. Questa formulazione di pensiero è comunemente nota come “teoria dei corsi e dei ricorsi storici”. In parole povere, tanto per non essere troppo criptici, il Vico sosteneva che alcuni accadimenti si ripetevano con le medesime modalità, anche a distanza di tanto tempo; e ciò avveniva non per puro caso ma in base ad un preciso disegno stilato della divina provvidenza.” Io sono convinto, invece, che l’umanità dimentica e tende a sbagliare indotta dalla stupidità e dall’egoismo di soddisfare in ogni modo totalmente i propri bisogni in tempi e spazi con risorse limitate. Trovare il perché delle discrepanze dell’ovvio raccontato. Alle mie domando non mi do io stesso delle risposte. Le risposte le raccolgo da chi sento essere migliore di me e comunque tra coloro contrapposti con le loro idee sullo stesso tema da cui estrapolare il sunto significativo. Tutti coloro che scrivono, raccontano il fatto secondo il loro modo di vedere e lo ergono a verità. Ergo: stesso fatto, tanti scrittori, quindi, tanti fatti diversi. La mia unicità e peculiarità, con la credibilità e l’ostracismo che ne discende, sta nel raccontare quel fatto in un’unica sede e riportando i vari punti di vista. In questo modo svelo le mistificazioni e lascio solo al lettore l’arbitrio di trarne la verità da quei dati.
Voglio conoscere gli effetti, sì, ma anche le cause degli accadimenti: il post e l’ante. La prospettiva e la retrospettiva con varie angolazioni. Affrontare le tre dimensioni spaziali e la quarta dimensione temporale.
Si può competere con l’intelligenza, mai con l’idiozia. L’intelligenza ascolta, comprende e pur non condividendo rispetta. L’idiozia si dimena nell’Ego, pretende ragione non ascoltando le ragioni altrui e non guarda oltre la sua convinzione dettata dall’ignoranza. L’idiozia non conosce rispetto, se non pretenderlo per se stessa.
Quando fai qualcosa hai tutti contro: quelli che volevano fare la stessa cosa, senza riuscirci, impediti da viltà, incapacità, ignavia; quelli che volevano fare il contrario; e quelli, ossia la stragrande maggioranza, che non volevano fare niente.
Certe persone non sono importanti, siamo noi che, sbagliando, gli diamo importanza. E poi ci sono quelle persone che non servono ad un cazzo, non fanno un cazzo e si credono sto cazzo.
Correggi un sapiente ed esso diventerà più colto. Correggi un ignorante ed esso diventerà un tuo acerrimo nemico.
Molti non ti odiano perché gli hai fatto del male, ma perché sei migliore di loro.
Più stupido di chi ti giudica senza sapere nulla di te è colui il quale ti giudica per quello che gli altri dicono di te. Perché le grandi menti parlano di idee; le menti medie parlano di fatti; le infime menti parlano solo male delle persone.
E’ importante stare a posto con la propria coscienza, che è molto più importante della propria reputazione. La tua coscienza sei tu, la reputazione è ciò che gli altri pensano di te e quello che gli altri pensano di te è un problema loro.
Le bugie sono create dagli invidiosi, ripetute dai cretini e credute dagli idioti, perché un grammo di comportamento esemplare, vale un quintale di parole. Le menti mediocri condannano sempre ciò che non riescono a capire.
E se la strada è in salita, è solo perché sei destinato ad attivare in alto.
Ci sono persone per indole nate per lavorare e/o combattere. Da loro ci si aspetta tanto ed ai risultati non corrispondono elogi. Ci sono persone nate per oziare. Da loro non ci si aspetta niente. Se fanno poco sono sommersi di complimenti. Guai ad aspettare le lodi del mondo. Il mondo è un cattivo pagatore e quando paga lo fa sempre con l’ingratitudine.
Il ciclo vitale biologico della natura afferma che si nasce, si cresce, ci si riproduce, si invecchia e si muore e l’evoluzione fa vincere i migliori. Solo a noi umani è dato dare un senso alla propria vita.
Ergo. Ai miei figli ho insegnato:
Le ideologie, le confessioni, le massonerie vi vogliono ignoranti;
Le mafie, le lobbies e le caste vi vogliono assoggettati;
Le banche vi vogliono falliti;
La burocrazia vi vuole sottomessi;
La giustizia vi vuole prigionieri;
Siete nati originali…non morite fotocopia.
Siate liberi. Studiare, ma non fermarsi alla cultura omologata. La conoscenza è l'arma migliore per vincere.
Antonio Giangrande, orgoglioso di essere diverso.
Se si è omologati (uguali) o conformati (simili) e si sta sempre dietro alla massa, non si sarà mai primi nella vita, perché ci sarà sempre il più furbo o il più fortunato a precederti.
In un mondo caposotto (sottosopra od alla rovescia) gli ultimi diventano i primi ed i primi sono gli ultimi. L’Italia è un Paese caposotto. Io, in questo mondo alla rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo sono ignorato o perseguitato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che cazzo di vita è?
Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il culo.
Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante tracce lasci del tuo percorso.
Il difetto degli intelligenti è che sono spinti a cercare le risposte ai loro dubbi. Il pregio degli ignoranti è che non hanno dubbi e qualora li avessero sono convinti di avere già le risposte.
Un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.
Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re.
Il ciclo vitale, in biologia, è l'intervallo tra il susseguirsi di generazioni di una specie. L'esistenza di ogni organismo si svolge secondo una sequenza ciclica di stadi ed eventi biologici, caratterizzata in base alla specie di appartenenza. Queste sequenze costituiscono i cosiddetti Cicli Biologici. Ogni essere vivente segue un ciclo vitale biologico composto dai seguenti stadi: nascita, crescita, riproduzione, senescenza e morte. Per quanto possa essere breve o corta la vita, nessun essere vivente preso singolarmente è immortale. Ma la sua specie diventa immortale attraverso la riproduzione e l'evoluzione. Gli esseri viventi si evolvono nel corso del tempo per potersi meglio adattare alla natura che li circonda. Attraverso la riproduzione le generazioni trasmettono i propri geni a quelle future. Durante questo passaggio le nuove generazioni possono assumere caratteristiche nuove o perderne alcune. Le differenze si traducono in vantaggi o in handicap per chi le possiede, agendo direttamente sul processo evolutivo tramite la selezione naturale degli individui. Le nuove caratteristiche che agevolano l'adattamento all'ambiente offrono all'individuo maggiori probabilità di sopravvivenza e, quindi, di riproduzione. E' innaturale non riprodursi. Senza riproduzione non vi è proseguimento ed evoluzione della specie. Senza riproduzione il ciclo vitale biologico cessa. Ciò ci rende mortali. Parlare in termini scientifici dell'eterosessualità e del parto, quindi di stati naturali, fa di me un omofobo ed un contrabortista, quindi un non-comunista? Cercare di informare i simili contro la deriva involutiva, fa di me un mitomane o pazzo?
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati, che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che fece il primo saggista mondiale.
Da sempre diffido di chi, vestito da lupo, è pecora genuflessa alla magistratura. I saccenti giustizialisti dei 5 stelle che provino a proporre la figura del difensore civico giudiziario con poteri di magistrato, senza essere uno di loro, per poter metter le mani nelle carte dei fascicoli e poterle sparigliare. Io da anni mi batto inascoltato per questo. I signori dei 5 stelle non si degnano nemmeno di rispondere ai messaggi degli esperti: tanto san tutto loro. A sbraitare son bravi, ma a proporre leggi sensate, mi sa che non son capaci. Parlan solo di soldi, soldi, soldi ed onestà, certificata dai loro magistrati, e mai parlano di libertà ed opportunità senza concorsi ed esami pubblici truccati.
Ad ogni azione umana nefasta si trova sempre una giustificazione...lo si fa per le piante...lo si fa per gli animali...lo si fa per le persone! Ma, alla fine, rimane solo un'azione nefasta che fa male al prossimo...e, spesso, il prossimo siamo noi. A parte il partito preso, noi siamo tutti responsabili delle azioni nefaste di uno, quando gli permettiamo di farle.
Parlare nei miei libri del caso singolo del semplice cittadino significa incorrere nell’accusa di mitomania, pazzia o calunnia, oltre che nel disinteresse. Invece parlo di loro, delle istituzioni che delinquono impunite. Parlo della vera mafia. Cosa posso dire di più di quello che ho scritto e che altri non dicono? Credo che quanto divulgato possa essere di grande soddisfazione per le vittime, non potendo avere altro che quella in questa Italia con italiani di merda a cui interessa solo di loro stessi e se ne fottono degli altri.
Alla fine di noi rimane il nostro operato, checché gli altri ne dicano. E quello bisogna giudicare. Nasco da una famiglia umile e povera. Una di quelle famiglie dove la sfortuna è di casa. Non puoi permetterti di studiare, né avere amici che contano. Per questo il povero è destinato a fare il manovale o il contadino. Mi sono ribellato e contro la sorte ho voluto studiare, per salire nel mondo non mio. Per 17 anni ho cercato di abilitarmi nell’avvocatura. Non mi hanno voluto. Il mondo di sotto mi tiene per i piedi; il mondo di sopra mi calca la testa. In un esame truccato come truccati sono tutti i concorsi pubblici in Italia: ti abilitano se non rompi le palle. Tutti uguali nella mediocrità. Dal 1998 ho partecipato all’esame forense annuale. Sempre bocciato. Ho rinunciato a proseguire nel 2014 con la commissione presieduta dall’avv. Francesco De Jaco. L’avvocato di Cosima Serrano condannata con la figlia Sabrina Misseri per il delitto di Sarah Scazzi avvenuto ad Avetrana. Tutte mie compaesane. La Commissione d’esame di avvocato di Lecce 2014. La più serena che io abbia trovato in tutti questi anni. Ho chiesto invano a De Jaco di tutelare me, dagli abusi in quell’esame, come tutti quelli come me che non hanno voce. Se per lui Cosima è innocente contro il sentire comune, indotti a pensarla così dai media e dai magistrati, perché non vale per me la verità che sia vittima di un sistema che mi vuol punire per essermi ribellato? Si nega l’evidenza. 1, 2, 3 anni, passi. 17 anni son troppi anche per il più deficiente dei candidati. Ma gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Compiti non corretti, ma ritenuti tali in tempi insufficienti e senza motivazione e con quote prestabilite di abilitati. Così per me, così per tutti. Gli avvocati abilitati negano l’evidenza. Logico: chi passa, non controlla. Ma 17 anni son troppi per credere alla casualità di essere uno sfigato, specialmente perché i nemici son noti, specie se sono nelle commissioni d’esame. In carcere o disoccupato. Tu puoi gridare a squarciagola le ingiustizie, ma nessuno ti ascolta, in un mondo di sordi. Nessuno ti crede. Fino a che non capiti a loro. E in questa Italia capita, eccome se capita! La tua verità contro la verità del potere. Un esempio da raccontare. Ai figli non bisogna chiedere cosa vogliono fare da grandi. Bisogna dir loro la verità. Chiedergli cosa vorrebbero che gli permettessero di fare da grandi. Sono nato in quelle famiglie che, se ti capita di incappare nelle maglie della giustizia, la galera te la fai, anche da innocente. A me non è successo di andare in galera, pur con reiterati tentativi vani da parte della magistratura di Taranto, ma sin dal caso Tortora ho capito che in questa Italia in fatto di giustizia qualcosa non va. Pensavo di essere di sinistra, perché la sinistra è garantismo, ma non mi ritrovo in un’area dove si tollerano gli abusi dei magistrati per garantirsi potere ed impunità. E di tutto questo bisogna tacere. A Taranto, tra i tanti processi farsa per tacitarmi sulle malefatte dei magistrati, uno si è chiuso, con sentenza del Tribunale n. 147/2014, con l’assoluzione perché il fatto non sussiste e per non doversi procedere. Bene: per lo stesso fatto si è riaperto un nuovo procedimento ed è stato emesso un decreto penale di condanna con decreto del Gip. n. 1090/2014: ossia una condanna senza processo. Tentativo stoppato dall’opposizione.
Zittirmi sia mai. Pur isolato e perseguitato. Gli italiani son questi. Ognuno dia la sua definizione. Certo è che gli italiani non mi leggono, mi leggono i forestieri. Mi leggeranno i posteri. Tutto regolare: lo ha detto la tv, lo dicono i giudici. Per me, invece, è tutto un trucco. In un mondo di ladri nessuno vien da Marte. Tutti uguali: giudicanti e giudicati. E’ da decenni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti ai magistrati, all’economia ed alla politica, ma che non impediscono il fatto che di me si parli su 200.000 siti web, come accertato dai motori di ricerca. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it, Lulu.com. CreateSpace.com e Google Libri, oltre che in forma di lettura gratuita e free vision video su www.controtuttelemafie.it , mentre la promozione del territorio è su www.telewebitalia.eu.
Ho la preparazione professionale per poter dire la sua in questioni di giustizia?
Non sono un giornalista, ma a quanto pare sono l’unico a raccontare tutti i fatti. Non sono un avvocato ma mi diletto ad evidenziare le manchevolezze di un sistema giudiziario a se stante. La mia emigrazione in piena adolescenza in Germania a 16 anni per lavorare; la mia laurea quadriennale in Giurisprudenza presa in soli due anni all’Università Statale di Milano, lavorando di notte e con moglie e due figli da mantenere, dopo aver conseguito il diploma da ragioniere in un solo anno da privatista presso un Istituto tecnico Statale e non privato, per non sminuirne l’importanza, portando tutti i 5 anni di corso; tutto ciò mi ha reso immune da ogni condizionamento culturale od ambientale. I miei 6 anni di esercizio del patrocinio legale mi hanno fatto conoscere le magagne di un sistema che non è riuscito a corrompermi. Per questo dal 1998 al 2014 non mi hanno abilitato alla professione di avvocato in un esame di Stato, che come tutti i concorsi pubblici ho provato, con le mie ricerche ed i miei libri, essere tutti truccati. Non mi abilitano. Perché non sono uguale agli altri, non perché son meno capace. Non mi abilitano perché vedo, sento e parlo. Ecco perché posso parlare di cose giuridiche in modo di assoluta libertà, senza condizionamento corporativistico, anche a certezza di ritorsione. E’ tutta questione di coscienza.
Alle sentenze irrevocabili di proscioglimento del Tribunale di Taranto a carico del dr Antonio Giangrande, già di competenza della dr.ssa Rita Romano, giudice di Taranto poi ricusata perché denunciata, si aggiunge il verbale di udienza dell’11 dicembre 2015 della causa n. 987/09 (1832/07 RGNR) del Tribunale di Potenza, competente su fatti attinenti i magistrati di Taranto, con il quale si dispone la perfezione della fattispecie estintiva del processo per remissione della querela nei confronti del dr Antonio Giangrande da parte del dr. Alessio Coccioli, già Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, poi trasferito alla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce. Remissione della querela volontaria, libera e non condizionata da alcun atto risarcitorio.
Il Dr Antonio Giangrande era inputato per il reato previsto e punito dall’art. 595 3° comma c.p. “perchè inviando una missiva a sua firma alla testata giornalistica La Gazzetta del Sud Africa e pubblicata sui siti internet lagazzettadelsudafrica.net, malagiustizia.eu, e associazionecontrotuttelemafie.org, offendeva l’onore ed il decoro del dr. Alessio Coccioli, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, riportando in detto su scritto la seguente frase: “…il PM Alessio Coccioli, inopportunamente delegando i carabinieri di Manduria, quali PG, ha reso lecito tale modus operandi (non rilasciare attestato di ricezione da parte dell’Ufficio Protocollo del Comune di Manduria ndr), motivandolo dal fatto che non è dannoso per il denunciante. Invece in denuncia si è fatto notare che tale usanza di recepimento degli atti, prettamente manduriana, può nascondere alterazioni procedurali in ambito concorsuale e certamente abusi a danno dei cittadini. Lo stesso PM Alessio Coccioli, inopportunamente delegando i carabinieri di Manduria, quali PG, per la colleganza con il comandante dei Vigili Urbani di Manduria, ha ritenuto le propalazioni del Giangrande, circa il concorso per Comandante dei Vigili Urbani, ritenuto truccato (perché il medesimo aveva partecipato e vinto in un concorso da egli stesso indetto e regolato in qualità di comandante pro tempore e dirigente dell’ufficio del personale), sono frutto di sue convinzioni non supportate da riscontri di natura obbiettiva e facendo conseguire tali riferimenti, al predetto dr. Coccioli, ad altre notazioni, contenute nello stesso scritto, nelle quali si denunciavano insabbiamenti, o poche richieste di archiviazioni strumentali attribuite ai magistrati della Procura della Repubblica di Taranto”.
Il Processo di Potenza, come i processi tenuti a Taranto, sono attinenti a reati di opinione. Lo stesso dr. Alessio Coccioli, una volta trasferito a Lecce, ha ritenuto che le opinioni espresse dal Dr Antonio Giangrande riguardo la Giustizia a Taranto non potessero continuare ad essere perseguite.
Ultimo atto. Esame di Avvocato 2015. A Lecce uno su quattro ce l’ha fatta. Sono partiti in 1.108: la prova scritta è stata passata da 275 praticanti. Preso atto.....
All'attenzione dell'avv. Francesco De Jaco. Illustre avv. Francesco De Jaco, in qualità di Presidente della Commissione di Esame di Avvocato 2014-2015, chi le scrive è il dr Antonio Giangrande. E’ quel signore, attempato per i suoi 52 anni e ormai fuori luogo in mezzo ai giovani candidati, che in sede di esame le chiese, inopinatamente ed invano, Tutela. Tutela, non raccomandazione. Così come nel 2002 fu fatto inutilmente con l’avv. Luigi Rella, presidente di commissione e degli avvocati di Lecce. Tutela perché quel signore il suo futuro lo ha sprecato nel suo passato. Ostinatamente nel voler diventare avvocato ha perso le migliori occasioni che la vita possa dare. Aspettava come tutti che una abilitazione, alla mediocrità come è l’esame forense truccato, potesse, prima o poi, premiare anche lui. Pecori e porci sì, lui no! Quel signore ha aspettato ben 17 anni per, finalmente, dire basta. Gridare allo scandalo per un esame di Stato irregolare non si può. Gridare al complotto contro la persona…e chi gli crede. Eppure a Lecce c’è qualcuno che dice: “quello lì, l’avvocato non lo deve fare”. Qualcuno che da 17 anni, infastidito dal mio legittimo operato anche contro i magistrati, ha i tentacoli tanto lunghi da arrivare ovunque per potermi nuocere. Chi afferma ciò è colui il quale dimostra con i fatti nei suoi libri, ciò che, agli ignoranti o a chi è in mala fede, pare frutto di mitomania o pazzia. Guardi, la sua presidenza, in sede di scritto, è stata la migliore tra le 17 da me conosciute. Purtroppo, però, in quel di Brescia quel che si temeva si è confermato. Brescia, dove, addirittura, l’ex Ministro Mariastella Gelmini chiese scampo, rifugiandosi a Reggio Calabria per poter diventare avvocato. Il mio risultato delle prove fa sì che chiuda la fase della mia vita di aspirazione forense in bruttezza. 18, 18, 20. Mai risultato fu più nefasto e, credo, immeritato e punitivo. Sicuro, però, che tale giudizio non è solo farina del sacco della Commissione di esame di Brescia. Lo zampino di qualche leccese c’è! Avvocato… o magistrato… o entrambi…: chissà? Non la tedio oltre. Ho tentato di trovare Tutela, non l’ho trovata. Forse chiedevo troppo. Marcire in carcere da innocente o pagare fio in termini professionali, credo che convenga la seconda ipotesi. Questo è quel che pago nel mettermi contro i poteri forti istituzionali, che io chiamo mafiosi. Avvocato, grazie per il tempo che mi ha dedicato. Le tolgo il disturbo e, nel caso l’importasse, non si meravigli, se, in occasione di incontri pubblici, se e quando ci saranno, la priverò del mio saluto. Con ossequi.
Avetrana lì 26 giugno 2015. Dr Antonio Giangrande, scrittore per necessità.
L’Italia non è un paese per giovani (avvocati): elevare barriere castali e di censo non è una soluzione, scrive il 28 Aprile 2017 “L’Inkiesta”. Partiamo da due disfunzioni che affliggono il nostro Paese e che stanno facendo molto parlare di sé. Da una parte, la crisi delle libere professioni e, in generale, delle lauree, con importanti giornali nazionali che ci informano, per esempio, che i geometri guadagnano più degli architetti. Dall’altra, le inefficienze del sistema giudiziario. Queste, sono oggetto di dibattito da tempo immemorabile, ci rendono tra i Paesi peggiori dell’area OCSE e ci hanno fatti condannare da niente-popò-di-meno-che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Incrociate ora i due trend. Indovinate chi ci rimane incastrato in mezzo? Ovviamente i giovani laureati/laureandi in giurisprudenza, chiusi tra un percorso universitario sempre più debole e una politica incapace di portare a termine una riforma complessiva e decente dell’ordinamento forense. Come risolvere la questione? Con il numero chiuso a giurisprudenza? Liberalizzando la professione legale? Niente di tutto questo, ci mancherebbe. In un Paese dove gli avvocati rappresentano una fetta rilevante dei parlamentari, la risposta fornita dall’ennesima riforma è facile facile. Porre barriere di censo e di casta all’accesso alla professione. Da questa prospettiva tutte le recenti novità legislative acquistano un senso e rivelano una logica agghiacciante. I malcapitati che si laureeranno in Giurisprudenza a partire dall’anno 2016/2017 avranno una prima sorpresina: l’obbligo di frequentare una scuola di formazione per almeno 160 ore. Anche a pagamento se necessario, come da parere positivo del Consiglio Nazionale Forense.
La questione sarebbe da portare all’attenzione di un bravo psicanalista. Giusto qualche osservazione: (1) se la pratica deve insegnare il mestiere, perché aggiungere un’altra scuola obbligatoria?; (2) Se la Facoltà di Legge - che in Italia è lunghissima: 5 anni, contro i 3 di Stati Uniti e Regno Unito e i 4 della Francia, per esempio – serve a così poco, tanto da dover essere integrata anche dopo la laurea, perché non riformarla?; (3) perché fermare i ragazzi dopo la laurea, invece di farlo prima? Ci sarebbero anche altre questioni. Per esempio, 160 ore di formazione spalmate su 18 mesi, per i fortunati ammessi, non sono molte in teoria. Tuttavia, basta vedere le sempre maggiori proteste riportate dai giornali, e rigorosamente anonime, di praticanti-fotocopisti senza nome, sfruttati e non pagati, per accorgersi che la realtà è molto diversa dalla visione irenica (ipocrita è offensivo?) dei riformatori. E, in ogni caso, anche se il praticante fosse sufficientemente fortunato da avere qualche soldo in tasca, ciò non gli permetterebbe di godere del dono dell’ubiquità. Ma così si passerebbe dal settore della psicanalisi a quello della parapsicologia. Meglio evitare. Andiamo oltre.
Abbiamo superato la prima trincea. Coi soldi del nonno ci manteniamo nella nostra pratica non pagata o mal pagata. Magari siamo bravissimi ed accediamo ai corsi di formazione a gratis o con borsa. Arriva il momento dell’esame. Presto l’esame scritto sarà senza codice commentato. E fin qui, nessun problema. Meglio ragionare con la propria testa che affannarsi a cercare la “sentenza giusta”, magari senza capirla. Le prove verteranno sempre su diritto civile, diritto penale e un atto. Segue un esame orale con quattro materie obbligatorie: diritto civile, diritto penale, le due relative procedure, due materie a scelta e la deontologia forense. E qui il fine giurista si deve trasformare in una specie di Pico de La Mirandola, mandando a memoria tutto in poco tempo. Magari col capo che non ti concede più di un mese di assenza dalla tua scrivania. Ma il problema di questo esame è un altro. Poniamo che io sia un praticante in gamba e che abbia trovato lavoro in un grosso studio internazionale leader nel settore del diritto bancario. Plausibilmente, lavorerò con professionisti fantastici e avrò clienti prestigiosi. Serve a qualcosa per l’esame di stato? Risposta: no. Riformuliamo la questione. Se io mi occupo di diritto bancario o di diritto societario, cosa me ne frega di studiare diritto penale, materia che non mi interessa e che non praticherò mai? Mistero. L’esame di abilitazione fu regolato per la prima volta nel 1934 e la sua logica è rimasta ferma lì. Come se l’avvocato fosse ancora un piccolo professionista individuale che fa indifferentemente tutto. Pensateci la prossima volta che sentite qualcuno sciacquarsi la bocca con fregnacce sulla specializzazione degli avvocati e sulla dipartita dell’avvocato generico. Pensateci.
Passata anche la seconda trincea. Siete avvocati. Tutto bene? No. Tutto male. Finirete sotto il fuoco della Cassa Forense, obbligatoria, che vi mitraglierà. Non importa se siete potentissimi astri nascenti o piccoli professionisti. I risultati? Migliaia di giovani avvocati che si cancellano dall’albo ogni anno. Sgombriamo subito il campo da equivoci. Spesso quando si introduce questo tema ci si sente rispondere che in Italia ci sono troppi avvocati e se si sfoltiscono è meglio. Giusto. Ma ciò non può condurre ad affermare che dei giovani siano tagliati fuori da un sistema disfunzionale. La selezione dura va bene; il terno al lotto no. La competizione, anche spietata, va bene; le barriere all’accesso strutturate senza la minima logica no. Dietro le belle parole, si nasconde un sistema che, come avviene anche per altre professioni, cerca di tutelare se stesso sbattendo la porta in faccia ai giovani che vorrebbero entrare. Non tutti ovviamente. Senza troppa malizia vediamo che avrà meno crucci: (1) chi ha il padre, nonno, zio, fratello maggiore ecc… titolare di uno studio legale. Una mancetta arriverà sempre, con essa il tempo libero per frequentare la formazione obbligatoria e una study leave succulenta di un paio di mesi per preparare l’esame; (2) chi è ricco di famiglia e che, dunque, può godere dei vantaggi di cui sopra per vie traverse; (3) chi, date le condizioni di cui ai punti 1 e 2, può sostenere l’esame due, tre, quattro, cinque volte. E la meritocrazia? Naaaa, quello è uno slogan da sbandierare in campagna elettorale, cosa avete pensavate, sciocconi? In definitiva, il sistema come si sta concependo non fa altro che porre barriere all’ingresso che favoriscono il ceto e di casta. Una volta che si è entrati, invece, si fa in modo di cacciare fuori coloro che non arrivano a fine mese, tendenzialmente i più giovani o i più piccoli.
Ci sono alternative? Guardiamo un paese come la Francia. Lì, l’esame duro e temutissimo è quello per l’accesso all’école des Avocats, superato ogni anno da meno di un terzo dei candidati. Ma, (1) lo si sostiene appena terminata l’università, quando si è “freschi”; (2) è la precondizione per l’accesso al tirocinio, non un terno al lotto che viene al termine di 18/24 mesi di servaggio, spesso inutile ai fini del superamento dell’esame. Quindi, se si fallisce, al netto della delusione, si può subito andare a fare altro. Oppure si riprova (fino a tre volte). In ogni caso, però, non si buttano due anni di vita. La conclusione è sempre la stessa. L’Italia è un Paese che investe poco nei giovani. E che ci crede poco, a giudicare dalle frequenti sparate e rimbrotti di ministri vari. Sperando che non si cerchi, di fatto, di risolvere il problema con l’emigrazione, il messaggio deve essere chiaro. Non si faccia pagare ai giovani l’incapacità del sistema di riformarsi seriamente e organicamente. Le alternative ci sono.
I mediocri del Politically Correct negano sempre il merito. Sostituiscono sempre la qualità con la quantità. Ma è la qualità che muove il mondo, cari miei, non la quantità. Il mondo va avanti grazie ai pochi che hanno qualità, che valgono, che rendono, non grazie a voi che siete tanti e scemi. La forza della ragione (Oriana Fallaci)
“L'Italia tenuta al guinzaglio da un sistema di potere composto da caste, lobbies, mafie e massonerie: un'Italia che deve subire e deve tacere.
La “Politica” deve essere legislazione o amministrazione nell’eterogenea rappresentanza d’interessi, invece è meretricio o mendicio, mentre le “Istituzioni” devono meritarlo il rispetto, non pretenderlo. Il rapporto tra cittadini e il rapporto tra cittadini e Stato è regolato dalla forza della legge. Quando non vi è cogenza di legge, vige la legge del più forte e il debole soccombe. Allora uno “Stato di Diritto” degrada in anarchia. In questo caso è palese la responsabilità politica ed istituzionale per incapacità o per collusione. Così come è palese la responsabilità dei media per omertà e dei cittadini per codardia o emulazione."
TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo. Vittorio Alfieri (1790).
"Quando si cerca di far progredire la conoscenza e l'intelligenza umana si incontra sempre la resistenza dei contemporanei, simile a un fardello che bisogna trascinare e che grava pesantemente al suolo, ribelle ad ogni sforzo. Ci si deve consolare allora con la certezza che, se i pregiudizi sono contro di noi, abbiamo con noi la Verità, la quale, dopo essersi unita al suo alleato, il Tempo, è pienamente certa della sua vittoria, se non proprio oggi, sicuramente domani."(Arthur Schopenhauer)
Il pregio di essere un autodidatta è quello che nessuno gli inculcherà forzosamente della merda ideologica nel suo cervello. Il difetto di essere un autodidatta è quello di smerdarsi da solo.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo con la discultura e la disinformazione. Ci si deve chiedere: perchè a scuola ci hanno fatto credere con i libri di testo che Garibaldi era un eroe ed i piemontesi dei salvatori; perché i media coltivano il luogo comune di un sud Italia cafone ed ignorante; perché la prima cosa che insegnano a scuola è la canzone “bella ciao”? Per poi scoprire da adulti e solo tramite il web: che il Sud Italia è stato depredato a causa proprio di Garibaldi a vantaggio dei Piemontesi; che solo i turisti che scendono a frotte nel meridione d’Italia scoprono quanto ci sia tanto da conoscere ed apprezzare, oltre che da amare; che “Bella ciao” è solo l’inno di una parte della politica italiana che in nome di una ideologia prima tradì l’Italia e poi, con l’aiuto degli americani, vinse la guerra civile infierendo sui vinti, sottomettendoli, con le sue leggi, ad un regime illiberale e clericale.
Ad Avetrana, il paese di Sarah Scazzi, non sono omertosi, sempre che non si tratti di poteri forti. Ma qualcuno certamente vigliacco e codardo lo è. Sapendo che io ho le palle per denunciare le illegalità, questi deficienti usano il mio nome ed appongono falsamente la mia firma in calce a degli esposti che colpiscono i poveri cristi rei di abusi edilizi o commerciali. I cretini, che poi fanno carriera politica, non sanno che i destinatari dei miei strali sono magistrati, avvocati, forze dell’ordine, e comunque pubblici ufficiali o esercenti un pubblico servizio. Che poi queste denunce finiscono nell’oblio perché “cane non mangia cane” e per farmi passare per mitomane o pazzo o calunniatore o diffamatore, è un’altra cosa. Però da parte di questi coglioni prendersela con i poveri cristi per poi far addossare la colpa a me ed essere oggetto di ritorsioni ingiustificate è da veri vigliacchi. D'altronde un paese di coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato da coglioni.
È molto meglio osare cose straordinarie, vincere gloriosi trionfi, anche se screziati dall'insuccesso, piuttosto che schierarsi tra quei poveri di spirito che non provano grandi gioie né grandi dolori, perché vivono nel grigio e indistinto crepuscolo che non conosce né vittorie né sconfitte. (...) Non è il critico che conta, né l'individuo che indica come l'uomo forte inciampi, o come avrebbe potuto compiere meglio un'azione. L'onore spetta all'uomo che realmente sta nell'arena, il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore, dal sangue; che lotta con coraggio; che sbaglia ripetutamente, perchè non c'è tentativo senza errori e manchevolezze; che lotta effettivamente per raggiungere l'obiettivo; che conosce il grande entusiasmo, la grande dedizione, che si spende per una giusta causa; che nella migliore delle ipotesi conosce alla fine il trionfo delle grandi conquiste e che, nella peggiore delle ipotesi, se fallisce, almeno cade sapendo di aver osato abbastanza. Dunque il suo posto non sarà mai accanto a quelle anime timide che non conoscono né la vittoria, né la sconfitta. Franklin Delano Roosevelt
Cari signori, io ho iniziato a destare le coscienze 20 anni prima di Beppe Grillo e nulla è successo. Io non cercavo gli onesti, ma le vittime del sistema, per creare una rivoluzione culturale…ma un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.
"Il popolo cornuto era e cornuto resta: la differenza è che il fascismo appendeva una bandiera sola alle corna del popolo e la democrazia lascia che ognuno se l'appenda da sé, del colore che gli piace, alle proprie corna... Siamo al discorso di prima: non ci sono soltanto certi uomini a nascere cornuti, ci sono anche popoli interi; cornuti dall'antichità, una generazione appresso all'altra...- Io non mi sento cornuto - disse il giovane - e nemmeno io. Ma noi, caro mio, camminiamo sulle corna degli altri: come se ballassimo..." Leonardo Sciascia dal libro "Il giorno della civetta".
Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
In una Italia dove nulla è come sembra, chi giudica chi è onesto e chi no?
Lo hanno fatto i comunisti, i dipietristi, i leghisti, i pentastellati. Lor signori si son dimostrati peggio degli altri e comunque servitori dei magistrati. E se poi son questi magistrati a decidere chi è onesto e chi no, allora se tutti stanno dalla parte della ragione, io mi metto dalla parte del torto.
Ognuno di noi, anziché migliorarsi, si giova delle disgrazie altrui. Non pensando che a cercar l’uomo onesto con il lanternino si perde la ragione. Ma anche a cercarlo con la lanterna di Diogene si perde la retta via. Diogene di Sinope (in greco antico Διογένης Dioghénes) detto il Cinico o il Socrate pazzo (Sinope, 412 a.C. circa – Corinto, 10 giugno 323 a.C.) è stato un filosofo greco antico. Considerato uno dei fondatori della scuola cinica insieme al suo maestro Antistene, secondo l'antico storico Diogene Laerzio, perì nel medesimo giorno in cui Alessandro Magno spirò a Babilonia. «[Alessandro Magno] si fece appresso a Diogene, andandosi a mettere tra lui e il sole. "Io sono Alessandro, il gran re", disse. E a sua volta Diogene: "Ed io sono Diogene, il cane". Alessandro rimase stupito e chiese perché si dicesse cane. Diogene gli rispose: "Faccio le feste a chi mi dà qualcosa, abbaio contro chi non dà niente e mordo i ribaldi."» (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, Vita di Diogene il Cinico, VI 60). Diogene aveva scelto di comportarsi, dunque, come "critico" pubblico: la sua missione era quella di dimostrare ai Greci che la civiltà è regressiva e di dimostrare con l'esempio che la saggezza e la felicità appartengono all'uomo che è indipendente dalla società. Diogene si fece beffe non solo della famiglia e dell'ordine politico e sociale, ma anche delle idee sulla proprietà e sulla buona reputazione. Una volta uscì con una lanterna di giorno. Questi non indossava una tunica. Portava come solo vestito un barile ed aveva in mano una lanterna. "Diogene! - esclamo Socrate - con quale nonsenso tenterai di ingannarci oggi? Sei sempre alla ricerca, con questa lanterna, di un uomo onesto? Non hai ancora notato tutti quei buchi nel tuo barile?". Diogene rispose: "Non esiste una verità oggettiva sul senso della vita". A chi gli chiedeva il senso della lanterna lui rispondeva: "cerco l'uomo!". “... (Diogene) voleva significare appunto questo: cerco l’uomo che vive secondo la sua più autentica natura, cerco l’uomo che, aldilà di tutte le esteriorità, le convenzioni o le regole imposte dalla società e aldilà dello stesso capriccio della sorte e della fortuna, ritrova la sua genuina natura, vive conformemente a essa e così è felice."
Aste e usura: chiesta ispezione nei tribunali di Taranto e Potenza. Interrogazione dei Senatori Cinque Stelle: “Prassi illegali e vicende inquietanti”, titola “Basilicata 24” nel silenzio assordante dei media pugliesi e tarantini.
Da presidente dell’ANPA (Associazione Nazionale Praticanti ed Avvocati) già dal 2003, fin quando mi hanno permesso di esercitare la professione forense fino al 2006, mi sono ribellato a quella realtà ed ho messo in subbuglio il Foro di Taranto, inviando a varie autorità (Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, Procura della Repubblica di Taranto, Ministro della Giustizia) un dossier analitico sull’Ingiustizia a Taranto e sull’abilitazione truccata degli avvocati. Da questo dossier è scaturita solo una interrogazione parlamentare di AN del Senatore Euprepio Curto (sol perché ricoprivo l’incarico di primo presidente di circolo di Avetrana di quel partito). Eccezionalmente il Ministero ha risposto, ma con risposte diffamatorie a danno dell’esponente. Da allora e per la mia continua ricerca di giustizia come Vice Presidente provinciale di Taranto dell’Italia dei Valori (Movimento da me lasciato ed antesignano dei 5 Stelle, entrambi a me non confacenti per mia palese “disonestà”) e poi come presidente nazionale dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, sodalizio antimafia riconosciuto dal Ministero dell’Interno, per essermi permesso di rompere l’omertà, gli abusi e le ingiustizie, ho subito decine di procedimenti penali per calunnia e diffamazione, facendomi passare per mitomane o pazzo, oltre ad inibirmi la professione forense. Tutte le mie denunce ed esposti e la totalità dei ricorsi presentati a tutti i Parlamentari ed alle autorità amministrative e politiche: tutto insabbiato, nonostante la mafiosità istituzionale è sotto gli occhi di tutti.
I procedimenti penali a mio carico sono andati tutti in fumo, non riuscendo nell’intento di condannarmi, fin anche a Potenza su sollecitazione dei denuncianti magistrati.
Il 3 ottobre 2016, dopo un po’ di tempo che mancavo in quel di Taranto, si apre un ulteriore procedimento penale a mio carico per il quale già era intervenuta sentenza di assoluzione per lo stesso fatto. Sorvolo sullo specifico che mi riguarda e qui continuo a denunciare alla luna le anomalie, così già da me riscontrate molti anni prima. Nei miei esposti si parlava anche di mancata iscrizione nel registro generale delle notizie di reato e di omesse comunicazioni sull’esito delle denunce.
L’ufficio penale del Tribunale è l’ombelico del disservizio. Non vi è traccia degli atti regolarmente depositati, sia ufficio su ufficio (per le richieste dell’ammissione del gratuito patrocinio dall’ufficio del gratuito patrocinio all’ufficio del giudice competente), sia utenza su ufficio per quanto riguarda in particolare la lista testi depositata dagli avvocati nei termini perentori. Per questo motivo è inibito a molti avvocati percepire i diritti per il gratuito patrocinio prestato, non essendo traccia né delle istanze, né dei decreti emessi. Nell’udienza del 3 ottobre 2016, per gli avvocati presenti, al disservizio si è provveduto con una sorta di sanatoria con ripresentazione in udienza di nuove istanze di ammissione di Gratuito patrocinio e di nuove liste testi (fuori tempo massimo); per i sostituiti avvocati, invece, ogni diritto è decaduto con pregiudizio di causa. Non un avvocato si è ribellato e nessuno mai lo farà, perché mai nessuno in quel foro si è lamentato di come si amministra la Giustizia e di come ci si abilita. Per quanto riguarda la gestione degli uffici non si può alludere ad una fantomatica mancanza di personale, essendo l’ufficio ben coperto da impiegate, oltretutto, poco disponibili con l’utenza.
Io ho già dato per fare casino, non foss’altro che ormai sono timbrato tra i tarantini come calunniatore, mitomane o pazzo, facendo arrivare la nomea oltre il Foro dell’Ingiustizia.
La presente, giusto per rendere edotti gli ignoranti giustizialisti e sinistroidi in che mani è la giustizia, specialmente a Taranto ed anche per colpa degli avvocati.
INTRODUZIONE.
"La scienza dà la felicità": parla Silvio Garattini. Il professore e fondatore dell'istituto Mario Negri di Milano compie 90 anni. E si racconta all'Espresso, non risparmiando stoccate ai politici. "In passato mi hanno chiesto di fare il ministro, ma mi avrebbero cacciato dopo 15 giorni", scrive Gigi Riva il 9 novembre 2018 su "L'Espresso". Un tè e due biscotti, grazie… Dopo aver fatto la fila al pari dei suoi ricercatori al bar dell’Istituto di Ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Milano, da lui fondato nel 1963, il professor Silvio Garattini ordina il pranzo. Sempre uguale, sempre parco. Non che la colazione sia stata più abbondante. Qualcosa in più si concederà per cena. Privazioni da penitente? «No, è provato che la restrizione calorica aumenta la durata della vita». Lo scienziato bergamasco, uno dei massimi a livello mondiale, compirà 90 anni il prossimo 12 novembre e si è allungato, a giudicare da come è in forma, soprattutto la qualità della vita. Da poco più di un anno del Negri è “solo” il presidente, ha lasciato la carica di direttore a Giuseppe Remuzzi «perché alla mia età ogni giorno è regalato ed è meglio che i cambiamenti non avvengano in emergenza». Però è ancora in ufficio dalle 9 del mattino «fino a quando c’è bisogno». Cioè fino a sera, anche tarda sera. Del resto dal futuro si aspetta, soprattutto «di poter continuare a lavorare come ho fatto in passato». E lavoro significa dedizione totale alla scienza. Professor Silvio Garattini, dovendo tracciare un bilancio, da questo punto di vista non si sente uno sconfitto? Sono tempi in cui è messo in discussione il lavoro scientifico, sembra archiviato l’Illuminismo e prevale l’irrazionale. «Siamo tutti dei perdenti quando le impressioni e le opinioni dominano sui fatti. E non succede per caso. La cultura italiana è rimasta molto indietro, l’insegnamento è concentrato essenzialmente sulla letteratura, la filosofia, l’arte. La scienza, che ha avuto un enorme sviluppo nell’ultimo secolo, non è percepita come fonte di conoscenza ma come tecnologia. Le siamo grati perché ci ha dato gli antibiotici, internet, i telefonini ma non siamo stati in grado di integrarla, fin dall’asilo, con le materie umanistiche. Stabilire se qualcosa fa bene o male non tocca alla letteratura o alla filosofia, tantomeno all’arte. Lo dice la scienza, pur con tutti i suoi limiti, è pur sempre un’attività umana. Dunque può sbagliare, però ha capacità di autocorreggersi. Nell’arte la ripetibilità è un plagio, nella scienza è fondamentale. La scienza non conosce la verità ma viaggia nella direzione per scoprirla».
Di chi è la colpa di questo ritardo culturale?
«Della scuola, del governo, di chi ha la possibilità di cambiare la politica. Faccio un esempio. Sono stato ad un’audizione della Commissione mista che si occupava del Milleproroghe. Mi hanno chiesto un parere sull’autocertificazione dei vaccini. Ovviamente ho risposto che sono contrario. Nel momento in cui la gente ha cominciato a capire che è interesse comune vaccinarsi tornare a porre la questione non è la cosa migliore. Dato il mio lungo chilometraggio, mi sono permesso di osservare che la zuffa è tipicamente italiana. In Francia le vaccinazioni obbligatorie sono undici ma là il Parlamento non se ne occupa né i partiti ne fanno oggetto di campagne elettorali. Ho invitato deputati e senatori a riflettere su questo, non solo a dire se sì o no».
Lei pone un dualismo tra cultura scientifica e umanistica?
«Nessun dualismo, ci vuole integrazione. Che non significa insegnare la fisica o la chimica, quelli sono contenuti che cambiano, si evolvono. Per stabilire un rapporto di causa-effetto ci vuole un metodo, un sistema che non è un’opinione. Faccio un esempio. Molti ricordano l’anno delle mucillaggini nell’Adriatico. Si disse: è il Po che trascina al mare un mucchio di porcherie. L’anno dopo non c’erano più mucillaggini e il Po portava forse qualcosa di ancora più tossico. Un professore di Trieste ebbe l’ardire di citare Ovidio che già parlava del fenomeno. E fu insultato».
Come si arriva a seminare la sua conoscenza settoriale.
«Con un cambio di mentalità. Nelle pagine dei quotidiani, sotto la testatina “cultura” non si trova mai un articolo di scienza. La scienza sta in un’altra pagina. Se una persona in vista sbaglia una frase in latino diventa un oggetto di scherno. Se confonde un atomo con una molecola o le cellule con gli organi nessuno obietta, è considerato un errore veniale».
Un mio amico di origine straniera sostiene che quello che frega l’Italia è il liceo classico.
«Ma no. Io ho studiato all’Esperia di Bergamo (un istituto tecnico, ndr) e ne sono orgoglioso, però tutti godiamo degli studi classici. Solo vanno arricchiti di questa fetta del sapere».
Perché non succede?
«Per due ragioni. La prima. Gli intellettuali hanno fatto il classico e non pensano sia necessaria un’innovazione. La seconda chiama in causa le colpe degli scienziati, i quali per molto tempo non hanno capito che era necessaria la divulgazione. Quando Indro Montanelli fece col suo “Giornale” il primo inserto scientifico nel nostro ambiente fu giudicato male. Si riteneva che si desse alla gente qualcosa che non poteva capire e la scienza doveva restare nella sua torre d’avorio. Solo molto dopo i ricercatori sono usciti dai laboratori per far conoscere il loro lavoro. Per difendere la scienza talvolta ci vuole coraggio, bisogna metterci la faccia».
Lei lo ha fatto. Sono note le sue battaglie contro i farmaci inutili e Big Pharma, la terapia Di Bella, a favore della vivisezione, per citarne alcune.
«Negli anni ’60 ricordo anche accese discussioni con alcuni giornalisti quando spiegavo loro che fumare porta al cancro. Non lo si voleva accettare. Circa i benefici della sperimentazione sugli animali, molti colleghi preferivano, anche solo dieci anni fa, non esporsi perché temevano di perdere il 5 per mille di eventuali donatori e ridurre le entrate. Quello che mi preoccupa di più è tuttavia il futuro. In una società tecnologicizzata dovremo fare sempre più scelte personali che dipendono da cognizioni scientifiche. Le quali non si possono basare sul parere del primo che passa per la strada. Come si arginerà l’ignoranza di coloro che non vedono i vantaggi dei vaccini?».
Spesso la gente sceglie un atteggiamento fideistico per aggrapparsi a una speranza. Successe nel caso della terapia per i tumori di Di Bella. La fredda scienza toglieva le speranze.
«Ma la speranza è insita nella scienza! Oggi ti dico con franchezza che non posso fare nulla per te ma magari domani sì perché la ricerca ha fatto un passo in avanti. Io capisco la disperazione dei malati e dei loro familiari, ma ho necessità di essere sincero. Devo usare il dialogo per essere convincente».
Convinca i lettori de “L’Espresso” che la scienza non è fredda.
«Molti guariscono grazie alla scienza dunque la scienza dà felicità».
Lei definirebbe oscurantista questa fase storica in cui molti, ad esempio, credono alle scie chimiche?
«Preferisco pensare sia un momento di transizione in cui regna la confusione perché non siamo ancora in grado di maneggiare i grandi progressi della scienza. Prendiamo internet. È un grande bene il poter trovare in pochi secondi le informazioni. Però la giurisprudenza non ha considerato il pericolo derivante dalla possibilità di mettere in circolazione le idee più stupide e strampalate. Da qui l’idea che chi ha più “like” è il più bravo».
Lei ha una formazione cattolica. Anche la religione ha qualche responsabilità se la scienza non ha il peso che le spetterebbe.
«Non c’è dubbio. Scienza e religione possono coesistere nell’individuo ma sono due culture che non possono coesistere essendo l’una empirica e l’altra fideistica. Oggi lo scontro è un po’ meno accentuato perché i due ambiti hanno imparato a parlarsi. Soprattutto hanno trovato un terreno comune per alcune finalità. La Chiesa per le ragioni che ineriscono il Creato ha interesse a difendere l’ambiente esattamente come la scienza. Entrambe hanno a cuore la cura degli ammalati. In definitiva il principio “ama il prossimo tuo come te stesso” vale per tutte e due».
Non sempre professore. La scienza ha prodotto la bomba atomica.
«Quello è un errore della scienza, anche la Chiesa ne ha commessi molti nella sua storia».
Il papa emerito Raztinger usa la ragione per spiegare Dio e il bosone di Higgs trova l’origine del mondo. Sono due effetti dell’avvicinamento?
«No. Non ci può essere avvicinamento teorico. Non ci si arriva su quel piano. Sarebbe come cercare di imparare a suonare studiando il latino. L’importante è trovare il sinergismo nelle finalità in nome del bene comune».
La ricerca è stata la sua unica passione, sembra di capire.
«Diciamo che mi ci sono applicato molto. Quando mi chiedono qual è il libro che ho sul comodino sono in difficoltà. Perché quando vado a letto sono talmente stremato che dormo subito. Non ho tempo per tante altre cose che pure mi piacciono, un concerto, la visita a un museo. Viaggio come un pacco postale, la segretaria mi scrive quello che devo fare e io rispetto la tabella».
È proverbiale la sua passione per l’Atalanta. Va ancora allo stadio?
«Ogni tanto. Non più spesso. Mia moglie sostiene che se sto un’ora senza lavorare ho i rimorsi di coscienza».
Ed è soddisfatto di aver speso così la vita?
«Non ho sentimenti come la soddisfazione o l’orgoglio. Ho fatto quello che potevo fare, e certo si può fare sempre meglio. Devo molto a tutti i ricercatori che mi hanno seguito nell’impresa. Hanno creduto nell’idea di fondo dell’Istituto, fare il bene del prossimo senza speculare, restando indipendenti dalla politica, dalla religione, dalla finanza, dall’industria. Pronti a collaborare con chiunque ma mantenendo la nostra caratteristica».
Ora vive a Milano ma in ogni intervista lei cita i suoi natali bergamaschi.
«Sono molto legato alla mia città tanto che ho realizzato il Negri anche lì, volevo avesse un centro di ricerca di livello».
Se dovesse definire l’essere bergamasco?
«Mi riconosco in un motto: “Caràter de la rassa bergamasca. Fiama de rar, sòta la sènder brasca” (carattere della razza bergamasca: fiamma di rado, ma sotto la cenere c’è la brace). Molti mi rimproverano di non mostrare mai quello che faccio, di non fare marketing di me stesso. Noi bergamaschi siamo riservati, perché se sotto la cenere c’è la passione non c’è bisogno di esibirla. E poi sono grato a Bergamo per l’educazione nell’oratorio di Borgo Palazzo dove mi hanno insegnato ad occuparmi degli altri, a non essere egoista, a guardare al futuro con speranza».
C’è un amico del cuore che l’ha accompagnata durante l’arco dell’esistenza?
«Ce ne erano molti. Sono tutti scomparsi».
Il che l’ha portata immagino a riflessioni profonde sulla morte.
«È un fatto ineludibile. Va accettata, come la nascita. Però ho ancora molto da fare, prima che arrivi. Voglio citare il motto proprio di un mio amico: la morte da giovani il più tardi possibile».
Quasi tutti i partiti le hanno offerto candidature e le ha sempre rifiutate. Perché?
«Se è per questo mi hanno anche offerto il ministero della Salute. Ma non è il lavoro mio. Anche se avessi accettato, mi avrebbero cacciato dopo 15 giorni».
Magari avrebbe avuto il potere di cambiare le cose.
«No. Il potere vero non esiste. Esiste solo il potere condizionato. Anche chi vuol fare le cose migliori del mondo si trova a dover scendere a compromessi».
Torniamo all’inizio, al suo invidiabile stato di forma. La ricetta?
«Non ci sono ricette. Io sto cercando di rilanciare un’attività che è stata abbandonata in Italia, cioè la prevenzione che è il bene maggiore per la salute. Più del 50 per cento delle malattie non piovono dal cielo, ce le autoinfliggiamo».
Come è la sua giornata tipo?
«Sette ore di sonno, poi tutto il giorno al lavoro, la sera a casa all’una di notte dormo».
Lo sport?
«Cammino. Qui in istituto, negli aeroporti. Non prendo ascensori ma faccio le scale. Alla mia età basta e avanza».
Mai nemmeno una trasgressione?
«Ci fu un periodo in cui ero goloso di dolci. Ma sempre nell’ambito delle calorie che mi sono consentito».
Cosa è l’amore alla sua età?
«È come a 16 anni. Io sono innamorato di mia moglie allo stesso modo di un adolescente. L’amore cambia solo nelle sue manifestazioni non nell’essenza profonda».
Se la nominassero senatore a vita?
«Non è successo ed è improbabile che capiti ora. So di essere una persona scomoda».
Se nel mondo d’oggi nulla è come appare e tutti noi siamo soggiogati da immense menzogne, chi ci dice che anche la scienza non sia una fonte di presa per il culo. Quanto di menzognero ci viene propinato e quanto la scienza tace per arroganza o per interesse economico? Se i media, la politica e le istituzioni hanno perso quasi tutta la loro credibilità, può l'arroganza degli scienziati convincerci che loro medesimi sono diversi dagli altri?
“Secondo la scienza” non è sempre secondo la scienza, scrive Rachel Feltman l'11 maggio 2016 su "The Washington Post". Il giornalismo scientifico tende a ingigantire esperimenti strani e improbabili, di quelli che servono solo a fare titoli ad effetto. Una cosa che è sempre bene ricordare quando si parla di scienza è che non bisogna credere a tutto quello si legge sulla “scienza”. Nel caso in cui foste stati distratti, domenica scorsa il concetto è stato ribadito dal comico inglese John Oliver, che conduce sul canale americano HBO Last Week Tonight, un popolare programma in cui parla in chiave ironica di fatti di attualità e politica. Se non avete voglia di guardare il video (in inglese) e rotolarvi dalle risate per venti minuti, eccovi un resoconto:
1. Uno studio solo non significa praticamente niente. Spesso negli articoli scientifici di divulgazione si usano espressioni come «saranno necessarie altre ricerche per confermare i risultati», oppure «è difficile sapere con certezza se i ricercatori hanno ragione». La scienza non è un insieme di dati di fatto incontestabili: è un metodo che serve a verificare ipotesi e trarre conclusioni. Quando degli scienziati progettano e svolgono un esperimento, che poi viene rivisto da altri scienziati e pubblicato su una rinomata rivista scientifica, tutto quello che sappiamo è che probabilmente i loro risultati hanno dei fondamenti. Tuttavia, ci sono molti fattori che possono influenzare i risultati di uno studio. Quando la tesi di partenza è molto altisonante dovreste essere ancora più scettici, almeno finché altri scienziati che non hanno partecipato allo studio originale replicheranno l’esperimento ottenendo gli stessi risultati. Una volta che viene raggiunto un numero consistente di esperimenti che danno lo stesso risultato, si può dire che su quel dato tema la scienza ha raggiunto un consenso (come nel caso dell’esistenza del cambiamento climatico causato dall’uomo, per esempio). Il pericolo è che un singolo studio (che in quanto tale non è quindi significativo) che contraddice il consenso scientifico venga preso per vero della persone che vogliono avere una conferma di qualcosa di cui sono già convinti: che il cambiamento climatico non esista o che i vaccini causino l’autismo, per esempio. Se volete avere conferma della veridicità di uno studio scientifico cercate espressioni come «questo studio si aggiunge a un numero crescente di ricerche sul tema».
2. Non ci si può fidare sempre delle statistiche. Per verificare la fondatezza delle prove a sostegno dell’ipotesi nulla esiste una cosa chiamata “valore p”. Prendiamo il caso che esista uno studio che verifica il legame tra il consumo di cioccolato e dormire più di otto ore a notte: bisogna prendere un gruppo di soggetti e confrontare le loro abitudini in materia di consumo di cioccolato e di sonno, ottenendo poi dei numeri che confermino che chi mangia grandi quantità di cioccolato dorma effettivamente di più rispetto a qualsiasi altro campione di popolazione selezionato a caso. Bisogna anche “controllare” diverse variabili per assicurarsi che non incidano sul sonno (è possibile che i bambini mangino più cioccolato, ed è noto che i bambini dormono di più). L’insieme di queste elaborazioni statistiche serve per valutare la rilevanza dei propri risultati. Gli scienziati, tuttavia, possono manipolare la dimensione di campioni e analisi per ottenere dei valori p soddisfacenti anche quando non dovrebbero ottenerne. Anche per questo è così importante replicare gli studi molte volte: serve a scovare gli imbrogli statistici, voluti o meno.
3. Il sistema non aiuta a sostenere studi scientifici validi. Anche se ne esistono di seri che svolgono studi validi, è innegabile che gli scienziati debbano motivare i fondi per le loro ricerche e il loro lavoro, e spesso gli studi validi non sono il modo migliore per farlo. Replicare il lavoro fatto da altri, per quanto importante, non è stimolante e non permette di farsi notare, e oggi gli scienziati sanno che farsi notare dai media è quasi importante quanto la pubblicazione di uno studio. Questo porta ad accantonare la replicazione degli studi a favore di idee nuove, molto apprezzate dal pubblico ma di poca utilità finché non vengono “copiate” da altri scienziati.
4. La colpa è anche dei media, e nostra. Nel periodo in cui iniziai a fare giornalismo scientifico, scrissi una tesi su come i media si occupano di scienza. Il punto centrale era che il sistema funziona un po’ come una specie di terribile telefono senza fili, in cui i risultati vengono alterati sempre di più man mano che passano dai vari media (a essere sinceri, però, questa vignetta illustra meglio il concetto). Dopo qualche anno passato a scrivere di scienza, posso dire che la mia tesi andrebbe un po’ aggiustata. Pensavo che il giornalismo scientifico “sbagliato” iniziasse con una società di news che non capiva bene un determinato studio, e che veniva poi seguita da tutte le altre, dando così forza all’imprecisione di partenza. Oggi però posso confermare che anche quando le cose vengono fatte nel modo giusto, eliminando tutta la “magia” da un risultato scientifico e sottolineando in modo davvero chiaro quanto poco uno studio possa davvero “dimostrare”, da qualche parte ci sarà sempre qualcuno che pubblicherà un articolo in cui si dice che bere vino fa bene tanto quanto andare in palestra, e linkerà il tuo articolo come fonte. La verità è che a tutti quanti, me compresa, capita di esaltarsi per un particolare studio, di non capirlo davvero o di usare un titolo che dà poi il via una serie di articoli fatti male e incomprensioni per quelli che non l’hanno letto tutto.
5. E quindi che si fa? Un’idea potrebbe essere smettere di leggere articoli che parlano di scienza da fonti che continuano a usare frasi come «X causa Y», che dovrebbero essere una spia evidente, dal momento che gli studi non dimostrano niente, e sicuramente non lo fanno in questo modo. In fin dei conti si riduce tutto a una questione di buon senso: se una cosa detta da uno studio vi sembra un po’ assurda, allora probabilmente dovreste scoprire cosa ne pensano degli esperti che non hanno partecipato allo studio. Se l’articolo che state leggendo o il servizio che state guardando non riportano un altro parere, cambiate la vostra fonte d’informazione.
Quel che la scienza “spiega” e…che lo scientismo non sa, scrive l'1 giugno 2012 Giorgio Masiero, fisico e docente universitario. Ha collaborato: Alessandro Pilo. Nel dialogo platonico “Teeteto”, Socrate richiama il mito di Iride, dea della conoscenza e figlia di Taumante, dio dello stupore, per fondare su questo sentimento umano l’origine della filosofia e della scienza: “Teeteto: Sono straordinariamente meravigliato di quel che sia l’apparirmi davanti di tutte queste cose; e talora, se mi ci fisso a guardarle, realmente ho le vertigini. Socrate: Amico mio, è proprio del filosofo quello che tu provi, di essere pieno di meraviglia; e chi disse che Iride fu generata da Taumante non sbagliò”. Lo stupore è un grande turbamento dell’anima: davanti ad un evento inatteso e meraviglioso, perdiamo la consueta consapevolezza e andiamo in estasi (“ec-stasis”, in greco: uscire da se stessi). Lo stupore è forse la prima sensazione provata dalla coscienza confusa d’un infante che s’interroga: perché? Poi, man mano che la visione della cornucopia del mondo si accresce nel bambino, i perché diventano sempre più frequenti. Solo col passare degli anni ed il sopraggiungere degli affanni nell’adulto sfumano nell’assuefazione o degradano nella noia, salvo riapparire di tanto in tanto. I veri filosofi e scienziati, però, si affacciano ogni giorno alla finestra del mondo con gli occhi dei bambini: non si abituano mai allo spettacolo policromo dell’essere, né si accontentano di contemplarlo, ma vogliono conoscerne le cause; ed hanno sete di sapere i fini che si posero quelle cause; e perché quei fini e non altri… “Non si sazia l’occhio di guardare, né mai l’orecchio è sazio di udire” (Qohelet). Gli scientisti invece, sono quelli che non si meravigliano davanti a nessuna meraviglia. Con una scrollatina di spalle ti dicono: “E beh? La scienza, prima o poi, spiega tutto”. L’handicap di non provare stupore non è necessariamente uno svantaggio competitivo nel mercato del lavoro: può aiutare in una carriera di tecnico specializzato o all’opposto nel ruolo di tuttologo incensatore della scienza onnisciente e onnipotente. La scienza “spiega” tutto? Il dizionario Sabatini Coletti definisce la spiegazione come “chiarimento di ciò che è oscuro o difficile da comprendere”, ed è quello che intende ogni persona quando, davanti ad un evento che non capisce, dice: “Spiegami!”. Una spiegazione, perciò, è una successione di ragionamenti che, di passo in passo, riportano ad assunzioni intuitive ciò che a prima vista non si capisce. Il modello insuperabile di spiegazione è quello matematico di dimostrazione (dal latino de-monstrare = far vedere bene), applicato sistematicamente da Euclide nei suoi “Elementi” di geometria (IV-III sec. a.C.). Euclide prese sul serio i criteri scientifici dettati da Aristotele: “Tra i possessi del pensiero con cui cogliamo la verità, alcuni risultano sempre veraci, altri invece possono accogliere l’errore; tra questi ultimi sono l’opinione e il discorso, mentre sempre veraci sono la dimostrazione e l’intuizione, e non sussiste alcun genere di conoscenza superiore alla dimostrazione se non l’intuizione. L’intuizione dovrà essere il principio della dimostrazione, e quindi di ogni scienza” (“Analitici secondi”). Euclide pose perciò all’inizio della sua ricerca scientifica sulle proprietà dello spazio alcune assunzioni (postulati), dettate dall’intuizione e chiare come la luce del sole, e ne dedusse passo a passo le conseguenze logiche (i teoremi, dal greco theoréo = vedo), la cui verità risulta inizialmente oscura alla mente, ma che alla fine del percorso dimostrativo si “contempla”.
Prendiamo il teorema di Pitagora: “Nei triangoli rettangoli il quadrato dell’ipotenusa è equivalente alla somma dei quadrati dei cateti”. Quando da bambini l’abbiamo udito per la prima volta abbiamo provato stupore, parendoci una bella coincidenza che tutti i triangoli rettangoli godessero di quella proprietà. C’è gente che non ne coglie l’evidenza e lo accetta soltanto perché sa che c’è una spiegazione nei libri di matematica. Però, davanti alla tassellatura rappresentata nella figura qui sotto, tutti ne contempliamo la verità in 3 passi logici di somma e sottrazione di 3 coppie di triangoli uguali.
Ecco, le spiegazioni in matematica coincidono tutte con procedure simili a questa di risalire per piccoli passi a postulati “che sono insiti nella ragione umana in modo naturale e constano essere verissimi, al punto che se li ritenessimo falsi dovremmo rinunciare a ragionare” (Tommaso d’Aquino, “Contra Gentiles”).
Nelle scienze naturali, però, il vocabolo “spiegazione” assume significati del tutto diversi dall’ideale matematico. La sua applicazione diviene così tecnicistica in ogni disciplina, che spesso le spiegazioni degli esperti sui fenomeni che interessano la gente (dalla meteorologia alla medicina alla finanza, ecc.) li rendono ancora più oscuri al profano. Prendiamo la fisica: qui la spiegazione d’un fenomeno avviene con la sua descrizione matematica, un’equazione. Per spiegare la gravitazione, Newton propose l’equazione: f = G × m1 × m2 : r 2.
L’equazione uguaglia la forza di attrazione tra due corpi al prodotto delle loro masse moltiplicato per una costante G e diviso per il quadrato della loro distanza. Questa equazione spiega perché una mela cade per terra?
Neanche per sogno, e Newton era il primo a saperlo rispondendo a chi lo interrogava: “Hypotheses non fingo”, io non fabbrico ipotesi. (Tra parentesi: avessero l’umiltà di Newton gli sbruffoni cantatori di storie di tanta “scienza” moderna!) L’equazione dice soltanto che c’è una forza che fa cadere la mela (e ciò sa anche l’animale che scuote un albero per raccoglierne i frutti) e quantifica la forza, così che la possiamo calcolare quando vogliamo, dalle traiettorie balistiche ai moti celesti. Questo è tutto con la cosiddetta spiegazione scientifica. Ma la teoria newtoniana non può spiegare perché l’equazione ha quella forma, perché contiene il quadrato (e non il cubo o la radice quadrata) della distanza, né perché G ha il valore 6,67 × 10-11, perché c’è una forza tra due corpi indipendente dalla loro costituzione materiale, perché è attrattiva piuttosto che repulsiva, come si propaga, ecc., ecc. Le grandi teorie della fisica moderna (la gravità generale e la meccanica quantistica) poi, svuotano ulteriormente il significato comune di spiegazione poiché, oltre ad esprimersi con equazioni di forma inspiegabile contenenti costanti di valori inspiegabili, si fondano per giunta fin dalle loro assunzioni (arbitrarie) su concetti oscuri e contro-intuitivi (varietà curve pseudo-riemanniane, onde-particelle, spazi vettoriali complessi ad infinite dimensioni, ecc.) che non hanno relazione con l’esperienza ordinaria e che soltanto mediante esercizi di training autogeno gli “adepti” (gli aspiranti fisici) si abituano a maneggiare. Quando in un articolo ho spiegato le onde elettromagnetiche con un “campo tensoriale 4-dimensionale di ordine 2 antisimmetrico”, un lettore commentò: “Mai sentito. A naso potrei pensare ad un miscuglio di parole dotte privo di significato. Spiegami”. Che altro potevo fare se non rinviarlo ad un corso di geometria differenziale?
Questa è la situazione della fisica che, nell’ottica riduzionistica che fa da sfondo oggi al naturalismo, è la scienza fondamentale cui tutte le scienze vanno ricondotte. Nella stessa concezione, quindi, non migliore è la potenza esplicativa di tutta la scienza moderna. La biologia per esempio, di fronte al problema della vita, deve spiegare la creazione locale di ordine dal caos, che allo stato delle osservazioni scientifiche (e al netto di fantasie aliene) è la stupefacente eccezione presente in un pianeta appartenente ad un Universo, dove la regola è ovunque l’opposta come sancita dalla “legge più importante di tutta la scienza” (A. Einstein): la crescita dell’entropia che definisce la freccia del tempo. Concediamo pure al riduzionismo che una seria teoria fisica, affrancandoci dall’affabulazione ingenua del darwinismo, riesca un giorno a descrivere il meccanismo della vita. E allora? Ci troveremo nella stessa situazione delle altre teorie fisiche: di sapere descrivere tramite un sistema di equazioni “come” (hanno avuto origine le specie sulla Terra), ma di non sapere il “perché” di quelle equazioni, di quella forma e con quelle costanti. È il limite fisiologico delle spiegazioni scientifiche, per definizione di metodo galileiano, cari lettori! Certo, io sarei il primo in questo caso a cantare un successo epocale dell’interdisciplinarità tra fisica e biologia, a prevedere anche nuove applicazioni tecnologiche a vantaggio dell’umanità, ma non direi mai che con ciò la scienza “spiega tutto”. Al contrario, volgendomi alla sua storia, mi aspetterei l’insorgere di nuove domande di fronte al mistero dell’essere, arretrato ad ogni nuova scoperta solo d’un passo.
C’è sempre la Endlösung di spiegare il molto postulando il tutto: è la congettura d’infiniti mondi disgiunti con tutte le leggi possibili, con tutti i valori di G e tutti gli esponenti di r. In uno di questi mondi “la Luna è fatta di formaggio erborino” (S. Hawking). Però – mentre al lavoro interrogo gli annoiati erranti del multiverso sulla potenza esplicativa d’una proposta che, postulando più assunzioni dei fatti che intende giustificare, supera il record bijettivo della “Teogonia” di Esiodo (dove ad ogni fenomeno naturale corrispondeva una sola divinità) – alla pausa pranzo lascio tali sogni ai cultori di Gorgonzola del nostro unico Universo reale. Se sono chiamato a sciogliere un groviglio, per il suo invincibile filo tagliente io mi affido al rasoio di frate Occam: “Non moltiplicare gli elementi oltre il necessario”.
Quello che non sai sulla morte può ucciderti. Spaventato all'idea di essere colpito da un meteorite? Rilassati, tanto muori prima. Lo dice la scienza. Le morti improbabili hanno una lunga storia. 455 a.C.: (si dice che) Eschilo, poeta tragico dell'antica Grecia, venne ucciso da un'aquila che lasciò cadere una tartaruga sulla sua testa. Se c'è una cosa che accomuna tutti quanti sul pianeta, umani e non, è che prima o poi il mondo farà a meno di noi. Un fatto spiacevole che dà lavoro a filosofi e pensatori di ogni risma e tempo, ma che nella vita quotidiana tendiamo a minimizzare. Se però per un attimo accettate di entrare nella parte e, tempo permettendo, fate mente locale - subito converrete che c'è un'infinità di modi di morire, per lo più tristemente banali. Tuttavia, non tutti: alcuni sono invece decisamente improbabili, persino sinistramente affascinanti (se non ci toccano). Tra i "filosofi e pensatori di ogni risma e tempo" ce ne sono due - uno scrittore, l'altro fisico - che hanno fatto un elenco di ben 45 inconsuete cause di morte e, in un libro da poco uscito (per adesso in lingua inglese), ne hanno svelato i retroscena e spiegato, con tanto di calcoli e leggi fisiche, che tutto quello che c'è di drammatico in questi sfortunati eventi accade prima della loro inevitabile conclusione. Ecco qualche curiosità da questo volontario lavoro dall'accattivante titolo "... e adesso sei morto!".
UN TUFFO NEL BUCO NERO. Se ci trovassimo sulla traiettoria di un grosso meteorite, la morte non arriverebbe come pensiamo (colpiti a morte, appunto): invece, a causa della pressione dinamica generata dalla compressione del fronte d'aria davanti al meteorite, un'ondata di calore fatale ci investirebbe anche decine di secondi prima dell'impatto, persino senza permetterci di distinguere con la dovuta chiarezza i dettagli della superficie di quell'antico oggetto del Sistema Solare. Viaggiando più lontano nel cosmo, un tuffo a volo d'angelo in un buco nero produrrebbe curiose trasformazioni tra un estremo e l'altro del nostro stesso corpo. La testa, per esempio, sarebbe sottoposta a una enorme differenza gravitazionale rispetto ai piedi, con la conseguenza che il corpo verrebbe "spaghettificato", per usare una parola cara all'astronomo reale britannico (Martin Rees, nell'ormai introvabile Attrazione fatale della gravità, Zanichelli 1997) fino a diventare un flusso di particelle subatomiche - molte delle quali probabilmente ancora ignote al Cern. Quante probabilità abbiamo di essere colpiti da un meteorite?
LA MORTE DELLE MILLE PUNTURE. Alcuni degli sfortunati eventi considerati dai due, seppure improbabili sono plausibili. Per esempio, sapevate che servono otto-dieci punture di ape ogni cinquecento grammi di peso corporeo per spedire all'altro mondo un individuo adulto non allergico? Anche in questo caso è facile che la dipartita avvenga per altre cause, ben prima di arrivare alla milleseicentesima puntura, ossia 11,8 punture per centimetro quadrato - a patto di essere assolutamente nudi, in piedi fino alla fine e con un qualche tipo di trucco che metta a disposizione delle api anche le piante dei piedi. Se il conto non vi torna forse la vostra superficie corporea è maggiore o minore di 1,9 metri quadrati. Calcolatela così: [4x(peso in kg)+7] / [90+(peso in kg)]. La formula non è precisa al millimetro quadrato, ma è una buona misura di BSA (body surface area), validata dall'associazione pediatri degli Stati Uniti. Ogni regola ha però la sua eccezione: sappiate che nel 2010 un uomo in Texas sopravvisse a millecinquecento punture di api africanizzate, un ibrido molto aggressivo di varie sottospecie di Apis mellifera. Curiosità: quali uomini famosi sono morti facendo sesso?
MORIRE DI SONNO. Anche questa morte riserva una inattesa sorpresa: non si muore. Prima di arrivare al decesso si cede infatti allo sfinimento e si passa dalla veglia al sonno, appunto. Va comunque detto che questa teoria poggia su basi scientifiche traballanti: lo spiegano, con un guizzo di ottimismo finale, Cody Cassidy (lo scrittore) e Paul Doherty (il fisico) citando il caso di Randy Gardner, che nel 1964 rimase sveglio più di 11 giorni di seguito - apparentemente senza conseguenze, piombando poi in 14 ore di sonno. È ancora oggi la più lunga privazione del sonno volontaria mai documentata scientificamente, e se nessuno ha più tentato di superare il limite è perché è difficile trovare un medico incosciente che dia supporto, e anche perché il Guinness dei Primati ha cancellato questa prova dal suo medagliere. Morale, se qualcuno vi dice che è morto di sonno, non credetegli: è sicuramente vivo e vegeto.
LA CRISI DELLA RAZIONALITÀ SCIENTIFICA ED IL FALLIMENTO DELLA RIPRODUCIBILITA’.
Materiale utilizzato dal prof. Silvio Vitellaro durante le sue lezioni di Storia e Filosofia. L’Ottocento rappresentò, nella storia del pensiero scientifico, un tipico periodo di "scienza normale", nel quale il paradigma materialistico-meccanicistico - canonizzato da Newton e rafforzato da Laplace - raggiunse il culmine del successo e la comunità scientifica si impegnò unanimemente nella ricerca dei dati sperimentali a suo favore e nel suo allargamento a nuovi settori della conoscenza. Il trionfo del paradigma newtoniano si associò all’affermazione di una visione rigidamente deterministica della natura e a una concezione assolutistica della scienza come conoscenza universale e necessaria senza limiti di principio, che trovò la sua massima espressione nel positivismo. Proprio il suo grande sviluppo portò però la ricerca scientifica a scontrarsi con le prime anomalie, cioè con dati sperimentali in contrasto con il modello scientifico newtoniano, che - seppure momentaneamente neutralizzate con il ricorso ad ipotesi ausiliarie - verso la fine del secolo, cominciarono a minare la fiducia degli scienziati nel paradigma meccanicistico. Si aprì così, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, un periodo di crisi e di cambiamento dei modelli della razionalità scientifica che si svolse a 3 livelli, distinti ma convergenti: quello delle scienze logico-matematiche, quello delle scienze umane e infine quello della fisica. Questo processo di trasformazione delle teorie e dei metodi scientifici è stato denominato "seconda rivoluzione scientifica" poiché mutò radicalmente l’immagine della scienza moderna nata dalla prima rivoluzione scientifica ad opera di Galilei e Newton, e impose una nuova concezione della conoscenza scientifica, quella propria dell’epoca contemporanea.
La crisi delle scienze matematiche. Da un punto di vista cronologico, il primo annuncio della crisi del modello scientifico ottocentesco si ebbe nell’ambito delle scienze matematiche, e segnatamente della geometria, con la scoperta delle geometrie non-euclidee. Intorno al 1826 Janos Bolyai (1802-1860) e Nicolaj Lobacevskij (1793-1856), variando il quinto postulato di Euclide, elaborarono un modello geometrico iperbolico in cui la somma degli angoli interni di un triangolo risulta inferiore a 180 gradi e lo spazio assume la forma concava di una superficie "a sella". Successivamente, nel 1854, Bernhard Riemann (1826-1866) costruì una geometria ellittica, per la quale la somma degli angoli interni di un triangolo è superiore a 180 gradi e lo spazio assume la forma convessa di una superficie sferica. La scoperta di geometrie non-euclidee mise in discussione la certezza millenaria nell’unicità e nell’assolutezza dello spazio e alimentò l’emergere di una nuova concezione, antintuitiva e convenzionalistica, delle scienze matematiche, aprendone così la crisi. Vedi, sul manuale di filosofia, le parti relative alle geometrie non-euclidee e al convenzionalismo epistemologico di Henri Poincaré (1854-1912). Nell’immediato, la prima reazione alla crisi della geometria euclidea - fino allora considerata fondamento indiscusso delle scienze matematiche - fu il tentativo di rifondare la matematica sull’aritmetica. Tale tentativo implicava, a sua volta, la necessità di rifondare l’aritmetica. Tra il 1870 e il 1880 Georg Cantor (1845-1918) elaborò a questo scopo la teoria degli insiemi, definendo l’insieme come una “riunione M in un tutto di oggetti m (elementi di M) della nostra intuizione o del nostro pensiero”. Cantor aprì così le porte al programma di fondazione logica dell’aritmetica di Gottlob Frege (1848-1925), basato su due assiomi:
1. il principio di estensionalità, secondo cui se due concetti diversamente definiti comprendono gli stessi elementi allora sono uguali;
2. il principio di astrazione o comprensione, per il quale ogni concetto circoscrive un insieme o classe composto da tutti gli individui che corrispondono alle sue caratteristiche definitorie.
Il programma di Frege fu ripreso e sviluppato da Alfred North Whitehead (1861-1947) e da Bertrand Russell (1872-1970), i quali però scoprirono una contraddizione implicita nell’assioma di astrazione. Si trattava dell’antinomia delle classi per la quale se R è la classe di tutte le classi che non contengono se stesse come elemento ne deriva che R non può contenere ma nemmeno non contenere se stessa: nel primo caso R conterrebbe una classe che contiene se stessa, cioè avrebbe un elemento spurio, nel secondo escluderebbe una delle classi che non contengono se stesse, cioè mancherebbe di un elemento proprio. Per risolvere l’antinomia, Whitehead e Russell elaborarono la teoria dei tipi, secondo la quale una classe non può appartenere a se stessa ma solo a un’altra classe superiore ad essa per estensione. Ma per fondare la matematica sulla teoria dei tipi, essi furono costretti a ammettere gli assiomi dell’infinito, di scelta e di riducibilità, che non risultavano razionalmente evidenti. Vedi, a questo proposito, i Principia Mathematica (1910-1913) in cui Whitehead e Russell cercano di salvare il programma di rifondazione logica della matematica elaborando la teoria dei tipi.
Lo scacco del programma logicista aprì la strada, intorno al 1900, al programma formalista di David Hilbert (1862-1943) che tentò di rifondare la matematica come un sistema assiomatico-deduttivo, cioè come un insieme di teorie sintatticamente coerenti aventi tre requisiti: la non-contraddittorietà, la completezza e l’indipendenza. Ma nel 1931 Kurt Gödel (1906-1978) dimostrò due teoremi che colpivano alle radici il programma formalista. Il primo affermava che in ogni sistema assiomatico-deduttivo è possibile costruire una proposizione che il sistema non è in grado né di confermare né di smentire, il secondo che il sistema non può dimostrare al suo interno la sua non-contraddittorietà. I teoremi di Gödel, rimasti a tutt’oggi insuperati, favorirono nell’immediato un nuovo tentativo di fondazione intuizionista della matematica, ma soprattutto sancirono nel lungo periodo i limiti di principio di quella che era stata considerata fino a quel momento la scienza "esatta" per eccellenza. Vedi sul manuale di filosofia la parte relativa ai teoremi di Gödel che dimostrano i limiti di principio delle scienze matematiche.
La crisi nelle scienze umane. Uno degli indici più significativi del trionfo ottocentesco del paradigma newtoniano fu il tentativo, in gran parte riuscito, di conquistare e di annettersi le discipline conoscitive che si occupavano della realtà storico-sociale dell’uomo, tradizionalmente legate a modelli conoscitivi di stampo metafisico o retorico antitetici a quelli delle scienze naturali. Nel corso dell’Ottocento, infatti, sotto la spinta del positivismo, nacquero la sociologia, la storia e la psicologia come scienze sperimentali, basate cioè sugli stessi presupposti e sullo stesso metodo delle scienze naturali e in particolare della fisica meccanica. Il sintomo più emblematico di questa impostazione fu la definizione della sociologia come “fisica sociale” e la sua divisione in “statica” e “dinamica” ad opera di August Comte (1798-1857). Ma anche in questo ambito, alla fine del secolo, il paradigma meccanicistico venne messo in discussione sia dai progressi della ricerca sia dallo sviluppo della riflessione metodologica. Nell’area delle discipline storico-sociali la reazione critica alla fisica sociale è rappresentata dallo storicismo tedesco, e in particolare da Max Weber (1881-1961), il quale da un lato accettò pienamente l’identità tra scienze della natura e scienze umane sul piano logico-metodologico, dall’altro ne evidenziò i limiti elaborando un modello di scienza decisamente divergente da quello della fisica newtoniana. Innanzitutto, per Weber, la scienza storico-sociale per principio non può indagare tutti i fatti, ma deve selezionarli sulla base di criteri valutativi che sono del tutto soggettivi. Essa mantiene una universalità-in quanto l’indagine deve essere condotta rispettando precise regole logico-metodologiche-ma tale universalità è sempre limitata e prospettica. Dunque è possibile una compresenza di più indagini scientifiche relative a una stessa realtà storica con risultati diversi e perfino antitetici.
In secondo luogo, poiché i criteri di selezione del campo d’indagine sono valori storici che cambiano nel tempo, la conoscenza storico-sociale non può mai essere definitiva, ma è destinata a un perenne mutamento.
In terzo luogo, anche la regola fondamentale di tutte le scienze - la spiegazione causale - per Weber deve essere ridefinita poiché non esistono fatti assolutamente oggettivi, ma essi sono sempre connessi a una teoria. Di conseguenza il rapporto di causalità ha un fondo interpretativo ineliminabile e non può essere concepito come una connessione necessaria, ma solo come una possibilità oggettiva. Su queste basi Weber giunse ad asserire che le stesse regole logico-metodologiche della scienza sono relative a un determinato contesto storico-culturale e come tali sono destinate a mutare nel tempo. In questo modo Weber, partendo da una riflessione critico-metodologica sulle scienze storico-sociali, giunse a elaborare una concezione della scienza come sapere limitato, probabilistico, pluralistico e in perenne evoluzione, molto vicina a quella cui sarebbe pervenuto a metà del Novecento il dibattito epistemologico sulle scienze naturali. Vedi, sul manuale di filosofia, i saggi metodologici scritti tra il 1904 e il 1917, raccolti in Il metodo delle scienze storico-sociali (1958). Qui Weber sostiene l’inapplicabilità del paradigma newtoniano alla conoscenza della realtà storico-sociale. Ma ancora più dirompente fu l’effetto arrecato, nell’ambito delle discipline psicologiche, dall’irruzione della psicanalisi di Sigmund Freud (1856-1939). L’affermazione del paradigma meccanicistico in psicologia aveva portato gli scienziati a un riduzionismo materialistico radicale, di cui fu emblema la tesi del positivista Kurt Vogt secondo cui il pensiero è una secrezione del cervello come la bile del fegato. Certo Vogt costituiva un caso-limite, ma l’indirizzo scientifico, largamente dominante in ambito psicologico, ne condivideva completamente la concezione organicistica, secondo la quale ogni fenomeno psichico doveva essere ricondotto a una causa fisica. Fin dai suoi primi studi sull’isteria, Freud, che pure era un medico di formazione positivista, cominciò a rovesciare questo assunto sostenendo una eziologia psichica dei disturbi della personalità e quindi l’autonomia della sfera psichica rispetto a quella somatica. Ma la vera rivoluzione avvenne quando Freud arrivò alla scoperta dell’inconscio come fondamento di tutta la psiche umana, facendo crollare il presupposto secolare della psicologia secondo cui la sfera dello psichico si identificava con quella della coscienza. Questa, inoltre, non solo veniva ridimensionata da totalità a piccola parte della psiche, ma soprattutto era drasticamente depotenziata in quanto epifenomeno dell’inconscio. In questo modo, la psicanalisi freudiana colpiva al cuore la concezione tradizionale della razionalità sia relativamente al suo merito sia relativamente al suo metodo, in quanto, da un lato, il primato dell’inconscio metteva in discussione l’autonomia della ragione umana, dall’altro perché, mentre tutta la metodologia scientifica si fondava sul presupposto della razionalità del proprio oggetto, la psicoanalisi si proponeva come scienza di un oggetto in sé irrazionale. In questo senso il metodo scientifico messo a punto da Freud, basato com’era sul presupposto del transfert personale del paziente verso lo psicanalista e sull’interpretazione simbolica dei sogni, degli atti mancati e delle libere associazioni, risultava decisamente eretico rispetto alla metodologia consolidata sia delle scienze naturali sia delle scienze umane. Vedi sul manuale di filosofia l’opera L’interpretazione dei sogni (1900), di Freud, in cui l’interpretazione simbolica, tradizionalmente considerata estranea alla scienza, assurge al ruolo di metodo scientifico della psicologia del profondo.
La crisi della fisica. Nel campo della fisica, la crisi del paradigma newtoniano cominciò nel 1873 con l’elaborazione della teoria elettromagnetica da parte di James Clerk Maxwell (1831-1879). Le equazioni con cui Maxwell descriveva e unificava i fenomeni elettromagnetici, infatti, risultavano in contrasto con il principio classico della relatività galileiana: mentre per la meccanica due osservatori in movimento l’uno rispetto all’altro "vedono" lo stesso fenomeno-in quanto attraverso le formule delle trasformazioni galileiane è possibile unificare la descrizione di un osservatore immobile con quella di un osservatore in moto rettilineo uniforme-ciò non risultava valido per l’elettromagnetismo, le cui equazioni sono modificate dalle trasformazioni galileiane rendendo impossibile l’unificazione delle descrizioni di due diversi osservatori. Ne conseguiva il paradosso che un fenomeno elettrico, a differenza di uno meccanico, doveva essere descritto in due modi diversi a seconda della condizione dell’osservatore. L’anomalia fu brillantemente risolta da Hendrik Antoon Lorentz (1853-1928), che elaborò le nuove formule di trasformazione applicabili alle equazioni di Maxwell. Ma le trasformazioni di Lorentz, ineccepibili dal punto di vista matematico, comportavano sul piano fisico delle anomalie ben più gravi di quella che avevano risolto. Esse infatti implicano che per un osservatore di un sistema in movimento la lunghezza dei corpi si contragga nella direzione del moto e gli intervalli di tempo si dilatino. Furono queste anomalie che nel 1905 spinsero Albert Einstein (1879-1955) alla formulazione della prima teoria della relatività, detta ristretta o speciale perché valida solo per il moto rettilineo uniforme. Einstein basò la sua teoria sul postulato della costanza della velocità della luce per qualunque osservatore, scardinando il principio-fino allora considerato autoevidente-secondo cui la velocità di un corpo varia a seconda che l’osservatore si muova nella sua stessa direzione, in direzione contraria o stia fermo. Ne derivava una rivoluzione nella concezione classica dello spazio e del tempo in quanto questi non potevano più essere concepiti né come assoluti, in quanto variabili in relazione al movimento, né come indipendenti uno dall’altro. Inoltre la legge che coronava la teoria della relatività-E=mc2-identificando materia ed energia, faceva venire meno una distinzione fondamentale della fisica classica mettendone in crisi la concezione della materia. La rivoluzione della relatività ristretta fu poi radicalizzata, nel 1916, dalla teoria della relatività generale o allargata che, includendo anche il moto accelerato, rappresentava una nuova teoria globale della gravitazione universale alternativa a quella newtoniana. Con essa Einstein spiegava il movimento dei pianeti intorno al Sole non più come l’effetto di una forza attrattiva bensì della curvatura dello spazio prodotta dalla massa. La nuova concezione di uno spazio curvilineo legittimava pienamente anche dal punto di vista fisico le geometrie non-euclidee, che divennero la geometria di riferimento della nuova fisica relativistica. Vedi sul manuale di filosofia e su quello di fisica le parti relative alla teoria della relatività di Einstein, che divenne il nuovo paradigma scientifico nell’ambito della fisica macroscopica. Mentre Einstein elaborava la sua rivoluzione scientifica a livello della fisica macroscopica, una rivoluzione ancora più radicale si andava compiendo nella fisica microscopica. Essa prese l’avvio da un’anomalia rispetto alle leggi della termodinamica classica mostrata dai fenomeni di interazione tra la materia e le radiazioni. L’anomalia venne spiegata nel 1900 da Max Planck (1858-1947) con l’elaborazione della teoria dei "quanti", secondo la quale l’energia delle radiazioni non viene emessa o assorbita dalla materia per valori continui ma solo per multipli interi di una certa quantità, data dal prodotto della frequenza della radiazione per una costante, detta di Planck. La teoria quantistica fu applicata nel 1913 da Niels Bohr (1885-1962) alla descrizione dei fenomeni subatomici e in particolare del movimento degli elettroni, scoperti nel 1897. Il modello di Bohr si rivelò efficace ma al prezzo di sovvertire le leggi della meccanica classica, dal momento che stabiliva che gli elettroni possono percorrere solo alcune orbite-dette stazionarie-intorno al nucleo e che possono spostarsi da un’orbita stazionaria all’altra senza però passare per le orbite intermedie. Era il cosiddetto "salto quantico" che fece crollare la millenaria convinzione nella continuità dei fenomeni naturali. Dopo le prime conferme sperimentali, tra il 1924 e il 1927 la comunità scientifica mise a punto il nuovo paradigma scientifico della meccanica quantistica che comportava altre radicali rotture con la meccanica classica. In primo luogo il comportamento degli elettroni non risultava prevedibile in modo deterministico ma solo in termini probabilistici su basi statistiche. L’irregolarità del movimento degli elettroni fu spiegata nel 1927 da Werner Heisenberg (1901-1976) con il principio di indeterminazione, in base al quale non è possibile stabilire contemporaneamente sia la posizione sia la velocità di un elettrone, in quanto l’energia luminosa necessaria per rilevarle interagisce quantisticamente con l’elettrone in modo tale che, se si vuole ridurre l’interferenza rispetto alla posizione, si aumenta quella relativa alla velocità, e viceversa. Heisenberg negava la possibilità di determinare il comportamento dell’elettrone, dal momento che per farlo occorre conoscerne nello stesso tempo sia la velocità sia la posizione. Ma non era ancora tutto. Sempre nel 1927, Bohr formulò il principio di complementarità, secondo il quale il comportamento di un elettrone può essere descritto sia attraverso il concetto di corpuscolo sia attraverso quello di onda, sebbene non nello stesso contesto sperimentale. Il principio di Bohr rifletteva i risultati di numerosi esperimenti nei quali gli elettroni avevano mostrato in alcuni casi caratteristiche corpuscolari e in altri caratteristiche ondulatorie. Esso costituiva una radicale rottura con la concezione classica secondo cui l’oggetto, in quanto materiale, aveva una natura stabile e univoca. In questo modo la fisica quantistica sconvolse il modello di razionalità della scienza classica in modo ben più radicale della fisica relativistica di Einstein. Questi infatti, nonostante le sue forti innovazioni, non aveva mai abbandonato la convinzione in un ordine deterministico del cosmo-espressa nella sua famosa sentenza “Dio non gioca a dadi”-e infatti spiegò le anomalie della fisica quantistica come conseguenze dei difetti e dell’incompletezza della teoria. La successiva ricerca però da un lato ha ulteriormente confermato la precisione della teoria quantistica e dall’altro non è riuscita a elaborare una teoria capace di superare la frattura tra i fenomeni macroscopici e quelli microscopici. Pertanto il risultato più clamoroso della Seconda rivoluzione scientifica fu l’introduzione nella fisica di un dualismo di paradigmi, dal momento che al paradigma newtoniano non si è sostituito un unico nuovo paradigma, ma due paradigmi incompatibili tra loro, quello della relatività per la fisica delle grandezze macroscopiche e quello quantistico per la fisica delle grandezze microscopiche. Vedi sul manuale di filosofia e su quello di fisica le parti relative alla teoria quantistica, che divenne il nuovo paradigma scientifico della fisica delle particelle subatomiche.
Conclusione. L’evoluzione della ricerca, al livello delle scienze matematiche, delle scienze umane e della fisica, ebbe dunque un esito comune: quello di rovesciare il modello ottocentesco della razionalità scientifica. Ad esso si è sostituito un nuovo modello, radicalmente diverso, che ha rimesso in discussione la concezione stessa della materia, ha sostituito il determinismo con il probabilismo, ha accettato la pluralità e la libertà dei metodi delle diverse scienze, ha ammesso la provvisorietà delle teorie scientifiche e più in generale ha riconosciuto il carattere problematico e limitato della conoscenza scientifica.
La scienza è in crisi: fallito il 70% dei test di riproducibilità, scrive domenica 30 luglio 2017 "Imola Oggi" e il 10-08-2017 su “Il Cambiamento”. La scienza è in crisi: i ricercatori non sanno più riprodurre e confermare molti degli esperimenti moderni. “Non prendiamo neppure sul serio le nostre proprie osservazioni, né le accettiamo come osservazioni scientifiche, finché non le abbiamo ripetute e controllate”. Karl Popper. Per la scienza un esperimento deve dare lo stesso risultato anche se condotto da persone diverse in luoghi differenti. Ma cosa succederebbe se di colpo ci rendessimo conto che la maggior parte degli esperimenti su cui ci si basa per sviluppare nuove ricerche e nuovi farmaci non fossero riproducibili? Non è l’inizio di un libro di fantascienza, questa è la pura realtà. Recentemente Nature, una delle più prestigiose riviste scientifiche al mondo, ha pubblicato un articolo nel quale si è dimostrato come più del 70% delle ricerche scientifiche prese in esame avesse fallito i test di riproducibilità1; nonostante ciò sono state pubblicate, diffuse e citate da altri ricercatori come base delle loro nuove ricerche. Dei 1576 scienziati intervistati non solo più di due terzi ha provato e fallito nel riprodurre l’esperimento di un collega, ma più di metà di loro hanno fallito nel riprodurre i loro stessi esperimenti. Prima di giudicare però bisognerebbe considerare che “con l’evoluzione della scienza diventa sempre più difficile replicare un esperimento perchè le tecniche e i reagenti sono sempre più sofisticati, dispendiosi in tempo per la loro preparazione e difficili da insegnare”, spiega Mina Bissel, una delle ricercatrici americane più premiate per le sue innovative ricerche in oncologia. La cosa migliore, continua la Bissel, “sarebbe quella di contattare direttamente il collega, se necessario incontrarsi e cercare assieme di capire come mai non si riesca a riprodurre l’esperimento. Risolvere quindi il problema amichevolmente”.
Anche l’industria farmaceutica si ferma di fronte alla non riproducibilità degli esperimenti. Nel 2011 Glenn Begley, ai tempi direttore del dipartimento di oncologia medica della Amgen, una delle più grosse multinazionali di biotecnologie, aveva deciso prima di procedere con nuovi e costosi esperimenti, di replicare i 53 lavori scientifici considerati come fondamentali su cui si sarebbero basate le future ricerche della Amgen in oncologia. Risultato? Non fu in grado di replicare 47 su 53, ossia l’89%. Se vogliamo scriverlo in altro modo possiamo dire che solo l’11% degli esperimenti scientifici considerati come pietre miliari in quel settore di ricerca, erano riproducibili. “Rimasi scioccato – racconta Begley – si trattava di studi su cui si affidano tutte le industrie farmaceutiche per identificare nuovi target nello sviluppo di farmaci innovativi. Ma se tu stai per investire 1 milione, 2 milioni o 5 milioni scommettendo su un’osservazione hai bisogno di essere sicuro. Così abbiamo provato a riprodurre questi lavori pubblicati e ci siamo convinti che non puoi prendere più nulla per quello che sembra”. Per cercare di calmare le acque il premio Nobel Philip Sharp è intervenuto spiegando come “una cellula tumorale può rispondere in modi diversi a seconda delle differenti condizioni sperimentali. Penso che molta della variabilità nella riproducibilità possa venire da qui”. Per escludere ogni tipo di errore nella riproduzione delle condizioni sperimentali, spesso dovuti a problemi di manualità o di utilizzo di specifici reagenti, Bagely ed il suo team le hanno provate tutte a partire dall’incontrare direttamente gli autori degli studi originali, racconta “abbiamo ripercorso i lavori pubblicati linea per linea, figura per figura, abbiamo rifatto gli esperimenti per 50 volte senza riuscire a riprodurre quei risultati. Alla fine l’autore originale ci ha detto che lo aveva ripetuto sei volte ma gli era riuscito una volta sola e poi ha pubblicato nell’articolo scientifico solo i dati relativi a quella volta sola.”
Così si stanno investendo soldi su fallimenti annunciati. Se un esperimento che riesce solo una volta vi venisse proposto come la base per investire milioni di dollari in ricerca e produrre un nuovo farmaco, voi investireste tutti quei soldi? E’ la domanda che si sono posti Leonard Freedman del Global Biological Standard Institute di Washington, Iain Cockburn e Timothy Simcoe della Boston University School of Management. In una recente ricerca hanno stimato che ogni anno il governo americano spende 28 miliardi di dollari in lavori scientifici non riproducibili. “Non vogliamo dire – spiega Freedman – che siano soldi buttati, in qualche modo contribuiscono all’evoluzione della scienza, si può però dire con certezza che dal punto di vista economico il sistema attuale della ricerca scientifica è un sistema estremamente inefficiente”. Non è forse un caso quindi che i primi a far emergere il problema della riproducibilità siano ricercatori che lavorano presso multinazionali, sicuramente più attenti al bilancio e alla resa dell’investimento. Forse è grazie a ciò che la lista degli illustri ricercatori che denunciano questo “corto circuito” è in continua crescita.
Il dott. il dott. Khusru Asadullah, alto dirigente della Bayer, ha dichiarato come i ricercatori della multinazionale tedesca non erano riusciti a replicare più del 65% degli esperimenti su cui stavano lavorando per portare avanti nuove ricerche. Anche il prof. George Robertson della Dalhouise University in Nova Scozia racconta di quando lavorava per l’azienda Merck sulle malattie neuro-degenerative e si erano accorti che molti lavori scientifici accademici non reggevano alla prova della riproducibilità.
Alla ricerca delle cause di questa crisi della scienza. La scienza è in crisi: non lo si vuole ancora ammettere pubblicamente ma è tempo che si inizi a stimolare un dibattito. Tra le cause di questa “crisi di riproducibilità” sicuramente ci sono le tematiche tecniche descritte dalla Bissel, ci sono però anche aspetti più umani quali il bisogno degli scienziati di pubblicare per far carriera e ricevere finanziamenti, a volte i loro stessi contratti di lavoro sono vincolati al numero di pubblicazioni che riescono a fare, come racconta Ferric Fang, dell’Università di Washington “il biglietto più sicuro per prendere un finanziamento o un lavoro è quello di venir pubblicato su una rivista scientifica di alto profilo. Questo è qualcosa di poco sano che può condurre gli scienziati a cercare notizie sensazionalistiche o in alcune volte ad assumere comportamenti disonesti”. In maniera ancora più diretta interviene la professoressa Ken Kaitin, direttrice del Tufts Center for the Study of the Drug Develompment che afferma “Se puoi scrivere un articolo che possa essere pubblicato non ci pensi nemmeno al tema della riproducibilità, fai un’osservazione e vai avanti. Non c’è nessun incentivo per capire se l’osservazione originale fosse per caso sbagliata. “
Un Sistema, quello della ricerca accademica, che sta evidentemente trascinando la Scienza verso una crisi di identità e di credibilità. Nel 2009 il prof. Daniele Fanelli, dell’Università di Edimburgo, ha realizzato e pubblicato uno studio dal titolo emblematico: “Quanti scienziati falsificano i dati e fabbricano ad hoc le ricerche?” Quasi il 14% degli scienziati intervistati ha affermato di conoscere colleghi che hanno totalmente inventato dei dati, ed il 34% ha affermato di aver appositamente selezionato i dati per far emergere i risultati che gli interessavano. A giugno 2017 il prof. Jonathan Kimmelmann, direttore del Biomedical Ethics Unit presso la McGill University di Montreal ha pubblicato un nuovo studio che conferma questa crisi di riproducibilità e cerca di mettere in luce su alcune delle principali cause quali la variabilità dei materiali di laboratorio, problemi legati alla complessità delle procedure sperimentali, la scarsa organizzazione nel team di ricerca, e la poca capacità di analisi critica.
Né le università né le riviste scientifiche sono interessate agli studi di riproducibilità. E’ inoltre necessario considerare che il sistema accademico non premia per niente chi fa studi di riproducibilità, sono tempo e soldi buttati via dal punto di vista delle “performance produttive” del gruppo di ricerca. Le stesse riviste scientifiche non sono un gran che interessate a pubblicare ricerche che dimostrano la non riproducibilità di un precedente lavoro pubblicato, preferiscono pubblicare ricerche innovative o risultati sorprendenti e così ecco com’è facile far sparire le notizie dei fallimenti delle repliche. In ultima analisi bisogna tenere a mente che oggi ci sono ricerche tanto specifiche che solo pochi esperti le possono capire e valutare; in questo modo si sterilizza l’attività di peer review (ossia il lavoro di revisione dello studio scientifico da parte di esperti così da poter decidere se pubblicarlo, chiedere chiarimenti o respingerlo). In alcuni casi c’è il grosso rischio che le riviste scientifiche pubblicano quasi alla cieca, del tipo: non ho capito di cosa stai parlando però mi sembra tutto serio e ben fatto, tu hai una buona reputazione, quindi lo pubblico. “Non per questo adesso bisogna pensare che tutti gli studi scientifici siano inaffidabili – afferma Andrea Pensotti, direttore dell’Interdisciplinary Life Science Institute – bisogna avere la forza di fare una seria autocritica nel mondo della scienza senza cadere nell’eccesso opposto della “caccia alle streghe” che porterebbe ad una grave crisi di credibilità non solo verso la popolazione generale ma anche verso gli stessi medici e tra colleghi ricercatori.” La storia della Scienza ci ha sempre raccontato di un’evoluzione che passa attraverso grosse crisi: dalla messa in dubbio del sistema geocentrico fino all’introduzione della fisica quantistica. Il bello della scienza è sempre stato quello di saper mettersi in crisi ed uscirne più bella di prima e spesso queste grandi rivoluzioni non necessitano di grossi finanziamenti ma solo di genuini lampi di genio ed onestà.
“Mettere il dito nella piaga di questa crisi di credibilità è di vitale importanza per noi che lavoriamo sull’interdisciplinarità, la necessità di integrare diverse discipline richiede più che mai un chiaro confronto e fa emergere con maggior facilità eventuali incongruenze – spiega Andrea Pensotti in occasione del congresso mondiale di studi sulla Coscienza tenutosi a San Diego assieme al linguista Noam Chomsky – per anni la scienza si è concentrata sull’analisi dei “singoli pezzi” della natura, l’ha sezionata alla ricerca degli ingranaggi primordiali. E’ ora necessario riscoprire la capacità di collegare i singoli pezzi studiati e comprendere meglio il senso di quei processi che guidano l’organizzazione e l’evoluzione della materia vivente. Bisogna tornare alla semplificazione dei concetti, passare da una sintattica della vita ad una semantica della vita”.
LA SCIENZA.
Scienza. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Per scienza si intende un sistema di conoscenze ottenute attraverso un'attività di ricerca prevalentemente organizzata e con procedimenti metodici e rigorosi, allo scopo di giungere ad una descrizione, verosimile, oggettiva e con carattere predittivo, della realtà e delle leggi che regolano l'occorrenza dei fenomeni. La scienza moderna si sviluppa in modo particolare a partire dalla rivoluzione scientifica del XVI secolo con l'accumulo di conoscenze nei più svariati ambiti del sapere. La storia della scienza descrive il loro sviluppo nel tempo. L'insegnamento della scienza e la ricerca scientifica vengono praticati non solo nelle università, ma anche in istituti, enti di ricerca e imprese. Vi sono solide vocazioni accademiche, ma anche amatori che si dedicano soprattutto all'osservazione scientifica.
La parola scienza deriva dal latino scientia, che significa conoscenza. Fin dall'Illuminismo questa parola (e la sua origine latina) aveva il significato di qualsiasi sistematica o esatta registrazione della conoscenza. Di conseguenza la scienza, a quel tempo, aveva lo stesso tipo di significato dato alla filosofia, nel senso più ampio del termine. Per esempio si distingueva tra scienze naturali e scienze morali; in queste ultime si comprendeva anche la filosofia, e questo si rifletteva nella distinzione tra filosofia naturale e filosofia morale. Dal positivismo, scienza, nel senso stretto del termine, indica tutte quelle discipline che chiamiamo scienze naturali e che portano in definitiva ad acquisizioni concettuali che risultano essere sia ben determinabili sia direttamente verificabili o falsificabili per mezzo di appositi esperimenti empirici, ma questo non toglie che anche discipline di diversa specie, le cosiddette umane piuttosto che sociali, possano pacificamente essere considerate parimenti delle scienze, avendo elaborato propri metodi da applicare anche in questo caso alla realtà empirica per poter confermare o meno determinate ipotesi sul funzionamento del mondo circostante, con lo scopo dunque di portare ad un accrescimento oggettivo dello scibile umano.
L'interesse dell'uomo verso la comprensione dei fenomeni naturali nel mondo fisico va di pari passo con la storia stessa dell'uomo essendo infatti esistito sin dai tempi remoti preistorici con le scoperte primitive e sviluppatosi via via nel corso dei secoli a partire dalle civiltà del mondo antico (Greca, Romana, Egizia, Mesopotamica ecc...) con la cosiddetta filosofia naturale. Riflessioni sulla storia, sul senso, sulla validità e sulla portata delle conoscenze scientifiche sono espresse all'interno della filosofia della scienza. Platone sostenne che la scienza fosse più valida delle rette opinioni perché legava queste ultime con ragionamenti causali, cioè retti dal principio di causa-effetto. Aristotele elaborò una teoria più articolata secondo la quale la scienza è conoscenza dimostrativa, cioè si conosce la causa di un oggetto, per la quale l'oggetto non può essere diverso da come è. Secondo gli Stoici, la scienza era la comprensione sicura, certa, immutabile, basata sulla ragione. Riflessioni filosofiche sul metodo più consono da utilizzare e in generale sulla conoscenza empirica si hanno in tutto il Medioevo, sia in Occidente che in Oriente, trovando sbocco nel Rinascimento prima e poi definitivamente nel Seicento con la Rivoluzione scientifica e la formulazione ufficiale, del metodo scientifico, da parte di Galileo Galilei che pose le "dimostrazioni necessarie" sullo stesso piano delle "sensate esperienze". L'ideale geometrico della scienza dominò poi il pensiero di Cartesio e Isaac Newton stabilì il concetto descrittivo della scienza contrapponendo il "metodo dell'analisi" al "metodo della sintesi". L'empirismo esalterà poi il valore assoluto delle conoscenze empiriche aprendo la strada verso la scienza moderna attraverso gli effetti socio-economici delle rivoluzioni industriali e il pensiero positivista. Claude Bernard enunciò che la semplice constatazione dei fatti non poteva mai costituire da sola una scienza; per istruirsi bisognava ragionare sulle osservazioni, paragonare i fatti e giudicarli con altri fatti aventi la funzione di controllo. Uno degli ultimi paradigmi è quello dello stabilimento di leggi scientifiche, comprendendo la natura delle leggi e il modo di stabilirle.
Le regole che governano il procedimento di acquisizione di conoscenze scientifiche sono generalmente conosciute come metodo scientifico. Gli elementi chiave del metodo scientifico sono l'osservazione sperimentale di un evento naturale, la formulazione di un'ipotesi generale sotto cui questo evento si verifichi e la possibilità di controllo dell'ipotesi mediante osservazioni successive, dirette in natura o attraverso la riproducibilità tramite esperimenti in laboratorio. Uno degli elementi essenziali affinché un complesso (limitato o meno) di conoscenze possa essere ritenuto scientifico, come noto nell'ambito dell'epistemologia e della filosofia della scienza, è la sua possibilità di essere verificabile e falsificabile mediante un'opportuna procedura. Inoltre la scienza si propone spesso di pervenire a una conoscenza sia qualitativa che quantitativa dei fenomeni osservati estrapolando teorie interpretative dei fenomeni aventi capacità predittive. Questo processo consente il raggiungimento di un corpo di conoscenze in qualche modo oggettivo, ovvero verificabile in modo indipendente da parte di persone diverse. Inoltre la scienza è tendenzialmente cumulativa, ovvero ciascuna scoperta, una volta verificata, si aggiunge solitamente alle precedenti senza rigettarle completamente, fornendo teorie di validità più generale che ricomprendono le precedenti come caso particolare. In senso più largo si è tentato di applicare il metodo scientifico anche alle cosiddette scienze umane (ad esempio psicologia, sociologia, storia, diritto e scienze politiche) incontrando però difficoltà nella sua applicazione, fra cui la riproducibilità del fenomeno osservato. Ciò nonostante anch'esse possono essere definite a buon diritto scienze intese come sistema di conoscenze. È invalsa però al riguardo la distinzione o dicotomia tra scienze dure, ritenute spesso scienze esatte, come ad esempio le scienze sperimentali e quelle applicate, e scienze molli. La scienza è strettamente legata alla tecnica e alla tecnologia dal momento che le conoscenze scientifiche sono prese a prestito dalle scienze applicate per la progettazione e realizzazione di oggetti, strumenti, opere e infrastrutture; viceversa la tecnica offre alla scienza strumenti di indagine scientifica (strumenti di misura e osservazione) sempre più avanzati, che consentono l'evoluzione delle conoscenze scientifiche. Scienza e tecnica sono dunque fattori indissolubili di parte del progresso della società noto come progresso tecnico e scientifico.
Lo scopo ultimo della scienza è la comprensione e la modellizzazione della natura al fine di potere prevedere lo sviluppo di uno o più fenomeni. Ogni teoria scientifica sviluppa un modello che permette la rappresentazione matematica o, più in generale, razionale del fenomeno, al fine di potere fare delle previsioni. Esistono inoltre casi in cui lo sviluppo di un modello in un certo ramo della scienza può facilitare lo sviluppo di altri modelli in altri rami della scienza senza che questi siano necessariamente legati. Nonostante le aspettative che si ripongono sulla scienza, compresi gli atteggiamenti scientisti, il suo obiettivo non è dare una risposta a qualsiasi domanda dell'uomo, né una soluzione a qualsiasi suo problema, ma solo a quelli pertinenti alle leggi che regolano le manifestazioni della realtà fisica, rimanendo estranea a qualsiasi problematica di tipo metafisico, ritenuta oltre i limiti possibili della conoscenza umana. Inoltre è importante la scelta di quali siano gli interrogativi ai quali la scienza debba rispondere. La scienza inoltre non è in grado di dimostrare, né produrre, verità assolute, ma solo verosimiglianze, tramite la verifica coerente delle ipotesi sui diversi aspetti del mondo fisico; quando sia necessario, si rimette in discussione, rivedendo le sue teorie alla luce di nuovi dati e osservazioni. Non ha la presunzione di descrivere in termini assoluti come la natura è, ma trae solo delle conclusioni in base all'osservazione della natura. Per esempio, lo sviluppo della meccanica quantistica agli inizi del XX secolo mostra che l'osservazione non è indipendente dagli eventi, e la scoperta della dualismo onda-particella ha modificato l'idea tradizionale sulla natura della luce e della materia.
Nel linguaggio tecnico-scientifico contemporaneo termini come ipotesi, modello, teoria scientifica e legge hanno un preciso significato:
un'ipotesi è un assunto non ancora supportato da verifiche sperimentali;
un modello è un'astrazione utile a fare delle previsioni sull'occorrenza di un fenomeno, che possono essere verificate mediante esperimenti e osservazioni;
una teoria è la spiegazione di un fenomeno che ha basi sperimentali così solide da poter essere assimilata a un fatto. Ciononostante vi sono eccezioni: nel caso della teoria delle stringhe, che corrisponde a un modello fisico estremamente utile, ci si trova di fronte a una teoria non ancora sostenuta da tali evidenze da poter essere ritenuta superiore ad analoghi modelli in competizione;
una legge è una generalizzazione che ha valore assoluto nel suo ambito di applicazione.
Le teorie che nel tempo superano diverse verifiche sono considerate "dimostrate" in senso scientifico, ossia sono considerate modelli verosimili della realtà. Tali teorie possono comunque essere smentite (falsificate in gergo scientifico) in qualsiasi momento da un'osservazione in contrasto con esse, comprese quelle fino ad allora universalmente accettate e sostenute da molte osservazioni e dati sperimentali. Le teorie scientifiche sono sempre aperte a revisioni, nel caso che nuove evidenze contraddicano le loro previsioni. La scienza non pretende di avere la conoscenza assoluta e definitiva di tutti i fenomeni, e persino i fondamenti di una teoria possono essere inficiati, se dati e osservazioni nuovi contraddicono quelli precedenti (falsificabilità di Popper).
La legge di gravitazione di Newton è un buon esempio di come la scienza evolva tramite quella che Popper definisce la falsificazione di una teoria. In condizioni di alta velocità e in presenza di forti campi gravitazionali la teoria newtoniana non riesce a descrivere correttamente i fenomeni osservati, nonostante che al di fuori di tali condizioni riesca a fornire previsioni valide. È quindi stato necessario introdurre il concetto di relatività e sviluppare una teoria rivoluzionaria al fine di comprendere tali fenomeni. Siccome la legge della relatività generale descrive anche i fenomeni compresi nella legge di Newton, essa è considerata una teoria migliore rispetto a quella newtoniana per descrivere la legge di gravitazione. Lo sviluppo di nuove leggi e teorie è principalmente basato sull'acquisizione di dati più precisi. Come detto sopra, la legge della gravitazione di Newton è valida entro certi limiti e la si può quindi pensare come un'approssimazione di una legge più complessa. Tutte le nuove leggi o teorie sono sviluppate per comprendere i fenomeni non descritti dalle leggi o teorie precedenti, ma devono continuare a spiegare anche i fenomeni descritti dalle teorie precedenti. Per esempio la relatività generale deve ritrovare gli stessi valori della legge di gravitazione per condizioni di velocità basse e campi gravitazionali deboli. Il progresso della scienza è quindi tendenzialmente cumulativo: anche se nuove teorie dovessero rivoluzionarne le basi, le conoscenze acquisite fino ad allora potrebbero restare valide nel loro dominio.
A volte le nuove teorie inglobano le vecchie teorie come loro caso particolare, in un processo diretto a una sempre più ampia conoscenza del mondo fisico. In altri termini, le nuove teorie possono essere formulazioni più complete e raffinate delle vecchie, e per questa ragione descrivere fenomeni che le precedenti formulazioni non riuscivano a spiegare.
Le discipline scientifiche sono comunemente suddivise in due gruppi principali: scienze naturali, che studiano i fenomeni naturali (compresa la vita umana) e le scienze sociali, che studiano il comportamento umano e la società. Questi raggruppamenti descrivono le scienze empiriche, cioè l'insieme delle scienze che basano le proprie conoscenze su fenomeni che devono essere osservabili e in grado di essere sottoposti a prove di validità da altri ricercatori che operino nelle stesse condizioni. Vi sono anche discipline correlate e che vengono catalogate come scienze interdisciplinari e scienze applicate, su cui si basano ulteriori discipline come l'ingegneria e la medicina. Nell'ambito di queste discipline correlate, esistono campi scientifici specialistici che possono includere parti di altre discipline scientifiche, ma spesso possiedono una propria nomenclatura e competenze.
La matematica, che è classificata insieme alle scienze che impiegano un sistema formale, ha punti di contatto e nello stesso tempo differenze con le scienze empiriche (le scienze naturali e sociali). È simile alle scienze empiriche in quanto prevede uno studio obiettivo, attento e sistematico di un'area del sapere; differisce perché adotta un metodo di verifica delle proprie conoscenze, utilizzando una logica a priori piuttosto che metodi empirici. Le scienze che impiegano un sistema formale, tra cui la statistica e la logica, sono vitali per le scienze empiriche. Grandi progressi nelle scienze che adottano un sistema formale, hanno spesso portato a grandi progressi nelle scienze empiriche. Le scienze con un sistema formale sono essenziali nella formazione di ipotesi, teoria, e leggi, impiegate nella scoperta e descrizione di come avvengono i fenomeni (scienze naturali) e di come le persone pensano e agiscono (scienze sociali). Le definizione favorita di Bertrand Russell della matematica è: «un argomento del quale non sappiamo mai quello di cui stiamo parlando né se quello che diciamo sia giusto». La matematica nasce come strumento creato dall'uomo per l'analisi e lo studio (quantitativo) della natura. La sua capacità previsionale rispetto a certi fenomeni ha posto la questione se la natura stessa non sia governata dalla matematica e l'uomo, in quanto parte della natura, non faccia altro che esteriorizzare tale conoscenza intrinseca (filosofia della matematica). La questione può essere in parte risolta considerando che la ricerca scientifica si sviluppa per approssimazioni al fine di descrivere con sempre maggiore verosimiglianza i fenomeni osservati. Molto spesso si utilizzano tecniche di approssimazione (quali Serie di Taylor, serie di Fourier...) che permettono di trovare equazioni lineari e/o polinomiali che interpolino i dati osservati e, in prima approssimazione, molti fenomeni possono essere studiati entro limiti prefissati attraverso equazioni estremamente semplici, di primo o secondo grado (rette o quadratiche), pur essendo governati da leggi anche estremamente complesse. La matematica e la scienza si possono considerare distinte dalle osservazioni, le quali sono soggette alla variabilità delle misure, data dagli errori sistematici. La conoscenza della natura è quindi limitata dalla nostra capacità di misurarla. Applicando il metodo scientifico si analizzano le osservazioni e si derivano le formule matematiche che ne permettano la migliore descrizione: lo sviluppo di teorie scientifiche è basato sulla nostra capacità di analizzare i dati e a tale fine si sono sviluppate tecniche statistiche (funzioni di distribuzione) che permettono di ridurre l'incertezza dei dati e affinare le teorie a essi connesse. La matematica però non è un mero strumento della scienza. Come la ricerca pura non è subordinata alla ricerca applicata, così la matematica lo è alla scienza e si sviluppa indipendentemente da essa. Lo sviluppo delle geometrie non euclidee ha per esempio preparato lo studio della curvatura nella relatività generale.
La filosofia della scienza è una disciplina della filosofia che si sviluppa in modo parallelo allo sviluppo della scienza. La sociologia della scienza è invece una disciplina della sociologia che accompagna la filosofia della scienza. Le questioni filosofiche più generali correlate con la scienza sono di natura:
ontologica: se e in che senso si possa attribuire una realtà alle descrizioni scientifiche dei fenomeni e che tipo di cosmologia, cosmogonia e metafisica sia in accordo con tali descrizioni;
gnoseologica ed epistemologica: come la scienza può fornire delle conoscenze e a quali condizioni esse sono valide;
etica: le implicazioni morali della conoscenza scientifica e dell'uso delle tecnologie.
LA NASCITA DELLA SCIENZA.
L’origine della scienza è nel cristianesimo, scrive "UCCR". Le due grandi condizioni perché sia possibile l’esistenza della scienza sono, innanzitutto, che nell’universo regni l’ordine e non il caos e che le leggi regolatrici di quest’ordine siano intelligibili da parte dell’intelletto umano. Ma dove e quando nascono queste convinzioni sull’Universo? E perché soltanto nell’Europa cristiana si sviluppò il metodo scientifico? In questo dossier (continuamente aggiornato) affronteremo le risposte e scopriremo, facendoci guidare da eminenti storici della scienza, che all’origine della scienza moderna c’è la visione cristiana del mondo.
Il premio Nobel per la chimica, Melvin Calvin, scrisse negli anni ’60: «Nel cercare di discernere le origini della convinzione sull’ordine dell’universo, mi pare di trovarle in un concetto fondamentale scoperto duemila o tremila anni fa, ed enunciato per la prima volta nel mondo occidentale dagli antichi ebrei: ossia che l’universo è governato da un unico Dio e non è il prodotto dei capricci di molti dèi, ciascuno intento a governare il proprio settore in base alle proprie leggi. Questa visione monoteistica sembra essere il fondamento storico della scienza moderna» (M. Calvin, “Chemical Evolution”, Oxford 1969, pag. 258). Tutto infatti nasce con il monoteismo ebraico e con la Bibbia, in essa per la prima volta compare un elogio della scienza quando gli uomini vengono esortati da Dio ad accettare «la mia istruzione e non l’argento, la scienza anziché l’oro fino, perché la scienza vale più delle perle e nessuna cosa preziosa l’eguaglia» (Prv 8, 10-11), e si dice che «suo principio è il desiderio d’istruzione; la cura dell’istruzione è amore» (Sap 6, 17). Ma la cultura antica non riuscì a sviluppare una vero e proprio metodo scientifico, nelle società era ancora diffuso il concetto politeista e, soprattutto, il metodo aristotelico che -come vedremo dopo- impediva uno studio scientifico della realtà. Il cristianesimo, al contrario delle religioni animiste, pagane e politeiste, introdusse e diffuse un dogma fondamentale: crede in un Dio trascendente, che ha creato il mondo con un atto libero di volontà, che ha creato un mondo materiale, finito nel tempo e nello spazio, e, accanto a esso, una sola creatura spirituale, dotata d’anima, fatta a immagine e somiglianza di Dio: l’uomo. Da questo dogma di fede derivano almeno tra conseguenze molto importanti: 1) il mondo non venne più concepito come nel paganesimo, cioè come dio stesso, come un “grande animale”, una immensa creatura vivente abitata da spiriti della terra, dell’aria, del fuoco e delle acque, da ninfe, gnomi e folletti vari. Esso, al contrario, diventò come una “mundi machina”, secondo l’espressione di un vescovo francescano del XIII secolo, un grande meccanismo materiale costruito, come dice la Bibbia, secondo “numero, peso e misura”, con criteri matematici, da un Dio creatore. Come dicevano i cristiani medioevali, il mondo è la cattedrale edificata da Dio; 2) L’uomo è una creatura unica, libera, non sottoposta al volere degli astri, del Fato, della Necessità (si parla di antropocentrismo biblico). Egli non deve più ricorrere a amuleti, formule e scongiuri per scongiurare le forze spirituali che lo governano, non deve ricorrere a maghi e indovini per rabbonire con sacrifici le forze della natura; 3) La realtà materiale non è una prigione, non è l’origine del male come per Platone, gli gnostici e gli orientali, ma “cosa buona” come si ripete più volte nella Genesi. Questa visione del mondo ha cambiato la storia (da F. Agnoli, “Indagine sul cristianesimo”, Piemme 2010, p. 205,206). E’ grazie a questa visione di Dio, del cosmo e dell’uomo, che la scienza nasce nell’Europa cristiana grazie ad una visione razionale sulla natura, non più un pericoloso garbuglio di divinità dispotiche ma un insieme di “perfezioni visibili”, come scrive San Paolo, che manifestano la “perfezione visibile” del Logos creatore. Si apre così lo spazio per la legge fisica, per la contemplazione matematica dell’universo, già presente nella Bibbia e intuita da alcuni filosofi greci. Ma è la filosofia cristiana medievale a mettere proprio in luce l’armonia, l’ordine, la proporzione, cioè la razionalità, la logicità, dell’universo creato, che appare per loro scala verso Dio. Abbiamo conferme di ciò anche da incalliti oppositori del cristianesimo, come il chimico dell’Università di Oxford Peter Atkins (1940), che riconosce: «la scienza, il sistema di credenze fondato saldamente su conoscenze riproducibili e pubblicamente condivise, è emersa dalla religione» (P. Atkins, “The limitless power of science”, Oxford University Press 1995, pag. 125). Addirittura nel 1967 il movimento ecologista ricevette un grande impulso da un articolo intitolato “Radici storiche della nostra crisi ecologica”, redatto dallo storico medievalista Lynn White Jr., dove si accusava apertamente il cristianesimo di essersi imposto sul paganesimo, considerato molto più rispettoso della natura (divinizzandola), proprio tramite l’invenzione della scienza e delle tecniche moderne: «nella misura in cui la scienza e la tecnologia -sviluppatesi in una matrice cristiana occidentale- accordarono all’umanità dei poteri che oggi sfuggono dal suo controllo, non si potrebbe non riconoscere l’enorme colpa di una tale cristianità riguardo alla crisi ecologica» (L. White, citato in P.C. Beltrão, “Ecologia umana e valori etico-religiosi”, Pontificia Università Gregoriana 1986, pag. 11). Qui sotto vedremo più approfonditamente perché il metodo scientifico non riuscì a svilupparsi al di fuori della visione del mondo e della natura appena descritta, introdotta dal cristianesimo.
LA SCIENZA NON NASCE NELLA CULTURA GRECA E ANTICA. Chi identifica le radici della scienza moderna nell’Antica Grecia, ignora il fatto che per svilupparsi ha dovuto liberarsi dal concetto politeista e dal metodo aristotelico (dal IV secolo a.C.), dalla deduzione -e non dalla verifica- di come dovesse essere l’universo, partendo da principi fissi. Come ha scritto lo storico della scienza Bernard Cohen (1914-2003), infatti, «gli ellenistici erano interessati a spiegare il mondo naturale solo attraverso principi generali astratti» (Cohen, “La rivoluzione nella scienza”, Longanesi 1988). Le prime innovazioni tecniche, avvenute in epoca greco-romana, nel mondo islamico e in Cina, per non parlare di quelle ottenute nelle ere preistoriche, non costituirono una scienza ma possono essere meglio descritte come sapere, saggezza, arti, mestieri, tecniche, tecnologie, ingegneria, apprendimento o semplicemente conoscenza. Anche senza l’utilizzo dei telescopi, gli antichi eccellevano nelle osservazioni astronomiche, ma esse rimasero dei meri fatti fino a quando non furono collegate a teorie verificabili. Le conquiste intellettuali dei greci o dei filosofi orientali, erano frutto di un empirismo a-teorico, e le loro teorizzazioni non erano empiriche. Scrive lo storico della scienza Harold Dorn (1928–2011) dello Stevens Institute of Technology: «Il sapere greco esclusivamente ateorico fu una barriera per l’ascesa della vera scienza: non permise il progresso del mondo greco, di quello romano, nè del mondo islamico, dove si preservarono e studiarono con attenzione gli insegnamenti greci» (H. Dorn, “The Geography of science”, Hopkins University Press 1998). Ad esempio, Aristotele insegnava che la velocità alla quale un oggetto cade a terra è proporzionale al suo peso e, quindi, che una pietra che pesa il doppio di un’altra cadrà due volte più velocemente (Aristotele, “Il cielo”, Rusconi Libri 1999). Sarebbe bastato recarsi ad una delle vicine scogliere per constatare la falsità della sua proposizione. Mentre Socrate considerava l’empirismo e le osservazioni astronomiche una «perdita di tempo», Platone consigliava ai suoi studenti di «lasciar stare i cieli stellati» (citato in S. Mason, “Storia delle scienze della natura”, Feltrinelli 1971, pag. 104), mentre Democrito suggerì che tutta la materia era composta da atomi. Il suo suggerimento -casualmente corretto- era però una pura speculazione, non basata sull’osservazione e su implicazioni empiriche. Dal punto di vista del metodo scientifico, l’ipotesi di Democrito ha lo stesso valore di quella del suo contemporaneo Empedocle, il quale riteneva la materia fosse composta da fuoco, aria, acqua e terra. Un secolo dopo Aristotele affermò invece che invece doveva essere costituita da caldo, freddo, aridità, umidità e quintessenza. L’Universo, per i greci, era eterno, increato ma vincolato in infiniti cicli di progresso e decadenza. Un universo increato, anche se molti -come lo stesso Aristotele- presupponevano effettivamente un “dio” di infinita portata a guardia dell’universo, ma costui era percepito come un’essenza, molto simile al Tao, che conferiva un’autorità spirituale ma non certo un creatore. Nemmeno Zeus poteva essere il creatore di un universo razionale: anch’egli era soggetto agli inesorabili meccanismi ciclici naturali di ogni cosa. Aristotele stesso condannò come «impensabile» l’idea «che l’universo iniziò ad esistere da un certo punto nel tempo» (citato in Lindberg, “The beginning of Western Science”, University of Chicago Press 1992, pag. 54). Platone immaginava un “dio” molto inferiore a quello di Aristotele, denominato Demiurgo (anche se molti studiosi dubitano che Platone intendesse il Demiurgo come un vero creatore, si veda ad esempio D. Lindberg, “The beginning of Western Science”, University of Chicago Press 1992). L’idealismo platonico, fondato su ipotesi a priori, credeva in un universo ciclico ed eterno, una sfera simmetrica circondata da corpi celesti con traiettoria di moto perfetto. Insomma, le concezioni greche delle divinità non erano adatte per lo studio dell’universo e tutte le speculazioni dei maggiori filosofi greci, come quelle di Crisippo e Parmenide, furono a lungo di notevole intralcio alla scoperta scientifica. Un altro motivo che rendeva impossibile la nascita del metodo scientifico nel mondo antico è che i greci insistettero nel tramutare gli oggetti inanimati in esseri viventi, appariva dunque inutile e privo di senso tentare di spiegarne i fenomeni naturali. Così, sempre secondo Aristotele, i corpi celesti si muovevano circolarmente per la loro affezione nei confronti di quell’azione e gli oggetti cadevano a terra «per il loro innato amore verso il centro della terra» (citato in S. Jaki, “Science and Creation”, Scottisch Academic Press 1986, pag. 105). Il sapere greco, insomma, ristagnò nella propria logica interna. A parte alcuni ulteriori sviluppi della geometria (che in realtà manca di sostanza in quanto è in grado di descrivere solo alcuni aspetti della realtà, non di spiegarne qualunque parte), poco accadde dopo Platone ed Aristotele. L’impero romano assorbì anche la cultura greca, che però non fece progredire intellettualmente nessuno in modo significativo (D. Lindberg, “The beginning of Western Science”, University of Chicago Press 1992). Nulla accadde nemmeno in Oriente, a Bisanzio, dove il sapere greco continuò a diffondersi. Il filosofo francese Philippe Nemo, direttore e docente del Centro di ricerche in Filosofia economica presso la prestigiosa ESCP Europe, ha suggerito che ad impedire la nascita della scienza nel mondo antico, in particolare in quello greco, è stata la mancanza di spirito critico. «Nella stessa Grecia», ha scritto, «se la libertà critica avesse avuto nello humus della civiltà pagana tutti gli elementi capaci di nutrirla, la scienza non vi sarebbe stata soffocata per così dire sul nascere (gli storici della scienza greca hanno sottolineato che i sapienti non furono sostenuti dalla società e che furono presto abbandonati da alcuni dei re di Alessandria e di Pergamo che li avevano “sponsorizzati”, ragione per la quale, dopo così begli inizi, la scienza non si poté sviluppare in Grecia). Se quindi lo spirito scientifico ha prosperato meglio nell’Europa moderna, è in quanto un elemento nuovo si era mescolato alla antica razionalità greca». Questo elemento nuovo altro non è che la «coscienza che hanno avuto i teologi e i filosofi del mondo cristiano dei limiti della ragione. La ragione umana può dimostrare che essa non conosce ogni cosa e, trattandosi di Dio, che essa non conosce nulla (anche se Dio è conosciuto altrimenti). Ora, a differenza dello scetticismo greco, che è puramente negativo, la tradizione della teologia cristiana (apofantica, in particolare) mostra che si può progredire nella conoscenza tramite il fatto stesso che si rinuncia a una certa conoscenza idolatrica, troppo sicura di sé: conoscere Dio significa proprio dimostrare che è inconoscibile. Così, il fatto stesso di prendere coscienza dei propri limiti può aiutare la ragione umana a espandere quegli stessi limiti». Inoltre, ha aggiunto il filosofo francese, «la filosofia antica non concepiva l’idea che si potesse, o addirittura si dovesse, “cambiare il mondo”. Solo quando migliorare il mondo divenne un dovere morale, la pratica della scienza trovò un motivo per svilupparsi su vasta scala: e questa spinta morale fu essenzialmente giudaico-cristiana». Infine, c’è un altro aspetto da considerare: «Se, dopo Anassimandro, Aristarco di Samo e Archimede, i greci non hanno prodotto, senza soluzione di continuità, Galileo e Newton, è proprio perché è venuta loro a mancare la dimensione morale. Gli antichi vivono nel mondo pagano governato dall’eterno ritorno di cicli e ricicli, in una struttura temporale che rende vano combattere radicalmente il male per far emergere un mondo nuovo: un programma, questo, del tutto inconcepibile per loro. Nel mondo esisterà sempre una mescolanza di bene e di male: negli “anni d’oro” prevarrà il bene e negli «anni di ferro» prevarrà il male, ma ogni momento del ciclo sarà inesorabilmente seguito dal momento opposto, come l’inverno e l’estate si succedono nel ciclo delle stagioni. In queste condizioni, il progetto moderno di sviluppare la scienza per cambiare il mondo non poteva emergere nell’antichità pagana. È l’apporto biblico e cristiano che ha dato all’Europa questa aspirazione verso l’infinito, di cui ha parlato Bergson, e che ha fatto di essa una “società aperta” (P. Nemo, La bella morte dell’ateismo moderno, Rubbettino 2016, pp. 72, 102, 125). Ovviamente, con questo non si vuole certo minimizzare il grande valore della cultura greca e il suo grande impatto sulla teologia cristiana e sulla vita intellettuale dell’Europa. Non a caso gli scolastici e gli intellettuali cristiani del Medioevo (Sant’Agostino e San Tommaso in primis) si dissero debitori di Aristotele e degli altri filosofi dell’antichità. Ma, usando le parole dello storico e sociologo delle religioni Rodney Stark (1934), della Baylor University: «Lo sviluppo della scienza non risultò come il prolungamento del sapere classico. Fu la naturale conseguenza della dottrina cristiana: la natura esiste perché è stata creata da Dio e per amarLo ed onorarLo, è necessario apprezzare a fondo le meraviglie del suo operato» (R. Stark, “La vittoria della ragione”, Lindau 2008, pag. 46).
LA SCIENZA NON NASCE NELLA CULTURA ISLAMICA. Lo storico della scienza di Harvard, Sir Alfred North Whitehead (1861-1947), osservava come le immagini di divinità rintracciabili nelle altre religioni, in particolar modo in Asia, erano e sono troppo impersonali o irrazionali per poter incoraggiare la scienza, «mancava quella fiducia che proviene dall’idea della razionalità intellegibile di un essere personale» (A.N. Whitehead, “Science and the Modern World”, Macmillan 1925). Molti studiosi confermano che non sia una casualità il fatto che il metodo scientifico non sia nato nella cultura islamica. Allah non viene presentato come un creatore giusto, ma è concepito come un Dio estremamente attivo che si impone nel mondo come ritiene opportuno, questa concezione ha originato un nucleo teologico islamico che condanna come blasfemia ogni tentativo di formulare leggi naturali, perché esse negano la libertà di azione di Allah. La cultura greca è rimasta molto viva per molti secoli all’interno del sapere islamico e gli stessi islamici consideravano il sapere greco, in particolare l’opera di Aristotele, come un testo sacro a cui credere, piuttosto che da studiare (C.E. Farah, “Islam: belief and observances”, Barron’s Hauppaguge 1994, pag. 199). Perfino uno dei più illustri filosofi islamici, Averroè divenne, assieme ai suoi seguaci, un aristotelico intransigente e dottrinario, proclamando l’infallibilità delle teorie greche. Addirittura, se un’osservazione fosse risultata incoerente con un delle visioni aristoteliche, allora essa doveva essere sicuramente scorretta o illusoria. A parte scoperte in campi molto specifici, nei quali non occorreva una base teoretica generale (come alcuni aspetti dell’astronomia e della medicina), non vi è da segnalare alcun progresso scientifico degno di nota nel mondo islamico. Edward Grant, docente di Storia e Filosofia delle Scienze all’Indiana University, la pensa in modo similare e ricorda, come già detto, che nel mondo islamico vi fu comunque un progresso scientifico in alcuni campi: «Dopo tutto la scienza esisteva in molte altre antiche società. Nell’Islam, fino al 1500 circa, la matematica, l’astronomia, l’ottica geometrica e la medicina erano molto più sviluppate che nei paesi occidentali (europei). L’Occidente si impadronì di questi argomenti attraverso le traduzioni in lingua latina di trattati arabi (derivati dagli antichi testi greci)». Tuttavia, aggiunge, «nella società islamica (come prima in quella bizantina) la scienza non era istituzionalizzata; e non lo era neppure nella Cina antica e medioevale, nonostante i significativi progressi che aveva conseguito. Lo stesso discorso vale per le altre civiltà: la scienza c’era ma in nessuna di quelle civiltà era istituzionalizzata e perpetuata nel tempo. La scienza, che oggi conosciamo, si sviluppò soltanto nella civiltà occidentale» (E. Grant, “Le origini medievali della scienza moderna”, Einaudi 2001, pp.5-6).
LA SCIENZA NON NASCE IN ORIENTE. Il filosofo Bertrand Russel (1872-1970) trovava piuttosto sconcertante la mancanza di scienza in Cina (si veda B. Russel, “The problem of China”, Allen & Unwin 1922, pag. 193), ma per gli intellettuali cinesi l’universo semplicemente è ed è sempre stato, senza alcun motivo di supporre leggi razionali da cercare e da studiare. Di conseguenza, nel corso dei millenni, si è andati in cerca di “illuminazioni” e non di spiegazioni, la saggezza infatti, secondo la cultura orientale, si raggiunge attraverso un percorso di meditazioni e intuizioni mistiche, senza alcuna occasione d’esercitare l’uso della ragione applicata. Il biochimico e storico della scienza britannico Joseph Needham (1900-1995), autorità preminente nella storia della scienza e tecnologia in Cina dato che dedicò la maggior parte della sua carriera alla storia della tecnologica cinese, riferisce che i cinesi nel XVIII secolo rigettarono l’idea di un universo governato da leggi semplici, indagabili dagli esseri umani (convinzione portata a loro dai missionari gesuiti occidentali), la loro cultura, secondo Needham, semplicemente non era ricettiva verso tali concetti. Concluse che l’ostacolo alla scienza in Cina era causato dalla loro religione non cristiana: «Non si era mai sviluppata la concezione di un legislatore celestiale e divino che impone leggi sulla Natura non umana. Era loro opinione che l’ordine in natura non fosse stabilito da un essere individuale razionale» (J. Needham, “Scienza e civiltà in Cina”, Einaudi 1981, pag. 704). In effetti, nelle religioni che non derivano dall’ebraismo, non si presuppone una creazione dell’universo, nella loro prospettiva esso appare eterno e, per quanto possa seguire dei cicli, ciò avviene senza principio o senza scopo.
LA SCIENZA NASCE NELL’EUROPA CRISTIANA. Il concetto di libera creazione da parte di Dio portato dalla visione ebraico-cristiana fu fondamentale per lo sviluppo del metodo scientifico: per scoprire come sia in realtà l’universo o come effettivamente funzioni, non vi è alternativa dall’andare a vedere direttamente ciò che Dio aveva in mente. Il cammino dalla creazione (e dalle creature) al Creatore risultò la strada più ovvia per arrivare alla comprensione e alla conoscenza di Dio, e in particolare la venuta di Cristo fu decisiva poiché, come ha affermato il fisico britannico Peter E. Hodgson (1928-2008), dell’University College London, «l’incarnazione di Cristo ha fornito ulteriori convinzioni per la scienza: ha spezzato l’idea che il tempo fosse ciclico, ha nobilitato la materia pensando che fosse adatta a formare il corpo e il sangue di Cristo; ha superato il panteismo, dichiarando che la materia è creata e non generata». Tutte convinzioni «necessarie per lo sviluppo della scienza». Una frase di Albert Einstein (1879-1955) sintetizza perfettamente la nuova mentalità che portò il cristianesimo rispetto al modo di approcciarsi alla realtà e all’universo: «La scienza contrariamente ad un’opinione diffusa, non elimina Dio. La fisica deve addirittura perseguitare finalità teologiche, poichè deve proporsi non solo di sapere com’è la natura, ma anche di sapere perchè la natura è così e non in un’altra maniera, con l’intento di arrivare a capire se Dio avesse davanti a sè altre scelte quando creò il mondo» (citato in Holdon, “The Advancemente of Science and Its Burdens”, Cambridge University Press 1986, pag. 91). Dopo Cristo, non si potè più dedurre -come pensavano i greci- il funzionamento dell’universo semplicemente ragionando a partire da principi filosofici a priori, per conoscere Dio occorreva studiarne la creazione. La magia e l’astrologia, in quanto fondate sull’animismo e sul politeismo panteista, cominciarono ad essere considerate pure superstizioni irrazionali e deprecabili, solo nell’Europa cristiana l’alchimia si evolvette in chimica e l’astrologia condusse all’astronomia. Nacque la concezione di un universo come “creatura” da studiare ed indagare, non un’insieme di divinità, o un “animale divino”. Il filosofo russo Nikolaj Berdjaev (1874-1948) scrisse giustamente che «il cristianesimo meccanizzò la natura per restituire all’uomo la libertà», cioè per liberarlo dalla sottomissione del volere degli astri, delle divinità irrazionali nascoste in ogni angolo della natura. Dalla visione cristiana vennero creati quindi i presupposti per il pensiero scientifico. Proprio il superamento delle convinzioni del mondo pagano ha permesso la liberazione dei limiti della ragione: la convinzione di Popper per cui «ogni verità scientifica può essere rimessa in causa, mediante fatti, mediante ragionamenti, mediante nuovi paradigmi che, essi stessi, devono poter esser proposti da uomini e istituzioni libere», ha scritto il filosofo francese Philippe Nemo, direttore e docente del Centro di ricerche in Filosofia economica presso l’ESCP Europe, «è nata, crediamo, su un humus cristiano. Essa percorre in effetti i grandi dibattiti europei sulla tolleranza che hanno avuto luogo nel Medio Evo (Abelardo, Nicola Cusano), al tempo dell’umanesimo (Pico della Mirandola, Montaigne, Bodin, ecc.) e nei secoli XVII-XVIII. È in nome dell’inafferrabile verità cristiana che si combattono le posizioni cristiane troppo dogmatiche […]. Solo una civiltà moralmente trasformata dal cristianesimo, cioè animata dall’etica e dalla escatologia bibliche, poteva conferire alla scienza il dinamismo che le è stato proprio nell’Europa dei tempi moderni. Ciò che, a partire dal XVIII secolo, si chiamerà il “progresso”, non è altro che l’idea cristiana laicizzata […]. È proprio l’avviamento etico ed escatologico del tempo della Storia attraverso la Bibbia la fonte più profonda dell’origine della scienza in Occidente, dopo i primi tentativi dei greci» (P. Nemo, La bella morte dell’ateismo moderno, Rubbettino 2016, pp. 73, 102, 125). Un perfetto esempio di tutto questo è la figura di Giovanni Filopono, cristiano di Alessandria, vissuto nella prima metà del VI secolo, insegnate di filosofia alla scuola di Alessandria. Come ha scritto David C. Lindberg, professore emerito di Storia della Scienza presso l’Università del Wisconsin–Madison, «la tesi di fondo dell’anti-aristotelismo di Filopono era la negazione della dicotomia posta da Aristotele tra regioni terrestri e regioni celesti del mondo», da cui «ne consegue che i cieli non possono essere divini, e ciò metteva Filopono in grado di tirare una netta linea di demarcazione tra il Creatore e il resto della sua creazione (tanto celeste quanto terrestre). Una dottrina aristotelica fondamentale crollava così di fronte alla dottrina cristiana; ma ciò non significa che l’attacco di Filopono fosse privo di sostanza da un punto di vista filosofico. Al contrario, egli procedeva con acutezza argomentativa, in modo alquanto rigoroso e – come gli storici della scienza non hanno mancato di sottolineare – con effetti positivi per l’andamento a venire della cosmologia» (D.C. Lindberg, R.L. Numbers, Dio e natura, La Nuova Italia 1994, p.33). Edward Grant, storico di Scienza Medioevale presso l’Indiana University, ha citato il pensiero del card. Pier Damian (100- 1072): «la fede in Dio favorisce lo studio del mondo esteriore e materiale, con un duplice proposito: predisporre dentro di noi la contemplazione della sua natura invisibile e spirituale, così che ci si disponga ad amare e ad adorare meglio il Signore; e renderei capaci di conseguire un dominio sul mondo siccome sta scritto in Sl 8,6-9» (D.C. Lindberg, R.L. Numbers, Dio e natura, La Nuova Italia 1994, p.42). Le conquiste straordinarie che si ottennero dal 1500 d.C. in poi, non vennero certo prodotte da un’esplosione di pensiero laico. Come ha notato in proposito il grande storico della scienza A.C. Crombie, primo docente ad insegnare storia della scienza all’Università di Oxford, «il sentimento che avrebbe inspirato gran parte della scienza del tredicesimo secolo era stato in realtà espresso già all’inizio di quel secolo dal fondatore (san Francesco d’Assisi) di un ordine che avrebbe dato tanti grandi innovatori al pensiero scientifico occidentale, particolarmente in Inghilterra. Fu questo, non vi è dubbio, il sentimento che inspirò Grossatesta, Ruggero Bacone e Peckham a Oxford» (A.C. Crombie, “Da Sant’Agostino a Galileo. Storia della scienza dal quinto al diciassettesimo secolo”, Feltrinelli 1970, p. 149,150). Fu effettivamente la forte convinzione teistica a indurre Francesco Bacone (1561-1626), considerato da molti il padre della scienza moderna, a insegnare che Dio ci ha fornito due libri, quello della natura e la Bibbia, e che per essere istruiti in maniera davvero adeguata bisogna applicare l’intelletto allo studio di entrambi. E come lui la pensavano i padri della scienza moderna, come Galilei, Keplero, Copernico, Pascal, Boyle, Newton, Faraday, Babbage, Mendel, Pasteur, Kelvin, Maxwell… tutti teisti, e in gran parte devoti cristiani (qui si possono leggere loro citazioni in merito). La loro fede era spesso la principale ispirazione, ad esempio la forza trainante alla base dell’intelletto indagatore di Galileo (1564-1642), era la sua profonda convinzione che il Creatore «che ci ha dotati di sensi, di discorso e d’intelletto, abbia voluto, posponendo l’uso di questi, darci con altro mezzo le notizie che per quelli possiamo conseguire» (citato in J. Lennox, “Fede e Scienza”, Armenia 2009, pag. 23). Mentre per Giovanni Keplero (1571-1630), «lo scopo principale di ogni indagine sul mondo esterno dovrebbe essere quello di scoprire l’ordine razionale che vi è stato imposto da Dio e che egli ci ha rivelato con il linguaggio della matematica» (citato in M. Kline, “Mathematics: the loss of certainty”, Oxford University Press 1980, pag. 31). Nel XVI secolo, Cartesio (1596-1650) giustificò la sua ricerca delle «leggi» naturali sul fatto che tali leggi dovessero esistere perché Dio era perfetto, e agiva «nel modo più costante e immutabile possibile» – tranne che nelle rare eccezioni dei miracoli (Cartesio, “Oeuvres”, libro 8, cap. 61). Il biochimico e teologo Ernest Lucas, professore onorario di Theology and Religious Studies presso l’University of Bristol, ha infatti giustamente confermato che «gli storici della scienza hanno riconosciuto sempre più spesso questo fatto: la fiducia dei primi scienziati moderni, Keplero, Bacone, Newton, di poter indagare il mondo trovandolo ordinato ed intellegibile scaturiva dalla fede cristiana. In secondo luogo, essi credevano di essere fatti ad immagine di Dio, e che quindi la loro mente sarebbe stata in grado -tanto per citare le famose parole di Keplero- di “pensare i pensieri di Dio dopo di Lui”, e di scoprire quell’ordine» (intervista in R. Stannard, “La scienza e i miracoli”, Tea 2006, pag. 221-222).
Non soltanto i padri della scienza erano guidati dalla fede cristiana, ma poterono confrontarsi grazie alle università, sorte durante il Medioevo. Lo conferma uno dei più importanti storici delle religioni viventi, Rodney Stark (1934), spiegando che le grandi innovazioni scientifiche «furono il culmine di molti secoli di progressi sistematici portati avanti dagli scolastici medievali e sorretti da un’invenzione del XII secolo prettamente cristiana: l’Università. Scienza e religione non erano solo compatibili, ma addirittura inseparabili, e la scienza nacque grazie a studiosi cristiani profondamente religiosi» (R. Stark, “La vittoria della ragione”, Lindau 2008). Le prime Università nacquero in Italia e in Europa, e non nel resto del mondo. E’ in questi luoghi, spesso di origine ecclesiastica e sotto il protettorato pontificio, che studiarono Galilei e gli altri padri della scienza e della medicina moderna, come hanno dimostrato gli studi del dott. José Alberto Palma della New York University e di Giorgio Cosmacini, maggior storico della medicina italiano, docente di Storia della medicina presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e presso l’Università degli Studi di Milano. Il filosofo Stefano Zecchi, ordinario di estetica presso l’Università degli Studi di Milano, nel suo saggio “Storia dell’estetica, antologia di testi” (vol. I, Il Mulino 1995, p. 126,159), ha spiegato infatti: «L’origine anche medievale della scienza moderna è ben evidente qualora si studi la nascita dell’anatomia. Essa infatti sorge con le prime dissezioni di cadaveri umani, intorno al 1315 a Bologna. Per lungo tempo Bologna, Padova e Roma saranno le capitali mondiali di questa nuova scienza, abbondantemente favorita, come è chiaro dagli studi più recenti, dalla Chiesa cattolica» (si veda ad esempio M. Grmek – R. Bernabeo, “La macchina del corpo” in “Storia del pensiero medico occidentale”, vol. II, Laterna 1991, p.5; e G. Ferrari, “Il Rinascimento italiano e l’Europa: le scienze”, vol. V, p.341,361). Lo ha confermato anche Edward Grant, docente di Storia e Filosofia delle Scienze all’Indiana University: «Che cosa permise alla scienza di acquistare prestigio e influenza e di diventare nel secolo XVIII, una forza potente nei paesi dell’Occidente europeo? Le risposte a queste domande vanno ricercate in alcune istituzioni e in alcuni atteggiamenti mentali, che si affermarono nella società occidentale fra il 1175 e il 1500. Erano nuovi in Europa e furono unici al mondo: 1) la traduzione in lingua latina dei testi greco-arabi di scienza e di filosofia naturale; 2) la creazione delle università medievali; 3) l’emergere di filosofi teologico-naturalisti» (E. Grant, “Le origini medievali della scienza moderna”, Einaudi 2001, pp.5-6). E’ dunque il Medioevo, ancora oggi identificato come “secoli bui”, ad essere stato la culla della scienza. Come hanno scritto due prestigiosi storici della scienza, David C. Lindberg (già presidente della History of Science Society) e Ronald Numbers (University of Wisconsin–Madison), «i vecchi cliché circa la repressone perpetrata dalla teologia verso l’impresa scientifica durante l’età patristica e medievale sono stati ormai confutati in modo deciso» (D.C. Lindberg e R. Numbers, “Dio e natura, La Nuova Italia 1994, p. XXI). L’eminente storico della scienza, sir Alfred North Whitehead (1861-1947), dell’Università di Harvard, si domandò come poteva essere avvenuta una tale esplosione di conoscenze nel circoscritto periodo del 1700, e si rispose così: «La scienza moderna deve provenire dall’insistenza medievale sulla razionalità di Dio […]. La mia spiegazione è che la fede nella possibilità della scienza, generata anteriormente allo sviluppo della moderna teoria scientifica, sia un derivato inconscio della teologia medievale […]. Le ricerche sulla natura non potevano sfociare che nella giustificazione della fede nella razionalità» (A.N. Whitehead, “Science and the Modern World”, Macmillan 1925, pag. 19,31). Lo scrittore C.S. Lewis (1898-1963) sintetizzò così l’opinione di Whitehead: «Gli uomini divennero scientifici perché si aspettavano una legge in natura, e si aspettavano una legge in natura perché credevano in un legislatore». Anche lo storico e filosofo dell’Università di Bruxelles, Lèo Moulin (1906-1996), si è soffermato su questo: «Mi sono chiesto perché l’unica civiltà tecnologica e scientifica sia la nostra. Ho cercato di trovare le ragioni, posso garantire che ci rifletto da parecchio tempo, e l’unica spiegazione che ho trovato è la presenza del terriccio, dell’humus della cristianità. Perché? Perché Dio ha creato un mondo diverso da Lui, non si integra in esso» (L. Moulin, “L’europa dei monasteri e delle cattedrali”, Meeting per l’amicizia fra i popoli, Rimini 27/8/87). Verso la metà del XVII secolo i cattolici francesi René Descartes, Marin Mersenne e Pierre Gassendi (il secondo dei quali era un monaco Minorita, e l’ultimo un sacerdote), «furono tra gli elaboratori principali della filosofia meccanicistica, che fornì un’alternativa alla filosofia naturale aristotelica e che gettò le basi di gran parte del lavoro scientifico a venire. La filosofia meccanicistica attraversò nuovi sviluppi nell’Inghilterra protestante, ove scienziati del calibro di Robert Boyle e Isaac Newton ne trovarono un sostegno nelle idee riformate sulla sovranità divina e sull’assoluta dipendenza della materia da Dio» (D.C. Lindberg e R. Numbers, “Dio e natura, La Nuova Italia 1994, p. XXVIII). Nel maggio 2011 sul sito web di Nature, una delle riviste scientifiche più importanti del mondo, è apparsa una recensione al saggio di James Hannam, dottore in Storia e Filosofia della Scienza presso l’Università di Cambridge, intitolato “The Genesis of Science: How the Christian Middle Ages Launched the Scientific Revolution” (“La nascita della scienza: come il cristianesimo medioevale ha lanciato la rivoluzione scientifica”), selezionato per l’assegnazione del Royal Society Science Book Prize. Il ricercatore si è interrogato sul permanere di numerose leggende nere sulla presunta opposizione della Chiesa allo sviluppo scientifico, rispondendo: «la Chiesa non ha mai insegnato che la Terra fosse piatta e, nel Medioevo, nessuno la pensava così, comunque. I Pontefici non hanno cercato di vietare nulla, né hanno scomunicato qualcuno per la cometa di Halley. Nessuno, sono lieto di dirlo, è stato mai bruciato sul rogo per le sue idee scientifiche. Eppure, tutte queste storie sono ancora regolarmente tirate fuori come esempio di intransigenza clericale nei confronti del progresso scientifico». Al contrario, ha proseguito lo storico, fino alla Rivoluzione francese «la Chiesa cattolica è stata lo sponsor principale della ricerca scientifica. La chiesa anche insistito sul fatto che la scienza e la matematica avrebbero dovuto essere obbligatoria nei programmi universitari. Nel XVII secolo, l’ordine dei Gesuiti era diventata la principale organizzazione scientifica in Europa, con la pubblicazione di migliaia di documenti e la diffusione di nuove scoperte in tutto il mondo. Le cattedrali sono state progettate anche come osservatori astronomici per la determinazione sempre più precisa del calendario». Anche Hannam ha quindi sottolineato che tale sostegno alla ricerca scientifica è stato giustificato dal fatto che «i cristiani hanno sempre creduto che Dio ha creato l’universo e ordinato le leggi della natura. Studiare il mondo naturale significava ammirare l’opera di Dio. Questo “dovere religioso” ha ispirato la scienza quando c’erano pochi altri motivi per preoccuparsi di essa. È stata la fede che ha portato Copernico a respingere l’universo tolemaico, a spingere Keplero a scoprire la costituzione del sistema solare, e che convinse Maxwell dell’elettromagnetismo». Nell’aprile 2012, lo storico Peter Harrison, docente e primo ricercatore presso il Centre of the History of European Discourses dell’University of Queensland, già docente presso l’Università di Edimburgo e Oxford, ha spiegato che «una alleanza tra scienza e ateismo è qualcosa che i fondatori della scienza moderna avrebbero trovato sconcertante. E’ noto da tempo che le figure chiave nella rivoluzione scientifica del XVII secolo hanno accarezzato sincere convinzioni religiose». Per loro, ha continuato, la religione «era parte integrante delle loro indagini scientifiche e ha fornito un fondamento metafisico fondamentale per la scienza moderna. Le vestigia delle convinzioni teologiche di questi pionieri della scienza moderna può ancora essere trovato nel comune presupposto che ci sono leggi di natura che possono essere scoperte dalla scienza». Occorre infine chiarire che sarebbe falso dire che non ci fu, per tutto questo, alcun antagonismo tra scienza e fede. Ad esempio John H. Brooke (1944), il primo docente di Scienza e Religione ad Oxford, ha spiegato: «Nel passato le credenze religiose servivano da presupposto dell’impresa scientifica fintanto che sottoscrivevano tale uniformità, anche se le particolari concezioni della scienza sostenute dai suoi pionieri erano spesso ispirate da credenze teologiche e metafisiche» (J. Brooke, “Science & religion: some historical perspectives”, Cambridge University Press 1991, pag. 19). Questa lettura è condivisa dagli storici della scienza americani David C. Lindberg (già presidente della History of Science Society) e Ronald Numbers (University of Wisconsin–Madison): «Per quanto i primi Padri della Chiesa non giudicassero l’indagine del mondo materiale un fatto di priorità assoluta, tuttavia neppure reputavano priva di senso tale indagine; a lor occhi, la conoscenza degli enti materiali era valida ai fii dell’esegesi biblica e della difesa della fede, il che, senza dubbio, riduceva la scienza a un ruolo ancillare, ma era ben lungi dal sopprimerla […]. Il cristianesimo prese a prestito le sue categorie fondamentali e gran parte della propria metafisica e cosmologia da Aristotele; in cambio, la scienza ricevette un sostegno istituzionale e adito a nuovi punti di vista che la arricchirono e la riorientarono» (D.C. Lindberg e R. Numbers, “Dio e natura”, La Nuova Italia 1994, p. XXV, XXVI). La scienza nasce “serva” della teologia: cioè per capire l’opera di Dio, occorre fornirne una spiegazione. E’ esattamente così che si percepivano coloro che presero parte alle grandi conquiste del XVI e XVII secolo: come qualcuno che persegue i segreti della creazione (un “libro” che andava letto e compreso). E alcune volte, purtroppo, si è preteso che le scoperte scientifiche dovessero per forza confermare le scoperte teologiche.
Abbiamo dunque contribuito a dimostrare come la concezione cristiana dell’unico Dio Creatore non solo abbia svolto un ruolo essenziale e di fondamentale importanza nella nascita della scienza e nello sviluppo del metodo scientifco, ma sia stata la condizione indispensabile perché questo potesse accadere. Solo nell’occidente cristiano Dio è stato concepito come responsabile dell’esistenza e dell’ordine dell’universo e, grazie alla Sua incarnazione, divenuto incontrabile e conoscibile dall’uomo, anche attraverso i metodi della scienza.
LA SCIENZA E LA FILOSOFIA.
La scienza non pensa. Se lo scopo della scienza è di sapere tutto di qualcosa che è parte di qualcosa di cui non sa niente, come si potrebbe volere dire che essa pensi? Scrive il 20 ottobre 2015 Gabriele Zuppa su “L’Intellettuale Dissidente”. «Questo staccare ogni singolo elemento dal suo contesto è il più completo annullamento del ragionamento.» (Platone, Sofista, 259e) «Come c’è una vuota pienezza, così c’è anche una vuota profondità.» (G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, Prefazione).
La scienza non pensa. È proprio vero. E come potrebbe? Ma, allora, la filosofia? Nemmeno. È inevitabile che ci si trovi in siffatta situazione, che cioè ciò che oggigiorno prende il nome di scienza o di filosofia si trovi nell’incapacità di pensare. Senza slanci teoretici o disamine storiche – che mostrerebbero come questa situazione sia il risultato di un processo ben preciso, ma che farebbero di questo articolo un saggio –, mi limiterò qui a un po’ di fenomenologia e qualche riflessione. La scienza ha acquisito la sua esattezza attraverso la sua specializzazione, vale a dire attraverso la sua settorializzazione: cosa può sapere – come può pensare – se ricava il suo statuto di scienza dal sapere solo un qualcosa, solo una parte, solo di un ambito settoriale? Tutto quel che sa è un sapere di niente. Se lo scopo della scienza è di sapere tutto di qualcosa che è parte di qualcosa di cui non sa niente, come si potrebbe volere dire che essa pensi? Tanto più una piccola parte – così essa “pensa” – tanto più scientificamente: e tanto più “pensa” così, tanto meno pensa. La grande avventura della scienza ha disimparato a vedere oltre il proprio naso; a tal punto che questa stoltezza viene scambiata – o millantata – per modestia. Così, il rigore della scienza implode su se stesso: per essere sempre più esatto diventa talmente piccolo da non avere più notizia di ciò da cui era partito. Tanto più vuole essere esatto, tanto meno riesce ad esserlo. E la filosofia, da quando la scienza è diventata così rigorosa, non sa più cosa pensare. Vorrebbe essere anche lei così rigorosa, ma non può, perché è già tutto preso dalla scienza. Allora gestisce la sua sopravvivenza al di sotto della sussistenza: un po’ meno del niente della scienza. Ecco tre forme principali del mendicare: sapere tutto quel che ha detto qualcun altro nel passato, ma possibilmente di un’opera soltanto, meglio ancora una parte di un’opera, una particina – così ne salta fuori uno specialista, uno scienziato tutto sommato: alla somma di tutto, il solito niente; diventare ancella della scienza: gli altri fanno il lavoro e lei ne parla un po’ a piacimento, atteggiandoti a chi, come paggio, nonostante tutto, si occupa di qualcosa: un po’ meno di niente, perché non è il rigore della scienza, ma ha pure sempre a che fare con esso; poi il terzo tipo di filosofo, quello spavaldo, che della scienza se ne infischia – non vergognandosi di sortite come “la scienza non pensa” – perché, egli dice, l’uomo non è solo calcolo e rigore, ma sentimento, immaginazione e tante altre cose che gli permettono di parlare di un po’ di tutto, senza rigore. Questo è proprio un filosofo che si distingue dallo scienziato: occupandosi di un po’ di tutto alla fine non sa niente – del resto ci aveva già avvertito che andava bene un po’ tutto. Non c’è possibilità per la scienza di pensare finché non saprà di nuovo di quell’avventura conoscitiva che essa è. La specializzazione nella scienza non si annulla se tiene in vista la finalità per cui si specializza: contribuire a quell’insieme in vista del quale si è specializzata. Solo in siffatta maniera il suo sapere tutto della parte non diventa nulla, bensì un contributo specifico per la conoscenza di quell’oggetto iniziato ad analizzare. Lo scienziato tanto più penserà quanto più il suo essere assorbito dalla parte sarà un essere assorbito da quel tutto in cui la parte si trova. Così facendo, il suo interesse e il suo pensare non si rivolgeranno neppure soltanto più a quel tutto in cui si colloca la parte di loro specifica competenza, ma anche a quella dimensione ulteriore in cui il tutto è a sua volta parte di un tutto più grande. Questa tensione verso il Tutto – cioè verso tutte le relazioni che determinano la specificità di ogni parte e per cui ogni parte, senza quelle relazioni, senza quel Tutto, non è più nemmeno quella parte – è ciò che storicamente e teoreticamente si è inteso con la parola filosofia. Se quindi la scienza pretende di ricavare la propria scientificità dal suo circoscriversi alla parte, essa – si deve dire – non pensa. La scienza comincia a pensare se si fa consapevole del compito conoscitivo nel quale si inscrive; e, quindi, se si rivolge, senza perdere la sua specificità settoriale, alla totalità. Così facendo riuscirà a vedere quanto nessuno oggigiorno vede: che la filosofia non è altro dalla scienza, ma un aspetto intrinseco ad ogni impresa conoscitiva che voglia essere tale, che sia, appunto, scientifica. Essa è la dimensione della totalità in cui di necessità ogni conoscenza si colloca, perché di necessità ogni frammento di mondo è le relazioni con tutti gli altri frammenti. Ma, quindi – si chiederà ora – quale sarebbe la specificità della filosofia? È quella scienza la cui specificità è il sapere dei rapporti tra tutti i saperi, nel suo sviluppo storico, nella sua autocomprensione, nella sua destinazione da compiersi. È in questa conoscenza della concreta complessità che consiste la filosofia, la quale può essere propria tanto di chi abbia avuto una formazione “scientifica” che di chi abbia avuto una formazione “filosofica”. Per la scienza pensare significa sviluppare quella componente filosofica che le è intrinseca. Pensare per la filosofia significa pretendere quel rigore che rende scienza la nostra quotidiana chiacchiera sul mondo, il nostro quotidiano sapere che ci orienta nel mondo.
LA SCIENZA E LA LEGGE.
Il Politico di Platone, scrive Maria Chiara Pievatolo.
La scienza politica come sapere di minoranza. Se si accetta il principio che la politica debba fondarsi su una forma di sapere scientifico, si deve ricercare a quale costituzione è congiunta la scienza dell'autorità (arché) sugli esseri umani, allo scopo di distinguere un basileus intelligente dai molti che si fingono dotati di competenza politica senza esserlo davvero (292d). E' possibile che una moltitudine (plethos) sia in grado di acquisire questa scienza? Fra mille uomini, chiede l'eleatico, chiarendo finalmente il senso delle sue allusioni antidemocratiche, se ne riusciranno a trovare cento o cinquanta politicamente competenti? Socrate il Giovane risponde di no: fra mille uomini è difficile trovare cento o cinquanta giocatori eccellenti di petteia; a maggior ragione, saranno pochi quelli dotati della scienza regia, anche se la intendiamo come una competenza indipendente dall'esercizio del governo. L'episteme politiké si ritroverà, dunque, solo in una o pochissime persone.
Un governo senza leggi? Come giudichiamo della techne di un medico? Sia che ci curi contro la nostra volontà oppure no, basandosi o no su scritti (kata grammata), sia che sia ricco sia che sia povero, un medico è tale se sa sovraintendere alle nostre cure con competenza, migliorando la nostra salute. Analogamente, se la politica è pensabile come una scienza, fra le costituzioni l'unica corretta sarà quella in cui i governanti ne sono veramente dotati, siano ricchi o poveri, governino o no secondo leggi, con il consenso dei governati o senza. Tutte le altre forme di costituzione non vanno considerate genuine e autentiche 42, ma soltanto imitazioni, di varia qualità, dell'unica costituzione giusta. Socrate il Giovane, pur riconoscendo che per il resto l'eleatico ha parlato entro la misura (metrios) ha difficoltà ad accettare l'idea di una autorità che governa senza leggi - di una autorità che appare pericolosamente vicina alla tirannide. Per quanto la nomotetica o tecnica della legislazione sia parte della techne regia, afferma l'eleatico, è meglio che a prevalere non siano le leggi, bensì un re intelligente. Il nomos, infatti, non è in grado di abbracciare insieme con esattezza ciò che è più nobile e giusto per tutti e dunque non può prescrivere il meglio: le dissomiglianze fra gli esseri umani e fra le loro azioni impediscono a qualsiasi techne umana di produrre qualcosa di semplice che valga per tutti e per sempre. Questa tesi, presa alla lettera, suonerebbe molto eleatica e poco platonica: se accettiamo che la realtà sia mutevole e molteplice - anziché unitaria, semplice e perennemente uguale a se stessa - dobbiamo abbandonare la speranza di ridurla sotto regole. A questa critica così eleatica, il forestiero aggiunge l'argomento, assai più platonico, della finitezza del sapere dal quale derivano le leggi. La legge è come un essere umano ignorante e ostinato il quale non permette che si trasgrediscano i suoi ordini e non accetta che gli si facciano domande, neppure se a qualcuno è venuta in mente una cosa nuova e migliore rispetto al suo logos. Essa, in altre parole, è un prodotto del sapere umano: ma mentre il nostro sapere, in quanto storico e finito, non può mai intendere se stesso come definitivo, la legge sembra avere la pretesa di valere per sempre.
Leggi scritte e non scritte. Nel dialogo Fedro, Platone aveva fatto dire a Socrate che il sapere, propriamente, non è l'informazione immobile fissata in un testo, anche legislativo, bensì la conoscenza viva delle persone: solo le persone, infatti, sono in grado di capire, dimostrare, sviluppare e superare il senso di uno scritto. L'argomento del Fedro era pensato in primo luogo per la comunità scientifica, ma se ne suggeriva l'estensione anche alla comunità politica. Qui, però, l'eleatico pone una questione soltanto politica: perché, posto che la legge non è la cosa più corretta, è necessario legiferare? Gli allenatori che allenano un gran numero di atleti non possono dedicarsi a ciascuno per prescrivergli gli esercizi più adatti al suo caso particolare: ordineranno, dunque, gli esercizi adatti ai più. Analogamente, il legislatore, legiferando per tutti, non riuscirà mai ad attribuire a ciascuno quanto gli si addice, bensì delibererà per i molti, e solo grossolanamente per ciascuno, sia che lo faccia per iscritto sia senza scrittura, secondo il costume degli antenati. Se, infatti, un legislatore fosse costantemente in grado di conoscere ciascuno in tutte le sue particolarità, non avrebbe certo difficoltà a produrre leggi scritte: la legge non è rigida perché è scritta, ma perché il sapere di chi la compone è finito. Immaginiamo ora, dice l'eleatico, che un medico o un maestro di ginnastica debbano allontanarsi dai pazienti o dagli allievi per un certo periodo di tempo e che, per far loro ricordare le sue istruzioni, scriva loro un promemoria (hypomnema). In questo caso, le regole scritte avrebbero, proprio come teorizzato nel Fedro, solo la funzione di rinfrescare la memoria: servirebbero, cioè, a trasmettere delle informazioni che, di per sé, non sono più o non sono ancora sapere nel senso forte del termine. Infatti, se il legislatore ritornasse prima del previsto e vedesse che le condizioni sono cambiate, sarebbe ridicolo se volesse conservare le vecchie leggi anziché adattarle alla nuova situazione. Se le leggi scritte o tramandate dalla tradizione sono solo un surrogato del sapere scientifico, allora chi è dotato di scienza deve anche essere legittimato a superarle.
Scienza politica e diritto positivo. Esiste, però, un argomento che differenzia la scienza dalla politica: se a qualcuno vengono in mente leggi migliori di quelle esistenti, può modificare queste ultime solo dopo aver persuaso la polis a cambiarle. L'eleatico ripropone il parallelo con la techne medica: se un medico curasse un paziente in modo tecnicamente corretto ma contro la sua volontà, la sua azione non potrebbe essere definita sbagliata e poco salutare, da un punto di vista strettamente tecnico. Ora, azioni turpi, cattive e ingiuste possono essere dette errori che contrastano con la techne politica: ma se qualcuno è costretto a fare cose migliori, più nobili e più giuste contro le leggi esistenti, scritte o consuetudinarie, sarà corretto dire che queste azioni sono cattive solo perché imposte illegalmente? L'argomento dell'eleatico suggerisce che l'azione di un politico dotato di scienza non sia arbitraria come quella di un tiranno, perché trova la sua regola non nel diritto positivo, bensì nella scienza stessa. In questo modo, dice l'eleatico riprendendo una famosa metafora della Repubblica, il politico sapiente agisce come il pilota che fa l'utile dei suoi passeggeri «non ponendo lettere (grammata), bensì presentando la techne come legge». La costituzione supremamente corretta, pertanto, è quella in cui la techne è più forte delle leggi. L'assimilazione della politica alla scienza è un tema tipicamente socratico-platonico, che si può rintracciare fin dall'Apologia di Socrate. E' una soluzione tirannica? Nel mondo di Platone, la cittadinanza era intesa da tutti come una militanza all'interno di una comunità totale, a un tempo politica, religiosa, morale e culturale: i democratici pensavano che in questa comunità la legittimità riposasse sulla volontà popolare, al di sopra della scienza; Platone, di contro, voleva fondarla sulla scienza, al di sopra della volontà popolare. Ci si può chiedere se questa scienza, proprio perché è posta al di sopra della legge e della volontà dei cittadini, non si riduca alla giustificazione ingannevole di un potere incontrollabile. A questa obiezione, Platone avrebbe risposto che la scienza ha in se stessa i propri strumenti di controllo, essendo fondata sulla libertà della discussione e della ricerca: l'alternativa non è fra legalità e illegalità, bensì fra una comunità politica non scientifica, esposta al rischio di diventare ingiusta semplicemente per ignoranza, e una comunità politica scientifica.
«Chi propone di legalizzare la cannabis eviti di appellarsi alla scienza: non sa di cosa parla», scrive il 25 Luglio Benedetta Frigerio su "Tempi”. L’oncologo Umberto Tirelli illustra i gravi rischi per la salute connessi all’uso marijuana. E critica il collega Veronesi che elogia l’antiproibizionismo come moltiplicatore di introiti fiscali: «Non si possono dire cose simili a cuor leggero». Il 17 luglio scorso, per la prima volta in Italia, la legalizzazione della cannabis è passata dall’essere un tema solo dibattuto a rappresentare una possibilità concreto: è stata presentata alla Camera una proposta di legge sottoscritta da 218 parlamentari del Pd, M5S, Sel, Forza Italia e Scelta civica. «Il proibizionismo è fallito» è il refrain scelto dal promotore del ddl Benedetto Della Vedova per sponsorizzare l’iniziativa. Ma secondo Umberto Tirelli, direttore del dipartimento di Oncologia medica e primario della divisione di Oncologia medica A al Centro di riferimento oncologico (Cro), Istituto nazionale tumori di Aviano (Pn), le argomentazioni usate per portare avanti quella che lui definisce «una follia indifendibile», non reggono. «Ad esempio – dice a tempi.it – come si fa a sostenere che la soluzione alla diffusione della droga sia legalizzarla? Stiamo contraddicendo perfino la logica più semplice».
Professor Tirelli, dicono che legalizzare la cannabis permetterà di smantellare lo spaccio illegale e dunque di togliere risorse ai criminali. Cosa risponde?
«Come si fa a non capire che se l’uso della droga diventerà legale il problema aumenterà? Allora, visto che gli omicidi proseguono nonostante la legge li punisca, perché non li legalizziamo? Perché non si fa lo stesso ragionamento con il femminicidio, i furti e tutti i comportamenti ingiusti e quindi perseguibili? Inoltre, si alimenterebbe comunque un altro mercato proibito, fatto di sostanze nuove, come quelle chimiche. Altrettanto assurdo è sostenere che è giusto legalizzare la marijuana perché anche l’alcol e il fumo non sono proibiti. È come dire: risolviamo questi problemi aggiungendone un altro che è pure peggiore, dato che alcol e fumo non sono nocivi quanto lo è la marijuana».
Ci spieghi.
«La marijuana, a differenza del tabacco, può provocare alterazioni cerebrali, senza contare le conseguenze a medio e lungo termine sulla funzionalità del cervello e sul sistema immunitario. La cannabis poi danneggia i polmoni in maniera molto più violenta del tabacco, aumenta il rischio di cancro, indebolisce le facoltà cognitive, la memoria, l’attenzione, e quindi fa aumentare il rischio di incidenti stradali. Aggiungerei che, contrariamente a quanto si pensa, i giovani sono molto inclini ad assuefarsi. La marijuana li rende ansiosi, angosciati, sonnolenti, il che si ripercuote sul loro rendimento scolastico, sui rapporti interpersonali e sulla loro vita in generale. Infine, aumentano i casi di schizofrenia».
Come mai?
«Se negli anni Settanta la quantità di principio attivo della cannabis era del 5 per cento, oggi siamo al 50-80. Non esistono droghe leggere e la cannabis è superpotente, spacciata soprattutto fra i giovani incoscienti dei rischi che corrono. Persino il quotidiano britannico The Independent, dopo aver condotto per anni una campagna antiproibizionista, nel 2007 fece pubblica ammenda, spinto proprio dai dati allarmanti che hanno dimostrato il collegamento fra uso di cannabis e schizofrenia. Tutti gli studi scientifici più seri rilevano gravi problemi vascolari alle arterie del cervello. Per quanto riguarda il cancro, invece, la British Lung Foundation tre anni fa ha pubblicato un rapporto in cui emerge come il rischio di tumore al polmone provocato dalla cannabis è 20 volte maggiore rispetto a quello causato dalla sigaretta».
Eppure la proposta di legge Della Vedova parla di “fini terapeutici”, prevedendo anche l' “autocoltivazione” di marijuana a questo scopo.
«Ci vuole un gran coraggio per mettere nero su bianco una proposta del genere. In questo modo nell’immaginario collettivo si abbassa la percezione della pericolosità della cannabis, ma soprattutto si fanno affermazioni che non hanno nulla a che vedere con la scienza: l’uso terapeutico della marijuana riguarda l’assunzione di compresse con effetti del tutto differenti dallo spinello. Se i politici avessero davvero a cuore i malati, anziché liberalizzare la cannabis farebbero pubblicità a determinati farmaci, la cui efficacia nella terapia dolore è di gran lunga superiore».
L’abuso di droga cresce, però, e questo è un fatto. Come si risolve il problema?
«Di sicuro il problema dei giovani esiste. Ma se volessimo risolverlo credo che tutti, dai genitori ai medici fino ai politici, per prima cosa dovrebbero opporsi con forza all’uso delle droghe e alla loro legalizzazione».
Umberto Veronesi, pur ammettendo che la marijuana «fa male», ha segnalato come un dato positivo i notevoli introiti fiscali incassati dal Colorado grazie alla liberalizzazione della marijuana. Cosa risponde al suo collega?
«È come dire: lo Stato si arricchisce sulla pelle dei suoi cittadini e noi siamo contenti. Non si possono fare affermazioni simili a cuor leggero. Sì, con la legalizzazione lo Stato risparmierà anche i vent’anni di pensione che non dovrà pagare a quanti moriranno di tumore, ma a lungo andare uno scenario del genere sarà deleterio per tutti, perché avremo una società debole, fatta di drogati, malati e schizofrenici».
TERREMOTO E GIUSTIZIA.
Per i morti dell'Aquila solo 9 colpevoli. E ora a fermare i processi arriva la prescrizione. Responsabilità difficili da stabilire. Perizie contrastanti. Vecchi edifici costruiti da tecnici ormai defunti. Per il sisma del 2009 sono stati condannati in via definitiva una manciata di imputati. E fra poche settimane un colpo di spugna finale cancellerà le ultime inchieste. Uno scenario che rischia di ripetersi col terremoto di Amatrice, scrive, nascondendo le responsabilità delle toghe e da antiberlusconiano, Paolo Fantauzzi il 2 settembre 2016 su "L'Espresso". Le indagini della Procura di Rieti. Quelle della Procura di Ascoli Piceno. Gli accertamenti dell’Anticorruzione. L’opinione pubblica che chiede, come sempre in questi casi, “pene esemplari”. Dopo il sisma che ha colpito Amatrice, Accumoli e Borgo Arquata, la macchina della giustizia si è subito messa in moto per individuare i responsabili dei crolli. La speranza è che non finisca come all’Aquila: nel capoluogo abruzzese i condannati per il terremoto sono stati una manciata. Per la difficoltà di accertare le colpe, innanzitutto. Ma anche per effetto della prescrizione, i cui tempi sono stati generosamente accorciati nel 2005 dal governo Berlusconi. Così fra poche settimane (il 6 ottobre) un definitivo colpo di spugna cancellerà tutti i processi non ancora terminati. Compreso quello al più noto degli imputati, Guido Bertolaso, a giudizio per omicidio colposo plurimo. A meno che non intenda rinunciare al “salvataggio” come ha detto nei mesi scorsi. Anche all’Aquila la magistratura si mise subito al lavoro con grande impegno. Su circa 200 fascicoli d’indagine aperti dopo il sisma, però, solo una quindicina hanno raccolto elementi sufficienti per arrivare a dibattimento. E soltanto pochissime inchieste si sono concluse in Cassazione con delle condanne, nove in tutto: quattro per il crollo della Casa dello studente (costato la vita a otto ragazzi), due per il Convitto nazionale (in cui persero la vita tre minorenni), altrettante per il collasso della facoltà di Ingegneria, più l'ex vice capo della Protezione civile Bernardo De Bernardinis , cui sono stati inflitti due anni di reclusione per l’informazione “imprudente” e “scorretta” che rassicurando immotivatamente i cittadini fece aumentare il numero delle vittime. Circostanza che non gli ha impedito di essere in prima linea nella macchina dei soccorsi nei giorni scorsi, essendo la sua pena stata sospesa. Nelle aule di giustizia molti altri casi si sono conclusi con l’assoluzione, spesso chiesta direttamente dall’accusa. «Processi del genere sono molto complessi» spiega il sostituto procuratore Fabio Picuti, che li ha seguiti tutti: «Molte case erano costruite con tecniche di un secolo fa, quando le norme antisismiche non erano ancora in vigore, e questo ci ha spinto a chiedere l’archiviazione. In altri casi si trattava di edifici realizzati male in partenza ma decenni fa, e i progettisti erano morti o molto anziani e quindi incapaci di affrontare i processi. E poi non bisogna dimenticare che per giungere a una condanna bisogna dimostrare un nesso causale fra i crolli e i lavori di ristrutturazione: si rivelano fondamentali le perizie e non sempre si riescono a provare condotte colpevoli». A questo complicato groviglio si aggiunge la prescrizione. Giovedì 6 ottobre si estingueranno tutti i processi non ancora conclusi. Secondo quanto previsto dalla legge ex Cirielli, infatti, i delitti con pena massima di cinque anni, come l’omicidio colposo, si estinguono dopo sei anni. Se c’è stata qualche interruzione, si può ottenere un altro 25 per cento di “bonus”. Totale: sette anni e mezzo dal sisma del 6 aprile 2009. Senza la riforma del governo Berlusconi sarebbero stati cinque in più: fondamentali per accertare tutte le responsabilità. Il risultato è che andrà sicuramente in fumo il processo per il crollo del palazzo di via D’Annunzio, che costò la vita 13 persone. A maggio la Cassazione ha annullato con rinvio la condanna dell’ingegnere che restaurò l’edificio (costruito negli anni ’60 con calcestruzzo scadente) e non si accorse dei rischi: tre anni e mezzo di reclusione in primo grado, ridotti a 22 mesi in appello e adesso tempi insufficienti per affrontare nuovamente due gradi. Situazione identica per i due palazzi gemelli che in via Sturzo provocarono 29 vittime. Anche in questo caso, a causa del calcestruzzo di scarsa qualità ed errori di progetto. Solo che quattro presunti responsabili sono deceduti e l’unico superstite ha quasi 90 anni. Così, dopo i tre anni comminati in primo grado, il giudizio si è fermato a causa delle sue condizioni di salute. E si salveranno pure i due imputati per il crollo di due palazzi in via Milonia, condannati a due anni di carcere: il processo è ancora in Corte d’Appello. Ci sono poi le inchieste finite nel nulla. Magari perché la Cassazione ha ribaltato i verdetti precedenti: nel crollo del condominio di via Rossi morirono in 17 e l’amministratore e direttore dei lavori di rifacimento del tetto (che sotto le macerie perse la figlia), dopo essere stato condannato in primo e secondo grado per disastro e omicidio colposo plurimo, a giugno è stato assolto con formula piena: “il fatto non sussiste”. Per il collasso dello stabile di via XX Settembre 123 (cinque morti), invece, l’unico imputato ancora in vita, il collaudatore oggi 91 enne, è stato assolto in tutti i gradi di giudizio. In altri casi i palazzi erano talmente mal costruiti, secondo le perizie, da rendere impossibile addebitare alcunché alle ristrutturazioni. Tanto da spingere l’accusa a chiedere l’assoluzione, come per gli edifici di via XX Settembre 79 (nove morti) e via Persichetti (due vittime). E nessuno ha pagato nemmeno per i danni subiti dall’ospedale, reso inagibile dal sisma al punto che quel 6 aprile i feriti dovettero essere medicati sul piazzale antistante: quattro imputati tutti assolti. La Procura, che aveva chiesto tre condanne, non ha nemmeno impugnato la sentenza. Anche chi ha pagato spesso se l’è cavata con poco. Oltre al già citato vice di Bertolaso, De Bernardinis, ci sono i quattro tecnici ritenuti colpevoli per il crollo della Casa dello studente (otto morti): pene comprese fra due anni e mezzo e quattro anni per accuse che vanno dal disastro alle lesioni all’omicidio colposo, ma pure a due di loro il provvedimento è stato sospeso per motivi di salute. Ventidue mesi di reclusione (quattro anni inizialmente) e interdizione quinquennale dai pubblici uffici, invece, per il direttore di cantiere e il direttore dei lavori della facoltà di Ingegneria, che collassò e non uccise nessuno solo perché era notte: qualche ora dopo sarebbe stata una tragedia. Infine i due responsabili del crollo del Convitto (tre vittime), accusati di inerzia anche per non aver fatto evacuare la scuola, frequentata da minori, dopo la prima forte scossa che precedette di poco quella fatale: il dirigente della Provincia con delega all'edilizia scolastica (due anni e mezzo di reclusione) e l’ex rettore Livio Bearzi (quattro anni). Per quest’ultimo dopo l’arresto si sono mobilitati il sindacato dei presidi, gli enti locali, vari parlamentari. La governatrice Debora Serracchiani ha addirittura scritto a Sergio Mattarella. Tutti concordi nell’ingiustizia di mandare in prigione un preside. Dopo 44 giorni Bearzi, che ha anche chiesto la grazia al Quirinale, è stato scarcerato. Ora è ai servizi sociali.
Dopo l’assoluzione definitiva in Cassazione, Enzo Boschi scrive al Corriere della Sera, scrive "Il Foglietto" il 26 Novembre 2015. Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera inviata dal geofisico Enzo Boschi al direttore del Corriere della Sera, all’indomani della sua piena assoluzione in Cassazione. “Caro Direttore, a pagina 25 del suo giornale del 21 novembre 2015, in basso a destra, in una decina di righe di una piccola frazione di colonna, con il titolo "Sisma all'Aquila. Assolti gli Scienziati", è apparsa la notizia che la Cassazione ci ha assolto definitivamente. Eravamo già stati assolti con formula piena un anno fa nel processo d'appello. Ovviamente lei è padrone di pubblicare come meglio crede ciò che crede opportuno. Tuttavia, giornali prestigiosi come La Repubblica, La Stampa e Il Messaggero ... hanno dato un adeguato risalto alla notizia. Lo scopo di questa mia lettera non è quindi di recriminare con lei, ci mancherebbe. Piuttosto vorrei farle notare la sproporzione fra il trafiletto di sabato e il lungo articolo apparso sul Corriere della Sera del 28 ottobre 2012, all'indomani della nostra condanna nel processo di primo grado. È un articolo scritto da un'anziana Signora, autrice di libri dimenticabili e dimenticati. Non ha mai seguito il processo svoltosi a L'Aquila, dove peraltro non mi sembra siano capitati giornalisti del Corriere. Ciononostante, la Signora sembra far fatica, nell'empito del suo sfogo, nel trattenersi dal chiedere per noi la pena di morte per impiccagione. Ebbene, se avesse seguito il processo, cioè se avesse provato l'esperienza di scrivere di cose a lei note, forse si sarebbe accorta di qualche incongruenza. Per esempio, il Sindaco Cialente durante la sua deposizione al processo dichiara che era rimasto fortemente impressionato dalle mie dichiarazioni sulla pericolosità sismica abruzzese, tanto da prendere misure cautelari. La cosa può essere verificata senza dubbi di sorta! Lo dichiara anche in un’intervista successiva alla deposizione, che può essere trovata sul web. Addirittura arriverà a chiedere lo stato di emergenza per la sua città. Il 2 aprile 2009, quattro giorni prima del terremoto, Il Centro, il più importante giornale abruzzese, dedicherà a questa sua richiesta un'intera pagina. L'incongruenza, che poteva esser compresa anche dalla Signora, risiede nel fatto che il PM e il Giudice di primo grado hanno ignorato le dichiarazioni di Cialente mentre sono state uno degli argomenti che hanno portato il Giudice del processo d'appello ad assolverci con formula piena. Inoltre, se la Signora era così convinta nell'accusarci di aver rassicurato gli aquilani, l'avrà senz'altro fatto sulla base di riscontri. Strano che nessuno abbia trovato alcunché che giustifichi la sua indignazione. Mi rendo conto che a una certa età anche un viaggio Roma-L'Aquila-Roma può essere faticoso ... Potrebbe allora coltivare il dubbio come fanno le persone colte e intelligenti e di conseguenza informarsi. Invece, nell'articolo, la Signora ci indica come riferimento morale la Senatrice Pezzopane, all'epoca, credo, Presidente della Provincia de L'Aquila. Ebbene la invito, caro Direttore, ad ascoltare sul web alcune conversazioni fra la Pezzopane e la Stati, all'epoca Assessora per la Protezione Civile della Regione Abruzzo, cioè (titolo V della Costituzione) la massima e unica autorità in materia di sicurezza dei cittadini abruzzesi. Per sua comodità le allego una pagina della trascrizione del dialogo "illuminante" Pezzopane-Stati ...Mi farebbe piacere che anche la nostra spietata accusatrice ne prendesse visione ... forse potrebbe anche trovarne una qualche ispirazione per uno dei suoi romanzetti. Non credo che lei pubblicherà questa mia lettera. In fondo quando uscì l'articolo, il Corriere era diretto da altri. Mi piacerebbe tuttavia conoscere la sua opinione su un fatto: perché, secondo lei, la richiesta di stato di emergenza non fu concessa? Se fosse stata concessa forse non ci sarebbero state vittime ... o sarebbero state molte meno. E perché, secondo lei, nessun giornale si è posto questa domanda? Una ragione ci sarà, c'è sempre una ragione ...Grazie per l'attenzione. Enzo Boschi”.
TERREMOTO DELL’AQUILA. C’E’ IL COLPEVOLE! CAMORRISTI, SCIENZIATI & FACCENDIERI TUTTE VIOLE MAMMOLE. Scrive il 9 dicembre 2015 Paolo Spiga su "La Voce delle voci". Dentro il primo! Terremoto dell’Aquila, 309 corpi sotto le macerie quel maledetto 6 aprile 2009. Finalmente la implacabile giustizia comincia a colpire, il pugno di ferro dei magistrati a farsi sentire. In galera i progettisti che hanno inventato case di cartone? I costruttori che hanno usato materiali scadenti? Chi ha impugnato compassi, ruspe e betoniere per la ricostruzione post sisma? Casalesi arrivati in un baleno a impastare calcestruzzo, subappalti e milioni di euro? Politici collusi? Colletti bianchi? Scienziati della commissione “Grandi Rischi” che non hanno allertato sugli imminenti pericoli? No. La mannaia è scesa sul capo di Livio Bearzi, il preside del convitto “Domenico Cutugno” dove persero la vita tre studenti e altri due rimasero feriti. Condannato a 4 anni per omicidio colposo, avendo “omesso di valutare l’enorme pericolo incombente” e colpevole – secondo gli ermellini del palazzaccio di Roma – di non aver fatto uscire in tempo i ragazzi dal convitto killer. Eccolo, dunque, il Grande Colpevole, Bearzi. E chi se ne frega se più volte, nei mesi precedenti, aveva denunciato alla Provincia – proprietaria dell’istituto – tutte le insidie rappresentate da una struttura costruita addirittura duecento anni prima, e con tutti i segni dell’età nelle strutture! “Non c’è alcun pericolo – avevano rassicurato – prima o poi daremo a sistematina. Ma per ora potete stare sereni”. Renziani ante litteram, i solerti amministratori della Provincia? Ma per fortuna oggi giustizia è fatta. Il mostro di Cividale è assicurato alle patrie galere. Forse perchè – avranno pensato i togati – porta anche sfiga. Si era salvato per miracolo, quasi quarant’anni fa, nel 1976, dal terremoto che sconvolse il Friuli: era con i calzoncini corti, allora, studente del convitto. I terremoti, forse, sono nel suo Dna: e anche per questo la galera è sacrosanta. Un fesso pericoloso, il preside, secondo la giustizia di casa nostra: non fu in grado di capire quanto i cervelloni, gli Einstein della commissione “Grandi Rischi” potevano tranquillamente non sapere, come ha poche settimane fa stabilito la stessa Cassazione. Ergo: i geni come Franco Barberi ed Enzo Boschi, che conoscono ogni piega del territorio e “ascoltano” il nostro suolo come neanche una mamma con il bimbo in grembo, sono giustificati circa il loro clamoroso flop e, per di più, non sono colpevoli di aver in somma incoscienza “rassicurato” i cittadini e tranquillizzato il popolo bue aquilano (giusta vittima sacrificale). Il preside Bearzi, invece, doveva “prevedere” il futuro: gli è mancata – gigantesca colpa – la palla di vetro…Caritatevole, corre in soccorso del condannato a 4 anni di galera il procuratore capo dell’Aquila Franco Cardella: “posso soltanto esprimere la mia solidarietà per il dramma della persona. Un uomo di scuola che perde i propri studenti è come il capitano che vede affondare i marinai”. Uno Schettino sulle scole d’Abruzzo: solo che il comandante, che ha sulla coscienza i 32 morti del Giglio, è libero (per ora) come un fringuello. Ma il lavoro, a quanto pare, ferve nel foro dell’Aquila. Un iper attivismo per far luce su tanti altri colpevoli di quelle morti sotto le macerie del sisma. Alcuni avvocati parlano di “oltre 200 procedimenti aperti”. Un pò – c’è chi racconta – “come quando Fantozzi dava i numeri sui gol per le partite della Nazionale, 15 a 7 o 24 a 12. Solo che qui la situazione non è tragicomica, ma solo tragica, perchè si tratta di giustizia finora negata ai familiari delle vittime”. Numeri a parte (la quota di 200 sembra davvero campata per aria, a meno che non vengano comprese eventuali – e poco immaginabili – liti condominiali post sisma) è la qualità delle inchieste e dei relativi processi che desta non poca preoccupazione. “Una delle indagini cardine riguarda la malcostruzione dei balconi per il progetto Case – racconta un architetto – alcune centinaia di situazioni. Ma con tutto quello che è successo sembra il classico topolino…”. Tutto quello che concerne la malcostruzione di prima, la prevenzione zero, la non informazione dei cittadini sui rischi, i soccorsi e l’emergenza, le varie fasi della ricostruzione post sisma…, su tutto questo – un vero ben di Dio – non si muove una foglia. Affaristi, politici, camorristi, faccendieri d’ogni specie possono dormire sonni tra tanti morbidi guanciali. Perchè la giustizia di casa nostra funziona così: basta un preside in galera perchè non ha suonato la campanella…
Magistrati al posto di scienziati. Pontificano su terremoti, su ogm, su stamina, su Xylella, su prospezioni, su onde herziane. Fanno spesso buchi nell'acqua, sprecando tempo e risorse, scrive Domenico Cacopardo. Se David Bowie, il duca bianco, che aveva raffigurato se stesso nei panni di un marziano che cade sulla terra, si reincarnasse in Italia avrebbe di che rimanere, nel giro di qualche ora, stupificato (magnifico neologismo attribuibile alla rabbina Barbara Aiello). Nel mondo della tecnologia, figlia della scienza, in Italia scoprirebbe che gli scienziati non vanno di moda, né vanno di moda i termometri. Il potere giudiziario, infatti, conferendo a se stesso un esercizio del potere che va al di là del sapere scientifico, ama aprire e condurre processi alle fonti del sapere, spesso contestate, per meri interessi di botteguccia da chi la scienza non sa dove sta di casa. Pensiamo al caso L'Aquila con i sismologi condannati e assolti in appello. Pensiamo al caso Stamina, una ciarlateneria che, per alcuni anni, è stata presa sul serio da magistrati che hanno creduto alla pietra filosofale, più che alle valutazioni del Consiglio superiore di sanità, contribuendo alle illusioni di ammalati e loro familiari sulle virtù terapeutiche di un metodo inesistente sul piano scientifico e su quello dei risultati. A quanto è dato di capire da un breve giro sul web, Stamina esiste ancora ed è illegalmente praticato nel territorio della Repubblica italiana. Pensiamo al caso della Xylella (Xylella fastidiosa, batterio Gram negativo che vive e si riproduce all'interno dell'apparato conduttore della linfa grezza) che ha colpito grandi superfici pugliesi coltivate a olivi. Per combatterla, l'Unione europea e lo Stato italiano, hanno avviato un programma di abbattimenti di essenze malate e di essenze sane, in prossimità, appunto, di quelle colpite per realizzare una specie di cortina sterile a difesa del resto delle piantagioni. Ovviamente, sono sorti subito comitati e comitatini di oppositori della misura profilattica, supportati da sedicenti tecnici o da tecnici veri che, tuttavia, non hanno responsabilità specifiche nella gestione del problema. Ebbene, anche in questo caso non si trova di meglio che processare gli scienziati che hanno identificato il batterio e che hanno indicato le terapie difensive da attuare. Anche per il Muos siciliano, alcuni magistrati, in contestazione degli studi del Consiglio superiore di sanità (con il Cnr), hanno avviato un procedimento nei confronti dei realizzatori dell'opera, vitale per la sicurezza dell'Occidente e dell'Italia, sulla base di non dimostrate né dimostrabili conseguenze nei confronti della popolazione civile. In Puglia, l'ipotesi di ampliare le aree di prospezioni petrolifere in mare Adriatico, nell'interesse primario della bilancia dei pagamenti italiani e dell'economia nazionale e regionale, incontra l'opposizione di Notriv, una specie di Notav, mobilitati nella ingiustificata opposizione a una possibile via di rilancio economico. Il presidente della Regione, Emiliano, i cui passi da borghese da grand-élite non disdegnano le vie della smaccata demagogia, indulge nell'appoggio ai Notriv, per ricostruirsi un'immagine, dopo il deterioramento provocato da anni di potere. La Lucania, ora, gode degli effetti positivi dei ricavi da estrazione di petrolio, dopo avere combattuto tale possibilità. Messina è governata da un desperado agitatore che è riuscito a convincere l'elettorato della città a eleggerlo sindaco sulla stupida e autolesionistica promessa Noponte. Anni di studi di scienziati buttati nel cesso da un professore di ginnastica con la vocazione del protestatario. Certo, onesto rispetto ai soldi, ma privo dell'onestà intellettuale di ammettere che chi sa più di lui, sa più di lui. Vedrà anche il nostro David Bowie, marziano in Italia, che si processano i termometri non le febbri. In passato, da una procura italiana furono mandati avvisi di garanzia o mandati di comparizione a Reagan, Gorbaciov, Mitterand per commercio di armi nucleari. Il commercio di armi è stato anche il settore elettivo di alcuni magistrati per avviare procedimenti nei confronti di capi di governo e ministri della difesa. Tutti finiti in una bolla di sapone. In tema di termometri, sembra di questo genere il processo alle agenzie di rating in relazione al quale si sarebbero svolti costosi (e di dubbia utilità) accessi in uffici americani. La prima vittima di questo caos, è il sistema giudiziario italiano: migliaia di magistrati tessono la tela per una giustizia operosa e tempestiva, in silenzio facendo senza apparire, mentre altri appaiono senza fare (il caso de Magistris e le recenti assoluzioni di tutti coloro che lui aveva accusato di vari reati contro l'amministrazione). Eppure ci vorrebbe poco, se il governo Renzi, che si autoqualifica governo del fare, decidesse di mettere alla prova la capacità dell'Associazione nazionali magistrati di convenire una piattaforma di iniziative amministrative e legislative per dare ai processi tempi normali, analoghi a quelli degli altri paesi. Con ciò getterebbe un bel guanto di sfida. Per quel che riesco a capire, la sfida sarebbe accolta e dal caos creativo (e distruttivo) passeremmo a un ordine creativo, capace di battere la strada della certezza del diritto, della pena e della sentenza, un qualcosa che sembra, appunto, appartenere più a Marte che all'Italia repubblicana e democratica. Basterebbe riflettere sul felice esito della questione della caserma Manara, finalmente ceduta - ma solo dopo l'avvio di un'azione di coordinamento e pungolo della presidenza del consiglio - all'amministrazione della giustizia che lì concentrerà gli uffici giudiziari civili, lasciando l'infelice pseudobunker di Piazzale Clodio a quelli penali in una purtroppo ritardata razionalizzazione del sistema giustizia romano. Non è infatti vero che in Italia non si può cambiare nulla: fa solo comodo a pochi non cambiare nulla. Per gli altri, per la collettività cioè il cambiamento è vitale. Basterebbe pensare com'è cambiato il paese per la semplice (mica tanto) costruzione dell'Alta velocità Torino-Milano-Salerno per capire come serve intervenire nelle arterie della penisola rendendole tal quali la modernità pretende. Il nostro Bowie, infine, rimarrebbe senza parole osservando come una parte della sinistra storica italiana è fisiologicamente conservatrice e combatta tutto ciò che comporta, in fin dei conti, nuova occupazione (il ponte sullo Stretto) e futuri benefici per la collettività. La vecchia psicopatologia, tutti uguali, perciò poveri e disperati che ispirò le politiche economiche dell'Urss, continua ancora a colpire nella Corea del Nord e, per fortuna solo in modo marginale, in Italia. ItaliaOggi. Numero 016, pag. 5 del 20/01/2016.
Giustizia folle dopo L'Aquila: 200 inchieste, poche condanne. Anche in Abruzzo il sisma del 2009 scatenò le procure. Ma il bilancio è un flop: 19 processi e assolti a pioggia, scrive Giuseppe Marino, Mercoledì 31/08/2016, su "Il Giornale". Il dolore causato dal terremoto dell'Aquila, così come quello di Amatrice, non è risarcibile, eppure è nella natura umana cercare un colpevole. Ma a nessuno gioverà il tormento ricaduto sulle spalle di decine di persone finite nel mirino della magistratura dopo la tragedia. Spesso con risultati modesti, un copione da non ripetere ad Amatrice e dintorni. All'indomani del terremoto del 6 aprile 2009, proprio come sta accadendo ora tra Ascoli e Rieti, cominciò a spirare un potente vento giustizialista e non solo tra chi aveva legittimamente diritto a chiedere conto delle morti. La Procura dell'Aquila avviò duecento fascicoli di inchiesta sui crolli. A distanza di sette anni, i dibattimenti che risultano effettivamente aperti sono solo 19 e le condanne una manciata. Ci sono poi altri processi collaterali, come quello contro la Commissione Grandi rischi, terminato con una sola condanna. Ma è anche sul piano della «qualità» delle condanne che si può nutrire qualche dubbio visto l'esito di tanto sforzo giudiziario. Anche allora, come oggi, giornali e tv diedero in pasto all'opinione pubblica notizie di losche macchinazioni per appropriarsi cinicamente di soldi pubblici in barba ai rischi per gli edifici, sospetti su clamorose truffe nelle costruzioni che poi furono causa di morti. A guardare bene però, fin qui a pagare sono state un pugno di uomini, a loro volta spesso già colpiti personalmente dal terremoto. Sono due i casi clamorosi che hanno condotto a condanne definitive. Per i ragazzi morti alla Casa dello studente sono stati ritenuti colpevoli tre tecnici che eseguirono un restauro e il presidente della commissione di collaudo. Per il crollo del Convitto nazionale dell'Aquila, sotto le cui macerie morirono tre studenti, è stato condannato a 30 mesi un ingegnere della Provincia, ma in carcere è finito solo il povero preside Livio Bearzi, che in quell'edificio viveva con la sua famiglia, incolpato di «aver omesso di valutare l'enorme pericolo incombente» e non aver evacuato preventivamente l'edificio. Un caso umano, che ha spinto anche una richiesta di grazia e si è presto tramutato in servizi sociali per Bearzi. Tutti assolti in Cassazione invece per uno dei crolli più letali, quello dell'edificio di via XX Settembre, che provocò nove vittime. Bearzi non è l'unico caso umano tra i condannati. Ci sono anche un 80enne e un 84enne, accusati di aver conferito l'incarico di direttore dei lavori di restauro di un palazzo nel quartiere di Pettino a un geometra anziché a un ingegnere: quattro anni di carcere, nonostante il palazzo abbia retto al sisma dando modo a tutti gli inquilini di salvarsi e sia crollato solo dopo nove giorni. Ed è stato invece prosciolto il geometra. Ci sono poi tecnici che hanno dovuto combattere anni in tribunale. Come l'ingegner Diego De Angelis. Fu processato per il crollo di un palazzo di cui aveva curato gratis il restauro del tetto. Era il condominio in cui viveva e in quel disastro morì la figlia Jenny. Sette anni con il tormento per la perdita e per le accuse infamanti per poi essere assolto in Cassazione. «In una città come L'Aquila, con un sisma così forte molti crolli erano inevitabili - dice Gianluca Racano, avvocato aquilano che ha seguito alcuni processi - ma concentrare tutte le energie sulla caccia al colpevole è fuorviante, il problema della cultura anti sismica è politico».
Nordio, il pm contro: "Trovare i colpevoli? Una caccia alle streghe". "La nostra società non ammette l'imponderabile, non sarà facile dimostrare chi e se ha sbagliato", scrive Stefano Zurlo, Mercoledì 31/08/2016, su "Il Giornale". La caccia alle streghe non gli è mai piaciuta e la rotta non cambia nemmeno oggi. Anche se ci sono i morti, i crolli, le rovine. «Dopo il terremoto - dice Carlo Nordio - si è scatenata una corsa spasmodica alla ricerca del colpevole, si additano presunti responsabili di qua e di là, ma questo meccanismo mi lascia perplesso. Mi pare che la società contemporanea, laicizzata, cerchi il capro espiatorio per superare tragedie che altrimenti sarebbero insuperabili, con il loro carico di morte e di dolore». Va controcorrente anche questa volta il procuratore aggiunto di Venezia, uno dei magistrati più famosi d'Italia, prima con un editoriale per il Messaggero, poi con questa intervista al Giornale.
Dottor Nordio, che cosa non la convince?
«Viviamo in un mondo che non accetta più il lutto, il cataclisma, il terremoto che ci annichilisce e annulla le nostre presunte certezze. Un mondo che ha perso il senso del sacro».
Certo, ma qui parliamo di costruzioni inadeguate, di ritardi, di soldi mal spesi o dimenticati.
«Un attimo, questo viene dopo».
E prima cosa c'e?
«Se la società non ammette più che ci sia qualcosa che sfugge al proprio controllo, allora subito dopo il disastro parte la caccia al colpevole. Per forza. A prescindere».
Scusi ma l'Italia è piena di tecnici che hanno chiuso gli occhi e di collaudatori che hanno certificato ristrutturazioni che gridavano vendetta.
«Non sono nato ieri e faccio di mestiere il pubblico ministero, ma segnalo un modo di ragionare che secondo me è distorto. Si parte in automatico alla ricerca del colpevole e, siccome siamo in Italia e tutto viene giurisdizionalizzato, il colpevole diventa imputato a furor di popolo e va alla sbarra. Mi pare che in questi giorni si stia assistendo allo stesso fenomeno».
Guardi che sono stati i suoi colleghi a denunciare anomalie, stranezze, incongruenze. Dovrebbero forse fingere che tutto è stato fatto a regola d'arte?
«Ovviamente no, ma ci vuole cautela, non si può procedere impulsivamente, sulla base di sentimenti e risentimenti».
Si faranno indagini e verifiche e alla fine chi non ha rispettato la legge sarà punito. Non è giusto che sia così?
«Si, purché si sappia che sarà molto difficile dimostrare le colpe che tutti oggi danno per sicure».
Perché?
«Perché non è affatto semplice arrivare a una condanna per omicidio colposo o per disastro colposo, il reato classico del terremoto. Attenzione: nel processo non basta stabilire che i lavori siano stati fatti male, no si deve dimostrare che se fossero stati eseguiti nel migliore dei modi quella casa oggi non sarebbe in macerie, quel campanile non sarebbe venuto giù, quella chiesa sarebbe ancora al suo posto. Capisce?»
Non si può andare avanti per slogan o tesi semplicistiche?
«L'Italia è un Paese complesso, parliamo di un patrimonio che ha centinaia di anni, parliamo di beni che hanno avuto una vita lunga e travagliata, parliamo di opere con vincoli di ogni tipo. Naturalmente per gli edifici costruiti negli ultimi anni il discorso è più facile, ma molte abitazioni sono il risultato finale di interventi spalmati nel tempo».
Il paragone con il Giappone non regge?
«Non sono mai stato in Giappone ma mi pare che i nostri borghi e le nostre città abbiano una fisionomia assai diversa dalla loro».
L'indignazione di oggi lascerà il posto ad un'interminabile guerra di perizie?
«È un rischio concreto: perizie e controperizie in un estenuante duello fra le parti. Con un ulteriore problematica: se scopriamo che i privati per risparmiare non hanno effettuato le migliorie previste che facciamo, mettiamo sotto inchiesta le famiglie dei morti?».
D'accordo, ma l'Italia è il Paese delle tangenti, delle abitazioni realizzate più con la sabbia che con il cemento, dello scandalo dell'Irpinia. Vuole forse passare con la spugna su decenni di ruberie?
«No, dobbiamo perseguire la tangente, il falso, l'abuso, ma il disastro colposo non ammette scorciatoie. E poi dobbiamo metterci in testa che nel codice penale non esiste l'imponderabile, anche se nel nostro Paese sono stati processati perfino i professori che non avevano previsto, poveretti, il terremoto dell'Aquila».
TERREMOTO E PREVISIONE.
Un sacco di scienziati e complottisti sono andati a letto ieri senza sapere di aver previsto il terremoto che ha devastato il Centro Italia questa notte. Oggi, con malcelata soddisfazione, ci comunicano che avevano ragione. Come sempre. Scrive Giovanni Drogo mercoledì 24 agosto 2016 su "Next Quotidiano”. Precisi come degli orologi svizzeri questa mattina sono arrivati quelli che leggono – a posteriori – i dati che indicano chiaramente che la notte passata ci sarebbe stato un forte terremoto. Dal momento che non è possibile prevedere il giorno, l’ora o il momento esatto di una scossa (e la relativa magnitudo) si tratta, nella migliore delle ipotesi, di cattiva informazioni (nella peggiore di mistificazioni pure e semplici). Spiega infatti l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che non è possibile fornire previsioni precise utili ad avvertire per tempo la popolazione. Modelli teorici imprecisi non danno previsioni precise. Esistono dei segnali, chiamati precursori sismici, che consentono di poter formulare previsioni approssimative riguardo intervalli di tempo, di spazio e di magnitudo entro i quali si può verificare con maggiore probabilità della media un evento sismico. Ma non è detto che poi l’evento si verifichi davvero o che sia dell’intensità “prevista”. Sono state invece compilate delle mappe di pericolosità sismica che indicano quelle aree dove a maggiore rischio (e la zona colpita stanotte è purtroppo una di quelle). Utilizzando queste mappe è possibile adottare misure preventive (ad esempio costruire edifici antisismici o mettendo in sicurezza quelli esistenti) per limitare i danni di un eventuale terremoto. Tutto qui? Purtroppo al momento sì, perché i modelli teorici non consentono di essere più precisi. I terremoti non si prevedono, ma è invece possibile – anzi doveroso tenuto conto della situazione geologica italiana – fare prevenzione. Eppure c’è chi già questa mattina sottolineava come avesse già previsto la scossa. Spiegando di aver individuato una ventina di giorni fa un’anomalia che oggi dimostra come al tempo aveva previsto un terremoto. Ovviamente senza localizzarlo, senza indicare l’orario o la magnitudo. Il che come previsione non risulta essere sufficientemente precisa da poter sostenere di avere in mano una prova chiara del rapporto causa-effetto. Tenendo conto che si sapeva già che la zona colpita risulta essere ad alto rischio sismico non si tratta di previsioni accettabili, soprattutto perché – caso comune a molte altre previsioni – vengono fatte dopo l’evento. Che sulla catena appenninica si possano verificare scosse di questo tipo è cosa quindi nota, quello che manca di sapere (e che fa la differenza) è il momento preciso. E questo purtroppo non è possibile determinarlo in base alle conoscenze scientifiche attuali. Vogliamo parlare di quello “scienziato” che crede che i terremoti siano causati da perturbazioni cosmiche e che la causa vada ricercata nel Sole (la soluzione sarebbe spegnerlo). Un momento, forse potrebbe essere il fracking la causa! Ma ecco che, quando la scienza non ci dà certezze, arrivano direttamente quelli che credono nella magia. La grande fiera della cospirazione e della geoingegneria. Come già accadde in occasione del sisma del 2012 in Emilia Romagna c’è chi crede che sia possibile prevedere un terremoto guardando la conformazione delle nuvole. Si tratta di tecniche degne degli antichi romani? Nulla di tutto questo perché c’è chi ci spiega che le nuvole “orientate” in quel modo non sono naturali ma vengono create grazie a esperimenti sul campo elettromagnetico, del tipo di quelli svolti dal famigerato HAARP. Peccato che Terra Real Time, noto sito di complottisti, indicasse come epicentro del fenomeno la Calabria e non il Centro Italia. Cose che capitano quando si devono tenere sotto controllo le macchinazioni del NWO. Curiosamente sul sito le “onde scalari” che hanno provocato lo “tsunami elettromagnetico” venivano ritenute pericolose soprattutto per i portatori di Pacemaker. Il loro scopo? Modificare il clima. Nessun accenno ai terremoti in questa curiosa previsione. Ma naturalmente il NWO non vuole che si sappia che nemmeno Terra Real Time ha previsto un terremoto. Sarebbe bastato leggere il – breve – testo del comunicato per accorgersene ma dal momento che si parla di tsunami e che il termine è associato ai terremoti, ecco servita la previsione. In mancanza del nostro esperto di fuffa preferito (Rosario Marcianò è momentaneamente assente da Facebook) non ci resta che consolarci con le spiegazioni di Gianni Lannes che sul suo sito evoca scenari militari: C’entra forse qualcosa il programma segreto di aerosolchemioterapia bellica che la NATO – previo indottrinamento degli esperti civili – manda in onda dal 2002, a base di irrorazioni aeree di alluminio e bario che rendono l’aria maggiormente elettronconduttiva, in modo da consentire alle onde elf di colpire le faglie sismiche attive? Scie belliche e sciami sismici: un distruttivo connubio militare. […] I terremoti possono essere provocati anche dall’uomo con vari mezzi e sistemi, soprattutto in aree notoriamente a rischio sismico che spesso mascherano la reale dinamica dell’evento tellurico: esplosioni convenzionali e nucleari, iniezioni elettromagnetiche nella crosta terrestre, riscaldamenti ionosferici, ricerca ed estrazione di idrocarburi. Un terremoto indotto presenta distintamente un ipocentro superficiale.
C'è una "Cassandra" che aveva previsto tutto: "L'allineamento dei pianeti scatenerà l'inferno". Stefano Calandra aveva avvisato su giorno e luogo della scossa. Ma il caso non c'entra, scrive Emanuela Fontana, Venerdì 28/10/2016 su "Il Giornale". La speranza in un mondo nuovo dove si possono prevedere i terremoti questa volta è da decifrare nelle cifre minime delle congiunzioni più silenziose, in una scienza più affine al popolo maya che agli umani del terzo millennio. AQ2, Azimut, rotazione dei pianeti, quella rivoluzione dell'«altre stelle» che per Dante era prerogativa dell'amore, e che secondo una nuova teoria potrebbe anticipare i terremoti. Teoria allo studio anche in Grecia, e ora al centro di un dibattito sui social network in Italia che si sta alimentando come un falò dalla sera del 26 ottobre. Tutto è partito dal signor Stefano Calandra, un cognome che evoca la Cassandra di Troia. Nella vita fa il consulente per bed and breakfast, e da qualche mese pubblica una serie di grafici in cui segnala gli allineamenti dei pianeti e i possibili movimenti delle faglie terrestri. Il post più sconcertante lo ha scritto il 25 ottobre, preceduto da una segnalazione del 18: «26/10 sera-notte. L'affollamento di coincidenze di pianeti in linea a 0 gradi di scarto, ben 10 come numero di eventi, essendo una situazione mai vista..., fa pensare ad un potenziale rischio sismico molto alto, quasi massimo, da quel 24/8 del terremoto di Amatrice in poi». Veniva indicata un'area generica, quella «Mediterranea», e una fascia oraria più delicata per il 26, dalle 17.30 alla mezzanotte. Le scosse sono avvenute come scritto il 26 ottobre, a distanza di due ore, con potenza in incremento e nella fascia oraria segnalata. Per la giornata del 27, ossia ieri, Calandra indicava rischio sismico fino alle 10,30 del mattino, e poi di nuovo alle 17.30, con picco alle 22. Il 28 ottobre, oggi, un «allineamento perfetto dei pianeti», a decrescere in serata. Le coincidenze del cielo vicine allo zero in occasione del terremoto di Amatrice, si aggiunge, furono cinque, ora il doppio. Le principali: Giove-Luna Terra, Saturno-Venere-Terra, Mercurio-Sole-Terra. Siamo nel campo delle supposizioni ancora primordiali, del tutto artigianali, e lo stesso Calandra, gli va riconosciuto, lo ammette con una naturale o costruita - umiltà: «Queste previsioni scrive - costituiscono solo delle ipotesi pseudoscientifiche, derivanti da un modello teorico troppo giovane per essere comprovato al 100%». Aggiunge quindi che questo modello acerbo deve essere integrato con le mappe sismiche dell'Ingv e con gli studi sull'aumento di gas radon nel sottosuolo per rendere più circoscritta l'area della segnalazione. Sui social è un ininterrotto fiume di commenti, da «cialtrone» a molti «grazie» su una pagina che ha avuto un'impennata di contatti in una notte insonne: da 700 a 4500. Ci stanno lavorando studiosi anche in Grecia: su 109 grandi terremoti analizzati dal 2004, 102 sarebbero avvenuti in occasione di un allineamento di almeno tre pianeti. Il problema è che manca la prova inversa: quanti falsi allarmi ci sarebbero con questo sistema?
L’uomo che prevede i terremoti. Ecco come fa e le polemiche…, scrive Antonio Amorosi, Mercoledì 30 maggio 2012 su “Affari Italiani”. Il disastro che sta colpendo l’Emilia Romagna e tutti noi era forse evitabile con costruzioni antisismiche ma sarebbe stato possibile fare anche di più. La sentinella dei terremoti sarebbe il Radon un gas radioattivo prodotto dalla disintegrazione spontanea di alcuni metalli. Gli studi sul rapporto tra Radon e terremoti avvengono dagli anni ’60 e la comunità scientifica si interroga sul tema senza essere arrivata a una prova definitiva. Ora quello che sostiene Giampaolo Giuliani, tecnico ricercatore dei Laboratori del Gran Sasso e asceso alle cronache prima del terremoto dell’Aquila, è che combinando le anomale fuoriuscite di Radon con uno sciame sismico in atto, si può prevedere i terremoti in arrivo e capire dove. Lo stesso sciame con fuoriuscita che era visibile adesso in Emilia. Con questa tecnica sarebbe possibile individuare l’epicentro e prevedere con precisione l’avvicinarsi del sisma. Le valutazioni di Giuliani potrebbero anche non essere catalogabili dalla comunità degli addetti ai lavori come scientifiche ma i suoi allarmi sembrano aver fatto centro più di una volta. Intanto nessuno lo ascolta e dà seguito alle sue ricerche.
Cosa ha fatto stanotte Giuliani?
«Ho lavorato. Da stanotte abbiamo impiantato un nuovo rivelatore in Abruzzo, tre stazioni osservative che prevedono le anomalie ad 80-120 km per macchina. Intrecciandole arriviamo a una visione fino a 200 km di distanza. Le anomalie rilevate stanotte davano un responso calmo con piccole scosse di assestamento. Ma riusciamo a vedere solo con 6-24 ore di anticipo».
Cosa ha visto in questi giorni prima del terremoto?
«Abbiamo visto una forte anomalia in arrivo ma non potevano verificare dove. Le nostre macchine sono troppo distanti. Se fossimo su tutto il territorio riusciremmo a vedere con precisione il punto dell’epicentro. La nostra è una ricerca autofinanziata che ha dato ottimi risultati sul campo. Più di questo non riusciamo a fare».
Il presidente di Ingv (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) Stefano Cresta ha sostenuto di recente in tv che le sue tecniche non sono scientifiche e che se lei avesse previsto il terremoto dell’Aquila si sarebbe dovuto spostare dal suo abitato e non lo ha fatto! Dove sta la verità Giuliani?
«Il terremoto non potevo fermarlo con le mani! Sono una campana fuori dal coro. Trovano facile delegittimarmi. Non si sa ma la notte prima del terremoto dell’Aquila ho salvato più di 350 persone. Quando ho parlato dell’evento sono stato raggiunto da un avviso di garanzia per procurato allarme. Avevano “montato” una storia falsa cioè che avessi predetto il terremoto a Sulmona ma è falso…falso! Mi hanno minacciato di non avvertire la popolazione per l’arrivo del terremoto …se lo avessi fatto...»
Cosa fa la sua macchina?
«Rivela la variazione di Radon che fuoriesce dal terreno e i suoi prodotti di decadimenti. Questa avviene quando c’è un movimento sospetto nel terreno».
Che rapporto ha il Radon con i terremoti?
«I terremoti avvengono sottoterra. Le rocce sottoposte a stress emettono Radon. La crosta terrestre poggia sul mantello, il mantello contiene uranio, radon, borio…tutti elementi dell’energia termodinamica rilasciata dal mantello. Possiamo vedere se la concentrazione di Radon aumenta e siamo in grado di trigonometrare ed identificare l’epicentro. Quando l’attività è lontana vediamo le anomalie ma danno un segnale più sfocato ed è impossibile fissare il luogo. Se c’è in corso uno sciame sismico incrociamo questo col radon rilasciato nel terreno e capiamo dove avviene il terremoto ma sul nostro raggio d’azione limitato».
Ci sono sperimentazioni in altri Paesi?
«I normali radometri con i quali si misura il radon verifica anche altri elementi che producono le sue particelle di rilascio. Non è un segnale pulito ma noi proviamo a vederlo con questa macchina che ho costruito. In Russia, Turchia, Cina c’è un attenzione al Radon associato al rilevamento del terremoto. Lo fanno in modo diverso dal mio ma sono attenti. Noi, lo dico per chiarezza, riusciamo a vedere solo 6-24 ore prima dell’avvenimento ma l’energia di un terremoto può accumularsi in brevissimo tempo e rilasciare la scossa».
Cosa bisogna attendere adesso?
«Bisogna fare attenzione. Nell’eventualità di altre anomali con i nostri piccoli mezzi proveremo a farlo sapere se le vediamo».
Terremoto, Giuliani: "Si poteva prevedere. Lo sciame? Osservato da 20 giorni". Intervista di Lorenzo Lamperti a Giampaolo Giuliani, Mercoledì, 24 agosto 2016 su "Affari Italiani”. "Il terremoto in Centro Italia? Si poteva prevedere". Lo afferma in un'intervista ad Affaritaliani.it Giampaolo Giuliani, ex tecnico dell'Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario e ora presidente dell'omonima fondazione permanente di ricerca sperimentale sui precursori sismici.
Giampaolo Giuliani, si poteva prevedere quanto è successo questa notte?
«Sì, si poteva prevedere. C'era una situazione con uno sciame sismico in atto che andava avanti da tempo nel Centro Italia. Sull'Appennino centrale si verificavano scosse giornaliere, anche se strumentali, di un certo interesse».
In che modo può affermare che l'evento fosse prevedibile?
«Noi come Fondazione Giuliani portiamo avanti una ricerca sperimentale sulle variazioni del gas radon che vengono analizzate dai nostri sensori. I nostri grafici rivelano, quando l'incremento supera un certo limite, la possibilità di un forte rilascio. Questo è accaduto anche in occasione del terremoto dell'Aquila sette anni fa. Abbiamo stazioni in questo momento su diversi territori del pianeta. Siamo appena tornati dalla faglia di Sant'Andrea dove abbiamo installato tre stazioni su una direttrice di 700 chilometri tra Palm Springs e San Francisco. Poi abbiamo altre quattro stazioni in funzione a Taiwan e tre ne abbiamo in Abruzzo. Questa notte ne funzionavano due».
E come mai non si è riusciti a prevenire?
«La mia ricerca sperimentale suscita sempre molte polemiche. Ed eravamo in ritardo sui tempi. C'era la speranza che l'evento si verificasse in mezzo alle montagne producendo danni molto minori rispetto a quanto poi effettivamente successo».
Collabora con le istituzioni italiane?
«Il nostro lavoro è molto più apprezzato all'estero. Abbiamo diverse collaborazioni negli Stati Uniti, in Cina, dove prestano molta più attenzione e fede alla risposta di questa ricerca. Siamo appena tornati dagli Stati Uniti e ora mi stavo preparando perché ho una richiesta del governo dell'Ecuador per andare a montare lì cinque stazioni».
Non ha un dialogo con il nostro governo?
«Qui in Italia per questo tipo di ricerca sperimentale e all'avanguardia c'è molta ignoranza. Siamo molto indietro. Nemmeno ti danno la soddisfazione di provare, saggiare, sperimentare, mettere a disposizione mezzi e strumenti per fare qualcosa di nuovo e innovativo. Questa ricerca me la pago da solo con la fondazione e qualche donazione privata per portare avanti il nostro lavoro».
Qual è l'innovazione portata dalla sua ricerca?
«La strumentazione che ho inventato io misura la propagazione del radon che fuoriesce dal sottosuolo. Ci sono diversi sensori posizionati a una certa distanza tra di loro. Misura la velocità di propagazione, e la variazione di concentrazione, di radon. Quando si verifica un picco sia in incremento sia in decremento che supera la media mobile è un segnale di anomalia che può far scattare l'allerta».
Sulla sua pagina Facebook lo scorso 10 agosto aveva pubblicato un grafico riguardo delle anomalie sismiche. Riguardavano lo sciame sismico che ha portato al terremoto di questa notte?
«Sì, riguardava proprio l'incremento dello sciame che stavamo monitorando. In quel periodo ero in California e controllando le stazioni in Italia mi sono reso conto della presenza di un'anomalia che nei giorni successivi aveva dato vita a quattro eventi sismici nella zona».
E' prevedibile che lo sciame sismico continuerà nelle prossime ore e nei prossimi giorni?
«Certamente. Dopo un evento come quello di questa notte avremo sicuramente uno sciame con una serie di eventi la cui intensità andrà piano piano a diminuire fintanto che non si sarà scaricata completamente tutta l'energia rilasciata. Avremo bisogno ancora di 24 o 48 ore per poter dire che effettivamente l'evento di questa notte è stato quello con la maggiore intensità. Sicuramente l'impressione che abbiamo dall'analisi dei dati e da come si sta comportando lo sciame sembra che tutto debba andare pian piano a finire. Calcoli però che uno sciame dopo un forte evento come questo può durare anche per qualche mese».
Il sismologo Giuliani: "Così prevedo i terremoti. Ecco dove può colpire il sisma ora", scrive “Libero Quotidiano” l'1 novembre 2016. Il sismologo Giampaolo Giuliani è famoso per essere "quello che prevede i terremoti". Per gli esperti ufficiali è poco più di un ciarlatano, ma lui al Tempo ribadisce la sua verità: "Non mi ascoltano perché il terremoto è un business". Le sue parole hanno spesso provocato polemiche. Da ultime le affermazioni su quello devastante di Norcia. Impronosticabile per tutti, non per lui: "Quello che viviamo in realtà è già accaduto, nel 1703. È storia: anche lì Amatrice, Accumoli, L'Aquila. Fu uno dei terremoti più significativi della nostra storia e l'evoluzione di oggi potrebbe ripercorrere quella di allora. Le repliche durarono più di due anni, e si ebbero reazioni anche in Toscana, Emilia, nella zona di Venezia. Poi tutto si concluse con un forte terremoto a Sulmona. Attenzione. Non voglio dire che ci sarà anche stavolta un terremoto a Sulmona, ma non possiamo non considerare quanto è successo". "Niente panico", ribadisce il sismologo, ma "co-no-scen-za". Le prime polemiche con la sismologia ufficiale sono sorte nel 2004, "quando io presentai la mia ricerca sperimentale e fu tacciata da criminale. Non si poteva dire che i terremoti si potessero prevedere. A chi facevo male? Il terremoto è un fenomeno che produce Pil, e dunque c'è sempre stata un'ostilità verso di me affinché il terremoto rimanesse un fenomeno non prevedibile". Il segreto secondo Giuliani sta negli strumenti che utilizza solo lui: "Sono sedici anni che studio il radon e ho informazioni su questo elemento, radioattivo, che il mondo accademico nazionale non ha, perché utilizzo uno strumento costruito da me. Io l'ho messo a disposizione di tutti, nel 2004, dal Cnr alla Protezione Civile e nessuno l'ha voluto vedere". Contestato in Italia, lavora all'estero: "Sono appena rientrato dagli Usa, presto andrò in Siberia. Ho messo quattro macchine a rilevare in Cina e sto trattando con il governo dell'Ecuador per andare a controllare la faglia di Nazca. Ma che mi importa di starmi a giustificare con gli italiani? Tra l'altro, io le mie ricerche me le sono sempre pagate da solo, non ho mai chiesto aiuti a nessuno. Avevo solo chiesto un paio di ricercatori per analizzare i miei 16 anni di dati che hanno un'importanza scientifica incredibile". Concessi? "Assolutamente no".
Poi c'è chi, il solito giornalista, che vede lucciole per lanterne. “Dobbiamo aspettare le prossime 24-48 ore, per capire. Potrebbe infatti verificarsi la scossa principale, fino a 7.5 gradi. Oppure potremmo registrare il decrescere di intensità con scosse intorno ai 6 gradi e poi via via a scemare”. Questa dichiarazione-shock sul quotidiano online Leggo del tecnico aquilano Giampaolo Giuliani, che da anni asserisce di poter prevedere i terremoti con un suo metodo, ha sconvolto la rete a poche ore dal sisma di magnitudo 6.5 delle 7.40 di domenica, scrive il 31 ottobre 2016 “Abruzzo Web”. La notizia ha fatto il giro delle reti sociali suscitando le “solite” reazioni dicotomiche tra contestatori e fan di Giuliani: gli uni hanno denunciato l’irresponsabilità di sbilanciarsi in un modo così netto, gli altri hanno ringraziato per averli messi in guardia. Ad aumentare la confusione, il fatto che nell’articolo Giuliani sia stato definito “sismologo” e “professore”: non è né l’uno né l’altro né, a onor del vero, ha mai millantato di essere una figura diversa da quello che è, un tecnico studioso dei sismi. Alla fine la situazione si è surriscaldata: più tardi lo stesso tecnico ha citato alcuni titoli come uno attribuito a Libero “Sismologo terrorizza l’Italia prevedendo una scossa disastrosa”. E dato che già una volta Giuliani è stato denunciato per procurato allarme (inchiesta archiviata) e altre volte ha rischiato nuove denunce, in breve tempo sono arrivate due precisazioni sulla propria pagina Facebook. “Non ho assolutamente dichiarato alla giornalista che ci sarebbe stata una scossa di magnitudo 7.5 entro 48 ore - ha chiarito - La domanda è stata: Dopo questa scossa quanto ci vorrà per sapere se è la scossa più forte?. Risposta: Beh 24-48ore. Domanda: E quella faglia, quanto può rilasciare?. Risposta: Tra il 6.5/7.5. E la giornalista decide di scrivere che Giuliani avrebbe dichiarato che si verificherà un evento entro 48 ore catastrofico”. Nel secondo, Giuliani ha aggiunto di aver “parlato con la giornalista Lorena Loiacono, la quale non voleva nel modo più assoluto creare allarmismo. In realtà, il titolo di testa è stato ripreso da altri media i quali hanno approfittato dell’occasione per portare disagio nella comunicazione”. Tra quelli che hanno deprecato l’articolo c’è stato l’assessore comunale dell’Aquila alla Ricostruzione Pietro Di Stefano, che si è soffermato su un passaggio particolare. “Hai capito tu che consiglio? Non dormite negli edifici danneggiati. Cavolo! - è sbottato sempre su Facebook - Non sono entrato nel merito delle dichiarazioni sul sisma tanto ormai ne scrivono di tutti i colori e razze”. E a una fan che gli diceva “Per piacere lasciate stare Giampaolo”, Di Stefano ha risposto: “Per carità, chi te lo tocca”.
LA SCIENZA E LA NEW AGE.
New Age. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. La spiritualità New Age spesso incorpora gli elementi della Terra, della Luna e dello spazio esterno. Il termine New Age si riferisce alla venuta di una nuova era astrologica, l'Era dell'Acquario. New Age (traducibile letteralmente della lingua inglese come "Nuova era") è un'espressione generale per indicare un vasto movimento subculturale che comprende numerose correnti psicologiche, sociali e spirituali alternative sorte alla fine del XX secolo nel mondo occidentale.
Il termine "New Age" (letteralmente "nuova era") iniziò a essere diffuso dai mass media statunitensi nei tardi anni sessanta, per descrivere le forme di controcultura spirituale interessate a pratiche e concetti come la meditazione, il channeling, la reincarnazione, la cristalloterapia, la medicina olistica, l'ambientalismo e numerosi "misteri" di difficile interpretazione come gli UFO o i cerchi nel grano, o anche i bambini indaco. Questa corrente di pensiero esiste certamente già dagli anni settanta, e probabilmente deriva almeno in parte dalla controcultura degli anni sessanta. Le generazioni precedenti erano già arrivate a interessarsi ad alcuni (ma non a tutti) degli elementi principali del "sistema di sistemi di credenze" (o paradigma) della New Age, per esempio a pratiche come lo spiritualismo, la teosofia, l'antroposofia o la medicina alternativa. A loro volta, queste dottrine hanno radici nel trascendentalismo, nel mesmerismo, nello swedenborgianismo, nella tradizione rosacrociana e in altre tradizioni esoteriche occidentali (per esempio astrologia, magia, alchimia e cabala). Ricordiamo che proprio la generazione dei tardi anni sessanta volse lo sguardo verso l'oriente e abbracciò tecniche, riti, usi religiosi e pensieri della filosofia orientale, sospinta anche dal desiderio di rompere gli schemi politico-sociali-culturali-religiosi contemporanei. Nel mondo di lingua inglese, una delle origini della New Age si può certamente trovare nel lavoro del sensitivo Edgar Cayce, da cui trae origine il termine stesso di channeling (o channelling, considerato comunemente nella New Age come uno dei mezzi più significativi per mettersi in contatto con esseri di altre dimensioni). L'espressione New Age (o l'analoga locuzione Nuova Era) potrebbe derivare dagli scritti della neo teosofista britannica Alice Bailey. La Findhorn Foundation, fondata nella Scozia del Nord nel 1962, fu una delle prime comunità esplicitamente New Age. Alcuni studiosi, tra i quali Cecilia Gatto Trocchi hanno individuato nel santuario di Esalen, situato a metà strada fra San Francisco e Los Angeles, il primo centro New Age fondato negli anni settanta. In Russia il movimento è stato molto influenzato dall'eredità dei teosofi Nicholas Roerich e Helena Roerich. Un altro ex teosofo, Rudolf Steiner (poi fondatore del movimento antroposofico), è un punto di riferimento della New Age. In Brasile fonti analoghe si possono rintracciare nel pedagogista francese Allan Kardec che codificò lo spiritismo, o nelle tradizioni folcloristiche africane di Candomblé e Umbanda. Fra gli eventi che maggiormente hanno contribuito a fornire visibilità al fenomeno della New Age, si devono certamente citare la manifestazione Harmonic Convergence ("convergenza armonica", a volte indicata brevemente col riferimento alle sincronicità delle ricorrenze numeriche dell'"11:11"), organizzata da José Argüelles a Sedona (Arizona) nel 1987 e la miniserie televisiva Out on a Limb di Shirley MacLaine (ancora 1987) che, tratta dall'omonimo bestseller che la MacLaine aveva scritto, è un racconto autobiografico delle esplorazioni spirituali dell'autrice. Curiosamente, in quell'anno si dice che si sia avverata una profezia dei nativi americani Hopi, cioè la nascita di un bisonte bianco che avrebbe dovuto portare, secondo la leggenda, un aumento del livello di consapevolezza dell'umanità. Come alcuni hanno fatto notare, quello stesso anno fu firmato un trattato fra USA e URSS per l'eliminazione di missili nucleari a media gittata, e iniziò il processo che avrebbe portato, due anni più tardi, al crollo del Muro di Berlino. Altri eventi che ebbero vasta eco furono le dichiarazioni sorprendenti dei primi channeler, come Jane Roberts (che parlava in nome di una entità chiamata Seth) e J.Z. Knight (per Ramtha). Fra i libri che più hanno influenzato la nascita e lo sviluppo del movimento New Age vanno infine ricordati Un corso in miracoli (A Course in Miracles) di Helen Schucman, La profezia di Celestino (The Celestine Prophecy) di James Redfield, E venne chiamata Due Cuori (Mutant Down Under) di Marlo Morgan, la serie di scritti Conversazioni con Dio (Conversations with God) di Neale Donald Walsch e i messaggi di Kryon. Correlata alla New Age è anche l'opera di Carlos Castaneda, da A scuola dallo stregone (The teachings of don Juan) in poi.
Le numerose e diverse concezioni riconducibili a questa denominazione sono accomunate dall'ideale dell'avvento di un "mondo nuovo" o di una "nuova era", spesso indicata astrologicamente come età dell'Acquario (l'età attuale è detta dei Pesci). Sotto la definizione di New Age vengono fatte ricadere molte realtà di diversa natura - semplici stili di vita, filosofie, religioni, medicine alternative, organizzazioni, aziende e via dicendo, caratterizzate da un approccio eclettico e individuale all'esplorazione della spiritualità. Il termine New Age è anche ampiamente e ufficialmente utilizzato per riferirsi al vasto segmento di mercato in cui si vendono libri, beni e servizi connessi a tali visioni del mondo.
Il New Age si può definire come una rete vagamente connessa di ricercatori e gruppi spirituali (o scuole), di maestri e terapeuti (a volte chiamati guru, guaritori o semplicemente "facilitatori") e altre figure analoghe (talvolta detti new agers). Caratteristica distintiva dell'odierna New Age è che ogni individuo, essendo di origine divina, è chiamato a costruirsi un proprio cammino spirituale di risveglio (o di "ritorno a Casa"), riferendosi eventualmente al patrimonio universale proveniente da ogni tradizione mistica e religiosa, inclusi lo sciamanesimo, il neopaganesimo, la cabala e l'occultismo, ma soprattutto basandosi sulla propria esperienza interiore e sul proprio discernimento e sentire intuitivo. Anche l'aiuto che può essere fornito al proposito da guide, angeli o guru è soggetto a questa restrizione, che quindi è diventata nel tempo una vera e propria regola d'oro per vagliare messaggi e messaggeri di qualsivoglia provenienza.
La principale convinzione che accomuna tutti o quasi i new ager (pur nello sconfinato panorama che rende arduo e fuorviante ogni schematismo) è che il nostro pianeta e l'umanità nel suo insieme (attraverso un cammino di trasformazione che però è individuale) si trovino alla soglia di un progresso spirituale che, se raggiunto, consentirà l'accesso a nuove dimensioni dell'esistenza, ovvero a una nuova forma di consapevolezza. Da più parti, per esempio, si fa riferimento all'anno 2012 (tratto da diverse antiche profezie) come termine indicativo di una transizione maggiore e di un "salto quantico" nel tessuto temporale dovuti anche all'attraversamento da parte dell'intero sistema solare di un campo energetico ad altissima frequenza indicato come cintura fotonica. Certo, per la loro stessa natura, questi concetti, peraltro sconosciuti alle religioni tradizionali, non sono riscontrabili nel pensiero Scientifico accademico e neanche sono in alcun modo citati nella Bibbia. Essi, per la visione New Age, non vanno intesi come la classica attesa della fine del mondo o del Giudizio Universale, ma come un termine temporale legato ai grandi cicli cosmici, entro il quale ogni essere umano (e la società nel suo insieme) dovrà prepararsi e ristrutturarsi, se vuole evitare di stagnare nell'inarrestabile cammino evolutivo. Ciò sembrerebbe ricordare da lontano il millenarismo cristiano di cui si parla nell'Apocalisse, ma senza avere la collocazione logica e storica che invece si apprende attraverso la lettura della Bibbia. Questi progressi, pur di natura spirituale, riguardano necessariamente anche i piani materiali dell'esistenza e toccano i codici stessi della struttura fisica. Le "nuove abilità" legate al risveglio interiore possono condurre ad un accrescimento sostanziale del sentire intuitivo e a trasformazioni percettive legate alla possibilità di vedere cose ora invisibili, di viaggiare nello spazio istantaneamente, di cogliere significati e correlazioni prima nascosti negli oggetti e gli eventi dell'Universo, nonché di agire su tali oggetti ed eventi in una moltitudine di nuovi modi "metafisici". La New Age quindi abbraccia volentieri, per esempio, la pratica della meditazione, o concetti di provenienza orientale come quello del risveglio in senso buddhista o quello dell'apertura del terzo occhio. Si organizzano inoltre seminari di yoga, corsi di occultismo e pratiche tantriche per attivare, o per meglio dire a sbloccare, energie latenti al fine di migliorare l'efficienza di tutti i partecipanti; gli iscritti appartengono a qualunque fascia socio-economica e, tra essi sono sempre più numerosi i manager, gli imprenditori, gli uomini di grande responsabilità politica e finanziaria.
Sempre in generale, i new ager affermano che queste nuove dimensioni di esistenza che attendono l'umanità sono già abitate da entità "interdimensionali" (e/o extraterrestri) e anche da alcuni pionieri umani (i cosiddetti Maestri Ascesi), e che questi esseri sono disposti a mettersi in contatto con chi è pronto a ricevere il messaggio o con chi comunque ne solleciti l'aiuto. Mentre per il modo corrente di vedere le cose qualunque tentativo di contatto da parte di esseri provenienti da un diverso piano di esistenza non può che risultare sconvolgente, incredibile o fantascientifico, il paradigma New Age prende in seria e attenta considerazione fenomeni che restano ancora difficilmente spiegabili nei termini del metodo scientifico galileiano o comunque controversi, come ad esempio i cerchi nel grano, gli UFO, il channeling o le varie forme di contatto medianico, ma anche le innumerevoli descrizioni di esseri elementali, fate e spiriti della natura (Deva), e i racconti di continenti scomparsi in seguito a cataclismi come Atlantide e Lemuria (Mu). Gli angeli poi e le varie schiere di esseri celesti (a cui d'altra parte si riferiscono, anche se con nomi diversi, tutte le più antiche tradizioni religiose) hanno un ruolo chiave nella visione New Age.
Se da quanto detto prima emerge una figura di new ager (un po' caricaturale) pronto a credere a tutto ciò che va oltre la visione comune del mondo (dove per "comune" intendiamo originata dalla scienza attuale o dalle religioni della tradizione giudaico-cristiana), in realtà è altrettanto fondamentale capire come nella filosofia della New Age che questa "apertura" nei confronti dell'incredibile sia regolata da ciascun individuo secondo le proprie inclinazioni spirituali personali. La frase più ricorrente nei forum e nelle altre comunità virtuali New Age è "for your discernment". Questa indicazione, "per il vostro discernimento" (come dire: "sottoposto al vostro giudizio") precede la maggior parte dei messaggi che contengono verità discutibili, come per esempio un messaggio ricevuto da un medium, in channeling, da una civiltà aliena (ad esempio delle Pleiadi). Ogni new ager, quindi, è chiamato a scegliere in cosa credere, con discernimento. La frase for your discernment, inoltre, implica che lo scrivente non si ritenga, per principio, detentore di verità assolute o ultime. Talvolta questo implicito rispetto per le convinzioni e il cammino spirituale del prossimo, a prescindere dalle sue peculiarità (o forse proprio in virtù di queste), è espresso anche da un altro uso verbale, questa volta di derivazione esplicitamente orientale, Namaste (un saluto che intende significare grosso modo "mi inchino al divino che c'è in te").
Quello riportato di seguito è un elenco di convinzioni largamente condivise nella New Age (anche se non necessariamente da tutti):
Tutta l'umanità – in effetti tutta la vita, tutto nell'universo – è spiritualmente interconnessa, e partecipe della stessa energia. Dio è uno dei nomi di questa energia;
Esistono esseri spirituali (angeli, arcangeli, maestri ascesi, creature elementali, guide e/o esseri extraterrestri) disposti a consigliare e orientare chi è pronto e ricettivo nei confronti dei loro insegnamenti;
La mente umana ha poteri profondi e vasti, che possono persino modificare la realtà: you create your own reality ("tu crei la tua realtà"); Tuttavia, alcune regole (spirituali) valgono comunque, per esempio, la legge di causa ed effetto del karma, anche se mitigata secondo alcuni dal perdono e dal superiore principio della Grazia divina;
Ogni individuo ha uno scopo sulla Terra e una lezione da imparare. La lezione più importante è l'amore;
La morte non è la fine di tutto, conduce solo a una diversa dimensione. La vita dopo la morte non prevede punizioni, al massimo una forma di intensa autovalutazione, o un periodo di insegnamenti avanzati, eventualmente impartiti attraverso la reincarnazione, il servizio agli esseri viventi in qualità di guida, o il ritorno alla vita dopo una delle esperienze di quasi-morte;
La scienza e la spiritualità possono e devono ritrovare l'armonia che le lega. Teorie scientifiche come l'evoluzione e la meccanica quantistica, se correttamente interpretate, sono traducibili in principi spirituali;
L'intuizione (o la "guida divina") può essere uno strumento di conoscenza alternativo, in un certo senso anche più efficace da quella razionalità che è guidata dallo scetticismo e dal dubbio sistematico. Il sapere intuitivo o interiore non mira a sostituirsi al tradizionale metodo scientifico, ma può invece cooperare con esso e contribuire ad ampliare i confini asfittici del vecchio scientismo. L'attuale paradigma dominante nella scienza occidentale ha il grande limite di non considerare con sufficiente serietà e apertura temi come quelli della parapsicologia, della meditazione e della medicina olistica;
C'è un nucleo mistico comune in tutte le religioni, orientali e occidentali. I dogmi, l'identità religiosa, l'intolleranza verso altre religioni sono tutti ostacoli fondamentali al progresso dell'individuo;
La Bibbia è sì un libro saggio e sacro, ma non del tutto integro, e comunque ognuno può avere in ogni momento un più vivo e diretto contatto col divino nella propria interiorità. Molte importanti verità non vi sono menzionate, o lo sono solo in modo molto obliquo e velato. Certe indicazioni poi sono chiaramente datate e non vanno prese alla lettera, senza contare che il testo può contenere diversi piani di lettura e di approccio, in modo che ognuno possa accedervi secondo il suo personale livello di coscienza. Alcuni sostengono che Gesù fosse inizialmente un Esseno, o che abbia viaggiato in India in gioventù per studiare le religioni orientali; altri sostengono che fosse un avatar come il Buddha;
Le forme femminili di spiritualità, e le immagini divine femminili (come Aeon o la Sophia dello gnosticismo), sono state dimenticate dalla nostra società patriarcale, e vanno recuperate;
Antiche civiltà estremamente avanzate, come Atlantide e Lemuria, potrebbero essere realmente esistite; potremmo non conoscere ancora il vero significato (o il vero potere) di vestigia del passato come le Piramidi egizie o Maya o Stonehenge o nuraghi;
Le coincidenze non esistono. Tutto ciò che accade ha un significato spirituale e uno scopo (una lezione da insegnare);
Esiste un progetto per cui ogni individuo si trova in ogni momento nel posto giusto per imparare la propria lezione;
La mente ha poteri nascosti, attivi anche al di là della nostra consapevolezza, e cerca di comunicare con noi attraverso sogni, visioni (durante la meditazione) e così via;
La meditazione, lo yoga, il t'ai chi, il reiki e altre pratiche tradizionali orientali derivano da una profonda conoscenza di verità dimenticate, e sono uno strumento importante per comprendere l'Universo;
Ogni tipo di relazione ha il potenziale di far crescere l'individuo. Dalle relazioni con gli altri impariamo chi siamo, quali sono i nostri punti deboli e i nostri punti di forza (che ci consentono di aiutare il prossimo). Tutte le nostre relazioni saranno ripetute (reincarnazione) fino a quando non saranno "guarite", ovvero fino a che non supereremo la prova che rappresentano;
Esiste però una "via breve", un cammino individuale che può permettere ad ognuno di uscire dalla ruota interminabile delle reincarnazioni sul piano materiale;
La reincarnazione è un concetto fortemente semplificato di un fenomeno interdimensionale estremamente complesso che la mente lineare attuale non è capace di inquadrare in modo coerente e completo. Si trovano così diverse forme di interpretazione di questo concetto di base. Per alcuni la reincarnazione è all'origine una forma di servizio reso volontariamente al pianeta per aiutarlo a trasmutare un carico karmico globale che gli impedirebbe di ascendere alle dimensioni (o densità) superiori;
Le anime cercano il tutto; il nostro obiettivo ultimo è imparare ad amare tutto ciò con cui entriamo in contatto, a scoprire il divino in ogni cosa e a riscoprire infine noi stessi Uno col Tutto.
L'era dell'Acquario è l'era astrologica che segue a quella attuale dei Pesci, in base al ciclo astronomico della precessione degli equinozi, che dura in tutto circa 25800 anni. Poiché i dodici segni, da un punto di vista astrologico, sono di eguale estensione, ogni era durerebbe un dodicesimo di 25800 anni e cioè 2150 anni. Secondo calcoli di volta in volta diversi, ma grossolanamente sovrapponibili, l'era dei Pesci sarebbe iniziata intorno all'anno 1, cioè con la nascita di Gesù Cristo, il cui simbolo è il pesce. Sull'esatta venuta dell'era dell'Acquario esistono pareri discordanti. A seconda dei diversi autori, l'età dell'Acquario è, o appena iniziata (anni '60 del secolo scorso), secondo alcuni nel 21 dicembre 2012, o inizierà, secondo altri, intorno al 2140-2150. Secondo Rudolf Steiner occorrerà invece aspettare il 3573, ma gli effetti (derivanti soprattutto dall'attesa) di questo prossimo cambiamento sono già iniziati negli anni venti-trenta del XX secolo. L'Unione Astronomica Internazionale, avendo definito i confini delle varie costellazioni in modo diverso da quello adottato in astrologia, per cui le estensioni dei diversi segni sono disuguali, ha calcolato che questo avvenimento cadrà all'inizio del XVII secolo.
Il problema di quali elementi culturali contemporanei debbano essere inclusi nella New Age è controverso. Il channeling ha evidentemente molti punti in comune con le pratiche medianiche spiritualiste. Movimenti magici come il neopaganesimo e spirituali come la psicologia transpersonale sono parzialmente sovrapposti con la New Age. Alcuni gruppi preferiscono prendere le distanze dalle possibili connotazioni negative dell'etichetta "New Age", come ad esempio la commercializzazione di prodotti e servizi. Il movimento del Nuovo Pensiero ha origini proprie e indipendenti che risalgono alla metà del XIX secolo, tuttavia alcuni suoi insegnamenti presentano analogie con quelli della New Age e la vita indipendente di cui gode oggi la parte della dottrina del Nuovo Pensiero che va sotto la denominazione di pensiero positivo e l'ampio uso che viene fatto nelle chiese New Thought (sia cristiane che non) di materiali New Age come Un corso in miracoli, fanno sì che tale movimento religioso sia oggi spesso considerato come in parte sovrapposto o comunque collegato alla New Age. Anche scienziati e pensatori come Fritjof Capra hanno cercato di creare i presupposti culturali per un cambiamento di paradigma della scienza con l'assimilazione di concetti come la medicina olistica, l'ecologia della mente di Gregory Bateson, o i rapporti fra taoismo e meccanica quantistica, evitando però accuratamente di essere in qualche modo assimilati alla New Age vera e propria. Vi sono stati anche tentativi di presentare la New Age come movimento sociopolitico; si può citare, per esempio, la "New Age Politics" di Mark Satin (seconda metà degli anni settanta), il pensiero di Theodore Roszak e la "Cospirazione dell'Acquario" di Marilyn Ferguson.
Le critiche delle credenze New Age prendono generalmente tre forme: critiche sulla mancanza di un'adeguata base o prova scientifica, critiche di violazione e abuso della sacralità di varie tradizioni religiose, di filosofie o di culture, e critiche basate sul fatto che questa dottrina, nonostante si identifichi come movimento culturale controcorrente, goda di grande copertura mediatica.
Inoltre molti di coloro che credono nella teoria del complotto pensano possa essere ricollegato alla teoria del complotto del nuovo ordine mondiale anche a causa di molte pratiche ispirate o copiate da rituali eseguiti all'interno di sette di varia natura, quali massoneria e simili, quindi ricadenti nel campo dell'occulto e dell'esoterismo.
Molte religioni costituite hanno tacciato il pensiero New Age di essere eretico, immorale, deviante, o comunque privo di una chiara guida data da un libro sacro oppure da una tradizione antica; inoltre contestano il rapporto diretto, immediato e personale con la divinità, privo dell'intermediazione di una classe sacerdotale, per di più gerarchica. Sul New Age si è anche espressa la Chiesa Cattolica con un apposito documento del Pontificio Consiglio della Cultura e del Pontificio consiglio per il Dialogo Interreligioso. Alcuni studiosi di area cattolica hanno avvicinato il new age al satanismo, ravvisando quali punti di contatto la pretesa di essere o sostituirsi a Dio, la visione relativistica dell'esistenza e della verità e le pratiche rituali di tipo sincretista. Alcuni adepti di discipline tradizionali di paesi quali ad esempio l'India e la Cina, un vasto numero di scuole ortodosse di Yoga, Tantra, Qigong, medicina cinese, Ayurveda e arti marziali (le tradizionali famiglie Taijiquan, ad esempio), nonché gruppi con una storia antica di secoli hanno tutti affermato che il movimento New Age (di matrice occidentale) è una comprensione parziale o nulla, o addirittura una deliberata distorsione delle loro proprie discipline.
Alcune delle critiche più dure all'eclettismo New Age sono venute da scrittori e comunità degli Indiani d'America. La Dichiarazione di guerra contro gli sfruttatori della spiritualità Lakota è una delle più forti affermazioni di avversione alla New Age da parte dei capi tribù nordamericani.
Alcuni scrittori hanno ravvisato tracce di razzismo nelle fonti della teosofia, in particolare negli scritti di Alice Bailey riguardo agli Ebrei e alcuni commenti di Rudolf Steiner riguardo specifici gruppi etnici, africani inclusi, sebbene Steiner perlomeno avesse poi enfatizzato l'eguaglianza razziale come principio della sua antroposofia.
QUELLI PRO…SCIENZA.
La ricerca fa ridere se la fusione fredda crea l’uovo di gallina. Nel libro di Aleksandra Kroh e Madeleine Veyssié “14 scoperte scientifiche che non sono servite a niente», scrive Pietro Spirito il 6 aprile 2017 su "Il Piccolo”. Ci sono i partigiani degli Ufo, naturalmente. A cominciare dai due burloni David Chorley e Doug Bower, che hanno ingannato il mondo intero con i loro cerchi di grano. E poi c’è Dolores Krieger, esegeta internazionale dei benefici del tocco terapeutico, una tecnica che permette agli infermieri di manipolare i campi energetici dei pazienti sofferenti evitando qualunque contatto fisico. E che dire di Corentin Louis Kervran, ammiratore dell’alchimia, che dopo attenti studi ed esperimenti è «giunto alla conclusione che il calcio dei gusci delle uova di gallina è stato creato da un processo di fusione fredda». Ma ci sono anche due italiani, Marina De Tommaso e Paolo Livrea, della facoltà di Neurologia e psichiatria dell’Università di Bari, che «hanno misurato il dolore provato da persone che guardano un brutto dipinto rispetto a quelle che ammirano una bella tela, quando si invia sulla loro mano lo stimolo di un potente raggio laser». Sono tutti scienziati, o pseudo scienziati, o veri e propri ciarlatani, accomunati dall’aver ricevuto il premio Nobel. Non, però, quello conferito a Stoccolma, bensì l’anti-Nobel consegnato ogni anno dall’Università di Harvard alle dieci scoperte scientifiche più stravaganti e inutili. È l’Ig Nobel, riconoscimento assegnato con l’intento programmatico di «far prima ridere e poi riflettere». Nel corso di una sontuosa cerimonia, un vero e proprio galà cui partecipano con gioia anche autentici premi Nobel, gli improbabili scienziati - quelli che accettano l’invito - sono chiamati a esporre in ventiquattro secondi esatti la loro ricerca attraverso una “descrizione tecnica completa”, seguita da un riassunto in sette parole comprensibile a tutti, con risultati esilaranti che scatenano fra il pubblico un entusiasmo da stadio. L’Ig Nobel va avanti dal 1991 per volontà di Marc Abrahams, matematico e informatico, a sua volta un burlone patentato, inventore negli anni Ottanta dei “Simulatori di saggezza”, strumento informatico che permette di fare la scelta giusta in ogni circostanza, antenato della formazione interattiva. Abrahams, che «ha il dono di presentare tutte le scoperte, che siano pazzoidi o serie, in modo ugualmente esilarante», in tutti questi anni con i suoi Ig Nobel è riuscito quantomeno a dimostrare che «nonostante a volte divaghi, nonostante venga praticata da esseri umani, dunque necessariamente imperfetti - compresi vecchi rimbambiti, ambiziosi carrieristi, fanatici e, perché no, imbroglioni -, la scienza sa essere sottile, affascinante e grandiosa». Ce lo raccontano le fisiche Aleksandra Kroh e Madeleine Veyssié nel libro “14 scoperte scientifiche che non sono servite a niente” (Bompiani, pagg. 380, Euro 13,00), dall’onesto sottotitolo “Benché questo sia tutto da dimostrare”. Armante di santa pazienza e scientifica competenza, Kroh e Veyssié hanno spulciato gli annali dell’Ig Nobel cogliendo fior da fiore, fino a mettere insieme un’antologia di storie spassosissime, dando però al lettore le informazioni scientifiche necessarie perché possa farsi una propria opinione sulle scoperte proposte. Il repertorio di base era enorme, con autentiche genialità come «l’inventore di un metodo per fermare il singhiozzo persistente tramite massaggio rettale», o la presentazione del “dissuasore per adolescenti”, un dispositivo elettromeccanico «in grado di produrre suoni ad alta frequenza, molto sgradevoli, udibili esclusivamente dai più giovani». Ma le due autrici hanno prediletto le ricerche più scientificamente sostenibili, per così dire, quelle dove il confine fra il colpo di genio e la follia si fa molto sottile. Come nel caso di Jacques Benveniste, medico e biologo, ricercatore affermato, direttore di un grande laboratorio specializzato in immunologia, che si è aggiudicato non uno bensì due Ig Nobel, sia per i suoi medicinali omeopatici, sia per la teoria sulla memoria dell’acqua, in virtù della quale «l’acqua che non contiene più alcuna molecola attiva potrebbe restare essa stessa attiva, come se conservasse il ricordo delle sostanze con cui è stata in contatto». Teoria assai suggestiva, ma le molecole fantasma di Benveniste finiranno per sparire nel nulla dopo anni di lotte per affermare la loro esistenza. Risate a parte il loro libro, dicono le autrici, affronta «con grande modestia un problema dalla massima importanza: la percezione della scienza nella società contemporanea, tempo in cui tutti noi beneficiamo «dei vantaggi che essa porta nel quotidiano», ma tanti, forse troppi «la ritengono sclerotizzata, visceralmente attaccata ai propri dogmi e refrattaria alle grandi idee innovatrici», cedendo piuttosto alle lusinghe di «superstizioni medioevali, rivelazioni incredibili o alla spiritualità New Age».
È assurdo che qualcuno posso essere contro la scienza, eppure molti lo sono, e la causa di fondo non sono solo i raggiri dei ciarlatani ma anche il fatto che la scienza può essere difficile, ed alla gente non mi piacciono le cose difficili, scrive CEIFAN Centro di Indagine sui Fenomeni Anomali diretto dal Servizio Antibufala. Esistono tutta una serie di luoghi comuni assolutamente falsi sulla scienza e sul mondo scientifico, ma che sono molto diffusi e duri a morire. Spesso ci vanno di mezzo anche persone che seguono i metodi scientifici e la razionalità nell'affrontare cose come misteri, complotti e paranormale. Esempi sono persone come Attivissimo o i ricercatori del Cicap, che vengono continuamente diffamati con assurde ed infondate accuse, poiché si rifiutano di accettare le bufale, si rifiutano di credere per fede a certe bufale, e si permettono perfino di sbugiardare con prove le affermazioni fatte da ciarlatani. Ad affermazioni di Attivissmo e del Cicap che non sono gradite, ed anche loro possono sbagliare, ci si aspetterebbe una risposta con prove e documentazioni serie, invece si risponde con calunnie diffamanti o con cose inattendibili al di fuori di ogni validità scientifica. In realtà, si tratta di pubblicità negativa scaturita dell'odio che nutrono contro di loro le persone che sono state umiliare dalle loro ricerche, che a differenze di quelle dei ciarlatani sono supportate da valide prove, senza contare l'odio di tutti coloro che oramai credono in una bufala per fede e si vedono quindi toccata la loro "religione", e chi casca nella trappola diffamatoria non va mai a controllare la veridicità delle accuse mosse. Qualsiasi persona sana di mente che leggerebbe ed analizzerebbe il materiale presente sui cari siti di Attivissimo e del Cicap non si sognerebbe mai di dire che sono dei disinformatori, piuttosto si troverebbe a far loro i complimenti per il lavoro svolto svolto a rivelare bufale ed imbrogli di ogni genere. Persone come Attivissimo ed i ricercatori del Cicap mantengono la loro autorità ed autorevolezza proprio perché non hanno divulgato falsità, le quali avrebbero immediatamente distrutto la loro credibilità. Ovviamente questo discorso si estende a chiunque svolga una attività qualitativamente paragonabile alla loro. Ma se queste persone vengono continuamente denigrati con false accuse costruite ad arte, la stessa scienza non se la passa bene, ed infatti i sostenitori delle bufale hanno un concetto completamente distorto di essa. Un luogo comune duro a morire è il seguente: "La scienza non accetta l'esistenza dei fenomeni che non riesce a spiegare", come ad esempio il paranormale o affermazioni riguardanti bufale. La verità comprovata è però completamente diversa: "La scienza non riesce a trovare alcun vero fenomeno paranormale da spiegare". Le discipline scientifiche infatti non solo accettano, ma addirittura cercano continuamente l'esistenza di nuovi fenomeni. Se così non fosse, non ci sarebbe stato alcun progresso scientifico. È bene precisare che non ha assolutamente alcun senso spiegare un fenomeno che non è ancora stato osservato: sarebbe come cercare di spiegare come facciano gli asini a volare senza avere le ali. La conoscenza di un fatto nuovo precede per forza la sua eventuale spiegazione: prima si osserva un fenomeno e poi, se ne cerca la spiegazione. Non si deve mai, come fa spesso la parapsicologia e la pseudoscienza, invertire quest'ordine. Insomma: prima di costruire una teoria per spiegare come gli asini possano volare senza avere le ali, sarebbe ragionevole osservarne almeno uno che voli davvero. Dopo più di cent'anni di osservazioni nel campo della parapsicologia, quello che manca ai fenomeni paranormali non è una spiegazione, ma una prova della loro esistenza. In sostanza, i fenomeni paranormali non sono "inspiegabili", sono semplicemente non-accaduti. Tali fenomeni non si sono mai verificati in condizioni di controllo, cioè sotto gli occhi di prestigiatori e scienziati esperti. Lo stesso discorso riguarda anche affermazioni pseudoscientifiche riguardanti bufale. Giova anche ricordare che l'evoluzione delle scienze è determinata da una continua ridiscussione critica delle conoscenze acquisite ed è determinata da un continuo affinamento di modelli. Le varie pseudoscienze si diffondono sempre più vistosamente sfruttando i mezzi di comunicazione a torto ritenuti autorevoli in questo campo. Le pseudoscienze non sono altro che sciocche affermazioni prive di fondamenti, di riscontri oggettivi e di qualsiasi utilità. Esse sono alla base delle bufale. Tutte le pseudoscienze hanno in comune alcune caratteristiche come il fatto che mancano completamente del concetto di controprova (concetto che serve a stabilire se due fatti sono correlati da causa-effetto oppure no) ed il fatto che adattano i fatti alle teorie (e non le teorie ai fatti).
Una cosa che non riesce a capire della scienza è che l'onere della prova spetta a chi fa le affermazioni. Nelle scienze (e nel vivere civile) spetta a chi fa le affermazioni provare quello che dice. Nelle pseudoscienze invece si accetta una teoria non dimostrata finché qualcuno non riesca a provare che è falsa; anzi la si accetta anche dopo che qualcuno è riuscito a dimostrarla falsa. Sarebbe come dire: "Dimostrate voi che non è vero che io ho incontrato gli alieni. Se non ci riuscirete allora dovrete accettare che è avvenuto." Supponiamo che qualcuno dica che "alcuni asini possono volare" e suffraghi questa teoria con la solita serie di testimoni. Egli, anziché presentare un asino capace di volare (la prova a suo onere), sfiderà gli zoologi a dimostrare che la sua teoria è falsa, ovvero che tutti gli asini non volano. Questo ovviamente non potrà mai avvenire, bisognerebbe buttare tutti gli asini esistenti da una rupe per dimostrarlo, e se pure si facesse si risponderebbe col fatto che gli asini si sono rifiutati di volare. Essi fanno continuamente affermazioni strampalate o fantastiche senza addurre mai alcuna prova, e se qualcuno gli si mette contro lo sfidano a dimostrare che loro sbagliano. Questo è il meccanismo di rovesciare l'onere della prova, ed è una truffa, un segno di inciviltà. Se si usasse nella legge si finirebbe per condannare senza processi (come le presunte streghe del medioevo) sulla base di accuse non dimostrate. Se qualcuno vi condannasse per aver causato una calamità naturale in un dato luogo e vi dicesse: "Dimostra che non sei tu la causa della sciagura, altrimenti sarai ucciso", voi come vi comportereste? Cose del genere, diffuse nel medioevo, accado tutt'oggi, perfino con gravi conseguenze. Ad esempio, a Nyakeo, in Kenya, otto donne e cinque uomini sono stati accusati di stregoneria, prelevati dalla loro casa con la forza e bruciati vivi. Le vittime erano considerate colpevoli di aver lanciato un maleficio al villaggio e un gruppo di uomini ha così organizzato una spedizione punitiva con tanto di bastoni e fiammiferi. I presunti stregoni (muganga in swahili) sono stati picchiati dalla folla, coperti di benzina e bruciati vivi. E pensare che i fatti di Salem risalgono al 1692. Non è cambiato poi molto.
Altra cosa che non si riesce a capire della scienza è che in essa non vale il principio d'autorità. Il principio d'autorità consiste nel far accettare, senza possibilità di critica, il pensiero di una data persona (l'autorità) sulla base del fatto che questa deve essere considerata superiore. Il principio d'autorità è molto usato nelle religioni e nelle sette, nonché dalle pseudoscienze che invece dei fatti controllabili si limitano a citare quello che dicono fantomatici esperti che in realtà non sono tali.
Nella scienza, a differenza che in altre attività umane, non si può accettare alcun principio di autorità. Anche i più grandi geni dell'umanità possono sbagliare: non è la loro parola che conta, ma le loro prove e i loro ragionamenti che devono essere riproducibili in altri esperimenti. Insomma, si crede ad X non perché "l'ha detto il grande scienziato Y", ma perché la sua teoria è continuamente confermata da esperimenti che può fare chiunque. Nella scienza non vale neanche modo di ragionare pigro e pericoloso del tipo "se tanta gente ci crede ci deve essere qualcosa di vero", finendo per decidere che una cosa è vera, o ha qualcosa di vero, quando abbastanza gente ci crede. Col ragionamento "se tanta gente pensa così allora ci deve essere un buon motivo" si possono sviluppare credenze di qualsiasi tipo, totalmente prive di fondamento o riscontri oggettivi, che si autoalimentano per passaparola e suggestione. Grazie a questo modo di ragionare, ad esempio, si è intrapresa la caccia alle streghe e si sono giustificate le leggi razziali. La realtà mostra che ci può benissimo essere tanta gente che crede a qualcosa di assolutamente falso, basta pensare a cose come i falsi complotti o l'astrologia. C'è da ricordare che non c'è nulla di male a fare deduzioni, teorie ed ipotesi, anche campate in aria, ma c'è di male se le si spaccia per verità o fatti provati: in tal caso avete davanti un ciarlatano che sta tentando di imbrogliarvi. Tuttavia, come molti hanno fatto notare, giornali settimanali, radio e televisioni dedicano ampio spazio a presunti fenomeni paranormali, a guaritori, ad astrologi, a pratiche mediche cosiddette alternative, trattando tutto ciò in modo acritico, senza alcun criterio di controllo; anzi cercando, il più delle volte, l'avvenimento sensazionale che permetta di alzare l'indice di vendita o di ascolto. Ciò è profondamente diseducativo e contribuisce non solo a incoraggiare la già diffusa tendenza all'irrazionalità, ma anche a dare credibilità a individui che traggono profitto da questa situazione. Occorre anche impegnarsi per fornire al pubblico gli strumenti indispensabili per riuscire a farsi un'opinione affidabile su fatti misteriosi: la capacità di esaminare le prove a favore di una data ipotesi, di valutare le spiegazioni alternative, e di scegliere con cognizione di causa la spiegazione che si dimostra più plausibile. Se si decide di ignorare il forte bisogno del pubblico di sapere e di essere informato, si rischia di avere drammatiche sorprese. L'irrazionale, se lasciato senza controllo, ha la tendenza a dilagare e a invadere la società, relegando negli angoli più remoti la ragione ed il pensiero scientifico. Una costante degli imbroglioni è che non vogliono sottoporre le proprie affermazioni all'onere della prova o a verifica delle affermazioni da parte degli esperti. Questo è lo stesso atteggiamento che esisteva nel medioevo su tante fesserie spacciate per vere. Non era l’idea dell’intervento sulla natura, delle operazioni in laboratorio, della manipolazione delle sostanze a fare la differenza, ad esempio, fra i sostenitori della scienza moderna e gli alchimisti. La diversità stava nel diverso modo di concepire la conoscenza, riservata soltanto agli eletti e agli iniziati per gli alchimisti, accessibile a tutti per gli scienziati, perché universale e fondata sul principio dell’uguaglianza delle intelligenze. Questi furono i valori che contraddistinsero l’avvento della scienza moderna. Valori che sono il frutto di una conquista, di battaglie che hanno visto combattere sullo stesso fronte i protagonisti della nascita della scienza (e della filosofia) moderna: il rifiuto del principio di autorità, la diffusione di un sapere pubblico, controllabile e verificabile da tutti, il ruolo della comunità scientifica, la separazione degli ambiti di competenze fra i vari tipi di sapere (scienza, religione, letteratura, ecc.). Per questo tutti coloro che sostengono una teoria (nuova o vecchia che sia, come nel caso dell’astrologia e dell’alchimia), o affermano di aver fatto nuove sensazionali scoperte devono accettare il confronto e le regole del gioco, consentendo agli scienziati nei laboratori di tutto il mondo di poter sottoporre a verifica le affermazioni fatte o le prove addotte. Questo perché la scienza, in opposizione alla magia, nasce come sapere pubblico, controllabile e verificabile da tutti.
Appendice: I media e la scorretta informazione scientifica. I media hanno un impatto particolarmente forte quando presentano conoscenze che vanno al di là dall'esperienza diretta dello spettatore o lettore. Le conoscenze scientifiche rimangono spesso trascurate soprattutto per le modalità accademiche con cui vengono comunicate. Ciò favorisce forme di apprendimento alternative legate, ad esempio, al mondo dei media e ai modi accattivanti e suggestivi attraverso cui questi operano. Apprendere la scienza diviene così più attraente se guardiamo un episodio di un telefilm di fantascienza o una trasmissione sensazionalistica sui misteri piuttosto che se partecipiamo alla lezione di un docente universitario. Il problema è che programmi come telefilm di fantascienza e trasmissioni sensazionalistiche sui misteri non sono prodotti in nome della verità scientifica, ma in nome dell'audience. Ciò che interessa non è il contenuto scientificamente accurato, ma la diffusione di sensazioni e di intrattenimento. Due teorie, sorte nell'ambito degli studi massmediologici, sottolineano, in modo particolare, il potere dei media nel plasmare la nostra conoscenza: la "Teoria dell'Agenda Setting" e la "Teoria della Coltivazione".
- La prima teoria sostiene che: "In conseguenza dell'azione dei giornali, della televisione e degli altri mezzi di informazione, il pubblico è consapevole o ignora, dà attenzione oppure trascura, enfatizza o neglige, elementi specifici degli scenari pubblici. La gente tende a includere o escludere dalle proprie conoscenze ciò che i media includono o escludono dal proprio contenuto. Il pubblico inoltre tende ad assegnare a ciò che esso include un'importanza che riflette da vicino l'enfasi attribuita dai mass media agli eventi, ai problemi, alle persone".
- La Teoria della Coltivazione, invece, "attribuisce al mezzo televisivo la funzione di agente di socializzazione, di principale costruttore di immagini e rappresentazioni mentali della realtà sociale. Più ore un soggetto trascorre nel mondo della televisione, più assorbe concezioni della realtà sociale coincidenti con le rappresentazioni televisive di essa. I forti consumatori di televisione interpretano il mondo in maniera diversa da chi la guarda poco. Il processo di coltivazione prevede almeno due momenti:
1. Gli spettatori di fiction televisiva osservano un mondo che differisce sostanzialmente dal mondo reale, sia in termini di contenuti degli eventi, sia in termini di ruoli sociali;
2. I forti consumatori di televisione fanno esperienza di uno "spostamento di realtà", cioè risultano influenzati nella loro percezione della realtà sociale dai contenuti televisivi".
In base a queste due teorie è possibile dire che:
1. I media possono non dirci cosa pensare ma ci dicono quali sono i temi sui quali pensare e riflettere;
2. I media socializzano gli individui a determinate visioni del mondo e a determinate conoscenze della realtà.
Applicando i contenuti delle due teorie, che hanno ricevuto buone conferme sperimentali, all'apprendimento di conoscenze scientifiche, si può affermare che:
1. La scienza non è usualmente indicata dai media come uno degli argomenti intorno a cui pensare qualcosa;
2. I fruitori dei media sono spesso socializzati a mondi simbolici incongrui rispetto ai fatti di cui parla la scienza.
La prima affermazione è immediatamente evidente se si pensa al poco spazio che i programmi scientifici hanno in un qualsiasi palinsesto televisivo, spesso anche nella presunzione che gli spettatori percepiscano la scienza come noiosa e pesante. La seconda affermazione è, invece, meno evidente. I mondi presentati dai media sono, spesso, fantastici, onirici, irreali, anche quando introducono situazioni che dovrebbero essere quotidiane e reali. A volte, la ricerca della realtà sfocia nella produzione dell'iperrealtà in cui "tutto è più vero del vero", con effetti spesso paradossali. Le leggi della chimica, della fisica e delle altre scienze sono, così, costantemente manipolate, distorte, virtualizzate a favore di dimensioni fantastiche che privilegiano l'improbabile al possibile. Tutto ciò fa sì che gli spettatori della televisione crescano in un "brodo simbolico" che, se non è filtrato dal senso critico, predispone all'accettazione dei contenuti più inverosimili "perché l'ha detto la televisione".
QUELLI CONTRO…LA SCIENZA.
La scienza non è nient'altro che una perversione se non ha come suo fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell'umanità. Frase di Nikola Tesla.
Chi sa e chi non sa. La post-verità degli scienziati, scrive Assuntina Morresi il 4 Gennaio 2017. “Qui ha diritto di parola solo chi ha studiato, e non il cittadino comune. La scienza non è democratica”: si conclude così un post di Roberto Burioni, un medico che sta conducendo la sua personale e meritoria lotta contro le false notizie sui vaccini, che li criminalizzano. Burioni, che è anche professore di microbiologia e virologia all’università San Raffaele di Milano, oltre ad aver pubblicato un libro sul tema, ha aperto una pagina Facebook in cui mette a disposizione del pubblico informazioni scientificamente documentate, rifiutando il confronto con chi non ha conoscenze pari alle sue, perché “la scienza non va a maggioranza”, e due più due farà sempre quattro, a prescindere dalla opinioni delle persone. Giusto? Premetto che sul merito della questione vaccinazioni sono d'accordo con Burioni, ma non è di questo che voglio parlare, bensì della supremazia etica e conoscitiva che il professore rivendica per "chi ha studiato". Caro professore, per farmi prendere in considerazione da lei, confesserò che di mestiere insegno chimica-fisica all'università, e qualcosina, magari, anch'io la so. Una posizione come la sua presuppone che tutti gli scienziati diano sempre la medesima versione del dato scientifico. Il che, purtroppo, non è vero. Le porto qualche esempio: molti scienziati hanno supportato, ai referendum del 2005 contro la legge 40 sulla fecondazione assistita, la necessità della ricerca che distrugge gli embrioni, in particolare la cosiddetta “clonazione terapeutica”. Ma nessuno di loro aveva mai spiegato un fatto, che pure era oggettivo e a loro stessi noto: al mondo nessuno era mai riuscito a produrre cellule staminali embrionali umane clonate. E infatti adesso quella strada è stata abbandonata. Eppure all’epoca del referendum i firmatari parlavano di quel tipo di ricerca come indispensabile per il futuro dell’umanità, e soprattutto come se fosse già stata avviata: nessuno aveva mai spiegato che fino a quel momento neppure il primo passo verso l’obiettivo era stato fatto. E nessuno lo ha più ricordato, dopo. Così come le chimere uomo/animale: paginate sui giornali, ovviamente a favore, e con le firme di grandi scienziati che si sono scomodati addirittura all’università La Sapienza di Roma, presentando gli studiosi inglesi che, abbattendo il tabù della creazione di embrioni ibridi umano/animali, avrebbero trovato chissà quali fantastiche terapie a patologie incurabili. Eppure un qualsiasi studente universitario di biologia sarebbe stato in grado di verificare che la ricerca non avrebbe portato a niente: era evidente dalla letteratura del settore. Ma in Gran Bretagna una legge è stata cambiata per fare embrioni ibridi umano/animali, autorevoli comitati e bioeticisti (anche italiani) hanno dato la loro “benedizione”, e quando gli studiosi inglesi di cui sopra hanno addirittura cambiato mestiere perché nessuno ha finanziato una ricerca evidentemente senza sbocchi, nessun “autorevole scienziato” ha fatto mea culpa per la bufala che aveva contribuito a diffondere. Anche in questo caso, nessuno si è preso la briga di spiegare quanto era successo. E potremmo continuare per un bel pezzo: il pericolo per i nati con la tecnica degli embrioni costruiti con il Dna di tre persone, l’impossibilità di sperimentare il gene editing sugli embrioni senza trasferirli in utero, ma anche gli stati di coscienza delle persone in stato vegetativo, l’efficacia della diagnosi embrionale preimpianto, e via dicendo. Tutti casi in cui “chi ha studiato” – per utilizzare un’espressione del prof. Burioni – ha letteralmente imbrogliato, e ha diffuso bufale forse più di chi non ha studiato, con l’aggravante che le bugie sono state avallate proprio dalla pretesa autorevolezza della Scienza con la S maiuscola. Questo perché non sempre i dati scientifici hanno un’unica interpretazione, e non tanto, o non solo, per una loro intrinseca ambiguità, quanto per l’onestà intellettuale di chi li presenta. Ma anche perché gli scienziati non sono anime belle, che si ergono con purezza al di sopra delle parti. Come tutti i comuni mortali, hanno interessi da difendere, appartengono a cordate, gruppi di potere, cercano finanziamenti per le proprie ricerche – a proposito la prima bufala da combattere è quella della libertà della ricerca scientifica. I ricercatori vanno dove sono i finanziamenti, e non esistono ricerche senza soldi, al contrario: un ricercatore è giudicato da quanti soldi porta alla sua struttura di appartenenza, alla faccia della ricerca libera e indipendente. Ma soprattutto, come tutti i comuni mortali, i ricercatori hanno i propri personali convincimenti, che spesso sono filtri (quando non fette di prosciutto su occhi e orecchie) attraverso i quali non c’è dato scientifico che regga. E alla fine è soprattutto per queste ragioni che sorge una certa diffidenza nei confronti della scienza, per cui, per esempio, sempre meno persone si fidano dei vaccini nonostante l’evidenza del dato scientifico. La fiducia che manca è proprio nei confronti di un certo modo di farsi paladini della scienza, di pretendere di essere duri e puri, al di sopra delle parti, quando evidentemente delle suddette parti si è piuttosto al di sotto, molto spesso per motivi di personale interesse o di vantaggi economici, più o meno diretti. E se è estremamente irritante l’arroganza dell’ignorante che vuole pontificare su ciò che non conosce, lo è molto di più quella di chi, in nome della indiscussa superiorità di preparazione nell’argomento, vuole imporre i propri convincimenti e la propria visione del mondo barando nel presentare le argomentazioni. Anche “chi non ha studiato” è in grado di riconoscere questo atteggiamento, e poi ne trarrà le conseguenze, la prima delle quali è una profonda diffidenza nei confronti del mondo scientifico tutto. E' un po' quello che succede nel dibattito sul web e la post-verità: i cittadini ormai hanno capito quante bufale, letture di parte, censure, sono state propinate dai grandi media, giornaloni e tv. E oggi, grazie alla grande libertà offerta dalla rete, vogliono un'informazione senza mediazioni, o con mediazioni scelte dal lettore stesso. E' un comportamento che include il rischio di informazioni sbagliate, certamente. Ma a questo rischio si risponde solo con un di più di impegno e generosità da parte di "chi ha studiato", come scrive lei. Non certo con un arroccamento sprezzante nella propria piccola torre d'avorio.
Riflessioni sul neutrino superveloce. La scienza è esatta! Ma...non è immutabile né certa. I neutrini viaggiano più veloce della luce. Da dimostrare definitivamente, ma questo sconvolge chi non è avvezzo al ragionamento scientifico, scrive Giovanni Gelmini il 9 settembre 2011. La professoressa d'italiano soleva dire: “È scientificamente provato...” Chissà perché il professore di fisica non lo diceva mai! È di questi giorni la notizia che i neutrini viaggiano più veloci di quanto dovrebbero, secondo Einstein, e così crolla la teoria della relatività. È diffusa negli ignoranti di scienze l'idea che la scienza sia scevra da errori e immutabile: “1+1 è sempre eguale a due, è scientificamente provato!”. Errore: non è scientificamente provato ma è un assunto, cioè qualcosa che imponi nel ragionamento, se non lo accetti cambia tutto ed ovviamente esiste la matematica, ad esempio quella binaria usata dai microprocessori, che non accetta quest’assunto e così 1+1 è eguale a 10. Uno dei capisaldi di questi ignoranti è il pilastro della Teoria di Einstein e non sanno che una “teoria” indica che non è ancora dimostrata completamente, e tante teorie si sono dimostrate sbagliate o insufficienti. È interessante notare che nel primo periodo “scientifico” le affermazioni venivano chiamate “leggi”, poi gli scienziati, visto che queste leggi non erano così ferree, hanno pensato bene di chiamarle “teorie”. La Teoria di Einstein non è mai stata dimostrata oltre “ogni ragionevole dubbio”, direbbe un giudice. Molti invece i dubbi ci sono stati e qualcuno anche supportato da fatti anomali che mostravano la sua inadeguatezza; ma la Teoria di Einstein spiega correttamente a moltissime situazioni e pensate che tutte le conquiste spaziali sono state fatte basandosi su di essa. Oggi l'esperimento ha mostrato che i dubbi possono avere fondamento, anche se il condizionale è necessario perché il metodo scientifico vuole che l'esperimento sia fatto nuovamente da altri per essere considerato certo. La verità è che la scienza, a differenza degli umanisti da “studio”, è sempre dubbiosa e non ha “verità” incrollabili, ma mette in discussione tutto in continuazione. La scoperta fatta dal CERN non è “strana”; infatti, la scienza lavora per affinazioni successive. Il primo a esprimere una teoria gravitazionale fu Isaac Newton che, data l'epoca, fu chiamata “La legge di gravitazione universale”, ma la sua validità era compresa in certi limiti. Quando i mezzi di misurazione si affinarono si trovò la necessità di ampliare questa “legge”. Einstein lo fece con la “Teoria della Relatività Generale” e la Legge di Newton divenne un caso particolare della Teoria di Einstein. La nuova scoperta quindi non cancella la Teoria precedente, ma, probabilmente, indica che non è “generale” e introducendo altri elementi, considerati da Einstein come “costanti” o irrilevanti, otterremo altre formule più complesse che spiegheranno anche questi fenomeni. Si parla di superare le quattro dimensioni fino ad ora considerate. Il Professor Zichicchi in un’intervista rilasciata a “Tiscali interviste” dice “… non solo, crollerebbe anche il principio di causalità ovvero il principio che l’effetto avviene dopo la causa e mai prima e crollerebbe anche la visione del mondo basata su quattro dimensioni (3 dimensioni spaziali più quella temporale) a favore di una nuova visione basata su 43 dimensioni”. Crollerebbe quindi una delle basi della filosofia scientifica, con buona pace dei professori di lettere e filosofia. Prima di lasciarvi però voglio ricordare uno scienziato, Marco Todeschini, che ho avuto come docente, che tra il 1914 e il 1946 ha elaborato, in contrasto a quella di Einstein, una teoria, “La teoria delle apparenze” (N.d.R. di cui vedete in alto la copertina del libro che ne raccoglie la sintesi). Quanto esposto nel libro appare matematicamente coerente e con la sua applicazione sembrerebbe spiegare anche molti fenomeni oggi classificati come “paranormali”. La sua teoria non si basa sul “vuoto”, come quella di Newton e Einstein, ma si basa sull'esistenza di un fluido, detto "etere", in cui le masse materiali dell’universo sono immerse. Non crediate che quest’ipotesi sia strana, perché fu accettata da Cartesio da Fresnel più tardi Herz, ma la fisica moderna non ha dato mai credito a teorie basate su quest’ipotesi. Ora mi chiedo: chissà se la “Teoria delle apparenze” riesce a spiegare la velocità eccessiva del neutrino? Sarebbe una bella scoperta: di certo la scienza è abituata a cose simili. Dopo aver raccontato della Teoria delle apparenze posso dichiarami soddisfatto per aver ottemperato alla dedica fattami dal Professor Marco Todeschini.
Perché la scienza non si comunica a suon di schiaffi, scrive Antonio Scalari il 3 gennaio 2017 su "Valigia Blu". Tra gli argomenti scientifici oggetto di dibattito sociale i vaccini sono senz'altro tra quelli che più continuano ad attirare l'attenzione dei media e dell'opinione pubblica. Nell'ultimo anno il problema del calo delle coperture vaccinali e i casi di meningite in Toscana, e non solo, hanno riacceso la discussione, spingendo molti, anche sui social media, a intervenire schierandosi a favore o contro i vaccini. (Valigia Blu ha dedicato al tema dei vaccini un vademecum, che cerca di rispondere ai principali errori e i luoghi comuni sull'argomento). La diffusione di miti e bufale ha spinto scienziati ed esperti a cercare di sfruttare lo spazio dei social media per cercare di sottrarre il maggior numero di persone all'influenza dei gruppi antivaccinisti. Roberto Burioni, un medico docente universitario di microbiologia e virologia, gestisce una pagina su Facebook molto seguita. Il 31 dicembre Burioni ha pubblicato questo post: Il medico smonta, con una semplice ma efficace evidenza empirica, una bufala particolarmente odiosa (diffusa anche dal movimento neofascista Forza Nuova): quella secondo cui i casi di meningite che si stanno registrando in Italia sono causati dall'arrivo di migranti dall'Africa. Come spesso succede, il post ha generato una discussione nei commenti. Burioni ha ritenuto di cancellare gli interventi (spesso a contenuto xenofobo) di chi evidentemente contestava o metteva in dubbio i dati riportati. Il post ha avuto numerose condivisioni. Ma a ricevere numerosi "likes" è stato anche questo commento, con cui Burioni ha motivato la scelta di eliminare alcuni commenti: Il commento ha avuto fino a questo momento più di 6mila "mi piace". Segno che questo tipo di approccio viene apprezzato da molti, essendo forse considerato quello più giusto ed efficace di fronte a chi, per le motivazioni più diverse, non accetta le evidenze scientifiche che riguardano argomenti di particolare rilevanza sociale, come quello dei vaccini. Il Post su Facebook ha definito Burioni un "eroe". Ma in questo commento Burioni, senza probabilmente avere l'intenzione di farlo, ha anche esposto la propria filosofia della comunicazione della scienza e la propria visione del rapporto tra scienza e società. Una filosofia e una visione che può essere utile esaminare, al di là del tema del post e dei commenti cancellati. La filosofia della comunicazione della scienza adottata da Burioni si può riassumere così: «io sono l'esperto, voi il pubblico. Io studio queste cose, voi no, perciò non è possibile alcuna discussione alla pari con me, cosa che può avvenire solo con altri esperti». Questo approccio si può considerare una versione "estremizzata" di quello che nella comunicazione della scienza viene definito Public Understanding of Science (PUS). Il punto di svolta nello sviluppo del PUS è stata la pubblicazione, nel 1985, di un rapporto della britannica Royal Society, elaborato da un gruppo di lavoro guidato dal genetista Walter Bodmer. Il rapporto constatava il pericolo di una sempre maggiore frattura tra scienziati e pubblico. Un rischio che si sarebbe dovuto evitare dal momento che la scienza, e le sue applicazioni, era ormai diventata da tempo un'impresa dalla quale dipendeva il benessere delle nazioni. I sondaggi evidenziavano le scarse nozioni scientifiche della popolazione. Perciò, per i fautori del PUS, l'analfabetismo scientifico costituiva l'ostacolo principale nel percorso di avvicinamento del pubblico alla scienza. Colmare il deficit di nozioni avrebbe contribuito anche a suscitare una maggiore stima nei confronti della scienza e ad accettare le innovazioni tecnologiche prodotte grazie alla ricerca (per questo molti definiscono il PUS anche deficit model). In sostanza: io ti spiego i vaccini o gli Ogm e tu, cittadino comune, non solo conoscerai la scienza dei vaccini o degli Ogm, ma accetterai e sosterrai anche l'impiego di queste applicazioni. Il PUS, infatti, si basa sul presupposto che il pubblico, nei confronti della scienza, sia qualcosa di sostanzialmente monolitico, estraneo al proprio stesso contesto sociale. Spesso ostile alla scienza, comunque quasi sempre disinformato. Per questo quello del PUS non può che essere un modello di comunicazione completamente unidirezionale. La conoscenza, una volta fissata, viene trasferita dagli scienziati al pubblico, visto come un contenitore passivo di nozioni. Il PUS è stato per molto tempo il modello concettuale di riferimento nell'elaborazione delle iniziative di divulgazione promosse da governi e istituzioni. Con il passare degli anni, tuttavia, gli studi sulla comunicazione della scienza e sul rapporto tra scienza e società hanno dimostrato che alcuni dei presupposti su cui si basa il PUS sono semplicistici. E le previsioni dei suoi fautori si sono rivelate ottimistiche. Ad essere messa in discussione è stata la stessa concezione della comunicazione della scienza come di un'attività di mera spiegazione di fatti ed evidenze. I fatti, da soli, possono non bastare a convincere il pubblico della validità di una teoria o di una ricerca. L'esposizione a una maggiore dose di informazione non solo può non bastare a mutare le opinioni del pubblico, ma talvolta può, al contrario, irrigidirle. Un fenomeno che è stato osservato proprio nel caso della comunicazione sui vaccini da parte delle istituzioni sanitarie. Questo accade perché le persone non si comportano come recipienti vuoti da riempire con nozioni. Ma da soggetti che elaborano attivamente queste nozioni, sulla base anche delle proprie credenze ed esperienze personali. I fatti vengono collocati all'interno di quelli che vengono definiti frames, cioè quadri concettuali di riferimento che condizionano la propria opinione. Oltre i fatti, insomma, esistono i valori. E questi valori non sono elementi secondari nel modo con cui le conoscenze scientifiche passano dai centri di ricerca e dai dipartimenti universitari al grande pubblico. Per non parlare del ruolo che in questo percorso rivestono i media generalisti, dove non sempre i nuovi studi, e le loro implicazioni, vengono riportati e descritti correttamente. Come scrive Massimiano Bucchi, studioso del rapporto tra scienza e società, c'è un sapere "laico" (proprio cioè dei non esperti), con cui il sapere scientifico deve confrontarsi: Il sapere laico non è una versione impoverita o quantitativamente inferiore del sapere scientifico, ma qualitativamente diversa. La 'conoscenza fattuale' rappresenta soltanto uno degli ingredienti del sapere laico, in cui inevitabilmente si intrecciano altri elementi (giudizi di valore, fiducia nei confronti delle istituzioni scientifiche, percezione della propria capacità di utilizzare sul piano pratico la conoscenza scientifica) in un complesso non meno sofisticato di quello specialistico. Inoltre, nota sempre Bucchi, è stato perfino rilevato che un maggiore livello di conoscenza non necessariamente porta il pubblico a condividere la stessa posizione della comunità scientifica, per esempio sulle biotecnologie. La disponibilità di maggiori informazioni può spingere a nutrire posizioni ancora più "scettiche" e diffidenti nei confronti delle affermazioni degli scienziati. E per quanto riguarda il rapporto di fiducia tra scienza e pubblico, vicende come l'epidemia di encefalopatia spongiforme bovina nel Regno Unito (la cosiddetta "mucca pazza") hanno dimostrato che una non corretta gestione, da parte delle istituzioni, della comunicazione del rischio e dell'incertezza scientifica può produrre una crisi di credibilità nei confronti delle istituzioni sanitarie, e quindi anche di quelle scientifiche. I limiti del PUS hanno convinto non solo gli studiosi di comunicazione della scienza, ma anche gli stessi scienziati, ad abbandonare alcuni dei presupposti del modello precedente. Il PUS si è quindi evoluto nel PEST (Public Engagement in Science and Technology). Da un approccio "dall'alto verso il basso" si è passati a un modello di comunicazione che, come suggerisce l'espressione, pone l'accento sul coinvolgimento del pubblico, non più visto come recipiente passivo di nozioni ma come soggetto attivo nel processo di trasferimento della conoscenza. Secondo questo nuovo modello la comunità scientifica non deve limitarsi a trasferire conoscenze con un approccio "paternalistico", ma deve discutere in modo trasparente e aperto, e alla pari, con il pubblico. Il pubblico diventa così un attore del processo decisionale, perché le implicazioni di numerosi campi della ricerca scientifica, dalla medicina all'ambiente, riguardano tutta la società, non solo gli esperti. La scienza diventa quindi un'impresa che non può non coinvolgere l'intera comunità perché richiede decisioni collettive, anche politiche (si pensi a referendum come quelli sull'energia nucleare o la fecondazione assistita). Sono state prodotte diverse esperienze di PEST. Alcune prevedono, per esempio, la partecipazione di comitati, associazioni di pazienti, giurie di cittadini o l'organizzazione di consensus conferences dove persone comuni interrogano gli scienziati su un tema e le conclusioni vengono riportate pubblicamente in un rapporto. Il coinvolgimento del pubblico, in alcuni casi, può addirittura spingersi a prendere la forma di una collaborazione tra scienziati e non-scienziati nella produzione di nuova conoscenza. Sono le esperienze cosiddette di citizen science: dai progetti di calcolo distribuito, a cui può partecipare chiunque possieda un computer collegato alla Rete, alla ricerca nel campo della zoologia e della biodiversità. Alla base di questa concezione partecipativa del rapporto tra scienza e società c'è la convinzione, come scrive il sociologo della scienza Andrea Cerroni, che: Nella società della conoscenza, tanto ai non scienziati è richiesto di formarsi e informarsi su questioni scientifiche sempre più presenti nella vita quotidiana, quanto agli scienziati è richiesto di inserirsi nei processi di formazione del consenso nell’opinione pubblica. Il modello del PUS ha avuto il merito storico di indicare come vitale la questione della comunicazione pubblica della scienza e della sua importanza per tutta la società, sottolineando anche il rischio di un allontanamento tra scienziati e cittadini. E il superamento del PUS non significa, peraltro, che si debba abbracciare una forma di relativismo radicale, per cui non esistono i fatti e tutte le opinioni si equivalgono. Esiste ancora un deficit di conoscenze scientifiche in una larga fetta della società, che è necessario colmare. Ma la nozione di "società della conoscenza", ricordata da Cerroni, dimostra la fallacia dell'affermazione con cui Burioni conclude il suo commento: «la scienza non è democratica». In questo caso si confonde la democrazia come processo elettorale, con la democrazia come partecipazione comunitaria. Come scrive il giornalista scientifico Pietro Greco, «la società della conoscenza è caratterizzata dall’espansione della scienza e dall’espansione della democrazia, in un processo in cui le due dimensioni non sono più separate». E aggiunge: La scienza, anche in termini epistemologici, ha valori intrinsecamente democratici. Fin dalla rivoluzione del Seicento, i membri della comunità scientifica raggiungono un consenso razionale di opinione intorno ai fatti osservati nel mondo sulla base di un insieme di valori che Robert Merton ha riassunto nell’acronimo CUDOS (Comunitarismo, Universalismo, Disinteresse, Originalità e Scetticismo sistematico) e che noi potremmo tentare di sintetizzare in una frase: la conoscenza appartiene a tutti e la sua costruzione deve essere trasparente. Nella "società della conoscenza" esiste un nuovo diritto: quello alla cittadinanza scientifica. «Devono compartecipare alle scelte tutti coloro che hanno una posta in gioco (stakeholders). E quindi, nel caso della politica della ricerca complessiva, tutti i cittadini». "Comunicare tutto a tutti" è indispensabile per garantire questo diritto. La scienza non è solo un insieme di nozioni ma anche un complesso di istituzioni e una comunità che si apre, e si deve sempre più aprire, verso l'esterno. Questo non è altro che l'estensione verso il resto della società, e la logica e storica conseguenza, della visione che ha prodotto la nascita, con la Rivoluzione scientifica, delle accademie, dove veniva promosso e favorito il libero dibattito tra i cultori delle scienze. È quindi evidente che una corretta comunicazione della scienza non può che essere lontana dalla visione della persona comune come di un soggetto che non può discutere "alla pari" con uno scienziato. Il fisico Richard Feynman diceva, addirittura, che «scienza è credere nell'ignoranza degli esperti». Ora, possiamo anche non accogliere questo apparente paradosso, e limitarci a evitare di negare il diritto di parola nei confronti di un esperto. Altrimenti il rischio è che la distanza tra «lo dice la scienza» e «lo dico io» si accorci fino ad annullarsi.
La scienza non può provare il caso né escludere l’intelligenza, scrive Giorgio Masiero il 26 giugno 2014. Il “Wow signal”: caso o intelligenza? Una teoria per essere scientifica deve essere confutabile, la teoria neo-darwiniana è basata sulle mutazioni casuali. Ma la casualità di un evento può essere confutata? La scienza non può provare il caso né escludere l’intelligenza. Mia moglie ed io stiamo per andare in vacanza e l’ultima cosa che mi chiederà prima della partenza sarà se ho attivato i controlli automatici di casa: l’accensione delle luci esterne, la sicurezza e l’impianto d’irrigazione del giardino. D’inverno, si aggiungerebbe anche il comando che avvia il riscaldamento quando la temperatura scende sotto una prefissata soglia. Mettiamo che durante la nostra assenza un osservatore remoto, avendo accesso agli strumenti di misura delle public utility che mi forniscono luce, acqua e gas, voglia monitorare per via telematica i consumi energetici e idrici di casa mia. Troverebbe che variano con regolarità e perfino potrebbe ricavare per ogni tipo di consumo la funzione matematica che ne descrive l’andamento temporale, così da costruirvi sopra una teoria scientifica. Mettiamo anche che questo impiccione continui la sua attività di monitoraggio dopo il nostro rientro dalle vacanze. Si troverebbe allora, improvvisamente, di fronte a dati erratici, casuali, conseguenti alle attività lavorative, sociali, di manutenzione, ecc. che fa ogni famiglia nel corso dell’anno. E come ogni bravo ricercatore, interpreterebbe la striscia dei dati regolari di quando siamo in vacanza come l’effetto d’una causa intelligente, quanto meno dell’esistenza d’un ordine e quindi d’una legge sottostante ai fenomeni osservati, rappresentata dalle suddette equazioni matematiche; mentre attribuirebbe i consumi irregolari di quando siamo in casa all’assenza d’ordine e d’intelligenza, ad un effetto del caso, stavolta. Ma la verità è esattamente opposta: durante la vacanza, interruttori inconsci e ripetitivi, stupidi ancorché chiamati dai loro venditori “componenti intelligenti della casa”, attivano gli impianti secondo un programma disegnato dalla volontà dei proprietari, che è ignota all’osservatore telematico; nel resto dell’anno, gli stessi impianti sono invece guidati secondo i bisogni dei proprietari direttamente dalla loro intelligenza, che è inaccessibile allo stesso osservatore. Cosicché l’oracolo scientifico chiamerebbe “ordine” le regolarità che inferisce dalle sue tabelle di dati, estratte dall’osservazione delle cause immediate (i dispositivi automatici), senza poter risalire alla causa prima (le motivazioni dei padroni di casa sullo specifico settaggio dei dispositivi); e attribuirebbe al “caso” gli effetti misurati delle cause che non conosce (le scelte intelligenti, non programmate ma liberamente decise in ogni concreta situazione dai padroni di casa). La scienza empirica non può dimostrare l’azione del caso né l’assenza d’intelligenza in nessun fenomeno naturale. Perché? Perché né l’uno né l’altra sono grandezze misurabili nel Sistema internazionale di unità di misura (SI), taglierebbe corto Galileo. Per questo basilare motivo, la diatriba “Darwinismo vs Intelligent Design” (reale nei paesi anglosassoni e inventata in Italia dai darwinisti per evitare il confronto epistemologico) è sul lato scientifico una gigantesca perdita di tempo.
Ai nostri giorni molti credono di sapere e nessuno ammette volentieri d’ignorare, cosicché la scappatoia del caso va di moda. È la parolina magica con cui molti divulgatori scientifici celano una verità sgradevole per il loro mestiere: la conoscenza imperfetta che ogni disciplina scientifica ha dei fattori in gioco in ogni fenomeno, per definizione di metodo scientifico. Quando questa imperfezione è determinante a impedirci predicibilità evocano il caso, allo stesso modo in cui gli antichi evocavano un nume per ogni fenomeno inspiegato, piuttosto che riconoscere la loro ignoranza. God of the gaps di questi credenti. Possiamo predire dove cadrà la pallina della roulette? No, perché è impossibile per dimostrazione matematica misurare, con la precisione necessaria a predire dove si fermerà, la velocità iniziale, la direzione e lo spin impressi alla pallina dal croupier, nonché tutte le forze e gli attriti che questa incontrerà durante il suo moto. Anche il fil di fumo della sigaretta d’un giocatore, o il respiro d’un altro, o le micro vibrazioni provocate dal passaggio di un’auto davanti al casino influiscono decisivamente sull’esito. La fisica, pur avendo le equazioni necessarie a calcolare la traiettoria, ha predicibilità zero e ciò i credenti postmoderni chiamano caso.
Il cesio-137 è un isotopo radioattivo che si forma come sottoprodotto della fissione dell’uranio nei reattori delle centrali nucleari. Il suo tempo di dimezzamento è 30 anni: ciò significa che di 1 kg dopo 30 anni rimangono 500 grammi, dopo altri 30 anni 250 grammi e così via. In 1 kg di cesio ci sono 4 milioni di miliardi di miliardi di atomi. Sappiamo un sacco di altre cose del cesio, sappiamo quasi tutto. Ma davanti ad un singolo nucleo di cesio-137 nessuno al mondo può dire quando decadrà, anche solo in misura grossolana. Possiamo solo predire che quell’atomo ha 1 probabilità su 2 di decadere entro i prossimi 30 anni; ma potrebbe decadere subito, o domani, o tra un anno, o tra 100 anni o mai… Così, ancora una volta, si dice che il decadimento radioattivo è casuale. Disponiamo dell’equazione giusta, ma a prescindere dalle condizioni al contorno la sua stessa complessità algoritmica è insuperabile: per dimostrazione matematica, quando sono coinvolte più di una decina di particelle (e il nucleo del cesio-137 ne ha 137 appunto, tra protoni e neutroni), non possiamo risolvere l’equazione di campo nemmeno approssimativamente, né con i computer d’oggi, né con quelli di domani, perché la memoria richiesta supererebbe la massa dell’Universo. Così, il ricorso alla statistica è un obbligo, non imposto da una presunta natura stocastica delle cause, ma dai limiti della tecno-scienza.
Aristotele definì il caso come intersezione di due linee indipendenti di causalità, riferendosi all’incontro di due effetti causati da due libere volontà. Io decido di andare a teatro, un amico decide autonomamente la stessa cosa e così c’incontriamo casualmente al teatro. Nell’Universo fisico però, quello della scienza naturale, non esistono linee causali indipendenti, nemmeno per eventi separati dagli einsteiniani “intervalli di tipo spazio” – dimostra l’entanglement –. Un asteroide colpì la penisola dello Yucatan 65 milioni di anni fa: la sua traiettoria, risultata dall’esplosione d’una supernova lontana, finì con l’intersecare l’orbita terrestre, risultata dalla contrazione della nebulosa all’origine del sistema solare. Anche la casualità di quell’evento – che ha solleticato la fantasia di tanti biologi evoluzionisti – è un eufemismo per velare la nostra incapacità predittiva. Senza scomodare la relatività generale, già nella gravitazione newtoniana i moti celesti di tutte le galassie sono correlati tra loro, l’Universo essendo un unico sistema dinamico. Non esistono sistemi indipendenti in cosmologia e nemmeno in meccanica, classica o quantistica. Ogni sistema cosiddetto “isolato” è un’approssimazione stabilita convenzionalmente, di volta in volta, per descrivere un fenomeno, il cui contesto viene all’uopo circoscritto. Se lancio una freccetta al bar non mi preoccupo della Luna, ma se devo spiegare le maree imbarcherò anche la Luna; se devo spiegare il red-shift sul mio telescopio, ricorrerò alla recessione galattica e all’intero sistema dell’Universo. Come abbiamo visto in un altro articolo, la vita vegetativa di tutti i viventi è intrecciata (ovvero: concausata) in ogni istante con il vuoto fisico, cioè con l’Universo intero!
La parola “caso” non è tabù, basta intendersi: mai siamo in presenza d’un Agente onnipotente occulto (il “caso assoluto”), né d’un mistero, ma solo dei limiti della scienza empirica. Misteriosa semmai è la testardaggine di coloro che si rifiutano di riconoscere quei limiti, ben stabiliti da Galileo e poi da Gödel, Popper, Kuhn, ecc.; o che addirittura equiparano l’ignoranza alla somma sapienza, come ha fatto un biologo deboluccio in fisica e in epistemologia scrivendo che il caso è “la risposta soddisfacente per antonomasia” nei fenomeni dove “è dimostrato [sic!] che il caso è il motivo” del loro accadimento. Al contrario, il caso assoluto è la massima irrazionalità: l’essere che viene dal non essere. S’è mai udita contraddizione logica più grande?
LA MATEMATICA E’ UN’OPINIONE.
La matematica non è un’opinione, scrive Maurizio Codogno il 4 gennaio 2014 su "Il Post". L’avrete sentito dire tante volte, e probabilmente lo avrete pronunciato anche voi: “La matematica non è un’opinione”. Ma chi lo disse per la prima volta? Un greco antico? Un personaggio dell’universo Disney? Acqua, acqua… almeno a quanto raccontano Riccardo Bersani ed Ennio Peres nel loro bel libro Matematica proverbiale appena uscito per Ponte alle Grazie. La storia è semplice: nel novembre 1879 cadde il governo Cairoli II per divergenze sull’abolizione della famigerata “tassa sul macinato”, e il re incaricò nuovamente Cairoli di creare un governo Cairoli III. A questo governo non partecipò però più il ministro delle Finanze Bernardino Grimaldi, che era della Sinistra Storica ma aveva fatto i conti e si era reso conto che senza quella tassa lo stato non ce l’avrebbe fatta (ogni riferimento a fatti contemporanei è casuale). Per spiegare la propria mancata adesione, pronunciò la frase «Per me, tutte le opinioni sono rispettabili ma, ministro o deputato, ritengo che l’aritmetica non sia un’opinione.» La storia completa la trovate dai Rudi Matematici: una ricerca su Google Libri mi ha fatto poi trovare che anche questa frase ha avuto un ghostwriter, tal senatore Filippo Mariotti del collegio di Fabriano. Morale della favola? Non usate l’espressione con un anglofono: non la comprenderebbe.
Anche la matematica è un’opinione, scrive il 10 novembre 2010 "Lidimatematici". L’uomo del mito della caverna platonico è condannato ad avere l’esperienza della propria ombra, e dell’ombra delle cose. Cos’è la realtà? E’ conoscibile? Fino a che punto? La realtà è un aspetto di un’unica realtà ultima o è veramente frammentata nelle mille forme che sperimentiamo tutti i giorni? Uno dei risultati più sconcertanti della scienza del XX secolo è l’impossibilità di stabilire un sistema formale che sia contemporaneamente completo, cioè in grado di coprire tutti i fenomeni osservabili, e coerente, cioè che non consenta di arrivare a dei paradossi o contraddizioni, partendo dalle stesse regole (o assiomi) del sistema formale. Il principio di indeterminazione di Heisenberg demolisce la possibilità di misurare con certezza un fenomeno: “Non possiamo mai conoscere contemporaneamente e con precisione la posizione e la quantità di moto di una particella subatomica”.
Il teorema di incompletezza di Godel demolisce la possibilità di rappresentarlo formalmente: “Per ogni sistema formale di regole ed assiomi è possibile arrivare a proposizioni indecidibili, usando gli assiomi dello stesso sistema formale”.
Entrambe le affermazioni postulano che è impossibile formulare un sistema che sia contemporaneamente coerente e completo e che tale impossibilità è sia fisica (Heisenberg) che concettuale (Godel). E’ fisicamente impossibile conoscere con completezza lo stato di una particella subatomica (qualitativamente: tutto l’universo è fatto di particelle subatomiche) e se ci proviamo la nostra misurazione non può essere coerente con le altre, perché imprecisa. E’ concettualmente impossibile stabilire un sistema formale di regole coerente e completo che rappresenti i fenomeni; eliminando gli assiomi che possono portare alla contraddizione si perde in completezza, e viceversa. Sul fronte della Scienza, dunque, Godel e Heisenberg postulano la inconoscibilità dell’universo e demoliscono la fede nell’assolutismo razionalistico. Al di là dei riflessi filosofici, ciò vuol dire che la scienza è “semplicemente” astrazione di un modello su una realtà cioè un costrutto che ha la stessa natura umana, imperfetta e modificabile. Si è usi dire che “la matematica non è un’opinione”. Eppure, non solo la matematica è un’opinione: è il più grande ed articolato, ma molto ben fondato, sistema di opinioni che l’uomo abbia mai prodotto e, come è tale, è discutibile, opinabile, modificabile e adattabile. Altrettanto vale per le scienze in generale. Lo straordinario risultato di Godel dimostra addirittura che a dispetto di tutti gli sforzi possibili, qualsiasi sistema formale può produrre teoremi indecidibili (ovvero né veri, né falsi): l’uomo non è quindi in grado di produrre sistemi di rappresentazione, o modelli, “perfetti”. Aggiungendo a questo che l’unico strumento che l’uomo ha a disposizione per conoscere l’universo è un sistema formale che lo modelli, poiché l’universo è inconoscibile con precisione (dal risultato di Heisenberg), si direbbe proprio che siamo costretti a rinunciare alle nostre pretese di assolutismo razionalistico. Ad onor del vero, bisogna dire che nessuno scienziato o persona dotata di un certo background scientifico serio si sognerebbe mai di affermare che la scienza è in grado di comprendere e descrivere con certezza assoluta i fenomeni. Questo atteggiamento è più proprio del senso comune che assegna valenza assoluta alle proprie percezioni. Per ignoranza, infatti, molte persone sono disposte a scommettere sulla veridicità di ciò che hanno visto o udito, oppure sulla univocità di significato delle proprie affermazioni. Eppure anche il linguaggio, al pari di qualsiasi altro sistema formale o informale di rappresentazione, gode della stessa proprietà di incompletezza dimostrata da Godel.
Si rifletta sul significato dell’affermazione: “questa frase è falsa”, qual è il suo significato? Se la frase è vera allora è vero che è falsa e, quindi, non può essere vera; se, invece, la frase è falsa allora è falso che la frase è falsa e quindi deve essere vera. La frase è semplicemente indecidibile, ovvero è sia falsa che vera e sia non-falsa che non-vera. In ogni caso, abbiamo appurato che il nostro linguaggio è imperfetto e non ha potenziale espressivo sufficiente per descrivere situazioni come questa. Ma attenzione, perché tutti questi “casi limite” giacciono in un confine è in grado di indicare proprio la “vera” natura dell’universo. Esistono configurazioni del cosmo in cui le cose sono sia vere che non vere? E se esistono, siamo in grado di comprenderle e descriverle? Gli scienziati sono perfettamente al corrente del fatto che stanno investigando delle proprietà di modelli della realtà, piuttosto che la realtà stessa. Le teorie scientifiche servono proprio a questo. Un modello diventa teoria quando è dimostrata la sua adattabilità “locale” ad un sottoinsieme di fenomeni oggetto dello studio. Lo scienziato analizza la realtà che vuole modellare e ingloba tutti i risultati ed i dati estratti dalle proprie osservazioni all’interno della teoria che sta sviluppando. La teoria ha come scopo la produzione di un modello matematico della realtà analizzata. Nel lavoro di formulazione della teoria dimostra anche l’isomorfismo tra modello e realtà di riferimento. Se il modello non è in grado di coprire alcuni aspetti della realtà, allora la teoria viene estesa, fino a che è possibile coprire tutti i fenomeni che si vogliono investigare. Se l’isomorfismo non sussiste più, allora la teoria non è valida. Nella realtà un lavoro di ricerca assurge a teoria solo quando l’isomorfismo è ampiamente dimostrato. Un esempio di modello è l’equazione della gravitazione universale di Isaac Newton, nella sua Teoria della Gravità con cui è possibile prevedere il moto degli oggetti nel cosmo, la loro posizione, velocità, ecc. Trovare una soluzione ad un problema nel modello, in virtù dell’isomorfismo tra modello e realtà, significa quindi risolvere il problema nel mondo reale. Ma attenzione: nella fase di ricerca della soluzione l’oggetto della percezione umana non è la realtà, ma il modello. Ciò avviene anche perché la realtà è inconoscibile ed in ogni modello si operano delle forzature o si ignorano relazioni di minore interesse all’interno della realtà di riferimento. La rappresentazione di un fenomeno reale è quindi un problema percettivo legato al modello che si osserva. Per di più, la stessa osservazione è basata su un modello di rappresentazione costruito automaticamente dal nostro cervello durante l’osservazione. Vale a dire che, come nel mito della caverna di Platone, quando guardiamo il mare non abbiamo l’esperienza del mare vera e propria, ma stiamo analizzando i dati che arrivano al nostro cervello, codificati secondo un modello innato e diverso per tutte le persone. Tutti noi, quindi, quando viviamo non sperimentiamo la vera essenza delle cose, ma il modello di riferimento. La percezione è, quindi, costituita dalla rappresentazione interna frutto della codifica dell’energia scambiata col mondo reale. In questo senso, la percezione non può avere valore assoluto, perché ha come oggetto dei dati codificati, non il mondo stesso.
La scienza è però in grado di rispondere alla domanda “che cosa significano le rappresentazioni all’interno del modello, nel mondo reale?”. In termini più formali, qual è la semantica (significato) della percezione? Una parte fondamentale del lavoro di Godel è incentrata sulla dimostrazione di un isomorfismo tra le possibili percezioni/rappresentazioni ed i numeri naturali. Il processo di assegnare un intero ad una rappresentazione è detto Godelizzazione, che consiste essenzialmente nella possibilità di assegnare un numero univoco ad ogni sequenza di percezioni. Essendo il numero univoco, possiamo assegnare a questo numero il compito di definire il significato della percezione, ovvero la sua semantica. L’affermazione di Godel ha effetti di proporzioni impressionanti: tutto è codificabile con semantica assegnata. Questo è il motivo per cui abbiamo la possibilità di trattare digitalmente immagini, suoni, filmati e tutte le entità per cui sia definito un apposito modello. Tuttavia questo fatto non deve ingannare, perché è pur vero che possiamo Godelizzare praticamente ogni entità (comprese le teorie, i modelli, i programmi ed i programmi che Godelizzano entità), ma resta sempre l’incompletezza del sistema formale (Godel) che stabilisce il modello di acquisizione e l’impossibilità di una percezione della realtà indipendente dall’osservatore (Heisenberg).
Ma si rifletta un attimo: la semantica della rappresentazione al computer della immagine di un tramonto ha forse meno valore rappresentativo dell’immagine che si forma nella nostra mente? Come possiamo allora affidarci alla nostra percezione come descrizione univoca della realtà e preferire questa ad altre? I due sistemi di rappresentazione, umano e digitale, hanno lo stesso valore perché sono isomorfi: si tratta, in sostanza, di due strutture di modelli assolutamente equivalenti. Il principio di indeterminazione di Heisenberg complica decisamente le cose. Ogni volta che tentiamo di indagare la realtà siamo costretti ad accettare queste limitazioni l’osservatore modifica il comportamento dell’osservato l’osservazione è necessariamente ristretta ad una porzione del fenomeno osservato in definitiva, non esiste un osservatore ed un osservato, ma l’unione di entrambi e l’osservazione in se fornisce dati su una coppia inscindibile di elementi: lo stato dell’osservatore e lo stato dell’osservato. L’unica possibilità che resta allo scienziato-osservatore è di formulare un modello “verosimile” della realtà in esame. Inoltre, il sistema formale che descrive il modello della realtà oscilla tra questi due estremi:
coerenza: tutti i teoremi formulabili sul modello del sistema devono essere decidibili;
completezza: tutti gli enunciati formulabili sono teoremi (in altri termini: il modello deve essere in grado di coprire tutte le esigenze di rappresentazione della realtà di riferimento).
il risultato di Godel implica che un sistema coerente perde in completezza ed un sistema completo perde in coerenza. In particolare, i sistemi formali non sono in grado di descrivere se stessi coerentemente. Un esempio è la frase “questa frase è falsa”, in cui la frase tenta di decidere la qualità di se stessa. In particolare, ciò che devasta qualsiasi sistema formale è la negazione: affermare l’esistenza formale di un oggetto non-oggetto. Esempi di questo fatto sono, appunto, l’indecidibilità di una frase in cui si attesti che questa è una non-frase, o decidere se il numero zero (un numero che rappresenta una non-quantità) appartiene agli insiemi dei numeri (che rappresentano quantità). Le implicazioni filosofiche di queste indecidibilità sono più vaste ed illuminanti di quanto si possa immaginare: si direbbe che questi “accidenti” indichino proprio la vera natura del cosmo: una commistione di essenza e non-essenza in eterno mutamento. Quando un sistema tenta di descrivere se stesso, significa che sta indagando sulla propria essenza con i propri stessi strumenti. Ed il risultato è puntualmente, qualsiasi sistema esso sia, che il sistema arriva a descriversi con teoremi sia veri che falsi, sia non-veri che non-falsi. O, in altri termini: sia in termini di essere che di non-essere, mai disgiunti e contemporaneamente presenti. Chiarite le enormi difficoltà concettuali da affrontare per tentare di conoscere il nostro universo, il lavoro fatto dalla scienza e dagli scienziati attraverso i secoli appare ancora più grandioso. Prendere atto della inconoscibilità dell’universo non significa sminuire la validità del mondo scientifico: il grande lavoro degli scienziati sta nel definire modelli le cui classi di isomorfismo con la realtà sono così ampie ed efficaci che, addirittura, sono isomorfe a qualsiasi altro modello che descriva gli stessi fenomeni. Ciò significa che è possibile definire matematiche la cui aritmetica preveda che 2+2=5, ma queste sono tutte isomorfe alla nostra matematica. In questo senso, il valore della nostra matematica, pur se relativo, è immenso. Perché, pur essendo imperfetta, è altamente probabile che sia equivalente ad altre matematiche sviluppate in parti remote del cosmo.
La matematica è un'opinione. E l'ignoranza una certezza, scrive domenica 12 febbraio 2017 Simone Aliprandi. Proprio qualche giorno dopo il dibattito (arrivato anche sui media mainstream) sulle pesanti lacune linguistiche degli studenti italiani, mi è capitato di trovare in giro per i social media il classico indovinello matematico. Si trattava di una semplicissima espressione da scuola elementare utilizzata spesso in ambito informatico per spiegare il sistema binario: 10 - 10 × 10 + 10 = ? Infatti, se l'espressione è interpretata in binario (dove il 10 equivale a 2) dà come risultato ZERO (0). Mentre se è interpretata secondo il sistema decimale dà come risultato MENO OTTANTA (-80). In entrambi i casi infatti, in virtù della REGOLA (generalmente riconosciuta) dell'ordine delle operazioni è necessario risolvere prima la moltiplicazione centrale; poi andare in ordine sequenziale con le addizioni/sottrazioni. Così TUTTI abbiamo imparato (o forse, dovremmo aver imparato) a risolvere questi calcoli fin dalla scuola elementare. Ho pensato comunque di postarla sulla mia bacheca, senza per vedere quali reazioni avrebbe provocato. L'ho postata senza precisare che fosse da intendere come binaria, quindi la convenzione prevede che, in assenza di particolari indicazioni, l'espressione andrebbe interpretata come decimale e quindi con risultato -80. L'ho postata prima sul mio profilo Facebook privato (VEDI), poi anche sulla mia pagina pubblica (VEDI), e da lì in alcuni gruppi frequentati anche da persone con titoli di studio e titoli professionali che dovrebbero ispirare una certa affidabilità (ingegneri, informatici, commercialisti), confidando che la risposta più frequente fosse: "ma dai, che banalità! E' ovvio che fa -80!". E invece no! Sebbene la risposta prevalente fosse comunque quella corretta, in molti hanno fornito risposte sbagliate tra cui le più frequenti erano CENTO (100) e DIECI (10). Evidentemente avevano risolto l'espressione senza rispettare la regola sopra citata o avendola applicata in modo "alternativo". Ma – attenzione – il problema non è questo. Il vero problema è la reazione che alcune di queste persone ha avuto quando qualcuno ha commentato la loro risposta facendo notare l'errore. A mio avviso, di fronte a un errore così grossolano, la reazione più opportuna sarebbe cospargersi il capo di cenere e ammettere pubblicamente di aver risposto in momento di poca lucidità, o anche di aver letto male il quesito. In realtà invece ho visto reazioni ben diverse e ben meno umili, quasi tutte mirate a fornire una giustificazione a quella risposta errata e non ad ammettere l'errore. Alcuni esempi: "la matematica non mi è mai piaciuta"; "ho fatto studi umanistici"; "queste regole le ho imparata un sacco di anni fa e quindi non me le ricordo"; "a me l'hanno insegnato così". Senza poi considerare coloro che invece si sono inventati "controregole" ed eccezioni che, se applicate, porterebbero a un risultato diverso (per esempio "vanno messe per forza le parentesi, così non si può risolvere"). Altri hanno coinvolto amici e parenti istruiti con lauree e dottorati per chiedere conferma ("chiedo conferma a mia moglie che ha un dottorato di ricerca")... senza considerare che un calcolo del genere dovrebbe essere comunque alla portata di tutti poiché si impara ad affrontarlo alle scuole elementari e quindi deve comunque far parte delle competenze di base di tutti, al di là dei titoli di studio. Niente da fare. Come si usa dire, non c'è peggior sordo di ci non vuol sentire; e non c'è peggior ignorante di quello non disposto a ricevere una puntualizzazione da parte di chi ne sa di più. Oppure, se vogliamo citare la saggezza orientale, "correggi un sapiente e lo farai più sapiente; correggi un ignorante e te lo farai nemico". E ovviamente nei casi (come questo) in cui si ha mostruosamente torto, l'accanirsi e l'arrampicarsi sugli specchi ottiene l'unico risultato di peggiorare la propria situazione e di attirare lo scherno (se non l'insulto) da parte dei più intolleranti. Ecco che la deriva è ormai fuori controllo e ognuno si irrigidisce sulle proprie posizioni: da un lato quelli che forniscono la risposta corretta e danno delle capre ignoranti a quelli che hanno fornito una risposta errata; dall'altro questi ultimi che danno dei pedanti/sapientoni/pignoli ai primi. Io rimango dell'idea che è meglio un mondo pieno di pedanti/sapientoni/pignoli che però sono nel giusto, piuttosto che un mondo pieno di gente nell'errore che goffamente cerca di giustificare la propria ignoranza. Tuttavia questa è una mia valutazione personale da nerd disadattato, e non pretendo che tutti la pensino così. Ad ogni modo questo mio post matematico ha in effetti avuto una sua utilità: quella di dimostrare che in fondo nel mondo dei social media, in cui (come già rilevato dall'illustre Umberto Eco) tutti – ma proprio tutti – possono esprimere la loro voce, la matematica può essere un'opinione.
La matematica è un'opinione anche per i computer, scrive domenica 19 febbraio 2017 Simone Aliprandi. Premessa: questo post è strettamente connesso al precedente post "La matematica è un'opinione. E l'ignoranza una certezza" in cui avevo sollevato il problema della mancata conoscenza di regole elementari della matematica da parte di molti utenti dei social media.
In particolare mi riferivo alla regola dell'ordine/priorità delle operazioni che normalmente dovrebbe essere appresa già attorno alla terza/quarta elementare. Il tutto era partito dal classico "indovinello matematico" da social media che era così composto: 10 - 10 × 10 + 10 = ? Non dico di più delle puntate precedenti e rimando al post e soprattutto agli strascichi (davvero surreali) che ha avuto sulla mia pagina Facebook. Nel presente post intendo solo mettere in luce un corollario interessante di questa vicenda: alcuni di coloro che hanno commentato il post hanno segnalato che alcune applicazioni fornivano il risultato sbagliato: principalmente la calcolatrice presente di default su molte versioni di Windows e anche alcune applicazioni per sistemi Android. Ecco uno screenshot che mostra che la stessa stringa produce un risultato errato quando si utilizza la calcolatrice "semplice" invece che quella "scientifica". In realtà, nessun particolare arcano: la calcolatrice semplice non applica la nota regola della priorità delle operazioni e quindi esegue le operazioni in sequenza. Molti hanno fatto notare: "le calcolatrici vanno sapute usare!" Anche le vecchie calcolatrici da pochi euro (non quelle scientifiche) che ogni scolaro ha nell'astuccio fin dagli anni 80 funzionavano così: eseguivano un'operazione alla volta, quindi era l'utente a dover inserire le operazioni nell'ordine corretto. Vero, verissimo. Ma a differenza delle calcolatrici "virtuali" che oggi troviamo sotto forma di applicazione sui nostri computer, tablet e cellulare, le vecchie calcolatrici non permettevano di inserire l'intera stringa. Sorge un dubbio atroce: se un utente non è conscio del fatto che la calcolatrice di Windows non applica quella regola essenziale potrebbe (anche legittimamente) uscirne ingannato, facendo affidamento su un risultato che invece è sbagliato. E infatti qualcuno dei commentatori del mio post ci è cascato e hanno giustificato il loro errore dicendo di aver eseguito il calcolo proprio con una di queste calcolatrici. Forse sarebbe utile che le applicazioni-calcolatrici fossero impostate per rispettare questa regola oppure, nel caso un utente inserisca una stringa con più operazioni, per mostrare un'avvertenza che suggerisca di inserire operazioni separate. Bisognerebbe segnalarlo alla Microsoft e alle altre software house. Anche se ovviamente la soluzione principale sarebbe quella che gli utenti accendessero il cervello prima di usare queste app. Ecco che così nasce spontaneo un altro interrogativo (che molti dei commentatori del mio post avevano sollevato): ma per risolvere quel calcolo c'è davvero bisogno di una calcolatrice? E qui torniamo al punto di partenza, cioè a quanto esposto nel precedente post.
L’OCCULTO E LA SCIENZA OCCULTA.
Occulto. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Il Codex Gigas è il più grande manoscritto medioevale al mondo. La leggenda narra che il codice sia stato creato da un monaco che vendette la sua anima al Demonio. Occulto è un termine che deriva dal latino occultus (nascosto) e si riferisce alla "conoscenza di ciò che è nascosto" o anche alla "conoscenza del soprannaturale", in antitesi alla "conoscenza del visibile", ovvero alla scienza. Il significato moderno del termine è spesso tradotto in modo errato, intendendo "sapere nascosto", "conoscenza riservata a pochi" o "sapere che deve rimanere nascosto". Per gli occultisti invece si tratta dello studio di una realtà spirituale più profonda che non può essere compresa usando puramente la ragione o la scienza materiale. I termini esoterico e arcano possono essere usati per indicare l'occulto, in aggiunta ai loro significati non strettamente collegati al soprannaturale. Il termine occulto è anche usato per identificare anche alcune organizzazioni magiche o ordini, oltre che per gli insegnamenti e le pratiche che queste organizzazioni insegnano. Inoltre, il termine indica la letteratura storica e la filosofia spirituale che trattano temi occulti. Le scienze occulte, in molti casi coincidenti con le scienze esoteriche, prendono questo nome dal fatto che dovevano nascondersi, rendersi occulte usando allegorie, per non subire le reazioni della chiesa. Il termine occultismo viene generalmente utilizzato per indicare un complesso di pratiche che spaziano dall'alchimia all'astrologia, alla magia, alle percezioni extrasensoriali, allo spiritismo, alla divinazione a quelle scienze o pseudoscienze, che si basano sul principio che esistano analogie ed omologie tra l'uomo e realtà soprasensibili. L'interpretazione dell'occultismo e i suoi concetti possono trovarsi nel sistema della credenze filosofiche e religiose come lo gnosticismo, l'ermetismo, la teosofia, la thelema e il paganesimo moderno.
L'elaborazione teorica sulla quale si fonda l'occultismo è l'esoterismo, l'insieme dei sistemi di pensiero filosofico - religiosi che costituiscono la base delle tecniche occulte. La creazione del termine francese occultisme si deve ad Eliphas Lévi (1810-1871), che lo derivò probabilmente dalla filosofia occulta di Agrippa von Nettesheim. Una moderna definizione è fornita da Nicholas Goodrick-Clarke: « L’OCCULTISMO trova il suo fondamento in un modo religioso di pensare, le cui radici affondano nell'antichità e che può essere descritto come la tradizione esoterica occidentale. I suoi ingredienti principali sono stati identificati nello gnosticismo, nei trattati ermetici di alchimia e magia, nel neoplatonismo, e nella Kabbalah, che hanno tutte avuto origine nella zona orientale del Mediterraneo durante i primi secoli dopo Cristo.» (Nicholas Goodrick-Clarke, The Occult Roots of Nazism)
Dal XV al XVII secolo, queste idee che sono state alternativamente descritte come esoterismo occidentale, hanno avuto un rilancio dal 1770 in poi, a causa di un rinnovato desiderio di mistero, un interesse per il Medioevo e una "reazione al razionalismo illuminato". L'impiego dell’alchimia era comune tra i più importanti scienziati del XVII secolo, come Isaac Newton e Gottfried Leibniz. Newton fu anche accusato di aver introdotto elementi dell'alchimia nella scienza naturale quando postulò la forza di gravità come forza in grado di agire su vaste distanze. Nel XVIII secolo queste preoccupazioni religiose e filosofiche poco ortodosse furono definite come occulte, perché si situavano ai margini delle forme accettate di conoscenza e di discorso". Sono state, comunque, preservate dai mistici. L'occultismo è lo studio dell'occulto supposto e della saggezza nascosta. Per l'occultista è lo studio della Verità, o piuttosto di una verità più nascosta che esiste sotto la superficie delle cose: «La Verità è sempre nascosta ad una visione superficiale». Può essere considerata un'area "oscura, forse più grande di qualunque altra nel campo della religione. Può avere a che fare con oggetti come talismani, alla stregoneria ed al voodoo, ma anche a percezioni extrasensoriali ed alla numerologia. Quasi tutto quello che non è contemplato dalle maggiori religioni (e anche qualcosa che lo è) è incluso nel regno dell'occulto. Anche la cabala è stata considerata uno studio occulto, forse per la sua popolarità presso i magi, ma più probabilmente perché ha a che fare con tematiche esoteriche. In seguito fu adottata dall'Ordine Ermetico dell'Alba Dorata (Golden Dawn) e portata alla luce da Aleister Crowley. Da allora molti autori hanno dato il loro contributo all'Occulto tracciando dei parallelismi tra differenti discipline. Una delle organizzazioni più importanti è l'Ordo Templi Orientis, che creò un sistema magico ispirandosi a molti e differenti stili e sistemi.
Occultismo, esoterismo e scienze occulte: significato e differenze, scrive "Rex". L’occulto è quel mondo della sapienza non rivelata, acquisita tramite una serie di percorsi che hanno a che vedere con l’esoterismo e che si contrappongono alla scienza nel senso che questa si basa su fatti acclarati e studiabili alla luce del sole mentre l’occultismo – all’opposto – si basa su studi soprannaturali, parapsicologici e comunque dimostrabili da pochi che mostrano effettivamente la padronanza di specifici poteri e hanno appreso tecniche in maniera individuale il più delle volte. D’altra parte lo stesso termine ‘occulto’, se lo si cerca su un qualunque vocabolario, indica qualcosa che è nascosto e di non facile reperimento aggiungiamo, infatti le scienze occulte sono così definite proprio in virtù della loro accessibilità che non è nè semplice nè per coloro che intendono avventurarvisi con leggerezza. Occultismo consta una serie di discipline che sono di fatto esoteriche e che attingono anche alla magia, ai rituali e ad una serie di culture compresa quella alchemica che ovviamente non è l’unica. Potenzialmente dell’occultismo possono far parte moltissime cose che certamente non si studiano nella scuole e che attengono anche al significato dell’esoterismo come abbiamo detto. Tutto quel mondo fatto di riti, studi, comparazioni, sperimentazioni e tentativi di magia, alchimia e/o fenomeni paranormali rientra a pieno titolo nel concetto di scienza occulta. I termini occultismo ed esoterismo, così come li conosciamo oggi, va anche detto che compaiono esclusivamente nel XVIIII secolo quindi sono piuttosto recenti ma ciò che c’era dietro e che necessitava di un nome era il pensiero magico: questa terminologia è infatti caduta in disuso mentre i termini esoterico, mistico e occulto hanno fornito un quadro più ampio inglobando appunto il sapere magico e facendolo diventare sapere occulto. La magia secondo molti è la scienza (popolare), separata dalla religione, e da questa teoria nasce il termine ‘occultismo’, quindi occultismo e magia – intesa con una serie di pratiche atte a condizionare anche la materia ma senza una specifica religione dietro – sono la medesima cosa e il sapere magico viene per l’appunto definito come occulto. Ma cos’è che lo rende tale? Questa domanda certamente va posta sia da coloro che semplicemente si interessano all’argomento sul piano magari antropologico sia da coloro che intendono avvicinarsi ad un cammino che può – secondo alcune teorie – essere compiuto da tutti ma solo con costanza, impegno e senza mai dubitare dei risultati. La domanda trova un unica risposta, il sapere occulto è reso nascosto dal fatto che il cammino per seguirlo è irto di ostacoli, non meno rilevanti tra questi quelli relativi alle aspettative e al modo di seguire il percorso iniziatico. Esistono infatti delle caratteristiche umane che possono contrastare le azioni della sapienza occulta magari acquisita con anni di studio e passione. Tra queste caratteristiche, ad esempio l’ansia di vedere risultati, può vanificare ogni azione magica, oppure i pensieri che interferiscono dopo un atto magico possono modificarne l’azione quindi una serie di pratiche sono connesse alla stessa sapienza occulta, pratiche senza le quali non ci si può permettere di dare inizio a nessun tipo di magia. Per molti di noi le parole “Scienza Occulta” hanno qualcosa di poco credibile, provocando a volte un sorriso di compatimento o di disprezzo. Molti infatti ritengono che una concezione che assume il nome di scienza occulta non possa che fondarsi su fantasie, e che dietro una tale scienza non si possa nascondere altro che la voglia di rinnovare ogni sorta di superstizione. Per molti altri, essa invece rappresenta una cosa che a loro sembra non poter conseguire per alcuna altra via. Essi infatti, si sentono attratti da un intimo e profondo desiderio di conoscenza o da una curiosità dell’anima maggiormente predisposta. Tra gli opposti menzionati poc’anzi esiste tutta una scala di grigi. Intesi come atteggiamenti intermedi, di accettazione o di rifiuto condizionati da ciò che ognuno di noi si immagina, essere il suo contenuto. È innegabile che per taluno le parole, scienza occulta hanno un suono, che riporta alla magia e al misticismo. Questi vogliono soddisfare il desiderio di una conoscenza che va oltre il normale. Spingendosi verso aspirazioni più profonde dell’animo umano, soprattutto a livello di comprensione dell’Io e di quello che ci circonda. Sia esso terreno che spirituale. La scienza occulta vuole sviluppare l’anima, nei contesti in cui vengono oltrepassati i limiti della natura stessa. Dobbiamo tener presente che per l’occultista (calato nel nostro contesto) esistono due tipi di pensieri diametralmente opposti. Da una parte troviamo il “pensiero concreto” in cui nulla esiste che i sensi dell’uomo non siano in grado di percepire. Dall’altra troviamo chi sostiene che attraverso gli idonei strumenti di percezione o elevazione. Essi si sentono attratti da un intimo e profondo desiderio di conoscenza, o da una curiosità dell’anima maggiormente predisposta. Allontanandoci per un attimo (solamente) dal contesto fuor di dubbio è, che in passato molte nuove scoperte (a prescindere dall’ambito) furono viste come una sorta magia, in quanto non erano comprensibili “alla persona comune”. Non possiamo negare, che l’uomo fin dai tempi più remoti, sia alla ricerca di un senso delle e nelle cose. Come nella vita terrena che in quella spirituale. Esso lo spinge verso la conoscenza cercando di elevarsi al “soprasensibile”. Questo infatti possiede l’intelligenza che gli permette di cogliere la realtà soprasensibile (o invisibile) oltre alla corporeità. Che gli permette di percepire ciò che è mutevole, tangibile, visibile. Dunque l’intelletto non si può ricondurre ad una diversa corporeità. Ma si ricollega ad una realtà che caratterizza l’uomo, cioè l’anima. Se l’uomo però volge le sue attenzioni al solo scopo di mera curiosità non potrà mai carpirne i segreti, essi gli appariranno a volte, come una manifestazione, ma nel modo più confuso, senza cioè una reale percezione di cosa significhi ogni esperienza. Chi vorrà intraprendere con noi questo affascinante viaggio verso le conoscenze supersensibili. Si renderà presto conto che ciò che prima era un “dogma” o un preconcetto inculcato dalla società, poi si rivelerà per quello che è realmente. Dobbiamo quindi essere in grado di spalancare le porte ad un altro mondo, fatto di percezioni, alle quali siamo, troppo spesso, anestetizzati e incapaci di coglierle.
LE SCIENZE OCCULTE.
“Esiste nel mondo una loggia di persone istruite che si riuniscono una volta all'anno per discutere di argomenti scientifici. Questi scienziati conoscono ciò che è bene per la Terra molto meglio degli uomini di scienza d'oggi, ma di quanto si tratta del futuro della Terra anche loro si trovano fare le loro supposizioni. Esiste però anche un'altra loggia che si trova al Sole che conosce in maniera chiara non soltanto il passato della Terra, ma anche il suo futuro.” L'umanità ha trascorso una lunga via di evoluzione ed oggi è in grado di comprendere i grandi segreti custoditi e trasmessi nei secoli dalle anime evolute nelle cosiddette scuole occulte. La parola “occulto” significa segreto, nascosto. Nelle scuole occulte vengono studiati gli eventi e le forze incomprensibili per il suo carattere astratto. D'altro canto questi sono rimasti segreti perché esiste il pericolo che alcuni di questi metodi possano essere usati da persone malintenzionate per il proprio loro interessi ed a scopo criminale. I centri di occultismo esistono dall'antichità e accompagnano l'evoluzione dell'umanità. Occultisti sono tutti i grandi Maestri come: Manu e Budda in India, Confucio e Lao Tze in Cina, Zoroastro in Persia, Ermete Trismegisto in Egitto, Mosè, Orfeo, Pitagora, Cristo e Beinsa Dounò. Gli argomenti più noti dell'occultismo sono:
- L' alchimia
- l'astrologia
- la cabala
- la frenologia
- la fisiognomica
- la grafologia
- la chiromanzia
- la numerologia
Senza negare i risultati scientifici, gli occultisti studiano e spiegano gli eventi “sovrannaturali” che loro sentono come reali e naturali; l'invisibile è tale perché non si hanno ancora gli organi ed i sensi necessari per poterlo percepire. A differenza della scienza ufficiale che nella maggioranza dei casi studia soltanto il mondo fisico, la scienza occulta ne studia anche altri due: il mondo Spirituale ed il mondo Divino. Nel passato la scienza occulta e la religione convivevano in pace nei templi di Dio. I primi cristiani erano persone iniziate. Più tardi la chiesa ufficiale ha negato e vietato i metodi occulti nel lavoro spirituale e gli occultisti venivano perseguitati ed uccisi. Oggi le verità incomprensibili sostenute dagli occultisti da migliaia di anni vengono affermate e provate dalla scienza. Sul fatto che esiste l'aura non ci sono più dubbi. Oggi viene studiato seriamente non soltanto il corpo fisico, assieme agli altri corpi umani. Questo conferma le parole del Maestro che dobbiamo cercare di comprendere ciò che è invisibile, che per la nostra imperfezione non abbiamo ancora raggiunto, ma non per questo significa che ciò non esista.
La scienza occulta nelle sue linee generali. Libro di Rudolf Steiner. L'antica denominazione di «Scienza Occulta» viene adoperata per il contenuto di questo libro; una denominazione che produce presso uomini diversi le più opposte impressioni. Per molti essa ha qualcosa di ripugnante; provoca l'irrisione, un sorriso di compatimento, forse anche il disprezzo. In realtà il tentativo della scienza occulta è quello di analizzare quello che sfugge alla normale indagine del mondo sensibile. Quello che di tale mondo rimane «occulto», non manifesto, ove lo si consideri soltanto mediante i sensi e l'intelletto ad essi legato. La scienza occulta vuole liberare l'indagine scientifica e l'attitudine scientifica (che di solito si limitano ai rapporti e al processi dei fatti sensibili) da questo loro abituale campo di applicazione, pur conservandone le caratteristiche generali di pensiero. Essa si propone di trattare di cose non sensibili allo stesso modo con cui la scienza naturale tratta di quelle sensibili. Mentre la scienza naturale si limita, con i suoi metodi e i suoi procedimenti di pensiero, alla sfera sensibile, la scienza occulta considera il lavoro dell'anima, studia la costituzione occulta dell'uomo, il corpo eterico, il mondo astrale, l'evoluzione dell'uomo e dei mondi.
Il vampiro secondo la scienza occulta, scrive Salvatore Brizzi. Il vampiro può originarsi solo da un uomo totalmente identificato nel suo corpo di carne, nelle sue emozioni, nei suoi pensieri. Si tratta di un individuo che non "sente" la sua anima; per lui essa rappresenta solo un concetto mentale, una possibilità e nulla più. La sua paura della morte è dunque più che mai giustificata: essendo la sua coscienza imprigionata nell’apparato psicofisico, egli perirà con esso. Un uomo del genere sarebbe disposto a qualsiasi cosa pur di riuscire a prolungare la propria esistenza terrena. Conscio di dover morire, egli aspira disperatamente all'immortalità e ai piaceri che la materia può offrire! Il paradosso è proprio questo: il suo folle attaccamento alla vita e ai piaceri terreni, il suo voler prolungare l'esistenza materiale a tutti i costi... è ciò che rende sempre più sicura la sua futura morte, in quanto tali comportamenti imprigionano la sua coscienza nella personalità mortale. D’altra parte un comportamento altruistico, la compassione e il perdono lo porterebbero sempre più vicino alla sua anima immortale. Egli vuole allora poter sopravvivere in qualche modo alla inevitabile dissoluzione del corpo fisico pur non operando una reale “sintesi con l’anima”, risultato, quest’ultimo, che è possibile ottenere solo intraprendendo un sentiero di risveglio spirituale che conduce alla vera immortalità. A questo punto, l’unico modo che ha di farlo è cercare di sopravvivere nel «corpo astrale », un involucro sottile che avvolge il corpo fisico e nel quale trasferiamo la nostra coscienza sia durante il sogno (infatti è anche conosciuto come « corpo di sogno ») sia dopo la morte. Questo corpo è, per intenderci, quello che talvolta compare ai viventi in forma di fantasma. Portando la propria coscienza nel corpo astrale non si consegue una reale immortalità, poiché anch’esso è costituito di materia – sebbene più sottile di quella a cui siamo abituati – e quindi è destinato a consumarsi con il tempo; tuttavia permette all’essere umano di sopravvivere, per un tempo indeterminato, alla sparizione del corpo fisico. Il corpo astrale lo abbiamo tutti, infatti lo utilizziamo per viaggiare durante le esperienze di sogno, ma solo pochi di noi sono in grado di utilizzarlo coscientemente come involucro per spostarsi anche in stato di veglia e compiere i cosiddetti «viaggi astrali». Ciò implica che, alla stessa maniera, pochi di noi saranno in grado di usarlo coscientemente dopo l’esperienza della morte. Ci ritroveremo nel corpo astrale, ma ne avremo la stessa padronanza che un fanciullo di due anni può avere del suo corpo fisico: saremo trasportati dagli eventi del mondo astrale in uno stato di semi-incoscienza simile, appunto, a quella che si ha nel sogno. Quanti di noi, infatti, sono capaci di fare «sogni lucidi», all’interno dei quali possono decidere delle loro azioni? Allo stesso modo non saremo in grado di decidere delle nostre azioni dopo la morte. Le pratiche che consentono a un essere umano, maschio o femmina che sia, di spostare la sua coscienza nel corpo astrale in modo da servirsene a piacimento, sia in vita che dopo la morte, riguardano le tecniche di «ricordo di sé » trasmesse da Gurdjieff e un utilizzo consapevole dell’energia sessuale. Ma tali non sono gli argomenti di cui è qui questione.
SCIENZA E MAGIA.
Magia. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Con il termine magia si indica una tecnica che si prefigge lo scopo di influenzare gli eventi e di dominare i fenomeni fisici e l'essere umano con la volontà; a tale fine la "magia" può servirsi di gesti, atti e formule verbali, o di rituali appropriati. L'etimologia del vocabolo "magia" (in greco Μαγεία) deriva dal termine con cui venivano indicati nell'antica Grecia i "magi" (Μάγοι), antichi sacerdoti Zoroastriani della Persia.
Nella maggior parte delle culture antiche e moderne, fin dagli albori della civiltà, sono esistite credenze e pratiche magiche, con caratteristiche sostanzialmente simili anche se formalmente diverse, che si possono trovare in relazione ad aspetti tipici dell'occultismo, della superstizione e della stregoneria. Alcune scene di pitture del paleolitico superiore trovate nelle caverne francesi sono state interpretate come aventi finalità magiche (ad esempio l'ottenere successo nella caccia). Nell'antichità si credeva anche che la magia si potesse relazionare alla varie fasi lunari: luna piena = magia nera, mezza luna = magia bianca.
La società dell'Antico Egitto è fortemente intrisa di credenze occulte. Nel pantheon egizio, oltre a Uerethekau e Heka, Neter della magia, anche Iside e Thot, da cui derivò l'ermetismo, sono caratterizzati da poteri magici. Sono stati trovati molti papiri magici, scritti in greco, copto e demotico, che contengono formule ritenute capaci di prolungare la vita, fornire aiuto in questioni amorose e combattere i mali. È attestata anche la credenza nella cerimonia magica dell'apertura della bocca per mezzo della quale si riteneva possibile conferire un'anima a statuette, utilizzate come controfigure magiche dei defunti. Il cosiddetto libro dei morti degli antichi egizi (che in origine era definito: "incantesimi che narrano l'uscita dell'Anima Verso la piena Luce del Giorno"), scritto su papiri, muri tombali e sarcofagi, è l'insieme di incantesimi da pronunciarsi per la «...resurrezione dello spirito e il suo ingresso nelle Regioni dell'Al di là». Per gli antichi egizi tutto è animato, per loro il mondo spirituale non impone leggi al mondo fisico, ma, per analogia, così come il volto di una persona è considerato espressione dell'anima, il mondo spirituale si esprime tramite quello fisico. La natura non è inanimata e non sottostà a "leggi", bensì l'espressione della vita passa attraverso varie fasi spirituali che, in questo mondo, vengono rappresentate dalle esperienze fisiche vissute direttamente dall'uomo. Tutto è animato e vivente, ogni fenomeno, per analogia, esprime la manifestazione di un piano spirituale nel piano fisico. L'analogia è applicata alla posizione degli astri, al simbolismo del colore, alle forme geometriche (ad esempio la figura geometrica della piramide), alle caratteristiche degli animali (zoolatria) e così via ad ogni espressione della vita. Questa civiltà, oltre cinquemila anni fa, è stata quindi crogiolo per la nascita e la codifica dell'astrologia, della teurgia e della negromanzia.
In Mesopotamia, nelle culture sumera, accadica e caldea, come anche in Persia, la terra d'origine dei Magi, si trovano numerose attestazioni di rituali di magia cerimoniale. Tutte le fonti antiche riportano esempi di pratiche magiche, come:
l'utilizzo di "parole magiche" che hanno il potere di comandare gli spiriti;
l'uso di bacchette ed altri oggetti rituali;
il ricorrere a un cerchio magico per difendere il mago contro gli spiriti invocati;
l'utilizzo di simboli misteriosi o sigilli per invocare gli spiriti;
l'uso di amuleti che rappresentano l'immagine del demone per esorcizzarlo.
Comunque il più grande apporto culturale del Medio Oriente consisté nell'astrologia: l'osservazione degli astri era non solo magicamente inscindibile dal computo del tempo, ma anche strettamente legata ad ogni evento naturale.
In Grecia fu Erodoto a coniare il termine "mago" per indicare un sacerdote di una tribù della Persia antica. Dal IV secolo a.C. il vocabolo mageia cominciò ad essere utilizzato per indicare un insieme di dottrine nate dalla commistione di tradizioni arcaiche e le pratiche rituali ereditate dai Persiani. Fu comunque nella koinè culturale ellenistica che ebbe luogo quella fusione dei riti magici con elementi astrologici e alchimistici, che sarà alla base di tutta la speculazione magica dei secoli successivi. Nella tarda antichità troviamo numerose testimonianze riguardo a rituali di teurgia la cui provenienza è spesso attribuita, dagli stessi teurghi, all'antico Egitto. Verso il III - IV secolo della nostra era compaiono anche trattazioni filosofiche a favore di tale pratica, in particolare per opera del filosofo neoplatonico Giamblico.
Nella letteratura latina si trovano numerose testimonianze relative a tutta una serie di attività occulte. Esperimenti di negromanzia, uccisioni a distanza, animali parlanti, statue che camminano, filtri d'amore, metamorfosi, divinazioni, talismani che curano le malattie, sono solamente alcuni degli oggetti e dei rituali magici adoperati dai maghi che compaiono nelle opere di Orazio, Porfirio, Plinio il Vecchio e Virgilio. Nel panorama letterario di magia latina un posto di prim'ordine spetta a Le metamorfosi (anche conosciuto come L'asino d'oro) di Apuleio. L'opera, l'unico romanzo della letteratura latina pervenutoci intero, si compone di undici libri, nei quali viene narrata la storia di Lucio, un giovane trasformato per magia in asino, che, dopo varie peripezie, ritorna uomo per intercessione della dea Iside. Da ricordare che lo stesso Apuleio fu processato sotto la falsa accusa di aver costretto con la magia una ricca vedova a sposarlo per impadronirsi della dote, mentre in realtà l'aveva fatto per fare un favore al figlio di lei, amico suo, che morì, spingendo i parenti a credere che il suo fosse un elaborato piano per rubargli l'eredità. Tuttavia riuscì a scagionarsi dall'accusa presentando il testamento della vedova, in cui la donna (dietro consiglio dello stesso Apuleio) lasciava tutto al figlio piccolo. Del resto, nel diritto romano le leggi antiche prevedevano pene severe per quanti utilizzavano mezzi magici per conseguire scopi criminali.
Nonostante la polemica antimagica di alcuni scrittori cristiani, come Origene, Sant'Agostino e Tommaso d'Aquino, e l'ostilità della Chiesa nei riguardi delle arti occulte, il substrato culturale della magia medievale ebbe una certa rilevanza. Persino il mondo religioso germanico fu prodigo di divinità intrise di doti magiche, come Thor e Odino; anzi lo scopo della magia era quello di liberare le forze occulte possedute dalle potenze superiori. La produzione letteraria di carattere magico, soprattutto in età umanistica, fu molto ricca, grazie anche alla mediazione di scrittori arabi. Alcune opere astrologiche, come il Tetrabiblos di Claudio Tolomeo, l'Introductiorum di Albumasar, il Liber Vaccae (o Libro degli esperimenti) ed il famoso Picatrix, ebbero una enorme influenza sulla speculazione magica dell'età rinascimentale. Tuttavia alcuni autori, come Isidoro da Siviglia e più tardi Ugo da San Vittore, accomunano la magia all'idolatria, in quanto scienza conferita dai demoni. È nel XIII secolo con Guglielmo d'Alvernia e Alberto Magno, che s'iniziò a porre l'accento sulla categoria della magia naturale, che tanta fortuna ebbe nei secoli immediatamente successivi. Sempre nel XIII secolo, tornò in auge anche l'astrologia, con autori allora famosissimi come il forlivese Guido Bonatti, la cui influenza sarà notevole ancora nel XVI secolo.
«Troverete persino gente che scrive del XVI secolo come se la Magia fosse una sopravvivenza medioevale, e la scienza la novità venuta a spazzarla via. Coloro che hanno studiato l'epoca sono più informati. Si praticava pochissima magia nel Medioevo: XVI e XVII secolo rappresentano l'apice della magia. La seria pratica magica e la seria pratica scientifica sono gemelle. »
Il periodo che va dal XV agl'inizi del XVII secolo segna la grande rinascita della magia, in sostanziale parallelismo, come fa notare anche C. S. Lewis, con il crescere degli interessi scientifici. L'inizio di questa rivoluzione magica può essere considerata l'opera di traduzione che alcuni umanisti, il più importante dei quali fu Marsilio Ficino, fecero delle quattordici opere che formavano il cosiddetto Corpus Hermeticum, degli "Oracoli Caldaici" e degli "Inni Orfici". Queste opere, attribuite dagli studiosi rinascimentali rispettivamente ad Ermes Trismegisto, Zoroastro ed Orfeo, erano in realtà raccolte di testi nate in età imperiale romana, che combinavano elementi neoplatonici, concetti ricavati dal Cristianesimo, dottrine magico-teurgiche e forme di gnosi mistico-magica. Nel Rinascimento sul substrato colto di dottrine neoplatoniche, neopitagoriche ed ermetiche si incardinò la riflessione speculativa magico-astrologica-alchemica, arricchita da idee derivanti dalla Cabala ebraica, come testimoniano emblematicamente le figure di Pico della Mirandola e Giordano Bruno. Il compendio forse più interessante per la magia rinascimentale è il De occulta philosophia di Cornelio Agrippa von Nettesheim. In questa opera il medico, astrologo, filosofo e alchimista tedesco definisce la magia "la scienza più perfetta", e la divide in tre tipi: naturale, celeste e cerimoniale, dove i primi due rappresentano la magia bianca, ed il terzo quella nera o necromantica. Queste argomentazioni saranno riprese più tardi nel Magia naturalis sive de miraculis rerum naturalium del napoletano Giovanni Battista Della Porta, il quale vede nella magia naturale il culmine della filosofia naturale, e nel Del senso delle cose e della magia di Tommaso Campanella. Altra importante figura nel contesto magico-alchemico rinascimentale è quella di Paracelso, la cui iatrochimica risente della simbiosi tra magia naturale e scienza sperimentale, tipica del XVI secolo. Proprio mentre la tradizione magica è al suo culmine, nel XVII secolo s'iniziano a vedere le avvisaglie della polemica contro la cultura magico-alchimistica, che caratterizzerà maggiormente il Secolo dei Lumi. Il precursore della condanna delle varie dottrine magiche in nome del sapere scientifico è da considerarsi Francesco Bacone. A partire da questo momento la magia inizierà un lento declino, favorito da pensatori come Cartesio e Hobbes e dallo sviluppo delle correnti filosofiche del meccanicismo, del razionalismo e dell'empirismo. Nel XVIII secolo, con l'avvento dell'Illuminismo, la magia, definitivamente sconfitta nell'ambito della cultura dominante, venne relegata in una specie di limbo, nel quale tuttavia riuscì in qualche modo a sopravvivere.
La seconda metà del XIX secolo è caratterizzata da un rinnovato interesse nei confronti dell'occultismo e dell'esoterismo magico. La figura che meglio incarna il revival delle scienze occulte nel XIX secolo è il mago Eliphas Lévi, nato Alphonse Louis Constant, la cui ricca produzione letteraria influenzò grandemente la speculazione occultista del secolo successivo. L'ultimo scorcio del secolo vide anche il sorgere di numerose organizzazioni e società segrete nelle quali la magia aveva un ruolo significativo, come l'Ordre Kabbalistique de la Rose+Croix fondato in Francia da Stanislas De Guaita, l' Hermetic Order of the Golden Dawn, fondato in Inghilterra da Samuel Liddell MacGregor Mathers, l' Ordo Templi Orientis, fondato in Germania da Franz Hartmann. Anche nella Società Teosofica, fondata negli Stati Uniti d'America da Helena Petrovna Blavatsky, esistono alcuni elementi che rimandano a una concezione magica dell'esistenza e dei rapporti con i mondi ultraterreni.
Il panorama della magia dei nostri giorni è molto variegato e di difficile analisi sistematica, soprattutto a causa del coacervo sincretistico che caratterizza la maggior parte delle odierne dottrine magiche, esoteriche e occultistiche. In genere il substrato comune è costituito da alcune teorie che si riallacciano alle tradizioni neoplatoniche, gnostiche, ermetiche, cabalistiche, astrologiche, alchimistiche e mitologiche antiche. Su queste e sul pensiero dei moderni occultisti, da Madame Blavatsky a Gérard Encausse, da Samuel Liddell MacGregor Mathers ad Aleister Crowley, da G. I. Gurdjieff a Gerald Gardner, a Dion Fortune, a Eusapia Palladino, a Gustavo Rol sono nate tutta una serie di associazioni e gruppi esoterici, più o meno influenzati dalle nuove correnti della New Age, della Wicca, della Stregoneria Tradizionale e del Neopaganesimo. In Italia uno degli ultimi celebri rappresentanti e divulgatori della teoria e della prassi magica fu Giuliano Kremmerz.
Con il termine magia molto spesso si tende a indicare tutto ciò che non è scientificamente spiegabile. Dalla maggior parte delle persone però la magia viene vista come una cosa distinta e separata dalla scienza quindi tende ad attribuirvi tutti i fenomeni di cui non riesce a capacitarsi. Una distinzione che viene generalmente fatta è quella tra magia bianca e magia nera, a seconda che i fini dell'operatore siano benefici o malvagi, e se nella sua pratica possono essere coinvolte delle entità positive (angeli, divinità, spiriti degli antenati, animali totemici) o negative (demoni); questa distinzione non viene però accettata da tutti, infatti alcuni operatori considerano la magia neutra in sé stessa, da questi infatti essa viene considerata come il fuoco, che, a seconda di come viene usato, può risultare molto utile e benefico, oppure altamente distruttivo. Esiste inoltre un insieme di nozioni e pratiche facenti capo ad una categoria intermedia denominata magia rossa che non può essere definita nè buona né cattiva, ma indirizzata ad ottenere uno scopo personale, il più delle volte a carattere sentimentale. La scienza magica agisce in genere attraverso simboli, siano essi parole, pensieri, figure, gesti, danza o suoni, e strumenti vari. Solitamente viene però sottolineato che lo strumento primario della magia è la mente dell'operatore e tutto il resto gli serve per focalizzare meglio il suo intento. Solitamente i riti magici utilizzano una combinazione tra le diverse tecniche. Nei casi in cui il mago, durante una pratica rituale, ricorre all'intervento di un'entità soprannaturale, a seconda dell'entità in questione si entra nei campi della negromanzia, dello spiritismo e della demonologia, mentre l'arte di evocare o invocare potenze sovrumane benefiche (angeli, divinità, spiriti elementali ecc.) è più propriamente chiamata teurgia.
Le tecniche magiche possono essere raggruppate convenzionalmente in cinque categorie:
La cosiddetta magia simpatica o d'incanalamento, in cui l'effetto magico è perseguito tramite l'utilizzo d'immagini od oggetti che possono essere usati, ad esempio come rappresentazione simbolica della persona cui si vuole fare del bene o si vuole nuocere, oppure per rappresentare lo scopo che ci si prefigge (ad esempio con l'uso di amuleti e talismani);
La magia da contatto, caratterizzata dalla preparazione di pozioni e filtri magici, sacchettini da indossare, talismani o amuleti da portare con sé, creati utilizzando oggetti ed ingredienti più o meno naturali;
La terza forma di pratica magica è l'incantesimo, che agisce tramite parole (un esempio tipico è abracadabra) o altre formule magiche;
La quarta categoria è quella della divinazione, utilizzata per ricevere informazioni attraverso varie arti mantiche (come l'astrologia, la cartomanzia, la chiromanzia) oppure attraverso dei talenti propri dell'operatore (come ad esempio attraverso i presagi, o nella preveggenza e nella medianicità);
La quinta categoria è quella di similitudine: il simile produce il simile, un esempio può essere quello rappresentato da alcuni popoli primitivi, i quali, prima di andare a cacciare, imitavano i movimenti, i versi ed i comportamenti in genere dell'animale che desideravano catturare.
La magia, in quanto fenomeno ubiquitario che ha accompagnato la civiltà umana dagli albori, è stata ed è oggetto di studio da parte delle scienze sociali, prime fra tutte l'antropologia culturale, l'etnologia e la psicologia. Le tematiche affrontate nello studio della magia solitamente riguardano la sua relazione con la scienza e la religione, la sua funzione sociali e la natura del suo pensiero.
Nel 1871 Edward Tylor nella Cultura dei primitivi arrivò alla conclusione che la magia fosse una «scienza sbagliata» in quanto non in grado di distinguere i rapporti causa-effetto da quelli propriamente temporali. Vicino alla posizione tyloriana fu James George Frazer, il quale, nel Ramo d'oro, pur considerando la magia un primo stadio nello sviluppo della civiltà, ebbe il merito di fornire una prima classificazione della magia. Egli distinse i processi magici in simpatetici/imitativi, basati sulla credenza che il simile agisca sul simile (es. travestirsi da animale per augurarne la caccia) e contigui/contagiosi, basati sulla credenza che le cose che sono state in contatto possono continuare a interagire anche se distanti (es. ciocche di capelli, oggetti appartenenti alla persona su cui gettare il malocchio).
L'etnologo francese Lucien Lévy-Bruhl considerò le culture cosiddette primitive come guidate esclusivamente da una visione magico-mistica del mondo, quindi prescientifica, nella quale ogni cosa si può trasformare in qualsiasi momento in un'altra. Agl'inizi del XX secolo Henri Hubert e Marcel Mauss pubblicarono Teoria generale della magia. In quest'opera i due etnologi francesi assunsero un orientamento più sociologico rispetto al passato, rivolgendo la loro attenzione non tanto alla struttura dei riti magici, quanto al contesto sociale nel quale essi si svolgono. Hubert e Mauss studiarono anche i rapporti della magia con la scienza e la religione, giungendo alla conclusione che queste posseggono delle analogie con la magia in quanto hanno terreni comuni di intervento: la natura (scienza e magia) e il sacro (religione e magia). Anche Émile Durkheim intervenne nella discussione dei rapporti tra magia e religione. Nel suo Le forme elementari della religione afferma che la magia essendo per sua natura una pratica privata e quasi segreta, non può essere paragonata alla religione, che è un fenomeno sociale e prettamente collettivo. L'attenzione degli studi antropologici sul fenomeno magico si è basata fondamentalmente su due costanti interagenti e soggiacenti il rituale magico ed interagenti: sistema di simboli e comunicazione sociale. Un notevole contributo in questa direzione è venuto da Claude Lévi-Strauss. In Antropologia strutturale lo studioso dedica un saggio dal titolo Lo stregone e la sua magia all'universo simbolico della magia. La funzione semantica del concetto magico è alla base dell'esempio riportato da Levi-Strauss sulla base di un racconto di Franz Boas. I casi di guarigione magica per opera dello sciamano Quesalid dimostrano, secondo l'antropologo francese, che ogni atto magico presuppone l'esistenza di un rituale basato su segni, che abbiano un significato per la collettività che partecipa all'esperimento magico e ne condivide la speranza di riuscita.
All'antropologo inglese Alfred Reginald Radcliffe-Brown si deve la prima disamina seria del concetto di mana, utilizzato per la prima volta dall'etnologo R. Codrington. Questa forza non individualizzata insita in tutte le cose permea l'atto magico (il rituale), chi lo compie (lo sciamano), quanti vi assistono (la società) e l'ambiente in cui viene svolta l'azione (la natura). L'accento posto dal Brown sul valore rituale e sociale della magia, contrapposto al presupposto legame magia-scienza condizionò la successiva discussione sull'argomento. Un'altra opera che ebbe una considerevole risonanza fu Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azande, scritta nel 1937 da Edgar E. Evans-Pritchard. La ricerca da lui effettuata nel Sudan sud-occidentale lo portò a conclusioni vicine a quelle del Radcliffe-Brown. Anche l'Evans-Pritchard teorizzò la centralità del contesto sociale nel quale la magia si esplica e l'assenza di un legame tra scienza e magia, in quanto l'obiettivo finale del rituale magico non consisterebbe nel modificare la natura, ma nel contrastare i poteri di streghe o maghi.
Un contributo fondamentale alla interpretazione della magia dal punto di vista antropologico lo diede Bronisław Malinowski. Nel suo Magia, scienza, religione, lo studioso polacco nega qualsiasi contatto della magia con la pratica empirica, che vede come entità separate. Famoso l'esempio della canoa, durante la costruzione della quale l'artefice non ha bisogno della magia per l'esecuzione tecnica del natante, che reggerebbe il mare comunque, ma il rituale magico interviene durante il lavoro come sussidio rassicurante. L'atto magico sarebbe quindi l'espressione simbolica di un desiderio, completamente slegato dal rapporto causa-effetto, che è comunque tenuto ben presente. Sulla scia di Malinowski, gli antropologi successivi hanno sottolineato che il ricorso alla magia si ha solitamente in presenza di fenomeni inesplicabili, davanti ai quali le pratiche empiriche sono considerate impotenti.
Una posizione interessante e diversa rispetto a quella del funzionalismo è quella dell'antropologo Ernesto de Martino, il quale sosteneva che l'universo magico facesse da mediatore con la concezione dell'aldilà e con la paura delle persone di perdere la presenza. Nei suoi studi nel Mezzogiorno d'Italia nel 1948 egli rivelò come, davanti ad una grave crisi, come la morte di una persona cara, la magia, assieme ad una buona pianificazione sociale, consentisse di incanalare il dolore per riscattarsi dagli istinti animali.
La natura della magia è stata studiata anche dal punto di vista psicologico. Basandosi sulle teorie evoluzioniste del Frazer, studiosi come Wilhelm Wundt, Gerardus van der Leeuw e soprattutto Sigmund Freud accostarono il pensiero magico dell'uomo primitivo a quello del bambino, il quale ritiene che la realtà sia influenzabile secondo i suoi pensieri ed i suoi desideri. Più recentemente anche Ernesto De Martino ne Il mondo magico pone l'accento su alcuni fenomeni tipici di pratiche sciamaniche, quali la spersonalizzazione e lo scatenamento di impulsi incontrollabili.
Secondo alcuni anche la Magia si può in un certo senso considerare religione. La magia è concettualmente diversa dalla religione? Nella magia l'uomo cerca di far sì che la divinità faccia ciò che l'uomo vuole, o è nella religione, che di solito l'uomo cerca di fare ciò che la divinità vuole? Probabilmente entrambe si pongono di fronte al mistero della creazione e della esistenza di uno o più esseri divini o creatori ma essendo spesso confusa la parola magia con setta occulta, viene considerata spesso solo nell'accezione negativa, cioè quella in cui si cerca di risolvere problemi terreni (denaro, amore, successo) con una pozione o formula ed essere felici senza sforzi, come per magia. «La magia riguarda la sfera pratica dell'agire, conscio o inconscio che sia» si sente dire come non ci fosse nulla di spirituale, solo formule ripetute a memoria, ma al contrario molti si avvicinano alla magia spinti dal desiderio di capire, di conoscere, ciò che ci è oscuro e occulto, spinti dalla curiosità. A seconda dell'uso che se ne fa, viene distinta in magia bianca, magia rossa o magia nera. L'unione tra magia e religione è rappresentata dalla medianità, ossia da una forma di esoterismo che esula dai comuni maghi e stregoni e si propone, attraverso l'azione di un Medium e l'evocazione di entità superiori di sommo livello, d'intervenire unicamente in magia positiva per recare beneficio ad un individuo. Chi opera per il flusso regolare della natura e per districare le situazioni riguardanti le persone attua magia bianca (alcuni esempi riguardano togliere negatività e malefici quali fatture e malocchio, oppure propiziare la fortuna, gli affari e la riuscita personale) o magia rossa (in caso di legamenti d'amore e ritorni d'amore, legature e fatture d'amore e rituali d'amore per risolvere questioni sentimentali). Chi, al contrario, tende a dividere, creare conflitti, imporre il proprio volere ad altri, in maniera palese oppure occulta, e perciò tende a distorcere il normale corso degli eventi, attua magia nera.
Ufficialmente, Ebraismo, Cristianesimo e Islamismo considerano la magia una cosa proibita (stregoneria) ed hanno spesso perseguitato i presunti praticanti secondo diversi gradi di punizione. Altre tendenze nel pensiero monoteiste hanno respinto tutte le tendenze come l'inganno e l'illusione, ritenendoli niente di più che espedienti disonesti. Alcuni ritengono che la recente popolarità del Vangelo della prosperità costituisca un ritorno al pensiero magico all'interno del Cristianesimo. Si noti inoltre che il Cristianesimo gnostico ha una forte corrente mistica, ma evita la pratica della magia e si concentra maggiormente sulla teurgia, ovvero l'aspetto più alto e nobile della stessa.
La Bibbia si esprime più volte in termini perentori contro il ricorso a pratiche magiche:
«Non lascerai vivere colui che pratica la magia» Esodo, 22,17;
«Samuele era morto e tutto Israele aveva fatto il lamento su di lui; poi l'avevano seppellito in Rama sua città. Saul aveva bandito dal paese i negromanti e gl'indovini», I Libro di Samuele, 28, 3;
«In quel giorno – dice il Signore – distruggerò […] Ti strapperò di mano i sortilegi e non avrai più indovini. Distruggerò […]», Michea, 5, 9 – 14;
«Molti di quelli che avevano abbracciato la fede venivano a confessare in pubblico le loro pratiche magiche e un numero considerevole di persone che avevano esercitato le arti magiche portavano i propri libri e li bruciavano davanti a tutti. Ne fu calcolato il valore complessivo e trovarono che era di cinquantamila dramme d'argento», Atti degli Apostoli, 19, 18-19;
La magia era quindi inaccettabile per la Chiesa cattolica e fin dagli inizi erano ammesse solo pratiche di devozione, come l'utilizzo di reliquie o acqua benedetta, in opposizione alla "blasfema" negromanzia (nigromantia), che coinvolgono l'invocazione dei demoni (goetia). L'attuale Catechismo della Chiesa cattolica tratta della divinazione e della magia nella parte terza, sezione seconda. Benché sia prevista la possibilità dell'ispirazione della divina profezia, in esso si rifiutano "tutte le forme di divinazione". Nella sezione "pratiche di magia e stregoneria" le pratiche "di dominare i poteri occulti" al fine di "avere un potere soprannaturale sugli altri" sono denunciate come "gravemente contrarie alle virtù della religione".
Nel mondo islamico Essa è considerata tuttavia come una "tecnica", rispondente a precise leggi, agenti per preciso disposto divino. Si condanna tuttavia la "magia nera" o sar shayānī (magia diabolica).
Scienza e magia, il sovrannaturale da un altro punto di vista, scrive Michele Bellone su "Agora Vox" e "Oggiscienza" lunedì 1 agosto 2016. Nel libro "La scienza del magico", il giornalista Matt Kaplan cerca di ricostruire attraverso la scienza che cosa ci può essere di vero negli oggetti e nei luoghi magici rappresentati nella mitologia.
Scienza e magia. Due forme di conoscenza antitetiche, una associata alla razionalità e all’indagine dei misteri della natura, l’altra associata a superstizioni irrazionali e fede nel sovrannaturale. Ma è davvero così? Questa la domanda che si è posto Matt Kaplan, corrispondente scientifico dell’Economist e da tempo appassionato dei punti di contatto fra scienza e mito, come si evince dal libro che ha pubblicato nel 2013, The Science of Monsters, purtroppo non ancora tradotto in Italia. La vittoria della Knight Science Journalism Fellowship del MIT nel 2014 gli ha consentito di lanciarsi in una lunga indagine scientifico-giornalistica per approfondire ulteriormente l’argomento. Il risultato di quasi un anno di studi, ricerche di laboratorio, esplorazioni sul campo e interviste a esperti è il libro Scienza del magico, pubblicato lo scorso aprile da Codice Edizioni. “E alcuni fatti che non avrebbero dovuto essere dimenticati andarono perduti. La storia divenne leggenda e la leggenda un mito”. Così dice Galadriel, la regina elfica de Il Signore degli Anelli, nella citazione che apre il primo capitolo di questo libro. Ciò che Kaplan si propone di fare è di percorrere all’indietro questo processo, partendo dal mito per arrivare a quei fatti che potrebbero averlo fatto nascere.
Un ottimo esempio in questo senso è quello della protezione di Horus. Dio dei cieli, della guerra e della caccia dell’Antico Egitto, era rappresentato come un uomo dalla testa di falco. Molte specie di falco hanno strisce scure intorno agli occhi e questo aveva probabilmente indotto i seguaci del dio a tracciare strisce simili con pesanti trucchi verdi e neri intorno ai propri occhi. Al di là della questione estetica, questa pratica pare conferisse una sorta di protezione magica – non a caso l’occhio di Horus era diventato un simbolo di guarigione. Spulciando la letteratura scientifica, Kaplan ha scoperto che quei trucchi contenevano piombo, la cui tossicità non sembrava molto in linea con le leggende. Ma uno studio del 2009 ha rivelato che gli ioni di piombo rilasciati da alcune sostanze – laurionite e fosgenite – usate dagli antichi egizi per produrre i trucchi possono mimare l’attività degli ioni calcio e stimolare le difese immunitarie mediate dall’ossido nitrico. L’esposizione quotidiana a bassi livelli di piombo potrebbe quindi aver potenziato le difese degli occhi dei seguaci di Horus, salvandoli da quelle infezioni che avrebbero potuto renderli ciechi. Non dimentichiamo che a quell’epoca ci si lavava la faccia nelle acque del Nilo, spesso contaminate da escrementi animali. Ma Kaplan non si è limitato alla ricerca bibliografica e alle interviste a esperti. Forte della sua formazione scientifica – una laurea in paleobiologia – in alcuni casi si è cimentato direttamente con la ricerca di laboratorio. È inodore, insapore e si scioglie velocemente nei liquidi. Ed è letale. Sono le caratteristiche che hanno reso per lungo tempo il triossido di arsenico il veleno perfetto, creato nel VIII secolo e molto gettonato per risolvere svariate questioni politiche. A quei tempi giravano voci su diversi possibili rimedi a un eventuale avvelenamento: dai corni di unicorno (in realtà denti di narvalo) alle coppe fatte con le pietre di una grotta di Malta, dai denti di squalo alle concrezioni calcaree chiamate bezoar (che in persiano significa antidoto e che compare anche in Harry Potter), estratte dallo stomaco di capre e pecore. Tutti elementi accomunati dalla presenza, in forme diverse, di calcio. Incuriosito da queste leggende, Kaplan si è messo al lavoro con tossicologi e ingegneri ambientali del MIT e dell’Università del Massachusetts per vedere se l’uso di determinate pietre, denti fossili o composti del calcio potesse in un qualche modo neutralizzare il triossido di arsenico o quantomeno renderlo visibile. Il risultato? Il calcio non sembra influenzare la presenza di arsenico in una soluzione. L’effetto protettivo di certe coppe, denti e corni vari potrebbe quindi essere una bufala d’altri tempi, magari diffusa da chi vendeva questi rimedi, a meno che non ci siano altri fattori che il giornalista e i ricercatori non hanno verificato: magari il veleno era diverso – pentossido di arsenico invece del triossido – oppure c’era qualcosa di particolare nella chimica delle bevande di allora. Magari qualcun altro approfondirà l’argomento.
In ogni caso, questo è il tipo di storie che Kaplan racconta nel suo libro. Indagini ed esperimenti che spaziano dalla geologia dei “cancelli dell’Oltretomba” al rapporto fra profezie e migrazioni degli uccelli, dall’etologia di lupi e corvi nei miti norreni alla botanica degli elisir, fino alle neuroscienze delle illusioni e dei giochi di prestigio. Il tutto narrato con un approccio personale, spigliato, con la giusta dose di ironia e il giusto livello di approfondimento. Non mancano poi i riferimenti a tutta quella narrativa che ha sempre attinto a piene mani da miti e leggende: si cita il Trono di Spade quando si parla di veleni, Capitan America quando si affronta il tema dei supersoldati, Avatar in relazione alla comunicazione fra piante e alle loro raffinate strategie di sopravvivenza. Non si tratta di facili strizzate d’occhio per accattivarsi il lettore ma del naturale proseguimento di un discorso che si svolge lungo tutto il libro, che quindi non si limita a essere una raccolta di fatti curiosi. Le ricerche di Kaplan sembrano infatti rafforzare un’idea diffusa, che il giornalista aveva già sostenuto in un video del TED-Ed sulle origini del Minotauro, e cioè che molti miti non debbano essere liquidati come banali e irrazionali superstizioni ma, al contrario, come tentativi di razionalizzare diversi aspetti del mondo naturale che gli antichi non comprendevano.
“Mitologia e scienza sono due facce della stessa medaglia. Entrambe nascono per spiegare e capire il mondo, solo che la mitologia lo fa attraverso divinità, mostri e magia, mentre la scienza si avvale di misure, dati ed esperimenti”.
Ma la riflessione di Kaplan non si ferma qui; il giornalista inglese traccia un’interessante distinzione fra la magia antica e quella moderna. La prima nasceva per dare un senso a ciò che non si comprendeva, inserendo tratti ed eventi naturali in un sistema di interpretazione logico. In poche parole, serviva per spiegare ciò che appariva impossibile. La seconda si concentra invece sul presentare l’apparentemente impossibile come reale. È una magia da palcoscenico, un inganno cui scegliamo di esporci, che si tratti di un trucco di illusionismo o di un film di supereroi. In entrambi i casi la scienza gioca un ruolo di grande importanza: da un lato ha preso il posto della magia antica nel cercare di spiegare ciò che non comprendiamo; dall’altro contribuisce a rendere più credibile l’inganno dell’illusionista o del narratore quando scegliamo di mettere da parte il nostro scetticismo per immergerci in qualcosa di fuori dall’ordinario.
Il mago e lo scienziato. Se la scienza sembra magia: Eco spiega il rapporto tra scienza e opinione pubblica, scrive il 26-03-2003 Umberto Eco su "Cicap". Noi crediamo di vivere in quella che, individuandola ai suoi primordi, Isaiah Berlin aveva definito The Age of Reason. Finite le tenebre medievali, iniziato il pensiero critico della rinascenza e lo stesso pensiero scientifico, si ritiene che viviamo oggi in una età dominata dalla scienza. A dire il vero, questa visione di un predominare ormai assoluto della mentalità scientifica, che veniva annunciata sia ingenuamente nell'Inno a Satana di Carducci che più criticamente nel Manifesto comunista del 1848, è più sostenuta dai reazionari, dagli spiritualisti, dai laudatores temporis acti che non dagli scienziati. Sono quelli e non questi che disegnano affreschi di sapore quasi fantascientifico circa un mondo che, dimentico di altri valori, si basa solo sulla fiducia nelle verità della scienza e nel potere della tecnologia. Il modello di un'epoca dominata dalla scienza è ancora, nella visione dei suoi nemici, quello proposto trionfalmente da Carducci nell'Inno a Satana: "Via l'aspersorio - prete, e il tuo metro! No, prete, Satana - non torna indietro!.. Salute o Satana, o ribellione, - o forza vindice de la ragione!... Sacri a te salgano - gl'incensi e i voti! Hai vinto il Geova - de i sacerdoti".
Se leggete con attenzione questo testo del 1863 vedrete che vi sono nominati, come eroi satanici contro il predominio del pensiero religioso, le streghe e gli alchimisti, i grandi eretici e i riformatori, da Huss a Savonarola a Lutero, ma nessuno scienziato, neppure l'italico Galileo, che avrebbe dovuto far fremere il cuore anticlericale e repubblicano di Carducci. Venendo ai tempi moderni, l'eroe, il simbolo della vittoria della ragione sulla fede, è il treno: "Un bello e orribile - mostro si sferra, corre gli oceani, - corre la terra: corrusco e fumido - come i vulcani, i monti supera, - divora i piani; sorvola i baratri: - poi si nasconde per antri incogniti, - per vie profonde; ed esce; e indomito - di lido il lido come di turbine - manda il suo grido". Cioè, anche per Carducci, amante dei classici ma pervaso di furori ancora romantici, il simbolo della vittoria della ragione è un prodotto della tecnologia, non una idea della scienza. Pertanto, proprio a questo riguardo s'impone una prima distinzione, e cioè quella tra scienza e tecnologia. Gli uomini d'oggi non solo si attendono ma pretendono tutto dalla tecnologia e non distinguono tra tecnologia distruttiva e tecnologia produttiva. Il bambino che gioca a Star Wars col computer, usa il telefonino come un'appendice naturale delle trombe d'Eustachio o lancia i suoi chat via Internet vive nella tecnologia e non concepisce che possa essere esistito un modo diverso, un mondo senza computer e persino senza telefoni. Ma non accade la stessa cosa con la scienza.
I mass media confondono l'immagine della scienza con quella della tecnologia e questa confusione trasmettono ai loro utenti che ritengono scientifico tutto ciò che è tecnologico, in effetti ignorando quale sia la dimensione propria della scienza, di quella - dico - di cui la tecnologia è certo una applicazione e una conseguenza ma non certo la sostanza primaria. La tecnologia è quella che ti dà tutto e subito, mentre la scienza procede adagio. Virilio ci parla della nostra epoca come l'epoca dominata, vorrei dire ipnotizzata, dalla velocità: certo siamo nell'epoca della velocità, lo avevano capito in anticipo i futuristi e oggi siamo usi andare in tre ore e mezza dall'Europa a New York col Concorde, anche se non lo usiamo sappiamo che esiste, in ogni caso i disturbi da jet lag e le varie panacee a base di melatonina sono una conseguenza del nostro vivere nella velocità. Ma non solo, siamo talmente abituati alla velocità che ci arrabbiamo se l'email non si scarica subito o se l'aereo ritarda. Però questa abitudine alla tecnologia non ha nulla a che fare con l'abitudine alla scienza. Ha piuttosto a che fare con l'eterno ricorso alla magia.
Che cosa era la magia, che cosa è stata nei secoli e che cosa è, come vedremo, ancora oggi, sia pure sotto mentite spoglie? La presunzione che si potesse passare di colpo da una causa a un effetto per cortocircuito, senza compiere i passi intermedi. Infilo uno spillo nella statuetta del nemico e quello muore, pronuncio una formula e trasformo il ferro in oro, convoco a me gli angeli e invio tramite loro un messaggio.
L'abate benedettino Tritemio è stato nel XV secolo uno dei precursori della crittografia moderna, ed elaborava i suoi sistemi di codifica segreta per istruire i governanti e i capi degli eserciti: ma per rendere appetibile le sue scoperte e le sue formule (oggi agilmente realizzabili da un computer, ma per l'epoca abbastanza geniali), mostrava come la sua tecnica fosse in effetti una operazione magica grazie alla quale si potevano convocare angeli che in un secondo recassero lontano e in modo riservato i nostri messaggi.
La magia ignora la catena lunga delle cause e degli effetti e soprattutto non si preoccupa di stabilire provando e riprovando se ci sia un rapporto replicabile tra causa ed effetto. Di qui il suo fascino, dalle civiltà primitive al nostro solare rinascimento, e oltre, sino alla pleiade di sette occultistiche onnipresenti su Internet.
La fiducia, la speranza nella magia non si è affatto dissolta con l'avvento della scienza sperimentale. Il desiderio della simultaneità tra causa ed effetto si è trasferito alla tecnologia, che sembra la figlia naturale della scienza. Quanto si è dovuto penare per passare dai primi computer del Pentagono, dall'Elea di Olivetti grande quanto una stanza (e sono occorsi mesi ai programmatori di Ivrea per disporre l'enorme computer a emettere le note della canzoncina Il ponte sul fiume Kwai - e ne erano orgogliosissimi) al nostro personal computer dove accade tutto in un attimo? La tecnologia fa di tutto perché si perda di vista la catena delle cause e degli effetti. I primi utenti del computer programmavano in Basic, che non era il linguaggio macchina ma ne lasciava intravedere il mistero (noi primi utenti del personal non lo conoscevamo ma sapevamo che per obbligare i chips a fare un certo percorso si dovevano dare penosissime istruzioni in linguaggio binario) Windows ha occultato anche la programmazione Basic, l'utente schiaccia un bottone e ribalta una prospettiva, si collega con un corrispondente lontano, ottiene i risultati di un calcolo astronomico, ma non sa più che cosa ci sta dietro (eppure ci sta). L'utente vive la tecnologia del computer come magia.
Potrebbe sembrare strano che questa mentalità magica sopravviva nella nostra era, ma se ci guardiamo intorno essa riappare trionfante dappertutto. Oggi assistiamo al revival di sette sataniche, di riti sincretistici che una volta gli antropologi culturali andavamo a studiare nelle favelas brasiliane, monsignor Milingo esercita o esercitava in Roma e non in Salvador de Bahia, persino le religioni tradizionali tremano di fronte al trionfo di quei riti e debbono venirci a patti non parlando al popolo del mistero della trinità (la discussione teologica è semmai, sia pure con altri criteri, affine al metodo della scienza, se non altro procede per argomentazioni, passo per passo) e trova più comodo esibire l'azione fulminea del miracolo. Il pensiero teologico ci parlava e ci parla del mistero della trinità, ma argomentava e argomenta per dimostrare come sia concepibile, oppure come sia insondabile. Il pensiero del miracolo ci mostra invece il numinoso, il sacro, il divino, che appare, o che viene rivelato da una voce carismatica e a questa rivelazione (non al laborioso argomentare della teologia) le masse sono invitate a sottostare. Vorrei ricordare una frase di Chesterton: "Quando gli uomini non credono più in Dio non è che non credano più a nulla. Credono a tutto". Quello che dalla scienza traspare attraverso i mass media è pertanto - mi dispiace dirlo - soltanto il suo aspetto magico, quando trapela, e quando trapela è perché promette una tecnologia miracolosa, la "pillola che...". Vi è talora un pactum sceleris tra scienziato e mass media per cui lo scienziato non può resistere alla tentazione, o crede suo dovere, di comunicare una ricerca in corso, talora anche per ragioni di fund raising, ma ecco che la ricerca viene subito comunicata come scoperta - con conseguente delusione quando ci si accorge che il risultato non è ancora sul piatto.
Gli episodi li conosciamo tutti, dall'annuncio indubbiamente prematuro della fusione fredda ai continui avvisi di scoperta della panacea contro il cancro. Il caso Di Bella è stato un trionfo della fiducia magica nel risultato immediato, e tutti lo conoscete. Difficile comunicare al pubblico che la ricerca è fatta di ipotesi, esperimenti di controllo, prove di falsificazione. Il dibattito che oppone la medicina ufficiale alle medicine alternative è di questo tipo: perché il pubblico deve credere alla promessa remota della scienza quando ha l'impressione di avere il risultato immediato della medicina alternativa? Recentemente Garattini, proprio su Scienza & Paranormale (n.44), avvisava che quando si assume una medicina e si ha la guarigione entro breve tempo, questo non è ancora la prova che la medicina sia efficace. Ci sono ancora altre due spiegazioni: che la remissione si avvenuta per cause naturali e il rimedio abbia funzionato solo da placebo, oppure che addirittura la remissione sarebbe avvenuta per cause naturali e il rimedio l'abbia ritardata. Ma provate a delineare al grosso pubblico queste due possibilità. La reazione sarà d'incredulità perché la mentalità magica vede solo un processo, il cortocircuito sempre trionfante tra la causa presunta e l'effetto sperato.
A questo punto ci si accorge anche di come possa accadere, e sta accadendo, che siano annunciati tagli consistenti alla ricerca e l'opinione pubblica rimanga indifferente. Sarebbe rimasta turbata se si fosse chiuso un ospedale o se aumentasse il costo delle medicine, ma non è sensibile alle stagioni lunghe e costose della ricerca. Al massimo pensa che i tagli alla ricerca possano indurre qualche scienziato nucleare a emigrare in America (tanto la bomba atomica ce l'hanno loro) e non ci si rende conto i tagli alla ricerca possono ritardare anche la scoperta di un farmaco più efficace per l'influenza, o a un'automobile elettrica, e non viene posto un rapporto tra il taglio alla ricerca e il bambino col morbo blu o con la poliomielite perché la catena delle cause e degli effetti è lunga e mediata, non immediata come nell'azione magica.
Avrete visto quella puntata di Medici in prima linea in cui il dottor Green annuncia a una lunga coda di pazienti che non saranno dati antibiotici a coloro che sono ammalati d'influenza perché non servono. Ne era nata un'insurrezione con accuse addirittura di discriminazione razziale. Il paziente vede il rapporto magico tra antibiotico e guarigione e i media gli hanno detto che l'antibiotico guarisce. Tutto si limita a quel corto circuito. La compressa dell'antibiotico è prodotto tecnologico, e come tale riconoscibile. Le ricerche sulle cause e i rimedi dell'influenza sono cosa per le università.
Io vi ho delineato uno scenario preoccupante e deludente, anche perché è facile che lo stesso uomo di governo (che talora, e sono state addirittura cronache della Casa Bianca, consulta maghi ed astrologi) pensi come l'uomo della strada e non come l'uomo del laboratorio. Sono stato capace di delineare lo scenario perché è materia di fatto, ma non sono in grado di delineare i rimedi.
Inutile richiedere ai mass media di abbandonare la mentalità magica: vi sono condannati non solo per ragioni che oggi chiameremmo di audience ma perché di tipo magico è la natura del rapporto che sono obbligati a porre giornalmente tra causa ed effetto. Esistono e sono esistiti, è vero, seri divulgatori, e vorrei ricordare l'amico Giovanni Maria Pace recentemente scomparso, ma anche in quei casi il titolo (fatalmente scandalistico) fa aggio sul contenuto dell'articolo e la spiegazione anche cauta di come stia iniziando una ricerca per il vaccino finale contro tutte le influenze apparirà fatalmente come l'annuncio trionfale che l'influenza è stata finalmente debellata (dalla scienza? No, dalla tecnologia trionfante che avrà messo sul mercato una nuova pillola).
Come deve comportarsi lo scienziato di fronte alla domanda impellente che i media gli rivolgono ogni giorno di promesse miracolose? Con la prudenza, è ovvio, ma non serve, lo abbiamo visto. Né può dichiarare il black out su ogni notizia scientifica perché la ricerca è per sua natura pubblica. Credo che dovremmo tornare sui banchi di scuola. Spetta alla scuola, e a tutte le iniziative che possono sostituire la scuola, compresi dei siti Internet di sicura attendibilità, educare lentamente i giovani a una retta comprensione dei procedimenti scientifici.
Il compito è più duro perché anche il sapere trasmesso dalle scuole si deposita sovente nella memoria come una sequenza di episodi miracolosi, madame Curie che rientra una sera e da una macchia su un foglio scopre la radioattività, il dottor Fleming che getta l'occhio distratto su un muschio e scopre la penicillina, Galileo che vede oscillare una lampada e pare che in un colpo scopra tutto, persino che la terra gira, così che ci dimentichiamo, di fronte al suo leggendario calvario, che neppure lui aveva scoperto secondo quale curva girava e abbiamo dovuto attendere Keplero.
Come possiamo attenderci dalla scuola una corretta informazione scientifica quando ancora oggi su molti manuali e libri anche rispettabili si legge che prima di Cristoforo Colombo la gente credeva che la terra fosse piatta, mentre si tratta di un falso storico, visto che, che fosse tonda, lo sapevano i Greci antichi e lo sapevano persino i saggi di Salamanca che si opponevano al viaggio di Colombo, semplicemente perché avevano fatto calcoli più esatti dei suoi circa la reale dimensione del pianeta? Eppure una delle missioni del dotto, oltre alla ricerca severa, è anche la divulgazione illuminata. Sappiamo benissimo che nel nostro paese più che altrove l'uomo di scienza ritiene talora poco dignitoso dedicarsi alla divulgazione, mentre maestri di divulgazione sono stati Einstein, Heisenberg, sino ad arrivare all'amico Stephen Jay Gould che da poco ci ha lasciati.
Eppure se si deve imporre una immagine non magica della scienza non dovrete attendervela dai mass media, sarete voi che dovrete costruirla a poco a poco nella coscienza collettiva, partendo dai più giovani. La conclusione polemica di questo mio intervento è che il presunto prestigio di cui gode oggi lo scienziato è fondato su false ragioni, ed è in ogni caso contaminato dalla influenza congiunta delle due forme di magia, quella tradizionale e quella tecnologica, che ancora affascina la mente dei più. Se non si esce da questa spirale di false promesse e speranze deluse la stessa scienza avrà un cammino più arduo da compiere.
Nei secoli dell'alto medioevo Isidoro di Siviglia, che pure è passato alla storia come insigne credulone e autore di etimologie oggi risibili come lucus da non lucendo e cadaver da caro data vermibus, aveva tuttavia - sia pure sulla base di imprecise notizie che gli arrivano sin dai tempi di Eratostene - calcolato in modo quasi esatto e certamente non fantasioso la lunghezza dell'equatore. Ma intorno a lui vagavano unicorni e mostri silvani, e anche se i dotti sapevano che la terra era tonda, gli artisti - per varie e comprensibili ragioni - la mostravano non solo al volgo ma anche ai signori come un disco piatto con Gerusalemme al centro - ovvero l'appiattivano per ragioni simboliche e per comodità proiettiva, come fa ancora oggi l'atlante De Agostini, ma tanto bastava ai più per non capire bene che forma avesse.
Ecco, dopo secoli di luce, voi siete ancora come Isidoro, domani i giornali parleranno di questo vostro congresso (l'articolo di Eco era uscito nella giornata nazionale contro i tumori, N.d.R.) ma fatalmente l'immagine che ne sortirà sarà ancora magica. Dovreste stupirvene? Ci massacriamo ancora come nei secoli bui trascinati da fondamentalismi e fanatismi incontrollabili, proclamiamo crociate, interi continenti stanno morendo di fame e di Aids mentre le nostre televisioni ci rappresentano (magicamente) come una terra di cuccagna, attirando sulle nostre spiagge disperati che corrono verso le nostre periferie disastrate come i navigatori di un tempo verso le promesse dell'Eldorado, e dovreste rifiutare l'idea che i semplici non sanno ancora che cosa sia la scienza e la confondano vuoi con la magia rinascimentale vuoi col fatto che per ragioni ignote si può inviare una dichiarazione d'amore in Australia al prezzo di una telefonata urbana e a velocità del fulmine?
È utile, per continuare a lavorare, ciascuno nel proprio campo, sapere in che mondo viviamo, trarne le conseguenze, divenire astuti come il serpente e non candidi come la colomba ma almeno generosi come il pellicano e inventare nuovi modi per dare qualcosa di voi a coloro che vi ignorano.
In ogni caso diffidate per lo più di coloro che vi onorano come se foste la fonte della verità. In effetti vi considerano un mago che però, se non produce subito degli effetti verificabili, sarà considerato un cialtrone, mentre le maghe, che producono effetti inverificabili ma di effetto, saranno onorate nei talk shows. E dunque non andateci, o sarete identificati con quelle. Permettetemi di prendere a prestito da un dibattito giudiziario e politico un motto: resistere, resistere, resistere. E buon lavoro. Umberto Eco, Ordinario di Semiotica Università di Bologna.
SCIENZA ED ALCHIMIA.
Alchimia. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. L'alchimia è un antico sistema filosofico esoterico che si espresse attraverso il linguaggio di svariate discipline come la chimica, la fisica, l'astrologia, la metallurgia e la medicina lasciando numerose tracce nella storia dell'arte. Il pensiero alchemico è altresì considerato da molti il precursore della chimica moderna prima della nascita del metodo scientifico. Diversi sono i grandi obiettivi che si proponevano gli alchimisti: conquistare l'onniscienza, ovvero raggiungere il massimo della conoscenza in tutti i campi della scienza; creare la panacea universale, un rimedio cioè per curare tutte le malattie, generare e prolungare indefinitamente la vita; la trasmutazione delle sostanze e dei metalli; la ricerca della pietra filosofale. In realtà, però, nessun alchimista ha mai dichiarato quali fossero le finalità dell'alchimia: secondo alcuni lo scopo era mistico e l'esercizio di una filosofia (scienza, in termini moderni) era propedeutico al raggiungimento di uno stato metafisico di conoscenza. Per una interpretazione più grossolana e popolare la creazione della pietra filosofale, sostanza di tipo etereo, era considerata il fine dell'alchimia, ma anche qui il termine sembra più metaforico che reale. Oltre ad essere una disciplina fisica e chimica, l'alchimia implicava un'esperienza di crescita o meglio un processo di liberazione spirituale dell'operatore. In quest'ottica la scienza alchemica viene a rappresentare una conoscenza metafisica e filosofica, assumendo connotati mistici e soteriologici, nel senso che i processi e i simboli alchemici, oltre al significato materiale, relativo alla trasformazione fisica, possiedono un significato interiore, relativo allo sviluppo spirituale[2]. Ad esempio, la comune interpretazione che vede nel piombo e nell'oro nient'altro che i corrispettivi materiali è da considerarsi un equivoco assolutamente riduttivo. Il termine alchimia deriva dall'arabo al-khīmiyya o al-khīmiyya (الكيمياء o الخيمياء), composto dell'articolo determinativo al- e della parola kīmiyya che significa "chimica" e che a sua volta, sembrerebbe discendere dal termine greco khymeia (χυμεία) che significa "fondere", "colare insieme", "saldare", "allegare", ecc. (da khumatos, "che è stato colato, un lingotto"). Un'altra etimologia collega la parola con Al Kemi, che significa "l'arte egizia", dato che gli antichi Egiziani chiamavano la loro terra Kemi ed erano considerati potenti maghi in tutto il mondo antico. Il vocabolo potrebbe anche derivare da kim-iya, termine cinese che significa "succo per fare l'oro".
L'alchimia è una scienza esoterica il cui primo fine era trasformare il piombo, ovvero ciò che è negativo, in oro, ovvero ciò che è positivo nell'uomo, per fargli riscoprire la sua vera “natura interna”, il proprio Dio. Gli alchimisti cercavano di nascondersi, di rendersi occulti usando allegorie, per preservare le loro conoscenze da quanti erano ancora impreparati a comprenderle e risultavano perciò esposti al pericolo di farne un cattivo uso. Per comprendere l'alchimia, bisogna considerare come la conversione di una sostanza in un'altra, che formò la base della metallurgia fin dal suo apparire verso la fine del Neolitico, veniva spiegata, in una cultura poco interessata agli aspetti puramente materiali della fisica e della chimica, come risultante dal concorso di più cause. Nei tempi remoti, una fisica priva di una componente metafisica sarebbe stata parziale ed incompleta al pari di una metafisica sprovvista di manifestazione fisica. Pertanto, per gli alchimisti non vi fu ragione alcuna di separare la dimensione materiale da quella simbolica o filosofica. La trasmutazione dei metalli di base in oro (ad esempio con la pietra filosofale o grande elisir o quintessenza o pietra dei filosofi o tintura rossa) simboleggia un tentativo di arrivare alla perfezione e superare gli ultimi confini dell'esistenza. Gli alchimisti credevano che l'intero universo stesse tendendo verso uno stato di perfezione, e l'oro, per la sua intrinseca natura di incorruttibilità, era considerato la sostanza che più si avvicinava alla perfezione. Era anche logico pensare che riuscendo a svelare il segreto dell'immutabilità dell'oro si sarebbe ottenuta la chiave per vincere le malattie ed il decadimento organico; da ciò l'intrecciarsi di tematiche chimiche, spirituali ed astrologiche che furono caratteristiche dell'alchimia medievale. La scienza dell'alchimia ebbe inoltre una notevole evoluzione nel tempo, iniziando quasi come un'appendice metallurgico-medicinale della religione, maturando in un ricco coacervo di studi, trasformandosi in scienza sapienziale, ed alla fine fornendo alcune delle fondamentali conoscenze empiriche nel campo della chimica e della medicina moderne, le quali tuttavia sono state interpretate anche come una sua forma di decadenza. «A far nascere la chimica moderna non è stata questa alchimia, con la quale tale scienza non ha alcun rapporto: è stata una deformazione e deviazione di essa nel senso più rigoroso del termine, a cui dette luogo, forse a partire dal Medioevo, l'incomprensione di alcune persone, le quali, incapaci di penetrare il senso vero dei simboli, presero tutto alla lettera e credendo trattarsi solo di operazioni materiali si dettero ad un più o meno disordinato sperimentare. Proprio queste persone, chiamate ironicamente "soffiatori" e "bruciatori di carbone" dagli alchimisti veri, furono gli autentici precursori dei chimici attuali: ed è così che la scienza moderna si è costruita per mezzo di residui di scienze antiche, con materiali respinti da quest'ultime e abbandonati agli ignoranti e ai "profani".» Fino al XVIII secolo, l'alchimia era considerata una scienza razionale in Europa; per esempio, Isaac Newton dedicò molto più tempo allo studio dell'alchimia piuttosto che a quello dell'ottica o della fisica[8] per le quali divenne famoso. Tuttavia Newton mantenne sempre un notevole riserbo intorno ai suoi studi alchemici, e non pubblicò mai opere sull'argomento. Fu l'economista John Maynard Keynes che nel 1936 rese pubblici manoscritti newtoniani sull'alchimia, dei quali era entrato in possesso ad un'asta. Altri eminenti alchimisti del mondo occidentale furono Ruggero Bacone, il Parmigianino, Thomas Browne, e non ultimo Cagliostro. Si interessarono di alchimia anche San Tommaso d'Aquino e Giordano Bruno. Il declino dell'alchimia iniziò nel XVIII secolo con la nascita della chimica moderna, che si limitò ad una struttura più concreta e misurabile matematicamente per comprendere le trasmutazioni della materia, e la medicina, con un nuovo disegno dell'universo basato sul materialismo razionale. La storia dell'alchimia è diventata un prolifico campo per speculazioni accademiche. Via via che si riteneva di poter decifrare l'ermetico linguaggio degli alchimisti, gli storici hanno cominciato a trovare connessioni intellettuali tra quella disciplina ed altre componenti della storia culturale occidentale, come le società esoteriche, ad esempio quella dei Rosa Croce[14], la stregoneria e naturalmente l'evoluzione della scienza e della filosofia.
L'opus alchemicum per ottenere la pietra filosofale avveniva mediante sette procedimenti, divisi in quattro operazioni, Putrefazione, Calcinazione, Distillazione e Sublimazione, e tre fasi, Soluzione, Coagulazione e Tintura. Attraverso queste operazioni la "materia prima", mescolata con lo zolfo ed il mercurio e scaldata nella fornace (atanor), si trasformerebbe gradualmente, passando attraverso vari stadi, contraddistinti dal colore assunto dalla materia durante la trasmutazione. Il numero di queste fasi, variabile da tre a dodici a seconda degli autori di trattati alchimistici, è legato al significato magico dei numeri. I tre stadi fondamentali sono:
Nigredo o opera al nero, in cui la materia si dissolve, putrefacendosi;
Albedo o opera al bianco, durante la quale la sostanza si purifica, sublimandosi;
Rubedo o opera al rosso, che rappresenta lo stadio in cui si ricompone, fissandosi.
Si tratta, letteralmente, di "zolfo e mercurio", cioè, nel linguaggio simbolico dell'alchimia, di due essenze primordiali viste nel quadro di un sistema dualistico che ritiene qualsiasi materiale come miscela di questi due componenti, vale a dire di un elemento "in combustione" (zolfo) e di uno "volatile" (mercurio), dotati di gradi diversi di purezza e in un diverso rapporto di mescolanza tra loro. Da Paracelso (1493-1541) venne poi aggiunto un terzo elemento, il sal (il sale), che doveva costituire la tangibilità: quando il legno è in combustione, la fiamma prende origine dal sulphur, il mercurius trapassa in evaporazione, mentre il sal ne è la cenere residua.
L'universo alchemico è pervaso di simboli, che, intrecciandosi in mutue relazioni, permeano le varie operazioni e gli ingredienti costitutivi del processo per ottenere la pietra filosofale. Così per esempio l'oro e l'argento acquisiscono nell'iconografia alchemica i tratti simbolici del Sole e della Luna, della luce e delle tenebre e del principio maschile e femminile, che si uniscono (sizigia) nella coniunctio oppositorum della Grande Opera (Rebis). A parte i simboli degli elementi primati, vale a dire i sette metalli corrispondenti ai sette pianeti dell'astrologia classica, l'iconografia alchemica è ricca di simboli che rimandano a strumenti e tecniche di trasformazione della materia la quale, è bene ricordarlo, non è mai identificata dagli alchimisti con la "materia volgare". In altre parole gli alchimisti si riferivano, con le loro allegorie, alla trasformazione psichica e spirituale dell'essere umano, che in seguito ad una serie di progressivi processi di perfezionamento giungeva a trasformare se stesso da vile piombo in "Oro filosofico". Il Rosarium philosophorum attribuito ad Arnaldo da Villanova, il Commentarius attribuito a Raimondo Lullo, la Duodecim Claves philosophicæ attribuita a Basilio Valentino sono tra le opere che hanno ispirato, nei secoli, il maggior numero di interpretazioni iconografiche.
Gli elementi cosmici avevano grande importanza non solo per la loro influenza sui processi alchemici, ma anche per il parallelismo che li legava agli elementi naturali, in base al principio analogico dell'ermetismo secondo cui «ciò che sta in basso è come ciò che sta in alto». Tradizionalmente, ognuno dei sette corpi celesti del sistema solare conosciuti dagli antichi era associato con un determinato metallo. La lista del dominio dei corpi celesti sui metalli è la seguente:
Il Sole () governa l'Oro
La Luna () è connessa con l'Argento
Mercurio (), Mercurio
Venere (), Rame
Marte (), Ferro
Giove (), Stagno
Saturno (), Piombo
Sia i metalli che i corpi celesti erano in relazione con l'anatomia umana e le sette viscere dell'uomo. Nelle illustrazioni dei trattati medievali e di epoca rinascimentale compaiono spesso figure animali e fantastiche. I tre principali stadi attraverso i quali la materia si trasformava, la nigredo, l'albedo e la rubedo erano rispettivamente simboleggiati dal corvo, dal cigno e dalla fenice. Quest'ultima, per la sua capacità di rinascere dalle proprie ceneri, incarna il principio che «nulla si crea e nulla si distrugge», tema centrale della speculazione alchimistica. Era inoltre sempre la fenice a deporre l'uovo cosmico, che a sua volta raffigurava il contenitore in cui era posta la sostanza da trasformare. Anche il serpente ouroboros, che si mangia la coda, ricorre spesso nelle raffigurazioni delle opere alchemiche, in quanto simbolo della ciclicità del tempo e dell'"Uno il Tutto" ("En to Pan").
L'alchimia abbraccia alcune tradizioni filosofiche che si sono propagate per quattro millenni e tre continenti, e la loro generale inclinazione per un linguaggio criptico e simbolico rende difficile tracciare le loro mutue influenze e relazioni.
Si possono distinguere almeno due grandi canali, che sembrano essere in gran parte indipendenti, almeno nelle tappe più remote: l'alchimia orientale, attiva in Cina e nella zona della sua influenza culturale, e l'alchimia occidentale, il cui centro nei millenni è slittato tra Egitto, Grecia, Roma, il mondo islamico ed alla fine l'Europa. L'alchimia cinese fu strettamente connessa al Taoismo, mentre quella occidentale sviluppò un proprio sistema filosofico, connesso solo superficialmente con le maggiori religioni occidentali. Se queste due tipologie abbiano avuto una comune origine e fino a che punto si siano influenzate l'una con l'altra è tuttora oggetto di questione.
Mentre quella occidentale fu più concentrata sulla trasmutazione dei metalli, l'alchimia cinese ebbe una maggiore connessione con la medicina. La pietra filosofale degli alchimisti europei può essere comparata con l'elisir dell'immortalità cercato dagli alchimisti cinesi. Comunque, da un punto di vista ermetico, questi due interessi non erano separati e la pietra dei filosofi era spesso equiparata all'elisir di lunga vita. La Cina appare il centro di una tradizione alchemica molto antica, risalente forse al IV-III secolo a.C., ma documentata con sicurezza per la prima volta nel Ts'an T'ung Ch'i, scritto verso il 142 a.C. da Wei Po-Yang, sotto forma di commentario all'I-Ching, Libro delle Mutazioni[25]. In questa opera, classico del Canone taoista, l'autore afferma che i contenuti del Libro delle Mutazioni, delle dottrine taoiste e dei procedimenti alchemici siano variazioni di un'unica materia sotto il travestimento di nomi diversi. Egli fonda il processo alchemico sulle dottrine dei cinque stati di mutamento, erroneamente chiamati "elementi" (acqua, fuoco, legno, metallo e terra) e dei due contrari (yin e yang): di questi due, il primo è associato alla luna ed il secondo al sole, e dalla loro dinamica si originano gli elementi. Ogni elemento combinato con yang differirebbe da quello combinato con yin, nel senso che il primo è attivo e maschile, il secondo passivo e femminile. Il testo, di non facile interpretazione, per le sue interferenze con dottrine cosmologiche e magiche, presenta una concezione evolutiva dei metalli e il loro trasferimento su piani non sperimentali, ora psichici, ora cosmici. Nel IV secolo l'alchimia ha un nuovo grande maestro in Ko Hung, detto Pao-p'u-tzu, che aggiunge alle tecniche indicate alcuni particolari metodi taoisti destinati alla conquista dell'immortalità. Questo fu l'avvio per una sempre più stretta connessione con forme taoiste di medicina tradizionale cinese ed una ricca fioritura di opere fino al XIII secolo. Le scuole di alchimia cinese, pur avendo come obiettivo comune la ricerca dell'immortalità, si differenziavano per i metodi di ricerca: Gli alchimisti della scuola esterna si occupavano prevalentemente della ricerca dell'elisir di lunga vita attraverso la produzione di rimedi, elisir e pillole dell'immortalità, le cui componenti erano in gran parte sostanze vegetali e in misura minore sostanze animali e minerali. Gli alchimisti della scuola interna, invece, ricercavano l'immortalità attraverso l'utilizzo di pratiche fisiche e mentali che provocassero una trasmutazione del corpo, consentendo al praticante di vivere indefinitamente. Il corpo stesso del praticante veniva concepito come un laboratorio alchemico e l'elisir di lunga vita scaturiva teoricamente dalla distillazione di sostanze corporee, prodotte attraverso l'utilizzo delle funzioni vitali (respirazione, circolazione, funzionamento endocrino, etc..) che venivano guidate dall'alchimista. La medicina tradizionale cinese ha ereditato dall'alchimia esterna le basi di farmacologia tradizionale e dall'alchimia interna la parte relativa al Qi Gong ed alle ginnastiche mediche. In queste discipline molti dei termini utilizzati sono di chiara derivazione alchemica.
L'alchimia giocò un ruolo di spicco fin dalle origini del pensiero indiano. Gianluca Magi nota come: «L'idea di uccidere i metalli vivi per farli rinascere nobili, metafora del tentativo esoterico di trasmutazione spirituale dell'Io che viene ucciso per far rinascere il Sé della coscienza pura, è presente in India fin dall'età vedica. Ciò per dire che l'alchimia indiana, Rasayāna ovvero il «Veicolo mercuriale», non fu né una scienza empirica né una proto-chimica, bensì una scienza soteriologica per fare del corpo e della mente il proprio laboratorio, per sperimentare un altro piano di realtà in cui si diventa pietre filosofali, ovvero pietre vive. [...] Molto probabilmente gli esperimenti dell'alchimia tradizionale condussero alla scoperta di molti fenomeni chimici, ma agli inizi non ne parlò perché erano considerati di secondaria importanza: il fine reale era la trasmutazione interiore dell'uomo, la sua rinascita e Liberazione. La stessa trasmutazione del mercurio in oro è del tutto marginale rispetto a ciò che l'alchimista indiano chiama la condizione di vita senza morte (amtattva) (da cui deriva il greco 'ambrosia', il cibo degli dèi che rende immortali), lo stato del liberato in vita, jīvanmukta.» (Gianluca Magi. 'Uscite dal sogno della veglia. Viaggio attraverso le filosofie indiane della Liberazione, Edizioni della Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa, Rimini 2008, p. 67.)
A questa prima fase soteriologica del pensiero alchemico indiano, ne seguì una seconda – descritta da al-Biruni, scienziato e viaggiatore persiano dell'XI secolo –, dovuta all'influsso musulmano, che portò a numerose scoperte chimiche importanti. A partire dal XIV secolo: «gli alchimisti indiani iniziarono quasi esclusivamente a dedicarsi alla preparazione di medicine metalliche o minerali. Ciò che in precedenza era un'operazione d'introversione che dava valore solo ai risultati raggiunti attraverso il coinvolgimento personale (alchimia), cedeva il passo necessariamente a un atteggiamento di estroversione che implicava l'impegno a rimanere il più possibile distaccato dall'esperimento per conseguire risultati oggettivi (atteggiamento scientifico)» (Gianluca Magi, op. cit., p. 68.)
Il padre dell'alchimia indiana è considerato Śrīman Nāgārjuna Siddha (XIII secolo, o anteriore), figura semileggendaria, ritenuto l'autore di alcuni testi alchemici quali il trattato di magia Kakapua Tantra, quello sul mercurio Rasendramangalam e il Susruta Samhita. Il migliore esempio di un testo basato su questa scienza è il Vaishashik Darshana di Kaṇāda, che si ritiene abbia introdotto in oriente la teoria atomica.
Gli alchimisti occidentali generalmente fanno risalire l'origine della loro arte all'antico Egitto. Metallurgia e misticismo erano inesorabilmente legati insieme nel mondo antico, in cui una cosa come la trasformazione dell'oro grezzo in un metallo scintillante doveva sembrare un atto governato da regole misteriose. La città di Alessandria in Egitto fu un centro di conoscenza alchemica, e conservò la propria preminenza fino al declino della cultura egiziana antica. Sfortunatamente non esistono documenti originali egizi sull'alchimia. Questi scritti, qualora fossero esistiti, andarono perduti nell'incendio della Biblioteca di Alessandria, nel 391. L'alchimia egiziana è per lo più conosciuta attraverso le opere di antichi filosofi greci, sopravvissute solamente in traduzioni islamiche. La leggenda vuole che il fondatore dell'alchimia egiziana fosse il dio Thot, chiamato Ermes-Thoth o Ermes il tre volte grande (Ermete Trismegisto) dai Greci. Secondo la leggenda il dio avrebbe scritto i quarantadue libri della conoscenza, che avrebbero coperto tutti i campi dello scibile, fra cui anche l'alchimia. Il simbolo di Ermes era il caduceo, che divenne uno dei principali simboli alchemici. La Tavola di smeraldo di Ermes Trismegistus, che è nota solamente attraverso traduzioni greche ed arabe, è generalmente considerata la base per la pratica e la filosofia alchemica occidentale.
Le dottrine alchimistiche della scuola greca passarono attraverso tre fasi evolutive: l'alchimia come tecnica, cioè l'arte prechimica degli artigiani egizi, l'alchimia come filosofia ed infine quella religiosa. I Greci si appropriarono delle dottrine ermetiche degli Egiziani, mescolandole, nell'ambiente sincretistico della cultura alessandrina, con le filosofie del Pitagorismo e della scuola ionica e successivamente dello Gnosticismo. La filosofia pitagorica consiste essenzialmente nella credenza che i numeri governino l'universo e che siano l'essenza di tutte le cose, dal suono alle forme. Il pensiero della scuola ionica era basato sulla ricerca di un principio unico e originario per tutti i fenomeni naturali; questa filosofia, i cui esponenti principali furono Talete ed Anassimandro, fu poi sviluppata da Platone ed Aristotele, le cui opere finirono per diventare parte integrante dell'alchimia. Si delinea, come base della nuova scienza, la nozione di una materia prima che forma l'universo, e che può essere spiegata solamente attraverso attente esplorazioni filosofiche. Un concetto molto importante, introdotto in quel tempo da Empedocle, è che tutte le cose nell'universo erano formate solamente da quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco. A questi elementi Aristotele aggiunge l'etere, la materia di cui sono formati i cieli e che viene denominata quintessenza. La terza fase si differenzia dalla precedente di speculazione filosofica per le caratteristiche di una religione esoterica, per l'abbondanza di rituali misteriosi e per il linguaggio. Nei primi secoli dell'età imperiale, in età ellenistica, si sviluppò una letteratura di carattere filosofico-soteriologico-religiosa, di vario carattere, accomunata dalla pretesa rivelazione da parte del dio Thot-Ermete, da cui il nome di letteratura ermetica. Il supporto dottrinale di questa letteratura è una forma di metafisica che si rifà al Neoplatonismo ed al Neopitagorismo. Nel II secolo sarebbero stati scritti anche gli Oracoli caldaici, dei quali sono pervenuti solo frammenti, che presentano molte analogie con gli scritti ermetici. In questo momento storico, quindi, si sarebbe operata una fusione tra il patrimonio filosofico greco e la gnosi ermetica, nella quale la grande opera assume connotati di tecnica tesa alla realizzazione in senso interiore e cosmico. Tra gli alchimisti ellenistici vanno citati la figura storica-leggendaria di Maria l'ebrea e quelle di Bolo di Mende e Zosimo di Panopoli, il primo autore che abbia scritto opere alchemiche in modo sistematico e firmando la propria creazione.
La distruzione del Serapeo e della Biblioteca di Alessandria segnò la fine del centro culturale greco, spostando il processo dello sviluppo alchemico verso il Vicino Oriente. L'alchimia islamica è molto meglio conosciuta perché meglio documentata e molti dei testi antichi giunti sino a noi si sono preservati come traduzioni islamiche. Alchimisti islamici come al-Razī (in latino Rasis o Rhazes) diedero un contributo fondamentale alle scoperte chimiche, come la tecnica della distillazione, e ai loro esperimenti si devono l'acido muriatico (l'antico nome dell'acido cloridrico), l'acido solforico e l'acido nitrico e l'uranio, oltre alla soda (al-natrun) e potassio (al-qali), da cui derivano i nomi internazionali di sodio e potassio, Natrium e Kalium. L'apporto di nomenclatura alchimistica a tutta la posteriore cultura occidentale è di origine araba: termini arabi sono infatti alchimia, atanor (fornace), azoth (forma corrotta da al-zawq, 'mercurio'), alcool (da al-kohl, indicante una polvere per il trucco ricavata dall''antimonio'), elisir (da al-iksīr, "pietra" filosofale) e alambicco. La scoperta che l'acqua regia, un composto di acido nitrico e muriatico, potesse dissolvere il metallo nobile - l'oro - accese l'immaginazione degli alchimisti per il millennio a venire. L'alchimia islamica inoltre sostenne la possibilità di poter mutare il ferro in platino. I filosofi islamici diedero anche grandi contributi all'ermetismo alchemico. Al riguardo la più grande e influente figura è probabilmente Jābir b. Ḥayyān (in arabo جابر إبن حيان, il Geber o Geberus dei Latini). Questo importante alchimista, nato agli inizi dell'VIII secolo, fu il primo, a quanto sembra, ad aver analizzato gli elementi secondo le quattro qualità base di caldo, freddo, secco e umido. Jâbir ipotizzò che, siccome in ogni metallo due di queste qualità erano interne e due esterne, mescolando le qualità di un metallo, si sarebbe ottenuto un altro metallo. La grande serie di scritti che gli vengono attribuiti esercitò un'enorme influenza sulle correnti alchimistiche europee. Altri alchimisti di rilevante importanza furono al-Skahin e al-Khamhoji, noti per la scoperta della dissoluzione del potassio a contatto con l'esano.
Dopo essere caduta alquanto in disuso durante l'alto Medioevo, l'Occidente riprende contatto con la tradizione alchemica greca attraverso gli Arabi. L'incontro tra la cultura alchemica araba ed il mondo latino avviene per la prima volta in Spagna, probabilmente ad opera di Gerberto di Aurillac, che più tardi divenne Papa Silvestro II, (morto nel 1003). Nel XII secolo va ricordata la figura del più importante dei traduttori di opere arabe, Gerardo da Cremona, che interpretò Averroè, tradusse l'Almagesto, e forse alcune opere di Razes e Geberus. Il rientro vero e proprio dell'alchimia in Europa viene in genere fatto risalire al 1144, quando Roberto di Chester tradusse dall'arabo il Liber de compositione alchimiae, un libro dai forti connotati iniziatici, mistici e esoterici, nel quale un saggio, Morieno, erede del sapere di Ermete Trismegisto, insegna al Re Calid. Il materiale alchimistico dei testi arabi verrà rielaborato durante tutto il XIII secolo. Alberto Magno (1193-1280) affronta la tematica alchemica nel De mirabilibus mundi[40] e nel Liber de Alchemia di incerta attribuzione. A Tommaso d'Aquino (1225-1274) vengono attribuiti alcuni opuscoli alchemici, nei quali è dichiarata la possibilità della produzione dell'oro e dell'argento. Il primo vero alchimista dell'Europa medievale deve essere considerato Ruggero Bacone (1241-1294) un Francescano che esplorò i campi dell'ottica e della linguistica oltre agli studi alchemici. Le sue opere, il Breve Breviarium, il Tractatus trium verborum e lo Speculum Alchimiae, oltre ai numerosi pseudo-epigrafi a lui attribuiti, furono utilizzate dagli alchimisti dal XV al XIX secolo. Alla fine del XIII secolo l'alchimia si sviluppò in un sistema strutturato di credenze, grazie anche all'opera di Arnaldo da Villanova (ca. 1240-ca. 1312), con il suo Rosarium philosophorum[42], e soprattutto con le opere apocrife in materia attribuite a Raimondo Lullo (1235-1315), che divenne presto una leggenda per la sua presunta abilità alchemica. Nel XIV secolo l'alchimia ebbe una flessione a causa dell'editto di Papa Giovanni XXII (Spondent Pariter) che vietava la pratica alchemica, fatto che scoraggiò gli alchimisti appartenenti alla Chiesa dal continuare gli esperimenti. L'alchimia fu comunque tenuta viva da uomini come Nicolas Flamel, il quale è degno di nota solamente perché fu uno dei pochi alchimisti a scrivere in questi tempi travagliati[44]. Flamel visse dal 1330 al 1419 e sarebbe servito da archetipo per la fase successiva della pratica alchemica. Il suo unico interesse per l'alchimia ruotava intorno alla ricerca della pietra filosofale; in anni di paziente lavoro riuscì a tradurre il mitico Libro di Abramo l'ebreo, che avrebbe acquistato nel 1357, e che gli avrebbe rivelato i segreti per la costruzione della pietra dei filosofi. Leggenda vuole che abbia raggiunto l'immortalità insieme alla moglie Perenelle. Nell'alto Medioevo gli alchimisti si concentrarono nella ricerca dell'elisir della giovinezza e della pietra filosofale, credendo che fossero entità separate. In quel periodo molti di loro interpretavano la purificazione dell'anima in connessione con la trasmutazione del piombo in oro (nella quale credevano che il mercurio giocasse un ruolo cruciale). Questi individui erano visti come maghi e incantatori da molti, e furono spesso perseguitati per le loro pratiche.
Nel contesto delle idee del Cinquecento è impossibile delimitare una disciplina scientifica dall'altra, come anche tracciare molte linee di separazione tra il complesso delle scienze da un lato e la riflessione speculativa e magico-astrologica dall'altro. In questo periodo magia e medicina, alchimia e scienze naturali e addirittura astrologia e astronomia operano in una sorta di simbiosi, legate le une alle altre in modo spesso inestricabile. Agli inizi del XVI secolo uno dei maggiori interpreti di questo coacervo di discipline scientifiche fu il medico, astrologo, filosofo e alchimista Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim, 1486-1535. Costui credeva di essere un mago e di essere capace di evocare gli spiriti. La sua influenza fu di modesta entità, ma come Flamel, produsse opere, fra le quali il De occulta philosophia, alle quali fecero riferimento tutti gli alchimisti posteriori. Ancora come Flamel fece molto per cambiare l'alchimia da una filosofia mistica ad una magia occultista. Inoltre mantenne vive le filosofie degli antichi alchimisti, che includevano scienza sperimentale, numerologia, ecc., aggiungendovi la teoria magica, che rinforzava l'idea di alchimia come credenza occultista. Il nome più importante di questo periodo è, senza dubbio, Paracelso, (Theophrastus Bombastus von Hohenheim, 1493-1541), il quale diede una nuova forma all'alchimia, spazzando via un certo occultismo che si era accumulato negli anni e promuovendo l'utilizzo di osservazioni empiriche ed esperimenti tesi a comprendere il corpo umano. Rigettò le tradizioni gnostiche e le teorie magiche, pur mantenendo molto delle filosofie ermetiche, neoplatoniche e pitagoriche. In particolare si concentrò sullo sviluppo medicinale dell'alchimia, ponendo ai margini della dottrina la ricerca metallurgica sui metalli preziosi. Per Paracelso l'alchimia era la scienza della trasformazione dei metalli reperibili in natura per produrre composti utili per l'umanità. La iatrochimica di Paracelso era basata sulla teoria che il corpo umano fosse un sistema chimico nel quale giocano un ruolo fondamentale i due tradizionali principi degli alchimisti, e cioè lo zolfo ed il mercurio, ai quali lo scienziato ne aggiunse un terzo: il sale. Paracelso era convinto che l'origine delle malattie fosse da ricercare nello squilibrio di questi principi chimici e non dalla disarmonia degli umori, come pensavano i galenici. Quindi, secondo lui, la salute poteva essere ristabilita utilizzando rimedi di natura minerale e non di natura organica.
È in questo periodo che viene pubblicata la prima storia dell'alchimia, nel 1561 a Parigi. L'autore è Robert Duval. Anche molti artisti, come per esempio il Parmigianino, e persino personalità politiche del periodo si interessarono all'alchimia. Tra questi: Caterina Sforza[46], Francesco I de' Medici, nel cui studiolo di Palazzo Vecchio fece dipingere allegorie alchimistiche da Giovanni Stradano, e Cosimo I de' Medici. In Inghilterra, l'alchimia nel XVI secolo è spesso associata al dottor John Dee (1527-1608), meglio conosciuto per il suo ruolo di astrologo, crittografo ed in generale "consulente scientifico" della regina Elisabetta I d'Inghilterra. Dee si interessò anche di alchimia tanto da scrivere un libro sull'argomento (Monas Hieroglyphica, 1564) influenzato dalla Cabala.
Il declino dell'alchimia in Occidente fu causato dalla nascita della scienza moderna con i suoi richiami a rigorose sperimentazioni scientifiche ed al concetto di materialismo. Nel XVII secolo Robert Boyle (1627-1691) diede l'avvio al metodo scientifico nelle investigazioni chimiche, alla base di un nuovo approccio alla comprensione della trasformazione della materia, che di fatto rivelò la futilità delle ricerche alchemiche della pietra filosofale. Anche gli enormi passi avanti compiuti dalla medicina nel periodo seguente la iatrochimica di Paracelso, supportati dagli sviluppi paralleli della chimica organica, diedero un duro colpo alle speranze dell'alchimia di reperire elisir miracolosi, mostrando l'inefficacia se non la tossicità dei suoi rimedi. Ridotta ad astruso sistema filosofico, distante dalle pressanti faccende del mondo moderno, l'Ars magna subì il fato comune ad altre discipline esoteriche quali l'astrologia e la cabala; esclusa dagli studi universitari, l'alchimia venne banalizzata, ridotta ai suoi procedimenti materiali, e messa al bando dagli scienziati quale epitome della superstizione. A livello popolare, tuttavia, l'alchimista era ancora considerato come il depositario di grandi saperi arcani. Facendo leva sulla credulità popolare, molti imbroglioni si attribuirono titoli di guaritore e per dimostrare effettive capacità produssero manuali manoscritti che imitavano, nel gergo e nelle illustrazioni, i trattati di famosi autori alchemici (in tal modo, nacquero anche i cosiddetti "erbari dei falsi alchimisti", come ad esempio l'erbario di Ulisse Aldovrandi o l'Erbario di Trento che solo di recente[quando?] hanno iniziato ad essere analizzati in modo attento dagli studiosi. Dopo aver goduto per millenni di un grande prestigio intellettuale e materiale, l'alchimia scomparve in tal modo dalla gran parte del pensiero occidentale, per tornare, però, ad essere approfondita nelle opere di pensatori come lo psicoanalista Carl Gustav Jung, oppure di insigni studiosi di occultismo come Julius Evola[54] o Giuliano Kremmerz.
Il simbolismo alchemico è stato occasionalmente utilizzato nel XX secolo dagli psicoanalisti, uno dei quali, Jung, ha riesaminato la teoria ed il simbolismo alchemico ed ha iniziato a mettere in luce il significato intrinseco del lavoro alchemico come ricerca spirituale. L'esposizione junghiana della teoria dei rapporti intercorrenti tra alchimia ed inconscio si trova in varie sue opere che abbracciano un arco di tempo che va dai primi anni 1940 a praticamente fino alla sua morte avvenuta nel 1961:
Psicologia e alchimia (1944)
Psicologia del transfert (1946)
Saggi sull'alchimia (1948)
Mysterium Coniunctionis (1956).
La tesi dello psicoanalista svizzero consiste nell'identificazione delle analogie esistenti tra i processi alchemici e quelli legati alla sfera dell'immaginazione ed in particolare a quella onirica. Secondo Jung, le fasi attraverso le quali avverrebbe l'opus alchemicum avrebbero una corrispondenza nel processo di individuazione, inteso come consapevolezza della propria individualità e scoperta dell'essere interiore. Mentre l'alchimia non sarebbe altro che la proiezione nel mondo materiale degli archetipi dell'inconscio collettivo, il procedimento per ottenere la pietra filosofale rappresenterebbe l'itinerario psichico che conduce alla coscienza di sé ed alla liberazione dell'io dai conflitti interiori.[57] La legittimità di tale interpretazione è però discutibile, in quanto appare molto distante, se non addirittura opposta, rispetto ai presupposti e agli scopi del percorso alchemico così come presentato dalla tradizione.
Molti autori hanno bersagliato gli alchimisti con critiche ed attacchi satirici. Il più famoso di questi è la commedia The Alchemist di Ben Jonson dove un finto alchimista con la pietra filosofale attira e truffa gli ingenui creduloni.
Nella seconda parte del Faust, Johann Wolfgang von Goethe descrive il servitore di Faust, Wagner, che utilizza procedimenti alchemici per creare un homunculus.
Marguerite Yourcenar, nel suo romanzo L'opera al nero (1968), racconta la storia della vita dell'alchimista Zenone. Dal libro è stato tratto nel 1987 l'omonimo film, diretto da André Delvaux e interpretato da Gian Maria Volonté.
Nel romanzo Cent'anni di solitudine di Gabriel García Márquez è presente un alchimista chiamato Melquíades.
Le vie ed i metodi dell'alchimia sono essenziali nel romanzo L'alchimista di Paulo Coelho.
L'alchimia è uno dei temi presenti nel romanzo Il pendolo di Foucault di Umberto Eco, in particolare in relazione con l'esoterismo.
Nel romanzo Harry Potter e la pietra filosofale di J. K. Rowling, questa pietra poteva mutare ogni metallo in oro puro e creare un "Elisir di lunga vita" che permetteva al bevitore di vivere per sempre. Nel romanzo la pietra è stata creata da Nicolas Flamel.
Nella serie di romanzi La bambina della Sesta Luna, la protagonista, Nina de Nobili, è un'alchimista bambina.
Nel romanzo Notre Dame de Paris di Victor Hugo, l'antagonista arcidiacono Claude Frollo è un alchimista.
L'alchimia e la pietra filosofale sono temi centrali del manga Fullmetal Alchemist di Hiromu Arakawa e delle serie anime da essa tratte.
L'alchimia è il tema principale della serie Golden Sun.
In Guerre stellari con il termine "Alchimia Sith" è indicata una sorta di ingegneria genetica usata dai Sith per creare delle creature mutate e utilizzate in vari modi.
Nel romanzo L'angelo della finestra d'occidente (Der Engel vom weistlicher Fenster, 1927) lo scrittore ed esoterista Gustav Meyrink inscena la biografia di un alchimista realmente vissuto (John Dee), in modo da evocare gli stadi di un vero e proprio processo alchemico, in cui morte e rinascita sono momenti progressivi per accedere all'autentica conoscenza.
Nel romanzo Frankenstein di Mary Shelley si accenna vagamente all'esperimento con cui Victor Frankenstein ha creato il mostro come al risultato di studi sia scientifici che alchemici.
Nell'anime Yu-Gi-Oh! GX il personaggio Daitokuji utilizza le sue conoscenze di alchimista per creare un corpo artificiale nel quale inserire la sua anima, Amnael.
Nella saga L'accademia dei vampiri di Richelle Mead sono presenti gli Alchimisti, una società di uomini che aiuta i vampiri a tenere nascosta la loro esistenza agli altri esseri umani.
Cos’è l’Alchimia? Scrive Il Marchese di Carabà. L’Alchimia è probabilmente la disciplina esoterica più oscura e complessa che l’antichità ci ha tramandato. E’ formata da un insieme di conoscenze e concezioni filosofiche, religiose, esoteriche ma anche scientifiche, pratiche, ossia relative ad operazioni che si svolgono materialmente in un laboratorio. Chiunque abbia conseguito almeno gli studi superiori possiede certamente alcune nozioni di materie scientifiche quali Fisica, Chimica, Matematica, Filosofia, Biologia, Psicologia, ecc. ciò a dimostrazione del fatto che con lo studio e l’esercizio questi saperi possono essere resi accessibili a molti. La stessa cosa non si può dire per l’Alchimia. A riprova di ciò basterà aprire uno degli innumerevoli trattati sull’argomento che sono stati stampati in Europa dal sedicesimo secolo in poi oppure, più semplicemente, si potrà provare a leggere le opere di alchimisti più moderni quali (ad esempio) Fulcanelli e Canseliet. Ebbene possiamo assicurare che la maggior parte di coloro che si imbattono in libri di questo genere li abbandonano ben presto con un profondo senso di delusione e scoraggiamento.
Altri perfino con disprezzo poichè gli uomini detestano ciò che non si comprende e che va oltre l’ordinario pregiudizio, o ciò che non si riesce a raggiungere facilmente come racconta la celebre favola della volpe e l’uva. Chi invece decide di approfondire l’argomento si imbarca in un’impresa titanica laddove si richiede impegno e perseveranza notevoli. Tuttavia, nonostante l’astrusità dei trattati alchemici, il Cosmopolita ci assicura che «se tu considerassi con giudizio maturo in che modo opera la Natura, non avresti bisogno dei volumi di tanti Filosofi, perché, a mio giudizio, è meglio imparare proprio dalla Maestra Natura piuttosto che dai discepoli» (Cosmopolita - Nuovo Lume Chimico - Prefazione Trattato sullo Zolfo) Comunque sia, l’oscurità della scienza alchemica è tanto marcata da estendersi fino alla prima basilare domanda che ci si potrebbe porre: cos’è l’Alchimia?
Se banalmente si cerca il termine su un comune vocabolario di italiano ritroviamo che l’alchimia sarebbe «la pretesa scienza per mezzo della quale gli uomini pensavano di poter convertire i metalli vili in nobili e di creare medicamenti atti a guarire ogni malattia e a prolungare la vita oltre i suoi termini naturali» (cfr: G.Devoto, G.C.Oli - «Dizionario della lingua Italiana»). Un’opinione simile viene promulgata anche da alcuni (per fortuna non tutti) moderni scienziati dalla «vista corta» come Mr. Peter W. Atkins, docente di chimica fisica presso l’università di Oxford: «Lo spirito indagatore dell’uomo portò alla nascita di quella branca della scienza oggi nota come chimica. È opinione comune che, inizialmente, fu la cupidigia a guidare quello spirito indagatore, e che la chimica scaturì dai vari tentativi degli alchimisti di trasmutare il piombo in oro».
Da tutto questo si deduce che l’alchimia si proporrebbe l’ottenimento di benefici di ordine puramente «materiale» ossia l’avere tanto oro ed argento nonché una vita lunga ed in buona salute. Per contro, secondo diversi movimenti magico-occulti moderni sviluppatisi dal mistico Jahob Bohme in poi, le operazioni alchemiche andrebbero lette «spiritualmente» ovvero come una serie di simboli e metafore che rappresentano il lavoro che avviene nell’anima dell’operatore. Indi, seguendo quest’ultimo approccio, la purificazione del piombo per fabbricare l’oro non sarebbe altro che l’allegoria della depurazione dell’anima dell’alchimista dalla sporcizia del peccato. Leggendo diverse opere «hermetiche» (da Hermes, patrono degli alchimisti) ci si rende ben presto conto che la tesi che vede l’alchimia come pratica esclusivamente «spirituale» è assai fragile, troppo fragile affinchè possa sussistere qualche ragionevole dubbio. Si leggano a titolo d’esempio questi due estratti di due autentici alchimisti: «Per levare dall’argento vivo l’umidità superflua quando lo si mescola alle calci [...] bisogna mescolarlo con quelle aspergendo l’amalgama con aceto, poi lo si farà evaporare con fuoco dolce, e in questo modo evaporerà anche l’acquosità del mercurio» (Geber).
«Prendi cento parti di mercurio, lavalo con sale e aceto, e poni sul fuoco in un crogiolo. Quando incomincia a bollire, metti una parte del tuo elisir sulle cento del mercurio, e tutto diventa medicina[...] poi metti una parte di questa medicina su 100 parti di mercurio lavato, e diventa tutto oro o argento, a seconda che l’elisir fosse rosso o bianco» (Arnaldo da Villanova). Come si può constatare, a prescindere dalla difficoltà di lettura, interpretare passaggi come questi quali esercizi puramente interiori all’operatore sarebbe cosa assai ardua ed inverosimile. Riguardo invece all’approccio materialistico visto in precedenza che vede l’alchimia come tecnica per conseguire salute e ricchezze è da notare che vi sono metodi molto più semplici per raggiungere tali obiettivi (come ad esempio investire soldi in borsa, praticare il gioco del lotto, seguire un buon regime alimentare, ecc., ecc.). Inoltre in quasi tutte le opere ermetiche gli autori che hanno conseguito la Pietra Filosofale mantengono un atteggiamento devozionale nei confronti del Creatore. Tale atteggiamento li avvicina molto più ai mistici di tradizione cristiana (almeno qui in occidente, dopo l’avvento della religione di Roma) che all’avidità di Re Mida. Ecco di seguito due estratti come esempio: «[...] se il Creatore ha voluto dispensare la vera scienza e la sua non comune conoscenza, è, se non altro, per alcuni che condannano la menzogna [...] e che, innanzitutto, amano Dio senza ipocrisia e perciò lo pregano. Per cui ti dico, in verità, se ti sforzi di fare la nostra grande e antica Pietra, sii fedele al mio insegnamento e prima di tutto prega il Creatore di ogni creatura che ti accordi per questo scopo la sua grazia e la sua benedizione» (Basilio Valentino) «Tuttavia (dell’alchimia) non ne ho parlato mai nè per Allegorie nè per Enigmi; ma l’ho trattata e l’ho insegnata in parole chiare ed intelligibili, avendone scritto sinceramente e nel modo in cui l’ho saputa e l’ho appresa per l’ispirazione di Dio altissimo, gloriosissimo ed lodabilissimo, che si è degnato rivelarmela, poichè non c’è che Lui solo che la dà a chi vuole e la toglie quando vuole.» (Geber) Tirando le somme pare evidente che l’alchimia è una disciplina scientifica che mira al conseguimento di un esperienza mistica, la così detta «rivelazione divina», attraverso delle manipolazioni materiali del laboratorio. In effetti per la scienza ermetica la Materia e lo Spirito non sono entità separate ma un tutto unico e collegato, interconnesso. Questa unità fondamentale viene subito affermata da uno dei documenti ermetici più antichi ed importanti nel quale si dice vi siano descritte in modo criptico tutte le operazioni per il conseguimento della Grande Opera, ossia «La tavola di smeraldo» di Hermes Trismegisto, padre dei filosofi: «È vero senza menzogna, certo e verissimo. Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso per fare i miracoli di una cosa Una. E poichè tutte le cose sono e provengono da una, per la mediazione di una, così tutte le cose sono nate da questa cosa unica mediante adattamento.»
Come ormai si sarà notato questa scienza, già nella sua descrizione preliminare, sfugge alle catalogazioni dei dizionari, alle classificazioni umane, alle identificazioni dettate dalle comuni esperienze. È concreta eppure imponderabile, è fisica eppure metafisica, è manifesta eppure totalmente arcana. Un ibrido misteriosissimo tra l’essere ed il non essere, tra l’ideale ed il materiale. Come si è visto è arduo definire ciò che non si può definire, ragionare su ciò che sfugge al ragionamento stesso il che allontana l’alchimia dall’esposizione prosaica, lineare, e l’avvicina in modo inaspettato alla poesia. Infatti lo scritto poetico spesso e volentieri non ha necessariamente un significato compiuto o, per meglio dire, il significato rappresenta solo una minima fetta dell’intera comunicazione, l’altra parte non è verbale ma emozionale, spirituale e si rivolge alla sfera più intuitiva della persona. Un filosofo moderno che si firmava con lo pseudonimo Frater Albertus volendo definire l’alchimia disse che «è il sorgere delle vibrazioni». E poi aggiunse: «Colui che non coglie il senso di questa frase, in apparenza senza importanza, non ha diritto di tentare la sperimentazione alchimistica. Una persona del genere rassomiglia a chi, conoscendo tutte le lettere dell’alfabeto, pretende per questo di poter leggere tutti i linguaggi che sono composti di lettere provenienti dallo stesso alfabeto.» (cfr: «The Alchemist’s Handbook») L’alchimia è il sorgere delle vibrazioni. Ci sembra la definizione migliore che si possa dare che certamente non soddisfa l’analitico, il logico ma che apre nuovi spazi verso una dimensione sconosciuta dall’alfabeto universale, un mondo che necessita di nuovi occhi per vedere ciò che in genere non è visto, nuove orecchie per sentire ciò che pochi eletti odono nonché speciali antenne per captare.
Il linguaggio alchemico, di René Alleau. In uno studio pubblicato sulla rivista "Critica " nel 1953, Michel Butor ha analizzato con grande chiarezza i problemi posti dall' alchimia e dal suo linguaggio:"Finché la tradizione orale era la regola, questi libri hanno potuto essere una sorta di promemoria ed essere codificati in modo molto semplice. Per poter avere esposte le manipolazioni previste e le trasformazioni cercate, era sufficiente decodificare il tutto, allo stesso modo che è sufficiente conoscere un po' di latino per scoprire in un messale quali sono i gesti svolti dal prete cristiano sull' altare e le parole che dice, lasciando tra parentesi il significato teologico di tutto ciò. Ma man mano che gli insegnamenti orali sono diventati una eccezione, i maestri hanno cominciato a scrivere libri che, in modo sempre maggiore, potessero essere sufficienti ad " iniziare " il lettore. Si tratta di documenti cifrati che invitano il lettore a venire a capo di questo linguaggio. [...]
L'alchimista considera questa difficoltà di accesso come essenziale poichè si tratta di trasformare la mentalità del lettore al fine di renderlo in grado di percepire il senso di quanto descritto. Se la chiave per interpretare il senso profondo fosse stata al di fuori del testo, la si sarebbe potuta facilmente violare e quindi sarebbe stata inefficace. Questo modo di procedere non è convenzionale poiché deriva dalla verità che nasconde. E' dunque vano adoperarsi per dare un significato << -1 -profano>> ai simboli. Ogni cosa in questo dominio inganna e rivela nello stesso tempo ". Nella sua conclusione, Michel Butor mostra la funzione principale di queste strutture crittografiche "Il linguaggio alchemico è uno strumento di grande flessibilità, che permette di descrivere accuratamente tutte le operazioni mettendole in relazione ad una concezione generale della realtà. Questo è ciò che rende il linguaggio di difficile comprensione e, nello stesso tempo, di grande interesse. Il lettore che vuole capire l'uso di una sola parola in un particolare contesto, ci può riuscire solo se, gradualmente, ricostituisce una antica architettura mentale. Questo sforzo porta al risveglio di regioni della coscienza assopite. "Così la lettura profana diventa una ricerca iniziatica del "Senso" e noi ritroviamo qui ciò che abbiamo segnalato a proposito della gnosi -2-jabiriana, della "Scienza della Bilancia": Ad ogni genesi corrisponde una esegesi, ma in questo caso: Dall' esegesi dipende la genesi. In effetti la ricerca della Pietra Filosofale, i suoi enigmi e le sue insidie, l'estremo fascino dell'oro, dei poteri e del sapere che gli alchimisti si aspettano dal suo possesso, suscitano nel loro spirito una ossessione, un monoideismo che si propaga, nel corso delle loro lunghe e difficili ricerche, a tutte le zone chiare e oscure della loro coscienza. Sensazioni, immaginazione, sogni, discorsi e fluttuazioni mentali vengono assorbite. Così poco a poco si forma un centro, un nocciolo psichico irradiante intorno al quale si riuniscono e gravitano le loro potenze interiori. Nello stesso tempo si decanta l'humus delle motivazioni irrazionali intorno alle immagini di un desiderio trasferito alla dimensione stessa del cosmo, a delle unioni nunziali planetarie, minerali e metalliche, ardentemente conservate e amorosamente contemplate. Questo processo di concentrazione illuminativa non è meno evidente in altre discipline esoteriche e mistiche. Lo si ritrova nel buddismo zen, nello yoga, nelle orazioni esicaste della Chiesa d'Oriente, nel dhikr del sufismo islamico, il monoideismo fa sì che l'intenzione del cuore si focalizzi sull'oggetto del desiderio. Per visitare il giardino del ricordo, insegnano i maestri, bisogna bussare alla stessa porta fino a consumarsi le dita. Tuttavia questa spiegazione psicologica non deve essere considerata come solo capace di rendere conto delle strutture criptografiche dell'alchimia. Non bisogna trascurare le loro ragioni positive. Ad esempio, immaginiamo che i nostri fisici volessero comunicare le loro esperienze sulla radioattività artificiale, senza rivelare alcunchè alla maggioranza dei loro colleghi né ai poteri pubblici, ad una sparuta élite. Da una parte consapevoli della perspicacia degli altri scienziati, sarebbero stati costretti a tendere loro delle trappole più o meno sottili facendo in modo di creare numerosi equivoci sui loro veri obiettivi come sui loro procedimenti sperimentali. Dall'altra parte, il proseguimento delle loro ricerche avrebbe necessitato di sostegni, come ad esempio, i necessari finanziamenti e sarebbe stato indispensabile giustificare l'importanza straordinaria dei risultati pratici. Infine come trasmettere a dei futuri ricercatori le loro osservazioni sulle proprietà reali dei corpi che essi scoprivano man mano, se non segnalando la differenza fra elementi naturali e artificiali nominando, ad esempio, il<<nostro>> piombo, il << nostro >> mercurio, il <<nostro >> oro, come hanno fatto costantemente gli alchimisti. Tuttavia le risorse ordinarie della crittografia sarebbero state insufficienti se ci si fosse limitati a lasciare in questi messaggi una chiave che poteva essere immaginata da chi volesse interpretare la crittografia.[...] Infatti la probabilità di poter ricostituire un processus sperimentale ponderabilmente rigoroso comprendente delle operazioni successive che dipendono anche da condizioni cosmologiche strettamente determinate, come nel caso dell'opera alchemica, sono praticamente trascurabili.
GLI X-FILES DELLA SCIENZA.
X-Files, il paranormale e i fenomeni che la scienza non spiega si studiano nell'Università della Virginia, scrive il 15/07/2014 "L'Huffington Post". Esperienze di morte apparente o extracorporali, percezioni extrasensoriali, memorie di vite altrui e poltergeist. Sono alcune delle discipline che si studiano alla Division of Perceptual Studies (DOPS) della University of Virginia di Charlottesville, Stati Uniti. La divisione specializzata in paranormale è diretta dal professor Jim Tucker e si occupa "dell'investigazione scientifica ed empirica di fenomeni che suggeriscono che le attuali assunzioni della scienza e le teorie sulla natura della mente o della coscienza possano essere incomplete", come riporta il Corriere della Sera. E' quanto ricordava nel manifesto dell'Istituto nato nel 1967 il fondatore, Jan Stevenson. Lo psichiatra è stato criticato per molti anni. I detrattori lo accusavano infatti di non rispettare standard di analisi rigorosi e di tenere in piedi l'istituto solo grazie alle donazioni di famosi milionari ossessionati dal paranormale. Nel 2014 il giudizio della scienza tradizionale sul Dops è certamente mutato raccogliendo numerosi endorsement. Oggi quindi Jim Tucker, nell'istituto dagli anni '70, può affermare di aver raccolto testimonianze che dimostrano "la sopravvivenza della personalità dopo la morte". L'affermazione è frutto di una ricerca basata su dati e fatti. Basti pensare che il Dops ha analizzato e catalogato in un archivio più di 3 mila casi di pazienti che raccontano memorie altrui. Emblematico il caso di James Leininger, bambino di due anni che nei suoi incubi notturni ricordava incidenti aerei ed esplosioni. Di giorno invece ricordava di essere stato nell'aviazione dell'esercito americano come pilota di un caccia in forza alla portaerei di Natoma Bay. Parlava del suo caro amico Jack Larsen raccontando nei minimi dettagli la sua morte causata da un attacco giapponese nel cielo di Iwo Jima. I fatti di mezzo secolo prima ricordati dal bambino con dovizia di particolari combaciano perfettamente con la realtà. Lo studio di casi come questi ha portato Jim Tucker e il Dops ad approfondire tematiche paranormali che la scienza tradizionale non riesce a spiegare e che, seppur lentamente, stanno conquistando attenzione e dignità.
X-Files. Scienza estrema, di Michael White Rizzoli, 1998 - 258 pagine. Esistono, e sono numerose, prove e testimonianze riferite a eventi e manifestazioni a prima vista incomprensibili: i rapimenti da parte degli alieni, i poteri conferiti da certe pratiche religiose come lo sciamanesimo, i fenomeni quali la visione a distanza... E non mancano ricordi e memorie come quella di Atlantide, delle pratiche alchemiche, dell'energia vitale della terra... Esiste insomma una tradizione di domande senza risposte, curiosità proibite, misteri irrisolti che attraversa tutta la storia intellettuale e spirituale dell'umanità: una tradizione di "scienza estrema" che l'autore affronta con quel gusto della sfida intellettuale che avvince lettori di ogni età.
X FILES. Da Wikipedia. X-Files (The X-Files) è una serie televisiva statunitense ideata da Chris Carter e trasmessa dal 1993 dalla Fox. La serie vede protagonisti due agenti dell'FBI, interpretati da David Duchovny e Gillian Anderson, la cui attività si caratterizza per indagare su particolari casi di natura paranormale, che richiamano varie sottotematiche del cinema dell'orrore e della fantascienza, tra i quali creature leggendarie, teorie del complotto, mutazioni genetiche, percezioni extrasensoriali, intelligenza artificiale, UFO e alieni. Molti degli episodi sono narrativamente autoconclusivi, presentando la formula del "mostro della settimana", ma alcuni presentano in tutto o in parte temi ricorrenti, sviluppi narrativi nel loro insieme noti come la "mitologia" della serie; in particolare la trama orizzontale si incentra nel tentativo dei protagonisti di svelare un complotto riguardante una prossima invasione aliena. Nel corso di anni di indagini Fox Mulder e Dana Scully scopriranno infatti che un gruppo di persone, facente parte di un misterioso consorzio infiltrato nel cuore del governo statunitense, ha instaurato contatti con una civiltà extraterrestre allo scopo di sviluppare assieme una generazione di ibridi umano-alieni e al contempo un virus/vaccino con un duplice obiettivo: quello "ufficiale" di agevolare agli alieni la conquista della Terra, e quello "ufficioso" di salvare, mediante il vaccino, se stessi ed i propri cari dal conseguente sterminio previsto con l'invasione. X-Files è stata accolta da un grande successo di critica e di pubblico, ottenendo importanti riconoscimenti come il Golden Globe per la miglior serie drammatica, affermandosi presto come un cult e un classico della televisione di fantascienza, punto di riferimento e fonte di ispirazione per molte opere successive. Al raggiungimento della sua nona stagione, per molti anni rimasta l'ultima prodotta, nel 2002 era anche diventata la serie di fantascienza più longeva nella storia della televisione statunitense, primato negli anni seguenti superato da fiction come Smallville e Stargate SG-1. Tra la quinta e la sesta stagione è stata tratta un'omonima prima pellicola cinematografica, uscita nelle sale statunitensi il 19 giugno 1998, mentre un ulteriore film stand-alone, X-Files - Voglio crederci, è stato distribuito in patria dal 25 luglio 2008. Dal 24 gennaio 2016, quattordici anni dopo la cancellazione della serie nel 2002, la Fox decise di riportare in vita il franchise con una miniserie "evento" che costituisce di fatto una decima stagione, in cui sia i protagonisti che altri membri storici del cast riprendono i rispettivi ruoli. Ad aprile del 2017, la Fox ha annunciato anche un'undicesima stagione, composta da 10 episodi, che andrà in onda nella stagione 2017-18.
Fox William Mulder è un singolare agente dell'FBI: lavora in un settore chiamato appunto X-Files, un archivio dove vengono catalogati e raccolti tutti i casi ritenuti inspiegabili e di supposta natura soprannaturale. La passione di Mulder per tale genere di casi deriva dall'ossessione sviluppata dal traumatico rapimento della sorella, avvenuto, a suo dire, da parte degli alieni quando aveva dodici anni. Da quando è entrato nell'FBI si è occupato di cercare di dare spiegazioni e raggiungere la verità prestando fede a prove e testimonianze ritenute "impossibili" o prive di credito da parte dei suoi colleghi e della comunità accademica. All'inizio della serie gli viene affiancato un partner dai suoi superiori, Dana Katherine Scully, medico e scienziata che utilizzando le sue competenze scientifiche avrebbe il compito di screditare le bizzarre tesi di Mulder. In realtà con il passare del tempo anche lei si troverà di fronte a fatti in grado di scuotere le sue certezze e la sua fede nella "scienza ufficiale". Nel corso di anni di indagini in cui hanno a che fare con svariati casi di creature mostruose, esperimenti segreti, virus letali e rapimenti alieni, raccolgono indizi che sveleranno l'esistenza di un complotto ordito da un'enigmatica organizzazione nota come il Consorzio, che mira a tenere nascosta l'esistenza di vita extraterrestre intelligente e a facilitare una futura occupazione, che prevede lo sterminio degli umani, da parte di una razza di alieni chiamata Colonizzatori.
Prima stagione. L'agente speciale dell'FBI Fox Mulder si è guadagnato la nomea di "Spooky Mulder" occupandosi prevalentemente dei cosiddetti X-Files, casi irrisolti ai quali è attribuita una presunta origine paranormale. Per tali investigazioni gli viene assegnata una partner, Dana Scully, i cui superiori sperano sia in grado di sfatare e screditare il suo lavoro. Il loro primo caso insieme è l'indagine su possibili rapimenti alieni nell'Oregon, che vacilla quando la loro principale prova rimane distrutta in un incendio. A partire da un caso successivo, riguardante la scomparsa di un pilota dell'United States Air Force, iniziano ad avvalersi dell'informatore anonimo Gola Profonda (Deep Throat), che fornisce loro varie informazioni sensibili. In seguito potranno contare anche sull'aiuto dei Pistoleri Solitari (The Lone Gunmen), un trio di hacker cospirazionista. Gola Profonda rimane tuttavia presto ucciso mentre tenta di aiutare gli agenti a svelare l'esistenza di un programma governativo di clonazione umana, tentativo che porterà alla chiusura dell'unità X-Files.
Seconda stagione. Senza poter continuare il suo lavoro con Scully, Mulder ottiene informazioni su un possibile contatto extraterrestre nel Puerto Rico, scoprendo che il programma SETI presso il radiotelescopio di Arecibo è in procinto di chiudere. Alla coppia viene in seguito consentito di riprendere il lavoro sugli x-files. Scully viene rapita da un instabile personaggio vittima di molteplici rapimenti alieni, Duane Barry. Barry porta Scully su una collina dove viene rapita, apparentemente da alieni. Viene ritrovata in un secondo momento in stato comatoso nei pressi di un ospedale, recuperando le forze diversi giorni dopo. Mulder riceve una telefonata dal padre, dal quale apprende che la sorella Samantha, rapita da bambina, ha fatto ritorno. Samantha viene inseguita da un cacciatore di taglie mutaforma che ha già assassinato vari cloni umani. Samantha viene uccisa, anche se è poi rivelato che si trattava solo di uno di diversi cloni creati con tessuto alieno dai colonizzatori allo scopo di produrre ibridi umani-alieni. Pistoleri Solitari riferiscono a Mulder e Scully del riuscito tentativo di un loro amico di penetrare il sistema informatico del Dipartimento della Difesa. L'hacker, Kenneth Soona, riesce a consegnare a Mulder le sue scoperte su una cassetta digitale, ma viene presto assassinato. I file consegnati sono inoltre scritti in lingua navajo; Mulder si deve quindi rivolgere ad un uomo Navajo, Albert Hosteen, per capirne i contenuti. Il nipote di Hosteen fa vedere all'agente un vagone abbandonato contenente quelli che sembrano corpi alieni. Mentre è all'interno del vagone, sul posto sopraggiunge l'uomo che fuma, antagonista principale della serie, che dà fuoco al vagone.
Terza stagione. Mulder viene ritrovato e salvato da Hosteen. Nel frattempo, Scully indaga sul possibile collegamento tra il programma per l'eradicazione del vaiolo e le sperimentazioni genetiche sugli uomini, scoprendo che uno scienziato nazista, il quale aveva disertato durante l'operazione Paperclip, ha condotto esperimenti volti a creare ibridi umani-alieni. La sorella Melissa viene uccisa da assassini che la scambiano per lei. Durante le indagini su un'autopsia aliena, Mulder si ritrova su un treno che trasporta un ibrido umano-alieno. Mulder rimane quasi ucciso dagli agenti del Consorzio, ma viene salvato dal suo informatore Mr. X. Scully, nel frattempo, si incontra con un gruppo di donne con esperienze di rapimenti alieni simili alla sua, e conosce un membro del Consorzio noto con il nome di First Elder, che le spiega come durante il suo rapimento sia stata trasferita su un vagone simile a quello trovato da Mulder, nel quale scienziati giapponesi hanno sperimentato su di lei. L'equipaggio di una nave francese che cerca di recuperare il relitto di un sottomarino della Seconda Guerra Mondiale dal fondo del mare rimane ustionato da misteriose radiazioni, e uno dei membri contrae il virus "olio nero", anche detto cancro nero. Il virus, che controlla il corpo del marinaio, si trasferisce nella moglie e viaggia fino a Hong Kong alla ricerca dell'intermediario che ha messo in vendita segreti governativi, che anche Mulder sta cercando. Mulder individua Alex Krycek a Hong Kong ed il virus si trasferisce nel corpo dello stesso Krycek. Scully scopre che il sottomarino era venuto in contatto con l'olio nero mentre era alla ricerca di un aereo militare precipitato. L'infettato Krycek raggiunge una base balistica in cui è nascosto un UFO; il virus lascia Krycek ed entra nella navicella. Nel frattempo, Scully riesce a trovare Luis Cardinal, l'assassino di sua sorella Melissa.
Quarta stagione. Quando il Consorzio sospetta che uno dei suoi membri sta passando informazioni a Mulder e Scully, organizza una trappola per individuarlo, usando informazioni sulla sicurezza della madre di Mulder come esca. Mr. X viene scoperto e ucciso, ma non prima di essere in grado di fare il nome di un altro informatore a Mulder e Scully, Marita Covarrubias, rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite. L'aiuto di Covarrubias è presto richiesto quando Mulder deve raggiungere una località sul fiume Tunguska Pietrosa in Russia per investigare una nuova contrazione del virus olio nero. Mentre è lì, viene imprigionato in un gulag e usato, con successo, come cavia per testare un vaccino contro il virus. Riesce poi a scappare e fare ritorno negli Stati Uniti, dopo aver anche scoperto che Krycek sta lavorando con i russi. A Scully viene diagnosticato un cancro, che le fa sorgere incertezze sul suo futuro all'FBI. Mulder è convinto che la causa della malattia sia stata il suo rapimento alieno, ed è pronto a stringere un accordo con il Consorzio per trovare una cura. Viene però dissuaso da Walter Skinner, che fa un accordo del genere personalmente di nascosto.
Quinta stagione. Inseguito da un assassino responsabile del ritrovamento di un falso cadavere alieno, Mulder sfrutta l'occasione per fingere la sua morte. Usa quindi tale distrazione per infiltrarsi al Pentagono per trovare una cura per Scully, mentre questa riesce a svelare un collegamento tra il Consorzio e l'FBI. Mentre una razza aliena ribelle attacca diversi gruppi di abdotti, gli agenti incontrano Cassandra Spender, una donna che afferma di essere stata rapita molteplici volte e vuole rivelare un messaggio positivo sugli alieni. Più tardi, Mulder pone Scully sotto ipnosi per apprendere la verità sul suo rapimento, mentre Cassandra scompare e suo figlio, Jeffrey Spender, cerca di fare carriera nell'FBI. Il Consorzio, nel frattempo, accelera i test per il vaccino contro l'olio nero, sacrificando a tal fine anche propri agenti. In seguito, l'assassinio di un grande maestro internazionale di scacchi guida Mulder e Scully in un'indagine che colpisce il cuore dell'unità X-Files, scoprendo che il vero bersaglio era un ragazzo telepatico, Gibson Praise.
Il primo film. Dopo che l'unità X-Files è di nuovo chiusa, Mulder e Scully sono mandati in missione per gestire la minaccia di un attacco terroristico. Tuttavia, quando un edificio governativo viene distrutto, Mulder viene avvicinato da un misterioso dottore, Alvin Kurtzweil, il quale gli rivela che un nuovo ceppo del virus olio nero è stato scoperto nel Texas settentrionale, che causa una gestazione extraterrestre nell'ospite entro 96 ore. Afferma anche che la bomba è stata piazzata da agenti governativi per distruggere le prove. Dopo che Scully è punta da un'ape infetta dall'olio nero e rapita, Mulder riceve la sua localizzazione e un vaccino di prova sviluppato dal Consorzio dall'uomo dalle mani curate, che viene poi assassinato. Ciò lo conduce in Antartide, dove scopre una gigantesca nave spaziale aliena sepolta. All'interno trova Scully, alla quale somministra il vaccino, che riesce a curarla.
Sesta stagione. A Washington, Mulder presenta all'FBI le sue esperienze in Antartide, ma gli viene negata la riassegnazione all'unità X-Files: Mulder e Scully sono rimpiazzati da Jeffrey Spender e Diana Fowley. Dopo che uno scienziato del Consorzio accidentalmente entra in contatto con l'olio nero generando la gestazione di un alieno, Mulder e Scully tentano di rintracciare la creatura a Phoenix, prima che riesca a catturarla il Consorzio. Più tardi, Skinner è misteriosamente avvelenato da un'infezione di nanorobot. Il colpevole si rivela essere Krycek, che controlla la nanotecnologia potenzialmente debilitante nel corpo di Skinner al fine di raggiungere i suoi obiettivi. Mulder e Scully apprendono che gli alieni ribelli hanno bruciato dottori che avevano lavorato su Cassandra. Dopo averla trovata, lei li informa che gli alieni sono sulla Terra per distruggere tutta la vita e che lei è un ibrido umano-alieno. L'uomo che fuma rivela tutto a Diana Fowley, che accetta di aiutarlo tradendo Mulder. Fowley conduce con la forza Mulder, Cassandra e Scully ad uno dei centri per la prevenzione e il controllo delle malattie, a Fort Marlene. Nel frattempo, il Consorzio si raduna ad un check point, pronto per essere portato via dai colonizzatori, che si stanno preparando per l'invasione. Tuttavia, sono raggiunti dagli alieni ribelli, che li inceneriscono tutti, compresa Cassandra, mentre l'uomo che fuma e Fowley riescono a fuggire. Jeffrey Spender è poi ucciso dall'uomo che fuma. Molti mesi dopo, un artefatto metallico con iscrizioni è scoperto su una spiaggia della Costa d'Avorio. Dopo che Mulder esamina l'oggetto, cade in un grave coma. Sperando di trovare una cura per il partner, Scully si reca in Africa e scopre un gigantesco relitto di una nave spaziale, parzialmente sepolta nell'oceano.
Settima stagione. Skinner e Michael Kritschgau tentano disperatamente di trovare la verità sull'oggetto alieno. Scully ritorna dall'Africa per vedere Mulder, ma lui è scomparso. Contatta quindi Kritschgau e Skinner per trovarlo. L'uomo che fuma ha rapito Mulder per trapiantare la parte telepatica del suo cervello nel suo cranio, ma l'intervento non ha successo. A seguito dell'intervento non riuscito, Mulder si ritroverà con un tumore cerebrale, ma non lo rivelerà a Scully. Mentre indaga sulla strana scomparsa di una ragazza, Mulder scopre la verità su sua sorella. Si scopre quindi che la sorella è stata presa da uno spirito benevolo che salva le anime dei bambini condannati a morire nella sofferenza. Insieme, Mulder e Scully individuano prove che dimostrano come Samantha sia stata rapita dall'uomo che fuma, venendo costretta a vivere in una base abbandonata dell'esercito e a subire esperimenti. Mulder riesce a ricongiungersi con lo spirito di Samantha, occasione che gli offre l'opportunità per una chiusura emotiva e per andare avanti. In seguito, Mulder e Scully indagano sul caso di un rapimento alieno che li fa tornare in Oregon, dove avevano lavorato al loro primo caso insieme. Durante l'indagine, Mulder è rapito da un UFO.
Ottava stagione. Scully incontra l'agente John Doggett, a capo di una task force formata per cercare Mulder. Anche se la ricerca non ha successo, Doggett viene assegnato all'unità X-Files e inizia a lavorare con Scully a diversi casi. Quando Scully apprende che molte donne sono state rapite e ingravidate con bambini alieni, inizia ad avere dubbi sulla propria gravidanza, scoperta alla fine della stagione precedente. Doggett introduce Scully a Monica Reyes, un'agente dell'FBI specializzata in crimini ritualistici. Poco dopo il corpo di Mulder senza vita viene rinvenuto di notte in una foresta. Dopo il funerale dell'agente, Skinner viene minacciato da Krycek, che vuole costringerlo a uccidere il bambino di Scully prima che nasca. Billy Miles, abdotto diverse volte e scomparso la stessa notte in cui era stato rapito Mulder, viene ritrovato apparentemente senza vita. In realtà mostra ancora debolissimi segni vitali e in seguito viene completamente resuscitato in piena salute. La stessa esperienza si ripete con Mulder. Recuperate le forze, guarito anche dal tumore, Mulder indaga su diversi x-files per i quali gli era stato ordinato di non farlo, disubbidendo quindi agli ordini; viene poi licenziato lasciando a Doggett la guida dell'unità. Mulder continua però a collaborare in modo non ufficiale. Accettando malvolentieri l'assistenza di Krycek, Mulder, Doggett e Skinner scoprono che un virus alieno creato recentemente da membri del governo ha rimpiazzato diversi umani, compresi Miles e vari altri funzionari di alto livello dell'FBI, con cosiddetti Super Soldati. Krycek afferma che i soldati sono virtualmente invincibili e hanno il compito di assicurarsi che gli umani non sopravvivano alla colonizzazione della Terra. Temono anche che il bambino di Scully sia "speciale". Quando Miles arriva al quartier generale dell'FBI, Mulder, Doggett, Skinner e Krycek aiutano Scully a fuggire con Reyes, il quale la porta in una remota fattoria. Poco dopo Skinner uccide Krycek, Scully partorisce un bambino apparentemente normale mentre i Super Soldati la circondano. Senza spiegazioni, gli alieni si allontanano quando Mulder giunge sul luogo. Mentre Doggett e Reyes fanno rapporto all'FBI, Mulder conduce Scully e il neonato, William, al suo appartamento.
Nona stagione. Mentre Mulder si nasconde e Scully viene riassegnata all'accademia dell'FBI, Reyes diventa il nuovo partner di Doggett all'unità X-Files. Doggett, Scully e Reyes scoprono una cospirazione che mira a diffondere cloramina nelle acque, in grado di dar vita a mutazioni e creare Super Soldati. Raggiungono un laboratorio clandestino dove si stanno conducendo esperimenti che coinvolgono anche William. La loro indagine è però ostacolata dal vice direttore Alvin Kersh e da Brad Follmer. Scully spera di ricongiungersi con Mulder dopo che uno sconosciuto, l'uomo ombra, si offre di aiutarla. Tuttavia, Mulder e Scully rimangono quasi uccisi quando l'uomo ombra si rivela essere un Super Soldato. Più tardi, Scully, Doggett e Reyes individuano una pericolosa setta UFO che ha trovato la nave spaziale in Africa. La setta rapisce William, ma viene sterminata quando il suo pianto attiva le armi della nave che uccidono tutti senza colpire il bambino. In seguito, Doggett trova uno strano uomo sfigurato nell'ufficio dell'X-Files. Inizialmente crede sia Mulder, ma si rivela poi essere il suo fratellastro, Jeffrey Spender. Spender ha poi l'occasione di infilare un ago in William; gli altri agenti credono lo abbia infettato con un virus ma in realtà si tratta di una cura per i poteri del bambino. Mulder esce allo scoperto per cercare informazioni in una base militare e, dopo essersi scontrato con l'apparentemente indistruttibile Super Soldato Knowle Rohrer, ne sarà accusato dell'omicidio e sottoposto a processo. Con l'aiuto di Kersh, Scully, Reyes, Doggett, Spender, Covarrubias e Gibson Praise, Mulder fugge. Mulder e Scully vanno poi nel Nuovo Messico per trovare un vecchio "uomo saggio", che si rivela essere l'uomo che fuma, il quale profetizza loro l'arrivo degli alieni per il 22 dicembre 2012. Doggett e Reyes aiutano Mulder e Scully, la quale aveva nel frattempo deciso di affidare il figlio in adozione, a sfuggire all'FBI; i due sono poi visti per l'ultima volta insieme in un motel di Roswell, destinati a fronteggiare un incerto futuro.
Decima stagione. Nel 2016, più di sette anni dopo l'uscita di un secondo film e quasi quattordici dopo la conclusione della nona stagione, l'ex coppia di agenti FBI Fox Mulder e Dana Scully, che ora lavora separata, è nuovamente coinvolta in indagini sul paranormale, quando il primo viene informato da un giornalista attivo su internet, Tad O'Malley, del caso riguardante una donna rapita dagli alieni: Sveta.
X-Files ha ricevuto generalmente recensioni positive; molti critici l'hanno definita una delle migliori serie statunitensi degli anni 1990. Ian Burrell del The Independent giudicò la serie «uno dei più grandi cult della televisione moderna». Richard Corliss di TIME la definì come il termine di paragone degli anni 1990. Hal Boedeker dell'Orlando Sentinel già nel 1996 scrisse che la serie era cresciuta da cult a classico della televisione. Per il quotidiano Evening Herald ha avuto una "travolgente influenza" sulla televisione. Nel 2012, Entertainment Weekly classificò la serie al quarto posto tra le venticinque migliori serie cult degli ultimi venticinque anni, descrivendola come «un inno alle stravaganze, agli appassionati di fantascienza, ai teorici della cospirazione e ai pellegrini dell'Area 51 di tutto il mondo. Gli ascolti sono migliorati ogni anno per le prime cinque stagioni, mentre la dinamica di Mulder e Scully del credente-versus-scettico ha creato un modello di televisione pesantemente usato ancora oggi».
Nel 2004 e nel 2007, The X-Files si classificò seconda nella classifica dei migliori cult di sempre di TV Guide. Nel 2002, fu indicata dalla stessa rivista al trentasettesimo posto nella classifica dei migliori 50 spettacoli televisivi di tutti i tempi. Nel 1997, inoltre, gli episodi Previsioni (Clyde Bruckman's Final Repose) e Anomalie genetiche (Small Potatoes) furono classificati rispettivamente al decimo e al settantaduesimo posto della classifica dei cento più grandi episodi di tutti i tempi, e nel 2013 sempre TV Guide la incluse nell'elenco dei sessanta migliori drammi televisivi di sempre. Nel 2007, anche TIME la incluse nella classifica delle cento migliori serie televisive di tutti i tempi. In classifiche del genere fu regolarmente inclusa anche da altre testate, come Entertainment Weekly, che nel 2009 la nominò quarta miglior fiction di fantascienza nella lista delle migliori venti di sempre, e Empire, che ha avuto occasione di indicarla come la nona miglior serie televisiva di sempre, citando Dov'è la verità? (Jose Chung's From Outer Space) della terza stagione come il suo miglior episodio. Nel 2003 una ricerca di MediaDNA ha evidenziato come X-Files sia in cima alla lista dei brand televisivi considerati più innovativi.
Lo Stato apre gli archivi delle segnalazioni di oggetti volanti non identificati e presunti incontri con gli alieni tra il '78 e l''87. Ecco gli Ufo della Gran Bretagna in rete tutti gli X-files segreti. Quando i marziani parlano al pescatore, gli avvistamenti dei piloti, quell'oggetto triangolare con luci blu e rosse, scrive Luigi Bignami il 14 maggio 2008 su “La Repubblica". Il Ministero della Difesa della Gran Bretagna ha aperto gli archivi segreti delle segnalazioni di oggetti volanti non identificati e presunti incontri con gli alieni avvenuti tra il 1978 e il 1987. E li ha pubblicati sul web. Nel rapporto si trovano avvistamenti di oggetti e personaggi strani realizzati sia da civili che militari. Gli archivi sono il primo passo di un programma di diffusione in quattro anni di tutti i file sugli ufo dal 1978 a oggi. Il ministero, si legge nel rapporto, ha trovato la soluzione per il 90% dei casi, ma ha lasciato il 10% col dubbio, anche se assicura che qualunque cosa essi siano, non rappresentano una minaccia alla difesa del Paese e quindi non sono stati richiesti ulteriori fondi per studiare in modo più approfondito il problema. "Non c'è dubbio che alcuni rapporti restano inspiegati, ma non abbiamo trovato prove che questo fenomeno rappresenti una minaccia alla sicurezza nazionale da giustificare l'assegnazione di risorse della Difesa per un'indagine", si legge in una lettera ufficiale del 1985. Nel rapporto si legge che gli avvistamenti dal 1950 ad oggi sono stati circa 11.000. Tra le tante segnalazioni spicca, ad esempio, quelle del 1983, quando di un pescatore 78enne raccontò dell'arrivo di alieni verdi su una navicella, che gli parlarono, ma poi se ne andarono perché ritenuto troppo vecchio per i loro scopi di ricerca. Un'altra testimonianza scritta a macchina al ministero raccontava di una navicella aliena abbattuta nel fiume Mersey, nel nord dell'Inghilterra, da un'altra navicella e un altro racconto parla di una calorosa amicizia con un alieno chiamato Algar. Difficile credere a tali incontri, ovviamente, ma sono solo alcuni dei 200 che verranno via via rilasciate nei prossimi anni. Tra i casi più interessanti vi sono anche avvistamenti di personale della Royal Air Force, di piloti dell'aviazione civile e controllori del traffico aereo britannici, i quali hanno riferito di contatti e tracce radar che restano assolutamente senza alcuna spiegazione, nonostante l'alto livello di indagine. Il più famoso forse, è l'avvistamento in due occasioni di inspiegabili luci brillanti atterrate vicino alla base aerea Usa nella foresta di Rendlesham nell'Inghilterra meridionale, che viene paragonato per importanza al fenomeno che si registrò a Roswell, negli Stati Uniti, dove i sostenitori dell'arrivo di extraterrestri sulla Terra sostengono che sia caduto un Ufo. A Rendlesham, invece, il 27 dicembre del 1980, nei pressi della base militare di Woodbridge, Suffolk, tre uomini addetti alla sorveglianza avvistarono luci anomali all'interno della foresta di Rendlesham. Poiché se ne parlò molto vi fu un rapporto ufficiale rilasciato dal comandante Charles Halt, vice comandante della base: i testimoni parlarono di un oggetto triangolare luminoso con segnalazioni luminose blu e rosse. Nei giorni successivi all'avvistamento vennero ritrovate presunte impronte all'interno del bosco, interpretati dagli ufologi come segni di un atterraggio. Il ministero britannico della Difesa ha deciso l'apertura dell'archivio segreto con il dichiarato obiettivo di far fronte a un "labirinto di voci e congetture distorte" sulle informazioni raccolte dal governo inglese a proposito del fenomeno Ufo. Si punta a dissipare il sospetto che i governi di molte nazioni siano coinvolti in una colossale opera di occultamento ai danni dei cittadini sull'esistenza e l'arrivo degli alieni sulla Terra. "Negli X-files - sottolinea Nick Pope, che per 21 anni si è occupato di questi problemi al ministero della Difesa - non ci sono prove di omini verdi. Nella maggior parte degli avvistamenti di Ufo si tratta probabilmente di luci di aereo e di meteoriti, ma alcuni casi sono più difficili da spiegare". La suggestione spesso gioca un ruolo non secondario, tant'è che in Gran Bretagna gli incontri con Ufo raddoppiarono nel 1977 dopo l'uscita del film "Incontri ravvicinati del terzo tipo" di Steven Spielberg. Recentemente anche la Francia aveva aperto i suoi archivi segreti riguardanti gli Ufo e anche in tal caso non se ne è scoperto alcuno che può dimostrare che gli extraterrestri sono già arrivati da noi.
ALIENI, da "The Telegraph". Gli extra-terrestri esistono, lo conferma il capo della Nasa, ma non si nascondono nell’area 51. Il militare e astronauta Charles Bolden, attuale amministratore della Nasa, ha risposto alle domande di un gruppo di studenti inglesi durante l’incontro ‘Hotsea’ organizzato dal giornale ‘First news’ e in onda su Sky News. Alla domanda di Carmen Dearing, 10 anni, se credeva negli alieni, ha risposto: "Credo che un giorno troveremo altre forme di vita, se non nel nostro sistema solare, allora in uno dei miliardi di sistemi solari che esistono”. "Oggi sappiamo che esistono letteralmente migliaia, se non milioni, di altri pianeti, molti dei quali possono essere molto simili alla Terra. Così alcuni di noi, molti di noi, credono che presto troveremo la prova che c'è vita altrove nell'universo." Bolden ha ammesso inoltre che l'Area 51 esiste, ma non è il luogo dove il governo degli Stati Uniti ha nascosto la vita aliena. L'esistenza dell’Area 51 ha alimentato l'immaginazione di teorici della cospirazione e cacciatori di UFO in tutto il mondo. "Area 51 esiste", ha detto. "Ma non è quello che molti pensano. È un luogo di ricerca normale. Non ho mai visto nessun alieno o navicella spaziale quando ero lì”. "Se sono nate queste leggende è per via della grande segretezza della ricerca aeronautica”. Nel 2013 la Central Intelligence Agency (CIA) ha riconosciuto la sua esatta posizione in Nevada, nei pressi di Groom Lake, in una serie di documenti pubblicati come parte di una richiesta di Freedom of Information. I documenti descrivono la struttura come impianto usato durante la seconda guerra mondiale per l’artiglieria aerea della Army Air Corp. Il presidente Eisenhower ha in seguito approvato "questa striscia di deserto, conosciuta come Area 51, per i test sull’energia atomica della Atomic Energy Commissions Nevada. In seguito è diventata centrale nello sviluppo dell'aereo spia U-2. Il maggiore Bolden ha spiegato anche che uno dei motivi principali per cui gli esseri umani non sono ancora sbarcati su Marte è per la mancanza di servizi igienici adeguati. La Nasa spera di inviare uomini su Marte entro il 2030, ma ci sono stati ostacoli tecnici che devono essere superati. "L'obiettivo è arrivarci nei primi anni '30. Probabilmente non atterreranno, ma faranno una missione orbitale come la prima volta che siamo andati sulla Luna. Dobbiamo trovare il modo di migliorare la superficie di Marte per essere abitata dagli umani”. "Non abbiamo intenzione di inviare esseri umani su Marte per costruire habitat, case, ecc. Probabilmente utilizzeremo i robot”. "Abbiamo bisogno di migliori sistemi di supporto per le funzioni vitali, abbiamo bisogno di un gabinetto che non si rompa strada facendo e che una volta lì continui a funzionare. I bagni sono un grosso problema." "Capisco, le persone hanno dei dubbi", ha detto. "Io, dal mio canto, non ho dubbi che siamo arrivati sulla luna e che tra non molto saremo pronti a sbarcare su Marte."
Ufo, Medvedev: “Sono tra noi. Non posso dire quanti perché sarebbe il panico”. Il fuorionda del primo ministro russo, captato dopo novanta minuti di intervista in televisione, ha fatto il giro del mondo. “Insieme alla valigetta con i codici di lancio dei missili nucleari al capo del Cremlino - ha detto - viene consegnato anche un fascicolo top secret. Tutte le notizie dettagliate su questo argomento potete ricavarle dal noto film americano Men in black", scrive Giampiero Calapà il 10 dicembre 2012 su "Il Fatto Quotidiano”. XFiles in salsa, anzi insalata, russa. Non ci sono gli agenti del Fbi Fox Mulder e Dana Scully a fare rivelazioni sconcertanti sull’esistenza degli extraterrestri, ma addirittura il primo ministro Dmitry Medvedev. Il suo fuorionda, captato dopo novanta minuti di intervista in televisione, ha già fatto il giro del mondo e, se quello che dice fosse vero, anche di qualche altro pianeta. “Insieme alla valigetta con i codici di lancio dei missili nucleari (che segue ovunque il presidente della Federazione russa, ndr) al capo del Cremlino viene consegnato anche un fascicolo top secret”, dice Medvedev con un tono che pare esageratamente serio e, a parte la stanchezza per la lunga intervista di novanta minuti, non rivela un premier ubriaco. E non basta, perché mentre la telecamera continua a riprendere Medvedev spiega: “Quella cartella contiene informazioni sugli alieni che hanno visitato il nostro pianeta”. La favola di ET, l’Area 51 di Roswell in New Mexico, la serie StarTrek, la leggenda di Guerre Stellari, la saga di Alien, e ancora Mars attak!, Incontri ravvicinati del terzo tipo, Indipendence day. Il mito popolare dell’esistenza degli extraterrestri, alimentato soprattutto dall’industria in celluloide di Hollywood, continua a solleticare la fantasia, tra presunti avvistamenti e testimonianze di rapimenti. È soprattutto cinema. E Medvedev, in questa esternazione che comunque sia passerà alla storia, indica anche con precisione un film, che conterrebbe la chiave di tutto: la risposta che i Mulder e Scully di turno cercano senza poter ottenere mai le prove per arrivare alla verità. Per chi volesse ulteriori informazioni sugli alieni? Semplice secondo il primo ministro russo: “Tutte le notizie dettagliate su questo argomento potete ricavarle dal noto film americano Men in black”. Come nella pellicola del 1997 di Barry Sonnenfeld, interpretata da Will Smith e Tommy Lee Jones, anche a Mosca ci sarebbe un servizio ultra segreto il cui obiettivo è contenere la minaccia degli Ufo, informare il presidente – attraverso un rapporto degli uomini in nero russi sulle attività aliene in territorio nazionale – e fare di tutto per non lasciar trapelare la notizia di forme di vita extraterrestre alle masse popolari. Perché? Medvedev usa la stessa motivazione degli agenti K e J nel film, quella per cui ricorrono allo strano marchingegno capace di azzerare la memoria ai testimoni di presenze aliene: “Non posso dirvi quanti extraterrestri ci sono tra noi, perché questo provocherebbe il panico”. Negli Stati Uniti qualcosa di molto simile a un’ondata di isteria di massa per la paura di un’invasione aliena è già accaduta. Sono le otto di sera del 20 ottobre 1938. Orson Welles, regista e interprete del geniale Quarto potere, parla al microfono della trasmissione radiofonica “Mercury Theatre on the Air”, sulla Cbs: “Sappiamo che nei primi anni del XX secolo questo mondo era osservato da molto vicino da intelligenze più grandi di quella dell’uomo, anche se mortali come la sua”. Welles, ispirato dal romanzo fantascientifico “La guerra dei mondi” di Herbert G. Wells, imbastisce così la cronaca di un’invasione aliena in presa diretta, talmente credibile che molti radioascoltatori americani diedero di matto, nonostante gli annunci precedenti allo sceneggiato avessero avvisato: è finzione. Medvedev questo annuncio preventivo prima delle sue rivelazioni non lo ha fatto, ma il riferimento a Babbo Natale può far sorgere qualche fondato dubbio: “Credo in lui, ma non troppo. Comunque non sono tra quelli che dicono ai bambini che non esiste. Invece, non credo alla profezia dei Maya sulla fine del mondo”. Se non fosse che l’indizio Santa Claus fa capire la serietà delle parole del primo ministro, Medvedev avrebbe in qualche modo smentito quindi, o almeno ignorato, il passo compiuto dalla Casa Bianca oltreoceano soltanto un anno fa: per la prima volta gli Usa hanno dichiarato ufficialmente di non aver mai avuto a che fare con forme di vita di altri pianeti. Niente Area 51, zero rapimenti su astronavi intergalattiche, nessun X-Files, con buona pace dei fan di Fox Mulder.
Area 51, UFO e vita aliena, cade la censura e arriva la notizia bomba del secolo, scrive il 12 maggio 2011 Roberto Mattei su "2righe". Tutto quello che ci hanno sempre nascosto sarà svelato prossimamente dalla troupe televisiva di Peter Yost che ha avuto accesso alla base segreta americana e promette si svelarci cose incredibili. Ufo? Alieni? Entro la primavera la risposta. Volete una notizia bomba da far accapponare la pelle? Bene, sedetevi e tenetevi forte: per la prima volta nella storia, un’equipe televisiva è riuscita ad avere tutte le autorizzazioni necessarie per accedere all’interno di tutti gli uffici, laboratori e dipartimenti ubicati all’interno della base aerea Nellis (Nellis Air Force Base) meglio nota come Area 51. Si tratta di una vasta zona militare super-segreta controllata dalle forze armate statunitensi, che si estende per circa 26 mila km2 all’interno del territorio desertico di Groom Lake, detto anche Dreamland (la terra del sogno), nel sud dello Stato del Nevada. La base ha livelli di sicurezza da film di fantascienza, con sensori di movimento, telecamere, controlli satellitari, uomini armati, missili superficie-aria, disseminati un po’ ovunque lungo il suo perimetro, per impedire l’accesso del personale estraneo e il sorvolo dello spazio aereo da parte di aeromobili non autorizzati. Proprio per questi standard così rigidi, la base aerea Nellis non compare sulle cartine geografiche. Ma cosa accade all’interno dell’area 51 da richiedere una così grande discrezione, inducendo, in passato, il governo americano a sconfessarne addirittura l’esistenza? Ufficiosamente, il sito è adibito alla progettazione, sviluppo e sperimentazione di nuove apparecchiature, per lo più velivoli tecnologicamente avanzati, come aerei spia e moduli lunari. Qui è stato concepito, ad esempio, il famigerato bombardiere supersonico Stealth-B2, l’aeroplano realizzato con materiali compositi a base polimerica unitamente a rivestimenti superficiali radar-assorbenti, che lo rendono impercettibile o difficilmente individuabile da molti strumenti di localizzazione, inclusa la vista. La notizia ancora più riservata, da sempre sulla bocca dei curiosi, è che la base venga impiegata per concepire velivoli non convenzionali, funzionanti con generatori ad antimateria asportati da alcune navicelle extraterrestri catturate in seguito a crash, che permetterebbero di attraversare le barriere spazio-temporali a velocità uguali o superiori a quelle della luce! Robert Scott Lazar, un fisico americano che ebbe modo di lavorare all’interno del sito, affermò di aver visto all’interno dei dischi volanti con caratteristiche sorprendenti: cabine di pilotaggio molto piccole che avrebbero potuto ospitare a malapena un bambino e in nessun caso un uomo adulto, velivoli costruiti con materiali sconosciuti sulla Terra e privi di punti di saldatura, come se l’intero chassis fosse stato fuso all’interno di uno stampo. A ciò si aggiungono le testimonianze di alcuni ex dipendenti, che affermerebbero di aver lavorato a contatto con esseri alieni per lo sviluppo di queste nuove tecnologie e i numerosi avvistamenti giornalieri che i turisti e le equipe televisive di tutto il mondo, hanno immortalato in questi anni con le loro videoriprese e foto. La troupe televisiva che ha avuto accesso all’area 51, filmando i meandri più nascosti della base come mai nessuno aveva fatto prima, è quella del produttore Peter Yost, collaboratore da sempre delle più grandi redazioni televisive del mondo, tra cui NBC News, Discovery-Times e molti altre. L’uomo ha realizzato per la National Geographic Television un documentario – “Area 51 declassified” - destinato a diventare il numero uno nel panorama mondiale degli speciali d’inchiesta, nel quale vengono mostrati documenti declassificati, filmati, fotografie, interviste a ex dipendenti e tante altre cose sottratte per una vita ai nostri occhi e che lo stesso Yost assicura di rilevanza notevole. Infatti, durante la conferenza stampa, tenutasi nel corso della TCA (Television Critics Association) a Los Angeles, l’uomo ha dichiarato: «il programma televisivo pubblicherà foto e filmati esclusivi all’interno della struttura militare, con interviste a ex dipendenti della stessa Area. Alcune delle cose che ci sono state nascoste sono abbastanza notevoli» – ed ha po’ aggiunto – «Ormai è fatta! Siamo in possesso di migliaia di documenti e filmati unici. E’ tutto vero, è tangibile e verificabile. Ed abbiamo alcune sorprese! E’ davvero eccezionale essere riusciti ad ottenere dalla base militare ultra-segreta l’accesso a dei documenti militari declassificati». Non resta allora che aspettare per vedere questo capolavoro sui nostri teleschermi e finalmente conoscere la verità su UFO e alieni.
Ho voglia di raccontarvi una storia…, scrive "Scienza di confine". Dal 2013 sembra che anche la Russia, sulla scia dell’Inghilterra e prima ancora del Belgio e Brasile, abbia aperto i propri X-Files e parte dei documenti decriptati. Son venuti fuori migliaia di testimonianze inerenti esperimenti e ricerca di contatto con esseri extraterrestre. il Ministero della Difesa sovietico stava lavorando ad un progetto segreto volto a creare un sovrumano con abilità paranormali, e con questo sembra l’inizio di un film. Nell'ambito di questo progetto, un gruppo di scienziati è riuscito a entrare in contatto con una civiltà straniera. Solo qualche anno fa, una carica di alto livello del Ministero della Difesa lieutenant-general Alexey Savin ha ammesso pubblicamente alla stampa russa, che alla fine del 1980 un gruppo di ricercatori dell'unità di gestione, Esperti di Stato Maggiore Generale, sono riusciti ad avere un contatto con i rappresentanti di un'altra civiltà. Il consiglio scientifico del programma è stato condotto da un accademico Natalya Bekhtereva, che fino alla sua morte servito come direttore scientifico dell'Istituto di cervello umano di RAS. Oltre duecento professionisti altamente qualificati provenienti da tutto il paese hanno partecipato al programma. "Nel processo di ricerca, siamo giunti alla conclusione che un essere umano è un sistema energetico e di informazioni che è capace di ricevere informazioni dall'esterno. Questo è precisamente il motivo per cui un essere umano può manifestare capacità paranormali", ha detto Alexey Savin. Per identificare questa fonte esterna di informazioni, sono stati creati tre gruppi. Un gruppo è stato formato da scienziati, un altro da militari, e il terzo era composto da donne. Il gruppo di donne ha fatto più progressi significativi nella ricerca. Savin ha spiegato che "volevamo entrare in contatto con i rappresentanti di altre civiltà. E lo abbiamo fatto.” Secondo lui, un metodo speciale è stato sviluppato ed ha permesso al cervello umano di poter entrare in contatto. "Abbiamo dovuto sintonizzare il profilo energetico del cervello umano ad una particolare onda, come fosse una radio", ha spiegato Alexey Savin. Uno speciale sistema di test è stato sviluppato anche per separare le contatti in arrivo da allucinazioni e follia dei partecipanti all'esperimento. I risultati sperimentali sono stati impressionanti: sei partecipanti hanno avuto la possibilità di contatto fisico, e due di loro anche riusciti a visitare una nave aliena. Secondo Savin, i rappresentanti di civiltà extraterrestri si sono rivelati poco a poco, dando via le informazioni come meglio credevano. In particolare, hanno parlato della loro struttura di governo e il sistema di istruzione. Nessuna informazione sulla tecnologia militare è stata rivelata. L'unica cosa che hanno deciso di condividere era uno schema delle apparecchiature per la diagnosi e il trattamento di varie malattie. Il capo dell'esperimento ha spiegato che gli esseri umani sono come bambini piccoli per loro. "La nostra civiltà è troppo giovane per essere di interesse per loro come soggetto per un dialogo. Poiché siamo anche una parte dell'universo, possiamo danneggiare noi stessi e le altre civiltà con le nostre azioni sciocche, quindi ci sorvegliano.” Il programma di comunicazione con intelligenze extraterrestri era stato sviluppato per diversi anni fino a quando è intervenuta la politica. Nel 1993, lo studio è stato interrotto e l'unità sciolta. Secondo Savin, fu in grado di mantenere solo un piccolo numero di documenti, la maggior parte di loro, tra cui i servizi fotografici, sono ancora negli archivi del Ministero della Difesa. Per inciso, il metodo unico per lo sviluppo delle capacità fenomenali di un individuo, fino a poco tempo, è stato utilizzato presso l'Accademia intitolata a Gagarin fino a quando il gruppo non è stato sciolto dall'ex ministro della Difesa Serdyukov. Tuttavia, il nucleo del gruppo di ricerca è stato preservato e continua la ricerca in un settore speciale del ministero della difesa. Quello che vi ho scritto potrebbe essere una storia e basta…oppure… caro lettore...
IL PARANORMALE E LA SCIENZA.
Paranormale. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Il termine paranormale si applica a quei fenomeni (detti anche anomali) che risultano contrari alle leggi della fisica e agli assunti scientifici e che, se misurati secondo il metodo scientifico, sono risultati inesistenti o, nel caso di fenomeno esistente, comunque spiegabili sulla base delle conoscenze attuali. Secondo i parapsicologi, invece, esisterebbero fenomeni non spiegabili in base alle leggi scientifiche attuali e la maggioranza dei parapsicologi si aspetta che future ricerche spieghino queste anomalie anche se ritengono che non saranno spiegabili fino a che non verrà operata una rivoluzione nella scienza attuale. La definizione di fenomeno anomalo è data dagli stessi parapsicologi poiché si tratterebbe di fenomeni difficilmente spiegabili sulla base dei modelli scientifici attuali. La scienza non riconosce l'esistenza del paranormale, i cui fenomeni sono, ad oggi, non provati. Le associazioni che conducono ricerche e operano controlli sui presunti fenomeni paranormali, come l'italiana CICAP, hanno analoga posizione rilevando come ad oggi nessun fenomeno paranormale è mai stato provato come esistente.
Non esiste di fatto una definizione rigorosa e universalmente condivisa del termine. Alcuni lo usano soltanto per indicare il campo di studio della parapsicologia, cioè le cosiddette "percezioni extrasensoriali" come telepatia, chiaroveggenza, precognizione, i presunti "poteri della mente" come telecinesi e pirocinesi e le manifestazioni di fantasmi. In genere, però, la parola "paranormale" viene usata in senso più ampio, per comprendere tutti i fenomeni considerati scientificamente inattendibili o inspiegabili, come le esperienze extracorporee, il triangolo delle Bermude, i miracoli, i poteri dei fachiri, eccetera. Il Journal of Parapsychology definisce come "paranormale" «qualsiasi fenomeno che in uno o più aspetti superi i limiti di ciò che è considerato fisicamente possibile secondo le assunzioni scientifiche del momento». L'altra caratteristica che accomuna i presunti fenomeni paranormali è la mancanza di prove oggettive a sostegno della loro effettiva esistenza: vengono riferiti numerosissimi esempi di tali anomalie, ma si tratta in genere di testimonianze non documentate oppure di esperimenti eseguiti in modo non abbastanza rigoroso da poter escludere imbrogli o autosuggestione. Le cause per cui molto spesso si parla erroneamente di fenomeni paranormali sono sostanzialmente tre:
fenomeni naturali scambiati per soprannaturali: ad esempio, fenomeni atmosferici o velivoli terrestri scambiati per UFO, oppure fenomeni poco noti (come i fulmini globulari) o controintuitivi e quindi considerati erroneamente inspiegabili: ad esempio, le cosiddette salite in discesa;
autosuggestione: ad esempio, persone che in buona fede si convincono di avere facoltà telepatiche;
falsi fenomeni paranormali prodotti con l'inganno: ad esempio, i fenomeni di spiritismo prodotti dalle sorelle Fox.
Alcuni fenomeni anomali si collocano all'interno di quella che è stata chiamata scienza patologica, cioè quelle idee delle quali “non ci si riesce a liberare”, anche molto tempo dopo essere state dichiarate erronee dalla maggior parte degli studiosi di un dato settore.
Ricerche sul paranormale sono condotte dai parapsicologi. La parapsicologia iniziò a utilizzare un approccio sperimentale già negli anni trenta con Joseph Rhine. Tra gli anni cinquanta e gli anni settanta nacquero diversi centri di ricerca anche in seno alle università. Dagli anni settanta in poi la considerazione per le ricerche sul paranormale è andata via via scemando. Le ricerche furono considerate inconcludenti e i parapsicologi si trovarono di fronte alla forte opposizione dei loro colleghi accademici. Alcuni effetti che sembravano essere paranormali, ad esempio l'effetto Kirlian, scomparvero quando furono testati sotto stretti controllo. Molti laboratori di ricerca statunitensi furono chiusi. Dopo ventotto anni di ricerche il Princeton Engineering Anomalies Research Laboratory ha chiuso i propri laboratori nel 2007.
Le differenze tra paranormale e religione vanno innanzitutto ricerca sul piano empirico: mentre le affermazione relative al paranormale si riferiscono al mondo fisico e quindi possono essere oggetto di indagine scientifica, la religione appartiene al mondo della metafisica e quindi non suscettibile di indagine.
Nonostante questo i due campi spesso si toccano senza necessariamente incontrarsi: davanti al rito religioso, ad esempio, dell'eucaristia, nella transustanziazione, la chiesa cattolica afferma « la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del Suo Sangue », sebbene «Tuttavia, le caratteristiche sensibili del pane e del vino, cioè le "specie eucaristiche", rimangono inalterate. » (Compendio al catechismo della Chiesa cattolica). L'essenza stessa di tale rito trova in ogni caso il proprio fondamento nella fede, più che nell'analisi scientifica.
In taluni casi tuttavia possono esservi punti di contatto tra paranormale e alcuni fenomeni religiosi (cosiddetto paranormale religioso) come ad esempio i miracoli, in questi casi si tratta di fenomeni empirici (e come tali suscettibili di indagine scientifica) ai quali la religione attribuisce determinate cause e significati.
Nel linguaggio corrente si tendono a confondere i fenomeni scientificamente non spiegati con i fenomeni paranormali.
Esiste invece una netta differenza fra questi due concetti. I primi sono quei fenomeni (biologici, fisici eccetera), osservabili anche in condizioni scientificamente controllate, ai quali però la scienza finora non è stata in grado di dare una spiegazione (per esempio: siamo in grado di descrivere i fulmini globulari e il loro comportamento, ma non sappiamo ancora spiegare il modo in cui si formano). I secondi sono invece fenomeni che nonostante le numerosissime affermazioni contrarie, non sono stati mai finora osservati in condizioni scientificamente controllate, soprattutto per quanto riguarda la ripetibilità degli esperimenti. La differenza non corre affatto, come si crede spesso, tra fenomeni "non ancora spiegati" e fenomeni "inspiegabili tout-court". È proprio l'osservazione di fatti veri non spiegati che ha sempre portato evoluzione nelle teorie scientifiche (si pensi ad esempio alle osservazioni che hanno portato alla formulazione della teoria della Meccanica Quantistica). Viceversa, numerosissimi fenomeni "paranormali" sono in realtà spiegabilissimi in base alle conoscenza scientifiche (e in certi casi anche banali trucchi di illusionismo). In genere, al crescere del controllo dell'esperimento per prevenire errori o frodi, i fenomeni paranormali diminuiscono di frequenza, fino a scomparire del tutto quando si applica un controllo scientifico rigoroso.
La differenza tra "scientifico" e "non scientifico" corre quindi tra fenomeni osservabili in condizioni scientificamente controllate, e fenomeni non osservabili in tali condizioni, e non tra fenomeni "spiegabili" e "inspiegabili".
Un secondo errore comune consiste nella credenza per cui la scienza rifiuta ciò che non può capire. Al contrario, la scienza esiste per investigare esattamente quel che non si sa (ancora) spiegare. Lo scienziato che riuscisse a riprodurre un fenomeno di telecinesi, o di telepatia, o di precognizione, diverrebbe non solo famoso, ma soprattutto ricchissimo. Non è quindi credibile che esista, come affermano coloro che credono nel paranormale, una "congiura" fra gli scienziati per mettere a tacere i risultati favorevoli alle teorie parapsicologiche. La tesi di chi crede nei fenomeni paranormali è che tra gli scienziati sia molto diffuso uno scetticismo aprioristico, ossia una tesi preconcetta secondo cui il paranormale non può esistere. Da parte loro gli scettici fanno notare che su taluni effetti (ad es. "Effetto Marte" di Gauquelin) anche gli stessi parapsicologi (dopo anche 15 anni di studi) hanno dovuto convenire sull'assenza di fenomeni anomali. Più semplicemente la scienza non riesce a trovare alcun vero fenomeno paranormale da spiegare [...] la telepatia, la psicocinesi, o la chiaroveggenza non sono 'inspiegabili', sono molto più banalmente non-accaduti, nel senso che tali fenomeni non si sono mai verificati in condizioni di controllo. Fenomeni ed eventi considerati un tempo "paranormali" (come il fulmine) fanno oggi parte del campo di studio "normale" della scienza, mentre discipline che erano considerate un tempo assolutamente scientifiche sono passate nel campo del "paranormale" nella misura in cui non sono state più in grado di rispondere ai criteri minimi di verificabilità richiesti da nuovi concetti di scienza. Un esempio di tale tipo è l'astrologia.
La scienza non è il sapere tout-court, e l'epistemologia lo afferma con chiarezza. La scienza è una forma di sapere umano: quello che riesce a fondare le sue affermazioni su un preciso metodo, detto metodo scientifico, che richiede che un'affermazione, per essere considerata "vera", sia tra le altre cose verificabile (e secondo Karl Popper, falsificabile). Il problema con il paranormale sorge perché, secondo gli scettici, chi lo studia afferma di potere aspirare a una verità di tipo scientifico, senza però sottoporsi alle verifiche tipiche del metodo scientifico. Semplificando un poco, in un esperimento scientifico è sempre necessario riuscire a verificare:
(a) che una spiegazione più semplice di quella proposta non sia in grado di rendere conto del fenomeno (rasoio di Occam);
(b) che sia stato fatto tutto il possibile per escludere manipolazioni, contaminazioni, interferenze (anche e soprattutto involontarie e inconsce) da parte dei soggetti studiati e da parte degli studiosi stessi;
(c) che i risultati siano statisticamente significativi, ossia che avvengano con frequenza superiore a quella che si avrebbe in base al semplice caso;
(d) che i risultati siano verificabili da altri ricercatori (il successo costante di un unico ricercatore può essere dovuto a errore metodologico ripetuto, ma anche a truffa scientifica e manipolazione dei dati, più frequenti di quanto si pensi);
(e) che i risultati siano ripetibili (un singolo successo può essere dovuto al puro caso).
Fra queste altre caratteristiche la più importante è che il campo dell'esperimento deve essere chiaramente delimitato, e che va definito con chiarezza prima di iniziare l'esperimento cosa si consideri una "riuscita" e cosa un "fallimento" dell'esperimento stesso. Nel caso delle ricerche sul cosiddetto "paranormale", invece, spesso una, talvolta più di una, in qualche caso tutte queste regole non vengono rispettate. I tentativi che i ricercatori di estrazione scettica hanno fatto di porre in condizioni di controllo chi asseriva di avere poteri paranormali si sono, fino ad oggi, conclusi con l'assenza di risultati. Secondo i sostenitori dell'esistenza del paranormale questo non implicherebbe che il paranormale non esista: potrebbe semplicemente darsi che gli esperimenti non siano ancora adeguati, esattamente come le onde radio esistevano anche prima che gli esseri umani fossero in grado di captarle e misurarle. Secondo tale tesi, se la situazione è questa, la scienza avrebbe bisogno di ampliare il proprio campo di conoscenze scientifiche per poter spiegare i cosiddetti fenomeni paranormali, inspiegabili secondo gli attuali paradigmi. Quanto detto fin qui, secondo i sostenitori del paranormale, non implicherebbe che i fenomeni paranormali siano "falsi" ma che non esistono le leggi scientifiche entro cui inquadrare un mondo reale, molto più vasto di quello compreso nei confini della scienza o che comunque si tratterebbe di fenomeni per i quali l'indagine tramite metodo scientifico sarebbe inidonea e superata. La tesi dominante tra i sostenitori del paranormale è che l'atteggiamento scientifico verso questo tipo di fenomeni dovrebbe essere oggi quella di apertura e non di tipo scettico, poiché, a detta loro, il termine "scettico" implicherebbe già di per sé un rifiuto aprioristico e un pre-giudizio, che sarebbe incompatibile con quello di imparzialità nella ricerca. Viene tuttavia fatto notare che scetticismo, per definizione, significa proprio ricercare la verità in assenza di pregiudizi. Viceversa, la tentazione di annacquare il metodo scientifico, diminuendo il livello e il rigore del controllo e delle verifiche fino a che si ottengono infine risultati, può solo portare discredito a questo campo di ricerca, come dimostra la circostanza che ad oggi il paranormale è ricompreso nell'area delle pseudoscienze.
Esiste un "Premio di un milione di dollari" messo in palio dal prestigiatore e debunker James Randi a chiunque sia in grado di produrre un qualsiasi fenomeno paranormale purché in condizioni di controllo. Altre sfide volte a provare l'esistenza del paranormale in condizioni di controllo sono quella denominata International Zetetic challenge del Laboratorio di Zetetica e quella da 100.000 dollari dell'associazione Australian Skeptics.
Supernatural (serie televisiva). Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Supernatural è una serie televisiva statunitense di genere paranormale e drammatico creata da Eric Kripke e prodotta dal 2005. Girata a Vancouver, nella British Columbia, segue le vicende dei fratelli Sam e Dean Winchester, interpretati rispettivamente da Jared Padalecki e Jensen Ackles, cacciatori di demoni e altre figure del paranormale. Rimase in fase di sviluppo per quasi dieci anni prima che Kripke riuscisse a lanciarla sul piccolo schermo. L'episodio pilota debuttò il 13 settembre 2005 sul network The WB, venendo seguito da quasi 5,7 milioni di persone, mentre dalla seconda stagione fu compresa nel palinsesto della nuova emittente The CW, nata dall'unione della stessa The WB e UPN. La serie è prodotta dalla Warner Bros. Television, in associazione con Wonderland Sound and Vision. Il team di produttori esecutivi comprende Eric Kripke, McG e Robert Singer; l'ex produttore esecutivo Kim Manners morì di cancro ai polmoni durante la produzione della quarta stagione. In origine, Kripke aveva programmato la serie per tre stagioni, che successivamente divennero cinque; la quinta conclude infatti la trama principale dello show così come era stata immaginata dall'ideatore. Tuttavia, negli anni successivi The CW continuò a rinnovare Supernatural per nuove stagioni: a seguito di ciò, Kripke rimase a lavorare come produttore esecutivo ma non più come showrunner, ruolo per il quale venne sostituito prima da Sera Gamble e poi da Jeremy Carver. Dal 7 ottobre 2015 negli Stati Uniti è in onda l'undicesima stagione, mentre l'11 marzo 2016 è stata confermata anche la produzione di una dodicesima stagione. L'8 gennaio 2017 la serie è stata ufficialmente rinnovata per una tredicesima stagione.
Trama. Il 2 novembre 1983 la madre di Dean e Sam Winchester, Mary, perde la vita uccisa da un demone che incendia la loro casa. Il padre dei due bambini, John, inizia a educare i figli alla caccia del soprannaturale con lo scopo di trovare la creatura che uccise sua moglie e vendicarsene. Dean, il più grande dei due fratelli, segue alla lettera gli ordini del padre e passa l'infanzia a proteggere il fratello Sam, che invece dopo il liceo decide di abbandonare la caccia e di andare all'università.
Prima stagione. John Winchester non dà più sue notizie da settimane. Dean decide di raggiungere il fratello all'università di Stanford, a Palo Alto, per chiedergli di aiutare a cercarlo. Sebbene Sam sia riluttante, la morte della fidanzata Jessica, avvenuta per mano del demone che uccise Mary ventidue anni prima, lo convince a tornare a cacciare. I fratelli scoprono l'identità della creatura, un demone dagli occhi gialli chiamato Azazel, e si ricongiungono col padre. John viene posseduto dal demone, che però riesce a fuggire prima che Sam trovi il coraggio di sparare al padre. L'ultima scena vede i fratelli Winchester con il loro padre vittime di un incidente d'auto causato da un demone, con Dean e John in fin di vita.
Seconda stagione. John Winchester vende la propria anima ad Azazel in cambio della vita di Dean. Nonostante il lutto, i fratelli continuano la caccia, decisi a ritrovare il demone. I due scoprono che ci sono altre persone che, come Sam, sono state avvicinate dallo stesso demone a 6 mesi di vita e hanno in comune alcuni poteri paranormali. Azazel si prepara a combattere una guerra e ha bisogno di un soldato speciale, scelto tra questi individui, che assuma il comando di un esercito di demoni. Azazel raduna dunque i candidati in un villaggio disabitato e, dopo un susseguirsi di eventi, Sam viene pugnalato a morte da un altro dei prescelti, Jake. Un patto tra Dean e un demone degli incroci restituisce la vita a Sam. Azazel, con l'aiuto di Jake, riesce ad aprire una delle porte dell'Inferno, liberando centinaia di demoni; infine Dean lo uccide sparandogli con una speciale pistola costruita da Samuel Colt, in grado di uccidere quasi tutte le creature paranormali.
Terza stagione. I fratelli Winchester cercano di salvare l'anima di Dean, al quale rimane solo un anno di vita. Ruby, un demone che offre a Sam il suo aiuto per salvare il fratello, gli rivela che a tenere il contratto è Lilith, uno dei demoni più antichi e potenti. I Winchester incontrano inoltre Bela Talbot, una ladra inglese di oggetti occulti che ruba loro la pistola speciale costruita da Samuel Colt tentando, invano, di salvarsi dal demone a cui ha venduto l'anima 10 anni prima. Sam e suo fratello tentano di avvicinarsi a Lilith per ucciderla, sperando di salvare in questo modo l'anima di Dean. Il piano tuttavia fallisce e il ragazzo muore, divorato dai segugi infernali.
Quarta stagione. Dean fugge miracolosamente dall'Inferno, risvegliatosi confuso e frastornato in una tomba. È stato salvato da un angelo di nome Castiel per ordine di Dio, che ha bisogno del cacciatore per la guerra che sta per iniziare. Sam ha ulteriormente sviluppato le sue capacità paranormali con l'aiuto di Ruby durante i mesi in cui Dean è deceduto. È presto rivelato che Dean è stato riportato alla vita per contribuire a fermare il piano di Lilith, che consiste nel rompere i 66 sigilli necessari per liberare Lucifero e dare inizio all'Apocalisse. I sigilli, che non sono altro che atti di violenza e omicidio, si rompono uno dietro l'altro e neanche le forze del Paradiso sembrano bastare per fermarli. Dean e Sam si allontanano sempre di più, poiché il primo ha paura delle decisioni del fratello che, dietro suggerimento di Ruby, beve sangue demoniaco per rafforzare i suoi poteri. Castiel rivela a Dean il suo destino, ovvero fermare l'avanzata di Lucifero ed impedire l'Apocalisse. L'ultimo sigillo da spezzare è il sacrificio stesso di Lilith. Sam, credendo di poter porre fine al ritorno di Lucifero con i suoi poteri, viene spinto da Ruby a uccidere il demone. Dean, rallentato dall'angelo Zaccaria, non raggiunge in tempo il fratello per evitare la rottura dell'ultimo sigillo. I due Winchester non possono fare altro che assistere impotenti alla liberazione di Lucifero.
Quinta stagione. Lucifero si risveglia, e ha inizio l'Apocalisse. Egli, che come tutti gli angeli ha bisogno di un corpo umano in cui vivere, trova il suo tramite in Nick, un uomo cui è stata uccisa la famiglia e desideroso di vendetta. Gli angeli sperano nella discesa in campo dell'arcangelo Michele, colui che scacciò Lucifero dal Paradiso. Successivamente viene rivelato che nella guerra a venire Sam e Dean sono destinati a essere il tramite rispettivamente di Lucifero e di Michele, ma nessuno dei due è disposto ad accettare tale responsabilità. L'arcangelo Gabriele propone ai Winchester un metodo alternativo per fermare Lucifero: catturarlo e imprigionarlo nella gabbia da cui è stato liberato. Per riaprirla sono però necessarie quattro chiavi, che corrispondono ai quattro anelli dei Cavalieri dell'Apocalisse: Guerra, Carestia, Pestilenza e Morte. I Winchester riescono a impadronirsi degli anelli dei primi tre, mentre il quarto viene offerto a Dean da Morte stesso a patto che non si opponga alla scelta di Sam di diventare il tramite di Lucifero. Michele s'impadronisce di Adam, fratellastro dei Winchester per parte di padre, mentre Sam si offre come tramite a Lucifero, nella speranza di riuscire a uccidere l'Angelo trascinando il proprio corpo posseduto all'Inferno. Il piano fatica a compiersi, fin quando Sam riesce a trovare la forza per controllare Lucifero, trascinando se stesso e l'arcangelo Michele nella gabbia. Dean, perduto il fratello, decide d'iniziare una nuova vita abbandonando quella da cacciatore.
Sesta stagione. Senza l'arcangelo Michele alla guida degli angeli, è guerra civile in Paradiso. Come promesso al fratello, Dean si costruisce una vita normale, andando a vivere con la sua vecchia fiamma Lisa. Dopo un anno, sull'uscio di casa si ripresenta Sam che gli fa sapere di essere stato riportato in vita insieme a Samuel Campbell, loro nonno materno. Dean presto si accorge che Sam durante le missioni è molto più efficiente e spietato, freddo e calcolatore. Chiedendo quindi aiuto a Castiel il gruppo scopre che il suo corpo è stato riportato sulla Terra senz'anima. Dean fa un patto con Morte, che riporta l'anima di Sam nel corpo del ragazzo, bloccandogli però il ricordo degli eventi vissuti nella gabbia con Michele e Lucifero, che sarebbero in grado di farlo impazzire. Castiel ammette di essersi alleato segretamente con Crowley, ex Re dei demoni degli incroci e ora nuovo reggente degli Inferi, che come l'angelo vuole trovare l'ingresso per il Purgatorio, mitico piano d'esistenza popolato dalle defunte creature soprannaturali, per impossessarsi delle anime in esso contenute. Il demone rapisce Lisa e suo figlio Ben per usarli contro Sam e Dean e convincerli a non fermare i loro piani; non condividendo il suo operato, Castiel tradisce il loro patto e batte Crowley sul tempo, aprendo il Purgatorio per conto suo: una volta impadronitosi dell'energia delle anime, la sua natura angelica subisce un'evoluzione e l'angelo si proclama come nuovo Dio.
Settima stagione. Castiel si trova sopraffatto da tutto il potere che ha acquisito e comprende il suo errore. Nel tentativo di far tornare tutte le anime nel Purgatorio, lascia dentro di sé le creature primordiali, i Leviatani che cancellano la memoria e la volontà di Castiel facendolo annegare. Le acque in cui si sono immersi diventano tramiti per impossessarsi di altri corpi: scopo dei leviatani è infatti quello di conquistare l'umanità rendendola cibo a loro disposizione. Sam e Dean hanno il compito di fermarlo, ma, mentre Sam è in preda a forti allucinazioni causate dai ricordi dell'Inferno, Dean non riesce più a trovare fede in niente e nessuno, ancora sconvolto dal tradimento e dalla morte di Castiel. Il capo dei leviatani, Dick, oltre a diventare una figura politica di spicco, costruisce anche delle fabbriche di alimenti apparentemente sani, che nascondono sostanze che rendono l'uomo più incline a farsi divorare. Durante uno dei tentativi dei fratelli Winchester di impossessarsi dei progetti della nuova fabbrica, viene colpito mortalmente il fedele Bobby che, contro tutti i principi di un cacciatore, per poter rimanere a fianco dei ragazzi diventa un fantasma. La pazzia di Sam lo sta riducendo in fin di vita e Dean, non potendo sopportare di veder morire anche il fratello, va alla ricerca di un nuovo santone, Emanuel, che altri non si rivela che Castiel, privo di memoria e inconsapevole della sua natura divina. Purtroppo Castiel, dopo aver recuperato memoria e trench grazie a Dean e all'intervento del demone Meg, non è in grado di sanare la ferita di Sam, ma solo di spostarla verso se stesso. Sam è quindi libero dalle sue visioni, ma Castiel rimane rinchiuso in manicomio in stato catatonico, fino a quando non compare un nuovo profeta, che rivela ai cacciatori come uccidere i leviatani. I fratelli, grazie all'aiuto di Castiel, riescono a salvare nuovamente l'umanità; ma nel rispedire Dick nel purgatorio, anche Castiel e Dean rimangono intrappolati.
Ottava stagione. Dopo aver passato un anno in Purgatorio, Dean riesce ad uscirne e torna a cacciare insieme al fratello, mentre Castiel sembra essere rimasto nel Purgatorio. I due cacciatori entrano in possesso del Verbo di Dio, una tavola di pietra che spiega come sigillare per sempre le porte dell'Inferno e impedire ai demoni di mettere di nuovo piede sulla Terra. Intanto Sam fa la conoscenza di Benny, un vampiro amico di Dean che ha conosciuto in Purgatorio e che lo ha aiutato a uscirne. Castiel riesce a uscire dal Purgatorio grazie a un angelo di nome Naomi che plagia la sua mente per tenere sotto controllo i Winchester, Dean felice di riaverlo accanto ignora la cosa. Dean e Sam incontrano il loro nonno paterno, Henry Winchester, proveniente dal passato, scoprendo che è un uomo di Lettere, ovvero un membro appartenente a una congrega che possiede la più grande raccolta di informazioni sul soprannaturale esistente, ma muore nel tentativo di aiutare i suoi nipoti a sconfiggere il demone Abaddon, un Cavaliere dell'Inferno. I Winchester sconfiggono il demone tagliando il suo corpo in tanti pezzi. Il profeta Kevin traduce il Verbo e scopre che solo chi adempie a tre prove può chiudere le porte dell'Inferno. Sam supera la prima, uccidere un Cerbero e bagnarsi il corpo nel suo sangue. Meg informa i Winchester che Crowley è alla ricerca della tavola che può chiudere anche le porte del Paradiso. Crowley uccide Meg e Castiel cerca di uccidere Dean a causa dell'influsso di Naomi, che obbliga l'angelo a eseguire i suoi ordini, ma Dean aiuta l'amico liberandolo dal controllo di Naomi. Kevin scopre che la seconda prova consiste nel salvare un'anima dall'Inferno per farla ascendere al Paradiso, Sam salva l'anima di Bobby, anche grazie all'aiuto di Benny che sacrifica la sua vita per aiutarli. I Winchester rintracciano un angelo caduto, Metatron, colui che scrisse il Verbo di Dio, e rivela che la terza e ultima prova consiste nel curare un demone. Metatron convince Castiel a superare le prove per chiudere i cancelli del Paradiso, Castiel accetta ritenendo che gli angeli abbiano causato troppi problemi agli umani, così da impedirgli di mettere nuovamente piede sulla Terra. Castiel supera la prima prova uccidendo un Nefilim (un ibrido metà angelo e metà umano), nel frattempo i Winchester scoprono che curare un demone significa riaccendere la sua umanità, Dean e Sam decidono così di riassemblare il corpo di Abaddon per curarla, ma lei riesce a fuggire; i due cacciatori catturano Crowley e Sam cerca di riaccendere la sua umanità somministrandogli il suo sangue ogni ora per otto ore. Dean aiuta Castiel con la seconda prova per chiudere le porte del Paradiso, ovvero rubare l'arco di Cupido, ma alla fine Metatron rivela di aver usato Castiel per i suoi scopi, infatti voleva vendicarsi del Paradiso per essere stato cacciato via e uccide Naomi, rivelando a Dean che quando Sam porterà a termine l'ultima prova morirà. Dean corre a fermare Sam salvandolo in tempo, anche se le sue condizioni di salute sono pessime, mentre Metatron riesce a espellere tutti gli angeli dal Paradiso rubando la grazia a Castiel e facendolo diventare umano. Sulla Terra Dean guarda il cielo costellato di luci che cadono, ognuna di esse corrisponde a un angelo caduto.
Nona stagione. Dopo aver tentato di chiudere i cancelli dell'inferno, Sam entra in coma e Dean per salvarlo rivolge una preghiera agli angeli, ormai caduti tutti (eccetto Metatron) sulla Terra. Ezechiele offre il suo aiuto, ma egli in realtà è Gadreel e fa il doppio gioco per Metatron e approfitta della lealtà dei Winchester per uccidere Kevin.
Gli angeli caduti sono ormai divisi in fazioni e molti di essi cercano di uccidere Castiel, il quale ruba la grazia ad un altro angelo per poter recuperare i suoi poteri. Intanto Crowley è ancora prigioniero, di Sam e Dean. Abbadon, visto il vuoto di potere, cerca dunque di conquistarsi la supremazia sui demoni. C'è solo un modo per uccidere Abbadon e liberarsi di Metatron: la "Prima Lama", l'arma che permise a Caino di uccidere Abele il cui prezzo fu divenire il progenitore della stirpe dei Cavaliere dell'inferno. La lama è inutile senza il marchio di Caino, che egli infonde a Dean. Il marchio però ha un prezzo da pagare: il continuo desiderio di uccidere. Dopo aver trovato la Prima Lama, Dean usa l'arma per uccidere Abbadon, poi Dean infine affronta Metatron, ma muore nella lotta. Castiel affronta Metatron e di fronte agli altri angeli riesce a smascherarlo, e finisce rinchiuso in una prigione angelica. In chiusura Crowley dà il bentornato in vita a Dean: il marchio di Caino è più potente perfino della morte e porta ad un nuovo tipo di vita: quella demoniaca. Vita da Cavaliere dell'Inferno.
Decima stagione. Dean è diventato un demone e inizia a viaggiare insieme a Crowley, l'ex cacciatore è cambiato molto infatti è diventato violento e crudele, Sam prova a cercarlo per riportarlo a casa, mentre Castiel prova a cercare la sua grazia che Metatron gli aveva rubato. Crowley, che in un primo momento vedeva in Dean un formidabile alleato, comprende di non poterlo gestire, quindi aiuta Castiel dandogli una nuova grazia, quest'ultimo salva Sam da Dean, infine Sam lo fa ritornare umano riaccendendo la sua umanità nello stesso modo in cui riaccese quella di Crowley, anche se il Marchio di Caino resta ancora un problema. Dean, usando la Prima Lama uccide Caino, inoltre, gradualmente, il marchio contamina la sua anima rendendolo nuovamente malvagio. Crowley scopre che sua madre, la strega Rowena, conosce il modo per distruggere il Marchio di Caino essendo esso una maledizione, è quindi è possibile debellarlo; un'amica dei Winchester, Charlie, dà ai due fratelli il libro dei dannati, dove sono trascritte le maledizioni più potenti e come sconfiggerle, Sam spera di poter trovare nel libro il modo per distruggere il marchio. Castiel fa evadere Metatron dalle prigioni angeliche, lui lo porta dalla sua grazia, quindi Castiel riottiene i suoi poteri, anche se Metatron scappa. La famiglia Styne, una potente e malvagia dinastia che vuole il libro dei dannati, dà la caccia a Charlie, la quale riesce a decifrare i codici con i quali tradurre il libro; un membro della famiglia Styne, Eldon, la uccide, e quindi Dean, fuori di sé dalla rabbia, uccide Eldon dopo aver sterminato tutta la famiglia. Rowena, che con i codici di Charlie riesce a tradurre il libro dei dannati, trova l'incantesimo per distruggere il Marchio di Caino, quindi Castiel chiede a Crowley di aiutare sua madre dandogli l'occorrente per l'incantesimo. Dean sentendo di essere diventato troppo pericoloso, chiede aiuto al cavaliere della morte, quest'ultimo rivela a Dean che il marchio è un sigillo creato da Dio che racchiude in sé l'Oscurità, la malvagia energia primordiale che esistì prima di Dio e della creazione; Dio, con l'aiuto degli arcangeli, la sigillò nel marchio, poi lui affidò il marchio al suo angelo prediletto, Lucifero, ma la sua energia oscura lo rese crudele e invidioso dell'umanità, poi lui lo diede a Caino che infine lo passò a Dean. Sam prova a convincere Dean a non arrendersi, mentre Morte spinge il maggiore dei Winchester a uccidere Sam, dandogli la sua falce, capace di uccidere qualunque cosa, ma Dean la usa per uccidere proprio Morte, infine Rowena con l'incantesimo distrugge il Marchio di Caino, e Dean ritorna normale, ma con la distruzione del marchio l'Oscurità è nuovamente libera dalla sua prigionia.
Undicesima stagione. Sam si risveglia svenuto nell'Impala e, non vedendo suo fratello, inizia a cercarlo per poi trovarlo in un campo lì vicino. Dean rivela al fratello di aver avuto un colloquio con l'oscurità che ha preso apparentemente la forma di una donna in un abito nero; inoltre Dean aggiunge che lei lo ha ringraziato per averla liberata. Durante la via del ritorno, i fratelli incontrano uno sceriffo di nome Jenna Nickerson ferita gravemente e la portano nell'ospedale più vicino dove avranno un primo assaggio dei poteri pericolosi dell'Oscurità: incontreranno infatti degli uomini nei quali viene alla luce la loro oscurità interiore, portandoli ad essere rabbiosi ed aggressivi. Durante la fuga i due fratelli si dividono: Dean dovrà proteggere e portare in salvo Jenna e una neonata, Amara; mentre Sam rimarrà in ospedale a combattere dove verrà ben presto infettato. Dean e Jenna vanno dalla nonna di quest'ultima che, rendendosi conto che Amara può lievitare gli oggetti, chiama un esorcista: padre Crowley. Amara non è una bambina qualsiasi, infatti, Dean vede impresso sulla sua spalla il marchio di Caino. Amara succhia fuori l'anima di Jenna e lei diventa senza anima, come Sam era una volta. Dopo Crowley la uccide, ma Dean lo attacca poiché ha intenzione di prendere la bambina, ma quest'ultima rapidamente cresce ed uscirà dalla culla con le proprie gambe. In ospedale, Sam trova una cura per la malattia: il Fuoco Sacro. Sam e Dean alla fine si riuniscono e trovano Cas al bunker, ancora scosso dall'incantesimo di Rowena, mentre Crowley trova Amara e la porta all'Inferno, prendendosi cura di lei che lo chiamerà "zio Crowley". I Winchester cercano inutilmente modi per trovare e fermare l'Oscurità, ma alla fine Sam rivela a Dean che sta avendo visioni che secondo lui è Dio stesso. Queste con il tempo diventano sempre più chiare e Sam inizia ad avere visioni della Gabbia di Lucifero. Intanto Castiel va alla ricerca di Metatron, lo scriba di Dio, che gli rivela che Dio non solo imprigionò l'oscurità, ma la tradì e la sacrificò per plasmare il creato: l'Oscurità è il suo unico parente, la sorella maggiore. Sam, comprendendo che non c'è altro modo, decide di andare nella Gabbia di Lucifero per parlare con lui e scoprire come uccidere l'Oscurità, infatti Lucifero, Gabriele, Michele e Raffaele la imprigionarono insieme a Dio. Lucifero gli rivela che le visioni di Sam sulla Gabbia erano opera sua, non di Dio, e che vuole che Sam torni ad essere il suo tramite per tornare libero e battere l'Oscurità. Tuttavia, Sam si rifiuta di fungere da tramite, perché se anche Lucifero vincesse, non farebbe altro che scatenare di nuovo l'Apocalisse. Castiel e Dean arrivano e cercano di prendere tempo mentre Rowena sigilla Lucifero nella Gabbia, ma Castiel, sentendosi inutile e non trovando altro modo, decide di diventare lui stesso il tramite di Lucifero. Alla fine, però, ogni mezzo per poter uccidere Amara viene reso vano, quindi nemmeno Lucifero può vincere. Metatron parla con Dio, il quale rivela di essersi ritirato perché stanco di vedere i maltrattamenti subiti dalla Terra a causa degli esseri umani che lui stesso ha creato, così Metatron lo rimprovera di essere un codardo e che si è arreso, quando invece gli umani continuano a combattere. Dio, così, decide di scendere in campo e si rivela a Dean e Sam: era sempre stato Chuck. Quest'ultimo, dopo aver rivelato di essere Dio, parla con Lucifero che, dopo aver ottenuto finalmente da Dio le scuse per avergli affidato il marchio di Caino per poi punirlo quando esso lo ha corrotto, decide di combattere a fianco al padre. In sostituzione degli altri tre arcangeli, Dean, Sam e Lucifer cercano alleati e trovano Crowley, Rowena e altre streghe, e tutti gli altri angeli. Oscurità sembra sconfitta ma, quando si rende conto che il fratello vuole imprigionarla nuovamente, si infuria e sconfigge tutti, ed esorcizza lo spirito di Lucifero dal corpo di Castiel, infine riduce in fin di vita Dio. Dean, comprendendo di essere l'unico a potersi avvicinare abbastanza a lei da attaccarla grazie alla loro connessione, viene caricato di migliaia di anime in modo da generare una bomba che possa distruggere l'Oscurità. Dean è quindi destinato a sacrificarsi nell'esplosione che sarà provocata dal suo stesso corpo e raggiunge Amara. Quest'ultima gli rivela che con la morte di Dio tutto svanirà, poiché senza uno di loro due il creato stesso cesserà di esistere, poiché non c'è Luce senza Oscurità e viceversa. Dean, parlando con Amara, riesce a farle capire che la vendetta non la farà sentire felice ed ella comprende che la sola cosa che desidera è che lei e suo fratello possano riconciliarsi. Amara evoca quindi Dio, in punto di morte, e lo guarisce, salvando così la distruzione che lei stessa stava provocando. Dio estrae le anime da Dean, che così non deve più morire, Amara lo ringrazia per quanto ha fatto per lui e gli rivela che lo ringrazierà materialmente per ciò che ha fatto per lei. Dio e Amara svaniscono insieme per poter stare un po' in famiglia e Dean, mentre torna dal fratello, scopre il dono di Amara: sua madre è tornata in vita. Sam riceve la visita di Tony Bevell, membro degli uomini di lettere della sezione di Londra, la quale spara a Sam.
Prima di portare Supernatural in televisione, il creatore Eric Kripke sviluppò la serie per quasi dieci anni, essendo stato affascinato dalle leggende metropolitane fin da quando era piccolo. Sebbene avesse inizialmente pensato a Supernatural come a un film, passò molti anni a tentare di renderlo una serie televisiva. L'idea iniziale attraversò diverse fasi prima di diventare il prodotto conclusivo, passando da una serie antologica sul paranormale fino a una serie su due reporter che girano per gli Stati Uniti su un furgoncino «cacciando demoni in cerca della verità». Kripke desiderava che fosse una serie on the road, pensando che fosse il «miglior mezzo per raccontare queste storie, che sono radicate nel folklore americano. Queste storie esistono in diversi piccoli paesi sparsi in tutta la nazione, e ha molto più senso entrarci e uscirci – letteralmente – con una macchina». Poiché aveva precedentemente lavorato nella The WB per la serie Tarzan, Kripke aveva l'opportunità di lanciare un nuovo progetto, e la sfruttò per Supernatural. Al network non piacque però che i protagonisti fossero reporter, così Kripke decise che i due sarebbero stati fratelli, e che provenissero da Lawrence, in Kansas, scelta dovuta alla vicinanza di questa città al Cimitero di Stull, una località nota per le sue leggende metropolitane.
Quando arrivò il momento di dover decidere il nome dei due personaggi principali, Kripke pensò a "Sal" e "Dean" come omaggio al romanzo on the road per eccellenza, Sulla strada di Jack Kerouac. Tuttavia, credette che "Sal" fosse un nome poco appropriato e lo cambiò in "Sam". Per quanto riguarda il cognome, si pensò inizialmente a "Harrison", come richiamo all'attore Harrison Ford, poiché Kripke voleva che Dean avesse un carattere spavaldo simile a quello di Ian Solo. Tuttavia, dal momento che esisteva un Sam Harrison che abitava in Kansas, il cognome venne cambiato per questioni legali. Combinando il suo interesse nell'attrazione turistica Winchester Mystery House e il suo desiderio di fare in modo che la serie ricordasse un "moderno western", Kripke decise per il cognome Winchester. Anche questo cognome però presentò un problema: il nome del padre di Sam e Dean doveva essere "Jack", ma, dal momento che in Kansas esisteva un Jack Winchester, Kripke dovette cambiare il nome in John. Kripke crebbe seguendo serie televisive come Hazzard e Supercar e ciò lo spinse a voler usare anche lui una macchina sportiva come principale mezzo di trasporto in Supernatural. Inizialmente decise per una Mustang del '65, ma un suo vicino di casa lo convinse a cambiarla in una Impala del '67, dal momento che «ci si può mettere un cadavere nel bagagliaio» e che «quando gli altri autisti le si fermano vicino al semaforo, badano bene a chiudere le portiere». Kripke ha inoltre detto che «è un tipo di macchina aggressiva che porta autenticità alla serie, a cui si adatta perfettamente». Kripke aveva proposto la serie a Peter Johnson, un esecutivo della Fox, e quando questi andò a lavorare per la Wonderland Sound and Vision, contattò Kripke. Johnson firmò come co-produttore esecutivo insieme a McG, ma, prima di poter iniziare a filmare l'episodio pilota, fu necessario risolvere alcuni problemi della sceneggiatura. Secondo l'idea originale, i fratelli non erano stati cresciuti dal padre, ma dagli zii. Inoltre, quando Dean si presenta da Sam nel primo episodio, deve convincere il fratello dell'esistenza del soprannaturale. Kripke capì che in questo modo il passato dei protagonisti sarebbe stato troppo complicato, e rielaborò il progetto insieme a Johnson per fare in modo che Sam e Dean fossero stati cresciuti dal padre. La sceneggiatura venne revisionata ancora diverse volte. Una delle idee iniziali voleva che Jessica, la fidanzata di Sam, fosse in realtà un demone e che tale rivelazione portasse Sam a unirsi a Dean nella caccia; Kripke pensò che fosse più appropriata la morte della ragazza come motivazione per Sam, così fece uccidere il personaggio nel primo episodio nello stesso modo della madre dei due fratelli. Quando David Nutter firmò come regista, poterono iniziare le riprese del primo episodio. Vennero inoltre ingaggiati Robert Singer e John Shiban (che lavorò per X-Files) per aiutare Kripke a elaborare la mitologia della serie. Kripke pianificò un arco narrativo di tre stagioni, per poi espanderlo a cinque.
È sempre stata una serie sulla famiglia, più che su qualsiasi altra cosa. La mitologia è solo un motore per sollevare problemi sulla famiglia: un fratello maggiore che bada a quello più piccolo e che si chiede se mai sarà costretto a uccidere la persona a cui vuole più bene al mondo. Lealtà familiare contro il bene più grande, dovere nei confronti della famiglia contro felicità personale...» (Eric Kripke.)
Lo staff della prima stagione era composto da Kripke e altri cinque autori, che aiutarono specialmente nella ricerca di leggende metropolitane. I toni narrativi di Supernatural furono fortemente influenzati da film come Poltergeist, in cui gli eventi paranormali avvengono all'interno di una famiglia anziché in un luogo remoto, La casa 2 e Un lupo mannaro americano a Londra, in cui oltre al soprannaturale vi è anche una buona dose di comicità. Riguardo al primo film, Kripke disse che era interessante «l'idea che qualcosa di terribile possa accadere nel tuo stesso giardino. Quanti spettatori si preoccupano di un vampiro in un castello abbandonato?». Gli autori s'ispirarono anche ai film horror asiatici The Eye, Ju-on e Ring. A partire dalla quarta stagione, con l'introduzione della mitologia cristiana nella trama, Kripke ha dichiarato di essersi ispirato al Paradiso perduto di John Milton. Secondo il creatore Eric Kripke, inizialmente la serie si sarebbe dovuta focalizzare solamente sui mostri della settimana, con Sam e Dean come unico denominatore comune all'interno di una serie di brevi film horror. Il suo unico desiderio era, infatti, di «spaventare a morte le persone». Tuttavia, dopo alcuni episodi, notando il legame lavorativo tra gli attori protagonisti, Jared Padalecki e Jensen Ackles, Kripke e il produttore esecutivo Bob Singer decisero di concentrarsi di più sui fratelli e di plasmare la trama horror sulla loro relazione e non viceversa. Secondo Kripke, «...a volte non appaiono creature paranormali se non dopo il primo spazio pubblicitario, perché è più importante concentrarsi sui fratelli e sulla tensione e l'angoscia creatasi tra di loro». Diversamente da serie televisive con una "mitologia senza fine" come Lost, Kripke ha dichiarato di preferire una mitologia più semplice, poiché «è difficile mandare avanti un mistero stagione dopo stagione e poi fornire una risposta soddisfacente». Kripke ha quindi preferito mantenere una struttura simile a quella di serie come il recente X-Files, in cui vi sono solo alcuni episodi mitologici distribuiti equamente nella trama, mentre la maggior parte sono episodi stand-alone autoconclusivi. In questo modo, «gli spettatori non sono costretti a conoscere in precedenza la mitologia per capire un episodio, e possono iniziare a seguire la serie in qualsiasi momento».
La serie segue le vicende dei fratelli Sam e Dean Winchester, interpretati da Jared Padalecki e Jensen Ackles. Padalecki aveva precedentemente lavorato con i produttori esecutivi McG e David Nutter, che lo convinsero a fare un provino per il ruolo di Sam. L'attore s'interessò alla serie poiché appassionato di altre serie fantasy come X-Files e Ai confini della realtà, che lui trovò simili a Supernatural, e perché reputò interessante poter interpretare il ruolo dell'"eroe riluttante", simile a personaggi come Neo di Matrix o Luke Skywalker di Guerre stellari. Nutter chiese inizialmente ad Ackles di fare un'audizione per il ruolo di Sam, ma l'attore preferì il personaggio di Dean dopo aver letto la sceneggiatura. Quando fece il provino, Ackles era già impegnato come regular nella serie della The WB Smallville. La parte del suo personaggio venne appositamente accorciata perché lui potesse unirsi al cast di Supernatural.
Il cast è dunque composto da due soli personaggi regolari, mentre quelli ricorrenti sono molteplici. Jeffrey Dean Morgan interpretò John Winchester, il padre di Sam e Dean. Il personaggio apparve nell'episodio pilota, per poi tornare a metà della prima stagione e morire nel primo episodio della seconda. Secondo l'autore John Shiban, la morte di John era stata decisa fin dall'inizio. Morgan era inizialmente riluttante a tornare nella serie, a causa del suo ruolo in Grey's Anatomy, e future apparizioni sono tuttora ostacolate dalle altre attività lavorative dell'attore. Nella prima stagione, il primo arco narrativo mitologico inizia con l'arrivo del demone Meg Master, interpretata da Nicki Aycox, che venne ingaggiata per la parte dal produttore esecutivo Kim Manners. Nel primo episodio della seconda stagione, il demone Azazel, nemesi dei Winchester e padre di Meg, viene interpretato da Fredric Lehne, che avrebbe dovuto partecipare alla serie per un solo episodio. Agli showrunner l'attore piacque talmente che gli venne chiesto di tornare per la season finale della seconda stagione. Anche dopo la sua morte, il personaggio apparve nell'episodio In principio interpretato da Christopher B. MacCabe, e in un flashback dell'episodio Lucifer Rising interpretato da Rob LaBelle. Aycox apparve ancora nella quarta stagione nei panni del fantasma di Meg, mentre il demone che possedeva la ragazza apparve nel primo episodio della quinta stagione, interpretato da Rachel Miner.
Gli autori vollero approfondire il ruolo di cacciatore e per questo motivo inserirono nuovi personaggi ricorrenti. L'attore Jim Beaver fece la sua prima apparizione interpretando Bobby Singer, un vecchio amico di famiglia dei Winchester, nel finale della prima stagione. Bobby divenne, dopo la morte di John, una sorta di padre surrogato per Sam e Dean, comparendo in tutte le stagioni. Nella seconda stagione venne inoltre introdotta la Roadhouse, un saloon frequentato da cacciatori del paranormale e gestito da Ellen Harvelle, interpretata da Samantha Ferris. Insieme a Ellen lavorano Jo Harvelle, sua figlia, interpretata da Alona Tal e Ash, un genio dedito all'alcol interpretato da Chad Lindberg, che usa le sue doti informatiche per rintracciare il paranormale. Il personaggio di Alona Tal venne successivamente escluso dalla serie, poiché secondo i produttori Jo stava diventando simile a una sorella minore per i Winchester. Kripke disse che il personaggio era stato ideato malamente e la sua esclusione portò una povera reazione da parte dei fan. Allo stesso modo, il personaggio di Ash venne ucciso nel finale della seconda stagione, con la distruzione della Roadhouse. Ellen sarebbe dovuta tornare nella terza stagione, ma gli episodi vennero cancellati a causa dello sciopero degli sceneggiatori del 2007-2008. Gli autori chiesero quindi a Ferris di partecipare al finale della terza stagione, ma l'attrice rifiutò l'offerta. Sia Jo che Ellen, tuttavia, tornarono infine in alcuni episodi della quinta stagione. Per la terza stagione, gli autori decisero di creare il personaggio di Ruby, un demone alleato ai fratelli Winchester. Il network The CW richiese che venisse aggiunto al cast un altro personaggio femminile, così gli autori decisero che Bela Talbot, un'egocentrica ladra inglese di oggetti occulti che sarebbe dovuta apparire solo in pochi episodi, diventasse un personaggio regolare. Katie Cassidy e Lauren Cohan vennero quindi ingaggiate rispettivamente per i ruoli di Ruby e Bela, nonostante avessero fatto i provini l'una per l'altro personaggio. Entrambe le attrici, che apparirono in sei episodi ciascuno, vennero accreditate come protagoniste. Alla fine della stagione, il personaggio di Bela venne fatto uccidere, per responso negativo da parte dei fan, mentre a Cassidy non venne rinnovato il contratto per motivi di budget. Per la quarta stagione vennero fatti nuovi provini per il personaggio di Ruby, e l'attrice Genevieve Cortese venne assunta per la parte fino alla morte del personaggio alla fine della quarta stagione. Volendo portare nella serie la mitologia cristiana, gli autori crearono l'angelo Castiel. Poiché Kripke volle tenere l'introduzione delle figure degli angeli segreta, durante i provini il personaggio venne descritto come demone. Misha Collins ottenne il ruolo e debuttò nella serie nel primo episodio della quarta stagione, divenendo un alleato dei protagonisti. Il personaggio doveva inizialmente apparire in un arco di soli sei episodi, ma il ruolo venne poi ampliato. Collins venne promosso a protagonista con la quinta stagione, grazie a un ottimo responso da parte dei fan e della critica. Nel maggio 2011 venne annunciato che l'attore avrebbe partecipato alla settima stagione solo come guest star, apparendo in un numero limitato di episodi, per poi tornare a essere un personaggio fisso nell'ottava e nella nona stagione. Insieme a Castiel vennero introdotti: Uriel, interpretato da Robert Wisdom, un angelo che appoggia segretamente il piano di Lucifero; l'angelo decaduto Anna Milton, interpretata da Julie McNiven; e Zaccaria, interpretato da Kurt Fuller, il superiore di Castiel, un angelo che spera di riuscire a scatenare l'Apocalisse allo scopo di portare il Paradiso in Terra. Il personaggio interpretato da Robert Wisdom venne presto ucciso, mentre McNiven e Fuller continuarono a lavorare per la serie anche nella quinta stagione, quando al cast si unì Mark Pellegrino nella parte di Lucifero. Pellegrino era stato precedentemente escluso per la parte di Castiel, e ottenne il ruolo di Lucifero senza audizione. Successivamente anche il personaggio di McNiven venne ucciso, insieme alle Harvelle. Nella quinta stagione fa inoltre la sua prima apparizione Mark Sheppard nel ruolo del demone Crowley, ricorrente anche dalla sesta alla nona stagione, per poi entrare nel cast principale nella decima. Dopo essere apparso nell'episodio In principio della quarta, l'attore Mitch Pileggi tornò nella sesta stagione interpretando nuovamente il nonno materno di Sam e Dean, Samuel Campbell, mentre Corin Nemec interpretò per alcuni episodi suo nipote Christian. Kim Rhodes è apparsa invece nel ruolo dello sceriffo Jody Mills in alcuni episodi della quinta, sesta e settima stagione. Dal momento che la serie si concentra sui due personaggi principali, gli autori si accorsero che gli spettatori avrebbero saputo che, nonostante le numerose scene di pericolo, non sarebbero mai morti veramente. Per mantenere un certo livello di tensione, dunque, gli sceneggiatori crearono appositamente personaggi secondari, che finiscono spesso per essere uccisi.
L'episodio pilota venne girato a Los Angeles ma il luogo ufficiale delle riprese è tuttora Vancouver, in Canada. Anche le riprese di scene particolari avvengono nella Columbia Britannica: l'episodio Morte nell'acqua venne filmato al lago Buntzen, mentre il finale di Strane premonizioni sulla diga Cleveland. Altre ambientazioni vengono spesso rimaneggiate per essere riutilizzate due o tre volte: il parco Heritage della città di Burnaby è stato usato come cimitero nell'episodio La nave fantasma e come location per il cottage di Favole assassine. Allo stesso modo, l'ospedale Riverview della città di Coquitlam è stato utilizzato più volte nella serie: come manicomio in La rivolta, come ospedale in Nel momento della morte, e come prigione in Detenzione forzata. Gli episodi ambientati in posti isolati e remoti sono spesso girati in una base militare, i cui edifici sono stati abbattuti dopo la chiusura.
Ivan Hayden è a capo degli addetti agli effetti speciali, e lavora a più livelli con lo staff di produzione. È necessario, infatti, che durante la fase di pre-produzione Hayden controlli la sceneggiatura e trovi scene in cui sia probabile l'uso di effetti speciali. Successivamente, vengono contattati gli autori, il dipartimento stuntmen e infine il regista e gli editori. Il dipartimento degli effetti speciali ha inoltre il compito di dare alle creature soprannaturali una forma e delle caratteristiche favorevoli al loro lavoro, ma compatibili con la mitologia da seguire.
Per Supernatural vengono generalmente composte partiture per musica orchestrale sintetizzata, ma talvolta sono stati anche utilizzati strumenti come chitarre e violoncelli. Altri particolari strumenti sono stati usati in episodi specifici, come per suonare della musica gospel blues per pianoforte nell'episodio Il guaritore. Due compositori lavorano per la serie: Christopher Lennertz e Jay Gruska. Essendo in due e lavorando separatamente, hanno più tempo per comporre le partiture, che solitamente corrispondono a 30 dei 40 minuti di un episodio. Spesso tentano di basare la musica sugli effetti visivi: nell'episodio Morte nell'acqua, ad esempio, vennero usate note ripetitive e discordanti, mentre nel testo delle canzoni parole come acqua e morte erano seguite da beccheggi simili a gorgoglii. Vengono usate le stesse musiche nelle scene in cui appaiono i fratelli o il loro padre, mentre solitamente la musica di un terzo di ciascun episodio viene scritta appositamente a seconda della mitologia. Un altro importante aspetto è l'uso di musica rock classico, che il network accettò d'includere nelle serie solo quando Kripke minacciò di licenziarsi. La maggior parte delle canzoni fanno parte della collezione personale di Kripke, nonostante alcune sue band preferite, come i Led Zeppelin, vennero scartate perché troppo costose. In compenso, alcuni episodi riprendono nel titolo canzoni dei Led Zeppelin. In più di un'occasione sono state inserite musiche dei Blue Öyster Cult e degli AC/DC. Nonostante Kripke preferisca mantenere separate le canzoni rock dalle musiche originali della serie, Lennertz e Gruska hanno spesso dovuto comporre brevi sezioni di musica rock per coprire buchi di 15-20 secondi tra un brano e l'altro. In particolar modo, la musica rock caratterizza le sequenze riassuntive (quelle che seguono la scritta "The Road So Far", ovvero "La strada percorsa") poste all'inizio di particolari episodi, generalmente il primo e l'ultimo di ciascuna stagione. Ogni season premiere (ad eccezione della prima) è preceduta da un riassunto della stagione precedente: il riassunto all'inizio del primo episodio della seconda stagione è accompagnato dalla canzone Strangehold di Ted Nugent, mentre all'inizio della terza, quarta e quinta stagione sono state usate tre canzoni degli AC/DC, rispettivamente Hells Bells, You Shook Me All Night Long e Thunderstruck. Gli episodi Una città da salvare (penultimo episodio della prima stagione), Scontro tra prescelti, seconda parte, Non c'è pace per il maligno, Lucifero risorge, Il canto del cigno, L'uomo che voleva sapere troppo, La legge del più forte, Sacrificio, Una trappola per Metatron (season finale della seconda alla nona stagione), sono tutti preceduti da una sequenza riassuntiva accompagnata dalla canzone Carry On Wayward Son dei Kansas; l'episodio Il custode del fratello (finale della decima stagione) è preceduto da una sequenza riassuntiva accompagnata sempre da Carry On Hayward Son ma in una versione creata appositamente per il duecentesimo episodio (ovvero Fan Fiction). Il riassunto che precede l'episodio La trappola del diavolo (l'ultimo della prima stagione) è invece accompagnato dalla canzone Fight the Good Fight dei Triumph.
Oggetti e luoghi ricorrenti:
Impala. Riguardo alla decisione di inserire l'Impala nello show, Kripke dichiarò: «Ci siamo detti che è come un moderno Western americano - due pistoleri arrivano in città, combattono i cattivi, baciano la fanciulla di turno e cavalcano via verso il tramonto. Sin dall'inizio è stato chiaro che se fossero stati dei cowboys avrebbero avuto bisogno di un degno destriero.» La Chevrolet Impala nera del 1967 di Dean gli è stata lasciata in eredità dal padre John, che la comprò nel 1973 quando lo stesso Dean, mandato nel passato da Castiel, lo convinse a comprarla al posto di un furgone Volkswagen; alla morte di Mary, quando John diventa un cacciatore, ne riempie il doppio fondo del bagagliaio con ogni tipo di arma contro il soprannaturale. Inizialmente la targa è KAZ 2Y5 (un riferimento allo stato del Kansas, nel quale sono nati i fratelli, e al 2005, anno in cui è iniziata la serie), mentre dalla seconda stagione è stata cambiata in CNK 80Q3 poiché quella vecchia era stata registrata dall'FBI.
Colt. La Colt e i tredici proiettili originali furono creati da Samuel Colt per un cacciatore del paranormale nel 1835. Secondo la leggenda questa pistola può uccidere qualunque cosa, incluse creature normalmente immuni a ogni tipo di arma, e può aprire una delle porte dell'Inferno. Erano stati usati sei proiettili prima che la Colt finisse nelle mani di un cacciatore di nome Daniel Elkins e, investigando sulla sua morte, i Winchester incontrano un clan di vampiri che sono entrati in possesso dell'arma. I vampiri la scambiano per un loro compagno preso in ostaggio da John, che alla fine la consegna ad Azazel in cambio della vita del figlio Dean, quasi morto nell'incidente d'auto che chiude la prima stagione. Alla fine della seconda stagione, l'ultimo proiettile viene usato per uccidere Azazel dopo l'apertura della Porta dell'Inferno situata in Wyoming. Ruby riuscirà successivamente ad aiutare Bobby a costruire alcuni proiettili adattabili alla pistola, ma verso la fine della terza stagione Bela ruba la pistola ai fratelli e la consegna a Lilith affinché il demone annulli il patto che lei aveva fatto dieci anni prima. Sebbene sia assente nella quarta stagione, la Colt torna nella quinta quando Dean tenta di usarla per uccidere Lucifero, che però si rivela essere immune ad essa (nell'occasione il diavolo rivela di essere una delle sole "quattro o cinque cose nell'intero Universo" a poter sopravviverle). La Colt sparirà nuovamente ma si rivedrà nella sesta stagione, quando Dean e Sam tornano indietro nel tempo, nel Far West, per incontrare Samuel Colt e farsi dare la pistola, che useranno per uccidere una Fenice. Una volta compiuta l'impresa, Sam e Dean lasciano la Colt nel passato. La Colt ricompare poi nella dodicesima stagione in cui si scopre che in passato Crowley, prima di diventare il re dell'Inferno, l'aveva data in dono al demone Ramiel; Mary Winchester la ruba su commissione degli uomini di lettere di Londra e Sam utilizzerà la pistola per uccidere l'Alpha dei vampiri.
Roadhouse. Apparsa per la prima volta nella seconda stagione, la Roadhouse è un pub per cacciatori gestito da Ellen e dalla figlia Jo e in cui vive anche Ash. Sempre nella seconda stagione Dean e Bobby scoprono che la Roadhouse è stata data alle fiamme da Azazel e che le uniche sopravvissute sono Ellen e Jo. Kripke affermò che odiava la Roadhouse e dunque gli autori decisero di distruggerla: «Non può funzionare in un road show, perché è un road show! Ma abbiamo una casa fissa. No, è questo il punto: è un road show, quindi non c'è dimora fissa! Quindi, bruciamola!»
Pugnale curdo. Compare per la prima volta nella terza stagione quando Ruby lo consegna ai Winchester e ha la capacità di uccidere i demoni. Dean e Sam ne faranno sempre uso e anche la stessa Ruby finisce col perire per mano di Dean a causa del coltello; Bobby, nel primo episodio della quinta stagione, è riuscito e liberarsi dal controllo di un demone ferendosi alla gamba con esso. Il pugnale non sortisce tuttavia effetti letali contro demoni di grandi poteri come Crowley, Abaddon o Caino.
Anelli dei Quattro Cavalieri. Sono quattro anelli appartenenti uno ciascuno ai Quattro Cavalieri dell'Apocalisse (Guerra, Pestilenza, Carestia e Morte). La quinta stagione si incentrata sulla loro ricerca poiché essi, quando vengono riuniti, permettono di aprire la gabbia in cui Dio aveva confinato Lucifero dopo la sua ribellione e infatti i Winchester li useranno per intrappolarvi Michele e lo stesso Lucifero. Sembra che oltre ai cavalieri (come ha fatto Morte prelevando l'anima di Sam dalla gabbia) nessun altro possa infrangere il sigillo, anche se Castiel, dopo che Dio lo ha riportato in vita aumentando i suoi poteri, si è dimostrato capace di farlo liberando Sam. In un'occasione quest'ultimo affronta un leprecauno che ha affermato che, pur non essendo potente come gli angeli, sarebbe perfettamente capace di arginare il sigillo degli anelli con la sua magia. Sembra che i cavalieri traggano il loro potere proprio dagli anelli: Sam, Dean e Castiel sconfiggono infatti Guerra e Pestilenza tagliando loro le dita in cui erano infilati gli anelli, ma il potere di Morte non sembrava necessariamente legato all'anello in quanto ha ceduto l'oggetto a Dean senza farsi problemi. Nella sesta stagione Dean indossa l'anello del cavaliere diventando lui stesso la Morte, per poi perdere i suoi poteri dopo esserselo sfilato.
Verbo di Dio. Sono delle tavolette di pietra scritte in enochiano, la lingua angelica, da Metatron sotto dettatura di Dio. Sono tre in tutto e servono principalmente a confinare delle specifiche creature sovrannaturali nei loro piani dimensionali (i Leviatani in Purgatorio, gli angeli in Paradiso e i demoni all'Inferno), ma nel loro testo sembrano essere presenti anche particolari e potenti incantesimi, specie nelle ultime due. Le tavole possono essere lette solo da Metatron o da un profeta di Dio e si spezzano possono essere ricomposte da un Profeta semplicemente riunendo i vari frammenti.
Prima Lama. Al pari della Colt, la Prima Lama è sicuramente una delle armi più potenti comparse nella serie: apparentemente sembra capace di uccidere qualunque cosa, compresi angeli, mietitori e demoni, ed è l'unica arma capace di uccidere i Cavalieri dell'Inferno. Il primo possessore dell'arma è stato Caino, che ha creato la Lama dall'osso della mandibola di un animale e la usò per uccidere suo fratello Abele e successivamente anche i Cavalieri, fatta eccezione per Abaddon che riuscì a salvarsi. La Lama in realtà non ha alcun potere di per sé e la fonte della sua energia è il Marchio di Caino, che contiene racchiusa in sé l'essenza dell'Oscurità: essi, infatti, agiscono come se fossero una cosa sola. Nella nona stagione Caino passa a Dean il marchio e il cacciatore si servirà della Lama, che era conservata nella collezione privata di un uomo di lettere cacciato dall'ordine, per uccidere Abaddon e lo stesso Caino. La Lama perde tutto il suo potere quando Castiel, Crowley e Rowena, al termine della decima stagione, distruggono il Marchio impresso su Dean con un incantesimo, togliendo quindi all'arma la fonte del suo potere.
Mano di Dio. Si tratta di alcuni oggetti dotati di un frammento del potere di Dio perché sono stati da Lui toccati: nell'undicesima stagione i Winchester si mettono alla loro ricerca per cercare di fermare Amara. Ne sono comparsi solo tre: un frammento dell'Arca dell'Alleanza, la verga di Aronne e il corno di Giosuè. Le Mani di Dio conferiscono effettivamente un grande potere, ma dopo un solo utilizzo esso si consuma per sempre; inoltre, anche se usate da esseri potenti come Lucifero, non sono in grado di pareggiare il potere di Dio stesso o di Amara.
Libro dei Dannati. Si tratta di uno dei più antichi manuali di stregoneria mai creati dall'uomo ed è stato scritto da una suora del Medioevo usando come pagine la sua stessa pelle e come inchiostro il suo sangue. Il libro compare per la prima volta nella decima stagione, quando Charlie riesce a rubarlo in Spagna e lo porta ai Winchester sperando che se ne possano servire per eliminare il Marchio di Caino. Il libro contiene potentissimi incantesimi di magia nera ma deve essere interpretato tramite l'apposito codice: per questo può essere usato solo da streghe potenti ed esperte come Rowena.
La prima stagione andò in onda dal 13 settembre 2005 al 4 maggio 2006 sul network The WB. Lo stesso anno il network venne chiuso e la serie venne inserita nel palinsesto della The CW, creatasi dall'unione di WB e UPN. La seconda stagione andò in onda di giovedì dal 28 settembre 2006 al 17 maggio 2007, mentre la terza, composta da soli 16 episodi a causa dello sciopero degli sceneggiatori, andò in onda di martedì dal 4 settembre 2007 al 15 maggio 2008. La quarta e la quinta stagione vennero riproposte nuovamente di giovedì, precedute rispettivamente da Smallville e The Vampire Diaries, e andarono in onda rispettivamente dal 18 settembre 2008 al 14 maggio 2009 e dal 10 settembre 2009 al 13 maggio 2010. La sesta e settima stagione sono andate in onda di venerdì rispettivamente dal 24 settembre 2010 al 20 maggio 2011 e dal 23 settembre 2011 al 18 maggio 2012. L'ottava stagione è andata in onda il mercoledì dal 3 ottobre 2012 al 15 maggio 2013. La nona stagione è andata in onda dall'8 ottobre 2013 al 20 maggio 2014, mentre la decima è andata in onda dal 7 ottobre dello stesso anno al 20 maggio 2015. L'11 gennaio 2015 è stata rinnovata per un'undicesima stagione, trasmessa dal 7 ottobre 2015, mentre l'11 marzo 2016 è stata confermata anche una dodicesima stagione.
Jim Beaver (Bobby Singer) è stato lodato universalmente dalla critica e dal pubblico. Tanner Stransky di Entertainment Weekly si è dichiarato colpito dalla prima stagione della serie, premiandola con una B e definendola «un appuntamento settimanale con un piacevole film horror». Jeff Swindoll di Monsters and Critics ha confessato di aver «davvero ammirato» la prima stagione della serie, e ha sottolineato come elemento di forza «l'orrido contesto e la fraterna alchimia dei due protagonisti». Ha concluso che la stagione esordiente si chiude «con un tocco di suspense». Swindoll ha riposto la sua attenzione anche sulla seconda stagione, scrivendone: «procede alla grande, sempre grazie alla piacevole sintonia di Padalecki e Ackles», ed ha percepito che la nuova stagione si focalizza sempre più sulla mitologia della serie. Stando alle rivelazioni del Sergente delle Forze Speciali, Kevin Wise, scaturite in una convention di Supernatural nel 2007, i DVD più richiesti dal personale delle forze armate in Iraq e Afghanistan erano le prime due stagioni della serie. Swindoll, appassionato fan della serie, ha lodato anche la terza stagione, scrivendo: «Eric Kripke deve aver venduto la sua anima al diavolo per permettere che il programma non patisse un crollo». Il critico ha accresciuto il suo entusiasmo per la presenza di Bobby Singer (Jim Beaver), associandolo al personaggio di Cooter in Hazzard. Daniel Bettridge di Den of Geek! ha criticato la debolezza della sceneggiatura che ha dato l'impressione di ostacolare la serie, con molti casi lasciati irrisolti e un finale «alquanto affrettato». Inoltre l'impressione dello scrittore era che personaggi appena introdotti, Ruby (Katie Cassidy) e Bela (Lauren Cohan) fossero rimasti «deludentemente inesplorati ed inneficacemente adoperati». Diana Steenbergen di IGN ha invece gradito la presenza di un arco di storia piuttosto lungo nella serie con l'accordo infernale di Dean, ma ha intuito che gli spettatori sarebbero stati a conoscenza che il patto non sarebbe stato risolto prima del finale. Un'altra autrice della rivista Monsters and Critics, June L., ha ripreso le recensioni positive precedenti, trovando che anche la quarta stagione «si mantiene intrigante e divertente, permettendo agli spettatori di meditare in maniera più attenta in una sorta di analisi filosofica sulla natura del bene e del male». Steenbergen ha scritto che in questa stagione la serie raggiunge una fase di transizione, dall'essere «un telefilm abbastanza valido all'essere un telefilm piuttosto insigne». Ha mosso un sentito elogio nei confronti dell'interpretazione di Misha Collins nelle vesti dell'angelo Castiel e ha scritto che le interazioni tra lui e Dean sono «uno dei momenti più suggestivi della serie». Poco prima che la quinta stagione venisse promossa, Rolling Stone ha fatto spazio alla serie nella lista dei "50 migliori motivi per guardare la TV" e ha definito i fratelli protagonisti, Sam e Dean Winchester i «Bo e Luke Duke a caccia di demoni». Maureen Ryan del Chicago Tribune ha inserito Supernatural nella classifica delle dieci migliori serie del 2009, scrivendo: «l'artigianalissima serie televisiva quest'anno si è confermata più audace e creativa, inventandosi episodi più divertenti e innovativi e assumendosi dei rischi nel narrare».
In ogni episodio sono presenti citazioni di libri, film, serie televisive, spesso di genere horror o paranormale, e di leggende metropolitane o fatti realmente accaduti. Tra le opere più citate, vi sono Ghostbusters - Acchiappafantasmi, Shining, la saga di Star Wars, X-Files e Il mago di Oz. A Ghostbusters - Acchiappafantasmi viene fatto riferimento per la prima volta in L'uomo uncino, quando Dean apostrofa Sam col nome di «Dr. Venkman». Nel film, Peter Venkman è il personaggio interpretato da Bill Murray. Anche i Ghostfacers, l'improbabile gruppo di cacciatori di fantasmi, omaggiano il film: i due componenti originari Ed Zeddemore e Harry Spangler prendono il nome (e la professione) dai personaggi di Ghostbusters Winston Zeddemore e Egon Spengler. Nell'episodio Casa infernale viene citato il tagline del film «Who Ya Gonna Call? Ghostbusters!», mentre nell'episodio Senza uscita, Dean fa riferimento all'«omino dei marshmallow», il pupazzo gigante che compare nel film e tenta di distruggere New York e gli stessi protagonisti. Molly, la ragazza salvata dai protagonisti nell'episodio Un conto in sospeso, quando si rende conto di cosa fanno Sam e Dean per vivere, li paragona agli Acchiappafantasmi. Nell'episodio Una pistola dal passato viene citato il film cult Dal tramonto all'alba di Robert Rodríguez: la prima volta in cui i vampiri vengono mostrati nel loro covo si nota una vampira che danza in modo sensuale sulle note di Strange face of love (Tito and Tarantula) dall'album Tarantism, e sia il brano che l'album ne hanno composto la colonna sonora. Nell'episodio Tutti amano i clown viene omaggiato il film cult Il duro del Road House: quando i due fratelli entrato nel bar, fatalità denominato ROADHOUSE, trovano e poi collaborano con Ash (Chad Lindberg), personaggio dotato di intelligenza straodinaria, che dorme sul biliardo con lo stesso colore e taglio di capelli del famoso e geniale bluesman Jeff Healey, attore nel film di Rowdy Herrington e, soprattutto, autore di alcuni brani della colonna sonora.
Nell'episodio Mistero a Hollywood viene citata la serie televisiva Una mamma per amica alla quale ha partecipato, per diverse stagioni, lo stesso protagonista Jared Padalecki. Nell'episodio Ritorno a casa, Dean fa riferimento ai poteri di Sam come ad una «luccicanza». Viene nuovamente citato il film Shining nell'episodio Soliti sospetti, quando Dean cita la frase «lavorare soltanto e non giocare rende Jack un ragazzo annoiato», la stessa che il protagonista batte a macchina in modo ossessivo. Nello stesso episodio viene citata anche la scritta «Redrum» e in altre due occasioni la stanza numero 237 (Qualcosa di stregato e La casa delle bambole). Un altro riferimento a Shining si trova nell'episodio della sesta stagione Appuntamento a Samarra, dove, in una scena dove Bobby è rinchiuso in uno stanzino e Sam rompe la porta a colpi d'ascia in pieno stile Jack Nicholson, Bobby esclama: «Ora non dirmi "Sono il lupo cattivo!"». Infine, nell'episodio I magnifici sette Superbia grida, nell'originale inglese, «Here's Johnny!», una delle battute più famose pronunciate nel film. Essendo fan di Jack Nicholson, Dean cita l'attore e i film in cui è comparso più volte; in particolare, fa riferimento a Qualcuno volò sul nido del cuculo negli episodi La rivolta e Il virus della follia, entrambi ambientati in un manicomio. La saga di Star Wars viene citata per la prima volta nell'episodio Strane premonizioni, quando Dean paragona un ragazzo con il potere di controllare le menti ad Obi-Wan Kenobi. In Lucifero risorge Ruby si riferisce alla lotta all'imminente Apocalisse come ad un'"ultima corsa verso la Morte Nera", mentre nell'ultimo episodio della quinta stagione Lucifero si rivolge a Sam con la frase «Così tanta rabbia, giovane Skywalker!», la stessa pronunciata dall'Imperatore Palpatine. Dean apostrofa in tre diverse occasioni suo fratello Sam con il nome di Haley Joel, l'attore che interpreta il bambino che ne Il sesto senso è in grado di interagire con i morti (La rivolta, Un conto in sospeso e Quando la morte è in vacanza). Il film L'esorcista viene citato nell'episodio Il fantasma nell'aria, quando Dean sostiene, in riferimento ad una possessione demoniaca: «Questo sembra molto più grave che fluttuare sul letto o vomitare zuppa di piselli» e nell'episodio I soliti sospetti, in cui appare l'attrice Linda Blair, l'attrice che nel film interpreta Regan, la ragazza posseduta. Nell'episodio Detenzione forzata Dean paragona se stesso e Sam rispettivamente a James Garner ne La grande fuga e a Clint Eastwood in Fuga da Alcatraz. Nell'episodio In principio viene fatto riferimento alla trilogia di Ritorno al futuro quando Dean, mandato indietro nel tempo da Castiel, chiede a quest'ultimo se per caso gli angeli abbiano usato una DeLorean. La trilogia viene citata anche negli episodi La fine, ambientato in un futuro post-apocalittico e È sempre la stessa musica, ambientato nuovamente nel passato. L'episodio Frontierland, ambientato nel 1861, rende omaggio al terzo film della trilogia e ai western di Sergio Leone. Nell'episodio Lo spaventapasseri vengono messi in evidenza alcuni elementi de Il meraviglioso mago di Oz, come lo stesso Spaventapasseri e gli alberi di mele. Dean cita in più occasioni alcune frasi del film del 1939, come «Segui il sentiero dorato» (Un conto in sospeso, Il lato oscuro della luna), «Ho l'impressione che non siamo più nel Kansas» e «Nessun posto è bello come casa» (Desideri nascosti). Inoltre, nell'episodio Il mistero di Morning Hill, Ruby parafrasa Il mago di Oz esclamando «Ding-dong! Il demone è morto!». La serie televisiva X-Files viene citata numerose volte: nell'episodio pilota, ad esempio, Dean saluta due agenti dell'FBI chiamandoli «Mulder e Scully», mentre nell'episodio Il fantasma nell'aria, Dean sostiene di non aver tempo per discorsi del tipo «la verità è là fuori». È stato inoltre fatto riferimento alle pellicole Ghost - Fantasma, Il silenzio degli innocenti, Terminator, Poltergeist - Demoniache presenze, Seven, Psyco, Fight Club, The Butterfly Effect, Titanic, The Untouchables - Gli intoccabili, Il cigno nero e i film del regista George A. Romero; e alle serie televisive Star Trek, Medium, Ghost Whisperer - Presenze, Ai confini della realtà, Scooby-Doo, Veronica Mars e alle saghe di Harry Potter e di Twilight. Alcuni episodi sono stati paragonati ad altre opere: nell'episodio Insetti vi è un attacco di insetti simile a quello degli uccelli del film di Hitchcock, mentre l'episodio Un'insolita rapina ha una trama simile al film Inside Man di Spike Lee. Nell'episodio The Girl Next Door si sente alla TV il trailer di San Valentino di sangue 3D, film in cui Jensen Ackles è il protagonista principale. Nello stesso episodio la giovane ex amica di Sam utilizza il nome fittizio di Amy Pond, lo stesso della protagonista di Doctor Who. Nell'episodio Il canto del boia i due protagonisti si presentano come gli agenti federali Ranaldo e Moore, chiaro riferimento agli omonimi chitarristi della band Sonic Youth. Alcune volte vengono riprese le pagine dei testi con i quali i due fratelli trovano le informazioni sulle entità da sconfiggere: nell'episodio La Grande Zucca le pagine del libro inquadrate in realtà non riguardano miti celtici, come si può chiaramente leggere con un fermo immagine, bensì La Divina Commedia, ed in particolare gli Eresiarchi ovvero i capi delle sette eretiche puniti nel VI Cerchio dell'Inferno, descritto nel Inferno - Canto nono, i quali giacciono in tombe infuocate. L'immagine visibile è una delle tante mirabili illustrazioni di Gustave Doré.
L'episodio Monster Movie, girato interamente in bianco e nero, omaggia alcuni tra i più famosi film horror degli anni trenta, e allo stesso tempo ne fa la parodia. Tra i "Grandi mostri" vengono citati: il Conte Dracula, in particolare quello interpretato dall'attore Bela Lugosi, il mostro di Frankenstein, King Kong, la Mummia, l'Uomo lupo e il mostro della laguna nera. Nell'episodio Prigionieri della TV ad essere parodiate sono invece le serie televisive Supercar, Grey's Anatomy e CSI: Miami. Il 21 maggio le sorelle Hilly e Hannah Hindi fondatrici di The Hillywood Show che produce parodie di opere di successo, rilasciano su YouTube la parodia di Supernatural sulle note di Shake It Off di Taylor Swift e con il testo adattato ai temi di Supernatural. Partecipano a questa parodia molti degli attori comparsi nella serie fra cui gli stessi Jared Padalecki e Jensen Ackles.
LA TELEPATIA.
Che cosa è la telepatia? Storia di una capacità della mente che tutti vorrebbero avere teorica e non dimostrata, scrive il 22 novembre 2011 "Focus". Il termine telepatia fu proposto nel 1882 da F. W. H. Myers, uno studioso inglese del paranormale. Deriva dal greco téle (lontano) e pathos (sentimento). Indica un ipotetico processo in cui una persona riceve informazioni riguardanti i pensieri o le esperienze di un’altra senza la mediazione dei sensi (vista, udito, tatto). Gli studi condotti sinora, però, non sono mai riusciti a confermare in maniera convincente l’esistenza del fenomeno. La telepatia esiste davvero? Negli anni Trenta lo psicologo Joseph Banks Rhine condusse una serie di esperimenti che, in un primo tempo, diedero risultati positivi. Tuttavia, un esame accurato del modo in cui erano stati condotti rivelò che non si poteva escludere la possibilità che i soggetti coinvolti comunicassero tra loro. Quando questa possibilità fu eliminata, lo stesso Rhine non ottenne più nessun risultato positivo. Negli anni Sessanta si tentò un’altra via: una persona si concentrava su una fotografia e cercava di trasmettere l’immagine a un’altra persona addormentata. Anche in questo caso ci fu qualche risultato interessante, ma quando si controllò strettamente che non ci fossero fughe di informazioni, i risultati scomparvero. Più recentemente si è tentato con persone in stato di deprivazione sensoriale (al buio e nel silenzio più assoluto), una condizione che, secondo alcuni, favorirebbe la trasmissione del pensiero. Ancora una volta, controlli e verifiche rigorose hanno smentito quelli che all’inizio sembravano risultati positivi. Si può dire pertanto che fino a oggi la telepatia rimane un’ipotesi solo teorica e non dimostrata.
LA TELECINESI.
Che cosa succede quando ci prendiamo uno spavento? Una candid camera sulla telecinesi e i cosiddetti poteri paranormali ci mostra come reagiamo agli eventi inaspettati, scrive il 12 dicembre 2013 "Focus". Un coffee shop di New York è stato trasformato nel set di una candid camera: un stuntman è stato legato a un sistema nascosto di carrucole; tavolini e sedie sono diventate semoventi. Il tutto per inscenare i poteri di telecinesi (la capacità di spostare gli oggetti con la forza del pensiero) di un'attrice. Il video - diventato immediatamente virale negli Stati Uniti - risponde a due domande. La prima: come reagiamo di fronte ad eventi drammatici, inattesi e soprattutto incomprensibili? Quando si ha paura o si affronta una situazione rischiosa o sconosciuta, il corpo subisce una trasformazione radicale. Il cervello diventa capace di prendere decisioni rapide e le pupille si dilatano per vedere meglio. L’adrenalina crea immediatamente un vero e proprio stato di allerta. In tempi rapidissimi prepara mente a gestire il pericolo e il corpo ad affrontare eventuali sforzi (per scappare ad esempio). Per dare più ossigeno ai muscoli, fa contrarre i vasi sanguigni e aumenta il ritmo cardiaco e respiratorio. Il fegato produce più glucosio, e la digestione, che consuma molta energia, si ferma. La seconda, meno scientifica, riguarda i fenomeni paranormali: che cosa potrebbe succedere se la telecinesi esistesse davvero?
I FANTASMI.
Quanti tipi di fantasmi esistono? C'è fantasma e fantasma... ammesso che ci crediate, scrive il 30 ottobre 2010 "Focus". Qualunque cosa siano, i fantasmi non sono tutti uguali. Ecco un’approssimativa classificazione dei vari tipi di fantasmi.
Poltergeist: è uno spirito chiassoso; il termine, di origine tedesca, descrive tutti quei fenomeni come lo spostamento di oggetti, il rompersi di piatti, lo sbattere delle porte, ma anche voci e rumori. Si pensa che sia legato alla presenza di bambini o adolescenti. Non è pericoloso.
Residui psichici: appaiono sempre nello stesso identico modo, nello stesso posto, facendo gli stessi gesti.
Il doppio o apparizione-crisi: è uno spettro ambasciatore di morte, si manifesta ai parenti di una persona morente con le sembianze del malato.
Gli spettri ciclici: fantasmi innocui che appaiono ciclicamente in un certo posto, in ricordo di un avvenimento a loro caro o temuto. Per esempio, dei soldati sul campo di battaglia dove hanno perso la vita.
Fantasmi domestici: spettri che infestano una casa anche nel corso dei secoli, probabilmente ignari di essere morti.
Ectoplasma: la materia nebbiosa che fuoriesce dal medium durante la fase di materializzazione, necessaria per la ricomposizione visiva di spiriti.
Banshee: fantasmi femminili tipici di Irlanda, Galles e Scozia. Sono legati a una particolare famiglia.
Che cos’è il Poltergeist? Il termine Poltergeist (dal tedesco = spirito chiassoso) è usato per indicare fenomeni paranormali, come inspiegabili apparizioni, rumori o spostamenti di oggetti, scrive il 28 giugno 2002 "Focus". Il termine Poltergeist (dal tedesco = spirito chiassoso) è usato per indicare fenomeni paranormali, come inspiegabili apparizioni, rumori o spostamenti di oggetti, che si verificherebbero in particolari edifici oppure ambienti, associati, spesso, alla presenza di bambini. Questi fenomeni da un punto di vista scientifico sono da considerare illusori o fraudolenti, ma vengono popolarmente attribuiti a «spiriti defunti». La parapsicologia sostiene invece che siano effetti della presenza di medium (persone che fanno da tramite tra il mondo terreno e quello degli spiriti) spesso adolescenti, i quali tuttavia sarebbero del tutto ignari di queste loro presunte facoltà medianiche.
Esistono i fantasmi? Da sempre e in ogni cultura l’uomo “crede” negli spiriti. Tant’è vero che ancora oggi c’è chi cerca di dimostrarne l’esistenza, scrive Emanuela Cruciano per Focus Extra il 26 marzo 2017. Un presunto fantasma fotografato da William Hope (1863-1933), fantomatico medium che al tempo realizzò diversi falsi fotografici di ectoplasmi e fantasmi. Ebbe un certo seguito prima di essere smascherato come impostore. Fra le poche certezze dell’essere umano c’è la morte. Del resto, la coscienza di dover morire ci distingue dagli altri animali. Ma sui confini, su ciò che separa il mondo dei vivi da quello dei morti le sicurezze vacillano. Oggi come ieri. Il bisogno di mitigare l’ineluttabilità della dipartita con la speranza di un’altra vita si perde nella notte dei tempi. La traccia più antica di rituali legati alla sepoltura risale a 90 mila anni fa: è la tomba di un cacciatore ritrovata nella grotta di Skhul (nell’odierna Israele), dove mani pietose hanno appoggiato al braccio del defunto la testa di un cinghiale, come dono. A fungere da “intermediari” fra questo mondo e l’altro erano gli sciamani. Pitture rupestri di 20 mila anni fa raffigurano i viaggi, in stato di trance, nel mondo degli spiriti, ammettendo la netta separazione fra corpo e anima (rappresentata da un uccello). Per gli antichi Egizi la vita nell’oltretomba era una tale certezza da essere descritta, con regole d’accesso dettagliate, nel Libro dei morti. Ma il viaggio nell’aldilà prevede anche un biglietto di ritorno? In altre parole, i defunti possono tornare fra noi, o perlomeno comunicare?
Nelle sacre scritture si fa cenno a possibili contatti col mondo dei morti. Nonostante l’atteggiamento assunto più tardi dal cristianesimo, il primo episodio di necromanzia (previsione del futuro attraverso domande ai defunti) della storia è raccontato proprio nella Bibbia, dove il re Saul fa evocare da una maga il fantasma del re Samuele, per chiedergli consiglio. Anche Omero conduce Ulisse nel regno dei morti, affinché la madre e il veggente Tiresia gli indichino la strada per tornare alla sua amata Itaca. La necromanzia era proibita nella religione greca e Platone nella Repubblica e nelle Leggi considera le pratiche magiche o necromantiche degli imbrogli, mettendo in guardia dalle loro conseguenze. Si credeva, tra l’altro, che i morti detestassero essere disturbati nel loro riposo e tutto sommato suscitavano timore. Uno degli scopi dei culti funebri e delle sepolture era dunque impedire ai defunti di tornare a turbare i vivi e tenerli lontani. A Roma la separazione era codificata nella legge delle Dodici Tavole, che proibiva di sotterrare i morti all’interno della città (e infatti le necropoli erano situate lungo le vie consolari). Ma, anche se nel Medioevo i morti rientrarono in città, con i cimiteri ricavati nei cortili antistanti le chiese, la paura dei fantasmi rimase. Anzi, è proprio in quest’epoca che gli spettri conobbero il loro periodo d’oro. Per gli Egizi, l’anima aveva 5 componenti. Una era il Ba, qui a sinistra nella raffigurazione. Poteva uscire dal sarcofago e andare fra i vivi.
Le apparizioni si moltiplicavano e riguardavano soprattutto il ritorno di anime che avevano fatto una brutta fine (suicidi o ammazzati, condannati a morte, donne morte di parto, annegati il cui corpo non è mai stato ritrovato ecc...). La Chiesa da una parte tentò di arginare il fenomeno e spinse spettri e fantasmi nell’area delle manifestazioni diaboliche, dall’altra lo alimentò proponendosi come intermediario. Suffragi, donazioni, preghiere diventarono lo strumento per aiutare le anime a trovare la pace eterna, senza disturbare quella terrena. Il Purgatorio, che nella dottrina cristiana compare sul finire del Duecento, fu forse il luogo in cui la chiesa “rinchiuse” i morti, preoccupata dal continuo attraversamento dei confini. Un altro tentativo di difendere i cristiani da inquietanti ritorni fu l’istituzione di una precisa giornata, il 2 novembre, dedicata alla commemorazione dei defunti. A istituire il giorno dei morti fu, attorno all’anno Mille, l’ordine monastico di Cluny, nelle cui abbazie (dicono le cronache) spettri e fantasmi facevano sentire la loro presenza. Lo stesso culto dei santi e delle reliquie è, in un certo senso, la prova della difficoltà che l’uomo medioevale aveva nell’accettare l’idea del distacco dell’anima dal corpo.
Nell’Ottocento, il concetto di “anima in pena” fu ripreso. Romanticamente attratti da un’epoca misteriosa e “buia”, intellettuali e artisti dell’Europa ottocentesca riscoprirono l’antica passione per i fantasmi. Ma lo fecero con lo spirito dell’epoca, cercando di dimostrarne empiricamente l’esistenza. Nasceva così lo spiritismo, una vera e propria dottrina filosofica sviluppatasi soprattutto in Inghilterra e negli Stati Uniti. Qualunque cosa siano, i fantasmi non sono tutti uguali. Furono in parecchi a cimentarsi nell’arduo compito di “dimostrare un fantasma”. A cominciare dalle sorelle Fox, di New York, che nel 1848 divennero famose per essersi messe in comunicazione con gli spiriti che abitavano la loro casa. Nonostante il successo (nel 1852 i seguaci dello spiritismo negli Usa erano 2 milioni) e il credito che i medium ebbero anche presso il mondo culturale e scientifico (dallo scrittore Arthur Conan Doyle al fisico William Crookes, al premio Nobel Charles Richet), tavolini volanti e materializzazioni si sono sempre rivelati, alla fine, per quello che erano: trucchi. Spesso svelati dagli autori stessi dei misteriosi fenomeni.
Negli stessi anni ripresero fulgore anche le ricerche volte a dimostrare la “materialità” dell’anima. Già in passato ci avevano provato illustri scienziati. Il medico alessandrino Erofilo nel III secolo d.C. la cercava dissezionando i cadaveri; Cartesio, che fece altrettanto, la individuò, grande come un pisello, nella ghiandola pineale. E, ovviamente, ci provò anche Leonardo. Ma il primo che si prese il disturbo di “pesarla” fu nel 1901 il medico Duncan Macdougall (Massachusetts) che, insediatosi in una sorta di sanatorio, prese a pesare i pazienti proprio al momento del trapasso. Ebbene, con l’ultimo respiro i malcapitati perdevano 21 grammi di peso. Non soddisfatto, l’intraprendente chirurgo estese i suoi esperimenti ai cani: constatato che le bestiole passavano a miglior vita senza dimagrimento alcuno, il dottore ne dedusse ciò che le Chiese cristiane sostengono da sempre: gli animali non hanno l’anima. Dieci anni dopo le sue celebri pesate, Macdougall si mise a cercare anche il colore dello spirito. Introdusse in una camera buia un gruppo di tisici agonizzanti e, al momento supremo, fece scorrere un fascio di luce fortissima lungo il corpo del paziente. Poiché non trovò nulla, concluse che l’indice di rifrazione dell’anima era zero e siccome qualsiasi sostanza tranne l’etere rifrange la luce, l’anima doveva essere per forza composta di etere.
Una delle ultime teorie scientifiche sui fantasmi tira in ballo l’elettromagnetismo. Secondo lo studio di alcuni psicologi britannici coordinati da Richard Wiseman, c’è una correlazione tra avvistamenti spettrali e variazione dei campi magnetici. Gli studiosi hanno analizzato Hampton Court Palace a Londra e le cripte di South Bridge a Edimburgo, dove si sarebbero verificati vari avvistamenti: ebbene, questi posti sarebbero soggetti a variazioni dei campi magnetici più elevate rispetto alla norma. Altri studi sono giunti alla stessa conclusione. Un gruppo di ricercatori ha applicato campi elettromagnetici a certe parti del cervello, come i lobi temporali, ed è riuscito a indurre nelle “cavie” sensazioni fisiche e metafisiche, come la sensazione di vicinanza a Dio. Alla stessa conclusione è giunto con i suoi esperimenti il neuroscienziato Michael Persinger, secondo il quale i campi magnetici svilupperebbero nel cervello dei volontari la sensazione di avvertire strane presenze.
Un fantasma al cinema per adulti: un esperimento che precorse i tempi
La storia di alcune misteriose "visioni paranormali" inscenate a scopo scientifico. E di come anticiparono alcune importanti scoperte sull'attenzione. Il 28 maggio 1960, alle 19:40 di sera, gli spettatori di un film a luci rosse di Cambridge assistettero a un'apparizione molto particolare, mentre scorrevano i trailer prima dello show. Un uomo vestito da fantasma, con un lenzuolo bianco calato fino ai piedi, passò più volte davanti allo schermo, lasciando il pubblico in sala piuttosto indifferente, scrive il 31 ottobre 2016 Elisabetta Intini su "Focus". Quasi la metà degli spettatori non notò nulla di strano, in quella comparsa; neppure l'addetto al proiettore si accorse della presenza sinistra dello spettro. Con buona pace dell'uomo sotto al lenzulo: A. D. Cornell, uno psicologo del paranormale dell'Università di Cambridge che voleva indagare, con rigoroso metodo scientifico, le reazioni dei presenti a un'improvvisa manifestazione "dall'altro mondo". Non era la prima volta che ci provava. Cornell, che implicitamente ammetteva la possibilità che gli spiriti dei morti si rifacessero vivi dall'oltretomba, e che conduceva le simulazioni di questi ritorni con un metodo Prima di allora era apparso, sempre avvolto nel lenzuolo, in un pascolo di mucche vicino al King's College di Cambridge: ma anche in quel caso, la sua coreografia di 4 minuti e mezzo, attentamente studiata per cogliere i passanti di sorpresa, non aveva sortito alcun effetto sugli 80 occasionali spettatori. Solo le mucche erano rimaste perplesse. Quindi aveva provato a "infestare" un cimitero che dava sulla strada, assistito dai suoi fedeli assistenti, pronti a intervenire in caso di episodi di isteria collettiva. Ma anche in quel caso, su 142 passanti, solo 4 avevano notato la presenza dello spettro, e nessuno aveva pensato al paranormale: una persona aveva detto di aver visto un uomo vestito da donna, e sicuramente matto; un'altra, era convinta di aver osservato "uno studente con una coperta". Altri due ammettevano di aver assistito a un tentativo di simulare una visione paranormale, tuttavia fallito - sotto al lenzuolo si intravedevano chiaramente i piedi. Ecco come Cornell era arrivato a pensare al cinema. Prima di tutto, gli serviva un contesto di attenzione focalizzata (in questo caso, verso lo schermo). Inoltre, aveva scelto un film a luci rossi per questioni "etiche": voleva così scongiurare la presenza di bambini in sala. Ma quando lasciato il lenzuolo, Cornell prese in mano il microfono per interrogare gli astanti sulla loro esperienza, capì che il 46% degli spettatori non aveva notato il suo primo passaggio davanti allo schermo, e che il 32% non aveva visto nulla di strano per tutto il tempo. Per Cornell, l'esperimento era fallito. Ma riletti oggi, e spogliati di ogni velleità paranormale, quegli studi pubblicati sul Journal of the Society for Psychical Research anticiparono di quarant'anni un fenomeno fondamentale nelle ricerche sull'attenzione: l'inattentional blindness (cecità da disattenzione), dimostrata ufficialmente per la prima volta da due psicologi dell'MIT, Irving Rock e Arian Mack, nel 1998. Di che cosa si tratta? Nel video qui sotto, provate a contare quanti passaggi fanno i giocatori con la maglietta bianca. Avete visto passare il gorilla? Probabilmente no, anche se il bestione, come si vede nell'immagine qui sotto, era chiaramente visibile. Ecco che cos'è l'inattentional blindness: l'incapacità di prestare attenzione a uno stimolo inaspettato, anche se quello stimolo si nota chiaramente. Quando ci si concentra su un compito - in questo caso, contare i passaggi di palla - si tende a non prestare attenzione ad altri input e oggetti inattesi. L'esperimento del gorilla, per le sue implicazioni sull'attenzione, è stato poi ripreso in moltissime varianti: si è persino visto che i medici non prestano attenzione ai gorilla che si intrufolano nelle radiografie! Ma gli studi di Cornell sul fantasma passato più volte inosservato, con il loro rigore scientifico pur nella comicità delle situazioni, anticiparono questo aspetto degli studi cognitivi di qualche decennio. Il disegno sperimentale di queste ricerche, fondamentali in ambiti come quello della sicurezza stradale, delle testimonianze oculari o della pubblicità, fu immaginato per la prima volta da un uomo che credeva nelle apparizioni paranormali. Ma il valore reale dello studio passò allora completamente inosservato, proprio come quel fantasma.
I MEDIUM.
Medium e fenomeni paranormali sono frodi? Il leggendario scettico James Randi mostra i trucchi utilizzati dai medium. E spiega perché nessuna facoltà paranormale sia stata mai provata scientificamente, scrive "Focus" l'1 ottobre 2012. Il leggendario scettico James Randi ingoia sul palco una dose fatale di sonniferi omeopatici per dare inizio a un travolgente atto d'accusa contro i convincimenti irrazionali. Lancia una sfida a tutti i medium del mondo: dimostrate che ciò che fate è reale e vi darò un milione di dollari. (Nessuno finora li ha ottenuti). In una conferenza TED di qualche anno fa James Randi ha mostrato quali sono i trucchi a cui ricorrono medium e fantomatici personaggi che millantano facoltà paranormali per ingannare il loro pubblico. TED - per i non addetti ai lavori - è un'organizzazione non-profit il cui scopo è "la diffusione delle idee", attraverso conferenze internazionali.
Buongiorno. Sono lieto di vedere tante belle persone e così tanti visi sorridenti. Ho una preparazione un'attitudine ed un approccio particolare al mondo reale perché sono un prestigiatore. Preferisco questa parola alla parola 'mago' perché, se veramente fossi un mago, vorrebbe dire che utilizzo magie, incantesimi e gesti particolari per realizzare delle vere magie. No, io non lo faccio. Sono un prestigiatore ossia uno che finge di essere un vero mago. Come si riesce ad essere prestigiatori? Il prestigiatore si avvale del fatto che gli spettatori come voi faranno delle supposizioni. Ad esempio, quando sono salito qui sopra ed ho preso il microfono dal suo sostegno e l'ho accesso voi avete supposto che fosse un microfono, ma non lo è. (Risate) In realtà è qualcosa con cui circa metà di voi, più di metà di voi non ha alcuna familiarità. Serve a pareggiare la barba. Ed è un pessimo microfono. L'ho provato più volte. Un'altra supposizione che avete fatto -- e questa piccola lezione serve a dimostrarvi che fate supposizioni -- non solo che potete farne, ma che ne farete -- quando vi sono suggerite in modo adeguato. Voi credete che io vi stia guardando. Sbagliate. Non vi sto guardando. Non posso vedervi. So che siete qui davanti, mi hanno detto dietro le quinte che c'è un pienone. So che siete qui perché riesco ad udirvi ma non posso vedervi perché normalmente indosso occhiali. E questi non sono occhiali, è una montatura senza lenti decisamente priva di lenti. Perché mai un uomo adulto dovrebbe presentarsi a voi indossando montature senza lenti? Per ingannarvi, signore e signori, per raggirarvi, per dimostravi che anche voi fate delle supposizioni. Non dimenticalo mai. Innanzitutto devo indossare degli occhiali veri così da potervi vedere il che probabilmente sarebbe vantaggioso. Non saprei. Non ho ancora visto. Beh, non è poi un così grande vantaggio. (Risate)
Adesso farò una cosa che è piuttosto strana per un mago. Prenderò delle medicine. Questa è una bottiglia piena di Calms Forte. Vi spiegherò tra un momento. Ignorate le istruzioni per l'uso. È quello che il governo deve aggiungere per confondervi, ne sono certo. Ne prendo un bel po'. Mmmm. Anzi, le prendo tutte. 32 pastiglie di Calms Forte. Fatto questo -- vi spiegherò tra un momento -- ora devo dirvi che sono un attore. Sono un attore che recita una parte precisa. Recito la parte del mago, uno stregone, se preferite, un vero stregone. Se qualcuno apparisse su questo palco di fronte a me affermando di essere un antico principe della Danimarca chiamato Amleto, vi sentireste insultati e a ragione. Perché mai qualcuno dovrebbe supporre che crediate a qualcosa di così strano? Ma fuori da questa stanza ci sono moltissime persone che vi diranno che hanno dei poteri magici, che possono prevedere il futuro, che possono entrare in contatto con i morti. Inoltre dicono che vi venderanno degli oroscopi o qualche altro metodo per predire il futuro. Oh, se ve lo venderanno volentieri. Sì. Vi diranno anche che possono darvi delle macchine a moto perpetuo e sistemi che funzionano con energia gratuita. Affermeranno di essere medium, sensitivi, qualsiasi cosa. Ma c'è qualcosa che è ritornata ad essere di moda recentemente, ed è il business del parlare con i morti. Per la mia mente innocente l'essere morti implica l'essere incapaci di comunicare. Forse sarete d'accordo con me. Ma quelle persone tendono a dirvi che non solo possono comunicare con i morti -- "Ehilà!" -- ma che possono anche udirli, e che possono riferire le loro informazioni ai vivi. Mi chiedo se sia vero. Non lo penso perché questa sottocultura utilizza esattamente gli stessi trucchi dei maghi, esattamente gli stessi gli stessi mezzi fisici, gli stessi metodi psicologici. Queste persone hanno profondamente ed efficacemente ingannato milioni di persone causando loro danno. Essi ingannano le persone. Costano loro molto denaro. Causano loro un grande tormento emotivo. Miliardi di dollari vengono spesi ogni anno, in tutto il globo, per questi ciarlatani. Ho due domande che mi piacerebbe rivolgere a queste persone se ne avessi l'opportunità. Prima domanda: se desiderassi che rievochino qualcuno -- perché li ascoltano attraverso le orecchie. Loro ascoltano gli spiriti in questo modo. Gli chiederò di chiamare lo spirito di mia nonna perché prima di morire, lei aveva preparato un testamento che aveva nascosto da qualche parte. Non sappiamo dove sia. Chiediamo alla nonna, "Nonna, dov'è il testamento?" Cosa risponde la nonna? Risponde "Sono in paradiso ed è fantastico. Sono qui con tutti i miei vecchi amici, i miei amici defunti, e la mia famiglia, e tutti i cani ed i gatti che avevo quando ero bambina. E vi amo, sarò sempre con voi. Arrivederci." Ma non ha risposto alla dannata domanda. Dove si trova il testamento? Avrebbe potuto facilmente dire "Oh, nella libreria sul secondo scaffale, dietro l'enciclopedia." Ma non lo dice, proprio non lo dice. Non ci riferisce alcuna informazione utile. Abbiamo pagato molto per quell'informazione, ma non l'abbiamo ottenuta. La seconda domanda che vorrei fare è piuttosto semplice. Ipotizzate che io chieda loro di contattare, ad esempio, lo spirito di mio suocero. Perché mai insistono col dire -- ricordate, gli parlano nell'orecchio -- perché chiedono "Il mio nome comincia con J o con M?" È un gioco di caccia? Caccia e pesca? Cos'è? È un quiz come "20 domande"? No, piuttosto 120 domande. È un gioco crudele, malvagio completamente amorale -- sto bene, state pure seduti -- quello che queste persone giocano. Essi sfruttano gli innocenti, i semplici, i sofferenti, le persone bisognose.
È un procedimento che si chiama "cold reading". C'è un tale che si chiama James Van Praagh. È uno dei professionisti di questo tipo d'attività. John Edward, Sylvia Browne e Rosemary Altea sono alcuni degli altri. Ce ne sono a centinaia nel mondo, ma in questo Paese, James Van Praagh è molto noto. Di che cosa si occupa? Gli piace dirvi in che modo il defunto è defunto, è la gente che gli parla attraverso l'orecchio, vedete. Molto spesso ciò che dice è simile a "Mi dice, mi dice, che prima di morire aveva problemi a respirare." Gente, è questa l'essenza della morte. (Risate) Smetti di respirare e poi sei morto. È proprio semplice. E questo è il genere di informazioni che vi riferiranno? Non penso proprio. Queste persone provano ad indovinare, diranno cose come "Perché sto ricevendo elettricità? Mi sta dicendo 'Elettricità.' Faceva l'elettricista?" No. "Ha mai posseduto un rasoio elettrico?" No. È una specie di caccia alla domanda giusta. È questo che fanno. Le persone spesso chiedono informazioni alla James Randi Educational Foundation mi chiamano per chiedermi "Perché si preoccupa tanto, Signor Randi? Non crede che sia solo divertente?" No, non è divertente. È una farsa crudele. Forse può offrire un qualche sollievo ma questo sollievo dura più o meno 20 minuti. Poi la gente si guarda alla specchio e dice ho pagato molto denaro per questa seduta. e cosa mi ha detto? "Ti amo!" Lo dicono sempre. Non ottengono alcuna informazione non ottengono valore da quanto hanno speso. Sylvia Browne è una gran professionista del settore. La chiamiamo "Gli Artigli." Sylvia Browne -- grazie -- Sylvia Browne è una gran professionista ad oggi, in questo campo. Sylvia Browne -- solo per farvi capire -- ricava 700 dollari per una seduta di 20 minuti al telefono. Non ha nemmeno bisogno di presentarsi di persona. E dovrete aspettare fino a due anni perché la lista di attesa dura così tanto. Pagate con la carta di credito o in qualche altro modo poi lei vi chiamerà prima o poi nei prossimi due anni. Si capisce che è lei. "Salve, sono Sylvia Browne." È proprio lei, lo si capisce subito. Montel Williams è un uomo intelligente. Sappiamo tutti chi sia in televisione. Ha una buona educazione, è sveglio. Sa cosa Sylvia Browne sta facendo, ma non se ne cura. Semplicemente non gli importa. Perché, sotto sotto, gli sponsor la adorano e lui la espone alla pubblicità televisiva ad ogni occasione. Cosa vi darà Sylvia Browne per 700 dollari? Vi darà il nome dei tuoi angeli custodi, innanzitutto. Come potremo mai farne a meno? Vi dirà i vostri nomi nelle vite precedenti chi eravate nelle vite passate. Mah. Si scopre che le donne per cui aveva effettuato delle sedute erano tutte principesse babilonesi, o qualcosa di simile E che tutti gli uomini erano guerrieri Greci che combattevano con Agamennone. Non si tratta mai di un lustrascarpe quattordicenne per le strade di Londra, morto di stenti. Non vale la pena rievocarlo, ovviamente. E una cosa strana -- forse avrete notato anche questo -- è che si vede che queste persone in televisione -- non rievocano mai nessuno dall'inferno. Tutti sono rievocati dal paradiso, mai dall'inferno. Se le persone rievocate sono miei amici come potrebbero mai tornare dal... capite dove vanno a parare. (Risate)
Sylvia Browne è un'eccezione, in un certo senso, perché la James Randi Educational Foundation, la mia fondazione, offre un premio di un milione di dollari in titoli negoziabili. È facile vincere. Dovete solo produrre un qualsiasi evento paranormale, occulto o soprannaturale essendo sottoposti a condizioni di osservazioni appropriate. È facile vincere il milione di dollari. Sylvia Browne è un'eccezione perché è l'unica medium professionista in tutto il mondo che ha accettato la nostra sfida. Lo ha fatto durante il Larry King Live Show sulla CNN sei anni e mezzo or sono. Non abbiamo più ricevuto sue notizie. Strano. Ha detto che, innanzitutto, non sapeva come contattarmi. Mah. Una medium professionista che parla ai morti che non riesce a contattarmi? (Risate) Sono vivo, come avrete notato. O perlomeno in buone condizioni. Non riusciva a contattarmi. Poi ha detto che non voleva più contattarmi perché sono un senza Dio. Una ragione ancora migliore per prendere il milione di dollari, non pensi, Sylvia? Queste persone devono essere fermate, adesso, sul serio. Devono essere fermate perché è una farsa crudele. Molte persone vengono a trovarci alla fondazione. Sono rovinate finanziariamente ed emotivamente perché hanno donato il loro denaro e la loro fede a questa gente. Prima ho ingoiato delle pastiglie, adesso devo spiegarvi. Omeopatia, cerchiamo di capire di cosa si tratta. Hmm. Ne avete sentito parlare. È una forma di cura alternativa, certo. In realtà l'omeopatia consiste in questo. -- Questo è il Calms Forte, 32 capsule di sonnifero -- mi ero dimenticato di dirvelo. Ho appena ingoiato l'equivalente di sei giorni e mezzo di sonniferi. (Risate) Sei giorni e mezzo, una dose certamente fatale. Lo dice proprio qui dietro, "In caso di sovradosaggio, contattate immediatamente il vostro centro antiveleni" ed indica anche un numero verde. Non preoccupatevi, tutto andrà bene. Non ne ho proprio bisogno perché ho fatto questo stunt per il pubblico di tutto il mondo durante gli ultimi otto o dieci anni, assumendo dosi fatali di sonniferi omeopatici. Perché non hanno effetti su di me? (Risate) (Applausi) La risposta potrebbe sorprendervi. Che cos'è l'omeopatia? È prendere un medicinale che funziona davvero e diluirlo e diluirlo ben oltre il limite di Avogadro. Diluendolo fino al punto in cui non ve ne è più traccia. Gente, non sto utilizzando una metafora, è la verità. È l'esatto equivalente del prendere un'aspirina da 325 milligrammi gettarla in mezzo al Lago Tahoe, mescolare il tutto, ovviamente con un bastone molto grande, ed aspettare per due anni circa finché la soluzione non diventi omogenea. Poi, quando vi prende il mal di testa bevete un sorso di quell'acqua e voilà! È sparito. (Risate) È proprio vero, è questa l'essenza dell'omeopatia. Inoltre affermano che -- questa vi piacerà -- che più si diluisce la medicina, dicono, più diventa potente. Aspettate un momento. Abbiamo sentito di quel tizio in Florida. Il pover'uomo usava medicine omeopatiche. È morto di overdose. Aveva dimenticato di prendere la sua pillola. (Risate) Pensateci, rifletteteci. È una cosa ridicola, assolutamente ridicola. Non so in che modo siamo riusciti a credere a queste assurdità per tutti questi anni. Lasciatemi dire che la James Randi Educational Foundation sta agitando questa grande carota ma devo anche dire che, il fatto che nessuno abbia accettato finora quest'offerta non implica che questi poteri non esistano. Potrebbero esistere, da qualche parte. Forse queste persone sono solo benestanti. Beh, credo sia proprio il caso di Sylvia Browne. 700 dollari per una seduta di 20 minuti al telefono, è più di quanto chiedano gli avvocati. È una somma di denaro favolosa. Forse queste persone non hanno bisogno di un milione di dollari, ma non pensate che a loro piacerebbe prenderli solo per farmi sembrare stupido, solo per togliersi di torno questo senza Dio di cui Sylvia Browne parla così spesso? Penso che si debba fare qualcosa. Mi piacerebbe moltissimo che mi suggeriste come contattare i federali, lo Stato le autorità locali per farli intervenire. Se scoprite come -- ora capisco -- ci sono persone, ancor oggi, che ci parlano di epidemie di AIDS e di bambini affamati nel mondo e di fonti d'acqua contaminate che affliggono le popolazioni. Sono problemi molto importanti, di importanza critica per noi. E dobbiamo fare qualcosa per affrontare questi problemi. Ma allo stesso tempo... Come diceva Arthur C. Clarke "Il marcire della mente umana." Il business del credere nel paranormale e nell'occulto e nel soprannaturale, tutte queste totali assurdità, questo modo di pensare medievale, io penso che dobbiamo affrontare anche questo problema e che la risposta sta nell'educazione. In gran parte sono i media a dover essere condannati per questo genere di cose. Senza pudore promuovono tutti questi tipi di assurdità perché soddisfano gli sponsor. Alla fine sono i soldi che contano. È tutto ciò di cui si interessano. Dobbiamo proprio fare qualcosa. Sono disposto a ricevere suggerimenti e spero che visiterete la nostra pagina web. È www.randi.org Andateci ed esaminate gli archivi, comincerete a comprendere molto meglio di che cosa abbiamo parlato oggi. Vedrete le nostre registrazioni. Non c'è niente come sedersi in quella biblioteca e vedere comparire una famiglia che dice che Mamma ha speso tutto il patrimonio familiare. Ha svenduto i CD ha dato via le azioni ed altri titoli. È una cosa tristissima sentirselo dire, e non è stato loro di alcun aiuto, non ha risolto alcuno dei loro problemi. Le menti degli americani potrebbero cominciare a marcire e come loro le menti di tutte le popolazioni della Terra se non cominciamo a riflettere ragionevolmente su queste cose. Abbiamo offerto questa carota come dicevo, l'abbiamo messa in mostra. Attendiamo che i medium si facciano avanti per prenderla. Oh, ne accogliamo tanti centinaia ci provano ogni anno. Si tratta di rabdomanti e di persone che pensano di poter parlare con i morti, ma sono dilettanti, non sanno come valutare i loro cosiddetti poteri. I professionisti non ci provano mai, eccetto per Sylvia Browne. Di cui vi ho parlato poc'anzi. Ha accettato e poi ha fatto marcia indietro. Signore e signori, mi chiamo James Randi, e sto aspettando. Grazie. (Applauso)
LA SCIENZA ED IL CREATORE.
Si riaffaccia all'asta la "Lettera su Dio" di Einstein. La stima è di oltre un milione di dollari. Pochi giorni fa era andata invenduta da Sotheby's la sua Bibbia, scrive il 3 dicembre 2018 Repubblica. "La parola Dio per me non significa altro che l'espressione il prodotto della debolezza umana, la Bibbia una collezione di venerabili ma ancora piuttosto primitive leggende", scriveva nel 1954 Albert Einstein in una lettera famosissima che domani Christiès metterà all'asta. Previsioni di vendita, da uno a 1,5 milioni di dollari, nonostante che solo la scorsa settimana una Bibbia appartenuta al padre della relatività sia andata invenduta dalla rivale Sotheby's. La "Lettera su Dio" di Einstein - una pagina e mezza autografa e in tedesco - ha acquistato questo nome nonostante la parola Dio sia usata solo una volta durante tutto il messaggio. Fu inviata un anno prima di morire al filosofo tedesco Eric Gutkind, autore di un libro ("Scegli la Vita: la chiamata biblica alla rivolta") che apparentemente a Einstein non era piaciuto. Il premio Nobel per la fisica aveva scritto decine di lettere in cui affrontava il tema di Dio e dell'ebraismo, la religione in cui era nato e cresciuto. Secondo Walter Isaacson, autore di una biografia del 2008, "nessuno dovrebbe basarsi solo su una lettera per risolvere i dubbi sull'idea di Einstein sull'esistenza di un essere supremo". Sempre secondo Isaacson, Einstein non era un ateo: "Ma non credeva in un Dio che andava in giro scegliendo le sue squadre sportive o le sue persone preferite". Non è la prima volta che il messaggio, riemerso nel 2008 dopo esser rimasto fino ad allora nelle mani della famiglia Gutkind, viene proposto all'asta: nel maggio di quell'anno a Londra un compratore rimasto anonimo battè il celebre ateo britannico Richard Dawkins pagando l'equivalente di 404 mila dollari per il documento. La lettera era stata poi offerta sei anni fa su eBay per tre milioni di dollari ma l'operazione apparentemente non andò in porto. Altre lettere di Einstein sono state battute per cifre da capogiro: nel 2002 un suo messaggio al presidente Franklin Delano Roosevelt il cui il padre della fisica moderna metteva in guardia dai pericoli insiti nella "costruzione di bombe estremamente potenti" come gli ordigni atomici totalizzò da Christie's 2,1 milioni di dollari.
Ritrovata una lettera inedita di Albert Einstein, ecco perché oggi sarebbe diventata virale. È del 1954 ed è un monito contro la violenza delle religioni, scrive la Redazione di TPI il 3 Dicembre 2018. È stata riesumata una lettera di Albert Einstein e il tema è il più discusso di sempre: la religione. Si tratta di una lettera a mano del 1954 dal fisico che verrà messa all’asta nei prossimi giorni. Lo scritto di una pagina e mezzo in tedesco fornisce un assaggio dei pensieri privati di Einstein. Non è la prima volta che il premio Nobel si confronta con la questione dell’ebraismo (la religione della sua famiglia), ma questa volta usa la parola “Dio” una sola volta. La lettera è emersa nel 2008. Fino ad allora, era apparentemente in mano agli eredi di Gutkind. Ha poi sfondato nell’universo delle aste, con un prezzo di 404mila dollari a Londra. Per il tema caldo. Einstein scelse un argomento discusso e dibattuto. Affrontando religione e scienza. “La parola Dio non è per me altro che l’espressione e il prodotto delle debolezze umane, la Bibbia una collezione di leggende venerabili ma ancora piuttosto primitive” si legge nel messaggio. “Nessuna interpretazione, non importa quanto sottile, può (per me) cambiare qualcosa al riguardo”. I commenti incendiari sarebbero caduti a pioggia nel mondo attuale. Per la sintesi. La lettera è corta. Di soli 239 battute, inclusi gli spazi, i punti e le virgole. Oltre il limite di un tweet. Ma facilmente sintetizzabile. Per i “tag”. Mandò la lettera scritta a mano a Eric Gutkind, un filosofo tedesco che aveva scritto un libro intitolato “Choose Life: The Biblical Call to Revolt” che, apparentemente, a Einstein non piaceva molto. Una recensione nella rivista Commentary ha detto che “Choose Life” era “genuinamente ispirata alla tradizione ebraica” e “sfida una generazione disincantata a” preparare il mondo per il Regno di Dio. Nel 2018 le chioccioline avrebbero aiutato alla diffusione della lettera. Ora la lettera è di nuovo sul mercato. Martedì arriverà sul blocco di Christie’s. Christie’s ha fissato una stima preventiva da 1 milione a 1,5 milioni di dollari. La “lettera di Dio” è stata messa in vendita su eBay per 3 milioni di dollari nel 2012. Il banditore che ha gestito la quotazione eBay ha detto che non poteva discutere l’esito. Una portavoce di Christie ha detto che non ha venduto allora e che la persona che l’ha acquistata nel 2008 è il venditore ora.
EINSTEIN E LA PROVA RAZIONALE DELL’ESISTENZA DI DIO (onde gravitazionali e dintorni). Antonio Socci. Da “Libero”, 13 febbraio 2016. Ha fatto scalpore la notizia della rilevazione delle onde gravitazionali. E’ stata giustamente enfatizzata da tutti i media del mondo come una svolta epocale. Tutti hanno ripetuto che tale rilevazione ci fornisce finalmente la conferma sperimentale di quanto Albert Einstein aveva ipotizzato cento anni fa nella sua teoria della relatività generale. Ora si aprono orizzonti inediti per la scienza, ma solo gli addetti ai lavori possono intuire alcuni scenari futuri della ricerca: il grande pubblico e i media non sono in grado di capire tutta la portata scientifica di questo avvenimento. Invece il “caso Einstein” può e deve essere compreso in tutte le sue implicazioni e non si può ridurre alla sola narrazione banale e celebrativa della genialità di questo straordinario scienziato. E’ stato lui stesso, infatti, ad accompagnare le sue teorie – che hanno rivoluzionato la scienza – con considerazioni che riguardano tutti noi come esseri umani nel mistero dell’universo e finalmente la nostra mente alla ricerca di Dio. Lo si può affermare – come vedremo – proprio sulla base di quanto Einstein stesso ha scritto. Anzitutto va detto che Einstein era essenzialmente un fisico teorico. Mentre il fisico sperimentale costruisce (appunto) esperimenti con sofisticate tecnologie, per appurare dei fenomeni, il fisico teorico, partendo da ipotesi, arriva, attraverso delle equazioni matematiche, ad enunciare delle leggi fisiche non ancora verificate sperimentalmente. Per questo i famosi studi sulla relatività di Einstein hanno previsto una serie di fenomeni e di realtà fisiche la cui effettiva esistenza è stata constatata solo negli anni successivi. L’ultima clamorosa conferma è appunto di questi giorni. Ma molte altre cose intuite per via teorica da Einstein erano già state dimostrate effettivamente esistenti nella realtà. E questo ha rivoluzionato la fisica, ma anche la nostra stessa vita quotidiana. Tuttavia c’è un aspetto che sfugge in tutta questa vicenda.
IL “MIRACOLO”. I media in questi giorni non gli danno alcuna attenzione, considerandolo scontato, ma era invece ritenuto da Einstein assolutamente sorprendente: il fatto cioè che la mente umana, tramite equazioni matematiche, sia in grado di ipotizzare l’esistenza di fenomeni fisici mai visti e il fatto che la realtà fisica dell’universo mostri di essere stata “costruita” proprio così, con perfetta (e altissima) razionalità matematica. La matematica è una costruzione della mente umana. Com’è possibile che un’equazione astratta costruita dalla nostra intelligenza si ritrovi poi esattamente riprodotta nelle leggi fisiche vigenti nelle più remote regioni dell’universo? Il cosmo non è stato prodotto da nessun essere umano e tuttavia è governato proprio da quella stessa ferrea razionalità matematica che la nostra mente elabora in astratto. Tutto questo è un autentico “miracolo”: è il più colossale e clamoroso miracolo che si trovi costantemente sotto i nostri occhi e a cui non facciamo alcun caso. A chiamarlo così – “miracolo” – è stato proprio Einstein che ne era immensamente stupefatto.
Nella famosa lettera a Solovine, Einstein scriveva: “Lei trova strano che io consideri la comprensibilità della natura (per quanto siamo autorizzati a parlare di comprensibilità), come un miracolo (Wunder) o un eterno mistero (ewiges Geheimnis). Ebbene, ciò che ci dovremmo aspettare, a priori, è proprio un mondo caotico del tutto inaccessibile al pensiero. Ci si potrebbe (di più, ci si dovrebbe) aspettare che il mondo sia governato da leggi soltanto nella misura in cui interveniamo con la nostra intelligenza ordinatrice: sarebbe” aggiungeva Einstein “un ordine simile a quello alfabetico, del dizionario, laddove il tipo d’ordine creato ad esempio dalla teoria della gravitazione di Newton ha tutt’altro carattere. Anche se gli assiomi della teoria sono imposti dall’uomo, il successo di una tale costruzione presuppone un alto grado d’ordine del mondo oggettivo, e cioè un qualcosa che, a priori, non si è per nulla autorizzati ad attendersi. È questo il “miracolo” che vieppiù si rafforza con lo sviluppo delle nostre conoscenze. È qui che si trova il punto debole dei positivisti e degli atei di professione, felici solo perché hanno la coscienza di avere, con pieno successo, spogliato il mondo non solo degli dèi (entgöttert), ma anche dei miracoli (entwundert)”.
In perfetta consonanza con Einstein, un altro Premio Nobel per la Fisica, Antony Hewish, astronomo, ha affermato: “Dall’osservazione scientifica arriva un messaggio molto chiaro. E il messaggio è questo: l’universo è stato prodotto da un essere intelligente”. E’ questo che autorizza a parlare di certezza razionale dell’esistenza di Dio.
EINSTEIN E DIO. Il più importante filosofo dell’ateismo, Anthony Flew, che proprio grazie ad Einstein ha di recente rinnegato l’enorme mole del suo lavoro precedente, proclamando di avere oggi raggiunto la certezza razionale dell’esistenza di Dio, ha scritto: “Einstein credeva chiaramente in una fonte trascendente della razionalità del mondo, che definì variamente: mente superiore, spirito superiore illimitabile, forza ragionante superiore e forza misteriosa che muove le costellazioni”. E’ la conferma di quanto la Chiesa ha affermato nel Concilio Vaticano I: l’uomo con la semplice intelligenza può arrivare alla certezza dell’esistenza di Dio. Poi la fede cristiana è altra cosa: è la Rivelazione dell’incarnazione del Figlio di Dio, Gesù. Ma alla certezza razionale dell’esistenza di Dio si può arrivare con la semplice ragione. Infatti c’è arrivata la più alta mente dell’antichità – Aristotele – e la più alta mente della modernità: Einstein.
Ecco un altro suo pensiero: “E’ certo che alla base di ogni lavoro scientifico qualificato troviamo il convincimento, simile al sentimento religioso, della razionalità e intelligibilità del mondo (…). Tale fermo convincimento, legato al sentimento profondo dell’esistenza di una mente superiore che si manifesta nel mondo dell’esperienza, costituisce per me l’idea di Dio”.
Diceva ancora: “Chiunque sia seriamente coinvolto nella ricerca scientifica, si convince che le leggi della natura manifestino l’esistenza di uno spirito immensamente superiore a quello dell’uomo e davanti al quale noi, con i nostri modesti poteri, ci dobbiamo sentire umili”.
E ancora: “La mia religiosità consiste in un’umile ammirazione dello spirito infinitamente superiore che rivela se stesso nei lievi dettagli che siamo in grado di percepire con le nostre fragili e deboli menti. Questa convinzione profondamente emozionante della presenza di un potere ragionante superiore, rivelato nell’universo incomprensibile, costituisce la mia idea di Dio”.
E’ evidente che Einstein non possa essere considerato ateo o spinoziano, cioè panteista. Lui stesso lo smentì esplicitamente: “Non sono ateo e non credo di potermi definire panteista. Siamo nella stessa posizione di un bambino che entra in un’enorme biblioteca piena di libri in molte lingue. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri. Non si sa come. Non si comprendono le lingue in cui sono scritti. Il bambino sospetta vagamente un ordine misterioso nella collocazione dei libri, ma non sa quale sia. Questo, mi pare, è l’atteggiamento anche del più intelligente degli esseri umani nei confronti di Dio”.
Da questo si comprende la sua posizione di scienziato: “Voglio sapere come Dio ha costruito questo mondo (…). Voglio conoscere i suoi pensieri”.
Una posizione opposta a quella di certi divulgatori mediatici di oggi, tuttora aderenti all’ottocentesca ideologia positivista e quindi allergici alla parola “Dio”. Uno scienziato libero da pregiudizi ideologici non può che arrivare alle conclusioni razionali di Einstein. Il caso Einstein spiega perché un altro grande scienziato, profondamente cattolico, Louis Pasteur, fondatore della microbiologia, poteva dire: “poca scienza allontana da Dio, ma molta scienza riconduce a Lui”. Antonio Socci. Da “Libero”, 13 febbraio 2016
Albert Einstein era religioso o credente? Se sì, che concezione religiosa aveva? Risponde Tommaso Tosi, Saggista in Filosofia, Scienza e Tecnologia, su it.quora.com il 9 settembre 2017. Einstein non era credente in alcuna religione determinata, né era propriamente religioso, ma aveva piuttosto un senso di religiosità. La sua complessa posizione nei confronti della religione non può essere etichettata né come deista, né come panteista, né come adesione ad una religione naturale o rivelata (tendendo quindi di più all'ateismo verso qualsiasi forma di religione che implicasse la venerazione di un dio trascendente e personale) e negli ultimi anni della sua vita fu effettivamente classificabile come ateo. La sua meraviglia per la struttura ordinata e razionale dell'universo (per definire la quale molti fisici teorici usano metaforicamente la parola “Dio”) non è assimilabile a nessuna concezione spiritualistica o metafisica, e lui stesso spesse volte nell'arco della sua vita rifiutò sia di lasciarsi etichettare come appartenente a qualsivoglia credo religioso, sia di lasciar intendere la sua meraviglia per le leggi della fisica e l'ordine cosmico come una fede sentimentalistica verso una supposta intelligenza ordinatrice, che molti erroneamente associarono al panteismo spinoziano. Einstein parla di atteggiamento nei confronti di “Dio”, non come dio personale o oltrepersonale, ma come metafora dell'ordine strutturale dell'universo, e in questo senso dunque si è parlato di religione cosmica. Va tenuto in considerazione a tal proposito il suo pensiero riguardo alla questione del realismo e del determinismo della realtà fisica in generale e soprattutto in meccanica quantistica, nei riguardi della quale assunse una posizione in controtendenza con lo strumentalismo operazionistico dell'interpretazione di Copenhagen, più tendente all'antirealismo di Bohr o all’agnosticismo pragmatico di Born, a testimonianza della concezione intrinsecamente razionale dell'universo come cosmo (in senso etimologico, come ordine), per la quale provava un sentimento di ammirazione non classificabile come fideistico in senso spiritualistico o “religioso” nelle suddette accezioni. La citazione che forse rappresenta al meglio la posizione di Einstein sulla religione nell'arco di tutta la sua vita consiste in questo passo: «Noi siamo nella situazione di un bambino piccolo che entra in una vasta biblioteca riempita di libri scritti in molte lingue diverse. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri. Egli non conosce come. Il bambino sospetta che debba esserci un ordine misterioso nella sistemazione di quei libri, ma non conosce quale sia. Questo mi sembra essere il comportamento dell'essere umano più intelligente nei confronti di Dio. Noi vediamo un universo meravigliosamente ordinato che rispetta leggi precise, che possiamo però comprendere solo in modo oscuro. I nostri limitati pensieri non possono afferrare la forza misteriosa che muove le costellazioni.» Brian, Einstein a life, 1996, p. 127
Qui si rende chiara la tipica posizione di Einstein che pone l'accento sull'atteggiamento verso il “Dio” (come leggi ordinate dell'universo, che sono i libri della biblioteca) che l'uomo (il bambino, secondo lui ingenuo e impossibilitato a comprendere una tale complessità) dovrebbe avere nei suoi confronti, decifrando le lingue in cui essi sono scritti (i vari modelli matematici volte a descriverle). La sua è una metafora, effettivamente di non facile decifrazione se non si conosce la sua carriera scientifica e le posizioni assunte col variare del tempo. Quanto agli ultimi anni della sua vita, non è difficile classificarlo come ateo quando si considerano le sue ultime esternazioni in materia di religione, su tutte la lettera del 1954 che spedì al filosofo Gutkind: «La parola Dio per me non è nulla se non l'espressione di un prodotto della debolezza umana, la Bibbia una collezione di onorevoli, ma pur sempre puramente primitive, leggende che sono comunque piuttosto infantili. Nessuna interpretazione, per quanto sottile, può per me cambiare questo fatto. Per me la religione ebraica, così come tutte la altre religioni, è una incarnazione delle più infantili superstizioni.» Albert Einstein a Erik Gutkind, 3 gennaio 1954.
"La scienza davanti a Dio". Una riflessione di don Pasquale Maria Mainolfi, venerdì 9 novembre 2018 su Otto pagine. Negli ultimi anni ho invitato per tre volte a Benevento il mio carissimo amico Antonino Zichichi (1996, 2002, 2013) dove ha tenuto altrettante lectiones Magistrales sul tema dei rapporti tra scienza e fede. Lo scopritore dell'universo sub-nucleare, noto al grande pubblico per la grande capacità di rendere comprensibile l'essenza delle grandi scoperte scientifiche, affronta di sovente un problema cruciale, quello dei rapporti tra scienza e fede, non più considerati come irriducibili avversari bensì come alleati alla ricerca di uno stesso obiettivo, anche se in ambiti diversi: la Verità! Zichichi parte proprio dallo scienziato seicentesco per abbattere uno dei miti della propaganda anticlericale e antireligiosa: Galileo fu sostanzialmente un uomo di fede, importante non soltanto per i risultati scientifici ottenuti, bensì per la volontà di cercare nel creato una “logica”, una razionalità che non può certo nascere dal caos, ma deve avere alla propria base una mente razionale superiore. E questa mente non può essere che Dio.
Sostenere che tutto ciò che esiste è retto da leggi fondamentali, immutabili e universali era il principale intento di Galileo, che rifiutava la teoria di Keplero sulle orbite ellittiche, perché riteneva che la perfezione del disegno divino si potesse esprimere solo in cerchi perfetti e non deformati. Scrive Zichichi: «L'antitesi scienza-fede e la più grande mistificazione di tutti i tempi. La scienza studia l'immanente, le cose che si toccano. Come ha già detto Galilei, 1'immanente non entrerà mai in conflitto con il trascendente che appartiene alla fede. Mondo materiale e mondo spirituale hanno la stessa origine dal Creatore». Sant'Agostino afferma che: «Dio è più intimo di quanto noi lo siamo a noi stessi». Ecco la ragione per cui avvertiamo un certo pudore nel parlare di Lui. Chi ama canta! Dinanzi al mistero di Dio si può soltanto intonare un canto per dire l'indicibile. Dopo il canto c'è solo il silenzio. Il vero credente, carico di stupore, contempla, ringrazia e trasforma la sua fede in opere di giustizia. Non parla di Dio, ma si fa testimone, traendo da Lui la forza di amare questa umanità assetata di luce. Come fece Dag Hammarskjöld Segretario Generale delle Nazioni Unite: per non presentarsi come uomo di parte, non parlò mai di Dio e della sua immensa religiosità, ma ad un amico lasciò il suo diario dal quale emerge il mistico, sulle orme di San Francesco di Assisi, San Giovanni della Croce, Santa Teresa d'Avila. Ancora più potente la delicata discrezione di Albert Einstein che, mentre sta parlando della luce, fa un sublime inciso: «La luce... ombra di Dio». Paolo II, nell'Enciclica “Fides et ratio” afferma che Dio non manda in pensione l'intelligenza dell'uomo. Fede e ragione possono essere complementari: quasi essere un genio e amare il Creatore. La fede nel Dio rivelato da Gesù Cristo, il Verbo incarnato, è lo strumento che consente, legittima e obbliga ad approfondire la ricerca scientifica. Infatti è storicamente dimostrabile che la tradizione giudaico-cristiana, insieme a quella greca, ha consentito lo sviluppo della ricerca scientifica. La vicenda di Galileo è stata un drammatico errore della Chiesa di quel tempo. Errore che ha spinto il mondo ecclesiastico a temere le scoperte di Galileo, esattamente come le temevano gli altri scienziati del tempo, che vedevano crollare tutte le loro convinzioni e il loro lavoro. Solo nella cultura giudaico-cristiana è potuta fiorire la ricerca scientifica. Tutto dipende dall'idea che si ha di Dio. In ogni tempo sono le teologie che plasmano le antropologie (libero o determinato, fine o mezzo...). a seconda dell'immagine che si ha di Dio e dell'uomo si realizzano le sociologie cioè i modi di organizzare la società. Altre nobili tradizioni culturali e religiose, come Induismo o Buddhismo, non hanno sviluppato alcuna ricerca scientifica. Perché cercavano altro. La riprova sta nella storia dell'Islam, dove l'ultima difesa dell'importanza della ragione e della libera ricerca scientifica fu quella di Averroè, la cui scuola di pensiero venne purtroppo sconfitta, e dal 1300 le università del mondo islamico hanno scelto strade diverse, fino a giustificare la violenza. La novità del Cristianesimo ha invece consentito all'uomo di realizzare la pienezza della sua umanità. Il Dio rivelato da Gesù Cristo è “Logos”, “Verbum”, Pensiero e Parola creativa che solo per amore si è incarnato. Dai Vangeli discende l'idea di un uomo come “persona”, inviolabile perché dotato della dignità di figlio di Dio. Nell'annuncio cristiano troviamo l'idea di libertà (il “karma” buddhista propone una concezione ineluttabilmente deterministica). L'idea di storia e progresso nasce con i Vangeli, in altre tradizioni corre l'idea di eterno ritorno ciclico. Il Dio del cristiano è Pensiero creatore, che ha donato all'uomo la ragione e il diritto di usarla fino in fondo. Anche l'illuminismo è sbocciato dalla cultura cristiana con gli ideali di “Libertè-egalitè-fraternitè” che discendono da Gesù Cristo. Dal Cristianesimo discende un tratto fondamentale della modernità: il principio di distinzione tra fede e politica. Gesù afferma: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio a Dio» (Mc 12,17). Una vera rivoluzione, libera da ogni fondamentalismo e terrorismo islamista. La civiltà occidentale è cresciuta su questo fertile terreno, sviluppando scienza e tecnica. Molti scienziati, riconosciuti come geni, credono in Dio, pregavano e non riscontravano discordanze insuperabili tra la loro professione di fede e la loro ragione che utilizzavano al massimo livello. I più grandi filosofi credevano in Dio: Pascal, Vico, Cartesio, Bergson erano cattolici. Kierkegaard e Soloviev erano credenti. Anche Kant credeva in Dio. Dalla filosofia alla scienza: Copernico era un religiosissimo canonico; Newton passava dagli studi sulla gravitazione universale alle pratiche di religione e carità, talvolta saltava qualche pasto ma mai la preghiera; credeva in Dio il fisico Ampère e così Pasteur, fondatore della microbiologia e della immunologia; profondamente religioso era Mendel, scopritore delle leggi che regolano l'ereditarietà dei caratteri. Il Nobel Rubbia, scienziato straordinario e credente in Dio, ha dichiarato: «Noi fisici arriviamo a Dio percorrendo la strada della ragione, altri seguono la strada dell'irrazionale». Identici ragionamenti si possono fare passando dai geni della scienza a quelli della letteratura e poesia: Dante, Petrarca, Shakespeare, Dostoevskij, Manzoni, Grazia Deledda, Paul Claudel, Bernanos, Mauriac, Julien Green, Talkien, Pèguy, Chesterton, Elliot, il russo Solženicyn...Questi giganti del pensiero si ergono ad emblema della compatibilità tra Fede e Ragione. Una piccola scienza allontana da Dio ma una grande scienza conduce a Dio. Intendo presentare nei prossimi articoli i profili dei più grandi scienziati del nostro tempo che hanno sottomesso la loro intelligenza a Dio. Per usare un'immagine manzoniana, non hanno temuto di piegarsi «al disonor del Golgota», hanno fatto della Croce la possibilità di convertire il dolore in uno stimolo a superare i limiti della ragione, hanno creduto alla «Verità antica e sempre nuova» nobilitando e arricchendo le forti e affascinanti radici cristiane dell'Europa.
Antonino Zichichi a Umberto Veronesi: “Dio esiste e la prova è l’universo”. Il fisico, da le pagine de Il Giornale, risponde all'oncologo che nel suo libro "Il mestiere di uomo" ha scritto: "Dopo Auschwitz, il cancro è la prova che Dio non esiste", scrive "Il Fatto Quotidiano" il 18 novembre 2014. “Dopo Auschwitz, il cancro è la prova che Dio non esiste”. Umberto Veronesi, luminare dell’oncologia, lo scrive nel suo libro “Il mestiere di uomo”. Allo scienziato e fondatore dello Ieo oggi risponde dalle pagine del Il Giornale un altro scienziato Antonino Zichichi, fisico e presidente del World federation of scientists. L’oncologo del dolore dice che “diventa molto difficile identificarlo come una manifestazione del volere di Dio. Ho pensato spesso che il chirurgo, e soprattutto il chirurgo oncologo, abbia in effetti un rapporto speciale con il male. Il bisturi che affonda nel corpo di un uomo o di una donna lo ritiene lontano dalla metafisica del dolore. In sala operatoria, quando il paziente si addormenta, è a te che affida la sua vita. L’ultimo sguardo di paura o di fiducia è per te. E tu, chirurgo, non puoi pensare che un angelo custode guidi la tua mano quando incidi e inizi l’operazione, quando in pochi istanti devo decidere cosa fare, quando asportare, come fermare un’emorragia”. A questo Zichichi risponde che “la scienza non ha mai scoperto nulla che sia in contrasto con l’esistenza di Dio. L’ateismo, quindi, non è un atto di rigore logico teorico, ma un atto di fede nel nulla…. Ci sei solo tu in quei momenti, solo con la tua capacità, la tua concentrazione, la tua lucidità, la tua esperienza, i tuoi studi, il tuo amore (o anche la tua carità come la chiamava don Giovanni) per la persona malata. Allo stesso modo di Auschwitz, per me il cancro è diventato la prova della non esistenza di Dio. Come puoi credere nella Provvidenza o nell’amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi? Ci sono parole in qualche libro sacro del mondo, ci sono verità rivelate, che possano lenire il dolore dei suoi genitori? Io credo di no, e preferisco il silenzio, o il sussurro del “non so”.
Secondo il fisico invece “la speranza all’uomo del terzo millennio, solo la scienza e la fede possono darla. Questa speranza ha due colonne. Nella sfera trascendentale della nostra esistenza la colonna portante è la fede. Nella sfera immanentistica della nostra esistenza la colonna portante è la scienza. Noi siamo l’unica forma di materia vivente dotata della straordinaria proprietà detta ragione. La scienza ci dice che non è possibile derivare dal caos la logica che regge il mondo, dall’universo sub-nucleare all’universo fatto con stelle e galassie. Se c’è una logica deve esserci un Autore”. Secondo Zichichi “la follia politica ha causato milioni di vittime innocenti. Auschwitz e cancro sono due esempi di tragiche realtà. Una dovuta alla follia politica del nazismo, l’altra alla natura. Perché Dio non interviene per evitare il ripetersi di tante tragiche realtà? Se la nostra esistenza si esaurisse nell’immanente, il discorso sarebbe chiuso qui. Immanente vuol dire tutto ciò che i nostri cinque sensi riescono a percepire. Questi nostri cinque sensi sono il risultato dell’evoluzione biologica. C’è però un’altra forma di evoluzione che batte quella biologica: l’evoluzione culturale. L’evoluzione biologica della specie umana non avrebbe mai portato l’uomo a scoprire se esiste o no il supermondo, come facciamo al Cern. Né a viaggiare con velocità supersoniche. Né a vincere su tante forme di malattia che affliggevano i nostri antenati. La nostra vita media ha superato gli 80 anni e le previsioni vanno oltre i cento anni, grazie alla scoperta che il mondo in cui viviamo è retto da leggi universali e immutabili. Nel “libro della natura”, aperto poco meno di quattro secoli fa da Galileo Galilei, mai una virgola è stata trovata fuori posto”. Per me Veronesi invece è proprio l’opposto: “La scelta di fare il medico è profondamente legata in me alla ricerca dell’origine di quel male che il concetto di Dio non poteva spiegare. Da principio volevo fare lo psichiatra per capire in quale punto della mente nascesse la follia gratuita che poteva causare gli orrori di cui ero stato testimone. Avvicinandomi alla medicina, però, incappai in un male ancora più inspiegabile della guerra, il cancro”.
Veronesi: "Dopo Auschwitz, il cancro è la prova che Dio non esiste". "Come puoi credere nella Provvidenza o nell'amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi?", scrive Sergio Rame, Lunedì 17/11/2014, su "Il Giornale". Lapidario. Umberto Veronesi, oggi direttore scientifico dell’Istituto europeo di oncologia, si racconta nel libro Il mestiere di uomo che uscirà domani per Einaudi. E racconta come nel corso degli anni sia diventato agnostico senza tuttavia perdere la fede nella vita. Negli estratti, pubblicati oggi da Repubblica, l'oncologo medita sul dolore ripercorrendo la propria vita dall’infanzia da "inappuntabile chierichetto" all’amicizia con padre Giovanni che gli fece capire che esiste anche una carità laica. “La scelta di fare il medico è profondamente legata in me alla ricerca dell’origine di quel male che il concetto di Dio non poteva spiegare - si legge - da principio volevo fare lo psichiatra per capire in quale punto della mente nascesse la follia gratuita che poteva causare gli orrori di cui ero stato testimone. Avvicinandomi alla medicina, però, incappai in un male ancora più inspiegabile della guerra, il cancro". Per Veronesi, così come per la maggior parte dei medici che si battono per curare i tumori, il dolore incarna una forma vera e propria. È l'identità stessa del cancro. Ed è allora che, come spiega Veronesi, "diventa molto difficile identificarlo come una manifestazione del volere di Dio". "Ho pensato spesso che il chirurgo, e soprattutto il chirurgo oncologo, abbia in effetti un rapporto speciale con il male - continua - il bisturi che affonda nel corpo di un uomo o di una donna lo ritiene lontano dalla metafisica del dolore. In sala operatoria, quando il paziente si addormenta, è a te che affida la sua vita. L’ultimo sguardo di paura o di fiducia è per te. E tu, chirurgo, non puoi pensare che un angelo custode guidi la tua mano quando incidi e inizi l’operazione, quando in pochi istanti devo decidere cosa fare, quando asportare, come fermare un’emorragia". In quel momento Veronesi scopre di essere uomo. Si rende conto, insomma, che non c’è alcun dio a cui affidare il proprio operato: "Ci sei solo tu in quei momenti, solo con la tua capacità, la tua concentrazione, la tua lucidità, la tua esperienza, i tuoi studi, il tuo amore (o anche la tua carità come la chiamava don Giovanni) per la persona malata". Il cancro per Veronesi è molto simile a un campo di concentramento. "Così come Auschwitz - racconta - per me il cancro è diventato la prova della non esistenza di Dio". E chiede: "Come puoi credere nella Provvidenza o nell'amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi? Ci sono parole in qualche libro sacro del mondo, ci sono verità rivelate, che possano lenire il dolore dei suoi genitori? Io credo di no, e preferisco il silenzio, o il sussurro del non so".
Il cancro è questione di cellule. Ma l'universo è la prova di Dio. Auschwitz e cancro sono tragiche realtà, ma dietro a stelle e galassie c'è una logica. E quindi un autore, scrive Antonino Zichichi, Martedì 18/11/2014, su "Il Giornale". «Dopo Auschwitz, il cancro è la prova che Dio non esiste?». Lo sostiene Umberto Veronesi nel suo ultimo libro «Il mestiere di uomo». Ma ora a rispondergli è Antonino Zichichi, fisico e presidente Wfs (World federation of scientists). L'oncologo così racconta il suo progressivo allontanamento: «Non saprei dire qual è stato il mio primo giorno senza Dio. Sicuramente dopo l'esperienza della guerra non misi mai più piede in una chiesa, ma il tramonto della fede era iniziato molto prima (...)». A 18 anni andò in guerra. «(...) oltre alle stragi dei combattimenti, ho toccato con mano anche la follia del nazismo e non ho potuto non chiedermi, come fece Hannah Arendt prima e Benedetto XVI molti anni dopo: “Dov'era Dio ad Auschwitz?”». E infine l'incontro con la tragedia del cancro: «Allo stesso modo di Auschwitz, è diventato la prova della non esistenza di Dio. Come puoi credere nella Provvidenza o nell'amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi?». Alle nove del mattino del giorno dedicato alla celebrazione di tutti i Santi (primo novembre 1755), il terrore si abbatté sulla splendida e ricca capitale del Portogallo. Una serie di scosse telluriche seguite da inondazioni e incendi devastarono la splendida Lisbona: diecimila i morti e tre quarti delle case distrutte. La catastrofe sconvolse l'Europa e Voltaire concluse che questa era la prova della non esistenza di Dio. Nel secolo scorso, la follia politica ha causato milioni di vittime innocenti. Auschwitz e cancro sono due esempi di tragiche realtà. Una dovuta alla follia politica del nazismo, l'altra alla natura. Perché Dio non interviene per evitare il ripetersi di tante tragiche realtà? Nel secolo in cui viviamo, la potenza distruttiva nelle mani dell'uomo potrebbe cancellare qualunque segno di vita su questo piccolo e indifeso satellite del Sole. Chi osservasse da una lontana galassia questa nostra navicella spaziale e ciò che in essa accade, dovrebbe concludere che la Terra deve produrre facilmente più esplosivi che cibo. Per ciascun abitante ci sono infatti migliaia di chili di potenza esplosiva e mancano quelle poche centinaia di chili di cibo per evitare che milioni di persone - ancora oggi - muoiano per fame. Come se non bastasse, la potenza del calcolo elettronico è tale da poter mettere sotto controllo un numero di persone superiore a quello di tutti gli abitanti della Terra. Come la mettiamo con l'esistenza di Dio? Se la nostra esistenza si esaurisse nell'immanente, il discorso sarebbe chiuso qui. Immanente vuol dire tutto ciò che i nostri cinque sensi riescono a percepire. Questi nostri cinque sensi sono il risultato dell'evoluzione biologica. C'è però un'altra forma di evoluzione che batte quella biologica: l'evoluzione culturale. L'evoluzione biologica della specie umana non avrebbe mai portato l'uomo a scoprire se esiste o no il supermondo, come facciamo al Cern. Né a viaggiare con velocità supersoniche. Né a vincere su tante forme di malattia che affliggevano i nostri antenati. La nostra vita media ha superato gli 80 anni e le previsioni vanno oltre i cento anni, grazie alla scoperta che il mondo in cui viviamo è retto da leggi universali e immutabili. Nel «libro della natura», aperto poco meno di quattro secoli fa da Galileo Galilei, mai una virgola è stata trovata fuori posto. La speranza all'uomo del terzo millennio, solo la scienza e la fede possono darla. Questa speranza ha due colonne. Nella sfera trascendentale della nostra esistenza la colonna portante è la fede. Nella sfera immanentistica della nostra esistenza la colonna portante è la scienza. Noi siamo l'unica forma di materia vivente dotata della straordinaria proprietà detta ragione. È grazie a questa proprietà che è stata inventata la memoria collettiva permanente, meglio nota come scrittura. È così che possiamo sapere cosa pensava Voltaire sulla catastrofe naturale che distrusse Lisbona. Ed è sempre grazie alla scrittura che i nostri posteri potranno sapere cosa stiamo facendo noi avendo a disposizione la logica rigorosa teorica (meglio nota come matematica) e la logica rigorosa sperimentale (meglio nota come scienza). La scienza ci dice che non è possibile derivare dal caos la logica che regge il mondo, dall'universo sub-nucleare all'universo fatto con stelle e galassie. Se c'è una logica deve esserci un Autore. L'ateismo, partendo dall'esistenza di tutti i drammi che affliggono l'umanità, sostiene che se Dio esistesse queste tragedie non potrebbero esistere. Cristo è il simbolo della difesa dei valori della vita e della dignità umana. Che sia figlio di Dio è un problema che riguarda la sfera trascendentale della nostra esistenza. Negare l'esistenza di Dio però equivale a dire che non esiste l'autore della logica rigorosa che regge il mondo. Tutto dovrebbe esaurirsi nella sfera dell'immanente la cui più grande conquista è la scienza. La scienza però non ha mai scoperto nulla che sia in contrasto con l'esistenza di Dio. L'ateismo, quindi, non è un atto di rigore logico teorico, ma un atto di fede nel nulla.
Mia carissima nemica, quante litigate sul Nulla. Atea dalla grande onestà intellettuale, a Dio preferì un atto di fede nel nichilismo. Credeva in una tecnologia interamente dedicata al progresso e al benessere dell'Uomo, scrive Antonino Zichichi, Domenica 30/06/2013, su "Il Giornale". Il più bel ricordo che ho di Margherita Hack è quando a Siena mi disse che preferiva il Nulla. Eravamo entrambi ospiti dell’Arcivescovo di Siena, monsignor Gaetano Bonicelli, che aveva deciso di dar vita a una serie di incontri tra scienziati, uno credente e l’altro ateo. La serie veniva aperta da noi due. La Chiesa Universitaria era stracolma. Attacca lei e spiega i motivi per cui non poteva credere in Dio. Nel mio intervento spiego i motivi per cui io credevo (e credo) in Dio. Ed ecco come viene fuori il Nulla. Il messaggio che viene dalla Scienza- dicevo e dico- è che esiste una Logica Rigorosa cui il mondo deve obbedire, dall’universo subnucleare all’universo fatto con stelle e galassie. La professoressa Hack lavora studiando l’universo fatto con stelle e galassie. Io lavoro invece studiando l’universo subnucleare, le cui leggi e regolarità sono necessarie per capire che cos’è una stella. E infatti il mistero del Sole ha resistito fino a quando - a metà degli anni ’40 del secolo scorso - non è stato capito che cos’è una stella. Se l’uomo avesse continuato a osservare sempre meglio le stelle, ancor oggi non sapremmo che cos’è una stella. La luce che emette il nostro sole è un fenomeno che avviene sulla superficie di una stella. Perché non si spegne né esplode ce lo dicono le leggi dell’universo subnucleare. Il sole è infatti una candela a fusione nucleare. Non si spegne in quanto ha una valvola di sicurezza perfetta. Questa valvola è la cosiddetta carica debole (da non confondere con la carica elettrica) la cui prima misura di alta precisione è stata fatta al Cern dal mio gruppo. La candela nucleare non esplode in quanto essa si raffredda perfettamente emettendo neutrini. Il sole brilla più di neutrini che di luce. Che dovessero esistere i neutrini non lo aveva capito nessuno fino a metà del secolo scorso. Adesso, grazie ai lavori fatti con la macchina del Cern (Lep), è fuori discussione che esistono tre tipi di neutrini. Il fisico che ha proposto l’esistenza del terzo tipo di neutrini facendo i primi esperimenti al Cern è colui che dice all’amica Hack: se l’universo subnucleare non fosse retto da una logica rigorosa io sarei disoccupato. Non saprei cosa fare domani. Né avrei mai potuto far niente nella mia carriera di fisico impegnato a decifrare la logica scritta nel libro della natura. Se c’è una logica deve esserci un Autore. Ecco perché io credo in Colui che ha fatto il Mondo. L’ateismo nega l’esistenza dell’Autore. Negare l’esistenza di questa logica corrisponde a negare l’esistenza della Scienza. L’ateismo non sa dimostrare com’è possibile l’esistenza di una logica senza che ci sia Colui che di questa logica è l’Autore. Ecco perché io dico che l’ateismo non è atto di ragione ma di fede nel Nulla. A questo punto Margherita chiede il microfono all’arcivescovo e dice: «Sono d’accordo con ciò che ha detto il professore Zichichi. Io, Margherita Hack, preferisco l’atto di fede nel Nulla all’atto di ragione che mi porterebbe a credere in Dio». In molte occasioni ho citato come esempio di onestà intellettuale questa affermazione di Margherita Hack. Iddio solo sa quanto ci sia oggi bisogno di onestà intellettuale. La crisi di questi anni porta alla mia memoria i tempi della Guerra Fredda. Ci legava l’utopia di una Scienza senza segreti e senza frontiere. C’è un solo modo perché questa utopia possa diventare realtà: chiudere i laboratori segreti. A metà degli anni Ottanta, avvenne a Ginevra un evento senza precedenti, Margherita Hack mi telefonò dicendo che era felice per quanto aveva appreso. A Ginevra, Reagan e Gorbachev si impegnavano a smantellare i laboratori segreti. I capi delle due superpotenze avevano tradotto in un’azione concreta quanto sostenuto nel Manifesto di Erice. La Cultura dominante accusava noi scienziati di essere i veri responsabili del pianeta imbottito con bombe nucleari, nonostante il Manifesto di Erice fosse stato firmato da diecimila scienziati di 115 nazioni. Margherita Hack era con noi nel sostenere che le grandi conquiste della Scienza e le conseguenti invenzioni tecnologiche possono dar vita a tecnologie interamente dedicate al benessere e al progresso civile e sociale soltanto se si smantellano i laboratori che lavorano a porte chiuse. Bisogna distinguere nettamente la Scienza dalla Tecnica. Noi scienziati abbiamo la responsabilità delle scoperte scientifiche. La responsabilità di privilegiare le invenzioni tecnologiche pericolose per la vita e il rispetto dei valori su cui si fonda una società libera, democratica e civile, è del potere politico ed economico. Affinché le scoperte scientifiche siano interamente dedicate al benessere e al progresso civile e sociale è necessario che l’utopia della scienza senza segreti e senza frontiere diventi realtà. Margherita Hack è un esempio di onestà intellettuale e di forte impegno per la più civile delle battaglie culturali: scienza senza segreti e né frontiere.
La scienza ha questi limiti: Dio, i santi e i miracoli. Il fascino della nostra esistenza sta nella simbiosi tra sfera trascendentale e sfera immanentistica del nostro essere, scrive Antonino Zichichi, Venerdì 17/02/2017, su "Il Giornale". I miracoli sono o no credibili per la Scienza? Non si tratta solo della Madonna di Medjugorje. Ci sono i miracoli della Madonna di Fatima, quelli di Padre Pio, di San Gennaro, di Sant'Antonio, di San Francesco e di tanti altri Santi. Illudersi che si possa riprodurre con metodi scientifici la realtà di un miracolo, equivale a illudersi di potere scoprire l'esistenza scientifica di Dio. Se fosse possibile arrivare a una comprensione logico-rigorosa del miracolo, dovrebbe essere altrettanto possibile arrivare al «Teorema Dio». Né la Matematica né la Scienza potranno mai scoprire Dio. Vediamo perché. Se fosse la Scienza a scoprirlo, non potrebbe essere fatto che di Scienza e basta. Se fosse la Matematica ad arrivare al «Teorema di Dio», il Creatore del Mondo non potrebbe che essere fatto di Matematica e basta. Sarebbe poca cosa. Noi credenti vogliamo che Dio sia tutto: non soltanto una parte del tutto. Il fascino della nostra esistenza sta nella simbiosi tra sfera trascendentale e sfera immanentistica del nostro essere. Nella sfera immanentistica esistono fenomeni riproducibili, che noi sappiamo descrivere in modo rigoroso usando la matematica. Ad essi si dà il nome di scoperte scientifiche. Non possiamo però pretendere che le scoperte scientifiche esauriscano tutto ciò che esiste nell'Immanente. Ci sono infatti fenomeni non riproducibili. Avvengono una sola volta e non possono essere descritti da formule matematiche. Questi fenomeni sono i miracoli. La loro origine non può essere nella sfera immanentistica della nostra esistenza. A fare i miracoli non possono che essere i Santi. I Santi operano nella sfera trascendentale della nostra esistenza. Noi scienziati operiamo nella sfera immanentistica della nostra esistenza. Le due sfere non hanno le stesse strutture. Nella sfera dell'immanente esistono sette componenti di cui una è il Tempo. Nella sfera trascendentale non possono esserci le stesse componenti, quindi niente Tempo. È un errore pretendere che la sfera trascendentale debba essere come quella che noi studiamo nei nostri laboratori. Non bisogna confondere le due sfere. Esempio. Quando, fra cinque miliardi di anni, il Sole che è una candela a fusione nucleare si spegnerà, la sfera trascendentale della nostra esistenza sarà esattamente com'è adesso. In essa infatti non esiste il Tempo. Se le due logiche fossero identiche non potrebbero esistere i miracoli, ma solo, e soltanto, le scoperte scientifiche. Se così fosse le due sfere dell'Immanente e del Trascendente sarebbero la stessa cosa. È quello che pretendono coloro che negano l'esistenza del Trascendente, come fa la cultura atea. Non è un dettaglio da poco. I miracoli sono la prova che la nostra esistenza non si esaurisce nell'Immanente. Ma c'è di più. Le scoperte scientifiche sono la prova che non siamo figli del caos, ma di una logica rigorosa. Se c'è una Logica ci deve essere un Autore. La Scienza dice San Giovanni Paolo II nasce nell'Immanente, ma porta l'uomo verso il Trascendente. E, infatti, Autore della Scienza è un'intelligenza di gran lunga superiore alla nostra. Ecco perché le grandi scoperte sono tutte venute, non migliorando i calcoli e le misure ma dal «totalmente inatteso». Nessuno aveva saputo immaginare la natura «complessa» di quella cosa di cui siamo fatti e in cui viviamo: lo Spazio-Tempo. Se lo Spazio è reale il Tempo deve essere immaginario (ne abbiamo parlato su queste colonne). La Radioattività non era stata prevista da alcuna teoria; eppure in essa c'era la sorgente di una nuova forza fondamentale della Natura. Forza, la quale agisce da valvola di sicurezza che permette alle Stelle di brillare per miliardi di anni con estrema regolarità, senza mai spegnersi né saltare in aria. Nessuno aveva saputo prevedere che l'ultimo pezzettino (il «nucleone») di cui è fatta la materia a noi familiare (pietre, aria, piante) non si può rompere, nonostante abbia dentro una miriade di altre cose cui si dà il nome di Universo Subnucleare. Nessuno aveva saputo prevedere l'esistenza delle «cariche» dette di «sapore subnucleare». Queste cariche garantiscono la stabilità della materia: se un pezzo di pane, o un bicchiere d'acqua non si trasformano in energia, producendo disastri peggio di cento Hiroshima, lo dobbiamo alle cariche dette di «sapore subnucleare». Se Colui che ha fatto il mondo si fosse distratto dimenticando di crearle, non potremmo essere qui a discuterne.
Il più grande dei miracoli, amava dire Eugene Wigner (gigante della Scienza), è che esiste la Scienza. Il Papa che aveva fede anche nella scienza. Fu proprio Giovanni Paolo II, nel 1979, ad aprire le porte della Chiesa agli scienziati, scrive Antonino Zichichi, Sabato 30/04/2011, su "Il Giornale". Per i ragazzi che nel maggio 2011 assisteranno alla beatificazione di Giovanni Paolo II, la data del crollo del Muro di Berlino (9 novembre 1989) può sembrare lontana. Ventidue anni sono molti anche per coloro che ragazzi non sono. Ma per i tempi della Storia due decenni sono ancora «cronaca». Un fatto che occuperà diverse pagine nei libri di Storia dei millenni a venire sarà l’irrompere di Giovanni Paolo II nella Storia del mondo. Su quei libri sarà scritto che il Muro di Berlino è crollato nel secondo millennio; non nel quarto. Eppure le previsioni dei summit scientifici che si tenevano a Erice negli anni settanta - i più duri della lunga Guerra Fredda - erano catastrofiche. Ecco i punti salienti. In Usa - per motivi di fisiologia democratica - prima o poi sarebbe stato eletto un Presidente debole. Purtroppo - anche senza l’arrivo di un criminale a capo dell’Urss - la debolezza tipica del sistema libero e democratico era (ed è) inevitabile. Il capo dell’Urss, niente affatto criminale irresponsabile ma politico educato al Leninismo e allo Stalinismo, avrebbe senz’altro deciso di cogliere l’occasione al volo. E tirare - prendendo una qualche scusa costruita ad arte - il primo colpo. Nello scontro nucleare, primo colpo vuol dire vittoria sicura. L’Urss aveva quarantamila Bombe H da un Megaton l’una. Gli Usa ventimila. Un Megaton di tritolo-equivalente corrisponde a una potenza distruttiva pari a cento volte Hiroshima. La conclusione fu che bisognava a tutti i costi evitare lo scontro Usa - Urss. Purtroppo però era inevitabile che l’Urss - prima o poi - si sarebbe appropriata dell’Europa. E avremmo avuto molti secoli di «socialismo reale». Gli Stati Uniti d’America avrebbero accettato il modus-vivendi, così come avevano accettato che l’Europa orientale finisse sotto l’Imperialismo sovietico. La nostra Cultura sarebbe rinata - non come risultato di una liberazione da parte Usa - bensì come conseguenza dello sviluppo lento, lentissimo del «socialismo reale» verso la Democrazia e la Libertà. Tempi stimati: diversi secoli; forse mille anni. L’Europa non sarebbe uscita da questa tenaglia politica in tempi brevi. Le discussioni a porte chiuse tenute a Erice nel corso di tanti anni - in piena Guerra Fredda - mi hanno dato conferma dell’importanza che ha un fatto totalmente inaspettato e imprevedibile: l’irrompere nella storia del mondo di Giovanni Paolo II. Doveva toccare a un Sant’uomo «venuto da lontano» il compito straordinario di aprire le porte della Chiesa alla Scienza (30 marzo 1979), proprio nell’èra dominata dalla Tecnica agli ordini della violenza politica ed economica. E doveva toccare al simbolo della Scienza che ha il coraggio di opporsi alla violenza politica - Pëtr Kapitza (Nobel per la scoperta della Superfluidità) che seppe dire no a Stalin mettendosi in un mare di guai - definire quel Sant’uomo «Luce del Mondo accesasi per cacciare le tragiche tenebre del nazismo e dello stalinismo». Nessuno aveva previsto che sarebbe arrivato Giovanni Paolo II e che sarebbe crollato il Muro di Berlino. Questo Papa «venuto da lontano» ha fatto rinascere la nostra Cultura con i suoi valori e le conquiste della sua Scienza già oggi, all’inizio del terzo millennio, non nel quarto. In questa rinascita, anche se ancora storicamente in fasce, c’è, in prima fila, la Scienza Galileiana. Ecco cosa essa ci dice per capire il primo maggio 2011. La Scienza, fonte di certezze, ha scoperto che l’Immanente non è retto dal caso ma da una Logica Rigorosa il cui Autore ha permesso a un uomo, che sarebbe poi diventato Santo, Giovanni Paolo II, di sfuggire tre volte alla morte e di essere nel terzo millennio la sorgente di una nuova fortissima speranza affinché non sia la violenza politica a dominare il nostro futuro ma l’Amore, la Carità e il Perdono: valori che sono in perfetta sintonia con quelli della Scienza. Non dobbiamo scoraggiarci se nella Cultura di questi anni la componente scientifica su cui si è impegnato Giovanni Paolo II sia ancora per i tempi storici «in fasce». Sono i vent’anni dal crollo del Muro di Berlino la testimonianza che siamo ancora in «cronaca».
LA SCIENZA E L’ANIMA.
Ci reincarniamo? E quante volte? Perchè? Le risposte nell'aldilà. Il Rito scozzese antico e accettato per la giurisdizione massonica italiana ha messo a confronto esperti e studiosi sul mistero della vita, scrive Mariella Colonna Lunedì, 23 gennaio 2017, su Affari Italiani. C’è vita dopo la vita? Perché ci si reincarna? Quante volte? Accade a tutti? L’esperienza terrena è una fase dell’evoluzione spirituale della coscienza umana? Questi i temi tanto affascinanti quanto controversi discussi durante il XII convegno nazionale organizzato dal Rito Scozzese Antico e Accettato per la giurisdizione massonica italiana. I relatori, ciascuno con fatti ed esperienze differenti, hanno provato a spiegare che una vita oltre la vita, o le vite vissute, potrebbe esistere. Nel dubbio chi può dire il contrario? Ognuna di queste esistenze si intreccia in maniera indissolubile con la precedente con un preciso significato: riparare le cattive azioni, portare avanti un "progetto" di vita lasciato incompiuto. Assolta questa funzione lo spirito ascende progressivamente verso la sua origine celeste. Una ricerca sociologica evidenzia che sono in continuo aumento i credenti e gli atei che dicono di credere alla reincarnazione pur nella diversità dei contenuti. Lo ha riferito il sociologo/sacerdote Luigi Berzano, accademico all’università di Torino, secondo il quale "la reincarnazione è una credenza in crescita in tutte le ricerche sociologiche sulle religioni e si espande dentro e fuori le Chiese sfidando i divieti e le condanne in particolare dei magisteri cristiani. Essa non è più considerata soltanto la continuazione delle spiritualità asiatiche, delle forme celtiche e greche sapienziali o delle correnti di pensiero dal Settecento in poi, ma rappresenta una delle dimensioni più significative della religiosità postmoderna newager". Ed ha precisato che la reincarnazione "non è l’incarnazione della quale parlano i catechismi delle Chiese cristiane, ma è un nuovo e inatteso campo di ricerca esplorato dai sociologi delle religioni in quanto ricco di indicatori dei nuovi stili di vita degli individui postmoderni".
Il giornalista e scrittore Roberto Giacobbo, autore di libri e puntate televisive sull’aldilà, ha invece portato - all’attenzione del numeroso pubblico intervenuto - storie vissute narrate durante il suo programma Rai ‘Voyager’. Esse proverebbero le tante esperienze che aspettano ognuno di noi attraverso i racconti – per esempio - di chi conserva memoria di una vita precedente o segni visibili sul proprio corpo. "Gli scienziati di tutto il mondo – ha spiegato - lavorano per trovare le risposte sulla fine della nostra vita ipotizzando un seguito in un’altra dimensione. C’è chi definisce rituali ed immagina destinazioni successive per lo spirito per il quale si tenta di trovare il luogo dove risiederebbe l’essenza vitale di ciascuno. Oggi questa ricerca continua in maniera incessante con nuove teorie e testimonianze, strumenti scientifici ed esperimenti".
È il caso di una recente scoperta di due scienziati, l’americano Stuart Hameroff e l’inglese sir Roger Penrose, esperti di fisica quantistica, i quali dicono che si può dimostrare l’esistenza dell’anima perché in caso di morte fugge dal cervello. Cosa significa? L’anima umana – sostengono - è una delle strutture fondamentali dell’universo inserita in microstrutture (microtubuli) contenute nei nostri neuroni la cui esistenza è dimostrabile con la fisica quantistica. Vale a dire che – secondo Hameroff e Penrose - con la morte fisica, le informazioni quantistiche che compongono l’anima non vengono distrutte ma abbandonano il sistema nervoso per essere riconsegnate all’universo. Questa teoria scientifica si avvicina molto alla concezione orientale dell’anima. Infatti, l’induismo ed il buddismo credono che l’anima sia parte integrante dell’universo ed esiste al di fuori del tempo e dello spazio. Anche il Cristianesimo insegna che l’anima è immortale.
"Quando si tocca questo argomento, quasi tutti provano ad evitarlo oppure ci si affida alle soluzioni proposte dalle religioni – sottolinea Leo Taroni, Sovrano Gran Commendatore del Rito scozzese – che ci rassicurano con i loro paradisi a coronamento di una vita onesta e retta. Ma - e non in contrapposizione – con tali soluzioni, chi percorre con convinzione una vita iniziatica come quella insegnata dalla massoneria del Grande Oriente e dal Rito scozzese, in particolare, impara a porsi di fronte all’ineludibile trapasso con nuova consapevolezza: la morte porta verso un cammino irradiato dalle luci della sapienza, bellezza e forza".
La scrittrice e sensitiva Ginella Tabacco – durante l’incontro del RSAA - ha invece sottolineato che dalla sua esperienza ormai ventennale di sensitiva emerge di non poter escludere l’esistenza dell’oltre. "Per molti anni – ha spiegato - mi sono dedicata alla "consolazione" di innumerevoli persone prostrate a causa di un lutto dopo aver, io stessa, sperimentato la medesima sofferenza. Attraverso i numerosissimi messaggi ricevuti durante le invocazioni, la speranza dell'oltre è divenuta certezza". Durante il suo cammino spirituale, la Tabacco ha incontrato Gustavo Rol (sensitivo torinese passato all’oltre nel 1994), mai conosciuto in vita, che è divenuto – da quel momento in poi - la sua preziosa guida. "Sono ormai certa della pluralità delle esistenze che ciascuno di noi ha, per quanto riguarda la mia precedente vita ho avuto modo di sperimentarla quando Rol mi ha definita "mia nuova e antica amica", spiegandomi successivamente il significato di "antica"". Insomma, pare che esista un nesso costante tra le cose avvenute, che avvengono e in divenire. Esse sembrano indipendenti tra loro, ma – sottolineava Rol – sono "nello stesso tempo dipendenti". Alla domanda sulla natura psichica dei suoi esperimenti egli rispondeva che era la sua "psiche a far da grondaia allo spirito". Uno spirito, quello dell’uomo, "troppo grande perché lo si possa confinare in uno spazio e in un tempo così ristretto come quello che un corpo fisico vive dalla nascita fino alla morte". Uno scettico uomo di scienza di fronte agli esperimenti ‘riusciti’ di Rol (es: lettura di libri chiusi) fu costretto suo malgrado - non potendo conoscere il trucco (ove ci fosse) e trattandosi di una manifestazione dello spirito intelligente - ad accettare – riferiva Rol - l’esito favorevole dei medesimi motivando che non poteva ammettere l‘esistenza di uno spirito dal momento che la creazione non è stata ancora confermata. Dopo i saluti di Stefano Bisi, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, i lavori sono stati conclusi da Corrado Balacco Gabrieli, che ha ricordato le parole di padre Magni, gesuita, secondo cui l’uomo è fatto di materia (energia composita) e spirito (energia pura). "La prima si dissolve – ha detto - la seconda è indivisibile e ciò che non può essere diviso è dunque eterno e inevitabilmente tenderà a ricominciare. Ad ogni Big Bang seguirà un Big Crunch e questo per l’eternità". C’è da crederci? No? Mi piace l’idea che "… nulla si distrugge e tutto si trasforma".
Cos’è il Rito scozzese antico e accettato (Rsaa). E’ l’intellighentia del Grande Oriente d’Italia. Esso è l’unico depositario della tradizione e filosofia perenne nata millenni orsono (la tradizione la fa risalire ai tempi dei Veda upanishad) e arrivato fino all’attuale istituzione massonica e soprattutto scozzese come un percorso gnostico in parallelo alla religione tradizionale. L’origine del Rito risale al 1300 quando – racconta la tradizione - in Scozia, un gruppo di templari sfuggiti alla persecuzione di Filippo il Bello, ripararono a corte di re Giovanni Brus I^ in conflitto con l’Inghilterra. È un’istituzione internazionale riconosciuta in circa 140 Paesi.
L’anima esiste, a dimostrarlo è la fisica quantistica, scrive l8 novembre 2018 viagginews.com. L’anima esiste, a dimostrarlo è la fisica quantistica. Una recente ricerca dei fisici quantistici di fama mondiale Dr Stuart Hameroff e il Dr Sir Roger Penrose dimostrerebbe che l’anima sarebbe costituita da informazioni quantistiche in grado di lasciare il corpo dopo la morte fisica e ritornare nell’Universo.
La fisica quantistica dimostra l’esistenza dell’anima. Ciò che a molti potrebbe sembrare forse scontato e convinzione recondita del proprio istinto potrebbe oggi trovare una dimostrazione scientifica. L’anima sarebbe una delle strutture fondamentali dell’Universo e darne certezza potrebbe essere addirittura la fisica quantistica. Nel momento in cui subentra in un corpo fisico la morte infatti, le informazioni quantistiche di cui si costituisce l’anima lascerebbero il sistema nervoso per essere riconsegnate all’Universo. A rendere nota tale teoria sono stati il Dr Stuart Hameroff e il Dr Sir Roger Penrose, di nazionalità americana il primo, inglese il secondo, fisici quantistici di grande fama. Per tali scienziati, come illustrato nella loro Teoria Quantistica della Coscienza, l’anima alloggerebbe nel nostro sistema cerebrale all’interno di microstrutture, chiamati microtuboli. Come affermato da entrambi dunque l‘anima sarebbe composta da elementi quantistici che abbandonerebbero il sistema nervoso per tornare all’universo nel momento della morte fisica. Le anime dunque degli esseri umani esisterebbero fin dall’inizio dei tempi e sarebbero della stessa sostanza dell’universo. Professore emerito nel Dipartimento di Anestesiologia e Psicologia e Direttore del Centro di Studi sulla Coscienza dell’Università dell’Arizona, il Dr Hameroff ha dedicato gran parte delle sue ricerche nel corso degli ultimi decenni allo studio della meccanica quantistica nella coscienza e ha lavorato a questa teoria assieme al collega Roger dal 1996. Secondo questi studiosi gli effetti di gravità quantistica all’interno dei microtubuli determinerebbe negli esseri umani l’esperienza di coscienza. Secondo tale teoria inoltre, in uno stato di pre-morte i microtuboli perderebbero il loro stato quantico senza che vengano però cancellate le informazioni in essi contenute.
Le dichiarazioni dei professori autori della ricerca. Secondo le dichiarazioni del Dr Hameroff dunque, con la morte “il cuore smette di battere, il sangue non scorre, i microtubuli perdono il loro stato quantico”. E l’informazione quantistica si disperderebbe nell’universo senza distruggersi. “Quando un paziente torna a vivere dopo una breve esperienza di morte, l’informazione quantistica torna a legarsi ai microtubuli, facendo sperimentare alla persona i famosi casi di premorte”, ha continuato Hameroff. La coscienza, secondo tale teoria quindi, sarebbe una informazione quantistica in grado di esistere al di fuori del corpo, non esaurendosi nell’interazione dei neuroni del nostro cervello.
Scienziati di fama mondiale: l’anima esiste ed è immortale, lo dimostra la fisica quantistica, scrive il 3 novembre 2018 tg-news24.com. Una teoria rivoluzionaria sostiene che l’anima umana è una delle strutture fondamentali dell’Universo e che la sua esistenza è dimostrabile grazie al funzionamento delle leggi della fisica quantistica. Con la morte fisica, le informazioni quantistiche che formano l’anima non vengono distrutte, ma lasciano il sistema nervoso per essere riconsegnate all’Universo. Due fisici quantistici di fama mondiale, l’americano dott. Stuart Hameroff e l’inglese Sir Roger Penrose, hanno sviluppato una teoria che potrebbe dimostrare definitivamente l’esistenza dell’anima. Secondo la Teoria Quantistica della Coscienza elaborata dai due scienziati, le nostre anime sarebbero inserite all’interno di microstrutture chiamate “microtubuli”, contenute all’interno delle nostre cellule cerebrali (neuroni). L’anima sarebbe composta da prodotti chimici quantistici, che nel momento della morte fuggono dal sistema nervoso per entrare nell’universo. La loro idea nasce dal concetto del cervello visto come un computer biologico. La coscienza sarebbe una sorta di programma per contenuti quantistici nel cervello, che persiste nel mondo dopo la morte di una persona. Le anime degli esseri umani sarebbero perciò molto più che la semplice interazione dei neuroni nel cervello: sarebbero della stessa sostanza dell’universo ed esisterebbero sin dall’inizio dei tempi. Il dottor Hameroff, professore emerito nel Dipartimento di Anestesiologia e Psicologia, nonché Direttore del Centro di Studi sulla Coscienza dell’Università dell’Arizona, ha basato gran parte della sua ricerca negli ultimi decenni nel campo della meccanica quantistica, dedicandosi allo studio della coscienza. Con il fisico inglese Roger lavora sulla teoria dell’anima come composto quantistico dal 1996. I due studiosi sostengono che la nostra esperienza di coscienza è il risultato degli effetti di gravità quantistica all’interno dei microtubuli. In una esperienza di pre-morte i microtubuli perdono il loro stato quantico, ma le informazioni contenute in essi non vengono distrutte. In parole povere, l’anima non muore ma torna all’universo. Con la morte, “il cuore smette di battere, il sangue non scorre, i microtubuli perdono il loro stato quantico”, ha detto il dottor Hameroff. L’informazione quantistica all’interno dei microtubuli non è distrutta, non può essere distrutta, si distribuisce soltanto e si dissipa nell’universo in generale, ha aggiunto. “Quando un paziente torna a vivere dopo una breve esperienza di morte, l’informazione quantistica torna a legarsi ai microtubuli, facendo sperimentare alla persona i famosi casi di premorte”, continua Hameroff. La grande portata di questa teoria è evidente: la coscienza umana, così intesa non si esaurisce nell’interazione tra i neuroni del nostro cervello, ma è un informazione quantistica in grado di esistere al di fuori del corpo a tempo indeterminato. Si tratta di quella che per secoli le religioni hanno definito “anima”. Questa teoria scientifica si avvicina molto alla concezione religiosa orientale dell’anima. Secondo il credo buddista e induista, l’anima è parte integrante dell’Universo ed esiste al di fuori del tempo e dello spazio. L’esperienza corporea (o anche terrena, materiale), non sarebbe altro che una fase dell’evoluzione spirituale della coscienza umana. Ma anche le religioni del libro, quali l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam, insegnano l’immortalità dell’anima. Chissà che questa teoria non possa aprire una nuova stagione di confronto positivo tra la ragione e la fede, la religione e la scienza.
No, la teoria quantistica della coscienza non dimostra che l’anima esiste. Sta tornando di moda online una vecchia storia nata dalle idee di Penrose e Hameroff a proposito di fisica quantistica, anima e religione. Ma la base scientifica su cui poggia è molto vaga, soprattutto quando si parla di pre-morte e resuscitazione, scrive Gianluca Dotti, Giornalista scientifico, il 21 novembre 2017 su wired.it. Senza particolari pretesti o motivi contingenti, negli ultimi giorni è comparsa online una serie di articoli che in tono trionfale annunciano la scoperta scientifica dell’esistenza dell’anima. Siti come Apri la mente, Conoscenze al confine e Saturnia Tellus hanno rilanciato la presunta notizia, spacciandola come un grande risultato che poggia su una “solida base” teorica e sperimentale, ormai fuori discussione. Anzitutto va premesso che si tratta di una storia molto datata, discussa già negli anni Novanta del secolo scorso, che ora è stata ripresa senza alcun nuovo dettaglio o elemento. Anzi, il testo stesso degli articoli rilanciati online e sui social è identico a quello pubblicato in passato da molti siti e blog, per lo meno dal 2012 in poi. Tra l’altro anche su YouTube dal 2015 si trova la stessa storia con le medesime parole e frasi, ovviamente sotto forma di video. Ma di cosa si parla, esattamente? Secondo quanto si legge, i due scienziati Stuart Hameroff e Roger Penrose (rispettivamente medico anestesista e fisico) avrebbero sviluppato una teoria basata sulla meccanica quantistica che porterebbe a spiegare scientificamente il funzionamento della coscienza umana, l’esistenza dell’anima e i meccanismi di morte e resuscitazione. Il fulcro della teoria risiede nelle presunte proprietà quantistiche dei microtubuli presenti all’interno dei neuroni, dei “prodotti chimici quantistici” che sarebbero i componenti fondamentali dell’anima. Secondo questa teoria, “la coscienza sarebbe una sorta di programma per contenuti quantistici nel cervello”, e nel momento della morte i microtubuli “fuggirebbero dal sistema nervoso centrale per ritornare all’Universo”. In particolare la coscienza è definita nei vari articoli come “il risultato degli effetti della gravità quantistica all’interno dei microtubuli” e si arriva alla conclusione che la nostra anima “sarebbe della stessa sostanza dell’Universo ed esisterebbe sin dall’inizio dei tempi”. Infine, ecco la spiegazione della morte: “i microtubuli perdono il loro stato quantico […] ma le informazioni contenute in essi non vengono distrutte”, cosicché “l’anima non muore ma torna all’Universo […] distribuendosi e dissipandosi”. In una esperienza di pre-morte, invece, l’informazione quantistica (temporaneamente andatasene altrove) ritornerebbe poi nei microtubuli al momento del risveglio, senza essere stata in alcun modo alterata poiché “può sopravvivere a tempo indeterminato al di fuori del corpo”.
C’è qualche fondamento scientifico in tutto ciò? Di scienza in questa versione romanzata ce n’è ben poca. A parte l’esistenza biologica dei neuroni e dei microtubuli e la realtà fisica delle proprietà quantistiche della materia su scala microscopica, il resto è sostanzialmente una chiacchiera. In casi come questi la parola quantistico, associata ad altri termini a effetto come gravità, meccanica e fisica, serve per dare una parvenza di solidità a una storia che non ha raccolto finora alcuna dimostrazione sperimentale specifica. Penrose e Hameroff hanno effettivamente eseguito studi e pubblicato paper scientifici (come questo del 2014 su Physics of life reviews) a proposito della natura quantistica della coscienza, elaborando una teoria nota come Orch-Or (Orchestred Objective Reduction, in italiano Riduzione Obiettiva Orchestrata), ma una larga maggioranza della comunità scientifica ritiene si tratti di idee pseudoscientifiche poiché tecnicamente in contraddizione con altri risultati sperimentali. Alcuni colleghi come Max Tegmark del Mit di Boston, in particolare, hanno evidenziato un problema di desincronizzazione delle funzioni d’onda quantistiche che dovrebbe far perdere la presunta informazione quantistica dei microtubuli circa 10 miliardi di volte più in fretta di quanto stimato da Penrose. Sul fronte teorico si tratta quindi di un argomento ancora dibattuto, anche non troppo credibile.
Dal punto di vista sperimentale, poi, l’unico risultato rilevante è l’osservazione di proprietà quantistiche vibrazionali nei microtubuli, ma da qui all’idea di una coscienza universale, o a maggior ragione dell’esistenza di un anima, il passo è enorme e per nulla giustificato. Anche il collegamento tra queste vibrazioni quantistiche e alcuni tipi di onde cerebrali non ancora spiegate dalla scienza medica resta tutto da stabilire. In sostanza a partire da qualche vago e preliminare risultato scientifico, sicuramente degno di approfondimenti, siti e blog (pseudo)divulgativi hanno tratto conclusioni del tutto arbitrarie, che più che alla scienza afferiscono alla religione e alla spiritualità. Un aspetto curioso è che Penrose è ateo, dunque non ha mai parlato né di anima né di aldilà o di un essere superiore, ma solo della sopravvivenza di una non-meglio-precisata informazione quantistica all’esterno del nostro corpo.
Dal punto di vista scientifico sono ancora molti gli aspetti sconosciuti riguardo al funzionamento della nostra mente, così come sull’impatto degli effetti quantistici sui fenomeni macroscopici che riguardano la nostra quotidianità. Basta pensare che sono di natura quantistica il principio di funzionamento dei laser, le proprietà dei superconduttori e persino la longevità del Sole. Il metodo scientifico prevede di formulare ipotesi e di sottoporle poi al vaglio dell’analisi teorica e delle prove sperimentali, senza mai forzare le conclusioni. Non è escluso che nei prossimi anni possano arrivare risultati sorprendenti anche sulla natura della nostra coscienza (che ognuno potrà poi plasmare in base alle proprie credenze religiose), ma a oggi gridare che “l’anima esiste” e che “abbiamo le prove” è solo un’affascinante invenzione.
QUANTISTICO: BASTA LA PAROLA! Scrive su cicap.org il 25 novembre 2013 Stefano Marcellini, Primo ricercatore dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Bologna, esperto in fisica delle particelle, lavora all'esperimento CMS dell'LHC al Cern di Ginevra. C’è una nuova parola che sta imperversando nelle pseudoscienze, un aggettivo che, come la locomotiva di Guccini, corre lanciato contro le barriere erette dagli scettici e da tutti coloro che fino ad ora hanno accusato queste discipline di mancanza di scientificità. Un appellativo che ha improvvisamente ringalluzzito gli amanti dell’inesistente, la nuova arma segreta di tutti quelli che “io so di uno a cui è successo che…”. Questa parola è “quantistico”, oppure il suo equivalente “quantico”. Da un po’ di tempo a questa parte fioriscono in rete i siti che parlano di pensiero quantistico, teoria quantistica dell’anima, riequilibrio quantico, programmazione neuro-quantistica, coscienza quantica, trattamenti aurico-quantici. La meccanica quantistica, ignorata da tutti i seguaci delle pseudoscienze fino a ieri, dato che neanche Raz Degan su Mistero ne aveva mai parlato, è salita improvvisamente alla ribalta come il modo perfetto per dare una veste di scienza di frontiera a cumuli di affermazioni mai provate. E quindi, così come un banale spezzatino si camuffa in un piatto di alta cucina se sopra ci mettiamo due gocce di aceto balsamico, allo stesso modo una teoria strampalata priva di qualunque riscontro nei fatti diventa una geniale e innovativa incursione ai limiti della conoscenza se ci si appiccica l’aggettivo “quantico”. La meccanica quantistica è, in campo scientifico, la teoria nata per descrivere il comportamento della materia su scala inferiore o uguale alla scala atomica. Il mondo degli atomi e delle particelle elementari è governato dalle leggi della meccanica quantistica, che prevede l’esistenza di fenomeni che possiamo tranquillamente definire strani o addirittura incomprensibili per quella che è la nostra percezione dovuta al senso comune. Fenomeni che tuttavia avvengono realmente, e sono suffragati da quasi un secolo di esperimenti di ogni tipo. Per questo la meccanica quantistica è uno strumento potentissimo, data la sua capacità di prevedere in termini quantitativi estremamente precisi l’entità dei fenomeni che hanno a che fare con l’estremamente piccolo. E siccome quello che avviene nell’estremamente piccolo spesso ha un impatto importante anche sul mondo macroscopico, la meccanica quantistica è uno strumento indispensabile per descrivere e comprendere le proprietà della materia. Il laser, il transistor, la microelettronica e il computer, solo per fare alcuni esempi, non esisterebbero senza la meccanica quantistica, e sono stati inventati grazie ad essa. E quindi i fisici, nonostante continuino a studiare le fondamenta di questa complessa teoria, la considerano uno strumento essenziale della fisica moderna. E i fanatici di pseudoscienza come hanno fatto a innamorarsi della meccanica quantistica? Il caso vuole che un noto fisico-matematico inglese, Roger Penrose, in collaborazione con l’anestesista statunitense Stuart Hameroff, abbia sviluppato un’ardita teoria della coscienza che invoca la meccanica quantistica per descrivere alcuni processi che avvengono nel cervello. In sintesi essi suggeriscono che la cosiddetta “intelligenza artificiale” sarebbe irrealizzabile non per la difficoltà tecnica di simulare con una macchina la complessità del cervello, ma perché i processi fondamentali alla base della coscienza seguirebbero le leggi della meccanica quantistica. Una teoria che, sebbene formulata in modo formalmente corretto dal punto di vista scientifico, non ha tuttavia trovato, per lo meno fino ad oggi, alcun riscontro sperimentale, e anzi ha ricevuto numerose critiche sostanziali. A questo punto però questo poco importa agli amanti di certe pseudoscienze, che non hanno comunque idea di cosa sia realmente la meccanica quantistica e che in cuor loro confondono l’atomo con la cellula (tanto sono comunque piccoli!). Risvegliati dall’inaspettato accostamento “meccanica quantistica-coscienza”, hanno letto che nel mondo dei quanti possono avvenire cose strane, e questo è sufficiente per far diventare il termine “quantistico” la parola magica. Se nel mondo dei quanti un elettrone può essere simultaneamente qui e là, la stessa cosa potrà accadere anche a una persona di 90 chili, no? E se certe proprietà dei fotoni sembrano violare tutte le relazioni di causa-effetto, in qualche modo sarà pur qualcosa che ha a che fare con l’anima! E quindi se a una strampalata teoria che prima avrebbe reso sospettosi perfino Stanlio e Olio adesso gli ci si appiccica addosso l’aggettivo “quantistico”, ecco che tutti improvvisamente la guarderanno con rinnovato interesse. Vuoi mettere la differenza tra una scontatissima “guida all’illuminazione” rispetto a una “guida quantistica all’illuminazione “? Continueranno a non avere idea di cosa voglia dire, ma saranno convinti che si tratti di qualcosa di realmente nuovo, alle frontiere della conoscenza. E quindi per dare credibilità ai viaggi nel tempo, alle esperienze post-mortem, alla lettura nel pensiero, alla presenza in simultanea in luoghi diversi, e a tutti gli incredibili quanto inesistenti poteri sovrannaturali della mente umana è sufficiente dire che è un fenomeno previsto dalla meccanica quantistica. E a questo punto si può tranquillamente affermare a cuor leggero che l’anima non è più una semplice questione di fede ma è reale e la sua esistenza è provata dalla scienza, “perchè lo dice la fisica quantistica”. Non è vero neanche per sogno, naturalmente, ma con la parolina magica ci si sente finalmente con le spalle protette per poter affermare praticamente qualunque cosa.
Quindi basta con le solite teorie per creduloni, così prive di fondamento, così facili da confutare: il futuro delle pseudoscienze è quantistico!
La coscienza è un effetto quantistico: Roger Penrose rilancia la sua teoria, scrive Marco Passarello il 14 gennaio 2014 su ilsole24ore.com. Cosa ci rende degli esseri coscienti? Quello della natura della coscienza è uno dei più grandi enigmi scientifici ancora irrisolti, origine di un vasto e complesso dibattito. Una tra le principali questioni che dividono scienziati ed epistemologi è se la coscienza sia un semplice sottoprodotto dei processi di elaborazione dell'informazione, e quindi in linea di principio riproducibile anche su un computer o su altri supporti non biologici, o se invece derivi da caratteristiche specifiche del cervello. Tra i propugnatori della seconda tesi c'è l'insigne matematico Roger Penrose, che nel suo libro del 1989 La mente nuova dell'imperatore sosteneva la tesi secondo cui la coscienza sarebbe il prodotto di effetti di tipo quantistico (e quindi di tipo probabilistico e non interamente determinato). La tesi di Penrose è stata criticata da varie parti, dal punto di vista filosofico, ma anche da quello scientifico, dato che il cervello era ritenuto inadatto al verificarsi di effetti quantistici. Quest'ultima critica, tuttavia, è stata superata dalla scoperta che vari meccanismi, dal senso dell'olfatto alla fotosintesi, sono influenzati dalla meccanica quantistica. Ora Penrose ha pubblicato un articolo su Physics of Life Reviews, in cui rilancia la propria teoria sulla base di nuove prove. Scritto insieme a Stuart Hameroff, l'articolo rilancia l'ipotesi secondo cui la coscienza sarebbe basata su vibrazioni quantistiche nei microtubuli all'interno dei neuroni cerebrali. Tali vibrazioni non sono più solo un'ipotesi, ma sono state effettivamente osservate nel cervello. Penrose procede anche a contrastare i suoi critici, sostenendo che tutte le previsioni fatte in base alla sua teoria sono state confermate dalle osservazioni. I due scienziati osservano inoltre che le vibrazioni quantistiche dei microtubuli possono essere messe in relazione con determinati ritmi elettroencefalografici finora non spiegati, a dimostrazione della loro influenza sui processi cerebrali. Penrose sottolinea che la sua teoria può essere in accordo sia con coloro che ritengono che la conoscenza sia un prodotto dell'evoluzione, sia con chi pensa invece che la coscienza sia una proprietà dell'Universo e preesista alla coscienza umana.
Roger Penrose: "Ecco il Big bang della fisica". Il celebre scienziato, grande amico di Hawking, nel suo ultimo libro demolisce alcuni pilastri della cosmologia moderna: "I miei colleghi inseguono mode, fede e fantasia", scrive Luca Fraioli il 18 dicembre 2016 su "La Repubblica". Roger Penrose Non è vero che i topi amano il formaggio. In realtà sono golosi di cioccolata. Nella mia casa, appena fuori Oxford, la uso come esca e funziona benissimo. Purtroppo i topi hanno capito come prenderla senza far scattare la trappola, sembra che abbiano imparato dagli errori dei compagni più sfortunati". Due ore di colloquio con Sir Roger Penrose danno un senso di vertigine. Prima di esporre le sue ipotesi sulla coscienza (e come queste si possano applicare anche ai topi) o raccontare la lunga amicizia con Stephen Hawking, il celebre fisico-matematico britannico ha demolito a colpi di logica tre pilastri della cosmologia moderna: la teoria delle stringhe, la repentina espansione dell'Universo neonato (nota come inflazione), l'applicazione della meccanica quantistica al macrocosmo. Per decenni centinaia di ricercatori sono stati sedotti da queste tre grandi costruzioni concettuali, convinti che rappresentassero il passo finale verso la comprensione del Tutto: l'origine dell'Universo, la sua fine, la sua struttura più intima. Roger Penrose, solitario e un po' folle come un personaggio shakespeariano, ora si rivolge loro e dice: "Avete sbagliato, le generazioni future bocceranno le vostre teorie". Professore emerito all'Università di Oxford, Penrose ha speso gran parte dei suoi ottantacinque anni a immaginare formule matematiche che descrivessero i lati più nascosti dell'Universo, dai buchi neri alla mente umana. E ha raccontato la sua avventura intellettuale in libri di successo come La mente nuova dell'Imperatore (1989), dove avanzava l'ipotesi che la coscienza possa aver origine da fenomeni quantistici interni ai neuroni. Ci riprova con un saggio ancor più provocatorio per l'establishment scientifico: Fashion, faith and fantasy in the new physics of the universe, pubblicato dalla Princeton University Press. In cinquecento pagine affascinanti e complesse Penrose sferra un duro colpo alla Nuova fisica: le stringhe, l'inflazione, la gravità quantistica hanno fallito.
Professor Penrose, perché questo fallimento ha a che fare con moda, fede e fantasia?
" Perché anche chi lavora sulle frontiere della fisica può farsi condizionare nell'abbracciare una teoria piuttosto che un'altra. In alcuni casi, moda, fede e fantasia aiutano gli studiosi. In altri li portano fuori strada. E questo è successo con stringhe, meccanica quantistica e inflazione".
Cominciamo dalla teoria delle stringhe (le particelle elementari anziché puntiformi sarebbero stringhe a una dimensione). Si è affermata nella comunità scientifica perché "alla moda"?
"È quello che penso. Lo scopo principale della teoria delle stringhe era descrivere il mondo conciliando gravità e fisica delle particelle. In realtà descrive un universo che non è quello in cui viviamo. Invece delle quattro dimensioni che conosciamo (tre spaziali e una temporale) ne prevede ventisei. Ma allora perché non le vediamo? La risposta di chi sostiene la teoria delle stringhe è che si tratta di entità così piccole da non poter essere percepite, che ci vorrebbe una energia grandissima per eccitare e far distendere le extra-dimensioni normalmente raggomitolate su se stesse. Può essere vero sulla Terra, ma non nell'Universo: ci sono fenomeni che sprigionano energie enormi, si pensi all'interazione tra due buchi neri, e ne basterebbe una piccola frazione per eccitare le dimensioni nascoste e renderle visibili. Eppure restano nascoste".
Veniamo alla fede. È sbagliato credere all'infallibilità della meccanica quantistica?
"Sarei uno stupido se criticassi la meccanica quantistica per le sue previsioni sulle particelle, sulla chimica, sulle proprietà dei materiali. Al contrario della teoria delle stringhe, che in oltre quarant'anni non ha fatto previsioni verificabili, la teoria dei quanti ha una enorme serie di conferme. Tuttavia lo stesso Schroedinger, uno dei fondatori, sottolineò con l'esempio del gatto che se si applicano le sue stesse equazioni al mondo macroscopico si arriva a un paradosso (il gatto è sia vivo che morto). Ci sono filosofi che portando alle estreme conseguenze le equazioni di Schroedinger, immaginano che di fronte a una scelta il mondo di sdoppi: in un mondo il gatto è vivo, nell'altro è morto. E questo per ogni possibile situazione, con un proliferare di universi paralleli. Assurdo. La meccanica quantistica è evidentemente incompleta. Persino Paul Dirac, che è stato mio professore a Cambridge, sosteneva che fosse una teoria capace di fare previsioni ma che presto o tardi sarebbe stata sostituita da una migliore. E invece molti scienziati pensano di poterla applicare indifferentemente alle particelle e ai buchi neri: hanno "fede". Secondo me non funziona più bene quando la gravità diventa importante. Più è grande la massa degli oggetti coinvolti, più si riduce il lasso di tempo in cui c'è una sovrapposizione di stati tipica della meccanica quantistica. Un gatto è abbastanza pesante perché questo tempo sia ridicolmente breve: la sovrapposizione tra gatto vivo e gatto morto dura un istante. Poi prevale uno dei due stati".
L'ultima parola è fantasia. L'inflazione è pura fantasia?
"Quando ne sentii parlare la prima volta provai orrore. Serve a spiegare perché l'Universo è uniforme e piatto: la fase di espansione rapidissima, chiamata inflazione e verificatasi pochi istanti dopo il Big bang, avrebbe stirato e appiattito tutte le irregolarità. Ma c'è bisogno di una fisica inventata ad hoc, a cominciare dall'inflatone, particella la cui esistenza serve solo a giustificare l'inflazione. È una teoria " artificiale", che non risolve il problema fondamentale sull'origine dell'Universo: cos'è davvero il Big bang? L'esplosione da cui tutto ha avuto origine non è, come si potrebbe immaginare, l'inverso di un buco nero che collassa su se stesso. Mentre nel collasso di un buco nero la massa è dominata dalla gravità, nel Big bang la gravità è soppressa. E l'inflazione non spiega perché".
Come se ne esce professor Penrose?
" Immaginando un " prima" del Big bang. E lo si può fare guardando al nostro futuro remoto: i buchi neri inghiottiranno via via tutta la materia, poi si mangeranno l'uno con l'altro producendo quantità enormi di onde gravitazionali. Alle fine rimarranno solo black hole. Ma Stephen Hawking ci ha spiegato che i buchi neri evaporano fino a dissolversi emettendo radiazione. Nell'Universo finale non ci sarà massa ma solo fotoni, come nel Big bang".
Sta dicendo che la nostra fine potrebbe coincidere con un nuovo inizio?
"Proprio così. L'attuale Universo può essere uno degli infiniti che costituiscono un Universo eterno: ogni Universo si espande da zero a infinito, ma l'infinito futuro di ogni Universo coincide con il Big bang di quello successivo".
C'è modo di verificare questa sua ipotesi?
"È già successo. Le onde gravitazionali prodottesi nell'Universo che ha preceduto il nostro sono arrivate fino a noi lasciando una traccia, dei cerchi concentrici, nella radiazione cosmica di fondo, il residuo calore prodotto dal Big bang. Quei cerchi li abbiamo osservati nel 2010, ma i nostri risultati sono stati ignorati dalla comunità scientifica. Come per le mie critiche alla teorie delle stringhe, la risposta è stata il silenzio".
Lei è sempre andato controcorrente. Si sente di consigliarlo ai giovani scienziati di oggi?
"È difficile. I miei studenti se vogliono trovare un lavoro altrove devono abbandonare le ricerche che hanno fatto con me. Certo, tra le ragioni che mi spingono a scrivere c'è anche l'idea di stimolare i giovani ad avvicinarsi alla scienza imboccando strade inesplorate. Ma le lettere che mi arrivano sono tutte scritte da pensionati. Sarà che sono i soli ad avere il tempo di leggere i miei libri".
A proposito di strade inesplorate, nei giorni scorsi si è tornati a parlare della sua teoria sull'origine quantistica della coscienza: un anestesista americano Stuart Hameroff sostiene che si è vicini a provarla sperimentalmente.
"La mia idea, condivisa da Hameroff, è che ci sono elementi per parlare di coerenza quantistica nel cervello a partire dai microtubuli, strutture proteiche all'interno dei neuroni. Quello che ci incoraggia a proseguire è che da studi indipendenti emerge che i principi attivi di molti anestetici agiscono proprio sui microtubuli".
Ma se la coscienza ha a che fare con la struttura dei neuroni, potrebbe non essere una esclusiva umana.
"È quello che penso anch'io ogni volta che i topi di casa eludono le trappole e portano via la cioccolata".
Roger Penrose. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Premio Wolf per la fisica 1988 Sir Roger Penrose (Colchester, 8 agosto 1931) è un matematico, fisico e cosmologo britannico, noto per il suo lavoro nel campo della fisica matematica, in particolare per i suoi contributi alla cosmologia; si occupa inoltre di giochi matematici. Laureato all'Università di Cambridge, è professore emerito all'Istituto di matematica dell'Università di Oxford e nel 1988 ha ricevuto, assieme a Stephen Hawking, il Premio Wolf per la fisica.
Biografia e lavori. Roger Penrose viene da una famiglia di scienziati e artisti; è figlio dello psichiatra e genetista Lionel Penrose, celebre per i suoi studi sul ritardo mentale, e suoi fratelli sono Jonathan, grande maestro di scacchi, e Oliver, anche lui matematico e fisico. Ha anche una sorella minore, Shirley Penrose Hodgson, che ha seguito le orme del padre, essendo genetista. Suo zio era invece il pittore surrealista Roland Penrose (marito di Valentine Penrose e poi di Lee Miller), e suo nonno il ritrattista irlandese James Doyle Penrose. Penrose fu allievo di Dennis Sciama e, prima dei suoi studi sul Big Bang e la singolarità gravitazionale, sostenitore della teoria dello stato stazionario di Fred Hoyle. Si è sposato due volte, con Joan Isabel Wedge e Vanessa Thomas.
Studi di matematica e gravità quantistica. Il suo contributo più importante probabilmente è l'invenzione avvenuta nel 1971 dei reticoli di spin, che più avanti sarebbe confluita in molte delle più promettenti geometrie dello spaziotempo per la gravità quantistica. Ha dato inoltre importanti contributi alla fisica matematica con la sua teoria dei twistors. Egli è inoltre autore del libro La strada che porta alla realtà, che racchiude in 1200 pagine lo stato della fisica teorica moderna.
Studi sui cristalli e i buchi neri. Penrose divenne famoso per l'invenzione avvenuta nel 1974 della tassellatura di Penrose, che è formata da due tasselli che possono ricoprire un piano solo aperiodicamente. Nel 1984, si sono ritrovati schemi simili nella disposizione degli atomi nei quasicristalli. Ha lavorato a lungo con il collega di Cambridge Stephen Hawking alle teorie sui buchi neri e la singolarità gravitazionale, sviluppando con lui l'ipotesi della censura cosmica.
Modello cosmologico ciclico. Secondo Penrose, in una teoria esposta nel libro Dal Big Bang all'eternità, la materia e l'energia si dissolveranno anch'esse, i buchi neri assorbiranno il restante, evaporando poi tramite la radiazione di Hawking; solo i fotoni continueranno ad esistere, senza gravità. Alcuni scienziati, che accettano il modello, sostengono che il tempo si fermerà e si annulleranno le dimensioni e le distanze. Nel libro Dal Big Bang all'eternità, afferma che l'infinitamente piccolo allora equivarrà all'infinitamente grande, e l'universo apparentemente freddo e morto (o un universo disfatto) potrebbe così dare origine, per effetto dell'annullamento delle leggi fisiche precedenti, ad un nuovo Big Bang (l'entropia sarebbe la stessa della nascita del primo universo), anche se diverso da quello della teoria del Big Bounce. L'attuale universo sarebbe uno degli infiniti "eoni" (ognuno della durata di 10100) che costituiscono un eterno universo. «La cosa difficile da capire sulla CCC è proprio questa: in ogni eone l'universo si espande “da zero a infinito”, ma l'infinito futuro di ogni eone coincide esattamente con il Big Bang dell'eone successivo. Questo processo anti-intuitivo è possibile grazie alla scomparsa della massa – ovvero, delle masse a riposo delle particelle – negli estremi iniziale e finale dei due eoni. Senza massa a riposo non è possibile nessuna misura del tempo, e pertanto nessuna misura dello spazio.» Penrose afferma che la prova sarebbe contenuta nella radiazione di fondo, nei segni circolari solitamente attribuiti a fluttuazioni quantistiche da molti fisici, che sarebbero residui di esplosioni di buchi neri supermassicci pre-Big Bang. Prima di questo Penrose credeva che il Big Bang fosse necessariamente unico, e che non bisognasse domandarsi cosa ci fosse prima di esso, ma poi la sua idea si è evoluta nell'attuale, a partire dai primi anni 2000. Questo universo infinito e con infinite possibilità, implica molte nuove ipotesi e speculazioni sul principio antropico forte e su teorie come la civiltà eterna di Dyson o la teoria del punto Omega di Frank Tipler. Nel 2015 Penrose ha proposto una soluzione al paradosso di Fermi (un famoso paradosso sulle civiltà extraterrestri), basata sulla propria cosmologia. Roger Penrose ha criticato l'attitudine di molti cosmologi verso la meccanica quantistica (pur ritenendola fondamentale), vissuta secondo lui come una "fede", in particolare è un forte critico della diffusa teoria dell'inflazione cosmica (ricavata dai concetti di meccanica quantistica di energia del vuoto, energia di punto zero, transizione di fase quantistica e fluttuazione quantistica, secondo lui utilizzati a sproposito), definita da Penrose una "fantasia" e della teoria delle stringhe, descritta come un "fenomeno di moda". Fashion, faith and fantasy in the new physics of the universe è appunto il titolo di un saggio del 2016 fortemente critico contro la teoria delle stringhe, l'inflazione e l'applicazione della meccanica quantistica al macrocosmo.
Intelligenza umana e intelligenza artificiale. Penrose ha scritto vari libri divulgativi. In La mente nuova dell'imperatore e Ombre della mente, dopo aver descritto lo status attuale della fisica, egli affronta i limiti teorici dell'intelligenza artificiale e sostiene che esistono delle differenze intrinseche e ineliminabili fra l'intelligenza artificiale e l'intelligenza dell'uomo. In questi libri, egli cerca di dimostrare questa affermazione, osservando che l'uomo può compiere operazioni che non sono riconducibili alla logica formale, come sapere la verità di asserzioni non dimostrabili o risolvere il problema della terminazione. Queste affermazioni furono fatte in origine dal filosofo John Lucas del Merton College dell'Università di Oxford. Egli sostiene una forma di anti-riduzionismo in questo campo.
Coscienza quantistica e concezione religiosa. Penrose, prendendo come spunto alcune scoperte di Stuart Hameroff, ha elaborato una teoria della consapevolezza umana secondo la quale la coscienza potrebbe essere il risultato di fenomeni quantistici ancora ignoti, che avrebbero luogo nei microtubuli dei neuroni e che rientrerebbero in una nuova teoria capace forse di unificare la teoria della relatività di Einstein con la meccanica quantistica (teoria della coscienza quantistica o "riduzione obiettiva orchestrata", abbreviata in Orch-Or, da orchestred objective reduction). La teoria è stata ripresa da altri scienziati, ma è stata attaccata da un altro fisico, Max Tegmark, che in uno scritto pubblicato sulla rivista Physical Review E ha calcolato che la scala di tempo di attivazione ed eccitazione di un neurone nei microtubuli è più lento del tempo di decoerenza per un fattore di almeno 10.000.000.000. Il concetto è attualmente considerato pseudoscientifico, anche se nel gennaio 2014 Penrose e Hameroff hanno annunciato la scoperta, ad opera di Anirban Bandyopadhyay del National Institute for Materials Science del Giappone, della presenza di reazioni quantistiche nei microtubuli. Uno studio, con revisione paritaria, dell'ipotesi è stato pubblicato nel marzo 2014 da Penrose e Hameroff. Penrose, nonostante sia ateo e non abbia alcun orientamento religioso, ipotizza con Hameroff che la coscienza quantica di ogni essere vivente sia indipendente dal corpo stesso, e potrebbe sopravvivere alla morte fisica del cervello, per rimanere sotto varie forme nel multiverso, non in un aldilà, ma nell'esistenza infinita, in quanto l'informazione quantistica non può essere distrutta (in quanto soggiacente alla legge di conservazione dell'energia) e tale sarebbe la coscienza nella teoria Orch-OR (se effettivamente tale coscienza, paragonabile all'anima di molte religioni, esistesse davvero). Alcune sue concezioni fisiche richiamano alcuni celebri modelli della filosofia naturale del passato, nonché a varie reminiscenze artistiche come i dipinti dell'amico di famiglia Maurits Cornelis Escher. Penrose e Hameroff si propongono, con questa teoria di coscienza quantica, di spiegare anche le cosiddette esperienze ai confini della morte, senza negare o sminuire tale fatti, e contemporaneamente non abbandonare la razionalità scientifica. Per quanto riguarda la concezione della matematica, alcuni, tra cui l'amico Stephen Hawking, hanno definito Penrose come "un platonico".
Stuart Hameroff. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Stuart Hameroff (Buffalo, 16 luglio 1947) è un medico anestesista statunitense e professore presso l'Università dell'Arizona noto per la promozione dello studio scientifico della coscienza e per le sue teorie sui meccanismi che la governano.
Biografia. Cresciuto a Cleveland, Stuart Hameroff si è laureato in chimica all'Università di Pittsburgh specializzandosi poi in medicina all'Hahnemann University Hospital di Filadelfia, dove ha studiato prima di entrare al Drexel University College of Medicine. Dopo l'internato al Tucson Medical Center (1973), un istituto "d'eccellenza" per le neuroscienze, a partire dal 1975 ha svolto la sua intera carriera accademica all'Università dell'Arizona, dove nel 1999 è divenuto professore ordinario del Dipartimento di anestesiologia e psicologia nonché direttore associato del Centro per gli studi sulla coscienza e nel 2003 professore emerito di anestesiologia e psicologia. Per circa quarant'anni ha dedicato le proprie ricerche alla coscienza e in particolare ai meccanismi con cui la "materia grigia" (e rosata) del nostro cervello produce la straordinaria ricchezza delle nostre conoscenze, rendendoci consapevoli delle nostre esperienze.
Teorie. All'inizio della sua carriera professionale, mentre era ancora all'Hahnemann University Hospital, il lavoro di ricerca sulle neoplasie e sui meccanismi dei gas anestetici ha indirizzato gli interessi e gli studi di Hameroff sul ruolo svolto nella divisione cellulare dalle strutture proteiniche chiamate microtubuli, portandolo a ipotizzare che essi siano capaci di una qualche forma di calcolo e quindi di "coscienza" nella propria attività. Di qui la supposizione che almeno una parte della soluzione al problema dello stato di coscienza fosse riconducibile alla comprensione delle funzioni dei microtubuli nelle cellule cerebrali, funzioni a livello molecolare e supramolecolare di notevole complessità e diffusione; giungendo così alla conclusione che bene o male nelle operazioni cellulari potrebbe verificarsi uno schema di calcolo sufficiente per parlare di coscienza. Queste teorie sono state presentate da Hameroff nel suo primo libro, Ultimate computing (1987, op. cit.), il cui argomento principale riguarda l'elaborazione dell'informazione in un tessuto biologico, in particolar modo nei microtubuli ed altre parti del citoscheletro che potrebbero essere le unità base del processo anziché i neuroni stessi. Due anni dopo il fisico e matematico inglese Roger Penrose ha pubblicato La mente nuova dell'imperatore (1989, op. cit.), una ricerca scientifica sulla coscienza umana e l'intelligenza artificiale in cui, sulla base dei teoremi di incompletezza di Gödel, ha sostenuto che il nostro cervello può svolgere funzioni non assimilabili alla logica formale e quindi impossibili per qualsiasi computer o sistema di algoritmi, ribaltando le convinzioni in materia allora prevalenti. Ha quindi individuato nei principi della teoria dei quanti un processo alternativo all'emergere della coscienza, elaborando il modello della "riduzione (o collasso della funzione d'onda) oggettiva" (OR). Se le teorie di Penrose sono state ampiamente criticate da neuroscienziati, logici e filosofi, Hameroff invece ne è rimasto subito favorevolmente impressionato e ha proposto allo scienziato inglese i suoi microtubuli neurali come i candidati idonei a supportare l'elaborazione quantistica nel cervello. Poiché anche Penrose era interessato agli aspetti matematici del reticolo dei microtubuli, dal 1992 al 1994 i due studiosi hanno collaborato alla formulazione del modello della "riduzione oggettiva orchestrata" (Orch-Or). I risultati di tale collaborazione sono stati esposti da Penrose nel suo saggio Ombre della mente (1994, op. cit.). Anche la teoria Orch-Or ha avuto i suoi detrattori, ma da allora il ruolo del citoscheletro e dei microtubuli ha assunto enorme rilevanza per i successivi progressi delle neuroscienze. Infatti, proprio a partire dal 1994 Hameroff ha iniziato a organizzare ogni due anni a Tucson le conferenze internazionali e interdisciplinari sulla coscienza Toward a science of consciousness, cui hanno partecipato numerosi esperti trasformandole in un punto di riferimento imprescindibile per quell'ambito di studi.
LA SCIENZA, LA MENTE E LO SPIRITO UMANO.
Quello che la scienza mai scoprirà della vostra mente, scrive David C. Pack. Terribili mali e problemi stanno aumentando in tutto il mondo. Le sofferenza continuano a peggiorare. L’umanità riuscirà a sopravvivere? Dove possiamo cercare le risposte? Teologi, moralisti, psicologi ed educatori non sono stati in grado di trovare la chiave nascosta alla mente umana. Le conoscenze scientifiche si espandono ogni giorno, ma non hanno e non faranno mai, scoprire la dimensione mancante della mente. Imparerete ciò che a loro non è possibile! La scienza moderna porta continuamente nuove conoscenze alla civiltà. Ogni scoperta scientifica importante — ogni nuovo pezzo di conoscenza — è ricevuta in tutto il mondo con entusiasmo e consenso. Riflettete a tutto ciò che la scienza ha dato all’umanità in generale. Ha mandato gli uomini sulla luna e ha creato armi di distruzione di massa. Ha ripartito i codici genetici del DNA e ha clonato numerose creature differenti. Ha imparato molto circa la natura e le stupefacenti dimensioni dell'universo — lo spazio esterno — e scoperto cose incredibili sulle minuscole particelle sub-atomiche in diversi tipi di atomi — lo spazio interno. Ha fatto numerose scoperte mediche e ha compiuto sorprendenti prodezze di ingegneria. La portata e il potenziale della scienza sembra illimitato. La maggior parte crede che, dato il tempo, le scoperte scientifiche risolveranno tutti o quasi tutti i problemi dell’umanità. Eppure, la scienza è limitata in un modo vitalmente importante che vi coinvolge. C’è una scoperta che non farà mai – e non potrà mai fare — circa la natura della mente umana! La vostra mente contiene una dimensione che non può essere compresa o scoperta da qualsiasi processo o esperimento conosciuto dalla scienza. Le religioni di questo mondo l’hanno tralasciata. I loro teologhi né la insegnano né la comprendono. Essi hanno completamente trascurato questa componente critica — questa singolare gran CHIAVE — che apre l’enorme differenza tra uomini e animali. Solo attraverso la comprensione di questa CHIAVE rivelata che potete apprendere lo scopo della vostra esistenza!
La sorprendente mente umana. Guardate tutte le sorprendenti opere della natura — sia sulla terra che in ogni parte dei cieli. Il caleidoscopio dell’opera di Dio, che può essere visto dall’occhio umano è stupefacente.
Considerate i pianeti, le stelle e le galassie. Ognuno è la sua propria meraviglia. Inoltre riflettete su tutte le specie di piante che si trovano sulla terra. Ci sono milioni di persone diverse nel colore, nella forma, nella dimensione e nella bellezza. La brillantezza dei loro vari disegni e scopi è incredibile. Ora pensate ai milioni di diversi tipi di animali e insetti. Essi sono così meravigliosi e affascinanti come il mondo delle piante con le loro diversità di intento, aspetto e comportamento. Ma nessuna di queste creazioni si paragonano con la complessità e la capacità pressoché illimitata della vostra mente. E così affascinanti, meravigliose, bellissime, e sorprendenti come lo sono tutte le cose sopra descritte, nessuna è più sorprendente DELLA MENTE UMANA. È l’apice assoluto di tutti gli organismi viventi. Nient’altro nella creazione di Dio anche solo gli si avvicina. Chi altro può pianificare, pensare o creare, anche solo una frazione dello stesso livello? Pensate solo a quante cose la mente umana può progettare e produrre: case, telefoni, treni, automobili, aerei, razzi, computer, fax e altri dispostivi sofisticati che sono praticamente illimitati in complessità e utilità. L’unica cosa che non può progettare e costruire la mente umana è SE STESSO.
Chi ha fatto la vostra mente? Quando il salmista disse «... perché sono stato fatto in modo stupendo» (Salmi 139:14), questo è verissimo del vostro cervello — la MENTE UMANA! Il Creatore della vostra mente con essa inviò l’informazione vitale e dettagliata, spiegando la natura, il progetto e lo scopo di questa, che è la più grande di tutte le creazioni. Egli identifica la chiave nascosta — la dimensione mancante! — per l’uso corretto e appropriato della mente, aprendo la via alla pace, alla felicità, all’abbondanza e alla prosperità universale. Ma questa informazione universalmente è quasi ignorata, travisata, fraintesa e respinta. Come risultato, i problemi, le difficoltà e i mali della civiltà aumentano senza una soluzione in vista, e le condizioni solamente peggiorano.
Fermatevi a riflettere! Applicate la logica basilare. Creerebbe Dio la Sua meraviglia di ingegneria — la vostra mente — e la invierebbe senza un Manuale di Istruzione che spiega come usarla? No di certo! Eppure, questo grande libro rimane un mistero per tanti — con alcuni addirittura professando di capirlo. La maggior parte passa tutta la sua vita preoccupandosi riguardo a quello che le PERSONE pensano o dicono. Pochi si interessano a ciò che DIO pensa o dice. Siate onesti ed esaminatevi voi stessi. Traete le vostre opinioni dalle persone? O cercate e accettate regolarmente la pura Parola di Dio come guida per la vostra vita? La seguente scrittura spiega perché anche le menti più brillanti sono completamente incapaci di imparare una certa comprensione a meno che non gli sia rivelata. Notate: «In quel tempo Gesù prese a dire: Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai savi e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli FANCIULLI» (Matteo 11:25). I più grandi pensatori di questo mondo non possono riuscire a capire le cose che Dio ha rivelato nella Sua Parola! Essa è letteralmente NASCOSTA a loro. Dobbiamo essere disposti a esaminare la Parola di Dio per quello che Egli rivela riguardo alla vostra mente. Questo aprirà il vostro pensiero a una incredibile nuova comprensione sul perché siete nati — e del vostro meraviglioso futuro e potenziale. Tuttavia, dobbiamo iniziare dall’inizio.
Un componente non fisico? Molti suppongono che la composizione della mente umana è completamente fisica. Questo è vero? Altri credono che ogni persona possiede un’anima immortale. Questo è vero? Che cosa dice la Bibbia? Approva una di queste idee? Oppure la Parola di Dio insegna qualcosa di completamente diverso — qualcosa di completamente trascurato da tutte le religioni e impossibile d’essere scoperto da tutti i metodi della scienza? In primo luogo, dobbiamo considerare la differenza tra le MENTI umane e i CERVELLI degli animali. Ci sono dei fatti che la scienza ci dice sulle qualità comparative di entrambi. Tutti capiscono che in qualche modo i cervelli degli animali sono completamente differenti dalle menti umane. Ma in quale modo? Quali sono le differenze? Per esempio: certe creature, come gli scimpanzé e i delfini hanno i cervelli che sono relativamente simili in dimensioni e peso a quello degli esseri umani. Alcuni animali più grandi, come le balene e gli elefanti hanno i cervelli più grandi dell’uomo. Eppure, sono molto meno intelligenti, molto meno creativi e incapaci di comprendere qualsiasi tipo di pensiero complesso.
La scienza non è mai stata in grado di spiegarlo — di rispondere adeguatamente al — l’enorme differenza tra il cervello umano e i cervelli degli animali. Mentre l’uomo ha un cervello che può essere solo leggermente più complesso degli animali con i cervelli di dimensione relativamente simile, la differenza in capacità è vasta. Semplicemente non c’è paragone. Gli animali funzionano quasi esclusivamente d’ISTINTO. Fanno quello che fanno automaticamente, e dalla nascita. Per esempio, quasi immediatamente dopo la nascita, un vitello sa esattamente cosa fare — come stare in piedi, fare i primi passi e dove trovare il latte. I neonati umani richiedono molto più tempo per stare in piedi anche con il sostegno, e deve essergli insegnato come fare praticamente tutto. Avendo le menti, agli esseri umani sono state date le mani cosicché possano creare. Semplicemente avendo i cervelli, gli animali funzionano d’istinto e possiedono le zampe, gli artigli o gli zoccoli. Questo li lascia incapaci di costruire qualcosa di complesso come un televisore — e tanto meno un aviogetto o un razzo spaziale — anche se una mente li dirige. Gli animali non sono inoltre in grado di acquisire la conoscenza al di là di una capacità molto rudimentale di reagire a determinati stimoli.
Gli esseri umani sono capaci di acquisire conoscenza, trarre conclusioni, raccogliere e valutare fatti, prendere decisioni – ed edificare il carattere. Questa è l’unica grande differenza generale tra gli uomini e gli animali. Gli animali sono molto limitati perché Dio ha solo programmato in loro, attraverso l’istinto, tutto ciò di cui hanno bisogno per funzionare efficacemente all’interno del loro ambiente. D’altra parte, le persone non conoscono istintivamente tutto il necessario per funzionare con successo nella vita. Devono acquisire continuamente una maggiore conoscenza per tutta la loro vita per affrontare nuove sfide ed esigenze che gli si presentano. Questo è reso possibile da un componente invisibile e disconosciuto della mente. Senza questo elemento invisibile non fisico, l’umanità sarebbe un’altra bestia stupida!
Uno spirito nell’uomo. Vediamo ora di stabilire un fondamentale insegnamento della Bibbia. La Bibbia registra: «Ma nell'uomo c'è uno spirito (spirito nell’uomo), ed è il soffio dell'Onnipotente che dà loro intendimento» (Giobbe 32:8). Questa è una chiara affermazione. Qui, Dio rivela che gli uomini possiedono una specie di spirito, chiamato «spirito nell’uomo». Comprendere appieno questo spirito richiede un esame delle altre scritture che lo descrivono. Ma prima di esaminare la verità di questo soggetto — prima di cercare di vedere ciò che la Bibbia dice su questo spirito umano — dobbiamo capire e accettare ciò che la Bibbia non dice. Per fare questo, dobbiamo esaminare la fallacia più popolare — il MITO! — insegnata e creduta da innumerevoli milioni di persone circa questo argomento.
Non un’anima immortale. Molti leggono versetti come questo e concludono che si sta parlando delle anime immortali. Ma è davvero così? È la frase «spirito nell’uomo» sinonimo di un’«anima immortale» composta di spirito?
La maggior parte delle persone non capisce il rapporto tra gli uomini fisici e le anime. Essi presumono che gli esseri umani sono nati con anime immortali. La credenza popolare è che, dopo la morte, le anime dei peccatori vanno all’inferno per sempre e quelle dei giusti vanno in paradiso per sempre, dal momento che tutte le anime sono presumibilmente immortali. È questo ciò che la Bibbia insegna?
Vediamo che in Romani 6:23 afferma che: «il salario del peccato è la morte», non la vita nell’inferno. Così, la Bibbia in qualche modo insegna anche che le persone hanno un’anima immortale? Essa parla di «anime», ma in quale contesto?
La Bibbia sì, insegna che c’è una connessione tra gli uomini e le anime. Genesi 2:7 afferma: «Allora l'Eterno Dio formò l'uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito di vita, e l'uomo DIVENNE un’anima vivente». Questo versetto non dice che gli uomini hanno un’anima, ma che loro sono anime. Adamo DIVENNE un’anima — non gliene fu data una. Poi, quasi immediatamente, Dio lo avvertì «E l'Eterno DIO comandò l'uomo, dicendo: Mangia pure liberamente di ogni albero del giardino; ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare, perché nel giorno in cui TU (non solamente il tuo corpo) ne mangerai, per certo MORIRAI» (Genesi 2:16-17).
Quando si mettono insieme, questi tre versetti rivelano che gli uomini sono anime e che le anime possono morire! Ezechiele conferma il racconto in Genesi. Due volte fu ispirato a scrivere: «L'anima che pecca morirà» (Ezechiele 18:4,20). La morte è l’assenza di vita. È l’interruzione — la cessazione — della vita. La morte non è vita in un altro luogo. Non è lasciare «questa vita» per un’«altra vita» — la «prossima vita». Finalmente, riguardo all’argomento se l’anima può morire, notate questo in Matteo 10:28: «E non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima; temete piuttosto Colui {Dio} che può far perire l'anima e il corpo nella Geenna» (Matteo 10:28).
La Bibbia dice che le anime possono essere DISTRUTTE! Secondo questo versetto, possono essere distrutte tanto quanto i corpi. Noi tutti riconosciamo che i corpi muoiono alla fine, e che in seguito naturalmente si decompongono e sono completamente «distrutti» a causa del processo di corruzione (decomposizione) naturale. Questo versetto spiega che Dio esegue la distruzione delle anime NELL’INFERNO! I corpi possono morire in molti modi. Ma le anime sono distrutte nell’inferno da Dio. (Questo argomento sarà esaminato più in dettaglio nell’opuscolo «C’è vita dopo la morte?»).
Lo spirito umano. Ora Siete pronti a scoprire ciò che quasi NESSUNO capisce. Anche se l’uomo è composto di carne, egli ha una componente non fisica, lo spirito nell’uomo, che può essere conosciuto solo da ciò che Dio ha rivelato nella Sua Santa Parola. Perché l'uomo è fatto di materia fisica — carne — Dio, composto di Spirito, doveva avere un mezzo per Se Stesso (lo Spirito) per essere in grado di lavorare e comunicare con l'uomo (la carne). Più tardi, capiremo di più per quanto riguarda il vitale collegamento dello spirito tra Dio e gli esseri umani, ed esattamente come funziona.
Notate questo: «L'oracolo della parola dell'Eterno riguardo a Israele. Così dice l'Eterno che ha disteso i cieli, posto le fondamenta della terra e formato lo spirito dell'uomo dentro di lui» (Zaccaria 12:1). È Dio che crea, progetta, e «forma» lo spirito dell'uomo in ogni essere umano. Il versetto seguente spiega che tutte le persone possiedono questo spirito: «L'ETERNO, il Dio degli spiriti di ogni carne, costituisca su questa assemblea un uomo» (Numeri 27:16). Colui che crea tutti gli spiriti negli uomini chiama Se Stesso il Dio di questi spiriti. Tutte le creature fisiche alla fine muoiono. Questo vale per gli uomini e gli animali. Considerate: «Infatti tutto ciò che succede ai figli degli uomini succede alle bestie; ad entrambi succede la stessa cosa. Come muore l'uno, così muore l'altra. Sì, hanno tutti uno stesso soffio; e l'uomo non ha alcuna superiorità sulla bestia perché tutto è vanità. Tutti vanno nello stesso luogo: tutti vengono dalla polvere e tutti ritornano alla polvere. Chi sa se lo spirito dei figli degli uomini sale in alto, e se lo spirito della bestia scende in basso nella terra?» (Ecclesiaste 3:19-21). Salomone non sta dicendo che c’è uno spirito nelle bestie, ma, piuttosto chiede retoricamente: «Chi sa... lo spirito della bestia scende in basso...? Molti versetti rivelano che nell’uomo c’è uno spirito, ma gli uomini ignorano questa verità e se gli animali hanno anche una sorta di «anima» o spirito. Questo versetto dimostra che non si può parlare di un mero soffio, chiaramente qualcosa di diverso. Ma gli animali non hanno un tale spirito.
Stupefacente conoscenza. Ora notate questo sorprendente versetto. Paolo nel Nuovo Testamento scrisse: «Chi tra gli uomini, infatti, conosce le cose dell'uomo, se non lo spirito dell'uomo che è in lui? Così pure nessuno conosce le cose di Dio, se non lo Spirito di Dio» (1 Corinzi 2:11). Non cercate di «interpretare» questo versetto. Lasciate che si interpreti da sé. Accettatelo per quello che dice. Questo passaggio individua DUE diversi tipi di spirito — lo «Spirito di Dio» e lo «spirito dell’uomo». Non sono la stessa cosa. Ognuno di questi fornisce una diversa funzione di acquisizione della conoscenza, e questo versetto identifica come. La conoscenza umana («le cose dell’uomo») è acquisita perché Dio ha dato agli uomini uno spirito umano — lo spirito nell’uomo. La dichiarazione ispirata di Paolo chiarisce inoltre che la conoscenza spirituale («le cose di Dio») può essere acquisita solo dalla presenza dello Spirito di Dio. Anche questa propria conoscenza — dell’esistenza e del funzionamento di questi due spiriti — è di per sé veramente incredibile! Pensatelo in questo modo. Praticamente nessuno ha la conoscenza di COME è acquisita la CONOSCENZA sia fisica o spirituale!
Ricordate la chiara affermazione: «Ma c’è uno spirito nell’uomo, ed è il soffio dell'Onnipotente che dà loro intendimento». Questa ripete esattamente quello che ha detto Paolo. Egli ha identificato questo spirito, mentre distingueva l’intendimento (o conoscenza) spirituale come qualcosa che viene da Dio — «l’Onnipotente» — attraverso la Sua «ispirazione». Questo avviene attraverso lo Spirito di Dio che dimora nelle menti convertite. Gli animali non hanno lo spirito dell’uomo. I cervelli degli animali sono diversi dalle menti umane. Agli esseri umani è dato questo spirito dal concepimento, permettendo loro, attraverso l’uso dei cinque sensi di acquisire e conservare la conoscenza. Ricordate che senza questo elemento spirituale invisibile, l’uomo sarebbe solo un’altra stupida bestia. Ma a lui è stato dato il potere di acquisire, conservare e utilizzare la conoscenza per tutti i tipi di scopi. Tutti gli esseri umani sono stati creati da Dio per ricevere due spiriti completamente diversi. Uno viene al momento del concepimento e l’altro viene con mezzi completamente diversi — il pentimento e il battesimo. Senza lo spirito di Dio, le persone sono semplicemente incomplete. La loro esistenza rimane limitata a ciò che essi possono acquisire da soli, senza l’aiuto di Dio. Così, una vasta quantità di conoscenza spirituale resta fuori portata. Anche se la capacità umana di acquisire la conoscenza fisica è al di là di quella degli animali bruti, gli uomini non possono raggiungere per niente quest’altra meravigliosa comprensione. Impariamo di più su come lo Spirito di Dio opera con lo spirito umano nelle menti convertite. Proverbi 20:27 offre un aspetto importante: «Lo spirito dell'uomo è la lampada dell'Eterno, che scruta tutti i più reconditi recessi del cuore». Pensate a questo versetto nel modo seguente: Dio può operare all’interno di un cervello fisico — comunicando con esso e ispirandolo — per mezzo del, o attraverso l’uso del componente non fisico che è lo spirito nell’uomo.
Dio comunica attraverso lo spirito umano. Considerate un esempio di come Dio può operare attraverso lo spirito umano. Questo illustra un principio importante. Il contesto coinvolge il re Ciro di Persia. Dio voleva che lui tornasse a Gerusalemme e costruisse un secondo tempio per sostituire quello di Salomone, che era stato distrutto. Notate: «Nel primo anno di Ciro, re di Persia, affinché si adempisse la parola dell'Eterno pronunciata per bocca di Geremia, l'Eterno destò lo spirito di Ciro, re di Persia, perché facesse un editto per tutto il suo regno e lo mettesse per iscritto» (Esdra 1:1). Dio ha comunicato con Ciro attraverso («destando») il suo spirito. Egli fa la stessa cosa oggi. Ora esaminate la scrittura seguente. Questa aggiunge una nuova dimensione ai versetti che abbiamo letto sullo spirito nell’uomo e di come opera.
Lo Spirito di Dio opera con lo spirito umano. Nella mente convertita, sono presenti sia lo spirito di Dio che lo spirito umano. Essi operano insieme, l’uno con l’altro: «Lo Spirito stesso rende testimonianza al nostro spirito che noi siamo figli di Dio» (Romani 8:16). Questa comprensione è veramente affascinante. La persona convertita è diversa dagli animali in DUE modi distinti. Ma in primo luogo riconoscete che la scienza mai potrebbe sapere ciò che avete appena letto! Considerate ora un ulteriore punto. Dallo stesso momento in cui siete convertiti, acquistati dal sangue di Cristo, Dio possiede il vostro spirito: «Infatti siete stati comprati a caro prezzo, glorificate dunque Dio nel vostro corpo e nel vostro spirito, che appartengono a Dio» (1 Corinzi 6:20). Dio ha letteralmente la proprietà del vostro spirito — e alla conversione diventa la Sua opera. È fondamentale comprendere il processo di edificazione del carattere che è in corso nella mente convertita e come questo coinvolge lo spirito umano. Notate: «Chi è lento all'ira val più di un forte guerriero, e chi domina il suo spirito val più di chi espugna una città» (Proverbi 16:32). L’autocontrollo — la temperanza — è elencato come un frutto dello Spirito di Dio in Galati 5:23. Prendetevi il tempo per leggere questo versetto. Quando messi insieme, questi versetti mostrano che solo per mezzo dello Spirito di Dio operando con lo spirito nell’uomo può essere edificata la temperanza!
Dio conserva lo spirito nell'uomo. Alla fine della vita della persona convertita, Dio riprende lo spirito umano a Sé. In questo, Egli ha preservato una registrazione completa e dettagliata di tutto ciò che apparteneva alla vita di quella persona. Questa è la semplice dichiarazione della Scrittura. Notate: «Ora il Dio della pace vi santifichi Egli stesso completamente; e l'intero vostro spirito, anima e corpo siano conservati irreprensibili per la venuta del Signor nostro Gesù Cristo» (1 Tessalonicesi 5:23). Lo spirito, l’anima e il corpo rappresentano tutto ciò che la persona era. La personalità, le esperienze, le conoscenze accumulate e il carattere di ogni essere umano si riflettono nello spirito umano — lo spirito nell’uomo. Questo è il motivo per cui lo spirito nell’uomo torna a Dio al momento della morte: «e la polvere ritorni alla terra com'era prima e lo spirito torni a DIO che l’ha dato» (Ecclesiaste 12:7). Allora, al momento della morte, lo spirito umano torna a Dio che l’ha formato e lo mise nella mente. Ricordate Ecclesiaste 3:21: «Chi sa se lo spirito dei figli degli uomini sale in alto, e se lo spirito della bestia scende in basso nella terra?» Ora sapete quello che pochi altri sanno — che lo spirito nell’uomo sì, ritorna a Dio. Il diacono Stefano capì. Mentre veniva lapidato a morte per aver predicato un potente sermone che gli inimicò i suoi ascoltatori, la Bibbia registra: «Così lapidarono Stefano, che invocava Gesù e diceva: Signor Gesù, ricevi il mio spirito. Poi, postosi in ginocchio, gridò ad alta voce: Signore, non imputare loro questo peccato. E, detto questo, si addormentò». (Atti 7:59-60). Questo è giusto! Stefano morì («si addormentò») sapendo che Dio avrebbe ricevuto il suo spirito e che si sarebbe ricongiunto con lui, lo sapremo, alla risurrezione. Ora siamo pronti per una scrittura finale prima di continuare. È la chiave di volta che spiega la «conservazione» di tutti gli spiriti umani ed esattamente dove Dio li tiene. Capite questo: «Ma voi vi siete accostati al monte Sion e alla città del Dio vivente, che è la Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all'assemblea universale e alla chiesa dei primogeniti che sono scritti nei cieli, e a Dio, il giudice di tutti, agli spiriti dei giusti resi perfetti» (Ebrei 12:22-23). Questo è un passaggio incredibile. Il Dio di «tutti gli spiriti» (e di tutti i «giusti resi perfetti») li tiene con Lui, fino alla risurrezione. È nel cielo — la Gerusalemme celeste — dove tutti gli spiriti dei santi di Dio sono ritenuti fin dalla creazione — sono conservati intatti — aspettando la «venuta del Signore nostro Gesù Cristo» (1 Tessalonicesi 5:23).
Lo Spirito disubbidiente di Satana. Prima di continuare, dobbiamo almeno citare un altro tipo di spirito. Paolo scrisse alla Chiesa di Efeso riguardo al potere del diavolo e della sua influenza sul mondo: «nei quali un tempo camminaste, seguendo il corso di questo mondo, secondo il principe della POTESTÀ dell'aria, dello spirito che al presente opera nei figli della disubbidienza» (Efesini 2:2). Oltre allo spirito di Dio e allo spirito nell’uomo, deve essere notato come tale che il diavolo è uno spirito. Egli fa parte del regno angelico degli spiriti, composto di angeli fedeli e di demoni (angeli caduti). Notate che il versetto 2 dichiara di Satana «SPIRITO... opera nei figli della disubbidienza». Il diavolo è uno spirito che ha il POTERE per mezzo del suo spirito, di influenzare l’umanità verso la disobbedienza! Nel Capitolo Nove, impareremo più in dettaglio come Satana, per mezzo dello suo spirito, invia stati d’animo, sentimenti e atteggiamenti di ostilità nelle menti delle persone, inducendo disobbedienza. Il diavolo ha un enorme potere di INFLUENZA che gli permette di inviare pensieri di inganno, rabbia, orgoglio, odio, avidità, invidia, risentimento ed altro ancora, direttamente nel pensiero delle persone! Satana, come dio di questo mondo, ha sedotto le masse del presunto cristianesimo a respingere il supremo scopo di Dio, compresa l’obbedienza a Lui — in modo che essi possano seguire un permissivo falso Cristo, così popolarmente adorato e creduto oggi, per una falsa salvezza.
Il disegno più grande. Diamo ora uno sguardo al grande disegno. Ora che abbiamo capito di più dello spirito umano, dobbiamo continuare brevemente a esaminare lo scopo generale di Dio. Dobbiamo guardare oltre a ciò che sta facendo con l’umanità. Ricordate, gli esseri umani sono in grado di acquisire la conoscenza. Gli animali non hanno questa capacità. E Dio ha programmato negli animali, attraverso l’istinto, tutto ciò di cui hanno bisogno per funzionare efficacemente all’interno del loro proprio ambiente. Non c’è «spirito degli animali» che gli da potere mentale. Gli esseri umani ricevono lo spirito dell’uomo fin dal concepimento. Esso permette loro, attraverso l’uso dei cinque sensi, di acquisire e conservare la conoscenza. Ancora una volta, le persone non sanno istintivamente tutto ciò che devono sapere per poter operare con successo per tutta la vita. Essi devono acquisire sempre più conoscenza man mano che invecchiano e man mano che più esigenze arrivano su di loro. Gli animali non hanno tale bisogno. Abbiamo già discusso che in tutta la conoscenza disponibile rientra sia la conoscenza fisica (come lavorare con la materia e le cose fisiche) — o la conoscenza spirituale (ciò che è necessario per le persone a sviluppare relazioni personali con Dio e con l’uomo, e perché raggiungano la salvezza). Tutte le persone riconoscono che l’accumulo della conoscenza utile è un processo permanente che continua per tutta la vita. Lo spirito nell’uomo rende questo possibile! Ma è fondamentale riconoscere che lo spirito umano non è l’uomo — è nell’uomo. C’è una grande differenza! Questo spirito non ha il potere mentale da sé. Nemmeno lo ha il cervello. Il cervello sente attraverso le orecchie e vede attraverso gli occhi. Lo spirito umano non fa queste cose da sé. Il cervello svolge il lavoro del pensiero — con lo spirito che dà il potere dell’intelletto. Ricordate, lo spirito è nell’uomo, dando ai cinque sensi fisici la capacità di lavorare con il cervello per l’analisi e il discernimento del significato e della comprensione. Come l’elettricità a un computer, lo spirito conferisce alla mente di elaborare l’informazione ricevuta attraverso i cinque sensi. Tutta la conoscenza è appresa. I piccoli bambini nascono senza NIENTE — le loro menti sono come fogli bianche di carta in attesa di essere scritti. Nel processo di crescita, devono imparare a fare tutto. Per funzionare come adulti richiede molta conoscenza fisica. Naturalmente, gli adulti riconoscono che nessuno può riuscire nella vita senza una certa quantità di conoscenza. Ma qui si trova un grande problema. La conoscenza fisica che l’uomo ha acquisito è stata insufficiente per poter risolvere i numerosi grandi problemi che affliggono tutte le nazioni del mondo. Per esempio: egli è del tutto incapace di imparare a essere felice o di portare l’abbondanza e la pace sulla terra. E nessuno ha scoperto come liberare il mondo dalla guerra, dalla povertà o dalla malattia. Perché? All’umanità manca un’altra componente chiave!
La dimensione mancante. Dopo che Dio ha creato Adamo ed Eva, Egli presentò a loro una scelta di vitale importanza — una decisione cruciale per prendere una delle due strade. Notate: «Allora l'Eterno Dio formò l'uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito di vita, e l'uomo divenne un essere vivente. Poi l'ETERNO DIO piantò un giardino in Eden, ad est, e vi pose l'uomo che aveva formato. E l'ETERNO DIO fece spuntare dal suolo ogni sorta di alberi piacevoli a vedersi e i cui frutti erano buoni da mangiare, e l'albero della vita in mezzo al giardino, e l'albero della conoscenza del bene e del male» (Genesi 2:7-9). Genesi 3:1-8 contiene il racconto della fatale decisione di Adamo ed Eva. Essi ascoltarono il serpente e scelsero l’albero sbagliato! Questo portò gravi conseguenze, al di là di quello che molti potrebbe sognare, perché non scelsero l’ALBERO DELLA VITA, Adamo ed Eva si tagliarono fuori dallo Spirito di Dio. Essi rimasero incompleti, incapaci di ricevere, di capire o di formare pensieri SPIRITUALI. Essi si privarono della vitale e importante DIMENSIONE MANCANTE per la comprensione spirituale dello scopo di Dio, del percorso di costruzione del carattere e alle giuste soluzioni ai problemi dell’umanità! Ecco cosa è successo dopo: «Poi l'Eterno DIO disse: Ecco, l'uomo è divenuto come uno di Noi, perché conosce il bene e il male. Ed ora non bisogna permettergli di stendere la sua mano per prendere anche dell'albero della vita perché mangiandone, viva per sempre. Perciò l'ETERNO DIO mandò via l'uomo dal giardino di Eden perché lavorasse la terra da cui era stato tratto. Così Egli scacciò l'uomo; e pose ad est del Giardino di Eden i Cherubini e una spada fiammeggiante, che si muoveva in ogni direzione, per custodire la via dell'albero della vita» (Genesi 3:22-24). Dio negò ad Adamo ed Eva l’accesso alla Sua presenza e il Suo Spirito. Anche se questa non fu mai la Sua intenzione, fu il risultato della loro scelta. Dio voleva dare fin dall’inizio ad Adamo ed Eva il Suo Spirito. Esso si sarebbe unito con lo spirito nell’uomo per formare una nuova vita spirituale generata in ciascuno di loro — e in tutta l’umanità a seguire. Ad Adamo gli fu dato più di un cervello — egli ricevette una MENTE, contenente lo SPIRITO UMANO. Egli aveva il potere di scegliere — di decidere per se stesso il suo proprio destino. Egli non fu costretto a seguire, e né fu guidato automaticamente verso nessun cammino prescritto. Egli non era stato programmato o limitato al pensiero istintivo, così come lo erano le bestie mute. Quando Adamo rifiutò l’Albero della Vita, rifiutò la possibilità di ricevere lo Spirito di Dio. Questo avrebbe aperto la sua mente al Piano di Dio — per quale motivo egli era stato creato. Abbiamo visto che la sua decisione causò a lui e a sua moglie, Eva, la cacciata dal giardino. Ma la loro decisione congiunta portò gravi conseguenze a tutti gli esseri umani che provengono da loro — che non poterono quindi avere accesso all’Albero della Vita. Con questa decisione, Adamo non soltanto tagliò fuori sé stesso e a tutta l’umanità dall’accesso a Dio, ma ha anche rifiutato la possibilità della vita eterna — «viva per sempre» (Genesi 3:22). Afferrate ciò che questo significa! Gli esseri umani NON SONO FINITI — essi sono incompleti! Tutta la conoscenza che entra nelle loro menti è strettamente limitata al fisico e al materiale. Per il suo grande peccato di rifiutare Dio e l’Albero della Vita, Adamo fu rifiutato da Dio e fu cacciato dal Giardino, e l’umanità fu cacciata via con lui — ora per essere totalmente tagliata fuori da Dio fino al Ritorno di Cristo! Questa comprensione è assolutamente eccezionale — sconosciuta a tutti, tranne a pochi oggi. Ed essa non è stata capita fino al XX secolo.
Alcuni mai si arrenderanno. Lo scopo di Dio non è mai stato cambiato. Egli desidera offrire la vita eterna a tutti coloro che si qualificano per essa. Ora, quasi tutti sanno del versetto seguente: «Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna» (Giovanni 3:16). Tristemente, però, questo passaggio imponente è poco più che un cliché, senza un vero significato per centinaia di milioni di persone. Ma avete visto che c’è uno scopo incredibile che Dio sta sviluppando in coloro che Lui ha chiamato. Ricordate che noi siamo l’argilla e Dio è il vasaio, e noi siamo «l’opera delle (Sue) mani» (Isaia 64:8). Ma Paolo capì come Dio lavora nei cristiani. Egli anche riconobbe che la salvezza (Romani 6:23), e anche la fede a riceverla, sono doni gratuiti. Questi non possono essere guadagnati. Ma questo non significa che Dio non sta lavorando (e richiedendo buone opere) negli esseri umani mentre Egli riproduce Se Stesso. La maggior parte semplicemente non permetterà a Dio di lavorare con loro. Alcuni addirittura respingeranno permanentemente Dio, rifiutandosi di ubbidirgli — rifiutandosi di permettere a loro di lavorarli come l’argilla. Essi confideranno nelle loro menti e respingeranno la dimensione mancante dello Spirito di Dio che li avrebbe portati alla vita eterna. Essi sceglieranno di rimanere incompleti — incompiuti nello scopo e nel carattere. I seguenti versetti descrivono la loro fine. Malachia 4:3 dichiara «Calpesterete gli empi, perché saranno cenere sotto la pianta dei vostri piedi nel giorno che io preparo, dice l'Eterno degli eserciti». Il malvagio sarà distrutto per sempre. Matteo 10:28 dimostrò chiaramente questo. Notate anche in Abdia 16: «Poiché come avete bevuto sul Mio monte santo, così berranno tutte le nazioni del continuo; sì, berranno, ingoieranno e saranno come se non fossero mai state». Guai a coloro che consapevolmente rifiutano l'offerta di Dio a qualificarsi per il regno di Dio!
A immagine di Cristo. Paolo scrisse di coloro in cui Dio sta operando: «Poiché quelli che Egli ha preconosciuti, li ha anche predestinati ad essere conformi all'IMMAGINE DEL SUO FIGLIO, affinché egli sia il primogenito fra molti fratelli» (Romani: 8:29). Come spiegato, Dio sta espandendo la Sua Famiglia, aggiungendo più figli. Cristo fu il primo e tutti gli altri devono conformarsi alla Sua immagine — al Suo carattere e alla Sua somiglianza. Dio sta facendo più «fratelli» in una Famiglia in cui TUTTI avranno lo stesso carattere e la stessa composizione spirituale. Sapendo che Dio e Cristo fecero l’uomo a loro «immagine e somiglianza» stabilisce perché il Nuovo Testamento parla di essere «conformi all’immagine di Suo Figlio». Le Scritture del Vecchio e del Nuovo Testamento concordano — si inseriscono perfettamente insieme per rivelare lo scopo di Dio. Dio non ha mai lavorato con gli animali. Essi sono privi di facoltà morali e spirituali. Essi sono fatti per il piacere e il servizio, sia dell’uomo che dell’ambiente. Ma non possono acquisire nuova conoscenza e non gli è mai stata offerta la vita eterna. Essi non fanno parte del Piano di Dio di edificare il carattere e di riprodurre Se Stesso. Dio non ha mai lavorato con o attraverso gli animali in previsione di qualsiasi scopo spirituale. Egli sta lavorando con gli umani generati e guidati dallo Spirito. La riproduzione umana rappresenta lo stesso modello che Dio Stesso usa. La famiglia umana è un TIPO della Famiglia che Dio sta costruendo. Apocalisse 19:7-9 mostra che il matrimonio tra uomini e donne raffigura il grande Matrimonio di Cristo con la Sua sposa che avverrà al Suo Ritorno. Questo sarà spiegato più avanti nell’opuscolo Dov’è la vera Chiesa. Abbiamo imparato che la Bibbia insegna che Dio ha un Piano dettagliato concernente una vera nascita nel Suo regno per tutti coloro che Egli ha chiamato. E la seconda nascita non avviene in questa vita. Non possiamo essere parte del Matrimonio con Cristo in questa vita, ma possiamo praticare — provare! — lo scopo finale di Dio attraverso il MATRIMONIO e la FAMIGLIA umana. Intendete ancora una volta! Ogni essere umano ha un potenziale incredibile, con capacità ben al di là degli animali bruti e superando anche il potenziale dei santi angeli di Dio. Notate ancora una volta: «Ed è diventato tanto superiore agli angeli, quanto più eccellente del loro è il nome che Egli ha ereditato. Infatti, a quale degli angeli disse mai: Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato? E di nuovo: Io gli sarò Padre, ed Egli mi sarà Figlio» (Ebrei 1:5)?
Trasformati alla risurrezione. Tutta la materia è fisica. Voi siete fatti di materia — voi siete fisici, della polvere della terra. Non c’è niente di permanente della vostra carne. Senza cibo, acqua, e aria, anche per un breve periodo di tempo, morireste. Allo stesso modo, nessuna persona può ottenere la vita eterna a prescindere dallo Spirito Santo presente e operante in esso. Senza questo Spirito che vi aiuta a cambiare, a darvi la vita eterna, nessuno ha speranza! Senza contatto con Dio, il Suo Spirito e il Suo scopo, che permettono la comprensione spirituale, tutti quelli del mondo di Satana vivranno le loro vite fisiche e moriranno, senza niente da seguire. Ma Dio sta lavorando con alcuni ora! Prima abbiamo citato Giobbe. Egli capì che lo Spirito di Dio lavorava con il suo spirito per dargli comprensione. Egli era ben consapevole del Piano e dello scopo di Dio che stava portando a termine nella sua vita. Abbiamo visto che lui domandò: «Se l'uomo muore può ancora tornare in vita? Aspetterei tutti i giorni del mio duro servizio, finché giungesse l'ora del mio CAMBIAMENTO. Mi chiameresti e io risponderei; Tu avresti un grande desiderio per l'opera delle Tue mani» (Giobbe 14:14-15). Giobbe sapeva che la risurrezione lo aspettava — che sarebbe stato «trasformato». Nel frattempo, doveva «aspettare» nella tomba fino a quando Dio non lo chiamerà. Giobbe possedeva lo Spirito di Dio e capiva quando e come Dio lo resusciterà e lo trasformerà. Egli riconosceva che sarebbe lo stesso Spirito di Dio in lui che renderebbe possibile questa trasformazione. Prima, abbiamo visto che in Romani 8, Paolo aveva scritto: «E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che risuscitò Cristo dai morti vivificherà anche i vostri corpi mortali mediante il Suo Spirito che abita in voi» (Romani 8:11). Paolo scrisse anche ai Corinzi della trasformazione che avviene alla risurrezione, quando tutti si sveglieranno dal sonno con un nuovo corpo spirituale. Precedentemente abbiamo visto una parte di questo passaggio. Ecco il resto: «E come abbiamo portato l'immagine del terrestre, porteremo anche l'immagine del celeste. Or questo dico, fratelli, che la carne e il sangue non possono EREDITARE il regno di Dio; similmente la corruzione non eredita l'incorruttibilità. Ecco, io vi dico un MISTERO: non tutti MORREMO, ma tutti saremo MUTATI in un momento, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba; la tromba infatti suonerà, i morti risusciteranno incorruttibili e noi saremo mutati, poiché bisogna che questo corruttibile rivesta l'incorruttibilità e questo mortale rivesta l'immortalità «(1 Corinzi 15:49-53). Questo brano parla di un mistero che Paolo dovette spiegare. Certamente, per il mondo è un mistero che avverrà questo cambiamento della composizione spirituale alla risurrezione dei morti, quando Cristo ritornerà. La maggior parte suppone di avere un’anima immortale che va al cielo dopo la morte. Eppure, pochi sembrano preoccuparsi o domandarsi di come si possa passare da «mortale» a «immortale» (1 Corinzi 53-54) alla risurrezione, se ha già un’anima immortale! Ma il carattere di Dio sarà già stato perfezionato in coloro che Egli «ravviva» alla risurrezione, rendendoli incapaci di peccare di nuovo. (1 Giovanni 3:9)
La sua ricompensa con Lui. Al Suo ritorno, Cristo porterà le singole ricompense di tutti quei figli e figlie attraverso cui Egli e il Padre hanno lavorato. Essi si sono qualificati per la grande gloria: «Perché il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre Suo con i Suoi angeli; e allora egli RENDERÀ A CIASCUNO SECONDO IL SUO OPERATO» (Matteo 16:27). Comprendete questo! Le vostre opere in questa vita hanno un impatto diretto sulla vostra ricompensa nella prossima vita. Tale ricompensa implica GOVERNO. La fase iniziale di questo governo durerà 1000 anni. I governanti si siederanno sui troni: «Poi vidi dei TRONI, e a quelli che vi si sedettero fu dato di giudicare, e vidi le anime di coloro che erano stati decapitati per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio, e che non avevano adorato la bestia, né la sua immagine e non avevano preso il suo marchio sulla loro fronte e sulla loro mano. Costoro tornarono in vita e REGNARONO con Cristo per mille anni. Ma il resto dei morti non tornò in vita finché furono compiuti i mille anni. QUESTA È LA PRIMA RISURREZIONE» (Apocalisse 20:4-5) Ma il piano di Dio non finirà solo con quelli inclusi nella Prima Resurrezione. Dio intende dare a tutti gli esseri umani la possibilità di ricevere il Suo Spirito, di edificare il Suo carattere — di essere terminati e di arrivare al COMPLETAMENTO! Continuando in Apocalisse, Giovanni descrisse la continuazione del Piano di Dio quando tutta l’umanità riceverà un’opportunità per la salvezza. Questo periodo è chiamato il «Giudizio del Gran Trono Bianco» ed è descritto in questo modo: «Poi vidi un gran trono bianco e Colui che vi sedeva sopra, dalla cui presenza fuggirono la terra e il cielo, e non fu più trovato posto per loro. E vidi i morti, piccoli e grandi, che stavano ritti davanti a Dio, e i libri furono aperti; e fu aperto un altro libro, che è il libro della vita; e i morti furono giudicati in base alle cose scritte nei libri, secondo le loro opere. E il mare restituì i morti che erano in esso, la morte e l'Ades restituirono i morti che erano in loro, ed essi furono giudicati, ciascuno secondo le sue opere» (Apocalisse 20:11-13). Ma quelli della Chiesa di Dio — l’unica Chiesa che Cristo promise di edificare (Matteo 16:18) — vengono istruiti e guidati ora in tutte le verità e le vie di Dio. Questo «piccolo gregge» sta alimentando e preparando ora coloro che regneranno con Cristo. Paolo scrisse agli Efesini descrivendo la responsabilità dei veri ministri di Cristo: «… per il perfezionamento dei santi, per l'opera del ministero e per l'edificazione del corpo di Cristo, finché giungiamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, a un uomo perfetto, alla misura della statura della pienezza di Cristo» (Efesini 4:12-13).
Riunendosi con lo spirito umano. Lo spirito nell’uomo né cambia né resuscita la persona. Questo viene dallo Spirito di Dio che prima lavora nella mente. Abbiamo visto che, alla risurrezione, lo spirito nell’uomo si RIUNIRÀ con lo Spirito Santo. Saremo esattamente uguali, salvo che saremo fatti di spirito, e pertanto non avremmo più la natura umana o gli impulsi della carne. Pensate allo spirito nell’uomo in questo modo. È come una audiocassetta di tutto ciò che abbiamo imparato o fatto — ed è il proprio stampo della mente per il nostro futuro corpo spirituale, contenente la memoria, il carattere e le esperienze di ogni essere umano. In un certo senso, come qualsiasi audiocassetta, questa può essere «riprodotta». Eppure, non può avere o dare la vita, o funzionare da sé, perché deve essere collegata a un cervello fisico — o ad una mente spirituale alla risurrezione. Come qualcuno che lavora con un computer, lo spirito nell’uomo lavora con il cervello per formare l’incredibile MENTE UMANA! La scienza non potrà mai scoprire questa conoscenza. Ciò che avete imparato, proprio in questo capitolo, quasi nessuno lo capisce. Ma voi lo capite ora! La conoscenza sta esplodendo come non mai prima. Ma questo sta accadendo in mezzo a una sempre maggiore sofferenza umana, infelicità, malcontento, violenza, guerra e confusione. Perché c’è un tale declino morale in continuo peggioramento a fianco del sorprendente progresso materialista? Con le armi di distruzione di massa che ora minacciano la stessa sopravvivenza dell’uomo, domandiamoci: Perché? E dove stiamo andando?
IL SUPERMONDO E LE SUE 43 DIMENSIONI. ETTORE MAJORANA E LA BANALITA’.
Universi paralleli, “ecco la prova della loro esistenza e interazione”. Può sembrare la sceneggiatura di un film, eppure i fisici teorici studiano questi scenari da almeno 50 anni, ed esistono complicati ed eleganti calcoli matematici in grado di descriverli. L’ultima formulazione è stata pubblicata su “Physical Review X” da un team di studiosi australiani e statunitensi, scrive Davide Patitucci il 3 dicembre 2014 su "Il Fatto Quotidiano”. Secondo lo strano mondo della meccanica quantistica, abitato da atomi e particelle, esiste un universo in cui questo articolo non è mai stato scritto. E, a un tempo, un altro mondo in cui è possibile leggerlo e commentarlo. Bizzarrie della realtà a livello dei suoi costituenti più intimi, governata da fenomeni che spesso fanno a pugni con il senso comune. E che hanno fatto storcere il naso persino ad Albert Einstein. Come la teoria del multiverso, in base alla quale esisterebbe una pluralità di universi paralleli, al punto che ogni decisione che ciascuno di noi prende in questo mondo ne creerebbe di nuovi. Secondo questa interpretazione, ci sarebbe, ad esempio, un mondo in cui il Terzo Reich è uscito vincitore dalla II guerra mondiale, e un altro in cui Hitler è uno sconosciuto pittore. Può sembrare la sceneggiatura di un film, eppure i fisici teorici studiano questi scenari da almeno 50 anni, ed esistono complicati ed eleganti calcoli matematici in grado di descriverli. Secondo l’ultima formulazione, appena pubblicata su “Physical Review X” da un team dell’University of California a Davis, e della Griffith University australiana, non solo gli universi paralleli esisterebbero davvero, ma potrebbero persino interagire. Secondo lo strano mondo della meccanica quantistica, abitato da atomi e particelle, esiste un universo in cui questo articolo non è mai stato scritto. Quando fu introdotta per la prima volta negli Anni ’50 dal geniale matematico americano Hugh Everett III, all’epoca in forze alla Princeton University, la teoria dei molti mondi venne derisa. Everett riuscì a fatica a pubblicarla, e alla fine abbandonò disgustato la carriera accademica. Negli anni, però, le sue raffinate spiegazioni di alcuni strani fenomeni del mondo subatomico, come la capacità delle particelle di coesistere in luoghi diversi – stranezze che spingevano il premio Nobel Richard Feynman ad affermare che “chiunque crede di aver capito la meccanica quantistica, non l’ha compresa abbastanza” – hanno fatto sempre più breccia tra i fisici. “Secondo la teoria di Everett – spiega Howard Wiseman, a capo del team australiano – ogni universo si divide in una serie di nuovi universi, quando viene effettuata una misurazione quantistica. Partendo dalle sue intuizioni, abbiamo dimostrato che è proprio dall’interazione tra questi mondi, soprattutto repulsiva, che nascerebbero i fenomeni quantistici”. “Nel multiverso – aggiunge su New Scientist David Deutsch, fisico della Oxford University – ogni volta che facciamo una scelta si realizzano anche le altre, perché i nostri doppi negli universi paralleli le compiono tutte”. Un’idea sfuggente, difficile da accettare ma, a pensarci bene, non del tutto negativa. Il pensiero che, di fronte alle scelte più difficili di tutti i giorni, ogni possibile alternativa abbia l’opportunità di realizzarsi potrebbe essere in fondo rassicurante. Quando fu introdotta per la prima volta negli Anni ’50 dal geniale matematico americano Hugh Everett III la teoria dei molti mondi venne derisa.
“Il multiverso mi ha reso una persona più felice – commenta sempre su New Scientist Max Tegmark, fisico del Mit -. Mi ha dato, infatti, il coraggio di correre più rischi”. Ma come provare queste teorie e legarle a fenomeni fisici osservabili? Secondo Lisa Randall, prima donna a ottenere la cattedra di Fisica teorica alla Harvard University, una possibile strada è il legame con le ricerche sulla natura della forza di gravità. In base ai suoi studi, tra i più citati degli ultimi anni, gli altri universi, vicinissimi al nostro anche se invisibili, sarebbero immersi in uno spazio a più dimensioni, come un arcipelago di isole sparse nell’oceano. Su uno di questi isolotti sarebbero concentrate le particelle che trasportano, come fanno i fotoni con la luce, la forza di gravità. Si chiamano gravitoni e sarebbero gli unici in grado di saltare da un universo all’altro. Ma solo alcuni riuscirebbero a “visitare” il nostro universo. Ecco perché la forza di gravità ci appare così debole, poiché diluita su più universi, che la assorbono come una spugna. “Uno degli scopi dei miei studi è spiegare perché la forza di gravità è così debole in confronto alle altre forze fondamentali della natura – spiega la studiosa nel suo libro “Passaggi curvi” -. Un piccolo magnete, infatti, può attirare una graffetta, nonostante la Terra nella sua interezza eserciti su di essa la propria attrazione gravitazionale”.
Il battesimo sperimentale a queste ricerche teoriche potrebbe arrivare a partire dal prossimo anno, al Cern di Ginevra, con la riaccensione alla sua massima energia di Lhc, l’acceleratore di particelle più potente del mondo. Questa macchina, una pista magnetica di 27 chilometri capace di sondare la struttura più intima della materia, potrebbe essere in grado di vedere i gravitoni, fino ad ora mai osservati direttamente. “Con Lhc potremmo trovare particelle che non esistono più dai tempi del Big Bang, circa 14 miliardi di anni fa – sottolinea Randall -. Tra loro potrebbero essercene alcune che vivono solo su altre dimensioni, o persino su altri universi. La loro osservazione, quindi, sarebbe una prova importante dell’esistenza di altri mondi”. Queste particelle, infatti, lascerebbero una sorta d’impronta gravitazionale sul nostro universo. Come un’ombra che si allunga su un muro in un giorno assolato. Il battesimo sperimentale a queste ricerche teoriche potrebbe arrivare a partire dal prossimo anno, al Cern di Ginevra, con la riaccensione di Lhc Come spesso accade nella scienza, gli studiosi vivono e si muovono ai bordi della conoscenza. “Non sappiamo come questi studi cambieranno la nostra percezione del mondo – afferma Randall -. Lo stesso Einstein non poteva prevedere che la sua teoria della Relatività avrebbe un giorno trovato applicazioni nel Gps. Esistono nell’universo molte regioni ancora inesplorate – aggiunge la studiosa -. Sapere cosa cercare è spesso difficile, ma questo non deve scoraggiare. Ciò che ancora non si conosce deve servire da stimolo per porsi nuovi interrogativi. È questo – conclude la scienziata di Harvard – che rende la scienza accattivante”.
L’ESPERIMENTO FILADELFIA: REALTA’ O LEGGENDA METROPOLITANA?
Scrive "Marcos61" il 14 dicembre 2015. È da decenni che girano voci di scambi di tecnologia tra il governo USA e una (o diverse) e non meglio precisate civiltà extraterrestri, con le quali ci sarebbero state contatti qui sulla Terra. Molte di queste dicerie sono ovviamente leggende metropolitane, altre molto probabilmente sono notizie messe in giro dai soliti disinformatori per confondere le acque. Ciò non esclude, che una parte – seppure piccola – di queste notizie possa essere vera. È comunque assodato che il governo USA fin dalla seconda guerra mondiale (pensiamo solamente al Progetto Manhattan per la realizzazione della bomba atomica), conduce esperimenti segreti, soprattutto per quello che riguarda progetti di nuove propulsioni e nuove armi. Si parla che fin dal 1943 furono compiuti esperimenti per ottenere l’invisibilità. Tali esperimenti sarebbero partiti dal sogno di Albert Einstein di unificare il campo elettromagnetico e la gravità in un’unica fisica. E, infatti, si parla di esperimenti effettuati presso il porto militare di Filadelfia, quando sul cacciatorpediniere Eldridge sarebbero stati imbarcati svariati equipaggiamenti, in particolare un potente generatore di campo magnetico. Lo scopo era di permettere alla nave da guerra di raggiungere l’invisibilità. Alcuni testimoni avrebbero riferito della sparizione della nave nel corso di una serie di esperimenti, che avrebbero comportato gravissime conseguenze per l’equipaggio. Alcune testimonianze incrociate riferiscono che nel periodo in cui rimase invisibile a Filadelfia, la nave fosse stata vista improvvisamente sostare per alcuni minuti nel porto di Norfolk a 600 Km di distanza, per poi svanire di nuovo e riapparire a Filadelfia. Se tutto ciò fosse confermato, si potrebbe pensare a un teletrasporto del tutto accidentale, causato dall’emissione del potentissimo campo magnetico che sarebbe stato utilizzato per soli scopi militari.
Ma come questa storia è venuta fuori? Morris Ketchum Jessup, astrofisico e scrittore divulgativo, e professore alla Drake University di Des Moines, nello Iowa, e all’Università del Michigan, e di altri organismi di ricerca, negli anni ’30 partecipò in qualità di fotografo ad una spedizione del Carnegie Institute di Washington, che aveva l’obiettivo di mappare e catalogare le rovine degli antichi popoli meso e sudamericani. In Messico, a Las Venta e San Lorenzo, toccò le teste dei giganti, scolpiti dagli Olmechi con evidenti fattezze negroidi; dopo il Messico la spedizione scese in Perù, dove Jessup si fermò ad ammirare i massi squadrati da 400 tonnellate del porto di Puma Punku (a Tiahuanaco), e quelli irregolari ma altrettanto pesanti del Sacsayhuamàn a Cuzco, dove cominciò a chiedersi se fossero davvero stati gli Inca i reali costruttori, armati di corde, usando animali da soma e tanta pazienza. Il 13 gennaio 1955, all’età di 54 anni dava alle stampe The Case for the UFO (Casi di UFO), nel quale descriveva di diversi fenomeni inspiegabili, avvenuti tra il 1947 ed il 1954. 13 gennaio 1956, Jessup avrebbe ricevuto una strana lettera da un uomo che si firmava “Carlos Miguel Allende”, che dichiarava di essere un ufficiale della marina americana e professore di ingegneria idraulica al Politecnico di Worcester. Il mittente era interessato alle indagini di Jessup sulla levitazione di oggetti per mezzo di campi di forza, un fenomeno che ha parere di entrambi era stato sfruttato in tempi antichi per l’erezione di monumenti megalitici. Allende dichiarava che il fenomeno di levitazione era stato sperimentato con successo anche in tempi moderni, durante un’operazione militare di cui era stato testimone. Tra gli anni ’30 e ’40 del XX secolo, la Marina USA si era dedicata all’applicazione della teoria sul campo unificato di Einstein. L’autore della missiva dichiarava di voler informare Jessup circa l’esistenza dell’Esperimento Filadelfia che sarebbe stato un segreto militare, di cui egli sarebbe stato l’unico testimone diretto.
Carlo Miguel Allende (questo era il nome messo nella busta, a quanto sembra il vero nome era Carl Allen), affermava di essere stato testimone oculare dell’apparizione e sparizione dell’USS Eldridge mentre si trovava a bordo di un’imbarcazione mercantile, l’SS Andrew Furuseth. Menzionava anche i nomi di altri marinai, e asseriva di conoscere anche il destino che, in seguito all’esperimento, sarebbe toccato ad alcune delle persone che si trovavano sulla nave. Uno di questi si sarebbe “volatilizzato nell’aria”, sotto i suoi occhi, durante una lite in un bar. Jessup gli rispose con una cartolina in cui gli richiedeva ulteriori conferme, prove ed evidenze che corroborassero la storia. La risposta arrivò vari mesi dopo, questa volta a firma di un certo “Carl M. Allen”. Dichiarava di non poter fornire ulteriori prove; tuttavia, secondo lui, avrebbero potuto essere facilmente ottenute attraverso l’ipnosi. Jessup avrebbe deciso allora d’interrompere la corrispondenza. Jessup era in corrispondenza con Manson Valentine, oceanografo, archeologo e zoologo, al quale riferì la vicenda. Valentine fu contattato dallo scrittore Charles Berlitz e questa storia fu riportata per la prima volta nel 1974 nel libro Bermuda triangolo maledetto, una seconda volta nel 1977 in Senza traccia e infine nel 1980 in Philadelphia Experiment: Project Invisibility. Dalla testimonianza di Berlitz si sa che Jessup fu convocato a Washington dove gli fu mostrata copia del suo libro che riportava ai margini delle annotazioni a mano; in una calligrafia riconobbe quella di Allende (singolare come Allende diventi Allen; da cui Alien). Sembra che tale Allen abbia in seguito confessato che tutta la storia sia stata una sua invenzione. Allen sarebbe nato a Springdale, Pennsylvania il 31 maggio 1925. Tutti quelli che hanno indagato su di lui hanno avuto delle difficoltà a stabilire il grado di attendibilità di tutto ciò che ha raccontato. Alla morte di Jessup, Allen iniziò una corrispondenza con Jacques Valleè citando un episodio occorso alla S.S.Maylay che nel giugno del 1947 rimase gravemente danneggiata in seguito all’esplosione di un UFO. Allen si sarebbe trovato a bordo della nave. Allen dichiarò che Jessup non si suicidò nel 1959 perché lui lo incontrò due anni dopo. Nel 1986 rilasciò un’intervista titolata Confessione sul letto di morte, ma, in effetti, morì il 5 marzo 1994. Dentro tutta questa confusione (che non si sa quanto sia voluta o meno), è certo che la marina USA tra gli anni ’30 e ’40 del XX secolo si era dedicata all’applicazione della teoria di Einstein sul Campo Unificato. Lo scienziato aveva riassunto i suoi risultati in due articoli rispettivamente nel 1928 e nel 1930, per poi ritirarli considerandoli “incompleti”. La teoria che avrebbe guidato la creazione di campi gravitazionali per mezzo di campi elettromagnetici, contemplava anche la sparizione di corpi estranei mediante l’applicazione di opportuni campi elettromagnetici.
Una commissione di scienziati si riunì nel 1931 all’Università di Chicago per progettare i futuri esperimenti sotto la guida del rettore John Hutchinson e del suo assistente Emil Kirtenuer. Due anni dopo il progetto al Princenton’s Institute of Advancer Studies e qui si unirono al gruppo niente meno che Einstein e John von Neumann. Nel 1934 fu la volta di Nikola Tesla, convocato dallo stesso presidente Roosevelt. I primi test di laboratorio furono condotti nel 1936 con un discreto successo, ottenendo un’invisibilità parziale che fu sufficiente a incoraggiare nuovi studi. A quel punto entrarono nel team altri scienziati quali i dottori Clarkston e Townsend Brown. Il primo esperimento si sarebbe svolto a Brooklyn nel 1940. In un cantiere della marina fu approntata una piccola nave senza equipaggio, alimentata via cavo da altre due navi poste ai lati, così che si potesse taglia la corrente in caso di incidenti. L’esperimento ebbe successo e la nave divenne invisibile come previsto. Visti i risultati, la marina americana concesse fondi illimitati per proseguire la ricerca, il gruppo si espanse e fu creato il Progetto Arcobaleno che aveva l’obiettivo ambizioso di far sparire niente meno che una nave da guerra. A questo punto sarebbero entrati in scena i figli di Alexander Duncan Cameron, un ex marinaio in pensione che gestiva l’integrazione in America degli scienziati fuggiti dalla Germania nazista. I due figli di Cameron, Alexander e Timothy, laureati in fisica, erano stati inviati a una scuola navale di Providence, Rhode Island, dove rappresentavano gli interessi della marina sul Progetto Arcobaleno.
Ora l’esperimento si sarebbe dovuto svolgere nel marzo del 1942, ma ci sarebbe stata l’opposizione di Tesla perché riteneva che non avrebbe potuto generare abbastanza energia senza nuocere all’equipaggio. Tesla riferì questo problema alla marina, che però fu irremovibile. Bisogna dire che la marina aveva dei motivi ben fondati per questa fretta. La guerra aveva raggiunto le acque dell’America del Nord e già a metà gennaio del 1942, gli U-Boat tedeschi avevano distrutto 13 cargo in 17 giorni. Quando il 6 febbraio 1942 i sommergibili tedeschi affondarono 5 petroliere destinate alla Gran Bretagna il panico si diffuse tra gli alleati. In seguito la marina tedesca spostò gli U-Boat nei Caraibi dove il 16 febbraio affondarono 8 petroliere e cannoneggiarono con successo la raffineria di Aruba. Alla fine del mese i sommergibili avevano distrutto qualcosa come 470.000 tonnellate, il 30% in più rispetto al mese di gennaio. Nel primo semestre del 1942 gli U-Boat avevano affondato 585 navi alleate – quasi 400 delle quali davanti alle coste degli Stati Uniti – con una media mensile di 500.000 tonnellate. Insomma c’era la guerra, e non stava andando bene per le perdite pesanti, l’esperimento doveva avvenire costi quello che doveva costare. Perciò gira l’ipotesi che Tesla sabotò di proposito l’esperimento, danneggiando le attrezzature in modo tale che non funzionassero. Questa è che ho descritto è un’ipotesi di come possa essere andata la collaborazione di Tesla con la marina e il governo degli USA. Teniamo che anche la storia ufficiale parla che l’inventore stava continuando a lavorare sul Teleforce un’arma con carica di particelle, ipotizzata da lui per la prima volta nella New York Sun e nel New York Times il 10 luglio 1934. Un progetto che aveva proposto in apparenza senza successo al Dipartimento della “Difesa” degli USA; sembra che il raggio proposto – che la stampa aveva ribattezzato “raggio della morte” – avesse a che fare con le sue ricerche sul fulmine globulare e sulla fisica del plasma, e che fosse composto di un flusso di particelle. Il governo americano (ufficialmente) non trovò alcun prototipo dell’apparecchio nella cassaforte, ma i suoi scritti furono classificati come top secret. Il cosiddetto “raggio della morte” costituisce un elemento di alcune teorie come mezzo di distruzione. J. Edgar Hoover dichiarò il caso “top secret”, vista la natura delle invenzioni di Tesla e dei suoi brevetti.
Charlotte Muzar scrisse che c’erano diversi fogli e oggetti “mancanti”. A quanto sembra, la morte di Tesla coincise con il pieno ripristino dei sistemi della nave. Insomma, se fosse vera questa ipotesi, lo scienziato morì solo quando la marina era sicura di non averne più bisogno (ed eliminare così una persona che si rivelava per la sua indipendenza e autonomia “una scheggia impazzita”). Continuiamo con la storia ipotetica di questo esperimento. Il 20 luglio 1943 la nave da guerra USS Eldridge DE 173 si allontanò dal porto sotto la guida del capitano Hangle. Erano a bordo 33 volontari e gli stessi fratelli Cameron. Alle ore 09.00 fu accesa la strumentazione e, secondo gli osservatori, la nave divenne invisibile. Restò occultata per circa 15-20 minuti, al termine dei quali giunse l’ordine di chiudersi sotto la coperta e di riportare la nave al porto. Fu una volta attraccati che ci si accorse del problema: i membri del personale rimasti sul ponte erano completamente disorientati, in preda a nausea e vomito e quasi deliranti. L’esperimento fu ripetuto il 12 agosto 1943. A bordo del cacciatorpediniere furono accesi quattro trasmettitori a radiofrequenza e una serie di generatori di campo magnetico: la nave divenne prima evanescente e poco dopo scomparve in una nube luminosa verdastra. A quel punto scomparve pure dai radar e Van Neumann andò nel panico, non avendo idea di cosa stesse accadendo. A detta di alcuni testimoni la nave sarebbe apparsa per 10-15 nel porto di Norfolk, per poi scomparire di nuovo e riapparire nel punto di origine, quattro ore più tardi. Fu mandata una squadra di soccorso e la relazione fu quanto di più assurdo si potesse pensare. Dagli atti della conferenza tenuta da Alfred Bielek, il 13 gennaio 1990, presso la sede del Mufon a Quincy, Illinois, si legge: “Due uomini sono imprigionati nella costruzione in acciaio sul ponte, due uomini nella paratia in acciaio; un quinto uomo è stato trovato con la mano penetrata a tre quarti dalla paratia ma era vivo. Altre persone camminavano avanti e indietro completamente folli, veramente folli e fuori di sé. Alcuni sparivano e riapparivano. Altri erano in fiamme ma bruciavano senza consumarsi. Tutti sono gravemente afflitti e danneggiati e le uniche persone scampate alla confusione sono quelli che si trovavano sotto il ponte, compresi i fratelli Cameron”. All’uomo con la mano incastrata fu amputato l’arto e gli fu data una mano artificiale. Il giornale di Filadelfia pubblicò un breve articolo che riportava le azioni dei marinai dopo il loro viaggio, quando assalirono un bar del posto, il Seamen’s Lounge. Sembra che scontassero ancora gli effetti del campo, oppure che avessero discusso dell’esperimento con accenti talmente terrificanti che le cameriere ne restarono agghiacciate. Fatto sta che la polizia portuale era stata costretta a intervenire. Alexander Cameron saltato dal parapetto assieme al fratello ma, stando alle sue parole, anziché cadere in acqua i due si sarebbe ritrovato nel bel mezzo di un altro progetto, il Progetto Phoenix a Montauk, Long Island. Erano capitati all’interno di un recinto pattugliato da guardie, cani e addirittura un elicottero. Ancora più strano, la data era il 12 agosto 1983. A Montauk c’erano cinque piani che ospitavano le attrezzature del progetto. I fratelli Cameron furono accompagnati davanti a Von Neumann, che ai loro occhi appariva irriconoscibile e terribilmente invecchiato. I due esperimenti, esattamente a quarant’anni di distanza, si erano accoppiati uno con l’altro, creando un buco con l’iperspazio che aveva risucchiato l’Eldrige. A quanto pare Von Neumann riuscì a spedire indietro Alexander, mentre il fratello Timothy restò nel 1983.
L’équipe decise di fare un altro test ma senza persone a bordo il 28 ottobre. Allende (o Allen) quando cominciò a corrispondere con Jessup, su questa incredibile storia, conosceva bene le sue tesi sulla levitazione (sosteneva che era un procedimento noto e ben sviluppato dalla tecnologia umana) e per la teoria del campo unificato di Einstein. Il 29 aprile 1959 alle ore 18.30 Jessup, fu trovato morto nella sua auto, l’inchiesta ufficiale stabilì che si era suicidato respirando il gas di scarico attraverso un tubo collegato con lo scappamento della vettura, dentro la non fu trovato nessun documento o manoscritto di qualsiasi genere. Jessup era convinto che la Marina avesse scoperto, per puro caso, un sistema in grado di modificare lo schema molecolare delle persone e delle cose con il conseguente passaggio in un’altra dimensione; in sostanza un primitivo teletrasporto.
Certamente una storia incredibile per essere creduta, e, in effetti, non lo fu. Adesso c’è chi dichiara che il fatto è veramente avvenuto, ma aveva uno scopo ben diverso da quello apparente. Le forze toccate, o trattate inavvertitamente, si rivelarono più grandi di quanto immaginato e la situazione sfuggì al controllo finendo in tragedia. Qualsiasi rimedio cercato non portò a esiti positivi e i morti esigevano il silenzio sull’intera questione. Non fu intrapreso nessun altro esperimento del genere. Senza saperlo era stato trovato il modo di smaterializzare la materia. Vi sono alcuni film nei quali, il regista, cerca di raccontare come si muovono le cose. Si è visto con il film Contact, tratto dal best-seller di Sagan. Tradurlo in immagini non fu certamente facile. Colpisce il modo con il quale è stato rappresentato il passaggio nel tempo e nello spazio nei film come Stargate e Time Coop. Entrambi i registi, Emmerich nel primo e Peter Hyams nel secondo, visualizzano il punto di passaggio tra le dimensioni in una zona circolare, ove l’aria assume l’apparenza di una membrana vibrante, elastica, quasi appiccicosa, che rende bene l’effetto “melassa” o “flusso” dell’aria ionizzata. Manson Valentine dichiarò nel 1974, in merito alla propulsione degli UFO, che potevano utilizzare reattori di energia a fusione atomica, non a fissione, creando un campo magnetico che permetterebbe alte velocità. Secondo Valentine, nella nostra atmosfera poteva essere usato un disco discoidale dotato, tutt’intorno, di generatori a raggi catodici in grado di ionizzare l’aria davanti al veicolo, formando un vuoto entro il quale si muoverebbe l’apparecchio.
Jessup pensava di utilizzare l’energia dei campi magnetici per trasportare materia trasformata, da una dimensione all’altra. La sua teoria spiegherebbe l’incidente di Mantell che si disintegrò col suo aereo in un campo ionizzato. Si ha notizia dalla rivista New Scientist che ricercatori russi e americani hanno sperimentato un modello di disco volante al Rensselaer Polytechnic Institute di Troy, vicino a New York, sotto un’équipe guidata dagli scienziati Leik Myrabo e Yuri Raizer. L’avvenimento è riportato anche dal quotidiano La Nazione del 16/1271996: “Il veicolo sarebbe in grado di raggiungere elevatissime velocità con un consumo minimo grazie a un raggio laser, o a microonde, che, puntato nella direzione desiderata, crea una sorta di cono mobile che lo risucchia. Il raggio surriscalda lo spazio davanti al disco, fondendo le molecole d’aria che si trasformano in un plasma che fluisce verso il disco e crea un’area che a forma di cono in cui l’attrito è minimo”. Valentine ebbe a dichiarare in un’intervista che i motori ionici erano noti fino dal 1918 ma il loro funzionamento era tenuto segreto. I fisici conoscevano bene quali fenomeni potevano derivare dalla generazione di campi magnetici ad alta velocità e ne erano spaventati. Valentine dichiarò che gli scienziati erano concordi nel considerare la struttura atomica è essenzialmente elettrica, in una complicata interrelazione di energie. La generazione volontaria di condizioni magnetiche influenza un mutamento di fase nella materia distorcendo l’elemento tempo, che non è indipendente, ma fa parte della materia materia-energia-tempo, come quella in cui viviamo. In un universo così flessibile il passaggio da una fase all’altra equivale al passaggio da un piano dell’esistenza a un altro; ossia vi sono mondi nei mondi. Si sospetta da tempo che il magnetismo sia un agente attivo in questi mutamenti potenziali e drastici. L’uso di tale risonanza magnetica equivale al trasferimento di materia in un altro livello o dimensione. Per Jessup ogni campo generato da una bobina, rappresenta un piano, ma poiché esistono tre piani di spazio ci deve essere un altro piano, forse gravitazionale. Collegando i generatori elettromagnetici in modo da produrre un impulso magnetico è possibile creare questo campo con il principio di risonanza, ne consegue che un campo gravitazionale non può esistere senza campo gravitazionale che lo accompagna.
Nel 1943 si sperimentò il primo teletrasporto e fu aperto un varco interdimensionale utilizzato dagli UFO? Mino Pecorelli, ben noto giornalista che fu assassinato il 20 marzo 1979, nel gennaio 1979 pubblicò sulla rivista che dirigeva OP il 16 gennaio 1979, un dossier insolito per il tipo di rivista: La storia degli UFO scrive: “Le obiezioni, sia scientifiche si d’ordine pratico, reggono fino a che si considera come parametro invalicabile la velocità della luce. Ma cadono se pensiamo alla teoria di Max Planck, premio Nobel per la fisica. Secondo Planck, l’Universo è formato da un sistema di “mondi” paralleli, da lui denominati “quanta”. Il prossimo “quantum” dell’Universo cui appartiene la Terra sarebbe a distanze siderali che vengono percorse da una luce, la quale anziché andare a 300.00 chilometri il secondo viaggia a 300.000C8, cioè all’ottava potenza, quindi a miliardi di miliardi chi chilometri. È una luce talmente veloce che non può essere nemmeno vista. Planck la chiamò “luce nera”. Qui la domanda diventa: può un oggetto materiale viaggiare a luce C8?
Teoricamente è possibile. Ma noi sappiamo che di recente sono stati fatti, anche in Italia, esperimenti che inducono a ritenere non impossibile la stessa, concreta eventualità. Si tratta di prove di laboratorio basate sull’accelerazione forzata di onde elettromagnetiche, aventi per terminale un sincrotrone. Investiti dai fasci di quelle onde, vari oggetti piazzati davanti al “beam” del sincrotrone sono stati visti scomparire immediatamente. Non distrutti o comunque disintegrati, ma “andati”, spediti nel nostro “quantum” più vicino. Il termine scientifico è “smaterializzazione” ma si può anche dire “passaggio in una dimensione diversa”. È chiaro che, per quanto riguarda gli esperimenti compiuti finora qui sulla Terra, si tratta di prove a senso unico e quindi senza possibilità di controllare né il percorso né il punto di arrivo degli oggetti smaterializzati. Esiste tra l’altro il rischio che un oggetto sia pure minuscolo, spedito dalla Terra alla velocità di C, possa causare disastri definitivi a tutto ciò che incontra sulla strada. Ma accerta la possibilità del fatto, perché non ipotizzare che un pianeta abitato al di fuori del nostro sistema solare, nel quale gli abitanti abbiano raggiunto un tale grado di progresso tecnologico da poter mantenere il controllo completo dell’intero processo di smaterializzazione, per quanto riguarda non soltanto la partenza ma la destinazione e l’arrivo degli oggetti smaterializzati? Se a questo punto facciamo l’ipotesi che gli abitanti di Tau Ceti, avendo raggiunto il livello di progresso necessario decidessero di inviare un disco volante sulla Terra, non avrebbero che da premere un pulsante. Il disco entrerebbe nella nostra atmosfera entro 3-4 secondi di tempo”. E Pecorelli è uno che ne sapeva sui cosiddetti “misteri” italiani e non solo su questi (pensiamo alla sua denuncia della presenza di una loggia massonica in Vaticano).
Il 13 agosto 1996 i TG RAI danno notizia che la polizia statunitense sarà dotata di un dispositivo capace di bloccare le auto guidate da malviventi in fuga. Il congegno interromperebbe il flusso di energia nei circuiti elettrici. Attualmente è in via di perfezionamento poiché, sembra che l’apparecchio blocchi la corrente in tutta la zona dove si svolgerebbe l’azione, divenendo un pericolo per le persone dotate di pace-maker. È accerto che il formarsi di forti tempeste magnetiche collima con le apparizioni di UFO, in particolare nella zona delle Bermuda, dove il fenomeno si manifesta con più frequenza. Inoltre, come effetto collaterale del fenomeno UFO, accade una distorsione temporale con la perdita effettiva di tempo e una mancanza di energia nella zona interessata. Si sono avuti black-out nelle città, nelle trasmissioni radio, nell’energia dei motori delle auto. Tutto ciò non fa che riproporre il quesito che se si manipola l’energia dei campi magnetici si può trasmettere qualcosa (in sostanza la materia) da una dimensione all’altra. In relazione al formarsi di queste “porte”, che porrebbero in comunicazione mondi paralleli, giungono dal passato notizie inquietanti, al limite del credibile, da strani collezionisti stile Charles Fort.
Una di queste storie al limite del credibile (e dove razionalmente a dire la verità faccio veramente fatica a crederci) si svolse nel 1950 begli USA, quando un’auto, investì, uccidendolo, un uomo che aveva improvvisamente attraversato la strada, un individuo di circa 30 anni, senza documenti, con indosso un lungo soprabito nero, con scarpe di fibbia e un ampio capello, vestito con eleganza ma fuori tempo. Nelle sue tasche furono rinvenute delle ricevute di somme elargite per la manutenzione di carrozze e cavalli e una lettera indirizzata a Rudolf Fenz col timbro 1876. Le ricerche portarono alla scoperta di Rudolf Fenz Jr. nell’elenco telefonico del 1939, impiegato di banca, ma oramai deceduto. La moglie, all’epoca vivente, raccontò che il padre di suo marito scomparve nella primavera del 1876, durante una passeggiata. Esiste nella lista dell’ufficio scomparsi, relativa al 1876 il nome di Rudolf Fenz, descritto come un uomo di 29 anni, vestito con soprabito nero, scarpe con fibbia e capotto. Di storie come queste c’è ne sono tante. Bisogna sapere che nel nostro pianeta esistono ben dodici zone, conosciute come “triangoli della morte”, fra le quali il ben noto “Triangolo delle Bermuda”, dove avvengono frequenti apparizioni di UFO e, a esse connesse, variazioni del campo elettromagnetico, distorsioni temporali, con conseguente sparizione di ciò che si trova nelle vicinanze. Si potrebbe stabilire che UFO ed energia elettromagnetica vanno a braccetto. Ci si sono varie teorie a proposito. Una ed è la più diffusa è quella che il loro sistema propulsivo funzioni a energia elettromagnetica, a c’è anche chi sostiene che sono i campi elettromagnetici a generare gli UFO. Il ricercatore Albert Budden, che ha studiato gli effetti dell’energia elettromagnetica sugli esseri umani, ritiene che gli incontri con gli UFO e perfino le esperienze di rapimento da parte degli extraterrestri siano legati all’esposizione a energia elettromagnetica. Sebbene le tesi di Budden non siano diffuse tra i ricercatori che s’interessano del fenomeno UFO, le tesi del neurologo canadese Persinger, sembrano avallare alcune affermazioni di Budden. In oltre 700 prove di laboratorio su volontari Persinger ha stabilito che i campi elettromagnetici possono stimolare il lobo temporale del cervello creando uno stato alterato di coscienza e causando “esperienze volontarie”. Persinger ha pubblicato uno studio intitolato La teoria della deformazione tettonica quale spiegazione dei fenomeni Ufo, in cui sostiene che al momento di un terremoto le variazioni del campo elettromagnetico possono dare origine a luci misteriose nel cielo. Un osservatore, specialmente se sensibile all’energia elettromagnetica, potrebbe scambiare quelle manifestazioni luminose per un visitatore extraterrestre. Certo questo potrebbe essere una spiegazione plausibile, rimane il fatto inspiegabile che nel Triangolo delle Bermuda quando i piloti percepiscono distorsioni del tempo è difficile farle passare come pure aberrazioni mentali causate dall’energia elettrica. Bob Lazar, un personaggio molto discusso, che dichiara di aver lavorato presso l’area S-4 del Nevada Test Site (vicino all’Area 51), afferma che il fenomeno che avviene nel Triangolo delle Bermuda, si tratta di distorsioni spazio temporali capaci di collegare due mondi.
L’esperimento Filadelfia aprì involontariamente una porta? E questo tipo di esperimenti è continuato? E il misterioso Progetto Montauk se è veramente esistito, sarebbe la continuazione dell’esperimento Filadelfia?
Il progetto Filadelfia approdò in Italia? Nell’inverno del 1976 il governo italiano incaricò il Prof. Clementel presidente del CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare), a eseguire una serie di esperimenti per verificare l’efficacia di una misteriosa macchina che emetteva un fascio di raggi in grado di annichilire la materia, producendo grandi quantità di energia. Giulio Andreotti aveva appena formato il suo terzo governo, un monocolore DC che si reggeva sull’astensione di PCI, PSI, PSDI, PRI e PLI, dopo le elezioni del 20-21 giugno 1976. La lettera con cui il professor Clementel inviava la sua relazione sulle prove da eseguirsi, è datata 26 novembre 1976 e indirizzata all’avvocato Loris Fortuna, Presidente della Commissione Industria, presso la Camera dei Deputati, in piazza del Parlamento 4, a Roma. Il socialista Fortuna era il deputato incaricato dal Presidente del Consiglio per seguire il lavoro di Clementel. La relazione è composta di cinque facciate. Nella seconda, quella che segue la lettera di accompagnamento, c’è l’elenco delle cinque prove richieste dal protocollo, con i relativi dettagli. In sostanza, si trattava di far forare al fascio di raggi emesso dalla macchina, lastre di acciaio inox e alluminio poste a diverse distanze dall’obiettivo della macchina stessa. Nelle tre facciate successive, è calcolata la potenza del raggio. In un altro documento di due facciate, il professor Clementel scrive di suo pugno, siglandole in calce, le sue conclusioni concernenti, la valutazione delle prove effettuate, all’energia e alla potenza del fascio, alla natura del fascio stesso. Scrive il professor Clementel: “L’energia del fascio impiegato è stimabile tra i 150.000 e i 4 milioni di Joule; i numeri dati corrispondono all’energia necessaria per fondere rispettivamente vaporizzare 144 grammi di acciaio inox. Una valutazione più precisa sarà forse possibile al termine delle analisi metallurgiche in corso per uno dei campioni di acciaio inox. Poiché, come risulta dalle prove, il fascio è quasi certamente di tipo impulsato, con durata degli impulsi minore di 0,1 secondi, occorrerebbe una esatta conoscenza di tale durata per poter determinare la potenza del fascio. Si può comunque dare una stima del limite inferiore della potenza in gioco, assumendo una durata dell’impulso pari a 0,1 secondi. Con tale valore, si ha una potenza totale del fascio di 1500 Kw/cmq nel caso della fusione del metallo; nel caso della vaporizzazione del metallo la potenza totale del fascio salirebbe a 40.000 Kw e la densità di potenza a 4000 Kw/cmq”. E poi conclude: “Circa la natura, del fascio, le semplici prove effettuate non consentono una risposta sufficientemente precisa, anche se vi è qualche indicazione che porterebbe ad escludere alcune fra le sorgenti più comuni, quali ad esempio getto di plasma, fasci di particelle cariche accelerate, fasci di neutroni, eccetera. In ogni caso, anche nell’ipotesi non ancora escludibile di fascio laser, le energie e soprattutto le potenze in gioco, si porrebbero al di là dei limiti dell’attuale tecnologia. Si può in ogni caso escludere che si tratti di fasci di anti-particelle o di anti-atomi”. Il professor Clementel fece fare delle riprese di quelle prove sulla misteriosa macchina e i filmati, insieme alla relazione, sono giunti integri fino a noi. Nelle scene in bianco e nero si vedono distintamente la macchina e la lastra di acciaio inox verso cui è diretto il fascio di raggi. Un attimo e un grande bagliore avvolge l’acciaio; quando le fiamme si diradano, appare il grosso foro sulla lastra. Il ritrovamento di questa documentazione a 34 anni di distanza, prova due cose. La prima è che nel 1976 la macchina che produce energia con un fascio di raggi, esisteva. La seconda è che quegli esperimenti, autorizzati dal governo, conferiscono un primo grado di attendibilità al dossier della Fondazione Internazionale Pace e Crescita di Vaduz, nel Liechtenstein, l’organizzazione che si proclamava proprietaria della fantastica tecnologia. Ma è proprio così? La Fondazione era realmente il soggetto che aveva questo macchinario? All’esperimento aveva assistito il professor Piero Pasolini illustre fisico e amico del professor Zichichi. In una sua relazione, Pasolini parlò di “campi magnetici, gravitazionali ed elettrici interagenti che sviluppano atomi di antimateria proiettati e focalizzati in zone di spazio ben determinate anche al di là di schemi di materiali vari, che essendo fuori fuoco si manifestano perfettamente trasparenti e del tutto indenni”. Questo fenomeno era connesso a una grandezza fisica chiamata sintropia (un’entropia in segno negativo) di cui si trova nei lavori del fisico italiano Luigi Fantappiè (1891-1956). La sintropia identifica il comportamento di alcuni sistemi (per lo più biologici) che in ben ristrette condizioni tenderebbero a muoversi spontaneamente verso l’ordine, violando il secondo principio della termodinamica e obbedendo invece ai principi opposti di finalità e differenziazione. Sembra che il primo progetto della macchina fosse stato realizzato dal fisico Ettore Majorana, durante il suo presunto ritiro ventennale all’abbazia di Serra San Bruno (1938-1958).
Com’è noto Majorana scomparve misteriosamente nel 1938. Il giorno 25 marzo del 1938, Ettore Majorana stanco delle fatiche derivate dall’insegnamento e dalle continue ricerche scientifiche, decise di concedersi un viaggio di riposo. Da Napoli dove risiedeva, decise di imbarcarsi (portando con sé il passaporto, le ultime quattro mensilità da professore e tutti i suoi risparmi ritirati in banca) su di una nave diretta a Palermo laddove giunto, soggiornò per mezza giornata per poi riprendere di nuovo l’imbarcazione che lo avrebbe condotto nuovamente a Napoli, dove, però non arrivò mai. E’ esattamente il 26 marzo del 1938, la data in cui di lui si perdono le tracce. Egli aveva lasciato due lettere, dove preannunciava la sua “scomparsa”, ed un telegramma che smentiva il contenuto delle missive, ciò indusse coloro che svolsero le indagini a ipotizzare che si trattasse di un suicidio. Nel dossier, “PS 1939 – A1”, redatto in data 1 aprile dalla polizia fascista, risaltano tre annotazioni: la prima scritta da Benito Mussolini Voglio che si trovi, la seconda del capo della polizia che aggiunse: “I morti si trovano, sono i vivi che possono scomparire”, e la terza datata 4 aprile che archivia le ricerche deducendo che fosse stata “una scomparsa al fine di suicidio”. Il corpo dell’eventuale suicida, non fu mai ritrovato nonostante le incessanti ricerche effettuate, e sia i suoi familiari sia i suoi collaboratori e amici non credettero mai all’ipotesi del suicidio nonostante la presenza di quelle lettere. Dal momento della sua misteriosa sparizione sono state numerose le ipotesi avanzate, alcune prive di fondamento altre con qualche riscontro, ma comunque nessuna contenente elementi di certezza. Lo scenario più suggestivo resta quello indicato nel romanzo dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia La scomparsa di Majorana del 1975, laddove viene egregiamente illustrato il tormento di un uomo, angosciato dal risultato delle sue ricerche poiché resosi conto delle tremende potenzialità della fissione dell’uranio (in pratica la bomba atomica), decide di scomparire ed eliminare ogni traccia dei suoi preziosi studi. Secondo Sciascia, Majorana preferì fingere il suicidio liberandosi della vecchia identità, e cominciando una nuova vita all’interno della certosa di Serra San Bruno. Tale informazione Sciascia l’avrebbe ricevuta da un suo amico che raccolse la confidenza di un certosino, circa la presenza tra i padri, all’interno dell’eremo, di un “grande scienziato”. Il pensiero, che una tale scoperta si sarebbe potuta diffondere ed essere ad appannaggio dei sistemi dittatoriali del suo tempo lo annichiliva, perciò Majorana avrebbe inscenato un finto suicidio, per poi poter sedare la sua anima continuando a vivere tra le mura certosine tra quiete, meditazione e preghiera. Questo scenario fu seccamente smentito dal Vaticano, e dallo stesso Ordine certosino che negò la presenza del fisico siciliano nell’eremo di Serra San Bruno, anche se nel 1984 papa Woytila in visita alla certosa calabrese, ricordò che il monastero “aveva dato ospitalità al grande scienziato Ettore Majorana”. A suffragare la tesi dell’isolamento religioso vi è anche uno scoop giornalistico del 1997 (la Domenica del Corriere), secondo cui Majorana morì nel 1987, a 81 anni dalla nascita e a 49 dalla scomparsa, decesso che avvenne «probabilmente» nella certosa di Farneta, in provincia di Lucca, dove egli si sarebbe spostato a seguito degli echi riguardanti la sua presenza in Calabria. Nel 1958, Rolando Pelizza, nato nel 1938 (l’anno della scomparsa di Majorana quando si parla di coincidenze) a Chiari (BS), da una famiglia benestante, che svolgeva come attività il commercio di calzature. Le sue prime attività furono in questo settore, poi si dedicò ad altre iniziative economiche aprendo degli uffici a Roma e intessendo anche dei rapporti di affari in Europa, soprattutto in Spagna e in Svizzera, ebbene egli afferma di aver incontrato Majorana nell’Abbazia e dopo essere entrato nelle sue grazie gli rivelò i procedimenti della macchina. La costruzione della macchina si terminò nel 1972 ma Pelizza fu subito accusato di aver costruito un apparecchio bellico senza autorizzazione. E come si diceva prima, il governo italiano incaricò il fisico Ezio Clementel a verificare le funzionalità della macchina e nel 1976 dimostrò le potenzialità dell’apparecchio, cercando di pubblicare l’invenzione. Ma Clementel iniziò a subire delle ingiustizie, per esempio venne arrestato senza alcun motivo distruggendo per sempre la sua carriera di fisico e professore. Che questa storia non sia un’invenzione di Pelizza potrebbe garantirlo addirittura lo stesso CICAP poiché incaricò Carlo Tralamazza, professore e informatico svizzero (e socio del CICAP) di realizzare il programma informatico per la gestione dell’apparecchio. Tralamazza compilò il programma per il quale ebbe un regolare compenso. Questa storia del “raggio della morte” finì dentro l’inchiesta del giudice Carlo Palermo[25] quando Pelizza incontra un ex colonnello del Sifar e del Sid, Massimo Pugliese, massone iscritto alla Loggia P2, agente del Sifar e del Sid, andato in pensione, ma rimasto collegato al generale Santovito capo del Sismi, a sua volta anche lui è un massone iscritto alla Loggia P2. Uscito dal Sid, andò a fare il consulente per alcune ditte nazionali produttrici di armi. Pugliese gestiva il traffico internazionale di armi per mano di due società, l’Horus e la Promec, perché monarchico era in rapporti stretti con Vittorio Emanuele di Savoia. Tramite l’attore Rossano Brazzi, anche a lui massone (cosa vuol dire essere fratelli!), Pugliese ebbe la possibilità di mandare messaggi al presidente Reagan, ad esempio per favorire le concessioni di crediti alla Somalia, necessari per l’acquisto di armi. Il Pugliese, assieme a Pelizza, fondò la società lussemburghese Transpresa per la vendita del ‘raggio della morte’. Tramite i servizi italiani, il ’raggio della morte’ venne proposto al governo italiano: il Pugliese si incontrò con Andreotti, Piccoli, Loris Fortuna. A quanto pare, i politici si convinsero di avere messo le mani sulla superarma, poiché interessarono il governo Usa, il quale organizzò un esperimento, del cui esito si sono perse le tracce. Carlo Palermo dedicò centinaia di pagine sul misterioso congegno, affermando che fu alla base di un intricato traffico di armi. Dalle sue inchieste stava emergendo la commistione tra Servizi Segreti, Mafia e Massoneria piduista. Questo fantomatico congegno si ispirò ai due articoli di Einstein sul Campo Unificato, con particolare riferimento a quello uscito nel 1928. Sembra che Majorana estese la fisica di Einstein a uno spazio di 3 dimensioni spaziali e 2 temporali, incorporando alcuni concetti di Fantappié. Un ruolo in questa ricerca lo ebbe infine Burkhard Heim (1925-2001), un fisico tedesco che durante la seconda guerra mondiale fu reclutato dai nazisti. Dopo oltre 50 anni di dimenticatoio, le tesi di Heim sono al centro di un acceso dibattito nel mondo accademico, questo perché la NASA annunciò che nel 2005 di voler intraprendere una serie di esperimenti per verificarne la fondatezza. Grande enfasi viene posta sull’uso delle piastre in oro e platino a stretto contatto con un campo magnetico rotante, in processi che richiedono permittività elettrica negativa e plasmoni di superficie radianti (il ché richiederebbe a sua volta superfici scanalate a periodo fisso).
Guarda caso molte di queste idee erano apparse nelle note a margine nel libro di Jessup The Case for the UFO. Tornando all’apparecchio dei Pelizza, sono circolati dei video, dai quali c’è chi come Diego Marin (fisico che si occupa anche di argomenti storici) rileva che l’ingrediente segreto che viene utilizzato è il mercurio, che è mosso ad apposite frequenze e contenute in apposite forme. Nel Vaimanika Shastra, un testo indiano che descrive i mezzi di trasporto delle divinità induiste, s’insiste morbosamente sull’uso del mercurio quale elemento essenziale per togliere peso alle navi. L’interpretazione accademica vuole che queste navi, i Vimana, non siano altro che immagini poetiche per descrivere nuvole o altri fenomeni atmosferici.
Il Vaimanika Shastra, però, non parla di divinità, ma è un testo, dove si descrive in maniera dettagliata i Vimana. Lo si potrebbe descrivere come una sorta di trattato scientifico o di manuale tecnico. Il testo nella forma attuale è stato messo per iscritto tra il 1918 e il 1923 dal Pandit Subbaraja Sastri, ma la compilazione originale risale almeno al XIII secolo a.c. per opera del guru Maharishi Bharadwaja. Il libro si apre con la descrizione dei Vimana che sono descritti come un mezzo che può volare in aria da un luogo a un altro. Sono quindi menzionati i 32 segreti sul funzionamento dei Vimana che il loro pilota deve apprendere, suddivisi in 3 categorie a seconda della struttura del veicolo aereo, del suo decollo e atterraggio, nonché della manovrabilità. Vi si legge, infatti, che essi possiedono un motore a mercurio, e vi si parla di mercurio rosso, una sostanza che ufficialmente non esiste, sebbene sia presente nei resoconti di esperimenti degli gruppo Ahnenerbe intercorsi durante il Terzo Reich quali il famoso Die Gloch. In base agli indizi raccolti da Jospeh P. Farrel il mercurio rosso sarebbe un composto di mercurio, torio e antimonio, arricchito mediante bombardamento neutronico in un reattore nucleare. Il materiale ottenuto assumerebbe l’aspetto di un liquido di colore rosso-porpora, molto più denso e pesante del mercurio comune. Il mercurio rosso avrebbe un tempo di decadimento relativamente breve, passato il quale perderebbe il proprio potenziale e avrebbe bisogno di una nuova immersione nel reattore. La paternità dell’invenzione apparterebbe ai sovietici, passata poi in Germania attraverso l’infiltrazione dentro i servizi segreti russi di alcuni agenti dei servizi segreti nazisti. La dicitura mercurio rosso appare ancora nella relazione della Commissione Parlamentare sul traffico di Rifiuti Tossici del 4 marzo 2013 (XVI legislatura – Governo Monti – Soc. XXIII, n. 21). Qui si parla di una motonave chiamata Latvia dell’ex Unione Sovietica, che era appartenuta ai servizi segreti russi, ancorata a La Spezia. Il caso fu affidato al comandate Natale De Grazia del pool investigativo della Procura di Reggio Calabria. Ma De Grazia morì improvvisamente il 12 dicembre 1995, per avvelenamento.
Con la morte di De Grazia il lavoro investigativo aveva perduto slancio, e tutto era finito in archiviazioni, verso la fine degli anni Novanta. L’inchiesta che stava svolgendo De Grazia riguardava l’intera stagione dei traffici di materiale tossico-nocivo con l’Est europeo, con alcuni Paesi dell’America Latina, e soprattutto con l’Africa. Negli anni Novanta diverse Procure italiane (oltre a Reggio Calabria e Matera, anche Roma, Milano, Asti, La Spezia, Trieste, Venezia, Udine, Taranto, Lecce, Brindisi, Torre Annunziata, Palmi, Paola) avevano scoperto cordate di faccendieri, mafiosi e imprenditori senza scrupoli che avevano messo in piedi traffici di rifiuti tossici in cambio di armi, frodando le assicurazioni delle navi con affondamenti dolosi per i carichi dispersi in mare, e utilizzando la corruzione e le mazzette per ottenere la complicità dei Paesi di destinazione nei casi di interramento del materiale pericoloso. Ma gli investigatori avevano anche trovato indizi del possibile coinvolgimento di apparati dello Stato, di uomini e strutture dei servizi segreti. Traffici che portano lontano: al Progetto Urano, nato per convogliare rifiuti europei e americani in una depressione naturale del Sahara, al confine fra Marocco e Mauritania; o alla Somalia, dove il segreto del mercato nero delle armi e dei rifiuti andava protetto a ogni costo. Tra le morti sospette vanno annoverate quelle di Vincenzo Licausi, uomo del SISMI, e quelle di giornalisti troppo curiosi come Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Non solo. Pure la morte di Mauro Rostagno, il giornalista e sociologo, potrebbe avere a che fare con l’intreccio dei traffici illeciti – in questo caso “di Stato”, visto che coinvolgono strutture della Gladio militare – fra l’Italia e la Somalia. Proprio negli ultimi mesi prima della sua uccisione, il capitano di corvetta e i suoi collaboratori avevano individuato, nel corso di alcune perquisizioni, documenti che riguardavano il caso Alpi-Hrovatin e i traffici di materiale pericoloso verso la Somalia. Il materiale veniva dal centro di trattamento dei rifiuti nucleari, impianto ITREC, di Rotondella, in provincia di Matera. L’impianto è stato costruito nel periodo 1965-1970 dal CNEN, Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare, non molto prima degli anni di Clementel.
Che la vicenda De Grazia-Latvia sia collegata con gli esperimenti inerenti il “raggio della morte”? Non ci sarebbe da meravigliarsi che molte di queste scoperte siano usate per scopi militari. E quando si parla di esperimenti usati per scopi militari non si non parlare di guerre. Ma non si capire la guerra prescindendo dal processo storico, dall’economia, e dalla politica. Le tecniche militari, comunemente, hanno percorso quelle civili (pensiamo a internet), e oggi evolvono con una rapidità spaventosa. Molte invenzioni, ad esempio, sono nate del corso della supremazia nello spazio tra USA e URSS. Si trattava di una ricerca militare per eccellenza, presentata a un’opinione pubblica bambina come una gara scientifico-sportiva. Oggi, nessun esercito, nessuna nave, nessuna automobile può muoversi senza cadere sotto il controllo dei satelliti, l’unica eccezione sono le Toyota che usa l’ISIS, che hanno attraversato il deserto! Si potrebbe formulare l’ipotesi che Obama e i suoi collaboratori hanno pensato che si trattasse di gite fuori di casa di qualche turista mal informato. È ormai assodato, che ci sono stati degli enormi progressi nello sviluppo delle tecniche militari, per esempio la possibilità di riprodurre certi eventi naturali, cosa che i media asserviti e tutti gli intellettuali pennivendoli affermano che è tutto una buffala. Eppure più di 70 anni fa, USA e Nuova Zelanda, in funzione della guerra che stavano conducendo contro il Giappone, sperimentarono forme di tsunami artificiali. C’è poi, un’intervista al generale Mini: “La guerra ambientale non è più solo un ipotesi: è già in atto. Ma guai a dirlo, si passa per pazzi.” “Non c’è solo la disinformazione ma c’è una pratica militare che si chiama “denial of service” che è necessario non solo negare la realtà o l’evidenza, ma negare l’informazione. È questo è già un vero e proprio atto di guerra. Determinate persone o paesi non devono venire a conoscenza delle informazioni e questo può causare catastrofi di proporzioni bibliche, come il devastante tsunami dell’Indonesia. L’informazione su suo arrivo era disponibile ma interruzioni nella trasmissione, a causa di anelli mal funzionanti o volutamente non funzionanti ne ha impedito la comunicazione” “La bomba climatica è la nuova arma di distruzione di massa cui si sta lavorando in gran segreto per acquisire vantaggi inimmaginabili su scala planetari. Alluvioni, terremoti, tsunami, siccità, cataclismi. Uno scenario purtroppo non è più fantascienza”.
La scienza semplice e banale di Majorana. Il professor Zichichi risponde all'articolo di Alberoni: con semplicità e fantasia il fisico scoprì i neutrini, scrive Antonino Zichichi, Lunedì 13/02/2017, su "Il Giornale". Dopo aver risolto un problema ha scritto Francesco Alberoni su queste colonne i grandi scienziati (Marconi, Fleming) si accorgono che la soluzione era sotto i loro occhi. Ettore Majorana, il celebre fisico italiano scomparso nel 1938. Il campione assoluto in questo genere di gara fu Ettore Majorana. Il guaio è quando la soluzione viene declassata a totalmente «banale». Fu così che Majorana, dopo averne parlato con Fermi (1930), non pubblicò il lavoro sulla sua scoperta teorica del neutrone (la particella che mancava per capire l'esistenza dei nuclei atomici). E fu così che Fermi, quando Majorana (1934) gli spiegò i motivo per cui dovevano esistere i neutrini (che oggi portano il suo nome), scrisse un lavoro col nome di Majorana. Oggi i neutrini di Majorana sono al centro dell'attenzione scientifica mondiale. Se esistono o no, lo sa solo colui che ha fatto il mondo. I neutrini di Majorana sono necessari per avere le tre forze fondamentali della natura (gravitazionali, elettrodeboli, subnucleari) generate da un'unica sorgente, che porta al supermondo, con 43 dimensioni. La sfida può sembrare più ardua. Immaginare uno spazio-tempo con 43 dimensioni è possibile se usiamo la matematica. Nessuno riuscirà mai a «vedere» con gli occhi della nostra fantasia uno spazio-tempo con 43 dimensioni. Il nostro cervello è fatto ed esiste in quattro dimensioni: una di tempo (che misuriamo con l'orologio Einstein dixit) e tre di spazio (altezza, lunghezza e larghezza, che misuriamo col metro Euclide dixit). Ci sono almeno sette motivi rigorosamente scientifici che ci portano a formulare l'ipotesi del supermondo. Ne citiamo due. Se vogliamo spiegare come mai una stella (come il nostro Sole) può emettere le onde elettromagnetiche che ci illuminano e riscaldano è necessario il supermondo. Se vogliamo spiegare come mai può esistere un satellite, com'è la nostra Terra, che gira attorno al Sole, deve esistere il supermondo. Se il nostro mondo non avesse le sue radici nel superspazio con 43 dimensioni, se non fossimo figli del supermondo, la luce non potrebbe uscire dal Sole e la Terra dovrebbe stare incollata anch'essa al Sole. Quando scopriremo il supermondo ci accorgeremo che erano banali i motivi per cui non eravamo finora riusciti a scoprirlo. Come mai accade questo? C'è una sola risposta: colui che ha fatto il mondo è più intelligente di noi: scienziati, matematici, filosofi, artisti, nessuno escluso. Ecco perché la fantasia della scienza batte tutte le altre sorgenti di fantasie. Diceva Galilei: quello che noi riusciamo a immaginare non va mai oltre quello che abbiamo visto e sentito. È la scoperta scientifica a sapere andare oltre. Nessuno aveva saputo prevedere che se lo spazio è reale il tempo deve essere immaginario. Ce lo hanno fatto capire le 4 equazioni di Maxwell che sono il risultato di duecento anni di scoperte scientifiche in Elettricità, Magnetismo e Ottica. Ne abbiamo spiegato i motivi su queste colonne. Il bell'articolo di Alberoni fa nascere il problema della «prima volta». Con il supermondo sarebbe la prima volta che una grande scoperta scientifica viene prevista. Finora tutte le scoperte scientifiche sono venute in modo totalmente mai previsto. Col supermondo ci illudiamo di avere capito tutto al punto da sapere prevedere quello che i nostri posteri dovranno scoprire nei prossimi decenni. E forse secoli. Il supermondo, infatti, ha un'enorme quantità di dettagli: tutti da scoprire.
Ecco la particella di Majorana che fa volare (gratis) l'energia. Ci sono voluti 60 anni per provarne l'esistenza, ma ora i fisici sono tutti concordi. E la sfuggente entità subatomica diventerà fondamentale per lo sviluppo economico, scrive Antonino Zichichi, Lunedì 8/12/2014, su "Il Giornale". Ettore Majorana è scomparso nel 1938. Un anno prima di sparire pubblicò un lavoro in cui formulò l'ipotesi della esistenza di particelle oggi note come particelle di Majorana. Queste particelle aprono orizzonti nuovi in un settore tecnologico di vitale importanza per il trasporto dell'Energia Elettrica: i materiali superconduttori. Immaginando l'energia elettrica come fatta di persone è come se potessimo andare da Roma a New York senza spendere una Lira. La superconduttività nelle sue diverse caratteristiche è stata discussa su queste colonne. Evitiamo di riparlarne. La scoperta sulle particelle di Majorana in superconduttività va presa come l'inizio di una nuova serie di complesse e difficilissime ricerche tecnologiche. Non è un caso che queste ricerche abbiano le loro radici in ciò che seppe immaginare ben 77 anni fa un fisico classificato genio da Enrico Fermi. Quando sparì, Enrico Fermi disse alla moglie (Laura Fermi): «Ettore era troppo intelligente. Se ha deciso di sparire, nessuno riuscirà a trovarlo. Pur tuttavia dobbiamo tentare tutte le strade»; e infatti si rivolse a Mussolini affinché si impegnasse in prima persona. In quella occasione Fermi (Roma 1938) disse: «Al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango, che fan del loro meglio ma non vanno molto lontano. C'è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di grande importanza, fondamentali per lo sviluppo della scienza. Ma poi ci sono i geni, come Galilei e Newton. Ebbene, Ettore Majorana era uno di questi». Fermi considerava Majorana un genio in quanto pochi come lui avevano della fisica di quei tempi una visione così completa. Per capire la genialità di Majorana si pensi a oggi. È come se venisse fuori un fisico per dirci che le basi del cosiddetto Modello Standard sono totalmente diverse da quanto da noi finora pensato. Il Modello Standard è la sintesi di tutto ciò che siamo riusciti a capire negli ultimi cinquant'anni. Il grande scrittore siciliano Leonardo Sciascia era convinto che Ettore Majorana avesse deciso di sparire perché aveva capito - lavorando con Fermi - che le forze nucleari avrebbero portato agli ordigni nucleari (un milione di volte più potenti di quelli convenzionali) come quelli che distrussero Hiroshima e Nagasaki. Venne a trovarmi a Erice e discutemmo diversi giorni su questo tema. Cercai di convincerlo, ma ci fu poco da fare. Dopo avere riflettuto sui nostri colloqui, penso che sia stata una mia precisazione sulla genialità di Majorana a corroborare l'idea di Sciascia. A un certo punto della conversazione dissi a Sciascia che, pur essendo quasi impossibile prevedere - con quanto i fisici sapevano in quegli anni - che un nucleo pesante potesse rompersi dando luogo al processo di fissione nucleare a catena, questo si riferiva ai fisici che Fermi classificava al primo livello e cioè a coloro che sanno fare scoperte e invenzioni, non ai geni come Ettore Majorana. Fu questa precisazione a convincere Sciascia che in fondo la sua idea su Majorana fosse non solo probabile ma addirittura corrispondente a verità. Verità corroborata dalla sua scomparsa. Ebbene, quest'uomo era stato dimenticato da tutti quando, nel 1962, venne istituita al CERN di Ginevra la Scuola Internazionale di Fisica Subnucleare, con sede a Erice, la prima delle centoventiquattro scuole di cui oggi consta il Centro di Cultura Scientifica che porta il suo nome: il primo esempio al mondo di Università del III Millennio. Vorrei ricordare la testimonianza di un esponente illustre della Fisica del XX secolo, Robert Oppenheimer, che nel 1967 decise di ritornare a fare il fisico. Scelse il CERN di Ginevra: il più grande Laboratorio Europeo di Fisica Subnucleare. Nel quinto anniversario della Scuola di Erice ci fu al CERN una Cerimonia celebrativa in ricordo di Majorana cui parteciparono fisici illustri. A chi scrive - allora molto giovane - venne affidato il compito di parlare delle particelle di Majorana. Oppenheimer venne nel mio studio per esprimermi il suo apprezzamento sulla scelta del nome che era stato dato alla Scuola di Erice di cui tutti parlavano come Università del III Millennio. E mi raccontò che nella realizzazione del Progetto Manhattan, c'erano stati tre momenti di crisi. Nella riunione di vertice per risolvere la prima crisi Fermi, rivolto a Wigner (padre del Teorema del Tempo), disse: «Qui ci vorrebbe Ettore». Alla seconda crisi, quando il Progetto sembrava essersi incanalato su un binario morto, Fermi ripeté: «Ci vorrebbe Ettore!». Il vertice, oltre al Direttore del Progetto (Oppenheimer), era composto da tre persone: due scienziati (Fermi e Wigner) e un generale. Dopo la riunione top-secret, il Generale decise di chiedere al grande Professor Wigner chi fosse questo «Ettore» e Wigner rispose: «Majorana». Il Generale chiese se era possibile sapere dove potesse trovarsi per cercare di portarlo in America. Wigner rispose: "Purtroppo è scomparso nel 1938 e nessuno è mai riuscito a trovar la pur minima traccia". Il più giovane assistente di Einstein, il grande fisico Peter Bergmann, mi raccontò che secondo Einstein il valore di una teoria scientifica è proporzionale al tempo necessario per scoprirne sperimentalmente la validità. Due anni fa è venuta fuori la prova sperimentale sulla esistenza della “particella di Dio”, proposta nel 1964 da sei fisici tra cui Higgs, Englert e Kibble. Come detto più volte, il motivo di questa definizione è stata l'enorme difficoltà per arrivare a dimostrarne l'esistenza: 48 anni. Per scoprire l'esistenza della particella di Majorana ci sono voluti 77 anni. La particella di Majorana batte quindi la particella Higgs.
Ettore Majorana – Genialità e mistero –. Intervista a Antonino Zichichi di Mario Masi. A cento anni dalla sua nascita nessuno ancora è riuscito a scalfire il mistero che avvolge il destino di Ettore Majorana. L’ultima testimonianza è quella di un passeggero del traghetto della Tirrenia che da Palermo doveva riportarlo a Napoli, dove era professore di Fisica all’Università. Ma a Napoli non risultò traccia del suo arrivo. Delle ultime ore restano tre lettere ed un telegramma. Nella prima lettera, inviata al suo collega, il Prof. Carrelli, scrive: Caro Carrelli, Ho preso una decisione che era ormai inevitabile. Non vi è in essa un solo granello di egoismo, ma mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare a te e agli studenti…dei quali tutti conserverò un caro ricordo almeno fino alle undici di questa sera, e possibilmente anche dopo. In un’altra lettera inviata ai familiari annota: Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all’uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi. Il mistero è reso più nebuloso dalla decisione di Majorana di inviare sempre al Prof. Carrelli un telegramma in cui lo invita a non tenere conto di quanto scritto nella lettera precedentemente inviata, a cui però fa seguito una ulteriore lettera:...Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando con questo stesso foglio. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli. Ma di Majorana si perde ogni traccia. Lo stesso Mussolini propone una ricompensa di 30.000 lire in cambio di notizie utili al ritrovamento. E’ il 1938 ed Enrico Fermi dice di lui: “Al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango, che fan del loro meglio ma non vanno molto lontano. C’è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di grande importanza, fondamentali per lo sviluppo della scienza. Ma poi ci sono i geni, come Galilei e Newton. Ebbene, Ettore Majorana era uno di questi.” Scompare a soli 32 anni lasciando però alla scienza una eredità non ancora completamente sperimentata a causa della ritrosia a pubblicare quanto scoperto. Diversi suoi colleghi hanno raccontato che al culmine di conversazioni particolarmente interessanti Majorana era solito tirar fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette Macedonia, di cui era un accanito consumatore sul quale erano scritte, con una calligrafia microscopica, formule e tabella di risultati numerici. Al termine della discussione e fumata l’ultima sigaretta, era sua abitudine accartocciare il pacchetto e gettarlo via. Il Professore Antonino Zichichi, aprendo le Celebrazioni del Centenario della nascita all’Accademia delle Scienze di Bologna, ha ben illustrato il contributo del fisico al progresso della ricerca. Così ha risposto ad alcune domande:
Prof. Zichichi, tra le varie ipotesi avanzate i questi anni c’è stata quella del suicidio, che opinione si è fatta al riguardo?
«Ho seri dubbi in proposito. Ettore era anzitutto un cattolico entusiasta della sua fede. Poi bisogna considerare che la settimana prima della scomparsa aveva ritirato i suoi risparmi in banca. L’ipotesi condivisa dai familiari e dai pochissimi che ebbero il privilegio di conoscerlo, tra queste Laura Fermi, è che si fosse ritirato in un convento. La testimonianza su Majorana credente l’ho avuta da monsignor Riccieri, suo confessore, il quale mi disse che aveva crisi mistiche e che secondo lui era da escludersi il suicidio».
Un carattere probabilmente molto schivo non ha favorito le indagini sulla sua sorte.
«Quando formulava nuove teorie non le pubblicava, anzi si rammaricava di non averle intuite prima. Era un genio, però, che faceva di tutto per non lasciare tracce della sua genialità in quanto, risolto un problema, considerava il lavoro fatto totalmente banale. Ne sono prova la scoperta del “neutrone”. Majorana ebbe per primo l’intuizione che lo portò all’interpretazione corretta dell’effetto che era scoperto in Francia dai coniugi Curie: deve esistere una particella pesante come il protone ma priva di carica elettrica. Questa particella è l’indispensabile neutrone. Senza i neutroni, infatti, non potrebbero esistere i nuclei atomici. Fermi esortò Majorana a pubblicare subito quell’interpretazione della scoperta fatta in Francia ma Ettore, seguendo la sua linea in base alla quale tutto ciò che si riesce a capire è banale, non lo ascoltò. Quindi la scoperta del neutrone venne giustamente attribuita a Chadwick nel 1932. È stata la signora Laura Fermi a raccontarmi questo episodio».
Ricorda altri episodi?
«E’ altrettanta famosa la circostanza in cui Majorana va da Fermi e scrive su un foglio la sua interpretazione dell’equazione di Dirac. Fermi, memore della mancata attribuzione della scoperta del neutrone, questa volta scrive di suo pugno un articolo e lo invia alla rivista scientifica Il Nuovo Cimento, firmandolo Ettore Majorana. Senza questa azione di forza da parte di Fermi non avremmo saputo nulla dei neutrini di Majorana».
E’ facile quindi immaginare la considerazione che Enrico Fermi aveva del suo allievo.
«Le racconto una testimonianza della stima straordinaria che Fermi nutriva per Ettore. Si tratta di un episodio vissuto nella realizzazione del Progetto Manhattan, quello che nel giro di appena quattro anni trasformò una scoperta scientifica, la fissione nucleare, per cui nuclei atomici troppo pesanti si possono rompere producendo enormi quantità d’energia, in ordigno di guerra.Il vertice era composto da Oppenheimer, il Direttore del Progetto, due scienziati, Fermi e Wigner e un generale.Ci furono tre momenti di crisi. Nella riunione di vertice per risolvere la prima crisi, Enrico Fermi, rivolto a Wigner, il padre del Teorema del Tempo, disse: «Qui ci vorrebbe Ettore». Alla seconda crisi, quando il Progetto sembrava essersi incanalato su un binario morto, Fermi ripetè: «Ci vorrebbe Ettore!». Dopo la riunione “top-secret”, il generale decise di chiedere al grande Professore Wigner chi fosse questo “Ettore” e Wigner rispose: «Majorana». Il Generale chiese se era possibile sapere dove potesse trovarsi per cercare di portarlo in America. Wigner rispose: «Purtroppo è scomparso tanti anni fa»».
Professore, in qualità di Presidente della Fondazione Ettore Majorana, non ritiene che la sua figura non sia stata valuta adeguatamente?
«Quando si parla di Majorana ci si riferisce troppo spesso al mistero della sua scomparsa ma non si divulga abbastanza quanto abbia fatto per il progresso scientifico. Ebbene, quest’uomo era stato dimenticato da tutti quando, nel 1962, venne istituita, a Ginevra, la Scuola Internazionale di Fisica, con sede a Erice, la prima delle centoventi scuole di cui oggi consta il Centro di Cultura Scientifica che porta il suo nome».
LA VICENDA MAJORANA.
"Majorana visse in un convento del Sud Italia. Ecco le prove". Foto mai viste e lettere inedite del genio della fisica scomparso nel 1938 aprono nuovi e clamorosi scenari Rolando Pelizza, che fu suo allievo: "Si nascose grazie al Vaticano", scrive Rino Di Stefano su “Il Giornale”. Sciascia aveva ragione: Ettore Majorana non sarebbe morto suicida, né tanto meno sarebbe fuggito in Venezuela. Lo scienziato scomparso nel nulla il 27 marzo del 1938 a poco più di 31 anni, mentre era docente di Fisica teorica presso l'università di Napoli, non si sarebbe mai mosso dall'Italia. Per essere più precisi, avrebbe chiesto e ottenuto di essere ospitato in un convento del Sud Italia, dove sarebbe rimasto fino alla fine dei suoi giorni. A rivelare questa nuova verità su uno dei più grandi geni che l'Italia abbia mai avuto, è Rolando Pelizza, 77 anni, l'uomo che da sempre sostiene di essere stato l'allievo di Majorana e di averlo aiutato a costruire una macchina in grado di annichilire la materia, producendo quantità infinite di energia a costo zero. Pelizza, però, non si limita a raccontare la sua storia. Questa volta tira fuori delle prove concrete, e cioè lettere e foto, che dimostrerebbero, al di là di ogni ragionevole dubbio, che in effetti avrebbe realmente conosciuto e frequentato colui che, ancora oggi, chiama il «suo maestro». Le foto sono due: la prima risale ai primi anni Cinquanta, la seconda agli anni Sessanta. La somiglianza con il giovane Majorana è impressionante. La più importante delle lettere risale al 26 febbraio del 1964, quando in una missiva di sette facciate, lo scienziato scomparso riconosce al suo allievo il merito di aver terminato cum laude il ciclo delle lezioni che egli gli ha impartito. La lettera ha un riscontro concreto. In data 28 gennaio 2015 è stata affidata alla dottoressa Sala Chantal, grafologa specializzata in ambito peritale/giudiziario, con ufficio a Pavia, la quale, paragonando la calligrafia degli scritti lasciati a suo tempo da Majorana con il testo della lettera stessa, ha effettuato una completa perizia calligrafica di 23 pagine, conclusa con le seguenti parole: «Detta lettera è sicuramente stata vergata dalla mano del sig. Majorana Ettore». «Dal 1° maggio 1958 al 26 febbraio 1964 sono stato allievo di Ettore Majorana - racconta Rolando Pelizza - e negli anni successivi sono stato suo collaboratore nella realizzazione del progetto di costruzione della macchina produttrice di antiparticelle. Posso affermare senza tema di smentita che Ettore Majorana non è morto nel 1938: l'ho conosciuto e frequentato e mi ha insegnato la "sua matematica" e la "sua fisica" e poi mi ha accompagnato con i suoi insegnamenti per molti anni. Per onestà intellettuale, voglio affermare che la paternità dello studio che sta alla base della macchina è opera esclusiva di Majorana». Prendendo dunque per buona e corretta la perizia della dottoressa Chantal, esaminiamo che cosa c'è scritto in quella lettera del 1964. Tanto per cominciare, il testo inizia con una dichiarazione che non lascia dubbi circa il ruolo di allievo che avrebbe avuto Pelizza. Singolare che, per evitare di dire dove si trovi, la lettera si apra con l'intestazione «Italia, 26-2-1964». Questo espediente verrà usato anche nelle altre lettere. «Caro Rolando - scrive il presunto Majorana - Ti ricordi il nostro primo incontro, avvenuto il 1° maggio 1958? Ne è passato di tempo. Oggi si può dire terminato il periodo delle mie lezioni. Ti promuovo a pieni voti, sia in fisica sia in matematica. Come ben sai, quanto hai appreso va molto oltre le attuali conoscenze; per tanto non misurarti con nessuno, perché potresti scoprirti. Anche se qualcuno conoscendoti, ti provocherà, tu ascolta e fingi di non capire; so bene che questo sarà molto difficile, ma credimi: se, dopo aver sentito quello che ti dirò, accetterai di realizzare la macchina, dovrai fare questo e molto di più. Ora sei sicuramente pronto per affrontare il compito di realizzare la macchina; conosci perfettamente ogni particolare, hai appreso dettagliatamente la formula necessaria per il funzionamento della stessa; ora ti consegno disegni e dati per il montaggio. Solo una cosa ti chiedo: devi essere molto prudente. Disegni e dati non sono tanto importanti; la formula, invece, va ben custodita. Per nessun motivo deve cadere in mano di altre persone: sarebbe la fine, di sicuro». A rendere ancora più verosimile il tono della lettera, sono le raccomandazioni che il professore rivolge al suo studente, in vista della realizzazione della macchina. Il mondo è quello che è, per cui lo invita alla prudenza: «Prima di decidere se accettare o meno il compito di realizzarla, devi sapere bene a cosa andrai incontro - avverte -. Almeno questo è il mio parere, ricordalo bene. Nonostante il mio desiderio di vedere questa macchina realizzata sia immenso (per il bene dell'umanità, che purtroppo sta andando incontro ad un terribile disastro a causa del nefasto impiego delle varie scoperte), voglio che tu rifletta prima di decidere: da questo dipenderà la tua esistenza. Se, ultimata la macchina, sarai scoperto prima della sua presentazione, secondo i dettagli che più oltre ti fornirò, sarai sicuramente in pericolo di vita; potrai essere vittima di un sequestro, come minimo, ma ci potranno essere molte altre gravi ripercussioni. Se dopo tutto questo, deciderai di realizzarla comunque, te ne sarò eternamente grato e sono contento di aver intuito subito che tu eri la persona giusta». Passati gli avvertimenti, il professore elenca nel dettaglio le precauzioni da prendere. Ed è molto scrupoloso nel farlo: «Dopo la riuscita del primo esperimento - spiega - dovrai predisporre vari dossier da depositare in luoghi ed a persone varie di piena fiducia. Dovrai costituire una fondazione alla memoria dei tuoi cari (in questo modo non solleverai sospetti). Di questa fondazione, tu sarai il fondatore e il presidente, mentre nel consiglio dovrai cercare di inserire nomi conosciuti e di fiducia; dovranno essere persone di varie categorie, ad esempio: un avvocato, un medico, uno psicologo, un professore di storia dell'arte, ed altre professioni; io ti farò avere il nome di uno o più fisici. Dovrai organizzare almeno due o tre convegni differenti. Poi, un convegno di Fisica sull'argomento che io proporrò al fisico, o forse più fisici, del consiglio. Nel frattempo, dovrai presentare la macchina che hai realizzato, adducendo di aver effettuato il lavoro con la collaborazione dei sopra citati fisici (o fisico?). Penserò io ad informare questi ultimi su come comportarsi al momento opportuno. Poi presenterai il piano d'azione da intraprendere successivamente. La macchina sarà presentata solo dopo la realizzazione della seconda fase, che consiste nel riscaldamento della materia, una fonte inesauribile di energia sotto forma di calore». A leggere la lettera si evince che il Majorana che si nasconde in convento non è poi così lontano dal mondo come sembrerebbe. A quanto pare, continua a tenere contatti con l'esterno e comunica con altri fisici che lo conoscono bene. Il professore continua ricordando all'allievo il giuramento fatto e gli ricorda che, al momento, la macchina è ancora in fase sperimentale. «Tieni sempre presente il giuramento che abbiamo fatto - ammonisce - per nessun motivo, anche a costo della vita, sarà ceduta come strumento bellico, ma dovrà essere usata esclusivamente al fine di migliorare la nostra esistenza». Il professore non manca di mettere in guardia l'allievo dalle conseguenze che potrebbero aspettarlo: «Non pensare che siano manie mie - mette le mani avanti -. Se verrai scoperto prima del tempo, cosa che spero tanto non succeda, tutto quanto detto finora, che ora può sembrare paranoico, è solo la minima parte del reale pericolo a cui andrai incontro. Investimento: so benissimo che provieni da una famiglia benestante, però pensaci bene. Sai quanto materiale pregiato serve per una sola macchina. Inoltre, prevedi che certamente ne andranno distrutte parecchie e dalla loro distruzione non ricaverai nulla, perché nulla rimane se non circa il quattro per mille, del materiale, ecc. Verificherai bene di quanto puoi disporre: è preferibile non iniziare che rimanere senza nulla e di conseguenza non poter terminare, per te e soprattutto per la tua famiglia, che andrebbe incontro a problemi molto seri. Avrei ancora molte altre cose da aggiungere per sconsigliarti di accettare, ma credo che bastino quelle dette, PENSACI BENE. In attesa della tua decisione. Tuo amico e maestro, Ettore». C'è da dire che, con un alto grado di preveggenza, il professore ha anticipato tutto ciò che è realmente accaduto a Pelizza nel corso degli anni. Infatti, dal 1976, anno in cui egli fece gli esperimenti che il professor Ezio Clementel, presidente del Cnen e ordinario di Fisica presso l'università di Bologna, gli commissionò per incarico del governo italiano, i guai di Pelizza non hanno avuto fine. A quel tempo era presidente del Consiglio Giulio Andreotti, al suo terzo mandato governativo. Anche se l'esperimento andò bene, e la macchina dimostrò tutta la sua efficacia, Andreotti decise di rompere ogni rapporto con Pelizza quando seppe che il governo americano, allora presieduto da Gerald Ford, si stava interessando al caso. Il presidente Ford inviò in Italia il suo rappresentante personale, l'ingegner Mattew Tutino, per prendere contatti con Pelizza. Da notare che nella società di quest'ultimo, la Transpraesa, i servizi segreti italiani (per la precisione il Sid, Servizio informazioni difesa) avevano infiltrato due colonnelli dei carabinieri: Massimo Pugliese e Guido Giuliani. Nonostante il governo degli Stati Uniti avesse offerto un miliardo di dollari per entrare a far parte della società, Pelizza si rifiutò di collaborare con gli americani quando questi gli chiesero, a titolo di prova, di abbattere alcuni loro satelliti geostazionari. In altre parole, utilizzare la macchina come un'arma. Subito dopo fu la volta del governo belga. Venne chiamata Operazione Rematon e prevedeva che Pelizza, il cui interlocutore era il primo ministro Leo Tindemans, brevettasse e depositasse il brevetto della sua macchina in Belgio. L'accordo fallì quando nell'aeroporto militare di Braschaat, nei pressi di Bruxelles, i belgi chiesero a Pelizza di distruggere un carro armato. Ancora una volta, dunque, la macchina veniva interpretata come un'arma. Il risultato fu che Pelizza fece intenzionalmente implodere la sua macchina e pretese di essere riaccompagnato in Italia. Da allora la vita di Rolando Pelizza è trascorsa in modo molto movimentato, con l'emissione di tre mandati di cattura internazionali, tutti ritirati nel corso del tempo. Fece molto parlare l'accusa che nel 1984 gli rivolse il giudice Palermo per aver costruito illegalmente «un'arma da guerra chiamata il raggio della morte». Ma al processo Pelizza venne assolto con formula piena. Di lui parlarono spesso anche i giornali. Ecco, per esempio, un brano tratto da un articolo della rivista OP del 15 luglio 1981: «Come non definire "l'operazione Pelizza" un best seller della letteratura gialla internazionale? Purtroppo si tratta di una vicenda vissuta, di una storia tutta italiana iniziata nel 1976 e non ancora conclusa. Siamo in possesso di informazioni dettagliate, con tanto di nomi e date, che ci inducono a ritenere che quella che può essere catalogata come "l'operazione Pelizza" non è il parto di Le Carré o di Fleming e che la sua scoperta non è "la macchina per fare l'acqua calda" come qualcuno ha voluto dire». Ma ci fu anche chi lo attaccò duramente. Nel 1984, in una serie di articoli, La Repubblica definì Pelizza «fantasioso traffichino di provincia», paventando che dietro la presunta invenzione di quello che veniva definito «raggio della morte» ci fosse una colossale truffa. Ovviamente nessuno spiegava che, in presenza di un'eventuale truffa, ci dovesse essere anche un eventuale truffato. Ma il messaggio era comunque lanciato. Stanco di questa continua battaglia, adesso Pelizza ha deciso di vuotare il sacco. Ed ecco quindi le lettere e le foto di Majorana in convento: «Già nel 2001 il mio maestro mi aveva autorizzato a rendere pubblico il mio contatto con lui. Non l'ho fatto perché speravo di far conoscere questa verità in modo molto più morbido e graduale. Ma purtroppo non è stato possibile: troppe maldicenze e calunnie sono state messe in giro contro di me in questi anni. Adesso, dunque, ho deciso di dire tutto e di far conoscere la verità sulla sorte di Ettore Majorana». Una lettera illuminante, a questo proposito, è quella che Pelizza mostra con data 7 dicembre 2001. Gliela inviò, sostiene, il suo maestro proprio per autorizzarlo. «Da ora - si legge - se lo riterrai opportuno, sei libero di usare il mio nome, di divulgare i nostri rapporti, gli scritti e fotografie; se lo farai ti prego di rivelare i veri motivi che mi hanno spinto nel 1938 ad allontanarmi da tutti, per dedicarmi allo studio, nella speranza di arrivare in tempo e poter dimostrare al mondo scientifico che esistevano alternative importanti e senza pericoli. Purtroppo tu ben sai che non sono arrivato in tempo, pur avendo alternative migliori, che a tuttora non sono servite a nulla. Riservati l'ultimo segreto, dove e come mi hai conosciuto, il luogo e i fratelli che da sempre mi hanno segretamente ospitato». Pelizza, infatti, si rifiuta categoricamente di dire in quale convento Majorana sia stato ospitato per oltre mezzo secolo e dove, ancora oggi, sarebbe sepolto. «Il mio maestro non ha mai preso i voti - sostiene Pelizza -. Egli è stato ospitato in convento e lì, grazie alla protezione del Vaticano, è riuscito a vivere e a studiare per tanti anni, senza essere disturbato. Conoscevano la sua situazione e sapevano del suo dramma interiore, che rispettavano. Comunque, so che anche durante la sua vita conventuale, si è messo in contatto con personalità scientifiche che si sono occupate di lui. Non so quanti abbiano realizzato che il loro interlocutore fosse proprio lo scomparso Ettore Majorana, ma così è stato». A dimostrazione di questa corrispondenza tenuta con il mondo accademico, c'è la copia di una lettera che Majorana avrebbe scritto al professore Erasmo Recami, ordinario di Fisica presso l'università di Bergamo e conosciuto per essere il maggior biografo di Majorana. La data della lettera è del 20 dicembre del 2000: «Egregio Professor Erasmo Recami (...) mi permetto di rivolgermi a lei come un collega, chiederle un parere ed eventualmente un aiuto, nel caso lei ritenga valido il consiglio che ho dato al mio collaboratore e che leggerà nello scritto a lui indirizzato. Conoscendo molto bene il mio allievo, sono sicuro che dei miei consigli inerenti all'abbandono del progetto, non si curerà; quindi la pregherei di provare a convincerlo, per il suo bene. Se proprio non sentisse ragioni e volesse continuare, veda se, una volta letti tutti i documenti inerenti ai rapporti tra me e lui fino ad ora, ritiene opportuno pubblicarli, per il bene futuro del nostro mondo. Quando parlo del futuro del nostro mondo, mi riferisco al surriscaldamento del pianeta, cosa che io avevo previsto già nel 1976, quando diedi a Rolando una relazione dettagliata sul tema, e le sue conseguenze: dai primi sintomi, all'inizio del 2000, all'incremento del problema a partire dal 2010, in seguito al quale è lecito aspettarsi delle vere e proprie catastrofi ambientali. Relazione che Rolando, a sua volta, consegnò al Dott. Mancini, il quale, in quel momento, era stato incaricato dal governo di occuparsi dello sviluppo della macchina. «La macchina in oggetto, oggi è in grado di rigenerare l'ozono distrutto, semplicemente tramutando l'anidride carbonica in ozono nella quantità mancante, e l'eccesso in qualsiasi altro elemento da noi voluto. Ma le sue possibilità sono infinite: ad esempio, essa è in grado di produrre calore illimitato senza distruggere la materia, quindi senza lasciare residui di nessun genere. Con la pubblicazione di questi studi, l'umanità verrà a conoscenza che, per la volontà di poche persone (comportamento che a tutt'oggi non riesco ancora a comprendere) sta perdendo l'opportunità di un futuro migliore. «Solo per il fatto di aver letto quanto da me scritto, le sono infinitamente grato. I miei più cordiali saluti, Suo Ettore Majorana». Inutile dire che il professor Recami restò molto impressionato da questa lettera, ma come ci ha poi dichiarato, non basta una lettera a dimostrare che sia stata scritta proprio da lui. Insomma, mancando una precisa evidenza scientifica, non riusciva ad accettare l'idea di essere in contatto con colui che per anni è stato l'oggetto dei suoi studi. Pelizza mostra un dossier di una dozzina di lettere inviate dal suo maestro tra il 1964 e il 2001, anno in cui smise di avere contatti. A quel tempo Majorana aveva 95 anni. Stanco e malato, si preparava a rendere la sua anima a Dio e non volle mai più ricevere il suo allievo in convento. Su sua precisa disposizione, le sue spoglie sarebbero state seppellite in terra consacrata, sotto una croce anonima, come si usa per i frati di clausura. Il Vaticano ha sempre mantenuto il segreto e non ha mai reso pubblico nulla sulla sua vita in convento. Pare invece che tutte le carte appartenenti a Majorana siano state spedite in Vaticano, dove ancora oggi sarebbero in corso di archiviazione.
Lo scienziato e la cittadina vaticana. La Procura chiude i gialli storici. L’archiviazione sulla scomparsa del fisico catanese precede la conclusione di un’altra indagine pluridecennale, quella sulla «ragazza con la fascetta». Analogie e retroscena, scrive Fabrizio Peronaci su “Il Corriere della Sera”. Le analogie - dando per scontate le ovvie specificità dei due casi - sono numerose: le scomparse di Ettore lo scienziato catanese e di Emanuela la figlia del messo pontificio hanno segnato periodi importanti del Novecento italiano; su entrambe ha aleggiato lo spettro di deviazioni e di oscure ragioni di Stato; sia per l’uno sia per l’altra si è fatta l’ipotesi di una segregazione in ambiente religioso, fosse esso un monastero in Calabria o un convento di clausura sperduto tra l’Alto Adige, il Lussemburgo e il Liechtenstein; in ambi i casi sono state offerte consistenti somme di danaro (30 mila lire da Mussolini, un miliardo dagli Orlandi) a chi fosse stato in grado di fornire notizie utili e decisive; le relative inchieste sono andate avanti per decenni. Ora, per un bizzarra coincidenza che forse proprio casuale non è, il caso Majorana e il caso Orlandi arrivano nello stesso periodo al loro esito giudiziario presso la stessa Procura, quella di Roma. Per il giallo del fisico svanito nel nulla dopo aver lasciato Napoli nel 1938 a bordo di un piroscafo diretto a Palermo i magistrati, dopo averne accertato la presenza in Venezuela negli anni Cinquanta, hanno optato per la richiesta di archiviazione, sentendosi certi di poter escludere «condotte delittuose o autolesive», vale a dire l’omicidio o il suicidio. Appurato che il genio degli studi sull’atomo era in vita molti anni dopo, e non essendo emersi elementi sospetti, il giallo è stato insomma considerato chiuso, anche se la fine non è nota. Diverso, almeno nel paradigma conclusivo, appare il quadro investigativo legato alla scomparsa della «ragazza con la fascetta», avvenuta nel giugno 1983. L’inchiesta per sequestro aggravato dalla morte dell’ostaggio (che sta per concludersi con la richiesta di rinvio a giudizio davanti a una Corte d’assise o, al contrario, con un’archiviazione) ha infatti portato nel corso degli ultimi sette anni all’iscrizione di sei persone sul registro degli indagati. Lo scenario di un’azione violenta ai danni della vittima, nell’ambito di un presunto ricatto attuato contro il Vaticano di Giovanni Paolo II e del capo dello Ior Marcinkus, con la partecipazione «operativa» di elementi della banda della Magliana, è stato ritenuto concreto, sulla base di precisi indizi. Tre dei sei indagati erano infatti agli ordini del boss «Renatino» De Pedis: uno avrebbe guidato la macchina in cui c’era Emanuela, al Gianicolo, prima della consegna a un non meglio specificato prelato, mentre gli altri due «sgherri» avrebbero pedinato la ragazza nei giorni precedenti il rapimento. Oltre a monsignor Pietro Vergari, discusso rettore della basilica di Sant’Apollinare dove fu poi inspiegabilmente sepolto il boss, e Sabrina Minardi, l’ex amante di «Renatino»che ha confusamente ricordato di aver visto gettare due sacchi (con dentro, forse, il corpo di Emanuela), in una betoniera, la conta degli indagati chiama in causa l’ultimo arrivato (nel 2013), il più sorprendente, reo confesso: quel Marco Fassoni Accetti che si è autoaccusato di aver avuto un ruolo come organizzatore e telefonista nel sequestro Orlandi (e in quello collegato di un’altra quindicenne, Mirella Gregori), per conto di un gruppo di laici ed ecclesiastici favorevoli alla Ostpolitik del cardinale Casaroli, all’epoca impegnati in una guerra di potere contro il fermo anticomunismo di papa Wojtyla e la (mala) gestione dello Ior da parte dello spregiudicato Marcinkus. Erano i tempi – giova ricordarlo, per inquadrare il duplice fronte di tensioni all’ombra del Vaticano – delle indagini sull’attentato al Papa polacco avvenuto due anni prima (maggio 1981) per mano del turco Alì Agca e del crack dell’Ambrosiano dal quale era derivata la morte del banchiere Calvi sotto il ponte londinese dei Frati Neri, l’anno precedente (giugno 1982). Il duplice sequestro Orlandi-Gregori, secondo il supertestimone più recente, che ha detto di aver atteso le dimissioni di papa Ratzinger per farsi avanti, sarebbe dovuto durare pochi giorni con un primo obiettivo concreto: indurre Agca a ritrattare l’accusa ai bulgari di essere stati i mandanti dell’attentato, in cambio della falsa promessa di una sua scarcerazione in tempi brevi attraverso la grazia, ottenibile proprio in seguito al ricatto operato su Santa Sede e Stato italiano con il rapimento delle quindicenni. Sta di fatto che, sei giorni dopo la scomparsa di Emanuela, il 28 giugno 1983, effettivamente il Lupo grigio cambiò versione, «scagionando» la Bulgaria (e quindi la Russia) da uno degli eventi più drammatici del periodo della Guerra Fredda. Ma questo è solo uno dei tanti passaggi al vaglio dei magistrati, in questa inchiesta-monstre anch’essa degna della penna di Leonardo Sciascia. Per sciogliere l’enigma Orlandi, adesso, la Procura di Roma è chiamata a valutare uno ad uno centinaia di indizi, riscontri, prove; dovrà essere definito il ruolo avuto dagli indagati o, in caso di archiviazione, andrà motivata la loro uscita di scena dalla cerchia dei sospettati. Procedere per sottrazione, come nel caso Majorana, non è possibile. Anche perché, purtroppo, quella ragazzina dal viso simpatico e i lunghi capelli scuri nessuno l’ha mai più rivista.
Il nipote e la verità su Majorana: non si uccise, io credo a Sciascia. «Lui in Venezuela? Non escludiamo nulla, aveva capacità enormi». «Giocava a calcolare chi avrebbe vinto una guerra: un umorismo para-matematico», scrive Massimo Sideri su “Il Corriere della Sera”. «Non credo che il mio prozio Ettore Majorana si sia ucciso, nessuno di noi lo ha mai pensato. Ha voluto fare una scelta precisa - è questa l’opinione in famiglia - più in linea con le sue capacità intellettuali, i fatti che conosciamo e anche l’opinione delle persone che gli erano più vicine al tempo, cioè la zia Maria, sua sorella». Salvatore Majorana, 43 anni nato a Catania dove quel cognome ancora oggi rappresenta una dinastia (Salvatore Majorana Calatabiano, nonno di Ettore, era stato ministro dell’Agricoltura e dell’Industria ai tempi di Giolitti) è il pronipote del famoso fisico scomparso nel ‘38 e lavora all’Iit di Genova dove guida l’ufficio di Technology Transfer. Rassomiglia a Ettore in maniera impressionante.
Come avete reagito alla notizia che secondo la Procura di Roma Ettore Majorana fosse vivo tra il ‘55 e il ‘59 in Venezuela?
«Era noto che ci fosse un’indagine sulla scomparsa di Ettore ma non pensavo che fosse ancora aperta e che fosse in mano alla Procura. Comunque l’ipotesi della scomparsa di Ettore era già circolata da anni e anche la fotografia non è nuova. Ciò che è nuovo è il collegamento della fotografia all’amico meccanico, Francesco Fasani, tant’è che sarei curioso di vedere il fascicolo».
Veniamo agli elementi probatori. La fotografia: lei rassomiglia moltissimo al suo prozio. Ritrova i tratti della sua famiglia in questa foto scattata in Venezuela?
«Non mi ci ritrovo neanche un po’. Ettore era del 1906 dunque nella fotografia avrebbe 49 anni. Anche ipotizzando che possa avere avuto una vita difficile non trovo in quel volto un legame con la foto diffusa che se non ricordo male era quella del libretto universitario. La sensazione è che ci sia la voglia di attribuire una soluzione al confronto».
Però le conclusioni della Procura sono compatibili con la vostra convinzione, cioè che Ettore Majorana quel giorno non si sia ucciso.
«Non discuto il risultato finale ma siamo perplessi sul metodo».
Il cognome Bini, usato secondo Fasani dal suo prozio, vi dice qualcosa in famiglia?
«Su due piedi no».
Altro elemento usato dalla Procura è una cartolina del 1920 di Quirino, zio di Ettore, altro famoso fisico.
«Non trovo plausibile che avesse quella cartolina in automobile 35 anni dopo».
In famiglia avete cercato delle prove su cosa possa avere fatto dopo la scomparsa nel ‘38 Ettore Majorana?
«Tutti noi in famiglia siamo sempre stati persuasi delle sue grandissime capacità di collegare i suoi studi agli eventi bellici. Ricordiamoci che stiamo parlando degli anni poco prima della Seconda guerra mondiale. I cargo che portavano le persone in America erano diffusi. In quell’epoca se volevi sparire ci riuscivi anche senza essere un genio».
L’ipotesi di Sciascia era che potesse essersi ritirato in un convento della Calabria. Cosa ne pensa?
«Dopo il libro qualcuno andò anche a controllare. Dai registri non risultava nulla. Ma questo, evidentemente, non significa che non ci sia stato. Di certo Sciascia fece un lavoro di inchiesta».
Un testimone ha raccontato di averlo incontrato a Roma, nell’81, insieme al fondatore della Caritas romana, monsignor Luigi Di Liegro.
«Sono tutte ipotesi che hanno del verosimile. Mi sembra strano però che la famiglia non abbia avuto traccia di una sua permanenza in Italia».
Un aneddoto che vi tramandate in famiglia?
«Faceva giochi matematici per calcolare come sarebbe andata a finire una guerra sulla base di cannoni e navi: aveva un suo umorismo para-matematico».
Giallo Majorana: testimone, era clochard a Roma, scrive “L’Ansa”. Visto nel 1981 con il fondatore della Caritas romana. Poi in convento. Si infittisce il giallo su Ettore Majorana. Dopo la conferma da parte della Procura di Roma che il fisico catanese scomparso nel 1938 era vivo nel periodo 1955-1959 e si trovava nella città venezuelana di Valencia, oggi è il turno di un testimone oculare che, in un'intervista all'ANSA, assicura di aver incontrato lo scienziato all'inizio degli anni '80 a Roma. "Majorana era sicuramente vivo nel 1981 ed era a Roma. Io l'ho visto", riferisce il testimone spiegando di averlo incontrato nel centro della Capitale insieme a monsignor Luigi Di Liegro, fondatore della Caritas romana. Era un senzatetto, che poi è stato riportato nel convento dove era ospitato, afferma il testimone. "Sono stato tra i collaboratori più vicini di monsignor Di Liegro e con lui abbiamo incontrato Majorana probabilmente il 17 marzo 1981. E non è stata l'unica volta, l'ho incontrato in tre-quattro occasioni", prosegue l'uomo - un programmista regista originario della Calabria, ma trasferitosi a Roma da giovane - che chiede di mantenere l'anonimato. "Majorana stava in piazza della Pilotta, sugli scalini dell'Università Gregoriana, a due passi da Fontana di Trevi. Aveva un'età apparente di oltre 70 anni", racconta ancora il testimone. L'uomo, che all'epoca faceva parte di un gruppo che assisteva i senzatetto, rimase colpito dal fatto che uno dei clochard disse, inserendosi in una conversazione, che quel clochard aveva la soluzione del "Teorema di Fermat", l'enigma del '600 che per secoli è stato un rompicapo per i più grandi matematici e che all'epoca non era stato ancora risolto. La soluzione, infatti, risale solo al 2000. "A quel punto gli dissi di farsi trovare la sera seguente perche volevo farlo incontrare con Di Liegro". L'incontro avvenne e il sacerdote portò via il senzatetto con la sua auto. "Dopo un'ora e mezza tornò e mi disse: 'sai chi è quell'uomo? E' il fisico Ettore Majorana, quello scomparso. Ho telefonato al convento dove lui era ospite e mi hanno detto che si era allontanato. Ora ce l'ho riportato'". Il testimone racconta di aver saputo da don Di Liegro, che a sua volta lo aveva appreso dal responsabile del convento, "che Majorana aveva intuito che gli studi che stava facendo avrebbero portato alla bomba atomica e ha avuto una crisi di coscienza e voleva essere dimenticato. Sempre il responsabile del monastero gli disse che prima Majorana era ospite di un convento di Napoli e poi andò a finire in questo nei pressi di Roma. Erano certi che fosse lui anche per una cicatrice su una mano, la destra. Chiesi a don Luigi di riferirlo ai parenti di Majorana, ma lui disse che non potevamo. Io per tanti anni ho provato a tornare sull'argomento, ma don Di Liegro, che non lo riferì a nessuno, nemmeno ai suoi più stretti collaboratori, non voleva saperne e mi raccomandò di tacere. Mi disse di non dire niente a nessuno almeno per 15 anni dopo la sua morte, avvenuta il 12 ottobre 1997. Ormai il tempo è passato".
Le onde di Einstein? Non miglioreranno la nostra tecnologia. La scoperta delle onde gravitazionali è una pura osservazione. Ma solo ciò che è riproducibile in laboratorio sviluppa tecnologie, scrive Antonino Zichichi, Venerdì 19/02/2016 su "Il Giornale". L' osservazione delle onde gravitazionali ha fatto dire a molti, in Europa e in Usa, che si è aperta una nuova era nelle invenzioni tecnologiche. Tutto ciò di cui parleremo sono fenomeni che non sapremmo mai riprodurre nei nostri laboratori. Il progresso tecnologico dipende però soltanto da quei fenomeni che sappiamo realizzare nei nostri laboratori.La tecnologia che ha permesso di misurare i debolissimi effetti prodotti dalle onde gravitazionali è frutto di invenzioni tecnologiche nate da ricerche scientifiche riproducibili in laboratorio. La loro sorgente è la stessa di quella che ha prodotto le tecnologie che fanno parte della nostra vita e che noi siamo inclini a considerare come fossero semplici e banali strumenti, pur se farebbero restare a bocca aperta non i nostri antenati dell'età della pietra ma i nostri bisnonni: internet, tv, radio, calcolatori e strumenti di ogni tipo grazie ai quali la vita media ha superato gli 80 anni ed entro questo secolo supererà i cento anni. Il sogno di Einstein era quello di riuscire a dimostrare che le onde gravitazionali e le onde elettromagnetiche vengono da una sola forza fondamentale della natura. Entrambe queste forze producono onde. Basta accendere un fiammifero per produrre onde elettromagnetiche (luce). È l'oscillazione delle cariche elettriche negli atomi del fiammifero che produce la luce. Per produrre onde gravitazionali bisognerebbe fare oscillare il Sole o masse ancora più grandi. Come sono quelle dei due buchi neri che un miliardo di anni fa si sono incollati gravitazionalmente producendo un buco nero con massa pari a 65 masse solari. Erano due buchi neri ciascuno con massa molto più grande del nostro Sole: 36 volte l'uno, 29 volte l'altro.Memore dell'insegnamento galileiano (non basta il rigore matematico, ci vuole la verifica sperimentale su ciò che si pensa di avere capito), Einstein disse al suo giovane assistente Peter Bergmann che sarebbe stato molto difficile osservare le onde gravitazionali, essendo la carica gravitazionale miliardi di volte meno potente della carica elettrica. L'unica cosa che si potesse fare era dimostrare che le onde gravitazionali e le onde elettromagnetiche vengono da un'unica forza fondamentale della natura. A questo problema Einstein dedicò gli ultimi 35 anni della sua attività scientifica. Col senno del poi noi sappiamo che nessuno poteva riuscire in questa impresa ignorando il Supermondo.A quei tempi le forze fondamentali erano solo due: quelle gravitazionali e quelle elettromagnetiche. Oggi bisogna aggiungere le forze subnucleari deboli e le forze subnucleari forti. Quelle deboli sono la valvola di sicurezza che permette alle Stelle di brillare per miliardi e miliardi di anni senza mai spegnersi né saltare in aria. Le forze subnucleari forti ci permettono di capire la struttura dei nuclei che ci sono in ogni atomo della materia di cui è fatta ogni cosa inclusi noi stessi.Il sogno di Einstein si è rivelato impossibile da realizzare senza mettere in ballo le altre due forze. Lo studio più accurato per far nascere tutte le forze fondamentali da un'unica forza porta alla scoperta teorica del Supermondo. Quello a noi familiare, di dimensioni ne ha appena 4: tre di spazio e una di tempo. Il Supermondo invece di dimensioni ne ha 43. E viene fuori che il Big Bang nasce dalle forze gravitazionali mentre le altre tre forze vengono dopo. Alle origini l'Universo è quindi nato grazie alle forze gravitazionali che potevano produrre soltanto buchi neri primordiali. Sono stati questi buchi neri primordiali ad agire come centri di attrazione galattica. E infatti noi vediamo oggi che ciascuna galassia - anche la nostra - ha nel suo centro un bel buco nero. Vediamo com'è possibile costruire la logica che regge l'universo in poche righe mettendoci nei panni di colui che ha fatto il mondo. Anche noi inizieremmo a preoccuparci del continuo in cui mettere l'universo: lo spazio. Sceglieremo tre dimensioni? Perché no? Saremmo tutti come figure geometriche; ecco la necessità del tempo per far muovere queste figure. Avremmo però figure geometriche di qualsiasi cosa anche degli spaghetti, però senza massa. C'è bisogno della massa. Per muovere le masse c'è bisogno d'energia. E qui arriva Einstein che dice: per avere massa ed energia basta che lo spazio-tempo non sia piatto. La curvatura dello spazio-tempo corrisponde alla massa-energia. L'equazione che stabilisce l'equivalenza tra curvatura dello spazio-tempo e massa-energia è la famosa equazione di Einstein. Equazione che ha come soluzione l'esistenza dei buchi neri scoperti teoricamente da Schwarzschild. Il Sole potrebbe diventare un buco nero se il suo raggio diventasse pari a 3 km, la Terra 0,9 cm e la Luna un decimo di millimetro. Né Sole né Terra né Luna potranno mai diventare buchi neri in quanto non è possibile comprimere una massa che consta di atomi e di nuclei alle distanze necessarie per avere un buco nero. A queste distanze si può arrivare solo partendo da masse prive di strutture atomiche e nucleari. Masse, che solo le forze gravitazionali riescono a comprimere entro i raggi di Schwarzschild. L'ultima cosa da fare è garantire la stabilità della materia: basta inventare un altro tipo di carica, che noi fisici definiamo col termine di «carica di colore subnucleare forte». Nasce così la logica che regge l'universo come noi pensiamo sia fatto. In questa logica dobbiamo distinguere nettamente ciò che possiamo riprodurre nei nostri laboratori da ciò che possiamo solo osservare. La riproducibilità produce nuove tecnologie, la pura osservazione, com'è quella delle onde gravitazionali o di altri fenomeni nel cosmo, non potrà mai portare a invenzioni tecnologiche.
IL VIAGGIO NEL TEMPO.
Ci serve un viaggio nel tempo per (ri)scoprire il calendario. Celebrare, il 21 marzo, l'innovazione di Gregorio XIII, che ha cambiato il computo degli anni, aiuta a ricordare quanto il cattolicesimo abbia contribuito a far crescere la cultura europea, scrive Antonino Zichichi, Mercoledì 20/03/2013, su "Il Giornale". È da queste colonne che è partita la battaglia culturale sul valore del Calendario che oggi hanno in mano i sette miliardi di passeggeri imbarcati su questa formidabile navicella spaziale che gira attorno al Sole (e ora il Governo Regionale siciliano proporrà all'ONU di istituire la «Giornata Mondiale del Calendario» il 21 di marzo di ogni anno). Una navicella - detta Terra - dotata di albe e tramonti, di splendide notti con Luna piena ogni poco meno di un mese e con quattro stagioni che durano ciascuna tre mesi: primavera, estate, autunno e inverno. Le notti stellate hanno anche un altro dettaglio: una di queste Stelle appare immobile. Ad essa si dà il nome di Stella Polare. Essa si trova lungo l'asse di rotazione della Terra. Tutto questo non sarebbe possibile se la navicella spaziale non fosse dotata di tre Movimenti. Il primo Movimento è quello tipo trottola: la navicella gira attorno a se stessa ogni 24 ore. È così che nascono il giorno e la notte, con albe e tramonti. La navicella oltre a ruotare come una trottola è dotata di un secondo movimento: gira attorno al Sole impiegando un po' più di 365 giorni. Se l'asse di rotazione della trottola fosse perpendicolare al piano in cui si trova l'orbita, non potrebbero esistere le 4 stagioni. Questo angolo di inclinazione dell'asse della trottola è di 23 gradi e mezzo. Oltre a questi due Movimenti ce ne è un terzo. È questo Terzo Movimento che fa cambiare la Stella Polare. Quella che vediamo noi è diversa da quella che vedevano gli Egizi. Del Terzo Movimento si parla poco. Eppure la nostra Cultura Cristiana ha portato questo Terzo Movimento al centro dell'attenzione mondiale quando Gesù è risorto. La data della Resurrezione fu infatti stabilita essere occorsa la prima Domenica dopo il plenilunio successivo alla data in cui avviene l'equinozio di primavera. In questa data di Resurrezione entrano i tre movimenti della Terra e anche quello della Luna attorno a noi. Se si sbaglia la data dell'Equinozio di Primavera si sbaglia la data della Resurrezione di Cristo. Fu questo motivo che spinse la Cultura Cattolica a elaborare un Calendario di alta precisione. Gli altri Calendari avevano come obiettivo quello di non perdere il sincronismo con le stagioni la cui durata è di novanta giorni. Fu Aloysius Lilius nato nel 1510 a Cirò in Calabria a elaborare il Calendario di alta precisione che venne promulgato nel 1582 da Gregorio XIII e venne quindi chiamato Gregoriano. Questo Calendario ha le sue radici nella scoperta che Ipparco fece nel II secolo prima dell'Era Cristiana dopo avere meditato a lungo su ciò che aveva detto Archimede: datemi un punto fisso e vi solleverò il mondo. L'unico punto fisso noto era quello della Stella Polare. Se Archimede ha ragione - pensò Ipparco - la Stella Polare deve muoversi. Studiando la posizione della Stella Polare degli Egizi e dei Babilonesi Ipparco scoprì che essa si era mossa. Fu così che Ipparco scoprì il terzo Movimento della Terra, che è molto lento: impiega 25.620 anni per ritornare alla posizione di partenza. Se potessimo vivere centomila anni scopriremmo che nel corso di 25.620 anni apparirebbero nel cielo ben quattro Stelle Polari. Troveremmo che nell'anno 7600 la Stella Polare sarebbe non più quella dei nostri giorni, ma la più brillante della costellazione Cefeo (Stella Alderamin). Nel 13.000 scopriremmo che è “Polare” la Stella Vega, la più brillante della costellazione Lira. Dovremmo aspettare l'anno 25.620 per rivedere ancora la nostra Stella Polare apparire immobile. Riepilogando: il Calendario Perfetto nasce quindi partendo da Archimede e passando per Ipparco, Aloysius Lilius e Gregorio XIII. Siamo da anni impegnati in questa che è la più civile delle battaglie, essendo di natura esclusivamente culturale e che permetterà a milioni di persone di capire com'è nato questo formidabile strumento: il Calendario Gregoriano. Ogni anno il 21 Marzo la celebrazione del Calendario Perfetto è un atto di omaggio a coloro che hanno permesso l'esistenza di questo Calendario. Tutti i Calendari di qualsiasi epoca e civiltà erano sempre stati elaborati pensando alla esistenza di proprietà ripetitive: come se alla stessa data di Calendario la Terra si dovesse trovare sempre nello stesso posto dello spazio cosmico. L'orbita della Terra non è mai nella stessa zona di spazio dov'era l'anno precedente, per via del fatto che siamo legati gravitazionalmente al Sole che ci trascina con sé. E il Sole è trascinato dalla Galassia che si muove nello spazio. Dopo un anno siamo a 20 miliardi di chilometri di distanza dalla zona di spazio cosmico in cui ci si trovava l'anno precedente. Eppure il nostro Calendario è in perfetta sintonia con l'Equinozio di Primavera. Accade che, nel Terzo Millennio, il Calendario adottato da tutti i popoli sia proprio quello la cui straordinaria precisione è legata alla Resurrezione di Cristo. La Scienza può studiare il Tempo solo ed esclusivamente come variabile fisica fondamentale. Nel Tempo che dà vita a questo Terzo Millennio siamo però testimoni di tanti fatti sorprendenti. Ce n'è uno che mi sta a cuore. Un Papa detto Francesco è giunto dalla «quasi fine del mondo» e stimola la Cultura Cattolica affinché essa abbandoni il pessimismo e sia orgogliosa dei suoi valori e delle sue conquiste culturali.
Teoria e tecnica del viaggio nel tempo. Quelli di film e serie tv, almeno: ci sono approcci filosofici e scientifici molto diversi (nel dubbio, comunque, meglio non uccidere il proprio nonno), scrive il 2 Luglio 2016 "Il Post". I viaggi nel tempo sono un gran casino, soprattutto quelli nel passato. Gli scienziati dicono che è impossibile viaggiare indietro nel tempo, ma la cosa non ha fermato scienziati, fisici e matematici vari dal provare a immaginarsi cosa succederebbe se. A loro si sono aggiunti sceneggiatori e registi in cerca di sorprendenti svolte per le loro trame (e preoccupanti mal di testa per gli spettatori che provano a capirle). Ci sono stati viaggi nel tempo senza macchine del tempo (Donnie Darko), viaggi nel futuro (Ritorno al Futuro – Parte II) ma soprattutto viaggi nel passato (tutti i Ritorno al Futuro, due Terminator, L’esercito delle 12 scimmie). I viaggi nel tempo sono anche una cosa da serie tv: ci sono da decenni in Doctor Who, hanno fatto impazzire gli spettatori di Lost e da qualche settimana anche quelli di Game of Thrones, una serie che era già un gran casino anche senza. Se non avete visto il quinto episodio della sesta stagione di Game of Thrones evitate questo salto in un vicinissimo futuro in cui scoprite cosa succede; per tutti gli altri, leggete tranquilli. Anche se non guardate Game of Thrones: ne parliamo per qualche riga appena, poi andiamo oltre. Nella sesta stagione di Game of Thrones, Bran Stark – un personaggio che fino a quel momento aveva avuto visioni sul futuro ed era stato capace di impossessarsi del corpo di altre persone o animali – inizia a viaggiare nel tempo. Nel quinto episodio della sesta stagione succede che viaggiando indietro nel tempo Bran sembra essere in grado di cambiare il passato: riesce infatti a parlare, dal futuro al passato, a Wylis, un ragazzo che ne rimarrà traumatizzato per anni, fino ad arrivare traumatizzato nel futuro da cui Bran gli ha parlato, quello in cui tiene chiusa quella porta. Per chi non segue Game of Thrones, è il motivo per cui avete forse letto e sentito in giro la parola Hodor: è il nome con cui è noto il traumatizzato Wylis, l’unica parola che ripete ossessivamente. Fino alla sesta stagione, Game of Thrones sembrava avere una storia lineare, intricata sì ma lineare: succedeva una cosa e dopo un’altra e poi un’altra ancora, con azioni, conseguenze e reazioni (e tanti morti). Dopo quella cosa di Hodor è cambiato tutto, anche se un indizio piuttosto rilevante c’era stato nel terzo episodio, quando durante un viaggio nel tempo Bran chiamava suo padre che sembrava sentirlo e girarsi. In quel caso Bran mostrava di poter interagire col passato, seppur senza cambiarlo. Il suo mentore, il Corvo dai Tre Occhi, gli diceva: «Il passato è già scritto. L’inchiostro è già asciutto». Diverse teorie sui viaggi nel tempo di cinema e tv hanno preso diverse posizioni sulla possibilità di cambiare il passato. Le principali teorie sono tre: quella del multiverso, quella della linea temporale dinamica e quella della linea temporale fissa. Tutte e tre sono spiegabili dal paradosso del nonno, proposto negli anni Quaranta da René Barjavel, scrittore francese di fantascienza: se qualcuno viaggiasse indietro nel tempo uccidendo suo nonno prima che concepisca suo padre, quel qualcuno come farebbe a esistere? Un altro paradosso del genere, ancora più diretto: se qualcuno viaggiasse indietro nel tempo con in mano una pistola carica, andando nel passato fino al momento in cui stava caricando quella pistola, e poi si sparasse, cosa succederebbe?
La teoria del multiverso. Parte dal presupposto che ogni viaggio nel tempo crei una nuova linea temporale, una specie di universo parallelo a quello da cui si è partiti per il viaggio nel tempo. Il presente non cambia perché ogni viaggio nel passato crea un altro presente che si aggiunge a quello di partenza, senza sostituirlo. È la teoria di Terminator 2 – Il giorno del giudizio, di Terminator 3 – Le macchine ribelli, di Doctor Who e del primo Star Trek diretto da J.J. Abrams. Se una persona viaggia indietro nel tempo e uccide suo nonno, crea una realtà parallela in cui lui non esiste: ma continua a esistere altrove.
La teoria della linea temporale dinamica. È quella in cui i cambiamenti nel passato hanno un vero e diretto impatto sul presente da cui si è partiti. Tutto è dinamico e fluido: può cambiare e lo fa. È la teoria di Ritorno al futuro ed è quella in cui, se vi capita di trovarvici, è meglio non uccidere vostro nonno. Se uccideste vostro nonno, non esistereste più; ma non esistendo non potreste nemmeno essere andati indietro nel tempo per uccidere vostro nonno. È un loop senza fine, un altro paradosso: il motivo per cui Marty McFly deve fare di tutto perché nel 1955 i suoi genitori si conoscano, si innamorino e facciano tutto quello che c’è da fare perché lui nasca. Questa è anche la teoria del paradosso ontologico. Per esempio: Marty McFly va indietro nel tempo e suona nel 1955 una canzone del 1958, Johnny B. Goode. Nel 1955 Chuck Berry la ascolta grazie a suo cugino che lo chiama al telefono e viene quindi suggerito che sia proprio grazie a quell’ascolto che tre anni dopo la inciderà. È un altro loop, non se ne esce.
La teoria della linea temporale fissa. È fissa, sarà facile. Nì. È quella che dice che andando indietro nel tempo non si può cambiare il futuro. È la teoria alla base di Harry Potter ed il prigioniero di Azkaban – sì, pure Harry Potter viaggia nel tempo – e di L’esercito delle 12 scimmie, il film di Terry Gilliam in cui James Cole (Bruce Willis) viaggia indietro nel tempo per impedire la diffusione di un virus che ha costretto l’umanità a lasciare la Terra. Come scopre Cole, in base a questa teoria ogni cosa che si fa nel passato conferma il presente che si è lasciato per andare nel passato. La teoria si basa sul principio di autoconsistenza di Novikov, dal nome del fisico russo che la elaborò negli anni Ottanta: se c’è un evento che potrebbe causare un paradosso, la probabilità che quell’evento si verifichi è zero. Si può provare a uccidere il proprio nonno, non ci si riuscirà mai. È impossibile: l’inchiostro è già secco.
Si, va bene, ok: ma Game of Thrones? Il Corvo dai Tre Occhi pare proprio stare dalla parte di Novikov. Bran può andare nel passato e può in parte influenzarlo, ma il presente non cambierà. Bran, per dire, non può andare indietro nel passato e evitare che qualcuno che è stato ucciso – magari decapitato – non muoia. Tutto quello che può fare è influenzare il passato in modo tale che quel passato continui a confermare gli eventi presenti. In altre parole: magari sarebbe stato più loquace e con un vocabolario più ricco, ma Hodor (anzi Wylis) sarebbe comunque stato lì a tenere quella porta. Una soluzione decisamente creativa al paradosso del nonno è proposta in Roswell That Ends Well, il 19esimo episodio della terza stagione di Futurama. Il titolo italiano è Il nonno di se stesso: un chiaro indizio su come fa il protagonista, Fry, a risolvere il problema dovuto all’aver fatto morire suo nonno in un viaggio indietro nel tempo.
Viaggiare nel tempo? La matematica dice di sì. Manca "solo" la tecnologia. Una ricerca statunitense ha indicato un modo per intervenire sul continuum spazio-tempo, ma solo da un punto di vista teorico, scrive Emiliano Vitaliano il 17 maggio 2017 su “La Repubblica”. Spesso è il rifugio degli scrittori di fantascienza a corto di idee nuove, ma questa volta, anche se non è certo uno studio unico nel suo genere, a trattare l'argomento "viaggi nel tempo" sono due fisici statunitensi. In particolare, Ben Tippett dell'University of British Columbia e David Tsang dell'University of Maryland, hanno annunciato che, da un punto di vista teorico, è possibile andare avanti e indietro nel tempo. La ricerca, pubblicata sulla rivista Classical and Quantum Gravity, è stata denominata "Traversable acausal retrograde domains in spacetime" (Dominio retrogrado non casuale trasversale nello spaziotempo), il cui acronimo è "Tardis", esattamente come la celebre macchina del tempo usata dal Dottore, il protagonista della serie di fantascienza Doctor Who. Una scelta mirata, per ricordare da subito l'argomento di uno studio che ha avuto come base di partenza alcune considerazioni riguardanti la relatività generale, come è capitato molte altre volte in precedenza quando sono state trattate tematiche di questo tipo. Innanzitutto, ricorda Tippett, la visione tridimensionale dell'universo è sbagliata; infatti, sono quattro le dimensioni (lunghezza, larghezza, profondità, tempo) che devono essere immaginate contemporaneamente per formare un'unica entità, lo spaziotempo. Quest'ultimo, rileva Tippett, è curvo, tanto che i pianeti si muovono seguendo proprio orbite curve e non linee rette. Perché, secondo la teoria di Einstein, alcuni corpi celesti dotati di grande massa, come le stelle, sono in grado di piegare lo spaziotempo, obbligando altri corpi, come i pianeti, a ruotare intorno. Sempre Tippet spiega che allo stesso modo la direzione del tempo ha una curvatura e che il tempo scorre più lentamente man mano che ci si avvicina a un oggetto quale un buco nero. La curvatura è ciò che il modello matematico elaborato sfrutta per piegare il tempo e consentire a un ipotetico viaggiatore di muoversi al suo interno, seguendo una sorta di traiettoria circolare che permette di andare avanti e indietro. Insomma, il sogno di viaggiare nel tempo è destinato a diventare realtà? No, almeno per il momento. Perché, purtroppo (o per fortuna?), non possediamo la tecnologia necessaria per piegare il continuum spaziotempo e sarebbe necessario avere a disposizione la cosiddetta "materia esotica". Se un giorno sarà possibile concretamente non possiamo dirlo ora, ma tutti coloro che desiderano visitare epoche storiche diverse, possono continuare a sognare. Tanto, si sa, non costa nulla.
La lezione di Einstein e il viaggio nel tempo. Che adesso è concepibile, scrive Giuseppe Basini mercoledì 15 marzo 2017 su “Il Tempo”. Partiamo dalla Relatività e, per provare a figurarcene gli effetti, pensiamo a una vecchia pellicola cinematografica, di quelle di una volta, di celluloide e immaginiamo di rallentare (o al contrario accelerare) il motore del proiettore durante la visione. Quello che accadrà sarà che il “tempo locale” del film proiettato, non coinciderà più con il tempo della storia realizzata dal regista e noi potremo alla fine ritrovarci ad aver trascorso tre ore, quando la sua durata sarebbe stata invece di un’ora sola. È solo una rappresentazione, abbiamo rallentato il film non la realtà, ma rende l’idea e aiuta a immaginare ciò che altrimenti é inimmaginabile, per noi che siamo sensorialmente e culturalmente del tutto impreparati all’idea. Grazie ad Einstein, infatti, ormai sappiamo che il tempo è un fatto locale, relativo e cioè non un valore assoluto uguale ed immutabile ovunque -come abbiamo pensato per secoli- ma dipende in realtà dalla massa e dalla velocità del sistema di riferimento in cui viene misurato, cosicché, per esempio, viaggiando su di un razzo sufficientemente veloce per un tempo sufficientemente lungo, potremmo poi tornare sulla terra e trovare i nipoti dei nostri nipoti e magari perfino più vecchi biologicamente di noi. E questa, anche se per ora sappiamo farlo solo con le particelle di cui allunghiamo la vita negli acceleratori, é gia scienza dimostrata, passata in giudicato. Fin qui Einstein. Ma ora immaginate di proiettare il film all’incontrario, facendo andare il motore del proiettore all’indietro.
La lezione di Einstein e il futuro. Ciò che succederà sarà che, nella visione, quello che nel film è il futuro diventerà il passato, il tempo locale sarà addirittura invertito, perché vediamo la pellicola dalla fine all’inizio. E questo é reso possible da un fatto fondamentale: la persistenza delle immagini sulla striscia di celluloide, che non scompaiono durante una proiezione e sono sempre riproiettabili, il che vale a dire, in questa rappresentazione, la persistenza degli “attimi” di tempo. Il passato cioé non passa, non scompare e dunque potremmo ripercorrerlo. Se poi tagliamo uno o più fotogrammi o magari ne incolliamo di nuovi, avremo proprio cambiato la storia del film, a partire dal punto in cui interveniamo e inoltre il film, modificato o no, possiamo riproiettarlo quante volte vogliamo ed in epoche successive. Questo, nei limiti della raffigurazione scelta, é quello che succede con la nuova teoria chiamata Open Quantum Relativity (OQR), perché in questa teoria emergono non una, ma due frecce del Tempo, una, quella tradizionale, rivolta verso ciò che chiamiamo futuro ed una rivolta verso quello che chiamiamo passato ed inoltre il passato non scompare. Uscendo dal semplice modello puramente esplicativo, é chiaro che una teoria che preveda due frecce del tempo, anziché una sola, non può non avere ricadute enormi sulla concezione del tempo stesso e segnatamente sull’ipotesi di viaggi nel tempo, che a questo punto non sarebbero più in effetti solo “ritardi temporali” come nella Relatività. Né ipotesi di complicati artifici spazio-temporali inventati per inseguire un puro sogno, ma una tesi basata su di una realtà sottostante di portata generale, anche se sensorialmente a noi invisibile, che li renderebbe davvero concepibili.
Il Teletrasporto Quantico. Ma perchè questa teoria è nata e perché è nata oggi? Perché le scoperte di raffinate tecniche sperimentali e l’avanzare della fisica teorica, hanno posto in evidenza delle contraddizioni, che non erano ipotizzabili prima. Ne citerò solo tre: il teletrasporto Quantico che permetterebbe di trasferire informazioni a qualunque distanza “istantaneamente” (il che vuol dire a velocità infinita, contraddicendo la relatività che vuole che la velocità della luce sia insuperabile), la scomparsa di massa-energia nei Buchi neri (che contraddice le leggi di conservazione) e infine il paradosso di Einstein (sempre lui) Podolsky e Rosen, a partire proprio dal quale la nuova teoria ha preso le mosse. I tre scienziati, nel 1933, misero in evidenza come ci fosse una frattura insanabile fra Quantomeccanica e Relatività, perché, seguendo la Meccanica Quantistica nella formulazione di Bohr e della scuola di Copenhagen, la assoluta contemporaneità degli effetti indotti da un oggetto su di un altro, quantisticamente correlato, si realizza a prescindere dalla loro distanza, arrivando a contraddire la Relatività, che stabilisce l’impossibilità di avere conseguenze “istantanee” di una correlazione tra oggetti lontani tra loro e infine anche la logica, perché, data la impossibilità della contemporaneità richiesta dalla Quantomeccanica, si avrebbe in definitiva “la possibilità di interagire con un oggetto correlato senza … poter interagire realmente con esso”.
La Open Quantum Relativity. La contraddizione tra le due più grandi teorie fondamentali del secolo scorso, per di più entrambe confermate da moltissime osservazioni, rendeva impossibile procedere ad impostare il nuovo problema del tempo in un quadro di riferimento unitario e consistente. La Open Quantum Relativity riesce ad unificare le due teorie in un quadro comune e, a partire dall’unico principio assunto che le leggi di conservazione non possano essere mai violate (il che non è certo irragionevole) risulta, per deduzioni matematiche, essere una teoria simmetrica nella quale le evoluzioni del tempo, in avanti e all’indietro, sono entrambe permesse. E, se esiste una freccia temporale che va all’indietro, non dobbiamo più immaginare contorsioni logiche per ipotizzare una Macchina del Tempo, come si è fatto fino ad oggi, ma semplicemente partire da lì. Questa, se confermata, sarebbe la conseguenza di gran lunga più importante di una teoria generale, che comunque sembra impostata correttamente, sia perché è basata su di un solo postulato, da cui derivare tutti gli ulteriori sviluppi senza necessità di correzioni “poste a mano”, sia perché sono già molti i campi in cui questa teoria (sviluppata ormai da anni in decine di lavori, sulle principali riviste scientifiche dedicate) si dimostra coerente con i dati sperimentali e le più recenti osservazioni astrofisiche. Ad esempio la dinamica dei “Buchi Neri”, la curva di rotazione piatta delle galassie, il teletrasporto quantico, i principali parametri cosmologici (come l’età dell’universo).
Curvatura spazio-tempo. Nel teletrasporto quantico, per citare un caso, ci sono diversi gruppi sperimentali che hanno mostrato di aver scoperto che è possibile trasferire una informazione istantaneamente e quindi violare la relatività. Se il fenomeno verrà ulteriormente confermato, lo si può spiegare senza violare la Relatività, perché in OQR non occorrerebbero trasformazioni superluminali, cioè più veloci della luce, ma a-luminali, che non implicano nessuna violazione del limite della velocità della luce. Per fare un esempio: ci vorrà un determinato tempo per andare da New York a Los Angeles, ma se immaginiamo una curvatura dello spazio-tempo (già prevista in relatività generale) tale da far combaciare le due città come se fossero i lembi di una carta geografica, lo spostamento sarebbe a-luminale, senza violare il limite della velocità finita della luce. La spiegazione in OQR dei buchi neri é un altro elemento convincente, perché un buco nero si potrebbe considerare come una macchina del tempo naturale, che “buca” lo spazio-tempo e conduce in un’altra zona dello spazio-tempo stesso, dove fuoriesce come “fontana bianca”, sotto forma di emissioni ad altissima energia (i Gamma ray bursts) già osservate, ma finora non convincentemente spiegate. Ed è immediato che il principio di conservazione risulta rispettato, perché non si ipotizza più una massa-energia che “scompaia” nel buco nero.
Macchina del tempo artificiale. È probabilmente più facile immaginare un viaggio nel tempo attraverso un buco nero, che attraverso una macchina del tempo artificiale. Tuttavia è vero il contrario a livello di ipotetica realizzazione, perché noi non possiamo portarci all’ingresso di un buco nero istantaneamente e, dunque, uno sarebbe schiacciato e ridotto a particelle dall’enorme forza di attrazione gravitazionale, prima di poter arrivare al buco nero stesso. Il meccanismo dell’ipotetica Macchina del Tempo, naturale o artificiale che sia, è però sempre lo stesso: la natura reagisce al tentativo di violare -in maniera non altrimenti evitabile- una legge di conservazione, cambiando la topologia dello spazio-tempo e consentendo così un teletrasporto istantaneo (il viaggio a-luminale di prima). Sarebbe questo il motore del fenomeno, quando la natura non ha altro modo di evitare una violazione, cambia la topologia, il che vuol dire, sempre per esemplificare, che se usiamo in una descrizione delle coordinate cilindriche, con una freccia a descrivere il tempo ed una circonferenza a descrivere lo spazio, dobbiamo invertirle descrivendo invece il tempo con la circonferenza. C’è un precedente illustre e divertente, risalente al 1947, quando un grande logico matematico austriaco, Kurt Goedel, si presentò, formale com’era, in abito da cerimonia (secondo la vulgata attribuibile al nobel indiano Chandrasekar) a Princeton, nello studio di Einstein, trasandato invece come sempre, nel giorno in cui quest’ultimo compiva gli anni, portandogli come “regalo” una soluzione delle equazioni di campo Einsteiniane, ma con una novità molto innovativa. La novità consisteva nel fatto che tali equazioni ammettevano soluzioni con linee temporali “circolari”, mentre fino ad allora, si credevano possibili solo soluzioni con linee temporali longitudinali. Diveniva possibile, insomma, ripercorrere il tempo… percorrendo il cerchio.
L’altro universo. Era solo un elegante formalismo matematico, eppure c’era sotto qualcosa di profondo significato fisico, perché, nel momento in cui la Open Quantum Relativity, partendo da leggi fisiche, porta davvero alla situazione in cui è ammesso questo cambio di topologia, beh, allora il discorso ipotetico di Goedel, entra in un quadro teorico basato su una teoria dinamica. Il semplice formalismo diventa così, grazie all’OQR, una legge fisica e apre la strada almeno alla concepibilità di una Macchina del Tempo. E questo porta ad un’altra grande conseguenza e cioé che la teoria dei Many Worlds o Molti Universi, già nota, diviene necessaria. Questa teoria, esistente ormai da tempo, diviene necessaria perché, se dalle equazioni è possibile ipotizzare di andare indietro nel tempo, questo vuol dire interferire nello spazio-tempo stesso. Anche il semplice fatto di andarci con un oggetto che ti ci porta è una perturbazione, che conduce a dire che si è determinato un “altro universo”, perché l’universo che conosciamo, quello che si chiama “la nostra linea di mondo”, non è cambiato nel suo passato e non può cambiare, è sempre lo stesso. E allora, se davvero si può ritornare nel passato e modificarlo, portando una persona ad interferire in esso, ciò equivale a creare un’altra linea di mondo, uguale alla nostra fino all’interferenza, ma diversa successivamente. E si spiega bene con un esempio paradossale: se uno può andare indietro nel tempo ed uccidere la propria nonna prima della nascita del proprio padre, come può farlo se suo padre non era ancora nato e lui di conseguenza non esiste? Questo però non è più generalmente vero, se si ipotizzano gli universi paralleli, che diventano a questo punto una necessità, per permettere l’ipotesi di viaggi “perturbativi” nel passato (e mantenere valido il Principio Generale di Conservazione). Uno torna indietro nel tempo, uccide la nonna e crea un universo parallelo uguale al nostro, in cui però non esistono né lui giovane né suo padre, ma c’é in più uno sconosciuto assassino. Potremmo forse vincere al totocalcio pre-conoscendo i risultati, ma in un “altro” mondo, un mondo del tutto familiare e praticamente uguale, ma da quel momento in poi differente.
Speculazioni intellettuali e scoperte scientifiche. Il viaggio nel tempo qui ipotizzato è diverso da come lo potevamo immaginare, ma questo è sempre successo nel passaggio dalle speculazioni intellettuali alle scoperte scientifiche, quando sognavamo di volare pensavamo di metterci piume sulle braccia e agitarle, poi abbiamo volato in tutt’altra maniera, con una macchina a combustione interna e con un apparato metallico. Però, anche se in un modo del tutto diverso da come ce l’eravamo immaginato, noi oggi davvero voliamo. Il viaggio nel tempo che risulterebbe da questa teoria non è quello che uno potrebbe pensare: cioè di poter interferire nella propria vita in questo mondo, però sarebbe lo stesso un viaggio nel tempo vero, perché si potrebbe, in ipotesi, tornare indietro e determinare una vita differente cambiandone i particolari, pur nello stesso quadro generale, nella stessa epoca e con le stesse persone, in un mondo insomma quasi del tutto simile e inoltre quante volte si vuole. Oppure cambiare la propria vita in epoche completamente diverse e, molto probabilmente, senza perdere autocoscienza, perché legati al tempo della macchina con cui si viaggia. E’ una teoria, certo, però attenzione il termine teoria in fisica ha un significato diverso che nel parlare comune, nella fisica una teoria non é una semplice ipotesi, ma una costruzione matematica che procede per dimostrazioni e fatta in modo da essere confermabile o smentibile dagli esperimenti, oltre che coerente con i dati sperimentali già esistenti e questo la Open Quantum Relativity lo é. Non é insomma una mera semplice ipotesi. E, d’altronde, la stessa Relatività fu ritenuta vera, già ben prima che Fermi la dimostrasse definitivamente tale con la pila atomica. A conclusione, possiamo dire con assoluta certezza che potremo viaggiare nel Tempo, modificando così radicalmente il modo di porci nell’universo ed il senso stesso della nostra vita? No, non possiamo, però possiamo dire che é concepibile, il che é già enorme.
IL TELETRASPORTO.
IL TELETRASPORTO TRA REALTA’ E MISTERO. Scrive "Marcos61" il 31 agosto 2011. Fino a poco tempo fa, il teletrasporto era presente essenzialmente tra gli scrittori e nei film di fantascienza, pensiamo ai personaggi di Star Trek: persone che entravano in una cabina che, facendo la scansione come in un fax, analizza l’esatta composizione atomica dei corpi e dei vestiti e bagagli e ne invia i dati a una stazione di arrivo, dove le persone erano ricostruite integralmente, vestiti e bagagli compresi. Per questi motivi, almeno ufficialmente non era preso sul serio da parte dei fisici perché sembrava violare il principio di indeterminazione di Heisenberg, un principio fondamentale della fisica dei quanti. Questo principio nega la possibilità di compiere una misurazione o scansione, che si può estrarre informazioni da un atomo o da un oggetto composto di atomi con una precisione richiesta per la ricostruzione. Secondo Heinseberg, quanto più è preciso il processo di scansione, tanto più l’oggetto è perturbato; il risultato è che ad un certo punto l’oggetto originale viene distrutto senza che se ne possa estrarre sufficienti informazioni da consentire la realizzazione della copia. Tuttavia gli scienziati che hanno eseguito le prime esperienze di teletrasporto hanno trovato un metodo ingegnoso per aggirare il principio d’indeterminazione, usando un argomento paradossale introdotto in particolare da Einstein (ironia della sorte!) contro la fisica quantistica: il paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen (o EPR). L’effetto EPR prodotto dal paradosso sarebbe secondo Einstein terribile e inaccettabile, perché implicherebbe un’azione istantanea a distanza tra due oggetti, in pratica la produzione di un effetto a velocità superiore a quella della luce. Nel 1993 un gruppo internazionale di scienziati guidati dal fisico e informatico Charles Bennet ha escogitato un metodo per eseguire il teletrasporto che è stato eseguito nel 1997 da un gruppo guidato da Anton Zeilinger dell’Università di Innsbruck. Il metodo consiste nel trasferire lo stato della particella senza misurarlo direttamente, ma utilizzando una sorte di comunicazione telepatica che si stabilisce tra copie di particelle “gemelle”. Di che si tratta? Di particelle che hanno proprietà fisiche “correlate”. Nel caso dei fotoni, per esempio, una proprietà importante è la polarizzazione, una grandezza fisica che indica la direzione del campo elettrico che forma i fotoni. Se due fotoni sono correlati tra loro, quando una polarizzazione, per esempio, verticale, l’altro ha una polarizzazione necessariamente orizzontale. Bisogna anche precisare che, a causa delle leggi della meccanica quantistica, la polarizzazione di un fotone possa, in generale, essere in una “sovrapposizione” delle due possibilità, un po’ come una monetina che gira mostrando entrambe le facce: è il processo di misura che lo costringe a essere polarizzato in un modo o nell’altro, così come fermando una moneta si può stabilire se il risultato e testa o croce. Due fotoni correlati sono proprio come due monetine telepatiche che girano in senso opposto: es. quando Alice ferma la sua moneta, anche la moneta di Bob si ferma all’istante e mostra la faccia opposta. Questo fenomeno è stato battezzato entanglement, che vuol dire aggrovigliamento. Negli esperimenti del gruppo di Zeilinger, Alice e Bob ricevono due fotoni correlati, A e B (la materia ausiliaria). Poi viene dato ad Alice un altro fotone, X, da teletrasportare a Bob. Per farlo Alice deve riuscire a “gemellare” anche A e X, perché modo la polarizzazione di X diviene automaticamente uguale a quella di B. Per ottenere questo risultato è necessario sovrapporre i due fotoni (sempre A e X) e sperare che essi si gemellino. Per saperlo Alice deve compiere una misura che distrugge entrambi i fotoni e che ha solo una probabilità su quattro di riuscire. Se l’esperimento riesce, il fotone di Bob diventa uguale al fotone X di partenza. Bob può saperlo solo quando Alice gli comunica l’esito delle sue misure.
Nel 2003 l’Air Research Laboratory finanziò uno studio atto a dimostrare su basi rigorosamente scientifiche che lo spettro delle tecniche riguardanti il teletrasporto è molto ampio. Tutto questo sforzo è a carico del dottor Eric Davis, direttore della società Warp Drive Metrics (WDM). Nel 2004 Davis pubblica un lavoro tecnico di quasi 90 pagine, dove si scopre che oltre che oltre al teletrasporto quantistico, almeno a livello teorico ce ne sono altri sistemi di teletrasporto che, potrebbero permettere il teletrasporto completo di una persona senza alcuna necessità di distruggere la copia originale. Uno dei metodi più importanti è quello relativistico, ovvero quello basato sulla possibilità di manipolare la struttura dello spaziotempo per accorciare le distanze e permettere viaggi impossibili a una “velocità apparente” ben superiore alla velocità della luce. Ora mentre il teletrasporto quantistico è realizzato nei laboratori, ma riguarda per ora solo particelle non più grandi di un agglomerato di atomi ionizzanti, il teletrasporto relativistico è conosciuto per ora solo a livello teorico. Esiste un’altra forma di teletrasporto: il teletrasporto psichico. Su questo si è concentrato il lavoro di ricerca documentale da parte di Eric Davis. Nella letteratura religiosa, occulta ed esoterica per teletrasporto s’intende il movimento istantaneo di un oggetto o di una persona da un posto all’altro, utilizzando mezzi miracolosi, sopranaturali o psichici. Questo tipo di teletrasporto è quello che si conosceva o si credeva di conoscere ben prima degli esprimenti quantistici effettuati oggi nei laboratori. Dalla documentazione di Eric Davis, risulta che in diversi laboratori sparsi per il mondo, sono stati compiuti esperimenti mirati a studiare le potenzialità psichiche umane.
Negli Stati Uniti questi esperimenti (in base alle notizie che si riescono a recuperare su questi argomenti) partirono nei primi anni ’70 con uno studio finanziato dal Dipartimento della Difesa, dalla CIA, dalla DIA e dalla NSA, e che vide coinvolti fisici teorici come Hal Puthoff e Russel Targ, medici come Andrija Puharich, sperimentatori di parapsicologia come Dean Radin, e persone dotate di particolari talenti psichici come i famosi Uri Geller, Ingo Swann e Pat Price. Questi esperimenti erano fortemente voluti dal governo americano perché l’utilizzo di particolari talenti psichici, oppure di persone normali opportunamente addestrate, poteva consentire alle forze armate U.S.A. di possedere “un occhio aggiuntivo” che permettessero ad esempio di identificare le postazioni missilistiche nell’U.R.S.S., oppure di intercettare messaggi di importanza strategica.
All’interno del progetto di ricerca statunitense, oltre alle remote viewing (visione a distanza) fu esplorato il cosiddetto teletrasporto psichico. Questo tipo di teletrasporto, è una forma di “psicocinesi”, simile alla telecinesi, che è generalmente usata per causare il movimento di oggetti fisici passando anche altri oggetti fisici e su grandi distanze. Dunque si tratta di una vera e propria influenza della mente sulla materia senza utilizzare alcun mezzo tecnologico o energetico.
Anche nell’U.R.S.S., da diverso tempo si esplorava il campo dei cosiddetti fenomeni paranormali. Lo spionaggio americano era preoccupato di queste ricerche, perché riteneva che scopo degli esperimenti sovietici fosse il controllo mentale ai fini di guerra psicologica. Nell’U.R.S.S. si usava il termine generale psicotronica per categorizzare tutti quei fenomeni psichici che potessero essere studiati con la metodologia scientifica di tipo sperimentale. La psicotronica si divide in due discipline abbastanza distinte tra loro: la bioenergetica e la bioinformazione. La prima tratta dei fenomeni associati alla produzione di effetti obbiettivamente registrabili come la psicocinesi, la telecinesi, la levitazione e, più in generale, effetti in grado di alterare la materia utilizzando i poteri della mente. La seconda riguarda quella serie di poteri psichici che permettono di ottenere informazioni attraverso canali differenti da quelli sensoriali normali, come ad esempio la telepatia, la precognizione e la chiaroveggenza, ma senza alterare la materia. I fenomeni di teletrasporto psichico sono studiati nell’ambito delle ricerche riguardanti la bioenergetica. La Russia ha una lunga tradizione per quanto riguarda la ricerca sui fenomeni parapsicologici, Medeleev, Bechterev, e su questa tradizione si inserito il fisiologo Leonid Vasiljev. Vasiljev iniziò i suoi esperimenti parapsicologici negli anni ’20 e ’30 e si dedicato quasi esclusivamente ai fenomeni telepatici. Vasiljev riteneva che le facoltà paranormali (in particolare telepatia) rappresentano un residuo di una funzione arcaica connaturata alle prime fasi evolutive dell’uomo.
La nazione dove forse questo tipo di esperimenti fu condotto con maggiore intensità, è senz’altro la Cina. Ne parla Eric Davis nel suo rapporto. Questi esperimenti furono compiuti in maniera sistematica a cominciare dai primi anni ’80. Nel corso di questi esperimenti si utilizzavano soprattutto bambini e giovani particolarmente dotati i quali erano in grado di causare l’apparente teletrasporto di piccoli oggetti (come orologi meccanici) piccoli insetti, carta fotosensibile e perfino radio micro-trasmetittori) da un luogo all’altro senza che questi oggetti fossero toccati. Una seconda fase, ancora più intensa, di questi esperimenti fu eseguita dai cinesi nei primi anni ’90, quando furono elaborati protocolli ancora più rigorosi che resero gi esperimenti più controllabili, scientificamente registrabili e ripetibili. Molti di questi esperimenti furono filmati e fotografati utilizzando tecniche fotografiche ad altissima velocità (sostanzialmente simili a quelle utilizzate a quelle utilizzate per ottenere un fotogramma di un proiettile appena sparato da un fucile). Le tecniche fotografiche erano talmente accurate e precise che permisero di osservare a volte la sparizione pressoché istantanea di oggetti in contenitore, i quali riapparivano in un altro. In altri casi furono registrati oggetti di test che letteralmente si fondevano con le pareti del contenitore mentre scomparivano allo sguardo per riapparire da un’altra parte. Il teletrasporto di questi oggetti avveniva in certi casi in maniera quasi istantanea, mentre in altri la sparizione degli oggetti di test avveniva gradualmente impiegando diversi minuti per completarsi. In tutti i casi sperimentali, i campioni di test venivano teletrasportati, una volta riapparsi non mostravano Alterazioni di alcun tipo o cambiamento rispetto alle caratteristiche che avevano prima dell’esperimento. Perfino gli insetti – unica forma biologica usata per gli esperimenti – non mostravano alcuna alterazione a livello biologico. I risultati degli esperimenti mostrarono che erano stati condotti da diversi gruppi di ricerca che si confrontavano continuamente tra loro. Gli esperimenti erano dunque ripetibili a volontà e questo è uno dei prerequisiti più importanti del metodo scientifico. Tutte le cause dovute a frode erano state eliminate, mentre testimoni, esterni in gran quantità monitoravano la correttezza delle procedure sperimentali. Come si è detto, il tempo impiegato per il teletrasporto variava dai secondi ai minuti, poteva in altre parole essere quasi istantaneo oppure graduale e questo avveniva alla presenza di tutti i talenti psichici che erano utilizzati. Quindi sembrava davvero trattarsi di un fenomeno che si verifica seguendo delle leggi fisiche completamente indipendenti dalla soggettività. Erano fenomeni del tutto oggettivi e come tali potevano erano passibili di indagine scientifica rigorosa. Di particolare interesse furono gli esperimenti dove l’oggetto dal teletrasportare era un trasmettitore radio, perché permettevano di utilizzare tale strumento anche come sonda elettromagnetica che consentisse di registrare qualunque variazione nel segnale prodotto nel corso dell’esperimento. Infatti, questo strumento trasmetteva un segnale radio più di uno strumento radio, usato come ricevitore, in maniera tale che il campione da teletrasportare era costantemente monitorato in maniera ridondante. In particolare gli sperimentatori scoprirono che il segnale monitorato andava soggetto a sensibili fluttuazioni sia in ampiezza che in frequenza (le quali prima e dopo l’esperimento erano molto stabili; ovviamente il trasmettitore era stato ben calibrato), e alla totale sparizione dello stesso nel momento cruciale del teletrasporto. Si scoprì, infatti, che c’era una netta correlazione tra i cambiamenti cui andava soggetto il segnale e la fase del teletrasporto, al punto tale che il campione teletrasportato sembrava all’improvviso “inesistente” o perlomeno in uno stato fisico alterato.
Come si diceva prima, c’è sempre stato un interesse da parte dei vari servizi segreti e governi sui fenomeni definiti “paranormali”. Un esempio: nel 1991 uscì la notizia che la Psi Tech, una società americana con sede nel Maryland, aveva spiato per le Nazioni Unite gli arsenali di Saddam Hussein servendosi di… un team di veggenti. Nel novembre del 1995 dagli archivi della CIA, fuoriusciva la notizia che per oltre vent’anni, per la spesa di 32 miliardi di lire, i servizi segreti americani si sono serviti di medium e sensitivi per le loro attività clandestine. Nel 1994 il Congresso degli Stati Uniti aveva posto il veto a questi esprimenti, giudicati inutili e costosi, ma i servizi della Difesa avevano protestato sospendendo che “le facoltà extrasensoriali esistono e vanno sfruttate”. I sei veggenti, in particolare, avrebbero individuato, dove erano ubicati i sommergibili sovietici e usati per rintracciare Gheddafi nel 1986 e a quanto sembra per liberare il generale Dozier in Italia quando fu rapito dalle Brigate Rosse. Anche i russi si danno da fare, nel 1940 girava a Mosca, Wolf Messine, un ebreo polacco ricercato da nazisti non solo per le sue origini ma per la profezia della fine di Hitler, qualora attacchi l’U.R.S.S., a quanto pare, nel 1953, la scoperta di soggetti dotati di facoltà telecinetiche fece balenare c/o le Forze Armate sovietiche, l’idea di un loro utilizzo scopo pratico, come l’intercettazione telepatica di piani strategici, disturbare le strumentazioni tattiche (aerei, radio...). Nel 1965 Karl Nikolaev e Yurij Kamnskij due telepati, eseguirono difficili esperimenti di comunicazione mentale anche a centinaia di chilometri di distanza, con risultati talmente sbalorditivi da spingere il Cremino a istituire differenti istituti di ricerca sui fenomeni ESP non solo a Mosca, ma anche a Novosibirsk, Odessa, Zhaporozhje e Alma Ata. E questi studi si sarebbero spinti così in avanti al punto, che nel dicembre 1992, la stampa riporta la notizia (quanto seria non si sa) che i russi possedessero una macchina psicotronica in gradi di amplificare a comando i desideri, permettendo a sensitivi di uccidere a distanza. Dell’esistenza di simili armi è convinto il colonnello dell’esercito americano Thomas E. Bearden, un ingegnere nucleare il cui nome è legato a diversi esperimenti top secret per il Pentagono. Bearden cita un attacco all’ambasciata americana a Mosca a partire dal 1959, per mezzo di radiazioni. “I sovietici erano interessati a scoprire se avessimo dei soggetti psicotronica. In questo modo hanno irradiato l’ambasciata con radiazioni psichiche ad alto livello, causando vari disturbi ai diplomatici: aritmia cardiaca, infezioni del sangue, cancro. Questi esperimenti continuano tuttora”, ha scritto Bearden 1988. Bearden parla di fatti accertati, durante la ricerca di microfoni spia all’interno dell’ambasciata americana a Mosca nel 1962 fu scoperto, un raggio di onde microelettriche diretto proprio contro la sede della stessa ambasciata. Secondo il Los Angeles Times del 7 febbraio 1976, l’ambasciatore a Mosca, W. Stoessel ebbe una malattia misteriosa simile ad una leucemia, che gli provocava il sanguinamento degli occhi e tutta una serie di disturbi cronici. La CIA sviluppò allora il progetto segreto Pandora, volto allo studio delle ragioni e degli effetti sull’uomo di questi attacchi elettronici da parte dei sovietici. Si scoprì che l’esposizione a questo genere di attacchi generava mal di testa, affaticamento, nausea, irritabilità, angoscia, depressione e inibizione delle capacità intellettuali. La presenza di onde anomale elettromagnetiche è stata registrata in diverse zone abitate negli Stati Uniti. Alcuni giornali americani del 26 febbraio 1978 scrivevano: “In numerosi quartieri della città di Eugene nello Stato dell’Oregon, ad una altezza di metri alla verticale, è stato avvertito un segnale radio molto potente. L’origine è sconosciuta”. La guerra psichica era foraggiata dal KGB, sapendo che negli U.S.A. la CIA stava facendo la stessa cosa. Molti esperimenti di guerra psichica sarebbero stati effettuati in una sezione riservatissima adiacente alla ben nota centrale di Chernobyl. Di tutto questo n’è sicuro lo studioso Michal Kaszowski che, nella rivista Nie z tej ziemi, ha dichiarato: “Molte ricerche insolite sono state portate avanti in Russia. Un test di conquista della materia attraverso lo psi fu sperimentato parecchi anni fa. Lo ha svelato una mia collega di cui debbo tacere il nome. Si tratta di una pubblicista che lavora per il giornale Kijevskie Novostì, e che ha scoperto che a Chernobyl, nella celebre e famigerata nucleare esplosa nell’86, le installazioni erano rimaste contaminate da parecchi pericolosissimi isotopi di plutonio chiamati americio 241 e 242. Questi isotopi ufficialmente non esistono, e la scienza ufficiale ne prevede la messa a punto ed il controllo solo fra 50 anni. La giornalista ottenne altresì materiale su certi laboratori segreti, conosciuti come Chernobyl 2, dove si conducevano varie ricerche sull’influenza del cervello e della mente umana con tecniche super e subsoniche, o con campi magnetici. Queste tecniche di controllo mentale, con supporto di strumenti e generatori atomici, venivano condotti non da militari o da agenti del KGB ma da un gruppo di satanisti, noti Bialelego Bractwa o setta dei Fratelli Bianchi…Questi esperimenti psicotronica sarebbero attualmente ancora in corso”. Trattandosi di esperimenti segreti, non esistono prove certe a sostegno di queste tesi. Ma se la veridicità di queste storie è molto contestata, esperimenti di condizionamento mentale per programmare ad uccidere sotto ipnosi sono stati condotti a partire degli anni ’50 negli USA e nell’URSS.
Lo studio del teletrasporto psichico, che come si diceva prima può essere condotto con metodi sperimentali, unitamente con gli sperimenti fatti con il teletrasporto quantistico e a una migliore comprensione del teletrasporto relativistico, potrebbe fornire le basi di una fisica completamente unificata dove la coscienza, la teoria dei quanti e la teoria della relatività possono diventare a far parte di un complesso interagente in grado di fornirci quella che potrebbe essere la Teoria del tutto, alla quale fisici stanno tentando di creare. L’esistenza dei fenomeni psichici o anche certi aspetti del fenomeno UFO che non possono essere riconducibili a visite extraterrestri, devono essere un invito a coprire i buchi della nostra scienza ancora troppo incompleta e a descrivere l’Universo. Questi che sono definiti fenomeni anomali dentro i paradigmi scientifici correnti, sono un’anticamera di future rivoluzioni sul piano conoscitivo. Dall’altra l’utilizzo di questi fenomeni e ricerche scientifiche da parte di governi e servizi segreti, deve essere visto come un campanello di allarme. Per questi motivi prima di sviluppare qualsiasi ricerca, bisogna porsi e porre il quesito: per chi si ricerca? Per le masse popolari, per la loro completa emancipazione o per le classi dominati che utilizzeranno i frutti di queste ricerche ai fini del profitto e del domino sulle masse popolari?
LE EMERGENZE TACIUTE.
Le 72 emergenze che il pianeta dimentica, scrive Antonino Zichichi, Sabato 26/11/2016, su "Il Giornale". Il Parlamento della Repubblica polacca ha dato una lezione ai Parlamenti del mondo sui quali dovrebbero essere i problemi cui dedicare la massima attenzione. Se ne parla poco di questi problemi, come se fossero di secondaria importanza. A questi problemi si dà il nome di «Emergenze planetarie», che non sono due o tre bensì 72. Dalla soluzione di questi problemi dipende il futuro dell'umanità. La prima emergenza riguarda l'acqua. Questa emergenza ne genera ben 4. La prima riguarda la protezione delle sorgenti naturali; la seconda riguarda le ricerche di nuove sorgenti; la terza è il problema della desalinizzazione; la quarta le tecnologie necessarie per la sua conservazione senza pericoli di inquinamento. Le previsioni sul futuro portano a concludere che l'acqua diventerà più preziosa del petrolio. Ecco un esempio di come una emergenza ne generi ben 4. Se prendiamo in esame l'energia essa ne produce ben 5 di emergenze. Anzitutto la produzione che può essere chimica (petrolio e simili), e nucleare (quindi da fissione o da fusione). Poi ci sono i problemi delle energie rinnovabili; quelli della distribuzione in cui bisogna ridurre drasticamente le perdite e infine lo studio delle tecnologie per conservare senza troppi sprechi questa fondamentale sorgente di benessere. È il corretto livello di energia pro-capite che permette una buona qualità di vita per ciascun abitante del pianeta. Conclusione: l'energia genera ben 5 emergenze planetarie. Se prendiamo in esame il problema dei cambiamenti climatici vengono fuori altre 5 emergenze planetarie. La prima riguarda le strutture matematiche in grado di simulare correttamente il motore meteorologico. La seconda sta nei dati sperimentali necessari al fine di verificare la validità delle previsioni meteorologiche. La terza sta nel capire l'origine dei sistemi nuvolosi; l'effetto dei raggi cosmici e come legare il cosiddetto Now-Casting (e cioè previsioni a breve termine) con le previsioni a medio termine e addirittura con il percorso che la Terra fa nella nostra galassia. Conclusione: vengono fuori ben altre 5 emergenze planetarie.
Un'altra sorgente di emergenze è la produzione di organi artificiali e quella di capire come si passa dalla materia inerte alla materia vivente: dalla pietra alla rondine. Su questi problemi ci sono in gioco decine di laboratori segreti e centinaia di scienziati.
Un'altra sorgente di emergenze planetarie riguarda la cultura del nostro tempo detta moderna, ma di fatto pre-aristotelica. Infatti né la logica teorica rigorosa (meglio nota come matematica) né la logica sperimentale rigorosa (meglio nota come scienza) fanno parte della cultura moderna. Essa infatti continua a ignorare le grandi conquiste della scienza che viene sempre confusa con l'uso della scienza e cioè con la tecnica. Insegna San Giovanni Paolo II che l'uso della scienza non è scienza, ma tecnica. E la tecnica può essere pro e contro la vita e i valori della nostra esistenza. La cultura moderna è sorgente di ben 8 emergenze planetarie. Sarebbe troppo lungo continuare a discutere tutte le emergenze. Quello di cui dobbiamo renderci conto è la necessità di risolverle al fine di dare un futuro alle nuove generazioni. Al Parlamento di Varsavia è stato preso in esame il progetto mondiale per superare le emergenze planetarie.
Le 72 emergenze planetarie sono l'eredità del XX secolo che ha visto in Europa il pericolo che fossero Hitler o Stalin a dominare il mondo. Abbiamo quasi tutti dimenticato che per ben oltre mezzo secolo l'umanità ha corso il rischio di fare esplodere le 60mila bombe H che c'erano negli arsenali delle due superpotenze Usa-Urss. Nel 1985 a Ginevra, Reagan e Gorbaciov, nel loro storico incontro destinato a evitare che la guerra da fredda diventasse calda, dichiararono solennemente che il nemico numero uno della pace nel mondo erano i laboratori segreti. Era necessario superare le emergenze planetarie. Fu così che lo spirito di Erice entrò nel cuore della cultura mondiale, dando a tutti i popoli (EstOvestNordSud) la speranza che le 60mila bombe H ciascuna da un milione di tonnellate di tritolo equivalente - potessero finalmente essere smantellate. A conti fatti la potenza esplosiva su cui l'umanità ha dormito per ben 50 anni era equivalente a 10 tonnellate di tritolo pro-capite (incluse donne, bambini, anziani, nessuno escluso). Adesso bisogna evitare il ripetersi del sonno planetario: ricominciare a dormire per un altro mezzo secolo sulle 72 emergenze planetarie. Se quello che è riuscito a fare il Parlamento della Polonia venisse fatto da tutti i Parlamenti del mondo il progetto per superare le 72 emergenze planetarie potrebbe diventare realtà in tempi brevi. Chiudiamo con una buona notizia: venerdì prossimo si aprirà in Vaticano una sessione plenaria della Pontifical Academy of Sciences interamente dedicata ai temi delle emergenze planetarie.
QUELLE BUGIE SUL CLIMA.
Fake "global warming" by Zichichi, scrive Lunedì 10 dicembre 2012 Corrado Penna su Muliduri. Tratto da: La Scienza Marcia. Il fisico nucleare Antonino Zichichi al recente convegno di Erice ha denunciato la falsità della teoria sul Riscaldamento Globale Antropogenico. Ce lo riferisce un articolo del 22 agosto 2012 sul quotidiano Il giornale dal titolo "Il riscaldamento globale? Una bufala (troppo) costosa" nel quale leggiamo che secondo le teorie del global warming ...Agli inizi degli anni Novanta si pensava che le temperature sarebbero salite, a livello globale, di un valore compreso tra gli 0,2 gradi e gli 0,5 gradi ogni dieci anni. Invece l'aumento è stato solo di 0,14 gradi. (...)
Detto in altri termini le teorie sul Riscaldamento Globale hanno partorito delle previsioni di riscaldamento esagerato (sempre che di riscaldamento si possa parlare e non di dati falsificati ad arte). Inoltre ...Per abbattere le emissioni globali di CO2 dello 0,0006 entro il 2020 gli australiani spenderanno 130 miliardi di dollari. Se tutti nel mondo praticassero la scelta australiana il costo salirebbe a 541 miliardi di dollari. Insomma, il rapporto costi benefici secondo Monckton è folle (...) Dal momento che l'accettazione delle teorie sul Riscaldamento Globale ha come conseguenza proprio quella di seguire la scelta australiana, e siccome a livello istituzionale/governativo tali teorie vengono generalmente fatte proprie da governi (e meteorologi) c'è da aspettarsi che i governi aggravino la devastante crisi economica imponendo queste scelte scellerate. Tanto a ben vedere a questi governi della prosperità dei propri concittadini non interessa neanche un po'. Ma passiamo adesso alle dichiarazioni di Zichichi: «Per capire gli spostamenti di un elettrone servono delle equazioni non lineari… Possibile che sul clima, che è complessissimo, circolino così tanti modelli predittivi approssimativi, basati su una matematica elementare, e li si consideri attendibili?». (...) «Il motore meteorologico è in gran parte regolato dalla CO2 prodotta dalla natura, quella CO2 che nutre le piante ed evita che la terra sia un luogo gelido e inospitale, quella prodotta dagli esseri umani è una minima parte… Eppure molti scienziati dicono che è quella minima parte a produrre gravi fenomeni perturbativi. Ma ogni volta che chiedo loro di esporre dei modelli matematici adeguati che sostengano la teoria (e comunque oltre ai modelli servirebbero degli esperimenti) non sono in grado di farlo». Contemporaneamente sul sito dell'emittente statale britannica BBC leggiamo come un terzo degli "esperti" che hanno convinto la BBC a "denunciare il Riscaldamento Globale" non erano esperti climatologi ed in più erano "attivisti" del riscaldamento globale, ovvero persone assolutamente di parte.
NB: non ho mai avuto troppa simpatia per il fisico Zichichi, ben noto per il suo appoggio alla costruzione di inquinanti centrali nucleari, cristiano dichiarato che appariva sempre in televisione quando il paese era retto dal governo della Democrazia Cristiana (curiosa coincidenza). Ciò non toglie che le sue argomentazioni in questo caso siano condivisibili. C'è da chiedersi ancora una volta come mai soggetti perfettamente inseriti nel sistema di potere (non si può andare sempre alla RAI senza essere parte del sistema, ed in questo Gabbanelli, Grillo, Zichichi - solo per fare alcuni esempi illustri - sono del tutto simili) denuncino una delle più grosse menzogne del sistema propagandata da uno degli uomini più potenti del mondo, l'ex vice-presidente degli Stati Uniti Al Gore. La risposta è sempre la solita: chi occultamente tira le fila dietro il sipario della politica internazionale preferisce gestire e manovrare direttamente sia chi si siede nei posti chiavi del governo e delle istituzioni (anche scientifiche e culturali) sia chi (almeno apparentemente) si pone su posizioni critiche al governo ed alle istituzioni. In tal modo il popolo non avrà mai informazioni approfondite su ciò che viene deciso al vertice della piramide di comando, non avrà mai informazioni precise e veritiere sugli atti e soprattutto sulle finalità delle politiche governative, ed anche l'opposizione verrà guidata verso lotte sterili e obiettivi quanto meno limitati (se non errati). Ma come mai poteri occulti starebbe dietro a entrambi gli opposti schieramenti e li sosterrebbero entrambi? Il primo motivo potrebbe essere che cercano di farci credere che ci sia un gruppo di potenti industriali che si oppone alla riduzione della CO2 perché teme che i provvedimenti richiesti dall'IPCC potrebbero danneggiare i propri affari. Così appena una persona denuncia la mancanza di scientificità dell'ipotesi del Riscaldamento globale viene additato come "avvelenatore al soldo dei grandi potentati industriali". Astuzia diabolica. Il secondo è che se si manovra tanto chi propaganda la tesi ufficiale quanto chi si oppone ad essa, si controlla di fatto quasi ogni dibattito scientifico e si impedisce che la popolazione mondiale scopra qualcosa di veramente orribile. I cambiamenti climatici infatti sono per certi versi causati dall'uomo, ma non attraverso l'emissione di anidride carbonica, bensì attraverso l'uso su scala planetaria di tecniche di geoingegneria clandestina e guerra ambientale. Di fronte a cieli sempre più completamente coperti dalle scie degli aerei appaiono infatti ridicole le lamentazioni pseudo-ambientaliste sull'effetto serra causato dalla CO2: la serra c'è ed è visibile ad occhio nudo se solo ci si intestardisce a guardare il cielo ogni 10 minuti per qualche settimana. Guardate la "serra artificiale" qui sotto e poi puntate gli occhi al cielo ogni volta che potete.
Quelle bugie sul clima basate su formule errate. Quando si parla di riscaldamento globale e si attribuisce alle attività umane la responsabilità di questo riscaldamento è necessario sapere quali sono le prove sperimentali a sostegno del modello matematico costruito ad hoc, scrive Antonino Zichichi, Martedì 13/06/2017, su "Il Giornale". Il clima non è una cosa semplice. Abbiamo visto su queste colonne (1 giugno) quanto sia estremamente complessa quella cosa cui si dà il nome di clima e la matematica per descriverne l'evoluzione. Sono necessarie almeno tre equazioni differenziali non lineari accoppiate. Non lineari vuol dire che l'evoluzione dipende anche da se stessa. Questo complica terribilmente la matematica al punto da non potere più avere un'equazione in grado di sintetizzare tutti i fenomeni studiati. Ecco perché la scienza non ha l'equazione del clima. Si possono costruire modelli matematici in grado di cercare di avvicinarsi alla soluzione analitica. Ciascun modello matematico deve però essere sottoposto a verifica sperimentale. Quando si parla di riscaldamento globale e si attribuisce alle attività umane la responsabilità di questo riscaldamento è necessario sapere quali sono le prove sperimentali a sostegno del modello matematico costruito ad hoc. Ciascun modello matematico è infatti costruito ad hoc. E cioè mettendo nel modello moltissimi parametri liberi. I modelli matematici che sono alla base del Trattato di Parigi hanno decine di parametri liberi. Diceva il padre di questa matematica, Von Neumann: «Se mi date tre parametri liberi, vi descrivo un elefante e cosa fa. Se mi date un quarto parametro libero il modello matematico dimostra che l'elefante vola». Qualcosa di simile accade alle frontiere della Fisica moderna. Anche qui c'è bisogno di tre equazioni differenziali non lineari accoppiate. Partendo dall'elettrone, la Fisica dei fenomeni fondamentali è arrivata alle porte del Supermondo che nasce cercando di unificare tutti i fenomeni fisici (Grand unified theory). Siamo riusciti a farlo. Noi però non diciamo che abbiamo scoperto il Supermondo. Nessuno di noi oserebbe dire che abbiamo capito tutto sul Supermondo e che non c'è bisogno di alcuna verifica sperimentale. A una conclusione del genere arrivano invece coloro che sostengono di avere capito tutto sull'evoluzione del clima. Infatti sabato scorso nella trasmissione Otto e mezzo condotta da Lilli Gruber il giornalista da lei invitato ha detto: il 99% degli scienziati sostiene che l'evoluzione climatologica è dovuta alle attività umane. Sono noti i nomi dei due scienziati che hanno detto che la scienza non ha l'equazione che descrive l'evoluzione climatologica. Il giornalista della Gruber dovrebbe dare i nomi dei suoi 198 scienziati, citando in modo telegrafico le scoperte e le invenzioni di ciascuno. Infatti per il clima non è possibile un'equazione come è ad esempio quella che scoprì Newton tanti anni fa. L'equazione di Newton ancora oggi guida i satelliti e i progetti spaziali. Se una equazione analoga prevedesse le catastrofi di cui parlano gli esperti di climatologia, è fuori discussione che un capo di Stato dovrebbe agire per evitare quelle catastrofi. Coloro che dicono di avere capito tutto sul clima ignorano che tutti i modelli matematici costruiti non hanno mai preso in considerazione i raggi cosmici, nonostante la loro grande importanza sul clima. Cosa ha deciso di fare l'America? Anzitutto (come discusso su queste colonne) distinguere nettamente tra evoluzione climatologica e inquinamento; combattere con provvedimenti drastici l'inquinamento, ma restare prudenti sul clima. Per il semplice motivo che le previsioni sono basate su modelli con tanti parametri liberi, che ne determinano l'arbitrarietà. Eppoi finanziare studi dettagliati per cercare di risolvere i problemi ancora oggi privi di risposta, arrecando danni minimi all'economia del Paese. L'Europa dovrebbe rispondere investendo in ricerca fondamentale il doppio di quello che fanno gli Usa, senza costringere l'economia del Vecchio continente a subire un ulteriore colpo. L'Europa agisce dimenticando che la scienza è nata grazie a Galilei a casa nostra. Fare scienza vuol dire usare il rigore del linguaggio matematico (equazioni) corroborato da prove sperimentali al fine di fare previsioni. Una delle più famose fu quella di Halley che, usando l'equazione di Newton, predisse il ritorno della cometa che, giustamente, porta il suo nome. La credibilità scientifica dipende dalle equazioni corroborate da dati riproducibili. Il presidente Trump sa che non esiste l'equazione-clima e sa che, se esistesse, sarebbe assurdo metterla ai voti. L'Europa ha messo ai voti un'equazione inesistente, ottenendo 195 voti. Continuando su questa strada, fra dieci anni l'America avrà i livelli più bassi d'inquinamento al mondo e un'economia fiorente. L'Europa invece combatterà poco i veleni della produzione agricola e industriale e si troverà con una economia a rimorchio della locomotiva Usa.
Macché effetto serra. Attenti ai proiettili dal cielo. Dopo la pioggia di meteoriti sulla Russia, il mondo si è accorto del pericolo. Ma ora basta sprecare fondi per l'eco-allarmismo: vanno usati per difenderci, scrive Antonino Zichichi, Lunedì 18/02/2013, su "Il Giornale". Ora che è chiaro come il pericolo dei proiettili cosmici non sia solo teoria, il fenomeno dell'Instabilità gravitazionale, finora poco noto al di fuori dei laboratori, inizia a diventare tema di dibattito. Se qualcuno avesse dubbi sulla sua esistenza, dia un'occhiata ai crateri sulla Luna. O a quelli sulla Terra, il cui numero continua ad aumentare. Ad esempio, in Arizona, dove fino a poco tempo fa se ne conosceva uno soltanto - il più grande, da noi citato sul Giornale sabato scorso - ne sono stati trovati altri dieci. La sorgente dei proiettili cosmici si trova tra Marte e Giove: nella Fascia degli asteroidi che contiene un numero grandissimo di corpi celesti. Per ciascuno di questi proiettili non basta conoscere la forma dell'orbita e il suo orientamento. Sono necessari altri dati. In termini specialistici è necessario lavorare nel cosiddetto «spazio dei parametri». Ogni proiettile è caratterizzato da un punto in questo spazio. Se esso si trova in posizione «anomala» prima o poi lascia i suoi compagni di viaggio e finisce, sulla Luna, sulla Terra o su qualsiasi altro oggetto del Sistema solare. Oppure si mette a ruotare attorno al Sole su un'orbita totalmente diversa da quella che aveva nella Fascia degli asteroidi. Nessuno può dire quando uno di questi asteroidi lascerà la sua normale traiettoria. È come se, osservando una pentola d'acqua in procinto di bollire, volessimo sapere qual è la molecola che per prima uscirà dalla massa d'acqua. Noi siamo sicuri che, in determinate zone dell'acqua che c'è nella pentola, sono state prodotte condizioni di instabilità. Esse permetteranno all'acqua di bollire e ad alcune molecole (non sappiamo quali) di uscire dalla massa liquida. È l'osservazione della superficie terrestre fatta dai satelliti, che ha aperto la strada per lo studio di tutti quei corpi che vagano nello spazio e che debbono essere messi sotto osservazione rigorosa e non saltuaria. Più attentamente si osserva lo spazio, più si scoprono corpi celesti pericolosi per noi che vagano nel cosmo. Che sia possibile realizzare un sistema di difesa in grado di garantire ai posteri un futuro senza questo incubo cosmico è fuori discussione. È di estrema urgenza agire in modo che le grandi conquiste della scienza siano studiate, nelle loro applicazioni tecnologiche, per difendere la vita e la civiltà, anche contro le catastrofi cosmiche: improbabili ma possibili. Come mai c'è voluto tanto tempo per rendersi conto di quanto serio sia il pericolo d'impatto tra la Terra e i numerosi proiettili cosmici che solcano i cieli? Anzitutto mancanza di indizi. I segni che gli oggetti cosmici lasciano sulla nostra Terra vengono cancellati: piogge, venti e attività atmosferiche di ogni tipo spazzano via le tracce che invece rimangono intatte sul suolo lunare dove non c'è atmosfera. Alla mancanza di indizi segue l'ignoranza sulla possibilità che corpi celesti potessero attraversare l'orbita terrestre. Fino a poco tempo fa, le comete erano gli unici oggetti ritenuti pericolosi. Ma erano poche e se ne stavano a distanze notevoli dalla Terra. Eppure in Arizona, i coloni avevano trovato un cratere molto grande (per noi). Se fosse sulla Luna sarebbe tra quelli difficilmente visibili. È stato prodotto cinquantamila anni fa da un asteroide fatto di ferro e nichel, la cui potenza esplosiva era pari a una bomba-H da cinquanta megaton (un Megaton, lo ripetiamo, equivale a un milione di tonnellate di tritolo). Qualche indizio quindi c'era. Troppo poco per sopperire alla totale ignoranza sull'origine di quei proiettili cosmici. Oggi abbiamo la certezza di sapere da dove vengono: dalla Fascia degli asteroidi che si trova tra Marte e Giove. Un enorme numero di corpi grandi, piccoli e piccolissimi, che ruotano regolarmente attorno al Sole, obbedendo alla legge di gravitazione universale, ma che, a un certo punto - per effetto dell'instabilità gravitazionale - si possono dirigere verso un punto qualsiasi del cosmo. Non per via di urti con altri asteroidi come qualcuno erroneamente sosteneva. I nostri padri infatti, avevano capito che per uscire dall'orbita l'urto avrebbe dovuto essere talmente violento che i pezzi stessi avrebbero dovuto fondersi. L'ultimo di questi proiettili finito sui monti Urali in Russia ha richiamato l'attenzione del mondo sull'urgenza per i Governi di occuparsi seriamente affinché un sistema di difesa planetaria possa essere realizzato in tempi brevi. Per far questo è necessario che l'opinione pubblica mondiale smetta di essere terrorizzata da problemi che emergenze planetarie non sono. Come ad esempio i presunti effetti delle attività umane sul riscaldamento globale. Un tema su cui fanno simposi e convegni internazionali e si stanziano miliardi di euro e dollari, mentre ci si dimentica di che pericolo incomba dal cielo. Un proiettile cosmico con potenza devastatrice trentamila volte superiore alla bomba che distrusse Hiroshima dovrebbe avere una frequenza che si aggira sui mille anni. Passando a una potenza settantamila volte più grande la devastazione assumerebbe rilievo planetario, mentre la frequenza sarebbe di un colpo ogni cinquantamila anni. Passando a settanta milioni di volte Hiroshima la frequenza, per nostra fortuna, scenderebbe a un colpo ogni milione di anni. Una cosa è sicura: le conquiste della scienza permettono di dare una risposta sicura e positiva alla domanda se ci si può difendere da questi proiettili cosmici.
Dalla crisi dell'acqua all'allarme terrorismo: ecco i rischi planetari. Si sono chiusi oggi i lavori della 45° edizione dei Seminari sulle Emergenze Planetarie. Ecco le conclusioni, scrive Antonino Zichichi, Lunedì 27/08/2012, su "Il Giornale". Si sono chiusi oggi i lavori della 45ma edizione dei Seminari sulle Emergenze Planetarie. Ecco alcune conclusioni. Anzitutto il pericolo di guerra nel Medio Oriente che ha due focolai in Siria e nello scontro tra Israele e Iran. Acqua inquinata. In entrambi i casi, di scientifico c'è poco, per il semplice motivo che le tecnologie in gioco sono ben note e la Scienza ha poco da dire. Quando negli anni ottanta c'era il rischio di Olocausto Nucleare nello scontro tra le due superpotenze (USA-URSS) le tecnologie belliche (scudo spaziale e bombe-H di alta precisone) avevano bisogno delle frontiere scientifiche di quei tempi. Ecco perché i Consiglieri scientifici di Gorbachev (Velikhov) e di Reagan (Teller) potevano avere un ruolo determinante. La Scienza nel Terzo Millennio non dovrebbe più occuparsi di guerre ma di Emergenze Planetarie; qui il problema centrale è quello di evitare che le finte emergenze vengano privilegiate a discapito di quelle vere, che sono ben 71. La prima è quella dell'acqua le cui sorgenti continuano a diminuire e la cui distribuzione deve fare i conti con i numerosi pericoli di inquinamento "standard" e da "terrorismo". La comunità scientifica della WFS (World Federation of Scientists, Federazione mondiale degli scienziati) vuole che i provvedimenti necessari vengano presi prima che qualche grosso guaio accada. Non dopo. Con l'energia le problematiche sono totalmente diverse. Di sicuro c'è che sei miliardi di persone vorrebbero avere la stessa energia pro-capite che hanno il miliardo di privilegiati (tra cui ci siamo noi). Con l'energia i problemi della sua distribuzione riguardano sia i guai tecnologici "standard" sia quelli provocati dal "terrorismo". Passiamo a un'Emergenza piacevole.
La vita media è fuori discussione che toccherà fra poco i cento anni e che ne vanno studiate le conseguenze con rigore scientifico. L'analisi individuale del DNA permetterà di sapere quali "pillole" vanno evitate e anche quali "cibi". Questo darà un contributo enorme a pericoli di invecchiamento le cui cause non sono a livello genetico ma determinate dai numerosi errori fatti per "ignoranza". Ecco perché è stato costituito un gruppo di lavoro totalmente dedito allo studio di queste problematiche la cui soluzione porterà la nostra vita media a superare i cent'anni in tempi non eccessivamente lunghi. In tempi che potrebbero essere addirittura inferiori al decennio. L'unica difficoltà essendo, non di natura tecnico-scientifica, ma esclusivamente politico-culturale. Un'altra novità è l'attenzione che deve essere portata a ciò che avviene nel nuovo spazio aperto alla nostra attività esistenziale. Spazio che non ha bisogno né di Terra, né di mare, né di aria, né di spazio fisico come quello che dette vita al famoso SDI (Space-Defense-Initiative) ai tempi dell'ultima fase della Guerra Fredda e nota come Guerre Spaziali. No. Non c'è bisogno di spazio fisico. È lo spazio dell'informazione dove è fortemente necessaria la sicurezza che tutto proceda per evitare guerre cibernetiche. È infatti fuori discussione che si può mettere in ginocchio un'intera Nazione senza usare né bombe né missili intercontinentali. Ma facendo letteralmente "impazzire" la logica elettronica nelle distribuzioni di acqua e d'energia. La WFS è impegnata - come ha già fatto in passato - in questa battaglia di civiltà. Battaglia che ha trovato nel Presidente della Repubblica Ceca, Václav Klaus, nel nostro Presidente Giorgio Napolitano e in altri esponenti politici un forte sostegno. Le notizie che arrivano dalla Cina, dalla Russia e degli Stati Uniti sono di grande valore essendo proprio così che le conquiste della Scienza possono entrare nella vita di tutti i giorni. Noi scienziati infatti possiamo solo elaborare progetti; ma la loro realizzazione richiede volontà politica. Se le Emergenze Planetarie, nate nel cuore della Scienza, diventassero veramente argomento di scelta nella campagna elettorale del Presidente Obama, di questo non potremmo che essere estremamente felici. I risultati ottenuti dalla WFS con i suoi cento progetti-pilota realizzati in cinquanta Nazioni sono la fonte di certezza che la Scienza dà al potere politico. E cioè che le vere Emergenze Planetarie possono essere affrontate e risolte. Di questa fonte è testimone il Presidente della Repubblica Italiana che da molti anni segue con vivo interesse i nostri lavori e che ha dato alla comunità scientifica internazionale la prova di quanto sia urgente l'istituzione di un Centro di Studi e Ricerche per affrontare i problemi delle Emergenze Planetarie.
LA BUFALA DELL’ENERGIA ECOLOGICA.
La prima auto elettrica? È nata nell'800. Le vetture «ecologiche» storiche. Sembrano futuristiche ma risalgono al XIX secolo. Dal maggiolino creato per Hitler alla «mai contenta» la prima auto che ha superato i 100 km/h. In Italia? Arriva nel 1909, scrive Alessio Lana il 15 giugno 2017 su “Il Corriere della Sera”.
Il futuro nel 1830. Chi pensa che la mobilità elettrica sia un fenomeno di oggi si ricreda. Nonostante la trazione a emissioni zero sappia di futuro, con film e serie Tv che la proiettano avanti negli anni, il primo motore elettrico è apparso negli anni '30 del XIX secolo, prima di quello a benzina. L'invenzione si deve a Robert Anderson, imprenditore scozzese che per primo creò una sorta di carrozza elettrica, a cui seguì, per mano dell'olandese Sibrandus Stratingh il primo vero progetto di auto alimentata a batterie.
Lo sharing elettrico. Oggi diverse nazioni del mondo stanno implementando sistemi di car sharing elettrico ma in realtà, a fine '800, poco più del 30 per cento delle vetture circolanti a New York, Boston e Chicago erano elettriche mentre New York e Detroit sperimentavano servizi taxi a elettroni.
Arriva l'ibrida. Anche la propulsione ibrida non è una scoperta di oggi. La si deve infatti a un vero rivoluzionario delle quattro ruote, Ferdinand Porsche, ingegnere e imprenditore austriaco noto per aver fondato la casa automobilistica che porta il suo nome e per aver realizzato su ordine di Adolf Hitler il celebre Maggiolino.
Benzina e batterie. A inizio '900 Ferdinand Porsche e l'austiaco Jacob Lohner progettano la Lohner-Porsche Mixte Hybrid, la prima ibrida. Definita una «carrozza senza cavalli», aveva due o quattro posti ed era alimentata da due motore elettrici abbinati a due a benzina. I propulsori termici da 3,5 cavalli alimentavano le batterie che a loro volta davano energia ai propulsori elettrici da 2,5 cavalli. L'energia in surplus veniva poi convogliata alle batterie creando il prodromo di un'ibrida moderna. Nonostante il peso di 1,7 tonnellate, l'auto raggiungeva i 35 chilometri orari e aveva un'autonomia di 200 chilometri.
La rediviva P1. Contemporaneamente, nel 1898, Porsche ideò la P1. Anch'essa è una carrozza senza cavalli alimentata però da un solo motore elettrico da 3 cavalli che le permetteva di arrivare a 34 chilometri orari con ben 78 chilometri di autonomia. Dopo oltre cento anni, la P1 è stata trovata recentemente in un capanno in Austria, dove riposava fin dal 1902 e può essere vista al Porsche Museum di Stoccarda, in Germania.
Si guida in 3. Tra i pionieri dell'auto elettrica c'è anche l'inglese Thomas Parker. Conosciuto col soprannome di «Edison d'Europa», dopo numerose invenzioni legate all'elettricità realizzò la sua prima vettura nel 1895. Curioso notare che al tempo le auto dovevano essere guidate da tre persone, due davanti e una dietro che doveva sventolare una bandiera rossa. Il limite di velocità invece era di 3 km/h in città e 6 km/h in aperta campagna.
Ce l'aveva anche Edison. Altro celebre produttore di elettriche di primo Novecento era la statunitense Baker Electrics. Il primo modello nacque nel 1899 e tra gli acquirenti ci fu persino Thomas Alva Edison, l'inventore della lampada a incandescenza.
Funziona ancora. Nel 1907 la Baker Electrics era diventata il più grande produttore al mondo di vetture elettriche. Poteva vantare ben 17 modelli tra cui la Coupe di cui sopravvivono ancora oggi alcune unità perfettamente funzionanti. Una di queste è stata acquista da Jay Leno, presentatore statunitense e collezionista d'auto.
La prima italiana. La prima italiana arriva nel 1909 grazie alla Stae, la Società Torinese Automobili Elettrici. Dotata di un propulsore da 10 cavalli, aveva un'autonomia di 80 chilometri e raggiungeva una velocità massima di 30 chilometri orari. Un esemplare può essere ammirato al Museo nazionale dell'automobile di Torino.
Velocità estrema. Chiaramente le nonne delle elettriche erano limitate. Non andavano oltre i 30 km/h di velocità massima e l'autonomia era di circa di 50 chilometri ma nel 1899 segnarono un importante traguardo. Grazie alla sua La Jamais Contente, l'ingegnere e pilota belga Camille Jenatzy toccò i 105,88 chilometri orari nel chilometro lanciato, superando per la prima volta nella storia dell'auto il traguardo dei 100 km/h.
Mai contenta. Celebre per la sua forma allungata che la faceva assomigliare a un razzo, La Jamais Contente, «La mai contenta», era dotata di due propulsori elettrici da 25 kW per totali 68 cavalli. La «Prima Formula 1», come l'hanno ribattezzata oltralpe, è conservata al Musée National de la Voiture et du Tourisme di Château de Compiègne, in Francia.
1908: l'inizio della fine. Nonostante i successi raggiunti, la propulsione elettrica subì un duro colpo dalla nascita della Model T, l'auto per le masse ideata da Henry Ford nel 1908. Il prezzo di 650 dollari la rendeva stracciata rispetto alla cifra di almeno 1.700 dollari necessaria per una vettura elettrica e da lì iniziò il tracollo delle emissioni zero. In più, sempre nel 1908, Charles Kettering inventò il motorino di avviamento: non era più necessaria la manovella per azionare le vetture a benzina, un ulteriore comodità che ne spinse le vendite in tutto il mondo a discapito delle concorrenti elettriche.
Meglio la benzina. Le elettriche tramontano definitivamente nel 1935 e la spinta maggiore arriva dagli Stati Uniti. Oltre alla Model T altri fattori contribuirono al declino: l'autonomia limitata si scontrava con la voglia degli statunitensi di esplorare il proprio Paese lungo le sempre maggiori strade che le connettevano senza dimenticare che era più facile trasportare la benzina che l'elettricità. A inizio '900 numerose città non erano ancora elettrificate ma avevano già una stazione di rifornimento.
L’auto elettrica non è “ecologica”: in Francia è caos sulle pubblicità scorrette. I messaggi promozionali del car sharing elettrico parigino Autolib' e della Renault Zoe sono stati considerati poco trasparenti: le auto elettriche non si possono definire "100% ecologiche". E uno studio dell'Agenzia per l'ambiente francese rivela che, considerando l'intero ciclo di vita, un'auto elettrica a batteria consuma più energia di una diesel, scrive Claire Bal il 7 luglio 2014 su "Il Fatto Quotidiano". L’auto elettrica non è propriamente “ecologica”, e nemmeno “pulita”: lo hanno stabilito in Francia tre differenti pareri di una giuria consultiva che si occupa di deontologia per conto dell’Autorità sulla pubblicità. A sollevare la questione è stata l’associazione Observatoire du nucléaire, che ha segnalato le campagne di Autolib’ e di Bluely, i car sharing elettrici di Parigi e Lione, “colpevoli” di utilizzare la formula “100% ecologico” per descrivere il servizio. “Il carattere ‘ecologico’ viene descritto senza elementi di paragoni”, ha stabilito il Jury de déontologie publicitaire, “mentre l’utilizzo di questo servizio ha certamente qualche effetto negativo sull’ambiente, in particolare per via dell’usura dei veicoli e della corrente necessaria alla ricarica, di cui non è specificata l’origine da fonti rinnovabili”. I responsabili di Autolib’ hanno già modificato il sito Internet e l’associazione autrice della segnalazione è soddisfatta: “Avevamo ragione, Autolib’ non è ecologica perché l’energia utilizzata è principalmente nucleare”. Intervistato dal quotidiano Le Monde, il direttore dell’Observatoire du nucléaire Stéphane Lhomme ha dichiarato che “Certo, l’auto elettrica non inquina mentre si muove, ma inquina prima e dopo, e soprattutto sposta l’inquinamento intorno alle miniere di uranio e di litio, delle centrali nucleari e dei siti di stoccaggio dei rifiuti radioattivi”. A dimostrazione di quanto sia acceso, in Francia, il dibattito intorno alle elettriche, un’altra pubblicità è stata bocciata dalla giuria nel mese di giugno, ossia quella della Renault Zoe che diceva: “Per combattere l’inquinamento, girate in auto” (nella foto in alto). Un messaggio che non è piaciuto alla Federazione nazionale degli utenti dei trasporti, che l’ha segnalato all’Autorità, la quale ha stabilito che “la pubblicità non induce a pensare che i veicoli elettrici non abbiano alcun impatto negativo sull’ambiente”, perché una nota con asterisco precisa che le “zero emissioni” si riferiscono all’utilizzo del veicolo e non all’intero ciclo di vita o alla produzione della corrente. Però, aggiunge la giuria, “questa pubblicità incita esplicitamente i consumatori a muoversi in auto elettrica per preservare l’ambiente, mentre esistono altri numerosi mezzi di locomozione comunemente considerati meno nocivi, come il trasporto pubblico o la bicicletta”. E con questa, secondo Le Monde, sono ben nove le sentenze del Jury de déontologie publicitaire che “bacchettano” le pubblicità delle auto elettriche in Francia. Ma alla fine, se definirla “ecologica” è troppo, si può almeno dire che l’auto elettrica è “più ecologica” di quella con motore termico? Sempre in Francia, l’Agenzia per l’ambiente e l’energia Ademe ha pubblicato, lo scorso dicembre, un rapporto che paragona le emissioni complessive di un’auto elettrica con batteria agli ioni di litio a quelle di un’auto a benzina e di una diesel di segmento B (vale a dire vetture delle dimensioni della Fiat Punto o della Ford Fiesta). Ebbene, stanti le tecnologie del 2012, l’auto elettrica esce dalla fabbrica avendo prodotto più CO2 di un’auto tradizionale, soprattutto a causa dell’estrazione dei metalli che compongono la batteria (la quale, da sola, causa il 35% delle emissioni complessive di gas serra nel ciclo di vita dell’auto). Poi però recupera se alimentata con la corrente diffusa in Francia, derivante principalmente da centrali nucleari (che producono scorie radioattive, ma poca CO2). Immaginando un ciclo di vita di 150.000 km, una vetture elettrica a batteria produce nel complesso circa 10 tonnellate di CO2, una diesel 23 tonnellate e un’auto a benzina 27. Se però si considera la corrente in uso in Germania, prodotta principalmente da combustibili fossili, le emissioni di CO2 dell’auto elettrica arrivano a circa 22 tonnellate, poco meno di quelle dell’auto diesel. Ancora più sorprendente il paragone fra auto elettriche e termiche quando, invece della sola CO2, lo studio considera il consumo complessivo di energia primaria: in questo caso, “il consumo di energia primaria del veicolo elettrico, nell’intero ciclo di vita, è inferiore a quelle di un veicolo a benzina ma leggermente superiore a quello di un veicolo a gasolio”, qualunque tipo di corrente si consideri (francese o tedesca, grafico in basso). Meglio muoversi con un caro, vecchio diesel, allora? Non proprio: lo studio della Ademe precisa che “il veicolo elettrico presenta un netto vantaggio su quello termico se si considera la qualità dell’aria locale”, per esempio in città, perché come detto l’inquinamento è “delocalizzato”. Ma allo stesso tempo la ricerca francese mostra che l’auto elettrica – con le batterie e i metodi di produzione della corrente attuali – non è la panacea di tutti i mali ambientali.
GIULIANO PREPARATA. CHE FINE HA FATTO LA FUSIONE FREDDA?
Fusione nucleare fredda. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Fusione nucleare fredda (anche fusione fredda o a freddo) è il nome generico attribuito a presunte reazioni di natura nucleare che si produrrebbero a pressioni e a temperature molto minori di quelle necessarie per ottenere la fusione nucleare conosciuta. Fino ad oggi l'esistenza stessa di questi fenomeni non è stata dimostrata in modo definitivo, anzi l'opinione prevalente nella comunità scientifica è che tutte le evidenze proposte siano effetto di errori di misurazione o di fenomeni non nucleari. Alcuni ricercatori che tuttora svolgono ricerche in questo campo preferiscono usare il termine trasmutazione LENR. Il termine fusione fredda divenne molto popolare nel 1989 a seguito dei primi esperimenti di Martin Fleischmann e Stanley Pons dell'Università di Salt Lake City. Diversi laboratori ripeterono gli stessi esperimenti, ma senza ottenere conferme del fenomeno. Sulla possibilità di fusione a bassa energia furono pubblicati anche studi teorici, tra i quali quelli di Giuliano Preparata dell'università di Milano. Tra i tentativi più recenti, nel maggio 2008 Yoshiaki Arata, uno dei padri della fusione nucleare nipponica, insieme alla collega Yue-Chang Zhang, ha mostrato pubblicamente ad Osaka un reattore funzionante con pochi grammi di palladio, ma anche in questo caso l'esperimento non è più stato ripetuto e i risultati non sono stati pubblicati in un lavoro scientifico.
La stessa possibilità teorica di reazioni di fusione nucleare fredda è controversa. Secondo i sostenitori delle teorie che permetterebbero tale fenomeno, analogamente ad ogni fenomeno di fusione nucleare, anche per ottenere la fusione nucleare fredda è necessario avvicinare i nuclei atomici di deuterio e trizio a distanze tali da vincere la reciproca forza coulombiana di repulsione dei nuclei carichi positivamente. Tuttavia, diversamente dalle reazioni di fusione termonucleare "calda", essi affermano che si può raggiungere lo stesso risultato spendendo molta meno energia, grazie allo sfruttamento di una poco chiarita azione da parte di un catalizzatore, quale ad esempio il palladio. A seconda del tipo di catalisi utilizzata, si possono avere vari tipi di fusione nucleare fredda:
Catalisi da muoni. Il muone è una particella che ha la possibilità di sostituirsi all'elettrone dell'atomo. Se all'atto della sostituzione si dispone di una massa assai maggiore di quella dell'elettrone (circa 200 volte), per il principio di conservazione del momento angolare i muoni dovranno orbitare a distanze molto più prossime al nucleo, schermando quindi maggiormente la repulsione elettrica. Questo permetterà l'avvicinamento tra quei nuclei che hanno sostituito i propri elettroni con muoni, alla distanza necessaria ad innescare una reazione di fusione nucleare, con conseguente emissione di energia. I muoni, una volta innescata la fusione tra due nuclei, possono sopravvivere e quindi agire come catalizzatori per altre nuove reazioni. Tutti i fisici concordano ormai sulla capacità dei muoni di essere utilizzati come catalizzatori per generare reazioni di fusione nucleare, ma vi è l'oggettiva impossibilità, allo stato attuale della tecnologia, di rendere tali reazioni energeticamente convenienti.
Confinamento chimico. Il metodo detto del confinamento chimico si basa sulla possibilità di utilizzare la proprietà del palladio (o di altri catalizzatori) di caricare all'interno del proprio reticolo cristallino atomi di idrogeno (o dei suoi isotopi come il deuterio), formando così deuterio oppure idruro di palladio. Una condizione necessaria, ma non sufficiente, è che tale caricamento deve essere assai elevato e deve raggiungere una percentuale di H/Pd o D/Pd, detta anche di caricamento che abbia un valore di almeno il 95%. In altri termini, per ogni atomo di palladio ci deve essere quasi un atomo di idrogeno o deuterio. Una simile condizione è difficile da ottenere in tempi brevi, se non con particolari procedimenti di natura fisica e/o chimica. Sono stati finora proposti tre tipi di dispositivi a confinamento chimico:
1. Cella elettrolitica. È un dispositivo composto da un contenitore di materiale isolante, riempito con deuterio in soluzione in un elettrolita, con al suo interno due elettrodi conduttivi metallici. Il primo elettrodo, chiamato catodo, è generalmente di palladio o di un altro metallo capace di assorbire gli atomi di idrogeno o deuterio, ed è inoltre collegato al polo negativo di un apposito alimentatore a corrente continua. Il secondo elettrodo, chiamato anodo, è composto da un materiale resistente alla corrosione elettrolitica, come ad esempio il platino, ed è collegato al polo positivo dell'alimentatore. In questo tipo di cella, in particolari e non ancora chiarite condizioni fisiche, Fleischmann, Pons e Hawkins sostengono di aver osservato una emissione di calore in quantità superiore a quella che ci si potrebbe aspettare in presenza di sole reazioni chimiche.
2. Cella al plasma elettrolitico. La cella al plasma elettrolitico (o cella di T. Ohmori e T. Mizuno) è un dispositivo concettualmente simile alla Cella Elettrolitica, ma funzionante in un regime completamente differente. Il catodo è normalmente composto da una barra di tungsteno, o altro materiale metallico, capace di sopportare le elevatissime temperature prodotte da una bolla di plasma che si forma, a causa delle particolari condizioni di funzionamento, intorno all'elettrodo stesso.
3. Cella a gas di deuterio o idrogeno. Alcuni scienziati, ad esempio Yoshiaki Arata, Francesco Piantelli, Sergio Focardi e Francesco Celani, hanno realizzato delle celle dette asciutte, nelle quali al posto di un elettrolita liquido vi è un gas come il deuterio o l'idrogeno, mentre il catodo è in palladio o nichel; in tali catodi, con opportune tecniche, può essere accumulato un grosso quantitativo di gas. La quantità di gas accumulabile all'interno del reticolo cristallino del metallo può arrivare a circa un atomo di gas per ogni atomo di metallo. Un accumulo così elevato, a certe condizioni non ancora del tutto note, può innescare fenomeni di generazione anomala di calore. Il vantaggio di tali celle, rispetto a quelle elettrolitiche, risiede nella possibilità di effettuare esperimenti in condizioni controllate e, di conseguenza, facilmente riproducibili.
La particolare capacità del palladio di assorbire idrogeno fu riconosciuta verso la fine del XIX secolo da Thomas Graham. Nel 1926 due radiochimici, Friedrich Adolf Paneth e K. Peters, pubblicarono un lavoro su una presunta trasformazione spontanea dell'idrogeno in elio per effetto di catalisi nucleare, quando l'idrogeno è assorbito dal palladio a temperatura ambiente. Successivamente questi autori ammisero che la quantità di elio da loro misurata era alterata da un inquinamento di elio presente in modo naturale nell'aria. Nel 1927 lo scienziato svedese J. Tandberg affermò di aver ottenuto una miscela di idrogeno in elio all'interno di una cella elettrolitica dotata di elettrodi in palladio. Sulla base di questo lavoro richiese nel suo paese un brevetto dal titolo: "Metodo che produce elio ed utili reazioni energetiche". Dopo la scoperta del deuterio, nel 1932, Tandberg continuò i suoi esperimenti con l'acqua pesante. A causa però della precedente scoperta di Paneth e Peters, seguita poi dalla sua ritrattazione, il brevetto di Tandberg sarebbe comunque risultato non valido. Il termine fusione fredda ("cold fusion") fu coniato nel 1986 da Paul Palmer, della Brigham Young University, durante una ricerca di geo-fusione (geo-fusion) sulla possibilità di esistenza di fenomeni di fusione all'interno dei nuclei planetari.
Negli anni sessanta Fleischmann annunciò che stava iniziando ad investigare sulla possibilità che alcune reazioni chimiche potessero influenzare i processi nucleari. Predisse che gli effetti collettivi da lui esplorati avrebbero potuto richiedere l'elettrodinamica quantistica per essere calcolati, potendo condurre a risultati più significativi rispetto agli effetti indicati dalla meccanica quantistica. Affermò inoltre che nel 1983 aveva raggiunto un'evidenza sperimentale che lo portava a credere che nella fase condensata i sistemi sviluppassero strutture coerenti piuttosto evidenti, con dimensioni dell'ordine dei 10−7m (1/10.000 mm). Come conseguenza di questi studi, Fleischmann e Pons iniziarono nel 1984 i loro esperimenti sulla fusione fredda.
La configurazione iniziale della cella di Fleischmann e Pons utilizzava un vaso di Dewar (vaso di vetro a doppia parete al cui interno era stato fatto il vuoto) riempito di acqua pesante per svolgere l'elettrolisi, in modo che fosse minima la dispersione termica (meno del 5% durante la durata di un tipico esperimento). La cella era poi immersa in un bagno termostatato a temperatura costante in modo da eliminare gli effetti di sorgenti di calore esterne. I due scienziati utilizzarono una cella aperta, in modo da eliminare la pericolosa formazione di sacche di deuterio e ossigeno risultanti dalle reazioni di elettrolisi, anche se ciò avrebbe favorito qualche perdita termica e comportava quindi il ricalcolo della minore potenza prodotta dalla cella stessa a causa della perdita. Questa configurazione, a causa dell'evaporazione del liquido, rendeva necessario rabboccare di tanto in tanto il vaso con nuova acqua pesante. I due scienziati fecero poi notare che se la cella era alta e stretta, le bolle di gas prodotte dalla elettrolisi potevano mescolare l'acqua pesante contenuta e portarla ad una temperatura uniforme. Una particolare attenzione era poi stata riposta nell'utilizzo di un catodo di palladio e di un elettrolita di grande purezza, in modo da prevenire la possibilità di formazione di residui sulla superficie; questo specialmente per gli esperimenti più lunghi. La cella era corredata di un termistore per la misura della temperatura dell'elettrolita, e di un riscaldatore elettrico per la generazione degli impulsi di calore necessari a compensare le perdite di calore dovute alla evaporazione del gas. Dopo la compensazione (calibratura) era possibile ottenere con relativa facilità il valore del calore generato dalla reazione. Una corrente costante fu applicata alla cella per un periodo di diverse settimane, e quindi fu necessario rabboccare via via la cella con nuova acqua pesante. Per la maggior parte del tempo la potenza elettrica immessa nella cella rimase praticamente uguale a quella dispersa dalla cella stessa, evidenziando un funzionamento della cella secondo le consuete leggi dell'elettrochimica. In queste condizioni la temperatura della cella era di circa 30 °C. In certi momenti, però, e solo per alcuni esperimenti, la temperatura aumentava improvvisamente, sino a circa 50 °C, senza che fosse variata la potenza elettrica in ingresso; questo fenomeno poteva durare due o più giorni. In questi particolari momenti la potenza generata poteva essere superiore a 20 volte la potenza elettrica applicata in ingresso alla cella. In altri casi questi repentini innalzamenti di temperatura non venivano riscontrati per molto tempo e quindi la cella veniva spenta. La temperatura della cella era misurata con un termistore, mentre un altro termistore era posto direttamente sul catodo, in modo da poterne misurare la temperatura durante gli eventi di surriscaldamento. L'efficacia di quel metodo di rilevamento è stata spesso elemento di contestazione. L'esperimento, nel suo insieme, è stato poi criticato da Wilson, e altri esperimenti basati sull'utilizzo di celle aperte sono stati criticati da Shkedi e Jones. Tuttavia molti ricercatori che hanno fatto sperimentazione sulla fusione fredda hanno trovato tali critiche non convincenti e comunque non applicabili in altre tipologie di esperimenti.
La fusione fredda venne improvvisamente alla ribalta il 23 marzo 1989, quando i chimici Martin Fleischmann dell'Università di Southampton in Inghilterra e Stanley Pons dell'Università dello Utah, annunciarono alla stampa di essere riusciti a realizzarla. La dichiarazione fu resa alla stampa il 10 marzo 1989, in un clima internazionale assai sensibile alle proposte di metodi alternativi di produzione energetica, essendo ancora vivo il dibattito sul nucleare, acutizzato sia dal disastro di Chernobyl del 26 aprile 1986 sia dal disastro ecologico della petroliera Exxon Valdez, avvenuto qualche mese prima. Per cause non del tutto chiare, i due ricercatori pubblicarono la conferenza stampa prima che ne apparisse la pubblicazione su di una rivista scientifica, pubblicazione che avvenne il successivo 10 aprile con un breve articolo scritto per il Journal of Electroanalytical Chemistry. L'articolo, a giudizio di molti esponenti del mondo scientifico, era stato scritto in modo affrettato, incompleto e conteneva alcuni errori sostanziali sulla misura dell'emissione di raggi gamma. Nella conferenza stampa Fleischmann e Pons avevano affermato di aver ricavato una considerevole quantità di energia termica da una particolare cella elettrolitica fatta di due elettrodi di cui l'anodo consisteva in un elemento di platino, mentre il catodo era realizzato da un elemento in palladio, il tutto immerso in un elettrolita a base di acqua pesante (2H2O). Inoltre i due ricercatori avevano affermato che, oltre alla notevole quantità di energia termica prodotta, la cella produceva anche un raro isotopo stabile dell'elio (3He), la cui presenza poteva essere spiegata come la cenere prodotta da una particolare reazione nucleare di fusione secondo la reazione: 2H + 2H → 3He (0.82 MeV) + n (2.45 MeV). A conferma e prova dell'avvenuta reazione nucleare, i due chimici portavano le misure calorimetriche dell'energia rilasciata dalla reazione e le misure di irraggiamento neutronico, dovute ai neutroni ad alta energia rilasciati dalla reazione dei nuclei di deuterio. Il 12 aprile Stanley Pons fece una presentazione trionfale dei risultati ottenuti al congresso annuale della Società Americana di Chimica (ACS), mentre l'Università dello Utah chiedeva al Congresso degli Stati Uniti un finanziamento di 25 milioni di dollari per proseguire le ricerche. Lo stesso Pons, al congresso della ACS, aveva dichiarato che la fusione fredda avrebbe fornito energia in eccesso con un dispositivo che si poteva definire "tascabile" se confrontato con gli apparati ben più complessi necessari per la fusione nucleare "calda". Per questo motivo, Pons ricevette un invito a incontrarsi con i rappresentanti del presidente Bush all'inizio di maggio dello stesso anno.
Una della caratteristiche che hanno creato fin dall'inizio critiche da una parte della comunità scientifica (nonché accese polemiche), è stata la scarsa riproducibilità degli esperimenti lamentata dai ricercatori. Fin da quando Fleischmann e Pons il 13 marzo 1989 inviarono al Journal of Electroanalytical Chemistry la pubblicazione con le loro ricerche, decine di laboratori affermarono di avere fatto centinaia di tentativi di replicazione, senza una sufficiente quantità di esiti sicuramente positivi, deducendo che le condizioni alle quali il fenomeno si poteva produrre apparivano rare, particolari e quasi del tutto ignote anche agli scopritori, oppure questi si basavano su effetti non reali o spiegabili solo con particolari fenomeni di origine elettrochimica. Questa difficoltà nella dimostrazione oggettiva del fenomeno, unita ad una particolare situazione di grande attesa da parte del pubblico (amplificata dall'atteggiamento sensazionalistico dei media) fecero sì che alla fine si gettasse discredito sull'intero argomento. Per contro, vari ricercatori che operano nel campo della fusione fredda avanzarono varie spiegazioni a giustificazione di questa difficoltà: essi sostenevano che il protocollo da seguire redatto dai ricercatori Fleischmann, Martin & Pons non includeva una condizione assolutamente necessaria affinché il fenomeno stesso potesse svilupparsi, ovvero che fosse raggiunto un rapporto di caricamento estremamente elevato, da parte del deuterio, nella matrice di palladio, rapporto che doveva essere, come poi fu teoricamente dimostrato dai lavori di Giuliano Preparata, uguale o superiore a 0,95. Senza la conoscenza e successiva applicazione di questa informazione non era possibile ottenere una sufficiente costanza nei risultati da parte di chi tentò di riprodurre l'esperimento.
Il fisico Douglas R.O. Morrison ha scritto nel 1991 un articolo di critica sulla Fusione Fredda, prendendo spunto dai vari esperimenti fatti nei due anni precedenti. Nel riassunto dell'articolo, poi, vengono fatte diverse considerazioni, tra le quali:
Non vi è produzione di calore di eccesso.
È evidente che il bilancio finale è fortemente contro la presenza di prodotti di fusione.
È stata osservata una curiosa regionalizzazione dei risultati.
L'articolo si conclude con la seguente considerazione: La Fusione fredda si spiega meglio come un esempio di "Scienza patologica".
Le polemiche cominciarono a montare alla successiva conferenza della Società Americana di Fisica (APS), il 1º maggio 1989, a Baltimora. Furono riportati i risultati di una collaborazione fra un gruppo dei Laboratori Nazionali di Brookhaven e l'Università Yale che, riproducendo il dispositivo utilizzato da Fleischmann e Pons, non ottenevano né energia in eccesso, né soprattutto produzione di neutroni. Simili risultati furono poi riportati anche da ricercatori dei Laboratori di Harwell, vicino a Oxford, nel Regno Unito. In novembre, uno speciale gruppo di scienziati incaricati dal Dipartimento dell'Energia statunitense (DOE) si pronunciò in modo negativo sulla fusione fredda, mentre già alla fine del 1989 e negli anni seguenti negli Stati Uniti la fusione fredda veniva identificata come un fenomeno di pseudoscienza. Negli anni novanta negli Stati Uniti la ricerca sulla fusione fredda fu scarsa, mentre cominciavano ad emergere gruppi che se ne occupavano in Europa e Asia. Nel luglio del 1990 Fleischmann e Pons correggevano il loro articolo iniziale con un ponderoso lavoro di oltre 50 pagine, nel quale spiegavano i dettagli del loro esperimento. Cominciavano anche ad emergere i retroscena della vicenda del 1989. Nel 1991 Eugene Mallove, che era capo redattore scientifico dell'ufficio stampa del MIT, ammise che l'importante relazione scritta dal Centro Ricerche sui Plasmi del MIT nel 1989, e che aveva avuto un'influenza non piccola nelle polemiche sulla fusione fredda, contenesse dei grafici in cui i dati erano stati modificati senza alcuna spiegazione. Secondo Mallove, questo avrebbe precluso qualsiasi tentativo di ottenere calore da dispositivi a fusione fredda al MIT, in modo da evitare possibili cali nei finanziamenti della fusione "calda". Una voce ancora più autorevole fu quella del premio Nobel Julian Schwinger che nel 1990 ammetteva che molte redazioni di riviste scientifiche si fossero adeguate alle pressioni negative degli ambienti accademici contro la fusione fredda.
Una consistente parte della comunità scientifica internazionale ha accolto con scetticismo e sfiducia i risultati sperimentali, risultati che spesso hanno suscitato grosse polemiche. Uno degli argomenti più citati dai detrattori sulla realtà delle caratteristiche nucleari del fenomeno della fusione fredda, è quello secondo cui in essa si produce un numero di particelle nucleari troppo basso per poter giustificare il calore prodotto. Inoltre esistono ancora moltissime controversie (principalmente di tipo teorico) sulla natura e sui meccanismi della fusione fredda. A posteriori, Fleischmann e Pons riconobbero alcuni errori nella misura dell'energia rilasciata dalla cella elettrolitica, e soprattutto nella misura del flusso di neutroni che sarebbero stati prodotti dalla reazione; tuttavia non smentirono mai di avere effettivamente misurato una contaminazione di elio negli elettrodi, adducendo questo fatto a prova dell'eventuale presenza di una reazione di natura nucleare. Sulla natura nucleare di quest'energia nel corso degli anni furono effettuati vari test ed esperimenti, ad esempio quello compiuto nel 2002 sotto la supervisione di Carlo Rubbia dai laboratori italiani dell'ENEA di Frascati, vicino a Roma. Secondo alcuni studiosi, i molti risultati negativi ottenuti da vari laboratori nel tentativo di replicare il fenomeno diedero fiato, specie negli Stati Uniti, ad una reazione accademica piuttosto negativa, che in certi casi fu più simile ad un'azione di censura che non ad una legittima critica scientifica ai risultati sperimentali. A distanza di più di 10 anni dall'episodio, come ha indicato il premio Nobel Carlo Rubbia in un convegno nel 2000 in ricordo di Giuliano Preparata, si può affermare che la fusione fredda sia stata presentata nel 1989 in modo affrettato, creando eccessive aspettative: ciò fu in parte dovuto al fatto che Fleischmann e Pons erano chimici, e non avevano diretta esperienza del tipo di misure necessarie per provare che un'effettiva reazione di fusione fosse avvenuta.
Negli anni che seguirono l'annuncio di Fleischmann e Pons, le ricerche sulla Fusione Fredda andarono via via scemando in tutto il mondo, rimanendo sempre più un argomento di nicchia, con un numero ufficiale di ricercatori attivi tra le 100 e 200 unità e pochi laboratori. In queste condizioni i progressi nell'approfondimento delle ricerche sono stati abbastanza lenti ed hanno portato a risultati non sempre chiari, anche perché, a causa di un certo disinteresse per l'argomento da parte delle principali riviste del settore, spesso non è stato possibile attivare quell'importantissimo meccanismo di verifica che è il peer review. La fusione fredda continua ad essere oggetto di ricerca in alcuni Paesi, tra cui l'Italia. Qui di seguito una sintesi dei principali esperimenti e dei risultati che ne sono stati dichiarati dai rispettivi autori.
1990: il titanio in sostituzione del palladio. Il gruppo italiano guidato dal professor Francesco Scaramuzzi ha realizzato presso l'ENEA di Frascati un esperimento utilizzando il titanio al posto del palladio. L'esperimento ha evidenziato che quando il titanio assorbe del gas deuterio a bassa temperatura, si verifica un surplus di energia con conseguente emissione di neutroni.
1993: possibile presenza di trizio. Le prime critiche sulla realtà del fenomeno della Fusione Fredda riguardavano la presunta assenza di ceneri, conseguenza prevedibile di una qualche reazione di natura nucleare; nel caso specifico, essendo il fenomeno ipotizzabile come un particolare tipo di reazione di fusione nucleare, i vari gruppi di ricerca hanno immediatamente iniziato a cercare tali ceneri nella forma di un qualche isotopo dell'elio. Il gruppo di ricercatori capitanati da Fritz G. Will del Department of Chemical and Fuels Engineering, Università di Salt Lake City, nello Utah, ha osservato una correlazione tra la produzione di trizio ed il caricamento di un filo di palladio con un caricamento pari o superiore all'unità.
Alla fine degli anni novanta, i ricercatori giapponesi T. Ohmori e Tadahiko Mizuno hanno annunciato la possibilità di ottenere reazioni di fusione fredda, con riproducibilità del 100%, senza utilizzare il costoso e raro palladio né l'acqua pesante (D2O), ma solo attraverso una particolare elettrolisi realizzata con elettrodi di tungsteno, sommersi in una soluzione di comune acqua (H2O) e Carbonato di potassio (K2CO3) tra i quali era stata fatta passare corrente con differenza di potenziale di circa 160-300 V. A tali condizioni, quando la temperatura della soluzione supera i 70-80 °C, intorno alla parte immersa dell'elettrodo di tungsteno si ottiene la formazione di una bolla di plasma, che porta rapidamente all'ebollizione dell'elettrolita; allora, dissero i due ricercatori, si può produrre un bilancio energetico positivo, composto da una emissione termica dal 20-100% superiore all'energia elettrica spesa per sostenere la reazione, più una certa quantità di idrogeno gassoso. Quest'ultimo, secondo quanto affermato dagli stessi ricercatori, può portare il COP (coefficient of performance) complessivo del sistema ad oltre il 500%. Essendo il protocollo sperimentale assai semplice ed alla portata di qualsiasi laboratorio di elettrochimica, immediatamente parecchi ricercatori pubblici e privati eseguirono moltissime repliche dell'esperimento, ottenendo risultati non sempre positivi; spesso vi applicarono alcune varianti, quasi tutte dichiarate dagli autori aventi esito positivo, ovvero con la formazione della bolla di plasma e la fusione dell'elettrodo di tungsteno, ed una emissione termica dal 20 al 100% superiore all'energia spesa per sostenere la reazione. Le misurazioni di assorbimento, necessarie per determinare l'efficienza complessiva, sono per loro natura affette da un notevole rumore elettrico dovuto alla presenza della scarica di plasma; ciò può causare serie difficoltà di rilevamento e quindi incrinare la certezza di aver determinato l'effettiva quantità di corrente assorbita dalla cella; per questo, diversi autori, hanno utilizzato contemporaneamente vari metodi di misura dell'assorbimento elettrico, in modo da verificare la reale convergenza delle misure. Attualmente il principale problema di questo tipo di processo è l'elevata temperatura che raggiunge l'elettrodo di tungsteno, sicuramente superiore ai 3.422 °C, che implica il raggiungimento del punto di fusione e quindi lo scioglimento dell'elettrodo nella soluzione. A queste condizioni, per una cella con un assorbimento medio di 200-500W, vi è un consumo di qualche cm di elettrodo per ogni ora di funzionamento, il che rende il processo energeticamente non conveniente nel suo complesso. Un secondo problema, non meno importante, è la presunta deposizione, sia in soluzione che sull'elettrodo di tungsteno, di atomi di elementi prima non presenti nella soluzione nel metallo, ma comunque prossimi al tungsteno nella tavola periodica, inducendo quindi vari autori ad ipotizzare che sulla superficie dell'elettrodo di tungsteno possano avvenire processi di trasmutazione.
La società EarthTech International Inc. (ETI) tra l'inizio del 1998 ed il dicembre 1999, ha svolto tre cicli di test con il protocollo di Ohmori e T. Mizuno, ma, nonostante la stretta collaborazione con gli autori giapponesi e l'oggettiva qualità del lavoro svolto, non è riuscita ad ottenere nessun risultato circa il problema del guadagno energetico. Questo fatto, secondo i ricercatori dell'ETI, può solo dipendere dall'oggettiva difficoltà a svolgere corrette misurazioni sui dispositivi elettrolitici che operano in particolari condizioni, come quelle riscontrate nel protocollo testato. Ad esempio, a causa del forte rumore elettrico indotto dal plasma, non è semplice valutare con sufficiente correttezza l'effettiva energia utilizzata dal dispositivo per lo svolgimento della reazione. Non solo: non è neanche facilmente determinabile se l'errore sulla determinazione dell'energia sia in sovrastima o sottostima rispetto a quella realmente impiegata. Questa difficoltà si ripercuote direttamente sulla determinazione del corretto rapporto tra l'energia spesa per la reazione e quella da essa prodotta sotto forma di calore (COP). Nonostante queste difficoltà, durante tutto il corso della sperimentazione, i ricercatori dell'ETI sono sempre stati certi della bontà dei criteri di misura da essi adottati e quindi della validità delle loro misurazioni. A sostenere tale certezza, i ricercatori dell'ETI hanno fatto anche notare che il COP misurato con i loro criteri lungo tutto l'arco temporale degli esperimenti era sempre rimasto prossimo al valore unitario, quindi del tutto insensibile alle profonde variazioni delle configurazioni sperimentali adottate nel tempo da essi. Anche la determinazione della presenza di elementi trasmutati sulla superficie dell'elettrodo di tungsteno è stata completamente confutata dai ricercatori dell'ETI, escludendo quindi, secondo le loro ricerche, eventuali processi di trasmutazione sulla superficie dell'elettrodo di tungsteno.
Nel febbraio del 2002, un laboratorio della marina degli Stati Uniti pubblicò un lavoro nel quale veniva confermato il fenomeno della fusione fredda come concreto. Si tratta di un rapporto di 132 pagine che cerca di fare il punto sullo stato delle ricerche sulla fusione fredda eseguite dalla U.S. Navy dal 1989 al 2002. Gli esperimenti svolti sono stati in particolar modo descritti nel capitolo 3 (pp. 19), dal titolo "Excess heat and helium production in palladium and palladium alloys"; in esso sono riportate le analisi calorimetriche svolte nel 1989 (con tolleranze dell'ordine del 4%) che rilevano nei vari esperimenti condotti un evidente eccesso di calore e la produzione di 4He (Elio 4) come conseguenza di presumibili effetti di natura nucleare all'interno della cella. Nel 1992 sono stati fatti esperimenti con leghe di palladio-boro (Pd-B) che, con sorpresa degli stessi ricercatori, hanno dato tutti esito positivo (pp. 21). Nel 1995 l'esperimento è stato poi riprodotto in Giappone con gli stessi risultati. Successivamente sono stati fatti esperimenti per verificare l'emissione di neutroni, esperimenti che hanno dato sempre esito negativo.
2004: analisi dello US Department of Energy (DoE). Durante la conferenze internazionale sulla fusione fredda (ICCF-10), tenutasi a Boston nell'Agosto del 2003, alcuni ricercatori presentarono risultati positivi che convinsero alcuni accademici americani a proporre di riesaminare la questione da parte del Department of Energy (DoE). A questo punto partì un'ampia analisi della letteratura ed un ufficio del DoE (Dipartimento dell'energia degli Stati Uniti), contattò un gruppo di scienziati che operavano nel campo della Fusione Fredda in modo da poter riesaminare la questione dell'evidenza scientifica delle reazioni nucleari a bassa energia (LENR), ovvero la Fusione Fredda. Agli scienziati contattati fu chiesto di presentare il materiale che ritenevano più interessante. Sulla base di questo materiale fu redatto un lavoro riassuntivo dal titolo "New Physical Effects in Metal Deuterides". Tutto il materiale così ottenuto venne poi valutato secondo un complesso protocollo di peer review, al termine, sulla base dei 18 commenti realizzati dagli esperti del DoE è stato redatto il rapporto definitivo.
Al termine dei lavori sono stati formulati 3 elementi su cui effettuare la valutazione, tradotti in quesiti peritali ai quali i recensori hanno dato delle risposte, qui di seguito riportate:
Esaminare e valutare l'evidenza sperimentale di episodi di reazioni nucleari nella materia condensata a bassa energia.
...due terzi dei recensori non ritengono che le evidenze (descritte dai lavori presentati) siano conclusive per rendere certa la presenza di reazioni nucleari a bassa energia; un recensore trovò invece che l'evidenza era convincente, mentre gli altri non furono completamente convinti. Molti notarono che il progetto sperimentale era complessivamente povero, così come la documentazione, il sistema di controllo e vari altri problemi simili che hanno impedito la comprensione e l'interpretazione dei risultati a loro presentati.
Determinare se comunque l'evidenza è sufficientemente conclusiva per dimostrare l'esistenza di una qualche reazione nucleare.
...La preponderante maggioranza delle valutazioni dei recensori ha indicato che la presenza di reazioni nucleari a bassa energia non è stata dimostrata in modo conclusivo. Un recensore ha giudicato che l'evidenza è stata dimostrata, ma molti altri non hanno risposto alla domanda.
Determinare se vi è un interesse scientifico che giustifichi la continuazione di questi studi; se sì, individuare i temi e i problemi più promettenti su cui applicarsi.
...Nessun recensore ha raccomandato un programma finanziato con fondi federali per le reazioni a bassa energia.
La commissione così conclude la sua relazione: ...Mentre dall'ultima indagine del 1989 ad oggi vi è stato un progresso significativo nella qualità dei calorimetri, le conclusioni raggiunte oggi dai recensori risultano simili a quelle riscontrate nell'indagine del 1989.
Se da un lato il parere della commissione sulla realtà del fenomeno sembra del tutto negativo, la sezione del DoE Energy Efficiency and Renewable Energy[69], raccomanda di proseguire gli studi per un maggior approfondimento del fenomeno stesso: Riconsiderando sia l'evidenza per la produzione di calore in eccesso che i prodotti di fusione, due terzi dei recensori del DoE non si sentono di ammettere, in modo certo, l'evidenza del fenomeno. La maggior parte dei recensori ha indicato che le evidenze riscontrate non dimostrano, in modo conclusivo, la presenza di fenomeni di fusione fredda. Nell'analisi finale, i recensori non hanno potuto trarre precise conclusioni circa l'esistenza della Fusione Fredda, e quindi raccomandano di individuare nuovi metodi di ricerca per risolvere le incertezze nei risultati prima riscontrati.
Nel 1998, dopo un lavoro durato diversi anni, Yoshiaki Arata e Zhang hanno confermato il riscontro di un notevole eccesso di energia, proveniente da una cella immersa in acqua pesante (deuterio) (D2O) e superiore agli 80 watt (1,8 volte maggiore dell'energia utilizzata per sostenere tale reazione) per 12 giorni. I due ricercatori hanno poi affermato che l'energia emessa durante tali esperimenti era troppo grande rispetto alla modesta massa dei materiali utilizzati dentro la cella perché il risultato potesse essere giustificato come conseguenza di un'eventuale reazione di tipo chimico. La cella ideata da Arata, diversamente da altre utilizzate nella fusione fredda Palladio-Deuterio, è molto particolare, in quanto opera con elevatissime pressioni.
Successivamente, nel 2006, il ricercatore Francesco Celani dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Frascati, ha ripetuto una parte dell'esperimento di Arata, confermando la presenza di un forte aumento di pressione all'interno di un tubo, immerso in una particolare soluzione liquida, tramite il passaggio di una corrente faradica.
2008: la cella a gas di deuterio. Successivamente Arata osservò che una notevole quantità di energia utilizzata per attivare la reazione veniva dissipata dall'elettrolita sotto forma di semplice riscaldamento. Pertanto ha successivamente messo a punto una particolare cella senza elettrolita e senza alimentazione elettrica, la quale, anche se apparentemente molto differente dalle precedenti celle, in pratica non se ne discosta molto per ciò che concerne il principio base di funzionamento. Arata, nel maggio 2008, ha comunicato alla comunità scientifica internazionale di aver terminato di perfezionare un protocollo di produzione di energia da fusione fredda, potenzialmente capace di produrre quantità rilevanti di energia. Questo protocollo utilizza un sistema originale composto da particolari nano-particelle di Palladio disperse in una matrice di zirconio. Con complesse procedure di metallurgia, viene ossidato lo zirconio, ma non il palladio, in modo che quest'ultimo sia disperso all'interno di una matrice amorfa di ossido di zirconio che, se da un lato risulta permeabile al deuterio, dall'altro impedisce alle nanoparticelle di palladio di raggrupparsi. L'esperimento di Arata inizia saturando l'atmosfera della cella con deuterio, il quale attraversa velocemente la matrice di zirconio e viene quindi assorbito dalle nanoparticelle di palladio, caricandole e quindi portandole alle condizioni critiche per le quali si innescano probabili fenomeni di fusione nucleare. Secondo Arata, una volta avviato il processo di fusione, il sistema così realizzato è capace di azionare un motore termico, senza alcun altro apporto di energia.
2008: dimostrazione a Osaka. Il primo esperimento pubblico, cui erano presenti circa 60 persone tra scienziati e giornalisti, aveva come fine quello di dimostrare la riproducibilità del 100% dei fenomeni di produzione di calore da parte della cella a gas di deuterio in pressione, sviluppata da Arata e dal suo collaboratore Yue-Chang. L'evento ha avuto luogo il 22 maggio 2008, all'Università di Osaka, con una dimostrazione tutta commentata in lingua giapponese. La cella è stata caricata con 7 grammi di speciali nanoparticelle e messa in pressione con deuterio a 50 atmosfere: iniziava immediatamente a produrre energia termica, senza nessun tipo di alimentazione elettrica. L'energia termica prodotta, qualche decina di watt, era sufficiente a mettere in moto un motore termico a ciclo di Stirling. Al termine dell'esperimento i presenti hanno voluto nominare tale fenomeno Arata Phenomena. L'esperimento è stato eseguito con questo protocollo: In un apposito contenitore a pressione, posto all'interno di un calorimetro e collegato per mezzo di una tubazione ad uno spettrometro di massa ad altissima risoluzione, sono stati inseriti 7 grammi di nano-particelle di palladio disperse in una matrice di Ossido di zirconio appositamente preparate dal laboratorio di Arata. Nella prima fase del test, nel recipiente è stato inserito idrogeno a 50 atmosfere, generando così un breve picco termico dovuto all'idratazione delle stesse, seguito poi da un lento raffreddamento, dimostrando così che in tale situazione non vi è né emissione di calore, né presenza di 4He. Il recipiente è stato poi svuotato, degasato e nuovamente riempito, ma questa volta con deuterio a 50 atmosfere. A questo punto vi è stato di nuovo il picco termico dovuto all'idratazione[84], ma questa volta il calore non è andato progressivamente scemando, ma è invece rimasto costante, tanto da permettere il funzionamento di un motore termico a ciclo di Stirling. Il funzionamento è proseguito per diverso tempo, in modo da poter accumulare nel sistema una sufficiente quantità di elio; successivamente è stata fatta una nuova misura del gas presente nel contenitore, e questa volta lo spettrometro di massa ha rilevato nettamente la presenza di elio mescolato con deuterio, segno evidente che il calore prodotto era dovuto ad una reazione termonucleare. Durante la reazione gli appositi rilevatori di radiazioni non hanno rilevato nessuna emissione radioattiva. Arata, durante la conferenza che aveva preceduto l'esperimento, aveva fatto notare che esso avrebbe dimostrato la possibilità di produzione di elevate quantità di calore attraverso una reazione di fusione fredda, ma che comunque sarebbero rimasti ancora insoluti numerosi problemi per lo sfruttamento commerciale di tale tecnologia. I problemi più importanti da superare sono quelli legati al mancato degasaggio dell'elio che si è formato all'interno delle nano-particelle, che con il tempo porta ad un suo costante accumulo che di fatto "avvelena" la reazione, ed alla necessità di ricercare un materiale meno costoso e più abbondante del palladio utilizzato per l'esperimento. Alcuni ricercatori hanno criticato la validità della dimostrazione di Arata, soprattutto in relazione al fatto che egli non ha pubblicato i risultati su nessuna rivista scientifica soggetta a peer review (revisione paritaria).
Fin dal suo annuncio, anche in Italia l'eventualità della Fusione Fredda è stata studiata da vari gruppi di lavoro ed industrie. Di seguito si riportano alcuni riferimenti ai lavori svolti dal 1989 ad oggi. A poco più di un mese dalla pubblicazione del lavoro sulla Fusione Fredda di Fleischmann e Pons (fine marzo 1989) il Dipartimento FUS fece partire un programma promosso dalla direzione dell'ente che aveva come scopo quello di verificare l'ipotesi di una correlazione tra l'emissione neutronica e formazione di trizio con una corrispondente produzione di calore. Nello stesso periodo, sempre in ENEA, partì spontaneamente dalla sezione di criogenia del Laboratorio di Spettroscopia Molecolare del dipartimento TIB (Tecnologie intersettoriali di Base) un tentativo di produrre reazioni di fusione utilizzando un differente approccio da quello classico seguito da Fleischmann e Pons. Il nuovo approccio prevedeva di utilizzare la proprietà di alcuni metalli di assorbire gas di idrogeno/deuterio in opportune condizioni di temperatura e pressione[88]. L'esperimento, concettualmente piuttosto semplice, era stato preparato con rapidità in quanto il materiale necessario (trucioli di titanio e gas di deuterio) era direttamente reperibile in laboratorio. Fu preparato un contenitore in acciaio inox che potesse resistere alle condizioni sperimentali, ovvero alla pressione di alcune decine di bar ed a una temperatura di circa 400 °C. Il contenitore d'acciaio fu allora riempito con i trucioli di titanio e gas deuterio e quindi posto in un vaso di Dewar nel quale poteva essere versato azoto liquido a 77 °K (-196 °C). In prossimità del dispositivo fu inserito un misuratore di neutroni che nel giro di due settimane rilevò alcune emissioni neutroniche, della durata di diverse ore, che sembravano fortemente correlate alla variazione di temperatura del cilindro di acciaio contenente i trucioli di titanio e il deuterio in pressione. A questo punto il fisico italiano Francesco Scaramuzzi, dell'ENEA di Frascati, presentò una relazione da cui sarebbe risultata l'emissione di neutroni da parte di una cella deuterio-titanio sottoposta a pressioni di alcune decine di bar. Scaramuzzi fu successivamente convocato per un'audizione parlamentare.
Uno dei teorici sui possibili meccanismi che possono spiegare la Fusione fredda è stato il Prof. Giuliano Preparata, docente di Fisica Nucleare all'Università degli Studi di Milano, il quale, subito dopo l'annuncio del 1989 (e fino al 2000, anno della sua morte), studiò il fenomeno in chiave teorica e parallelamente promosse varie attività di ricerca presso l'Università di Milano e l'ENEA. Nel 1989 Preparata, insieme ai fisici Emilio Del Giudice e Tullio Bressani, pubblicò sulla rivista "Nuovo Cimento" un articolo prettamente teorico, nel quale intendeva gettare le basi per una teoria predittiva della fusione fredda, basando il fenomeno su alcune estensioni della teoria dell'elettrodinamica quantistica (QED) nella materia condensata. La teoria faceva emergere la possibile esistenza di una soglia nel rapporto tra il numero di atomi di deuterio assorbiti ed il numero di atomi di palladio, il cosiddetto fattore di caricamento, che non doveva essere inferiore ad 1. L'immediata conseguenza della teoria è la definizione di una soglia minima al di sotto della quale il fenomeno di Fusione fredda, secondo il protocollo utilizzato da Fleischmann e Pons, non può avvenire; questo potrebbe dimostrare che il fenomeno di Fusione fredda, a certe condizioni, può essere visto come una conseguenza prevedibile dall'estensione di una teoria ben accettata dalla fisica quale è quella dell'elettrodinamica quantistica. Una qualsiasi replica, anche se di esito negativo, per essere presa in considerazione deve essere quindi accompagnata dal valore del caricamento che ha subito il palladio con il deuterio, ovvero il rapporto tra gli atomi di deuterio e quelli di palladio presenti sugli elettrodi. Non solo: essendo il rapporto di caricamento assai elevato, un sufficiente caricamento del palladio può richiedere tempi estremamente lunghi (settimane o addirittura mesi).
I ricercatori Fleischmann, Pons, Bressani, Preparata e Del Giudice denunciarono il giornalista Giovanni Maria Pace a causa di un articolo giudicato diffamatorio apparso sul quotidiano La Repubblica del 21 ottobre 1991. Il giudizio in prima istanza del tribunale di Roma, dopo aver qualificato la Fusione fredda come un'ipotesi che attende conferme, fu di assoluzione e condannò pertanto tutti e 5 i ricercatori in solido al pagamento delle spese processuali. Nel 2001 ovverosia dopo quasi 10 anni dalla comparsa dell'articolo e su ricorso promosso dai cinque ricercatori, la Corte d'Appello di Roma ribaltò la sentenza di primo grado e quindi condannò La Repubblica nelle figure del suo editore, del direttore del quotidiano e del giornalista Giovanni Maria Pace a un risarcimento monetario nei confronti dei due ricercatori M. Fleischmann, S. Pons. La motivazione, antitetica a quella di primo grado, si fondò sulla constatazione che la precedente sentenza ignorava ... le informazioni pubblicate, non solo in atti scientifici, ma anche dalla stampa e segnatamente dal quotidiano "La Repubblica" sul positivo andamento della ricerca nel settore "de quo", affermando anzi il contrario. La sentenza passò in giudicato senza che le parti presentassero ulteriore appello.
Nel 1999 il Premio Nobel Carlo Rubbia, allora presidente dell'ENEA, essendo a conoscenza di una serie di lavori sulla Fusione Fredda svolti nei precedenti anni presso lo stesso ente ed essendo anche a conoscenza delle varie critiche pervenute dal mondo scientifico che mettono in dubbio la realtà stessa del fenomeno, decise di commissionare una ricerca organica ad un gruppo di ricercatori dell'ENEA di Frascati, fra i quali Emilio Del Giudice, Antonella De Ninno e Antonio Frattolillo. Per questa ricerca furono stanziati quasi 600.000 euro e concessi 36 mesi di tempo per portare a termine il lavoro. L'esperimento è stato concepito, in modo da accertare se vi fosse una correlazione diretta tra la produzione di 4He (Elio 4) e gli eventuali eccessi di calore osservati durante il funzionamento delle celle a Fusione Fredda, e se la quantità di 4He potesse giustificare l'energia prodotta sempre da tali eccessi. Se tale correlazione fosse stata evidente, questa avrebbe dato un sostanziale contributo all'interpretazione dell'origine nucleare di tali eccessi e, parallelamente, avrebbe fornito una chiave di interpretazione più chiara di tale fenomeno. Nell'aprile del 2002, dopo circa tre anni di ricerca, il gruppo di lavoro diretto da Antonella De Ninno, terminò il proprio lavoro pubblicando il Rapporto Tecnico ENEA RT2002/41/FUS, noto come Rapporto 41, che conferma la correlazione tra la produzione 4He e l'eccesso di calore. Per gli autori del rapporto, come di prassi al termine di un'indagine scientifica che ha dato presumibili esiti positivi, risulta evidente l'importanza di una sua rapida pubblicazione attraverso le riviste scientifiche di settore, in modo da permettere ad altri gruppi di ricerca di confutare o confermare i risultati da essi pubblicati. Il rapporto non è stato pubblicato sulle principali riviste di settore, come ad esempio Science. Successivamente il gruppo di Antonella De Ninno ha richiesto un ulteriore finanziamento per portare avanti il lavoro, ma da parte di ENEA non c'è stata risposta; successivamente le dimissioni di Carlo Rubbia dalla presidenza di ENEA hanno messo la parola fine all'iniziativa.
In riferimento a quegli avvenimenti, il 19 ottobre 2006 Rainews24 a cura del giornalista Angelo Saso, ha mandato in onda un'inchiesta[104] sul documento ENEA chiamato Rapporto 41. L'inchiesta inizia con la lettura della lettera che l'elettrochimico Martin Fleischmann il 10 aprile 2002 inviò a Rubbia: Caro professor Rubbia, sono molto lieto che il programma di ricerca intrapreso da Giuliano Preparata abbia conseguito il suo scopo ... I risultati ottenuti dai ricercatori italiani sono veramente impressionanti, e non esagero. L'inchiesta analizza in particolar modo le difficoltà incontrate dai ricercatori nell'ottenere la pubblicazione su riviste con alto livello di visibilità scientifica.
Vittorio Violante dell'ENEA di Frascati, insieme a suoi collaboratori e ad alcuni istituti di ricerca internazionali, pubblica un lavoro dal titolo "Joint Scientific Advances in Condensed Matter Nuclear Science", che riporta i risultati di un esperimento svoltosi all'interno di più laboratori tra il 2006 ed il 2007 al fine di dimostrare l'affidabilità di un particolare metodo di caricamento del palladio, studiato dallo stesso Violante. Nella pubblicazione si dichiara che questo metodo permette di avere un eccesso di produzione di calore piuttosto elevato, con una riproducibilità media del 70% (65% per gli esperimenti svolti presso l'ENEA di Frascati e 75% presso l'SRI a Menlo Park, USA.). Il lavoro è pubblicato all'interno dell'8º International Workshop on Anomalies in Hydrogen / Deuterium Loaded Metals svoltosi a Catania dal 13 al 18 ottobre del 2007.
In occasione dell'ICCF-14 Il ricercatore del INFN Francesco Celani comunica di aver ottenuto emissioni anomale di calore da una particolare cella in gas di deuterio con il catodo realizzato per mezzo di un sottile (50 µm) filo di palladio lungo 60 cm, a sua volta ricoperto di un sottile strato (2-5 µm) di nanoparticelle in palladio ed altri elementi.
Nel 1989 il biofisico Francesco Piantelli, dell'Università degli Studi di Siena, mentre stava effettuando studi su campioni di materiale organico, si accorse della presenza di un'anomala produzione di calore. Comunicò il fenomeno da lui osservato a Sergio Focardi, fisico dell'Università di Bologna, e i due decisero di creare un gruppo di lavoro cui si aggiunse Roberto Habel, membro dell'INFN presso l'Università di Cagliari, al fine di approfondire la causa di quell'anomalia termica. Dopo circa tre anni, gli studi approdarono a significativi risultati permettendo la costruzione di un reattore Nichel-Idrogeno sufficientemente efficiente. Passarono altri due anni di sperimentazioni e finalmente il 20 febbraio 1994, in una conferenza stampa presso l'aula magna dell'Università di Siena, venne annunciata la messa a punto di un differente processo di produzione di energia per mezzo di Reazioni Nucleari a Bassa Energia (LENR), profondamente differente da quello fatto da Fleischmann e Pons. Il loro processo si basava sull'uso di una barra di nichel, mantenuta per mezzo di una resistenza elettrica ad una temperatura di circa 200-400 °C e caricata con idrogeno attraverso un particolare processo. Quando la reazione è innescata, ovvero quando la barretta di nichel cede più energia di quanta sia necessaria per il riscaldamento della stessa, vi può essere anche una debole e discontinua emissione di radiazione gamma che potrebbe testimoniare una possibile origine nucleare di tale fenomeno. In base alle dichiarazioni dagli autori, attualmente gli esperimenti sono indirizzati ad un miglioramento dell'efficienza complessiva del sistema, al fine di realizzare un generatore di energia termica ed elettrica completamente autonomo.
Nel 1996 un gruppo del CERN di Ginevra diretto da Antonino Zichichi ha tentato una replica dell'esperimento di Piantelli-Focardi; l'attività di studio è durata quasi un anno, ma alla fine non ha dato un risultato favorevole all'ipotesi di una spiegazione di natura nucleare del fenomeno.
Piantelli e Focardi hanno più volte dichiarato che la cella è stata costruita e positivamente testata presso i rispettivi laboratori, sia all'Università degli Studi di Siena sia all'Università di Bologna. Comunque fino ad ora non vi sono stati altri riscontri sperimentali positivi da parte di gruppi indipendenti di ricercatori. Ad esempio, un tentativo di verifica indipendente è stato svolto, verso la fine degli anni novanta, dal ricercatore Luigi Nosenzo (Università di Pavia) in collaborazione con Luigi Cattaneo (CNR), presso l'Università di Pavia. I frutti di questo lavoro, nel loro complesso, sono stati negativi, in quanto non hanno raggiunto l'obiettivo di riprodurre il fenomeno.
Fusione Fredda. La misteriosa reazione nucleare, che avviene con la fusione di atomi leggeri, viene ancora oggi studiata in molte parti del mondo, scrive C. Paglialunga su "Star Niell". Perché é stata tanto ostacolata? A quali risultati sono arrivati i ricercatori? In questa breve rassegna, ipotesi e speranze per la risoluzione dei problemi energetici ed ecologici del pianeta Terra. Il 25 marzo 1989 é la data storica in cui due coraggiosi ricercatori dell’Università di Salt Lake City (Utah - USA), Martin Fleischmann e Stanley Pons, annunciarono alla stampa l’aver trovato un modo molto semplice e poco costoso per produrre energia pulitissima: l’energia derivata dalla fusione di atomi di deuterio (isotopo dell’idrogeno) a bassa temperatura. In sostanza l’energia del futuro. Nonostante che i due scienziati disponessero di risultati ben documentati, successivamente riprodotti in più di duecento laboratori sparsi in tutto il mondo, si innescò una inconcepibile serie di polemiche ed anche qualcosa di più. Una campagna di disprezzo, in particolare, venne imbastita dai loro colleghi, studiosi della fusione calda, così denominata perché necessita di milioni di gradi di temperatura ed inoltre di ingenti risorse economiche. Ed anche la stampa e le riviste specializzate rivolsero pesanti critiche al loro operato. Il risultato fu che, dopo il terremoto scatenato dall’entusiasmo per l’annuncio rivoluzionario, seguì un crescente scetticismo, sconfinato in precise minacce per i due ricercatori. Essi scomparvero per alcuni mesi, fino a quando approdarono a Nizza. Qui stanno ancora lavorando per il loro progetto in un laboratorio privato finanziato con nove milioni di dollari dalla IMRA Europe S.A., impresa affiliata alla giapponese Toyota. Nella titanica lotta di interessi di ogni tipo, il movimento scientifico scaturito dalla fusione fredda é ancora vivo e i risultati raggiunti sono da tenere veramente nella più alta considerazione, nonostante che essi producano energia di tipo calorico, cioé una forma non nobile, ma pur sempre benedetta. Inoltre i ricercatori si incontrano annualmente per scambiarsi pareri e risultati. A differenza della tecnica studiata e portata avanti da circa 40 anni per attuare la fusione calda degli atomi di idrogeno, sfruttando enormi macchine capaci di far arrivare la temperatura interna anche a centinaia di milioni di gradi, la fusione fredda proposta da Fleischmann e Pons si basa sul principio dell’elettrolisi e sfrutta un’apparecchiatura semplicissima. Facendo passare elettricità tra due elettrodi, uno di palladio e l’altro di platino, immersi in acqua pesante D2 0 (dove D é il simbolo del Deuterio) si può produrre una quantità di energia molto superiore a quella immessa. Secondo quanto sinora accertato, nel reticolo cristallino del Palladio si crea una forma di fusione, ancora misteriosa, tra i nuclei di deuterio. Il mistero é questo: come può avvenire una fusione tra due nuclei i quali, essendo dotati di stessa carica positiva, in realtà dovrebbero respingersi in maniera molto potente per effetto della forza coulumbiana? Negli ultimi anni poi sono state sviluppate nuove tecniche che in verità hanno maggiormente aumentato il mistero, come l’uso di particolari accorgimenti sugli elettrodi soprattutto l’uso di acqua normale. Si, proprio l’acqua del rubinetto. Risultati sorprendenti mostrano rendimenti energetici addirittura del 900%. A qualcuno questo non va assolutamente bene. E allora si creano i problemi: ci sono in ballo ricchissimi brevetti e il Premio Nobel. Le teorie della "scienza" sentono in pratica il profumo dei soldi, non secondario é il problema economico: cosa succederebbe, tra l’altro, se tale reazione nucleare arrecasse del benessere a tutta la popolazione mondiale e nello stesso tempo risolvesse il crescente inquinamento del pianeta? Ci accorgiamo purtroppo che il vero problema é l’uomo. Sicuramente il suo spirito é ammalato. Uno spirito che ha portato la scienza in un vicolo cieco dove la saggezza é tuttora evanescente. Ci si chiede poi: é possibile oggi, ed era possibile nei decenni passati rimettere le cose al loro giusto posto per dare un futuro migliore ai nostri figli? La risposta é inesorabilmente affermativa, ma é la volontà dell’uomo che deve entrare in azione per far emergere concretezza e dignità. Dall’analisi storica di questa vicenda si può capire come le scelte abbiano potuto determinare una simile situazione, dove l’interesse personale o delle lobby, é sempre prevalso su quello della collettività. Di conseguenza il modo di produrre energia col metodo della combustione ha sempre avuto il sopravvento, ma i mezzi per cambiare li potevamo già avere sin dagli anni venti e addirittura anche prima. Per restare nel tema della fusione nucleare fredda, ricordiamo l’esempio del chimico tedesco Friedrich Paneth. Questo ricercatore, ancora sconosciuto, nell’anno 1926 pubblicò sull’ "Annuario della Società chimica tedesca" il rendiconto dei suoi esperimenti sulla fusione. Recentemente tali studi sono stati ripresi dal prof. Vyaceslav Alekseyev, direttore del Laboratorio sulle Energie Rinnovabili dell’Università di Mosca. Un altro avvenimento, che reputo di fondamentale importanza é lo studio che Enrico Fermi intraprese negli anni ‘30, per creare un generatore artificiale di neutroni. La nota, a firma di Amaldi, Rasetti e Fermi, venne pubblicata su "La Ricerca Scientifica" nel 1937 e dove si dimostrava la possibilità di sfruttare la reazione atomica: D 2 + D 2 -------> He 3 + n 1/ 1 - 1 - 2 - 0 per produrre neutroni necessari per bombardare gli atomi. Per realizzare tale impianto Fermi ebbe necessità di usare acqua pesante, cioè un bersaglio contenente un’alta percentuale di Deuterio allo stato solido. Visto il notevole sviluppo di calore, si dovette ricorrere all’aria liquida per mantenere a bassissima temperatura il blocco di ghiaccio. Forse tutto ciò non é una reazione di fusione nucleare fredda? Anzi, superfredda. Perché allora non venne mai proposta e applicata? Andando avanti nel tempo, ci sono stati notevoli esempi di questo tipo di reazione, sfruttabile in vario modo, fino ad arrivare al fatidico 25 marzo 1989. Da quel momento centinaia e centinaia di ricercatori si sono costantemente impegnati, nonostante le notevoli avversità, per portare avanti uno dei migliori sistemi per produrre energia pulita. Nel Congresso di Nagoya (Giappone) del 1992, si sostenne che si doveva aprire un nuovo capitolo nella storia della fisica e cioé la nascita della "fisica nucleare dello stato solido". In questa occasione un medico della Pennsylvania (USA) e Presidente della Hydrocatalysis Power, Randell Mills, annunciò di essere riuscito ad ottenere, con acqua normale, risultati ancora migliori di quelli fino ad allora conseguiti e cioè una reazione con un rendimento del 900%. Naturalmente anche in Italia ci sono alcune Università che studiato il fenomeno. Tra i ricercatori italiani dobbiamo citare, senza dubbio, il prof. Giuliano Preparata, uno degli uomini ancora capaci di lottare per la fusione a freddo e di denunciarne la pericolosa situazione di insabbiamento ed in particolar modo l’"intrappolamento" dell’ingegno di Fleischmann e Pons. Recentemente ha dichiarato: "Il fatto che la fusione a freddo sia una small science, e quindi difficile da governare da parte delle oligarchie scientifiche e finanziarie, ne ha permesso, nonostante tutto, la crescita a tal punto che oramai mi sembra molto improbabile che essa scompaia nel nulla, senza portare a maturazione nel giro di qualche anno le idee che ne permettono lo sfruttamento industriale su larga scala". In questi ultimi otto anni in effetti la ricerca ha raggiunto un accettabile livello nel cercare di creare energia a basso costo senza l’incubo dell’inquinamento o di altre diavolerie simili. Ma quando i risultati potevano avere già applicazione industriale, una mente invisibile é riuscita ancora a fermare i più audaci. Consola il fatto che molteplici scienziati, i nuovi apprendisti alchimisti, avessero nel loro spirito la volontà di rendere la vita più sana e più facile al loro prossimo. La natura ancora non ci svela completamente i suoi segreti, e questo perché il materialismo dell’uomo ancora non accetta le leggi dello spirito. E’ un nodo che dobbiamo sciogliere prima o poi perché l’evoluzione dell’uomo verte sulla conoscenza profonda della vita, in tutte le sue innumerevoli espressioni a forme, e sulle leggi che la governano. Rimane indelebile nella mia mente una dichiarazione di un insigne scienziato italiano, Gianfranco Valsé Pantellini: "Mendeleev ha parlato di elementi leggeri, elementi medi e elementi pesanti. Tutta la fisica atomica attuale é basata sull’uso di elementi pesanti. Però il fondamento della FISICA ATOMICA della NATURA, il meccanismo base che consente lo scorrere della vita é dato proprio dagli elementi leggeri e dalla loro suscettibilità di trasmutare a bassa energia".
Che fine ha fatto la fusione fredda? La fusione fredda, respinta dalla gran parte della comunità scientifica internazionale, viene praticata in alcune piccole comunità di ricerca che dispongono di organizzazione e strumenti di contatto con il pubblico molto efficienti, scrive il 10-05-2008 Camillo Franchini su "Cicap". Scrivere sulla validità scientifica della fusione fredda a quasi vent'anni dal clamoroso annuncio di Martin Fleischmann e Stanley Pons (23 marzo 1989, Università di Salt Lake City, Utah) è abbastanza straniante, perché il tempo trascorso avrebbe dovuto far sedimentare i giudizi e rendere consolidato od obsoleto l'argomento. O la scoperta dei due chimici è stata brillante e concreta, e oggi dovremmo poterne godere i frutti o almeno disporre di certezze scientifiche di riferimento, o è stata un hoax, una falsa scoperta, una delle tante di cui è cosparsa la storia della scienza. Nel primo caso la fusione fredda avrebbe dovuto uscire dai laboratori di ricerca per arrivare almeno alla realizzazione di impianti pilota; nel secondo avrebbe dovuto essere messa da parte con discrezione, dopo i primi controlli. Curiosamente nessuna delle due ipotesi si è verificata: gli ingegneri non hanno costruito gli impianti, ma la fusione fredda è rimasta oggetto di studio da parte di sparute unità di ricerca che sfidano impavide la disapprovazione del mondo scientifico accademico. Queste comunità meritano di essere conosciute da vicino. Si tratta di gruppi isolati ma agguerriti, che sanno mantenere visibilità e creare consenso. Dispongono di riviste confezionate su misura, le più note della quali sono Infinite Energy, New Energy Times, Fusion Technology che riportano materiale che non troverebbe ospitalità su riviste scientifiche recensite. Alcune riviste di divulgazione scientifica hanno la funzione di cassa di risonanza: efficace cassa di risonanza, come dimostra in Italia l'uscita di Adriano Celentano a favore della fusione fredda durante una trasmissione televisiva RAI di novembre scorso (La situazione di mia sorella non è buona). Le loro case editrici hanno pubblicato libri ben pubblicizzati e diffusi. Vengono promossi meeting internazionali con cadenza rigorosamente annuale, intitolati con un acronimo difficile da ricordare: ISCMNS (International Society for Condensed Matter Nuclear Science), oppure ICCF. Nel 2007 il meeting ISCMNS si è svolto in ottobre a Catania; il prossimo ICCF si svolgerà nel 2008 a Washington DC. In Italia un gruppo di studio privato denominato Progetto MEG - Fusione Fredda ha organizzato una raccolta di firme da presentare in Parlamento per sensibilizzare i deputati sul problema. Al termine della campagna (15 aprile 2007) erano state raccolte 4355 adesioni. Non risulta che l'iniziativa abbia avuto qualche esito. La scienza di riferimento è anch'essa contenuta in due acronimi: LENR (Low Energy Nuclear Reactions) CANR (Chemically Assisted Nuclear Reactions). Amano presentarsi come cultori di discipline che possono portare a soluzione i problemi energetici dell'umanità e non solo quelli. Un caso clamoroso in ambito nucleare riguarda la pretesa di avere trovato il modo di condizionare le scorie radioattive prodotte dalle centrali nucleari a fissione. Il caso sarà esaminato ampiamente più avanti. Nella maggior parte si tratta di esperti attivi in altri settori, volonterosamente convertiti al nucleare freddo dopo la conferenza di Fleischmann e Pons, trascinati da un'ondata di entusiasmo e di fiducia che sconvolse il mondo intero per alcuni mesi. Il caso più clamoroso di infatuazione - e certamente il più divertente - avvenne negli Stati Uniti, dove l'anziano elettrochimico Prof. John Bockris della Texas A&M University si spinse ad affermare di avere trasmutato il mercurio in oro: aveva insomma realizzato il sogno degli alchimisti. 23 suoi colleghi su 28 presentarono un documento con la richiesta che venisse cacciato dall'Università senza tanti riguardi. Il testo conteneva espressioni di biasimo come: «Che un esperto uomo di scienza affermi di avere trasmutato elementi è per noi difficile da credere, come se avesse affermato di avere inventato uno schermo antigravitazionale, resuscitato un morto o estratto formaggio da miniere sulla luna. Noi riteniamo che John Bockris abbia ricoperto di vergogna la sua Università». Nel 1997 John Bockris fu insignito dell'Ig Nobel per la fisica, con la motivazione che egli aveva «fatto importanti scoperte nell'ambito della Fusione Fredda e realizzato la trasformazione di "base elements" in oro». La cosa più sorprendente è che nel mondo fusionista John Bockris è tuttora stimato come uno dei padri nobili della Fusione fredda. Anche l'Italia fu toccata dalla frenesia fusionista. Pochi giorni dopo la diffusione della straordinaria notizia, il dottor Francesco Scaramuzzi dell'INFN di Frascati annunciò di avere confermato i risultati dell'esperimento di Fleischmann e Pons, seppure in condizioni sperimentali diverse. Fu intervistato dalla televisione e fu addirittura ricevuto in Parlamento per un'audizione. Molti smarrirono in senso della misura: in occasione di un'intervita televisiva a Stanley Pons, il giornalista Mino d'Amato accusò di superficialità il Direttore della Scuola Normale di Pisa, l'insigne fisico Luigi A. Radicati di Brozolo, perché si dimostrò scettico di fronte alle rivendicazioni fusioniste. Curiosamente molti cultori di questa nuova scienza del "nucleare freddo" sono anche interessati ad altre forme di scienza border line, come l'omeopatia con associata memoria dell'acqua e le trasmutazioni nucleari biologiche, ben esemplificate dalle galline di Kervran, che meritano un momento di attenzione. Il francese Louis Kervran sostenne infatti che, in assenza di calcio nella dieta, le galline possono sintetizzarlo da altri elementi introdotti nel mangime o nell'ambiente di vita. La reazione sarebbe una tipica trasmutazione LENR. Essendo le sue rivendicazioni anteriori alla Fusione fredda, Kervran ne è considerato un importante precursore. Il trait d'union tra memoria dell'acqua e fusione fredda è invece rappresentato dal fisico italiano Giuliano Preparata, che ha dato veste teorica a entrambi i parafenomeni. Che realtà c'è dietro tutto questo apparato così ben organizzato e agguerrito? Che cosa è stato concretamente realizzato dal 1989 ad oggi?
L'annuncio di una sensazionale scoperta. Le premesse erano stimolanti e non lasciavano adito a dubbi: nella conferenza stampa in cui annunciarono la loro scoperta, Fleischmann e Pons parlarono con sicurezza di "sustained nuclear fusion" (fusione nucleare che si mantiene nel tempo) realizzata in un reattore di vetro che potevano reggere in mano. Il principio era semplice ed era basato sulla singolare proprietà del palladio di assorbire a freddo grandi quantità di idrogeno o di deuterio. Il reattore descritto e presentato dai due scienziati era costituito da una cella elettrolitica con catodo di palladio e anodo di platino. L'elettrolita era costituito da una soluzione diluita di un sale di litio in acqua pesante. Nel corso dell'elettrolisi il deuterio si scaricava all'interfaccia palladio/soluzione, penetrava nel reticolo del palladio e andava ad occupare posizioni interstiziali fino a saturazione. Si formava una lega Pd/D, dettagliatamente descritta in numerosi diagrammi di stato che riportano la frazione atomica D/Pd in funzione di pressione e temperatura. La prossimità degli atomi di deuterio dovrebbe consentirgli di fondere con produzione di energia termica. I parametri fisici della reazione di fusione dd (deuterio + deuterio) sono noti da tempo nei più minuti dettagli, perché sono alla base degli esperimenti di fusione calda che si conducono da anni con grandi macchine e grandi investimenti. Si ha fusione dei due nuclei quando essi collidono con un'energia superiore a una soglia strettamente collegata alla barriera di repulsione coulombiana. Sembrava la vittoria della chimica sulla fisica, di Davide contro Golia, della modestia e dell'immaginazione contro un gigantismo finora improduttivo sul piano della generazione di energia. In breve: nella fusione calda la reazione è nota, avviene, ma il bilancio energetico è tuttora negativo. La scoperta di Fleischmann e Pons sembrava capovolgere la situazione, con un bilancio energetico positivo ("excess enthalpy" fu subito definita) ottenuto attraverso apparecchiature estremamente più semplici e meno costose. L'euforia durò poco, precisamente fino al 4 maggio 1989, quando a Baltimora i fisici americani dell'American Physical Society (APS) raccolti in un congresso straordinario decretarono che in base a esperimenti di convalida condotti con grande impegno nei più importanti centri di ricerca americani, tra cui il MIT e il Caltech, le affermazioni di Fleischmann e Pons risultavano prive di fondamento e i due chimici vennero trattati da impostori e incompetenti (Steve Koonin, un fisico teorico del Caltech, usò i termini "incompetence" e "delusion", decisamente inusuali in un congresso scientifico). La sorte accademica e personale dei due fu disastrosa, perché non mantennero la loro posizione all'Università. Pons lavorò a Nizza per la Technova, ma senza risultati noti. Fleischmann si è appoggiato al gruppo di ricerca italiano dell'INFN di Frascati. Anche presso i cultori odierni della fusione fredda, l'atteggiamento nei loro confronti è ambivalente; essi sono costantemente citati nelle pubblicazioni, ma altrettanto costantemente vengono criticati nella conduzione degli esperimenti e nella loro esposizione. Il libro pubblicato dal Co-Presidente della Commissione incaricata dal presidente degli USA di verificare la validità della fusione fredda. È significativo il giudizio espresso dall'ing. Vittorio Violante dell'ENEA, attuale capofila di una ricerca mai interrotta presso questo Ente: «Bastarono pochi anni e dalle stelle si passò alle stalle: era stato preso un grossolano abbaglio, singolare esempio di una scienza spettacolo senza fondamento; non solo, perché quanti continuarono ad occuparsi di ricerca sulla fusione fredda, lo fecero consapevoli di mettere a rischio la propria reputazione scientifica». Se questo è il giudizio espresso da chi si occupa di fusione fredda fin dagli esordi, con dispiegamento di mezzi e di personale, c'è da chiedersi dove si colloca il razionale teorico e sperimentale di quella ricerca. Che scienza si può sviluppare da un abbaglio iniziale? Come mai presso l'ENEA ci si è accorti dell'abbaglio solo a ricerche avanzate, quando ogni altro ente si era disinteressato da tempo di quella "scienza spettacolo"? Che giustificazioni offre l'ENEA al fatto che dai suoi laboratori non esce letteratura recensita, ma solo comunicazioni a Congressi? Violante continua con considerazioni riduttive sorprendenti, se si considera che la ricerca è iniziata nel 1989, quasi diciotto anni fa: «…non è proprio il caso di parlare di applicazioni energetiche o d'altro tipo. Siamo ancora in una fase di ricerca fondamentale e non c'è davvero la possibilità di esprimersi non dico su ipotetiche applicazioni, ma nemmeno sulla possibilità di studi di natura tecnologica senza aver prima definito la fisica del sistema». Fate attenzione ai tempi: questa dichiarazione di Violante, prudente al limite dello scetticismo, è del 2007. Ebbene, dodici anni prima Eugene Mallove, ingegnere aeronautico e spaziale impiegato al MIT, successivamente fondatore e direttore della rivista Infinite Energyrappresentava invece con estro quasi poetico i successi della fusione fredda nell'editoriale di febbraio 1995: «Evento straordinario! La fusione fredda diventa commerciale…». Evidentemente nessuno nel 1995 si accorse che la fusione fredda era diventata commerciale - e nemmeno dopo se accettiamo la ragionevolezza del parere di Violante -, ma certamente Mallove sapeva che una disinformazione massiccia e spregiudicata finisce con il pagare, perché disorienta l'opinione pubblica, tiene desta l'attenzione e riesce a coinvolgere anche utilissime quanto inesperte forze politiche.
La valutazione degli esperti. L'annuncio di Fleischmann e Pons fu in effetti così dirompente che il Presidente degli Stati Uniti Bush (padre) incaricò il Ministero dell'Energia (Department of Energy) di nominare una commissione di 24 esperti, con il compito di visitare i laboratori dove la fusione fredda sembrava essere stata sperimentata con successo almeno qualche volta e di esaminare la validità dei loro presupposti teorici e la loro coerenza con le conoscenze scientifiche acquisite da tempo sulla fusione nucleare del deuterio. Co-presidente della Commissione era il Prof. John Huizenga, un illustre chimico esperto di reazioni nucleari dai tempi del Progetto Manhattan e collaboratore di Glenn Seaborg, Premio Nobel per la Chimica 1951, Presidente dell'Atomic Energy Commission. Da quell'esperienza Huizenga trasse un libro intitolato Cold Fusion, the scientific fiasco of the century, edito nel 1992 dalla Oxford University Press. Il titolo da solo ci informa sui risultati prevedibili dell'indagine. Essi furono: «La fusione nucleare a temperatura ambiente, del tipo descritto in questo rapporto, sarebbe contraria a qualsiasi conoscenza acquisita nell'ultimo mezzo secolo sulle reazioni nucleari». Recentemente ho avuto l'onore di avere uno scambio di corrispondenza con il Prof. Huizenga che mantiene la sua posizione inflessibile sull'argomento e mi incoraggia a smascherarne l'infondatezza. Sarebbe interessante riportare almeno parte delle considerazioni che sono servite agli esperti per respingere la fusione fredda e sottrarla al finanziamento pubblico. Considero però sufficiente riportare in sintesi i punti più importanti.
I prodotti della reazione di fusione sono assenti.
La fusione dd avviene secondo tre modalità che si differenziano per la probabilità di evenienza.
2H+2H --> 3He + n (neutrone) probabilità 0,5
2H+2H --> 3H + p (protone) probabilità 0,5
2H+2H --> 4He* + g (23,8 MeV) probabilità 10-6
I rapporti tra le probabilità (0,5/0,5/10-6) definiscono il branching ratio (rapporto di ramificazione), un parametro molto importante, come si vedrà.
Come si vede, le reazioni 1. e 2. portano alla formazione di neutroni e trizio, che dovrebbero perciò essere presenti come "ceneri" a testimoniare l'avvenuta fusione.
La reazione 3., molto improbabile, è singolare per l'elevatissima energia del gamma di assestamento di 4He* (l'asterisco indica che l'elio è radioattivo g ). Per questa ragione, cioè per l'estrema improbabilità che si formi una struttura così ricca di energia, la dd preferisce le vie 1. e 2.
La breve premessa serve per capire che cosa si deve cercare per stabilire se si è di fronte a una reazione nucleare o a un qualsiasi altro fenomeno chimico o fisico. Precisamente: neutroni, trizio, isotopi dell'elio e gamma. Non è mai stato rilevato un flusso di neutroni proporzionale all'energia termica che si sostiene di avere prodotto; anzi, non è mai stato rilevato alcun flusso di neutroni diverso dal rumore di fondo dello strumento rivelatore, dovuto a neutroni liberati dall'interazione dei raggi cosmici con la materia. Si disse ironicamente che se il flusso di neutroni avesse corrisposto all'energia termica denunciata, Fleischmann e Pons non sarebbero stati in grado di tenere una conferenza stampa, perché sarebbero morti prima, uccisi dalle radiazioni ancora con la provetta in mano. Visto che i neutroni mancavano, il fenomeno fu disinvoltamente descritto da Fleischmann come fusione aneutronica. Sono stati fatti tentativi per giustificare la presunta presenza di effetti termici in assenza dei prodotti di fusione. Forse il più importante di questi tentativi è dovuto al fisico Giuliano Preparata, ordinario di Teoria delle Interazioni Subnucleari dell'Università di Milano, scomparso nel 2000. Si è anticipato che la fusione di due nuclei di deuterio richiede che essi collidano con un'energia superiore a una soglia che si colloca intorno a 150 keV; essi devono cioè superare la barriera coulombiana rappresentata dalle cariche positive dei nuclei. Secondo Preparata, il superamento di tale barriera è possibile anche per energie termiche, poiché gli elettroni d del reticolo cristallino del palladio formano una sorta di schermo che attenua la repulsione elettrica. Tale ipotesi non trova però corrispondenza nella fisica standard. Per giustificare l'assenza di neutroni e di trizio nei prodotti di reazione, Preparata ipotizzò che la reazione di fusione 3., estremamente improbabile secondo i dati sperimentali e la fisica standard, diventasse la più probabile nelle condizioni particolari rappresentate dal reticolo cristallino del palladio. Preparata ipotizzò quindi, in modo arbitrario, una modifica del branching ratio. Nessun team di ricercatori che lavorano sulla fusione fredda è mai stato in grado di presentare alla vista e al controllo di tutti un esperimento riuscito.
Se le cose fossero andate secondo le ipotesi di Preparata (superamento della barriera di potenziale in condizioni termiche; modifica del branching ratio in favore della reazione 3.), gli sperimentatori avrebbero dovuto confrontarsi almeno con la presenza di una intensa radiazione g molto penetrante. Ma, oltre i neutroni e il trizio, anche la radiazione gamma risultò assente. Preparata credette di superare anche quest'ultimo ostacolo, ipotizzando che l'energia del gamma venisse totalmente degradata a energia termica o X molle nell'ambito del reticolo metallico. Per chi ha esperienza in campo nucleare, questa ipotesi risulta sorprendente anche più delle altre, perché un nucleo caldo non può modificare le sue modalità di rilassamento in funzione dell'ambiente, che può essere indifferentemente il vuoto o un reticolo cristallino. Come si vede, Preparata ricorse a tre ipotesi ad hoc per giustificare tre eventi fisici che non hanno mai avuto un riscontro sperimentale riconosciuto dalla comunità scientifica.
Lo stesso Preparata, autore delle tre ipotesi ad hoc (superamento della barriera di potenziale coulombiano; modificazione del branching ratio; mancata emissione di radiazione gamma) ha sentito il bisogno di presentarle come "i tre miracoli". Tre miracoli in serie, come si può vedere, quindi particolarmente improbabili. Se ciò non bastasse, si può anche osservare che le teorie ad hoc non rappresentano un modo corretto di fare scienza. Il testo che le contiene (Capitolo 8° di QED Coherence in Matter, World Scientific) risale al 1995, sei anni dopo il primo annuncio della fusione fredda.
Gli esperimenti non sono riproducibili. 15 anni dopo la prima verifica, il Dipartimento per l'energia convocò un panel di esperti per un secondo parere sullo stato di avanzamento delle ricerche sulla fusione fredda. Fleischmann e Pons non sono mai stati in grado di esibire una cella funzionante, invocando le ragioni più disparate, prima fra tutte la struttura cristallina del palladio che veniva modificata dalle modalità di preparazione. Per non parlare della purezza dei prodotti chimici e dello stesso palladio che non appariva mai sufficientemente elevata. Gli stessi problemi di riproducibilità si presentano anche oggi, per cui nessun team di ricercatori è in grado di indire una conferenza stampa dove venga presentato alla vista e al controllo di tutti, giornalisti e colleghi, un esperimento riuscito. A questo proposito viene riportato un significativo episodio su Preparata. Il 27 novembre 1992, egli partecipò a una conferenza stampa presso il National Press Club di Washington. Gli fu chiesto perché tanti ricercatori fossero incapaci di replicare i risultati di F&P. Preparata rispose: «Tutta questa enfasi sulla riproducibilità è una sorta di cattiva abitudine di alcuni scienziati».
Le pubblicazioni non sono recensite. Il 23 ottobre 2006 RAI News 24 manda in onda un'intervista a un gruppo di ricercatori dell'ENEA che lavorano sulla fusione fredda. Con una certa ingenuità la Dr.ssa Antonella De Ninno, responsabile del progetto insieme a Emilio Del Giudice, Antonio Frattolillo e Antonietta Rizzo, nello spiegare la mancata pubblicazione di un loro rapporto interno, dichiara: «Dopo Nature abbiamo provato con altre quattro riviste, però devo dire che non siamo riusciti ad avere un processo di revisione convenzionale». È quello che accade normalmente: fin dal primo anno, soprattutto dopo la pubblicazione del Rapporto del Ministero dell'Energia statunitense (DoE) avvenuta il 30 ottobre 1989, evento che sarà ricordato nel seguito, nessuna rivista scientifica dotata di referee ha pubblicato materiale importante sulla fusione fredda. De Ninno si meraviglia, ma è in buona compagnia, perché praticamente non esiste letteratura recensita sulla fusione fredda. Non solo: dopo una prima ondata andata a segno, anche gli uffici brevetti respingono invenzioni o ritrovati collegati alla fusione fredda. Ai praticanti in questo ambito restano le solite riviste fatte su misura e nate sull'onda del primo entusiasmo e, soprattutto, i convegni ISCMNS e ICCF, che pubblicano i resoconti degli interventi, parte dei quali sono reperibili in rete. Tutte queste sono però attività di scarso rilievo, lontane dalla normale dinamica accademica.
Dopo 15 anni una seconda verifica. Nel 2004, esattamente dopo 15 anni dalla conferenza stampa di Fleischmann e Pons, il DoE, su sollecitazione di alcuni fusionisti della prima ora, tra cui Michael McKubre dello Stanford Research Institute (attenzione: non ha niente a che fare con la famosa Università) e Peter Hagelstein del (MIT), ricevette l'incarico dal Presidente George W. Bush di replicare l'inchiesta fatta nel 1989. Fu un segno esemplare di serietà di comportamento, di fatto fu concesso un secondo appello. Furono convocati diciotto esperti e a ognuno fu richiesto di esprimere in forma anonima un giudizio su pubblicazioni scelte da quattro esponenti, tra cui i due citati, molto noti nel campo della fusione fredda. In pratica si trattò di un lavoro di revisione di testi. Il risultato è raccolto in poche ma significative frasi:
Nessun revisore raccomanda un programma finanziato dal governo federale e finalizzato allo studio delle reazioni nucleari a bassa energia.
Anche se dal 1989 sono stati fatti progressi significativi nelle misure calorimetriche, le conclusioni raggiunte dai revisori di oggi sono simili a quelle del 1989.
Alcuni revisori sono dell'opinione che non è probabile che altri esperimenti simili a quelli già effettuati durante questi quindici anni siano utili all'avanzamento delle conoscenze in questo campo.
I revisori ritengono che sarebbe vantaggioso sottoporre i lavori a procedimenti di Peer-review (recensione fatta da colleghi esperti nel settore).
Quest'ultimo invito è significativo, anche se non sembra perentorio: la letteratura scientifica deve essere sottoposta a procedimenti di revisione, altrimenti resta solo un documento di utilità personale.
La ricerca sulla fusione fredda in Italia. Come si è accennato all'inizio di questo articolo, dai tempi di Fleischmann e Pons le cose si sono sviluppate nella speranza che dall'idea originaria potessero derivare filoni di ricerca sussidiari. Il più importante è quello della "fusione fredda povera", che fa a meno dei costosi palladio e acqua pesante. È la strada seguita dai fisici Francesco Piantelli (Università di Siena, Dipartimento di Fisica) e Sergio Focardi (Università di Bologna, Dipartimento di Fisica), che impiegano nickel al posto del palladio e acqua leggera al posto dell'acqua pesante. Se c'erano obiezioni teoriche alla fusione fredda classica, qua le obiezioni diventano assolutamente proibitive, perché ogni trasmutazione che coinvolga l'idrogeno (il protone) comporta un'interazione debole praticamente impossibile in termini di sezione d'urto. Insomma: se gli esperimenti di Focardi e Piantelli fossero realmente avvenuti come descritto, tutta la meccanica e l'elettrodinamica quantistica dovrebbero essere riscritte. Lo stesso può dirsi anche per i cosiddetti fenomeni LENR (Low Energy Nuclear Reaction) e CANR (Chemically Assisted Nuclear Reaction) (i fusionisti sono molto bravi a coniare acronimi di fenomeni esotici inesistenti). A proposito dei fenomeni LENR merita di essere segnalato un progetto di finanziamento pubblico del valore di 25 milioni di euro da destinare a un gruppo di lavoro di Frascati dell'INFN guidato dal Dr Francesco Celani, su cui nel gennaio 2005 ha scritto un articolo la giornalista del Sole 24Ore Ludovica Carlesi Manusardi. Oggetto della ricerca avrebbe dovuto essere la trasmutazione dei prodotti di fissione stronzio e cesio in molibdeno e praseodimio rispettivamente, per assorbimento a freddo di quattro nuclei di deuterio da parte di cesio e stronzio in un unico step. Si tratta della cosiddetta invenzione del Dr Yasuhiro Iwamura, un fisico della Mitsubishi. La descrizione del progetto è priva di qualsiasi consistenza scientifica, a cominciare dalla separazione elettrolitica di cesio e stronzio da una soluzione acquosa. Basti ricordare che il cesio possiede il più elevato potenziale standard di ossidazione tra tutti i metalli. L'acqua è un ossidante più efficace dello ione Cs+. Lo stesso vale per lo stronzio. In molte occasioni ho definito Iwamura un imbroglione; la sua ignoranza nella materia che tratta è tanto clamorosa che non gli si può consentire di cercare credito in Italia. Vale infine la pena di riportare i nomi dei due centri italiani finanziati dallo Stato che studiano la fusione fredda in modo istituzionale: si tratta dell'ENEA con il gruppo guidato da Vittorio Violante, un ingegnere chimico, e dell'INFN di Frascati, con il gruppo guidato dal Dr Francesco Celani, un fisico. Esistono poi unità di ricerca gestite da enti privati che cercano collaborazione dove possono, alla disperata ricerca di visibilità e di qualche sostegno concreto. Nell'agosto 2007 ho voluto informarmi presso l'ENEA per quale ragione la fusione fredda fosse ancora allo studio, nonostante venti anni di risultati inconcludenti. Ho ricevuto la seguente risposta: Le persone firmatarie del report non lavorano più su questo argomento da anni e le loro attività non hanno avuto seguito.
A proposito del Rapporto 41 c'è un dettaglio curioso da segnalare: pur essendo datato novembre 2002, reca anche la firma di Preparata che è morto nell'aprile del 2000. Il gruppo Del Giudice, De Ninno, Frattolillo e Rizzo ha quindi abbandonato la fusione fredda senza risultati di rilievo. Resta Violante, che ora si muove con estrema prudenza. È difficile capire l'inerzia con cui l'ENEA tratta l'argomento. In vent'anni le rose avrebbero dovuto fiorire. Evidentemente presso i centri di ricerca italiani esistono delle nicchie protette, dove la ricerca non è sottoposta a scrutinio periodico. Ritengo che l'esperienza di venti anni dovrebbe indurre due centri prestigiosi come l'ENEA e l'INFN a chiudere con una ricerca che può portare solo discredito. In questo senso mi sembrano particolarmente chiare le parole scritte nel 1999 da Robert F. Heeter del Princeton Plasma Physics Laboratory (mia traduzione dall'inglese): «La fusione fredda assomiglia all'alchimia del medioevo. Con il tentativo di trasformare l'idrogeno in energia, la ricerca della verità soffre ora esattamente come 1000 anni or sono, quando si cercava di trasformare il piombo in oro. La seduzione della fama e della ricchezza e il desiderio naturale di credere in buone novità hanno avuto un'influenza corruttrice sullo scetticismo scientifico. Così ricercatori che lavorano in campi estranei alla loro normale esperienza sono più facilmente indotti a interpretare errori sperimentali come risultati positivi. È difficile non essere scettici su una nuova scoperta rivoluzionaria che avrebbe, in un momento così opportuno, un valore economico straordinario e immediato».
Fusione fredda e scienza patologica: un bilancio della vicenda. Il premio Nobel Irving Langmuir che tenne un famoso seminario selle caratteristiche della scienza patologica. Su questo tema in meno di un mese ho ricevuto due lettere interessanti, che meritano di essere conosciute. La più recente (28 dicembre 2007) è di Glenn Elert che lavora in collegamento con il DoE e gestisce il sito Chaos Hypertextbook: «I ricercatori che per primi sostennero di avere scoperto la fusione fredda furono così completamente screditati che ora l'argomento è un ammazza-carriera. Da anni non sento parlare di fusione fredda negli Stati Uniti».
Ammazza-carriera dunque, un'espressione di brutale efficacia. L'altra lettera, datata 10 dicembre 2007, è di Don Groom, un fisico del Lawrence Berkeley National Laboratory; riporta con spirito e gustosi dettagli la situazione che si venne a creare all'Università dello Utah in seguito all'outing poco meditato di F&P. È un piccolo pezzo di storia. Ne riporto la traduzione in italiano: Caro Camillo, che cosa terribile essere riportato a quella vicenda! Il premio Nobel Irving Langmuir tenne un famoso seminario presso The Knolls Research Laboratory il 18 dicembre 1953, intitolato "Scienza patologica". Sebbene molti lo ricordino, la registrazione del discorso andò perduta. Una registrazione di pessima qualità venne comunque fatta e da questa, con un po' di cura, si poté ricavare una ricostruzione ragionevole. Physics Today (42, (10), 36-48, 1989) pubblicò la ricostruzione del discorso, insieme a uno schema divertente sull'evoluzione di una scoperta di scienza patologica: Il massimo effetto osservato è provocato da un agente la cui intensità di azione è a stento rilevabile; la grandezza dell'effetto è sostanzialmente indipendente dall'intensità della causa. L'effetto è di grandezza tale da restare prossimo ai limiti di rivelabilità; ossia molte misure sono necessarie a causa del bassissimo significato statistico dei risultati. Si fanno rivendicazioni di grande accuratezza.Vengono suggerite teorie fantastiche contrarie all'esperienza. Si incontrano critiche accanto a scuse ad hoc. Il rapporto tra sostenitori e critici aumenta, poi cade gradualmente fino all'oblio. Fu interessante che l'articolo di Physics Today fosse stato pubblicato subito dopo che l'errore con frode sulla fusione fredda era venuto alla luce. In rete si trova moltissimo materiale sull'argomento. Farò un commento su quello; non conosco gli altri che tu citi. Ero ancora al Dipartimento di Fisica dell'Università dello Utah, anche se in temporanea inattività, quando Fleishman e Pons fecero il loro annuncio in quel modo. "In quel modo" significa attraverso comunicati stampa e così via; non so se sia mai esistita una loro pubblicazione su una rivista recensita. L'amministrazione dell'Università si entusiasmò e per un po' investì anche dei soldi. Fleishman & Pons, elettrochimici, non parlarono mai con nessuno del dipartimento di fisica e, di fatto, evitarono i fisici. L'idea, per quello che ricordo, era che, qualunque fossero le condizioni sperimentali, del deuterio veniva assorbito in palladio. A intervalli imprevedibili veniva rilasciata una quantità di energia. L'argomento per giustificare la fusione era semplicemente: "Bene, cos'altro potrebbe essere?". Avevo un caro amico nella facoltà di legge che affermava di non capire nulla di scienza. Durante una conversazione telefonica (ero a Berkeley), egli commentò che, qualunque cosa fosse, era una buona cosa. Se era giusta avrebbe risolto i problemi energetici dell'umanità, se era sbagliata, il presidente dell'Università, Chase Peterson, si sarebbe dimesso. Entrambe le ipotesi erano desiderabili. Effettivamente non solo Chase ma anche l'intera alta amministrazione si dimisero prima che la cosa fosse finita, con eccezione del vice presidente per la ricerca, Jim Brophy.
C'erano molti problemi. Fleishman e Pons rifiutarono di condurre l'esperimento di controllo, usando idrogeno invece di deuterio. (La differenza tra fisica e chimica è la differenza che intercorre tra idrogeno e deuterio!) La fusione è accompagnata da una quantità di neutroni. Data l'energia che sostenevano fosse stata rilasciata, il flusso di neutroni avrebbe dovuto ucciderli. In ogni caso essi non cercarono neutroni; anzi, non cercarono alcun indicatore di fusione nucleare. Ci fu il gran numero di lavori teorici che ci si aspettava su un possibile meccanismo. Fallimento finale. Tuttavia, parecchi di noi furono (per poco) entusiasti. Ognuno cercò di replicare l'esperimento; alcuni sostennero di esserci riusciti e più tardi smentirono. Solo loro potevano farlo. Così la maggior parte di noi si accorse che si trattava di sciocchezze. Fleishman e Pons se ne andarono presto. Le compagnie del settore energetico e altri gruppi continuarono e continuano a investirci denaro. C'era anche un tizio impiegato al MIT, che venne totalmente ostracizzato dai colleghi. Ma l'ultimo stadio in ogni situazione di scienza patologica è che un piccolo nucleo di Veri Credenti persevera indefinitamente. La vicenda della fusione fredda dimostra che l'inesistenza di un fenomeno non è un impedimento per continuare la ricerca. Insomma la strana vicenda della fusione fredda ha dimostrato che l'inesistenza di un fenomeno non è un impedimento per continuare la ricerca. Finché saranno disponibili fondi, la ricerca continuerà. I finanziamenti saranno sempre trovati, perché i ricercatori sono poco incentivati a presentare risultati scarsi o negativi, per non perdere i finanziamenti. La chiusura della ricerca sulla fusione nell'Università dello Utah non è servita per accelerare il declino asintotico della fusione fredda. La ricerca è semplicemente continuata da altre parti.
Un libro e il ricordo di Giuliano Preparata. «Io, io» e la coerenza quanto elettrodinamica, scrive Mercoledì 14 Giugno 2017 "Villaggio Globale”. Su materia condensata, FF e Lenr si stende poi inevitabilmente l'ombra di grandi società, di settori militari, dei cosiddetti «interessi forti»; è il loro mestiere esercitare lobbying, intrusioni e tentare di piegare a loro favore anche organismi tecnici e scientifici. Ma non siamo ingenui, e non vogliamo accontentarci delle abituali spiegazioni che per questi «nodi» rimandano in ultima analisi al «grande vecchio» (finanza, impresa capitalistica, multinazionali, servizi segreti ecc.) che tutto controlla e regge in concatenazioni causali che farebbero impallidire il grande Baruch Spinoza. Come, purtroppo, avviene in Italia, persone di valore rispettate all'estero ed ignorate se non combattute in Patria, vengono «scoperte» solo dopo la loro scomparsa. È il caso di Giuliano Preparata i cui lavori vengono pubblicati e commentati in operazioni editoriali sempre più frequenti. Piuttosto che pubblicare recensioni abbiamo preferito chiedere a Massimo Scalia di «parlarci» di Giuliano Preparata. «Io, io», così avevamo soprannominato Giuliano. Era il corso di laurea in fisica dei primi anni 60 ed eravamo un po' infastiditi dall'ingenuo entusiasmo e dalla volontà di protagonismo con i quali Giuliano Preparata si era presentato fin dal primo anno di corso. Solo il passare del tempo mi avrebbe fatto rinunciare, ci avrebbe fatto rinunciare, all'atteggiamento, un po' snob, un po' intellettualistico, che guarda con occhio critico all'entusiasmo e al protagonismo. Senza una buona dose di questi due ingredienti è difficile affermarsi, combattere per qualche cosa in cui si crede. E Giuliano è stato sicuramente un combattente; e quell'ingenuità dei vent'anni si è sempre più rivelata come slancio, curiosità onnivora e vero e proprio amore di sapere. Preparata ha percorso tutta la strada che porta alla notorietà internazionale. Dalla scuola di Fisica fiorentina (i «Gattini») alle esperienze fuori dal nostro Paese (Harvard, Cern e tante altre), il profilo scientifico di Giuliano si è solidamente costruito come quello di un brillante fisico teorico dotato però di grande sensibilità e attenzione alle problematiche dei metodi e delle misure sperimentali dei grandi laboratori della fisica delle alte energie. Giuliano era stato liquidato dal '68 come «forza sana»: con questa etichetta venivano bollati dal movement tutti coloro che invece di lavorare per l'«immaginazione al potere» e contro l'autoritarismo dell'Università e dello Stato pensavano a studiare o al più proponevano la strada del riformismo. Quando ci incontrammo, oltre vent'anni dopo, le analogie delle nostre vite ci fecero sentire più vicini. Inoltre Preparata si era inoltrato in quel percorso che, nell'arcigna corporazione dei fisici, ma non solo, suona peggio che un'eresia: essendosi per una vita occupato di fisica teorica delle alte energie, osava cambiare campo e voleva dir la sua sulla fisica della materia condensata. Per di più, brandendo argomenti [dalla termodinamica dell'acqua, con l'evidenza a favore dell'esistenza di domini di coerenza, alla «fusione fredda» (FF)] che venivano guardati a dire poco con sospetto. È questo percorso che porta Giuliano a mettere per iscritto, è il 1994, la sua teoria sulla coerenza quanto elettrodinamica (QED) della materia e a dare nuovo impulso alle ricerche sulla fusione fredda; il libro esce l'anno dopo. È forse bene rimarcare da subito che la teoria della coerenza QED della materia non è un fungo o solo una geniale trovata di Preparata. Già nei primi anni 50 Robert Dicke aveva proposto un modello di sistemi atomici accoppiati con la radiazione, più precisamente un sistema di N atomi indipendenti su due livelli energetici, per il quale, se investito da una radiazione di lunghezza d'onda molto superiore alla separazione tra i livelli, doveva essere possibile una transizione verso un maggiore ordine, la cosiddetta transizione di fase «superradiante»; e che non ci fosse l'atteso decadimento esponenziale del gruppo di N atomi così stimolati veniva spiegato col fatto che l'interazione atomi–radiazione avviene in modo coerente e collettivo. Proprio poche settimane prima che Fleischmann e Pons (F & P) annunciassero l'esito dell'esperimento sulla «fusione fredda» (23 marzo 1989), Preparata aveva rispolverato alla Winter School di Folgaria la «superradianza»; e pochi anni dopo aveva mostrato come la critica mossa a quella teoria (il non soddisfare l'invarianza di gauge) fosse infondata, in un articolo scritto con Mele e Del Giudice. E la superradianza ha continuato il suo percorso nei pascoli della scienza trovando conferme sperimentali e impieghi teorici anche attuali, ad es. nei sistemi di quantum dot o nella Zel'dovich radiation in Astrofisica. Già, Emilio Del Giudice. Anche lui, il collaboratore di Giuliano per eccellenza, ci ha lasciato; ed è senz'altro amicale il ricordo che lo accomuna a Giuliano, una bella amicizia. Emilio già a partire dai primi anni 80 si era interessato a comportamenti collettivi e coerenti nei sistemi biologici seguendo l'insegnamento di Herbert Frölich. I sistemi biologici sono composti, in ultima analisi, da elementi animati da vibrazioni dovute all'agitazione termica della materia. Pur essendo ogni elemento elettricamente neutro, la sua distribuzione di carica varia nel tempo generando addensamenti di cariche negative in una sua regione e quindi positive nella regione da esse abbandonata. Esso si comporta, cioè, come un dipolo elettrico, cui sono associati un dato modo di vibrazione e la corrispondente frequenza di oscillazione elettromagnetica; e con la stessa frequenza irradia, come fosse una microscopica antenna, una potenza data dalla formula di Larmor per i moti accelerati di cariche. Si può quindi rappresentare un sistema biologico microscopico o un suo componente, ad esempio la membrana o un mitocondrio cellulare, come un sistema di dipoli in oscillazione che emettono onde elettromagnetiche. Sono però oscillazioni caotiche, apparentemente non in grado di poter esercitare una qualche azione distinguibile dal «rumore di fondo». Frölich, uno dei pionieri della Fisica dello stato solido, fu tra i primi a ipotizzare che nei sistemi biologici potrebbe prodursi, sotto certe condizioni, una «condensazione» dei modi di vibrazione dei dipoli in un unico modo di vibrazione collettivo (un dipolo gigante) nello stato più basso d'energia. Nei sistemi biologici, afferma Frölich, ci si attende un gruppo di modi di vibrazioni longitudinali in una regione di frequenze tra 1011 e 1012 s-1. Se questo gruppo viene rifornito di energia a un tasso medio superiore a una certa soglia, allora l'energia fornita non si disperde del tutto come calore ma viene immagazzinata nella forma altamente ordinata di «eccitazioni coerenti». Queste eccitazioni sono stati stazionari (metastabili) dotati di un elevato momento di dipolo elettrico e di vibrazioni elettriche coerenti di alta frequenza. Il fenomeno, osserva Frölich, è considerevolmente simile alla «condensazione di Bose-Einstein» di un gas a bassissima temperatura (3). È interessante rilevare che l'ipotesi di Fröhlich ha avuto conferme sperimentali ed è stata riferimento di molte elaborazioni teoriche decisamente prima della conferma sperimentale della teoria della condensazione di Bose-Einstein (1925), che ha dovuto attendere 70 anni (e ha poi fruttato il Nobel, nel 2001, a Cornell, Ketterle e Wieman che l'avevano riprodotta). Attribuire comportamenti coerenti ai sistemi biologici è un fatto decisamente nuovo, che li assimila, per questo aspetto, ai laser, ai superconduttori e ai superfluidi. La congettura e gli studi di Fröhlich hanno aperto la strada a miriadi di ricerche teoriche e sperimentali sul tema della coerenza nei sistemi biologici, nella materia.
La «fusione fredda»: interazioni collettive e coerenti. E rappresenta anche una nuova cultura scientifica, che trova uno dei banchi di prova nel dibattito sulla FF e successivamente sulle Lenr (Low Energy Nuclear Reactions). In questo contesto è «filologicamente» importante sottolineare un'affermazione di un articolo del '94 che Giuliano scrive sul «Nuovo Cimento» insieme a Fleischmann e a Pons: «...Tutti i tentativi teorici che si concentrano soltanto su interazioni a pochi corpi, sia elettromagnetiche sia nucleari, sono probabilmente insufficienti a spiegare tali fenomeni. D'altro canto abbiamo buone indicazioni che le teorie che descrivono interazioni collettive e coerenti tra componenti elementari che portano a effetti macrosopici di natura quantistica appartengono alla classe delle teorie possibili per quei fenomeni». Infatti chi ha seguito la vicenda, dalla FF a quelle che ormai da tempo si chiamano Lenr, sa che questo è un vero punto di inciampo. Anche se l'attuale teoria WLS, di cui parleremo più avanti, incontra meno ostacoli e «riprovazione» da parte dei gruppi che dettano legge nel campo della Fisica, rimane una sorta di divario culturale tra chi è abituato a considerare, come nella Fisica delle alte energie, urti particella-particella (quel che avviene nel Large Hadron Collider del Cern) e chi ha fondati motivi teorici e sperimentali per ritenere che certi fenomeni macroscopici di natura quantistica possano essere interpretati solo in termini di «interazioni collettive e coerenti tra componenti elementari». Resta fuor di dubbio che la coerenza QED della materia non nasce davvero come oggetto esoterico, ma si alimenta di teorie, sperimentazioni e idee a tutt'oggi diffuse e praticate in diversi settori scientifici. Ed è la teoria che fornisce a Preparata il valore di «caricamento», cioè il rapporto tra atomi di Idrogeno e di Palladio, necessario perché nell'esperimento di F & P si inneschi l'eccesso di calore: 0,95. Già questo fa capire la principale difficoltà incontrata da tanti ricercatori nel tentativo di riprodurre quei risultati: realizzare le condizioni per ottenere, appunto, la soglia al di sotto della quale la FF, o quel che sia, diventa assai poco probabile. Giuliano Preparata, che ha girato il mondo anche in vari laboratori sperimentali d'eccellenza e che, sebbene fisico teorico, ha sempre coltivato il gusto «galileiano» della sperimentazione, cerca le condizioni ottimali, anche dal punto di vista della calorimetria, per la replica dell'esperimento di F & P: la cella elettrolitica, col catodo di Palladio, sede della reazione Deuterio-Deuterio che ha prodotto l'eccesso di calore in quantità non compatibili con una reazione chimica, ma solo con una reazione nucleare. Il 1° marzo 1996 viene da lui annunciata la costituzione insieme a Emilio Del Giudice di Leda (Laboratorio di elettrodinamica avanzata), che al logo dell'acronimo unisce l'immagine della fanciulla cara a Giove; e pochi mesi dopo si vedono i primi risultati degli esperimenti che continueranno in Leda per tutto il 1997. Mettere in piedi un laboratorio e fare degli esperimenti, che implicano il costo di molte centinaia di milioni di lire, è reso possibile da un gruppo di sponsor, tra i quali Tronchetti-Provera (allora AD di Pirelli) e Massimo Moratti, e dall'«azione parallela» di una Diotima, che è Milly Moratti, moglie di Massimo. È una fisica e una militante ambientalista, che si rivolge naturalmente a me, un fisico eletto alla Camera per i Verdi. Vado varie volte a Milano, e ho modo di rincontrare lì il mio vecchio collega Giuliano. Quam mutatus ab illo! Lo ritrovavo combattivo come sempre, ma messo in un angolo a causa delle sue ricerche e della sua teoria: il peccato mortale di percorrere linee di ricerca che l'establishment considera «esoteriche», se non «patologiche» come la FF. L'esperimento però funziona, c'è una produzione di eccesso di calore con un guadagno del 100% e una riproducibilità e una continuità, il cui non conseguimento era stato il maggior ostacolo alla credibilità della fusione fredda. Niente flusso di neutroni però, una delle caratteristiche fondamentali di una reazione nucleare; e a me, un po' preoccupato di questa assenza, Giuliano spiega con un mezzo sorriso che è uno dei «miracoli» della FF. Solo tre anni prima, infatti, John R. Huizenga, uno dei commissari che nel 1989 ne aveva respinto il finanziamento, aveva seppellita la FF come «The Scientific Fiasco of the Century», indicando ironicamente i tre «miracoli» della FF: la mancanza di forti emissioni di neutroni, la mancanza di significative emissioni di raggi γ o X e la penetrazione della barriera colombiana tra cariche positive. L'imbarazzo per la mia gaffe, onestamente involontaria e non senza fondamento, è però immediatamente superato perché bisogna scendere giù, nell'aula grande del Dipartimento di Fisica dell'Università di Milano presso cui è insediato Leda. L'aula, gremita, accoglie in silenzio ma con rispetto e interesse il seminario in cui Giuliano illustra metodi e risultati ottenuti; e l'esperimento verrà validato di lì a poco per la prima volta. Riceverà, la seconda volta, una bocciatura da un gruppo di tecnici che però odorano molto di concorrenza. Otterrà infine un'altra validazione da un team capitanato da Francesco Scaramuzzi, leader del gruppo di ricercatori dell'Enea di Frascati, che, pochi giorni dopo la pubblicazione dell'articolo di F & P, aveva rilevato un eccesso di calore anomalo generato dall'assorbimento da parte del Titanio di un gas di Deuterio. E qui è opportuno rilevare che questo esperimento, presentato all'Accademia dei Lincei il 22 aprile 1989 da Emilio Colombo, presidente dell'Enea, rappresenta un'altra strada di sperimentazione per la FF, alternativa al metodo «elettrolitico». È la strada lungo la quale si sono mossi, a partire dal 1989, Piantelli e Focardi a Siena e a Bologna, e poi, in tutti questi anni Francesco Celani, costantemente oggetto di tentativi di chiusura del suo laboratorio e, invece, con molti maggiori riconoscimenti, Iwamura in Giappone. Sulla base di un quarto di secolo e passa di esperimenti e di dibattito sono giunto alla conclusione che la reazione per contatto diretto, senza cioè la cella elettrolitica, di Deuterio con un materiale nano strutturato (Titanio, Nichel, Palladio, Costantana ecc.) sia la via più promettente, anche perché meno complessa, per ottenere una produzione di energia «pulita»; che era poi la grande promessa che, incautamente e prematuramente, F & P formularono in quell'ormai lontano 23 marzo del 1989. Tornando a Milano e a Leda, gli sponsor si ritirarono nonostante i passi avanti fatti e si pose allora il problema di mantenere in vita la ricerca e il laboratorio della piccola società. È a partire dall'ottobre del '96 che, nella mia veste di parlamentare, mi battei perché quell'esperienza così significativa non andasse perduta. L'Infn, che all'epoca aveva assicurato al Governo «la disponibilità a considerare e sostenere senza alcuna preclusione ricerche nel settore della cosiddetta fusione nucleare fredda», non si mosse. Diversa invece la sensibilità che mostrarono all'Enea il direttore generale, Renato Strada, e il presidente, Carlo Rubbia; alla fine riuscimmo con Giuliano a incardinare Leda e il suo know-how nel contesto delle ricerche sull'energia da idrogeno dell'Enea di Frascati. Ed è sicuramente da apprezzare il rigore, e anche un saldo buon senso friulano, con cui Rubbia affrontò la vicenda, non facendosi condizionare dai ripetuti pronunciamenti sulla FF come «junk science», magari avanzati da parte di ricercatori sulla fusione «calda», assai determinati a non voler spartire il «loro» budget di ricerca. Rubbia pose la questione nei termini usuali della ricerca scientifica; del verificare, cioè, se quanto collaudato più volte da Preparata e Del Giudice con Leda fosse riproducibile nei laboratori di Frascati.
Il Rapporto Enea 41/2002 e la morte di Giuliano. E nel '99 parte l'esperimento (6), che si giova oltre che dei due di Leda anche dei ricercatori del «gruppo Idrogeno» dell'Enea-Frascati; con tre anni di tempo a disposizione e un budget di 600.000 euro. Il 24 aprile 2000 Giuliano muore per la malattia che, senza incrinare la sua determinazione, lo aveva però minato negli ultimi anni; e sei mesi dopo, in occasione di un seminario in suo ricordo, Rubbia si impegnerà a rilevare anche Leda, in modo da evitare il fallimento della piccola società (7); la ricerca verrà completata e i risultati riportati in un rapporto interno dell'Enea dell'aprile 2002, il «Rapporto 41» De Ninno et al.(8).
Che cosa aveva trovato il gruppo De Ninno nella serie di esperimenti condotti a Enea-Frascati? Innanzitutto che solo se il catodo di Palladio ha la forma di una striscia stretta e sottile (un film di spessore 1-2 micron), e non di una placca, il fattore di carico x = [D]/[Pd] si porta al valore 1 in pochi minuti. La fase «supercritica», sempre con x = 1, viene raggiunta in circa due ore e mezza dall'inizio dell'elettrolisi, dopo questa soglia appaiono le seguenti «anomalie»:
i. l'aumento del contenuto di 42He (Elio) continua per tutta la fase supercritica fino a un valore, più di sette volte quello iniziale, che si mantiene poi costante per tutta la fase di osservazione.
ii. Un incremento di temperatura al catodo che segnala l'atteso eccesso di calore. Le due anomalie si presentano insieme, pur nei diversi tempi di risposta; l'azzeramento del potenziale del catodo (dopo dodici ore di funzionamento) determina la scomparsa di entrambe le anomalie. Dalla quantità di 42He prodotta nel corso dell'elettrolisi si può calcolare la potenza prodotta, in base alla conversione.
iii) D + D → 42He + γ + 23,8 MeV, dove il MeV è una misura d'energia usata nel mondo subatomico, pari a 106 eV (1eV = 1,60·10-19 J).
Gli strumenti utilizzati erano stati sottoposti ad accurati controlli (taratura, calibratura ecc.), e una particolare attenzione era stata dedicata alla rimozione totale dei gas non inerti dalla miscela gassosa prodotta nel corso dell'elettrolisi per garantire l'affidabilità delle misure delle piccole quantità di Elio prodotte nei vari esperimenti. Quindi la discrepanza, registrata nel corso dei vari esperimenti eseguiti e che aumentava con l'aumentare della potenza prodotta, tra la potenza calcolata in base alla iii) e quella valutata semplicemente in base all'aumento della temperatura al catodo, poteva essere ricondotta alle condizioni di non equilibrio termico in prossimità del catodo e alla conseguente perdita per irraggiamento dalla superficie del film di Pd. Era stata addirittura raggiunta la fusione parziale del catodo (1828 K) senza un aumento apprezzabile della temperatura dell'elettrolita, cioè senza che quella fusione parziale fosse stata rilevata calorimetricamente. Nel «Rapporto 41» i ricercatori potevano perciò affermare che la produzione di 42He – che ha luogo insieme a quella di eccesso di calore quando x = 1 – testimonia il carattere nucleare dei processi che hanno avuto luogo nella cella: una reazione nucleare, la iii), ottenuta invece con processi puramente elettro-chimici. Nelle considerazioni conclusive il gruppo riaffermava, come possibile interpretazione teorica del fenomeno, la iii) come reazione di fusione, cioè quella, e non poteva non essere così, fornita da Giuliano Preparata. A cominciare dall'effetto Cöhn-Ahronov, come l'aveva battezzato Giuliano e che nel rapporto, in omaggio a lui che non c'è più, veniva ridefinito come «effetto Preparata»: vale a dire, in termini sperimentali, la depressione del potenziale chimico del Deuterio nel Palladio (per x > 0,7) e il corrispondente aumento del tasso di caricamento, quando viene applicato al catodo un potenziale elettrico. Purtroppo gli stanziamenti al gruppo per procedere con altri esperimenti non vengono rinnovati, Rubbia non è più presidente dell'Enea, e viene finanziata un'impegnativa ricerca che, portata avanti da Vittorio Violante per l'Enea con Stanford Research Institute (Sri), Naval Research Laboratory Washington D.C., Energetics Technologies Inc., Energetics LLC e La Sapienza, consegue risultati importanti ma parziali, il 65% di riproducibilità all'Enea e il 75% allo Sri. Il nome di Giuliano Preparata è indubbiamente legato alla FF, ma la sua produzione scientifica è stata ben più ampia e di grande rilievo in vari settori, come illustrò Rubbia nella commemorazione di Giuliano sei mesi dopo la sua morte (8). Ma a questo punto chi legge può essere interessato alla domanda: «Com'è finita la storia della FF?».
L'eccesso termico: reazione nucleare, ma non di fusione. Anni dopo, a 20 dall'esperimento di F & P, Peter Hagelstein eseguì delle stime per calcolare le emissioni di neutroni e raggi X nella reazione iii) D + D → 42He + γ + 23,8 MeV, in corrispondenza all'energia con cui «nasce» l'atomo di Elio e ai diversi processi che possono originare quelle emissioni. La conclusione cui pervenne appare una sostanziale, anche se cauta, conferma della linea di ricerca e dei risultati ottenuti sull'arco di quindici anni, fin dall'esperimento di McKubre, passato alla storia della FF come M4 ed eseguito nei laboratori dello Sri nel 1994 [(ma la prima pubblicazione dei risultati di M4 in sede scientifica è quella citata in nota].
L'esperimento M4 ha continuato a esser considerato da molti addetti ai lavori come la più accurata evidenza sperimentale della reazione di fusione iii), al punto da motivare un esperimento analogo («the case replication experiment») i cui risultati vennero riportati in un rapporto tecnico stampato nel 1998 dall'Epri (Electric Power Research Institute), l'Istituto che era stato lo sponsor della «replication» effettuata sempre presso lo Sri. Hagelstein era stato ampiamente coinvolto nel tentativo di «reinterpretare» M4 e nel «replication experiment» come conferma della reazione iii); e questa reinterpretazione era stata alla base di una lettera e di un successivo rapporto presentato al DoE degli US nel luglio 2004 per sollecitare attenzione e finanziamenti. L'esito era stato uno «sdoganamento» della FF, ammessa come settore di ricerca scientifica, ma con nessun riconoscimento per uno stanziamento ad hoc nel budget federale della ricerca. Si era dipanata una vicenda complessa e non certo esente da critiche e la riflessione di Hagelstein sui «constraints» suona perciò anche come una sorta di bilancio e una difesa. In definitiva, come consuntivo di due decenni di FF, mentre appare innegabile in molti esperimenti un'evidenza per la produzione di un eccesso di calore, assai più di quanto ne possa produrre una reazione elettrochimica, in concomitanza con la produzione 42He, non vengono rilevate quantità significative degli altri prodotti in uscita dalla reazione D – D secondo il canale iii), attesi se fosse una fusione nucleare: neutroni, raggi X o γ, Trizio, o trasmutazioni di elementi. Per giustificare queste assenze e la penetrazione della barriera coulombiana, i tre miracoli della FF su cui aveva ironizzato Huizenga nel suo «The Scientific Fiasco of the Century», molti ricercatori avevano fatto fede al «most surprising feature» della FF subito segnalato da F & P; e avevano continuato a interpretare i fenomeni della FF sulla base della reazione iii), quella però di gran lunga meno probabile rispetto ai canali i) e ii). O si erano accontentati dei risultati senza impegnarsi in interpretazioni teoriche. Nel «case replication experiment», mirato a verificare che la reazione che avviene sia proprio la iii), venivano misurati 32 MeV per atomo di Elio, cioè una deviazione troppo grande (circa il 40%) rispetto al valore atteso di 23,8 MeV della iii); quindi una smentita, proprio da quello che è stato ritenuto l'esperimento più significativo a favore della FF [e fu questa rilevante discrepanza all'origine del criticato tentativo di «reinterpretazione»]. E del resto un interrogativo generale ha sempre pesato come una spada di Damocle sull'interpretazione che la FF sia una fusione nucleare che avvenga secondo il canale iii): «Poiché questo è il canale più altamente improbabile – 10-6 – rispetto agli altri due, equiprobabili, in cui può avvenire la reazione D – D, perché mai la natura dovrebbe scegliere proprio questa soluzione?». Insomma, si è di fronte sicuramente a una reazione nucleare, per l'eccesso di calore misurato in moltissimi esperimenti in quantitativi superiori di alcuni ordini di grandezza a quello che può produrre una reazione elettrochimica, ma non c'è alcuna evidenza sperimentale che comprovi che la reazione nucleare sia una reazione di fusione, e che sia la iii). E sul piano dell'interpretazione teorica non emerge una teoria condivisa in grado di spiegare i processi nucleari che presiedono alla FF.
Una spy story. Parallela? In ogni caso, questa difficoltà di sistemazione teorica della FF non ha mai scoraggiato le ricerche militari. I bene informati sostengono infatti che già alla fine del 1989 la Nasa aveva riprodotto la FF, i mezzi non le mancavano certo, e le Lenr rientrano, a tutt'oggi, tra le sue opzioni di ricerca. Così testimonia in termini decisamente positivi un suo chief scientist, Dennis Bushnell, nel sito Nasa Technology Gateway (il quale sito, oltre che per il trasferimento di tecnologie, si qualifica come A place to purchase Lenr technology). Del resto nel Technical Report rilasciato da un laboratorio della U.S. Navy nel 2002, oltre alla vasta rassegna delle ricerche compiute dalla Marina nel periodo 1989 – 2002, c'è la conferma di vari esperimenti nei quali oltre all'eccesso di calore viene rilevata la produzione di 42He, come presumibile effetto di reazioni nucleari all'interno della cella. Questo interesse dei militari, forse in epoca anteriore alle stesse ricerche di F & P, e il loro ruolo nella vicenda mi divennero molto più chiari dopo una lunghissima chiacchierata con Martin Fleischmann a Venezia, ormai tanti anni fa (non c'era più Giuliano, ma c'era Emilio). Fleischmann era di passaggio per l'Italia e mi dette la sensazione di uno che volesse «alleggerirsi» un po' di quella pratica cui, si dice, sono sottoposti gli scienziati, consenzienti, sudditi di Sua Maestà: la visita di due distinti gentiluomini, qualche tempo dopo una partecipazione a una conferenza all'estero o a qualche evento scientifico, che richiedono quali siano stati i temi affrontati e la loro importanza per la sicurezza nazionale. Fleischmann richiamò la nostra attenzione su un vecchio articolo di Bridgman degli anni 30 sugli effetti di una pressione «ultracritica» su un metallo (Percy W. Bridgman aveva preso il Nobel nel 1947 proprio per la Fisica delle alte pressioni) e ci pose con qualche giro di parole la questione di che cosa potrebbe succedere se il metallo fosse Uranio fissile «caricato» con Idrogeno e sottoposto a una forte pressione, come quella di una «percussione». Il seguito della storia è ben raccontato nell'avvincente libro di Mauro Torrealta e Emilio Del Giudice. Ma lasciando da parte storie militari, come rispondere a quell'interrogativo di «Damocle»? Come spiegare, se non va bene la iii), la presenza di Elio registrata in tanti esperimenti? C'è bisogno di un nuovo punto di vista, una nuova teoria. Non credo davvero che possa risuonare come una sorta di «offesa» proporre in un memorial di Giuliano una teoria che ha «superato» la sua. Non era davvero lo spirito dell'uomo, che avrebbe peraltro difeso a spada tratta la sua «creatura», pronto però a riconoscere gli argomenti dell'altro. Del resto questa è una mia affermazione, anche un po' provocatoria nei confronti di tanti ricercatori che nonostante «gli scherni e gli oltraggi», e non fruendo di una loro spiegazione del fenomeno, continuano imperterriti a chiamare fusione fredda una reazione nucleare che sicuramente fusione non è, come mi pare sia stato mostrato al di là di ogni ragionevole dubbio. E del resto anche Preparata e Fleischmann non si erano voluti impiccare all'esclusività della reazione iii) e avevano elencato a suo tempo gli ingredienti di una teoria possibile nel quadro di riferimento della QED, come abbiamo già sottolineato (4) e che è opportuno ripetere: interazioni, sia elettromagnetiche sia nucleari, collettive e coerenti e non a pochi corpi. Solo così le interazioni tra componenti elementari possono portare a effetti macroscopici di natura quantistica, del tutto imprevedibili sulla base delle conoscenze scientifiche acquisite e dei corrispondenti punti di vista dominanti.
La teoria Widom, Larsen e Srivastava (WLS). Il nuovo orizzonte teorico delineato negli ultimi dieci anni sottrae il discorso delle reazioni nucleari a bassa energia a quel che è ormai diventato un ridotto, la FF. Se, come spero risulti chiaro, non è producente intestardirsi sull'interpretazione dell'esperimento di F & P come reazione di fusione, perché i dati sperimentali non lo consentono e le teorie proposte spiegano troppo o troppo poco, non è però certo da buttare quella messe di solidi dati sperimentali accumulati per vent'anni sulle Lenr, e che non possono essere scartati come affetti da errore. D'altro canto, perché nel tentativo di spiegare i risultati non si è mai invocato il «modello standard», cioè la teoria delle interazioni elettrodeboli e forti tra tutte le particelle elementari, note o previste dalla teoria stessa, costruito a partire dagli anni 60 e universalmente accettato? Il nuovo punto di vista, la nuova teoria viene proposta a partire dal 2006 da Allan Widom, Lewis Larsen e Yogendra Srivastava; quest'ultimo poi è stato anche lui collega universitario e amico di Giuliano e ne ha seguito la sorte di diffidenza e, addirittura, di pesanti pubbliche «scomuniche, rientrate poi nel corso del 2013 e delle quali non vale più parlare adesso. La teoria WLS fornisce un'interpretazione delle Low Energy Nuclear Reactions intesa a spiegare non solo quella che abbiamo chiamato FF nei metalli carichi di protoni o deutoni (metallic hydride), sia in cella elettrolitica sia in contatto diretto senza soluzione, ma, più in generale, fenomeni macroscopici, alcuni presenti in processi del tutto naturali, che hanno origine proprio dalle Lenr. È importante sottolineare subito che, nonostante certi elementi teorici risultino di difficile «digeribilità» per molti, come vedremo, WLS si sono proposti, fin dai primi passi, di spiegare i risultati sperimentali senza invocare una «nuova fisica» al di là del «modello standard». La teoria WLS, rifiutata l'ipotesi della reazione di fusione D-D, propone come «protagonista» delle Lenr l'inversione del decadimento β. Il decadimento β, il cui studio fruttò il Nobel a Fermi nel 1938, è la transizione da neutrone a protone con l'emissione di un elettrone e-, la particella β, e un antineutrino νe iv) n → p + e- + νe. L'esistenza di νe fu prevista teoricamente da Wolfgang Pauli subito dopo la dimostrazione sperimentale dell'esistenza del neutrone (1932): infatti, se il decadimento β avesse come esito un processo a due soli corpi (protone – elettrone), e non a tre come in iv), si violerebbe la conservazione della quantità di moto.
L'inversione di iv) è v) ẽ- + p → n + νe, dove νe è il neutrino associato al neutrone, sempre per la conservazione della quantità di moto; ẽ- è l'elettrone «vestito», reso cioè massivo da un campo di radiazioni elettromagnetiche di potenza W. Ciò vuol dire che, in virtù dell'equivalenza di Einstein E = m c2, l'elettrone ha acquistato energia sufficiente per interagire con il protone e produrre neutroni. Lo schema completo per la v) è quindi v') W + e- → ẽ-, ẽ- + p → n + νe, e il «rivestimento» dell'elettrone da parte del campo elettromagnetico che lo rende più massivo è la «rinormalizzazione», secondo quanto prevede il modello standard.
Si può pensare al catodo di Palladio della cella elettrolitica di F & P o a un semplice filamento metallic hydride. I deutoni, o protoni, si dispongono sulle superficie del metallo in «patches» in grado di attrarre gli elettroni che fluiscono nel catodo, o nel filamento, come corrente generata da una differenza di potenziale. I «patches» oscillano collettivamente e le loro oscillazioni coerenti iniziano ad accoppiarsi sulla superficie del metallo con le oscillazioni collettive del plasma di elettroni. All'aumentare dell'ampiezza delle oscillazioni dei protoni aumenta il campo elettrico medio della radiazione da loro emessa, la cui potenza W produce la «rinormalizzazione» della massa degli elettroni, m = β me (β ≥ 1) , maggiore di me, massa dell'elettrone «nudo» (cioè libero da interazioni). Al di sopra di una certa soglia β0 (β ≥ β0) gli elettroni del plasma acquisiscono tanta energia da poter reagire con i protoni (o i deutoni) per creare neutroni attraverso la v). I neutroni prodotti sono «ultra-cold», hanno cioè un impulso estremamente piccolo e quindi una bassissima probabilità di sfuggire dalle micro-regioni della superficie metallica dove sono stati originati. Hanno invece enormi sezioni d'urto d'assorbimento da parte del metallo, cioè un'elevatissima probabilità di produrre localmente delle reazioni nucleari; e si può mostrare che c'è anche un elevata soppressione di raggi γ, dovuta agli elettroni divenuti più pesanti. I fenomeni che hanno cercato risposte per vent'anni cominciano a poter essere interpretati senza dover ricorrere a spiegazioni e teorie che vadano oltre quelle scientificamente condivise, ma possono essere inquadrati, secondo le iv), v) e v'), nell'ambito della teoria delle interazioni elettrodeboli del «modello standard». Ai tre «miracoli» della fusione fredda il modello WLS risponde: i) non c'è flusso di neutroni «energetici» da attendersi in uscita perché i neutroni generati tramite la v) sono «ultra cold», non hanno cioè energia sufficiente per fuggire dalla superficie del catodo in cui «nascono» e vengono invece assorbiti nel metallo; ii) non ci sono significative emissioni esterne di raggi γ o X perché questi vengono catturati dagli elettroni massivi del plasma, che re-irraggiano nella forma di energia elettromagnetica molto più «leggera» (infrarosso); iii) non c'è infine il problema di superare la «barriera coulombiana» (che esisterebbe tra le cariche di ugual segno, i Deutoni, se la reazione fosse di fusione) perché nella v) ci sono neutroni (e neutrini), che non hanno carica, e protoni e elettroni, che si attraggono. Tutto liscio, allora? Eh no, seppure a opera di elettroni molto energetici l'inversione della transizione β configurata in v), un protone che decade in neutrone, non è facile da accettare perché il protone in condizioni ordinarie è una delle cose più stabili dell'universo. E quello che è il punto centrale della teoria WLS viene infatti definito «intriguing possibility» e confutato (Ciuchi et al) (23), provocando però un'immediata risposta. Le Lenr insomma non sono più «scienza patologica», sono qualcosa con cui ci si deve confrontare. Last but not least, le Lenr possono essere sorgenti di energia «pulita», proprio perché non vengono emesse radiazioni di quella intensità che ci si attenderebbe se la FF fosse una reazione di fusione. E in effetti, non è morto per radiazioni nessuno dei molti ricercatori che pure nel corso degli anni si sono cimentati con gli esperimenti di FF. Invece l'eccesso di calore che aveva richiamato e richiama tante speranze viene spiegato, nell'ambito del modello WLS, in termini delle molteplici reazioni nucleari dei neutroni, prodotti secondo la v), con i materiali al catodo. Se il riferimento è a una cella elettrolitica, ad esempio, e se la superficie metallica è rivestita da Litio, l'assorbimento successivo di neutroni porta da 63Li a 42He, con una rilevante produzione d'energia. La reazione 63Li + 2n → 2 42He + e - + νe genera infatti una rilevante quantità di calore: Q ≈ 26,9 MeV.
A sua volta, l'Elio può assorbire neutroni e riprodurre Litio, tramite la catena di reazioni che porta a 42He + 2n → 63Li + e- + νe con Q ≈ 2,95 MeV.
Il ciclo completo delle reazioni sopra descritte rilascia una significativa quantità calore di alta temperatura attraverso reazioni nucleari che non sono reazioni di fusione. Non c'è più la FF, ma resta un'indicazione di fondo di Giuliano Preparata, quella dell'interazione collettiva tra le oscillazioni coerenti del plasma di protoni e le oscillazioni del plasma di elettroni, che ha luogo sulla superficie metallica del catodo durante l'elettrolisi. La teoria WLS aggiunge che è l'energia elettromagnetica conferita agli elettroni dalle oscillazioni dei protoni a rendere possibile l'accoppiamento con i protoni per produrre neutroni, secondo lo schema v'). I neutroni così generati, di bassissima energia, non fuggono dal catodo ma interagiscono a più riprese con gli elementi leggeri in esso presenti: reazioni nucleari che producono significativi eccessi di calore, reazioni nucleari a bassa energia (Low Energy Nuclear Reactions).
Giuliano Preparata e qualche riflessione. La produzione scientifica di Giuliano è stata estremamente vasta, oltre 400 lavori, un numero impressionante, che spaziano dalla Fisica dei laser alla Superconduttività, Superfluidità, alla Fisica delle stelle e dei neutroni, all'Astrofisica dei GRB (Gamma Ray Bursts); ovviamente includendo la Materia condensata e la FF di cui abbiamo parlato. Partito dalla Fisica delle particelle elementari, la scuola fiorentina di Gatto degli anni 60, Giuliano è andato oltre trasferendone i concetti e le idee in altri campi con grande creatività e originalità di pensiero. Negli anni 70 ha portato contributi teorici fondamentali per l'unificazione della forza elettromagnetica con la forza nucleare «debole» nella forza elettro-debole, uno dei pilastri del «modello standard». Negli anni 80 ha dimostrato il quark confinement, risolvendo così il problema del confinamento del «colore» nell'ambito della Cromo-Dinamica Quantistica (QCD). A partire dal 1987 ha rivolto la sua attenzione alla materia condensata, affrontando problemi come la teoria dell'acqua liquida, ferro-magneti, elio 3 e 4 liquido e solido ecc. È proprio in questi studi che Giuliano, insieme a Emilio Del Giudice, «rivendica» la Teoria Quantistica dei Campi come teoria fondamentale nello studio della materia, che sostituisce al raggrupparsi via via di particelle per costituire, gerarchicamente, i diversi ordini di realtà materiale, i «campi», ovvero oggetti immateriali che si estendono nello spazio e nel tempo, e che nei processi di reciproca interazione, là dove il «fenomeno» si manifesta ai nostri sensi o alla rilevazione degli strumenti, solo là appaiono in forma corpuscolare (i «quanti» del campo), perché solo là dove avviene lo scambio di energia-impulso essi si mostrano come unità indivisibili. È insomma una concezione opposta a quella della Scuola di Copenhagen, che è ancora sostanzialmente alla base della teoria della Fisica delle particelle elementari dalla quale Giuliano era partito. La teoria quantistica dei campi esige infatti un'interconnessione, in questo è il suo realismo, una sorta di «solidarietà» antitetica alla visione di particelle o atomi individuali in un perenne conflitto di urti «uno contro uno»; e diventa il terreno teorico per il superamento, come si è accennato, della barriera tra inorganico e vivente. I campi sono «onde» che si propagano nello spazio e nel tempo, responsabili di quell'entanglement quantistico che tanto fascino sembra esercitare sui neofiti; onde che viaggiano con una loro fase, e quindi gruppi d'onde coerenti, cioè tutte con ugual fase, sono capaci di amplificazioni analoghe a quelle registrabili coi laser. Certo, non mi pare questo a tutt'oggi il mainstream del pensiero fisico, ma non sembrerebbe neanche tale da comportare quell'avversione che si è in realtà scatenata particolarmente contro la FF, al punto da creare sofferenza (e chi non ricorda qualche risposta stizzita o tranchante di Giuliano) nei suoi ricercatori, molto al di là di quanto un contrasto scientifico possa motivare. Il carattere «innovativo» che mi pare si possa predicare dell'avversione contro la FF come junk science è che mentre sono note forme «persecutorie» nei confronti di qualche scienziato, anche illustre, il caso della FF ha riguardato invece molte centinaia di ricercatori e migliaia di esperimenti, che pure erano riusciti a realizzare. E con un coinvolgimento significativo anche dei media e della carta stampata con i rispettivi consulenti scientifici. Di fronte a tanto contrasto è stata certo l'amicizia e la solidarietà scientifica con Emilio a permettere a Giuliano di resistere; e l'amore profondo e attento di Emilia Campochiaro, la moglie, che perdura anche nella conservazione della memoria dell'attività scientifica di Giuliano. Sotto la pressione del «tallone di ferro» della scienza «ufficiale» la reazione di Giuliano fu quella di vagheggiare anche lui quella «Repubblica delle Lettere», partorita dall'Umanesimo italiano e sognata da Galilei, i cui «abitanti», spiriti liberi amanti della verità, si riconoscevano sulla base delle competenze senza alcuna barriera ideologica o di religione e nel reciproco rispetto e nella tolleranza. «Filosofi della natura», scienziati diremmo oggi; gente che «aveva il futuro nel sangue», dirà Snow oltre tre secoli dopo nel suo bel libro «Le due culture». È vero però, si potrebbe osservare, che l'unità culturale della comunità scientifica si è frantumata e parcellizzata proprio a partire dalle rivoluzioni di sapere, arte e scienza, non solo della Fisica, che hanno caratterizzato le prime decadi del secolo XX, come Marcello Cini ha colto nelle sue opere con grande evidenza; e che si sono perciò prodotti tanti «specialismi ignoranti», sempre Snow, in contrasto con quell'ideale di società aperta che ricerca la verità e che, a partire proprio da Galileo, proprio la scienza aveva contribuito a proporre e creare. Parcellizzazione del sapere e specialismi ignoranti hanno sempre più promosso un'attitudine a dare ascolto più alla Doxa scientifica che non alla bontà delle argomentazioni e dei risultati sperimentali non collimanti col punto di vista dominante. E su questo aspetto non sarebbe male che s'impegnasse di più qualche storico della scienza o qualche epistemologo. Attesa infatti la sostanziale multidisciplinarietà e interdisciplinarietà sempre più necessarie alla costruzione del sapere e alla sua lettura, e l'opera di Giuliano ne è un ottimo esempio, il ritorno all'«ispe dixit» ha percorsi meno lineari, più tortuosi di quelli che nel mondo accademico e della ricerca sono a tutt'oggi battuti, magari all'insegna della «titolarità della cattedra». In alcune corporazioni scientifiche «forti», come ad esempio quella dei Fisici, la tendenza ugualmente forte a riservare alla corporazione il privilegio di definire che cosa sia scienza e che cosa non lo sia ammette un'interpretazione lineare, almeno in prima approssimazione, legata in modo abbastanza trasparente alla questione dei budget di ricerca. Atteggiamento non molto galileiano, si dirà, ma di sicuro successo se si pensa alle enormi risorse richieste, e ottenute, e al carattere veramente globale che hanno assunto certe ricerche; per citare solo l'ultimo caso «gigantesco», i sette miliardi e mezzo di euro che è costato l'esperimento per la rivelazione del bosone di Higgs e le migliaia di ricercatori di tutte le nazionalità che vi hanno ruotato attorno per vari anni. Una tale mobilitazione e impegno di risorse fece calare il sipario, a proposito di budget per la ricerca, sulle proposte di utilizzare la macchina del Cern come «Ads» (Accelerator Driven System) per innescare, tramite la «spallazione» di un target, un «bombardamento» di neutroni inteso a rompere, a ridurre alla ragione i radionuclidi a vita media lunghissima (decine di migliaia quando non milioni di anni) presenti nelle scorie radioattive. Un progetto, quest'ultimo, che all'inizio di questo secolo sembrava pronto al decollo in tutti i grandi laboratori del mondo, dal Giappone agli Stati Uniti, e che aveva fatto proclamare nella UE, al Commissario Peter Tindemans, la nascita della «megascience», altro che la «big science» delle particelle elementari! Che ancora una volta ha invece vinto, in nome non solo del suo indubbio fascino, ma perché ormai ben consolidata, rispetto a un progetto nuovo e quindi con più incognite, perché voluta e promossa compattamente dall'establishment della Fisica mondiale e non da singole voci sia pure illustri, perché occasione di sostentamento e ambizioni per migliaia di ricercatori e perché ben conosciuta da decenni anche dai decisori politici. Già, a proposito del bosone di Higgs e di epistemologia, che ne è della riproducibilità dell'esperimento, possibilmente in altri laboratori e magari più di una volta, che resta uno dei cardini della scienza galileiana e di tutta la scienza moderna? L'interrogativo non riguarda solo quella che i media amano chiamare, all'ombra del sorriso compiaciuto di Fisici e Prelati, «particella di Dio»; quante volte, ad esempio, e dove e secondo quali modalità verificabili è stato riprodotto l'esperimento sui bosoni «elettrodeboli» che oltre trent'anni fa fruttò il Nobel a Rubbia? L'ovvia difficoltà fattuale della riproducibilità di esperimenti così «pantagruelici» non sembra abbia innescato una riflessione adeguata su quali siano le conseguenze sulla prassi scientifica e il pensiero e il metodo che la ispirano. Si può già registrare, ad esempio, un estendersi e un intensificarsi dell'«ipse dixit»: io mi occupo d'altro, ma il mio amico X, che è uno dei massimi esperti del settore mi assicura che... Il cammino del gambero, insomma, e magari ci sarà pure qualcuno che dirà che in fin dei conti non c'è bisogno di una ripetizione degli esperimenti, in nome di quella logica operativa, proposta da Bridgman come garanzia contro le «pretese» teoriche che avevano portato alla crisi della Fisica classica e che viene negata però per avallare modelli e teorie non contemplati dalla Doxa. E della fatica di contrastare, almeno in parte, la Doxa tutta la vicenda degli studi e degli esperimenti di Giuliano sulla materia condensata e la FF è una testimonianza certa. Un «due pesi e due misure» che si attesta su tutti i territori presidiati da quelli che Emilio Del Giudice amava chiamare «i guardiani dell'ortodossia». Su materia condensata, FF e Lenr si stende poi inevitabilmente l'ombra di grandi società, di settori militari, dei cosiddetti «interessi forti»; è il loro mestiere esercitare lobbying, intrusioni e tentare di piegare a loro favore anche organismi tecnici e scientifici. Ma non siamo ingenui, e non vogliamo accontentarci delle abituali spiegazioni che per questi «nodi» rimandano in ultima analisi al «grande vecchio» (finanza, impresa capitalistica, multinazionali, servizi segreti ecc.) che tutto controlla e regge in concatenazioni causali che farebbero impallidire il grande Baruch Spinoza. Da qui insomma l'appello a storici ed epistemologi perché forniscano elementi di comprensione e di valutazione sul complesso e l'intreccio dei fatti qui riportati, di «peso e momento» del tutto generali. E così rilevanti nella vicenda scientifica e umana di Giuliano Preparata. Un'ultima parola sul «sogno» di un'energia «pulita» e disponibile in termini d'uso appropriato: le decine o al più centinaia di kW per riscaldamento o raffrescamento domestico degli edifici, per le esigenze di piccole industrie o stabilimenti artigiani, per motori. So bene che un nuovo interesse, soprattutto in Giappone, raccoglie intorno alla ricerca fondamentale e alle possibili applicazioni delle Lenr università e industrie, nella prospettiva di trasmutazioni che possono riguardare non solo la generazione di energia ma anche il problema sopra accennato del condizionamento delle scorie radioattive (26); continuo però a ritenere il futuro delle Lenr, neanche a troppo lunga scadenza, sta nell'energia. Più ottimista di me è sicuramente Lewis Larsen, che parla delle Lenr come della possibile maggior fonte d'energia, pulita e a basso costo, in uno scenario carbon-free; alla sua pagina online, uscita poche settimane fa, volentieri rimando.
Fusione fredda: il grande “artista della stangata”. La causa intentata da Andrea Rossi ai suoi finanziatori rivela come si diventa milionari con quattro boiler e un po' di creatività, scrive il 14 aprile 2017 Sylvie Coyaud su "Il Parco delle Bufale". Nell’agosto 2012, Tom Darden, John Vaughn e Craig Cassarino dell’Ampenergo creano il fondo d’investimento Industrial Heat in cui raccolgono 12,5 milioni di dollari propri e altrui. Tre mesi dopo, comprano per 1,5 milioni di dollari l’E-cat, un insieme di scaldabagni nucleare a fusione fredda da 1 MW, inventato da Andrea Rossi e promosso da un’ottantina di blog in Italia e all’estero. Fra questi, il Journal of Nuclear Physics, sul quale Rossi conversa con gli ammiratori dal 2010, dotato di “consulenti” quali
Prof. Alberto Carnera (INFM – University of Padova – Italy)
Prof. Pierluca Rossi (University of Bologna – Italy)
Prof. Luciana Malferrari (University of Bologna – Italy)
che sfidano coraggiosamente insieme a lui il ridicolo e le leggi di conservazione dell’energia.
Il 29 aprile 2013 Industrial Heat acquista per 10 milioni di dollari la proprietà intellettuale di Andrea Rossi, della sua Leonardo Corporation e di eventuali consociate: decine di brevetti richiesti con insistenza, per ora senza successo. Nel comunicato stampa che annuncia il lieto evento, Industrial Heat rimanda ai risultati strepitosi appena ottenuti a Ferrara, durante un collaudo effettuato da Rossi, narrato da Giuseppe Levi dell’Università di Bologna, e firmato da professori dell’Università di Uppsala e del Real Politecnico di Stoccolma, due dei quali avevano fatto una capatina in città all’inizio dei lavori. Il container se ne va a Raleigh, North Carolina, e l’inventore a Miami Beach, Florida. Mentre Industrial Heat tenta invano di estrarre energia in eccesso dagli E-cat del container e da nuovi modelli di dimensioni più ridotte, in trasferta a Lugano nel 2014 insieme al perito elettronico Fulvio Fabiani, Rossi ottiene risultati meno eclatanti, narrati dall’amico Levi e firmati da un minor numero di professori svedesi. Da quel momento, Rossi “lavola, lavola, lavola” con oltre 60 tecnici e operai specializzati messi a sua disposizione da Industrial Heat, dice, e spesso dorme su una branda nella “magnificent factory”. I fan favoleggiano di finanziamenti miliardari e di fabbriche in Cina che si trasformano via via in una interamente robotizzata da costruire in Svezia.
Nessuno fermerà il Rinascimento della fusione fredda. Il 5 aprile 2016, lo frena Andrea Rossi intentando una causa a Industrial Heat alla quale chiede 267 milioni di dollari per violazione del contratto: il 31 marzo non gli aveva versato 89 milioni di dollari pattuiti in cambio di un “Guaranteed Performance Test” dell’E-cat da 1 MW e del rapporto che ne certificava una produzione di energia almeno sei volte maggiore di quella consumata. Nel 2015 i rapporti con i finanziatori si erano un po’ raffreddati, si apprende dalle indagini preliminari consensuali, dette “process of discovery”. Gli atti depositati fin qui al tribunale di Miami-West, scoprono infatti lievi divergenze tra quanto confidato da Rossi ai suoi ammiratori e le testimonianze sotto giuramento, sue incluse, per non parlare delle perizie commissionate dalle parti in causa. Per esempio, l’accordo sul Test andava sottoscritto da Industrial Heat, Ampenergo e Rossi. Il 3 luglio 2014 Ampenergo conferma il proprio disinteresse (245-22). Industrial Heat ne informa subito Rossi e gli chiede cosa intende fare.
La stangata. (245-21) Il 5 luglio 2014 risponde di aver pronto un “capolavoro”. Ha trovato un “secret customer”, una multinazionale della chimica che per 1000 dollari al giorno noleggerà l’E-cat da 1 MW di Industrial Heat, rimasto inattivo a Raleigh. Per tre anni ne userà il vapore nella fabbrica che sta allestendo appositamente vicino a casa sua, nella periferia di Miami. Ogni mese, la multinazionale manderà la somma dell’energia consumata a Industrial Heat che gliela fatturerà. Serviranno 200 000 dollari per l’installazione e la manutenzione, “ma si ripagheranno in poco più di sei mesi”, è un affare, un esperimento su scala industriale e vedere l’impianto in funzione convincerà nuovi investitori. Fin dai primi giorni, sarà necessaria la presenza dell’ingegnere Fabio Penon (245-20), venuto appositamente da Abano Terme con i propri strumenti per misurare la prestazione e, per la parte informatica, quella di Fulvio Fabiani della United States Quantum Leap (nota 5), entrambi retribuiti metà da Leonardo e metà da Industrial Heat. (doc. 245-4) Il 7 agosto 2014, Henry Johnson, il notaio di tutte le ditte di Rossi in USA, certifica che il cliente è la JM Chemical Products, di cui è presidente, una nuova succursale di un ente formato nel Regno Unito e nessuno di Leonardo, né Dr. Andrea Rossi, né Henry W. Johnson né alcuna delle rispettive sussidiarie, o loro direttori, legali rappresentanti, agenti, impiegati, affiliati, significant others [fidanzati, ndr], o parenti consanguinei o per matrimonio ha alcun interesse proprietario nella JMC. (doc. 245-26) Il 1 settembre 2014 Rossi informa Johnson e la propria commercialista, nonché madre del suo avvocato difensore, di aver affittato fino al 30 agosto 2017 a nome della Leonardo un magazzino in cui sorgerà la fabbrica (“very beautiful“) della JMC e chiede loro di preparare un contratto di subaffitto per metà del magazzino alla Leonardo. Da mandare a IH in conto spese, come tutti i costi sostenuti per attrezzare la metà-Leonardo. (doc. 245-28)
Il 19 febbraio 2015, Rossi scrive a Industrial Heat che l’E-cat è avviato: Il cliente mi ha detto che ha ricevuto il vapore e che la produzione è iniziata bene. In particolare il loro direttore mi ha detto che consumano pochissima elettricità rispetto al solito. “WOW”, congratulazioni, esclama Darden, il presidente di Industrial Heat che aggiunge E un promemoria a tutti quanti di accrescere ora la nostra confidenzialità e il nostro silenzio. Dobbiamo tenere per noi quest’importante notizia per proteggere noi stessi, Johnson Matthey e la località segreta della fabbrica. I vari troll di internet e le spie industriali ci staranno alle costole.
Grazie delle buone parole, risponde Rossi. Sono totalmente d’accordo, l’indirizzo di JM deve restare un segreto molto ambito. Se diventa cibo per i troll, i danni potrebbero essere devastanti.
Nel giro di poche settimane, la foto del magazzino e l’atto di formazione della JMC in Florida mandano i troll in solluchero. (245-27)
Il 27 febbraio 2015, Rossi scrive ai suoi mecenati che il direttore della JMC gli ha telefonato per dirgli che è molto contento di risparmiare energia: hanno misurato la resa dell’E-cat leggendo il loro wattmetro per quanto riguarda l’elettricità consumata mentre l’energia termica è misurata intrinsecamente dal fatto che ottengono una produzione piena, ma hanno anche termometri e flussometri. Non conosco i particolari né voglio chiederli. (doc, 245-40)
Il 16 marzo 2015, Rossi chiede a Johnson di cambiare il nome della sua ditta da JM Chemical Products a “JM Products – Advanced Derivates of Johnson Matthey Platinum Sponge”. Per due volte aveva ordinato 10 kg di spugne di platino alla Johnson Matthey, e chiede come preventivo una fattura pro-forma, senza comprare nulla. A più riprese Darden chiede di incontrare un responsabile della Johnson Matthey – una vera multinazionale della chimica che Rossi aveva menzionato a voce e poi corretto per iscritto in Johnson Matthew – magari nel Regno Unito dove sta per convincere Neil Woodford – il “fund manager più rispettato” del reame per dirla con il Financial Times – di finanziare ricerca e sviluppo della fusione fredda. Ogni volta Rossi lo dissuade: se la notizia filtra, il “secret customer” chiuderà baracca e burattini. Quando aspetta visitatori nella metà-Leonardo del capannone, per un pugno di dollari chiama un signor Bass a fungere da “direttore tecnico” di JMC, ordinandogli di presentarsi in giacca e cravatta e di non rispondere a domande sui prodotti aziendali. (doc. 245-35)
Nel settembre 2015, Rossi vieta personalmente – non attraverso la JMC – a Joseph Murray, un ingegnere assunto da Industrial Heat, di entrare nella “fabbrica”. In settembre, Industrial Heat chiede al presidente della JMC di autorizzarne la visita. Johnson rifiuta perché non intende venir coinvolto in una disputa legale tra la vostra società e la Leonardo Corporation. I legali di Industrial Heat risolvano prima la questione con l’avvocato Annesser, il figlio della commercialista di Rossi.
Non la risolvono. (doc. 245-36 ) Nell’interrogatorio in videoconferenza perché si trova a Santo Domingo, Penon racconta che si recava in Florida ogni quattro mesi o forse ogni due, non misurava nulla con i propri strumenti contrariamente a quanto stabilito dal suo contratto, ma preparava rapporti bimestrali con i dati che Rossi e Fabiani gli mandavano ogni tanto. (doc. 245-40) Nell’interrogatorio in videoconferenza perché si trova in Russia, Fabiani dice che in 18 mesi non ha mai notato alcun segno di attività dall’altro lato della parete: “si vedeva che era tutto vuoto”. Non proprio. Un mese fa, Murray e Rick Smith (235-10, ci sono altre foto negli Exhibit successivi) fanno un sopralluogo e nella fabbrica trovano una “scatola nera” con dentro una manciata di serpentine. Forse facevano da termosifone e disperdevano parte del calore dell’acqua a circa 70 °C generata dai “Big Frankie”, i boiler che si vedono sopra il container celeste partito da Ferrara. Durante l’installazione infatti, i 18 E-cat stagnolati “avevano avuto problemi elettrici”.
Ai primi di marzo 2016, Fabiani è andato a riprendere i propri attrezzi, laptop compreso, buttati in un angolo da Rossi. In 5 giorni erano sparite sedie, tavoli, scaffali e i sistemi di ventilazione e che dovevano impedire a lui, a Rossi e ai visitatori di venir bolliti dal vapore che l’E-cat avrebbe dovuto produrre. Un vapore pari a 50 volte l’energia in entrata, stima Penon nella sua “Validazione” finale, senza accorgersi che nei suoi rapporti precedenti i boiler consumano sempre la stessa quantità di elettricità, perfino quando l’azienda erogatrice non la fornisce o vengono spenti per manutenzione. Nel tentativo di rispettare la legge di conservazione dell’energia, la “scatola nera” disperdeva forse 20 kW su mille, e resta l’unica traccia della fabbrica (“very beautiful”): niente fori nelle pareti per prese elettriche, cavi, condutture, niente tracce cape aspiranti, o di macchinari pesanti sul pavimento.
Dal 26 novembre 2012 al 5 febbraio 2016 (245-41) Industrial Heat ha versato a Rossi 17.634.213,39 dollari e dal 1 settembre 2014 al 1 febbraio 2016 355.659,10 dollari a Fabiani che è riparato in Canada e poi in Russia invece di ritirare l’ultimo stipendio mensile di 11.870 d0llari. Lo aveva sollecitato, ma in cambio avrebbe dovuto consegnare tutti i dati dell’esperimento. Purtroppo, li aveva cancellati con cura dai computer un mese prima. I due araldi internazionali del Rinascimento Alain Coetmeur e Jed Rothwell sono rispettivamente “dolente, non vi dico dove”, e “nauseato” da queste piccole discrepanze. Per Rothwell, “la fusione fredda ha perso la poca reputazione che le restava” dopo 27 anni di esperimenti mai replicati: Non serve a niente o a nessuno fingere che ci siano fondi, ricerche e rinascita della fusione fredda. Il settore è moribondo. […] E Rossi ha causato direttamente gran parte del guaio, ha calamitato tutti i fondi, tutta l’attenzione, attirato altri artisti criminali della stangata come Defkalion.
Ma la Scuola Superiore Santa Rita, riconosciuta dal Ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca, ha pronto un corso post-universitario in fusione fredda e dal 2 ottobre 2013, l’onorevole Ermete Realacci interpella mensilmente la titolare del MIUR per sapere come intende favorire la ricerca e lo sviluppo di nuove stangate, citando proprio quella della Defkalion. Il pessimismo non sembra giustificato.
"La fusione fredda italiana funziona". Primi risultati sul dispositivo prodotto dall'ingegnere italiano Andrea Rossi sembrano verificarne il funzionamento escludendo reazioni termochimiche. Il giornale finanziario Forbes si sbilancia: "Il mondo potrebbe cambiare", ma l'ambiente scientifico è cauto: mancano i dati sulla produzione di rame e sul catalizzatore. E soprattutto la peer review, scrive il 22 maggio 2013 “La Repubblica”. La Fusione Fredda attraverso il sistema E-Cat, un modo di produrre energia usando l'atomo in modo inedito, inizia a ricevere approvazioni esterne all'ambiente di sviluppo. L'idea è di Andrea Rossi, ingegnere italiano: L'E-Cat è una macchina che produce calore attraverso un processo nucleare a bassa energia, detto "volgarmente" fusione fredda. Una tecnica che genera energia a temperature molto più basse da quelle di fusione nucleare, allo stesso tempo in maniera più semplice e sicura. L'idea della fusione fredda viene dal lavoro di Martin Fleischmann: le sue tecniche sono state oggetto di esperimenti in tutto il mondo, sempre discussi. Il lavoro di Rossi è uno di quelli che ora pare appartenere alla seconda categoria. E potrebbe essere l'uovo di colombo per la ricerca attuale. Il lavoro di Rossi ha sollevato entusiasmi e polemiche in egual misura, ma ora arrivano i risultati di test indipendenti sull'E-Cat. Richiesti a gran voce dalla comunità scientifica. E con dei risultati che ne dichiarano il funzionamento. A scriverne è Forbes, un giornale finanziario, prima di ogni pubblicazione scientifica. L'ambiente della ricerca sull'E-Cat ci va cauto. E non è difficile immaginare che se l'E-Cat si rivelasse un progetto scalabile, in grado di produrre energia in quantità importanti, le ripercussioni non mancherebbero sul mondo accademico che finora non ha manifestato entusiasmo per l'idea di Rossi. Forbes si sbilancia: "Forse il mondo cambierà davvero", scrive riferendosi ai test sull'E-Cat. A lungo rimandati e su cui per mesi non si sono visti aggiornamenti, tanto da far dubitare che Rossi avesse davvero qualche possibilità di verifica sulla sua idea. Ma a sostenerla arriva ora il rapporto del professor Giuseppe Levi dell'Università di Bologna, con Evelyn Foschi, Torbjörn Hartman, Bo Höistad, Lars Tegnér e Hanno Essén, Roland Pettersson. Uno studio che dichiara come la LENR (low energy nuclear reaction) nell'E-Cat di Rossi possa generare rame e calore partendo da atomi di nichel e idrogeno. Due sono gli esperimenti che hanno portato alle conclusioni: uno svolto nell'arco di 96 ore dal 13 al 17 dicembre 2012, e l'altro di 116 ore dal 18 al 23 marzo 2013. Le condizioni degli esperimenti erano differenti, ma il parere finale decretava il funzionamento di E-Cat. A dicembre marzo il sistema avrebbe sprigionato 160 kWh per un consumo di circa 35 kWh. A marzo la produzione sarebbe stata di 62 kWh, consumo 33 KWh. La squadra di ricercatori esclude reazioni termochimiche e scrive che la produzione energetica deve essere associata alla fusione dei due elementi. Oppure, altre spiegazioni non ce ne sono. I problemi comunque non mancano. Non ci sono dati sul rame prodotto, o sul combustibile utilizzato durante i test. Su questo, c'è riserbo da parte di Rossi. Sarebbe un composto di nichel, idrogeno e un catalizzatore mantenuto segreto. La comunità scientifica denuncia poi la mancanza di "peer review", e stavolta entra in gioco anche un'azienda esterna, la Prometeon, unica licenziataria per E-Cat in Italia e a San Marino, che invece ne dichiara l'avvenuta esecuzione. Tutti elementi che fanno pensare come anziché una certezza su E-Cat, stia per iniziare un percorso di ulteriori dubbi. Tra procedure scientifiche non ortodosse e parole di un certo peso che arrivano da Forbes: "O si tratta di una delle truffe più elaborate della storia della Scienza, oppure stavolta il mondo potrebbe cambiare davvero. La velocità di questo cambiamento dipende esclusivamente da Rossi".
LA MEDICINA ALTERNATIVA.
Medicina alternativa. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Le pratiche descritte non sono accettate dalla medicina, non sono state sottoposte a verifiche sperimentali condotte con metodo scientifico o non le hanno superate. Potrebbero pertanto essere inefficaci o dannose per la salute. Le informazioni hanno solo fine illustrativo. Wikipedia non dà consigli medici: leggi le avvertenze. Con il termine medicina alternativa si fa riferimento a un variegato e non omogeneo sistema di pratiche contro varie patologie per le quali non esiste prova di efficacia o, se sono state sottoposte a verifica sperimentale, è stata ravvisata l'inefficacia e per talune di esse anche la pericolosità. Per tali motivi non vengono ricomprese nell'alveo della medicina scientifica che le relega pertanto nell'ambito delle pseudoscienze.
Nella cultura occidentale il controverso termine medicina alternativa indica qualsiasi pratica che non ricade nell'alveo della medicina scientifica convenzionale o la cui efficacia non è stata dimostrata. Il termine si contrappone alla medicina basata su prove di efficacia e include una variegata serie di pratiche, tanto che non è possibile parlare di medicina alternativa tout court, ma di una serie di pratiche diverse e non omogenee. Nonostante la non omogeneità di tali pratiche, il termine è stato criticato anche da quegli scettici che ritengono le pratiche di medicina alternativa ingannevoli: Richard Dawkins ha affermato che «non esiste la medicina alternativa, esiste solo una medicina che funziona e una che non funziona». Il National Center for Complementary and Alternative Medicine (NCCAM) statunitense cita alcuni esempi di medicina alternativa: naturopatia, chiropratica, ayurveda, yoga, ipnosi, agopuntura, omeopatia, medicina tradizionale cinese, fiori di Bach e altre. Le medicine alternative hanno diversa genesi: incorporano la medicina tradizionale, rimedi aneddotici, credenze spirituali o si fondano su nuovi approcci che si presumono terapeutici. Queste pratiche sono spesso raggruppate sotto il termine di medicina complementare, e si parla perciò di medicine alternative e complementari (CAM). Alcuni ricercatori nell'ambito della medicina alternativa rifiutano questa categorizzazione, preferendo enfatizzare i differenti approcci delle diverse pratiche, sebbene il termine "CAM" sia diventato ormai lo standard. Il termine medicina complementare è perlopiù usato per descrivere quelle pratiche che sono usate in congiunzione o come complemento di terapie tradizionali. Analogamente si parla di medicina integrativa per quella medicina che usa sia pratiche tradizionale che alternative. Le affermazioni di efficacia dei sostenitori delle medicine alternative sono generalmente non accettate dalla comunità scientifica per la mancanza di prove a sostegno circa l'efficacia e la non pericolosità dei trattamenti. Nel momento in cui le ricerche scientifiche consentono di misurare l'efficacia del trattamento alternativo, questo esce dall'alveo della medicina alternativa per confluire nell'alveo della medicina scientifica. Nel 1998 una review sistematica concluse che circa il 13% dei pazienti malati di tumore faceva uso di una qualche forma di medicina alternativa.
Il National Center for Complementary and Alternative Medicine (NCCAM) definisce la Medicina Alternativa come un gruppo variegato di pratiche mediche e terapeutiche che non rientrano nell'alveo della medicina convenzionale. Il Danish Knowledge and Research Center for Alternative Medicine (ViFAB) utilizza il termine "medicina alternativa" per indicare sia i trattamenti effettuati da terapisti che non hanno una qualifica professionale medica, sia quelli effettuati da terapisti con una qualifica professionale medica, ma fondati su pratiche estranee al sistema terapeutico convenzionale. Il Cochrane Collaboration ritiene che ciò che in un paese è considerato medicina complementare, in altro paese possa essere ritenuto medicina convenzionale. Da qui la definizione che essi danno è che "la medicina alternativa include tutte quelle pratiche e idee che si pongono al di fuori del mainstream medico in molti paesi".
La National Science Foundation ha definito la medicina alternativa come "tutti quei trattamenti che non hanno mostrato alcuna efficacia quando sottoposti a verifica scientifica". Nel 2005 L'Institute of Medicine (IOM) statunitense ha definito la medicina alternativa-complementare come l'approccio non dominante alla medicina in una data cultura e in un dato periodo storico. Simile definizione è adottata dal Cochrane Collaboration, e da altri enti governativi.
Numerosi scienziati hanno commentato e criticato le medicine alternative. C'è un ampio dibattito tra i ricercatori su ciò che possa essere classificato come "medicina alternativa". Taluni affermano che esistono solo due tipi di medicina: quella sufficientemente testata e quella non testata. Si afferma che le pratiche mediche andrebbero classificate solo sulla base delle prove di efficacia. I principali sostenitori di questa posizione includono George D. Lundberg, ex-editore del Journal of the American Medical Association (JAMA). Uno studio pediatrico del 2011 ha evidenziato come l'uso delle terapie alternative e complementari, che pure vengono presentate come "sicure" dai loro sostenitori, possa essere correlato invece a significativi effetti collaterali, compresi esiti mortali, solitamente a causa dell'abbandono delle terapie convenzionali di provata efficacia o per via delle conseguenze cliniche dei drastici cambi dietetici spesso associati ad alcune di queste terapie o per un'insufficiente monitoraggio degli effetti avversi o altre cause dirette e indirette.
Il National Center for Complementary and Alternative Medicine ha enunciato una classificazione delle medicine complementari e alternative. La classificazione distingue le medicine alternative in cinque grandi gruppi, che possono anche sovrapporsi in taluni punti:
Sistemi di medicina complessiva, che sono trasversali a più d'uno degli altri gruppi e che includono la medicina tradizionale cinese, la naturopatia, l'omeopatia e l'Ayurveda.
Le terapie che agiscono sulla interconnessione mente-corpo: prevedono un approccio olistico alla salute che prende in considerazione la mente, il corpo e lo spirito, in base alla assunzione che la mente possa influire sulle funzioni e sintomi del corpo umano.
Pratiche fondate sulla biologia: usano sostanze presenti in natura come erbe, cibi, vitamine e altre sostanze naturali.
Pratiche manipolative: si fondano sulla manipolazione e il movimenti di parti del corpo, come la chiropratica e osteopatia.
Medicina energetica: include sia pratiche che si fondano su una presunta energia spirituale (della cui esistenza non esiste alcuna prova), come per esempio le terapie basate sui campi magnetici biologici che si suppone circondino e penetrino il corpo umano, sia pratiche che fanno leva su un bioelettromagnetismo, come per esempio i constatabili campi magnetici utilizzati in modo non convenzionale.
In Italia, secondo le linee guida emanate dal Consiglio Nazionale della FNOMCeO nel 2002, tra le medicine e le pratiche non convenzionali solo nove discipline sono ritenute rilevanti da un punto di vista sociale, sia in base alle indicazioni del Parlamento Europeo[25] e del Consiglio d'Europa, sia in base alla maggiore frequenza di ricorso ad alcune di esse da parte dei cittadini, oltre che degli indirizzi medici affermatisi:
Agopuntura
Fitoterapia
Medicina antroposofica
Medicina Ayurvedica
Medicina Omeopatica
Medicina tradizionale cinese
Omotossicologia
Osteopatia
Chiropratica
Posturologia
L'esercizio di queste medicine e pratiche non convenzionali è un atto medico di esclusiva competenza e responsabilità professionale del medico, dell'odontoiatra, del veterinario e del farmacista, ciascuno per le rispettive competenze. Chi le pratica senza questo requisito commette un atto illegale, punibile penalmente, come da sentenza della Corte di Cassazione del 1982. Esse sono considerate sistemi di diagnosi, di cura e prevenzione che affiancano la medicina ufficiale. Questa posizione si fonda sul principio che qualunque intervento terapeutico debba essere preceduto da una diagnosi corretta. Il 7 febbraio 2013 nella Conferenza permanente Stato-regioni è stato emanato un accordo che regolamenta sia la qualità della formazione e della pratica dell'agopuntura, della fitoterapia e dell'omeopatia, sia il riconoscimento legale del profilo professionale dei medici che praticano agopuntura, fitoterapia ed omeopatia, istituendo presso gli Ordini professionali provinciali dei medici chirurghi e degli odontoiatri, elenchi dei professionisti esercenti queste pratiche. Casi particolarmente eclatanti di medicina alternativa alle cure mediche ufficiali sono state il Siero Bonifacio, la cura Di Bella e il metodo Stamina tutte bocciate a livello scientifico e non consentite.
Le ragioni della medicina alternativa, scrive "Sapere”. La notevole diffusione delle medicine alternative è un fenomeno mondiale la cui reale entità è ormai di difficile definizione. Ciò è dovuto, prevalentemente, all'esistenza di una grande quantità di metodi complementari/alternativi e al loro espandersi attraverso canali in gran parte non ufficiali, sui quali non è possibile disporre di dati precisi. Si può certamente affermare che, negli Stati Uniti, più del 40% della popolazione usa regolarmente rimedi naturali o alternativi, o che in Italia almeno 5 milioni di persone fanno ricorso a medicine non convenzionali. Ma in fondo le cifre riguardanti il numero esatto dei medici alternativi o dei loro pazienti contano poco: sia perché questi dati non possono essere considerati esaurienti, sia perché si limitano a darci indicazioni su una realtà emergente e in forte espansione. Gli osservatori più critici nei confronti del dilagante successo delle altre medicine fanno spesso riferimento al clima new age che ha caratterizzato la fine del secondo millennio, all'affiorare di nuove esigenze esistenziali e spirituali e al prevalere del pensiero magico sul pensiero razionale. In generale molte persone, anche di classe sociale e livello culturale elevato, manifestano la loro insoddisfazione nei confronti della medicina convenzionale e cercano nei terapeuti alternativi la risposta alla loro domanda di salute. Alcune ricerche hanno contribuito a individuare una sorta di identikit dei fruitori delle terapie alternative. Si tratta spesso di donne, di soggetti in giovane età e di livello socio-culturale medio-alto. Secondo i sondaggi fanno comunque ricorso all'omeopata (all'iridologo, all'osteopata, e così via) manager e intellettuali, così come impiegati e operai. In genere si tratta di pazienti più attenti e consapevoli della loro malattia, o comunque impegnati a migliorare il proprio stato generale di salute psico-fisica. Condividono col terapeuta alternativo la convinzione che un particolare stile di vita possa influire sul benessere-malessere generale della persona. Rispetto al classico approccio del medico convenzionale, quello seguito da chi pratica i metodi alternativi è, nei fatti, assai diverso: le principali differenze riguardano:
Il concetto di salute e malattia. Nonostante l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) abbia già da tempo formulato una definizione di salute come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale che non consiste soltanto nell'assenza di malattie o di infermità, resta l'impressione che la medicina ufficiale continui a trovare difficoltà nel definire il concetto di salute. Secondo alcuni, ciò dipenderebbe da un'eccessiva preoccupazione nei confronti della malattia. Mentre la medicina convenzionale tende solitamente a concentrare la propria attenzione sulla malattia, trascurandone le cause, per i sostenitori delle medicine alternative, invece, la malattia deriva sempre da uno squilibrio tra l'uomo e il suo ambiente che va individuato e risolto. La scienza può descrivere il come ci si ammala, ma non può spiegare il perché, ossia la ragione spirituale della malattia. Ma gli interrogativi sulle cause del male, sul suo senso (perché io, perché qui, perché ora...) possono rimanere senza risposta. Il terapeuta alternativo può dare ascolto a queste richieste e a questi bisogni di conoscenza dell'individuo e cercare per lui un'interpretazione che gli permetta di spiegarsi il senso degli eventi che sono all'origine del suo smarrimento.
Il rapporto medico-paziente. Chi cura con la medicina alternativa è spesso considerato dai suoi pazienti come un interlocutore più comunicativo, più fiducioso e positivo. La medicina moderna, pur essendo sempre più efficace, è diventata più frammentata e tecnologica, e appare sempre meno attenta all'ascolto del paziente. Questa medicina "scientifica" suscita paura, disincanto, distacco e nostalgia per quelle pratiche mediche considerate più dolci, magari solo perché più umane. Il paziente ideale per la medicina convenzionale è stato descritto come quello che non pone quesiti ed esegue passivamente le prescrizioni mediche. In effetti, il medico impiega spesso il termine compliance riferito ai suoi pazienti, intendendo il loro grado di adesione allo schema terapeutico prescritto. Notevolmente diversa è la posizione del paziente che si rivolge al terapeuta alternativo: quest'ultimo svolge il suo compito, ma è soprattutto nelle mani del malato la buona riuscita della cura. Solo lui, infatti, può decidere di modificare il proprio stile di vita, le abitudini alimentari, i ritmi, il modo di muoversi nel suo ambiente: soltanto lui può, insomma, decidere di riacquistare la salute. Rispetto all'approccio tradizionale, nel quale la cura della malattia va gestita da esperti, i medici, nei confronti di gente considerata incompetente, la posizione del fruitore di medicine alternative appare invece come quella di un paziente più maturo e responsabile. La maggiore disponibilità verso un approccio dolce determina un altro effetto positivo: l'adesione del paziente a questo tipo di cura è più garantita, perché è stata da lui stesso scelta. È insomma il modello ideale del malato che diventa l'attore/autore del proprio benessere. L'attenzione globale nei confronti del paziente e della qualità della sua vita è probabilmente uno dei punti di forza dell'approccio alternativo: ciò si realizza attraverso l'interesse verso gli aspetti comunicativi, relazionali ed esistenziali, che vengono maggiormente trascurati dalla pratica medica ufficiale. L'approccio omeopatico, per esempio, può definirsi personalizzato: consiste in un esame completo del malato, nel corso del quale il medico omeopata dimostra attenzione non solo nei confronti dei suoi sintomi, ma anche dell'ambiente familiare e lavorativo in cui vive. La visita, poi, si conclude con la prescrizione di un farmaco, anch'esso personalizzato, privo di tossicità, che ha il fascino delle cose naturali e di un nome poetico (arnica, passiflora, genziana ecc.).
La terapia. Anche la scienza ufficiale contempla la possibilità che una malattia vada incontro spontaneamente (cioè senza la somministrazione di un farmaco) a una remissione, parziale o totale. Questa tendenza naturale alla guarigione, indicata spesso con l'espressione latina vis medicatrix naturae, che sta per forza risanatrice della natura, può in qualche caso determinare il completo recupero delle condizioni di salute. E anche quando si ricorre a un trattamento (medico o psicologico), i farmacologi sostengono che, nel processo di guarigione che questo induce, agiscono almeno tre componenti distinte:
a) la remissione spontanea;
b) l'effetto placebo;
c) l'effetto specifico del trattamento.
L'elemento comune delle medicine alternative sembra essere proprio questo: tutte, più o meno, si riferiscono all'attivazione di un'energia personale che rende possibile la guarigione, senza più ricorrere a qualcosa di estraneo, di esterno, che è vissuto come potenzialmente velenoso. I cultori della medicina olistica amano contrapporre le figure mitologiche di Esculapio, dio della medicina, e di Igea, dea della salute, sostenendo che i seguaci del primo si interessano soprattutto della terapia, mentre i seguaci della seconda si dedicano alla guarigione. Si ribadisce così, ancora una volta, l'idea che la terapia viene dall'esterno e che le guarigioni invece originano dal di dentro.
IL METODO HAMER E LA MEDICINA ALTERNATIVA.
In che rapporto sono la medicina alternativa e il metodo Hamer? Esploriamo il concetto di malattia basato sull'idea del conflitto biologico, scrive Francesco Marchionna. Per la medicina convenzionale, la malattia viene normalmente interpretata quale esperienza negativa, un incidente di percorso la cui risoluzione viene affrontata nel minor tempo possibile. L'elenco delle malattie viene frequentemente aggiornato, includendo fastidi e disturbi che, poco prima, non rientravano nella nozione di malattia, e che quindi non richiedevano interventi del medico o soluzioni farmacologiche. Diversamente, la medicina alternativa considera la malattia come un normale processo evolutivo. Il malus habitus consiste nell'espressione di una situazione non idonea inserita da ciascuno di noi nel proprio comportamento, fisico e psichico. L'evoluzione spiega che questo scarto nel modo di vivere non fa altro che generare un gap energetico che, dopo vari passaggi, giunge al piano fisico, generando sintomi che etichettiamo come “malattia”. La medicina alternativa considera la malattia come un segnale del corpo atto a comunicare che qualcosa non funziona bene. L'intervento del guaritore potrà dunque essere di due tipi: limitarsi a curare il sintomo, l'effetto prodotto dal corpo, il segnale, senza risalire alla cause intrinseche del disagio, oppure aiutare il soggetto a prendere coscienza di queste cause, senza peraltro escludere aiuti diretti sul corpo. Medicina alternativa e Hamer, inventore del metodo Hamer, condividono questo approccio olistico.
La concezione di malattia di Hamer è imperniata sull'idea di conflitto biologico. Lo stato di malattia è la conseguenza di un particolare shock, così improvviso e violento, che suscita nel soggetto una reazione automatica che bypassa l'intervento della mente. Hamer riesce addirittura a mettere in correlazione tipologie di eventi emotivi con tipologie di organi interessati, stilando finanche delle tabelle, pubblicate nei suoi volumi divulgativi. Il conflitto interiore, una volta risolto, conduce al ripristino del corretto stato di salute, con la graduale scomparsa della sintomatologia. Le 5 leggi biologiche scoperte da Hamer consentono, secondo la Nuova Medicina Germanica, di conoscere l'eziologia e la patogenesi della malattia, il perchè e il come, e di rispondere anche all'interrogativo “Perché a me?”. Le 5 leggi biologiche consentono di capire la modalità tramite la quale la mente (Psiche), il cervello e gli organi lavorino insieme. Per ciascun sintomo è possibile verificare un centinaio di altri elementi interconnessi. Vediamo meglio le 5 leggi biologiche.
Lo shock biologico. Lo stato di malattia, secondo Hamer, viene generato da un conflitto biologico. Questo viene definito come uno “shock acuto, insaspettato, drammatico e vissuto con un senso di isolamento”. La sigla che lo contraddistingue è DHS, acronimo di Dirk Hamer Syndrom, giovane figlio di Hamer venuto inaspettatamente a mancare. Lo shock biologico può avvenire diverse volte al giorno perché è una risposta evolutiva. Non bisogna pensare solo a traumi fuori dal comune. La DHS si verifica contemporaneamente su tre livelli, cioè psichico, cerebrale e organico. Il trauma è dunque come un detonatore.
Le due fasi. Ciascuna malattia si presenta con due fasi: la simpaticotonia (fase fredda) e la vagotonia (fase calda). La fase fredda è quella iniziale: si realizza il trauma emotivo, siamo impreparati e rimaniamo isolati. Mente, cervello e corpo reagiscono per sopravvivere. La psiche lavora per risolvere il problema, si stressa, non si dorme, non si mangia e si dimagrisce. Il cervello produce i cosiddetti “focolai”. A livello organico, il cervello impartisce quattro diversi tipi di comandi: creare massa (tumore), scavare (lisi), bloccare o sbloccare un organo. Nella fase calda si giunge al superamento del conflitto. Si tira il fiato, allentando lo stress. Ritorna l'appetito e il corpo si riscalda. Nel cervello, dove c'era il focolaio, si procede alla riparazione mediante un edema, un eccesso di liquidi che verrano rilasciati dal corpo in una situazione normale. A livello fisico, si verificano infiammazioni, equivalenti a riparazioni. Crescita. Secondo Hamer, le malattie sono risposte biologiche a un preciso ordine del cervello: la malattia dunque è un programma apposito, biologico e sensato della natura. Relativamente tipo di shock subìto, vengono interessate parti del cervello e relativi organi. Ciascun conflitto si accompagna a un preciso contenuto, che si definisce nell'istante dello shock. La diversità di ogni contenuto è ciò che determina l'accrescimento dei tessuti o la riduzione di questi. Il tumore è la crescita di determinate cellule con apposite funzioni.
Microbi. Sono loro i protagonisti dell'eliminazione dei tumori. Funghi e microbatteri rendono i tumori masse necrotiche, mente virus e batteri attivano la cicatrizzazione di piaghe e ulcere.
Buonsenso biologico. La malattia, come ad esempio il cancro, è parte integrante di un programma biologico apposito facente parte della natura. Qui medicina alternativa e Hamer in parte si ricongiungono, considerando la malattia un evento naturale. Il tumore, secondo Hamer, non si presenta dunque come un crescita casuale di cellule sfuggite al controllo. É invece un processo comprensibile, talvolta prevedibile. Su questo, vi sono pareri divergenti.
Medicina alternativa, così la legge tutela le scelte del paziente, scrive Paolo De Angelis, Magistrato presso il Tribunale di Cagliari, Lunedì 3 Ottobre 2016 su "Il Messaggero”. Di tanto in tanto le cronache ripropongono un tema spesso drammatico, legato all'efficacia ed alla stessa legittimità delle terapie mediche alternative ovvero quelle pratiche che la medicina ufficiale disconosce e sconsiglia; numerosi casi di pazienti che avevano volontariamente optato per queste cure non convenzionali, convinti che li avrebbero curati, si sono invece conclusi con la loro morte, seguita da un coro di polemiche sulla completa inefficacia di tali trattamenti, considerati dalla scienza medica inutili e dannosi, e il conseguente ricorso ai Tribunali. L'accusa rivolta agli ideatori di queste terapie è di carpire la fiducia di persone che, nella disperazione della malattia, si affidano a cure che promettono la sicura guarigione, senza alcuna base scientifica, di fatto sottraendo i pazienti alle terapie ufficiali, le uniche in grado di affrontare le gravi patologie da curare; la replica è altrettanto dura, la medicina ufficiale viene messa sotto accusa perché i farmaci che utilizza sono considerati tossici e dannosi, con effetti nocivi sulla salute dei pazienti, al solo scopo di alimentare l'industria e il commercio dei medicinali. Di fronte a queste situazioni, è difficile scegliere; chiunque vorrebbe curarsi senza subire effetti collaterali e guarire in modo naturale, ma le terapie alternative sono realmente efficaci? D'altronde, anche la medicina ufficiale non riesce a guarire la totalità dei pazienti e le conseguenze delle cure sono pesanti. Sembra un dilemma irrisolvibile, tra pro e contro, ma il punto è un altro, e ci consente di elevare il dibattito: la terapia convenzionale e quella alternativa sono davvero sullo stesso piano? Il problema di fondo è il significato da attribuire, in una società moderna, al termine scienza ed alle sue implicazioni, sia sul piano della responsabilità del medico sia su quello del diritto del paziente di esercitare la scelta migliore per la sua salute. L'evoluzione scientifica è un fenomeno imponente che non può essere controllato o bloccato; la scienza è libera per definizione ma si deve distinguere tra scienza buona e scienza cattiva, non in base a giudizi soggettivi ma secondo regole oggettive di controllabilità e verificabilità dei risultati. È il metodo scientifico ad offrire la conoscenza necessaria a valutare il rigore degli studi e la loro validità nella ricerca delle cause e degli effetti; insomma, la scienza, specie quella medica, è un percorso che conduce ad individuare le potenzialità curative di un farmaco o di un trattamento. La legislazione italiana è attenta da anni a questi aspetti, sin dal caso Di Bella, quando si trattò di stabilire se fosse consentito l'uso di un farmaco per curare patologie diverse da quelle per le quali il medicinale è brevettato; da allora, la legge stabilisce che costituisce cura in senso scientifico (e giuridico) solo l'utilizzo dei farmaci in modo conforme al brevetto ed all'autorizzazione sanitaria, che ne attestano l'efficacia e la validità. Al di fuori di questi parametri, le terapie alternative non sono considerate cure ma vere e proprie sperimentazioni, i cui risultati sono ancora tutti da dimostrare; non sono vietate (a certe condizioni) ma il paziente deve sapere che lui è la cavia e che quel trattamento è solo un'ipotesi da verificare, non una soluzione. Quando si tratta di valutare la colpa medica, si controlla che le cure abbiano seguito le linee guida, cioè i protocolli elaborati in ambito sanitario e riconosciuti dalla comunità scientifica, che li adotta dopo anni di ricerche e statistiche. Insomma, il problema della scienza diventa anche una questione di diritto e la medicina territorio di esame anche nel campo giudiziario; avere parametri scientificamente validi consente di risolvere i casi di responsabilità del medico in base a elementi oggettivi e, nei limiti delle conoscenze, certi. Solo un metodo in grado di fornire i riscontri che giustificano le scelte terapeutiche ha il diritto di chiamarsi scienza; tutto il resto, semplicemente, non lo è. Il paziente deve potersi orientare consapevolmente perché ha il diritto di scegliere; la tutela della salute, di valore costituzionale, si esprime attraverso il consenso alle cure e il suo presupposto è che il paziente sia messo a conoscenza dei risultati che la scienza ha raggiunto in quel campo e delle cure che è in grado di fornirgli. Come si vede, il tema tocca ciascuno di noi, sano o malato che sia; si tratta di capire l'impatto che la scienza ha sulla nostra vita quotidiana e sulle scelte che ci consente di fare. Di fronte ad una malattia, il dilemma della scelta tra medicina tradizionale e quella alternativa si può porre e ciascuno ha il diritto di scegliere in modo autonomo; ma la decisione deve essere consapevole e non emotiva, perché nulla è più razionale di una legge scientifica. È un aspetto culturale; e la cultura significa, prima di tutto, conoscenza.
GLI SCIAMANI. I GUARITORI.
Guaritore. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Un guaritore è una persona che asserisce di poter guarire dalle malattie, unendo le sue pratiche terapeutiche a proprietà spirituali dotate di sacralità. Ciò si verificava soprattutto in epoche remote, nelle quali il medico era anche sacerdote o sciamano. A differenza di oggi, infatti, si riteneva che l'origine delle malattie fisiche fosse dovuta a squilibri e patologie dell'anima, i cui effetti si ripercuotevano sul corpo, secondo una visione olistica. Il significato di guarigione era così strettamente connesso all'ambito spirituale, ed atteneva perciò a riti e credenze proprie della religione. Alcuni praticanti di medicine alternative cercano di restringere il termine a sé stessi, sostenendo il loro lavoro con il naturale recupero fisico che chiamano vitalismo; affermano che qualunque altro tipo di approccio lavora contro le capacità curative del corpo. I guaritori lavorano con diversi strumenti (musica, danza, erbe, imposizione delle mani, ecc.) per portare alla guarigione i pazienti. Tra i guaritori famosi, vi furono nel XVIII secolo il sacerdote Giovanni Antonio Rubbi, nel XIX secolo Nicola Gambetti, nel XX secolo Bruno Gröning. La figura del guaritore è presente ancora oggi ed è legata soprattutto al mondo rurale delle campagne. Negli ambienti dell'Italia contadina permangono tradizioni magico-religiose, dove il guaritore svolge anche un ruolo sociale e si serve di riti suggestivi dalla forte valenza psicosomatica.
Giorgio Iacuzzo ha intervistato la professoressa Magali Jenny, docente di etnomedicina all'università svizzera di Friburgo.
Signora Jenny fin da bambina il suo sogno era diventare medico così si è iscritta alla facoltà di Medicina?
«Dopo la maturità ho vissuto alcuni anni in Sardegna, due anni nella Repubblica Dominicana, ho viaggiato, ho praticato diversi mestieri ma sempre con l'idea fissa che un giorno sarei diventata medico. Ho fatto la giornalista, ho lavorato da un medico e poi per tre anni in una casa per anziani. Proprio dopo questa esperienza ho deciso di iniziare lo studio della medicina. C'era il problema del numero chiuso ma sono riuscita a superarlo per un pelo. Così mi sono iscritta e ho frequentato per un anno la facoltà di medicina dell'università di Friburgo».
Perché soltanto per un anno?
«Perché faticavo nelle materie scientifiche e poi nel corso di una lezione sul tema dell'etica medica un professore che stimavo moltissimo parlando dei guaritori, dei terapeuti e di tutti quelli che praticano altre forme di medicina che non sia quella occidentale si è espresso dicendo che erano tutti dei ciarlatani. Volevo studiare medicina pensando di approfondire le medicine complementari per poter fare la terapeuta ma quando ho sentito il pensiero di quel professore che consideravo molto aperto mi son detta che non sarei sopravvissuta è ho abbandonato la facoltà».
Ha preso questa pesante decisione perché aveva avuto esperienze con pratiche di cura diverse?
«Si, da bambina ero caduta sciando rompendomi una gamba, mi avevano ingessato, a scuola un compagno mi aveva dato un calcio al gesso e il piede si era completamente girato, quando me lo hanno tolto zoppicavo pesantemente e i medici non potevano fare nulla. Mia mamma mi ha portato da una signora anziana che mi ha fatto molto male ma ha completamente ristabilito una corretta deambulazione. Un'altra volta mi erano venute delle verruche sulle dita delle mani che con i farmaci non si attenuavano, i miei genitori hanno chiamato una persona che “conosce il segreto”, mi ha curato a distanza e le verruche sono subito scomparse. Queste sono state le mie esperienze dirette con i guaritori tradizionali da bambina, non potevo negare che mi avevano curata. Voleva dire mettere da parte i miei sogni da bambina prima quello di diventare veterinario e poi medico. Ho saputo di un professore che studiava etnomedicina girava il mondo per studiare come la gente si curava tradizionalmente in altri paesi, la cosa mi è sembrata interessante così mi sono iscritta all'università di Berna dove c'era un gruppo che studiava l'etnomedicina».
In quel periodo ha avuto modo di conoscere i guaritori che praticavano nei cantoni di lingua francese?
«Prima di tutto volevo sapere se esistevano ancora i guaritori, poi quando si è trattato di scegliere il tema di laurea ho pensato perché andare all'altro capo del mondo per scoprire cose che abbiamo qui da noi. All'inizio mi sono interessata ai guaritori nel Cantone di Friburgo. La partenza è stata molto difficile perché quando chiedevo un incontro e un'intervista non erano pronti e non accettavano di vedermi. Poi ho cominciato a chiamare riferendomi a conoscenti comuni e il lavoro è diventato più facile. Verso la fine dello studio quando telefonavo mi sembravano molto collaborativi, allora ho capito che ero stata accettata».
Così la laurea si è trasformata in un libro?
«È una storia semplice, a Friburgo l'argomento dei guaritori era un argomento corrente invece a Berna non li conoscevano, molta gente ha cominciato a chiedermi i particolari e a leggere il lavoro di laurea depositato in diverse biblioteche così ho inviato il plico a una decina di editori, Favre si è mostrato interessato a pubblicarlo così l'ho completato facendo ricerche in tutti i cantoni della Svizzera romanda. La prima edizione di seimila copie si è esaurita in 10 giorni, non riuscivo a crederci, oggi siamo ad 11 edizioni. Tra il primo e il secondo libro fino ad ora sono state vendute più di 70.000 copie».
I guaritori di oggi sono persone anziane?
«Sono di tutte le età, spesso i giovani anche se sanno di avere un talento particolare e conoscono la formula del segreto aspettano un po prima di praticare».
Queste persone hanno doti naturali o sono stati iniziati da parenti più anziani?
«Entrambe le cose, c'è chi è nato in famiglie con questi talenti e li ha ereditati, c'è chi fin da piccolo ha sensibilità diverse dalle altre persone, altri che hanno scoperto queste capacità dopo un episodio di coma o un trauma violento, altri che si svegliano un giorno senza capire cosa stia succedendo, sentono ad esempio un eccessivo calore alle mani o sensazioni particolari. Poi ci sono quelli che ricevono un segreto, una formula da una persona spesso più anziana che gli rivela il modo di praticare. Non necessariamente si tratta di un parente, è una persona che conosce e sceglie a chi trasmettere il segreto».
Possiamo chiamarlo rito di iniziazione?
«No, non è un rito, si può trasmettere a qualsiasi età. Non è una formula magica ma spesso un qualcosa con un contenuto religioso, nella Svizzera cattolica ci si ispira ai Santi che hanno subito un martirio che corrisponde al male della persona che chiede aiuto, nella Svizzera protestante ci si riferisce a Dio, a Gesù Cristo, alla Sacra Trinità. Sono formule abbastanza simili e funzionano benissimo. Molto spesso c'è questa base religiosa, non sono preghiere ufficiali ma contengono altre parole, sono formule molto forti imparate a memoria che solitamente danno grandi risultati anche nella cura a distanza sia di persone che di animali. Conosco guaritori svizzeri che vengono chiamati dall'America o dall'Australia, pronunciano la loro formula e funziona».
Tutto questo accade anche senza un contatto diretto con la persona o l'animale?
«I guaritori alle volte chiedono il nome e dove la persona è sofferente, questo gli serve per connettersi ed inviare energia o addirittura “amore”, come loro dicono, mormorando la formula di cura appropriata».
I guaritori sono sempre delle persone molto religiose o ci possono essere anche degli agnostici?
«Non necessariamente, quasi tutti mi hanno detto di credere in qualcosa come l'energia universale o cosmica o le forze della natura. Non son per niente fanatici religiosi, quasi il contrario direi. Naturalmente ci sono anche guaritori agnostici. Sono persone più interessate ad una spiritualità che ad una religione precisa».
Ci sono anche guaritori di altre religioni come Ebraica, Mussulmana, Buddista, ecc.?
«Certamente, soltanto che non usano le stesse tecniche, questa del segreto l'ho trovato, per il momento, soltanto nel mondo del cristianesimo anche in Italia, Spagna, Germania e molto in Francia».
Sono tradizioni di guarigione che ha trovato sopratutto nel mondo agricolo o anche in altre classi sociali?
«In tutte le classi, naturalmente sono nate in campagna e in montagna, zone difficile da raggiungere, soprattutto d’inverno, chiuse dal mondo e dai medici, dove la gente e gli animali dovevano sopravvivere in caso di incidenti, parto, malattie, ecc. Quando le genti si sono spostate nelle città i guaritori hanno seguito e lo fanno indipendentemente dalla loro professione, alla sera o quando possono. Attualmente la situazione è cambiata e tanti guaritori lo fanno anche come attività principale».
Esiste un rapporto tra la medicina ufficiale e questi guaritori?
«I medici hanno un po di difficoltà ad ammetterlo ma il rapporto c'è di sicuro…»
Curanderos, i guaritori eletti dai fulmini. La medicina tradizionale messicana si avvale, da secoli, della figura dei curanderos i guaritori che, tra spiritualità e magia, spesso riescono laddove la medicina ufficiale non è riuscita. L’intervista all’esperto. In messico ci sono persone che, dopo essere state colpite da un fulmine, diventano dei guaritori, scrive il 31/01/2012 "La Stampa” In Messico esiste da secoli una figura chiamata curandero. È il guaritore che opera per mezzo della medicina tradizionale, frutto dell’esperienza e delle tradizioni delle antiche popolazioni pre e post-ispaniche, tramandate di generazione in generazione. Oggi, la figura del curandero è sempre meno diffusa in quanto restano pochi individui di una certa età ancora all’opera e i giovani, chiamati a continuare il “mestiere” del curandero, spesso non rispondono e preferiscono condurre la propria vita senza troppi grattacapi e responsabilità che questa attività – peraltro prestata interamente a titolo gratuito – comporta. Di curanderos ne esistono pricipalmente due figure: il curandero, diciamo così, classico e il granicero, ossia colui che è stato scelto dal fulmine. Sì, una persona che è stata colpita da un fulmine, che è sopravvissuta, e che ha acquisti dei poteri particolari che lo fanno essere un vero e proprio manipolatore del tempo – coadiuvato dagli “esseri” spirituali definiti i “lavoratori del tempo” (trabajadores del tiempo) con cui sono in contatto da dopo che hanno vissuto questa elettrizzante, quanto drammatica, esperienza. Ma chi sono questi curanderos o graniceros? Come operano e cosa possono fare? Cos’è la medicina tradizionale messicana? Per rispondere a queste e altre domande ci siamo rivolti a un esperto, il dottor Maurizio Romanò, antropologo che per anni ha studiato il fenomeno, recandosi personalmente in Messico, conoscendo e interagendo direttamente con i curanderos e graniceros. Come complemento ai suoi studi, il dottor Romanò ha anche pubblicato un libro per le Edizioni Xenia, dal titolo “Nei cieli del Messico – Spiriti, fulmini e siamani”, in cui riporta proprio questa sua interessante esperienza.
Dottor Romanò, cosa significa “curandero” e chi sono i curanderos?
«In Messico per curandero si intende chiunque operi nel campo della salute fisica e mentale, utilizzando metodi, tecniche e conoscenze tramandate di generazione in generazione. I curanderos sono i detentori di un sapere ancestrale, e l’efficacia delle loro pratiche curative è attestata dal giudizio popolare. Indio o meticcio, il curandero organizza le sue conoscenze attingendo da fonti diverse, e sebbene in lui predomini l’antica sapienza dei popoli preispanici, non disprezza gli apporti della magia e della scienza occidentali, introdotte in Messico con la conquista spagnola. Per questo, anche se in termini generali è possibile parlare di una medicina tradicional, occorre chiarire che essa si presenta in una molteplice varietà di forme ed espressioni», spiega il dottor Romanò. «I curanderos spesso si raggruppano in organizzazioni, chiese, confraternite, associazioni, con una denominazione che li identifica. Nei villaggi in cui non esistono istituzioni così strutturate, il curandero viene comunque individuato da un nome che ne specifica le competenze. Così è possibile incontrare dei Curanderos Espiritistas, che praticano riti di tipo medianico; Espiritualistas, raggruppati in vere e proprie chiese, realizzano interventi terapeutici di tipo spirituale; Yerberos, che prescrivono cure a base di erbe; Hueseros, ossia coloro che ricompongono fratture; Parteras, le levatrici tradizionali; Brujos, che si dedicano a opere di stregoneria e così via – aggiunge Romanò – Ogni curandero è quindi in possesso di un proprio sapere medico, che può essere prevalentemente di tipo empirico come nel caso degli yerberos, degli hueseros, delle parteras, o di tipo magico come per gli espiritualistas, gli espiritistas e i brujos – anche se spesso i due livelli sono compresenti nei processi curativi di ogni curandero».
Quali sono le radici della medicina tradizionale messicana?
«Bisogna innanzitutto distinguere due componenti: la componente indigena e quella europea», sottolinea Romanò. «All’arrivo degli spagnoli, i mexica - popolazione di lingua nahuatl meglio conosciuta con il nome di aztechi - esercitavano la loro egemonia politica e culturale su gran parte del territorio mesoamericano. Nella società mexica la malattia era considerata come un intervento delle divinità, o meglio come una normale reazione delle forze sovrannaturali nei confronti del comportamento umano. Dèi, esseri sovrannaturali di ogni sorta, uomini malvagi e una serie interminabile di entità e oggetti della natura dotati di una propria “volontà”, erano le cause più frequenti di malesseri di ogni tipo. Tutto quanto poteva trasmettere una propria energia, o anche essere la manifestazione di un altro essere più potente o il suo tramite per l’azione, era in grado di guarire oppure di produrre un danno alla persona», spiega Romanò. «Il medico, comunemente chiamato ticitl, godeva di grande rispetto ed era ovunque tenuto in grandissima considerazione. Il ticitl era soprattutto un mago che interpretava e trattava la malattia come un segno inviato da forze sovrannaturali, e il suo intervento si presentava come una sintesi inestricabile di religione, magia ed empirismo. Uomini e donne erano considerati egualmente adatti per praticare l’attività medica, ma mentre per i primi l’attività poteva iniziare con l’età adulta, per le donne solitamente la pienezza delle facoltà giungeva con il climaterio. Generalmente le conoscenze mediche venivano trasmesse direttamente dagli anziani ai giovani apprendisti, spesso appartenenti alla stessa famiglia o lignaggio. Molto importante era però la determinazione dei segni sovrannaturali che indicavano la predestinazione del futuro medico. Poiché il guaritore azteco era considerato come un tramite con le energie onnipotenti dell’universo, prima di dare inizio all’apprendistato del giovane i guaritori più anziani esaminavano gli indizi sovrannaturali che lo indicavano come un prescelto dagli dèi. Il segno di nascita, la conformazione di una parte del corpo che si allontana dalla norma, un evento straordinario accaduto nel corso della vita del giovane, potevano essere interpretati come segnali di una chiamata delle divinità. All’interno della professione si distinguevano numerosi specialisti, ognuno dei quali si occupava di un certa classe di disturbi oppure eccelleva in un determinato tipo di terapia. Fra questi il tetlacuicuiliani estraeva il male dal corpo del malato, il tetonalmacani era in grado di recuperare il tonal allontanatosi dal corpo del proprio paziente, il tepatiani conosceva le misteriose proprietà delle erbe, il teitzminqui praticava salassi, il teixpatiani si occupava dei disturbi degli occhi, il texoxotla utilizzava tecniche di tipo chirurgico, e molti altri ancora». «Come è noto nell’Europa del 1500 l’attività terapeutica era svolta, oltre che dai pochi medici di formazione accademica, da numerose figure non bene definite che avevano appreso alcune tecniche curative attraverso il contatto diretto con altri guaritori. Basti ricordare che all’epoca le estrazioni dentarie, i salassi e alcune rudimentali operazioni chirurgiche venivano eseguite dai barbieri. I farmaci più utilizzati erano anche in Europa le piante medicinali, prescritte da erboristi legati alla tradizione contadina, che spesso si prodigavano anche nella cura dei disturbi provocati da fatture, malocchio, invidia, e altre cause di tipo magico – sottolinea il dottor Romanò – Questa medicina popolare, nella quale i procedimenti scientifici ed empirici si mischiavano con preghiere ed esorcismi, presentava numerose similitudini con la tradizione indigena, e si diffuse con una certa facilità nel Paese. La confluenza di questi diversi orientamenti nelle concezioni di salute e malattia, nella diagnosi e nella terapia, e la formazione di un nuovo gruppo sociale nato dall’incontro delle due razze, i mestizos, portò alla comparsa di un diverso approccio medico chiamato medicina tradicional».
La “medicina ufficiale” come vede queste figure (e pratiche)?
«La medicina ufficiale ha sempre tollerato la presenza di queste figure. Da un lato i medici di formazione scientifica hanno operato una campagna di svalutazione della medicina tradizionale bollandola come antiquata e superstiziosa, dall’altro se sono serviti nei casi in cui la scienza non aveva successo, suggerendo agli stessi pazienti di rivolgersi a curanderos di loro fiducia. Inoltre in numerose comunità indigene isolate, dove la presenza del Servizio Sanitario Nazionale non era sufficiente a rispondere ai bisogni di salute dei cittadini, i curanderos hanno sempre svolto una funzione importantissima».
Una figura curiosa sono i “graniceros”, i colpiti dal fulmine. Cosa distingue questi personaggi dai curanderos tradizionali?
«I graniceros sono (erano?)… Chissà se ne esistono ancora?? Già diversi anni or sono mancavano giovani che si dedicavano a questo culto. Le ragioni sono fondamentalmente da ascrivere alla modernizzazione, al cambiamento nei sistemi di produzione (i contadini una volta andavano a lavorare nei campi lontani dal proprio villaggio, e se venivano sorpresi da un temporale non avevano alcun riparo), e da una maggior presenza della medicina scientifica (ora se una persona viene colpita dal fulmine viene trasportata in ospedale)», fa notare Romanò. «A ogni modo, sono dei curanderos che oltre a dedicarsi alla cura di alcuni disturbi psicofisici, sono ritenuti capaci di controllare gli elementi atmosferici, e quindi di chiamare o allontanare nubi e pioggia. Gli appartenenti a questo gruppo vengono comunemente chiamati con il termine spagnolo graniceros, o in nahuatl, lingua degli antichi aztechi, quiapequi, e anche con la definizione che loro stessi si danno los que trabajan con el tiempo, ossia coloro che lavorano con il tempo. I graniceros sono organizzati in corporazioni ognuna delle quali fa riferimento a un suo luogo sacro, una grotta, da essi chiamata templo (tempio). Il gruppo è molto ristretto e i suoi componenti si differenziano da altri guaritori per essere stati scelti “desde Arriba”, cioè dall’Alto. Solamente coloro che vengono colpiti dal fulmine e vi sopravvivono, ottenendo particolari rivelazioni di tipo spirituale e poteri magici, sono chiamati a far parte dell’istituzione. Un rifiuto del predestinato lo condannerebbe a soffrire per sempre le dolorose conseguenze del fulmine, sino a quando non sopraggiunga la morte. Tutti i graniceros da me avvicinati affermavano con decisione di avere intrapreso questo cammino non a seguito di una loro iniziativa, ma come conseguenza di una chiamata da parte degli spiriti. Questi spiriti sono da loro chiamati trabajadores temporaleños, ossia “lavoratori del/col tempo”, presentatisi attraverso il fulmine. L’essere colpiti dal fulmine è segno di elezione; chi vi sopravvive dovrà collaborare con queste forze operando nel mondo degli esseri umani, chi muore svolgerà la propria attività fra gli spiriti del tempo».
I graniceros affermano di essere dei “mezzi” che operano per mano e volontà di Dio. Secondo lei, questa posizione è dettata da una reale esperienza o, nel tempo, è stata incorporata per poter continuare a operare senza rischiare di essere messi al rogo?
«In molte tradizioni mediche del mondo si ritiene che il potere di curare sia un dono che viene concesso dalla volontà divina; questa non è una peculiarità della tradizione messicana. In Messico, a seguito della conquista spagnola, gli spiriti e dèi indigeni hanno modificato i loro attributi, e sono stati assimilati alle figure sacre della tradizione cattolica. Da questo punto di vista, se un tempo era Tlaloc (divinità della pioggia, dei fulmini e di tutte le acque celesti) che con i suoi assistenti Tlaloques (piccoli spiriti delle acque che dimoravano sulle vette delle montagne, nelle grotte, nelle sorgenti di fiumi e ruscelli) a sovrintendere e regolare l’equilibrio fra gli esseri umani e gli elementi atmosferici, con la colonizzazione e la conseguente repressione delle tradizioni indigene queste entità spirituali sono state sostituite con l’immagine del Dio cattolico e degli angeli suoi aiutanti».
La tradizione “medica” tradizionale messicana ha esportato la sua filosofia e pratica anche in altri Paesi o resta confinata nella nazione?
«Non mi sembra che queste pratiche abbiano trovato fortuna in altri luoghi, diversi dal contesto culturale in cui sono nate e si sono sviluppate. E’ però vero che in altri Paesi dell’America Latina esistono tradizioni simili a quelle messicane, per via della comunanza di radici culturali e di processi storici».
Chi è Maurizio Romanò: Psicologo, psicoterapeuta di formazione psicoanalitica junghiana. Antropologo.
I Guaritori di Campagna. Autore del libro: Paola Giovetti. Viaggio attraverso la medicina popolare in Italia. Nel suo viaggio attraverso l'Italia contadina - iniziato negli anni Ottanta e ripreso in tempi recenti - alla ricerca di pratiche terapeutiche di tipo magico-religioso, l'Autrice ha incontrato in ogni regione numerosi personaggi straordinari, a conferma del fatto che queste tradizioni non sono scomparse, ma sono ancora vive e operanti, anche se il loro significato non è più quello di un tempo. In passato il guaritore di campagna svolgeva un vero e proprio ruolo sociale, essendo spesso - nelle zone rurali - l'unico "operatore terapeutico", che tra l'altro curava anche gli animali. Oggi, invece, la gente si rivolge a lui soprattutto perché rifiuta la medicina ufficiale; e si può anzi riscontrare addirittura un ritorno a tali pratiche magico-empiriche, dovuto al crescente bisogno di sacralità, di magico e di occulto. I guaritori di campagna agiscono - con risultati innegabili - mediante un insieme di riti suggestivi, di grande efficacia a livello psicosomatico. Paola Giovetti, nel descrivere gli incontri, fa rivivere l'atmosfera e l'ambiente in cui essi operano, e pone in luce i convincimenti, il carattere e il modo di esprimersi dei diversi guaritori. Un approccio diretto che, con l'aiuto di numerose fotografie, porta il lettore a contatto immediato con questo mondo lontano e misterioso, che pure vive gomito a gomito con la civiltà del ventunesimo secolo. A conclusione dell'opera, alcuni illustri studiosi di queste tematiche danno un commento ed una interpretazione del fenomeno dal punto di vista storico, sociologico e culturale.
I GUARITORI DI CAMPAGNA. Scrive il 18 febbraio 2016 "ilterzoorecchio". Relazione sul libro di Paola Giovetti “I guaritori di campagna. Tra magia e medicina”, Mediterranee Edizioni. Questo libro riporta una delle prime inchieste di Paola Giovetti, che comparve inizialmente come una serie di articoli pubblicati sulla Domenica del Corriere negli anni ‘80, poi raccolti in un libro, che fu ripubblicato più volte, anche perché è unico nel suo genere e fu anche usato come testo di lettura all’università di antropologia di Roma. Le cose dagli anni ’80 non sono cambiate poi molto. Tradizioni antichissime sono tutt’ora operanti, specie nel Sud, in Emilia Romagna e in Sardegna, anche se un tempo erano più diffuse, perché nelle campagne la medicina ufficiale non arrivava o, se arrivava, era troppo costosa. Pertanto molti ricorrevano a questo tipo di cura a carattere magico-religioso, in cui le cause delle malattie erano fatte risalire a malocchi, fatture, oppure a un evento che veniva chiamato (l’anima caduta) e implicava la caduta delle difese organiche per cui il corpo si ammalava. Intervenivano allora riti antichissimi, pagani o sciamanici, a cui i tempi avevano sovrapposto santi cristiani, ognuno dedito alle proprie guarigioni specifiche, ognuno adatto a curare certi tipi di disturbi.
Come si designano i guaritori? Importantissimi nel rito le parole magiche come i gesti rituali, che erano segreti e non si potevano riferire salvo che a persone adatte, scelte dal guaritore, spesso nella sua stessa famiglia, a cui veniva trasmesso, la vigilia di Natale, il sapere segreto. La scelta dei successori avveniva in genere in base a caratteristiche personali di empatia e di umanità, e nessuno di loro chiedeva soldi. A volte vogliono che si metta una candela alla Madonna. A volte sono pagati in natura. Alcuni di loro vanno a fare le loro segnature anche lontano e magari tornano a casa con due uova.
Come fa uno ad accorgersi di essere un guaritore? Molti vengono designati alle guarigioni in quanto nascono con la camicia, nascono (vestiti) dal sacco amniotico. La levatrice stabilisce così che il nascituro diventerà un guaritore e sarà capace di guarire una certa malattia. Ci sono guaritori che portano sempre con sé il sacco amniotico come fosse una reliquia. Uno lo perse in un bombardamento e considerò la cosa una vera tragedia personale. Sembra che col tempo esso si secchi come una pergamena. La levatrice poteva mettere in mano al bambino nato con la camicia dei chicchi di grano o dei fiori o del carbone e dedicarlo a un santo particolare, insegnando alla mamma le frasi rituali che avrebbe poi passato al bambino, una volta cresciuto. Nei primi anni era la madre col bambino in collo a segnare, poi sarebbe stato lui. Poteva essere scelto come guaritore anche (il settimo), cioè il nato maschio dopo sette figlie femmine. Una volta fatta la scelta, che poteva avvenire in seno alla stessa famiglia del guaritore precedente, le parole rituali gli venivano trasmesse la vigilia di Natale (solstizio d’inverno, che indica la forza che riprende). I riti sono basati sulla magia simpatica, di tipo analogico (rami di fico, steli di grano… dai tempi più antichi il fico è considerato l’albero del demonio. Si dice che Giuda si impiccò a un albero di fico). Si pensa di poter trasferire la malattia sul ramo di fico e questo poi sarà bruciato o distrutto portando il male con sé. I riti si compiono a digiuno e sono poi ripetuti secondo il numero tre, numero che è presente anche nelle fiabe e appare come cifra sacra e simbolica. Possono comprendere segni di croce e vengono fatti con luna calante (l’energia della luna è sempre stata importante per lo svolgimento del rito: con luna crescente si fanno i rituali di accrescimento, con luna piena si raccolgono i risultati e si rafforzano la volontà e il potere, con luna calante si fanno rituali di distacco e allontanamento, con luna nuova si iniziano cose nuove).
Cosa curano i guaritori? In genere disturbi comuni, come storte, sciatica, vermi, bruciature, fuochi di S. Antonio…anche allergie; non curano solo gli uomini ma anche gli animali, perché in passato se per i contadini poveri era difficile avvalersi di un medico, figuriamoci di un veterinario…
Come sono? In genere i guaritori sono persone di scarsa cultura ma di forte personalità e grande calore umano, sono semplici ma molto sicuri di sé, controllati, calmi, tranquilli, con una grande forza interiore, credenti, con una gran fede. Dicono tutti che bisogna (credere) per guarire, perché la fede è alla base di tutto.
Dove si trovano? Molti di questi guaritori sono in Emilia Romagna. Fanno la (verza), con cui un tempo curavano anche vacche o somari o cavalli. Si usa un piatto e un pentolino, che una volta era di terracotta ed era sempre lo stesso. Arriva uno che si è fatto male a una gamba. La guaritrice bolle l’acqua nel pentolino e la versa sul piatto Se il calore risucchia l’acqua, il malato ha solo una storta che si può curare, sennò ha una rottura e viene mandato all’ospedale. Anche qui nel rito compaiono le crocette fatte con fili di grano legati e di queste crocette se ne mettono 3 o 4 nell’acqua. Con queste crocette il guaritore segna la parte malata, borbottando le sue formule segrete. Il malato deve tornare tre volte di seguito. Più è lontano il momento della storta, più avrà bisogno di giorni per guarire. Tutto questo sembra bizzarro, eppure dai guaritori ci sono andati anche intere squadre di calcio.
Le persone intervistate dalla Giovetti sono molto bizzarre. In Sardegna zio Palmerio cura i porri. Li unge con grasso di pecora dicendo formule magiche e caccia poi questo grasso in un fosso, gettando così via il male. Tanto tempo ci mette il grasso a sciogliersi nel fosso, tanto tempo ci vuole al porro per guarire. Il rito sardo per curare la sciatica si fa con tre rami di fico, sempre in luna calante. Il guaritore passa i rami di fico lungo la gamba affetta da sciatica e ripete l’operazione per tre giorni di seguito. Poi brucia i rami di fico. Da zio Palmerio vengono malati anche dal continente ed è considerato infallibile. C’è anche il sindaco di un paesino sardo che toglie il malocchio. Qualsiasi problema può essere addebitato al malocchio: la vacca che non figlia, l’albero che non fa frutti, il grano che viene male, i pesci che non si fanno pescare. Il guaritore sindaco usa una antica medaglia che butta nell’acqua assieme al sale e ascolta il suono che fa. Se fa (clock), allora c’è il malocchio. Le ritualità possono essere di ogni genere. I mezzi usati sono l’acqua, il carbone, il grano, l’olio, i fiori…Nel napoletano c’è un rito che cura (il giallo), cioè i mali del fegato, o (a meuza) la milza. Per i mali della milza si ritaglia dalla corteccia di un albero una forma grande come un piede che poi si distrugge. Si fa questa cosa per tre volte in giorni successivi. La corteccia porta il male con sé. Per il fegato si usa un fiorellino giallo sempre per tre giorni. Si mettono i petali nella calza, così il giallo del fegato passa nella calza e il fegato guarisce. A Sarsina si usano fiori, chicchi di grano, cuoricini con dentro le reliquie. Questi oggetti sono messi nelle fasce dei neonati così che il prete, senza saperlo, li benedice quando benedice il bambino e il guaritore può portarli con sé. Una cura che forse le vostre nonne vi hanno fatto è la cura dell’orzaiolo, che viene (cucito), a volte con l’ago che non c’è e il filo che non c’è, oppure con una simulazione con ago e filo vero, e sparisce: “Scappa, orzaiolo, che te lo cucio”. Ad Arezzo, Borghini cura le bruciature con un metodo aggressivo, le brucia di nuovo con un fiammifero e così guariscono in pochissimi giorni. Strano ma vero. C’è anche una lieve signora che cura il mal di schiena facendo stendere i pazienti sul pavimento a pancia in già e correndo avanti e indietro sulle loro schiene con scarpe e tutto, sempre con le sue parole magiche. Un guaritore romagnolo, un bidello che si credeva molto fascinoso, curava (le maglie) degli occhi, che sono quei puntini che volte si vedono ballare nelle pupille. Nato con la camicia, l’aveva conservata tutta la vita portandola con sé. Prende un gomitolo di lana e dei ferri da calza e monta sul ferro tante maglie quante sono i pallini nell’occhio, poi dice: “Ora dovrò fare un brut guel” (ora dovrò fare una brutta cosa) e sputa nell’occhio. Alla Giovetti disse, convinto del suo potere magnetico: “Lei non sarà capace di reagire ai miei occhi”. Ma la Giovetti piuttosto cercava di evitare lo sputo. Bianca Gallesi cura (le storte a distanza). Prende uno stelo di grano, guarda dove ha i nodi e individua il punto della gamba dov’è la storta, e fa lì i suoi riti di guarigione sempre a distanza.
Qui in Romagna hanno un rito bellissimo che chiamano (Al simiot), lo scimmiotto. In passato capitava spesso che i bambini piccoli fossero denutriti, magrolini, pallidi, (color del mu ro). E andavano dalla guaritrice che faceva un rito stupendo: preparava della pasta da pane, la divideva in tre panetti, segnava la croce sopra. Ogni mattina scioglieva uno di questi panetti nell’acqua e con questa pasta sciolta e olio ungeva il bambino, passandolo davanti al caminetto. Per due giorni la madre doveva vestire il bambino mettendogli tutti i vestiti a rovescio. Alla fine del terzo giorno il bambino stava meglio. Forse anche ungerlo con la pasta di pane e l’olio lo fortificava. Forse la madre fatta più serena lo accudiva meglio con la sua energia.
Paola Giovetti fu (iniziata) a Soliera da Nerina, donna di una fede grandissima che una vigilia di Natale volle per forza trasmetterle le parole magiche per guarire le bruciature e i vermi e le passò (la verza). Soliera è un Comune rosso, ma lei diceva: “Sono tutte comuniste, ma quando stanno male, la fede ci viene”. Un sito suggestivo per le guarigioni è a Cancelli (Foligno), dove vive una sola famiglia: i Cancelli, in cui tutti i maschi sono guaritori. Guariscono la sciatica secondo una tradizione famigliare antichissima di 2000 anni che risale ai santi Pietro e Paolo. Sembra dunque che i due santi passarono di lì e furono ospitati dagli avi della famiglia Cancelli, che erano carbonai, e che, malgrado la loro povertà, divisero con loro il poco cibo che avevano. Per ringraziarli, i due santi fecero loro il dono di guarire la sciatica, un dono che vien ereditato di padre in figlio. Ora al posto di quella primissima abitazione c’è una cripta dedicata ai santi Pietro e Paolo. Ma la famiglia Cancelli ha anche una dispensa vescovile col permesso del Vescovo di Foligno per poter andare a curare la sciatica anche fuori del loro territorio, così i maschi della famiglia andavano in tutte le parte d’Italia. Pio IX aveva saputo della loro fama e siccome soffriva di sciatica, li mandò a prelevare. Così un giorno l’uomo dei Cancelli trovò le guardie del Papa che lo presero, sporco di carbone com’era, e lo portarono a Roma, nel palazzo del Papa, lo lavarono e rivestirono e andò a curare Pio IX. Si dice che il Papa gli chiese: “Cosa devo fare io mentre mi curi?” “Santità abbiate fede!” rispose il Cancelli. Quando la Giovetti andò a Cancelli, c’erano in famiglia tre uomini, tra essi anche un bambino e sarebbe diventato un guaritore pure lui. Molti guaritori risanano il Fuoco di Sant’Antonio con segnature o con crocette fatte un tempo col carbone. Oggi si usa la biro dicendo: “Non uscire da lì”. Ci sono stati anche guaritori che cambiano il tempo, per esempio allontanando dal proprio campo i nuvoloni carichi di grandine e mandandoli a scaricarsi sui campi vicini. Gli antropologi si sono interessati a questo libro. I riti sono stati definiti “antropologia della medicina”. Qualcosa di questo antico mondo sopravvive anche ora ed è un patrimonio da salvare. La scienza moderna non ha mai esaminato a fondo la tematica della magia. Non sappiamo a chi attribuire le guarigioni. Può darsi che alcuni di loro siano pranoterapeuti. Certo ci sono forti legami tra mente e corpo. Certo è che alcuni riti sono molto belli e i guaritori sono anch’essi figure molto belle, con grande carisma personale e una grande umanità. La suggestione del rito a cui il paziente crede con gran forza suscita qualche fattore ignoto della nostra psiche. E’ questo che dovrebbe essere studiato. Perciò gli antropologi parlano della necessità di recuperare i saperi perduti per capire il meccanismo di rigenerazione della vita.
I GUARITORI SARDI DI OGGI, TRA ERBE, MAGIA E ANTICHI SEGRETI, scrive il 14/08/2015 Stefano Lioni. Curano ustioni, cicatrici, problemi della pelle, lo fanno con erbe segrete e parole magiche, corteggiati senza successo dalle multinazionali del farmaco, sono i guaritori sardi, gli ultimi custodi di antiche arti mediche isolane. In Sardegna, secondo un recente censimento, sarebbero 44 i guaritori specializzati nel curare ustioni e altri problemi della pelle. Si trovano a Nuchis, a Monti, a Buddusò e in altri luoghi dell’isola. Non sono medici, sono uomini e donne che però conoscono i poteri delle erbe, le utilizzano in miscugli per curare e in alcuni casi conducono le loro terapie pronunciando le “brebus”, antiche e segrete parole magiche tramandate di generazione in generazione. A Nuchis, fino a poco tempo fa, arrivavano da tutto il mondo per farsi curare da una signora esperta guaritrice di ustioni. Era consigliata addirittura da molti medici per i casi più difficili, quando la medicina ufficiale non poteva fare di meglio. Come scrive il mio caro amico e scrittore sardo Gianmichele Lisai nel suo libro “101 cose da fare in Sardegna almeno una volta nella vita”, la signora di Nuchis, per le sue guarigioni, usava un unguento speciale di erbe, raccolte nelle campagne vicine. Oggi a Nuchis sembrerebbe che la signora abbia lasciato in eredità alla figlia la ricetta curativa e che sia ora quest’ultima a continuare le sedute di guarigione della pelle. La ricetta segreta dei miscugli curativi viene tramandata all’interno delle famiglie dei guaritori che ancora oggi operano, custodita gelosamente, ambita da molti, case farmaceutiche incluse. Le guarigioni vengono effettuate senza chiedere mai soldi in cambio, perchè secondo la tradizione di queste famiglie, non sarebbe giusto farlo. Chi viene curato di solito offre spontaneamente doni, alimenti per ringraziare della cura ricevuta. Sono tante le testimonianze dei risultati positivi di queste cure, le cita Gianmichele Lisai nel suo libro, le citano in molti ed anche io personalmente conosco una donna che racconta di essersi fatta curare una grande cicatrice sulla schiena, proprio dalla signora di Nuchis. La crema curativa di una famiglia di Buddusò viene addirittura utilizzata nel reparto di dermatologia dell’ospedale di Cagliari, nell’ospedale di Sassari e nel centro grandi ustionati di Genova. Varie sono le ipotesi sugli ingredienti segreti dei miscugli e sulle modalità della scoperta del loro potere curativo, avvenuta forse per caso, come spesso capita. Erbe misteriose quindi, nelle mani di persone sempre pronte ad offrire con esperienza i benefici di questi antichi quanto efficaci rimedi.
SCIENZA E BUSINESS. LA SPECULAZIONE DELLA MEDICINA.
"Metà dei farmaci in commercio oggi sono del tutto inutili". Esami prescritti senza senso, cure usate senza alcuna evidenza scientifica, integratori visti come panacea di tutti i mali. La dura denuncia di Silvio Garattini, fondatore dell'Istituto Mario Negri, scrive Cristina Serra il 21 dicembre 2017 su "L'Espresso". Silvio Garattini, fondatore nel 1963 e direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, che oggi conta tre sedi - a Milano, Bergamo, e Ranica (Bg) e oltre 950 unità di personale - è una delle massime autorità mondiali in farmacologia, cancerologia e chemioterapia e immunologia dei tumori. È stato membro, fra gli altri, del Comitato di biologia e medicina del Cnr, del Consiglio sanitario nazionale e Commissione della presidenza del Consiglio per la politica della ricerca in Italia, e della Commissione unica del farmaco del ministero della Salute. Da sempre critico nei confronti delle cure mediche “alternative”, è altresì critico verso l’eccesso di medicalizzazione cui stiamo assistendo oggi in Italia. Nell’intervista all’Espresso spiega perché.
Professor Garattini, quali sono a suo parere le cause principali dell’ipermedicalizzazione?
«Ci sono importanti interessi economici, ma concorre al fenomeno anche una pesante asimmetria dell’informazione. Chi vende fa pressione sui gradini inferiori della piramide, e chi acquista non è abbastanza informato. Questo vale sia per il Ssn che, ancor di più, per il cittadino. Cercando notizie in rete, su siti generici, non si trovano informazioni veramente utili per decidere obiettivamente. Informazioni che andrebbero date fin dai primi anni di scuola».
Quali fattori favoriscono il ricorso eccessivo ai farmaci: la presenza di molecole "me too" (nuovi farmaci simili ad altri già presenti), il marketing delle case farmaceutiche o i medici che prescrivono on demand?
«Tutti questi elementi contribuiscono a determinare la situazione. Anche se credo che alla base di tutto ci sia il fatto che la società si è dimenticata che la scienza è, in realtà, parte integrante della cultura, intesa non solo come sapere, ma anche come capacità critica. In Italia, sembra che il concetto di cultura si applichi solo alle lettere, alla filosofia o al diritto. La scuola non vede la scienza come elemento culturale forte, non insegna principi scientifici che permettano di stabilire con relativa certezza se un farmaco serve o no, se esiste un rapporto di causa-effetto o quali sono i rischi e i benefici. Per questo la gente è meno capace che altrove di individuare principi guida cui ispirarsi per valutare le situazioni».
La medicina è ormai un prodotto di consumo e siamo bombardati da notizie sull'ultima miracolosa cura di turno. Così negli ultimi anni anche le persone sane sono state trasformate in potenziali malati per vendergli qualche pillola
Perché non accettiamo più di vivere con il rischio di ammalarci?
«Siamo vittime della pubblicità e siamo convinti di poter vivere in eterno, evitando qualsiasi rischio di malattia, perché la pubblicità promette cose non vere. A forza di sentire che un certo farmaco serve, ci crediamo davvero. Ma così diventiamo tutti pazienti a rischio».
Dove si prescrive in eccesso: con i tumori, con le malattie mentali, o con disturbi minori, quelli con cui, in definitiva, si può continuare a vivere decentemente?
«La medicalizzazione più spinta è nella diagnostica, perché oggi si prescrivono moltissimi esami ematochimici e funzionali inutili. Non a caso si parla di medicina difensiva, perché il medico dimostra così di aver fatto tutto ciò che era in suo potere per inquadrare quel paziente. L’Italia è tra i paesi in cui si eseguono più Tac e risonanze magnetiche. E lo stesso succede con i test genetici, dove la scoperta continua di nuovi marcatori nel Dna porta a esagerare la prescrizione di test. Test del tutto inutili, perché nella maggior parte dei casi trovare un “difetto” genetico non impone di passare alla terapia, dato che non tutte le mutazioni nel genoma portano a patologia. Ma anche perché spesso una cura proprio non esiste».
Può fare qualche esempio di trattamento terapeutico inutile?
«Ce ne sono molti. L’assunzione di farmaci usati per malattie croniche (come le statine o gli antipertensivi) da parte di pazienti terminali cui questi farmaci non portano beneficio; l’ozono per l’artrite, gli ultrasuoni per i disturbi muscolari, le camere iperbariche usate per disturbi per i quali non ci sono evidenze di miglioramenti. Rientra in questo elenco anche l’abuso degli integratori alimentari, privi di prove di efficacia. Nessuno dice che non fanno nulla, che basterebbe cambiare stile di vita per stare meglio».
Molti farmaci, soprattutto antidepressivi, sono prescritti spesso in combinazione, nonostante prove della loro inefficacia combinata. Perché l’Ema non interviene?
«L’Ema non interviene perché l’attuale legislazione, facendo il gioco delle case farmaceutiche, chiede che un farmaco possieda caratteristiche di qualità, efficacia e sicurezza. Invece, andrebbe considerato anche il valore terapeutico aggiunto, cioè come quel farmaco si posiziona nel mercato in termini di “valore complessivo”, rispetto a farmaci preesistenti. Questi ultimi, se si dimostrano inutili, andrebbero eliminati. Invece in Italia sono passati 24 anni dall’ultima revisione del prontuario terapeutico, quando erano stati eliminati farmaci (non necessari) per un giro di vendite pari a 4.000 miliardi di vecchie Lire di fatturato».
Quali farmaci eliminerebbe oggi, se potesse?
«Sui circa 12 mila oggi in commercio ne eliminerei almeno il 50 per cento».
Tre azioni che dovremmo fare per iniziare a cambiare questo stato di cose.
«Smettere di inventare mongering diseases, cioè malattie che non esistono e che servono solo a vendere farmaci. Avere il coraggio di cambiare l’approccio alle polipatologie, specie nell’anziano, dove l’assunzione anche di 10 farmaci non migliora lo stato di salute perché non sappiamo come i farmaci interagiscono fra loro. E ridare allo Stato un po’ più di potere rispetto alle Regioni, migliorando l’informazione pubblica e rendendola capillare e corretta sin dall’infanzia. Non possiamo guarire tutto con i farmaci, ma buoni stili di vita possono evitare l’impiego di molti farmaci».
L'industria farmaceutica investe in marketing il doppio rispetto alla ricerca. La medicina è ormai un prodotto di consumo e siamo bombardati da notizie sull'ultima miracolosa cura di turno. Così negli ultimi anni anche le persone sane sono state trasformate in potenziali malati per vendergli qualche pillola, scrive Gianna Milano il 05 dicembre 2017 su "L'Espresso". «Dottore, buongiorno, sto male. Cosa ho? Non è facile dire, ci provo». Il quadro clinico si infittisce di appunti: sintomi, valori di colesterolo, pressione, glicemia. Oltre ad aggettivi: stressato, svogliato, depresso. Ma non solo. Il copione prevede tre possibili scenari: il medico prescrive un elenco di analisi e controlli diagnostici; richiede la visita di uno specialista; passa alla compilazione della ricetta. Raramente succede che il medico sfugga a queste tre soluzioni e liquidi il paziente dicendogli: «Lei è sano come un pesce. Le sue sono ubbie da ipocondriaco». In questo caso il malato immaginario ha pronto uno scenario di ricambio e cioè il pellegrinaggio da un medico all’altro alla ricerca di chi scoprirà il suo “problema”. E lo troverà senz’altro. Così come troverà chi gli prescriverà delle pillole. Spesso utili solo a chi le produce. La salute, come scrive Iona Heath nel suo saggio “Contro il mercato della salute” è ormai un prodotto di consumo. E insieme alla domanda di benessere, spesso alimentata da pubblicità mascherata da informazione, cresce la tendenza a medicalizzare tutto. Se la medicina ha fatto negli ultimi decenni grandi progressi, la salute è nel frattempo diventata una merce e come tale prevede un’offerta. La domanda è spesso condizionata da un’industria farmaceutica che investe un terzo del bilancio complessivo in marketing, il doppio di quello che spende nella ricerca, come ricorda Marcia Angell in “Farma&Co”. Non passa giorno che dai mass media non venga proposta (promossa) l’ultima terapia risolutiva per questa o quella malattia (vera o presunta). Ciò che conta, almeno a questo inducono a credere i messaggi che raggiungono i medici, e i pazienti, è che “l’ultima” terapia sia la migliore. Gli stessi specialisti sono inclini a ritenere sia la più efficace, anche se non risulta essere la più documentata dal punto di vista scientifico. Pregi e difetti per emergere hanno bisogno di tempo e mai come in questi anni (lo dimostrano i casi noti di Lipobay, Vioxx, Avandia, tutti e tre farmaci messi in commercio e poi ritirati per i gravi effetti collaterali) l’iter per l’approvazione dei farmaci ha subìto una discutibile accelerazione voluta dall’industria farmaceutica, in cerca di profitti rapidi, ma anche tollerata (favorita) dalle agenzie regolatorie, che dovrebbero vigilare sulla sicurezza dei medicinali. Del resto, l’Agenzia europea per i medicinali (Ema), che Milano ha perso al sorteggio in favore di Amsterdam, la Food and Drug Administration (Fda) in Usa, per l’80 per cento sono finanziate dall’industria farmaceutica e le loro decisioni possono essere “condizionate” da un inevitabile conflitto di interessi. La mancanza di trasparenza e indipendenza da parte di chi dovrebbe svolgere il ruolo di “controllore” getta un’ombra sulla loro affidabilità. E, nonostante lo straordinario miglioramento delle conoscenze, noi ci troviamo oggi in uno stato di maggiore incertezza, come scrive Marco Bobbio, in “Il malato immaginato”. Se fino alla metà del secolo scorso ci si occupava solo di chi era malato, oggi le malattie si curano prima che si manifestino, si gioca d’anticipo convinti di poterle evitare tutte. E si trasforma chi è sano in malato. Comitati di esperti (con conflitti di interessi spesso non dichiarati) hanno man mano abbassato i valori per colesterolo e ipertensione, creando condizioni di pre-malattia, come la pre-ipercolesterolemia o la pre-ipertensione. Condizioni che ovviamente ampliano il numero di chi ricorre a farmaci. Dubbi sono sorti sugli screening, offerti per prevenire patologie temibili come il cancro: via via che le tecniche diagnostiche si affinano aumenta il numero delle lesioni piccolissime individuate (talora di pochi millimetri) che inducono a trattamenti inutilmente invasivi. Nel caso della mammografia uno studio canadese, pubblicato sul British Medical Journal due anni fa e durato 25 anni, ha messo in dubbio che possa ridurre la mortalità per tumore al seno. Il lato oscuro del progresso tecnologico si chiama overdiagnosis: in persone che non presentano sintomi viene diagnosticata una malattia che non sarà mai sintomatica, né causa di mortalità precoce. E l’eccessivo potere attribuito alla medicina comporta inevitabili rischi. Soprattutto se la scienza medica, come avviene oggi, si muove in un incrocio di poteri economici, sociali, intellettuali, e di carriere. Siamo immersi in una medicina che «corre veloce e non è più in grado di valutare con onestà i propri successi e insuccessi; in una medicina che utilizza strumenti diagnostici e terapeutici senza una completa conoscenza dei rischi e dei benefici; in una medicina che sta perdendo di vista il significato della peculiarità dell’incontro tra medico e paziente», scrive Bobbio. Da metà a un terzo degli studi della ricerca biomedica non arriva alla pubblicazione perché non esiste obbligo di pubblicare le ricerche svolte. E gli studi con esiti negativi, denunciano i promotori dell’iniziativa AllTrials, hanno meno probabilità di essere pubblicati. La petizione lanciata da AllTrials chiede che tutti i trial clinici siano resi pubblici e disponibili ai ricercatori: la loro mancata pubblicazione porta a una perdita di informazioni vitali. Nel 2008 fecero scalpore le conclusioni di una ricerca coordinata dall’inglese Irving Hull, uscita sulla rivista online PloS: dopo aver acquisito dalla Fda i dati delle sperimentazioni cliniche (mai pubblicate) sugli antidepressivi di ultima generazione, gli Ssri o inibitori della ricaptazione della serotonina (tra cui il famoso Prozac, farmaco “cult” contro la depressione), il ricercatore concluse che il miglioramento nei pazienti era paragonabile all’effetto di un placebo, ossia un non-farmaco. Intanto, milioni di persone nel mondo ne hanno fatto uso. Il settore farmaceutico è uno dei pochi, nonostante la crisi economica, che non conosce flessioni. Non tanto grazie alla scoperta di nuove molecole, come sostiene Ben Goldacre in “Bad Pharma”, quanto alla promozione su cui i colossi farmaceutici destinano ogni anno decine di miliardi di dollari. La pressione si esercita con viaggi, inviti a congressi, regali, campagne di informazione, finanziamenti a società scientifiche e associazioni di malati. «Molti medici sono arrivati a considerare “normali” le proprie relazioni pericolose con le aziende farmaceutiche», scrive Goldacre. I nodi da sciogliere, tra medicina e potere, individuati negli anni ’70 da Giulio Maccacaro, restano attuali. E non sono chiusi all’interno della medicina ma esprimono un rapporto di potere complessivo. I medici e la medicina non costituiscono un mondo a parte, una sorta di area protetta. Perché la medicina è diventata a tutti gli effetti un settore economico. E per citare un celebre aforisma di Aldous Huxley, autore de “Il Mondo Nuovo”, «la medicina ha fatto così tanti progressi che ormai più nessuno è sano».
Noi, trasformati da cittadini in pazienti. I governi ci considerano soprattutto come potenziali malati. Da qui una lunga lista di obblighi e divieti, scrive Roberto Esposito il 5 dicembre 2017 su "L'Espresso". Tra politica e medicina si va stringendo un nodo sempre più stretto. Si tratta di una relazione da un lato inevitabile, dall’altro pericolosa. Inevitabile perché da tempo il corpo umano è divenuto obiettivo primario del governo degli uomini. Pericolosa perché questo “contagio” tra due linguaggi diversi rischia di snaturare entrambi. O almeno di esporli a strumentalizzazioni reciproche, che non fanno bene né alla politica né alla medicina. Gli esempi li abbiamo sotto gli occhi. Da quando la campagna elettorale di Trump si è giocata in buona parte sull’attacco all’Obama care, l’estensione o la riduzione della copertura assistenziale è diventato l’epicentro dello scontro sociale in America. Ma, in forme diverse, il cortocircuito tra politica e medicina è diffuso ovunque. Anche in Italia, dove l’imposizione di procedure di profilassi, volte alla protezione non solo di singoli bambini, ma di tutti quelli con cui entrano in contatto, ha scatenato una battaglia istituzionale e ideologica tra competenze diverse. Anch’essa immediatamente politicizzata come conflitto di valori tra libertà di decidere per sé e responsabilità nei confronti degli altri. Quando poi la questione medica è entrata in cortocircuito con quella dell’immigrazione - come è accaduto nel caso della bambina morta di malaria - quel nodo tra politica è medicina ha rischiato di stringersi al punto di rendere anche quell’episodio tragico, di origine incerta, un’arma impropria da brandire a fini elettorali. La medicina è ormai un prodotto di consumo e siamo bombardati da notizie sull'ultima miracolosa cura di turno. Così negli ultimi anni anche le persone sane sono state trasformate in potenziali malati per vendergli qualche pillola. Ma quando è nato, e che effetti genera, questo processo incrociato di politicizzazione della medicina e di medicalizzazione della politica? Alla sua origine vi è l’immagine della popolazione come un corpo sociale bisognoso di cura. Naturalmente la metafora dello Stato-corpo ha radici remotissime. Ma solo a un certo punto essa è uscita dall’ambito metaforico, per assumere un formidabile rilievo politico. Da quel momento, situabile alla fine del XVIII secolo, la gestione dei problemi sociali è stata sempre più intesa come una sorta di terapia destinata a curare disfunzioni, patologie, comportamenti devianti. In questo modo il controllo medico dei sudditi si è trasformato in un potente strumento di disciplinamento sociale. Costruzione di grandi ospedali e manicomi, attivazione di norme igienico-sanitarie, misure di contrasto delle epidemie, utilizzo della scienza demografica a fini terapeutici sono tutti effetti di questa traduzione del benessere fisico della popolazione in risorsa fondamentale dello Stato. Da allora problemi collettivi, prima considerati di altra natura, vengono poco a poco inglobati all’interno dell’ambito medico. Mentre, allo stesso tempo, la medicina dei grandi numeri è diventata un’attività con una crescente rilevanza politica. Solo una popolazione ampia e in buona salute consente allo Stato di prosperare all’interno e di vincere le guerre all’esterno. Il concetto di salute pubblica, esteso rapidamente a tutti i regimi, spesso congiunto a preoccupazioni di carattere etnico, ha costituito il perno di questa grande trasformazione. Conosciamo le perversioni razziali che si sono prodotte quando la pretesa sanità di un popolo è stata contrapposta alla malattia congenita di altri. Ma, anche senza arrivare a questi deliri paranoici, la svolta ha riguardato tutti. La medicina sociale è divenuta qualcosa che va molto al di là di un semplice sapere, accampandosi al centro della prassi politica. Come il bene del paziente costituisce l’obiettivo del medico, quello del corpo sociale appare lo scopo dell’agire politico. Non c’è dubbio che tutto ciò abbia avuto effetti complessivamente positivi, misurati dal decrescente tasso di mortalità e dalla progressiva scomparsa delle grandi epidemie in larga parte del mondo. Anche se ciò aumenta il gap da un lato tra Paesi ricchi e Paesi poveri e dall’altro tra coloro che fanno della cura un costoso stile di vita e coloro che sono costretti a rinunciarvi per fare fronte ad altre esigenze più pressanti. Ma anche per la fascia privilegiata, inclusa nei processi di medicalizzazione, c’è un prezzo da pagare. Perché la messa della vita sotto tutela medica produce un’estensione incontrollata della sfera patologica. Come hanno spiegato i sociologi della sanità Pierre Aïach (L’ère de la médicalisation) e Peter Conrad (The medicalization of society), fare della cura medica una delle prime preoccupazioni della politica significa considerare il cittadino innanzitutto come potenziale malato. Da qui un’impressionante lista di obblighi e divieti. Divieti, o forti dissuasioni a bere, fumare, praticare condotte sessuali definite irregolari, da un lato. E prescrizioni di diete alimentari, attività fisica, determinati modelli di vita dall’altro. È evidente che tutto ciò ha avuto notevoli benefici per i singoli individui e per la società nel suo insieme. Ma costituisce anche una gabbia da cui non è facile evadere. Con il forte e motivato dubbio che i vantaggi maggiori vadano alle industrie farmaceutiche e alimentari, alle palestre e ai centri di fitness. Non solo. Ma questo dovere di essere sani - e anche in forma, non in sovrappeso, eternamente giovani - ha un costo ulteriore. Che è quello di trasformare opzioni soggettive in necessità oggettive. Se scelte politiche - relative al modello di sviluppo, alla destinazione delle risorse, o perfino alla gestione dei flussi migratori - vengono sottoposte al vaglio della medicina, rischiano di mutare aspetto. Passano, per così dire, da un orizzonte storico ad uno naturale, in cui le soluzioni sono già prescritte. Ciò che è possibile, o opinabile, diventa necessario, in base al principio ineludibile della salute pubblica - naturalmente secondo l’interpretazione che danno coloro che lo invocano. Perché ciò possa riuscire, perché prescrizioni e divieti vengano accettati, non devono apparire imposti. Devono essere fatti propri dai soggetti cui sono rivolti. I quali devono sentirsi - prima che diretti, governati, amministrati - curati dalla politica. Ma se i cittadini sono sempre bisognosi di cure da parte di politici-medici, significa che l’istituzione della malattia precede quella della salute. Proprio allo scopo di farci sentire tutti sani, ci si considera tutti potenziali malati. Solo chi diffida continuamente della propria salute e si sottopone a un continuo controllo medico, spesso riempendosi di medicine non necessarie, potrà salvaguardarsi. Anticipando con la propria condotta le terapie preventive propagandate senza sosta dal mercato della salute pubblica. Tutti sanno che l’industria medica, come ogni industria, è alla ricerca prima di tutto di profitti. Ma pochi si sentono di disattenderne le prescrizioni, anche quando assumono carattere di imposizione. Intendiamoci. È un’opzione inevitabile. E comunque migliore di ogni altra. Non curarsi, quando si abbiano le risorse, è impossibile. Farsi curare da altri che da medici, insensato. Quasi tutte le terapie alternative nate al di fuori dei protocolli della medicina ufficiale si sono rivelate ben presto inutili, se non dannose. Il rischio di non vaccinarsi è, per sé e per gli altri, infinitamente maggiore che quello, pressoché inesistente, di vaccinarsi. Resta però una considerazione di fondo che tocca la concezione stessa della vita. Biologica e spirituale. La nostra condizione di malati - che continuamente ci viene ricordata infliggendoci infinite cure - è in ultima analisi incurabile. Non esiste rimedio contro ciò di cui siamo da sempre malati. Che è la nostra mortalità. Ciò vuol dire che la malattia che ci costituisce come esseri umani - la malattia del corpo e dell’anima - può essere lenita, ma non debellata. Essa, come perfino la morte, è parte integrante della vita. Anche il malato vive, sperimenta una forma di vita che ha i suoi gesti e le sue parole, le sue norme e le sue eccezioni. La malattia non è l’opposto della salute, ma un percorso interno ad essa. Così come la sanità è interna alla malattia, il suo stato migliore. E mai definitivo.
Ridateci i medici che sanno fare diagnosi: oggi per il paziente è via crucis tra gli specialisti. Nella medicina moderna sembra sparito lo sguardo d’insieme e ormai chi sta male viene spedito da mille diversi esperti per capire cosa ha. E forse anche per questo si moltiplicano i santoni e le cure fai-da-te, scrive Alessandro Gilioli il 7 dicembre 2017 su "L'Espresso". Il dottore ideale, quello dei nostri sogni, è un/una rassicurante professionista di mezza età che prima ascolta pazientemente le tue lamentazioni, quindi ti osserva la lingua, ti misura la pressione, ti ausculta il torace, magari smartella un attimo le ginocchia e infine decide che malattia hai: imbroccandola, naturalmente. Due ricette rosse, una visita in farmacia e tre settimane dopo stai bene come prima. Questo medico non esiste - se non nei nostri sogni appunto - e dobbiamo farcene una ragione. Purtroppo però esiste sempre di più il suo opposto esatto: il medico che sbadiglia o risponde al cellulare mentre gli spieghi i tuoi sintomi, se fuori dallo studio c’è un po’ di coda nemmeno ti visita, poi ti guarda un po’ scocciato e rapidamente ti prescrive un decathlon di esami diagnostici specialistici, senza spiegartene le ragioni. A questo punto il mondo (dei pazienti) si divide in due: quelli che rassegnatamente si trascinano alla più vicina Asl e prenotano appuntamenti per tutti i mesi a venire, dopo essersi dotati di agende anche degli anni successivi; e quelli, più benestanti o coperti da assicurazione, che si recano in un centro privato per affrontare i test a batteria, uno via l’altro, un giorno nel tubo della Rmn e il mattino dopo a farsi punzecchiare con l’elettromiografia. Abbandoniamo cinicamente i primi (i meno abbienti) al loro destino: probabilmente non riusciranno a completare l’inventario degli esami prescritti prima di quello autoptico. La medicina è ormai un prodotto di consumo e siamo bombardati da notizie sull'ultima miracolosa cura di turno. Così negli ultimi anni anche le persone sane sono state trasformate in potenziali malati per vendergli qualche pillola Prendiamo in considerazione invece i più fortunati secondi, che mettendo mano al portafogli collezionano una decina di chili di referti e poi iniziano a farsi ricevere negli studi con boiserie degli specialisti. Sembrerà strano, ma è a questo punto che per il/la paziente inizia il gioco più divertente, basato - un po’ come il biliardo - sul principio del rimbalzo con traiettorie più o meno prevedibili. Ad esempio, il cardiologo ti manda dal gastroenterologo che ti consiglia una visita dal neurologo, il quale viste le carte ti spedisce dall’epatologo, che però scuote la testa, prescrive nuovi test e ti inoltra dall’ematologo, e così via con qualche picco da brivido (la sala d’attesa dell’oncologo è tra le meno ambite) e talvolta un finale dall’otorino, il quale non avendo capito perché ti hanno mandato lì, già che c’è ti stura l’orecchio col siringone, per dare un senso all’incontro. E così alla fine di tutto il circo non è che ti senti meglio, ma almeno ci senti meglio. Tutto questo è parodia, s’intende. O quasi. In ogni caso forse un problema ce l’ha, la medicina contemporanea così iperspecializzata e iperfondata sulle più evolute macchine diagnostiche. E il problema è che quasi nessuno ti guarda più per intero, dai piedi alla testa, dall’anima all’unghia. Sembra che ciascuno di noi non sia più una cosa sola e totalmente interconnessa al suo interno, bensì un’addizione di componenti meccaniche, pistoni, giunti, cuscinetti a sfera, assali. Tu stai male e vai dal medico di base, che ti spedisce dallo specialista dei pistoni, il quale ti assicura il funzionamento del pistone quindi lui non c’entra e ti assegna al tecnico dei cuscinetti a sfera, proviamo un po’ a vedere che dice lui, eccetera. E a questo punto al sottoscritto - rigidamente razionalista, illuminista, scientista, cartesiano e kantiano - viene tuttavia un dubbio: non è che oggi hanno tanto successo i bufalari della salute, on line o meno, perché la medicina vera sbaglia qualcosa, almeno nell’approccio al paziente?
I record del business della salute: dieci farmaci guadagnano 55 miliardi. Ecco la classifica dei dieci prodotti best seller del 2013, che hanno guadagnato 76 miliardi di dollari. Vince l'Humira, un medicinale iniettabile anti-reumatismi e anti-infiammatorio. Altri due anti-reumatici, l'Enbrel della Pfizer/Amgen, e il Remicade della Johnson & Johnson/merck, sono rispettivamente al secondo e terzo posto, scrive Enrico Franceschini il 28 marzo 2014 su “La Repubblica”. Il business della salute vale oro. Lo si sapeva, ma lo conferma la classifica annuale dei dieci medicinali "best-seller" nel mondo: tutti insieme, nel 2013 hanno guadagnato 76 miliardi di dollari, circa 55 miliardi di euro. "Big Pharma", come viene soprannominata l'industria dei farmaci, siede su una montagna di denaro. E' una montagna di materia variabile, tuttavia, come rivela la graduatoria dello scorso anno: la maggior parte delle medicine più vendute sono oggi farmaci creati attraverso processi biologici, invece che prodotti sinteticamente con processi chimici come erano i best-seller del recente passato. Immunoterapia e medicinali per combattere i tumori dominano la "top 10", stilata come in passato dalla società di analisi del settore Evaluate Pharma/Ep Vantage e anticipata oggi dal quotidiano Guardian di Londra. La "capolista" dei due anni precedenti, il Lipitor, è uscita dalle prime dieci posizioni in classifica, ma non perché questo farmaco che fa abbassare il colesterolo sia passato di moda: anzi, viene sempre di più prescritto, solo che nel frattempo è scaduto il brevetto della Pfizer, l'azienda che lo produce, e il Lipitor è stato dunque affiancato nelle vendite da altri medicinali della stessa famiglia ma generici. Ora in testa alla "top ten" dei farmaci più venduti c'è l'Humira, un medicinale iniettabile anti-reumatismi e anti-infiammatorio usato anche per altre malattie simili, prodotto dalla Abbvie, che nel 2013 ha incassato da solo 10 miliardi e 600 milioni di dollari e che ha raddoppiato le vendite negli ultimi quattro anni. Altri due anti-reumatici, l'Enbrel della Pfizer/Amgen, e il Remicade della Johnson & Johnson/merck, sono rispettivamente al secondo e terzo posto della graduatoria, con 8,7 e 8,4 miliardi di dollari di fatturato. Al quarto c'è il Seratide/Advair, un farmaco per l'asma, della GlaxoSmithKline, con 8,2 miliardi e al quinto il Lantus, un medicinale per il diabete, prodotto dalla Sanofi, a quota 7,6 miliardi. La nuova generazione di medicine biologiche, osserva il Guardian, ha un mercato più ristretto rispetto a un farmaco relativamente a basso costo come il Lipitor, ma sono in media molto più care. Il quotidiano londinese cita l'esempio di un altro medicinale di questo genere, il Sovaldi, nuovo trattamento dell'epatite C, il cui prezzo negli Stati Uniti è di 1000 dollari per una sola pillola e 84 mila dollari per la cura completa: un costo che sta sollevando polemiche anche in Italia, dove non è chiaro se la sanità pubblica potrà pagarlo per le decine di migliaia di persone che ne avrebbero necessità. Prodotto dalla Gilead Sciences, il Sovaldi potrebbe ciononostante realizzare guadagni tra 7 e 12 miliardi di dollari nel suo primo anno di esistenza. Il best-seller di tutti i tempi rimane comunque il Lipitor. Lanciato nel 1996, ha fatto guadagnare alla Pfizer 141 miliardi di dollari, con picchi di 13 miliardi di dollari l'anno. Una somma che difficilmente la nuova capolista Humira potrà superare, perché anche il suo brevetto sta per scadere, nel 2016. Ma un vantaggio dei farmaci biologici, dal punto di vista dell'industria farmaceutica, è che sono più complessi da replicare come farmaci generici.
Il business delle false malattie, ecco i trucchi delle industrie. Si moltiplicano le giornate dedicate a una patologia: sono 60 a livello nazionale. Osteoporosi, menopausa e timidezza: un tempo non erano considerate disfunzioni, ora sì. E sale il costo per sanità pubblica e famiglie: 4 miliardi all'anno. Ecco come le major del medicinale riescono a venderci farmaci inutili, scrive Michele Bocci il 29 ottobre 2010 su “La Repubblica”. Non ce n'è nemmeno uno. Sul calendario non sono rimasti più mesi, settimane o giorni liberi da malattie. Da prevenire, scoprire prima possibile, sconfiggere, studiare o raccontare a chi sta bene. Cancro, alzheimer, sclerosi multipla, aids sono protagoniste ogni anno di giornate mondiali o italiane, regionali o cittadine. Ma anche la menopausa, l'osteoporosi, l'incontinenza e addirittura la stipsi hanno i loro periodi dedicati, con appuntamenti nelle piazze, davanti ai supermercati, negli ambulatori. Sotto gazebo montati in centro si misurano glicemia e pressione, si fanno valutazioni odontoiatriche e audiometriche ai passanti. C'è un palcoscenico per ogni problema, che sia infettivo e raro come la meningite oppure diffusissimo come l'ipertensione. Molti forse non sanno che in Italia si celebra anche il mese della prevenzione degli attacchi di panico. Quanti sono gli appuntamenti dedicati alle malattie? Quelli nazionali almeno 60 l'anno, poi ci sono le manifestazioni locali e il numero sale a 300. In molti, tra medici, farmacologi e responsabili di associazioni di malati, sono convinti che sia troppo alto. Spesso l'invito agli screening e il messaggio che molti non sanno di avere una certa patologia, oltre ad avere effetti positivi, creano ansie e timori. E fanno consumare sempre più sanità: esami, visite e medicinali. È ciò che vuole l'industria farmaceutica, che in Italia fattura oltre 25 miliardi di euro all'anno. Lavora per far guarire da problemi seri ma anche per allargare il mercato, un po' come si fa con i detersivi. Le giornate del malato, normalmente importanti, possono essere un efficace strumento di marketing, e diventare una delle linee di produzione della fabbrica delle malattie. Quali sono i meccanismi utilizzati per riempire di medicine i nostri armadietti del bagno? Il punto di partenza è la ormai nota frase pronunciata oltre trent'anni fa dal pensionando direttore Merck, Henry Gadsen: "Sognamo di produrre farmaci per le persone sane". Da allora la fabbrica ha scoperto tanti medicinali importanti ma ha anche prodotto nuove patologie e nuovi malati. Eventi naturali della vita come l'invecchiamento e il parto o stati d'animo come la timidezza, oggi, nella grande corsa al benessere assoluto, sono considerati problemi di salute. Così nessuno di noi si sente sano fino in fondo. Probabilmente Gadsen ne sarebbe soddisfatto.
L'idea di partenza è meritoria: portare una patologia in piazza per farla conoscere e magari raccogliere soldi per ricerca e assistenza. Il sistema però è cresciuto a dismisura. "Si rischia di incentivare il consumo di prestazioni sanitarie e di medicine", dice Marco Bobbio, primario di cardiologia a Cuneo e autore per Einaudi del libro "Il malato immaginato". "Tra gli organizzatori delle giornate c'è certamente chi ha uno scopo specultativo. Anche perché nessuno ha mai verificato con studi scientifici se queste iniziative aiutano i pazienti a curarsi meglio o magari spingono qualcuno che ha scoperto i sintomi di un problema ad accentuare artatamente i suoi disturbi, sottoponendosi a esami inutili". E magari a consumare più farmaci. Ma quanti tra coloro che partecipano a una campagna sanno già di avere quel problema di salute? "L'impressione è che si faccia coinvolgere chi è già seguito per la patologia a cui è dedicata la giornata - dice Bobbio - Chi fuma non va al banco per la prevenzione del tumore al polmone fuori dal supermarket". A organizzare questi appuntamenti di solito sono associazioni di malati, con l'appoggio di una società scientifica e il contributo dell'industria. Un evento di medie dimensioni al privato può costare anche 100-150mila euro. Le case farmaceutiche credono in queste iniziative. E non solo loro. Sempre più aziende cercano visibilità per i loro prodotti attraverso i problemi di salute. La giornata dell'osteoporosi oltre a sponsor come Procter & Gamble (che vende un farmaco per questo problema a base di risedronato), o Lilly Italia, quest'anno ha avuto la partnership dell'acqua Sangemini. Sul suo sito la società spiega anche di aver pubblicato un "opuscolo esplicativo sulle proprietà dell'acqua Sangemini, sulla prevenzione e la cura dell'osteoporosi per la donna fashion, ma anche attenta al suo benessere". Il tutto per un problema passato negli ultimi anni da fattore di rischio a malattia, secondo alcuni proprio grazie all'impegno dell'industria. Negli Usa si calcola che le visite per l'osteoporosi siano triplicate dall'introduzione sul mercato del farmaco alendronato della Merck. Al di là delle normali e lecite sponsorizzazioni, esistono appuntamenti organizzati a tavolino per vendere farmaci? Per dare una risposta basta la storia della "settimana nazionale per la diagnosi e la cura della stitichezza". "In Italia è stata fatta per ben tre anni consecutivi - spiega Bobbio - Si volevano sensibilizzare medici e cittadini sulla necessità di curare questo problema in previsione dell'arrivo sul mercato di un farmaco". Quel medicinale era a base di tegaserod ed era prodotto dalla Pfizer, che l'ha ritirato dal commercio in Europa nel 2007, perché sono stati segnalati casi di problemi cerebro-vascolari tra chi lo aveva preso. "E dall'anno dopo la settimana della stitichezza è scomparsa - dice Bobbio - dimostrando che il grande interesse "scientifico" era ingigantito per preparare il lancio commerciale".
Le giornate del malato, come certi studi clinici, i convegni e le pubblicità, in alcuni casi possono essere utilizzate per il cosiddetto disease mongering, la creazione a tavolino delle malattie. La stessa osteoporosi, la menopausa, la timidezza, un tempo non erano considerate patologie, ora sì. Una recente ricerca scientifica svolta negli Usa e pubblicata da Social science & medicine, prende in considerazione una decina di situazioni (ansia, deficit di attenzione, insoddisfazione della propria immagine, disfunzione erettile, infertilità, calvizie, menopausa, gravidanza senza complicazioni, tristezza, obesità, disordini del sonno) che sono state medicalizzate, alcune magari anche giustamente, negli ultimi anni e calcola che costino ogni anno alla sanità Usa 77 miliardi di dollari, il 3,9% della spesa. Quanto costa in Italia medicalizzare le patologie che un tempo non esistevano? Rispettando le proporzioni con l'America, circa 4 miliardi di euro. Di recente il British medical journal ha pubblicato il lavoro di un ricercatore australiano, Ray Moynihan, il quale sostiene che il mito della scarsa libido delle donne è stato creato dalle case farmaceutiche, per vendere una versione femminile del Viagra fino ad ora mai scoperta.
La fabbrica delle malattie non si accontenta mai. Si muove anche per far crescere il numero di persone a rischio. "Basta abbassare il limite della pressione, della glicemia o del colesterolo considerati pericolosi", spiega Roberto Satolli, medico e giornalista dell'agenzia Zadig, che realizza il sito partecipasalute.it. "Negli anni Sessanta si era ipertesi con 160-90, negli anni Ottanta e Novanta con 140-90 e adesso con 120-80. Si sposta un po' la soglia e milioni di persone vengono inserite tra coloro che devono prendere dei farmaci". Il colesterolo un tempo era considerato alto dai 240 in su, adesso anche ben al di sotto dei 200. Un sensibile allargamento del mercato potrebbe essere dovuto proprio in questo periodo al Crestor di AstraZeneca, uno dei medicinali della famiglia delle statine più efficaci per abbassare il colesterolo e quindi prevenire l'infarto. Di recente l'Fda, l'agenzia Usa per il controllo dei farmaci, ha approvato l'estensioni delle indicazioni alle persone senza problemi di colesterolo ma con alti livelli della proteina C-reattiva (un marcatore di infiammazione) e con un fattore di rischio cardiovascolare, come fumo, ipertensione, sovrappeso. Il New York Times ha spiegato come uno studio su larga scala dimostri che, rispetto al placebo, il Crestor per questi soggetti fa scendere la probabilità di un attacco di cuore da 0,37% a 0,17. Il quotidiano fa notare che per prevenire un infarto "a cui normalmente si può sopravvivere" vanno trattate 500 persone. Che magari sono grasse e quindi potrebbero abbassare quel fattore di rischio. Il Nyt calcola che, con l'allargamento dei parametri, 6,5 milioni di americani diventino potenziali utilizzatori del Crestor. Le statine sono sempre più usate ovunque, da noi il consumo aumenta del 20% all'anno. Si tratta di farmaci che hanno rivoluzionato la cura dei problemi cardiovascolari. Lo sottolinea Sergio Dompé, presidente di Farmindustria: "Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una riduzione di queste patologie senza precedenti. Del resto, più in generale, oggi stiamo meglio di una volta, in 15 anni ne abbiamo guadagnati 3 di vita. Le aziende fanno i loro interessi, ma quando lavorano correttamente perseguono anche il bene della collettività. Certo, alcuni sprechi si possono ridurre. E come dico sempre: il miglior farmaco è avere un bravo medico". Uno dei pilastri della fabbrica delle malattie è il marketing. Ma come si fa a vendere un farmaco?
Bisogna essere oltre che disinvolti anche scientifici. "I medici sono classificati a seconda della loro capacità di condizionare i colleghi. In cima ci sono gli influenzatori, bravi a parlare in pubblico e seguiti da tanti altri dottori quando si tratta di fare una prescrizione. Poi ci sono gli influenzati ma anche categorie come gli early adopters, gli appassionati delle novità, che amano essere i primi a fare le cose". A parlare è Luca (il nome è finto), che da anni lavora negli uffici marketing del farmaceutico. "A parte l'utilizzo degli informatori, sono importanti i congressi. Si sponsorizzano gli organizzatori e si fanno mettere letture o tavole rotonde incentrate non sul brand del tuo farmaco, cosa vietata, ma sul principio attivo o sulla patologia. Avere questo spazio scientifico costa diverse decine di migliaia di euro. Per il tuo simposio ingaggi i relatori, che paghi tra i mille e 5mila euro, e anche il pubblico, cioè i medici che seguono la patologia di cui si parla e che ospiti al congresso". Il fine è quello di vendere più farmaci. "Si pensi a un imbuto - dice Luca - Se ho 100 persone che prendono determinati medicinali e la mia azienda copre il 50% del mercato, serve a poco ed è faticoso strappare alla concorrenza il 2 o 3%. A me che sono leader, conviene aumentare i pazienti, farli diventare 200 allargando l'ingresso di quell'imbuto. Si cerca di ridefinire la malattia per poter dire che ne soffre anche chi prima non l'aveva. E partono le campagne di disease awereness, cioè di consapevolezza, fatte un po' in buona fede e un po' in malafede. Esiste sempre una quota di persone che non sa di avere una certa malattia: è giusto fargliela scoprire. Così, ad esempio, si organizzano le giornate".
Le multinazionali hanno in mano la ricerca. Lo spiega Nicola Magrini, farmacologo direttore del Ceveas, che si occupa di valutazione e linee guida sull'uso dei farmaci per la Regione Emilia Romagna e per l'Istituto superiore di sanità. "Negli Usa, pubblico e privato investono nella ricerca il 50% a testa - spiega - Da noi il pubblico finanzia solo una piccola parte degli studi. Bisognerebbe almeno favorire l'effettuazione di ricerche a cui partecipano più aziende: confrontando più farmaci si bilanciano gli interessi di tutti". Ma cosa sanno i singoli medici dei risultati della ricerca scientifica? "Negli ambulatori arrivano depliant patinati, non informazioni. Il sistema sanitario dovrebbe dare la possibilità a ogni dottore di accedere alle migliori evidenze scientifiche". Crede nelle collaborazioni tra privati per la ricerca anche Dompé. "Capita sempre più spesso che più aziende investano sullo stesso progetto, il nuovo paradigma è collaborare per competere". Il presidente di Farmindustria spiega che nel settore in Italia c'è ancora da fare. "Siamo indietro senza dubbio come struttura industriale, e ancora di più come sistema paese. Ma stiamo crescendo. Il pubblico non può avere i soldi per pagare gli studi sui farmaci, che durano in media 12 anni e mezzo. Allora deve far in modo di individuare centri di eccellenza, e ce ne sono, in grado di competere a livello mondiale e investire solo su quelli".
Proprio in questo periodo nel nostro paese potrebbe allargarsi il famoso imbuto. Sta partendo la campagna "dolore misterioso", negli studi dei medici di famiglia saranno messi volantini e poster per insegnare a riconoscere il dolore neuropatico e descriverlo (come bruciante, lancinante, formicolante, freddo o folgorante). È stato creato anche un sito doloremisterioso.it. L'iniziativa vede impegnate la Fimmg, sindacato dei medici di famiglia, la Simmg, la società scientifica di questi professionisti, e l'associazione Cittadinanzattiva. Sponsor è la Pfizer. Cioè l'azienda farmaceutica che produce il Lyrica, nato quando un prodotto simile della stessa azienda, il Neurontin, è diventato generico (peraltro dopo aver fatto prendere al produttore una multa della Fda da circa 450 milioni di dollari per campagne di marketing scorrette e mancata pubblicazione dei dati di studi negativi). Il Lyrica è a base del principio attivo pregabalin, indicato come terapia aggiuntiva negli adulti con attacchi epilettici, nell'ansia generalizzata ed è l'unico prodotto sul mercato per il trattamento del dolore neuropatico periferico, un problema che con l'approvazione della legge su cure palliative e terapia del dolore è diventato trattabile anche dai medici di famiglia, con gli specialisti. Intanto sul sito tutti possono fare un questionario sul proprio dolore, stamparlo e portarlo ai loro dottori. Se questi prescriveranno il Lyrica lo sapremo nei prossimi mesi. Quando si conosceranno i dati delle vendite.
BUSINESS di FARMACI e VACCINI - CONFLITTI di INTERESSE. Come gli "Enti" internazionali a "tutela della Salute" (OMS + CDC + FDA, ecc.) sono chiaramente collusi con l'Industria Farmaceutica. La descrizione del meccanismo che nel secolo scorso permise ai grossi capitali finanziari di impadronirsi dell’intero sistema medico americano e non solo, attraverso il controllo dell’insegnamento universitario, i Rockefeller amavano chiamarla “filantropia efficiente”, e' qui in questa pagina, ben descritto. Tratto da: dissensomedico.it. Da settembre 2013, in tutta l’UE (Unione Europea), sul foglietto illustrativo (bugiardino) di determinati medicinali farà la sua apparizione un triangolo capovolto. Un contrassegno che segnala a pazienti ed operatori sanitari quei farmaci per i quali i consumatori sono caldamente invitati a segnalare agli operatori nazionali, eventuali effetti collaterali inattesi. In gergo tecnico, le medicine sottoposte a monitoraggio addizionale. Si tratta di tutte le confezioni autorizzate dopo il 1° gennaio 2011 che contengono una nuova sostanza attiva; vaccini o prodotti derivati dal plasma di origine biologica; i medicamenti per i quali sono necessarie determinate informazioni supplementari nella fase successiva alla messa in commercio, o la cui autorizzazione è subordinata al rispetto di determinate condizioni o restrizioni per un impiego sicuro ed efficace. “La scienza medica è un'impresa industriale gestita e controllata da produttori (medici, ospedali, laboratori farmaceutici) che incoraggiano la diffusione di procedimenti d'avanguardia costosi e complicati, e riducono così il malato e i suoi familiari allo stato di docili clienti” - By Ivan Illich
"L'industria farmaceutica è grande e potente come l'industria delle armi. Con la differenza che la guerra finisce. La malattia, no, finché c'è qualcuno che la tiene in vita" (By Hans Ruesch) ....magari con i Vaccini
“Il modello di business dell'industria farmaceutica è basato proprio sull'allargamento della sfera delle malattie: il marketing creativo serve ad ampliare il bacino di clienti, convincendo chi è probabilmente sano a ritenersi almeno moderatamente malato” - By Allen Frances, (medico psichiatra)
"Noi medici siamo plagiati, fin dall'inizio, dagli insegnamenti universitari che ci vengono propinati da un manipolo di "professori" che hanno il solo interesse di lasciarci nell'ignoranza sulla vera origine delle malattie. Alcuni di noi, alla fine, raggiungono la consapevolezza e mettono in moto delle grosse energie che provocano reazioni positive nel Tutto." By Dott. Giuseppe De Pace (medico ortopedico ospedaliero)
La commercializzazione, ovvero il business della malattia è l'arte raffinata di "vendere" ipotesi di malesseri, malanni, un modo efficace per spacciare farmaci (droghe) ed esami magari inutili che pero' portano a profitti enormi per la filiera di Big Pharma. Questa commercializzazione richiede una regia di vendita e di pubblcita' ben precisa, dagli e degli attori principali (chi produce i farmaci ed i vaccini), secondari, cioe' la falsa e depistante pubblicita', ed il marketing che comprende anche la diffusione della paura di malattie inesistenti od addirittura inventate, che vi sta dietro all'aspetto commercial finanziario e molte comparse finali, fino all'ignorante consumatore. Questo il teatro sulla scena: Le aziende farmaceutiche (registi ideologici e produttori) devono per forza di cose coinvolgere i medici (attori protagonisti che divengono i rappresentanti per vendere i loro farmaci e/o vaccini) per far si che prescrivano le ricette, e devono coinvolgere i ricercatori (in genere non protagonisti) che inventano veri e propri nuovi disturbi, e che stimolano la formazione di gruppi di pazienti e/o famigliari di malati (comparse) che richiedono a gran voce un supplemento di terapia, per sopperire alla loro supposta carenza....ed infine i pazienti veri e propri che richiedono tali farmaci perché convinti di essere malati (spettatori incoscienti), dovuta alla loro totale ignoranza su cosa e' la salute o la malattia, quella vera ! Conoscendo questa sottile e nascosta trama scenografica, si e' in grado di difendersi dagli attacchi di questo corrotto sistema in-sanitario mondiale, le persone che non sono in grado di conoscere questo teatro scenografico, vengono a loro insaputa stritolate e strumentalizzate da questa infernale macchinazione del marketing farmaceutico che Big Pharma a messo in piedi in circa 120 anni.
Ecco cosa afferma il dott. F. Franchi: "Il più grande ostacolo al progresso della scienza è il monopolio che ne fanno gli "esperti", tra i quali si crea una rete (il cosiddetto establishment) che controlla i fondi per la ricerca, le pubblicazioni, gli incarichi accademici, le royalities per i test ed i farmaci, e mira a mantenere la sua posizione dominante di successo evitando per quanto possibile che altre idee, altre soluzioni, altre teorie possano filtrare scalzando le loro.
La censura c’è, e mentre una volta i "dissidenti" venivano fisicamente eliminati, oggigiorno lo stesso effetto viene ottenuto escludendoli dal circuito scientifico e mediatico che conta. Viene incoraggiata la raccolta di dati, una massa di dati sempre crescente, mentre scoraggiata è la loro elaborazione critica".
LA GRANDE TRUFFA. IL VACCINO E L’ OMEOPATIA.
Dal fine vita ai vaccini, chi decide come dobbiamo curarci? Scrive Erica Poli il 2 giugno 2017 su "Il Fatto Quotidiano". Periodicamente, dal mare magnum delle notizie, ne emergono alcune che costringono a fermarsi e riflettere. Sono le notizie che toccano i temi della vita e della morte. Ricordate le disposizioni di fine vita, il testamento biologico? La riflessione sull’eutanasia? E le polemiche sulla cura non convenzionale dei tumori. Ora è il momento dei vaccini. La questione è ogni volta il confrontarsi con aspetti che non sono e non possono essere di pura natura tecnica, perché investono una sfera che è pesantemente intima e riguarda il rapporto unico e misterioso che abbiamo con la vita che ci anima. Nella relazione con la vita e la morte, dove finisce la legge e dove comincia la responsabilità del singolo? E in che modo l’istituzione può e deve o non può e non deve interferire? Quale è il rapporto tra libertà di cura e responsabilità civile? Su questioni come queste non possiamo fare finta che il conflitto tra individuo e società non esista: il singolo e il gruppo, le ragioni particolari dell’individuo, i suoi valori da un lato e le statistiche della società, le sue logiche su larga scala, gli interessi globali dall’altro. In questa dinamica, la scienza medica che posizione occupa? Vi sono due ordini concettuali. Da un lato l’evidenza scientifica di efficacia dell’intervento medico che deve essere garantita: spetta alla comunità medica, agli Ordini professionali, alle società scientifiche pronunciarsi in merito alla validazione scientifica delle terapie e degli interventi di prevenzione. Siamo nell’era della medicina evidence based, basata sulle validazioni scientifiche piuttosto che sull’ipse dixit di uno scienziato, come era in passato nella cosiddetta medicina eminence based. In quest’epoca, tuttavia, abbiamo assistito a una crescente accuratezza della diagnostica e della tecnologia farmaceutica, ma non possiamo dire altrettanto per la capacità prognostica. Nel mio libro, Anatomia della coscienza quantica, ho evidenziato come la medicina che pratichiamo sia assai precisa nella formulazione di una diagnosi quantomeno descrittiva della patologia, ma non lo sia rispetto alla prognosi, che di frequente si rivela errata. Questo accade perché la prognosi viene valutata in termini statistici, e indica cosa accade nella maggior parte dei casi, a fronte di quella specifica diagnosi, se si attuano le cure comunemente impiegate. Ma non sappiamo nulla di cosa realmente accadrà al singolo individuo, né tanto meno di cosa gli accadrebbe se non attuasse solamente le cure o gli interventi che si fanno nella maggior parte dei casi. Sostanzialmente dunque, una volta espressa la diagnosi, o svolto un intervento medico, seppure preventivo, è molto difficile dire cosa realmente accadrà a quel singolo soggetto. E qui entra il secondo ordine concettuale, peraltro garantito anche dalla nostra Costituzione, che attiene alla libertà di cura. È libero un soggetto di scegliere quale terapia o quale intervento preventivo vuole seguire? È lecito per un individuo decidere se farsi o non farsi operare, se sottoporsi o meno alla chemioterapia o alla radioterapia? E fino a che punto un genitore può esercitare la sua libertà di scelta in merito alla cure o agli interventi di medicina preventiva praticati sui propri figli? Come comporre queste due realtà? Come garantire che la serietà scientifica venga mantenuta e che le persone non cadano nella trappola di sedicenti guaritori, venditori di fumo, medici che combattono crociate personali contro il sistema, al contempo garantendo il diritto costituzionale alla libertà di cura, persino in campi non convenzionali e non ancora documentati secondo i canoni della medicina evidence based? C’è solo una via ed è la conoscenza. È necessario che gli individui siano posti nella condizione di conoscere realmente quali sono le terapie disponibili, le linee guida, quali i rischi delle cure convenzionali e non, le controindicazioni di un intervento medico e le conseguenze legate al rifiutarlo. Ogni individuo ha diritto alla libertà di cura, e deve essere messo nelle condizioni di poter esercitare realmente questo diritto, il che deriva da una conoscenza della verità su farmaci, interventi di cura e interventi di prevenzione. La libertà di poter decidere di se stessi è imprescindibile nella dignità umana e condiziona la risposta alle cure e la salute. Ben-essere, libertà e verità sono inscindibili. “La verità vi renderà liberi”. Così è stato detto. Così è ancora.
I genitori anti-vaccini nelle piazze italiane: "Libertà e non obbligo". La mobilitazione da Milano a Cagliari. A Firenze c'è il medico radiato dall'ordine, scrive Simonetta Caminiti, Domenica 04/06/2017, su "Il Giornale". «I vaccini sono innocui» e la faccia di Pinocchio: tante le magliette così stampate in piazza San Lorenzo, a Firenze, nella giornata che, ieri, ha visto scendere in campo in tutta Italia le manifestazioni dei «no-vax». Quelli che non vogliono essere chiamati così, quelli che rifiutano le semplificazioni, ma che tuonano sempre più forte contro l'obbligo al vaccino, certi che l'appuntamento con l'iniezione, e i richiami, possa fare più danni di malattie virali importanti, che spesso hanno gli esiti di un contagio letale. Ancona, Aosta, Bari, Bologna, Brindisi, Cagliari, Catania, Cesena, Firenze, Genova, Lecce, Marina di Carrara, Milano, Napoli, e ancora Padova, Parma, Perugia, Pescara, Rimini, Roma, Savona, Torino, Trento, Udine: tutte piazze in protesta contro il decreto Lorenzin, che punta a far passare le vaccinazioni obbligatorie da 4 a 12, e prevede l'impossibilità per i non vaccinati di frequentare le scuole da zero a sei anni, laddove per le scuole dell'obbligo sono previste salate sanzioni ai genitori che si rifiutano di vaccinare. A Firenze, in particolare, è sceso in campo anche il dottor Miedico, radiato di recente dall'Ordine dei Medici per aver espresso scetticismo sulle vaccinazioni pediatriche di massa: tanti, qui, i grembiulini dei bimbi lasciati a terra, a rappresentare come il diritto all'istruzione, se i genitori che non vaccinano sono sanzionati così pesantemente, possa essere messo in discussione. Poi, Milano. Dove circa cinquecento no-vax sono scesi in piazza al grido di «Milano non si piega» e «se c'è rischio di errore decide il genitore»: un presidio a Piazza Scala per quella che i manifestanti chiamano «la libertà della scelta vaccinale». Chiarissime le intenzioni al megafono, secondo cui ogni bambino «ha diritto di crescere e svilupparsi secondo ciò che i genitori ritengono giusto per loro. Il governo, che senza nessuna evidenza epidemiologica, sta cercando di punire chi non si conforma al pensiero unico scientifico». Ma manca lo scrupolo, forse, che il bambino non cresce e non si sviluppa in autonomia, anzitutto fisica, dalla sua comunità. Le richieste al ministro Lorenzin? Un'informazione «libera dal conflitto di interesse», l'anamnesi famigliare e test pre-vaccinali, per verificare che i vaccini non abbiano controindicazioni con problematiche famigliari già esistenti e le analisi del contenuto dei vaccini. Una manifestazione promossa dall'associazione Comilva e dal comitato dei «Genitori del no obbligo Lombardia», il movimento «Giovani per il Risveglio», il «Sentiero di Nicola» e il «Condav» (il Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino). La promessa di un'estate di denunce contro il ministro Lorenzin, ma i «no-vax» si affrettano a «dissociarsi» da atti violenti e intimidatori come le minacce arrivate giorni fa al dott. Burioni e i resti di bombe carte ritrovati davanti ad una Asst in provincia di Bergamo. A Genova si è mobilitato anche qualche figlio d'arte, e sempre sulla stessa falsariga delle altre piazze: Luvi De Andrè, figlia di Fabrizio e di Dori Ghezzi, si è schierata ieri, pubblicamente, contro il decreto Lorenzin: «I vaccini sono senza alcun dubbio un'utilissima arma di prevenzione a fronte di un reale rischio epidemiologico - ha scritto in un documento reso pubblico a Genova alla manifestazione di questa mattina, promossa dal gruppo Libera Scelta Liguria - ma solo se rigorosamente testati, monovalenti e limitati al caso specifico. Chi scrive è una mamma preoccupata per questa imposizione: sento la necessità di una profonda riflessione sul decreto».
Tra contrari e favorevoli, quante bufale sui vaccini, scrive Guglielmo Pepe, il 13 aprile 2017, su "La Repubblica". Da tempo è in atto una guerra sui vaccini, come sanno pure gli italiani che seguono poco o nulla le vicende, le notizie, le polemiche su questo argomento. Anche perché alla grande maggioranza dei cittadini forse interessa molto di più il funzionamento del Servizio sanitario del Paese, che - come abbiamo già visto e raccontato, trovando conferma nell'ultimo rapporto Osservasalute - in ampie zone del Sud è largamente carente. Se alcuni partiti di governo - in primo luogo il Pd - spendessero un po' più di energie per cercare di migliorare una situazione preoccupante, milioni di persone ne avrebbero giovamento. Invece contano innanzitutto i vaccini, e la questione viene gonfiata a dismisura, drammatizzata, intrisa di falsità e bufale sia da parte di chi è contro sia di chi è pro vaccini. Non c'è dubbio che le vaccinazioni siano calate. E in alcuni casi al di sotto della soglia di sicurezza, quella che fa scattare la cosiddetta immunità di gregge. Però non è chiaro di quanto siano diminuite realmente le vaccinazioni e in quali fasce di età. Perché se c'è un rischio di contagio, questo vale anche per i giovani e per gli adulti. Tra i quali siamo al 60 per cento di copertura, mentre tra i bambini si viaggia mediamente intorno al 90 per cento. Prendendo in esame soltanto questo aspetto, viene da pensare che l'obbligo di vaccinazione per andare all'asilo nido e alla scuola materna, dovrebbe riguardare anche il personale scolastico. E poi come la mettiamo con le strutture per l'infanzia inserite in edifici che contengono anche le elementari, la scuola media, le superiori? E i per i luoghi di incontro collettivo, tipo le piscine, i parchi giochi? Obbligo vaccinale per tutti? E poi che facciamo con il personale sanitario che risulta tra i meno vaccinati? Non è a rischio di essere contagiato un medico, un infermiere, che a sua volta può essere portatore di infezione? Da questo breve excursus si capisce che l'obbligo vaccinale propedeutico ad altre attività umane, è una questione complessa. Che meriterebbe discussione, confronto, ragionamento. Non anatemi, né rifiuti aprioristici. Ma il corridoio è molto stretto: da una parte ci sono i complottisti, che paventano quasi la presenza di una Spectre farmaceutica, sostenuti da genitori (molto più informati di quanto si creda), che temono i danni da vaccino più di ogni altra cosa. Va detto che gli effetti collaterali, talvolta seri e gravi, non mancano, però le incidenze negative sul complesso dei vaccinati, anche se possono preoccupare, non sono tragiche: non da destare panico nelle famiglie. Dall'altra parte troviamo i crociati delle vaccinazioni, che dimostrano una notevole intolleranza e accusano tutti gli altri di essere anti-vaxx. Lo scontro è durissimo, con scambi di accuse molto pesanti. Una prova l'abbiamo avuta nelle ultime 24 ore con la conferenza stampa organizzata alla Camera dal deputato del Mdp, Adriano Zaccagnini, preso di mira con veemenza dal Pd che voleva bloccare l'incontro, ma essendo l'uso degli spazi un diritto dei parlamentari, la polemica ha virato più che altro sui "contenuti", al centro di quali c'era Zaccagnini, definito anti vaccinista senza se e ma. Alle 13 di oggi si è tenuta regolarmente la conferenza. Ero presente, come altri giornalisti, in particolare televisivi. E tutti hanno dovuto prendere atto che tra i presenti (il deputato, gli avvocati e i medici), di "no-vaxx" c'era neppure l'ombra. Il giovane parlamentare sembrava turbato dalle violente parole che hanno preceduto l'iniziativa (soprattutto perché il suo gruppo parlamentare ha preso le distanze), ma almeno ha chiarito che è per i vaccini, e anche se ha citato studi non sconvolgenti sui militari contaminati in Iraq, ha chiesto che le vaccinazioni avvengano in sicurezza, che l'Aifa fornisca i dati sulla farmaco-vigilanza e sugli effetti avversi (che sul sito dell'Agenzia sono fermi al 2013), e che ci sia la libertà di scelta. A tal proposito il deputato del Pd, Gelli, invece di attribuire a Zaccagnini "deliri e manie di protagonismo" avrebbe fatto bene a venire alla conferenza: avrebbe capito che alcuni suoi giudizi sono superficiali, o del tutto infondati. Comunque Gelli ha annunciato una legge che renda obbligatorie le vaccinazioni per le iscrizioni a scuola. Per cui lo scontro si trasferirà presto in Parlamento. Dunque, se i "nemici" non sono i vaccini a prescindere, resta ingarbugliato un nodo probabilmente centrale: la libertà di scelta. E questo aspetto fa parecchio discutere il mondo degli studiosi che si interrogano a fondo sulla problematica (come dovrebbero fare tutti i ricercatori). È dei giorni scorsi un articolo - pubblicato su Sanità24 del Sole 24 ore, nel quale Antonio Clavenna e Maurizio Bonati, due studiosi del dipartimento del Mario Negri (un istituto di sicuro favorevole alle vaccinazioni), si domandano se sia più giusto obbligare o educare. "Sebbene il provvedimento di obbligatorietà miri ad aumentare le coperture vaccinali, e quindi sia istintivamente da plaudire, la sua attivazione presenta rilevanti criticità", scrivono i due e proseguono chiedendosi se è giustificabile che la società punisca il bambino "con l'esclusione dalla comunità per una scelta non compiuta da lui, ma dai genitori?". E ancora: "Le evidenze che derivano dalla letteratura scientifica sono controverse e non consentono di documentare la superiorità degli interventi coercitivi in ambito vaccinale...Nonostante la fiducia di molti politici e operatori sanitari, non è quindi scontato che l'obbligo vaccinale per l'iscrizione al nido produrrà un aumento delle coperture dell'intera popolazione e che queste si manterranno nel tempo". L'analisi prosegue su vari aspetti, e un punto appare centrale: l'educazione. "Una quota dei tassi di non copertura sarebbe potenzialmente recuperabile, senza coercizione, ma con l'educazione e l'informazione. Non fornire adeguate risposte ai genitori che nutrono dubbi e timori sui vaccini potrebbe spingere verso il rifiuto anche chi avrebbe scelto diversamente se ascoltato e rassicurato". I due toccano altri punti molto interessanti, e la conclusione è chiara: "Il rischio è di semplificare eccessivamente una realtà complessa, che necessita di un approccio multimodale di informazione, formazione e responsabilizzazione di tutti (anche degli operatori sanitari che nella maggioranza non si vaccina o non si è vaccinato a suo tempo, come i recenti casi di morbillo documentano), di attenzione, di tempi e di spazi di ascolto e di intervento". La citazione è lunga, e non completa il pensiero (arricchito dai numeri) dei due autori dello scritto, però è abbastanza esaustiva e non di parte. A Gelli del Pd, che presto vedrà i responsabili di alcune società scientifiche, consiglio di ascoltare cosa hanno da dire i ricercatori del Negri. Lo stesso consiglio, non richiesto, offro al dottor Roberto Burioni, il più attivo del fronte pro vaccini, al quale non piace confrontarsi con chi "non è al suo livello". Ecco due persone di livello. Ma questo articolo permette, a chi ne vuole far tesoro, di sgombrare il campo dalle polemiche violente, aggressive (e anche volgari) innescate da chi non considera la scienza democratica. Qualcuno dovrebbe organizzare una tavola rotonda con chi cerca di riflettere, con chi non si fa prendere da paure ingiustificate, con quelli che non lanciano allarmi sanitari inesistenti. Però temo, vista l'aria bufalara che tira in ogni direzione tra anti vaccinisti e vaccinisti, che il mio rimarrà solo un desiderio.
Decreto Vaccini: il commento che sui giornali non leggerete mai, scrive il 19 maggio 2017 Claudio Messora su “Byo Blu". C’era un tempo in cui qualcuno mandava affanculo tutti, per qualunque cosa. Era la rivoluzione. Mandava affanculo i corrotti, mandava affanculo i ladri. Mandava affanculo chi viveva attaccato alle poltrone, i giornalisti servi, i ministri, i banchieri senza scrupoli, mandava affanculo le case farmaceutiche e i loro business. Oggi, proprio le case farmaceutiche e i loro business hanno messo a segno un colpaccio mica male. Con un decreto legge scritto dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin, con il probabile aiuto dal consulente ministeriale Roberto Burioni, il Governo ha emanato un decreto in base al quale i vaccini obbligatori passano da 4 (di cui uno conseguente a una tangente da 600 milioni pagata da GlaxoSmithKline al Ministro della Salute De Lorenzo, con sentenza confermata in cassazione), a 12. Dodici vaccini obbligatori. Non solo: impossibilità di frequentare le scuole da zero a sei anni per i non vaccinati, mentre per le scuole dell’obbligo pesanti sanzioni a carico dei genitori che non vaccinano, in tutto o in parte: fino a 7500 euro. E la segnalazione al Tribunale dei Minori per la sospensione della patria potestà. Mica male eh? Dai, diciamocelo: un provvedimento che al confronto Mussolini era Gandhi. Ma non solo. Voi direte: cos’hai contro i vaccini? “Fanno bene, sono supersicuri”, dice Burioni. E poi sono necessari: tutte quelle malattie terribili come il morbillo. E se scoppia un’epidemia? Vacciniamoci tutti! Vacciniamoci contro qualunque cosa. Ma un vaccino contro l’idiozia esiste? Immagino di no: è controproducente. La questione non è se i vaccini facciano bene o male, o – più probabilmente – bene e male contemporaneamente, perché come tutti i farmaci (ebbene sì, hanno dei bugiardini con delle controindicazioni, che vi fanno firmare, e voi firmate come se li capiste) si dovrebbero prendere quando servono, e non a tappeto. La questione non è neppure se per discutere di vaccini sia necessario avere una laurea o meno. Innanzitutto perché se – come ci dicono – noi genitori dovessimo avere la laurea in medicina per decidere in merito ai vaccini, allora tantomeno a decidere per tutto un Paese dovrebbe essere una signora (il ministro Lorenzin) che ha la maturità classica, eppure non solo fa sfoggio di convincimenti che neanche un premio Nobel, ma legifera in conto terzi con spocchia e alterigia senza pari. Ma poi anche perché – e qui un vaccino contro l’idiozia sarebbe utile – se i genitori non possono “capire” perché non hanno la laurea in medicina, allora tantomeno possono firmare astruse liberatorie prima della fatidica inoculazione al loro piccolo. Come possono infatti non essere in grado di mettere in discussione i vaccini perché non competenti, e contemporaneamente essere in grado di dare un consenso informato? Allora, se pretendi che io sia informato, sei obbligato a spiegare e a convincermi, e io posso decidere. Altrimenti, visto che adesso i vaccini sono obbligatori, voi non dovete firmare più niente, anzi: devono firmare la Lorenzin e Gentiloni, e assumersi tutta la responsabilità del caso, insieme allo Stato, responsabile in solido di tutte le eventuali reazioni avverse, già scoperte o ancora da scoprirsi. Ma noi possiamo andare oltre alla questione della mera competenza, e fare un ragionamento che anche un uzbeko con la prima elementare potrebbe fare (con tutto il rispetto degli uzbeki, a cui chiedo scusa per l’incauto paragone). Anzi, possiamo fare molto più di un solo ragionamento. Mi limiterò a fare i primi tre che mi vengono in mente, se no mi viene fuori la Treccani.
Primo ragionamento: il decreto d’urgenza. Lo sapete cos’è un decreto legge? Facciamo finta di no: ve lo dico io: è una legge del Governo che entra immediatamente in vigore e che supera la discussione parlamentare. In una democrazia, infatti, l’iniziativa legislativa (il potere di fare le leggi) spetta al Parlamento, dove siedono i rappresentanti del Popolo (sì, con la p maiuscola). Ma allora, se le leggi le deve fare il popolo, perché il Governo può fare un decreto legge? Ricordiamo en passant che il Governo è scelto da un signore nominato dal Presidente della Repubblica, e non scaturisce direttamente come conseguenza dell’esito del voto: infatti dopo le dimissioni di Renzi, nominato a sua volta, non siamo andati mica al voto, ma Mattarella ha messo un avatar di Renzi a Palazzo Chigi. Risposta: il Governo può fare una legge, superando il Parlamento, solo se esistono i presupposti della straordinaria necessità e dell’urgenza. Ora, voi che non siete vaccinati contro l’idiozia, rispondetemi: quando esistono i presupposti di straordinaria necessità e di urgenza per un decreto legge sui vaccini? Ma quando esiste un’epidemia, naturalmente! A meno che non vogliate sconfessare quei quattro neuroni che ancora vi restano in testa. La domanda successiva è: esiste un’epidemia in Italia al momento – o esiste il rischio di una qualunque epidemia – tale per cui non si poteva aspettare una discussione parlamentare, dove a decidere sarebbero perlomeno stati i rappresentanti del popolo? Come dite? La meningite? No… quella era una fake news dei media per svuotare le scorte di magazzino delle farmacie, sconfessata dallo stesso Ministero della Salute (dopo che i magazzini si erano però svuotati) e dai media che l’avevano lanciata. Allora la polio? La parotite? Il prurito agli alluci dei piedi? Oppure… no, non ditelo… l’avete detto: il morbillo? Se pensate che ci sia un’epidemia di morbillo in atto, fatevi vedere da uno bravo. Tanto per stendere un velo pietoso sull’ennesima fake-news dei servi della carta stampata, stipendiati da qualcuno, l’Istituto Superiore di Sanità ha appena certificato un calo dell’84% dei casi di morbillo per maggio rispetto ad aprile, e dell’87% rispetto a marzo. E guardare i casi di morbillo dal 1970 vi farà capire che anche quelli del 2017 non sono niente di speciale. Ce n’erano più del doppio nel 2008, in piena copertura vaccinale. Allora, in proporzione ad oggi, cos’avremmo dovuto fare? Organizzare dei lager per i genitori e i bimbi non vaccinati? Evidentemente, visto che non è stato fatto, non rappresentava un problema. Ma forse la GlaxoSmithKline (quella della tangente da 600 milioni a De Lorenzo, che rese obbligatorio il loro vaccino dell’Epatite B) non aveva ancora scommesso 1 miliardo di euro nei prossimi 4 anni sui vaccini in Italia, partendo da un bel 60% (ancora con ‘sti 600 milioni, che numero fortunato!) dedicato al vaccino per la meningite (anche qui, lo sapete, vero, che la meningite ha tantissime cause, e che il vaccino ne copre solo una piccola parte? Certo, come no: questo la Lorenzin ve lo dice tutti i giorni). Quindi non c’era nessuna condizione di straordinaria necessità ed urgenza per fare questo decreto legge. E dulcis in fundo, reo confesso è proprio Paolo Gentiloni, che va dicendo candidamente in conferenza stampa che non c’era nessuna emergenza. Ma allora perché è stato fatto? E soprattutto, visto che è stato fatto in maniera incostituzionale, è valido? Scommetto che la Corte Costituzionale non se ne occuperà. Ma anche laddove lo facesse, visto che in passato ci ha messo anche otto anni a prendere una decisione, nel frattempo qualcuno potrà fregarsi le mani per bene, nel suo retrobottega.
Secondo ragionamento: sicuri che sia un’evidenza medica che tutti questi vaccini debbano essere obbligatori? No, neanche qui dovete essere laureati in medicina per capirlo, non preoccupatevi. Certo, non essere idioti aiuta, ma potete farcela. Seguite il labiale. Vi condurrò nel magico mondo della logica. Quello che vi dicono è che bisogna assolutamente vaccinarsi (anche se Gentiloni stesso dice che non c’è nessuna emergenza), al punto da fare addirittura un decreto legge per la straordinaria necessità bla bla bla. Ma allora, se fosse necessario farsi tutti questi vaccini perché altrimenti Burioni si incupisce, uno si aspetterebbe che anche negli altri civilissimi paesi dell’Unione Europea ci siano tutte queste vaccinazioni obbligatorie e anche di più. Perché, signori, se non ve ne siete resi conto c’è Schengen, quindi non solo merci e persone possono circolare liberamente, ma anche i loro ospiti: virus, batteri e altre terribili amenità. Allora prendiamo i dati ufficiali del 2010 (non è il secolo scorso, eh?) sui vaccini obbligatori (ovvero che si devono fare in conseguenza di una reale necessità sanitaria) o soltanto raccomandati (cioè, se li farete o no ai vostri bambini è una vostra scelta, ma anche se non li farete non rappresenterete di certo un pericolo per la società, altrimenti sarebbero obbligatori, no?). Li prendiamo da Eurosurveillance.org, un'“European peer-reviewed scientific journal devoted to the epidemiology, surveillance, prevention and control of communicable diseases”, così Burioni è contento che non è il blog di Montanari. Bene. Allora cosa dite? Anche le economie trainanti dell’Unione Europea sono così vessatorie e fascitoidi nei confronti dei loro cittadini? Anche loro hanno tanti piccoli Burioni e tante mini Lorenzin a dare multe da 7.500 euro e a sottrarre i bambini ai genitori? Sorpresa (per voi, non per me). Facciamo la classifica dei paesi per numero di vaccini obbligatori. Volete sapere Austria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Islanda, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Olanda, Norvegia, Portogallo, Spagna, Svezia, Regno Unito quanti vaccini obbligatori hanno? Tre? Quattro? Due? Uno No… Zero! Avete capito bene: Z-E-R-O! Nessuno! Null! ноль! Ma come? Nessun genitore in galera? E i bambini che muoiono per il temibile morbillo? E immunodepressi non ne hanno? E l’immunità di gregge? Sarà mica forse che gli altri popoli d’Europa sono molto meno gregge di noi? No, perché in Svezia hanno appena votato contro tutte le 7 proposte di legge che proponevano i vaccini obbligatori (eh sì, sai… lì c’è ancora un Parlamento che funziona, mica come da noi), e la Svezia è un paese che supera gli Stati Uniti nei fondamentali sulla salute come il tasso di mortalità infantile, la salute e il benessere materno, e la speranza di vita. Ditelo a Burioni e alla Lorenzin! Sempre che abbiate possibilità di esprimervi. E va bene: non saremo come i francesi, come i tedeschi, come gli inglesi, come gli olandesi, gli austriaci, gli spagnoli… Non saremo perfino manco come gli estoni e i ciprioti, ma gli altri paesi? Quanti vaccini obbligatori hanno? Qui ho fatto la classifica, a manina. Il Belgio ne ha solo uno (la polio); la Francia e Malta ne hanno tre; la Grecia ne ha solo quattro (come quattro ne avevamo noi fino a ieri, prima che la Lorenzin – dall’alto del suo diploma al classico – decidesse di fare il trattamento sanitario obbligatorio a tutti); la Repubblica Ceca e la Slovenia sette; l’Ungheria, la Polonia e la Romania ne hanno otto; la Bulgaria e la Slovacchia nove. And the winner is… ladies and gentleman… con un distacco di ben tre punti sui secondi classificati (squillo di trombe e di tromboni): l’ITALIA! (a pari merito con la Lettonia, che prestigio): dodici vaccini! Da oggi siamo i primi in tutta Europa (compresi Islanda e Norvegia) per numero di vaccinazioni ai nostri bimbi. Tutti gli altri, sentiamo, stanno morendo di morbillo? E guardatevi un po’ la mappa dei paesi che ne hanno dai quattro in su. Uuups… saranno mica tanti paesi dell’Est europeo dove si suppone che la corruzione sia un fenomeno molto più importante della salute delle persone e delle verità scientifiche? Ma allora… allora l’Italia cos’è? Ai posteri (se li avremo) l’ardua sentenza.
Terzo ragionamento: l’ipocrisia politico-sanitaria. I giornali scrivono che l’accesso alle scuole sarà vietato solo ai bambini fino ai sei anni, non in regola con il calendario vaccinale “Burioni-Lerenzin”. E gli altri? Nessun problema: potranno tranquillamente iscriversi alle scuole dell’obbligo (primarie, secondarie, liceo etc)! Già… perché per questi ultimi Valeria Fedeli (il ministro dell’Istruzione, ndr) ha espressamente chiesto ed ottenuto (grandissima vittoria di Pirro) che l’istruzione (diritto costituzionale) fosse garantita. Eh sì! perché così lo sarà di certo! Infatti, i bambini non in regola con il calendario delle vaccinazioni potranno frequentare tranquillamente le elementari, le medie e le superiori! …a parte il piccolo particolare che i loro genitori verranno deferiti alle ASL, che in caso di ulteriore rifiuto alla vaccinazione dei pargoli (non importa se motivato o no) commineranno loro ogni anno multe fino a 7.500 euro (sì, ogni anno) e li denunceranno al Tribunale dei minori per fare loro sospendere la patria potestà (e quindi, plausibilmente, una volta sospesa, procedere alla vaccinazione coatta). Questo, cara Fedeli, significherebbe che il diritto all’istruzione è salvaguardato dal punto di vista costituzionale? Cioè i bambini possono andare a scuola, ma poi vengono di fatto “espropriati” dallo Stato? Come si chiama uno Stato che fa una cosa del genere? Stato di polizia? Stato orwelliano? Stato nazi-fascista? Prigione? Lager? Come si chiama? Nel 2018 ci saranno le elezioni (almeno ce lo si augura, perché francamente oggi come oggi non si sa più). Qualcuno andrà al potere. Ricordatevi di votare chiunque vi metta per iscritto che butterà nel cesso questo abominio di legge e metterà sotto inchiesta i responsabili da parte di una specifica commissione parlamentare. Nel frattempo… iniziate a imparare lo svedese.
Addendum. Il 27 ottobre 2015 la posizione del Movimento 5 Stelle in Europa era questa: ” Una vaccinazione di massa obbligatoria è un regalo alle multinazionali farmaceutiche ed è quanto di più lontano ci possa essere da un approccio appropriato. L’appropriatezza in medicina vuol dire “fare esattamente ciò che serve”, evitando di fare ciò che è superfluo. Tra vaccinare tutti e non vaccinare nessuno, c’è una via di mezzo molto più appropriata, e cioè vaccinare di meno e vaccinare meglio!”.
Vaccino. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico: leggi le avvertenze. Il vaccino è un preparato contenente materiale costituito da proteine complesse a DNA eterologhe, cioè estranee, provenienti da microrganismi o parti di essi, opportunamente trattato per non perdere le proprietà antigeniche, e finalizzato ad essere utilizzato nel conferimento di immunità attiva al soggetto cui viene somministrato. L'immunità deriva dalla stimolazione, nel soggetto ricevente, alla produzione di anticorpi neutralizzanti il microrganismo stesso. La maggior parte dei vaccini funziona inducendo una risposta umorale.
La vaccinazione è un fondamentale intervento di Sanità pubblica, che si prefigge di proteggere sia l'individuo che la comunità. Le vaccinazioni sono un presidio preventivo fondamentale per la salute, la cui introduzione ha permesso di ridurre in pochi decenni, in modo sicuro ed estremamente rilevante, l'incidenza di malattie gravi e potenzialmente letali che erano diffuse da millenni, la mortalità dei bambini vaccinati e varie forme di disabilità nel mondo. I vaccini utilizzati correntemente rispondono a rigorosi criteri di efficacia dell'azione vaccinale e di sicurezza clinica del preparato. Tra i vaccini più diffusi: vaccino antivaioloso, vaccino antirabbico, antitetanico, vaccino antipoliomielitico, vaccino antitubercolare, vaccino antinfluenzale, vaccini plurivalenti (ad esempio vaccino trivalente), anti-epatite A e molti altri.
La strategia nella creazione di un vaccino si basa sull'osservazione, fatta probabilmente per la prima volta durante la Guerra del Peloponneso sulle infezioni della peste, che la sopravvivenza ad un'infezione causa quasi sempre l'immunizzazione all'agente patogeno che lo ha causato. Il primo grande passo avanti fu fatto solo nel 1796 da Edward Jenner. Jenner osservò che le mungitrici che contraevano il vaiolo bovino (una forma molto più lieve del vaiolo umano), e successivamente guarivano, non contraevano mai il vaiolo umano. Egli provò quindi ad iniettare del materiale preso dalla pustola di vaiolo bovino in un bambino di 8 anni e la malattia non si sviluppò. Circa 100 anni più tardi Louis Pasteur dimostrò che per generare un'immunità verso un patogeno si potevano usare preparazioni microbiche alterate usando midollo spinale di conigli infettati con la rabbia e bacilli di antrace riscaldati. Tappa importante nella storia della vaccinazione è la dichiarazione, nel 1980, da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità della completa eradicazione del vaiolo.
I vaccini possono portare all'acquisizione dell'immunità in due modi diversi: per via attiva o passiva. La protezione passiva viene ottenuta somministrando anticorpi costituiti da sieri eterologhi o da anticorpi umani provenienti da soggetti iperimmunizzati. Questo tipo di protezione è intensa ma di breve durata. La si preferisce nei casi in cui una malattia viene causata da una tossina (come il tetano o il morso di serpenti) e serve una protezione rapida, senza dover aspettare che l'organismo colpito sviluppi l'immunità. Questo tipo di immunizzazione, inoltre, non induce una memoria immunologica e non protegge quindi dalle successive esposizioni allo stesso microrganismo. La protezione attiva invece permette un'immunizzazione molto lunga.
Una delle caratteristiche forse maggiormente importanti è la capacità di indurre la cosiddetta immunità di branco (o di gruppo o di gregge), cioè il fatto che immunizzando la maggior parte della popolazione, anche gli individui non venuti in contatto con il patogeno vengono protetti interrompendo la catena di infezione. Naturalmente in base a quanto è infettivo un microrganismo bastano percentuali diverse di persone vaccinate per indurre un'immunità di gruppo; è stato comunque stimato che serve almeno l'80% della popolazione vaccinata per permettere che ciò accada. Si possono citare numerosi esempi di epidemie scoppiate a causa di sensibili diminuzioni dei tassi di vaccinazione nella popolazione, che hanno causato una riduzione dell'immunità di branco. Ne sono esempio i casi di morbillo nel Regno Unito del 1998, l'epidemia di difterite nei paesi ex-URSS della metà degli anni novanta o altri casi di morbillo negli USA del 1980.
Sebbene la scoperta dei vaccini abbia avuto un ruolo essenziale per rivoluzionare il modo di affrontare le infezioni patologiche, le problematiche sono ancora presenti.
La vaccinazione può essere considerata il trattamento per le malattie infettive con il miglior rapporto costo-beneficio. Nonostante questo risultano essere molto costosi a causa degli enormi costi di sviluppo (200-400 milioni di dollari). L'Organizzazione Mondiale della Sanità prevede 6 vaccini nel suo Programma di Vaccinazione: difterite, tetano, pertosse, polio, morbillo e tubercolosi. Il costo di questi vaccini è inferiore ad un 1 dollaro, però il reale costo della vaccinazione è di molto maggiore, perché devono essere contemplate le spese di laboratorio, trasporto, la catena del freddo, il personale e la ricerca. A volte il budget sanitario di molte nazioni povere del mondo è inferiore ad 1$.
Oltre agli ostacoli economici di molti paesi del mondo, esistono ancora degli ostacoli tecnici. Innanzitutto per alcune patologie l'azione dei soli anticorpi può non bastare per eradicare l'infezione e quindi il vaccino, sebbene parzialmente utile, diventa inefficace. In secondo luogo, tutto dipende dall'organismo che si sta cercando di combattere. Virus come quello dell'influenza o dell'HIV sono soggetti ad una mutazione elevatissima (è stato calcolato che il virus HIV in un individuo sieropositivo è in grado di mutare in tutte le varianti possibili in un solo giorno) e quindi lo sviluppo di risposte verso uno o alcuni antigeni diventa inutile per eradicare l'infezione e la difesa dell'organismo.
Al di là della patologia da cui proteggono, la distinzione tra vaccini è legata al modo con cui sono ottenuti e prodotti i componenti in grado di scatenare la risposta immunitaria. Esistono vaccini costituiti da:
organismi attenuati, come il vaccino per la poliomielite o la rabbia;
organismi inattivati o uccisi, come il vaccino per il colera;
antigeni purificati (o vaccini a subunità), come il vaccino contro il tetano o la difterite;
antigeni ricombinanti e peptidi sintetici, come il vaccino contro l'epatite;
virus vivi o vaccini a DNA;
miscele e coniugati.
Molti dei vaccini in uso oggi sono formati da virus attenuati o da virus inattivati e inducono una risposta umorale.
L'uso di adiuvanti. Gli adiuvanti sono sostanze che vengono somministrate insieme agli antigeni nei vaccini per permettere una risposta immunitaria[9]. Naturalmente per innescare una risposta immunitaria in grado di eradicare i patogeni non basta il semplice legame dell'antigene con il recettore dei linfociti T o gli anticorpi, ma serve che anche una risposta dell'immunità innata in grado di garantire la produzione delle molecole costimolatorie indispensabili per stimolare la proliferazione e la differenziazione dei linfociti.
Vaccini batterici e virali attenuati. Preparazione di virus attenuati coltivati in uova di pollo. Il vaccino antinfluenzale è un esempio di vaccino preparato in questo modo. I vaccini di questo tipo sono composti da organismi intatti non patogenici trattandoli per attenuarne la capacità di causare la malattia oppure uccidendoli senza perderne l'immunogenicità. Questo tipo di vaccini è molto vantaggioso per via del fatto che innescano sia la risposta immunitaria innata che adattativa in modo simile a quanto avverrebbe in una reale infezione. I vaccini composti da batteri attenuati o uccisi si sono dimostrati essere meno efficaci di quelli composti da virus trattati allo stesso modo poiché inducono una protezione limitata e per un periodo di tempo limitato. Il maggior difetto dei vaccini attenuati è che possono regredire nella forma virulenta, cosa che non accade nei vaccini inattivati. È per questo, infatti, che in molti paesi (tra cui l'Italia) si è deciso di non somministrare più per la poliomielite il vaccino attenuato di Sabin a favore del vaccino inattivato di Salk. Tra i vaccini a virus attenuati si ricordano il vaccino contro la poliomielite, il morbillo e la febbre gialla. Essi si ottengono facendo crescere in cellule in coltura dei virus e selezionandoli in base alla loro capacità replicativa. Quelli che dimostrano un basso tasto di replicazione in cellule umane sono scelti perché, così, possono provocare meno danni nel corpo umano e non portare a patologia. Nonostante questi ceppi abbiano una bassa patogenicità la grande capacità di mutare dei virus può portare in rari casi ad un loro riacquisto di azione patogena. Un esempio è il ceppo Sabin 3 che, in rarissimi casi, può tornare virulento. I virus attenuati quindi sono molto più potenti perché possono innescare una serie di altri meccanismi, che concernono le risposte dei linfociti T, aiutando la formazione degli anticorpi.
Vaccini batterici e virali inattivati. I virus inattivati si ottengono trattando i virus in modo da rendere impossibile loro di replicarsi bloccando la sintesi proteica. Facendo questo, però, si inibisce anche la capacità di produrre proteine nel citosol e di conseguenza il processamento degli antigeni per la via del MHC di prima classe. Questo comporta una non attivazione delle risposte T citotossiche. La tecnica più pratica sarebbe il calore che però causa la denaturazione delle proteine e quindi si preferisce un'inattivazione chimica con formaldeide o agenti alchilanti. A differenza dei vaccini attenuati, richiedono ripetuti richiami per mantenere lo stato di immunità nell'organismo e sono molto più sicuri dal momento che non mantengono la capacità di replicarsi e di regredire alla forma nativa. Tra i più importanti vaccini si ricordano il vaccino antinfluenzale, vaccino anticolera e il vaccino antiepatite A.
Vaccini a subunità. I vaccini a subunità sono composti da antigeni purificati, cioè antigeni o pezzi di essi ricavati da un microrganismo o dalle sue tossine. Vengono somministrati quasi sempre con un adiuvante che permette un legame migliore con l'anticorpo e quindi una risposta migliore. Molti organismi esprimono la loro virulenza tramite delle esotossine, come ad esempio il tetano e la difterite. L'inattivazione delle tossine produce un tossoide che entra poi a costituire il vaccino che viene somministrato. Ne sono quindi esempi i vaccini antitetanico e antidifterico. Altri vaccini sono costituiti da polisaccaridi capsulari purificati. Tali strutture possono impedire la fagocitosi da parte di macrofagi, però il legame a questi polisaccaridi di anticorpi e complemento permette e aumenta la fagocitosi stessa. Ne sono esempi il vaccino contro la polmonite pneumococcica e il vaccino contro la meningite batterica. Anche il vaccino antipertosse è un esempio di vaccino costituito da un piccolo numero di proteine purificate dal batterio.
Vaccini con antigeni sintetici. I peptidi sintetici e gli antigeni ricombinanti sono di interesse recente e prevedono la produzione degli antigeni voluti per formare il vaccino usando tecnologie del DNA ricombinante. Il loro principale svantaggio è di non provocare la risposta CD8 a causa dell'impossibilità degli antigeni di essere processati secondo la via dell'MHC di prima classe. La loro purezza e la possibilità di essere prodotti nelle giuste quantità non bastano a soppesare il livello piuttosto basso di protezione. Ultimamente si sta pensando di usare dei vettori eterologhi attenuati che, però, possono diventare virulenti. I peptidi sintetici, sebbene abbiano un costo molto basso, possono arrivare in tutte le cellule portando più alla tolleranza che all'immunità. Il primo vaccino con antigeni ricombinanti ad essere stato approvato per l'uomo è stato il vaccino per l'epatite B. Fu sviluppato clonando in cellule di lievito il gene per un antigene di superficie del virus dell'epatite B: HBsAG. Le cellule di lievito quindi vengono fatte crescere e poi lisate per ricavarne l'antigene sintetizzato. Una volta estratto viene purificato e poi entra a costituire il vaccino.
Vaccini virali vivi e vaccini a DNA. Queste due tecniche si basano sulla possibilità di far produrre alle cellule dell'organismo da immunizzare gli antigeni che devono scatenare la risposta immunitaria. Questo può avvenire in due modi: infettando le cellule con un virus non citopatico (cioè che non le uccide) oppure inoculando un plasmide contenente un cDNA: in entrambi i casi si introduce un acido nucleico codificante per l'antigene. Questi approcci hanno il vantaggio di essere gli unici capaci di generare una risposta dei linfociti citotossici. Il fatto, però, che sarebbero le cellule dell'organismo a produrre l'antigene e questo potrebbe portare alla loro uccisione.
Vaccini coniugati. Le miscele e i coniugati, invece, sono raggruppamenti di vaccini diversi, ottenuti da microrganismi attenuati. Mentre gli antigeni proteici sono in grado di attivare sia una risposta da parte dei linfociti T helper (e quindi anche dei linfociti B), gli antigeni polisaccaridici attivano solo una risposta dei linfociti B stimolando la produzione di IgM, ma non di IgG e inducono un basso sviluppo di cellule della memoria. Per ovviare a questo problema i vaccini coniugati sfruttano il fenomeno aptene-carrier, secondo il quale diverse sostanze possono sviluppare, se prese singolarmente, una risposta immunitaria insoddisfacente mentre se prese legate fra loro diventano potenti immunogeni. Il conuiugato polisaccaride-proteina quindi garantisce anche una risposta dei linfociti T che stimola lo switch da IgM a IgG. I bambini al di sotto dei 2 anni, inoltre, hanno un deficit nella risposta immunitaria verso antigeni polisaccaridici quindi i vaccini coniugati sono di grande importanza. Ne sono esempi i vaccini contro H. influenzae, pneumococchi e meningococchi.
Vaccini anti-tumorali. Attualmente le terapie contro i tumori sono basate su farmaci che mirano ad eliminare le cellule o a bloccare la divisione cellulare che, però, agiscono anche sulle cellule normali diventando quindi dannosi per l'organism. Le risposte immunitarie sono, in genere, molto specifiche e la possibilità di attaccare i tumori attraverso il sistema immunitario potrebbe garantire un'uccisione mirata e non generalizzata. Per fare ciò si sta studiando la possibilità di creare vaccini contenenti cellule tumorali uccise o antigeni tumorali. Le strategie di sviluppo dei vaccini antitumorali sono praticamente le stesse dei vaccini per agenti patogeni, ma sono ancora in corso di sperimentazione.
In Italia esistono dei vaccini obbligatori per legge e vaccini raccomandati. Entrambi seguono un calendario vaccinale ben definito. Il Decreto Ministeriale del 7 aprile 1999 (e il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 di cui ord. n. 228 del 10/12/1998) ha stabilito che le vaccinazioni obbligatorie sono quattro: antidifterite, antitetanica, antipoliomielite, antiepatite virale B. Vaccinazioni consigliate non obbligatorie in età pediatrica sono: l'antimorbillo-parotite-rosolia (MPR), la vaccinazione contro le infezioni invasive da Haemophilus influenzae b, l'antimeningococcica, l'antiparotite, l'antirosolia. Esistono anche delle vaccinazioni consigliate da effettuare in caso di viaggi all'estero, in particolare in Stati o zone caratterizzate da un'alta endemia per determinate patologie infettive.
A maggio del 2017 il governo Gentiloni annuncia un nuovo decreto legislativo che reintroduce l'obbligatorietà delle vaccinazioni per l'iscrizione a scuola per la fascia di età tra 0 e 6 anni, e aggiunge oltre alle quattro vaccinazioni obbligatorie per legge (difterite, tetano, poliomelite ed epatite B) quelle per morbillo, parotite e rosolia (la trivalente Mpr), pertosse ed Heamophilus B (che oggi vengono somministrate insieme alle quattro obbligatorie in una esavalente), varicella e meningococco B e C. Inoltre il ministro della salute, Beatrice Lorenzin aggiunge che in fase parlamentare si potrebbe aggiungere anche “la questione dell’obbligo delle vaccinazioni per gli operatori sanitari”. Previsto che chi non vaccina i figli rischia la potestà genitoriale e/o multe fino a 7.500 euro. Le nuove regole entreranno a vigore dal prossimo anno scolastico.
Possibili effetti collaterali. Sin dalla decisione di somministrare in via sistematica i vaccini per proteggere le popolazioni da malattie infettive potenzialmente letali, la comunità scientifica ha riconosciuto nei vaccini stessi un certo grado di rischio ed incertezza, in quanto errori durante la preparazione possono portare alla contaminazione con proteine od organismi non attenuati e i microbi stessi possono regredire allo stato non attenuato. Sono da considerare anche eventuali ipersensibilità del paziente. L'efficacia e la sicurezza di ogni vaccino, come per i farmaci, vengono controllate tramite sperimentazioni cliniche attente anche agli eventuali effetti collaterali. Ad esempio per il vaccino anti-polio di Sabin (che in alcuni paesi è già stato sostituito con il vaccino di Salk) presenta una frequenza di reversione di 1 su 2,4 milioni: la probabilità che il virus regredisca alla forma virulenta è dello 0,0000417 %. Queste complicanze, che sono ovviamente rare, non influiscono sull'efficacia della vaccinazione che quindi non porta quasi mai a conseguenze gravi come numerosi studi hanno dimostrato. In particolare bisogna sempre ricordare che per quanto i soggetti siano esposti agli stessi antigeni che causano la malattia, la quantità di antigeni presenti nel vaccino sarà sempre minore alla quantità di batteri vivi e microrganismi a cui si è esposti quotidianamente. Non bisogna infine dimenticare che moltissime delle malattie infettive che i vaccini hanno contribuito e contribuiscono ad eradicare (si veda tabella nel paragrafo precedente) non sono più presenti da anni nei paesi sviluppati e le popolazioni di questi paesi spesso non sono più consapevoli degli effetti devastanti a cui queste patologie possono portare. Le complicanze, sebbene rare, esistono soprattutto per i vaccini attenuati che possono indurre complicanze simili a quelle prodotte dall'infezione naturale. Il dato interessante ai fini della sicurezza dei vaccini è che l'incidenza di effetti collaterali dopo una vaccinazione è comunque inferiore a quella dopo l'infezione naturale: uno studio indipendente ha dimostrato che dei 75 milioni di vaccini anti-morbillo somministrati tra il 1970 e il 1993, solo 48 hanno portato allo sviluppo di una encefalopatia (la probabilità di poter contrarre un'encefalopatia dopo essersi vaccinati era dello 0,000064 %).
Nel tempo vi sono state diverse campagne volte a mettere in dubbio l'efficacia o la sicurezza dei vaccini. Ad esempio, i vaccini o i loro eccipienti sono stati accusati di essere possibili cause di autismo, ADHD, sindromi autoimmuni e altri tipi di patologie. Nel 2017 in Italia l'argomento divenne di particolare interesse a causa del succitato decreto legge che aumentò il numero di vaccini obbligatori a 12, nonché a causa della radiazione da parte dell'ordine dei medici del cardiologo e omeopata Roberto Gava e del medico legale Dario Miedico a cause delle loro posizioni sui vaccini. Posizioni a favore di una riduzione o eliminazione dei vaccini o della loro pericolosità sono state sostenute da vari politici, tra cui i membri del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo e Paola Taverna. Stando ai dati riscontrati tramite una ricerca condotta da Vaccine Confidence Project, all'inizio del 2017, in Italia, il 20% della popolazione mostra scetticismo nei confronti dei vaccini. Tale dato risulta superiore alla media mondiale (pari al 12%), ma comunque minore rispetto a quello di altri paesi presenti nell'euro zona (in Francia le persone che si dicono scettiche verso i vaccini sono il 41% della popolazione).
Sono stati compiuti numerosi studi che hanno dimostrato la grande sicurezza dei vaccini, ed hanno confutato sulla base dell'evidenza scientifica le controversie pseudoscientifiche relative ai loro ipotetici effetti collaterali. La American Academy of Pediatrics (Accademia Americana di Pediatria) ha raccolto, in un documento pubblicato nell'aprile 2013, 45 importanti studi scientifici internazionali sulla sicurezza dei vaccini. In tali studi si dimostra chiaramente la mancanza di correlazione tra la somministrazione dei vaccini e lo sviluppo di autismo, e che le probabilità di sviluppare una forma di autismo non sono correlate ad una somministrazione maggiore degli antigeni presenti nel vaccino. La comparazione fra bambini vaccinati nei tempi consigliati dal calendario vaccinale ed i bambini vaccinati fuori da questi periodi di tempo ha dimostrato che non c'è nessun beneficio nel ritardare la vaccinazione e che vaccinare i bambini nel periodo previsto non porta rischi di reazioni avverse, nemmeno nei bambini con problemi di metabolismo congenito. Inoltre, è stato dimostrato che le vaccinazioni non portano ad un aumento del rischio di convulsioni febbrili nelle 6 settimane successive alla vaccinazione e, per quanto riguarda il vaccino trivalente (MPR), è stata ripetutamente smentita l'ipotesi che questo vaccino potesse causare un disturbo pervasivo dello sviluppo, malattie infiammatorie croniche intestinali, encefaliti, meningiti asettiche o autismo.
Il vaccino MPR è uno dei vaccini che vengono somministrati di routine in età infantile. Nel 1998 nel Regno Unito venne pubblicato un articolo, a firma di Andrew Wakefield, che sosteneva un'associazione fra la vaccinazione MPR e lo sviluppo di autismo e alcune patologie croniche intestinali. Sebbene questo studio si dimostrasse in seguito essere un falso e venisse quindi ritirato dalla rivista che lo aveva pubblicato esso portò ad un calo della vaccinazione per parecchi anni e conseguentemente al diffondersi di un'epidemia di morbillo dovuta alla diminuzione dell'immunità di gruppo.
Su Stamina, vaccini e false cure contro il cancro, "Le Iene" sono anche peggio della Brigliadori. L'ex showgirl da diverso tempo propaganda teorie assurde e pseudocure pericolose. Ma queste false speranze sono esattamente ciò che in campo medico, e non solo, il programma televisivo ha diffuso per anni con servizi sensazionalistici, in cerca di qualche punto in più di share televisivo, scrive Luciano Capone il 5 Ottobre 2016 su “Il Foglio". Il problema non è Eleonora Brigliadori, ma sono “Le Iene”. Nei giorni scorsi il programma d’intrattenimento televisivo ha denunciato le teorie pericolose e strampalate per guarire il cancro dell’ex show girl che invita ad abbandonare la “medicina ufficiale” per unguenti omeopatici e introspezione psicologica. Il servizio ha suscitato molto clamore perché l’ex presentatrice, impegnata con i suoi adepti in un rituale new age, ha aggredito fisicamente l’inviata delle Iene, che le ricordava come le sue teorie mettessero a rischio la vita delle persone malate. Purtroppo la Brigliadori, da diverso tempo, propaganda teorie assurde e pseudocure pericolose: è una sostenitrice della medicina antroposofica e dell’agricoltura biodinamica, è tra i volti più o meno noti che diffondono la bufala secondo cui i vaccini causano l’autismo ed è una sostenitrice della “Nuova medicina germanica”, teoria fondata da un medico radiato e latitante convinto che i tumori dipendano da un “conflitto” o trauma psicologico. Insomma tutta spazzatura scientifica, che però ha una sua diffusione nel variegato mondo complottista e soprattutto fa leva sulla disperazione e sulla sofferenza dei tanti malati che si aggrappano a chiunque prometta una guarigione. E queste false speranze sono esattamente ciò che in campo medico, e non solo, le Iene hanno diffuso per anni con servizi sensazionalistici, in cerca di qualche punto in più di share televisivo. Le Iene sono ricordate soprattutto per i servizi a favore del “metodo Stamina”, una terapia a base di cellule staminali priva di qualsiasi efficacia e validità scientifica, inventata in un sottoscala da uno scienziato della comunicazione. Per capire la differenza tra l’impatto della Brigliadori e quello delle Iene, bisogna forse ricordare che in seguito a quella campagna mediatica un autore di “comunicazione persuasiva” come Davide Vannoni divenne improvvisamente più credibile di scienziati come Michele De Luca dell’Università di Modena e Graziella Pellegrini del San Raffaele, i primi al mondo a produrre una cura efficace e scientificamente valida con le staminali. Si fatica a crederlo oggi, ma solo tre anni fa, in seguito alla pressione politico-mediatica innescata da quei servizi televisivi, il Parlamento ignorò le opinioni degli scienziati e si piegò alle chiacchiere dei ciarlatani. Prima del “metodo Stamina”, le Iene hanno dato credito alla falsa storia secondo la quale i vaccini sono all’origine dell’autismo. La stessa pericolosa teoria ribadita dalla Brigliadori, con l’aggravante – nel caso delle Iene – di un’esposizione più convincente. Non basta. Come la Brigliadori, le Iene hanno propagandato “cure naturali” contro il cancro. Sono andate fino a Cuba per magnificare le proprietà “antitumorali” del “veleno di scorpione”, intervistando un tassista cubano che parlava di un fantomatico “vaccino” contro i tumori inventato sull’isola. Le Iene si sono persino recate in una fattoria cubana, dove il medicamento “antitumorale” viene prodotto dall’inventore, un “artigiano locale allevatore di scorpioni”. Una storia che ricorda quella del “siero di Bonifacio”, l’estratto di pipì di capra spacciato come cura contro il cancro da un veterinario di Agropoli negli anni 60 (il padre di tutti i casi Stamina e Di Bella che sarebbero seguiti). Con i soliti servizi sensazionalistici e senza alcuna evidenza scientifica, ma basandosi soltanto sulle impressioni di alcuni pazienti, le Iene hanno diffuso l’idea che il tumore si possa guarire con una dieta vegana, come suggerito in un libro senza alcuna credibilità, “The China study”. L’autorità in oncologia interpellata era una nutrizionista e attivista vegana, presentata come medico del San Raffaele. Il servizio ebbe un tale impatto che il San Raffaele fu costretto a prendere le distanze dalla dottoressa – “L’Irccs San Raffaele osserva che non esiste alcuna dimostrazione del valore della dieta come terapia oncologica” – dopodiché la “dottoressa” si scoprì essere solo una consulente che si recava in ambulatorio ogni due settimane. Persino l’Airc (Associazione italiana per la ricerca sul cancro) si è sentita in dovere di smentire la bufala: “Le Iene hanno sostenuto che la dieta vegana può curare il cancro: un’affermazione che non ha alcun riscontro scientifico”. Le Iene hanno dedicato altri servizi a malattie rare, per alcune delle quali non si conoscono neppure le cause (come la Mcs), dando credito a cure senza validità scientifica in cliniche estere che speculano sui viaggi della speranza dei malati. “Raccontate cose con un linguaggio da piazza del paese, quando si sta parlando di malattie, di scienza e di drammi umani”, gridò ai microfoni della trasmissione, nel pieno della vicenda Stamina, il compianto Paolo Bianco, direttore del Laboratorio di cellule staminali della Sapienza di Roma. Il vero dramma è che allora le Iene consideravano Vannoni un luminare e trattavano le sfuriate del prof. Bianco come quelle della Brigliadori.
Tutte le bufale sui vaccini dagli anni '90 ad oggi, scrive Paolo Giorgi su "Agi" il 9 aprile 2017. Per decenni sono stati considerati, a ragione, una svolta decisiva nella nostra storia, capaci di estirpare rapidamente e a poco prezzo malattie che nei secoli hanno falcidiato l'umanità. E' grazie ai vaccini che piaghe come il tifo, il vaiolo, la poliomielite, la tubercolosi, sembravano sconfitte per sempre. Oggi la situazione è molto diversa: scomparsa o sfumata la memoria di quelle terribili malattie, serpeggiano i pregiudizi, le paure, i falsi miti sui vaccini, complice la grancassa incontrollata e martellante del web. L'ultima edizione dei "Quaderni del Ministero della Salute" è dedicata interamente a questo tema, sempre più attuale visto il crollo della copertura vaccinale per diverse patologie nel nostro Paese (e non solo), e il conseguente ritorno di malattie dimenticate, dalla meningite al morbillo.
Tutto inizia alla fine degli anni '90: il positivismo scientifico applicato ai vaccini incontra il suo primo nemico mortale, proprio agli albori dell'era di Internet. E' la storia di una delle più grandi frodi scientifiche del XX secolo, a firma del gastroenterologo inglese Wakefield che, sulla prestigiosa rivista Lancet, teorizza per primo un nesso tra il vaccino MPR (quello contro morbillo, parotite e rosolia) e l'autismo nei bambini. Il medico sostiene che il vaccino può causare infiammazione intestinale, con conseguente aumento della permeabilità della barriera intestinale e passaggio in circolo di sostanze tossiche per l'encefalo, favorendo, quindi, lo sviluppo di autismo. Nello studio vengono descritti 12 bambini, affetti da disturbi gastrointestinali e autismo dopo vaccinazione con MPR. Due studi successivi di Wakefield indicano l'esistenza di una correlazione causale tra autismo e vaccinazione. Dopo il comprensibile scalpore iniziale, ben presto altri studi, sia in Europa che in Usa, trovano falle nella ricerca di Wakefield, e concludono che non ci sono evidenze scientifiche del nesso vaccini-autismo. Un grande studio dell'Institute Of Medicine of the National Academies americano, valutando l'esistenza di evidenze scientifiche a favore di una possibile correlazione tra 8 differenti vaccini (incluso l'MPR) ed una serie di eventi avversi, respinge definitivamente l'ipotesi di un nesso con l'autismo. Alle stesse conclusioni è giunta l'Oms.
Non solo, uno studio americano del 2011 ha dimostrato come la vaccinazione anti-rosolia (generalmente somministrata nella formulazione trivalente MPR) abbia evitato, nel decennio 2001-2010, numerosissimi casi di disturbi dello spettro autistico associati alla sindrome da rosolia congenita. Nel 2004, un'inchiesta giornalistica condotta da Brian Deersul Sunday Times rivela che lo studio di Wakefield non era immune da interessi economici: oltre a difetti epidemiologici (quali mancanza di un gruppo di controllo, esami endoscopici e neuropsicologici non eseguiti in "cieco", comparsa dei sintomi gastroenterici dopo e non prima lo sviluppo di autismo, in 7 dei 12 bambini presi in esame), conteneva alterazioni e falsificazioni della storia anamnestica dei pazienti, allo scopo di supportare le conclusioni del suo studio. Lo scandalo è mondiale: gli altri co-autori dello studio di Wakefield firmano una dichiarazione con cui ritrattano le conclusioni del lavoro. E l'Ordine dei medici inglese riconosce il gastroenterologo colpevole di una trentina di capi d'accusa, tra cui disonestà e abuso di bambini con problemi di sviluppo, nella conduzione della ricerca pubblicata, espellendolo dall'Ordine stesso. Nel 2010 Lancet ha ritirato l'articolo in questione.
Ma la paura ormai è instillata nell'opinione pubblica: quando negli anni 2000 l'Italia dispone l'eliminazione del tiomersale (un composto a base di etilmercurio contenuto nei vaccini fin dal 1930) dai vaccini monodose a scopo precauazionale, i complottisti ci leggono una conferma dei loro sospetti sulla tossicità dei vaccini. Ignorando che l'etilmercurio ha una vita di appena 7 giorni e viene rapidamente eliminato attraverso urine e feci. Come scrive l'Oms nel 2012, "i vaccini contenenti tiomersale sono sicuri, essenziali ed insostituibili per lo svolgimento dei programmi di immunizzazione". In ogni caso, l'incidenza di autismo o anomalie del sistema nervoso centrale in bimbi vaccinati, che già era bassissima, è rimasta invariata anche dopo la rimozione precauzionale del tiomersale.
E ancora, sempre negli anni '90 si diffonde la convinzione di una possibile associazione causale tra SIDS (la sindrome della "morte in culla") e precedente vaccinazione. Ancora oggi, il principale vaccino chiamato in causa dagli oppositori alle vaccinazioni è quello esavalente che, per i numerosi vantaggi che offre, è ampiamente impiegato in Italia per la vaccinazione dei nuovi nati contro difterite, tetano, pertosse, polio, epatite B e Haemophilus influenzae tipo b, così come in altri Paesi che hanno un calendario vaccinale simile al nostro. In realtà, i numerosi studi epidemiologici effettuati per appurare l'esistenza di una correlazione tra vaccinazione e SIDS hanno dimostrato che non vi è alcuna differenza nell'occorrenza del fenomeno tra bambini vaccinati e non.
Come si vede, dunque, le "fake news" sui vaccini sono annose, a volte pluridecennali, ma dure a morire. E la colpa è in massima parte del web. Secondo un'indagine Censis del 2014, il 42,8% dei genitori decide se vaccinare o meno i propri figli dopo aver cercato notizie su internet. La metà va sui social network a questo scopo, dove le notizie, ancor più che nella rete in generale, sono di tutti i tipi, assolutamente incontrollate e non filtrate. Un mare magnum apparentemente anarchico, ma in realtà decisamente orientato: L'80% dei genitori "internauti" confessa di aver trovato sui vaccini notizie di taglio negativo. Solo il 45,6% si è imbattuto anche in notizie positive. Chi cerca informazioni sui vaccini in rete nel 46,7% dei casi troverà allarmismi e avvertenze sui rischi. Solo il 26,8% leggerà articoli o pagine web sui vantaggi delle vaccinazioni. Appena uno su 5, il 20,6%, avrà la fortuna o la perizia di imbattersi in fonti scientifiche o istituzionali, che chiariscano composizione e funzionamento dei vaccini stessi. Il risultato è un impressionante 62,1% di genitori, ossia quasi due su tre, convinti che le vaccinazioni possano causare malattie gravi come l'autismo. Non a caso il 70% degli interpellati si ritiene contrario all'obbligatorietà dei vaccini. Le tabelle Oms, basate su innumerevoli studi clinici sulle reazioni avverse ai vaccini, parlano chiaro: Nel 99% dei casi si rischiano arrossamento e gonfiore nel punto dell'iniezione o tutt'al più una rapida febbre. Problemi più gravi, come le convulsioni, sono nell'ordine di un caso ogni 200mila vaccinati.
Gli scienziati sostengono che si dovrebbe ripartire dalla memoria condivisa. Quanti conoscono la storia della poliomielite in Italia, prima dell'inizio della vaccinazione di massa a partire dal 1964? Solo nel 1958, in Italia, furono notificati oltre ottomila casi; l'ultimo caso è stato notificato nel 1982. Quanti conoscono gli esiti di quella "paralisi infantile" che ha riguardato migliaia di bambini, deceduti o comunque paralizzati anche in modo gravissimo? Quanti sanno cosa sia un polmone d'acciaio? Ricordare il passato potrebbe aiutare a fare scelte ben ponderate nel presente e a non abbassare mai la soglia di guardia nei confronti delle malattie trasmissibili.
Bloccati oltre 2 milioni di vaccini. "Precauzione, nessun rischio per la salute". Non immessi sul mercato milioni di dosi in tutta Italia già pronti. Il governo rassicura: "Può succedere, ma non ci sono rischi. Pronti a rifornirci dall'estero per non fermare la campagna di vaccinazioni. Il fabbisogno nazionale sarà assicurato". Così scrive “La Repubblica”. E' solo una misura precauzionale, assicura il ministero, ma la notizia non mancherà di preoccupare gli italiani: due milioni 350mila le dosi di vaccino anti-influenzale dell'azienda farmaceutica Crucell bloccate e non immesse sul mercato perché potenzialmente pericolose. Una decisione che arriva proprio nei primi giorni della campagna di vaccinazioni. Il ministero della Salute fa sapere che si tratta di una "precauzione. Non ci sono rischi per la salute". E continua: "L'azienda produttrice dei vaccini in questione non è tra le prime che riforniscono il mercato. In queste ore al ministero e all'Aifa (Agenzia italiana del farmaco) si sta affrontando il problema. Altre aziende hanno assicurato la garanzia delle dosi necessarie in modo che non vi sia alcun problema per i cittadini. I vaccini sono estremamente controllati. I controlli sono ferrei e quando si rileva un problema, che può accadere, perché comunque si tratta di prodotti biologici, le aziende ritirano non solo i lotti sospetti, ma l'intera produzione". "È una misura precauzionale - continua la nota del ministero - che viene sempre adottata, quando si individua anche solo un minimo rischio. Il ministero della Salute assicura che non vi sono rischi per la salute e che quello che si sta affrontando in queste ore è solo un problema organizzativo per reperire anche sul mercato estero da parte delle aziende produttrici tutte le dosi necessarie di vaccino antinfluenzale". Il fabbisogno nazionale di vaccini antinfluenzali, pari a circa 12-14 milioni di dosi, "sarà assicurato", ha detto il ministro Balduzzi ai microfoni di SkyTg24, impegnato in queste ore in un serie di incontri con l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e le altre aziende produttrici per l'Italia di vaccini antinfluenzali. "I vaccini - ha affermato Balduzzi - prima di essere immessi in commercio, sono sottoposti a controllo. In questo caso c'erano stati solo accordi di fornitura che sono stati bloccati per il mancato superamento del controllo di qualità aziendale. Nessuno di questi vaccini è stato immesso in commercio. Non c'è alcun problema nè di sicurezza nè di quantità degli approvvigionamenti". Il calendario della vaccinazione antinfluenzale non subirà ritardi, ha assicurato il ministro Balduzzi. La campagna di vaccinazione è prevista tra la metà di ottobre e la metà di dicembre, secondo le modalità previste dalla circolare dell'11 ottobre e reperibile sul portale del Ministero della Salute. La GlaxoSmithKline, intanto, fa sapere in una nota di aver disposto il ritiro volontario di alcuni lotti del vaccino esavalente Infanrix Hexa in 20 paesi del mondo (tra cui però non vi è l'Italia perché non interessata) per possibile rischio di contaminazione nell'area di produzione con un batterio (bacillus cereus). Il ritiro è stato deciso qualche giorno fa, in seguito ad un'indagine retrospettiva, condotta dalla stessa azienda, da cui era emerso il possibile rischio di contaminazione nelle aree di produzione. "Ma i controlli fatti successivamente - spiega Massimo Ascani, capoufficio stampa dell'azienda - hanno rivelato che non c'è stata alcuna contaminazione". Il vaccino esavalente è quello somministrato ai bambini in tre dosi (a tre, cinque e undici mesi) per proteggerli da difterite, tetano, poliomelite, epatite B, haemophilus B e pertosse. Il bacillus cereus provoca disturbi intestinali e intossicazioni alimentari. "L'azienda - continua Ascani - per quello che potremmo definire un supplemento di sicurezza, e siccome non metteva a rischio la fornitura del vaccino ai paesi interessati, ha chiesto di procedere al ritiro cautelativo volontariamente. Nei paesi in cui i lotti non sono stati inviati, come l'Italia, si è comunque spiegata la situazione e detto che non si procedeva al ritiro, perché i lotti non erano stati potenzialmente esposti al batterio".
Per anni s'è parlato di uranio come causa dei tumori che hanno colpito i militari italiani. Adesso, però, la Commissione d'inchiesta del Senato ha individuato un altro possibile motivo: le vaccinazioni fatte con tempi, modalità e controlli sbagliati. Così scrive Vittoria Iacovella su una sua inchiesta “La Repubblica”. Quella volta che le reclute vennero vaccinate per finta, ricorda Massimo Razzi sempre su “La Repubblica”. Caserma dei bersaglieri "Turinetto" di Albenga, l'anno è il 1978. Tra le reclute del 14esimo battaglione "Sernaglia" dei bersaglieri c'è anche un giovane soldato di leva poi diventato giornalista. Ecco il suo racconto: "Ci prendevano in giro praticandoci la vaccinazione per finta e lo facevano due volte perché tutte le licenze erano cancellate". Caserma dei bersaglieri "Turinetto" di Albenga. L'anno è il 1978. Tra le reclute del 14esimo battaglione "Sernaglia" dei bersaglieri c'ero anch'io. Erano i primi giorni: quelli della "vestizione", del taglio dei capelli, delle vaccinazioni. Passaggi obbligati di una trafila lunga e noiosa, a tratti cervellotica, che sembrava fatta apposta per inquadrarti nell'istituzione militare e toglierti la voglia di discutere. Tra i passaggi più attesi c'era la famosa "puntura nel petto". In realtà si trattava di una vaccinazione antitifica (poi sostituita da una pastiglia) che non faceva molto male lì per lì ma che, spesso, provocava gonfiori e dolori per un paio di giorni. Ma molti, spaventati, arrivavano stressatissimi davanti al medico che te la praticava e, alcuni crollavano svenuti. Passata la "puntura nel petto", dopo qualche giorno toccava all'antivaiolosa. Si trattava di un "richiamo" del "graffio" all'altezza della spalla col virus vivo (ovviamente attenuato). Ma, da qualche tempo (nel 1977) il vaiolo era considerato debellato (l'ultimo caso era stato registrato in Somalia l'anno prima) e la vaccinazione ai civili era stata sospesa (sarà poi abrogata definitivamente nel 1981 e non è stata reintrodotta nonostante alcuni allarmi in chiave soprattutto terroristica). Nella situazione data, dunque, la vaccinazione era considerata più pericolosa del rischio di malattia. Io lo sapevo perché mio padre era viceprimario di malattie infettive all'ospedale Gaslini di Genova. Perciò cercai di capire come mai avessero deciso di correre un simile rischio: vaccinare oltre un migliaio di giovani reclute con un farmaco ormai ritenuto più dannoso che utile. Così ne parlai con alcuni giovani medici appena laureati che lavoravano in Sanità. A quei tempi, l'essere di sinistra era anche un modo di raccogliere informazioni: tra compagni ci si diceva (quasi) sempre la verità. Così, abbastanza facilmente, venni a sapere che la vaccinazione sarebbe stata fatta per finta: "Il colonnello medico - mi spiegarono - non è mica scemo, non ha nessuna intenzione di prendersi una responsabilità così grossa". Quindi? "Quindi, il protocollo verrà rispettato e, formalmente, sarete tutti vaccinati, ma invece del vaccino useremo acqua distillata e vi faremo il graffietto con quella". Vero? Falso? L'unico modo per saperlo era aspettare la reazione febbrile che, comunque, sarebbe dovuta arrivare almeno a qualcuno di noi. Nel frattempo, sempre per rispettare il protocollo e le procedure, l'intero battaglione era consegnato e nessuno sarebbe andato a casa per il fine settimana. Onestamente, questa era la cosa che mi dava più fastidio: cornuti e mazziati. Ci prendevano in giro praticandoci la vaccinazione per finta e lo facevano due volte perché tutte le licenze erano cancellate. Così decisi di mettermi a rapporto dal capitano che comandava la mia compagnia e gli spiegai quello che avevo saputo. Gli dissi che non mi sembrava giusto starmene chiuso in caserma ad aspettare una febbre che non sarebbe venuta. Era un uomo serio e comprensivo: mi guardò. Sorrise, allargò le braccia e mi firmò la licenza. "Non dirlo troppo in giro" aggiunse. Per la cronaca, a nessuno dei circa milleduecento soldati vaccinati, venne la febbre. Vaccinazioni sbagliate e fatte male dietro i tumori dei soldati italiani. Interventi non registrati e medicinali fuori dal mercato. I certificati vaccinali di Francesco Rinaldelli e Francesco Finessi, deceduti dopo anni di lotta per un tumore e un linfoma di Hodgkin. Le schede dei due militari dimostrano che le vaccinazioni venivano fatte a distanza molto ravvicinata. Nel caso di Rinaldelli si trovano delle incongruenze tra il foglio fatto al momento delle vaccinazioni e quello richiesto in seguito. A Finessi, invece, è stato somministrato un preparato poi ritirato dal commercio. La commissione uranio ha trovato una nuova probabile causa dell'elevato numero di neoplasie registrate tra i nostri militari. L'audizione di un giovane caporal maggiore gravemente malato davanti ai senatori commossi.
L'esperto: "Non sono sbagliati i protocolli, ma le modalità, i tempi e i controlli sulle somministrazioni". Dati impressionanti, ma l'esercito non riconosce il nesso causale. Il caporal maggiore Erasmo Savino ha 31 anni, ha un cancro in fase avanzata, ma il 3 ottobre scorso si è alzato dal letto e non ha fatto la chemioterapia. Occhiaie profonde e fasciatura al braccio. E' seduto davanti al computer, emozionato e teso, collegato in videoconferenza col Senato della Repubblica. Col suo accento campano racconta alla Commissione parlamentare d'inchiesta per l'uranio impoverito di aver lavorato per 13 anni come maggiore dell'esercito. Spiega che adesso lotta contro un tumore maligno e afferma di averlo sviluppato a causa di un mix di vaccini fatti in poco tempo seguiti dall'esposizione all'uranio impoverito in Kosovo. Parla lentamente per non sbagliare nessun dettaglio, accompagnato da un foglio scritto. Poi, davanti alle domande dei senatori, si lascia andare a una testimonianza più personale e drammatica: "Forse sono arrivato alla fine della mia vita... Certo sono un soldato, continuo a combattere, ma sono stato abbandonato dallo Stato". L'aula è ammutolita alcuni senatori sono visibilmente commossi. L'avvocato di Savino, Giorgio Carta, descrive le motivazioni scientifiche che portano a ritenere che ci sia collegamento tra i vaccini cui è stato sottoposto il giovane e il cancro che l'ha colpito. Non è il solo, molti sono già scomparsi, altri giacciono in un letto. Tutti giovani. Centinaia almeno, ma non è possibile avere dati certi... Anche perché, per il Ministero della Difesa questi casi non esistono, non sono collegati al lavoro.
Attorno al tavolo della commissione volti tirati e occhi lucidi. Il Senatore Giacinto Russo afferra il cellulare, scrive un sms al figlio militare che si trova in Afghanistan chiedendogli se anche lui ha fatto tutti quei vaccini in poco tempo. Arriva la risposta, il Senatore si porta le mani al viso. La risposta è un "sì". La seduta continua in apnea, si parla di un Paese in cui si è costretti a scegliere tra salute e lavoro, qualcuno dice "come a Taranto". Questi ragazzi sono precari, negare il consenso ai vaccini significa smettere di lavorare.
Il senatore Gian Piero Scanu non riesce a finire il suo intervento, gli manca la voce, si piega su se stesso commosso. Insomma, la commissione sull'uranio, dopo anni di stasi, ora ha trovato una nuova importante traccia da battere e gli studi scientifici in merito sembrano parlare chiaro. Sarebbero i vaccini numerosi, ripetuti, spesso fatti senza rispettare i protocolli, a indebolire ragazzi sanissimi, a tal punto da aprire la porta a malattie molto gravi, specialmente nel momento in cui vengono esposti a materiali tossici o sostanze inquinanti che possono essere l'uranio impoverito ma anche la diossina, le esalazioni di una discarica o agenti chimici fuoriusciti da una fabbrica. L'85 per cento dei militari ammalati non è mai stato all'estero. Il problema è che non serve arrivare in Kosovo: la stessa Italia con tutti i suoi veleni rappresenta un pericolo mortale per chi ha un sistema immunitario impazzito a causa dei vaccini. Come accadde a Francesco Rinaldelli, alpino di 26 anni mandato a Porto Marghera e poi morto di tumore. Qualche numero negli anni però è venuto fuori. Nel 2007, il Ministro della Difesa Arturo Parisi, riferì alla Commissione: "I militari che hanno contratto malattie tumorali, che risultano essere stati impiegati all'estero nel periodo 1996-2006 sono 255. Quelli che si sono ammalati pur non avendo partecipato a missioni internazionali sono 1427". Nel 2012 Il Colonnello Biselli, dell'Osservatorio epidemiologico della difesa, diede cifre raddoppiate: 698 malati che erano stati inviati all'estero e 3063 che avevano lavorato in Italia, 479 erano deceduti. Lo Stato non riconosce quasi mai, però, a chi ha indossato la divisa, il riconoscimento né il risarcimento per le malattie contratte. Spesso viene negato che si tratti di cause di servizio. Così è in atto quasi una guerra fra vittime, tra chi vorrebbe essere risarcito per il danno da uranio impoverito e chi per quello causato da vaccini. "Al Ministero della Difesa conviene sostenere la causa dell'uranio impoverito perché questo è stato usato dall'esercito statunitense, non da quello italiano, quindi i nostri vertici non ne avrebbero colpa, mentre, ammettere che i danni derivano dalle modalità con cui vengono vaccinati i militari, significherebbe riconoscere una colpa interna, senza contare poi gli interessi milionari delle cause farmaceutiche" sostiene Santa Passaniti, madre di Francesco Finessi morto dopo essersi ammalato di linfoma di Hodgkin. Aveva ricevuto una dose tripla di Neotyf, un vaccino anti-tifo che poco dopo fu ritirato dal commercio.
In molte schede dei militari ammalati si trovano vaccinazioni a brevissima distanza (anche nello stesso giorno) per la stessa malattia o somministrazione di preparati poi ritirati dal commercio. Non solo, secondo i parenti di vittime come Francesco Finessi, David Gomiero e Francesco Rinaldelli, i libretti vaccinali dei loro ragazzi, ottenuti dopo lunghe insistenze, riporterebbero anche visite mediche mai effettuate. "Questo accade perché si cerca di far tutto velocemente - spiega Andrea Rinaldelli, padre di Francesco, morto nel 2008 - ad esempio, se devono partire per una missione 600 militari, seguire i protocolli e fare lo screening di tutti sarebbe difficile. Magari in base a un'attenta analisi 100 finirebbero per non partire". Così in alcuni distretti, fortunatamente non in tutti, i militari vengono vaccinati in serie quasi senza nessun controllo, senza andare troppo per il sottile: "Sono come prodotti di una catena di montaggio: stessa procedura per tutti e se qualcuno esce ammaccato, basta buttarlo via". Il Ministero della Difesa sostiene da sempre di rispettare tutte le cautele necessarie, e che i ragazzi si sono ammalati per cause estranee al lavoro. Alle nostre domande, nessuno risponde, ci invitano a metterle per iscritto, ma ci fanno capire che ci vorranno mesi per avere una risposta. Un esame di coscienza però qualcuno se lo sarà fatto, se il protocollo vaccinazioni del 2003 era di appena tre pagine e quello del 2008 è arrivato a più di 200 e se alcuni documenti riservati trapelati, contengono la lista completa dei casi di militari ammalati dopo pratiche poco chiare di vaccinazioni. "Il protocollo è scientificamente inattaccabile - sostiene il Prof di oncologia Franco Nobile considerato fra i massimi luminari della materia - il problema è che non viene rispettato. Per praticità e velocità si fanno vaccinazioni a tappeto uguali per tutti, senza controllare se qualcuno l'ha già fatta, se qualcun'altro non è in perfette condizioni di salute o ha ricevuto altre vaccinazioni pochi giorni prima. C'è superficialità, poca cura, non vengono considerate le conseguenze, spesso sono gli infermieri e non i medici a fare i vaccini". I genitori di molte vittime, come Francesco Rinardelli, dimostrano che i figli erano stati vaccinati senza anamnesi, come sempre accade, ovvero senza indagare correttamente sul loro stato di salute, senza sapere se erano già immuni ad alcune malattie o domandarsi se fosse realmente necessario un vaccino in più. Sui loro libretti vaccinali sarebbero segnate visite mediche mai effettuate. L'avvocato Giorgio Carta difende molti militari colpiti da tumore per esposizione a uranio o vaccini e sostiene: "la ricerca della verità è resa difficile da numerosi fattori e dalla scarsa trasparenza, inoltre i medici sono ufficiali, quindi superiori gerarchici, che non impartiscono cure, ma ordini militari ai sottoposti". Rifiutarsi o fare troppe domande non è consentito. Si rischiano sanzioni disciplinari e addirittura il carcere, come nel caso del Maresciallo dell'aereonautica Luigi Sanna che ha chiesto di rinviare i vaccini a quando avrebbe avuto risposte a una serie di domande sulla loro sicurezza e necessità. A chi indossa la divisa non resta che sperare di essere fortunati, trovarsi davanti a un medico attento a rispettare i protocolli oppure che il mix di fretta, vaccini e sostanze ambientali tossiche, armi e prodotti chimici non abbia le conseguenze temute. Una roulette russa in cui si vince un lavoro o si perde la vita.
"I vaccini non sono di per sé nocivi. Fanno male se dati senza controlli". Parla il prof. Franco Nobile, oncologo e docente di semeiotica a Siena. "Il protocollo delle vaccinazioni, di per sé, non fa una grinza. Ma c'è noncuranza e superficialità. Prima di somministrarli si dovrebbero fare test immunologici accurati. Se usati impropriamente possono abbassare le difese immunitarie e aprire le porte a tumori e altre malattie". E racconta di somministrazioni ripetute, di intervalli e procedure non rispettati, di scarsa trasparenza del sistema sanitario militare. Quello della sanità militare e dei protocolli vaccinali che coinvolgono tutti, è un sistema impeccabile sulla carta ma fortemente deficitario nella pratica. Mancanza di controlli, medici poco attenti, vaccini fatti in modo indiscriminato a tutti, mettono a rischio la vita di chi vi si sottopone senza poter realmente opporre resistenza. A posteriori, dopo essersi ammalati, dimostrare di aver contratto la malattia sul lavoro è difficilissimo. Il Prof Franco Nobile è specialista in oncologia, docente di semeiotica chirurgica all'Università di Siena, Presidente della sezione di Siena della lega italiana lotta contro i tumori, centro di eccellenza nazionale. Da anni segue le indagini legate ai tumori sviluppati dai militari, ha percorso quella dell'uranio impoverito per dedicarsi ora ai danni causati dai vaccini.
Professor Nobile, i vaccini provocano davvero tanti danni?
"I vaccini non sono nocivi in sé, anzi, sono una conquista importante per la nostra società. Fanno molto male se usati in modo inadeguato, se fatti tutti insieme, se contengono conservanti tossici come mercurio e alluminio, se fatti su persone che non sono state controllate. A quel punto è dimostrato che le difese si abbassano e si aprono le porte a malattie gravissime come cancro, leucemie ma ancora più frequentemente malattie autoimmuni: tiroiditi, artriti, coliti. Le faccio un esempio: un militare appena assunto viene sottoposto ai vaccini ma non gli viene chiesto se ha già l'antitetanica. Magari prima faceva il meccanico, aveva già l'antitetanica e quel nuovo vaccino gli fa male. Sarebbe corretto fare dei test anticorporali e immunologici che analizzino gli anticorpi che ciascuna persona ha già, si eviterebbero tante conseguenze tragiche. Inoltre le procedure sono giuste, ma la loro applicazione non lo è".
È grave. Come mai accade? È mai possibile che consapevolmente si voglia mettere a rischio la vita di queste persone?
"Ormai tutti i medici conoscono rischi ed effetti. Ma no, non credo ci sia una concreta volontà criminale... Piuttosto parlerei di noncuranza, scarsa attenzione, superficialità. Molti medici militari hanno il doppio o triplo lavoro, spesso questi vaccini vengono fatti dagli infermieri. Iniettati e basta, senza troppe storie. Poi tante volte c'è fretta, se devono partire 500 persone per l'estero, magari si fanno le analisi accurate su tutti, viene fuori che 100 non possono essere vaccinati e non possono partire. La procedura diventa lunga, costosa, difficile. Si taglia corto, si fanno gli stessi vaccini a tutti e così tra questi qualcuno si ammala. Ho trovato gruppi di militari che ogni volta che partivano per una missione venivano di nuovo vaccinati".
Così è anche uno spreco economico, oltre che un rischio alla salute?
"Sì, io tante volte in tutti questi anni mi sono chiesto perché sia stata creata la sanità militare. Forse all'inizio si voleva far avere a chi indossa la divisa un canale privilegiato, di eccellenza. Oggi la verità è che queste persone starebbero meglio se passassero dalle Asl come tutti i normali cittadini e sarebbe anche più economico e trasparente. Io faccio parte della Lega tumori e della Commissione parlamentare d'inchiesta sull'uranio impoverito, non riusciamo a fare ricerche perché la Sanità militare non ce lo permette".
Quale dovrebbe essere il prossimo passo?
"Oltre a rispettare i protocolli, mettere a punto dei test di esami immunologici gratuiti per tutti i militari che indichino quali vaccini fare e se farli. Già questi risparmierebbero molte vite".
Sarebbe molto costoso?
"No, affatto, ragionando su grandi numeri e facendo convenzioni con istituti di immunologia sarebbe una spesa irrisoria rispetto al vantaggio ottenuto".
Erasmo Savini ha 31 anni ed è stato caporale maggiore dell'esercito in Kosovo. Come tanti suoi colleghi in divisa, è stato costretto negli anni a sottoporsi a vaccinazioni continue e potenzialmente dannose, ma senza speciali protezioni per difendersi dall'uranio impoverito. Oggi lotta contro il cancro, continuando cicli di chemioterapie intensi e ravvicinati, che gli sono costati il posto di lavoro.
"Mio marito disobbediente e incriminato solo per aver osato chiedere spiegazioni". Parla la moglie del maresciallo dell'Aeronautica Luigi Sanna. "Si è limitato a pretendere una serie di spiegazioni su efficacia, sicurezza e sul perché si facessero vaccinazioni plurime e ravvicinate. Erano otto in 28 giorni". Per tutta risposta, pur avendo poi accettato di vaccinarsi, è stato denunciato e rischia un anno di carcere. Quando il maresciallo dell'aereonautica Luigi Sanna, di Cagliari, ha deciso di chiedere che non gli fossero fatti i vaccini imposti se non dopo aver ricevuto le giuste informazioni, non immaginava neanche di sollevare un polverone nazionale, rischiare il carcere, entrare a far parte della storia della sanità militare. Quando si ha una famiglia, la salute non è più un bene soltanto personale. Così Sanna, mentre si documentava e scopriva quante vittime avevano mietuto quei vaccini, ne parlava preoccupato con sua moglie, Gabriella Casula, avvocato, conosciuta sui banchi di scuola. Già dieci anni prima avevano deciso di prestare particolare attenzione alla scelta dei vaccini fatti alla loro bambina. Ora che il dilemma si riproponeva, però, la posta in gioco era diversa, i vaccini di più, i rischi alla salute più alti e quelli di buttare all'aria 25 anni di carriera, altissimi. "Ma la salute non si negozia e mio marito ha fatto una cosa sacrosanta, ha chiesto di essere informato prima delle vaccinazioni, sapere a cosa andava incontro, se erano realmente tutti necessari, se fosse possibile farli dilazionati nel tempo e non tutti insieme. Non sapevamo neanche che fosse il primo in vent'anni a fare una richiesta del genere".
Signora Casula, perché suo marito temeva di fare quei vaccini? Perché ha chiesto che prima che gli fossero somministrati si rispondesse alle sue domande?
"Siamo persone che si documentano, leggono, si informano. Avevamo saputo dei casi drammatici e degli studi scientifici in corso sui danni provocati dai vaccini. Mio marito è molto attento a queste cose. Il rischio per la salute è altissimo, soprattutto se non vengono rispettate le profilassi, possono svilupparsi tumori, leucemie, malattie autoimmuni, sterilità. Quando si ammala una persona è come se si ammalasse tutta la famiglia. Lui è padre e marito, ha pensato anche alla responsabilità che aveva verso di noi".
Sapeva a cosa andava incontro legalmente?
"Sì, più o meno, fra l'altro io sono avvocato, lo sapevamo. Certo non immaginavamo arrivassero addirittura a denunciarlo per disobbedienza. Disobbedienza continuata perché ha fatto due volte le domande, per iscritto, visto che non aveva ricevuto risposta. Dopo 25 anni di servizio rischia ora, oltre le sanzioni disciplinari che però non sono ancora state messe in atto, un anno di carcere. Mi sembra assurdo, se dovessero denunciare tutti i militari che chiedono spiegazioni sarebbe gravissimo. Fra l'altro, dopo le risposte, anche se parziali e non soddisfacenti, mio marito ha fatto i vaccini, non era contrario al farli, voleva sapere cosa gli veniva iniettato".
In giudizio lo difenderà Lei?
"No, io, per mia scelta professionale, non patrocinio cause né a favore nè contro i militari. In questo caso giudiziario difendo l'uomo, ottimo marito e ottimo padre, la difesa del militare la lascio al mio valido collega avvocato Giorgio Carta. In ogni caso non credo sia giusto che si pensi che soltanto persone come mio marito, con una certa cultura, con una moglie avvocato, possano permettersi di rischiare chiedendo le informazioni e le tutele che gli sono dovute.
E' un diritto di tutti".
A quanto pare suo marito è stato il primo a imporre di essere veramente informato prima di dare il consenso. Secondo Lei come mai gli altri non fanno domande?
"E' difficile la loro posizione. Sono persone come le altre, con paure e rischi altissimi, magari famiglie, figli, ma portano la divisa. Questo spesso comporta che da loro si pretenda un'obbedienza senza remore. Molti, penso a tanti giovani, non sanno neanche cosa rischiano, non sono informati, dovrebbe essere lo Stato stesso a tutelarli ma a quanto pare non lo fa".
Di preciso cosa ha chiesto Suo marito per farli tanto arrabbiare?
"Ha chiesto che gli si documentasse se i vaccini sono efficaci e sicuri e perché si fanno vaccini plurimi e ravvicinati se è dimostrato che è pericoloso.
Ha chiesto del progetto Signum (studio scientifico seguito da quattro università sui danni da vaccini ai militari, improvvisamente accantonato in modo poco chiaro). Si è dichiarato disponibile a fare i vaccini dopo essere stato informato e, visto che non c'era impellenza, a farli dilazionati nel tempo. Abbiamo scoperto che prima ancora che il quesito fosse inoltrato allo Stato Maggiore della Difesa lui era già stato denunciato penalmente.
Loro cosa hanno risposto alle domande?
"Non abbiamo ragioni per ritenere che non siano sicuri".
Come funzionava la profilassi che gli era stata imposta?
"Gli dissero che in soli 28 giorni si potevano fare, come da protocollo, i seguenti vaccini e richiami: antitifo, antimeningite, atiepatite A, antiepatite B, antinfluenzale, antitetano, atidiferite, antipolio. Questi nei giorni prima della partenza, successivamente, in teatro operativo anche la profilassi antimalarica. Lui rimase perplesso in quanto dalla relazione Signum, sempre in quei giorni, era emerso che 5 o più vaccini potevano provocare un danno ossidativo con conseguenze gravissime. Ora mi domando a questi militari sono stati eseguiti i test anticorporali, per valutare l'utilità o meno del vaccino? Tutti sono indistintamente in grado di reggere questi stress vaccinali? A questa domanda cercano di rispondere gli esperti e nel frattempo il principio di precauzione è doveroso.
Si è parlato di Suo marito anche in senato, alla commissione d'inchiesta per l'uranio impoverito. Ora questa è la vostra battaglia, immaginavate di diventare un caso nazionale?
"Assolutamente no. Fra l'altro questa è stata una decisione presa nell'intimità di casa nostra. Qualcosa che non abbiamo condiviso con nessuno. Pensi che non avevamo detto della questione neanche a nostra figlia, ad amici e parenti. Noi non siamo nessuno per dire se il vaccino sia una scelta giusta o meno. Abbiamo solo chiesto trasparenza. Mio marito ha detto, giustamente, che valeva la pena farlo quando era in salute, non dopo essersi ammalato, prendersi poi il carico di dimostrare come si è contratta quella malattia, essere costretti a umiliarsi, a elemosinare riconoscimento e risarcimento".
"I nostri figli ipervaccinati e indeboliti mandati in giro a prendersi il cancro". Francesco Rinaldelli, alpino, 26 anni, è morto di cancro nel 2008. Era stato sottoposto a una serie di pesanti vaccinazioni, poi l'avevano inviato a Porto Marghera a respirare diossina. Il padre, da allora, raccoglie prove di quello che chiama "uno sterminio". Sarebbero 3.500 i militari monitorati: "Ci sono liste segrete che non vogliono mostrarci". La sua audizione in Senato.
Francesco Rinaldelli, di Potenza Picena in provincia di Macerata, era un alpino. Nel 2008, quando aveva solo 26 anni, è morto stroncato dal cancro. Analisi scientifiche hanno dimostrato che era stato sottoposto a una massiccia serie di vaccini carichi di metalli come mercurio e alluminio che lo avrebbero indebolito. Poco tempo dopo il giovane venne inviato a Porto Marghera nel periodo di maggiore emissione di diossina. Questo concomitanza di cause avrebbe causato il linfoma. Il padre, Andrea, da allora raccoglie documenti e dati per salvare quelli che sono ancora vivi, dice: "Noi parenti ci ritroviamo a tirare pugni nel buio". Il Ministero della Difesa è barricato nel silenzio. Rinaldelli, assieme ai genitori di altre giovani vittime, si è rivolto alla procura di Roma che ha aperto un'inchiesta penale. Ma la giustizia è lenta e il cancro veloce. Molti ragazzi si sono spenti prima che venisse alla luce la verità.
La commissione parlamentare per l'uranio impoverito è sempre più orientata sull'analisi dei danni da vaccini. Durante l'ultima audizione, lei ha chiesto di far luce sulla libertà dei militari di sottoporsi a vaccinazioni. Questo consenso è reale o no?
"Assolutamente no. È ridicolo, formalmente ti presentano un documento da firmare in cui puoi scegliere o meno se vaccinarti. Se dici no, però, vieni processato e perdi il lavoro. Inoltre nessuno viene realmente informato delle controindicazioni legate ai vaccini ed abbiamo le prove che non vengano rispettati i protocolli indicati dalle case farmaceutiche. I militari sono bombardati con molti vaccini fatti a pochissimi giorni di distanza. Non viene preventivamente controllato il loro stato di salute come dovrebbe essere fatto e spesso, come è successo a mio figlio, subito dopo vengono inviati in zone contaminate o rischiose. Con bassissime difese immunitarie sono esposti al rischio di sviluppare cancro e leucemie. A questi ragazzi sono state fatte cose che non si vedevano neanche ai tempi del Terzo Reich. Le direttive sulla carta magari sono corrette, il problema è che consapevolmente non vengono rispettate e i nostri figli muoiono. Però per la prima volta vedo la commissione parlamentare lavorare davvero per un risultato. Quelli che vi siedono si sono spogliati della veste di senatori e sono tornati a guardare le cose come genitori e cittadini".
Cosa è successo a Porto Marghera?
"Mio figlio era stato da poco sottoposto a una lunga serie di vaccini.
In seguito, con una serie di analisi abbiamo scoperto che i livelli di mercurio e alluminio nel suo sangue erano elevatissimi. Il suo sistema immunitario era fuori gioco, completamente impazzito, non in grado di reagire alle aggressioni esterne. Mentre Francesco era in servizio a porto Marghera stavano dismettendo sostanze tossiche, per giorni respirò diossina. Così si è ammalato di linfoma. Ha scoperto un bozzo sulla spalla e lì sono iniziati quattro anni di un terribile calvario. Vaccinare questi ragazzi senza considerare dove verranno mandati subito dopo è un comportamento criminale, per questo li abbiamo denunciati. Avevano nelle mani i nostri figli, la Difesa li ha usati come cose, senza pensare che fossero persone con un cuore che batte".
Quanti sono quelli nella condizione di Suo figlio?
"È uno sterminio. Sono 3.500 i militari ammalati oggi monitorati, ma in realtà la cifra è più alta perché ci sono anche tutti quelli che si sono ammalati dopo aver dismesso la divisa. La cosa più grave è che il Ministero della Difesa tace. Perché non tira fuori nomi, dati numeri? Così anche il Ministero della Salute e l'Istituto Superiore di Sanità non hanno fatto nulla, nè approfondito. Avrebbero dovuto pretendere dalla Difesa i dati. Si pensa che possiamo noi cittadini, familiari delle vittime, da soli chiedere all'omicida se ci dà la pistola con cui ha ucciso. I carabinieri dovrebbero entrare nel Ministero e portare via i registri che contengono tutti i dati che riguardano i nostri figli. Perché in realtà questi registri ci sono. Non è vero che non li hanno monitorati, i ragazzi vittime delle loro procedure sono tutti inseriti in una lista e io ho avuto uno di questi incartamenti che lo dimostrano. È un documento riservato, interno, con i dati e la casistica di 18 militari, fra questi c'è il nome di mio figlio. Non possono limitarsi a dire che hanno rispettato i protocolli, devono dirci cosa è successo davvero, e se qualcosa è andato storto per colpa di chi. La verità è che sul banco degli imputati ci sarebbero pezzi troppo grossi".
Cos'era il progetto Signum?
"Era uno studio nato per cercare di capire se alcune malattie dei militari andati in Iraq fossero riconducibili all'uranio impoverito ma videro che la presenza di questo era quasi impercettibile. Invece si aprì una nuova traccia: si scoprì che dopo 5 vaccinazioni a volte si sviluppavano ossidazioni cellulari che portavano a tumori. Signum era un progetto grande, coinvolgeva quattro università, stava arrivando a conclusioni scientificamente importanti ma ad un tratto, di punto in bianco è stato accantonato. Forse questo studio ha fatto paura a qualcuno e si è fatto in modo che non andasse oltre. Così noi parenti delle vittime ci ritroviamo a tirare pugni nel buio. Io sono stanco, stanco anche di rabbia e rancore. Mio padre, il nonno alpino che ispirò mio figlio, ha fatto nove anni di guerra, ha creduto in questa Repubblica, e ora io da questa voglio risposte".
REAZIONI AVVERSE. REPORT RAI 3 PUNTATA DEL 17/04/2017 DI Alessandra Borella - Salute. Il papilloma virus (HPV) è stato collegato all’insorgere del tumore al collo dell'utero. Per prevenirlo l’Italia è stata il primo paese in Europa ad introdurre il vaccino anti-papilloma virus, tra i più costosi in età pediatrica. Le nostre autorità sanitarie hanno potuto contare su una valutazione positiva dell’Agenzia Europea del Farmaco, che ha dichiarato sicuro questo tipo di vaccini. Ma le segnalazioni sui possibili danni causati dal vaccino anti HPV sono state correttamente valutate? Se lo chiede un team di ricercatori indipendenti danesi della rete “Cochrane Collaboration”, che ha presentato un reclamo ufficiale a Strasburgo. L’accusa è contro l’Agenzia Europea del Farmaco: avrebbe sottovalutato le reazioni avverse e ci sarebbero anche dei conflitti d’interesse che non sono stati dichiarati.
ALESSANDRA BORELLA FUORI CAMPO: Si stima che nel corso della vita il 75 per cento delle persone venga a contatto con il virus del Papilloma umano, che si trasmette per via prevalentemente sessuale. Molti sono portatori sani, senza saperlo. Sono 120 i ceppi del virus. Tredici quelli che dopo una latenza di circa 20-30 anni, possono causare lesioni, che solo nell’uno per cento dei casi si trasformano in tumore. I vaccini presenti sul mercato sono: il Cervarix, prodotto dalla Glaxo. Protegge contro due dei tredici tipi più pericolosi. E il Gardasil, di Merck e Sanofi Pasteur, che estende l’immunità a nove. A oggi circa 80 milioni di persone sono state vaccinate nel mondo. Un milione solo in Italia.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO: Allora, l’Italia è stato il primo Paese europeo a mettere a carico del Sistema sanitario nazionale i costi della vaccinazione dell’Hpv. Ultimi dati disponibili, fino al 2015, abbiamo speso 306 milioni di euro. Dal gennaio del 2017 la vaccinazione riguarderà anche noi maschietti che siamo portatori sani. Allora, la prima cosa importante che diciamo è che questa inchiesta non è contro l’utilità dei vaccini, si tratta in tema di prevenzione probabilmente della scoperta più importante degli ultimi 300 anni. Parliamo però di farmacovigilanza. Cioè che cosa accade quando ti inietti il vaccino e hai una reazione avversa. La legge prevede che il medico, appena venuto a conoscenza, debba informare l’ufficio di farmacovigilanza entro 36 ore. Ma in quanti lo fanno? Alessandra Borella.
GIULIA DUSI: Io ho un dolore cronico al corpo tutti i giorni, tutto il giorno, che non va via con nessun farmaco... Mi hanno riempito di cortisone, di qualsiasi antidolorifico possibile, morfina in vena, anestesia della sala operatoria...
ALESSANDRA BORELLA: Cosa ti hanno detto?
GIULIA DUSI: Che io sono una pazza, che tutti i sintomi che ho sono letteralmente inventati...
ALESSANDRA BORELLA: Tu ti riconosci nelle parole di Giulia?
GIULIA LUPPINO: Anche io ho dolori a tutto il corpo, tutti i giorni per tutto il giorno... non c'è niente che li fa passare…
ALESSANDRA BORELLA: Anche tu hai consultato tanti medici, cosa hanno detto?
GIULIA LUPPINO: Eh, che sono da ricoverare in psichiatria…
ALESSANDRA BORELLA FUORI CAMPO: Ci sono voluti quattro anni per cambiare diagnosi. Eppure i sintomi delle ragazze sono tra gli effetti indesiderati descritti nel bugiardino del vaccino.
ANNA PEZZOTTI – ASSOCIAZIONE RAV HPV REAZIONI AVVERSE PAPILLOMA: Un medico ha voluto ascoltarci e ha aperto un'inchiesta presso la farmacovigilanza. Qui mi è stato detto che a dicembre 2014 vi erano 900 segnalazioni di reazioni avverse al vaccino anti-papilloma virus, 180 di queste segnalazioni già presenti avevano gli stessi sintomi descritti di mia figlia… Io non sono assolutamente contro i vaccini, anzi…
ALESSANDRA BORELLA: Voi fate parte di una rete di quaranta famiglie. Di queste famiglie, in quante sono riuscite a fare la segnalazione?
ANNA PEZZOTTI - ASSOCIAZIONE RAV HPV REAZIONI AVVERSE PAPILLOMA: Quattro famiglie. Le altre non riescono perché il medico si rifiuta di inoltrare la segnalazione. La giustificazione è la letteratura scientifica ad oggi asserisce che non vi è nessuna correlazione tra i sintomi delle ragazze e il vaccino anti papilloma virus.
ALESSANDRA BORELLA FUORI CAMPO: Eppure un medico, per legge, è tenuto a farla subito la segnalazione di qualsiasi sospetta reazione avversa. Nel caso dei vaccini entro 36 ore. La madre di Giulia ha cercato risposte anche in Israele. Nell’ospedale Sheba Medical Center di Tel Aviv, lavora il professor Shoenfeld. Per lui i sintomi della ragazza sono una tipica reazione autoimmune al vaccino. Che forse si potrebbe prevenire attraverso gli studi genetici.
YEHUDA SHOENFELD – IMMUNOLOGO: Possiamo identificare i marcatori genetici che predispongono a sviluppare reazioni autoimmuni. Questa ragazza ha 16 anni, dopo aver preso il Gardasil è sprofondata in uno stato vegetativo. Questa è la madre, vede, ha dichiarato: “Abbiamo mandato a scuola una ragazza sana e non è più tornata la stessa”.
ALESSANDRA BORELLA FUORI CAMPO: Shoenfeld è diventato in questi anni il punto di riferimento di chi sospetta di aver subito danni dal vaccino.
YEHUDA SHOENFELD – IMMUNOLOGO: Io sono a favore dei vaccini, penso che siano la migliore rivoluzione degli ultimi 300 anni. Ma non sono convinto che il vaccino contro l’HPV possa prevenire il cancro. Lo sapremo tra 20 anni. Per ora è stata rilevata una riduzione delle lesioni pre-cancerose. La durata della copertura vaccinale è ignota. E ogni giorno vedo troppe reazioni avverse.
ALESSANDRA BORELLA FUORI CAMPO: Una sospetta reazione al vaccino l’ha avuta anche Martina. I suoi genitori sono riusciti a segnalare il caso alla farmacovigilanza solo dopo sei anni.
GLORIA MARCHESAN: Martina ha fatto la prima dose del vaccino e la nostra vita è cambiata…
MARTINA TROIAN: Mi sento veramente ingabbiata, mi sento rinchiusa in un corpo che non è il mio. Non riesco a fare tantissime cose con la stanchezza, perdo la memoria, inizio a studiare, mi addormento sui libri...
ALESSANDRA BORELLA: Dopo queste reazioni che cosa vi hanno detto al centro della Asl?
GLORIA MARCHESAN: Che non è causato dal vaccino, assolutamente di stare tranquilla...
ALESSANDRA BORELLA: Con certezza.
GLORIA MARCHESAN: Sì, sì.
ALESSANDRA BORELLA: Quando avete potuto fare la segnalazione della farmacovigilanza?
GLORIA MARCHESAN: Nel 2016 dopo che abbiamo contattato il professor Palmieri.
ALESSANDRA BORELLA FUORI CAMPO: Un medico che ha fatto conoscere alle mamme uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità, proprio sulle reazioni avverse.
BENIAMINO PALMIERI – MEDICO CHIRURGO UNIVERSITÀ MODENA E REGGIO EMILIA: Che ha riscontrato, partendo dal 2008 e fino al 2011 come il 60 per cento delle ragazze vaccinate con i due classici vaccini Gardasil e Cervarix anti-HPV manifestassero delle reazioni avverse.
ALESSANDRA BORELLA FUORI CAMPO: Il 60 per cento di un campione di 12mila donne tra i 9 e i 26 anni, da 9 regioni diverse. Vista la percentuale forse meritava di essere approfondito, ma non ci risulta sia stato fatto.
BENIAMINO PALMIERI – MEDICO CHIRURGO UNIVERSITÀ MODENA E REGGIO EMILIA: Io auspicherei che il Ministero della Sanità veramente ci fornisse, e anche gli osservatori epidemiologici regionali dei vaccini, ci potessero fornire informazioni ulteriori, cosa che abbiamo già fatto un anno fa e hanno risposto circa il 2/3 per cento degli enti a cui abbiamo richiesto questo.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO: La direttiva europea imporrebbe trasparenza, massima trasparenza sui dati della farmacovigilanza, ma ogni Regione fa un po’ a modo suo: Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna segnalano sul singolo farmaco, Sardegna e Piemonte fanno report generici sulla categoria dei principi attivi. Friuli, Toscana, Umbria e Marche non pubblicano dati online. La Basilicata ci dice “ho problemi con il sito. Abbiamo solo un archivio cartaceo, raccogliamo i dati e ve li inviamo”. Mai arrivati. Il Molise dice “abbiate pazienza, li stiamo raccogliendo per voi”, e anche qui, non sono mai arrivati; la Puglia dice, l’ufficio, la farmacovigilanza l’abbiamo messo in piedi pochi mesi fa, abbiamo un po’ di difficoltà”. Valle d’Aosta, Umbria e Lazio non forniscono dati ai giornalisti, ci hanno detto. Però tutti hanno assicurato di aver fornito i dati all’ufficio della farmacovigilanza dell’Aifa, cioè dell’Agenzia italiana del Farmaco. Poco male, a noi poco importa, nel senso che se li forniscono a loro a noi va benissimo, il problema è che poi i conti però non tornano. A vedere per esempio i dati del 2012, Aifa riporta complessivamente su tutto il territorio nazionale 293 casi di reazioni al vaccino, la sola Lombardia invece per lo stesso anno ne registra 692. Delle due l’una, o l’Aifa sottovaluta o la regione Lombardia largheggia. Che cosa è successo invece in Danimarca, si son fatti due conti e dei ricercatori indipendenti hanno presentato un reclamo al Mediatore europeo, a questa signora qui, Emily O’Reilly, che ha il compito di indagare sulle denunce fatte nei confronti di enti dell’Unione Europea. Questa volta sul banco degli imputati c’è l’EMA, cioè l’Agenzia del 4 Farmaco europea, per i medicinali, europea: è accusata di poca trasparenza nella valutazione di immissione sul mercato del vaccino e di aver sottovalutato le reazioni avverse. ALESSANDRA BORELLA FUORI CAMPO In Giappone il governo ha ufficialmente smesso di raccomandare l’uso del Gardasil e del Cervarix. Reazioni al vaccino si sono registrate anche in Francia e Inghilterra. Ma è in Danimarca che si sono verificati i casi più gravi. Il professor Gøtzsche, medico, chimico e biologo, è il leader della sezione danese di un’organizzazione mondiale di ricercatori indipendenti. Che puntano il dito contro l’azienda farmaceutica.
PETER GØTZSCHE – DIRETTORE NORDIC COCHRANE: La Sanofi Pasteur ha già ingannato il Ministero della Sanità. Le è stato chiesto di cercare i casi di gravi effetti collaterali tra i dati a sua disposizione. E le è stato detto anche come cercarli. Non si capiva come mai ne avesse trovati così pochi rispetto a quelli già conosciuti dal Ministero. Hanno scoperto che la casa farmaceutica aveva usato una diversa strategia di ricerca. Io questa la chiamerei frode.
ALESSANDRA BORELLA FUORI CAMPO: Il centro che raccoglie i dati delle reazioni avverse per conto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità si trova a Uppsala, in Svezia. Ha registrato finora oltre 71mila casi. E si tratterebbe di numeri in difetto. La stessa OMS stima che solo il 10 per cento di chi ha effetti collaterali li denunci. Allarmato dai numeri, il Ministero della Sanità danese ha chiesto all’EMA, l’Agenzia Europea dei Medicinali, la revisione del vaccino. Le carte le hanno studiate qui, nella sede di Londra dell’EMA. Sono finite sulla scrivania della dottoressa Alteri, che è stata a capo del Comitato per i medicinali per uso umano. Alla fine hanno deciso che il vaccino si poteva continuare a iniettare.
ALESSANDRA BORELLA: Io leggo in alcuni documenti ufficiali che questo vaccino non ha causato reazioni avverse preoccupanti o gravi. Come si può dichiarare questo, sono 71mila secondo l’Uppsala…
ENRICA ALTERI – DIRETTORE RICERCA E SVILUPPO MEDICINALI A USO UMANO (EMA): Guardi che... sì, ma ci stanno 100 milioni di persone che sono state vaccinate. La maggior parte di queste segnalazioni vengono perché c’è quella che si chiama una relazione temporale, diciamo, “io ho un vaccino e il giorno dopo mi fa male la testa”. Quello che dobbiamo domandarci è: “Questi eventi succedevano prima del vaccino?” La risposta è sì. Quello che dico è che può essere una coincidenza.
ALESSANDRA BORELLA FUORI CAMPO: Potrebbe. Ma secondo i ricercatori danesi le case farmaceutiche non sarebbero andate a fondo sugli effetti collaterali. Alcuni studi sarebbero viziati alla base.
PETER GØTZSCHE – DIRETTORE NORDIC COCHRANE: Negli studi di controllo con il placebo, invece di usare una sostanza inerte come acqua salina, hanno iniettato spesso alluminio, che è presente nel vaccino come adiuvante, o addirittura un altro vaccino, quello dell’epatite. Non è più un placebo! Non si distingue dal farmaco, potrebbe causare le stesse reazioni avverse e quindi i dati ottenuti non sono attendibili.
ALESSANDRA BORELLA: Di chi possiamo fidarci sui report di questi dati?
PETER GØTZSCHE – DIRETTORE NORDIC COCHRANE: Di certo non possiamo fidarci delle case farmaceutiche e nemmeno dell’Agenzia europea, che si è fidata dei loro dati e non li ha ricontrollati.
ALESSANDRA BORELLA FUORI CAMPO: Durante il processo di revisione sono emerse anomalie. I nomi di alcuni consulenti sono oscurati dai report. Impossibile capire chi è stato critico nei confronti del vaccino. Nel rapporto confidenziale del Comitato, mai pubblicato, c’è l’ipotesi della correlazione con due sindromi diagnosticate ad alcune pazienti vaccinate. Ma nelle conclusioni divulgate l’Agenzia dice soltanto: “Non c’è prova che il vaccino sia la causa: non sulla base dei dati a disposizione, che però, riconosce, sono limitati”. Troppe incongruenze, dunque, secondo i ricercatori danesi, che si sono rivolti a ottobre al Mediatore europeo, che giudica sulle denunce contro gli enti dell’Unione. Nel dossier, accolto l’8 novembre, la prima accusa è: mancanza di trasparenza.
ALESSANDRA BORELLA: Il punto cruciale è proprio la mancanza della possibilità di consultare quello che è accaduto, o il disaccordo.
ENRICA ALTERI – DIRETTORE RICERCA E SVILUPPO MEDICINALI A USO UMANO (EMA): Ci sono dei rapporti iniziali del relatore, che sono stati a seguito chiarificati, discussi nel comitato, in questo caso il PRAC, il comitato della farmacovigilanza e il rapporto finale era consensuale…
ALESSANDRA BORELLA FUORI CAMPO: Sulle modalità di valutazione dell’EMA è critico anche Silvio Garattini, direttore dell’istituto di ricerca farmacologica Mario Negri di Milano. C’è anche la sua firma sul reclamo al Mediatore europeo.
ALESSANDRA BORELLA: Mi conferma che durante questo processo di valutazione non si rifanno anali, trial clinici?
SILVIO GARATTINI – DIRETTORE ISTITUTO RICERCA FARMACOLOGIA MARIO NEGRI: Non c’è certamente la replicazione dei dati e questo naturalmente rappresenta un importante conflitto di interessi perché siccome il dossier può essere per un farmaco può essere presentato solo dall’industria farmaceutica, è chiaro che abbia il massimo interesse a mettere in evidenza le cose favorevoli. Lo stesso impegno a cercare i benefici deve essere trasmesso anche a cercare i rischi.
ALESSANDRA BORELLA FUORI CAMPO: Per farlo, Garattini propone da tempo, così come i ricercatori danesi e il professor Shoenfeld in Israele, che almeno uno degli studi clinici prima dell’immissione di un farmaco sul mercato, venga fatto da un ente indipendente.
YEHUDA SHOENFELD – IMMUNOLOGO: Le industrie farmaceutiche non sono necessariamente interessate alla tua salute, sono interessate ai soldi. Quindi non mi importa se mi criticano. Noi dobbiamo rivolgerci agli enti controllori. Sono loro i nostri interlocutori, devono ascoltarci, non soffocare la voce di quei ricercatori che dicono “attenzione possono esserci effetti indesiderati”.
ALESSANDRA BORELLA FUORI CAMPO: I controllori però si mantengono di fatto con i soldi dei controllati. Per la valutazione e approvazione di un farmaco da introdurre sul mercato, le industrie pagano circa 250 mila 6 euro, più un contributo annuale. Praticamente l’82 per cento delle entrate dell’EMA derivano dalle industrie farmaceutiche, che finanziano anche tutti gli studi clinici.
ENRICA ALTERI – DIRETTORE RICERCA E SVILUPPO MEDICINALI A USO UMANO (EMA): Io non ho nessun problema che l’industria farmaceutica finanzi degli studi, sono loro poi che vendono le medicine quindi per quale motivo non dobbiamo mettere su di loro il peso del costo di questi studi.
ALESSANDRA BORELLA: Però ci dobbiamo fidare, diciamo, che non ci sia nessun tipo di pressione…
ENRICA ALTERI – DIRETTORE RICERCA E SVILUPPO MEDICINALI A USO UMANO (EMA): Noi dobbiamo proteggere i nostri comitati durante il lavoro di valutazione da qualsiasi influenza che li possa diciamo, sviare dal loro lavoro puramente scientifico.
ALESSANDRA BORELLA FUORI CAMPO: Il sistema di protezione però non ha funzionato proprio nel 2008. Nel comitato di valutazione dell’EMA che ha approvato il vaccino c’era una vecchia conoscenza di Report: Pasqualino Rossi.
DA REPORT DEL 10/10/2016 GIULIO VALESINI: Dottor Rossi? Salve, Valesini di Report.
GIULIO VALESINI: …Ma in cambio di cosa lei riceveva tutti quei regali da Matteo Mantovani? Perché non mi spiega dottor Rossi? Tranquillamente.
ALESSANDRA BORELLA FUORI CAMPO: È proprio Rossi che svela informazioni riservate e addirittura la password dei terminali dell’Agenzia europea a Matteo Mantovani, il manager che curava gli interessi delle case farmaceutiche. Secondo i magistrati lo scopo era quello di informarlo sull’iter dell’approvazione del vaccino. In cambio, Mantovani ha pagato a lui e famiglia vacanze in un resort, mobili, infissi, un televisore da 46 pollici e 4 mila euro. Rossi viene arrestato nel 2008, dopo essere stato filmato mentre incassava una mazzetta da un altro manager. Ma dopo sette anni è scattata la prescrizione.
ENRICA ALTERI – DIRETTORE RICERCA E SVILUPPO MEDICINALI A USO UMANO (EMA): Non sono al corrente di questo caso specifico, nel 2008 non ero in agenzia …
ALESSANDRA BORELLA: Però la robustezza del sistema che non permette a un singolo di intervenire … e poi in realtà scopriamo che un singolo qui dentro …
ENRICA ALTERI – DIRETTORE RICERCA E SVILUPPO MEDICINALI A USO UMANO (EMA): Ovviamente non è accettabile, io questo signore non lo conosco… Non so chi sia, non è qui.
ALESSANDRA BORELLA FUORI CAMPO: Non più. È a Bruxelles infatti. Rossi è stato inviato dal ministro Lorenzin all’ufficio di rappresentanza a tutelare la nostra salute alimentare e quella animale. Un salto di carriera. Ma il suo caso oggi viene citato nel reclamo presentato al Mediatore europeo: per i ricercatori danesi è una ulteriore prova che non ci si può fidare delle case farmaceutiche e nemmeno di come l’Agenzia europea dei medicinali svolga la sua funzione di controllore. Antonietta Gatti si occupa di nanopatologia: nel corso degli ultimi 10 anni ha analizzato al microscopio, anche su mandato delle procure 44 tipi diversi di vaccini. Tra questi anche tre fiale di vaccino per il papilloma virus.
ALESSANDRA BORELLA: Cosa avete trovato dentro questi due vaccini?
ANTONIETTA GATTI – FISICO E BIOINGEGNERE: Prendiamo ad esempio il Cervarix, oltre ad esserci l’alluminio, ovviamente che ce n’è una quantità abbastanza importante, abbiamo trovato anche delle polveri di silicio magnesio, delle polveri di rame stagno piombo, ferro cromo, acciaio, calcio zinco. Per il Gardasil io ho trovato piombo bismuto.
ALESSANDRA BORELLA: Secondo lei come mai ci sono queste sostanza, questi materiali all’interno dei vaccini che avete analizzato?
ANTONIETTA GATTI – FISICO E BIOINGEGNERE: È difficile da dire… Se io avessi potuto entrare dentro all’azienda, probabilmente avrei identificato alcune procedure che potevano presentare contaminazioni.
ALESSANDRA BORELLA FUORI CAMPO: Le aziende farmaceutiche, però, non hanno risposto. Un decreto del 2001 del ministro Umberto Veronesi, impone di denunciare il ritrovamento di corpi o sostanze estranee all’interno di un medicinale. La dottoressa Gatti non l’ha fatto, ma ha pubblicato il suo studio e lo ha inviato all’Agenzia europea dei medicinali che risponde che lo considera privo di valore: le quantità di sostanze non sono rilevabili, e comunque entro certi limiti è normale che ci siano, e non rappresenterebbero un pericolo per la salute. L’EMA cita degli studi francesi che però, particolare non trascurabile, si riferiscono al vaccino contro la meningite.
ALESSANDRA BORELLA: Le normative non prevedono che si cerchino questi materiali all’interno dei vaccini, è corretto?
ANTONIETTA GATTI: E ovviamente non c’è neanche un limite.
ALESSANDRA BORELLA FUORI CAMPO: Bianca ha avuto gli stessi sintomi di Giulia e Martina dopo il vaccino anti-HPV. Una dottoressa che si occupa di malattie rare le aveva consigliato un esame per rilevare una intossicazione da metalli pesanti. Ma del risultato delle analisi non c’è traccia.
BIANCA CESARONI: Mi hanno fatto appunto il prelievo e mi hanno dimesso dicendo che da lì a breve tempo sarebbero arrivati i risultati finché dopo parecchi mesi, mi sembra 4-5 mesi è stato detto finalmente “guardi le analisi non le abbiamo potute fare perché non c’erano abbastanza fondi e soltanto per una persona non si potevano effettuare queste analisi”.
ALESSANDRA BORELLA: Bianca ha fatto la vaccinazione anti-HPV e poi è stata male.
ANTONELLA CRISCIOTTI: Lei ha fatto la prima dose e non è successo nulla, tutto tranquillo, seconda dose, novembre 2008, e dopo 15-20 giorni sono cominciate una serie di problematiche…
ALESSANDRA BORELLA: Quali?
ANTONELLA CRISCIOTTI: Tra cui questa sensazione di dolore muscolare forte, non riusciva nemmeno ad alzarsi dalla poltrona, dal letto… E mio marito la portò tranquillamente al centro vaccinale, mi arrivò questa telefonata dal medico che mi disse che tutte queste problematiche di mia figlia al 99 per cento, non poteva logicamente metterlo per iscritto, ma al 99 per cento erano derivate dal vaccino e mi disse “guardi, io se fossi in voi non la farei la terza dose”. Mi disse che era importante a questo punto fare la scheda di segnalazione avversa di reazione al vaccino…
ALESSANDRA BORELLA: E gliel’ha fatta e firmata lui.
ANTONELLA CRISCIOTTI: Sì, me l’ha fatta e me l’ha firmata lui.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO: Le ha lasciato anche una copia firmata come prevede la legge. La mamma di Giulia, invece non è riuscita ad averla questa copia. La mamma di Martina ha impiegato sei anni, tutte le altre mamme invece non sono riuscite a fare la segnalazione alla farmacovigilanza La sensazione è un po’ quella che se ti va male, forse è meglio non saperlo. Ora, premesso che se anche sono casi rarissimi, queste persone non devono sentirsi abbandonate. E premesso anche che forse si potrebbero anche prevenire questi casi di reazioni avverse se fossero implementati gli studi, come gli studi genetici, come suggerisce il professor Shoenfeld. Ora premesso tutto questo, se la farmacovigilanza però funziona così, come facciamo a sapere con esattezza quanti sono i casi di reazioni avverse? I conti non tornano anche per quello che riguarda la mortalità per il tumore al collo dell’utero. Da cui il vaccino dovrebbe in qualche modo proteggerci. Secondo gli ultimi dati disponibili e parliamo del 2012, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sarebbero i morti 13mila l’anno, secondo invece l’Agenzia per il Medicinale europea sarebbero 20mila, secondo gli ultimi dati che ci sono arrivati adesso adesso, l’Associazione europea del cancro cervicale, 30 mila. E non tornano neanche in Italia, perché secondo l’Aifa, la nostra Agenzia per il Farmaco, sarebbero 1.500 i morti l’anno, secondo l’Associazione per la ricerca contro il cancro, 1.016 e secondo il nostro Istituto Superiore di Sanità sarebbero 700 l’anno. Ora, metti tutto questo, e metti che i controllori sono finanziati dai controllati. E metti anche che chi era nel comitato di valutazione del vaccino è stato beccato mentre percepiva una mazzetta da chi doveva appunto valutare e che invece di essere cacciato via è stato promosso. Ecco, tutto questo, secondo noi, non fa altro che alimentare le campagne contro l’utilizzo di questi farmaci. Se si volesse utilizzare un vaccino, vero, contro la diffidenza, sarebbe il caso di utilizzare maggiore trasparenza e lotta alla corruzione, vera.
REAZIONI AVVERSE. PUNTATA DEL 24/04/2017. SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO: Ma prima lasciatemi fare due precisazioni sul tiro incrociato a cui è stato sottoposto Report in questa settimana: riguarda il tema che abbiamo trattato lunedì scorso, quello sul vaccino che rende innocuo il papilloma virus che è importante perché previene alcune forme di tumore al collo dell’utero. Abbiamo detto che si tratta di un vaccino utile, che l’inchiesta non era contro l’utilità dei vaccini, abbiamo anche detto che il vaccino è la più grande scoperta in tema di prevenzione degli ultimi 300 anni, e abbiamo anche specificato che il tema era quello della farmacovigilanza e cioè dei casi anche di reazioni avverse. Nonostante tutto questo è passato il contrario, è passato come se fosse un’inchiesta contro i vaccini. C’era chi aveva capito bene, chi aveva capito male, chi ha giudicato senza neppure vedere. Bene, se siamo stati fraintesi la responsabilità è anche mia perché forse evidentemente siamo stati poco chiari. Però questo non era vero, ribadisco l’utilità del vaccinarci. Però, attenzione, avevamo posto due questioni: i casi, i numeri di reazioni avverse al vaccino, perché non collimano tra quelli denunciati dalle regioni e quelli presentati dall’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco e poi perché non è stato possibile per alcuni pazienti che hanno avuto quelle reazioni avverse denunciare entro 36 ore dai medici alla farmacovigilanza dell’Aifa come richiede la legge? Queste sono domande che sono rimaste senza risposta ancora oggi.
Burioni: «Basta bufale sui vaccini, la scienza non può essere democratica», scrive Daniele Zaccaria il 4 gennaio 2017 su "Il Dubbio". «Le opinioni di persone ignoranti non possono avere lo stesso valore delle valutazioni di chi ha dedicato la vita a studiare un argomento, non è una posizione totalitaria ma puro buon senso».
«Se il 99% degli abitanti del pianeta sostenesse che 2+ 2 fa 5, 2+ 2 continuerebbe ugualmente a fare 4». Roberto Burioni, medico virologo e immunologo all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano preferisce la logica all’opinione, l’evidenza scientifica alla credenza popolare. E nel campo dei vaccini ha intrapreso da tempo una battaglia contro la continua divulgazione di menzogne che avvelenano i pozzi del web. In particolare la “madre di tutte le bugie”, e cioè il rapporto di causa- effetto tra le vaccinazioni e l’autismo nei bambini, vera e propria leggenda metropolitana fabbricata dal medico britannico Andrew Warkfield successivamente radiato dal suo ordine professionale per truffa (aveva contraffatto i suoi studi). Nella sua pagina Facebook (seguita da 120mila persone) Burioni si è recentemente scagliato contro l’odiosa bufala dei migranti africani che avrebbero portato in Italia il ceppo del meningococco C. Una fandonia creata ad arte dal gruppo xenofobo Forza Nuova che il virologo ha smontato con semplicità, dimostrando come i ceppi presenti nel continente africano sono diversi da quelli presenti in Europa ( A, W- 135 e X) e tra questi non c’è il meningococco C, alla radice degli ultimi casi di meningite avvenuti in Italia. Di fronte alle opinioni razziste di alcuni internauti Burioni ha deciso per la prima volta di cancellare i commenti dalla sua pagina per non alimentare il telefono senza fili della propaganda anti- immigrati: «Non ritengo che in un dibattito scientifico chi dice che i neri sono meno intelligenti debba essere invitato a parlare. C’era gente che diceva delle bugie che potevano avere un riflesso sociale che ho ritenuto inaccettabile, non mi andava che sulla mia pagina ci fossero derive xenofobe».
Lei ha affermato che la scienza non è democratica.
«Ed è proprio così, le opinioni di persone che non conoscono nulla in un determinato campo scientifico non possono avere lo stesso valore delle valutazioni di chi ha dedicato la vita a studiare quel campo scientifico. Non si tratta di una posizione totalitaria o arrogante, ma di puro buon senso. Peraltro è qualcosa che accade in tutte le discipline: non sentirete mai una partita di basket commentata da chi non ne conosce le regole o un telecronista di calcio che non sa cosa sia il fuorigioco. Allo stesso modo non tollero che sulla mia bacheca vengano propagandate falsità e bugie».
Facebook è uno strumento orizzontale che permette una straordinaria diffusione della conoscenza ma anche alle bugie di viaggiare più in fretta e raggiungere più persone.
«Per questo evito di addentrarmi in discussioni con persone ignare delle basi della medicina, i dibattiti possono avvenire solo tra persone che conoscono gli argomenti di cui parlano. Qualche mese fa in una trasmissione televisiva sono stato costretto a replicare al signor Red Ronnie il quale sosteneva la grande bufala della correlazione tra vaccini e autismo, non mi pare che Red Ronnie sia un grande esperto di virologia. Comunque ricevo ogni giorno migliaia di commenti e quesiti da parte di chi mi segue e a questi applico un metodo, tento cioè di rispondere a più persone possibile cumulando le domande per tema e argomento».
Uno degli argomenti più usati dagli antivaccinisti è che la scomparsa delle malattie è dovuta al miglioramento delle condizioni di vita.
«Si tratta di un’affermazione falsa. In un capitolo del mio ultimo libro (Il vaccino non è un’opinione, Mondadori) analizzo quel che è successo in Germania. Nel povero Est la vaccinazione a tappeto è stata introdotta nel 1960, nel ricco Ovest invece solo due anni dopo. Cosa è successo? Ebbene: nel 1961 e nel 1962 a Est ci sono stati rispettivamente 126 e 4 casi di polio, all’Oest 4198 e 4673, una statistica che dimostra un’ovvietà».
Si è chiesto perché attorno alla medicina spesso nascono queste leggende?
«Vorrei correggere la sua affermazione: questo fenomeno accade quasi esclusivamente con i vaccini. Intorno alla produzione di nuove valvole cardiache o, che so, sulle nuove scoperte dell’ortopedia non mi pare che nascano grandi polemiche o si alimentino leggende».
Questo scetticismo sui vaccini sembra un tratto della modernità. Fino a qualche decennio fa nessuno si sarebbe sognato di metterne in discussione l’efficacia.
«Un tempo c’era molta più fiducia nella scienza, eravamo riusciti a sconfiggere la poliomelite e la difterite salvando milioni di vite con le campagne di vaccinazioni di massa. Oggi che l’efficacia delle vaccinazioni non è un argomento sindacabile non si avverte più nel senso comune il pericolo rappresentato da alcune malattie gravi. Per paradosso si può dire che i vaccini sono vittime del loro stesso successo».
Per propagandare falsità c’è bisogno di un pubblico disposto a crederci. Viene in mente il caso Stamina.
«Anche se la cura delle malattie neurodegenerative non è il mio campo di ricerca il caso Stamina (la pseudoterapia a base di cellule staminali inventata dal non- medico Stefano Vannoni n. d. r.) è emblematico su come sia facile approfittare della debolezza di genitori disperati, confrontati al dramma di avere dei figli affetti da patologie incurabili. In questi casi è lo Stato che deve intervenire per proteggere le persone dagli impostori».
La proliferazione delle medicine alternative, le promesse di guarigioni miracolose, le bordate al metodo scientifico, stiamo forse vivendo un ritorno al passato?
«Purtroppo sta venendo a mancare il principio di autorità e allo stesso tempo assistiamo a un processo di dequalificazione nei vari mestieri, le competenze e le professionalità contano sempre di meno. Questo, mi permetta, vale anche per voi giornalisti e in generale per la sfera dell’informazione. Oggi chiunque può aprire un blog o un sito web e diffondere notizie false, prive di fonti riscontrabili, scritte in un italiano zoppicante. Immagino che un giornale serio abbia un caporedattore che verifichi l’attendibilità di una notizia e che presti attenzione agli errori e ai refusi negli articoli. Si può capire quanto questo principio sia importante nella medicina e per chi si occupa di salute pubblica».
Vaccini, chi ci guadagna (davvero)? «Una delle obiezioni avanzate da chi è ostile ai vaccini riguarda gli interessi delle case farmaceutiche, che però non sono necessariamente in conflitto con quelli dei cittadini, scrive Roberta Villa il 27 gennaio 2016 su "Il Corriere della Sera”.
È vero che Big Pharma guadagna sui vaccini? Assolutamente sì. Nessuno può pensare che le aziende farmaceutiche siano enti di beneficenza. L’industria guadagna sui vaccini proprio come su tutti gli altri farmaci, come d’altra parte fa chi vende computer o automobili. La pasticceria non regala la torta di compleanno, né il supermercato il pane o altri generi di prima necessità. Se non ci fosse alcun profitto sui vaccini, nessuno li produrrebbe più, proprio come è capitato negli ultimi decenni con l’abbandono del settore degli antibiotici e della ricerca in questo campo, un fenomeno che ha contribuito alla diffusione delle gravissime infezioni resistenti che attualmente preoccupano le autorità sanitarie.
Ma quanto guadagnano le industrie grazie ai vaccini? Sicuramente molto meno che con altre categorie di farmaci. Secondo il Rapporto nazionale OSMED 2014 dell’AIFA sull’uso dei farmaci in Italia, il costo complessivo di tutti i vaccini rappresenta l’1,4 per cento della spesa totale del Sistema Sanitario Nazionale, pari a 291 milioni di euro, contro più di un miliardo speso rispettivamente per proteggere lo stomaco o tenere bassa la pressione agli italiani. Meno della metà del fatturato della più famosa azienda produttrice di rimedi omeopatici, insomma. Un mercato poco redditizio, a livello di singolo prodotto, è compensato dall’enorme scala in cui viene distribuito. Il ritorno economico deve comunque essere sufficiente a sostenere il ramo vaccini delle pochissime multinazionali che continuano a dividersi la torta a livello globale. In questa logica, per poter vendere i classici tradizionali vaccini salvavita dell’infanzia, come l’antipolio, a meno di un euro a dose, la logica aziendale ricarica i costi sui prodotti più innovativi, spingendoli anche con sapienti e insistenti azioni di marketing.
I vaccini sono ancora necessari, con il miglioramento delle condizioni igieniche? Per questo ha suscitato polemiche il nuovo Piano Nazionale di Prevenzione vaccinale proposto dal Ministero della salute, che estende, raccomanda e offre gratuitamente ulteriori vaccinazioni oltre a quelle già esistenti. Questo sicuramente aumenterà la spesa e porterà maggiori introiti alle aziende. Ma il punto è: queste scelte sono a vantaggio o a discapito dei cittadini? La possibilità (non l’obbligo) che anche i meno abbienti possano usufruire di questi strumenti di prevenzione è un torto che si fa loro o un’opportunità che gli si offre? Si è parlato di pressioni da parte delle Società scientifiche, a loro volta sponsorizzate dalle aziende. Al momento non si può escludere che pressioni di questo tipo siano entrate in gioco in passato, o ancora oggi abbiano un ruolo, nelle scelte di sanità pubblica: questo va assolutamente evitato. È essenziale mettere in luce eventuali conflitti di interessi dei decisori, e, attraverso un sistema rigoroso e trasparente, far sì che non possano influire sulle decisioni prese a favore della collettività.
Per evitare di prendere fischi per fiaschi occorre tuttavia distinguere con attenzione due piani completamente diversi, che nel dibattito vengono invece continuamente confusi. Fermo restando l’interesse delle case farmaceutiche, che è innegabile ma lecito, gli altri due attori in gioco sono il pubblico e chi tiene i cordoni della borsa della sanità. Le valutazioni da fare sono quindi di duplice natura: uno è il rapporto tra il costo di ogni singolo vaccino e i benefici (economici e di salute) che ci si può aspettare di trarne; l’altro è il rapporto tra questi stessi benefici e il rischio di effetti indesiderati. Ai decisori spetta valutare bene, in tempi di vacche magre che impongono necessariamente degli aut aut, se valga la pena usare il denaro pubblico per offrire gratuitamente un vaccino a tutta la popolazione, o a un gruppo a rischio, oppure se non sia meglio privilegiare altri tipi di interventi sul territorio. Su questo si può discutere di caso in caso. Ma, anche quando non si condividessero le scelte di sanità pubblica, è importante ricordare che queste non incidono sull’altro piano, quello che più preoccupa i genitori: per quanto se ne possano amplificare i benefici, i rischi di effetti collaterali di qualunque vaccino sono molto inferiori a quelli del paracetamolo, dello sciroppo contro la tosse o di altri medicinali che diamo ogni giorno ai nostri figli. Rinunciare a proteggerli «perché le case farmaceutiche ci guadagnano» sarebbe come smettere di mangiare per non finanziare l’industria alimentare.
ROBERTO BURIONI, IL MAGO DEI VACCINI. ECCO TUTTI I BUSINESS A BASE DI BREVETTI & BIG PHARMA, DA BRACCO A POMONA. Scrive il 18 aprile 2017 Andrea Cinquegrani su “La Voce delle Voci. La guerra dei vaccini continua. I Soloni della Medicina uniti e compatti contro l’ultima puntata di Report, solito condottiero Roberto Burioni, che si autogiudica l’unico super esperto di vaccini mentre il popolo bue non ha diritto di parola né di minima contestazione e per i medici che osano osservare qualcosa c’è pericolo radiazione, come sta già succedendo in alcune regioni. La grancassa dei media è al servizio di Big Pharma, pseudo verità scientifiche spacciate per Vangelo tanto i cretini sono lì pronti a berle d’un fiato. Intanto, cominciano a spuntare alcuni precisi interessi non solo scientifici ma anche economici del Vate Burioni. Tanto perchè si cominci a intendere che, al solito, lorsignori non se ne fregano della salute di bimbi e scolaresche, ma dei danari che riempiono le loro tasche, a bordo di brevetti, la catena delle sperimentazioni, poi il battesimo e finalmente le lucrose commercializzazioni. Ma procediamo per gradi e partiamo dalle news. Zeppo di critiche contro la trasmissione di Sigfrido Ranucci – che sta riacquistando smalto e grinta dopo le ultime annate a base di pizza & babà – dedicata al vaccino contro il Papilloma virus in cui si parlava degli effetti avversi a questo tipo di vaccinazione contro il tumore al collo dell’utero, il pezzo di Repubblica on line firmato da Valeria Pini. Che così esordisce: “Il primo a scendere in campo, dopo la messa in onda, è il virologo Roberto Burioni. ‘Diffondere la paura raccontando bugie è un atto grave e intollerabile. E’ abusare in maniera perversa della libertà di opinione. E’ come gridare ‘c’è una bomba’ in uno stadio affollato per vedere la gente che fuggendo calpesta i bambini. Report ha dato spazio a teorie prive di base scientifica, a individui senza alcuna autorevolezza e ha mescolato sapientemente possibili tangenti e ipotesi non confermate per ottenere un effetto abominevole: instillare timore nei confronti di una pratica medica sicura, efficace e in grado di salvare migliaia di donne da una morte atroce’”.
L’elenco dei lanciatori di strali è affollato: dal presidente della Società italiana di virologia, Giorgio Palù, al presidente dell’Istituto superiore di sanità, Walter Ricciardi. Sul fonte politico su tutte le furie i Pd, con un presidente – ahinoi – Matteo Orfini che si balocca a ri-postare e far girare sui social le frasi di Burioni e un presidente della Conferenza delle Regioni (e lui stesso al vertice emiliano-romagnolo), Stefano Bonaccini che sconfortato nota: “mentre tornano a far paura malattie debellate da decenni a causa di stregoni da web e disinformazione sui vaccini, ci mancava solo report”. Ecco tre chicche in rapida carrellata, che hanno avuto il degno coronamento con la comparsata del premier Matteo Renzi davanti ai microfoni di Lilli Gruber per inneggiare ai vaccini e bacchettare quel mascalzone d’un Adriano Zaccagnini ex 5 Stelle che ha osato parlare di un uso consapevole e controllato dei vaccini; Renzi, of course, ha citato il nome del profeta Burioni come simbolo della Alta Scienza imbufalita. Apriamo con la parola ad una giornalista-scienziata, o meglio appassionata di scienza, “organizzo e risolvo”, come si autodefinisce in sella al suo Galileoeditgalileonet.it. Ebbene, la signora o signorina, anzi la prof. Letizia Gabaglio – mandate a memoria questo nome, perchè lo risentirete presto da Stoccolma, caso mai in compagnia di Vate Burioni – ha ricevuto in appalto una colonnina dell’Espresso, e così si esprime nel numero del 12 febbraio sotto il titolo: “Salute – La verità, vi prego, sui vaccini”. Esordisce la columnist: “quando si parla di vaccini le parole sono importanti. E’ sul passaparola che si fonda l’idea che siano pericolosi, che causino danni neurologici, che facciano arricchire le case farmaceutiche. E’ purtroppo sulle parole di alcuni medici – ora per fortuna pubblicamente sanzionati dagli Ordini regionali – che si basa la sicurezza degli antivax”. Poi: “non ci sono vaccini indispensabili e altri accessori. Al contrario, gli esperti dicono che è importante farli tutti”. Ottimo e abbondante. 18 marzo, un’intera paginata – la numero 21 – del Corsera, firmata da Simona Ravizza, un cognome che profuma tanto di farmaci. Un sorta di vademecum dei vaccini, “nella testa di chi dice no”, e tanto per spiegarsi meglio “dall’autismo come effetto collaterale ai complotti delle aziende del farmaco, ecco le tesi false e come smentirle”. Pensate che ci sia un qualche contraddittorio? Che venga chiesto il parere di uno scienziato che non la pensa così? Macchè. Il nostro Cicerone è sempre, immancabilmente Burioni che, punto per punto “spiega”, “scandisce”, “rimarca”, “ricorda” “osserva categorico”. Un piccolo sommario spiega la ratio dell’articolo: “Nella testa di chi dice no alle vaccinazioni – ammonisce la fida Ravizza – si rincorrono luoghi comuni e timori infondati. Un conto sono però le proprie paure, un altro le verità scientifiche incontrovertibili. Da conoscere e ricordare. Per fare la cosa giusta. Roberto Burioni, virologo dell’ospedale San Raffaele e autore del libro ‘Il vaccino non è un’opinione‘, smonta le convinzioni che spingono sempre più genitori a non proteggere i propri bimbi”. Capito, genitori ignoranti e incoscienti?
E la primavera non può inaugurarsi meglio che con le parole di un altro piccolo profeta, mollemente disteso sulla sua Amaca di Repubblica per ammaestrare quel popolo sempre bue e somministrargli pillole di saggezza. Si tratta di Michele Serra, che un tempo faceva ridere, oggi fa solo piangere. Ecco il suo Pensierino del 21 marzo: “La fronda antivaccini, nonostante ogni controdeduzione scientifica e statistica, tiene il punto, con solidi addentellati nel primo o secondo dei partiti italiani, il Movimento Cinque Stelle. Ben al di là della questione in sé (comunque grave per le ripercussioni che le scelte di pochi infliggono a molti), quello che sconforta è l’umore di fondo al quale attecchiscono queste mattane: una diffidenza irriducibile a qualunque ‘verità ufficiale’, scientifica o politica o culturale o altro, nel nome di una specie di insorgenza controculturale molto selfie, autoprodotta e autocondotta. Il mondo visto come una losca trama di caste e consorterie, come una incrostazione di inganni, una frode ininterrotta, alla quale il solo rimedio da opporre è un rifiuto irriducibile, un rancore incolmabile”. Boh. Passiamo a robe più serie, come le sigle & le invenzioni del Mago dei Maghi, Roberto Burioni.
La nostra indagine è partita grazie ad un lettore che ci ha inviato una mail. Eccone il succo: “Roberto Burioni, noto virologo pro vaccini, da mesi presenzia in tv e sui giornali con interviste. Ricordo tra le altre la sua sparata riguardo al ban facile nella sua pagina verso chi – secondo lui – non ne capisce di vaccini, poi rivelatasi pura censura. Come accade quando nutro dell’interesse verso un personaggio faccio una ricerca per capire chi sia, se sia in buona fede o meno, se abbia interessi economici o altro. Non si chiede all’oste se il vino è buono. Giusto? Bene, tornando a Burioni si scopre che è proprietario di parecchi anticorpi anche per uso vaccinale, cioè i suoi anticorpi possono essere inseriti nei vaccini e aiutano i nostri anticorpi a reagire alla malattia. Cerco di non pensar male e continuo la ricerca. Burioni è uno degli scienziati di punta della Pomona Ricerca srl, quindi vado a vedere di cosa si occupa la Pomona sul sito dell’azienda e sulla descrizione si legge: “il loro lavoro (di Burioni e di un altro scienziato, Massimo Clementi) mette Pomona in una posizione leader per la progettazione e lo sviluppo di vaccini innovativi”, sempre nell’ambito degli anticorpi. Continua il report del nostro lettore: “Arrivato a questo punto sono rimasto alquanto sorpreso, sono andato sulla sua pagina a chiedere informazioni su questi tre punti: i suoi brevetti; la Pomona; il vaccino obbligatorio per l’Epatite del ’98 grazie ad una tangente. Chiedo, con cortesia, di togliere ogni dubbio riguardo un suo possibile conflitto di interessi. Bene, bloccato seduta stante. Il motto di Burioni è: ‘Il vaccino non è un’opinione’. Già, è una fonte di guadagno?”. Cerchiamo di vederci più chiaro. Cominciamo dal partner scientifico, Clementi. Il quale affida ad internet un pedigree chilometrico che vanta le docenze come assistente, poi aiuto, quindi associato indi ordinario in virologia e microbiologia da Ancona a Trieste fino all’approdo nell’isola felice del San Raffaele – la creatura di don Luigi Verzè, il grande amico di Silvio Berlusconi – dove trova il collega Burioni. Insieme, il tandem delle meraviglie, nell’arco d’un decennio, dal 2006 al 2016, ha deposito una sfilza di brevetti. Di eccellenza i committenti, una serie di aziende: la già citata Pomona Ricerca srl, Bracco Imaging spa, Ribovax Biotecnologie SA, Generale Anticorpi e Biotecnologie srl. In un sito americano, ecco un breve profilo di Pomona: “E’ una compagnia privata che opera nel settore delle biotecnologie e impegnata nello studio, sviluppo e produzione di anticorpi umani monoclonali in grado di combattere varie patologie virali come l’epatite C, i virus influenzali, l’JC virus. Fondata nel 2010, la società ha nel corso degli anni acquisito gli asset e la proprietà intellettuale di diverse piccole compagnie che si occupano di biotecnologie, il tutto basato sulle ricerche di due professori dell’Università San Raffaele. I professori Clementi e Burioni sono considerati tra i key opinion leaders (gli esperti chiave) e gli esperti di maggior livello internazionale. La loro consolidata esperienza consente a Pomona di occupare una posizione leader nel settore. Pomona Ricerca è finanziata da angel investors, ossia da finanziatori con le ali, come appunto gli angeli.
Più concreti alla Bracco, la cui lady di ferro, Diana, la star dell’Expo di Milano, ha le sue gatte da pelare alla procura di Milano, che ha chiesto 1 anno e tre mesi per la disinvolta gestione dei bilanci societari, con una serie di milioncini che servivano per mantenere le ville a Capri o in Costa Azzurra, bazzecole per una Paperona come lei, piccole sviste amministrative… . Bracco Imaging spa ha il suo quartier generale a Trieste e – come viene descritto nel sito – “è un’azienda leader globale nella diagnostica per immagini, presente in oltre 90 paesi di tutto il mondo, direttamente o indirettamente attraverso società controllate o joint ventures, con una forte leadership nelle aree geografiche più significative. Le nostre attività di ricerca sono situate in Italia, Stati Uniti e Svizzera”. E proprio a Ginevra, in Svizzera, si trova la sede principale di Ribovax Biotecnologies Sa, una società anonima localizzata in Avenue des Morgines, all’interno del mega Business Center della incantevole città elvetica.
Ma passiamo in rapida carrellata, ora, alcune tra le invenzioni più gettonate. Questa la breve introduzione al capitolo “I brevetti dell’inventore Roberto Burioni”. “Roberto Burioni ha depositato brevetti per proteggere le seguenti invenzioni. Questo elenco include domande di brevetto in sospeso, così come i brevetti già concessi dagli Stati Uniti Patent and Trademark Office (USPTO)”.
Partiamo dall’invenzione che porta, come numero progressivo, il 20160200801, “data di archiviazione 29 marzo 2016, data di pubblicazione 14 luglio 2016, richiedente Pomona Ricerca srl”. Ecco il cosiddetto abstract: “Anticorpi monoclonali diretti contro il virus influenzale A” e alla fine dopo un’articolata descrizione: “Gli anticorpi monoclonali possono essere utilizzati anche per testare preparazioni di anticorpi da utilizzare come vaccini”.
Passiamo al numero 20160060325, archiviato l’11 novembre 2015 e pubblicato il 3 marzo 2016. A richiederlo la solita Pomona. Si tratta di una variazione della precedente ricerca, e perciò riguarda sempre il virus influenzale A.
Eccoci al numero di brevetto 9200054, sempre Pomona come assegnatario ma stavolta un forte sfalso nelle date: archiviato il 27 maggio 2009, la data finale è quella del 26 gennaio 2016. Sorge spontanea una domanda: come fa ad averlo richiesto, Pomona, se all’epoca ancora non esisteva, visto che è nata nel 2010? Misteri delle bioscienze. Il tema, però, è sempre lo stesso, anche se con qualche piccola variazione: vaccini per il virus influenzale A, un vero pozzo di San Patrizio.
Segue a ruota il numero 9200063, ancora Pomona, date molto lontane, ossia archiviazione a marzo 2009 e brevetto rilasciato il 1 dicembre 2015. Resta quell’interrogativo.
Per non farla lunga, i due scienziati lavorano per Pomona anche con il brevetto 8486406 archiviato il 1 giugno 2010 (e qui con le date ci possiamo stare) e varato a luglio 2013, stavolta riguardante un altro tema: “l’uso di anticorpi monoclonali FAB28 e FAB49 per il trattamento profilattico e terapeutico di influenza A di origine suina”.
Poi con il brevetto 8623363, e ci risiamo con lo sfalso di date, dall’archiviazione del 21 dicembre 2009 (le date non si trovano) e la ratifica del brevetto del 7 gennaio 2014. Ricambia il tema: “La presente invenzione riguarda l’anticorpo monoclonale E20 o un frammento funzionale di esso come un medicamento per il trattamento terapeutico e prevenzione delle infezioni da HCV”.
Ancor più strane le date in occasione del brevetto 8367061. Pomona, of course, non manca mai all’appello, ma l’archiviazione è nientemeno che di inizio 2008 (per la precisione del 29 gennaio 2008) quando Pomona era ancora ben lontana dall’essere concepita, e il brevetto reca la data di febbraio 2013. Poco chiaro l’abstract: “Novel anti-idiotipo sono descritti anticorpi monoclonali che sono in grado di specificamente reagire con l’idiotipo di anticorpi anti-gp120 umani, di inibire il legame tra antigene gp120 e anticorpi anti-gp120 umani” e via farneticando. Boh.
Rientriamo fra i ranghi con il brevetto 20130022608, archiviato a marzo 2011 e pubblicato meno di due anni dopo, gennaio 2013. Tema di nuovo a base di virus influenzale A e in particolare “gli anticorpi monoclonali che sono immunoglobuline lg-G isotopo full-lenght e che sono caratterizzati da una elevata attività neutralizzante ad ampio raggio contro il virus influenzale A”.
Passiamo ai brevetti richiesti a Burioni e Clementi dalla Bracco Imaging spa. Eccoci al numero 20120165211: stavolta non passano anni, anche molti, dall’archiviazione alla pubblicazione, ma solo pochi mesi: 13 gennaio 2012 l’archiviazione e 28 giugno 2012 la pubblicazione. Rapidi come saette. Stavolta, però gli inventori sono 4: accanto ai due, infatti, ritroviamo anche Filippo Canducci e Federico Maisano. Denso l’abstract: “La presente invenzione si riferisce ad anticorpi umane derivate da librerie anticorpali umani preparati dalle placche aterosclerotiche”. Segue una arci arzigogolata descrizione scientifica.
Due anni passano per un altro brevetto, il 20120115741, per la precisione dal 17 marzo 2010 al 10 maggio 2012: “la presente invenzione descrive anticorpi o frammenti di esso in grado di legarsi isolate campioni di placca coronarica e dei processi per la loro produzione utilizzando le cellule ospiti contenenti sequenze di DNA che codificano per gli anticorpi detto di frammenti della stessa”. Poco chiaro a mortali e non, ma andiamo avanti.
Sempre poco più di due anni (settembre 2008-dicembre 2010) per il brevetto 20100316563: “un processo è previsto per la preparazione di anticorpi o loro frammenti utilizzando una cellula ospite procariota contenente sequenze di DNA che codificano per detti anticorpi di loro frammenti, in cui detta sequenza di DNA è derivata da un campione di placca coronarica”.
Eccoci alla ginevrina Ribovax Biotecnologie Sa. Si tratta delle invenzioni più antiche, praticamente anche oltre una decina d’anni fa. Partiamo dal brevetto 7811973, archiviazione a luglio 2006, pubblicazione quattro anni più tardi, ottobre 2010: “La presente invenzione fornisce nuove tecnologie per la produzione e screening proteine di fusione sulla superficie del fago filamentoso”.
Marzo 2008, giugno 2010 per il brevetto 20100143376: “la presente invenzione fornisce sequenze di anticorpi romanzo che si legano e neutralizzano Rosolia Virus (RUV)”.
Pressochè identico arco temporale (febbraio 2008-marzo 2010) per il numero 20100074906, “la presente invenzione fornisce sequenze di anticorpi che si legano nuovi Varicella Zoster (VZV) e neutralizzare l’infezione VZV”…
Per finire con la Generale Anticorpi e Biotecnologie srl, alla quale il magico tandem d’attacco (ai vaccini) recapita un solo brevetto, il numero 7727529, archiviato a maggio 2008 e ratificato due anni dopo, giugno 2010. “L’invenzione si riferisce ad un anticorpo umano o ai suoi frammenti funzionali, diretto contro la glicopropteina E2 di HCV, in grado di avere una attività neutralizzante in vivo; una composizione per la terapia anti-HCV comprendente una quantità terapeuticamente efficace dell’anticorpo; una composizione per uso topico in gel, creme, pomate e formulazione ovuli; l’uso di anticorpi per la convalida vaccini anti HCV”.
Il vaccino, già, non è un’opinione. Sarà mai – come si chiede il nostro lettore – una fonte di guadagno?
C'è una ragione per cui il Movimento 5 Stelle cavalca il no ai vaccini. I grillini diffidano di qualsiasi autorità, anche intellettuale. E in Italia sono la fazione politica che più delle altre flirta con i "no vax". Ma la scienza dovrebbe rimanere fuori dalle strumentalizzazioni elettorali, scrive Massimiliano Panarari il 2 giugno 2017 su "L'Espresso". Che ci azzecca la cultura politica con i vaccini? Son tempi postmoderni (anzi, post-postmoderni) questi; un’era di nuove fratture che cambiano i contorni delle dicotomie tradizionali della politica otto-novecentesca. E sono i tempi del fiorire di prese di posizione politiche “no vac” - e dell’inaccettabile moltiplicarsi del personale sanitario infedele che, di nascosto, non vaccina i bambini. Così, le campagne d’opinione e i movimenti antivaccini, nel corso degli ultimi anni, sono diventati attori della post-politica, riportando pure alla ribalta un tema tipico delle società complesse quale quello delle relazioni problematiche tra scienza e politica. E delle contestazioni che settori radicali di vario orientamento ideologico hanno mosso contro gli enunciati delle istituzioni scientifiche, a partire da quel preludio della postmodernità che fu il Sessantotto-pensiero con i suoi attacchi (ispirati anche all’anarchismo epistemologico) nei confronti della cosiddetta “scienza borghese”. In particolare in un Paese come l’Italia, che a livello diffuso non si è mai davvero sintonizzato con la scienza, per tutta una serie di pregiudizi o di anatemi culturali di lunghissimo periodo. Da qualche anno a questa parte, la battaglia antivaccinica è così dilagata in maniera irresistibile, potendo contare anche sulla formidabile cassa di risonanza garantita dal web, e configurando una vera e propria lotta per l’egemonia (sottoculturale). L’antivaccinismo costituisce un fenomeno globale, con il quale flirtano bellamente parecchi leader e partiti populisti: un nome su tutti, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. E, in Italia, il Movimento 5 Stelle, per il quale la polemica anti-vaccini rappresenta un autentico elemento identitario e un’issue politica fondamentale; oltre che un fronte di guerra che lo vede contrapporsi duramente, anche in questa materia, al centrosinistra (e, in particolare alla Regione Emilia-Romagna del presidente Pd Stefano Bonaccini che è stata antesignana di questo tema). Ad accomunare trumpismo, grillismo e antivaccinismo, del resto, ci ha pensato perfino il New York Times, che nella sua campagna anti-fake news e postverità, ha dedicato un editoriale a Populismo, politica e morbillo, constatando come negli ultimi anni il numero di bambini vaccinati in Italia risulti in costante riduzione (anche se, chiaramente, non ne attribuisce la responsabilità completa al M5S). Per il grillismo - che dalle nostre parti si è fatto l’imprenditore politico per eccellenza di tale atteggiamento antiscientifico - l’antivaccinismo e, più in generale, la disinformazione nei riguardi della medicina “ufficiale” identificano una componente forte della propria ideologia debole e a geometrie variabili (ampiamente fondata sulla «retorica della democrazia della rete», come ha scritto, sin dall’inizio della cavalcata pentastellata, il politologo Michele Sorice). Nelle radici di quello che è diventato il più fortunato aggregatore partitico-organizzativo dei No-vax ci sono vari rivoli di ecologismo e un filone di antiscientismo che, mescolato con significative dosi di anticapitalismo, cospirazionismo e dietrologia (a cui parecchi militanti e simpatizzanti pentastellati indulgono con una certa frequenza), ha portato il leader-“megafono”-frontman Grillo a definire l’Aids alla stregua della maggiore «bufala del secolo» e alcuni dirigenti del partito-non partito a teorizzare la dannosità delle vaccinazioni, che servirebbero solamente a incrementare i profitti di Big Pharma e delle multinazionali farmaceutiche. In questa visione No-vax agisce sicuramente l’influenza di un elemento “anarcolibertario” di rigetto dell’obbligatorietà - un tema che rimanda all’indubbia fascinazione per l’“ideologia californiana” (e per l’iperindividualismo Usa) del cofondatore Gianroberto Casaleggio. Nella prima fase del movimento pentastellato, quella più “di sinistra” e connotata dall’ambientalismo, le sezioni e le cellule di base coincidevano con i meet-up e con i gruppi degli “Amici di Beppe Grillo”, dai quali scaturivano spesso liste civiche che traducevano a livello di competizione elettorale amministrativa le battaglie ambientali locali (contro gli inceneritori o gli impianti inquinanti, e per l’acqua pubblica e le energie alternative). Con lo spostamento del M5S su un piano sostanzialmente nazionale (estremamente verticistico e alla ricerca prevalente di un voto di opinione “anti-casta”), e con l’espulsione o l’allontanamento di numerosi esponenti di questo stadio pionieristico, i comitati e i movimenti No-vax, insieme a quelli No-Tav, si sono rivelati assai preziosi. E, nell’epoca della distruzione dei corpi intermedi e del rifiuto della mediazione fatta dagli esperti, che tanto contraddistingue il populismo, sono divenuti, al tempo stesso, delle importanti constituencies elettorali (e dei bacini di voti) e le cinghie di trasmissione di un nuovo collateralismo. Viviamo ormai in quelle che alcuni studiosi chiamano “epistemo-democrazie” (oltre che postdemocrazie), dove a venire costantemente messi in discussione sono i fondamenti anche cognitivi su cui si erano costruiti il consenso diffuso e la convivenza comune in seno alle liberaldemocrazie. Ma la scienza dovrebbe rimanere esclusivamente un ambito di conflitto tra paradigmi epistemologici alternativi (come ha evidenziato il filosofo Thomas Kuhn), senza venire convertita in un’occasione di peloso scontro politico, né finire strumentalizzata a fini elettoralistici.
La cupola dei vaccini esiste, scrive “L’Espresso”. La procura di Roma chiude le indagini e conferma le rivelazioni de “l'Espresso” sui trafficanti di virus. Chieste le dimissioni del segretario generale del ministero della Salute. Esiste una cupola dei vaccini, che ha trasformato in business la lotta a virus pericolosi, garantendo l'arricchimento e la carriera di funzionari pubblici. È la conclusione della procura di Roma, che ha chiuso l'istruttoria durata otto anni, confermando l'inchiesta pubblicata da “l'Espresso” nello scorso aprile. Nella lista dei 41 indagati, che ora rischiano il processo, ci sono nomi di primo piano che hanno gestito nell'ultimo decennio la sicurezza veterinaria. Tra loro, c'è la virologa Ilaria Capua, ora parlamentare di Scelta Civica, che ha sempre respinto le accuse. E c'è soprattutto Romano Mirabelli, promosso poche settimane fa dal ministro Beatrice Lorenzin all'incarico di segretario generale del ministero della Salute nonostante “l'Espresso” avesse rivelato il suo coinvolgimento nella vicenda. I pm romani guidati dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo hanno diviso il procedimento in due filoni. Il primo riguarda i provvedimenti per combattere l'aviaria, l'epidemia dei polli che in alcune forme può contagiare anche l'uomo. Il secondo invece è relativo alla lingua blu, una malattia che colpisce soprattutto gli ovini e ha decimato gli allevamenti in Sardegna. Proprio su questo fronte i pm ipotizzano che l'introduzione nel 2003 di un vaccino di produzione sudafricana mai sperimentato in Italia abbia contribuito a spargere l'epidemia nel nostro Paese “cagionando la diffusione in gran parte degli allevamenti italiani del virus provocando ingenti danni al patrimonio zootecnico nazionale”. Una decisione che sarebbe stata presa da Mirabelli, all'epoca direttore generale del dipartimento veterinario del ministero, e da Vincenzo Caporale, direttore dell'Istituto zooprofilattico dell'Abruzzo e del Molise. Le contestazioni di corruzione, rivelazione di segreto d'ufficio e falsità ideologica sono invece legate alle campagne per combattere la “lingua blu” negli anni dal 2006 al 2009. Durante le quali secondo i pubblici ministeri sarebbe stata favorita l'azienda Merial Italia, anche con “false attestazioni” attraverso al vendita di “ingenti quantitativi di vaccino non necessari al fabbisogno nazionale, ed in particolare alla Regione Sardegna, causando un danno patrimoniale di due milioni e mezzo di euro». Inquietante anche il capitolo sull'aviaria, in cui viene chiamata in causa la Capua e l'attività dell'Istituto zooprofilattico delle Venezie di Padova. I magistrati ritengono che ci fosse un'associazione per delinquere finalizzata all'uso di “virus altamente patogeni dell'influenza aviaria del tipo H9 e H7N3, di provenienza illecita, al fine di produrre in forma clandestina, senza la prescritta autorizzazione ministeriale, specialità medicinali ad uso veterinario procedendo successivamente, sempre in forma illecita, alla loro commercializzazione e somministrazione ad animali avicoli di allevamenti intensivi». È proprio il traffico di virus, fatti arrivare di nascosto da altri paesi, che “l'Espresso” ha denunciato nella sua copertina. L'indagine è nata da una segnalazione delle autorità americane, che avevano scoperto come dalla filiale italiana della multinazionale Merial venisse fatti arrivare negli Usa virus senza controllo raccolti anche in paesi arabi. L'obiettivo era quello di preparare vaccini da immettere sul mercato prima della concorrenza, in modo da moltiplicare i profitti. Di fronte agli investigatori il manager Paolo Candoli aveva ammesso il traffico, poi era rientrato in Italia proseguendo la sua attività. Ma il rapporto trasmesso dagli Usa nel 2005 ha fatto scattare gli accertamenti dei carabinieri del Nas, che grazie anche a lunghe intercettazioni telefoniche, hanno rivelato le attività nel nostro paese di questa “associazione per delinquere”. Per i carabinieri, da alcune intercettazioni “appare evidente come il contrabbando dei ceppi virali dell’influenza aviaria, posto in essere dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, nelle persone di Ilaria Capua, Stefano Marangon e Giovanni Cattoli, con il concorso del marito della dottoressa Capua, Richard William John Currie, costituisca di fatto un serio e concreto pericolo per la salute pubblica per il mancato rispetto delle norme di biosicurezza”. Adesso dopo la decisione della procura di Roma si moltiplicano le richieste perché il ministro Lorenzin sospenda Mirabelli dall'incarico di segretario generale. La senatrice di Sel Loredana De Petris ha sottolineato come le indagini svelino l'esistenza di una cupola “che ha orientato le scelte nel campo dei vaccini a esclusivo vantaggio di un'azienda privata”. Sulla stessa linea Mauro Pili, deputato sardo ex Pdl e ora leader di Unidos, che parla di “scandalo di gravità inaudita perché costruito con il silenzio di molti, sia a livello nazionale che regionale”. Pili con un'interrogazione urgente domanda il commissariamento della gestione delle misure contro la lingua blu. «Ormai non si contano più le occasioni sprecate dal Ministro Lorenzin, e questa è solo l’ultima» insiste Claudio Giustozzi, segretario dell’associazione “Giuseppe Dossetti: «il suo silenzio sulle responsabilità in particolare del suo ministero, è sconcertante e preoccupante. Riteniamo che tutti coloro i quali dovessero ricevere avvisi di garanzia abbiano il senso civile e morale di autosospendersi dall’incarico».
Il business segreto della vendita dei virus che coinvolge aziende e trafficanti. Ceppi di aviaria spediti in Italia per posta. Accordi tra scienziati e aziende. L'inchiesta segreta dei Nas e della procura di Roma ipotizza un vero e proprio traffico illegale. E nel registro degli indagati c'è un nome eccellente: quello di Ilaria Capua, virologa di fama e deputato. Che respinge le accuse, scrive Lirio Abbate su “L’Espresso”. Dentro, in una confezione termica, alcuni cubetti di ghiaccio molto speciali: contengono uno dei virus dell’aviaria, l’epidemia che dieci anni fa ha scatenato il panico in tutto il pianeta. Quando il postino lo consegna, il destinatario è assente: è il manager italiano di una grande azienda veterinaria. La moglie lo chiama al telefono: «Cosa devo farci?». «Mettilo subito nel congelatore». Sembra il copione di un film apocalittico, con la malattia trasmessa da continente a continente scavalcando tutti i controlli. Invece è uno degli episodi choc descritti in un’inchiesta top secret della procura di Roma sul traffico internazionale di virus, scambiati da ricercatori senza scrupoli e dirigenti di industrie farmaceutiche: tutti pronti ad accumulare soldi e fama grazie alla paura delle epidemie. Questa indagine svela il retroscena dell’emergenza sanitaria provocata dall’aviaria in Italia. E si scopre che i ceppi delle malattie più contagiose per gli animali e, in alcuni casi, persino per gli uomini viaggiano da un Paese all’altro, senza precauzioni e senza autorizzazioni. Esistono trafficanti disposti a pagare decine e decine di migliaia di euro pur di impadronirsi degli agenti patogeni: averli prima permette di sviluppare i vaccini battendo la concorrenza. L’indagine è stata aperta dalle autorità americane e poi portata avanti dai carabinieri del Nas. Perché l’Italia sembra essere uno snodo fondamentale del traffico di virus. Al centro c’è un groviglio di interessi dai confini molto confusi tra le aziende che producono medicinali e le istituzioni pubbliche che dovrebbero sperimentarle e certificarle. Con un sospetto, messo nero su bianco dagli investigatori dell’Arma: emerge un business delle epidemie che segue una cinica strategia commerciale. Amplifica il pericolo di diffusione e i rischi per l’uomo, spingendo le autorità sanitarie ad adottare provvedimenti d’urgenza. Che si trasformano in un affare da centinaia di milioni di euro per le industrie, sia per proteggere la popolazione che per difendere gli allevamenti di bestiame. In un caso, ipotizzano perfino che la diffusione del virus tra il pollame del Nord Italia sia stata direttamente legata alle attività illecite di alcuni manager. Il traffico di virus è stato scoperto dalla Homeland Security, il ministero creato dopo le Torri Gemelle per stroncare nuovi attacchi agli Stati Uniti. Nel loro mirino è finita un’attività ad alto rischio: l’importazione negli States di virus dall’Arabia Saudita per elaborare farmaci, poi riesportati nel Paese arabo. Il presidente e tre vice presidenti della compagnia farmaceutica incriminata per l’operazione sono stati condannati a pene pesanti. Fondamentale per l’indagine è la testimonianza di Paolo Candoli, manager italiano della Merial, la branca veterinaria del colosso Sanofi: l’uomo ha patteggiato l’immunità in cambio delle rivelazioni sul contrabbando batteriologico. Ai detective ha descritto come nell’aprile 1999 si fece spedire illegalmente a casa in Italia un ceppo dell’aviaria tramite un corriere Dhl. A procurarlo era stato il veterinario statunitense di un allevamento di polli saudita, condannato negli Usa a 9 mesi di prigione e 3 anni di libertà vigilata per “cospirazione in contrabbando di virus”. Chiusi i processi, nel 2005 l’Homeland Security ha trasmesso i verbali di Candoli ai carabinieri del Nas. Gli investigatori sin dai primi accertamenti si rendono conto di avere davanti uno scenario da incubo. Infatti, sottolineano i carabinieri, l’arrivo del virus in casa Candoli coincide con l’insorgenza nel Nord Italia, a partire proprio dal 1999, della più grossa epidemia da virus H7N3 di influenza aviaria sviluppatasi negli allevamenti in Italia e in Europa. Già all’epoca le indagini condotte dal Nas di Bologna avevano evidenziato l’esistenza di una organizzazione criminale dedita al traffico di virus ed alla produzione clandestina di vaccini proprio del tipo H7: antidoti che in quel momento venivano somministrati clandestinamente ai polli degli stabilimenti italiani. L’inchiesta dell’Arma si allarga in poche settimane, seguendo le intercettazioni disposte dai magistrati di Roma. Candoli nella capitale sa come muoversi: sponsorizza convegni medici organizzati da professori universitari, regala viaggi e distribuisce consulenze ben pagate e questo gli permette di avere “corsie preferenziali” al ministero della Salute per ottenere autorizzazioni, riesce a far cambiare parere alla commissione consultiva del farmaco veterinario per mettere in commercio prodotti della Merial. Tra i suoi referenti più stretti c’è Ilaria Capua, virologa di fama internazionale, attualmente deputato di Scelta Civica e vice presidente della Commissione Cultura alla Camera. È nota per i suoi studi sul virus dell’influenza aviaria umana H5N1: la rivista “Scientific American” l’ha inserita tra i 50 scienziati più importanti al mondo, “l’Economist” due anni fa l’ha inclusa tra i personaggi più influenti del pianeta. Fino all’elezione alla Camera, era responsabile del Dipartimento di scienze biomediche comparate dell’Istituto Zooprofilattico sperimentale (Izs) delle Venezie con sede a Padova. E con lei anche altri suoi colleghi della struttura veneta sono finiti nel registro degli indagati. Il risultato degli accertamenti del Nas ha portato il procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo, a ipotizzare reati gravissimi. La Capua e alcuni funzionari dell’Izs sono stati iscritti nel registro degli indagati per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, all’abuso di ufficio e inoltre per il traffico illecito di virus. Stessa contestazione per tre manager della Merial. Secondo le conclusioni dei carabinieri, l’azione di Ilaria Capua con la complicità di altri funzionari dell’istituto di Padova avrebbe contribuito a creare un cartello fra due società, la Merial e la Fort Dodge Animal, escludendo le altre concorrenti, nella vendita di vaccini veterinari per l’influenza aviaria. Il marito della Capua, Richard John William Currie, lavorava alla Fort Dodge Animal di Aprilia, attiva nella produzione veterinaria. Anche Currie è indagato insieme ad altre 38 persone. Nell’elenco ci sono tre scienziati al vertice dell’Izs di Padova (Igino Andrighetto, Stefano Marangon e Giovanni Cattoli); funzionari e direttori generali del mistero della Salute (Gaetana Ferri, Romano Marabelli, Virgilio Donini ed Ugo Vincenzo Santucci); alcuni componenti della commissione consultiva del farmaco veterinario (Gandolfo Barbarino, della Regione Piemonte, Alfredo Caprioli dell’Istituto superiore di sanità, Francesco Maria Cancellotti, direttore generale dell’istituto zooprofilattico di Lazio e Toscana, Giorgio Poli della facoltà di Veterinaria dell’università di Milano, Santino Prosperi dell’università di Bologna); coinvolta anche Rita Pasquarelli, direttore generale dell’Unione nazionale avicoltura. I fatti risalgono a sette anni fa ma molti degli indagati lavorano ancora nello stesso istituto. Il capitolo più inquietante è quello del traffico di virus, fatti entrare in Italia nei modi più diversi e illegali. Le intercettazioni telefoniche dei Nas di Bologna e Roma sono definite allarmanti: secondo gli investigatori c’è stato il serio rischio di diffondere le epidemie. Oltre ai plichi consegnati a domicilio con il virus congelato in cubetti di ghiaccio, c’erano altri sistemi di contrabbando. Candoli ne parla con alcuni colleghi della Merial di Noventa Padovana. Fra i metodi per importare in Italia agenti patogeni, c’era anche quello di nascondere le provette fra i capi di abbigliamento sistemati in valigia: in questo modo, spiegano, «sembrano i kit del piccolo chimico» e non destano sospetti in caso di controlli. Il manager rivela inoltre che i virus non sono stati fatti entrare illegalmente solo in Italia, ma anche in Francia per la realizzazione di vaccini nei laboratori della Merial a Lione. «In Francia comunque non ci sono mai stati problemi per importare i ceppi», dice Candoli, e aggiunge che lì hanno fatto arrivare anche virus esotici. Un altro dirigente dell’azienda spiega al telefono: «Ascolta Paolo, noi facciamo delle cose, molto più turche nel senso di difficoltà logistica, tu sai che facciamo il Bio Pox con il Brasile per cui figurati se ci fermiamo davanti a un problema che è praticamente un terzo di quello che facciamo con i brasiliani». Secondo gli investigatori del Nas, anche la Capua e l’Istituto Zooprofilattico sono coinvolti nel traffico illegale: la scienziata sarebbe stata pagata per fornire agenti patogeni. In una conversazione registrata è la stessa virologa a farne esplicito riferimento, sostenendo di aver ceduto ceppi virali in favore di un veterinario americano. Per i carabinieri, da alcune intercettazioni “appare evidente come il contrabbando dei ceppi virali dell’influenza aviaria, posto in essere dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, nelle persone di Ilaria Capua, Stefano Marangon e Giovanni Cattoli, con il concorso del marito della dottoressa Capua, Richard William John Currie, costituisca di fatto un serio e concreto pericolo per la salute pubblica per il mancato rispetto delle norme di biosicurezza”. Mettere le mani sui ceppi patogeni nel modo più rapido possibile, evitando la burocrazia sanitaria e le misure di sicurezza, è fondamentale per essere i primi a inventare e commercializzare gli antidoti. Nel caso del virus H7N3 sulla base di un’intercettazione gli inquirenti ritengono che il ceppo sia stato fornito da Ilaria Capua. Una dirigente della Merial parla con Candoli e gli dice che sarebbe stato comprato a Padova, «lo pagai profumatamente come tutti gli altri ceppi che abbiamo comprato da quella...». Per i Nas “testimonia in maniera esplicita la condotta corruttiva di Capua”. Gli interlocutori sottolineano spesso i modi decisi della scienziata nelle questioni economiche. E lei stessa non nasconde al telefono di aver effettuato in passato consulenze che le avrebbero fruttato un guadagno giornaliero oscillante fra i mille e i millecinquecento euro. La donna racconta che quando è andata in Giappone si è fatta pagare in nero quattromila euro al giorno, tutti cash, così si è comprata il divano e l’armadio. «L’ho fatto perché, ti spiego, un consultant normale prende tipo, dai mille ai millecinquecento euro al giorno, e io più volte l’ho fatto, tipo per le mie like...» Poi spiega che si è fatta portare in giro con l’aeroplanino e di essersi fatta pagare più volte. Contattata da “l’Espresso”, Ilaria Capua conferma di conoscere Candoli, «ma di non aver mai venduto ceppi virali. Sono dipendente di un ente pubblico e non vendo nulla personalmente». E spiega: «I ceppi virali che si isolano in istituto sono di sua proprietà e io non ho venduto nulla a nessuno». Subito dopo la produzione del medicinale, in provincia di Verona scatta la vaccinazione d’emergenza per l’aviaria: il ministero della Sanità autorizza proprio la Merial a fornire i farmaci. Gli investigatori fanno notare che pochi mesi prima, quando erano comparsi i focolai di un virus del tipo H7N1 negli allevamenti di polli di Lombardia e Veneto, il ministero aveva bloccato un’altra ditta, perché fabbricava il farmaco all’estero e non aveva spiegato l’origine del ceppo. Invece nessuno fa storie alla Merial, “nonostante questa avesse prodotto il vaccino in laboratori a Lione”. La Capua e i colleghi Marangon e Cattoli, lavorando all’Izs delle Venezie scoprono un sistema che permette di individuare gli animali infetti. È un risultato molto importante, che diventa la strategia di riferimento della Fao e dell’Unione Europea per contrastare l’influenza, che dopo i volatili sembra minacciare anche gli umani. Lo chiamano Diva e ne registrano il brevetto. Le intercettazioni rivelano che firmano un contratto di esclusiva per cederlo a Merial e Fort Dodge. Secondo la ricostruzione degli investigatori, intorno a Diva la Capua e i suoi partners riescono a costruire grandi affari, chiudendo accordi internazionali, compresi quelli con i governi di Romania e Olanda. Questo è un capitolo controverso dell’indagine. Per gli inquirenti i tre scienziati sono funzionari pubblici perché dipendenti dell’Istituto zooprofilattico e quindi stipulare un contratto con Merial “appare del tutto indebita”, come “indebita appare la registrazione del brevetto”, perché il kit per il test Diva è stato realizzato “nell’ambito di un’attività istituzionale”. Il contratto con le due aziende viene considerato “del tutto illecito e contrario ai doveri di ufficio”: il 70 per cento delle royalties andrà, attraverso lo Zooprofilattico di Padova, ai tre funzionari, mentre solo il 30 rimarrà all’Istituto. Inoltre la stipula del contratto tra le due aziende e l’Izs, con la cessione di tutti i diritti sul brevetto, per gli investigatori costituisce una sorta di cartello che taglia fuori le altre ditte farmaceutiche. Dice la virologa al suo avvocato: «Se il brevetto viene concesso, alle altre ditte, scusa la volgarità che non si confà a una signora, tanto più citata dal Sole24Ore, gli facciamo un culo che non la smette più». Adesso a “l’Espresso” spiega: «Abbiamo ceduto all’Istituto i diritti di sfruttamento del brevetto Diva e per questo, i tre inventori ad oggi non hanno mai preso alcuna somma di denaro. Le royalties sono negoziate dall’Istituto». Il giro d’affari che scaturisce da Diva è così forte che, come rivelano le conversazioni intercettate, spinge il marito della Capua a dedicarsi a tempo pieno a questa nuova attività, che chiamano “The Company”: l’uomo conclude affari in tutto il mondo, meritandosi il soprannome di “globale” e rappresenterebbe l’anello di congiunzione tra la struttura pubblica veneta e le aziende farmaceutiche. Capua in una conversazione con Marangon sostiene che Richard gli ha detto di scrivere che «hanno la disponibilità di un baculo virus N1 italiano, mentre quello asiatico lo stanno “cloney”» ossia clonando ed appena sarà disponibile glielo daranno. Marangon replica: «Ma va bene, 50 mila per due, gli diamo il coso e buona notte al secchio». È una «svolta affaristico-commerciale»: «Ho parlato dell’affare con i romeni a Richard, il quale si è eccitato come una scimmia. Quando ha saputo che l’ordine era da un milione e 300 mila euro gli è venuta una mezza paralisi e ha detto che adesso svilupperà un business plan». L’emergenza aviaria avanza nei continenti, la paura passa dalle aziende di polli alla salute delle persone. E per la “Company” i contratti si moltiplicano. Marangon sembra preoccupato, dice che bisogna usare prudenza, lasciando intendere che “vi siano tra l’altro accordi paralleli e non ufficiali con alcuni personaggi delle autorità sanitarie romene”. Di questo sembra essere convinta anche Capua, che comunque vede un mercato in espansione «finché esiste gente come i romeni». La virologa afferma che ai romeni può essere data qualunque cosa: il timore dell’epidemia sta creando un mercato nuovo dove alcuni paesi come Romania, Turchia o stati del Medio Oriente e dell’Africa devono trovare a tutti i costi sistemi per contenere il rischio di contagio. E la struttura di Padova diretta dalla Capua ha le credenziali migliori: coordina progetti di ricerca finanziati dal ministero della Salute, dalla Ue e da altri organismi internazionali come la Fao. Uno dei capitoli più inquietanti dell’inchiesta condotta dai Nas ricostruisce la diffusione dell’allarme sul pericolo di contagio umano per l’aviaria nella primavera 2005. Gli inquirenti hanno esaminato i documenti ufficiali e le iniziative delle aziende, sostenendo che l’emergenza «sia stata un problema più mediatico che reale». Dietro il paventato rischio di epidemia per il virus H5N1 – scrivono i carabinieri – si potrebbe celare una “strategia globale” ispirata dalle multinazionali che producono i farmaci. Nel dossier investigativo vagliano il ruolo dell’Organizzazione mondiale della sanità, la massima autorità del settore, che in un documento del 2004 raccomandava di fare scorte di Oseltamvir (Tamiflu) prodotto dalla Roche. Dopo un anno anche in Italia cominciano a venire pubblicati articoli sull’epidemia in arrivo, “inevitabile ed imminente”. Si consiglia il vaccino per proteggersi comunque dall’influenza stagionale e l’uso di farmaci antivirali, incluso il Tamiflu, contro l’aviaria: in poco tempo le vendite del prodotto Roche aumentano del 263 per cento. Molte delle informazioni allarmistiche – sostengono i carabinieri – sono emerse da un convegno tenuto a Malta nel settembre 2005, sponsorizzato dalle aziende che confezionano vaccini contro l’influenza e farmaci antivirali. Due settimane dopo, c’è una correzione di tiro. L’Istituto Superiore di Sanità afferma che un ceppo virale di H5N1 “che potrebbe scatenare la prossima pandemia influenzale globale mostra di resistere al Tamiflu”, che tanti paesi cominciavano ad accumulare. Ed ecco la svolta, sottolineata da diversi articoli: «Fortunatamente, il ceppo virale non è però risultato resistente all’altro antivirale in commercio, Relenza della Glaxo». I carabinieri sostengono che l’allarme è stato alimentato nonostante di fatto non stesse accadendo nulla. Anche Candoli al telefono definisce la diffusione delle notizie «una forma di vero e proprio terrorismo informativo» ma poi commenta positivamente la vendita in un solo mese di un milione e mezzo di dosi di vaccino anti-influenza prodotto dalla sua azienda: «Anche certe industrie farmaceutiche che producono vaccini umani hanno un business mica da noccioline sebbene non ci sia nulla di diverso rispetto a sei mesi, un anno o addirittura cinque mesi anni fa. L’unica cosa di diverso è che adesso stanno ragionando sulla possibilità che vi sia una pandemia, che non è scritta da nessuna parte».
Il ministro Beatrice Lorenzin promuove l'indagato. Romano Marabelli nominato segretario generale del ministero. Ma è sotto inchiesta per gli affari illeciti dei virus. Con l'ipotesi di mazzette e appalti pilotati, scrive Lirio Abbate su “L’Espresso”. Da anni è considerato un personaggio di grande influenza nelle stanze del ministero della Salute. E Beatrice Lorenzin ha appena promosso Romano Marabelli, 60 anni, nominandolo segretario generale del dicastero. Lo ha fatto senza dare attenzione alle rivelazioni de “l'Espresso”, che un mese fa ha pubblicato il nome del dirigente pubblico tra gli indagati nella maxi-inchiesta della procura di Roma sul business dei virus. Negli atti degli inquirenti al ruolo di Marabelli è dedicata molta attenzione: è stato per decenni il numero uno delle questioni veterinarie, dirigendo il dipartimento del ministero. A lui si rivolgeva il vertice dell'Istituto zooprofilattico delle Venezie, cuore dell'istruttoria, per concludere affari di una certa importanza economica. Secondo i carabinieri del Nas, che hanno condotto l'indagine, nel 2006 a Marabelli sarebbero state pagate somme di denaro per chiudere un contratto per la vendita al governo olandese di un brevetto sui test contro l'epidemia di aviaria. Quella in cui è coinvolto Marabelli è un'istruttoria che ha messo in luce gravi distorsioni nella gestione delle emergenze sanitarie, a partire dall'allarme per l'epidemia di aviaria. Intercettazioni e sequestri hanno ricostruito un contrabbando internazionale di virus, con il rischio di diffondere epidemie: il tutto per conquistare il ricco mercato dei vaccini. Un intreccio di affari che riguarda soprattutto la tutela degli allevamenti ma che, secondo gli inquirenti, ha esposto anche la popolazione al pericolo di epidemie. La procura di Roma ha iscritto nel registro degli indagati altre trenta persone, fra medici, ricercatori, funzionari del ministero della Salute, dirigenti dell'Istituto profilattico delle Venezie e manager di case farmaceutiche, accusate a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, turbativa d'asta, abuso d'ufficio e traffico illecito di virus. Fra gli indagati c'è pure la virologa Ilaria Capua, attuale parlamentare di Scelta Civica, che ha respinto con decisione tutti gli addebiti: «Mai commesso illeciti». Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo sta completando gli atti d'indagine ed è attesa la sua decisione sulla sorte del procedimento: alcuni dei reati contestati risalgono al 2006 e potrebbero essere prossimi alla prescrizione. Le ipotesi contro Marabelli nascono soprattutto dalle telefonate intercettate. Secondo l'indagine dei carabinieri il contatto con Marabelli lo teneva il direttore generale dell'Izs veneto, Igino Andrighetto, che lo andava a trovare a Roma: secondo gli investigatori a volte questi viaggi erano organizzati per una «dazione di denaro». L'accusa sostiene che «la conferma sull'ipotesi di una eventuale dazione di denaro in favore di Marabelli emerge molto chiaramente in una conversazione registrata quando Andrighetto sostiene di essere stato molto abile e di aver lasciato un collega in auto in modo da parlare da solo con Marabelli dei soldi che arriveranno dal governo olandese. Da questa somma ne deriverà un utile anche per le persone del Ministero che hanno dato una mano». Il direttore generale dell'Izs parlando con i suoi interlocutori coinvolti nell'inchiesta, riferendosi a Marabelli dice: «Bisognerà vedere come fargli avere i soldi perché col ministero si fa fatica a ragionare. E comunque un sistema si troverà». Millanterie? L'istruttoria romana insiste molto sulla posizione che Marabelli occupava nel 2006: da lui dipendevano tutte le autorizzazioni del settore veterinario, fondamentali per le attività degli allevamenti. Le valutazioni degli investigatori dei Nas nei suoi confronti sono molto dure. «Altri aspetti illeciti da non ritenersi sicuramente disgiunti da quelli già affrontati del contrabbando dei virus dell’influenza aviaria e del reale rischio di epidemia derivante dall’impiego di vaccini ad uso veterinario per l’influenza aviaria realizzati in maniera clandestina, sono poi quelli riferiti ad una serie di condotte illecite riconducibili all'abuso d’ufficio, che dimostrano in maniera esplicita la volontà dei funzionari ministeriali, Romano Marabelli, Gaetana Ferri e Ugo Vincenzo Santucci, nonché di quelli dell’Izs, Stefano Marangon e Ilaria Capua, di “favorire” intenzionalmente l’interesse commerciale della ditta farmaceutica Merial Italia spa, attraverso la cessione dei ceppi virali ed il conseguente interessamento al rilascio delle prescritte autorizzazioni alla produzione dei vaccini, in danno delle altre industrie farmaceutiche del settore». Sempre secondo gli investigatori «in questa ottica va interpretato il rilascio, ritenuto illecito, alla Merial Italia, dal 2000 al 2006, delle autorizzazioni per la produzione di vaccini da impiegarsi nei relativi piani di vaccinazione di emergenza, in netto contrasto con quanto sancito da una normativa e senza, peraltro, ricorrere ad alcuna procedura di affidamento a trattativa privata e/o gara d’appalto, in evidente danno delle altre ditte concorrenti ed in particolare della ditta Intervet». Per gli inquirenti è «palese la configurabilità della rivelazione del segreto d’ufficio, di cui Ugo Vincenzo Santucci risulta essersi reso responsabile, in funzione della commissione di un delitto ancor più grave, quale quello della turbata libertà degli incanti in cui sarebbero correi anche gli altri funzionari ministeriali e dell’Izs di Padova, quali Romano Marabelli, Igino Andrighetto, Francesco Favretti, i componenti della Commissione tecnico-economica, e poi Stefano Marangon, Ilaria Capua, oltre che, naturalmente, Paolo Candoli (manager della Merial Italia spa) e Elena Prandini». E scrivono: «il ricorso alla trattativa privata che ha evitato lo svolgimento della gara d’appalto, come concordato nel corso dei dialoghi telefonici intercettati (nel gennaio 2006 ndr), veniva giustificato facendolo apparire come un provvedimento contingibile ed urgente che consentiva, fra l’altro, la disponibilità immediata di tre milioni di dosi di vaccino H5N9 della Merial Italia spa, dosi che di fatto erano già state impiegate nell’ambito del piano annuale di vaccinazione di emergenza del 2006». Che Marabelli fosse sotto inchiesta lo ha rivelato “l'Espresso”, senza ricevere smentita. Ma la notizia non ha pesato sulla scelta del ministro Lorenzin, ratificata dal consiglio dei ministri. Ora come segretario generale sarà una sorta di regista del funzionamento del dicastero, alle dirette dipendenze del ministro: avrà il compito di coordinare le attività delle direzioni generali e gli interventi in caso di emergenze sanitarie internazionali. E farà poi da raccordo con le direzioni generali per le attività delle Conferenze delle Regioni, quelle in cui si stabiliscono le linee della politica sanitaria del Paese.
Omeopatia, la grande truffa, scrive Daniele Zaccaria il 30 Maggio 2017 su "Il Dubbio". La tragica morte del bimbo di Ancona riapre l’annoso dibattito su una pratica magica spacciata per scienza e diventata nel corso dei secoli un businness miliardario. Quando Samuel Hahnemann pubblica il suo Organon della guarigione razionale, sacra Bibbia della “medicina” omeopatica corre l’anno del Signore 1810. Pasteur non aveva ancora scoperto l’esistenza dei batteri, negli ospedali i malati venivano curati con i salassi e le iniezioni di piombo, si operava senza anestesia, non esistevano antibiotici e non avevano ancora inventato il microscopio elettronico. La chimica, la biologia, la genetica e tutti gli altri campi del sapere scientifico che avrebbero poi contribuito alla nascita della moderna medicina erano ancora allo stato embrionale. In oltre due secoli siamo riusciti a debellare malattie tremende grazie alle scoperte dei vaccini e delle penicilline, abbiamo realizzato strumenti di osservazione e di analisi clinica sempre più sosfisticati e precisi, la speranza di vita è aumentata di oltre il 50%, la mortalità infantile è precipitata; due secoli in cui la scienza medica è passata attraverso cambiamenti profondi e piccole grandi rivoluzioni. E mentre la medicina cambiava, si rimetteva in discussione e si emendava, l’omeopatia è rimasta uguale a se stessa, eterna e immutabile, come una credenza religiosa o un dogma senza tempo. Come è possibile che una pseudoscienza simile all’astrologia possa aver avuto un simile successo? Ogni giorno nel mondo milioni di persone ingeriscono i graziosi granuli zuccherati convinti di curarsi da fastidiose patologie, i più sprovveduti addirittura di salvarsi da malattie molto pericolose mettendo seriamente a rischio la propria salute. Che conoscenza han- no questi consumatori del prodotto che ingeriscono?
Al pari di altre pratiche figlie dell’epoca premoderna, l’omeopatia ignora i nessi di causa- effetto e le evidenze sperimentali seguendo il suggestivo principio di similitudine del farmaco: per curare un malato sarebbe sufficiente somministrare una dose altamente diluita della sostanza che ha provocato la malattia. Più la dose è diluita, più la cura sarà efficace. Il prodotto si ottiene sciogliendo una parte della sostanza di base in cento parti d’acqua, poi si agita la miscela e ripetere il procedimento altre decine e decine di volte. Lo scuotimento dei flaconi viene pomposamente chiamato “succussione” e servirebbe nientemeno che a “dinamizzare” il medicinale “energizzandolo”. Un lessico farlocco dal retrogusto new age che non ha alcun significato medico. Basta un corso di chimica elementare per apprendere che una sostanza diluita oltre il 12esimo centesimale in una soluzione liquida dà luogo a un prodotto che non contiene nessuna molecola della sostanza originale. Ce lo spiega il cosiddetto numero di Avogadro, un principio della chimica insegnato in tutte le scuole superiori. In sintesi: nei granuli non è presente nessun principio attivo. Le diluizioni infinitesimali dell’ingrediente originale, in alcuni casi fino alla potenza di 200 (un numero che supera la quantità di atomi presenti nell’universo) rende qualsiasi prodotto omeopatico niente più che un placebo. Arnica montana, nux vomica, iniatia amara, sambucus nigra e altri simpatici rimedi della nonna smerciati a peso d’oro come prodotti da banco sono in realtà nient’altro che acqua fresca. Se non ci credete, provate far analizzare una confezione qualsiasi da un laboratorio e osservate i risultati.
È comprensibile che all’inizio del XIX Secolo si prestasse attenzione a pratiche magiche e aleatorie come l’omeopatia. Quel che stupisce è il successo che essa ha ottenuto nel tempo, in particolare tra le classi medie e istruite delle società occidentali (per paradosso il consumo di omeopatia è poco diffuso tra i ceti meno istruiti che evidentemente si affidano al vecchio, sano, buonsenso). Quando ne vengono svelati gli pseudoprincipi molti consumatori non vogliono crederci, restano stupiti, strabuzzano gli occhi. Altri si irrigidiscono, affermando che la comunità medico- scientifica lavora soltanto per i profitti delle multinazionali, che la medicina alternativa è osteggiata per motivi di interesse economico, che, anche se avesse ragione, la scienza non può spiegare tutto: i granuli funzionano, punto e basta. Funzionano su una zia che ha curato la tendinite, un nipote che è guarito dall’asma, un vicino di casa che ha sconfitto la sinusite, tutti esempi che stanno là a testimoniare la malafede di dottori e scienziati e le virtù taumaturgiche degli omeopati. Un’aneddotica priva di riscontri scientifici ma che trova nella vox populi di internet un fertile terreno di coltura e propaganda. Anche in seguitissime rubriche di quotidiani nazionali come La Repubblica e La Stampa noti giornalisti tessono le lodi dei rimedi omeopatici per affrontare le attese influenze stagionali e altri fastidiosi virus più o meno invalidanti. Prendiamo il caso delle palline di “Oscillococcinum”, l” antinfluenzale” omeopatico più diffuso al mondo, consigliato da molti farmacisti e persino da qualche medico. Si tratta di palline di lattosio e saccarosio, normali caramelle di zucchero vendute a 1500 euro al chilo. Chi ne decanta i miracolosi effetti e le virtù “preventive” probabilmente non ne conosce la mirabolante genealogia.
Nel 1925 il medico francese Joseph Roy osservò dal suo microscopio alcuni campioni di sangue infetto notando un corpuscolo sferico che oscillava nel plasma. Questo corpuscolo fluttuante era presente nei campioni di pazienti affetti da patologie diverse, il che suggerì a Roy l’idea che si trattasse di una specie di batterio trasversale, un “metabatterio” responsabile di tutte le principali infezioni. Lo chiamò “oscillococco” e provò ad estrarlo dal fegato e dal cuore di un’anatra muschiata per ricavare un rudimentale quanto improbabile vaccino universale. Le sperimentazioni sui malati non sortirono alcun effetto, ma Roy non demordeva ossessionato da quelle strane sfere oscillanti. La soluzione è decisamente triviale e venne a galla qualche anno dopo: Roy, che non era proprio un fenomeno nell’utilizzo del microscopio, e aveva infatti posizionato in modo errato i vetrini della preparazione, quei corpuscoli non erano batteri ma banali bolle d’aria. Con i microscopi di generazione successiva le bolle d’aria scomparvero e con loro anche le misteriose sfere. Ma l’intuizione errata di Roy è stata sfruttata con grande senso del marketing dall’industria francese Boiron che dagli anni 50 ha messo in commercio l’Oscillococcinum e altre decine di rimedi. Un business miliardario che non ha nulla da invidiare alle citatissime multinazionali del farmaco, anche se i comunicatori della Boiron presentano i loro prodotti come una specie di Mulino Bianco della medicina, seguaci di innocui metodi “naturali” contrapposti alle pericolose tossine prodotte dalla farmacologia chimica.
Ma nonostante la fede di milioni di adepti, la reputazione del fegato di anatra muschiata ha iniziato a oscillare pericolosamente, un po’ come le sfere del dottor Roy. Nel 2012 Boiron è stata costretta a rimborsare 12,5 milioni di dollari a dei consumatori americani per pubblicità ingannevole in seguito ad una class action di cittadini. Un giudice californiano stabilì che vendere palline di zucchero per curare l’influenza è una truffa e impose all’azienda transalpina di indicare che l’oscillococcinum non è riconosciuto come un farmaco dalla Food and Drugs Administration. Una sentenza molto importante che ha segnato una svolta nel consumo globale. Da quel momento la crescita esponenziale delle vendite di granuli si è fermata e, nel 2016, si è addirittura registrato un calo degli introiti: – 5% di fatturato, – 7% di prodotti venduti.
Il business della non-scienza???
Spiace leggere in prima pagina su Il Fatto Quotidiano di domenica 18 ottobre 2015 L’omeopatia è acqua fresca, altro che farmaci.
Questo titolo rimanda nelle pagine centrali ad lunga intervista che Gianni Barbacetto fa a Silvio Garattini, scienziato, ricercatore, medico, docente di chemioterapia e farmacologia, “grande appassionato e difensore del metodo scientifico contro le superstizioni e le bufale”. Il tutto dentro la sezione L’inchiesta.
Spiace perché, mentre a firma del direttore viene spesso sbeffeggiato il “servilismo” di altri quotidiani, qui le posizioni appaiono schieratissime e prive di qualunque veste di inchiesta se non le opinioni dell’illustre scienziato e del meno illustre Barbacetto.
In evidenza appaiono le parole Bluff, Ambiguità e Il Business della non-scienza, rosse e in grassetto, così se qualcuno volesse togliersi qualche dubbio può risparmiare la fatica.
Spiace leggere che “le medicine alternative sono diventate anche in Italia un grosso mercato che coinvolge milioni di persone. Sono pratiche molto diverse tra loro: agopuntura e fitoterapia, medicina antroposofica ed ayurvedica, medicina tradizionale cinese e omotossicologia, osteopatia e chiropratica.” “Uno studio del 2011 ha evidenziato che l’uso delle terapie alternative e complementari può avere effetti collaterali, compresa la morte, di solito a causa dell’abbandono delle terapie convenzionali di provata efficacia”. Questo nel trafiletto in testa a pagina 17, probabilmente non a firma Barbacetto.
Credo che quanto riportato si commenti da se, tutto in un calderone indistinto che non informa ma disinforma.
A questo punto mi piacerebbe si facesse luce sulle motivazioni che potrebbero spingere il Ministero della Salute a pensare di intervenire sui pediatri che sconsigliano le vaccinazioni preventive, con conseguenze che potrebbero arrivare fino alla sospensione dalla professione.
Potrebbero per caso entrarci gli interessi dell’industria farmaceutica????
Tornando all’articolo in questione, si sostiene che nei casi, in realtà numerosi aggiungo io, di persone che usano l’omeopatia, l’unica cosa certa sia l’effetto placebo che scatta “quando qualcuno si sente accudito, quando ha una pillola e qualcuno che si prende cura di lui”.
Credo piuttosto che questo sia il principio per cui tante persone prendono farmaci dagli effetti collaterali devastanti facendo finta che possano solo giovare al loro disturbo.
Per quanto nell’articolo non si citi lo shiatsu, forse non sanno neanche che esiste, mi sento particolarmente offesa per la professione che svolgo, per tutti coloro che praticano con serietà la Medicina Tradizionale Cinese, e per tutti quelli che cercano di difendersi dalle logiche di mercato ricorrendo a terapie che non contemplano l’uso di farmaci allopatici nei moltissimi casi in cui non ce ne sarebbe assolutamente bisogno.
La polmonite ha bisogno di un antibiotico il mal di stomaco non necessariamente di un gastroprotettore, tanto per fare un esempio.
In Italia la maggior parte delle persone conosce poco i campi di applicazione dello shiatsu, e quando arriva a cercarmi generalmente ha provato di tutto, manca solo lo stregone.
Nella teoria dell’effetto placebo quella sfilza interminabile di medici e specialisti cui si è affidata, avrebbe dovuto risolvere il suo problema solo per il fatto di averla presa in cura. Ma se così fosse non avrebbe continuato a cercare una soluzione.
Esistono documentazioni approfonditissime sull’uso dell’agopuntura e quindi della diagnosi secondo la Medicina Tradizionale Cinese, con relativa scomparsa dei disturbi. Numerose sono anzi le patologie che la medicina allopatica mette nel calderone delle “cause da stress” e per le quali non trova soluzione. che si risolvono con altre terapie.
La Medicina Tradizionale Cinese ha una storia di millenni, aprendo un corpo non possiamo evidenziare la circolazione energetica. Eppure è qualità sensibile per tutti gli operatori che la usano a fondamento della loro diagnosi e dei loro principi di cura.
Spiace in fine riscontrare che tutte le teorie e le discipline che sfuggono ai criteri della più ortodossa osservazione scientifica possano essere liquidate come infondate, che illustri ricercatori non si rendano conto che esistono fenomeni giustificabili solo ammettendo criteri di valutazioni differenti e non per questo meno meritevoli di essere presi in considerazione.
Per fortuna esistono anche ricercatori consapevoli di dover cercare altrove e le loro pubblicazioni non sono meno rigorose di quelle degli strenui difensori dell’ortodossia.
La scienza esatta non credo esista, è questione di correnti e di opinioni, già sarebbe tanto se chi con tanto zelo pretende di indirizzare le nostre tendenze e le nostre scelte potesse almeno essere consapevole di questo. Ma questo mio ragionamento è una contraddizione in termini.
Qualche anno fa, una cara paziente, per sua ammissione ipocondriaca, mi chiese consiglio su di un farmaco che avrebbe dovuto sedare il suo bruciore di stomaco. Non sono un medico e non posso permettermi di giudicare una prescrizione. La giovane donna in questione sembrava però cercare un buon motivo per non prenderlo, per nulla tranquillizzata dal fatto che di questo fastidioso sintomo ci stavamo già occupando con lo shiatsu: avrei avuto ancora bisogno di tre o quattro sedute.
Il farmaco in questione, di cui purtroppo non ricordo il nome, le era stato prescritto dal suo medico curante.
Alla fine le chiesi di farmi leggere il bugiardino: tra gli effetti collaterali c’era scritto “può causare morte improvvisa”.
Non è una barzelletta, ve lo assicuro.Probabilmente per il grande stupore ma sopratutto per la follia a fondamento di una simile dicitura (che peraltro deresponsabilizza la casa farmaceutica) scoppiammo a ridere.
Le pillole non ebbe più voglia di prenderle ed il mal di stomaco lo affrontammo con lo shiatsu.
Quanti leggono gli effetti collaterali dei farmaci che gli vengono prescritti?
Come è possibile difendere a spada tratta una scienza che mentre interviene su di una patologia è facilmente alla base dell’insorgere di altre dieci?
Una risposta me la posso dare da sola: creare terreno fertile ad altre patologie permetterà di vendere altri farmaci.
Il business della scienza! Alissa Bisacchi
SULLA PELLE DEI TUMORATI...
LA DEGENZA.
Così si muore di cancro tra tossici, scotch e panini. Nel pronto soccorso l'agonia di un uomo che per 56 ore i parenti hanno tentato di proteggere dall'indifferenza, scrive Tiziana Paolocci, Giovedì 6/10/2016, su "Il Giornale". Morire in un letto di un pronto soccorso davanti agli occhi di una folla eterogenea di tossicodipendenti, anziani abbandonati, familiari giunti a portare panini e pizza ai parenti ricoverati. Passare le ultime 56 ore di vita nascosto dietro a un maglione fissato al muro con lo scotch quasi a fare da paravento, per cercare di nascondere la sofferenza, aggrappandosi all'ultimo scampolo di dignità. Marcello se n'è andato così, nella confusione del pronto soccorso del San Camillo, uno dei tanti ospedali di una capitale che fino a qualche giorno fa guardava alle Olimpiadi, ma nel medagliere colleziona solo vergogne da record. A denunciare quanto accaduto all'anziano, malato di cancro, è stato il figlio Patrizio Cairoli, giornalista di Askanews, che in una lettera ha chiesto l'intervento della ministra della Salute, Beatrice Lorenzin. Dopo la scoperta del tumore, per tre mesi il padre ha aspettato inutilmente di iniziare la radioterapia. Nell'attesa gli è stata proposta quella «palliativa», che è servita a poco, perché i dolori alle ossa sono aumentati così tanto da impedirgli di camminare. «Un calvario, nell'indifferenza di medici, che si limitavano solo ad aumentare la somministrazione di tachipirina - si legge nella missiva -. Nessuno ci ha aiutati a comprendere, nessuno ci ha detto quello che avremmo dovuto fare, ovvero rivolgerci a una struttura per malati terminali e garantirgli, con la terapia del dolore, una morte dignitosa. Quando l'ho fatto, era ormai troppo tardi: il giorno dopo papà è finito al San Camillo». A Marcello viene iniettata morfina, ma la situazione precipita. La fine è impietosa. «È morto dopo 56 ore, passate interamente in pronto soccorso - scrive Cairoli -. Lo ripeto: cinquantasei ore in pronto soccorso, da malato terminale, nella sala dei codici bianchi e verdi, ovvero i casi meno gravi. Accanto aveva anziani abbandonati, persone con problemi irrilevanti che parlavano e ridevano, vagabondi e tossicodipendenti che, di notte, cercavano solo un posto dove stare». E nell'orario delle visite arrivano i parenti dei ricoverati. Altra confusione, altro caos. Il figlio protesta, chiede una stanza in reparto o in terapia intensiva, ma ottiene solo un paravento. Allora la famiglia prende un maglioncino, con lo scotch lo fissa tra il muro e il paravento, protegge la sofferenza dell'anziano formando una barriera con i corpi e attende la fine. Vergognosa. Il direttore sanitario del nosocomio, Luca Casertano, interviene sul caso spiegando che nella Regione Lazio sono operative strutture territoriali per accompagnare al termine dell'esistenza di malati oncologici presso il proprio domicilio o presso strutture residenziali protette. «I pronto soccorso di quasi tutti gli ospedali di fatto non dispongono di un'area strutturata per accogliere le persone in fine vita - ha sottolineato -. Tuttavia, a volte, accade che i familiari, di fronte all'improvviso aggravamento, accompagnino il congiunto presso il pronto soccorso più vicino per un estremo, ma purtroppo vano, tentativo di salvargli la vita. Il signor Cairoli, malato terminale-oncologico, era nell'area dei codici verdi e bianchi non per la gravità clinica, ma perché presso quel settore è consentito l'accesso dei familiari in maniera più continuativa, cosa impossibile nell'area cosiddetta critica dove ci sono i pazienti più gravi». Ma il caso ha fatto rumore e la Regione ha chiesto una relazione al manager dell'ospedale, mentre la ministra Lorenzin, secondo regolamento, ha disposto già l'invio di una task force per accertare se e in che modo siano stati lesi privacy e dignità dell'anziano paziente terminale.
Quel malato di cancro condannato al dolore, scrive Michele Bocci il 5 ottobre 2016 su “La Repubblica”. Noi stiamo qui a discutere di dati sull'incidenza del cancro e possibilità di guarigione, di nuove cure e farmaci super costosi che servono a migliorare la sopravvivenza dei malati. Parliamo di centri di eccellenza, che ci sono, e di medici che hanno dedicato la loro vita a combattere il tumore e dare speranze ai malati. Poi accadono fatti come quello raccontato dal collega di Askanews nella sua lettera al ministro della Salute Beatrice Lorenzin, e siamo tutti costretti a fare un salto all'indietro di anni. La prima cosa a colpire, ovviamente, è l'ultima parte della storia, quella dell'attesa della morte nel pronto soccorso del San Camillo. E' inaccettabile che un malato terminale resti ore in quel tipo di reparto. Ma tutta la vicenda merita attenzione: le attese per la radioterapia, le scarse informazioni ricevute dalla famiglia e, per come la vedo io, anche la scarsa attenzione al dolore. Sono anni che si cerca di diffondere in Italia la cultura della terapia del dolore, un modo per alleviare sofferenze tremende e inutili. Come è possibile che nessuno abbia dato a quel malato farmaci adatti alle sue condizioni? Nella lettera si parla di tachipirina. E' mai possibile che sia questo l'anti dolorifico prescritto a un paziente così grave? Si sapeva che il nostro Paese rispetto ad altri è molto indietro nella cultura della terapia del dolore, che l'uso della morfina e di altre molecole pontenti è troppo basso, ma negli ultimi anni sembrava esserci una nuova consapevolezza. E invece la brutta storia di Roma ci insegna che anche in questo campo il nostro sistema sanitario e i suoi professionisti devono ancora raggiungere un livello accettabile di civiltà.
Roma, muore di cancro al pronto soccorso. Il figlio scrive a Lorenzin: "Nessuna privacy né dignità". Una morte nel pronto soccorso del San Camillo tra tossicodipendenti e gli sguardi indiscreti di visitatori rumorosi. È successo al padre di un giornalista di Askanews, Patrizio Cairoli, che ha deciso di scrivere una lettera alla ministra della Salute per denunciare quanto accaduto. La ministra: "Invieremo ispettori", scrive il 5 ottobre 2016 “La Repubblica”. Una morte senza dignità nella corsia di un pronto soccorso di un noto ospedale romano, tra tossicodipendenti e gli sguardi indiscreti di visitatori rumorosi. È successo al padre di un giornalista di Askanews, Patrizio Cairoli, che a qualche giorno dal pesante lutto ha deciso di scrivere una lettera alla ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, per denunciare quanto accaduto e perché, forse, qualcuno intervenga affinché non accada più. Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha annunciato che invierà gli ispettori nel nosocomio romano. A sollevare il caso è stata una lettera scritta al ministro dal figlio del paziente. "Sono rimasta molto colpita da questa lettera - ha affermato Lorenzin - ci sono dei punti molto gravi, ho dato mandato al mio capo ufficio stampa di reperire più informazioni dopo di che manderemo gli ispettori". Il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, ha sollecitato con urgenza al direttore generale dell'Ospedale San Camillo una relazione dettagliata sulla vicenda. La lettera: "Signora ministra, sono passati circa tre mesi dal giorno in cui mio padre ha scoperto di avere un cancro a quello della sua morte; metà del tempo lo ha trascorso ad aspettare l'inizio della radioterapia, l'altro ad attendere miglioramenti che non sono mai arrivati. Nonostante la malattia, ci avevano prospettato anni di vita da trascorrere in modo dignitoso. È stato sottoposto a radioterapia palliativa, ma di palliativo non aveva che il nome: mio padre aveva sempre più dolori alle ossa; alla fine, non riusciva più a camminare e anche le azioni più semplici, come alzarsi dal letto o scendere dalla macchina, erano diventate un calvario, nella totale indifferenza di medici che, oltre ad alzare le spalle e a chiedere di avere pazienza, non sapevano dire o fare altro, se non aumentare la dose di tachipirina. Ci avevano detto che, dopo qualche giorno, avremmo visto i benefici della terapia; poi, di fronte ai dolori sempre più forti avvertiti da mio padre, era diventato necessario aspettare 'anche 3-4-5 mesi'. Nessuno ci ha aiutati a comprendere, nessuno ci ha detto quello che avremmo dovuto fare: rivolgerci a una struttura per malati terminali e garantire, con la terapia del dolore, una morte dignitosa a mio padre. Quando l'ho fatto, era ormai troppo tardi: il giorno dopo mio padre è finito in ospedale, al pronto soccorso del San Camillo (che non è l'ospedale dove era seguito), dove finalmente gli è stata somministrata la morfina. Qui, la situazione si è aggravata velocemente. Mio padre è morto dopo 56 ore, passate interamente in pronto soccorso. Lo ripeto: cinquantasei ore in pronto soccorso, da malato terminale, nella sala dei codici bianchi e verdi, ovvero i casi meno gravi. Accanto aveva anziani abbandonati, persone con problemi irrilevanti che parlavano e ridevano, vagabondi e tossicodipendenti che, di notte, cercavano solo un posto dove stare. Il peggio, poi, si verificava nell'orario delle visite: sala sovraffollata di parenti che portavano pizza e panini ai malati e che non perdevano l'occasione per gettare lo sguardo su mio padre. Abbiamo protestato, chiesto una stanza in reparto o in terapia intensiva, un posto più riparato. Ma non abbiamo ottenuto nulla. Allora sarebbe bastata una tenda, tra un letto e l'altro. Invece abbiamo dovuto insistere per ottenere un paravento, non di più, perché gli altri "servono per garantire la privacy durante le visite"; una persona che sta morendo, invece, non ne ha diritto: ci hanno detto che eravamo persino fortunati. Così, ci siamo dovuti ingegnare: abbiamo preso un maglioncino e, con lo scotch, lo abbiamo tenuto sospeso tra il muro e il paravento; il resto della visuale lo abbiamo coperto con i nostri corpi, formando una barriera. Sarebbe dovuto morire a casa, soffrendo il meno possibile. E' deceduto in un pronto soccorso, dove a dare dignità alla sua morte c'erano la sua famiglia, un maglioncino e lo scotch. È successo a Roma, Capitale d'Italia". La risposta dell'ospedale. "L'azienda ospedaliera San Camillo - Forlanini esprime profondo rammarico e dolore umano per quanto accaduto nel suo Pronto Soccorso e raccontato dai famigliari del signor Marcello Cairoli. La scomparsa di una persona cara è la sofferenza più grande che capita nella vita di ogni essere umano. E il desiderio più grande e profondo è che questo possa succedere nel modo meno doloroso e traumatico per tutti", ha detto il direttore sanitario del nosocomio romano, Luca Casertano. "I nostri Pronto Soccorso - ricorda Casertano - gestiscono ogni anno più di 90.000 accessi. Presso il dipartimento di emergenza dove è stato ricoverato il signor Cairoli ogni giorno arrivano 150 nuovi casi che vengono presi in carico e curati dal personale medico e infermieristico. Un flusso elevato di persone che, in caso di incremento di accessi di malati - non prevedibile, ma frequente - può aver in qualche modo limitato o impedito una idonea comunicazione da parte degli operatori sanitari".
Marcello, poche ore di vita e lasciato morire in una sala di pronto soccorso. Malato terminale, si è spento dopo 56 ore di attesa al San Camillo. Non è stato rimandato a casa perché la procedura andava avviata 15 giorni prima, scrive Gian Antonio Stella il 5 ottobre 2016 su "Il Corriere della Sera". Lo sapevano. Lo sapevano, al San Camillo, che Marcello Cairoli aveva poche ore di vita. L’avevano addirittura scritto nel referto, che non c’era più niente da fare. E hanno scelto, a freddo, di lasciarlo morire lì. Nel carnaio del Pronto soccorso. Tra pianti, vomiti, insulti, risate, urla, singhiozzi… Senza ciò che più urgeva: il silenzio. La scoperta, che aggiunge vergogna a vergogna nella storia che raccontavamo ieri partendo da una lettera di denuncia scritta dal figlio Patrizio alla ministra della sanità Beatrice Lorenzin, arriva dalla rilettura della cartella clinica del pensionato. Ricoverato tra i «codici bianchi» e «codici verdi» del San Camillo alle cinque di mattina del 22 settembre scorso. All’una e un quarto, stando al referto, il percorso degli eventi era già segnato: «Parlato con i familiari del paziente che sono consapevoli delle gravi condizioni cliniche». Alle undici di sera, nuovo referto: «Condizioni gravissime. Idratazione elastomero in corso. Colloquio con i familiari presenti al letto del paziente, informati in merito alle gravissime condizioni del paziente esplicitando che in caso di ulteriore peggioramento clinico non verranno poste in essere manovre rianimatorie avanzate che non modificherebbero la prognosi quoad vitam et valetudinem. Comprendono e condividono». Traduzione: papà è spacciato. Questione di ore. In un paese normale del mondo occidentale, dopo aver scritto parole del genere, un medico dispone il ricovero dell’ammalato in una stanza dignitosa dove il morente possa incamminarsi verso la fine dignitosa. Nulla di più. Oppure a casa dove, con l’assistenza di un infermiere che somministri la dote giusta di morfina per alleviare i dolori lancinanti, quell’uomo possa vivere le ultime ore della sua esistenza tra cose, persone, fotografie, piccoli ricordi di vita quotidiana che gli diano pace. Dopo tutto, come scrisse il giornalista Stewart Alsop, «un uomo morente ha bisogno di morire come un uomo assonnato ha bisogno di dormire. E arriva un momento in cui è sbagliato, oltre che inutile, resistere». Ed è lì che zoppica la risposta data dal direttore del San Camillo Luca Casertano a «Italia sotto inchiesta» di Emanuela Falcetti su Radio1. E’ vero che «viviamo in una società che rifugge l’idea della morte», è vero che non possiamo pretendere che ogni male possa esser vinto, è vero che dopo decenni di sprechi (nel 2008 un posto letto al San Camillo costava 327.521 euro l’anno contro 166.228 degli ospedali lombardi: vale a dire 900 euro al giorno e cioè quanto una suite al mitico Plaza di New York) il nosocomio romano si trascina i problemi lasciati da un passato indecente. Ma basta, come spiegazione? E sarà vero senz’altro che non c’era una sola stanza a disposizione di chi chiedeva solo di morire in modo decente perché «il pronto soccorso è lì per salvare le vite e non per accompagnare gli incurabili alla morte». Ma l’affermazione che il poveretto non potesse essere mandato a casa con un infermiere che lo assistesse perché «questa procedura andava avviata con una quindicina di giorni di anticipo» è difficile da digerire. Non possono essere i pazienti, i mariti, le mogli, i figli, a farsi carico di queste scelte. Ma, non essendo tra i compiti del buon Dio quello di avvertire «mi presenterò il giorno tal dei tali», devono essere i medici che hanno in cura «quella» singola persona a segnalare ai parenti l’urgenza di avvertire le strutture e tenersi pronti. E qui, come ha scritto il figlio di Marcello Cairoli nel suo «j’accuse» alla Lorenzin, la sanità pubblica romana sapeva che la situazione stava precipitando in fretta: «Sono passati circa tre mesi dal giorno in cui mio padre ha scoperto di avere un cancro a quello della sua morte; metà del tempo lo ha trascorso ad aspettare l’inizio della radioterapia, l’altro ad attendere miglioramenti che non sono mai arrivati. Nonostante la malattia, ci avevano prospettato anni di vita da trascorrere in modo dignitoso». Possibile? «È andata proprio così», racconta Patrizio Cairoli, «La diagnosi la fecero quasi subito: era un cancro alla prostata sfociato in una metastasi ossea. Detto questo tranquillizzarono papà dicendo che, con pazienza e costanza, grazie alla radioterapia e ai bifosfonati… Dopo esserci un po’ informati, manifestammo le nostre perplessità su come fossero trattamenti pesanti… Papà peggiorava… Ci dissero che no, facendo le cose giuste poteva vivere ancora degli anni. “Diversi anni”, precisarono». La terapia palliativa, come ha scritto Patrizio nella lettera, «di palliativo non aveva che il nome: mio padre aveva sempre più dolori alle ossa; alla fine, non riusciva più a camminare e anche le azioni più semplici, come alzarsi dal letto o scendere dalla macchina, erano diventate un calvario, nella totale indifferenza di medici che, oltre ad alzare le spalle e a dire di avere pazienza per ottenere i benefici della terapia, non sapevano dire o fare altro, se non aumentare la dose di tachipirina. Ci avevano detto di attendere qualche giorno per vedere i benefici; poi, di fronte ai dolori sempre più forti avvertiti da mio padre, era diventato necessario aspettare “anche 3-4-5 mesi”. Nessuno ci ha aiutati a comprendere, nessuno ci ha detto quello che avremmo dovuto fare: rivolgerci a una struttura per malati terminali e garantire, con la terapia del dolore, una morte dignitosa a mio padre». Era necessario segnalare con qualche giorno di anticipo il doloroso declino di Marcello Cairoli, come sostengono al San Camillo? Ecco la risposta del figlio: «A mano a mano che la situazione si aggravava papà diceva a chi lo curava: “Sto troppo male”. E loro: “Ci vuole pazienza”. “Sto troppo male”. “Ci vuole pazienza”. “Sto troppo male”. “Ci vuole pazienza”. Ho portato di persona l’ultimo rapporto dei tecnici allo studio della oncologa che seguiva papà nove giorni prima che lo ricoverassimo d’urgenza. Un giorno, a funerali fatti, la signora telefona: “Ho visto il rapporto su Cairoli Marcello…”. “Non serve più, grazie: è morto”». Senza segnalare, col dovuto anticipo, l’opportunità di avviare la procedura…
Tre ore in media d’attesa, spazi ridotti e pochi posti letto. Viaggio nei pronto soccorso. L’analisi negli ospedali italiani dopo il caso choc del San Camillo, scrive il 7 ottobre 2016 mdebac su "Il Corriere della Sera". Adesso tutti commentano che «non doveva succedere», che è «inaccettabile». Eppure Marcello Cairoli è morto come nessuno dovrebbe. Dietro il paravento del pronto soccorso del San Camillo. Sarebbe bastato un pizzico di buon senso per disporre di adagiarlo in un qualsiasi posto letto, magari in uno spazio improvvisato con pietà in un reparto qualsiasi dell’ospedale più grande di Roma. Se si analizzano i dati del monitoraggio sui servizi di emergenza-urgenza svolto da Tribunale per i diritti del malato e la società scientifica Simeu, non era un azzardo aspettarsi un caso del genere. I tempi di attesa nei pronto soccorso sono ancora eccessivamente lunghi, per un ricovero i pazienti devono aspettare oltre due giorni nel 20% dei pronto soccorso, e nel 38% dei Dea, i «super pronto soccorso» ad alta complessità, suddivisi in I e II livello. La permanenza media tra l’accettazione e l’indicazione per una eventuale ospedalizzazione supera le 3 ore che diventano 5 nei Dea di 1 livello e 2.30 in quelli di secondo livello. «Però i cittadini mantengono la fiducia in questi servizi che per loro rimangono l’unico punto di riferimento, una sicurezza», sottolinea Tonino Aceti, del coordinamento Tdm. Le attese sono particolarmente prolungate quando la barella viene destinata all’Obi, l’osservazione breve intensiva. Un’area pensata per velocizzare le pratiche e che invece è diventata un vero e proprio parcheggio dove si rischia di soggiornare una settimana. Non c’è dappertutto, l’Obi, e quando manca il sovraffollamento aumenta di pari passo con le criticità. È più facile allora che il personale, sovraccarico di lavoro, commetta errori o manchi di umanità. «Non è un problema di linee guida organizzative, bastava il buon senso», dicono alla Regione Lazio a proposito della dolorosa storia del San Camillo. Gli ispettori del ministero sono attesi nelle prossime ore per ricostruire i fatti. Tra l’altro non è chiaro se il signor Marcello fosse stato seguito da un oncologo nei mesi di malattia precedenti all’arrivo in ospedale. Perché nessuno lo aveva indirizzato verso un hospice? «È frustrante per noi operatori non poter avere letti liberi nei reparti e sostenere il sovraffollamento. I malati stazionano nei corridoi, non c’è spazio fisico per garantire loro un trattamento umano», racconta la propria esperienza di responsabile dell’emergenza-urgenza del San Giovanni, la presidente di Simeu, Maria Pia Ruggieri. Il monitoraggio riguarda 98 strutture e comprende interviste a 2.944 tra pazienti e familiari. Tra i punti deboli del percorso oltre ai tempi di attesa e gli spazi, la disattenzione al dolore fisico e la comunicazione con i familiari. E a Roma? Secondo dati del monitoraggio mensile della Regione Lazio, effettuato in base a 4 indicatori fra i quali le attese, rispetto allo scorso anno la situazione nelle grandi aziende non è migliorata. Il San Camillo anche nel primo semestre del 2016 macina performance negative. La causa della sofferenza bisogna andarla a cercare a monte. I pronto soccorso costituiscono in diverse Regioni italiane l’unico «rifugio». Fenomeno più evidente dove mancano strutture intermedie sul territorio in grado di assorbire le richieste di assistenza non urgenti. In diverse realtà del Centro-Sud le cosiddette Case della Salute sono dei normali poliambulatori cui è stato cambiato nome. Il resto lo fanno il taglio dei posti letto, previsto dalle ultime manovre finanziarie, e la diminuzione del personale legata ai blocchi del turn over.
LA RICERCA.
L'INDUSTRIA DEL CANCRO: TROVATA IN CANADA UNA CURA PER IL CANCRO, MA LE BIG PHARMA FANNO FINTA DI NIENTE. LE GRANDI CASE FARMACEUTICHE NON HANNO ALCUN INTERESSE A CREARE UNA VERA CURA CONTRO IL CANCRO: LA CHEMIO È LA LORO VERA GALLINA DALLE UOVA D'ORO (a cura di Claudio Prandini). Una parte considerevole dell’industria farmaceutica vive sul business del cancro. Trent'anni fa i tumori si curavano con la chemioterapia e la radioterapia e non guarivano, adesso continuano ad essere curati con la chemioterapia e la radioterapia e continuano a non guarire. Contemporaneamente mentre la diagnostica ha fatto passi giganteschi, (basta pensare che 30 anni fa non esistevano l’ecografia, la TAC e la risonanza, mentre adesso abbiamo apparecchiature in grado di trovare neoformazioni di 1 cm o meno in qualunque parte del corpo) la terapia è rimasta ferma. La chemioterapia guarisce i tumori dei testicoli e ha discreti risultati nella terapia delle leucemie e dei linfomi. Punto. In tutti gli altri casi molto spesso ci sono risposte immediate (che fanno illudere il paziente), a volte parziali, a volte complete, a volte nulle, ma nella maggior parte dei casi non si fa altro che riproporre la chemioterapia. Successivamente, sia in caso di non risposta, sia in caso di recidiva si persevera con la chemioterapia, anche quando ormai, diventa chiaro che il risultato è nullo: non viene presa in considerazione mai, nessun tipo di terapia naturale. Ma possibile che in trent'anni non siano mai state trovate alternative? È sufficiente navigare un po' su internet e mettere le paroline giuste e trovi tante cose interessanti: si trovano tante verità. Si trovano tante terapie alternative: ipertermia (a Pavia c’è il dr Pontiggia che cura il cancro con buoni risultati). Il metodo Simoncini. Terapia Gerson. Terapia di Zora. Prodotti naturali efficaci come Essiac, cartilagine di squalo, uncaria tomentosa e molte altre. Mentre si fanno lunghi elenchi di medici catalogati come “eretici”. A questo punto, in chi ha capito come si ragiona nel mondo attuale sorge una domanda: quanto costa la chemioterapia? Tantissimo. Dipende dal tipo di farmaco ma alcuni di essi arrivano a costare fino a 1500 euro a dose giornaliera. Le terapie alternative ovviamente costano molto meno, ma, nel caso che costino 10 volte meno, la gente rinuncia perché sono troppo cari. Nel caso della chemio non sono troppo cari perché paga Pantalone, ossia lo stato, cioè noi. CHIARO IL CONCETTO? Negli anni ’90 esplode sulla scena la Terapia Di Bella: accadde giusto grazie ad un giudice di un piccolo paesino della Puglia, che ha preso in mano una causa di una persona che si rifiutava di fare le terapie tradizionali per la propria figlia, che le erano state imposte dai medici pena la denuncia. Vennero fuori decine di casi miracolati. Se ne parlò tantissimo. Non si poté fare a meno di fare una sperimentazione ufficiale: pazienti scelti tutti con un piede nella fossa, farmaci scaduti. Risultato: la Terapia non funziona. In commissione di valutazione, manco a dirlo c’era anche Sorriso Rassicurante (cioè il Prof. Umberto Veronesi). Da allora tutto fu messo a tacere. Tuttavia ci sono ancora medici che la praticano con buoni risultati. Ricordo ancora un‘intervista a Veronesi fatta allora: «professore, non pensa che le vitamine A, C ed E possano avere qualche effetto preventivo?». «Mah sì, forse la vitamina A (le altre due, che sono quelle più facilmente reperibili, per le quali non c’è bisogno di fare attenzione alla dose, cominciamo a silurarle); ma bisogna sperimentare». …. CAZZO! BISOGNA SPERIMENTARE LE VITAMINE! E’ noto infatti che le vitamine siano state scoperte nel ’98, prima non esistevano! Ponendo anche per buona questa assurdità, adesso siamo oltre il primo decennio del 21° secolo, COME E’ ANDATA LA SPERIMENTAZIONE PROFESSORE? (....)
COSA RESTA DEL METODO DI BELLA - A 13 ANNI DALLA MORTE DEL PROFESSORE, MIGLIAIA DI PERSONE ANCORA PAGANO PER FARSI CURARE DA CHI PRATICA LA TERAPIA, SCREDITATA DALLA COMUNITÀ SCIENTIFICA - ''VICE'' RINTRACCIA I DISCEPOLI, I PAZIENTI E INTERVISTA VERONESI
Veronesi si ricorda dell'insistenza della gente, e dello scetticismo della comunità medica, tra cui, ammette, proprio lui è stato uno dei più possibilisti. Molti invece non volevano nemmeno fare la sperimentazione, considerandola uno spreco di tempo e denaro. L'opinione dell'oncologo non è così negativa: "Ci credeva, pensava che fosse una ragionevole soluzione per terapie palliative"..., scrive Giorgio Viscardini il 12 giugno 2016. È il 17 luglio 1997 e all'Hotel Excelsior di Roma si tiene l'incontro "Cancro: aspetti vecchi e nuovi di terapia", organizzato dalle associazioni contro il cancro AIFC e AIAN, e il cui relatore è Luigi di Bella. Di lui si sa che è nato in provincia di Catania, che è un medico e che conduce ricerche sul cancro da più o meno quarant'anni. Durante la conferenza parla di un metodo che promette di cambiare per sempre l'oncologia. La notizia gira e in pochi mesi è ovunque, sui giornali, ai programmi TV: in meno di un anno tra il 1997 e il 1998 Corriere della Sera, Il Giornale, La Stampa, la Repubblica e Il Secolo d'Italia gli dedicano 305 articoli. La sua terapia consiste in un mix di farmaci, vitamine e somatostatina, un ormone polipeptidico che inibisce i fattori di crescita delle cellule tumorali. Nel corso delle interviste, Luigi Di Bella dice di aver curato più di 10.000 malati di cancro, nel senso che secondo lui li ha curati definitivamente, e di essere a un passo dal trovare la cura ad Alzheimer e SLA. Ovviamente, la comunità scientifica non la prende bene: Commissione oncologica nazionale, Commissione unica del farmaco e Consiglio superiore di sanità definiscono la sua terapia "priva di alcun fondamento scientifico". Ma qui entra in gioco un fattore determinante per la storia del MDB: il sostegno delle masse. Tutti gli eventi successivi alla diffusione del metodo dipendono dall'opinione pubblica, così nettamente e ciecamente schierata dalla parte del medico che regioni come Puglia e Lombardia decidono di somministrare la terapia gratuitamente. Altre ne fanno richiesta. L'allora ministro della Sanità Rosy Bindi, mentre il Ministero è letteralmente assediato dalle folle, chiede al Parlamento di avviare una sperimentazione. E, contro i pareri della comunità scientifica, nel 1998 questa sperimentazione viene effettivamente condotta. I casi osservati sono 1.155, e a un anno dall'inizio della sperimentazione del miracolo non c'è traccia. Viene fuori che una "riduzione parziale del tumore" si è riscontrata in soli tre pazienti, e che di questi tre, due sono morti e l'ultimo peggiora. Per la comunità scientifica non c'è più motivo di discutere, ma i dibelliani non ci stanno—si ribellano, per loro è un complotto. Un anno dopo vengono diffuse ulteriori conferme: altri ricercatori hanno avuto accesso alle cartelle cliniche dei pazienti di Di Bella dal 1970 in poi. In tutto, le cartelle cliniche sono 3.076: nel 50 percento dei casi l'indicazione nella cartella clinica non è tumore, nel 30 percento non si sa se i pazienti siano effettivamente ancora vivi, e nel restante 20 gli unici quattro pazienti che si sono rivolti a Di Bella senza far ricorso ad altre terapie—come la chemio—muoiono in tre anni dalla diagnosi. Luigi Di Bella è morto nel 2003. Il suo metodo è stato bocciato da tutte le commissioni incaricate di verificarlo. La mia generazione non ne ha quasi mai sentito parlare, se non come di un avvenimento del passato che ha scosso le autorità scientifiche e ministeriali e, soprattutto, la coscienza pubblica. Eppure, facendo qualche ricerca su internet, guardando i programmi televisivi a cui gli epigoni di Di Bella si presentano per sostenere la Fondazione e la sua terapia, e a giudicare da un paio di articoli—nascosti, quasi, nelle versioni online dei quotidiani— quasi vent'anni dopo il Metodo Di Bella è ancora praticato. Per quanto la scienza ignori ormai la questione, ritenendola chiusa, ci sono migliaia di persone in Italia e nel mondo che ci vogliono credere, e che pagano per farsi guarire da chi continua a prescrivere la terapia. Umberto Eco definì la terapia Di Bella un trionfo "della fiducia magica nel risultato immediato" e oggi, a 13 anni dalla morte del professore, di questo cerchio magico resta un pugno di fedelissimi curatori, due sopra tutti: Giuseppe Di Bella, figlio di Luigi, e Domenico Biscardi, farmacista di Caserta. Ho deciso di incontrarli per capire come sia possibile che, a quasi vent'anni dalla sconfessione di ogni validità della terapia, la stiano ancora esercitando. E perché. Lo studio di Giuseppe Di Bella è a Bologna. Di Bella è un uomo di 75 anni, assomiglia al padre, "con l'età sempre di più." Prima di prendere il controllo della Fondazione Di Bella non si occupava di cancro ma di otorinolaringoiatria, e durante il nostro incontro mi ha confessato di essere stato l'otorino più quotato di Bologna per anni, e di aver guadagnato discretamente, soprattutto con gli interventi di chirurgia estetica e rinoplastica. Nel suo studio ci sono tanti libri, immagini sacre, foto, otoscopi, speculum, cuffie, cabine insonorizzate, una sedia che sembra uscita da uno studio dentistico del 1973. Mi è subito chiaro che quella di Di Bella non è solo una lotta per portare avanti il proprio metodo, ma una crociata contro la medicina tradizionale e la sua presunta "scientificità". "Gli oncologi non sanno niente di corpo umano, chimica, biochimica, biologia." Il problema, secondo Di Bella, è che il sistema sanitario è tutto incentrato sul guadagno: "diagnosi, ospedalizzazione, chirurgia, chemioterapia," e tutto il resto sarebbero un modo per spillare soldi alla gente— e qui mi vengono i primi dubbi sull'effettiva conoscenza del sistema sanitario italiano da parte del medico. "Miliardi, un volano immenso, e per cosa? L'oncologia non ha mai curato un solo caso di cancro." Quando dicono il contrario, gli oncologi mentono. Di Bella figlio non fa che parlare del padre—prendendolo a modello di "occhio clinico", cosa che poi ci hanno davvero confermato altri, meno parziali. Qualsiasi suo successo, Di Bella figlio lo deve a lui. Dormiva "tre ore a notte, su una poltrona, per non perdere tempo." A differenza del padre che però curava anche altre malattie, però, Giuseppe Di Bella ha deciso di non condurre terapie per altro che non sia il cancro, anzi, non vuole nemmeno parlarne da quando si è convinto che i poteri forti stiano cercando di boicottarlo. "La nostra società è degenerata, ci hanno tolto dignità, libertà, senso dell'onore." Gli ospedali, le cliniche, i trattamenti "sono l'imposizione di un regime che ci ha fatto sprofondare in un abisso morale." Ancora oggi come vent'anni fa la cura Di Bella consiste nello stesso mix di farmaci preparati artigianalmente da alcune farmacie selezionate. Il paziente non deve trasgredire: se non compra i farmaci dove dice la Fondazione, se non sono prescritti dalla Fondazione, se presentano una minima differenza dalla cura, "la cura potrebbe non funzionare." Per chiarimenti sulla terapia, sulle somministrazioni, sulle dosi, si passa di qui, o da alcuni medici autorizzati e selezionati da lui stesso, o dalla Fondazione, che poi è sempre lui. Sui numeri, non si riesce a fare chiarezza: i medici che portano avanti la terapia sono molti e i pazienti sempre di più. Arriva la segretaria, copre la scrivania di fogli di "decine e decine di pubblicazioni su riviste internazionali, studi che documentano una sopravvivenza col metodo Di Bella dell'80 percento, e nei tumori del polmone in stadio tre e quattro un aumento dell'aspettativa di vita del 270 percento." Dati che la comunità scientifica continua a ignorare volontariamente. Ma se la legge non rende automaticamente illegale una terapia che non funziona, resta la questione etica: se il processo di sperimentazione è fallito, e anzi molti casi hanno dimostrato un avanzamento della malattia, morte, tossicità, e il metodo è stato inserito nella casella 'metodi inefficaci'—dove sta il confine etico per continuare a usare le cure? Sembra che su quel lato ci sia un po' di impasse: secondo Di Bella solo chi non vuole vedere—i politici prima di tutto—non si fida del suo metodo: "Se una cosa è vera noi medici dobbiamo prenderla in considerazione e usarla come necessario." Ovviamente, affidarsi a una supposta "verità" non è poi così semplice, soprattutto in campo medico, e ancora di più quando si parla del cancro, una malattia che si è provata, per ora, praticamente imbattibile—al massimo contenibile. E quando manca una terapia imbattibile, la fallibilità della scienza presta il fianco al prosperare di terapie alternative, e tutte, ci puoi scommettere, proclamano di avere in mano la verità. Negli anni Sessanta Liborio Bonifacio era un veterinario di Montallegro. Era convinto che le capre non si ammalassero di cancro e per questo ha deciso di distillare un preparato ricavato da feci di capra e urina di capra, aggiungendo un terzo di acqua, filtrata e sterilizzata. La gente ci credeva. Chiedo al dottor Di Bella se ha mai pensato a una possibile comparazione tra il suo metodo e quello delle capre di Bonifacio. "Certo, mi ricordo il siero di Bonifacio—però i nostri risultati sono veri. Di noi parlano in tutto il mondo. Il metodo Di Bella è riconosciuto ovunque, come confermano le pubblicazioni." Mi mostra Neuroendocrinology Letters, me ne mette in mano otto copie. È una rivista di cui fa parte come membro del board, ma è sicuro che questo non infici le conferme alla bontà della terapia che vengono dalle sue pagine. Negli anni Giuseppe ha partecipato a "congressi in tutto il mondo." In totale sono dieci, all'estero tre. San Marino, Singapore, l'ultimo a Dailan, in Cina, nel 2011. "Mi hanno chiesto di tenere un discorso, ho parlato davanti a 300 oncologi da tutto il mondo, ho ricevuto tantissimi apprezzamenti." La questione da porsi, al di là dell'esaltazione per la propria presunta scoperta, resta una: chi ci guadagna dal "curare" persone disperate con metodi non dimostrati e, a quanto ne sappiamo, assolutamente non funzionanti. Di Bella risponde, "se l'avessi fatto per i soldi non sarei qui" e si rifi uta di aggiungere altro. L'annuale BIT's World Cancer Congress si tiene da nove anni in Cina, e i relatori provengono da tutto il mondo. Alcuni relatori vengono invitati, ma basta presentarsi per tempo e pagare la quota d'iscrizione per avere uno spazio. Per verificarlo ci provo: sul sito c'è l'indirizzo e-mail di una certa Vicky, è a lei che occorre mandare nominativo, curriculum, abstract. Le scrivo e le dico che sono un ricercatore svizzero, e che vorrei venire in Cina per parlare di qualcosa di cui non ho la benché minima idea. Firmo tutto con uno pseudonimo buffo che non riporto perché un po' me ne vergogno, e aspetto. Al ritorno dalla Cina, nel 2011, Di Bella dichiarò: "Appena tornato a Bologna ho cercato, attraverso i miei consueti canali informativi, di portare all'attenzione della stampa nazionale il risultato ottenuto. Ho potuto constatare però un immediato e inaspettato blocco, attuato attraverso intimidazioni o censure, nei confronti di quei pochi giornalisti che generalmente erano disponibili a concedermi qualche spazio all'interno delle loro testate. Il messaggio ora è chiaro." Il giorno dopo sono a Milano e ho un appuntamento telefonico con Domenico Biscardi, che somministra la cura Di Bella da diversi anni, dopo essere stato, intorno al 2006, tra gli ultimi allievi di Giuseppe Di Bella. Biscardi ha 48 anni, è nato a Caserta e si è laureato in farmacia nel 2011. Attualmente vive in Serbia dove lavora in un centro di ricerca sulle cellule staminali, ma prima di trasferircisi è stato a Capo Verde, in Russia, Bielorussia e Ungheria, "dove mi hanno dato la possibilità di curare le persone come voglio." A quanto riporta, ha frequentato università a New York—sul suo curriculum online è riportata una laurea in medicina negli Stati Uniti—Palermo, Sofia e Napoli, ha fatto l'anatomopatologo all'Ospedale San Sebastiano di Caserta e il medico all'Ospedale Civile di Caserta. Sul suo profilo Facebook scrive anche di essere stato vice-ispettore di polizia a Roma, farmacista a Bologna, istruttore di body building e di arti marziali. A questo proposito, è un utilizzatore assiduo di social network: che usa per scopi personali quanto per parlare di case farmaceutiche e della lobby del potere medico-scientifico. Da un po' ha cominciato a guardare più in là del metodo standard. La sua terapia, rispetto al Metodo Di Bella, ha delle varianti, quelle che Biscardi chiama "evoluzioni". Oggi Domenico prescrive il suo metodo, lo chiama MDB ma non è il metodo del metodo Di Bella, l'omonimia è solo una coincidenza perché per puro caso le iniziali sono le stesse. Giuseppe Di Bella di questa cosa "un po' si lamenta," però non è colpa di nessuno. Biscardi dice di avere pazienti da tutto il mondo, Dubai, Arabia Saudita, Russia, Cina, tutte persone ricche perché le cliniche per cui lavora chiedono parecchio. Però Biscardi vuole mettere in chiaro che la sua terapia è per tutti, e così anche nel tempo libero lavora, gratis, per chi non si può permettere di affrontare le spese di una clinica privata. Questo è possibile anche grazie ai suoi metodi lavorativi, che cerca di mantenere il più fluidi possibile. Molti dei suoi pazienti sono italiani, ma non essendo abilitato a esercitare in patria, Biscardi li cura da Capo Verde, dove risiede, mandandoli a fare le analisi e poi tenendosi in contatto via internet, con l'invio telematico della terapia da seguire. Se le premesse umanitarie sono lodevoli (non si fa pagare, dice, "nemmeno un soldo perché a me mandare una mail non costa niente"), il risultato non si diversifica molto da quelli dell'originale Metodo Di Bella. Secondo lui oggi il cancro si è fatto più difficile da trattare, "tossine, tecnologia, inquinamento, metalli pesanti" contribuiscono a creare quei cosiddetti tumori artificiali che hanno bisogno di cure più efficaci. Oltretutto la medicina tradizionale non fa che peggiorare la situazione: finché la case farmaceutiche non lasceranno andare il monopolio delle cure, secondo Biscardi, non ci saranno che morti. Purtroppo—dice—oggi non esiste nulla che si può curare "con un unico farmaco." Personaggi come Veronesi—dice—hanno contribuito al successo di "farmaci inutili, che servono solo a far guadagnare le case farmaceutiche" e che alla fine "uccidono tutti, nessuno sopravvive." Biscardi parla spesso di Capo Verde, dove si è trasferito nel 2005. Oggi non ci vive ma ci va spesso perché la moglie Dilma è ancora lì. Fino al 2011 gestivano assieme una clinica a Murdeira, un paesino di 248 abitanti sul lato occidentale dell'isola di Sal, e i pazienti che ci arrivavano non erano ancora stati sottoposti a quei cicli di chemio e radio che, secondo sempre Biscardi, sono la causa di complicazioni e aggravarsi di condizioni dei pazienti. Capo Verde era così favorevole che Biscardi provò a portarci anche stamina, "io e Davide—Vannoni—provammo a trasferire il progetto lì, ma ci hanno massacrato, fi no a lì, le case farmaceutiche." Stiamo parlando da 27 minuti. "Di Bella non cura nulla, Gerson non cura nulla, Tullio nemmeno, Veronesi figuriamoci, con un po' meno di presunzione e un po' più di umanità, senza pensare a un'unica metodica come ho fatto io—io ti faccio guarire." Lo ringrazio, e metto giù frastornato: quello che per me è semplicemente assurdo, è per molte persone qualcosa a cui aggrapparsi. Il giorno dopo, in un programma mattutino sulla televisione di stato, la presentatrice invita a donare alla Fondazione Di Bella—il numero in sovrimpressione. Giuseppe Di Bella mi ha detto che la terapia del padre "mette in discussione i grandi interessi globali che ruotano attorno alle terapie oncologiche", che "il metodo delegittima questi circoli di potere", cancellandone "credibilità e prestigio." Domenico Biscardi l'ha messa sulla salvezza, dell'altro, dei poveri, dei malati. Ognuno è convinto delle sue verità, e i margini di discussione non sembrano importare né l'uno né l'altro, così cerco la persona che in qualche modo negli anni li li ha accomunati entrambi come bestia nera, l'oncologo. Lo studio di Umberto Veronesi all'Istituto Europeo di Oncologia è pieno di libri e targhe. Quando entro mi stringe la mano ed è incuriosito dal fatto che qualcuno parli ancora della terapia Di Bella. "Non funziona, la terapia non era costante, Luigi Di Bella dava a ogni paziente un farmaco un po' diverso." Nel 1998 Veronesi è stato al centro del dibattito sulla sperimentazione. "Mi chiamò Prodi, e mi disse 'Vai a vedere cosa diavolo succede,' perché c'era mezza rivoluzione, avevano assediato il ministero." Veronesi si ricorda dell'insistenza della gente, che confidava in Di Bella, e dello scetticismo della comunità medica, tra cui, ammette, proprio lui è stato uno dei più possibilisti. Molti invece non volevano nemmeno fare la sperimentazione, considerandola uno spreco di tempo e denaro. Tuttavia l'opinione dell'oncologo su Di Bella padre non è così negativa— "Ci credeva, pensava che fosse una ragionevole soluzione per terapie palliative:" insomma, Di Bella, a differenza del figlio, non aveva la convinzione di curare ma quella di contenere il danno. "Luigi Di Bella non si illudeva di guarire il cancro con un po' di pillole. Soprattutto, non gli interessava dei soldi, la sua era piuttosto una fissazione di tipo scientifico: aveva questa idea dell'ipofisi, e faceva ruotare tutto intorno a questo." Dietro all'illusoria efficacia su alcuni pazienti della cura Di Bella, c'è una legge del cancro: il decorso della malattia non è una linea retta ma è piuttosto fatto di una traiettoria curvilinea. Il MDB aveva "fortuna" su quei pazienti che si trovavano nella traiettoria discendente della curva—che, insomma, avrebbero comunque avuto un miglioramento fisiologico. È su questi casi di remissione temporanea che i Di Bella hanno basato la propria fortuna—"È il potere della fede, qualunque fede," dice. Poi, quando la malattia tornava alla carica, molti pazienti che erano stati dai Di Bella si sono rivolti alla medicina tradizionale, anche a Veronesi. Veronesi è agnostico, ma questo non gli impedisce di studiare tutto quello che aiuta le persone a tenere viva la speranza, "anche Lourdes, o Medjugorje hanno i loro effetti su persone disperate. La speranza è una componente importantissima della guarigione, fa parte di ogni cura." Ma quello che più di tutto voglio chiedere a una persona che ha passato 70 anni della sua vita a trattare persone con il cancro, è perché secondo lui—dopo anni di conferme dell'inefficacia della terapia, che il sistema sanitario non passa e ricade quindi totalmente sul paziente—le persone continuino ad affidarsi al metodo Di Bella. "È dovuto all'enorme carica psicologica a cui sono sottoposti i pazienti tumorali," che si ritrovano così disposti a sopportare qualunque costo, "anche economico, per trovare un sollievo." Quando gli chiedo se la legge non dovrebbe, a suo giudizio, impedire che terapie direttamente o indirettamente lesive della salute del paziente venissero messe in atto, mi risponde di no. "Si possono provare tutte le terapie del mondo, anche quelle di pura fantasia, perché la legge ci lascia," e qui mi fa intendere di essere d'accordo, "la libertà di farlo, a chi le propone e al paziente." Ringrazio, e lascio l'istituto. Sto pensando a tutti quelli con cui ho parlato, e cerco di mettere assieme i pezzi delle convinzioni di ognuno. Poi mi arriva una e-mail. È Vicky, da Shanghai. È passata una settimana da quando le ho scritto. Mi dice che hanno preso in considerazione la mia ricerca, ma che purtroppo i tempi non sono dalla nostra parte e che hanno già pubblicato le presentazioni dell'edizione 2016 del BIT's World Cancer Congress. Però si augura che voglia portare avanti il mio progetto (di scarso, se non totalmente nullo, valore scientifico—ma questo Vicky non lo dice). Vuole che l'anno prossimo mi rifaccia vivo. Se invierò tutto in tempo mi potrebbero assegnare un talk di venti minuti. Basterà pagare 1549 dollari, poco più di 67 euro al minuto. La medicina alternativa in convegno al Senato "Vergogna pubblicizzare rimedi antiscientifici"
Il prossimo 29 settembre Palazzo Madama ospita un incontro per promuovere le terapie "non convenzionali" e farle accedere al Sistema Sanitario nazionale. Tra le proteste del Cicap e del mondo scientifico. E tra i relatori il medico antivaccini, scrive Fabio Grandinetti il 20 settembre 2016 su “L’Espresso”. Un trattamento di Ayush terapia nel centro di Bombay" Le Medicine Tradizionali, Complementari e Non Convenzionali nel Servizio Sanitario Nazionale per l’uguaglianza dei diritti di salute". È questo il titolo del convegno in programma il 29 settembre in Senato, promosso dal senatore Maurizio Romani, omeopata toscano espulso dal M5S e attualmente vicepresidente in commissione Sanità a Palazzo Madama. Un appuntamento contestato dal Cicap (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze, fondato nel 1989 su iniziativa di Piero Angela e di un gruppo di scienziati) che reputa inappropriata la sede istituzionale per un evento a favore di pratiche mediche senza alcun fondamento scientifico. Un appello, quello del Cicap, raccolto dal presidente dell'Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi, secondo cui «promuovere cure antiscientifiche significa fare un’operazione culturale che va in direzione contraria alla costruzione di un sistema sanitario equo e sostenibile, basato su terapie e metodi di provata efficacia». «Nella presentazione del simposio – dice Andrea Ferrero, membro del consiglio direttivo del Cicap – si parla esplicitamente di dare spazio alle medicine alternative nel Sistema sanitario nazionale, con il pretesto di ridurre i costi diretti e indiretti. In realtà verrebbero sprecate risorse pubbliche in medicine senza fondamento scientifico. Tra le pratiche presenti nel programma del convegno, l’unica ad aver dato chiari risultati sperimentali positivi, pur con alcune limitazioni, è la fitoterapia. Si parlerà anche della ayurveda (medicina tradizionale indiana, ndr) che è una pratica antiscientifica. La nostra segnalazione non si fonda su motivazioni ideologiche. Non siamo contrari alle medicine alternative, ma ci opponiamo alla destinazione di risorse pubbliche in pratiche inefficaci». «Non diciamo a un malato di tumore che non deve fare la chemioterapia – risponde Maurizio Romani, attualmente nel gruppo Idv al Senato –, ma suggeriamo farmaci alternativi per sopportare le cure. Casi di bufale come Stamina possono durare uno o due anni. Di omeopatia, invece, si parla da decenni. L'Agenzia italiana del farmaco registra farmaci alternativi dagli anni '90. E parla di farmaci, non di rimedi, perché riconosce queste terapie. Ma ancora non abbiamo una legge. Per questo abbiamo pensato al convegno». L'obiettivo, quindi, è arrivare a una legge, magari il testo unificato che comprenda un disegno di legge del 2013, di cui Romani è firmatario, e altri progetti legislativi depositati nelle precedenti legislature. «In Europa ci sono 145 mila medici con formazione complementare – prosegue il senatore –; in Italia sono 2 mila, per 11 milioni di pazienti. È un obbligo per gli Stati membri normare su queste medicine per informare i consumatori». Secondo il Cicap, invece, il convegno del 29 settembre è riconducibile a un gruppo di pressione ben identificato: «Non è un caso isolato – spiega Andrea Ferrero –: lo scorso anno il presidente di Omeoimprese, Giovanni Gorga, pubblicò il libro "Elogio della omeopatia" con la prefazione del ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Abbiamo segnalato l'accaduto, raccolto firme e scritto una lettera aperta al ministro. Alla fine l'autore ha annunciato che la prefazione non era stata autorizzata e l'ha esclusa dalle ristampe. Alcune regioni, tra cui il Piemonte e la Toscana, inoltre, stanno regolamentando le medicine alternative in leggi regionali. È in corso una chiara attività di lobby». Accuse respinte da Romani. Per lui la medicina alternativa non è solo "effetto placebo", ma esistono ricerche a sostegno di queste cure: «L'Oms ha realizzato uno studio renderizzato e controllato sui dolori cervicali – racconta – con valutazioni economiche oltre che mediche: il miglioramento con le terapie manuali è superiore rispetto ai trattamenti di fisioterapia e medicina generale, e i costi sono decisamente inferiori. Nei pazienti in cura presso medici con formazione complementare si riscontrano costi più bassi (meno farmaci e ricoveri) e minori tassi di mortalità. Ovviamente esistono anche imbecilli in questo settore, come ce ne sono in altri». La polemica non riguarda solo la sede e i contenuti del convegno, ma anche i partecipanti. «Tra i relatori del convegno c'è Roberto Gava – denuncia Andrea Ferrero –, un medico contrario ai vaccini. È paradossale che mentre il Ministero della Salute fa campagne per la vaccinazione, una delle più alte istituzioni pubbliche come il Senato ospiti un convegno del genere». «Parteciperanno anche personalità contrarie alla medicina alternativa – si difende Romani –. Il dottore Gava è un ottimo pediatra. Personalmente non sono contrario ai vaccini, ma penso che i metodi di somministrazione siano sbagliati e rispondano principalmente a logiche economiche: non si possono sottoporre bambini di due mesi, in allattamento e con un sistema immunitario in evoluzione, a sei vaccini contemporaneamente solo per risparmiare». Il comitato contro le pseudoscienze, riferendosi al senatore omeopata fermo a due esami dalla specializzazione in immunologia, parla di «chiaro conflitto d'interessi». «Ho 62 anni e non ho bisogno di guadagnarmi da vivere – dice lui –. Anzi, avrei da lucrare se rimanessimo senza una legge. Sono entrato in Senato con il M5S senza lobby alle spalle. Poi sono stato espulso e ne sono felice perché non ho padroni. L'industria del farmaco alternativo in Italia produce un fatturato di 300 milioni di euro l'anno. Vogliamo parlare di quanto fattura chi produce i vaccini per l'epatite? C'è un enorme conflitto di interessi, è vero, perché difendo con i denti la lobby dei pazienti». Aggiornamento ore 16.00 di mercoledì 21 settembre. La replica del presidente di Omeoimprese, Giovanni Gorga, in merito al caso della prefazione del ministro Beatrice Lorenzin.
"Quella prefazione del ministro Lorenzin. A un anno dall’uscita del mio libro "Elogio all’omeopatia" per Cairo Editore, ancora vengo chiamato in causa per la prefazione del ministro Lorenzin, poche righe, assolutamente neutre, che hanno innescato una campagna denigratoria e ingiustificata nei miei confronti e nei confronti del settore. Nonostante abbia più volte chiarito l’accaduto il Cicap, probabilmente in malafede, continua a parlare di prefazione "non autorizzata" inducendo ambiguità e mettendo in dubbio la mia onestà e onorabilità. E lo fa anche nell’articolo pubblicato da L’Espresso "La medicina alternativa in convegno al Senato: vergogna pubblicizzare rimedi antiscientifici". La prefazione a firma del Ministro della Salute mi è stata regolarmente inviata dagli uffici del Ministero e solo dopo la pubblicazione del libro mi è stato comunicato che il testo mi era in realtà stato inviato a seguito ad un errore imputabile agli uffici del Dicastero. Oggi il volume è ancora disponibile nelle librerie così com’era stato pubblicato mentre è stata data la mia piena disponibilità, in fase di ristampa, a omettere la prefazione frutto di tante polemiche. Mi auguro di aver fatto chiarezza una volta per tutte. Giovanni Gorga, Presidente Omeoimprese".
LA CURA UFFICIALE.
A sostegno della linea medica ufficiale ed omologata, ci sono i giornalisti abilitati ed omologati.
Viaggio tra le cure alternative contro il cancro. Dall’aloe al bicarbonato, dai ceci alla dieta vegana, le cure alternative alla chemioterapia hanno gruppi di folti sostenitori online. Ma basta consultare i siti degli enti scientifici per scoprire la validità e i rischi dei diversi metodi proposti, scrive Lidia Baratta il 6 Settembre 2016 su "L'Inkiesta". Morte di cancro dopo aver rifiutato la chemioterapia. È successo a pochi giorni di distanza a Eleonora Bottaro, 18 anni, malata di leucemia, e ad Alessandra Tosi, 34enne, colpita da un tumore al seno. Entrambe avevano detto no alle terapie tradizionali, affidandosi al metodo elaborato da Ryke Geerd Hamer, medico tedesco radiato dall’albo, convinto che i tumori abbiano un’origine psichica. La sua è una delle cure alternative contro il cancro più diffuse ed elogiate in forum, blog e gruppi Facebook. La Rete pullula di soluzioni pseudoscientifiche contro i tumori: in questi microcosmi online si trovano le più svariate teorie per combattere le cellule tumorali, dai poteri curativi del bicarbonato di sodio all’aloe, dal metodo Hamer alla terapia Gerson. Ryke Geerd Hamer, medico internista tedesco, ha elaborato la sua teoria dopo essersi ammalato di tumore al testicolo. L’anno prima il figlio Dirk era morto dopo esser stato colpito per errore da una pallottola sparata da Vittorio Emanuele di Savoia in Corsica. Hamer attribuì la comparsa del cancro allo shock dovuto alla morte del figlio. Da qui è nata la sua Nuova medicina germanica, alternativa alla medicina ufficiale, che Hamer vedeva come parte di una cospirazione ebraica per decimare i non ebrei. Nel 1986 venne prima radiato dall’ordine dei medici tedeschi, e poi più volte condannato per esercizio abusivo della professione e frode. La sua teoria si basa sull’idea secondo la quale ogni malattia è causata da un conflitto di tipo psichico, per cui la guarigione passa attraverso la risoluzione di quel conflitto. In Italia il gruppo Facebook Nuova Medicina Germanica di Ryke Geerd Hamer ha quasi 19mila membri (ma esistono anche numerosi gruppi satelliti con migliaia di fan). «La loro paura è che la gente inizi ad aprire gli occhi e addio guadagno», scrivono a proposito delle terapie ufficiali. «Perché non scrivono quanti muoiono di chemio e radio», aggiunge qualcun altro. Ma, come spiegano dall’Associazione italiana di ricerca sul cancro (Airc), il metodo non ha alcun fondamento scientifico, «e anzi contraddice molto di ciò che si sa essere dimostrato sul funzionamento del corpo umano e sullo sviluppo delle patologie tumorali». Inoltre, negando l’uso dei farmaci, provocherebbe nei pazienti che lo seguono «gravi ritardi nelle terapie trasformando così tumori curabili in forme incurabili». La Rete pullula di soluzioni pseudoscientifiche contro i tumori: in questi microcosmi online si trovano le più svariate teorie per combattere le cellule tumorali, dai poteri curativi del bicarbonato di sodio all’aloe, dal metodo Hamer alla terapia Gerson. Un altro nome noto tra i medici che hanno partorito cure alternative è quello di Tullio Simoncini, ex medico italiano, anche lui radiato dall’ordine, condannato per frode e omicidio colposo. La sua teoria è che il cancro sia causato da una reazione a un fungo, la Candida Albicans. E che, poiché il tumore crea intorno a sé un ambiente acido, per curare le infezioni bisogna usare soluzioni di bicarbonato di sodio. In Rete si trovano diversi gruppi e pagine a sostegno del metodo e articoli che ne spiegano l’efficacia. Mentre nella realtà non virtuale ci sono medici che propinano la teoria ai pazienti, anche nella variante “limone e bicarbonato”. Ma anche in questo caso l’Airc fa sapere che «nessuna ricerca scientifica ha dimostrato che il bicarbonato di sodio sia una cura efficace dei tumori umani». Anzi, «l’iniezione di bicarbonato per via endovenosa è estremamente pericolosa per gli organi sani». C’è anche, poi, chi sostiene il metodo Gerson, dal nome del medico Max Gerson, secondo il quale il cancro è il risultato di uno squilibrio metabolico provocato da un accumulo di sostanze tossiche. La cura proposta è la dieta vegana, con l’aggiunta di integratori vitaminici e clisteri di caffè per depurarsi. Nonostante la teoria si basi su presupposti non scientifici che potrebbero persino essere pericolosi per il paziente, in Italia ci sono medici che propongono ancora questa terapia e si organizzano persino seminari sul metodo. Mentre in Rete si trovano numerose pagine informazione alternativa che sostengono la dieta vegana per la cura del cancro, e anche i tutorial per realizzare i clisteri al caffè prescritti da Gerson. Tra i rimedi naturali proposti, ci sono anche l’aloe, la graviola (una pianta tropicale) e l’artemisia. Fino a quella che viene definita come “chemioterapia naturale”, che punta a un controllo dei livelli di vitamina D, e al metodo dell’armeno George Ashkar, che consiste nel porre un cece in una ferita autoprovocata, di modo che il legume assorba gli agenti cancerogeni. Si chiama metodo dell’assorbimento dell’infezione neutrale, che su Facebook ha un gruppo con oltre 1.800 adepti. Senza dimenticare la cura Di Bella, che fece scalpore in Italia alla fine degli anni Novanta. Il fisiologo siciliano, scomparso nel 2003, affermò di aver messo a punto un metodo di cura dei tumori alternativo alla chemioterapia, tramite la combinazione di diverse molecole. Ma, nonostante le numerose rivendicazioni di diverse guarigioni da parte di Di Bella e dei suoi eredi, l’Airc ricorda che anche per questa cura al momento non ci sono documentazioni scientifiche che dimostrano l’efficacia della terapia come cura contro il cancro. Ma, oltre a una fondazione che propone e diffonde il metodo, esistono sui social diversi gruppi sui quali chi segue le terapie o vorrebbe seguirle scambia informazioni e consigli. Un paziente, già provato da una diagnosi di cancro, come può districarsi in questo mondo di informazioni scientifiche e pseudoscientifiche? L’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) ha pubblicato un compendio di 20 pagine in cui descrive i rischi delle terapie cosiddette “alternative”. Che altro non è che la traduzione italiana di I’ve got nothing to lose by trying it, curata nel 2013 da Sense about Science, associazione inglese impegnata nella corretta informazione scientifica. Nell’opuscolo sono riportate anche diverse testimonianze di pazienti e le conseguenze vissute dopo aver provato una delle cure miracolose. Uno dei comandamenti è: “Diffidate di ogni trattamento propagandato come cura miracolosa: se sembra troppo bello per essere vero... probabilmente è perché non è vero”.
Su Stamina, vaccini e false cure contro il cancro, "Le Iene" sono anche peggio della Brigliadori. L'ex showgirl da diverso tempo propaganda teorie assurde e pseudocure pericolose. Ma queste false speranze sono esattamente ciò che in campo medico, e non solo, il programma televisivo ha diffuso per anni con servizi sensazionalistici, in cerca di qualche punto in più di share televisivo, scrive Luciano Capone il 5 Ottobre 2016 su “Il Foglio”. Il problema non è Eleonora Brigliadori, ma sono “Le Iene”. Nei giorni scorsi il programma d’intrattenimento televisivo ha denunciato le teorie pericolose e strampalate per guarire il cancro dell’ex show girl che invita ad abbandonare la “medicina ufficiale” per unguenti omeopatici e introspezione psicologica. Il servizio ha suscitato molto clamore perché l’ex presentatrice, impegnata con i suoi adepti in un rituale new age, ha aggredito fisicamente l’inviata delle Iene, che le ricordava come le sue teorie mettessero a rischio la vita delle persone malate. Purtroppo la Brigliadori, da diverso tempo, propaganda teorie assurde e pseudocure pericolose: è una sostenitrice della medicina antroposofica e dell’agricoltura biodinamica, è tra i volti più o meno noti che diffondono la bufala secondo cui i vaccini causano l’autismo ed è una sostenitrice della “Nuova medicina germanica”, teoria fondata da un medico radiato e latitante convinto che i tumori dipendano da un “conflitto” o trauma psicologico. Insomma tutta spazzatura scientifica, che però ha una sua diffusione nel variegato mondo complottista e soprattutto fa leva sulla disperazione e sulla sofferenza dei tanti malati che si aggrappano a chiunque prometta una guarigione. E queste false speranze sono esattamente ciò che in campo medico, e non solo, le Iene hanno diffuso per anni con servizi sensazionalistici, in cerca di qualche punto in più di share televisivo. Le Iene sono ricordate soprattutto per i servizi a favore del “metodo Stamina”, una terapia a base di cellule staminali priva di qualsiasi efficacia e validità scientifica, inventata in un sottoscala da uno scienziato della comunicazione. Per capire la differenza tra l’impatto della Brigliadori e quello delle Iene, bisogna forse ricordare che in seguito a quella campagna mediatica un autore di “comunicazione persuasiva” come Davide Vannoni divenne improvvisamente più credibile di scienziati come Michele De Luca dell’Università di Modena e Graziella Pellegrini del San Raffaele, i primi al mondo a produrre una cura efficace e scientificamente valida con le staminali. Si fatica a crederlo oggi, ma solo tre anni fa, in seguito alla pressione politico-mediatica innescata da quei servizi televisivi, il Parlamento ignorò le opinioni degli scienziati e si piegò alle chiacchiere dei ciarlatani. Prima del “metodo Stamina”, le Iene hanno dato credito alla falsa storia secondo la quale i vaccini sono all’origine dell’autismo. La stessa pericolosa teoria ribadita dalla Brigliadori, con l’aggravante – nel caso delle Iene – di un’esposizione più convincente. Non basta. Come la Brigliadori, le Iene hanno propagandato “cure naturali” contro il cancro. Sono andate fino a Cuba per magnificare le proprietà “antitumorali” del “veleno di scorpione”, intervistando un tassista cubano che parlava di un fantomatico “vaccino” contro i tumori inventato sull’isola. Le Iene si sono persino recate in una fattoria cubana, dove il medicamento “antitumorale” viene prodotto dall’inventore, un “artigiano locale allevatore di scorpioni”. Una storia che ricorda quella del “siero di Bonifacio”, l’estratto di pipì di capra spacciato come cura contro il cancro da un veterinario di Agropoli negli anni 60 (il padre di tutti i casi Stamina e Di Bella che sarebbero seguiti). Con i soliti servizi sensazionalistici e senza alcuna evidenza scientifica, ma basandosi soltanto sulle impressioni di alcuni pazienti, le Iene hanno diffuso l’idea che il tumore si possa guarire con una dieta vegana, come suggerito in un libro senza alcuna credibilità, “The China study”. L’autorità in oncologia interpellata era una nutrizionista e attivista vegana, presentata come medico del San Raffaele. Il servizio ebbe un tale impatto che il San Raffaele fu costretto a prendere le distanze dalla dottoressa – “L’Irccs San Raffaele osserva che non esiste alcuna dimostrazione del valore della dieta come terapia oncologica” – dopodiché la “dottoressa” si scoprì essere solo una consulente che si recava in ambulatorio ogni due settimane. Persino l’Airc (Associazione italiana per la ricerca sul cancro) si è sentita in dovere di smentire la bufala: “Le Iene hanno sostenuto che la dieta vegana può curare il cancro: un’affermazione che non ha alcun riscontro scientifico”. Le Iene hanno dedicato altri servizi a malattie rare, per alcune delle quali non si conoscono neppure le cause (come la Mcs), dando credito a cure senza validità scientifica in cliniche estere che speculano sui viaggi della speranza dei malati. “Raccontate cose con un linguaggio da piazza del paese, quando si sta parlando di malattie, di scienza e di drammi umani”, gridò ai microfoni della trasmissione, nel pieno della vicenda Stamina, il compianto Paolo Bianco, direttore del Laboratorio di cellule staminali della Sapienza di Roma. Il vero dramma è che allora le Iene consideravano Vannoni un luminare e trattavano le sfuriate del prof. Bianco come quelle della Brigliadori.
I Fatti. Brigliadori contro Le Iene: "Programma immondo, deve chiudere". A poche ore dalla messa in onda del servizio in cui l'ex conduttrice aggredisce Nadia Toffa, la Brigliadori risponde su facebook, scrive Marta Proietti, Lunedì 3/10/2016, su "Il Giornale". Nella prima puntata de Le Iene, andata in onda ieri sera, il servizio in cui Nadia Toffa viene aggredita da Eleonora Brigliadori è quello che ha fatto più scalpore. A far infuriare l'ex conduttrice televisiva sono state alcune domande della giornalista sui metodi per la cura del cancro professati e diffusi dalla stessa Brigliadori. La showgirl, non solo suggerisce ai malati di non sottoporti alla chemioterapia, ma segue il metodo Hamer, ex medico tedesco radiato dall’Albo nel 1981. Il sedicente dottore ritiene ci sia un collegamento tra l’insorgenza delle malattie e precisi squilibri psichici dei pazienti. La teoria, che non ha alcun fondamento scientifico, è stata elaborata da Hamer dopo la morte del figlio, ucciso nel 1978 nel corso di un incidente con un’arma da fuoco. L’anno dopo il medico fu colpito da un tumore al testicolo che attribuì al trauma provocatogli dalla morte del figlio. Alle domande della Toffa la reazione della Brigliadori è stata piuttosto violenta, come documentato dalle immagini mandate in onda nel corso della trasmissione. Ma l'ex conduttrice ha deciso di continuare la polemica anche sulla sua pagina facebook attaccando duramente la televisione: "Ho deciso di lasciare tutte le immondizie che la televisione, in modo particolare un programma pieno di cadaveri è capace di produrre, perché faccia da specchio a questa società sull'orlo del tracollo. Dedico questo bellissimo dipinto a tutte queste anime perse che vogliono augurare la morte agli altri esseri, che usano turpiloquio che mistificano la verità con l'arte del montaggio e con i doppiaggi, trasformando degli atti di generosità e di altruismo in qualcosa di assolutamente deformato". E ancora: "Mi auguro che chiuda presto questo programma immondo, perché quello che ha generato è visibile in questo momento sulla mia pagina che fino a pochi giorni fa era un luogo di incontro di condivisione e di informazione sana. Vi perdono anzitempo per la vostra incapacità di vedere oltre il vostro naso. Fatevi una domanda: come mai avete tutta questa rabbia in corpo? Forse perché avete paura di morire o perché con i loro veleni i medici vi hanno avvelenato anche lo spirito? E in che modo le mie parole potrebbero causare la vostra morte se siete così convinti che la chemioterapia sia una via sana? ".
Eleonora Brigliadori, nelle prime righe, fa riferimento ai numerosi messaggi di insulti che le stanno arrivando e che lei sta pubblicando sulla propria bacheca. Ma sempre in riferimento al programma di Italia 1 continua: "È facile far credere quello che si vuole quando si ha il coltello dalla parte del manico si registra e si monta quello che fa comodo per cercare di distruggere una persona nella sua integrità innanzitutto bisogna scindere ciò che io stavo facendo durante un seminario di euritmia dedicato a San Michele da tutta la questione del Cancro invece questi signori delle Iene nonostante la diffida hanno voluto confondere e far credere alla gente che questa avesse a che fare con la guarigione cosa che è falsa quindi mi hanno usato in un ruolo pedagogico attraverso l'insegnamento di un'arte come l'euritmia per fare cosa?".
QUELLO CHE NON SI DICE SUI TUMORI. «Attacchi ingiustificati alla chemioterapia, come ai vaccini. Serve solo più informazione». Il presidente degli oncologi, Carmine Pinto: «Oggi, grazie a cure sempre più efficaci, il 68% degli italiani cui viene diagnosticato un tumore sconfigge la malattia. La chemio non è più quella di 30 anni fa, non deve fare paura e controlliamo meglio gli effetti tossici», scrive Carmine Pinto, Presidente Nazionale AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), il 6 settembre 2016 su “Il Corriere della Sera”. Nel corso degli anni abbiamo assistito alla pericolosa diffusione di teorie pseudoscientifiche sulle cure miracolose del cancro: dal siero Bonifacio che prese il nome dal veterinario di Agropoli che usava le capre, allo squalene dei nostri giorni per cui la cartilagine di squalo funzionerebbe come una sorta di antidoto, al veleno dello scorpione cubano fino al metodo “Di Bella”. Nulla di nuovo quindi. L’attrazione per le cosiddette terapie “non convenzionali” è alimentata dal dolore e dalla disperazione causati dalla diagnosi di malattia e chi promuove queste teorie sfrutta la speranza dei malati e dei loro familiari. È inaccettabile che due giovani donne di 18 e 34 anni, come evidenziato negli episodi di cronaca di questi giorni, siano morte per aver scelto teorie prive totalmente di basi scientifiche. Oggi in Italia viviamo un’epoca di oscurantismo, di debolezza culturale, un “nuovo Medioevo” che non tocca solo l’Oncologia ma anche altre branche della Medicina. Basta pensare alla violenta campagna contro le vaccinazioni che trova nel web e nei social network i canali preferenziali. Si tratta di una tendenza molto grave, se pensiamo che queste misure di profilassi hanno consentito di debellare completamente malattie un tempo mortali come il morbillo. Internet non è controllabile, non filtra le notizie e troppo spesso attribuisce credito a messaggi fuorvianti. È compito di una società scientifica come AIOM sensibilizzare tutti i cittadini: la chemioterapia non è più quella di 30 anni fa, non deve più fare paura, sono disponibili farmaci efficaci e controlliamo meglio gli effetti tossici delle cure. Inoltre l’introduzione delle terapie target e dei nuovi farmaci immuno-oncologici ha cambiato in maniera importante le prospettive di cura e di sopravvivenza. Oggi non possiamo più parlare di male incurabile. Negli ultimi 15 anni le guarigioni degli italiani colpiti dal cancro sono aumentate in maniera significativa, oggi il 68% dei cittadini a cui vengono diagnosticati tumori frequenti sconfigge la malattia. Percentuali che raggiungono il 91% nella prostata e l’87% nel seno, le due neoplasie più diffuse fra gli uomini e le donne. Terapie innovative sempre più efficaci consentono ai pazienti di vivere a lungo, in alcuni casi più di 5 anni con una buona qualità di vita, anche se colpiti da patologie particolarmente aggressive come il melanoma avanzato che fino a pochi anni fa era caratterizzato da una sopravvivenza di 6-9 mesi. Più di 3 milioni di cittadini (il 4,9% della popolazione) vivono con una diagnosi di tumore. E circa due milioni persone possono affermare di avere sconfitto la malattia. Nel rispetto della scelte del paziente i clinici devono lavorare per fornire corrette informazioni, sapendo ascoltare i bisogni, le speranze e le paure del malato. È necessario anche disporre degli strumenti per leggere correttamente le notizie. Uno studio pubblicato in questo mese sulla rivista Lancet Oncology ha lanciato l’allarme sulla nocività della chemioterapia che in alcuni ospedali inglesi avrebbe provocato la morte anche del 50% dei pazienti dopo 30 giorni. Questi risultati in realtà non mettono sotto accusa e demonizzano la chemioterapia, ma se da una parte confermano le criticità dell’assistenza oncologica in Gran Bretagna che presenta i tassi di sopravvivenza per tumore più bassi dell’Europa Occidentale, dall’altra dimostrano ancora una volta che un’adeguata scelta e gestione delle terapie oncologiche ed in particolare della chemioterapia può avvenire in Oncologia Medica, con operatori formati e costantemente aggiornati che conoscono strategie di cura, efficacia e tossicità dei farmaci e soprattutto il malato oncologico nella sua globalità.
Quanti stecchiti dalla chemio. E dai giornalisti ignoranti, scrive Maurizio Blondet il 7 settembre 2016. Il Lancet, una delle più stimate riviste mediche, “Giorni fa ha pubblicato un lavoro firmato dal Public Health England e Cancer Research Uk, condotto su 23,000 donne con cancro al seno e circa 10.000 uomini con carcinoma polmonare non a piccole cellule: 9.634 sono stati sottoposti a chemioterapia nel 2014 e 1.383 sono morti entro 30 giorni. «L’indagine ha rilevato che in Inghilterra circa l’8,4% dei pazienti con cancro del polmone e il 2,4% di quelli affetti da tumore del seno sono deceduti entro un mese dall’avvio del trattamento. Ma in alcuni ospedali la percentuale è di molto superiore alla media riscontrata. «Ad esempio, in quello di Milton Keynes il tasso di mortalità per chemioterapia contro il carcinoma polmonare è risultata addirittura del 50,9%. …. Al Lancashire Teaching Hospitals il tasso di mortalità a 30 giorni è risultato del 28%». «Per la prima volta i ricercatori hanno esaminato il numero di malati deceduti entro 30 giorni dall’inizio della chemioterapia, cosa che indica che i medicinali hanno provocato la loro morte, piuttosto che il cancro».
Ho copiato e incollato da “Senza Nubi”, sito del professor Sandro Carlo Mela. Che è stato docente di medicina interna all’Università di Genova, ha avuto diversi incarichi scientifici al CNR, è co-autore di 583 pubblicazioni scientifiche, delle quali 212 su riviste internazionali, con 1823 citazioni da riviste internazionali. Suo anche il commento che segue: “È notevole che siano stati proprio il Public Health England ed il Cancer Research Uk a sentire il bisogno di rivedere criticamente il proprio operato, raccogliendo una casistica imponente e traendone infine le conseguenze. Ci si pensi bene. Questa è l’essenza della metodologia scientifica. Fare ipotesi. Verificarle. Accettarle se i fatti le corroborino e rigettarle se i fatti le contraddicano. Quanto è duro accettare che i fatti smentiscano le teorie!”. Poiché il professor Mela è scienziato e scrittore elegante, penso questo sia stato il suo modo di intervenire nella canea giornalistica innescata da un caso di cronaca. Regolarmente riportato dai media in questi termini: “I genitori rifiutano la chemio, lei muore a 18 anni di leucemia”. Naturalmente accusando i genitori di aver ammazzato la figlia perché credono a ciarlatani (“il dottor Hamer”), ché se invece avessero portato la figlia dal celebre professor Veronesi, che l’avrebbe sottoposta alla chemio, la fanciulla sarebbe ancora viva. A Veronesi nessun giornalista ha mai chiesto conto di quanti, nella sua lunga carriera, ne ha ammazzati con la chemio. I lavori dei due importanti istituti sanitari pubblici inglesi, riportati da Mela, dimostrano che c’è una percentuale da alta a ragguardevole di pazienti che viene addirittura stecchita dalla chemio. Nei primi trenta giorni dal trattamento. I giornalisti soprattutto, hanno colto il caso o i due casi di cronaca per lanciarsi in una battaglia morale: non solo contro di due genitori che hanno accusato di aver ucciso la figlia, ma in genere contro la diffidenza della “gente” contro tutto ciò che è scientifico, o anche solo ufficiale: c’è chi ha messo la diffidenza generale del pubblico per la chemio sullo stesso piano del “il rigetto dei partiti”; il rifiuto delle vaccinazioni alla stessa stregua del di un rigetto anarchico e cieco verso ogni autorità; il discredito verso “il celebre oncologo Veronesi” alla stessa stregua del “populismo” che “abbiamo visto emergere anche nelle elezioni in Germania”. Insomma vedono, i giornalisti, un rigurgito di passatismo, oscurantismo e pensiero magico, un ritorno al Medioevo, che si sentono in dovere di combattere con l’ironia dei loro Lumi. Invocando anche i giudici, se occorre, perché sottraggano la patria potestà dei genitori anti-chemio e affidino i figli malati per forza pubblica a Veronesi e alla sua terapia citotossica con metalli pesanti ed iprite; la libertà dei pazienti non è accettabile, se essa sfocia in superstizione e cure con vitamina C o veleno di scorpione. Il problema è la quantità di Lumi in possesso di detto giornalisti. Nell’ascoltare Radio 24, mi è capitato di ascoltare – per esempio – che per alcuni di qui valorosi redattori, la funzione di insetti impollinatori era una scoperta recentissima, dovuta alla lettura di qualche articolo sulla sparizione delle api che mette in pericolosa produzione di frutta. Alcuni erano persino increduli del processo, “finalmente anche i più testoni di noi l’hanno capito”, ha detto giulivo un giornalista. Sentito con le mie orecchie. Ora, la meravigliosa simbiosi fra le api e gli alberi da frutta è una nozione che dovrebbe essere nota già dalle elementari. Anche giornalisti radiofonici (che si ammette siano di qualche tacca sotto i colleghi “della carta stampata”) dovrebbero saperlo. A cosa serve, sapere la funzione impollinatrice, se si è giornalisti economici o dello spettacolo? Serve: è un elemento di quella che si chiama “cultura generale”, senza la quale, sfuggono le complessità del discorso scientifico. Infatti costoro, nella missione che si era dati di condannare la famigli che aveva sottratto la figlia alla chemio, e per estensione- – la loro battaglia contro “il populismo”, han rimbeccato i lettori con argomenti di mera fede: bisogna credere a Veronesi, perché egli è famoso, e rappresenta la Scienza. Nel caso, essi non sono in grado di informarsi. Ignorano che su questi temi, è utile consultare come fonte il sito del National Cancer Institute (fondato da Nixon nel ’71 per ‘sconfiggere il cancro’, e che il cancro ha sconfitto – reca onestamente tutti i dati, lo stato dell’arte della ricerca, e avverte che nessuno dei trattamenti che indica uno per uno può essere definito “cura del cancro”). Invece i media italiani hanno dato spazio al Veronesi che ha detto e ripetuto: “Il cancro non è più una malattia incurabile, e le moderne terapie possono salvare la vita”. Affermazione, così come espressa, menzognera. Gli oncologi parlano di “sopravvivenza a cinque anni” del malato trattato con la chemio, che è cosa molto meno ambiziosa che guarigione. A proposito del caso dei genitori che hanno evitato alla ragazza la chemio, qualche giornalista ha tirato fuori che la cosa era particolarmente colpevole, perché con la chemio c’è, nel caso, una sopravvivenza del 63 per cento. E’ già un miglioramento rispetto al 50% (di sopravvivenza a 5 ani) vantato fino ad alcuni anni fa. Ma come e dove si ottengono queste percentuali? L’ha spiegato il dottor Francesco Bottaccioni membro dell’Accademia delle scienze di New York, docente di psico-oncologia alla Sapienza (cito da Cancro SpA di Marcello Pamio): “Il 50% di cui parlano gli oncologi non è effettivamente la metà del numero dei malati, come si è indotti a credere, ma la media delle varie percentuali di guarigione dei diversi tipi di cancro. Per capirci: si somma, ad esempio, l’87% di guarigione del cancro del testicolo con il 10-12 di quella del polmone e si fa la media delle percentuali di guarigione, senza calcolare che i malati di carcinoma al testicolo sono 2 mila l’anno, mentre le persone che si ammalano di tumore al polmone sono attorno alle 40 mila”. Ora, chiunque vede che questo è un metodo di conteggio disonesto, indegno di un settore che si dichiara “scientifico” e di una pretesa “scienza” chiamata oncologia; un metodo truffaldino che giustifica ad abbondanza la diffidenza crescente dei pazienti, e autorizza i peggiori sospetti sui veri motivi per cui si continua ad imporre la “cura” chemioterapica. La triste verità è che la sopravvivenza a cinque anni nel caso, poniamo, di carcinoma del pancreas è il 2 percento. I l che significa che il 98 per cento dei pazienti sono morti. A cinque anni, sono trapassati il 90% dei malati di glioma cerebrale, l’80 per cento dei colpiti da melanoma maligno, il 92,5 per cento dei cancri polmonari; è scomparso il 98 per cento dei colpiti dal carcinoma del fegato, e il 100 per cento degli affetti da carcinoma della pleura. Si può dire che “il cancro oggi non è più una malattia incurabile”? E che i malati devono affidarsi ad occhi chiusi a Veronesi invece che ai “ciarlatani”? Non esistono statistiche sui pazienti di ciarlatani: c’è il fondato sospetto che i loro dati di sopravvivenza cinque anni sarebbero se non migliori, pari a quelle vantate dalle false statistiche degli oncologi. Infatti. E la prova è nella monumentale indagine clinica condotta da Dal Dipartimento di Oncologia Radiologica del Northern Sidney Cancer Center e pubblicato sul Journal of Clinical Oncology il dicembre 2004. E’ intitolato: “The Contribution of Cytotoxic Chemotherapy to 5-year Survival in Adult Malignancies”, ossia: Il contributo della terapia citotossica alla sopravvivenza nei cinque anni nei tumori maligni di adulti”. Uno studio colossale. Sono stati seguiti per 14 anni 155 mila pazienti americani ed australiani colpiti da tumore. Alla fin fine i ricercatori concludono che 3.306 di questi sopravvissuti a cinque anni possono ragionevolmente essere attribuiti alla chemio. 3,303 su 154.971 pazienti, significa un tasso di ‘guarigioni’ del 2,3 per cento in Australia e del 2,1 in Usa. A che scopo prescrivere – e obbligatoriamente – un medicinale che mette l’inferno nel corpo del paziente (come disse il professor Staudacher), per un tasso di guarigioni del 2 per cento? Qualunque cura di ciarlatano può vantare un 2%, se tenesse le statistiche dei suoi pazienti. La conclusione degli studiosi di Sidney infatti è questa: “…E’ chiaro che la chemioterapia citotossica dà solo un contributo minore alla sopravvivenza da cancro. Per continuare la prescrizione [gratuita nel servizio sanitario nazionale] di farmaci chemioterapici, si richiede con urgenza una rigorosa valutazione del rapporto fra costo ed efficacia e dell’impatto sulla qualità della vita”. Di fatto, sconsigliano il servizio sanitario nazionale di continuare a pagare per questi costosissimi “farmaci” che rendono miserabile la vita del paziente, e non fanno guarire. Chi ha pazienza di guardare le tabelle contenute nelle prime pagine dello studio, vedrà che anche la percentuale del 2.3 per cento di guarigioni a 5 anni con la chemio deve essere fortemente ridimensionata: dipende dal tipo di tumore. Vi sono tumori, al pancreas, alla milza, il melanoma – in cui la sopravvivenza è segnata da una lineetta orizzontale: significa zero. Nessun sopravvissuto, chemio o non chemio. La miglior efficacia della chemio viene attribuita per il cancro al testicolo, che come abbiamo visto è uno dei pochi di cui gli oncologi vantano una sopravvivenza dell’87% per cento. Il che significa che guarisce quasi sempre da sé. Lo studio australiano dà qui un tasso di sopravvivenza del 47%: si può dunque addirittura temere che la chemio peggiori il decorso di un tumore tutto sommato modestamente pericoloso. Ma naturalmente, bisogna consultare le fonti, saper cercare nella letteratura scientifica: cosa che evidentemente i genitori della ragazza morta hanno fatto – hanno rifiutato a ragion veduta la terapia letale – e che non hanno fatto i giornalisti illuministi senza cultura generale, che hanno accusato quella famiglia di omicidio, di irresponsabilità superstiziosa, e lanciato intimidazioni a tutti coloro (medici e pazienti) che tentato le terapie alternative, incitando i giudici ad incriminarli. Cosa che alcuni procuratori hanno pure fatto. I giornalisti non sanno e non vogliono consultare le fonti – primo dovere del giornalista. Si sono accontentati, nella loro battaglia contro l’Oscurantismo sanitario, a riportare come vangelo un articolo commissionato al professor Veronesi. Senza nemmeno rendersi conto che costui fa’ una confessione incriminante: “Bisogna liberare la chemioterapia dallo stigma di cura devastante, che fa paura più del cancro stesso. (…) Va detto che in passato è stata utilizzata in modo improprio e per molti anni è stata effettivamente prescritta a dosi altissime, senza alcuna considerazione per gli effetti che avrebbero avuto sul malato. “Allora vigeva in oncologia il principio del massimo trattamento tollerabile: si applicava in chirurgia, in radioterapia e in chemioterapia la dose (o l’amputazione) maggiore che il paziente potesse tollerare. […] Ma negli ultimi decenni è avvenuta una rivoluzione di pensiero per cui nella cura dei tumori si applica il principio del minimo trattamento efficace: si ricerca la dose più bassa o l’intervento più limitato in grado di assicurare l’efficacia oncologica. Così è sparita la chirurgia mutilante, la radioterapia ustionante e anche la chemio che devasta inutilmente l’organismo”. Veronesi dunque ammette: per decenni abbiamo dato dosi letali di sostanze velenose, alchilanti, metalli pesanti, radiazioni – ammazzando migliaia di pazienti, e devastandoli inutilmente. Adesso abbiamo imparato: quindi, cancerosi, venite a noi con fiducia. La ricerca citata dal professor Mela vi dice che ne ammazziamo solo l’8 per cento nei primi trenta giorni. In alcuni ospedali anche il 50%…Quanti ne ammazza il giornalismo presuntuosamente incompetente? Che scambia per razionalità la propria ignoranza, per progressismo il proprio superstizioso scientismo, basato sul “principio di autorità” più sbagliato? Urgono studi clinici e statistici. L’articolo Quanti stecchiti dalla chemio. E dai giornalisti ignoranti. È tratto da Blondet & Friends, che mette a disposizione gratuitamente gli articoli di Maurizio Blondet assieme ai suoi consigli di lettura.
La Rivincita di Di Bella – Studi confermano la validità dell'Acido Retinoico e Melatonina nella cura del cancro, scrive Riccardo Lautizi. La Melatonina usata da Di Bella già nel 1969, quando nessuno ne parlava e sapeva cosa fosse, oggi è oggetto di studio e ricerca dato che si sta scoprendo le sue incredibili capacità curative tanto che alcuni scienziati l’hanno chiamata la “Molecola dell’Immortalità”. Ebbene tanto le case farmaceutiche e i conservatori della classe medica italiana erano contro che nel 1996 ne vietarono la somministrazione. Le ragioni? Possiamo immaginarle, e dato che oggi si trova anche al supermercato possiamo di sicuro dire che non era per proteggere la nostra salute, anzi. Oggi chiunque può verificare sulla massima banca dati medico scientifica mondiale PUBMED l’enorme sviluppo della ricerca sulla melatonina con 20.908 pubblicazioni che documentano effetti rilevanti in patologie cardiocircolatorie, ematologiche, oncologiche, degenerative, immunitarie e tumorali. Per chi non sapesse la storia del Metodo Di Bella per la cura dei tumori deve sapere che è basato sul fatto che tutti gli organismi viventi possiedono sia i meccanismi responsabili della differenziazione e della crescita delle cellule tumorali, sia le difese per combattere lo sviluppo delle medesime. Insomma la formazione di cellule cancerose è tanto naturale quanto la loro eliminazione. La terapia del professor di bella, agendo sulle cellule sane e sul loro metabolismo e non direttamente sulle cellule tumorali, si propone di stimolare i meccanismi “naturali” di lotta dell’organismo e, attraverso questi, di produrre attorno ad ogni cellula “degenerata” un ambiente sfavorevole ed ostile per le sue funzioni vitali, siano esse di crescita che di riproduzione. Così facendo la terapia cerca di ridurre le capacità vitali e riproduttive della cellula malata impedendogli di crescere e di proliferare in maniera abnorme. Nel contempo favorisce la “maturazione strutturale” (invecchiamento) del tessuto tumorale aumentando pertanto le possibilità che le cellule anomale vadano incontro ad una precoce “apoptosi” e cioè alla morte naturale. Come puoi ben capire è un approccio diametralmente opposto alla chemioterapia che invece distrugge sia cellule sane che cellule malate, debilitando l’intero organismo. La cura Di Bella cerca proprio di rafforzare le naturali funzioni difensive del corpo e di sottrarre nutrimento alle cellule tumorali. Qualche giorno fa è stata pubblicata una ricerca pubblicata su Stem Cells International, sulle cellule staminali che documenta l’effetto differenziante – e dunque potenzialmente antitumorale – di due sostanze della terapia Di Bella: l’acido retinoico e la melatonina. Sono entrambe molecole particolari, tossiche per le cellule tumorali e vitali per quelle sane. Soddisfatto anche Giuseppe Di Bella, figlio di Luigi Di Bella e presidente dell’omonima Fondazione che ha finanziato la ricerca: “Si è avuta un’ulteriore conferma che l’acido retinoico esercita le più elevate proprietà differenzianti e che la melatonina ne amplifica l’effetto. È la piena conferma dell’intuizione di mio padre, che oltre 20 anni fa – in assenza di tecniche di biologia molecolare in grado di evidenziare i recettori nucleari dei retinoidi e della melatonina – ne aveva previsto non solo l’esistenza ma anche l’interazione, come documentato oggi”. Prosegue Di Bella: “Le altre due sostanze, l’acido ialuronico e l’acido butirrico, sono state scelte per la loro funzione di supporto: il primo (che ha recettori diffusamente espressi nelle cellule tumorali) veicola l’acido retinoico e la melatonina all’interno della cellula, mentre l’acido butirrico agisce come decompattatore del DNA consentendo agli agenti differenzianti (acido retinoico e melatonina) di interagire con le sequenze del DNA di cui regolano l’espressione genica”. Ma questo è solo l’ultimo studio di una serie di conferme che il Metodo Di Bella, prima bistrattato e ridicolizzato, sta ora avendo dal mondo scientifico. Luigi Di Bella prima di morire nel 2003 disse: «Prima o poi dovranno sbattere il muso contro la mia terapia». Ad esempio qualche tempo fa è stata pubblicata una ricerca sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences che dimostrava come l’acido retinoico fosse utile contro il cancro. Nell’abstract si concludeva dicendo: “le cellule neoplastiche vanno incontro all’autodistruzione, attraverso un processo di morte cellulare programmata definito apoptosi, sia in vitro sia in vivo”.
LA RICERCA.
Giuseppe Di Bella il 21/09/2016: le multinazionali manipolano la sanità e almeno il 50% dei dati medici è corrotto. In questi giorni è emersa in tutta la sua gravità l’estensione della corruzione delle istituzioni sanitarie prevalentemente oncologiche con 22 indagati. In Italia la lottizzazione politica della sanità si estende dal portantino al primario, essendo ogni ASL un centro di potere, una riserva di voti di scambio, clientelari, di consistenti fatturati. I rapporti con le multinazionali sono sempre più stretti. Uno degli aspetti globali più gravi è l’ormai noto e da più parti denunciato meccanismo con cui viene chiaramente manipolato dalle multinazionali l’Impact Factor (criterio di valutazione di una rivista scientifica, paragonabile al rating in finanza). Con queste stesse finalità è stata creata, un’entità dogmatica sovranazionale, la cosiddetta “Comunità scientifica”. E’ sufficiente leggere le dichiarazioni del Nobel per la medicina Scheckman, su riviste scientifiche ai primissimi posti dall’Impact Factor, come Science, ecc, egli… dichiara che “la ricerca in campo scientifico non è affatto libera ma in mano ad una cerchia ristretta” la cosiddetta “Comunità scientifica”. Il riferimento delle istituzionali sanitarie alla tanto celebrata “Comunità scientifica” è continuo, essa pontifica con giudizio infallibile, ma è ormai talmente inquinata, da aver falsificato almeno il 50% del dato scientifico. Questa realtà, è stata documentata da Richard Horton, caporedattore del Lancet, una delle più prestigiose riviste mondiali di medicina, che ha dichiarato: “Gran parte della letteratura scientifica, forse la metà, può essere dichiarata semplicemente falsa. La scienza ha preso una direzione verso il buio.”. Anche Marcia Angell, per 20 anni caporedattore di un’altra delle massime testate scientifiche internazionali, il New England Medical Journal (NEMJ), ha dichiarato: “Semplicemente, non è più possibile credere a gran parte della ricerca clinica che viene pubblicata”. Una dichiarazione da valutare con la massima attenzione, per la competenza, l’esperienza e la cultura, il livello scientifico della Prof Angel, che come Il Prof Horton, per anni ha revisionato la letteratura scientifica internazionale. Premi Nobel e caporedattori delle massime testate medico scientifiche mondiali non sono complottisti, ma le rare, forse ultime, voci che all’onestà intellettuale associano una grande cultura e rilevanti meriti scientifici. Una rilevante quantità di evidenze scientifiche, cioè di dati scientifici definitivamente acquisiti, certificati, incontestabili, non sono trasferiti nella clinica, non sono inseriti nei “prontuari”, nelle “linee guida”, nei “protocolli”. Per questo, malgrado una vastissima e autorevole letteratura dimostri quanto la proliferazione cellulare tumorale sia strettamente dipendente dall’interazione tra PRL (Prolattina) e GH (ormone della crescita), e da fattori di crescita GH dipendenti, né il suo antidoto naturale, la Somatostatina, né gli inibitori prolattinici, sono inseriti come antitumorali nei prontuari, in quanto produrrebbero se non un crollo, un grave ridimensionamento dei fatturati oncologici. Numerosi e documentati studi certificano l’efficacia antitumorale della somatostatina, in sinergismo con inibitori prolattinici, e altri componenti del Metodo Di Bella come Melatonina, soluzione di Retinoidi in Vitamina E e vitamina D3, che hanno un ruolo ed un’efficacia determinante e documentata nella terapia e in quella prevenzione dei tumori che non sanno e/o non vogliono attuare. Il programma di azzeramento della libertà del medico di prescrivere secondo le evidenze scientifiche sta ormai rapidamente concludendosi, come chiaramente evidenziato dal nuovo codice deontologico che blocca definitivamente la libertà di prescrivere secondo scienza e coscienza, penalizza gravemente ogni medico che non si attenga scrupolosamente ai loro dictat terapeutici, indipendentemente dai risultati ottenuti sul paziente, dando ampie coperture medico legali ai medici responsabili di eventi anche gravi, fino alla morte, se questi medici si sono attenuti al prontuario. Essendo ormai evidente questo disegno, stanno manifestandosi le prime reazioni: alcuni ordini dei medici, tra cui quello di Bologna, hanno respinto e contestato questa umiliazione della dignità del medico, e il sovvertimento del millenario codice etico di comportamento del medico. Questo disegno è completato dalla fine programmata della libertà di ricerca scientifica, codificata nel decreto legge N° 158 del 13 sett. 2012 e nella legge N° 189 del 8 nov. 2012. Sono previste gravissime sanzioni disciplinari e pecuniarie ai ricercatori che, come il Prof. Di Bella, senza il benestare di comitati etici, intraprendano studi clinici e ricerche scientifiche, anche se in autonomia e autofinanziati. In pratica con questi decreti è finita la libertà non solo di cura ma di ricerca. Hanno creato le condizioni per cui solo le multinazionali saranno autorizzare a finanziare studi clinici finalizzati alla registrazione di farmaci con procedure di cui si conoscono e sono stati denunciati gli espedienti e trucchi statistici per arrivare comunque alla registrazione e relativo fatturato (vedi denunce dei Prof Angell, Horton,e del Nobel Scheckmann ). I progressi ottenuti dal Prof. Di Bella nella cura dei tumori conosciuti dal pubblico, avevano portato nel 1997 e 98, ad una mobilitazione della gente. Sotto la pressione dell’opinione pubblica nel 1998, fu approvata la cosiddetta “legge Di Bella” (articolo 3, comma 2 D.L. n. 17 del 23 febbraio 98, conv. con modificazioni, dalla legge 8 aprile 1998, n. 94), che consentiva al medico di prescrivere al di fuori dei vincoli burocratici ministeriali secondo scienza e coscienza, in base alle evidenze scientifiche. La Legge Finanziaria 2007 (al comma796, lettera Z), ha abrogato questa disposizione di legge in base alla quale per 9 anni i medici hanno potuto prescrivere farmaci di cui esisteva un razionale d’impiego scientificamente testato, ma ignorato dalle commissioni ministeriali, eliminando la libertà e autonomia del medico sia come ricercatore che come clinico, e impedendo così la valorizzazione e il trasferimento nella terapia medica della ricerca scientifica. Giuseppe di Bella per Dionidream su “Curiosoty".
L’ATTUALE SISTEMA STA FINALMENTE GETTANDO LA MASCHERA, MOSTRANDO LA PROPRIA FACCIA, LA SUA VERA NATURA, Scrive "Italiano Sveglia" il 03/10/2016. La dittatura sinarchica continua a fare passi da gigante verso la fine di ogni libertà. “La libertà è partecipazione” cantava al mondo il grande Giorgio (Gaberscik) Gaber. Oggi dal cantautore toscano siamo passati ad un altro Giorgio, il romanziere-futurologo George Orwell, il quale nel suo fantaromanzo “1984” descrive magistralmente quello che sarebbe accaduto al mondo in un lontano futuro, cioè l’attuale presente. Nel suo libro infatti uno dei mantra più utilizzati dal Governo dittatoriale era “La libertà è schiavitù”! Guai ad essere individui liberi, troppo pericoloso, perché la libertà fa malissimo ed è schiavitù. Oggi è esattamente così: per il Sistema la libertà degli individui è peggio di un cancro da estirpare con ogni mezzo. Miliardi di persone che rappresentano la struttura portante della società, la base della piramide del potere, non sono viste dal vertice come esseri umani aventi diritti, ma piuttosto come semplici automi privi di anima, da usare per far andare avanti la struttura societaria, per mantenere quindi viva l’illusione ottica nella quale ci hanno fatto nascere e crescere. Macchine ovviamente senza alcun diritto e senza alcun valore. L’ultimo esempio, in questo caso da parte della dittatura medica, arriva con il documento della Federazione degli Ordini dei Medici (Fnomceo) sulle vaccinazioni pediatriche. Come mai si è scomodata addirittura la Casta delle Caste? Forse perché sta dilagando qualcosa di molto rischioso e assai contagioso e non mi riferisco al virus del morbillo o al batterio alla pertosse ma alla LIBERTA’. Sempre più genitori consapevoli infatti si stanno destando dal letargo e decidono di prendersi LORO la responsabilità della salute del PROPRIO figlio e non il medico vaccinatore delle ASL (che in caso di danni non risponde di nulla). Ecco qual è il vero problema: dalle ultime rivelazioni disponibili del 2014 in Italia i bambini vaccinati calano al ritmo di 5-10 mila ogni anno. Calano i malati, calano le vendite dei farmaci, calano gli affari. Questo è un meccanismo pericolosissimo per le lobbies del farmaco! Genitori che non delegano la salute del proprio figlio ad un medico che non hanno mai visto e che non conosce nulla della storia del loro bambino; non delegano il benessere del loro figlio ad un politico della Casta che ha votato una legge (voluta e imposta dai Poteri Forti) che obbliga la vaccinazione e infine non delegano la salute alle case farmaceutiche che vogliono le persone sempre più malate. Questi genitori incoscienti non sono bravi sudditi per cui vanno fermati. Ma come? Minacciare i genitori di ripercussioni? Questa opzione è stata passata al vaglio ma al momento (non è detto che un domani non venga messa in pratica) non è realizzabile. Impedire ai bambini non vaccinati di andare a scuola? Difficile perché si parla di scuola dell’obbligo, quindi diventa un po’ troppo complesso, anche se qualche povero in spirito in Emilia ha preso posizione vietando l’ingresso al nido per i non vaccinati (cosa questa vergognosamente illegittima e assolutamente illegale). Alla fine hanno scelto il male minore, bloccare e legare le mani dei loro associati: i medici! Così dice il segretario Luigi Conte: “sono già in corso e sono stati fatti procedimenti disciplinari per i medici che sconsigliano i vaccini. Si può arrivare anche alla radiazione”. L’inquisizione moderna in camice bianco avverte quindi platealmente e mediaticamente i propri soci: state molto attenti perché rischiate la radiazione! Parola dell’Ordine. Amen. Chiamarla strategia della tensione e del terrore è un semplice eufemismo…Sconsigliare la vaccinazione ai propri pazienti va oltre la violazione del codice deontologico e quindi si rischia la professione. Così minacciano a parole. Sarebbe bello vedere cosa farebbe il Sindacato se migliaia di medici obiettori sconsigliassero le vaccinazioni! La confusione sulla questione dei vaccini obbligatori in Italia sarebbe dovuta anche alla riforma del titolo V della Costituzione del 2001, che ha dato alle Regioni poteri sulle questioni della salute. Nel corso degli ultimi 15 anni alcune Regioni hanno attenuato (in Veneto sospeso) l’obbligatorietà di quattro vaccini in vigore a livello nazionale. “I medici – si legge nel documento riportato dai media mainstream – ricordano che secondo la Costituzione della Repubblica la tutela della salute dell’individuo rappresenta un interesse della collettività”. Sono bravissimi i medici della Casta a ricordarsi, quando serve (loro), della Costituzione (senza però citare un solo articolo), ma stranamente si sono dimenticati l’articolo 32 della Costituzione della Repubblica italiana (quella che l’attuale governo golpista vorrebbe ulteriormente ritoccare): “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario”. Ricordiamo a questi eredi di Ippocrate (il quale si è consumato a forza di girarsi e rigirarsi nella tomba) che nessuno ha mai scelto e votato, ma che si arrogano il diritto di decidere per 60 milioni di persone, ciò che sancisce la Costituzione: NESSUNO PUO’ ESSERE OBBLIGATO A UN TRATTAMENTO SANITARIO. I vaccini sono o non sono un trattamento sanitario obbligatorio? Certo che sì e uno anche tra i più rischiosi, visto che viene fatto a esseri viventi piccoli e indifesi! Inoltre visto l’articolo 1 del Codice di Norimberga (1946): “Il consenso volontario del soggetto umano è assolutamente essenziale (…) e prima di accettare una decisione affermativa da parte del soggetto dell’esperimento lo si debba portare a conoscenza della natura, durata, e di tutte le complicazioni e rischi che si possono aspettare e degli effetti sulla salute o la persona che gli possono derivare dal sottoporsi dell’esperimento”. Quale consenso informato viene fornito dai medici ai genitori prima di inoculare sostanze chimiche, virus attenuati, nanoparticelle, adiuvanti e conservanti vari (idrossido di alluminio, formaldeide ecc.) dichiaratamente tossici, nel corpicino del loro figlio di pochi giorni? Quali informazioni serie vengono fornite dal medico vaccinatore o dalle ASL ai genitori che volessero saperne di più? Vengono spiegati dettagliatamente gli eventuali rischi? Niente di tutto questo, perché l’Ordine dei medici afferma che i vaccini NON hanno NESSUN rischio per la salute dei neonati! NON ESISTE UN SOLO FARMACO PRIVO DI EFFETTI COLLATERALI. Nemmeno uno e questo nessun medico al mondo può negarlo! Quindi perché i vaccini non dovrebbero comportare dei rischi? Sono o non sono farmaci? Viene spiegato perfettamente dall’articolo 7 lettera A della Dichiarazione di Helsinki, firmata dall’Associazione Mondiale dei Medici: “nella pratica medica corrente e nella ricerca medica, la maggior parte delle procedure preventive, diagnostiche e terapeutiche implicano rischi e aggravi”. “La maggior parte delle procedure terapeutiche comporta rischi e aggravi” ha dichiarato l’Associazione Mondiale dei Medici. Rischi che in questo caso riguardano neonati di pochissime settimane…Infine, la cosa più inquietante del documento del Fnomceo è che i medici si rivolgono perentoriamente anche alla magistratura chiedendo di “favorire il superamento dell’evidente disallineamento tra scienza e diritto”. I medici dall’alto del loro scranno bacchettano tutti quei magistrati che si sono messi di traverso con le loro scomode sentenze. In pratica il diritto si è disallineato con la (loro) scienza e va riportato quanto prima dentro il (loro) recinto. Questi incoscienti di giudici devono recepire “nelle loro sentenze la metodologia dell’evidenza scientifica”. Come al solito si usa l“evidenza scientifica” o “evidence based”, per tappare la bocca a tutti. Cosa significa evidenza scientifica e quanto questa dipende dal paradigma e dai soldi investiti? Un esempio per tutti lo chiarirà: l’AMA, l’Associazione dei Medici Americani (il sindacato potente statunitense) ha negato per decine di anni il collegamento tra fumo e salute (cosa risaputa oggi anche dai bambini) e questo soltanto perché riceveva decine di milioni di dollari dalle lobbies del tabacco! Ecco cos’è l’evidenza scientifica! E’ il paradigma vigente che viene deciso dal più forte e influente: l’Industria del farmaco in questo caso. La storia viene scritta dai vincitori e i paradigmi scientifici dall’establishment. Il passato insegna però che anche i paradigmi crollano e quello che prima si riteneva “evidence based” oggi è finito nel cesso…Secondo il Fnmceo, i giudici non dovrebbero avere atteggiamenti tesi a “fomentare comportamenti scorretti e non compatibili con il vivere sociale”. Qui la denuncia è gravissima. Forse i medici della Casta dimenticano che le sentenze dei giudici si basano su complesse perizie mediche eseguite da loro colleghi specializzati in medicina legale! Da qui la minaccia di sollecitare il ministero e le autorità competenti a presentarsi in giudizio quando ci sono decisioni del giudice che mettono in relazione la vaccinazione con malattie come l’autismo. Avanti con le minacce. Vietatissimo parlare di collegamento tra vaccini e autismo. Quindi se anche esistono perizie fatte da medici legali che attestano senza ombra di dubbio il nesso causale tra inoculo vaccinale e autismo (o un altro danno grave), questo non si può e non si deve dire, per cui bisogna impedire alla magistratura di farlo. Punto e accapo. L’establishment non vuole sentir parlare di connessione tra autismo e vaccini, troppo rischioso per tutti, anche perché i vaccini sono obbligatori…Se per caso venisse fuori che tutti i bambini autistici (1 bambino ogni 60 nati negli States soffrirebbe di una sindrome autistica) sono stati danneggiati dallo Stato… Dio ce ne scampi e liberi. Meglio spostare l’attenzione altrove e dare la colpa a qualcun altro: alla genetica, al virus di turno, alla sfortuna o perché no anche al Padreterno nei Cieli. A tutti ma non toccate i vaccini! Poco importa se non si trova un solo bambino autistico che non sia stato vaccinato, oppure detto in altri termini tra i bambini non vaccinati è difficile trovare un bambino autistico. Quindi siamo arrivati al punto che la Casta dei camici bianchi impone alla Casta delle tuniche nere il silenzio stampa in tema di salute! I processi futuri chi li farà, l’imparziale e oggettivo sindacato Fnmceo? Se questa non è una dittatura mascherata da democrazia rappresentativa, quanto manca? Fonte: Italiano Sveglia
IL BUSINESS.
Kankropoli - la mafia del cancro. Il dossier che ha fatto esplodere il caso Di Bella di Alberto R. Mondini - A.R.P.C. Associazione per la Ricerca e la Prevenzione del Cancro. Meraviglioso! Non ho altre parole per descrivere questo capolavoro. Sull'argomento salute ho letto diversi libri, tutti, chi più chi meno scorrevoli e/o interessanti ma questo libro di Mondini mi ha colpito particolarmente sia per la semplicità, priva delle solite nomenclatura tecnico-scientifiche, ma soprattutto per l'immensa mole di informazioni che raccoglie. Documentazioni, testimonianze, interviste, ricerche che dimostrano senza ombra di dubbio e con prove inconfutabili l'esistenza di un establishment sanitario radicato e molto potente. Il dizionario definisce establishment come: "alta gerarchia di persone che difende la struttura tradizionale". Niente di più esatto. Una gerarchia, visto che stiamo parlando di cancro, composta dalle vette più alte della ricerca medica, delle multinazionali chimicofarmaceutiche che difende con tutti i mezzi leciti e non la ricerca ufficiale da qualsiasi "altra" ricerca pur se comprovata da risultati eccezionali e testimonianze ineccepibili. Questa voglia di proteggere gli interessi di pochi e le cattedre di altri, si scontra però con un grossissimo problema sociale: le persone continuano come non mai a morire di cancro! Dopo tutti questi anni di promesse, false illusioni, nuovi medicinali, ecc. qual è la situazione attuale? "I nostri vent'anni di guerra al cancro sono stati un fallimento su tutta la linea". Non sono le parole di un medico eretico come Di Bella ma di un certo John C.Balair, professore di epidemiologia e biostatistica alla Mc Gill University, uno dei massimi esperti di oncologia del mondo. Ma allora ci hanno preso in giro per anni e anni? Perché quelle lusinghiere dichiarazioni attraverso i media da parte dei luminari della scienza? Che sia per tutti quei centinaia di milioni di euro che ogni anno ricevono per la ricerca? Mentre loro pensano come investire tutti questi soldi, abbiamo da una parte tantissime persone che muoiono, dall'altro una folta schiera di ricercatori indipendenti che a proprie spese e molto spesso rischiando la galera e la carriera se non addirittura la vita propongono metodi alternativi, economici e molto semplici dai risultati eccezionali. Perché quasi nessuno conosce Ricercatori, con la erre maiuscola, come Alessiani, Bonifacio, Zora, Hamer, Pantellini, Gorgun, e molti altri? Medici che propongono ognuno una cura diversa, ma che avevano in comune l'amore per la ricerca, quella vera, e centinaia se non migliaia di testimonianze positive, di guarigioni incredibili, di casi senza speranza per la medicina ufficiale che "miracolosamente" regrediscono. Per tutto questo come sono stati trattati dalla "scienza"? Be', i più "fortunati" come per esempio Di Bella sono stati boicottati, messi alla gogna, derisi pubblicamente, altri come Alessiani sono stati minacciati di morte, oppure radiati dall'albo dei medici come è successo ad Hamer. Potrei continuare a lungo in questa carrellata, ma concludo battendo le mani a Mondini e ringraziandolo per essere riuscito a condensare in un libro tutte le ricerche e le disavventure di questi grandissimi scienziati, colpevoli di aver scoperto metodi semplici, indolori, naturali, e purtroppo economici che mettevano e mettono tuttora a repentaglio gli enormi interessi che si nascondono dietro le malattie "cosiddette incurabili".
"Kankropoli" - La mafia del cancro. Alcuni anni fa la straziante realtà del tumore si impose alla mia attenzione. Mi resi conto dell’immensità delle sofferenze fisiche e mentali provocate da questa malattia. Constatai, inoltre, l’inutilità e l’atrocità delle terapie correnti. Scoprii, cosa peggiore di tutte, che il tono emotivo dell’umanità di fronte al cancro non era disperazione, era sceso ancora più in basso, fino a una specie di rassegnata, impotente apatia. Così decisi di fondare l’ARPC (Associazione per la ricerca e la prevenzione del cancro) e, con questo strumento, di percorrere fino in fondo e a ogni costo la strada che avrebbe dovuto mettere fine alla malattia cancro. Ciò che ho scoperto in questi anni è un’incredibile, allucinante realtà che ha superato ogni mia previsione, congettura, sospetto, fantasia. Pertanto, in piena coscienza di tutti i pericoli e di tutte le responsabilità che tale atto comporta, ho deciso di rendere pubblico il materiale che ho raccolto. Queste sono le sconvolgenti conclusioni a cui portano i documenti contenuti in questo dossier (Kankropoli, la mafia del cancro, ARPC, Torino, 1997): Attualmente nella pratica corrente non viene usata alcuna terapia valida per i tumori. Esistono da anni efficaci ed economiche terapie e tecniche di diagnosi precoce ideate da geniali ricercatori spesso con scarsi mezzi economici. Esiste una precisa volontà intesa a impedire che esse vengano usate. Questa volontà viene attuata, contro questi ricercatori, con tutti i mezzi possibili, siano essi legali o illegali, quali indifferenza, privazione di fondi, calunnie, diffamazione, persecuzioni (queste sono le più usuali) professionali e giudiziarie, minacce di morte, omicidio. In queste azioni criminali sono coinvolte molte persone e organizzazioni che spesso ricoprono posti di potere, quali: uomini politici, magistrati, funzionari di forze di polizia, dirigenti di case farmaceutiche, alti funzionari statali della sanita`, medici, professori universitari, ricercatori, associazioni e tanti altri. Ovviamente la responsabilità di questi individui per questa situazione è ampiamente diversificata nei ruoli e nel grado. Alcuni di essi si prodigano attivamente con qualsiasi mezzo per mantenere l’attuale situazione di inguaribilità dei tumori perchè essa permette loro di usufruire di innumerevoli fonti di guadagno, tangenti comprese, che derivano dai vari aspetti con cui oggi si presenta quel colossale affare che è il cancro: la ricerca, la diagnosi, la terapia, le associazioni per la raccolta fondi, la produzione e la vendita di farmaci e di apparecchiature, gli ospedali, le università, il Servizio Sanitario Nazionale, ecc. Essi formano di fatto un’associazione a delinquere di dimensioni internazionali. Altri conoscono bene la situazione, ma tacciono per paura di perdere i loro privilegi. Infine altri ancora, (i più) credono che si stia facendo il massimo e il miglior sforzo per debellare questa malattia; pertanto assecondano e aiutano in completa fiducia cio` che viene imposto con segreta violenza. Da L’Immensa Balla della Ricerca sul Cancro
Alberto Mondini, Kankropoli, Recensione scritta da Mirror's Chest per DeBaser il 17 ottobre 2010. Umberto Veronesi una manciata d'anni fa dichiarò, dall'alto della sua incomparabile esperienza, che la via per sconfiggere il cancro si trova nella genetica. Niente "fattore ambientale", nessun fattore psicologico, l'inquinamento poi, un'invenzione bella e buona, sono soprattutto il basilico e la patata ad avere la maggior incidenza sulla salute delle persone: non ci vuole un genio per capire che in questo discorso c'è qualcosa di assolutamente perverso. Trovai quest'informazione per caso in uno spettacolo di Grillo (2005, beppegrillo.it, proiettato nella più casinara assemblea d'istituto di sempre), dove poi si spiega, neanche troppo velatamente, che i "timidi" riferimenti a quella che ormai è una realtà bella e buona erano stati taciuti per via di un lauto compenso fornitogli dalla FIAT, e quindi, citando American Beauty, "vendiamoci tutti l'anima e lavoriamo per Satana perché è più conveniente". Da lì in poi l'interesse per l'argomento scemò col tempo, sarà per la mia allora tenera età, sarà per la naturale inclinazione dell'uomo (naturale=indotta) alla pigrizia, fino a tempi relativamente recenti, in cui il tema della "malattia del secolo" è ritornato presente nella mia playlist quotidiana per un solo ed unico motivo: osservare come parenti, amici, conoscenti alla lontana e perfino vicini di casa da un giorno all'altro finiscono beatamente sotto terra. E se la pura esperienza personale può metterti seriamente alle strette per quanto riguarda dubbi, considerazioni e conflitti interiori, un libro del genere vi potrebbe letteralmente spolpare vivo dalla portata di informazioni che contiene. Citando l'incipit: "Cinque anni fa (1993) la straziante realtà del tumore si impose alla mia attenzione. Mi resi conto dell'immensa quantità di sofferenze fisiche e mentali provocate da questa malattia. Constatai l'inutilità e l'atrocità delle terapie correnti. Scoprii, cosa peggiore di tutte, che il tono emotivo dell'umanità di fronte al cancro non era di disperazione, era sceso ancora più in basso, fino ad una sorta di rassegnata, impotente apatia. Così decisi di fondare l'A.R.P.C. e, con questo strumento, di intervenire in prima persona per portare un contributo alla lotta contro i tumori. Non avendo legami con le case farmaceutiche, né con alcuna lobby o corporazione, avrei potuto agire liberamente e raccontare i fatti senza alcuna limitazione. Costi cancro nel 1998 in Italia (stimati per difetto): -Farmaci chemioterapici L. 40 mila miliardi - Tutto il resto (operazioni, esami, radioterapia, ricerca, ecc...) L. 40 mila miliardi - Totale L. 80 mila miliardi Moltiplicate queste cifre per il resto del mondo e otterrete somme paragonabili a quelle di una guerra planetaria. In questo tremendo affare sono coinvolte centinaia di migliaia di persone e potentissime organizzazioni internazionali. Pensate che rinuncerebbero facilmente ai loro lauti guadagni?" A buon intenditore poche parole, per tutti gli altri, dico solo che "Kancropoli" è un libro-inchiesta come pochi se ne sono visti negli ultimi anni sull'argomento, uno spietato resoconto su come morte, malattia, e di conseguenza cure medico-ospedaliere, trattamenti e investimenti rappresentino un business al pari di scarpe, macchine, frigoriferi, soltanto dal piccolo particolare di avere guadagni molto più lauti con entrate che raggiungono cifre da capogiro. Insomma, un business che va salvaguardato, preservato, tenuto sotto chiave e lontano da tutti quegli scienziati "cattivi" e le loro scoperte rivoluzionarie (e a basso costo) in grado di rivoluzionare in un baleno lo stesso concetto di malattia e salute. Esempi? Il semisconosciuto Alessiani, che riuscì a curare la moglie malata terminale attraverso una cura da lui stesso brevettata a costo pari allo zero, utilizzando humus e erbe particolari: su di lui ci sta una sentenza di morte da parte della procura Italiana. Il famosissimo Di Bella, radiato dall'albo, avvelenato diverse volte, che ha dovuto subire ritorsioni professionali, attentati, congiure belle e buone per aver scoperto una cura miracolosa contro tumori ed altre malattie attraverso la melanina. Per non parlare poi di S. Seçkiner Görgün, geniale medico Turco inventore tra l'altro di un cuore artificiale perfettamente funzionante da tipo 40 anni, o di "Albert", l'inventore del tanto miracoloso quanto sconosciuto BIOTRON, fino a tantissimi altri geni della medicina e della scienza consegnati all'anonimato più totale da un'elite invisibile che mangia sulla morte dei nostri cari e su milioni di altre persone in tutto il mondo. Non mi interessa se potrete pensarla come me o avere un'idea totalmente differente, le idee qui non c'entrano assolutamente niente, qui si parla di fatti, di dati, di interviste, di articoli, informazioni di un'importanza a dir poco vitale. Spegnete la televisione, fatevi un thé (stando attenti a che ci mettete dentro...) e dedicate una serata a questo libro, facilmente scaricabile in file .pdf a questo indirizzo.
La favola della ricerca sul cancro, scrive “Napoleta”. Sono ormai anni che siamo abituati al ripetersi di eventi gestiti da organizzazioni di ogni tipo per sostenere la tanta decantata ricerca sul cancro, la quale dovrebbe consentire di sconfiggere definitivamente in un futuro sempre più prossimo malattie come il cancro e il tumore. Ogni volta che sento di questi eventi, mi sembra di vivere nel mondo delle favole, alle quali tutti o quasi tutti credono senza un minimo di giudizio critico. Sarebbe sufficiente dare un'occhiata alle statistiche per vedere che da quando si fa ricerca sul cancro, non solo le malattie di questo tipo non sono diminuite affatto, ma sono aumentate in modo spaventoso quelle che già esistevano prima e ne sono venute fuori altre, anche queste in continuo aumento. Tali statistiche ovviamente non vengono mai mostrate, vengono tenute ben nascoste dalla mafia della Sanità italiana e internazionale, e quando si è costretti a tirarle fuori vengono alterate per fare in modo che la gente possa continuare a credere alla favola che un giorno il cancro sarà eliminato dalla lista delle malattie inguaribili che ci colpiscono. La favola non può che essere tale per ovvie ragioni. Il cancro e il tumore sono malattie che non vengono fuori per puro caso, ma sono causate principalmente dal modo in cui viviamo, mangiamo, respiriamo, pensiamo, ecc. In pratica, non si potrà mai eliminare tali malattie se continuiamo a inquinare l'aria che respiriamo, l'acqua che beviamo, il cibo che mangiamo, se continuiamo a nutrirci di alimenti tossici come la carne, i latticini e gli zuccheri, se continuiamo a vivere in modo esclusivamente materialistico, pensando solo ad accaparrare quanto più denaro possibile anche a costo di danneggiare il prossimo, se continuiamo a non capire che l'uomo vive in base al principio di semina e raccolta e che se continua a seminare male non può che raccogliere male, se continuiamo ad avere una fede cieca (ovvero non basata sull'esperienza personale) in un Essere Divino, alimentata semplicemente da religioni piene di regole e dogmi privi di ogni fondamento e utilità che servono solo a creare fedeli schiavi di istituzione di potere lontanissime dall'Essere Divino che dicono di rappresentare, se continuiamo a credere che l'uomo sia composto solo dal corpo fisico e ignoriamo gli altri corpi che lo compongono (il corpo astrale, quello eterico e l'ego), anch'essi fondamentali nel sorgere delle malattie, allora la favola della lotta al cancro resterà sempre una favola. Sostenere il business della ricerca sul cancro serve solo a far arricchire medici e scienziati ignoranti e senza scrupoli. Più mi rende conto di ciò con la mia esperienza personale, è più noto come viviamo davvero in un mondo della favole, per la creazione del quale i mezzi di informazione hanno un ruolo fondamentale. Tutto ciò che viene fuori da essi viene ingerito ormai acriticamente, si crede ormai davvero a tutto!! In occasione di questi eventi, ecco una serie di personaggi famosi della scienza, dello sport, dello spettacolo, e anche della cosiddetta cultura, che si impegnano come matti per sponsorizzarli, con quei visi contenti e allegri, che lasciano trasparire l'ignoramento della verità e l'illusione di aver fatto una buona azione per cui essere considerati grandi. L'evento che più mi viene alla mente è quello delle 30 ore per la vita, in cui una marea di personaggi dello spettacolo e della "cultura" si alternano raccontando in pratica 30 ore di favole. Ecco quindi una valanga di miliardi regalati alla mafia sanitaria, che può così continuare a fare i propri interessi anziché quelli di chi la sostiene. Mi chiedo perché tutti questi personaggi prima di fare una cosa del genere non si informano un po' su cosa stanno sostenendo, perché non danno un'occhiata alle statistiche, perché non vanno nei laboratori dove si fa ricerca per vedere le inutili atrocità alle quali sono sottoposti gli animali su cui vengono fatti gli esperimenti. È ovvio che se non lo fanno loro, che in teoria dovrebbero essere quelli più informati, figuriamoci se possono farlo coloro che in occasione di tali eventi fanno di tutto per acquistare una piantina, un sacco di arance, o un qualsiasi oggetto sfruttato per far soldi da destinare alla ricerca del nulla. Anche loro con le belle faccine allegre e contente, dopo averlo fatto se ne tornano nelle loro case mostrando a tutti il loro acquisto, raccontando la "grande" azione appena compiuta al primo che incontrano, magari spingendo anche lui a farlo, spesso regalandolo a qualche persona cara, e credendo con l'acquisto di aver contribuito ad un mondo migliore, che ovviamente non ci sarà mai. La vita non è una favola, è una gran cosa in cui niente avviene per caso e che noi non comprendiamo ormai più e comprenderemo sempre meno con il passare del tempo. Nell'articolo riportato di seguito, si può notare come le cose che ho detto non sono frutto di strane idee che vengono fuori dalla mia testa. Se è un medico di fama internazionale ad affermare che la ricerca sul cancro è stata fino ad oggi un completo fallimento, credo proprio che non possa che essere così. La mia unica speranza, e purtroppo credo resterà solo una speranza, è che sempre più gente si renda conto della verità, si svegli dal mondo dei sogni in cui vive, e smetta di sostenere una cosa meschina come la ricerca sul cancro.
La ricerca ufficiale sul cancro. Tratto da Kankropoli di Alberto Mondini. Iniziamo a vedere cosa realmente viene fatto a chi OGGI si ammala di cancro. Nella stragrande maggioranza dei casi si usano, dove è possibile, unicamente tre metodi: l'asportazione chirurgica, la chemioterapia e l'irradiazione. Il primo rimedio è del tutto inutile, perché il tumore non è che lo stadio finale e più visibile di una situazione patologica che coinvolge tutto l'organismo. Per tanto, dopo l'asportazione, la recidiva è quasi la regola, in quanto le difese immunitarie del paziente saranno ulteriormente indebolite dal trauma delle ferite, dall'intossicazione dell'anestesia, dagli antibiotici e dagli altri medicinali. Gli altri due metodi si basano sul fatto che le cellule cancerose sono più deboli di quelle sane, pertanto, sotto l'azione di veleni o di radiazioni ionizzanti, sono le prime a morire. Questa constatazione porta però a una delle pratiche più insensate della storia della medicina: avvelenare ed irradiare il paziente per guarirlo! Anche la persona meno informata, riesce a comprendere che guarigione significa miglioramento della salute. Nessuno pensa che l'inquinamento, gli esperimenti atomici o l'incidente di Chernobyl siano i provvidenziali vantaggi dei nostri tempi per mantenerci sani. Nei fatti, anche con la chemioterapia e l'irradiazione, dopo un iniziale, apparente successo, il malato, con il sistema immunitario massacrato, indebolito nel corpo e nella mente, svilupperà generalmente in breve tempo un nuovo tumore, questa volta ancor più difficile da curare. Eppure, specialmente negli ultimi mesi, in occasione dei vari dibattiti sulla cura Di Bella, avrete sentito fior di luminari, illustri primari, grandi ricercatori, sostenere che le critiche alle attuali terapie oncologiche non hanno ragione di esistere, che la medicina ha fatto enormi passi in avanti, che le percentuali di guarigione sono già nell'ordine del 50% e che tale percentuale è in fase di crescita. In conclusione, la medicina sta facendo il proprio dovere ed i soldi assegnati alla ricerca hanno dato i frutti sperati. Vediamo ora quali sono, in realtà, i grandi progressi che da alcuni anni la scienza sta compiendo nel campo della lotta ai tumori. Riunione del settembre 1994 del President's Cancer Panel: "Tutto sommato, i resoconti sui grandi successi contro il cancro, devono essere messi a confronto con questi dati" aveva detto Balair, indicando un semplice grafico che mostrava un netto e continuo aumento della mortalità per cancro negli Stati Uniti dal 1950 al 1990. "Torno a concludere, come feci sette anni fa, che i nostri vent'anni di guerra al cancro sono stati un fallimento su tutta la linea. Grazie". Chi è questo personaggio che esprime idee così eretiche, un medico alternativo? Un ciarlatano come è stato definito Di Bella? Un guaritore che approfitta dei poveri malati? Uno che non conosce le percentuali di guarigione? Purtroppo per loro, niente di tutto questo. Risulta difficile definire ciarlatano o incompetente, John C. Balair III, insigne professore di epidemiologia e biostatistica alla Mc Gill University, uno dei più famosi esperti di oncologia degli Stati Uniti e dell'intero pianeta. Non parlava del resto ad una platea di sprovveduti; il President's Cancer Panel è nato in conseguenza del National Cancer Act, un programma di lotta contro il cancro, firmato dal presidente americano Richard Nixon il 23 dicembre 1971 e per cui si sono spesi fino al 1994 ben 25 miliardi di dollari. I dati relativi alla situazione delle lotta al cancro vengono forniti direttamente al Presidente degli Stati Uniti. La conclusione principale di Balair, con cui l'NCI (National Cancer Institute) concorda, è che la mortalità per cancro negli Stati Uniti è aumentata del 7% dal 1975 al 1990. Come tutte quelle citate da Balair, questa cifra è stata corretta per compensare il cambiamento nelle dimensioni e nella composizione della popolazione rispetto all'età, cosicché l'aumento non può essere attribuito al fatto che si muore meno frequentemente per altre malattie. La mortalità è diminuita per tumori quali quelli del colon e del retto, dello stomaco, dell'utero, della vescia, delle ossa, della cistifellea e dei testicoli. La mortalità per cancro nei bambini si è quasi dimezzata fra il 1973 e il 1989, in gran parte grazie alle migliori terapie. Tuttavia, dato che i tumori infantili erano comunque rari, questo miglioramento - e quello più lieve registrato nei giovani adulti - ha avuto solo un effetto assai ridotto sul quadro generale. In totale, gli incrementi della mortalità per cancro sono circa il doppio delle riduzioni. Edward J. Sondik, esperto di statistica dell'National Cancer Institute, sostiene che vi sarebbe un aumento di oltre il 100% dei casi di cancro al polmone nelle donne fra il 1973 e il 1990. Anche il melanoma e il cancro alla prostata hanno avuto incrementi considerevoli, di oltre l'80%, in quel periodo. Sondig ha concluso che l'incidenza totale del cancro è aumentata del 18% fra il 1973 e il 1990. "Nessun esperto del settore può continuare a credere che dietro l'angolo vi sia necessariamente tutta una serie di magnifiche terapie contro il cancro in attesa di essere scoperte" asserisce Balair ribadendo di averne abbastanza della continua sfilata di notizie sensazionali che fanno credere che una cura risolutiva stia per essere messa a punto. Le chemioterapie esistenti, nonostante i progressi, sono ancora armi a doppio taglio. Alcuni dei trattamenti per il linfoma e la leucemia inducono altri tumori, dopo il completamento della terapia per la malattia originaria....Non notate una leggera disparità tra i dati che avete letto ora e le statistiche trionfalistiche che avete sentito dai famosi clinici italiani? Forse può dipendere dal lasso di tempo intercorso, in fondo questi dati risalgono al 1993, magari la situazione è notevolmente migliorata. Vediamo allora cosa afferma Balair nel 1997 su New England Journal of Medicine, una delle più prestigiose riviste mediche a livello mondiale. "La guerra contro il cancro è lontana dall'essere vinta. L'efficacia dei nuovi trattamenti contro sulla mortalità è molto deludente". Il Giornale – Inchiesta sul cancro n°1
Se non siete ancora convinti, o semplicemente desiderate ulteriori dati, eccone altri due. Il primo è la vasta indagine condotta per 23 anni dal Prof. Hardin B. Jones, fisiologo presso l'Università della California, e presentata nel 1975 al Congresso di Cancerologia, presso l'Università di Barkeley. Oltre a denunciare l'uso di statistiche falsificate, egli prova che i cancerosi che non si sottopongono alle tre terapie canoniche sopravvivono più a lungo o almeno quanto chi riceve queste terapie. Come dimostra Jones, le malate di cancro al seno che hanno rifiutato le terapie tradizionali, mostrano una sopravvivenza media di 12 anni e mezzo, quattro volte superiore a quella di 3 anni raggiunta da colore che si sono invece sottoposte alle cure complete. Il secondo caso riguarda uno studio condotto da quattro ricercatori inglesi, pubblicato su una delle più importanti riviste mediche al mondo: The Lancet del 13/12/1975 e che riguarda 188 pazienti affetti da carcinoma inoperabile ai bronchi. La vita media di quelli trattati con chemioterapia completa fu di 75 giorni, mentre quelli che non ricevettero alcun trattamento ebbero una sopravvivenza media di 220 giorni. Tratto da Kankropoli di Alberto Mondini.
SI MUORE DI CANCRO E DI MAFIOSITA'.
Cancro, chi è povero muore, scrive Daniela Minerva su “L’Espresso”. Per la prima volta in Italia due farmaci oncologici sono stati messi in vendita solo a pagamento: chi vuole curarsi deve pagare più di mille euro a settimana. E' una violazione della Costituzione, ma il governo fa finta di niente. Non se ne è accorto nessuno. Ma presto se ne accorgeranno i malati di cancro. Perché, in barba alla Costituzione, per la prima volta nel nostro Paese, le autorità sanitarie hanno deciso che ci sono malati di tumore ricchi che avranno accesso a due farmaci oncologici, e quelli poveri che dovranno fare senza. E' accaduto infatti che il pertuzumab (Roche) e l'afibercept (Sanofi-Aventis) siano stati autorizzati dall'Aifa (Agenzia italiana per il farmaco) il 27 maggio scorso e quindi ammessi in farmacia, ma a totale carico del malato. Che, se vuole curarsi, dovrà quindi pagare per il farmaco Roche 6.000 euro per le prime due somministrazioni e poi tremila euro ogni 21 giorni; e per quello Sanofi Aventis 4.000 euro ogni tre settimane. Perché le medicine sono sì registrate e ammesse alla vendita, ma non rimborsate dal Servizio sanitario nazionale. Non era mai successo per gli anticancro, salvavita. Perché se è vero che molti farmaci innovativi sono oggi disponibili in farmacia a pagamento (è la cosiddetta Fascia C), è anche vero che si è sempre trattato di prodotti non salvavita, per i quali, il più delle volte, esiste un'alternativa, ancorché meno potente o meno avanzata. Il cancro, poi, è di una tale drammaticità che nessuno aveva mai osato nemmeno immaginare che si potessero registrare delle medicine e non metterle a disposizione di tutti i malati. Non c'è dubbio che l'Aifa ha agito secondo le norme. Anzi, la norma. Sciagurata e passata finora sotto silenzio: quella con la quale l'ex ministro Renato Balduzzi, oggi deputato montiano, ha deciso, nel novembre del 2012, che i farmaci non ancora ammessi al rimborso del Ssn ma verificati come efficaci dalle autorità sanitarie potessero essere venduti in farmacia a chi ha i soldi per comprarseli. Nelle more", si dice in gergo. Ma queste more sono lunghissime: come "l'espresso" ha denunciato più volte, i farmaci innovativi arrivano nel nostro paese con grande ritardo: fino a due anni dall'approvazione europea. Diversi mesi trascorrono mentre l'Aifa rivede i dossier già esaminati e approvati dalle autorità europee e autorizza il farmaco anche nel nostro paese, ma altri mesi passano a definire prezzo e modalità di accesso al mercato. I tempi di questi iter si fanno sempre più lunghi anche perché si allungano i negoziati, con l'Aifa che offre prezzi che le aziende ritengono bassi. Ed è chiaro a tutti che non ci sono soldi per la sanità, e che, quindi, i negoziati non sono destinati ad accorciarsi. Anzi. Nelle "more": chi ha i soldi si comprerà il farmaco con gli evidenti benefici terapeutici, chi non li ha lascerà questa vita. E non serve raccontare come, negli Usa e nei paesi senza servizio sanitario universale, le persone si indebitino, vendano la casa, chiedano prestiti per potersi pagare anche solo qualche mese di vita. E a guadagnarci sono le aziende che inizieranno a vendere il farmaco mesi e mesi prima del suo accesso agli ospedali pubblici. Ma resta l'interrogativo: Balduzzi si è reso conto della drammaticità di quella firma? E non ci vengano dire che è solo "nelle more", perché una volta infranto il muro della decenza, non si torna più indietro.
Terapie antitumorali osteggiate: METODO DI BELLA: 1 luglio 2013, dieci anni fa moriva Luigi Di Bella. La cura messa a punto dal medico modenese continua a suscitare dibattiti nella comunità scientifica. E il figlio Luigi spiega perché non si è mai arreso, scrive Maurizio Tortorella su “Panorama”. Sono trascorsi esattamente dieci anni dalla morte di Luigi Di Bella, il fisiologo modenese autore della controversa terapia anticancro che negli anni Novanta accese grandi speranze e critiche feroci, fino a essere stroncata da una sperimentazione clinica ottenuta a furor di popolo nel 1998-99 da un riluttante governo Prodi. Di Bella morì il 1° luglio 2003, a quasi 91 anni, amareggiato e convinto che la sperimentazione sulla sua cura, la Mdb, fosse stata condotta in maniera del tutto inadeguata dal ministero della Sanità, allora retto da Rosy Bindi, adoperando componenti diversi da quelli concordati se non addirittura scaduti. Anche suo figlio Giuseppe, come lui medico, insiste nella battaglia e critica quello che ritiene essere stato quasi un sabotaggio. La sperimentazione di 15 anni fa, a sentire lui, fu minata alle basi. Dice Di Bella: "Lo stesso professor Umberto Veronesi, nel suo Decalogo del medico, cita una serie di 'cure scientificamente valide' e afferma: “Di Bella era un bravo medico in buona fede, ma applicava cure prive di sperimentazione”. Su questo concordiamo perfettamente: la sperimentazione del 1998 è stata invalidata da anomalie documentate da verbali dei Nas e da verbali di commissioni oncologiche". La "multiterapia", basata su un cocktail di somatostatina, melatonina e vitamine, continua intanto a suscitare attenzione internazionale e ad accendere polemiche. "Di recente" dice Giuseppe Di Bella a Panorama.it "parlamentari siciliani di destra e di sinistra hanno presentato una mozione e un progetto di legge per l’erogazione del Mdb nella regione, mentre in tutta Italia continuano le sentenze che condannano le asl a erogare il Mdb". Anche a livello scientifico la terapia continua a suscitare interesse. Una delle ultime scosse è venuta dall’International journal of molecular science, che in gennaio ha pubblicato uno studio sulle proprietà antitumorali della melatonina recuperando l’antica idea dibelliana. La melatonina, sostanza prodotta dalla ghiandola pineale (ma anche dalle piastrine, dalla retina e dalla mucosa gastroenterica) è secondo Di Bella un vero e proprio concentrato anti-cancro. Agirebbe sul sistema immunitario grazie a effetti antiossidanti, su quello cardiocircolatorio proteggendo i vasi sanguigni (è anche antiaggreggante) e sul sangue. Regola infatti la produzione di piastrine e la formula leucocitaria. Non solo. Favorisce la morte cellulare (apoptosi) e arresta la proliferazione incontrollata delle cellule maligne riducendo i fattori di crescita. Luigi Di Bella sosteneva che la melatonina da sola non guarisce alcun tumore, ma senza di essa "è difficile se non impossibile arrivare alla guarigione". Nel 1996 la Commissione unica del farmaco (oggi si chiama Aifa) bloccò la circolazione di melatonina. Il governo di allora, accogliendo la richiesta dei farmacologi, con il decreto 161 del 25 marzo stabilì addirittura condanne per i medici che l’avessero prescritta. Il prodotto però è sempre stato da banco, venduto sugli scaffali dei supermercati, e conosciuto perché permetterebbe di alleviare i disturbi da jet-lag. La Corte costituzionale, accogliendo il ricorso di alcuni pazienti, dichiarò poi incostituzionale il decreto.
Di Bella 2, la rivincita. Oncologi e biologi di diversi orientamenti si confrontano a Bologna sulla «cura antitumore» del fisiologo modenese. Intanto, in suo nome, nascono una società e un sito internet, scrive Maurizio Tortorella su “Panorama”. Un grande congresso internazionale, un nuovo sito internet e una società che riunisce 200 tra medici, farmacisti e biologi: è trascorso quasi un anno dalla morte di Luigi Di Bella, ma la sua controversa terapia anticancro continua ad accendere speranze, critiche e polemiche. E indubbiamente fa ancora discutere. Giuseppe, il figlio del professore modenese, che è medico come il padre e che del padre cerca disperatamente il riscatto, è riuscito a organizzare un ampio convegno a Bologna. Si tiene l'8 e 9 maggio ed è, di fatto, il primo congresso medico che cerchi di trattare su basi scientifiche la multiterapia a base di somatostatina e vitamine che venne bocciata dalla sperimentazione clinica nel novembre 1998. Ma la novità riguarda i partecipanti alle due giornate bolognesi: una trentina di relatori, fra i quali alcuni noti esponenti dell'oncologia tradizionale, italiana e straniera, che insieme con medici di provata fede dibelliana daranno vita a un consulto pubblico sulla bioterapia oncologica e sulla validità del metodo Di Bella. Al congresso hanno annunciato la loro partecipazione docenti universitari di fama, come Lucien Israel, oncologo dell'Università di Parigi, o Fabio Truc, del Policlinico di Torino; Roberto Orecchia, responsabile del centro di radioterapia dell'Istituto oncologico europeo (Ieo) di Milano; Maurizio Pianezza, che insegna oncologia sperimentale all'Università di Milano e opera come chirurgo all'Università degli studi di Genova. A Bologna verranno presentati oltre 250 casi che, sostiene il figlio di Di Bella, «hanno positivamente risposto alla terapia». Tutti gli atti congressuali saranno pubblicati sul sito metododibella.org, di recente costituzione. Nel sito sono inserite oltre mille pubblicazioni scientifiche italiane ed estere che, a dire dei dibelliani, comincerebbero a riconoscere l'effetto antitumorale dei singoli componenti della terapia inventata dal fisiologo modenese, insieme con oltre 300 casi clinici trattati e con tutti gli atti parlamentari relativi al caso. Il sito è anche il punto di riferimento per pazienti e medici, biologi e farmacisti, che recentemente hanno dato vita alla Società italiana di bioterapia oncologica razionale-Metodo Di Bella, organizzatrice del congresso bolognese. «La Sibor» dice Di Bella, che ne è il presidente «sarà da adesso l'unico punto di riferimento medico scientifico legalmente riconosciuto per i rapporti con l'informazione e le con le istituzioni». Sette anni di polemiche e bocciature. Luigi Di Bella, morto il 1° luglio 2003 a 91 anni, è il clinico modenese inventore di una controversa multiterapia anticancro basata su una miscela di somatostatina, melatonina, vitamine e altri ingredienti. Dopo il clamore suscitato dalle proteste di migliaia di pazienti, che dal novembre 1997 chiedono che la terapia sia accreditata scientificamente, il ministro della Sanità Rosi Bindi ne decreta la sperimentazione clinica negli ospedali. La sperimentazione, condotta inizialmente su circa mille pazienti, comincia nel marzo 1998. Prima in luglio, poi in novembre, i risultati sono molto negativi. Le associazioni dei malati vicine a Di Bella, però, contestano i metodi dei test. Da allora, un migliaio di sentenze in tutta Italia hanno ordinato la somministrazione a spese delle asl della multiterapia. A tutt'oggi si calcola che i malati di cancro trattati con la cura Di Bella siano circa 15 mila.
COSI' HANNO TRUFFATO DI BELLA.
Travaglio: Così hanno truffato Di Bella. Dosi sballate e farmaci scaduti, la sperimentazione della cura Di Bella sarebbe viziata da gravi irregolarità, scrive "La Fucina". A quindici anni dalla fine della sperimentazione il Metodo Di Bella sta tornando a far parlare. Migliaia di pazienti si stanno rivolgendo a Giuseppe Di Bella, che sta portando avanti la terapia inventata dal padre Luigi, per essere curati. Ci sono, inoltre, migliaia di casi di guarigione e i tribunali di diverse città hanno imposto alle ASL locali di rimborsare le cure ad alcuni malati. La sperimentazione di questa terapia alternativa era stata bocciata a fine anni ’90, ma da un’indagine del PM Raffaele Guariniello era emerso che c’erano stati gravi errori nella sperimentazione. È significativo un articolo di Marco Travaglio pubblicato su Repubblica nel settembre del 2000, in cui il giornalista raccontava i lati oscuri della vicenda. Lo riportiamo di seguito: “La sperimentazione della cura Di Bella sarebbe viziata da gravi irregolarità. Peggio: alcuni dei 386 malati di cancro che provarono la “multiterapia” (Mdb) del medico modenese sarebbero stati usati come cavie, trattati con farmaci “guasti e imperfetti”, non si sa con quali effetti sulla salute. E l’Istituto superiore di Sanità, pur sapendolo, non avrebbe avvertito 50 dei 51 ospedali d’ Italia che sperimentavano i protocolli. Sono queste le conclusioni della lunga e minuzionsa indagine aperta due anni fa dal procuratore aggiunto di Torino Raffaele Guariniello, in seguito ad alcune denunce, sulla sperimentazione nei 4 “centri di riferimento” di Torino (Molinette, San Giovanni antica sede, Mauriziano e Sant’ Anna) e nei 4 della provincia (gli ospedali di Chivasso, Orbassano, Chieri e Cirè). Un’ indagine che non entra nel merito dell’efficacia o meno della cura, ma si limita ad analizzare la regolarità della sperimentazione. Quattro gli accusati, tutti dirigenti dell’Istituto superiore di sanità (Iss): Roberto Raschetti e Donato Greco, coordinatori della sperimentazione del 1998, Stefania Spila Alegiani, responsabile dei preparati galenici, ed Elena Ciranni, che curava i rapporti con i vari centri clinici. Grave l’ipotesi di reato: “somministrazione di medicinali guasti o imperfetti” (punibile, secondo l’articolo 443 del codice penale, con la reclusione fino a 3 anni). Il direttore Giuseppe Benagiano, a suo tempo indagato, è stato poi archiviato. Nessuna responsabilità per l’ex ministro della Sanità Rosi Bindi, sentita come testimone in gran segreto, a Roma, all’ inizio dell’anno. I 4 indagati hanno ricevuto l’“avviso di chiusura indagini”. Una sorta di preannuncio di rinvio a giudizio, che poi però non è arrivato: grazie alla legge Carotti, i difensori hanno chiesto e ottenuto dal Pg della Cassazione Nino Abbate il trasferimento dell’inchiesta a Firenze. Con la curiosa motivazione che i farmaci “incriminati” li produce l’Istituto farmacologico militare fiorentino. Inutile l’opposizione di Guariniello il quale, sentenze della Cassazione alla mano, ha ribattuto che il 443 non punisce la produzione o la detenzione, ma la somministrazione di farmaci guasti (avvenuta, appunto, a Torino). Spetterà dunque alla Procura di Firenze – che l’anno scorso aveva già archiviato un’altra inchiesta sui protocolli Di Bella – trarre le conclusioni: rinviare a giudizio o chiedere l’archiviazione. Tutto dipenderà dall’ interpretazione delle irregolarità emerse a Torino: errori in buona fede o condotte dolose? Per Guariniello, la prova del dolo sarebbe in una lettera inviata nel ‘ 98 a un ospedale romano, che chiedeva lumi sulla conservazione e la composizione delle “soluzioni ai retinoidi” previste per i protocolli 1 e 9. Nella lettera i dirigenti dell’Iss precisavano che quelle sostanze hanno una “validità” di soli 3 mesi, dopo di che “scadono” e vanno buttate. Peccato che la stessa direttiva non sia stata diramata agli altri 50 ospedali che sperimentavano la cura. E che infatti continuarono, ignari di tutto, a somministrare quelle soluzioni ampiamente scadute (addirittura vecchie di 4, 5, 9 mesi) e “deteriorate”. Non solo: un gravissimo errore tecnico avrebbe dimezzato il quantitativo di un componente, un principio attivo, fondamentale per l’efficacia di quelle soluzioni: l’ “axeroftolo palmitato”. In pratica, per i due protocolli, quella sperimentata non era la multiterapia Di Bella, ma una “variazione sul tema” non dichiarata. Così com’ era emerso nel ‘ 98 per altri due protocolli, frettolosamente ritirati dopo che Guariniello vi aveva scoperto alcune sostanze mancanti e alcune altre (come il tamoxifene del professor Umberto Veronesi) aggiunte da una mano misteriosa. Ma quel capitolo è ancora aperto. A Torino.”
GIUDICI O MEDICI?
Giudice che vai, cura che trovi. Caos sulle terapie per sentenza. Il caso più recente: i magistrati di Torino negano a una donna affetta da un raro morbo il rimedio concesso al fratello. Ma sono centinaia i destini di malati appesi a un verdetto, scrive Gioia Locati su “Il Giornale”. La vita appesa a un giudice. Succede quando si è affetti da malattie rare, valutate incurabili dalla medicina ufficiale. Come la piccola Sofia, tre anni e mezzo, affetta da leucodistrofia metacromatica, che porta a progressiva paralisi e cecità. Su di lei la cura Vannoni - iniezioni di cellule staminali mesenchimali - messa a punto nei laboratori Stamina di Brescia, aveva portato a sorprendenti miglioramenti. Ma dopo il primo trattamento, un giudice di Firenze aveva imposto di interrompere la terapia. Troppe le perplessità dell'Aifa e del ministero, su Stamina è stata aperta un'inchiesta. Il caso è arrivato in televisione, alla trasmissione Le Iene, ne ha scritto pure Celentano. E lunedì 11 marzo 2013 un altro giudice ha dato il via libera alla terapia per Sofia: la piccola potrà curarsi con il metodo Vannoni negli Spedali di Brescia. Altra malattia, stessa richiesta, sentenza opposta. Il 12 marzo, a Torino, la Corte d'Appello ha rifiutato il metodo Vannoni a una donna colpita dal morbo di Niemann Pick. E pensare che soltanto pochi giorni prima, lo stesso tribunale, l'aveva autorizzata al fratello della donna.
Il padre, Luigi Bonavita, si dice «esterrefatto». Tribunale che vai, cura che trovi. Il motto vale anche per i malati di tumore che scelgono di curarsi con il metodo Di Bella. In questo caso, dopo la sperimentazione del 1998 che ne decretò l'inefficacia (e dunque la non rimborsabilità da parte del sistema sanitario), nelle aule di giustizia si discute se concedere o meno i soldi spesi per i farmaci.
Fra provvedimenti d'urgenza, sentenze passate in giudicato, appelli e ricorsi in Cassazione, sono centinaia i casi arrivati nelle aule di giustizia. E sono quindici anni che la legge non è uguale per tutti.
C'è chi ottiene la terapia gratis subito, chi la «vince» in appello, chi deve sudare fino alla Cassazione. Al contrario, chi deve pagare tutto di tasca propria, nonostante il reddito basso. Clamorosa e recentissima la vicenda di Flora Nardelli, 49 anni. La corte d'Appello di Bologna (sentenza di marzo 2013) ha richiesto alla donna 113mila euro, i soldi spesi per curarsi da un mieloma con la cura Di Bella, dopo che una sentenza del 2006 aveva invece stabilito che aveva diritto alle cure. Nei vari gradi di giudizio i «giudici oncologi» sono uno contro l'altro. «C'è chi prende in considerazione una legge del 1996 che ammette le prescrizioni off label, ossia fuori prontuario - spiega l'avvocato bolognese Cristina Bergamini - e c'è chi proprio non la considera (Di Bella prescrive medicine off label)». E ancora: ci sono togati che si affidano a periti medici per valutare se il paziente effettivamente ha avuto un miglioramento con la terapia discussa e chi invece la boccia tout court, improvvisandosi oncologo. A Cosenza, il 16 luglio 2012, un malato ha ottenuto il rimborso della terapia in appello, dopo che la richiesta gli era stata rigettata in primo grado. L'uomo, colpito da un tumore del naso e della gola inoperabile, aveva presentato, come prova di riduzione del tumore, gli esami eseguiti allo Ieo, l'Istituto oncologico di Umberto Veronesi. Nel caso del metodo Di Bella può essere determinante risiedere in Puglia. Per risparmiare le spese dei ricorsi in tribunale, la Asl di Taranto, dal 2007 al 2012, ha diramato una circolare ai distretti sanitari chiedendo di distribuire gratuitamente i farmaci «ai cittadini che ne facciano regolare nonché certificata e appropriata richiesta, visto che «la questione della cura Di Bella è per questa azienda una problematica non ancora risolta». E a Foggia, Myriam Infede, 37 anni, ha ottenuto il risarcimento della terapia, perché «i farmaci utilizzati sono approvati dall'Aifa e regolarmente in commercio». E quando le sentenze dei malati di tumore arrivano in Cassazione? Le più recenti, del 2011, affermano che «non compete ai giudici interferire con le decisioni prese dagli organi tecnico-scientifici dello Stato». E così, anche davanti a remissioni da metastasi, i giudici scrivono che «il signor tal dei tali non avrebbe dovuto curarsi con la cura Di Bella perché nel '98 si decise che non funzionava». Il costo di sette anni di cura Di Bella.
Per la corte di Bologna una paziente dovrà versarli alla Asl. Ed ancora. Barbara Bartorelli ha sconfitto un tumore e ora è stata condannata in appello a rimborsare la sanità pubblica, scrive Valeria Baroncini su “Il Resto del Carlino”. Sette anni dopo, la giustizia ha il sapore di una tortura. E della beffa. Barbara Bartorelli, una piccola imprenditrice di 40 anni di Castel San Pietro Terme, è guarita da un tumore grazie alla terapia Di Bella, ma i giudici la costringono a pagare le cure all’Ausl di Bologna. MOTIVO: una sperimentazione ministeriale «stabilì che quella terapia era inefficace» e che «nel 1998 non venne testato il suo linfoma, ma un altro, il non Hodgkin». Eppure la Bartorelli, piccola imprenditrice, è completamente guarita dal linfoma di Hodgkin, quindi la terapia funzionò eccome. Quasi non crede alla sentenza del tribunale d’appello che, a sorpresa, ha ribaltato quanto deciso nel 2006 dai giudici di primo grado. «La gioia per essere guarita è devastata dall’amarezza per il nostro sistema burocratico e giudiziario. Mi sono ammalata nel 2003 e mi sottoposi a quattro cicli di chemioterapia — racconta la donna —. Fu tutto inutile, e non volevo rischiare con un trapianto. Così optai per la cura Di Bella».
Lì la rivoluzione: in pochi mesi Barbara inizia a stare meglio e, nel giro di poco tempo, il linfoma di Hodgkin è solo un lontano ricordo.
Per pagarsi le cure deve andare da amici e parenti, c’è anche chi organizza tornei di beneficenza: un carico troppo gravoso, tanto che, grazie agli avvocati Lorenzo Tomassini e Luca Labanti, fa causa all’Ausl. Nel 2004 ottiene un decreto d’urgenza e nel 2006 la conferma nel merito: l’Ausl deve pagare, anche perché Barbara, all’epoca, non aveva il reddito per sostenere quelle spese. Ci sono anche le perizie di un gruppo di oncologici a rinsaldare la decisione dei giudici, ma l’Ausl impugna la sentenza e, pochi giorni fa, ottiene il ribaltone in Appello. Comportamento, a dir la verità, tenuto da quasi tutte le Ausl. Ma Barbara Bartorelli non si fermerà e, oltre a un sicuro ricorso in Cassazione, si rivolgerà alla Corte europea dei diritti dell’uomo: «E’ ingiusto questo sistema che ti obbliga a pagare se guarisci: ho la colpa di essere guarita? Non è uno Stato quello che ti impedisce di curarti», s’interroga. Paradosso: e se Barbara non si fosse curata con la terapia Di Bella? «Non so dove sarei ora», dice lei. «Tra l’altro l’Ausl avrebbe pagato molto di più per le cure tradizionali», è indignata. «Ma non sono i giorni della spending review?».
Intanto a fronte di tutto questo esce la biografia di Luigi di Bella. Il figlio: "Verità scomode e censurate".
Il poeta della scienza. Vita del professor Luigi di Bella è la biografia dello scienziato scritta dal figlio Adolfo. Fra le 500 pagine spiccano documenti inediti, dai carteggi con gli scienziati del tempo ai contatti con personaggi celebri, da Jacqueline Kennedy al musicista Jerry Mullighan. Il volume sarà in libreria a fine aprile 2012, in occasione del centenario della nascita del professore. In quasi 500 pagine Di Bella-figlio racconta la vita del padre, un grande medico tanto elogiato, da essere candidato al Nobel, quanto dileggiato per il suo metodo contro il cancro, la terapia Di Bella. La biografia rivela documenti sconosciuti, dai carteggi con gli scienziati del tempo (Guglielmo Marconi premiò il professore e lo avrebbe voluto al Cnr; il famoso ematologo Edoardo Storti collaborò con lui e gli inviò numerosi pazienti), alle ricerche condotte con Pietro Tullio, candidato al Nobel nel 1930 e al vivo interesse per la sua terapia manifestata dal professore Domenico Campanacci, autore negli anni Cinquanta del famoso “Manuale di patologia medica”. Accanto alle commoventi lettere dei pazienti guariti, c’è testimonianza dei contatti con entourage di personaggi celebri (nel 1993 Jacqueline Kennedy – che, come re Hussein di Giordania nel 1998 - non fece nemmeno in tempo a iniziare la cura) e di altri vip che intrapresero in extremis la terapia (il musicista Jerry Mullighan). Per alcuni di questi, tuttora in vita, l’autore preferisce rispettare l’anonimato (anche se non mancano riferimenti indiretti eppur eloquenti…). Ci sono prove risalenti ai primi anni Settanta sul farmaco cardine della terapia, la somatostatina, che ne attestano la priorità d’impiego nella terapia dei tumori, grazie al carteggio con l’azienda tedesca Serono, depositaria del brevetto, che fornì al professore i primi campioni. Fino al clamoroso documento, sufficiente da solo a invalidare la sperimentazione ministeriale del 1998, che conferma l’affermazione dello scienziato di non avere mai firmato i relativi protocolli. Ecco come l’autore ci presenta la biografia che è possibile prenotare e il cui ricavato sosterrà l’attività del laboratorio di ricerca Di Bella. «Mio padre aveva espresso più volte il desiderio di raccogliere in un libro le sue memorie, dedicandolo principalmente ai giovani. – dice il figlio Adolfo Di Bella a Gioia Locati su "Il Giornale" - La sua aspirazione era fornire loro ragioni di speranza nel futuro e ‘linee guida’ sane, antitetiche a quelle che sembrano dominare la società contemporanea, dato che i giovani sono stati diseredati di ideali e di autonomia di ragionamento e giudizio, oltre che della possibilità di costruire con serenità il loro avvenire. Nel corso dei quarantacinque anni di docenza universitaria ha sempre coniugato l’insegnamento della materia al proposito formativo, forte della consapevolezza di disporre dell’unico strumento efficace per realizzare questa meta: l’esempio personale. Studenti, specializzandi o assistenti lo consideravano il riferimento sul quale basarsi, tutti consapevoli che il suo rigore, l’indisponibilità a compromessi di qualsiasi tipo, un’attività incessante, l’umiltà di fronte ai limiti della conoscenza e della comprensione umana, erano indispensabili per raggiungere elevati livelli professionali. Al rigore si univa sempre una umanità tanto prorompente quanto pudica, fatta di concretezza e non di parole. Tutta la sua esistenza è stata finalizzata al continuo miglioramento di se stesso, a trasformare in realtà quelle potenzialità che ogni individuo ha in misura più o meno ampia. Il ‘messaggio’ lanciato ai giovani è che, con impegno, costanza, senso di sacrificio, si riesce a superare qualsiasi ostacolo e dare un contributo per migliorare un mondo che, oggi specialmente, tende a greggificare tutto e tutti, ed esercitare sull’uomo una tirannia insidiosissima, perché occulta. Questa è stata una delle ragioni per le quali mi sono accinto al lavoro: tentare di realizzare un progetto che la morte gli ha impedito di compiere».
La biografia vuole rendere giustizia a Luigi Di Bella ma è anche una forma di “ritorsione” verso di chi lo ha contrastato e denigrato?
«Certamente la biografia passa in rassegna tanti episodi di malevolenza dei quali è stato vittima, ma non è da una loro sottolineatura – che non c’è - quanto dalla descrizione del suo operato, che emerge, potente e luminosa, la figura di scienziato e di uomo. Perciò è assente qualsiasi proposito ‘vendicativo’, anzitutto per rispetto della sua memoria (non indulgeva mai a rancorosità o malevolenza, nemmeno nei confronti di autori di bassezze e malvagità); in secondo luogo perché le tare umane emergono autonomamente, senza necessità di esecrazioni. La biografia è quindi una…. biografia, non un libello né una catilinaria. Le pagine del libro coprono novant’anni di vita e di storia, ricomprendono – direi prevalentemente – il calore degli affetti familiari e dei rapporti umani. Su sedici capitoli solo uno si occupa in dettaglio del periodo della maggiore notorietà».
Ha impiegato sette anni di lavoro…
«La responsabilità che mi stavo assumendo era grande ed altrettanto lo era il timore che affermazioni non supportate da riscontri dimostrabili potessero portare a giudizi opposti a quelli che auspicavo. Inoltre c’erano periodi della vita di mio padre – specie se antecedenti la nascita mia e di mio fratello – sui quali avevo notizie parziali e imprecise che esigevano una ricostruzione ed un compendio realizzabili solo reperendo il materiale necessario. A parte inevitabili ricerche d’archivio, mi sono trovato di fronte ad una quantità di materiale sbalorditiva, che mai avrei immaginato di scoprire: intere casse di documenti e lettere, non poche delle quali dal contenuto clamoroso o emozionante».
Ad esempio?
«Non credevo ai miei occhi quando ho trovato il primo lavoro pubblicato da mio padre nel 1932. Era studente del second’anno di medicina ed aveva ancora diciannove anni. Il lavoro riguardava l’influenza dei campi elettrici variabili – tema, oggi, di attualità – sui riflessi neuromotori e accanto al suo figurava il nome del Prof. Pietro Tullio, candidato al Nobel nel 1930 e nel 1932. Analogo stupore ed emozione ho provato trovando documenti che testimoniavano dei rapporti con Guglielmo Marconi, che lo avrebbe voluto come ricercatore al CNR, di cui era presidente e che gli conferì un premio. O quando mi sono trovato tra le mani un libro di Chimica Biologica scritto nel 1937, ancora venticinquenne, quando era già docente della stessa materia e di Fisiologia all’Università di Parma. Emozioni diverse, ma non meno intense, quelle provate nel ritrovare copiosissima corrispondenza con colei che sarebbe diventata nostra madre. Vi sono lettere di una bellezza indescrivibile, degne di figurare in un testo letterario. Parlo di scritti che risalgono anche agli anni 1930-31. Tutto conservato con la massima cura. Ma noi figli non sapevamo nulla dei riconoscimenti citati e di altri, dei quali chiunque menerebbe legittimamente vanto. Per lui contava solo quello che doveva ancora realizzare, non quanto aveva fatto. Comunque la biografia privilegia la descrizione dell’uomo, del padre, del marito, del docente, e spero di essere riuscito a far ‘assistere’ il lettore, quasi nascosto in un angolino o camminandogli accanto, al succedersi degli eventi della sua esistenza. Per riuscire in questo intento ho cercato di ricreare le immagini della Sicilia che lo aveva visto bambino tormentato dalle privazioni della povertà; della Messina post terremoto nella quale trascorse l’adolescenza e la prima giovinezza. Allo stesso modo in cui, ricorrendo a tante lettere e ai nostri ricordi, ho rievocato l’immenso amore che nutriva per la famiglia, tante scene di vita domestica, i nostri meravigliosi ed intimi Natali, la passione per l’arte, le fatate domeniche pomeriggio, quando con mia madre suonavano intere opere a quattro mani. Sono molti anche gli episodi di spensieratezza, di allegria, di comicità: come succede nella vita di qualsiasi uomo ed in qualsiasi famiglia. Sarei felice se fossi riuscito a far sentire il lettore come un ospite invisibile della nostra casa. Un intimo amico che ha letto la bozza della biografia mi ha detto che non era riuscito a ‘staccarsi’ dal libro fino all’ultima pagina. Per me è stata la gratificazione più grande».
Il libro documenta anche i rapporti di Luigi Di Bella con gli studiosi e i responsabili degli istituti di ricerca…
«Il materiale documentale esistente consentirebbe di scrivere un’intera biblioteca, non un libro soltanto. Ho dovuto limitarmi alle citazioni più significative, per non annoiare i lettori. Emerge comunque, innegabile, l’altissima considerazione che avevano per lui scienziati di prestigio e fama internazionali, e questo provocherà inevitabilmente molti imbarazzi tra le schiere dei suoi detrattori, anche se non era questo il fine che mi proponevo riportando certe testimonianze».
Parla anche dei pazienti famosi?
«Ho preferito limitarmi a qualche accenno, ritenendo di essere moralmente vincolato al segreto professionale, anche se, a dire la verità, si è affacciata spesso la tentazione di fare nomi e cognomi di persone che, recuperata vita e salute, sono state colte da crisi di opportunistica smemoratezza. Alcune testimonianze rendono peraltro evidente, pur in modo indiretto, che molti “vip” di ogni settore siano ricorsi a lui. Basterebbe la commovente lettera che ci ha indirizzato Luciano Pavarotti quando abbiamo perduto nostro padre. Non si dichiara che “…il mondo della medicina perde un personaggio unico che per me sarà sempre il vero ed unico vincitore del Premio Nobel”….senza nutrire una stima profonda e senza aver potuto osservare l’efficacia della terapia su amici intimi e colleghi, come accadde al grande artista scomparso».
La toccante prefazione del libro è scritta da don Alessandro Pronzato, scrittore cattolico prediletto da Papa Wojtyla. È stato lui a definire il professore “poeta della scienza”?
«No, l’idea di questo titolo è stata mia, e don Pronzato l’ha condivisa. In nostro padre era immanente l’idea della bellezza. La bellezza della Sicilia, la sua terra d’origine, della musica, delle arti figurative, della letteratura; ma anche – e direi in primo luogo – di quel mondo misterioso e ‘incantato’ che si schiude ai grandi ricercatori. L’ho sorpreso tante volte con lo sguardo trasognato dopo che aveva decifrato meccanismi e processi fisio-biologici prima sconosciuti, e il termine che ricorreva sempre sulle sue labbra era ‘bellezza’. La stessa bellezza che associava alla bontà, alla gioia di fare del bene, per cui si attuava in lui quella ineguagliabile fusione di bello e buono che costituì uno dei pilastri concettuali del più grande popolo apparso sulla terra, quello degli antichi Greci: il famoso kalòs kai agatòs. Questo vuole significare il titolo. Ma nessuno poteva, meglio di lui, suggellare questi suoi ideali con una frase, scritta nel settembre 2002, presago della fine imminente: “L’animo mi dice che non sono vissuto inutilmente, perché ho fatto del bene ed ho gioito per il bene fatto».
PARLIAMO DI RICERCA SUL CANCRO
Vi ricordate il metodo Di Bella?
METODO DI BELLA: QUANDO A DECIDERE SULLA CURA DEI PAZIENTI SONO LE LOBBY FARMACEUTICHE ED IL COMPARAGGIO MEDICO
Da “Il Giornale”: Il metodo del professor Luigi Di Bella torna in un'aula di giustizia. E ancora una volta un giudice ribadisce il diritto del malato a utilizzare contro il tumore il cocktail di farmaci a base di somatostatina messo a punto dal fisiologo modenese tra il 1997 e il 1998: il Tribunale di Bari il 26 febbraio 2012 ha infatti accolto l'istanza di un paziente obbligando la «Asl a concedere l'erogazione immediata e gratuita dei farmaci del trattamento». E così, a distanza di anni, la Puglia si conferma crocevia della speranza e avamposto decisivo nella battaglia intrapresa da tanti pazienti che invocano il diritto di cura nella lotta al cancro. Una vicenda tortuosa al centro di aspre polemiche, segnata anche da momenti di grande tensione nella comunità scientifica e da scontri a livello istituzionale. Ma adesso si torna al punto di partenza. Perché un giudice ha messo nero su bianco il diritto del paziente a scegliere la terapia che ritiene migliore. L'ordinanza che obbliga il sistema sanitario pubblico a farsi carico delle spese è stata firmata dal magistrato del tribunale di Bari, sezione lavoro, Maria Procoli. Ma il caso è tutt'altro che chiuso. L'Asl ha già annunciato che intende impugnare il provvedimento e la battaglia giudiziaria si preannuncia ancora lunga. Nel frattempo, il caso ha innescato una nuova raffica di polemiche attorno alla discussa terapia innovativa nella lotta al tumore, già approdata in un'aula di giustizia tanto tempo fa. Era il 16 dicembre del 1997 quando Carlo Madaro, all'epoca pretore di Maglie, provincia di Lecce, dispose la somministrazione gratuita di somatostatina per un bambino di due anni, colpito da un tumore al cervello. Fu una decisione rivoluzionaria, perché aprì la strada a nuovi orizzonti nella cura al cancro. Successivamente furono emessi altri sedici provvedimenti. E la Regione Puglia, all'epoca governata da una giunta di centrodestra, scontrandosi col ministero della Sanità guidato da Rosy Bindi, emanò una delibera per avviare la somministrazione della somatostatina in due ospedali, a Casarano e a Triggiano: da quel momento migliaia di malati cominciarono a riversarsi in Puglia chiedendo di essere sottoposti alla cura nonostante gli appelli a non intraprendere viaggi della speranza anche perché il cocktail era assicurato solo ai residenti. E così, il metodo Di Bella finì al centro di un autentico scontro anche a livello politico. Alla fine la sperimentazione del cocktail fu avviata nel marzo del '98. Secondo la commissione oncologica nazionale il metodo non è efficace e quindi non viene riconosciuto come cura contro i tumori. Ma a distanza di quasi vent'anni c'è ancora chi invoca invece la possibilità di utilizzare la terapia del fisiologo modenese. Al punto da decidere di rivolgersi alla magistratura pur di conquistare una speranza. E così è stato ancora una volta a Bari, dove un paziente ha scelto di presentare istanza al giudice dopo che la Asl gli aveva negato la somministrazione dei farmaci necessari per seguire il protocollo.
Da “La Repubblica”. Malato di tumore vince la causa: "Cura Di Bella gratis" Il giudice accoglie ricorso contro la Asl di Bari che impugna la decisione. Gli oncologi: "Un errore alimentare false speranze e grave sprecare risorse pubbliche per un metodo privo di efficacia". Il ministro: "Vicenda che ha già avuto tempo fa un lungo percorso e già definita, nessun commento" "Erogazione immediata e gratuita del trattamento Di Bella".
Il ricorso presentato da P. F., paziente barese malato di tumore, contro la Asl di Bari è stato accolto. Il giudice della sezione lavoro del Tribunale di Bari Maria Procoli ha disposto che al paziente venga somministrata gratuitamente la terapia alternativa a base di somatostatina per la cura dei tumori ideata dal medico Luigi Di Bella tra il 1997 e il 1998. Il metodo di cura però secondo la commissione oncologica nazionale è privo di validità scientifica. Così la Asl di Bari, in un provvedimento firmato dal direttore generale Domenico Colasanto, ha dato mandato al suo legale di opporsi al giudizio. Domenico Colasanto, direttore generale del sistema ospedaliero barese, dichiara: «Purtroppo ci sono giudici che pretendono di fare anche i medici e ancora impongono il metodo Di Bella. Dico purtroppo perché la cura non ha nessun fondamento scientifico, è stata testata ma ha fallito. Non produce benefici per i pazienti, nemmeno come terapia palliativa. Non è una battaglia contro gli ammalati e i loro familiari, li comprendo, capisco che nel dolore e nella disperazione si voglia tentare ogni strada. Ma deve essere anche chiaro che la cura Di Bella non funziona». Le reazioni non si sono fatte attendere. Con la decisione del giudice della sezione Lavoro del Tribunale di Bari di accogliere il ricorso presentato da un malato di cancro che chiedeva di essere curato con il metodo Di Bella, "si tornano ad avallare il facile sensazionalismo e le false speranze da parte dei pazienti". E' l'opinione del segretario nazionale dell'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) Carmine Pintu, il quale sottolinea come ai pazienti debbano essere garantite esclusivamente cure "riconosciute valide scientificamente". "Dobbiamo garantire ai malati - afferma Pintu - cure per le quali c'è una dimostrazione scientifica di efficacia, e non cure potenzialmente tossiche". Sul metodo Di Bella contro il cancro, sottolinea l'esperto, "sono state svolte sperimentazioni che hanno dimostrato in modo chiaro l'inefficacia della cura in questione: il metodo Di Bella non si è cioè dimostrato 'attivò contro la patologia; inoltre - rileva - si pose anche la questione etica del sottrarre pazienti a cure che si sono invece dimostrate efficaci scientificamente". Altro aspetto è poi quello economico: "Si sottraggono risorse autorizzando un metodo non efficace, in un momento - afferma Pintu - in cui non possiamo sicuramente permettercelo". Insomma, "per noi oncologi - conclude Pintu - questo è un capitolo chiuso. Il messaggio che lanciamo è che non bisogna assolutamente riaccendere false speranze nei pazienti".
Anche il ministro della salute Renato Balduzzi interviene sulla vicenda. "E' una vicenda che ha già avuto tempo fa un lungo percorso e si è già definita. Non credo di dover fare alcun commento", ha risposto a chi gli chiedeva di commentare la decisione del giudice di Bari.
Ufficialmente per l’Istituto superiore della sanità non ha nessuna efficacia, per questo motivo non è riconosciuto come cura contro i tumori. Ma il metodo Di Bella, a distanza di quasi venti anni, torna a far parlare di sé: il Tribunale del lavoro di Bari, nei giorni scorsi, ha accolto il ricorso di urgenza promosso da un uomo gravemente ammalato di cancro che aveva chiesto all’Asl del capoluogo pugliese di poter essere sottoposto alla terapia scoperta, tra il 1997 e il 1998, dal fisiologo modenese Luigi Di Bella. I medici dell’azienda sanitaria, però, aveva negato questa possibilità al paziente, così la vicenda è stata catapultata in un’aula giudiziaria. Il Tribunale si è espresso qualche giorno fa e ha dato ragione all’ammalato: con un’ordinanza, il giudice ha obbligato l’Asl a concedere «l’erogazione immediata e gratuita dei farmaci del trattamento Di Bella». Quindi, nonostante le sperimentazioni ufficiali siano fallite e la comunità scientifica abbia bocciato senza appello il cocktail di medicinali, il magistrato ha riconosciuto il diritto del paziente a curarsi, a carico del sistema sanitario pubblico, con il metodo Di Bella. Per obbligare l’Asl a coprire le spese è necessario, però, che ci sia almeno un medico disposto a prescrivere la cura. L’azienda sanitaria ha già anticipato che presenterà appello contro l’ordinanza del giudice del lavoro, la battaglia legale quindi non è conclusa. La cura è fuori dal protocollo e i farmaci sono esclusi dal prontuario del ministero. Ragion per cui, è il ragionamento dei dirigenti dell’Asl, il sistema sanitario non potrebbe farsi carico delle spese. Ma non è solo un problema economico: la stragrande maggioranza dei medici non crede all'efficacia e alla bontà della terapia. Tra questi il direttore generale dell’azienda sanitaria barese, Domenico Colasanto, che ha già firmato la delibera per affidare l’incarico ai legali di fare appello. «Purtroppo - sostiene il manager a Vincenzo Damiani de “Il Corriere della Sera” - ci sono giudici che pretendono di fare anche i medici e ancora impongono il metodo Di Bella. Dico purtroppo perché la cura non ha nessun fondamento scientifico, è stata testata ma ha fallito. Non produce benefici per i pazienti, nemmeno come terapia palliativa. Non è una battaglia contro gli ammalati e i loro familiari, li comprendo, capisco che nel dolore e nella disperazione si voglia tentare ogni strada. Ma deve essere anche chiaro che la cura Di Bella non funziona». Ma intanto c’è un giudice che ha disposto «l’erogazione immediata», ed essendo l’ordinanza immediatamente esecutiva l’Asl non può porre alcun ostacolo alla volontà del paziente. Il dibattito, intanto, prosegue tra pro e contro. Migliaia di persone, anche su Facebook, giurano sull’efficacia del metodo e portano testimonianze dirette. Sul social network esistono almeno due gruppi che sostengono il contrario di quanto provato dalla comunità scientifica.
Quasi un anno di sperimentazioni, ricorsi, accuse e polemiche attorno alla cura del professore modenese. Metodo Di Bella, le tappe della vicenda:
16 dicembre 1997: il pretore di Maglie, Carlo Madaro, impone alle autorità sanitarie la somministrazione della somatostatina e della terapia messa a punto dal professore modenese. Seguiranno in tutta Italia decine di ricorsi di questo tipo.
9 gennaio 1998: il ministro della Sanità Rosy Bindi mette in guardia gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico invitandoli a prepararsi alla sperimentazione.
22 gennaio: nasce la Mdb, multiterapia Di Bella. Insieme al professore, la Commissione oncologica nazionale stabilisce i nove protocolli (diventeranno 11) per 600 pazienti.
10 febbraio: la somatostatina impiegata nella sperimentazione ha un prezzo politico, 23 mila lire al mg.
3 marzo: comincia la sperimentazione.
28 luglio: i risultati di quattro protocolli della sperimentazione sono definiti "inefficaci" dall'Istituto superiore di sanità.
29 luglio: l'avvocato Enrico Aimi, legale del professor Di Bella, annuncia a Modena esposti per verificare l'esatto contenuto dei farmaci dati ai pazienti sottoposti alla sperimentazione. "Non è stato provato realmente il mio metodo, non sono stati usati i miei farmaci" dice Di Bella.
4 agosto: diventa effettiva, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, la legge che stabilisce la gratuità dei farmaci della Mdb per tutto il periodo della sperimentazione.
4 settembre: davanti al pretore Madaro, Di Bella dice di essere disponibile a fare insieme con il Ministero della Sanità una nuova sperimentazione sulla sua terapia anticancro, ma di non voler "essere menato per il naso".
15 ottobre: viene formata una commissione medico-legale di 12 persone (cinque scelte dal Ministero) incaricata di esaminare un primo gruppo di 500 cartelle di pazienti, curati da Di Bella, che dimostrerebbero l'efficacia della cura.
8 novembre: in occasione della Giornata nazionale della ricerca sul cancro, il presidente della Repubblica Scalfaro, senza mai citarlo ma riferendosi a Di Bella, dice che nella ricerca, nel recente passato, ci sono stati "momenti di non serietà".
12 novembre: l'Aian, l'associazione dei pazienti curati con la Multiterapia Di Bella, annuncia che è "tossico e cancerogeno" il preparato a base di vitamine utilizzato nella sperimentazione.
Era la fine degli anni 90 quando il pretore di Maglie, Carlo Madaro, primo in tutta Italia, emise un’ordinanza che imponeva alla Asl salentina di somministrare gratuitamente la cure Di Bella a un giovane paziente di Casarano. A quella seguirono numerose altre pronunce analoghe, a Bari e in tutta Italia. Poi i riflettori si spensero sul «metodo» ideato dal fisiologo siciliano: quel cocktail di medicinali fu sostanzialmente bocciato come «inefficace» dalla comunità scientifica. Adesso, circa 15 anni dopo, quella terapia anticancro alternativa ritorna di attualità. Il giudice del Tribunale del Lavoro di Bari, Maria Procoli, accogliendo il ricorso urgente di un paziente ammalato di tumore, ha ordinato all’Azienda sanitaria locale di Bari di somministrargli la terapia Di Bella, con costi interamente a carico del servizio sanitario nazionale. La decisione ha effetto immediato. In ogni caso, il direttore generale della Asl, Domenico Colasanto, ha già firmato il mandato ai legali dell’Azienda per fare annullare la decisione del giudice. Che, come spiega l’avvocato Marisa Cataldo, legale di alcuni pazienti, «comunque impone alla Asl di fornire i farmaci, che costano decisamente meno di quelli chemioterapici, e non il medico che li deve somministrare». Il professor Luigi Di Bella morì ultranovantenne nel 2003. Ma solo qualche anno prima egli stesso fu convocato dal giudice Madaro in aula a Maglie, in una delle udienze più affollate della storia giudiziaria recente. Nella cittadina salentina, in quel periodo, approdavano da mezza Italia meridionale pullman pieni di pazienti e loro familiari, speranzosi che il verdetto del pretore salentino aprisse loro spiragli di speranza. La recente ordinanza del giudice barese è destinata a fare discutere, anche se gli addetti ai lavori mostrano tutto il loro scetticismo, oggi come 15 anni fa. Dice a Carlo Stragapede de “La Gazzetta del Mezzogiorno” Gennaro Palmiotti, oncologo medico dell’ospedale «Di Venere» di Bari: «La comunità scientifica non è pregiudizialmente contraria alla cura Di Bella ma nutre perplessità nei confronti del metodo terapeutico perché non c’è una prova scientifica sufficiente della sua efficacia. Non c’è mai stata - precisa -, tranne in casi rarissimi ricollegabili al fatto che nella cura in questione è compreso un chemioterapico, l’Endoxan, che quindi in quanto tale può rivelarsi efficace». Il presidente dell’Ordine dei medici di Bari, Filippo Anelli: «L’anno scorso abbiamo sospeso dalla professione un collega che prescriveva la terapia Di Bella. Provvedimenti analoghi sono stati adottati in tutta Italia». Come mai? «Noi medici siamo autorizzati a prescrivere farmaci avallati dall’Istituto superiore di sanità - puntualizza - o la cui efficacia sia comprovata da studi scientifici non ancora considerati dal Ministero. In questo secondo caso, però, la spesa non può essere a carico del Ssn e occorre il consenso informato del paziente». La terapia Di Bella consiste fondamentalmente nella somministrazione di un cocktail di sostanze a base di vitamine (beta carotene, alfa tocoferolo, acido retinoico), ormoni (somatostatina, melatonina) e altre sostanze (alcune delle quali sono antitumorali usati nella terapia tradizionale). Alla somatostatina, il medico attribuiva un ruolo chiave: quello di frenare la diffusione del tumore. Quanto ai costi della terapia, usando la somatostatina biologica a 14 amminoacidi e considerando tutti i componenti, la cura ha un costo fra 620 e 800 euro al mese. Se si usano analoghi della somatostatina a lento rilascio il costo è superiore.
Secondo Flavia Amabile su “La Stampa” Se un malato vuole curarsi con il metodo Di Bella ha il diritto di chiedere alla propria Asl questa terapia in modo gratuito e immediato come ogni altro trattamento. Il giudice della sezione Lavoro del Tribunale di Bari Maria Procoli ha accolto il ricorso presentato da un malato perché il metodo Di Bella è ancora pienamente operativo, chi può averne bisogno lo sa bene e c’è sempre qualcuno che, per non sottoporsi alla chemioterapia, preferisce altre strade. La Asl dovrebbe ora trovare un medico disposto a somministrare al paziente la terapia alternativa a base di somatostatina che la maggior parte della sanità italiana non riconosce come efficace. Il condizionale è d’obbligo perché il primo passo del direttore generale dell’Asl, Domenico Colasanto, è stata la firma del mandato ai legali dell’Azienda sanitaria locale per opporsi alla decisione del giudice. «Si tornano ad avallare il facile sensazionalismo e le false speranze da parte dei pazienti», avverte il segretario nazionale dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) Carmine Pintu che ricorda come ai pazienti debbano essere garantite esclusivamente cure «riconosciute valide scientificamente». «Dobbiamo garantire ai malati - afferma Pintu - cure per le quali c’è una dimostrazione scientifica di efficacia, e non cure potenzialmente tossiche». Sul metodo Di Bella contro il cancro, sottolinea l’esperto, «sono state svolte sperimentazioni che hanno dimostrato in modo chiaro l’inefficacia della cura in questione: il metodo Di Bella non si è cioè dimostrato attivo contro la patologia; inoltre - rileva - si pose anche la questione etica del sottrarre pazienti a cure che si sono invece dimostrate efficaci scientificamente». Altro aspetto è poi quello economico: «Si sottraggono risorse autorizzando un metodo non efficace, in un momento - afferma Pintu - in cui non possiamo sicuramente permettercelo». Insomma, «per noi oncologi - conclude Pintu - questo è un capitolo chiuso. Molto perplesso anche Ignazio Marino, presidente della Commissione d’Inchiesta sul servizio sanitario nazionale: «Nutro profondo rispetto per il lavoro della magistratura e tuttavia mi sembra paradossale che una terapia medica possa essere prescritta da un magistrato. Così come mi sembrerebbe strano se fosse un medico a concludere un processo».
Quanto al merito, «è bene ricordare che la cura Di Bella - sottolinea - è stata ritenuta dalla comunità medica e scientifica internazionale come non affidabile».
A tutti risponde Giuseppe Di Bella, figlio del medico che inventò il metodo che ancora oggi, a distanza di quasi venti anni dalla sua pubblicizzazione, divide l’Italia. «Non conoscevo quest’ultima decisione di un giudice, ma rilevo che sono oltre duemila in Italia le sentenze che hanno condannato le Asl a erogare la terapia di mio padre. Il metodo ormai è ufficiale e si trova nelle banche dati scientifiche mondiali», spiega. Citando dati del National Cancer Institute, il figlio del ricercatore afferma che quando questo tipo di tumore è al quarto stadio la possibilità di sopravvivenza viene ritenuta non superiore al 19%, mentre «con il metodo Di Bella al quarto stadio sopravvive ormai il 50% delle donne».
Amedeo Bianco, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri: un giudice può imporre una terapia ad un medico?
«Credo che il giudice possa riconoscere esclusivamente il diritto amministrativo di ottenere la somministrazione di una terapia in modo gratuito ed immediato ma non può costringere un medico ad usare quel trattamento».
Nemmeno l’Asl può essere costretta?
«L’ordine può essere discusso. Se qualcosa non fa parte dei Lea, i Livelli Essenziali di Assistenza, non esiste alcun obbligo di somministrazione gratuita. Una sentenza del genere invece fa rientrare in un profilo di diritti acquisiti quello che non vi rientrerebbe. Sinceramente non ne vedo l’utilità».
Perché?
«Correre dietro ad una speranza è giusto ma le risorse non sono infinite. Decidere di utilizzare dei fondi per una cura come il metodo Di Bella su cui esistono molte perplessità in campo scientifico invece che per terapie su cui esistono evidenze, significa correre il rischio di sprecare le risorse già limitate a disposizione dei pazienti.
Il fantasma della terapia che da 15 anni spacca l’Italia, secondo Enza Cusmai su “Il Giornale”. Un pretore l'aveva sdoganata nel 1997, un tribunale l'ha riportata violentemente sotto i riflettori nel 2012. Parliamo della cura Di Bella, quella che sarà somministrata gratuitamente dalla Asl di Bari ad un malato di cancro che chiedeva di essere curato con il metodo ideato dal medico siciliano. I giudici si sono schierati con il paziente a dispetto dello scetticismo della comunità scientifica e delle sonore bocciature da parte del ministero della Sanità. Insomma, ha sbagliato i calcoli chi pensava che la cura alternativa al cancro senza l'utilizzo della chemioterapia fosse una storia chiusa e caduta nel dimenticatoio. Sembra viva e vegeta. C'è persino qualcuno che la reclama in un'aula di tribunale e la ottiene gratuitamente dallo Stato. Dunque vale la pena di riparlarne. Va trasmesso al lettore il fermento che gira attorno a quel viso serio, incorniciato dalla capigliatura folta e bianca del professor Luigi Di Bella. E' stato immortalato in tv, nei giornali, in Italia e all'estero quando si cercava di capire se il suo metodo a base di somatostatina fosse davvero una nuova scoperta scientifica rivoluzionaria anticancro. Molti si ricorderanno la lunga coda di pazienti davanti alla sua casa di Modena in attesa di una visita che restituisse loro la speranza di vivere. Qualcuno ha ricevuto sollievo, altri solo illusioni. Si sono scatenate guerre e faide mediche sul metodo Di Bella. E la sperimentazione del '99 ha bloccato ogni aspettativa rivoluzionaria in campo medico. Il suo cocktail di sostanze a base di vitamine, ormoni e somatostatina che avrebbe dovuto frenare la diffusione del tumore è stata dichiarata «inefficace» dal ministero della Sanità. Una stroncatura. Ma per i suoi sostenitori il professore resta un Salvatore che va sostenuto. Anche quando le luci dei riflettori si spengono. Basta dare un'occhiata al Blog di Gioia Locati «Col senno di poi» sul Giornale per verificare le testimonianze dirette di gente che è guarita usando il suo cocktail di farmaci. La storia di Marina è emblematica. E' guarita da un carcinoma mammario senza perdere il seno e senza sottoporsi a cicli di chemio e di radio. Ha seguito la cura Di Bella con scrupolo. E oggi, assieme ad altre 13 italiane colpite da carcinoma mammario che, come lei, hanno rifiutato intervento e protocollo tradizionale, è un caso scientifico di rilevanza mondiale. Il cancro di queste donne si è rimpiccolito man mano «sotto l'effetto dei farmaci, mica di zuccherini» precisa Marina perché la cura di Bella «non è una pozione preparata da un santone». Marina e tanti altri. Basta cliccare su Internet per scoprire diversi blog con testimonianze di pazienti guariti dal loro male. Il professore è scomparso nel 2003, ma il figlio Giuseppe ha continuato la sua battaglia e ha raccolto in eredità pazienti e fan del padre. E' una storia zeppa di luci e ombre. Molto delicata. Perfino il neo ministro della Sanità Renato Balduzzi sembra imbarazzato dinnanzi alla domanda di un cronista sull'ultima sentenza del tribunale di Bari: «E' una vicenda che ha già avuto tempo fa un lungo percorso e si è già definita. Non credo di dover fare alcun commento». Stop. Ma lo sa Balduzzi che Ilenia, con la cura Di Bella ha scacciato un linfoma al secondo stadio in pochi mesi e da 15 anni vive felice? Oppure che Caterina non riusciva a camminare per i tumori ossei e dopo i primi giorni di cura saliva le scale? Testimonianze on-line, certo, da prendere con le pinze. Ma non varrebbe forse la pena di rivederla, questa sperimentazione? Gli oncologi scuotono la testa perché questa cura offre «false speranze», il senatore Ignazio Marino critica i giudici perché la prescrivono per sentenza. Ma Giuseppe Di Bella insiste: «Sono 122 i casi di tumore alla mammella guariti senza operazione, chemio o radio grazie al Metodo Di Bella».
Ecco perché ne riparliamo...con Gioia Locati su “Il Giornale”.
Chi vive con una diagnosi di cancro è come un naufrago in cerca di un approdo sicuro le strade per raggiungere il quale sono più di una. Così nasce l’idea di questo dibattito. Vogliamo invitare i lettori a farsi un’idea, i malati a studiarsi le pubblicazioni affinchè possano trovare il loro approdo.
«Da quando ho aperto il blog, nel febbraio scorso, ho ricevuto valanghe di mail di lettori che hanno condiviso con me l’esperienza del cancro.
In molti casi gli ammalati erano i loro parenti. Le loro domande diventavano le mie. E le mie le loro. “Avrò fatto la scelta giusta?” “Dovevo cambiare città?” “Potevo evitare gli effetti collaterali”? La loro disperazione mi contagiava: “Perché ci sono i tumori chemioresistenti?”. “Perché qualcuno guarisce e qualcuno muore, è solo una questione di diagnosi precoce?”. Ho trovato notizie di scoperte più o meno eclatanti e le ho segnalate sul blog, come fiori da cogliere: chi vive con una diagnosi di cancro è come un naufrago in cerca di un approdo sicuro. Non so quale sia questo approdo, sicuramente le strade per raggiungerlo sono più di una. Io ho scelto il protocollo tradizionale, dopo l’intervento e la radioterapia, ho affrontato quattro cicli di chemioterapia. Fra i lettori più assidui del mio blog (e anche fra chi si considera guarito) ci sono molti “dibelliani”, ossia persone che hanno scelto di curarsi con il metodo Di Bella messo a punto da Luigi Di Bella negli anni ’70 e ’80 e che oggi il figlio Giuseppe continua ad applicare.
All’inizio, ammetto, ho fatto un po’ di fatica a riordinare le idee. Ricordavo una sperimentazione condotta dal Ministero della Sanità nel 1998 (il ministro era Rosy Bindi) che stabilì che queste terapie erano inefficaci. Ma continuavo a ricevere documenti e testimonianze che reclamavano la mia attenzione. Tipo: indagini dei Nas, successive alla sperimentazione, hanno dimostrato che molti farmaci furono somministrati scaduti, che in altri fu aggiunto dell’acetone e che per altri ancora vennero modificati posologie e quantità. La terapia così “alterata” fu testata su un gruppo di pazienti gravemente malati, alcuni terminali, altri all’ultimo stadio (quelli che l’oncologia tradizionale tratta con medicine palliative). Nonostante ciò è ancora viva nell’opinione pubblica l’immagine del professore dai capelli bianchi sbugiardato in televisione. Degli esiti dei Nas la gente non ricorda nulla. Molti miei colleghi, tutt’oggi, considerano l’anziano professore alla stregua di un santone.
Ho visto che l’argomento “divide”, scalda gli animi – di mezzo c’è il bene più prezioso, la salute (e, ovvio, una marea di interessi economici) - e che su Facebook i dibelliani sono migliaia. La medicina ufficiale liquidò così il metodo Di Bella. Chi avesse voluto curarsi in quel modo avrebbe dovuto pagare tutto di tasca propria. Come in una terapia alternativa lo Stato non avrebbe rimborsato un centesimo. Tuttavia esistono fior di richieste di rimborso ordinate dai giudici.
Com’è possibile? Sono centinaia i ricorsi presentati dai pazienti – guariti con la cura Di Bella e non con le chemioterapie, i trapianti di midollo o gli anticorpi monoclonali - e vinti. Carta canta come si sul dire, e infatti, i periti dei tribunali, dopo aver esaminato le cartelle mediche di questo esercito di persone hanno “condannato” lo Stato a pagar loro la cura dibelliana. Un assurdo? Giudicate voi… Così nasce l’idea di questo dibattito. Vogliamo invitare i lettori a farsi un’idea, i malati a studiarsi le pubblicazioni (per chi non ha avuto un cancro: durante le notti insonni, quando il tarlo del cancro si divora i pensieri, si studia e si legge…), chiediamo agli stessi oncologi di intervenire. Vi raccontiamo la storia di una donna guarita da un tumore al seno senza aver fatto l’intervento chirurgico (il suo caso è uno degli 11 guariti senza intervento e uno dei 523 tumori trattati con la terapia dibelliana, con buon esito, pubblicati su riviste scientifiche e presentati ai convegni mondiali). E vi presentiamo il parere di un oncologo tradizionale, Stefano Iacobelli, direttore della Scuola Oncologica di Roma, a cui abbiamo chiesto perché la medicina tradizionale non prende in considerazione il metodo Di Bella. Perché? Elementare: non porta denaro alle aziende farmaceutiche.»
E’ opinione diffusa che dal cancro, qualunque terapia si adotti, difficilmente si guarisce; gli scarsi risultati ottenuti dalla terapia ufficiale sulle neoplasie, specialmente quelle diagnosticate già in fase avanzata, confortano questa opinione e, purtroppo, la maggior parte delle diagnosi risulta tardiva.
Molti pazienti non se la sentono di affrontare gli effetti devastanti sulla “qualità della vita” indotti dei trattamenti chemio e radioterapici più praticati, i cui risultati finali spesso non sono entusiasmanti ed anche questa è una realtà difficile da negare. Come pure sono innegabili i traumi psicologici e le scomodità che derivano dall’essere costretti a praticare gli ambulatori e gli ospedali.
Per questi motivi c’è:
- necessità da parte dei malati di coltivare la speranza di guarire, soprattutto nei casi di malattie incurabili.
- perdita di credibilità della sanità pubblica a causa dei continui scandali che la riguardano.
- trionfalismo con il quale i mass media presentano la cura del cancro, a fronte di progressi inferiori alle aspettative.
- strumentalizzazione da parte di alcuni magistrati e di alcune forze politiche.
- sensazionalismo dei mezzi di comunicazione.
- disprezzo da parte delle istituzioni mediche nei confronti della medicina alternativa o extra sistema.
- difficoltà nella popolazione a comprendere le modalità del progresso scientifico e in particolare della sperimentazione medica, a fronte di tante iniziative per il suo sostegno economico.
- scarso dialogo dei medici con il malato, scarsa personalizzazione della cura.
- effetti collaterali dei trattamenti oncologici come la chemioterapia.
- crisi della fiducia nelle possibilità della scienza.
- interessi economici in gioco della medicina.
Oggetto di contestazioni violentissime da parte della lobby dei medici, “La Cura Di Bella” fu sperimentata sotto il ministro Rosi Bindi in modo approssimativo e scorretto, fino a decretarne ingiustamente l'inefficacia. "Ingiustamente" perchè laddove la terapia fu praticata con particolare attenzione alle prescrizioni del suo proponente - il fisiologo Antonio Di Bella - spesso portò a risultati positivi, che vennero volutamente e sistematicamente sottovalutati o peggio taciuti. In moltissimi casi, invece, la cura Di Bella venne sperimentata scorrettamente, senza alcuna attenzione al protocollo e alle più elementari garanzie farmacologiche. Certo è che la terapia è stata osteggiata dalla lobby medica e farmaceutica per motivi facilmente individuabili, mentre sarebbe opportuno che venisse sperimentata e analizzata con rigore e senza pregiudizi.
La cura Di Bella non può essere definita in questo modo, anche perchè non è stata protetta nella sua sperimentazione da coloro che non avevano alcun interesse affinchè funzionasse.
La sperimentazione condotta nel 1999 dal Ministero della Salute Rosy Bindi sancì, la sostanziale "inattività", cioè l'inefficacia terapeutica, del cosiddetto "multitrattamento Di Bella", e i Nas riscontrarono delle irregolarità nei medicinali. Visti i risultati della sperimentazione, nella quale per altro, Di Bella volle rilevare che le sue istruzioni non furono seguite, la terapia che porta il suo nome non è considerata efficace dalla medicina scientifica.
Solo nel maggio del 2007 viene fuori la definitiva bocciatura nella lettera scritta il 30 dicembre 2005 dal presidente del Consiglio Superiore della Sanità Mario Condorelli all'allora Ministro della Salute Francesco Storace: "Il Gruppo di lavoro del consiglio superiore di Sanità ritiene di non avere elementi che dimostrino l'efficacia della multiterapia Di Bella e pertanto ne sconsiglia una nuova sperimentazione clinica ministeriale; questa potrebbe essere non solo inefficace ma anche nociva per i pazienti negando a essi (o procrastinando) l'accesso a farmaci anti-neoplastici di dimostrata efficacia".
Di Bella attribuì il fallimento della sperimentazione a tre fattori:
Utilizzo di medicinali scaduti: secondo il rapporto del Nucleo Anti Sofisticazioni dei Carabinieri firmato dai marescialli Ciro Spiniello e Antonio Barrasso, 1048 pazienti assunsero "un farmaco potenzialmente imperfetto e non più possedente le caratteristiche terapeutiche iniziali [...] Ne consegue che i risultati ottenuti dalla sperimentazione debba essere quantomeno rivista". I due marescialli segnalarono la questione a varie Procure della Repubblica e per questo furono accusati di essere andati oltre i compiti a loro assegnati; questo contribuì ad alimentare le voci di complotto.
Dosaggi errati e preparazioni non corrispondenti alle istruzioni: nella preparazione della vitamina E, utilizzata nella terapia, secondo il promemoria del professore Di Bella è necessario "Gorgogliare l'azoto a medio flusso per qualche minuto fino ad eliminazione del solvente organico", in particolare se tale solvente è l’acetone, altamente tossico, e uno dei composti conteneva acetone fino a 850 milligrammi per litro. Il Ministero sostenne l'impossibilità di eliminare completamente la sostanza, nonostante la letteratura mondiale sconfessasse tale dichiarazione. Inoltre, secondo il figlio del professore "le percentuali di concentrazione di alcuni composti furono insufficienti", "furono usati solo quattro dei sette farmaci necessari", "non fu adoperata la particolare siringa temporizzata indispensabile per somministrare la somatostatina".
Selezione dei pazienti: i pazienti erano già in stadio avanzato, ed erano già stati sottoposti a chemioterapia che secondo il professore "ha un effetto deleterio sui pazienti".
Sul sito metododibella.org vi sono gli approfondimenti visti dalla parte di chi la sperimentazione l’ha subita.
"Io, oncologo vi spiego perché la Medicina esclude Di Bella".
Su “Il Giornale” Paolo Lissoni, oncologo al San Gerardo di Monza, mette in luce i punti di forza e le debolezze della terapia Di Bella e conclude: "Quando le terapie tradizionali falliscono si potrebbe applicare la Di Bella". Paolo Lissoni, 57 anni, oncologo e endocrinologo. Lavora all’ospedale San Gerardo di Monza dal 1985. E’ stato premiato dal National Cancer Institute di Washington per le sue ricerche sulla ghiandola pineale, su questo argomento ha pubblicato 600 lavori. Il reparto di oncologia di Monza è l’unico in Italia che offre, accanto alle tradizionali, una terapia “complementare”.
Ossia?
«Il campo delle terapie alternative anti-cancro (usate in abbinamento a chemio e radio) è estesissimo: vischio, aloe, graviola, veleno di scorpione, curcuma, mirra. Noi abbiamo dato la priorità alle sostanze naturalmente prodotte dal nostro corpo. La ghiandola pineale produce melatonina e altre quattro molecole derivate da aminoacidi. Sono molecole – fondamentali nel regolare il sistema immunitario, nel dosare le endorfine (che danno benessere) e nel favorire i processi di coscienza - che variano a seconda delle ore della luce».
Quindi proponete la melatonina ai pazienti oncologici?
«Si sa da anni che un ammalato di cancro produce livelli bassissimi di queste sostanze prodotte dalla pineale, melatonina soprattutto. Tutti i processi psico-chimici sono alterati in chi ha un cancro”. Date melatonina dopo o durante la chemio? “Dopo e durante per ridurre la tossicità dei chemioterapici. La melatonina ha proprietà antiossidanti, azione anti-proliferativa, potenzia il sistema immunitario (accresce il rilascio dell’interleuchina 2 dai linfociti T), contrasta la carenza di piastrine e la cachessia che sono la debolezza e il dimagrimento tipici di chi fa una chemio…»
La scoperta di Luigi Di Bella…
«Esattamente, tutto il mondo deve essergli grato per questo. La melatonina mette in moto almeno 20 meccanismi antitumorali…»
Però non tutti gli oncologi ci informano di questo…
«Noi lo facciamo».
Date la melatonina in ospedale?
«Anni fa sì, ora non più. La prescriviamo e si compra in farmacia fra i prodotti da banco».
Parliamo di Di Bella?
«L’argomento mi coinvolge affettivamente. Negli anni Ottanta conobbi Luigi Di Bella, lo contattai per confrontare con lui i miei studi sulla ghiandola pineale. Trovai un terreno comune ma i miei tentativi di conciliare le due oncologie, la tradizionale e la dibelliana sono tristemente falliti…»
Come mai?
«Da un lato c’è l’ottusità mentale dell’oncologia tradizionale che non conosce o non vuol conoscere gli aspetti biologici, dall’altro la terapia Di Bella che ha avuto (e ha) il grosso limite di non essersi espressa attraverso una sperimentazione clinica».
Però c’è chi guarisce dal cancro con la Di Bella.
«Non basta dire: uno è guarito. Quanti pazienti sono andati bene e quanti male? Questa situazione va avanti da 25 anni. La multiterapia Di Bella deve seguire la sperimentazione clinica che tutto il mondo segue. Sennò si fa confusione, non si comprenderà mai l’efficacia della cura tradizionale rispetto alla Di Bella».
Se fosse lei a decidere come si comporterebbe?
«Raccoglierei i dati e unirei le forze: ai malati che non rispondono alle cure ufficiali darei la Di Bella».
Quindi la proporrebbe dopo che si è accertato il fallimento della terapia tradizionale, perchè?
«Potrebbe essere un modo per conciliare le posizioni scientifiche e per poter testare finalmente i risultati sul campo. Anche lei mi sta confermando che ha raccolto molto storie di pazienti che dopo il fallimento della tradizionale si sono trovati bene con la Di Bella…»
C’è un altro limite del metodo Di Bella?
«L’aspetto immunologico nella cura del cancro è noto da pochi anni, so che Giuseppe Di Bella ogni tanto inserisce al cocktail anche le interleuchine 2 (sostanze prodotte dai linfociti T) per potenziare il sistema immunitario».
Un aspetto positivo della terapia Di Bella (oltre alla melatonina?)
«Il fatto di somministrare chemioterapici a piccole dosi è stata una geniale intuizione di Luigi Di Bella, oggi si inizia a praticare la “metronomica” che significa appunto curare con dose minima di chemioterapici a intervalli di tempo brevi».
Piccoli dosi per evitare il fenomeno della chemio-resistenza?
«Questo aspetto va ancora studiato. Quel che è certo però è che le piccole dosi non intossicano l’organismo e hanno effetti immunostimolanti e antiangiogenetici (ossia impediscono la formazione di nuovi vasi sanguigni necessari al tumore per crescere).»
Allora pro o contro Di Bella?
«Non ha senso dire ‘pro o contro’, io direi: ognuno dia il meglio di sé e la cosa funzionerebbe se il dialogo fosse solo scientifico, ma è chiaro che entrano in gioco altri interessi. La terapia Di Bella è la punta dell’iceberg che dischiude una tematica immensa: il rapporto tra la scienza e la cultura umana».
"Così ho curato 553 pazienti". Abbiamo chiesto al Professor Giuseppe Di Bella come cura i suoi pazienti. Intervista di Gioia Locati del 21 novembre 2011 pubblicata su “Il Giornale. Marina, la donna che abbiamo intervistato, non è l’unica guarita da tumore al seno senza aver fatto l’intervento chirurgico e seguendo la cura Di Bella. In tutta Italia ci sono altre 8 donne come lei (che stanno diventando 11). Pazienti dai 40 ai 60 anni che hanno scartato da subito il protocollo tradizionale. Il caso di Marina è stato pubblicato sulla rivista medica internazionale “Neuroendocrinology Letters” con il titolo Complete objective response to biological therapy of plurifocale breast carcinoma ed è stato recensito dalla banca data mondiale www.pubmed.gov. Ci sono altre 36 pazienti che, una volta ricevuta la diagnosi di cancro alla mammella, si sono sottoposte a intervento chirurgico ma non a radioterapia e chemioterapia. Non solo: queste donne hanno rifiutato anche le cosiddette terapie di mantenimento, a base di anticorpi monoclonali (quando il tumore esprime la proteina Her2) o di tamoxifene (quando le cellule maligne si nutrono di ormoni femminili). Stanno tutte bene; il cancro originario si è ridotto fino a scomparire nelle pazienti che non hanno fatto l’intervento e nelle altre, dopo almeno cinque anni dalla diagnosi, non c’è traccia del tumore originario o di metastasi in altre parti del corpo. Questi casi clinici, più altri affrontati al terzo e quarto stadio per un totale di 122 neoplasie della mammella, sono stati discussi sia al Bit’s 4th World Cancer Congress 2011, a Dailan, in Cina e pubblicati nella relazione congressuale, The Di Bella Method (DBM) Improves Survival, Objective Response and Performance Status in Breast Cancer (si trovano anche sul sito della Fondazione di Bella) sia al Congresso internazionale di oncologia ginecologica del 14 settembre 2011 a Milano. Da qui è stato prodotto un abstract apparso sull’International Journal of Gynecological Cancer vol 21, supp 3 October 2011.
Dottor Giuseppe Di Bella come sono state curate queste donne?
«Con il cocktail di farmaci utilizzato anche da mio padre, l’efficacia di ogni singolo principio attivo è riconosciuta da anni: somatostatina, bromocriptina, soluzione ai retinoidi, vitamine E, C, D melatonina. Sempre inserisco l’inibitore dell’aromatasi (blocca l’azione di estrogeni e progestinici) e bassissime dosi di chemioterapici tradizionali (ciclofosfamide e idrossiurea). Per ognuno di questi principi attivi esistono migliaia di pubblicazioni scientifiche: sono a disposizione di chiunque voglia consultare la banca dati mondiale ufficiale www.pubmed.gov. La somatostatina ne ha addirittura 28mila400. Alcuni lavori sulla somatostatina sono stati inseriti dal premio Nobel per la medicina Andrea Schally, il quale, 30 anni dopo gli studi di mio padre, ne ha confermato il deciso e atossico effetto antitumorale».
Se questi farmaci hanno una letteratura scientifica così estesa la cura Di Bella non dovrebbe essere una terapia “alternativa”…
«Infatti non lo è. Il tumore è una deviazione dalla vita normale che il metodo Di Bella corregge esaltando le reazioni vitali. Non è una cura alternativa ma "integrativa"».
Ci spiega come funziona?
«Il tumore (tutti i tumori) hanno due caratteristiche. La prima: cresce, le sue cellule prolificano più velocemente di quelle sane, questa crescita può interessare un organo solo o diffondersi a distanza (metastasi). La seconda: nel moltiplicarsi le cellule tumorali selezionano tutti i vantaggi possibili, cercano l’immortalità, si trasformano e diventano man mano più resistenti e aggressive. Le cellule si sviluppano grazie all’apporto di un ormone, il GH e dei fattori di crescita ad esso collegati IFG1-2, NGF, FGF che sono potenzialmente oncogeni e sono un’infinità (c’è il fattore di crescita epidermico, quello vascolare, quello di derivazione piastrinica…) Senza GH non esiste nessuna proliferazione tumorale».
E le mutazioni cellulari?
«Avvengono nel Dna della cellula neoplastica per varie cause, infettive, fisiche o chimiche e le consentono di superare le condizioni avverse».
Dunque?
«Usiamo tutti farmaci che arrestano la crescita. Su più fronti: stop alla proliferazione, all’angiogenesi (è la formazione dei vasi sanguigni che nutrono il tumore), alla prolattina (che fa riprodurre le cellule, le maligne si nutrono tutte di prolattina, su questo ci sono almeno 9mila pubblicazioni). In più, i minimi dosaggi di chemioterapici non intossicano l’organismo ma soffocano le cellule cancerose. I retinoidi hanno la capacità di trasformare le cellule maligne in benigne. E la vitamina E e la melatonina rafforzano l’azione di questi principi attivi. Visto che le cellule neoplastiche superano facilmente gli ostacoli, mettiamo in atto una serie di blocchi per impedire che queste riescano a difendersi mutando».
Il principio dell’arrestare la crescita delle cellule maligne è applicato con altrettanta enfasi nell’ oncologia tradizionale?
«In modo diverso: l’oncologo esamina i recettori del tumore. Se questi sono positivi a estrogeni e progestinici somministra l’anti-estrogeno (è un modo per togliere il nutrimento al tumore e lo facciamo anche noi). Se il cancro alla mammella è positivo alla proteina Her2 si dà un anticorpo che la contrasta ma quando un tumore al seno non ha queste due caratteristiche e si chiama “triplo negativo”, gli oncologi vanno nel panico»…
Lei no?
«No. Test in vitro hanno dimostrato che anche se il tumore non ha i recettori degli estrogeni, l’antiestrogeno agisce comunque sul fattore di crescita perché è sempre l’estrogeno che nutre il fattore di crescita prodotto dal fegato…Ci sono numerosi studi che sostengono questo: l’estrogeno è interattivo sia con i fattori di crescita GH che con la prolattina nel promuovere la crescita tumorale. Applicando questi principi si può trovare la strada per affrontare il cancro al seno più aggressivo, il triplo negativo.»
Questa è una scoperta di suo padre?
«Assolutamente sì. La conferma della logicità e della razionalità della sua terapia l’abbiamo avuta anche di recente, Andrea Schally, l’endocrinologo polacco insignito del Nobel per la medicina nel 1977, ha avvalorato quello che lo ho appena spiegato nella pubblicazione Triple negative breast cancer express receptors for growth hormone-releasing hormone (GHRH) and respond to GHRH antagonists with growth inibition apparsa su Breast cancer Res Treat.2009 Jul; 116 (2): 273-9.»
Quando il cancro al seno è al terzo e quarto stadio?
«Fra le mie pubblicazioni riporto anche le storie cliniche di 72 donne che hanno iniziato la Di Bella quando il loro tumore era già a uno stadio avanzato. Ossia con metastasi diffuse. La stima ufficiale di sopravvivenza a 5 anni del tumore alla mammella metastatico è del 14,8%, con la cura Di Bella è del 50%».
Quali tumori si curano con la Di Bella oltre a quello al seno?
«Il metodo Di Bella agisce sui denominatori comuni a tutti i tumori (applichiamo un modulo fisso per ogni neoplasia e uno variabile specifico per le diverse varietà) Sono 553 i casi di tumori (22 tipi diversi) guariti con il metodo Di Bella dal 2003 a oggi. Li ho presentati al World Cancer Congress di Singapore nel 2010 (pubblicazioni su Neuro Endocrinol Lett.2010; 31 Suppl 1:1-42)».
C’è una storia particolare che ricorda?
«Moltissime… C’è una ragazza di 29 anni, aveva un linfoma di Hodgkin. Dopo ripetuti cicli di chemioterapia – inefficaci - era debilitata, avrebbe dovuto sottoporsi al trapianto di midollo, non l’ha fatto e si è curata con me, aveva fatto ricorso, come centinaia di miei pazienti, per ottenere il rimborso delle cure dal sistema sanitario nazionale. E l’ha vinto: i periti del tribunale hanno condannato l’Asl a pagarle le cure con il Metodo Di Bella. Tale testimonianza la si può trovare insieme a molte altre sul gruppo di Facebook degli amici dei Di Bella fondato da Elena Pasini per sostenere il Metodo e chi lo intraprende alla quale appartengono 7580 iscritti».
"Io, Garattini, vi dico: piano con la chemioterapia". Silvio Garattini, presidente dell'istituto farmacologico Mario Negri, nel 1998 partecipò alla sperimentazione della terapia Di Bella criticandola aspramente, gli abbiamo chiesto se ha cambiato idea...di Gioia Locati - 20 gennaio 2012.
Silvio Garattini, direttore dell’istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, non ha mai preso in considerazione la terapia Di Bella “perché non ha valore dal punto di vista scientifico”. Da 16 anni va ripetendo: “È come l’astrologia e l’omeopatia: non contiene nulla”. Ma per i malati di cancro, che negli anni della sperimentazione erano in cura con la Di Bella, Garattini si mostrò tutt’altro che indifferente. Per loro Garattini diventò il nemico numero uno, l’uomo che, da membro della Cuf (commissione unica del farmaco) boicottò la loro terapia oncologica: nel marzo 1996 entrò in vigore il decreto 161 che proibì la vendita di melatonina con conseguenze penali per il medico che l’avrebbe prescritta. Poi, a suon di manifestazioni di piazza, il decreto venne giudicato incostituzionale dalla suprema corte. E i malati poterono continuare a comprarsi la melatonina. Ma nello stesso anno la terapia Di Bella subì un colpo ancora più pesante per effetto di un provvedimento del ministro Rosy Bindi: il farmaco cardine del protocollo dibelliano, la somatostatina, scomparve dalla fascia A, quella esente da ticket. Fu così che la dose giornaliera, i 3milligrammi di somatostatina, venne venduta a 516mila lire.
Professor Garattini perché nel 1996 bloccò la vendita di melatonina?
«Non serviva a niente, non c’erano evidenze scientifiche della sua efficacia sull’uomo».
In questi anni ha cambiato idea?
«La melatonina è utile solo per alleviare i disagi del jet lag (i disturbi che derivano quando si attraversano vari fusi orari e ci si sente stanchissimi). Per capirci però dobbiamo fare una premessa…»
Prego…
«Come si fa a stabilire che un farmaco funziona? La scienza ha stabilito una metodologia, si fanno studi randomizzati su gruppi di pazienti e si “testa” l’efficacia di una o più molecole. Facciamo l’esempio della sciatica: uno ha male e prende una medicina. Dopo tre settimane il dolore passa. Ma non si può sapere con certezza scientifica se il male è scomparso per effetto dell’antidolorifico o perché doveva passare da solo. Se il farmaco è efficace lo sappiamo solo perché l’abbiamo testato su gruppi di pazienti randomizzati e abbiamo fatto gli adeguati controlli».
Se prendiamo i farmaci della terapia di Di Bella, uno per uno, li inseriamo sulla banca dati Pubmed accanto alla parola cancer troviamo ampissima letteratura…
«Uno per uno, ma l’efficacia del cocktail, ossia del fatto di impiegarli tutti assieme sui malati di cancro, non è stata dimostrata».
Infatti la sperimentazione del ’98 fu ampiamente criticata.
«Fosse dipeso da me non l’avrei neanche fatta. Per ragioni etiche. Non c’erano i motivi per farla».
Ma c’era (e c’è) un sacco di gente che si curava il tumore in questo modo.
«Che ragionamento è? C’è un sacco di gente che crede agli oroscopi... Qui abbiamo bisogno che i farmaci che sono in commercio siano efficaci e che l’efficacia sia testata. Non posso dire: mi piace lo champagne dunque me lo deve pagare lo Stato. Si spendono soldi pubblici, sono tasse di tutti».
Quanto spende l’Italia per i farmaci ospedalieri?
«Tanto. Direi troppo: 19 miliardi di euro».
È vero che il 32% di questa cifra se ne va per la chemioterapia?
«E' vero che le spese per i chemioterapici occupano una quota importante ed io sono sempre stato critico su questo e sul fatto che circolano tante medicine che non dovrebbero essere usate, infatti non sono ben visto dalle aziende farmaceutiche. Dico spesso anche di non esagerare con le chemioterapie…».
Perché non funzionano poi così tanto, come dimostrò la metanalisi di Ralph Moss (lo studio apparso sul Journal Clinical Oncology pose l’accento sul fatto che la chemioterapia non contribuisce più del 2% alla sopravvivenza dei malati di cancro).
«Conosco bene quello studio, non siamo convinti neanche noi dell’efficacia dei chemioterapici su tutti i tumori…»
Se ad ammalarsi di tumore fosse un suo familiare cosa gli consiglierebbe?
«Di curarsi con tutte le terapie riconosciute ma senza esagerare, significa senza accanimento. La scienza non può spiegare tutto, dobbiamo essere umili e accettare questo limite. Ma sul principio bisogna restare fermi: prima si testa la molecola, secondo le regole delle autorità regolatorie internazionali e poi la si vende. Altrimenti…»
Altrimenti?
«Si ripete la storia dell’omeopatia: tonnellate di parole, pochi esperimenti, nonostante ciò si vendono scatole su scatole…».
Professore, torniamo alle storie dei malati…
«I casi singoli si possono discutere, lei porta quelli guariti, io le porto i casi che finirono male come quello di una bambina a cui venne negata la chemioterapia, ripreso in una trasmissione di Gad Lerner tanti anni fa, vede che non arriviamo a niente?»
Ma la curiosità scientifica di andare a vedere perché certe storie cliniche sono state stravolte dalle cure…
«Il suo background è fideista, il mio è scientifico».
Come fa a dire che questa terapia non funziona?
«Guardi che il suo ragionamento è sbagliato. Se non posso dimostrare scientificamente che una cura funziona, non vuol dire che devo spiegarle perché non funziona...»
No?
«No».
Beh, allora si deve dire che la cura Di Bella non si sa se funziona ma non si può nemmeno provare che non funziona…
«Esattamente. Secondo lei perché Giuseppe Di Bella non richiede una sperimentazione alle aziende che producono i suoi farmaci?»
Penso perché le aziende sono le stesse che producono i chemioterapici che costano decisamente di più dei farmaci dibelliani. Parliamo della somatostatina, so che blocca i fattori di crescita…?
«Si usa per curare varie sintomatologie ma non è autorizzata per il trattamento dei tumori».
I retinoidi?
«Ci stiamo lavorando da diversi anni. Sono molto efficaci nella leucemia promielocitica acuta.»
Veronesi dice che la fenretinide (un retinoide di sintesi) blocca le ricadute del tumore al seno.
«Siamo ancora a livello di studi, prima che il farmaco sia sul mercato occorrono altri passaggi».
Che proprietà hanno i retinoidi?
«Sulle cellule che esprimono i recettori per l’acido retinoico hanno effetto di inibizione della crescita e, ad alte dosi, aumentano l’apoptosi (la morte delle cellule). In più tendono a far tornare le cellule maligne verso la normalità…».
Queste cose le dice anche Di Bella.
«Mi fa piacere ma non vuol dire che si debbano utilizzare per tutti i tumori».
Siamo vicini alla cura del cancro?
«Oggi non possiamo più parlare del cancro in generale, per ogni tumore ci sono sub-categorie e sottotipi, per questo la stessa chemioterapia non va bene per tutti. Cerchiamo di caratterizzare quelli che rispondono meglio alle cure e con l’analisi genomica selezioniamo le differenze, insomma è un lavoro lungo…».
Lei prende qualche antiossidante o vitamina?
«Assolutamente no, sono inutili».
Nemmeno la vitamina C?
«Non voglio rovinarmi i reni…»
Dovrebbe essere una questione di quantità…
«Certo, ma è inutile lo stesso».
C’è qualche cibo che non mangia?
«Con moderazione mangio tutto. Non fumo e non bevo (un bicchiere di vino, ogni tanto).»
Mangia anche la carne?
«Certo, anche il salame. Non tutti i giorni però. L’unica cosa che conta davvero è variare le pietanze».
Gioia Locati - 22 novembre 2011 ha chiesto a Stefano Iacobelli, oncologo e professore di oncologia medica all’università Gabriele D’Annunzio di Chieti-Pescara (oltre che direttore della Mso, la scuola di specializzazione oncologica “Mediterranean School of Oncology” con sede a Roma) un parere sulla donna guarita da tumore al seno senza intervento chirurgico. Iacobelli ha visto l’abstract della storia clinica della paziente presentato da Giuseppe di Bella a diversi convegni mondiali e pubblicato su riviste scientifiche (una storia simile a quella di altre 13 italiane nelle stesse condizioni che hanno seguito scrupolosamente la cura Di Bella). Gli esami clinici hanno evidenziato la scomparsa della massa tumorale in un paio d’anni. E ora le pazienti seguono una terapia di “mantenimento” e stanno bene. Il primo commento è sottovoce “non vorrei che passasse l’idea che ci può curare dal cancro senza intervento chirurgico… là dove è possibile”.
Il secondo commento è a voce alta: «Tra i farmaci che la donna ha preso c’è anche un inibitore dell’aromatasi (un farmaco ad attività antiestrogenica con il quale l’oncologia tradizionale cura i carcinomi ormonodipendenti, ma che Di Bella usa anche quando il tumore non è sensibile agli ormoni femminili). È un principio attivo molto efficace sui tumori ormonosensibili, anch’io ho curato così – e soltanto con l’inibitore dell’aromatasi - diverse pazienti anziane che rifiutavano l’intervento e ho ottenuto, in alcuni casi, la remissione completa del tumore».
Età delle pazienti?
«Da 80 a 90 anni».
In questo caso però la donna aveva 51 anni al momento della diagnosi, tre focolai di tumore nella stessa mammella. Anche le altre suppergiù hanno la stessa età…
«Non possiamo sapere quello che succederà fra qualche anno, per me è un azzardo non operare là dove è possibile».
Oltre all’inibitore dell’aromatasi gli altri farmaci impiegati da Di Bella sono efficaci contro il cancro?
«Indubbiamente. Di Bella usa principi attivi, naturali e chimici, che hanno una potente attività biologica sulle cellule tumorali, conosciuta da tempo. I retinoidi ad esempio favoriscono la differenziazione cellulare, vuole dire che una cellula maligna può tornare sana. La somatostatina inibisce la proliferazione cellulare e l’angiogenesi (la formazione di nuovi vasi sanguigni).»
Se è così perché gli oncologi non dicono ai pazienti che hanno un cancro che ci sono anche questi farmaci oltre alla chemioterapia?
«La questione è semplice: se la multiterapia Di Bella vuole ascendere a terapia anti-tumorale riconosciuta deve passare attraverso una sperimentazione ufficiale, altrimenti la sua cura verrà sempre considerata come quella della pinna di squalo.»
La sperimentazione del ’98 ha arruolato solo pazienti o terminali o in fase di malattia molto avanzata, senza gruppo di controllo, in alcuni casi sono stati impiegati farmaci scaduti (c’è relazione dei Nas), in altri abbinati maldestramente i principi attivi…
«Si potrebbe pensare a una nuova sperimentazione che rispetti tutti i passaggi previsti dall’attuale normativa: prima test in vitro e su animali. Poi, se non c’è tossicità, applicazioni sull’uomo. Stabilita la dose del farmaco, si testa il prodotto su diverse neoplasie. E poi se ne confronta l’efficacia con altri farmaci».
Ma chi deve richiedere una nuova sperimentazione e a chi?
«Non è compito del ministero della Sanità, nel ’98 il governo accettò questo incarico perché la pressione popolare era fortissima e fu fatta un’eccezione. Le sperimentazioni le fanno le industrie farmaceutiche, servono molti soldi. O Di Bella trova un ricco mecenate o si affida a un’industria. Quest’ultima ipotesi è altamente improbabile perché un’azienda si muove soltanto se ha la possibilità di acquistare un brevetto di un principio attivo che poi venderà».
E non si possono brevettare i farmaci dibelliani?
«Quelli naturali, tipo melatonina e vitamina E, non si possono per legge brevettare. Gli altri, somatostatina, bromocriptina, cabergolina sono prodotti che risalgono a cinquant’anni fa e il brevetto è scaduto».
E l’Aifa (agenzia italiana del farmaco) che pubblica ogni anno un bando per finanziare la ricerca indipendente?
«Dubito che l’Aifa possa fare qualcosa perché c’è un principio base da rispettare e cioè che il principio da brevettare sia specifico per una malattia (esempio: inibitore aromatasi per tumore mammella e non per stomaco e così via). I farmaci di Di Bella non sono registrati dal ministero come antitumorali, per questo non c’è la prescrizione gratuita».
La chemioterapia è da considerarsi superata?
«E' molto probabile che tra qualche anno la chemioterapia non verrà più utilizzata e verrà sostituita da farmaci più intelligenti che colpiscono con maggiore selettività le cellule tumorali ma, al momento, è l’unico metodo riconosciuto che abbiamo a disposizione».
Ancora sul “Il Giornale” e sempre a cura di Gioia Locati un’altra testimonianza. Achille Norsa, specialista in chirurgia generale, toracica e cardiovascolare, ha lavorato alla Divisione di chirurgia toracica all’ospedale Maggiore di Verona dal 1973 al 2004 diventandone dirigente nel 1995. Oggi ha 70 anni, è in pensione, ma continua a curare i malati di tumore nel suo studio privato applicando il metodo Di Bella. Da studente ha frequentato la facoltà di medicina all’università di Modena e i corsi di fisiologia del professor Luigi Di Bella. Da otto anni è vicepresidente della Sibor, la società di bioterapia oncologica razionale che si prefigge di rilanciare la terapia dibelliana per curare i tumori. I suoi lavori scientifici sui malati di cancro al polmone sono apparsi sulla rivista Cancer Biotherapy & Radiopharmaceuticals (vol 21, n n° 1, 2006 e vol 22 n° 2, 2007).
«Ho osservato nel tempo, per otto anni, due gruppi di pazienti in fase avanzata al III e IV stadio (alcuni erano stati coinvolti nella sperimentazione del ’98). Il primo gruppo di 28 malati con metastasi a distanze (mediastino, fegato, surrene, cervello e ossa) non aveva fatto né intervento, né radio, né chemio: per loro la Di Bella era cura di ‘prima linea’; il secondo invece aveva seguito diverse terapie, dagli interventi alla radio, alla chemio. La letteratura scientifica rivela che la mediana di sopravvivenza di malati come quelli del primo gruppo è di appena 3,7 mesi, con la terapia Di Bella questo indice di sopravvivenza (la mediana) è diventato di quasi 18 mesi. Ossia, non solo questi pazienti sono sopravvissuti più a lungo, ma hanno avuto anche condizioni di vita accettabili. L’altro gruppo, quello composto da malati che avevano fatto chemio e radio, ha avuto la mediana di sopravvivenza di poco più di tre mesi perché le terapie cui sono stati sottoposti hanno danneggiato l’organismo in maniera irreversibile, in questo caso la terapia Di Bella ha soltanto potuto migliorare la loro qualità di vita».
Lei è un chirurgo che ha scelto di applicare il metodo Di Bella, come mai?
«Nel ‘95 un’amica della mia famiglia, con tumore alla vescica inoperabile, si rivolse a Luigi Di Bella. In un anno guarì. Del mio professore di università conservavo un ottimo ricordo, tutti lo consideravano un genio. Sono andato da lui per cercare di capire, devo ammettere che sono rimasto letteralmente colpito.»
Da cosa?
«Dal razionale scientifico. Il professore mi fece una lezione di un’ora e mezza, mi parve di esser tornato studente.»
Dunque?
«Il professore mi affidò un fascicolo di lavori scientifici. Il fisiologo è uno scienziato puro, che studia il funzionamento di tutti gli organi. Mi sforzai di entrare nell’argomento il più possibile. Per due anni andai da lui a ‘ripetizioni’, mi presentavo alle 6,30 del mattino perchè poi arrivavano i pazienti».
Quando cominciò a curare i malati con la Di Bella?
«Proprio in quel periodo, dal ’98 al 2004 facevo il chirurgo in ospedale e ai pazienti parlavo di questa cura. Portavo periodicamente da Di Bella le cartelle mediche di chi accettava la terapia».
Quanti pazienti ha curato?
«A oggi più o meno duemila».
Di quali tumori?
«Dalle leucemie ai linfomi, ai tumori solidi ma per favore non scriva che venivano curati tutti allo stesso modo. La Di Bella ha un modulo fisso e tantissime varianti, quanti sono i tumori e le stadiazioni».
D’accordo. Ma i pazienti guarivano?
«Dipendeva dallo stadio della malattia e dal fatto che la Di Bella fosse o meno applicata subito (e non dopo chemio e radio)».
Qualche esempio?
«Il tumore al polmone al primo stadio, inferiore a tre centimetri, può guarire in due anni senza intervento. Al secondo stadio, quando supera i tre centimetri si può operare e curare. Al terzo e quarto stadio, quando non è più possibile fare l’intervento, suggerisco soltanto la terapia biologica Di Bella. Fra i miei pazienti al primo e secondo stadio il tumore è regredito o si è stabilizzato nel polmone. In alcuni casi il tumore viene incapsulato da una cotenna fibroso-calcifica e quindi ‘sequestrato dall’organismo’ e i pazienti convivono con la malattia conducendo una vita normale».
Lei curava gratis i pazienti in ospedale con la Di Bella?
«Sì, poi quando hanno cominciato a occuparsene i giornali avevo il reparto bloccato, c’era gente dappertutto, l’amministrazione mi comunicò che non avrei più potuto occupare gli spazi per consulenze gratuite».
E si aprì un suo studio. Cura ancora i tumori così?
«Certamente, ho riportato anche alcuni casi nel libro ‘La multiterapia biologica razionale dei tumori: il metodo Di Bella (ed. Mattioli)».
Chi le manda i pazienti?
«Con il mio portale su internet è tutto più facile (www.achillenorsa.com), arrivano da soli o tramite conoscenze, anche dall’estero.»
Perché negli ospedali nessuno parla di questa terapia, lei pensa che i suoi colleghi sappiano e tacciano?
«Me lo chiedo anch’io: il medico dovrebbe essere curioso e rivestirsi di umiltà per capire. Conosco anche alcuni giovani disposti a seguire questa linea ma temono l’ostracismo del mondo della sanità».
Addirittura? Qual è l’ostacolo principale?
«Il dio denaro. Sono le multinazionali che dettano le regole, nessuno si arricchisce con la Di Bella: per curarsi si spendono 15-20 euro al giorno, nei casi in cui c’è bisogno dell’octeotride (un derivato della somatostatina) si arriva a 60 euro al dì. Nulla a confronto di un ciclo di chemioterapia che può costare 50mila euro senza l’indotto (per ciascun malato di cancro lo Stato spende 200mila euro) e comunque…»
Comunque?
«Anche se non è un gran costo, dispiace che siano i pensionati a doversi pagare di tasca propria una cura anticancro».
Ma la chemioterapia è efficace?
«In 48 anni di ospedale raramente ho visto un tumore solido guarire con la chemioterapia a meno che non sia stato associato l’intervento chirurgico. Le spiego come funziona…»
Prego…
«La chemioterapia ha un’azione di debulking, ossia di riduzione della massa tumorale. Un tumore è liquido per l’80%: chemio e radio diminuiscono la parte liquida del tumore. Però può succedere che l’attività proliferativa del tumore riprenda con più intensità proprio perchè l’ambiente biologico non è in equilibrio dal punto di vista immunitario. Inoltre la radioterapia ha come effetto quello di rendere insensibili le cellule cancerose (quelle sopravvissute) a qualsiasi altra terapia».
Ma lei che cosa chiede?
«Vorrei che questo metodo fosse applicato negli ospedali. È una cura che funziona anche se non è ancora definitiva. Il professor Di Bella ci ha indicato un binario che andrebbe seguito da chi fa ricerca. Si tratta di un percorso che, come diceva lui stesso, farebbe ‘risparmiare tempo, denaro e vite umane’. E poi vorrei aggiungere un’altra cosa: si è visto che quando la malattia è all’ultimo stadio, la Di Bella allevia le sofferenze rispettando la dignità della persona. Mi creda: non è poco…»
DAVIDE VANNONI. STAMINALI: CURA MIRACOLOSA O BUFALA?
Staminali per terapie compassionevoli: cura miracolosa o bufala?
Un'ordinanza dell'Agenzia del farmaco ha bloccato le cure dell'équipe di Davide Vannoni e della Stamina Foundation.
Sebbene i risultati diano speranza. L'inchiesta di “Panorama” di Gianluca Ferraris. Smeralda ha 15 mesi. Appena nata ha subito un’asfissia che l’ha ridotta in stato vegetativo: fino allo scorso gennaio viveva attaccata ai macchinari, non reagiva agli stimoli, non aveva tono muscolare e presentava un encefalogramma quasi piatto. Da allora è stata sottoposta ad alcune iniezioni cellulari che le hanno permesso di recuperare autonomia respiratoria, di percepire ciò che la circonda e persino di mettersi seduta. Stessi progressi per la piccola Celeste, che nell’ottobre 2011 era paralizzata e desensibilizzata da un’atrofia muscolare spinale e oggi sorride «esibendo capacità prensile e movimenti coordinati». E per Maria Teresa, 43enne affetta da Sla, che poche settimane fa è riuscita a scendere dal letto e a fare qualche passo proprio mentre i medici stavano per intubarla. Piccoli miglioramenti, non certo risolutivi, visto che riguardano malattie incurabili. Ma certificati dalle cartelle cliniche e capaci di ridurre le sofferenze dei malati e dei loro familiari grazie all’utilizzo delle staminali: cellule che si trovano negli embrioni, nei tessuti fetali, nel liquido amniotico, nel cordone ombelicale e in alcune parti dell’organismo adulto come il midollo, in grado di trasformarsi e potenzialmente capaci di «riparare» organi, tessuti, pelle. Potenzialmente. Al momento infatti le staminali rappresentano soprattutto un’incognita perché la ricerca richiede protocolli clinici lunghissimi e onerosi, i cui risultati non sempre coincidono con quelli, pur sorprendenti, mostrati da singoli episodi.
Proprio come nel caso di Smeralda, Celeste, Maria Teresa e di altri otto pazienti: le loro terapie, effettuate presso la struttura pubblica Spedali Civili di Brescia, sono state somministrate appellandosi a un decreto del dicembre 2006 (il cosiddetto Turco-Fazio) che disciplina le cure compassionevoli in mancanza di alternative collocandole al di fuori del normale iter di sperimentazione. Il protocollo, che è ancora privo dei riscontri clinici necessari a definirlo una vera «cura», è stato inoltre fornito da una onlus, la Stamina foundation del professor Davide Vannoni, già finita nel mirino della magistratura. E all’inizio di maggio l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), anche sulla scorta di questi elementi, ha vietato la prosecuzione dei trattamenti: lo stop alle iniezioni è così finito al centro di una complessa vicenda medica e giudiziaria dove è difficile stabilire quale sia la verità. I fatti: nell’estate 2011 Vannoni, psicologo con il pallino delle staminali, ottiene il via libera dal ministero della Salute per sperimentare una nuova terapia a base di cellule mesenchimali, le più potenti e «moltiplicabili» tra quelle che si trovano nel midollo. Il metodo è stato messo a punto dai biologi della sua Stamina foundation, che a settembre 2011 ottiene dall’ospedale di Brescia anche la possibilità di utilizzarlo come terapia compassionevole rispetto a una lunga serie di patologie, dalle sindromi neurodegenerative infantili all’Alzheimer. La sperimentazione, che doveva riguardare solo la sindrome di Niemann-Pick, non parte: «La commissione medica che doveva mettere a punto il protocollo non lo ha mai fatto e dubito che lo farà adesso» si difende Vannoni. Le terapie compassionevoli, invece, vengono avviate e mostrano progressi certificati anche da medici terzi. La Stamina parla di «risultati mai raggiunti nel mondo» ma la comunità scientifica frena: Le mesenchimali hanno un potenziale elevatissimo, per questo possono generare benefici antiossidanti e antinfiammatori in grado di alleviare le sofferenze e migliorare le prestazioni, ma non di reggere alla prova del tempo» puntualizza il neurologo Yvan Torrente, direttore del laboratorio sulle staminali dell’Università Statale di Milano, che ha letto la documentazione in possesso di Panorama. «Non c’è ancora alcun percorso che assicuri la validità universale delle terapie» continua Torrente. «Ciò che per un paziente è di conforto o persino migliorativo può lasciare del tutto indifferente un altro. Ho anche dubbi sul fatto che si usino cellule trattate allo stesso modo nei confronti di patologie molto diverse». Vannoni ribatte che i trial non erano necessari, vista la natura compassionevole e non sperimentale delle cure, e che finora non sono stati registrati effetti collaterali, ma ammette anche di «non poter garantire l’efficacia generalizzata e di lungo periodo della terapia. Tuttavia, finché funziona, perché negare ai malati e ai loro familiari questo sollievo?». Da due mesi la querelle si intreccia con le vicende giudiziarie. Tra la fine di aprile 2012 e l’inizio di maggio, su incarico del pm torinese Raffaele Guariniello, i carabinieri del Nucleo antisofisticazione si sono presentati agli Spedali Civili per controllare i locali e chiedere conto della loro convenzione con Stamina e Vannoni. Lo psicologo infatti era già stato indagato nel 2009, sempre da Guariniello, insieme ad altre 15 persone, con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e alla somministrazione di farmaci imperfetti. L’inchiesta si era chiusa a dicembre con l’invio dell’avviso di conclusione delle indagini agli interessati. Ora il metodo Stamina è nel mirino dell’Aifa che, dopo avere disposto l’interruzione dell’attività, ha mosso a Vannoni e ai suoi tecnici un lungo elenco di contestazioni (vedere il riquadro a fianco). Il professore non ci sta: «Hanno messo sotto pressione l’ospedale di Brescia e mostrato volontà persecutoria, non hanno tenuto in considerazione i pareri positivi del comitato etico e quelli del ministero, ma soprattutto hanno messo da parte gli interessi dei pazienti, interrompendo cure che stavano dando i loro frutti». Sullo sfondo resta il legittimo smarrimento di chi, iniziata una terapia, è stato costretto a interromperla nonostante alcuni risultati positivi: la rabbia dei familiari dei malati ha la forma di decine di appelli spediti ai media, al ministro della Salute Renato Balduzzi, al Quirinale, al Papa, allo stesso Guariniello. Alcuni di loro hanno presentato un esposto d’urgenza per riprendere le cure, senza finora ricevere risposta, altri meditano di passare alle denunce vere e proprie. Toccherà ai giudici fare chiarezza.
Cure staminali: la piccola Sofia e gli altri. Complessi e controversi i casi dei pazienti affetti da malattie incurabili che chiedono terapie staminali. Il parere del ministro Balduzzi e della esperta di bioetica Assunta, scrive Alessandra Turchetti su “Famiglia Cristiana”. Si sono susseguiti i casi di vari pazienti affetti da malattie incurabili per i quali, in questi giorni, è stato fatto un appello affinché non fossero abbandonate le cure a base di cellule staminali applicate secondo il metodo Stamina presso gli Ospedali Civili di Brescia. L’ultimo, in ordine di tempo, il caso di F., il bimbo fanese di 26 mesi affetto dal morbo di Krabbe, una gravissima leucodistrofia che causa paralisi progressiva. Il giudice del lavoro di Pesaro aveva disposto cure alternative in una delle 13 “Cell Factory” italiane autorizzate dal Ministero e accreditate in base al rispetto della normativa vigente.
Questa volta l’appello è partito dal sindaco di Fano, Stefano Aguzzi, che si è rivolto al presidente del Tribunale di Pesaro Mario Perfetti e al procuratore della Repubblica Manfredi Palumbo, affinché si tenesse conto della volontà dei genitori di F. di proseguire le cure. La controversia che ha riguardato negli ultimi mesi anche altri pazienti ha avuto origine dagli accertamenti dello scorso anno effettuati dall'Aifa (Agenzia italiana del farmaco) sulla Stamina Foundation, che avevano messo in luce rischi biologici connessi alle terapie incompatibili con le applicazioni delle norme di manipolazione e sicurezza, ma anche dei più elementari standard di indagine di laboratorio. Tutto ciò ha portato al blocco delle terapie. «A F. - si legge nell’ultimo appello del sindaco di Fano - deve essere garantita entro pochissimi giorni una trasfusione urgente di cellule staminali prodotte con metodo Stamina presso gli Ospedali di Brescia, unica cura 'efficace e poco invasiva' per le sue condizioni "drammatiche"». La scorsa settimana aveva ottenuto il permesso per la terapia con la stessa procedura Salvatore Bonavita, 39 anni, affetto da sindrome di Niemann-Pick, una malattia neurodegenerativa, per cui il padre Luigi si era rivolto alla magistratura. Il giudice del lavoro Mauro Mollo, in quel caso, ha autorizzato le cure compassionevoli, riconoscendo l'evidenza dei miglioramenti ottenuti da Salvatore in seguito al primo ciclo, ma solo in una struttura autorizzata dal Ministero. Così il Tribunale di Torino ha ordinato agli Spedali Civili di Brescia di individuare un laboratorio di produzione di cellule staminali regolarmente autorizzato e alla Stamina Foundation di fornire a tale laboratorio le conoscenze e il personale competente a trattare le staminali secondo la propria metodologia. Secondo il Ministero della Salute, l'attivazione di questo tipo di percorso è una concreta opportunità anche per gli altri casi in cui i giudici hanno posto come condizione che la produzione di cellule staminali avvenga in laboratori autorizzati. Infine, la cronaca ha portato alla luce il caso della piccola Sofia, la bambina fiorentina di tre anni e mezzo colpita da leucodistrofia metacromatica sul quale è intervenuto direttamente il ministro della Salute Renato Balduzzi. Dopo, infatti, il drammatico appello dei suoi genitori che ha commosso l’Italia, si era arrivati in prima battuta all’ottenimento della possibilità di curare la bambina con cellule staminali soltanto in una struttura autorizzata dall'Aifa. Ma la questione si è risolta definitivamente solo in questi ultimi due giorni: i genitori volevano che venisse trattata unicamente con il metodo Stamina Foundation, dichiarando di possedere una documentazione medica che attestava l'inefficacia di altre cellule su malattie neurodegenerative come quella di Sofia. E così è arrivata l’autorizzazione: Sofia è stata sottoposta alla seconda infusione di staminali a Brescia, come avevano chiesto i genitori. Per il ministro della Salute Renato Balduzzi, «quanto è stato fatto concilia il rispetto delle norme e delle sentenze della magistratura con la situazione eccezionale nella quale si trova la bambina». Balduzzi ha aggiunto, inoltre, che «si tratta di quella soluzione concreta che, incontrando i genitori di Sofia mi ero impegnato a favorire entro sette giorni». Ma la vicenda non si è ancora conclusa, purtroppo. Il ministro Balduzzi aveva acconsentito a proseguire la terapia soltanto in una delle 13 “officine cellulari” autorizzate da Aifa, e così l’Azienda ospedaliera si era attivata presso la struttura dell’Ospedale Maggiore di Milano e la Stamina Foundation. Ma, in pratica, Aifa e Ministero della Salute non hanno ancora fornito agli Spedali Civili di Brescia gli strumenti legali né sanitari per bypassare il blocco del giudice fiorentino. Il direttore generale dell'ospedale di Brescia Ermanna Derelli ha parlato di un’assunzione di responsabilità di tipo morale nei confronti della piccola paziente. «Resta fermo - ha scritto Derelli - che tale impegno dell'azienda è limitato al caso di Sofia e limitatamente alla seconda infusione. Si precisa che detta scelta non potrà riguardare altri casi o le successive infusioni per Sofia, in mancanza di precise e formali decisioni delle Autorità sanitarie e/o giudiziarie, che autorizzino o impongano la somministrazione della terapia con cellule non prodotte in cell factories autorizzate». «Il 10 dicembre 2012 abbiamo sottoscritto il consenso informato per un ciclo di 5 infusioni. Vogliamo che sia rispettato quell’accordo», è invece la risposta di Caterina e Guido, genitori di Sofia.
14 marzo 2013. Il mondo della scienza si ribella al ministro della Salute Renato Balduzzi per quanto riguarda le staminali con il metodo Stamina, scrive Mario Pappagallo su “Il Corriere della Sera”. Una lettera aperta. Scrivono: «La comunità dei ricercatori e medici che lavora per sviluppare trattamenti sicuri ed efficaci contro gravi malattie comuni o rare è perplessa di fronte alla decisione, sull'onda di un sollevamento emotivo, di autorizzare la somministrazione di cellule dette mesenchimali, anche se prodotte in sicurezza da laboratori specializzati. Non esiste nessuna prova che queste cellule abbiano alcuna efficacia nelle malattie per cui sarebbero impiegate. Non esiste nessuna indicazione scientifica del presunto metodo originale secondo il quale le cellule sarebbero preparate. Ci sembra questo uno stravolgimento dei fondamenti scientifici e morali della medicina, che disconosce la dignità del dramma dei malati e dei loro familiari». Non proprio formale come lettera. «Non rientra tra i diritti dell'individuo - continuano - decidere quali terapie debbano essere autorizzate dal governo, e messe in essere nelle strutture pubbliche o private. Non rientra tra i compiti del governo assicurare che ogni scelta individuale sia tradotta in scelte terapeutiche e misure organizzative delle strutture sanitarie.
Non sono le campagne mediatiche lo strumento in base al quale adottare decisioni di carattere medico e sanitario». E ancora: «La neutralità intellettuale e morale scelta dal Ministero, rispetto al vero merito della questione sollevata, oggettivamente incoraggia e supporta pratiche commerciali che direttamente o indirettamente sottendono alla propaganda di terapie presunte». E le cosiddette «terapie compassionevoli» non possono essere «un percorso utile ad allentare la vigilanza regolatoria». Come dire, strada aperta a ipotetiche e miracolose cure per il cancro, stregonerie varie, terapie ancora in sperimentazione o ai primi stadi della ricerca. Firmano in 13. Ricercatori: Paolo Bianco, Andrea Biondi, Giulio Cossu, Elena Cattaneo, Michele De Luca, Alberto Mantovani, Graziella Pellegrini, Giuseppe Remuzzi, Silvio Garattini. Il filosofo della scienza Giovanni Boniolo, lo storico della medicina Gilberto Corbellini, il giurista Amedeo Santosuosso, il rettore dell'università di Milano Gianluca Vago. Intanto, la situazione creatasi tra sentenze dei giudici, il blocco dell'Agenzia del farmaco ai laboratori degli Spedali civili di Brescia, l'intervento di politici e media, la soluzione pilatesca di Balduzzi, ha portato la piccola Sofia (il caso su cui è intervenuto Balduzzi) ad una seconda infusione di staminali secondo Stamina ma a nessuna garanzia futura per le altre tre infusioni previste. La direzione generale degli Spedali di Brescia ha fatto sapere che «non è previsto il completamento della terapia, a meno di un'imposizione da parte delle autorità giuridiche o sanitarie nei confronti degli Spedali». La cura della Stamina Foundation non è infatti autorizzata dal Ministero e dall'Aifa. Il Ministero della Salute sembra stia lavorando per trovare una soluzione, attraverso un atto concreto, per consentire alla piccola Sofia di continuare la cura Stamina. Il nodo resta comunque quello che il protocollo di Stamina non è pubblico per ragioni di brevetto (richiesta di brevetto). E quindi altre cell factory autorizzate dovrebbero accettare personale di Stamina Foundation che lavori utilizzando quel metodo «misterioso». Eppure basterebbe che la Stamina Foundation rendesse noto il metodo per sottoporlo a verifica e renderlo praticabile da tutti. Che è poi la regola della scienza. Tanto, a questo punto, il brevetto è relativo. Tutti sanno chi ha messo a punto il metodo.
"Capisco perfettamente che in certi casi, come quello di Sofia, anche un tentativo giudicato inutile dalla scienza, appare comunque preferibile alla perdita della speranza. Tuttavia credo che i pazienti debbano seguire le terapie sperimentali certificate dagli enti pubblici di sorveglianza, che hanno omologhi in ogni Paese civile". Così l'oncologo Umberto Veronesi su “La Repubblica” commenta il caso della bimba di Firenze. Quella di Sofia è una della vicende sulle quali sono nate delle polemiche all'interno della comunità scientifica per il ricorso al protocollo Stamina malgrado la bocciatura del mondo della ricerca. Veronesi ha parlato alla vigilia della cerimonia di consegna dei Grant 2013 da parte della fondazione che porta il nome di Veronesi, che vedrà mercoledì 20 a Roma la presenza di quattro premi Nobel: Harold Kroto (1996), Martin Chalfie (2008), Luc Montagnier (2008) e Ada Yonath (2009). L'ex ministro della Salute ha aggiunto che "la scienza segue parametri universali e rigorosi per la tutela dei malati e la riduzione dei rischi connessi alle nuove terapie, e le sue regole sono studiate per garantire la massima efficacia e trasparenza, oltre che per evitare abusi da parte di qualche medico improvvisato che tenti di sfruttare la disperazione delle famiglie". Ma sull'impiego delle staminali, ha aggiunto Umberto Veronesi, gli aspetti da considerare sono due: "Il primo è quello scientifico, il metodo non è provato e ciò è stabilito da tutti coloro che hanno guardato a fondo. L'altro aspetto - ha sottolineato Veronesi - è un problema psicologico, la persona che non ha speranze di guarigione è certamente autorizzata a recarsi ovunque, anche a cercare farmaci estratti dallo scorpione, o impiegare le cellule staminali. Si tratta di un discorso diverso. Non possiamo opporci - ha concluso l'oncologo - , possiamo dire che è un errore scientifico, ma non possiamo togliere la speranza alle persone". In mezzo a questi due aspetti si ritrova anche lo stato, che dovrebbe fissare regole certe, mentre oggi la decisione su consentire o negare le terapie finisce per arrivare spesso dalla magistratura. "Il governo - è il parere di Veronesi - mi pare sia un po' incerto su come muoversi ed ha molte difficoltà". Proprio sugli effetti delle lacune di legge è intervenuta la Consulcesi. Secondo l'associazione, che tutela i diritti dei medici, è il "vuoto legislativo e amministrativo" a costringere i malati, in presenza del blocco imposto dall'Aifa, a rivolgersi ai tribunali: "Lo testimonia anche il fatto - afferma Consulcesi - che al momento sia pendente un ricorso contro i provvedimenti di blocco adottati dall'Aifa dinanzi al Tar della Lombardia, sezione di Brescia. Anche la Regione competente si è costituita, ribadendo la correttezza e l'adeguatezza delle attività svolte nei laboratori dell'ospedale di Brescia. Se, come auspichiamo, i chiarimenti e le verifiche richiesti dal Tar porteranno all'accoglimento del ricorso, i provvedimenti adottati dall'Aifa saranno annullati, permettendo ai pazienti di accedere al trattamento senza la necessità di ricorrere in giudizio".
Abbiamo seguito tutti con commozione e angoscia il caso della piccola Sofia di cui si è occupato Giulio Golia ne Le Iene show, in onda su Italia 1 domenica 17 marzo 2013. Vi proponiamo, a cura di Alice Toscano, un riepilogo di quanto è accaduto nell'ultima puntata del programma di Italia 1, come riportato fedelmente da un comunicato Mediaset. Comunicato che, speriamo, possa servire a far riflettere ancora una volta sulla gravità della situazione di Sofia e sulla lotta impari che stanno sostenendo i genitori per assicurare la cura alla bambina che oggi ha tre anni e mezzo. Perchè Sofia possa essere salvata bisogna fare presto. Domenica 17 marzo 2013 in diretta alle ore 21.20 nella puntata con “Le Iene show”, la Iena Giulio Golia si è occupata della storia della piccola Sofia, al centro della cronaca negli ultimi giorni. Dopo la battaglia intrapresa dai genitori, la piccola di 3 anni e mezzo affetta da una malattia neurodegenerativa è stata sottoposta alla seconda infusione di cellule staminali con il metodo Stamina agli Spedali Civili di Brescia. Contrariamente a quanto sperava la famiglia, però, per la bambina non è previsto il completamento della terapia che comprenderebbe altre 3 infusioni, a meno che non ci sia un’imposizione giuridica. Per fare chiarezza sulla vicenda e sulle condizioni di Sofia, la Iena ha intervistato il Professore Davide Vannoni, presidente della Stamina Foundation, i genitori di Sofia, il Dottor Marino Andolina, Vice Presidente della Stamina Foundation, e il Direttore Sanitario dell’Ospedale dei Bambini di Brescia, Raffaele Spiazzi. A seguire alcuni stralci delle interviste andate in onda:
Mamma di Sofia: «Ministro, Agenzia Italiana del Farmaco, abbiamo veramente solo 10 giorni di tempo, per permettermi di fare il prelievo delle cellule che garantirà il completamento delle cure per Sofia, per favore. Sistemiamo la questione legale intorno a questa bambina, in modo tale che possiamo pensare di curarla e di salvarle la vita, per favore. Aiutando Sofia si aiutano anche tutti gli altri bambini, che stanno veramente male e hanno bisogno di una regolamentazione di questa situazione assurda. Mi sento di dire ai ricercatori di Telethon che due anni fa li contattammo quando Sofia ancora camminava e zoppicava appena, ci avevano dato la diagnosi il giorno prima. Guido telefonò ai responsabili e comunicò il fatto che noi eravamo alla ricerca di una terapia per la nostra bambina. Ci dissero "purtroppo la bambina, essendo già sintomatica" allora zoppicava appena "non rientra nella sperimentazione di tipo genico che stiamo facendo all'Ospedale San Raffaele di Milano". Quindi noi, diciamo così, ci siamo sentiti esclusi da ogni possibilità di cura e siamo rimasti da soli a far fronte a un mostro che tutti i giorni si mangia un pezzo della nostra bambina, un pezzo che adoriamo e che non rivedremo mai più, che forse speriamo di poter rivedere anche grazie all'aiuto di queste cure compassionevoli con il protocollo Stamina. Quindi mi sento di dire che, essendo Sofia un condannato a morte, un condannato che non ha nemmeno diritto a una cura farmacologica, abbiamo diritto almeno di tentare questo».
Professor Davide Vannoni, presidente Stamina Foundation: «Il Ministro ha fatto solo una dichiarazione ai giornali, e basta. A noi non è arrivato niente di scritto, quindi la responsabilità di questa terapia, in toto, e dell'andare contro l'ordine di un giudice che aveva detto che Sofia non poteva fare questa terapia ce la siamo presa noi e siamo felici di averlo fatto. Sofia è una bambina che ha iniziato un percorso terapeutico. Se ci vogliono far fare questo percorso terapeutico nell'ambito delle cure compassionevoli noi lo porteremo fino infondo e tutti saranno felici e spero che Sofia abbia dei risultati importanti, ma se prima ci fanno fare la prima iniezione e poi ci bloccano la terapia e non ci fanno fare la seconda, poi dopo la seconda ci ribloccano la terapia e non ci fanno fare terza, io credo che questo sia un danno incommensurabile, non solo alla terapia, ma alla famiglia di Sofia. Non possono vivere, oltre alla malattia della figlia, con l'angoscia che un giorno gli dicono che si può fare e il giorno dopo che non si può fare più».
ll Direttore Sanitario dell’Ospedale dei Bambini di Brescia, Raffaele Spiazzi, sul blocco subito alle cure con il metodo Vannoni in seguito all'ispezione della Aifa e del Ministero della Salute nei laboratori degli Spedali di Brescia: «Alcuni aspetti dell'ispezione non li abbiamo condivisi e abbiamo proposto un ricorso contro la stessa ...Il laboratorio funziona, lavora dal 1990, ha prodotto in questi anni quasi 500 preparati per cellule per la gestione di trapianti del midollo osseo...Il laboratorio non era sporco. Noi stiamo facendo trapianti di midollo osseo da 25 anni e anche le preparazioni cellulari che abbiamo utilizzato nelle terapie compassionevoli corrispondevano agli stessi requisiti di sicurezza e sterilità dal punto di vista del controllo microbiologico. Era, immagino, un refuso nell'ordinanza avuta dall'AIFA che noi abbiamo puntualmente contestato».
Dott Andolina, vice-presidente Stamina Foundation: «Madre natura non permette che una Sma1 migliori, può avere una settimana o due di stabilizzazione senza peggioramento, però questa malattia non può che peggiorare. Quindi Celeste è la dimostrazione vivente che la terapia con staminali funziona. Ci sono probabilmente interessi convergenti che mirano a bloccare questo progetto. Se vogliamo andare lontano, ad esempio, le multinazionali che si vedono rovinare i loro affari, perché metà delle terapie farmacologiche diventerebbero inutili se si usassero le staminali. Però, credo che in Italia ci sia un problema di arroganza e di scarsa cultura di persone di basso livello. Di gente che rifiuta l'innovazione perché non la capisce, perché si sente sminuita se non può gestire questa novità. Per le malattie genetiche si raccolgono in Italia decine di milioni di euro. Io già vent'anni fa mi ero occupato di malattie come quella di Sofia e quando ho sfiorato la parola Telethon ho avuto una raccolta di firme contro questo tipo di terapie che avevo già cominciato vent'anni fa e ho lasciato perdere perché ho capito che era pericoloso e adesso ci ho riprovato ma mi è andata male di nuovo».
Le Iene tornano dalla piccola Sofia: la rabbia di Celentano contro il veto, scrive “Firenze Today”. Le Iene tornano sul caso della bimba fiorentina affetta da una malattia neurodegenerativa. Il giornalista Giulio Golia parla poi con Adriano Celentano. Il racconto della piccola Sofia continua a far breccia nei cuori degli italiani. E Giulio Golia delle ‘Iene Show’– Italia 1 – è tornato a Firenze per occuparsi nuovamente del caso. Dopo la messa in onda del primo servizio, domenica 3 marzo, la storia è diventata di dominio pubblico. Così la trasmissione ha trasmesso il secondo capitolo. La storia infatti durante quest’ultima settimana si è ingrandita. Le Iene prima, i titoli dei giornali dopo, ed infine il tam-tam frenetico tra i social network. Passando per l’ira di Adriano Celentano che si era scagliato contro il ministro della Salute, Renato Balduzzi. Il punto infatti di tutta questa vicenda sta nella domanda che titolava il servizio di Giulio Golia: ‘Chi salverà la piccola Sofia?’ La bambina – di 3 anni e mezzo – infatti è affetta da una malattia neurodegenerativa alla quale sono state negate le cure con le cellule staminali con il metodo Stamina. Le cosiddette cure compassionevoli negate a Sofia dal tribunale di Firenze. Così le Iene dopo una settimana di dibattito sono andati a far visita al molleggiato per raccogliere la sua nuova testimonianza: «Mi ha colpito profondamente la drammatica vicenda della piccola Sofia per il semplice fatto che mi è difficile concepire la brutale discriminazione che il Ministro della Sanità usa nei confronti di questa bambina. Non si capisce perché altri bambini affetti dalla stessa malattia possano usufruire delle cure del metodo Vannoni e alla piccola Sofia vengano proibite. E tutto questo solo perché Sofia, forse, ha avuto la sfortuna di nascere a Firenze dove, contrariamente a tutte le altre città, un giudice, chi sa per quale motivo, le ha bloccato le cure. E questo è inaccettabile secondo me. Io faccio appello a tutti quelli che ci stanno seguendo su internet di seppellire di messaggi questo Ministero della Salute». Golia fa presente a Celentano nell'intervista che il Ministro ha dichiarato che si aspettava un po’ più di serietà e informazione. Risponde Celentano: «E’ il solito ritornello, che sono poco informato, che sarebbe meglio che cantassi anzi che parlare. E’ la solita solfa di chi invece desta dei sospetti, la Sanità, il giudice, Telethon, che con tutti i soldi che prende dovrebbe adoperarsi immediatamente per sbloccare questo veto assurdo alla piccola Sofia». E nella serata è arrivata la risposta a Celentano del ministro della Salute: «Sto seguendo personalmente e da molti giorni questa vicenda perché la soluzione da dare sia rispettosa delle leggi e delle esigenze di sicurezza scientificamente accertate. La soluzione che in data odierna abbiamo suggerito potrà consentire alla piccola Sofia di proseguire con il trattamento già iniziato con la prima infusione a condizione che i suoi genitori diano il consenso informato. Non escludo altre forme di intervento che devono comunque rispettare le esigenze di sicurezza della salute pubblica, perché ne va della salute di tutti. Nel pomeriggio, mi ricorda il dicastero in un comunicato, il Ministero della Salute aveva fornito il proprio parere e quello dell'Iss e dell’Aifa sull'accesso al metodo Stamina da parte di pazienti che hanno già avuto un primo trattamento. Il Ministro della salute ha interpellato il Presidente dell'Istituto superiore di sanità e il Direttore generale dell'Aifa sugli aspetti sanitari conseguenti ai complessi e non omogenei interventi dei giudici ordinari e amministrativi sull'impiego delle cellule staminali preparate presso l'Ospedale di Brescia secondo il metodo Stamina. Il Presidente dell'Iss e il Direttore generale dell'Aifa, nel ricordare che le cellule staminali predette risultano preparate non in conformità alle previsioni di legge e in laboratorio non autorizzato, hanno comunque osservato che, se a seguito di pronunce dei giudici viene dato comunque corso all'ulteriore impiego di tali cellule su alcuni pazienti, non sussistono specifiche ragioni per escludere che possano proseguire la stessa terapia i diversi pazienti che, a giudizio dei medici dell'Ospedale di Brescia, hanno avuto un primo trattamento, senza che si siano verificati effetti indesiderati di rilievo, purché, in ogni caso, permanga il consenso informato del paziente o dei genitori del minore alla prosecuzione della cura».
DOVE FINISCONO LE VOSTRE OFFERTE. Scrive “La Leva”. Un episodio molto interessante è la situazione che emerge da un articolo pubblicato su La Stampa nel 1994 (Ombre sulla Lega Tumori. "Fa affari, non prevenzione" p. 13). Il soggetto in questione, in questo caso, è la Lega Tumori, una di quelle associazioni che non incontrano difficoltà a reperire fondi pubblici e privati, disponibilità di personale medico e non, sponsor e benefattori, con la motivazione della necessità di sostenere la ricerca contro il cancro. Ebbene il sottosegretario alla Sanità, Publio Fiori, bocciò il bilancio di previsione '93 della Lega Tumori, sostenendo una grave accusa: più del 90% delle spese non veniva destinato alla ricerca o alla cura dei tumori, ma all'investimento immobiliare e mobiliare. L'accusa dell'onorevole Fiori, veniva supportata da cifre di per sé eloquenti: la sede centrale aveva destinato una minima parte dei mezzi finanziari di cui disponeva, al raggiungimento degli obiettivi istituzionali, equivalenti a 810 milioni (nemmeno un miliardo!), mentre ben 9.360 milioni (quasi 10 miliardi!) sarebbero stati spesi per investimenti patrimoniali. Fiori sottolineava che la Lega Tumori "tiene in piedi un'organizzazione che assorbe costi amministrativi ammontanti a circa 2 mila milioni, dedita per la maggior parte ad investire in operazioni finanziarie, consistenti in prevalenza in acquisto o rinnovo di titoli di Stato". Una terapia veramente innovativa per la cura del cancro, la speculazione in titoli! Bocciati come benefattori, non sembrano abili neppure come amministratori, poiché, da un cospicuo patrimonio immobiliare, riuscivano ad ottenere un rendimento annuo di soli 3 milioni. L'onorevole Fiori ha evidenziato nell'analisi che erano ben 745 i milioni di interessi attivi che la Lega Tumori era riuscita a raggiungere in un anno. Gli altri dati, come per esempio i 2,3 miliardi di immobilizzazioni tecniche ed i 10,1 miliardi di partecipazioni e valori mobiliari, comprovano la validità delle accuse mosse dal parlamentare. E dimostrano in quali amorevoli mani sia, in realtà, affidata la cura dei malati di cancro! Se dopo tutto questi fatti, che purtroppo riguardano anche altri Paesi, ci soffermiamo a confrontare i dati forniti dall'americano N.C.I. ed i finanziamenti investiti inutilmente in tutti questi anni, ne segue una valutazione immediata: non hanno ragione d'essere le lamentele di Garattini sugli scarsi finanziamenti, perché meglio sarebbe per lo Stato italiano, non solo non stanziare più di quanto non abbia già fatto finora, ma anzi esigere un reale, quanto dettagliato e costante resoconto pubblico del procedere delle ricerche e dei risultati conseguiti. Sembra però alquanto difficile pensare che possa prendere una simile decisione uno Stato succube delle multinazionali farmaceutiche. Non pare azzardata l'ipotesi di chi sospetta che, in tutta questa attività di millantata pubblica (?) utilità, ci sia quanto meno una parvenza di interesse privato. Soprattutto alla luce di alcune affermazioni che sono state fatte dalla Guardia di Finanza di Roma, quando ha scoperto persino un'intensa attività di sperimentazione clinica negli ospedali della capitale su pazienti ricoverati. Il Coordinamento per i Diritti dei Cittadini ha infatti rimarcato come "uno degli aspetti più inquietanti sarebbe quello che riguarda i finanziamenti da parte delle case farmaceutiche alle strutture pubbliche che, come prevede la legge, pagano le spese delle sperimentazioni cliniche, oltre al fatto che la ricerca è sostanzialmente orientata solo su quei prodotti che possono garantire un vasto mercato" (L'Indipendente, 19 marzo 1996). Che dire della Francia, dove la Lega nazionale contro il cancro è stata accusata di manipolazioni finanziarie, vedendo coinvolti il presidente ed alcuni ricercatori? I finanziamenti della Campagna nazionale, vanno dai 60 ai 500 franchi francesi per persona, fino alle centinaia di milioni di franchi che pervengono dai suoi tre milioni di aderenti, cittadini in buona fede, ma evidentemente male informati, che credono davvero di contribuire alla vittoria sul cancro con un'offerta, oltre tutto deducibile dalle tasse. Il presidente incriminato è Jacques Crozemarie, dottore honoris causa di una sconosciuta facoltà americana di Charleston, per giunta consigliere della Direzione generale del CNRS per la Ricerca sul cancro. Questa persona ha incassato in tre anni, dal '90 al '93, dai 600 ai 700 mila franchi annui, a titolo di onorario, da una società americana di New York, la Andara, la cui presidente è socia del presidente di un'altra società, che fornisce la carta all'ARC per le sue pubblicazioni, ora sotto inchiesta della Corte dei Conti francese. Ancora più interessante risulterebbe il fatto che il sovvenzionatore di Crozemarie, risulti essere un recapito postale, senza alcuna attività alle spalle (Orizzonti della Medicina, n. 67, giugno 1996, p. 8). Ed ecco le dichiarazioni di Ivan Cavicchi, a quel tempo coordinatore del settore Sanità della Cgil, apparse su Panorama del 14 novembre 1993 e riferite dalla pubblicazione Flash-News n° 41, in cui afferma quanto segue: "Un sistema marcio e corrotto, di cui Poggiolini era solo il guardaportone. Qui c'è la complicità dei ministri De Lorenzo in testa, ma anche del Consiglio Superiore della Sanità, dei luminari del Comitato bioetico, dei professori foraggiati dall'industria farmaceutica: un'intera organizzazione finalizzata a fare soldi sulla pelle dei cittadini". Parole pesanti come macigni; ci aspettavamo delle smentite o delle querele. In effetti Cavicchi non è più responsabile del settore: è stato promosso, è passato alla Farmindustria!
Il business delle malattie. Quando il denaro governa la coscienza, scrive il 28/11/2013 "Mediatime”. Vi siete mai chiesti come mai, dopo molti anni di investimenti dedicati alla ricerca scientifica, siamo ancora lontani dall’eliminazione di molte malattie? Il nostro modello sanitario è davvero affidabile oppure è maggiormente interessato ad incrementare i malati lucrando sulla vendita dei medicinali? Sicuramente molte vite umane sono state salvate dalla medicina ufficiale, anche se sappiamo che purtroppo, nella maggior parte delle patologie più gravi, i farmaci imposti dalle grandi industrie farmaceutiche servono a ben poco e in diversi casi danneggiano il nostro organismo. Come tutti sanno i medicinali non eliminano il problema, ma ne riducono i sintomi, spesso in maniera troppo aggressiva. Quante volte entrando in una farmacia vediamo persone in fila, come se fossero alla cassa di un supermercato, intenti a fare acquisti anche per malesseri banali… Non a caso il potere dell’industria farmaceutica fa leva proprio sulla produzione e la vendita di medicinali per curare malattie a volte persino inventate, come alcune particolari epidemie cosiddette “di tendenza”. Purtroppo non sono state del tutto smentite le voci che riguardano l’introduzione di sostanze cancerogene contenute in alcuni vaccini. Non è difficile pensare che le società farmaceutiche si arricchiscano anche inventando epidemie per vendere vaccini. Tutto questo sembrerebbe fantascienza, non è vero? Magari lo fosse. Il dominio sulla politica. Oggi si evidenzia sempre più l’influenza delle industrie farmaceutiche sulla politica, al fine di bloccare l’accesso ai rimedi naturali, caratterizzati da una letalità nulla e dal merito di aver salvato diverse persone, a differenza dei famaci ufficiali, spesso nocivi. Si potrebbero citare vari esempi, come quello di una nota azienda che, negli anni Ottanta, attraverso un altrettanto conosciuto e diffusissimo farmaco (purtroppo non possiamo fare il nome per ovvi motivi), provocò molti morti vendendo medicinali con un elevato potenziale di contagio dell’AIDS”, poiché sviluppati utilizzando il plasma di donatori portatori di HIV. Alcune di queste testimonianze sono state riportate in varie autorevoli testate giornalistiche, tra cui il Sydney Morning Herald, nel 203 e la CBS, nel 2009. Riguardo a questo, la nota emittente televisiva MSNBC ha trasmesso un video che accusa la stessa casa farmaceutica senza mezzi termini. Controllo nei mass media. Queste lobby agiscono anche influenzando i mezzi di informazione. I cittadini indifesi ogni giorno vengono bombardati da notizie terribili, sapientemente filtrate: disgrazie, attentati terroristici, calamità naturali, truffe, ecc. Nel mondo accadono anche molti episodi lieti, positivi; ma purtroppo non fanno notizia. Lo scopo principale è quello di creare, nel tempo, ansie e preoccupazioni tali da indurre i fruitori dell’informazione ad ammalarsi. Una sorta di suggestione collettiva, che colpisce prevalentemente persino quelle persone convinte di essere sveglie e vigili, ma in realtà facilmente influenzabili dai media e dall’opinione pubblica. Le malattie di origine psicosomatiche sono all’ordine del giorno e spesso diventano persino letali. Il vero guadagno dell’industria farmaceutica sta essenzialmente sulle cure contro il cancro. Se da un lato la chemioterapia risulta, senza ogni minimo dubbio, nociva per l’intero organismo umano, dall’altro rappresenta inequivocabilmente il più potente business. Al di là dei costi dei medicinali chemioterapici, in alcuni casi gratuiti grazie al Servizio Sanitario Nazionale, il costo per lo Stato è altissimo, decine di migliaia di euro a ciclo, da ripetere più volte. Vanno anche considerati i farmaci e i trattamenti addizionali per combattere gli imponenti effetti collaterali. Inoltre un paziente che ha subito una chemioterapia nella maggior parte dei casi avrà bisogno per tutta la vita di farmaci di mantenimento. Un’altra forma di manipolazione si verifica attraverso il controllo dell’alimentazione, anch’essa causa di molte malattie. Una cattiva informazione sulle reali proprietà di alcuni alimenti possono, nel tempo, indurre ad abitudini alimentari nocive. Oggi si parla molto di alimenti biologici. Ma chi certifica queste qualità sui cibi che troviamo nei negozi e supermercati? Non tutti sanno che dietro queste istituzioni-commissioni, si cela sempre il monopolio delle società farmaceutiche. Non stupiamoci allora se poi veniamo a scoprire che molti dei cibi in apparenza biologici siano stati trattati, nelle varie fasi del processo di produzione, con diversi additivi nocivi, non naturali. Sembrerebbe inoltre che la politica dalle industria farmaceutica sia costretta a ridicolizzare le varie cure alternative: non sempre risolutive ma in alcuni casi efficaci e sicuramente prive di effetti collaterali, tipici invece dei farmaci convenzionali. Aleggia sempre un aspro paradosso che fa riflettere: molti per curarsi dal cancro, vengono uccisi dai devastanti effetti della chemioterapia. Possibile che la medicina ufficiale non investa anche in ricerche orientate sulle cure alternative? Evidentemente, in caso di successo, il business verrebbe a mancare. L’ambiguità nei confronti dei farmaci naturali. Anche in virtù del fallimento riguardo l’efficacia della medicina ufficiale e alla preoccupante crescita delle patologie cronico-degenerative, sempre più persone nel mondo si sono avvicinate ai farmaci naturali. L’Italia è uno dei principali mercati europeo per i medicinali omeopatici. Una curiosa contraddizione è quella di considerare, da parte della medicina ufficiale, i prodotti omeopatici come NON farmaci, addirittura paragonandoli all’acqua fresca. Allora perché L’AIFA, l’Agenzia Italiana del Farmaco, pretende tutte le analisi, come se fossero veri e propri farmaci, tra l’altro costosissime e tutte a carico dei produttori, molti dei quali costretti, di conseguenza, a chiudere? E’ ovvio che questo sistema industriale, pur di ottenere i risultati necessari, è costretto a ostacolare lo sviluppo della scienza sperimentale e clinica. Non approfondiamo inoltre gli svariati episodi di corruzione nei confronti di medici onesti ed istituzioni sanitarie. Un Premio Nobel dimenticato. Forse seconde questa filosofia industriale della medicina ufficiale dovremmo persino dimenticarci della storia: nel 1931 un prestigioso Premio Nobel per la medicina venne assegnato a Otto Heinrich Warburg, per la prevenzione del cancro. Il “difetto”, se così possiamo chiamarlo, di questa sorprendente tesi, avvalorata da un riconoscimento ufficiale, sta forse nel fatto che ai giorni d’oggi all’industria del settore la prevenzione del cancro a costo zero non porta fatturati interessanti? Fanno discutere persino alcune affermazioni della cosiddetta comunità scientifica quando ribadiscono l’assenza di prove riguardo alcune metodologie alternative: in realtà le prove ci sarebbero, ma non vengono ufficializzate sempre per il solito motivo. Purtroppo il denaro governa anche la coscienza. Alla luce dei milioni di decessi avvenuti negli anni, utilizzando diversi farmaci nocivi, sarebbe inevitabile rivalutare con più serietà e meno ipocrisia, nelle cure mediche, l’uso di rimedi naturali rispetto a quelli sintetici: la posta in gioco è la vita o la morte dell’umanità.
Intervista a Linus Pauling del 2/10/2016 di Marcello Pamio su "disinformazione.it": “la ricerca sul cancro non esiste. E’ una truffa”.
D: Dottor Pauling, lei è l’unico scienziato al mondo ad aver ricevuto ben due Premi Nobel per categorie diverse: quali sono queste categorie?
R: Ho ricevuto il Premio Nobel per la Chimica nel 1954, e per la Pace nel 1962.
D: Nonostante i numerosi studi, pubblicazioni e ricerche, ha avuto persino il tempo per codificare la cosiddetta «medicina ortomolecolare». Ci può spiegare cos’è?
R: Ho coniato il termine «medicina ortomolecolare» per indicare il mantenimento della buona salute e il trattamento delle malattie attraverso la variazione della concentrazione di sostanze che sono generalmente presenti nel corpo umano e sono necessarie per la salute. Per la Vitamina C, credo che il trattamento di una malattia attraverso il ricorso a sostanze che, come, l’acido ascorbico, sono normalmente presenti nel corpo umano e necessarie alla vita, sia da preferirsi a un trattamento che comporti il ricorso a potenti sostanze sintetiche o a estratti delle piante che possono avere, e generalmente hanno, effetti collaterali indesiderabili. L’uso terapeutico di grandi quantità di vitamine, che viene chiamato «terapia megavitaminica», è un procedimento molto importante nella medicina ortomolecolare.
D: Quindi lei sostiene l’importanza delle vitamine nella terapia di moltissime malattie: cosa ci può dire a proposito della Vitamina C?
R: La Vitamina C rafforza i naturali meccanismi di difesa, in particolar modo del sistema immunitario e aumenta l’efficacia degli enzimi nel catalizzare le reazioni biochimiche. E’ necessaria per le reazioni vitali di idrossilazione, in particolare nell’ormone adrenalina e nella sintesi della molecola del collagene. Il collagene è una delle più abbondanti proteine presenti nel corpo che va a costituire il tessuto connettivo (la materia plastica naturale del corpo: cartilagini, tendini, vasi sanguigni, ecc.). Un’elevata assunzione di Vitamina C aiuta a controllare molte malattie: non solo il comune raffreddore, ma anche altre, virali e batteriche, come l’epatite, e altre ancora, assolutamente non correlate fra loro, come la schizofrenia, i disturbi cardiovascolari e il cancro. Il dott. Claus W. Jungerblut, dell’Università della Columbia, nel 1935 riferì che la Vitamina C ad alte dosi rende inattivo il virus della poliomielite, dell’herpes, del vaiolo bovino e quello dell’epatite. Non solo, la Vitamina C rende inattivi pure i batteri e le loro tossine (difterite, stafilococco, dissenteria, ecc.)
D: Uno dei problemi più seri della nostra società sono le malattie cardiovascolari. Nonostante l’immenso bagaglio farmaceutico messo a disposizione dalle corporazioni della chimica, ogni anno muoiono moltissime persone nel mondo. In questo caso la Vitamina C può essere d’aiuto, oppure no?
R: Le patologie cardiache costituiscono la principale causa di morte nei paesi industrializzati. Sono convinto che il tasso di mortalità relativo a queste patologie a ogni età potrebbe essere diminuito in maniera notevole, probabilmente ridotto a metà, attraverso un uso appropriato della Vitamina C.
D: Viste le proprietà eccezionali di questa vitamina, non capisco perché le case farmaceutiche non s’interessano della Vitamina C! O meglio, so bene qual è il motivo, ma vorrei sentire la sua opinione!
R: La mancanza d’interesse delle multinazionali risiede nel fatto che la Vitamina C è una sostanza naturale che è disponibile a bassi costi e che non può essere brevettata! Proprio come pensavo. Sempre la solita minestra: una sostanza, nonostante le proprietà terapeutiche, non viene presa in considerazione dalle corporazioni della chimica se non produce ritorni economici enormi.
D: Dottor Pauling, la RGR della Vitamina C (Razione Giornaliera Raccomandata) consigliata dal ministero dell’Alimentazione e della Nutrizione è di 60 milligrammi al giorno. Lei invece parla di svariati grammi al giorno…
R: Le RGR relative alle vitamine, sono le dosi che hanno la probabilità di prevenire nelle persone «di salute normalmente buona» la morte per scorbuto, beri-beri, pellagra, o altre malattie da carenza vitaminica, ma non sono le dosi che fanno acquistare alla gente uno stato ottimale di salute. Per un essere umano, 2300 milligrammi (2,3 grammi) al giorno di acido ascorbico sono inferiori al tasso ottimale di assunzione di questa vitamina. Da numerosi studi risulta che l’assunzione ottimale di Vitamina C per un essere umano adulto varia da 2,3 grammi a 10 grammi al giorno. Le differenze biochimiche individuali sono tali che, su una vasta popolazione, il tasso di assunzione può essere incluso tra i 250 milligrammi e i 20 grammi, o anche più, al giorno.
D: Ma dosi così elevate non sono pericolose per la salute?
R: L’acido ascorbico nella letteratura medica è descritto come «virtualmente non tossico». Alcune persone hanno ingerito dai 10 a 20 grammi di Vitamina C al giorno per 25 anni senza che si producessero calcoli renali o altri effetti collaterali. Un ammalato di cancro ne ha presi 130 grammi al giorno per 9 anni, ricavandone beneficio. Non è mai stato segnalato alcun caso di morte per una ingestione massiccia di acido ascorbico e neppure alcuna malattia seria.
D: Ma non basta la Vitamina C contenuta negli alimenti?
R: Il ricercatore Irwin Stone, nel 1965, rilevò che gli esseri umani e altri primati come la scimmia rheus, non sanno sintetizzare la Vitamina C e la richiedono come vitamina integrativa. Una volta che una specie ha perso tale capacità di produrla autonomamente, essa dipende, per la sua esistenza, dalla possibilità di trovarla nel cibo a disposizione. Però, visto che la maggior parte delle specie animali non hanno perso questa capacità (ad esclusione dell’uomo), significa che la quantità di acido ascorbico generalmente presente nel cibo non è sufficiente a fornire la dose ottimale.
D: Quindi se ho capito bene: l’uomo, avendo perso la capacità di sintetizzare la Vitamina C autonomamente, necessità di un apporto esterno attraverso il cibo. Ma il cibo non è ricco a sufficienza per soddisfare questo fabbisogno! Come possiamo allora integrare l’acido ascorbico?
R: La Vitamina C, o acido ascorbico, è una polvere bianca cristallina che si scioglie in acqua. La sua soluzione ha un sapore acido, che ricorda quello dell’arancia. Essa può essere assunta oralmente, anche sotto forma di sali dell’acido ascorbico, in particolare come ascorbato di sodio e ascorbato di calcio. Tuttavia solo questi ultimi due, che sono sali, possono essere iniettati per via endovenosa, poiché diversamente la soluzione acida danneggia le vene e i tessuti.
D: Lei ha criticato molto lo zucchero, come mai? Ci sono evidenze scientifiche della sua pericolosità per la salute?
R: Da numerosi studi siamo portati a concludere che gli uomini che ingeriscono molto zucchero corrono rischi di gran lunga maggiori di ammalarsi di cuore, in un’età variante fra i 45 e i 65 anni, rispetto a quelli che ne ingeriscono quantità inferiori. L’incidenza di malattie coronariche, inclusa l’angina pectoris, va di pari passo con l’aumentato consumo di zucchero, e non è affatto correlata con il consumo di grassi animali o dei grassi in genere. Il metabolismo del saccarosio (zucchero) produce al primo stadio uguali quantità di glucosio e di fruttosio. Il glucosio entra direttamente nei processi metabolici che forniscono l’energia alle cellule del corpo, il metabolismo del fruttosio invece procede in parte per una direzione diversa, che prevede la produzione di acetato, precursore del colesterolo che sintetizziamo nelle cellule del fegato. In uno studio clinico della massima serietà, è stato dimostrato che l’ingestione del saccarosio porta a un aumento della concentrazione di colesterolo nel sangue.
D: Per concludere, qual è la sua ricetta, se ne ha una, per stare bene e vivere a lungo?
R: Ecco i punti fondamentali del regime:
1) INTEGRARE L’ALIMENTAZIONE CON NOTEVOLI QUANTITÀ DI VITAMINA C (DA 6 A 18 GRAMMI), VITAMINA A, E, B.
2) ASSUMERE MINERALI (CALCIO, FERRO, RAME, MAGNESIO, ZINCO, CROMO, SELENIO, ECC.)
3) RIDURRE L’ASSUNZIONE DI ZUCCHERO
4) MANGIARE CIÒ CHE PIACE, MA IN MANIERA MODERATA
5) BERE MOLTA ACQUA E POCHI ALCOLICI
6) FARE ATTIVITÀ FISICA
7) NON FUMARE
8) EVITARE OGNI FORMA DI STRESS
La caratteristica principale rimane comunque l’apporto di vitamine, soprattutto di Vitamina C!
Cancro “incurabile”, il business infinito della chemioterapia, scrive il 22/10/15 "Libreidee". Da decenni, il cancro viene inutilmente fronteggiato con la chemioterapia: l’oncologia ospedaliera non guarisce quasi nessuno, e i tumori stanno aumentando in modo esponenziale. In parallelo, c’è il boom delle cure alternative: in questo settore si registrano guarigioni in costante aumento, ma i numeri sono ancora limitati e comunque esclusi dall’ufficialità. Ovvio, sottolineano gli “alternativi”: per il sistema è pericoloso far sapere che si può guarire anche solo con erbe, biofarmaci e dieta, cioè con quattro soldi, mentre il sistema ospedaliero (chemio e radio) costa una follia, oltre a non salvare nessuno. Di recente, Paolo Barnard ha acceso una contro-polemica, accusando di slealtà gli “alternativi” che speculerebbero sull’altrui dolore, contrabbandando soluzioni miracolose quanto irrealistiche. La riprova? I potenti della terra, a partire dal boss della Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, ricorrono alla chemio. «In realtà – replica a distanza Paolo Franceschetti, autore di un sito sulle cure alternative esistenti – i super-potenti sono i primi a ricorrere a metodi alternativi: lo stesso Berlusconi ha evitato la chemio ed è guarito grazie alla terapia Di Bella». «Se sei un americano, hai una possibilità su tre di avere un cancro nel corso della tua vita», scrive Michael Snyder in un post ripreso dal blog di Maurizio Blondet. «Praticamente chiunque in America conosce qualcuno che ha il cancro o che ne è già morto». Eppure, negli anni ‘40, a sviluppare il cancro era solo un americano su 16. «Deve essere accaduto qualcosa che ha provocato questa crescita esplosiva, e che induce a ritenere che il cancro sorpasserà presto le cardiopatie diventando la prima causa di morte». Secondo l’Oms, ogni anno vengono diagnosticati 14 milioni di nuovi casi nel mondo, ed è atteso un incremento del 70% nei prossimi due decenni. «Esistono davvero poche parole capaci di fare tanta paura come la parola “cancro”, e nonostante i miliardi spesi nella ricerca e nel suo progresso tecnologico, questa piaga continua ad allargarsi e a mietere vittime. Come è possibile?». Sconcertante la débacle statistica della disciplina oncologica: a differenza di ogni altro settore della medicina, questa non riesce praticamente mai a curare efficacemente i pazienti, a cui peraltro non sa diagnosticare le cause dell’insorgenza patologica (cosa che invece fa la medicina olistica, basata anche sull’analisi dell’alimentazione). In compenso, il business del cancro va a gonfie vele: oggi, continua Snyder, in America si spende più denaro per trattare il cancro che qualunque altra malattia. Secondo la “Nbc”, solo lo scorso anno si è trattato di 100 miliardi di dollari in farmaci anti-cancro, tutti largamente inefficaci: «Mentre i prezzi delle medicine continuano a scendere costantemente, la spesa per le medicine contro i tumori hanno raggiunto un nuovo traguardo: 100 miliardi di dollari nel 2014». Un incremento di 75 miliardi di dollari in cinque anni, secondo un’indagine dell’Ims Institute for Healthcare Informatics. Cento milioni di dollari sarebbero già una cifra pazzesca, osserva Snyder, ma 100 miliardi sono mille volte quella cifra. «Non mi pare ci sia bisogno di dire che ci sono un sacco di persone, là fuori, che stanno diventando smisuratamente ricche grazie a questi trattamenti. E il costo di alcuni di essi è semplicemente assurdo. Sempre secondo la “Nbc”, due dei farmaci commercializzati più recentemente costano 12.500 dollari per un mese di terapia». Farmaci, peraltro, non risolutivi: poco più di metà dei pazienti può sperare di sopravvivere per 5 anni al massimo. «Viviamo in una società estremamente tossica, e che lo diventa ogni giorno di più», scrive Snyder. «E una volta che hai sviluppato il cancro, ai dottori non è permesso prescrivere trattamenti “alternativi”. Quello che possono fare è prescriverti terapie che il sistemagli dice di prescriverti». Idem in Italia: i sanitari devono attenersi al protocollo standar, quello che non guarisce quasi mai nessuno e si basa, ad esempio, sulla chemio. «E’ una terapia mostruosa, che spesso uccide il paziente invece di uccidere il tumore», continua Snyder. «Molti pazienti vivono un ciclo infernale dopo l’altro, sperando che possa essere risolutivo. Avete mai parlato con qualcuno che ha vissuto questo calvario? E’ straziante». Dice il dottor Ralph Moss, autore del libro “L’industria del cancro”: «Non c’è alcuna prova che la chemioterapia prolunghi la sopravvivenza nella gran parte dei casi. E questa è la grande bugia sulla chemioterapia, che ci sia in qualche modo una correlazione tra la riduzione del tumore e l’allungamento della vita di un paziente». Allora perché gli oncologi spingono tanto per la chemio? Secondo le analisi di Steven Levitt e Stephen Dubner, quelli di “Freakanomics”, «gli oncologi sono tra i medici più pagati, la media dei loro redditi cresce più di quella di qualsiasi altro specialista, e più della metà dei loro guadagni proviene dalla vendita e somministrazione della chemioterapia». Il loro modello di business «è differente da quello degli altri medici», scrive Snyder, «perché non è che tu puoi andare a comprarti la chemioterapia in farmacia». Negli Usa, «gli oncologi la comprano all’ingrosso, poi gonfiano il prezzo e mettono in conto alle compagnie di assicurazione». Questo profitto legalizzato sui farmaci contro il cancro è un caso unico, negli Stati Uniti. «Fanno soldi sulle terapie che dicono ti salveranno la vita. E’ un conflitto di interessi gigantesco. Ti vendono le terapie, e ti fanno pagare il privilegio di iniettartele. Non lo fa nessun altro medico». Il nostro sistema è profondamente guasto e corrotto, conclude Snyder. «Ma non cambierà niente nell’immediato futuro, perché grazie ad esso si guadagnano centinaia di miliardi di dollari». Da decenni, il cancro viene inutilmente fronteggiato con la chemioterapia: l’oncologia ospedaliera non guarisce quasi nessuno, e i tumori stanno aumentando in modo esponenziale. In parallelo, c’è il boom delle cure alternative: in questo settore si registrano guarigioni in costante aumento, ma i numeri sono ancora limitati e comunque esclusi dall’ufficialità. Ovvio, sottolineano gli “alternativi”: per il sistema è pericoloso far sapere che si può guarire anche solo con erbe, biofarmaci e dieta, cioè con quattro soldi, mentre il sistema ospedaliero (chemio e radio) costa una follia, oltre a non salvare nessuno. Di recente, Paolo Barnard ha acceso una contro-polemica, accusando di slealtà gli “alternativi” che speculerebbero sull’altrui dolore, contrabbandando soluzioni miracolose quanto irrealistiche. La riprova? I potenti della terra, a partire dal boss della Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, ricorrono alla chemio. «In realtà – replica a distanza Paolo Franceschetti, autore di un sito sulle cure alternative esistenti – i super-potenti sono i primi a ricorrere a metodi alternativi: lo stesso Berlusconi ha evitato la chemio ed è guarito grazie alla terapia Di Bella». «Se sei un americano, hai una possibilità su tre di avere un cancro nel corso della tua vita», scrive Michael Snyder in un post ripreso dal blog di Maurizio Blondet. «Praticamente chiunque in America conosce qualcuno che ha il cancro o che ne è già morto». Eppure, negli anni ‘40, a sviluppare il cancro era solo un americano su 16. «Deve essere accaduto qualcosa che ha provocato questa crescita esplosiva, e che induce a ritenere che il cancro sorpasserà presto le cardiopatie diventando la prima causa di morte». Secondo l’Oms, ogni anno vengono diagnosticati 14 milioni di nuovi casi nel mondo, ed è atteso un incremento del 70% nei prossimi due decenni. «Esistono davvero poche parole capaci di fare tanta paura come la parola “cancro”, e nonostante i miliardi spesi nella ricerca e nel suo progresso tecnologico, questa piaga continua ad allargarsi e a mietere vittime. Come è possibile?». Sconcertante la débacle statistica della disciplina oncologica: a differenza di ogni altro settore della medicina, questa non riesce praticamente mai a curare efficacemente i pazienti, a cui peraltro non sa diagnosticare le cause dell’insorgenza patologica (cosa che invece fa la medicina olistica, basata anche sull’analisi dell’alimentazione). In compenso, il business del cancro va a gonfie vele: oggi, continua Snyder, in America si spende più denaro per trattare il cancro che qualunque altra malattia. Secondo la “Nbc”, solo lo scorso anno si è trattato di 100 miliardi di dollari in farmaci anti-cancro, tutti largamente inefficaci: «Mentre i prezzi delle medicine continuano a scendere costantemente, la spesa per le medicine contro i tumori hanno raggiunto un nuovo traguardo: 100 miliardi di dollari nel 2014». Un incremento di 75 miliardi di dollari in cinque anni, secondo un’indagine dell’Ims Institute for Healthcare Informatics. Cento milioni di dollari sarebbero già una cifra pazzesca, osserva Snyder, ma 100 miliardi sono mille volte quella cifra. «Non mi pare ci sia bisogno di dire che ci sono un sacco di persone, là fuori, che stanno diventando smisuratamente ricche grazie a questi trattamenti. E il costo di alcuni di essi è semplicemente assurdo. Sempre secondo la “Nbc”, due dei farmaci commercializzati più recentemente costano 12.500 dollari per un mese di terapia». Farmaci, peraltro, non risolutivi: poco più di metà dei pazienti può sperare di sopravvivere per 5 anni al massimo. «Viviamo in una società estremamente tossica, e che lo diventa ogni giorno di più», scrive Snyder. «E una volta che hai sviluppato il cancro, ai dottori non è permesso prescrivere trattamenti “alternativi”. Quello che possono fare è prescriverti terapie che il sistema gli dice di prescriverti». Idem in Italia: i sanitari devono attenersi al protocollo standar, quello che non guarisce quasi mai nessuno e si basa, ad esempio, sulla chemio. «E’ una terapia mostruosa, che spesso uccide il paziente invece di uccidere il tumore», continua Snyder. «Molti pazienti vivono un ciclo infernale dopo l’altro, sperando che possa essere risolutivo. Avete mai parlato con qualcuno che ha vissuto questo calvario? E’ straziante». Dice il dottor Ralph Moss, autore del libro “L’industria del cancro”: «Non c’è alcuna prova che la chemioterapia prolunghi la sopravvivenza nella gran parte dei casi. E questa è la grande bugia sulla chemioterapia, che ci sia in qualche modo una correlazione tra la riduzione del tumore e l’allungamento della vita di un paziente». Allora perché gli oncologi spingono tanto per la chemio? Secondo le analisi di Steven Levitt e Stephen Dubner, quelli di “Freakanomics”, «gli oncologi sono tra i medici più pagati, la media dei loro redditi cresce più di quella di qualsiasi altro specialista, e più della metà dei loro guadagni proviene dalla vendita e somministrazione della chemioterapia». Il loro modello di business «è differente da quello degli altri medici», scrive Snyder, «perché non è che tu puoi andare a comprarti la chemioterapia in farmacia». Negli Usa, «gli oncologi la comprano all’ingrosso, poi gonfiano il prezzo e mettono in conto alle compagnie di assicurazione». Questo profitto legalizzato sui farmaci contro il cancro è un caso unico, negli Stati Uniti. «Fanno soldi sulle terapie che dicono ti salveranno la vita. E’ un conflitto di interessi gigantesco. Ti vendono le terapie, e ti fanno pagare il privilegio di iniettartele. Non lo fa nessun altro medico». Il nostro sistema è profondamente guasto e corrotto, conclude Snyder. «Ma non cambierà niente nell’immediato futuro, perché grazie ad esso si guadagnano centinaia di miliardi di dollari».
Beneficenza, fondi Airc: alla ricerca solo la metà. Più di 90 milioni di entrate nel 2008, ai laboratori destinati 45 milioni e mezzo L’anno scorso quasi 23 milioni dirottati verso fondi di investimento e obbligazioni. Viaggio nel lato oscuro della beneficenza, scrive Stefano Filippi, Giovedì 13/08/2009, su "Il Giornale". La sigla è una delle più conosciute dalle famiglie italiane: Airc, Associazione italiana per la ricerca sul cancro. È il male del secolo, ed è una malattia ancora oscura. I fondi da investire negli studi non sono mai abbastanza. E la macchina per raccogliere denaro è enorme. L’associazione ha una lunga storia alle spalle: nacque nel 1965 da una costola dell’Istituto dei tumori di Milano. Conta su un milione 700mila soci in tutta Italia che ne confermano la vastissima fiducia. Ha l’appoggio di testimonial famosi (attori, campioni dello sport, intellettuali) che invitano a fare testamento a favore della ricerca. Un nome di spicco della medicina italiana, quello dell’oncologo Umberto Veronesi, senatore ed ex ministro, è garanzia di serietà. Lo staff è composto da un comitato tecnico-scientifico che vigila sull’impiego dei fondi e un gruppo di 250 scienziati stranieri che valuta i progetti di ricerca. Numerosi imprenditori di successo arricchiscono la composizione dei 17 comitati regionali. Un parterre consolidato di grandi aziende (Rai e Mediaset, Intesa e Unicredit, Tim e Vodafone, Starwood ed Esselunga) assicurano stabilità nel tempo. Gli ultimi due spot istituzionali sono firmati dal regista Ferzan Ozpetek e hanno come protagoniste Isabella Ferrari e Valeria Golino. Le iniziative promozionali entrano in tutte le case italiane: l’Azalea della ricerca, le Arance della salute, la Giornata nazionale. E ancora feste, mercatini, concerti, pubblicazioni scientifiche. E soprattutto l’Ifom (Istituto Firc di oncologia molecolare), fondato nel 1998 dalla Fondazione italiana per la ricerca sul cancro, un centro di studio e ricerca non profit ad alta tecnologia. Dare soldi all’Airc è come metterli nel salvadanaio regalato dai nonni: sono al sicuro. Un nome, una garanzia. Infatti l’associazione raccoglie una montagna di denaro: nel 2008, informa il bilancio appena pubblicato, sono arrivati 90.542.066 euro dall’attività di raccolta fondi. Arance e azalee, quote associative e bollettini postali, auguri e donazioni hanno fruttato 58 milioni e rotti di euro cui si aggiungono oltre 32 milioni dal 5 per mille. Per avere dei paragoni, Actionaid ha proventi per 44 milioni di euro, Telethon 30 milioni, Emergency 22 milioni, Telefono azzurro 7 e mezzo. Ma quanti di questi denari raccolti finiscono effettivamente ai ricercatori che devono sconfiggere il cancro? La risposta, contenuta nel medesimo bilancio, è sorprendente: poco più della metà. Nel 2008 l’Airc ha destinato 43.892.390 euro (il 48,5 per cento) a «progetti di ricerca, borse di studio e interventi vari», altri 1.146.497 euro (1,3 per cento) ad «attività istituzionale d'informazione scientifica “Notiziario fondamentale” e sito internet», infine 577.339 euro (0,6 per cento) ad altre attività istituzionali. In totale, l’«attività istituzionale di sviluppo della ricerca oncologica e informazione scientifica» è costata all’Airc 45.616.226 euro: il 50,4 per cento delle somme raccolte presso gli italiani. Percentuale che scenderebbe al 49,4 se, invece che limitarsi ai fondi donati, considerassimo il totale dei mezzi disponibili (raccolta fondi più proventi finanziari). E l’altra metà della mietitura, dove finisce? È una ricostruzione complessa. Raccogliere soldi costa, e costa caro. Per comprare e distribuire le arance della salute si spendono un milione 373mila euro (ricavo netto due milioni409mila), i 700mila cestini delle azalee della ricerca assorbono quattro milioni 774mila (per un guadagno di cinque milioni 638mila). E poi la spedizione dei bollettini postali, l’attività dei comitati, le campagne pubblicitarie e di sensibilizzazione. Complessivamente, gli oneri direttamente legati al «fundraising» ammontano a 16.333.434 euro: come dire che per ogni euro raccolto, 18 centesimi sfumano in spese vive. A questo calcolo vanno aggiunti i costi generali, cioè quelli sostenuti per tenere in piedi la complessa macchina dell’associazione: stipendi (cinque dirigenti, 72 impiegati, 5 collaboratori), gestione soci, attrezzature, computer, telefoni, comitati regionali. Questa voce si porta via 5.864.642 euro. E fanno 22 milioni 200mila euro di spese: un quarto delle entrate. Sono cifre paragonabili al bilancio di una media azienda italiana. Ricapitoliamo. Nel 2008 l’Associazione per la ricerca sul cancro ha avuto a disposizione 92.285.542 euro, di cui 90.542.066 donati direttamente dagli italiani in varie forme. Una quantità di soldi strabiliante. I vertici dell’Airc ne hanno destinato soltanto metà alla ricerca oncologica, scopo istituzionale dell’organismo. Per pareggiare i conti, manca l’ultimo quarto: 24 milioni e mezzo di euro. Che sono stati iscritti in bilancio come «risultato gestionale dell’esercizio». Un utile accantonato e non utilizzato. Un ottimo risultato, se paragonato alla perdita di quasi quattro milioni di euro registrata nel 2007. Secondo l’articolo 20 dello statuto dell’Airc, gli avanzi di gestione «saranno destinati, negli esercizi successivi, agli scopi istituzionali»: in ogni caso non viene distribuito nessun utile. Ma nel frattempo, come vengono impiegati? Vengono investiti in titoli e fondi comuni di investimento. In attesa di tempi migliori nei quali aprire nuovi fronti di lotta al cancro, l’Airc mette in banca i soldi versati con tanta generosità dagli italiani. Il dettaglio è contenuto nella nota integrativa al bilancio. Al 31 dicembre 2008 risultavano titoli di stato italiani (20.220.000 euro contro i 698mila del 2007), fondi comuni monetari (573mila, un anno prima erano 5.802.000), obbligazioni di società italiane (20mila), titoli di Stato estero denominati in euro (5.054.000 euro). Le disponibilità liquide ammontavano a 22.965.000 euro. Tra interessi e cedole, questa serie di investimenti ha reso un milione scarso. L’Airc spiega che un avanzo di gestione di tali dimensioni è dovuto al 5 per mille sui redditi 2005, solo parzialmente utilizzato. «Il consiglio direttivo ha dato mandato alla Commissione consultiva scientifica di predisporre il piano strategico per l’utilizzo delle eccezionali risorse pervenute e che perverranno negli esercizi futuri. Possibile che l’associazione non avesse idea di quanto avrebbe incassato? E che non abbia progetti, borse di studio o iniziative pronte per essere lanciate? Il Giornale avrebbe voluto porre queste e altre domande a Piero Sierra, presidente dell’Airc, il quale però era già partito per le vacanze lontano dall’Italia dove non è stato possibile telefonargli.
La grande truffa del Telethon il professor Testard denuncia una "mistificazione". Il Telethon 2008 in Francia è terminato il 7 dicembre, dopo 30 ore di appello ai donatori. Più di 95 milioni di euro sono stati raccolti per la ricerca sulle malattie genetiche. Sono 20 anni che questa "grande fiera" televisiva continua... Ecco cosa ne pensa un ricercatore, uno specialista in biologia della riproduzione. (La grande escroquerie du Téléthon Le professeur Testard dénonce une "mystification". Traduzione di Giuditta). "E 'scandaloso. Il Telethon raccoglie annualmente tanti euro quanto il bilancio di funzionamento di tutto l'Inserm. La gente pensa di donare soldi per la cura. Ma la terapia genica non è efficace. Se i donatori sapessero che il loro denaro, prima di tutto è utilizzato per finanziare le pubblicazioni scientifiche, ma anche i brevetti di poche imprese, o per eliminare gli embrioni dai geni deficienti, cambierebbero di parere. Il professor Marc Peschanski, uno dei architetti di questa terapia genica, ha dichiarato che abbiamo intrapreso un strada sbagliata. Si stanno facendo progressi nella diagnosi, ma non per guarire. Inoltre, anche se progrediamo tecnicamente, noi non comprendiamo molto di più la complessità della vita. Poichè non possiamo guarire le malattie, sarebbe preferibile cercare di scoprirne l'origine, prima che si verifichino. Ciò consentirebbe l'assoluta comprensione dell'uomo, di una certa definizione di uomo". In un'intervista con Medicina-Douces.com. Jacques Testard, è direttore di ricerca presso l'Istituto Nazionale della Sanità e della Ricerca Medica (Inserm), specialista in biologia della riproduzione, "padre scientifico" del primo bebè-provetta francese, e autore di numerose pubblicazioni scientifiche che dimostrano il suo impegno per una "scienza contenuta entro i limiti della dignità umana". Testard scrive sul suo blog, fra l'altro: "Gli OGM (organismi geneticamente modificati) sono disseminati inutilmente, perché non hanno dimostrato il loro potenziale, e presentano un reale rischio per l'ambiente, la salute e l'economia. Essi non sono che degli avatar dell'agricoltura intensiva che consentono ai produttori di fare fruttificare i brevetti sulla Natura e la Vita. Al contrario, i test terapeutici sugli esseri umani sono giustificati quando sono l'unica possibilità, anche piccola, per salvare una vita. Ma è assolutamente contraria all'etica scientifica (e medica) far credere a dei successi imminenti di uno o di un altro farmaco. Nonostante i numerosi errori, i fautori della terapia genica (spesso gli stessi fra quelli degli OGM) sostengono che "finiremo per arrivarci", e hanno creato un tale aspettativa sociale che il "misticismo del gene" si impone ovunque, sino nell'immaginario collettivo. Il successo costante del Telethon dimostra questo effetto, poiché a forza di ripetute promesse, e grazie alla complicità di personalità mediatiche e scientifiche, questa operazione raccoglie donazioni per un importo vicino al bilancio di funzionamento di qualsiasi ricerca medica in Francia. Questa manna influisce drammaticamente sulla ricerca biologica in quanto la lobby del DNA dispone del quasi monopolio dei mezzi finanziari (finanziamenti pubblici, dell'industria e della beneficenza) e intellettuali (riviste mediche, convenzioni, contratti, man bassa sugli studenti ...). Quindi, la maggior parte delle altre ricerche sono gravemente impoverite - un risultato che sembra sfuggire ai generosi donatori di questa enorme operazione caritativa... " Per completare, ultima citazione estratta dal libro di Testard "La bicicletta, il muro e il cittadino": Tecno science e mistificazione: il Telethon. "Da due decenni, ogni anno, due giorni di programmazione della televisione pubblica sono esclusivamente riservati ad un'operazione orchestrata, alla quale contribuiscono tutti gli altri mezzi di comunicazione: il Telethon. Col risultato che, delle patologie, certamente drammatiche ma che, per fortuna, interessano relativamente poche persone (due o tre volte inferiore alla sola trisomia 21, per esempio), mobilitano molto di più la popolazione e raccolgono molti più soldi rispetto ad altrettante terribili malattie, un centinaio o un migliaio di volte più frequenti. Possiamo solo constatare un meritato successo di una efficace attività di lobbying e consigliare a tutte le vittime, di tutte le malattie, di organizzarsi per fare altrettanto. Ma si dimenticherebbe, per esempio, che:
-il potenziale caritativo non è illimitato. Quello che ci donano oggi contro la distrofia muscolare, non lo doneranno domani contro la malaria (2 milioni di decessi ogni anno, quasi tutti in Africa);
-quasi la metà dei fondi raccolti (che sono equivalenti al bilancio annuale di funzionamento di tutta la ricerca medica francese) alimentano innumerevoli laboratori che influenzano fortemente le linee guida. Contribuendo in tal modo alla supremazia finanziaria dell'Associazione francese contro la distrofia muscolare (l'AFM che raccoglie e ridistribuisce a suo piacimento i fondi raccolti), sarebbe anche e soprattutto impedire ai ricercatori (statutari per la maggior parte, e quindi pagati dallo Stato, ma anche laureati e, soprattutto, studenti, sicuramente raccomandati, post-dottorato che vivono sul finanziamento della AFM) di contribuire alla lotta contro altre malattie, e/o di aprire nuove strade;
-non è sufficiente disporre di mezzi finanziari per guarire tutte le patologie. Lasciar credere a questo strapotere della medicina, come lo fa il Telethon è indurre in errore i pazienti e le loro famiglie;
-dopo venti anni di promesse, la terapia genica, non sembra essere la buona strategia per curare la maggior parte delle malattie genetiche;
-quando delle somme così importanti sono raccolte, e portano a tali conseguenze, il loro utilizzo dovrebbe essere deciso da un comitato scientifico e sociale che non sia sottomesso all'organismo che le colletta.
Ma anche, come non domandarsi sul contenuto di una "magica" operazione in cui le persone, illuminate dalla fede scientifica, corrono fino ad esaurimento o fanno nuotare i loro cani nella piscina comunale ... per "vincere la miopatia"? Alla fine della tecnoscienza, spuntano gli oracoli e i sacrifici di un tempo che credevamo finito ... " In conclusione: non fate dei doni al Telethon! Di Olivier Bonnet
Intervista a Alberto Mondini, autore de "Kankropoli" di Marcello Pamio su “Disinformazione”.
D: Gentile Alberto Mondini racconti brevemente a tutti i lettori la sua disavventura legale, partendo però dalla sua Associazione per la Ricerca e Prevenzione dal Cancro. Cos'è, e soprattutto qual è il fine dell'ARPC?
R: L'ARPC è un'associazione no-profit fondata e regolarmente registrata il 20-2-1992. Nel suo statuto gli scopi sono così enunciati: "Effettuare la ricerca, la diffusione, la promozione e la pratica di conoscenze e tecniche non-mediche atte alla conservazione o ripristino della salute fisica e mentale, cioè di quelle conoscenze e tecniche che attualmente non vengono insegnate nei corsi di laurea in medicina e nei corsi di specializzazione universitari. Occuparsi principalmente della prevenzione e guarigione dei tumori". In quanto alla mia ultima disavventura giudiziaria, il racconto può essere molto breve. Il 7 marzo 2002, a causa di alcuni energumeni che erano entrati negli uffici dell'ARPC (io non ero presente), viene chiesto l'intervento dei carabinieri. Due agenti arrivano dopo pochi minuti e, invece di identificare ed allontanare i violenti, mettono i sigilli alla porta dei locali per sequestro e mandano la pratica alla magistratura, che convalida il provvedimento. Accusa: associazione a delinquere finalizzata alla truffa. A questo punto io mi son trovato a dover pagare migliaia di euro al mese senza poter procedere alla consueta raccolta fondi; in caso contrario avrei potuto subire un arresto cautelativo per reiterazione del reato. A fine gennaio scorso (dopo 11 mesi!) le accuse vengono archiviate, in quanto non è stato trovato alcun elemento che possa sostenerle.
D: Il suo libro "Kankropoli", che personalmente trovo eccezionale, ha praticamente scatenato e lanciato all'opinione pubblica il caso Di Bella. Oggi sappiamo come il professore modenese e il suo "pericoloso Metodo" sono stati boicottati in tutte le maniere: farmaci scaduti, pazienti allo stadio terminale, protocolli bloccati dopo pochi mesi, ecc. Lei pensa che il problema giuridico che ha avuto lei e l'Associazione ARPC sia in qualche maniera riconducibile al libro?
O più precisamente riconducibile a Di Bella?
R: Sono e sono sempre stato un "tipo scomodo", come mi ha definito un giornalista della Stampa. Purtroppo ho sempre cercato di ragionare con la mia testa e di sentire cosa suggeriva la mia coscienza, e non mi sono mai fatto inquadrare; questo non piace alle istituzioni e alle varie lobbies. L'ARPC e Kankropoli sono state due prese di posizione, forse le mie più forti, che non sono "piaciute" in particolar modo e che, quindi, hanno attirato gli attacchi. Il ruolo che Kankropoli ha avuto nel far scoppiare il caso Di Bella è certo un'aggravante. Io sono classificato tra gli "amici di Di Bella" (v. il libro su Di Bella degli Editori Riuniti).
D: Se non è così quali sarebbero le vere motivazioni, se ce ne sono naturalmente, che hanno fatto partire l'azione giudiziaria con tutto quello che ne consegue? Dava fastidio a qualcuno, a qualche organizzazione medica?
R: Certo che dò fastidio alla lobby medico-farmaceutica! So che nell'ambiente del potere medico Kankropoli è ben conosciuto e viene sussurrato in segreto. In pubblico non ammetterebbero mai di conoscerlo. La loro prima regola su questi argomenti è: "Non parliamone, ignoriamolo e facciamo in modo che tutti lo ignorino".
D: Il cancro è una malattia molto, molto redditizia. Questa cinica affermazione è inconfutabile: dietro i tumori si nascondono interessi economici enormi. Secondo lei, perché la medicina ufficiale non vuole, e fa di tutto per impedire che vengano alla luce, questi rimedi alternativi? Semplicemente perché sarebbero controproducenti per le casse, oppure perché la salute delle persone viene prima di tutto, e pertanto vogliono garantire la sicurezza nella cura?
R: Perché sarebbero controproducenti per le casse. Questa affermazione è assolutamente vera, ma non è completa. Ci sono anche fortissimi interessi personali di potere e di prestigio, oltre che economici, nel campo universitario e della ricerca. Ci sono delle persone, in questi ambienti, la cui cialtroneria sconfina spesso con un comportamento criminale. Spesso possiedono un quoziente d'intelligenza mediocre e una competenza dilettantistica. La ricerca è un pozzo senza fondo in cui vengono gettati milioni di euro in quantità senza che, per legge, sia minimamente richiesto alcun risultato concreto. Questa è una logica da manicomio, dal mio punto di vista; ma da parte dei ricercatori è una pacchia, è l'albero della cuccagna, è il paese dei balocchi! Pensate un po': "ti dò dei soldi, ma se non produci niente, non ti preoccupare: il prossimo anno te ne darò ancora". Anzi, meno si "scopre", più fondi vengono assegnati; perché ciò vuol dire che il problema è molto difficile, ci vogliono più mezzi, ecc, ecc, ecc.....
D: E' d'accordo con quei ricercatori sempre più numerosi che propongono alla medicina allopatica di cambiare totalmente strada nella cura del cancro, comprendendo che il cancro non è un virus e neppure un agente eziologico esterno, ma un qualcosa che nasce e cresce dentro, qualcosa di nostro?
R: Sono d'accordo che la medicina deve cambiare totalmente strada. Se però si intende "qualcosa di nostro" come qualcosa che ha a che fare con le ricerche sul genoma, direi che siamo ancora fuori strada. Il grande tradimento della medicina è cominciato quando i medici hanno iniziato a considerare l'uomo come un corpo, invece che uno spirito che abita un corpo. Da lì gli errori sono venuti a valanga.
D: Non è assolutamente vero che il cancro è stato sconfitto! Eppure i "luminari" della scienza medica durante le interviste si accaparrano arrogantemente il diritto di affermare ciò. La verità è che moltissime persone muoiono e stanno morendo di questo male, tantissime di loro seguiranno fiduciose le pratiche terapeutiche chimicamente devastanti della medicina ufficiale, altri imboccheranno strade alternative. Vi saranno risultati positivi e nefasti da entrambe le parti, come lo spiega? Destino, fatalità o forse non è importante in sé quale rimedio si scelga, ma semmai come lo si fa: in una parola l'atteggiamento?
R: Direi che la cosa più importante è trovare un naturopata competente.
D: Adesso Mondini, cosa ha intenzione di fare, ora che la giustizia ha fatto il suo corso? Continuerà a portare avanti l'associazione o mollerà tutto?
R: Ora devo rimettere a posto la mia vita dopo la bufera. Dato che devo ancora pagare 25.000 euro di debiti dell'ARPC, causati delle indagini giudiziarie, e dato che non vivo di rendita, dovrò darmi da fare. Per il momento continuo a dare assistenza ai pazienti che si rivolgono a me; cercherò poi (a piè pagina trovate già una prima iniziativa) di ricostruire l'ARPC con una struttura più "leggera"; inoltre sto cercando di riunire molte associazioni italiane in unico movimento anti farmaceutico e anti psichiatrico e, forse, in un partito politico: l'inizio è già piuttosto promettente.
L'eretico che lanciò il caso Di Bella "Ecco tutti i segreti di Kankropoli". Alberto Mondini è un naturopata. Si batte da anni contro la mafia del cancro; andando in cerca di medici che la pensano come lui. È stato indagato, ma poi lo stesso Pm ha chiesto l’archiviazione per insussistenza dei reati, scrive Stefano Lorenzetto, Domenica 05/10/2008, su "Il Giornale". Alberto Mondini sa di essere un eretico e non fa nulla per nasconderlo. «Se lei chiede in giro informazioni sul mio conto, i medici le diranno che da giovane ero dedito alla meditazione yoga, che ho fatto il croupier, che ho avuto tre mogli, che una di loro era una cantante di musica leggera. Tutto vero, o quasi. Solo che al Casinò di Venezia, un posto orribile, ho lavorato dal ’71 all’81 e quella attuale è la mia seconda moglie. Ma a loro torna comodo farmi passare per un personaggio losco o ridicolo, che adesso gioca alla roulette con le vite degli altri. Le diranno anche che a Torino sono stato indagato per truffa aggravata e associazione a delinquere. Vero anche questo. La mia colpa? Ero entrato in competizione con le varie leghe e associazioni contro i tumori, una delle quali in un anno raccoglieva offerte per 10 miliardi di lire e destinava alla ricerca appena 810 milioni, tanto che l’allora sottosegretario alla Sanità, Publio Fiori, si rifiutò di firmarne il bilancio. Però ometteranno di aggiungere che fu lo stesso pubblico ministero a chiedere e ottenere l’archiviazione per insussistenza dei reati». Da quel giorno gira col certificato penale in tasca; sopra c’è scritto che al casellario giudiziale risulta questo a suo carico: «Nulla». Mondini, 61 anni, naturopata veneziano, è diventato un eretico da quando ha fondato l’Arpc (Associazione per la ricerca e la prevenzione del cancro) e ha pubblicato il libro Kankropoli, sottotitolo La mafia del cancro, presentato in copertina come «il dossier che ha fatto esplodere il caso Di Bella». Nel capoluogo piemontese aveva aperto un ambulatorio gratuito con un medico che consigliava ai pazienti come curarsi secondo natura, «si trovava allo 0 di via Vespucci». Un numero civico vero, esistente, eppure talmente assurdo da sembrare immaginario, proprio come le teorie scientifiche propugnate da Mondini, che richiederebbero alla medicina di ripartire da zero per poter essere accolte: «L’origine del cancro non è genetica. La cellula non ha niente a che vedere con i tumori. Il cancro è provocato dalla candida, un fungo. Dieci milioni di morti per tumore all’anno nel mondo dimostrano il totale fallimento dell’oncologia. Gli errori medici, sommati ai farmaci somministrati correttamente, rappresentano col 7,58% la terza causa di decesso negli Usa e più o meno in tutti i Paesi occidentali, subito dopo le malattie cardiovascolari (47%) e il cancro (22,11%) e prima di fumo, alcolismo, incidenti stradali, suicidi, assassini. La chemioterapia non guarisce, anzi è un genocidio. Idem la radioterapia. I medici hanno piegato la conoscenza al servizio di un business colossale controllato da grandi multinazionali che dipendono dai Rockefeller negli Stati Uniti e dai Rothschild in Europa. Dieci anni fa il cancro nella sola Italia era un affare da 80.000 miliardi di lire, calcolati per difetto, di cui la metà, 40.000 miliardi, per farmaci chemioterapici». Sono teorie che Mondini non ha formulato in proprio bensì andando a trovare uno per uno una dozzina di eretici come lui. Ha soppesato le ricerche, ha vagliato i risultati, ha acquisito le cartelle cliniche, s’è mantenuto in contatto con loro per anni. Ne è uscito un altro libro, Il tradimento della medicina. Il primo medico che avvicinò fu il dottor Aldo Alessiani, ex primario plurispecialista di Roma, oggi defunto. «Era partito da un’intuizione: visto che l’incidenza dei tumori andava di pari passo con l’aumento della statura media della popolazione, poteva trattarsi di una malattia da carenza. Immagini l’uomo come un fiore: tolto dal suo habitat naturale, cresce più forte e più alto ma perde il suo profumo. Bisognava cercare il rimedio nel terreno, in profondità. L’occasione di sperimentare si presentò quando la moglie fu colpita da un cancro all’utero, che aveva presto invaso il retto, l’intestino e il peritoneo. L’addome era aumentato a dismisura, la signora sembrava incinta di otto mesi. Il professor Ercole Brunetti tentò di operarla nel luglio 1991 presso la clinica Santa Rita da Cascia: come si suol dire, la aprì e la richiuse. Niente da fare. Ma Alessiani non si arrese e di nascosto preparò una soluzione, disciogliendo in acqua dei particolari terricci, e la somministrò alla moglie. In 21 giorni la signora Alessiani lasciò la clinica, anziché nella bara, sulle sue gambe e partì per una vacanza. Guarita. Il marito fu convocato da un magistrato che gli disse: “Mi creda, ho avuto questo incarico da molto in alto. Si ricordi che l’Italia è piena di falsi incidenti d’auto”. Nell’estate 1993 il dottor Alessiani subì un incidente stradale molto strano, che aveva tutte le caratteristiche dell’avvertimento criminale».
Lei è un esperto di medicina naturale, non un medico. Che titolo ha per parlare di tumori?
«Caspita! Sono un potenziale paziente».
Che cosa le fa credere che all’origine del cancro vi sia la candida?
«Dieci anni di ricerche. Dove non c’è il fungo, non c’è tumore. L’errore di base dell’oncologia è stato attribuire un’origine genetica al cancro. Quella della cellula che a un certo punto impazzisce e si riproduce all’infinito è un’ipotesi finora indimostrata. In realtà le cellule cancerose non sono altro che l’estrema difesa dell’organismo contro il fungo: il corpo le crea affinché il fungo attecchisca solo lì e non vada a intaccare gli organi vitali. Quindi non ha senso accanirsi contro di esse. È solo eradicando la candida che scompare il tumore».
Chi lo afferma?
«Il dottor Tullio Simoncini, oncologo e diabetologo romano, secondo il quale la candida albicans è sempre presente nei malati neoplastici, può produrre metastasi, ha un patrimonio genetico sovrapponibile a quello dei tumori, riesce a invadere tessuti e organi d’ogni tipo, dimostra un’aggressività e un’adattabilità illimitate».
Ma Simoncini non è lo studioso che cura il cancro col bicarbonato di sodio?
«Esatto. L’antifungino più attivo. È con quello che le mamme hanno sempre eliminato il mughetto dalla bocca dei figli. Simoncini lo provò su una zia e la guarì da un tumore allo stomaco con un cucchiaino di bicarbonato mattina e sera. Ma il sale dell’acido carbonico deve arrivare a contatto diretto col tumore, quindi è necessario posizionare nel paziente piccoli cateteri endocavitari o endoarteriosi. Ed è il motivo per cui contro i tumori delle ossa può fare ben poco, essendo irrorati da minuscole arterie che non consentono una sufficiente diffusione del bicarbonato».
Simoncini è stato radiato dall’Albo dei medici o ricordo male?
«Ricorda bene. Però dovrebbe anche ricordare che l’Ordine non ha tenuto in alcun conto la legge numero 94 dell’8 aprile 1998. La quale stabilisce che il medico, sotto la sua diretta responsabilità e previa informazione del paziente, può impiegare un medicinale prodotto industrialmente per un’indicazione o una via di somministrazione o una modalità di utilizzazione diverse da quelle autorizzate, purché “tale impiego sia noto e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale”. Il dottor Simoncini ha dalla sua 31 studi internazionali relativi al potere antiacido del bicarbonato di sodio nei tumori».
Lei ha visto debellare il cancro col bicarbonato?
«La mia regola è questa: mostratemi tre casi di tumori guariti, documentati da Tac eseguite prima e dopo una cura, e io divento paladino di quella cura. Nel caso di Simoncini ho esaminato dieci cartelle cliniche. E ho constatato che i tumori sotto i 3 centimetri spariscono in dieci giorni. Nel cancro al seno non infiltrato la probabilità di guarigione è del 99%, al fegato dell’80%, al polmone del 60%».
Simoncini guarisce la maggior parte dei pazienti? Un po’ dura da credere.
«Sicuramente nei malati già trattati con la chemio la percentuale di successo è meno alta. Ma se venisse un tumore a me, andrei subito da lui. Prima di farsi devastare il corpo dalla chemio, perché non provare una terapia che non ha effetti collaterali negativi? All’oncologo romano non perdonano d’aver individuato un principio attivo che nei supermercati costa 80 centesimi di euro al chilo. Per un paziente trattato con i chemioterapici lo Stato spende mediamente 100.000 euro. Moltiplichi per i 250.000 nuovi casi di tumore che si registrano ogni anno in Italia e capirà il vero motivo per cui la cura Simoncini viene osteggiata».
Lei scrive: «Ciò che ho scoperto in questi anni è un’incredibile, allucinante realtà che ha superato ogni mia previsione, congettura, sospetto o fantasia». Sa di cospirazione planetaria.
«Cospirazione? No, è marketing. Per l’industria farmaceutica si tratta solo di vendere di più. Il fatto è che la chemioterapia non funziona. Quando proclamano che 50 malati di cancro su 100 guariscono, significa che 50 muoiono entro 5 anni dalla scoperta del male e gli altri poco dopo. Se un malato muore dopo 5 anni e un giorno, per loro è un morto guarito».
Non può negare che già nel 2002 la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi per tutti i tipi di tumore, esclusi quelli della cute, era del 45,7% per gli uomini e del 57,5% per le donne, con una punta dell’83% per il cancro al seno.
«Come lei dice, in oncologia non esistono statistiche di guarigione, solo di sopravvivenza a 5 anni. Una volta fornivano anche quelle a 10 e 15 anni. Ora non le presentano più, si vergognano. Lei provi a cercarle: non le troverà. La sopravvivenza media calcolata a 5 anni su tutti i tumori certi e maligni è del 7%».
Come fa a dirlo?
«Sono gli stessi oncologi a dirlo, ma solo sui manuali destinati agli studenti universitari. Ci sono tumori a lungo decorso o addirittura semibenigni, tipo quelli delle ghiandole, i baseliomi, i liposarcomi, che vengono inseriti nelle statistiche per edulcorarle. Anche le esasperate campagne di diagnosi precoce del tumore al seno servono allo scopo: dimostrare la sopravvivenza oltre i fatidici 5 anni. Ma per i tumori maligni basti un solo esempio: su 188 pazienti affetti da carcinoma inoperabile ai bronchi, la vita media di quelli trattati con chemioterapia completa è stata di 75 giorni, mentre quelli che non hanno ricevuto alcun trattamento sono sopravvissuti in media per 220 giorni. Cinque mesi di più. Non lo dico io: lo ha scritto The Lancet, il vangelo dei medici, nel dicembre 1975. E da allora non è che sia cambiato molto».
Il metodo Di Bella fu sperimentato dieci anni fa negli ospedali italiani sotto la supervisione del ministero della Sanità. Non pare che abbia dato gli esiti sperati. Nel maggio scorso lo ha bocciato persino la Cassazione.
«Quando seppi che il professor Luigi Di Bella aveva accettato la sperimentazione offertagli dal ministro Rosy Bindi, pensai: ecco, s’è fatto fregare. Le pare serio che il test sia stato affidato a oncologi che si erano pubblicamente dichiarati contrari alla multiterapia? Per onestà avrebbero dovuto astenersi».
L’oncologo Umberto Tirelli sollevò un interrogativo non da poco: «Se le cure convenzionali non sono valide, allora perché anche Di Bella le usa?». Il professor Tirelli era entrato in possesso di fotocopie di prescrizioni del medico siculo-modenese nelle quali figurava la ciclofosfamide, che viene utilizzata abitualmente in chemioterapia contro alcuni linfomi.
«Rimproverai il professor Di Bella, per questo. Mi rispose mogio mogio: “Non sarebbe necessaria, ma in piccole dosi serve per accelerare la cura...”. Assurdo. Com’è possibile avvelenare un paziente con la pretesa di guarirlo? L’Istituto superiore di sanità è stato costretto a pubblicare uno studio sui pericoli mortali cui sono esposti medici e infermieri che maneggiano i chemioterapici antiblastici. S’intitola Rischi per la riproduzione e strategie per la prevenzione. Esso documenta come tutti i 42 principi attivi più usati negli ospedali italiani contro il cancro siano cancerogeni riconosciuti o possibili cancerogeni o probabili cancerogeni. Bella contraddizione, no? Non basta: la maggior parte sono anche teratogeni, mutageni, abortivi, vescicanti, irritanti. Tant’è vero che alle infermiere in stato interessante è vietato somministrarli e in Portogallo fin dal 1990 i residui dei farmaci antiblastici vengono inceneriti a 1.000 gradi, insieme con sacche, aghi, cannule, camici, guanti e visiere».
D’accordo, però io stento a immaginare un paziente con un tumore al pancreas che decide di affidarsi al frullato di aloe vera, miele e whisky messo a punto da padre Romano Zago, frate francescano, e consigliato da Alberto Mondini.
«Sempre meno rischioso che sottoporsi a una chemio».
In Kankropoli lei descrive addirittura una «macchina per guarire i tumori solidi, il Gemm», inventata dal turco Seçkiner Görgün.
«Il professor Görgün era un mio caro amico. Purtroppo è morto d’infarto qualche settimana fa in Kosovo. Con le radiofrequenze emesse dal Gemm aveva conseguito risultati strabilianti su un paziente con metastasi ricoverato all’ospedale San Luigi di Orbassano. Ma poi un pretore sequestrò il macchinario, salvo archiviare l’inchiesta con un non luogo a procedere due anni più tardi. Io stesso non avrei accettato le teorie di questo scienziato se non mi avesse esibito una documentazione inoppugnabile. Non era un ciarlatano: aveva lavorato in cliniche, università e istituti di ricerca di varie nazioni, compresa la Galileo Avionica, società di Finmeccanica che opera nel campo della difesa».
Ma lei ha mai fatto curare qualche suo congiunto con queste terapie alternative?
«Mio cognato è in cura in questi giorni col metodo Görgün a Pristina. Invece il mio unico fratello, Luigino, non ha mai voluto saperne. Da buon iscritto al Cicap, il Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale, fondato fra gli altri da Piero Angela, s’è fatto operare e irradiare per un tumore al retto. Dopo 90 giorni aveva le metastasi al fegato. Altri 90 giorni ed era morto. Se n’è andato in otto mesi dalla diagnosi».
Non la sfiora l’atroce dubbio d’aver dirottato parecchi pazienti verso una terapia sbagliata?
«Assolutamente no».
Non s’è mai posto la domanda: ma chi me lo fa fare?
«Qualche volta sì».
E che risposta s’è dato?
«Quando conosci la verità, aumenta la responsabilità. Non puoi tenere la verità per te».
BUSINESS NON SOLO SUI TUMORATI.
Scandalo 118, le Iene ricevono centinaia di segnalazioni su finte Onlus in tutta Italia. Il ministro della salute Beatrice Lorenzin chiede alla trasmissione di Italia1 tutta la documentazione per avviare una ispezione su tutto il territorio nazionale. L'ombra della Mafia dietro gli appalti dell'emergenza/urgenza, scrive Angelo Riky Del Vecchio su “Nurse 24” del 17 aprile 2016. Le Iene, la trasmissione d’inchiesta di Italia1, torna a parlare di finte Onlus e dei volontari pagati in nero (Infermieri, autisti e soccorritori a vario titolo), senza contributi, senza ferie e senza malattia. Nella puntata andata in onda poco fa sulla rete Mediaset è stata presa di petto anche il ministro della salute Beatrice Lorenzin che si è detta stupita di quanto scoperto dalle Iene e di essere pronta ad avviare in tutta Italia una indagine conoscitiva per scovare i finti volontari e chi li gestisce. La trasmissione di Italia1, che nei giorni scorsi aveva fatto emergere lo scandalo del 118 nel Lazio, ora torna sull’argomenti parlando di centinaia di segnalazioni piombate in redazione da tutta la nazione e avente come unico filo conduttore lo sfruttamento e il lavoro nero. Denunce alle Iene sono pervenute da tutta Italia: è uno sfruttamento diffuso e le finte Onlus del 118 sono tantissime in tutta la nazione. In pratica, con due servizi televisivi le Iene hanno dimostrato che vi è un sommerso (che poi tanto sommerso non è) dietro al servizio dell’emergenza/urgenza affidato al volontariato: lavoratori pagati con rimborsi spese fino a 1.500 euro al mese e operanti nella completa clandestinità indossando divise e firmando documenti in qualità di volontari. Volontari non lo sono e dietro il loro utilizzo si pensa che ci siano anche organizzazioni malavitose. In tutto lo Stivale è sempre la stessa melma: segnalazioni di sfruttamento sono pervenute dal Lazio, dalla Toscana, dalla Calabria, dalla Sicilia, dalla Liguria, dalla Sardegna, dalla Puglia, dall’Umbria e dal resto delle regioni italiane. Infermieri, autisti e soccorritori vengono pagati in Calabria addirittura 1 euro all’ora per 12 ore continue di attività. Nei casi più fortunati si arriva a 3,5/4,5 euro. Per questo le Iene hanno contattato ed incontrato la Lorenzin per chiederle di intervenire e mettere fine a queste situazioni scandalose che stanno distruggendo il volontariato e mortificando tantissimi neo-laureati in Infermieristica (va ricordato che lo sfruttamento continua ad avvenire sotto gli occhi di tutti e con fondi dello Stato Italiano).
Le Iene denunciano casi di lavoro nero nel 118, legati a finte Onlus, scrive il 18 aprile 2016 Michele Calabrese su “Nurse Times”. Il servizio lungo nove minuti, quello proposto dal programma televisivo in onda su Italia 1 in cui la “Iena” Gaetano Pecoraro parla dei volontari del servizio di soccorso territoriale 118. Una mera logica lucrativa da un lato ed una sinistra assenza di controlli dall’altro. Succede nel Sistema del 118 qualora il servizio venga “consegnato” nelle mani delle associazioni di volontariato: minorenni sulle ambulanze, professionisti sottopagati e/o costretti a turni massacranti, senza sorveglianza tanto garantista della propria incolumità quanto previdenziale. È quanto si evince dal servizio proposto dalle “Iene”. Può suonar strana l’equazione volontariato=contributi per fondo pensionistico. Ma non è così! In talune realtà, in barba ai turni estenuanti e alle logiche di corretta allocazione di personale idoneo al servizio, i “volontari” percepiscono gettoni di presenza, rigorosamente NON TASSSATI, mediante buoni pasto, buoni benzina e quant’altro… Ragionevole il pensiero secondo il quale il volontario che impiega il suo tempo per una associazione non deve rimetterci di spese, ma rimborsare forfettariamente di 5, 10, 30 o addirittura 40, 50 € a turno diviene tutto ampiamente distante dalla logica di una attività filantropica. Welcome nella forma legalizzata di lavoro nero! Al workshop dello scorso Febbraio 2015 sui servizi di Emergenza Territoriale 118 tenutosi presso il Ministero della salute si sosteneva di “garantire il riconoscimento del valore sociale del volontariato. Soprattutto in questa fase di riflessione sul ddl del terzo settore, bisogna dare segnali di garanzia sul sistema di accreditamento, certificazione e controllo del volontariato, per evitare le zone grigie in cui i nuovi soggetti del profit (o peggio ancora di qualche onlus), sfruttino il lavoro nero, abbassando gli standard qualitativi di un servizio “. La stima dei costi per sostenere il sistema del soccorso extra-ospedaliero è stata quantizzata, segnalando che il personale incide dal 75 all’89% sul totale dei costi. A ben vedere l’elevata spesa tenderebbe a lievitare per la mancanza del turnover del personale. Lo studio promosso dalla FIASO e con la collaborazione scientifica dell’Università di Trento, ha avuto come pionieri della ricerca i servizi di emergenza di quattro Regioni: Lazio, Lombardia, Basilicata (il cui sistema non è affidato ad Associazioni di Volontariato) ed Emilia-Romagna, per un totale di oltre 20 milioni di potenziali utenti. Ecco brevemente come funziona il sistema di pagamento del 118: si basa sulla remunerazione dei costi mediante una erogazione prospettica di denaro pubblico (Per gli altri insiemi di prestazioni le modalità di remunerazione attualmente adottate non corrispondono alla regola già definita nel D.Lgs 502/92, riconfermata nel successivo D.Lgs 229/99.). Per intenderci gli elementi caratterizzanti del sistema di pagamento prospettico sono: complessità assistenziale e costo standard. Delegare una associazione no profit alla gestione di mezzi e uomini da dedicare alla assistenza sanitaria extra-ospedaliera 118 non ha nulla di illegale, tant’è vero che la normativa quadro di istituzione del 118 avvenuta con il DPR 27 marzo 1992 prevede che “Le Regioni possono avvalersi del concorso di enti e di associazioni pubbliche e private, […] sulla base di uno schema di convenzione definito dalla Conferenza Stato-Regioni, su proposta del Ministro della Sanità”. Ciò che non quadra è che se la “Legge n. 266/1991 prevede che le Organizzazioni di Volontariato si avvalgano in modo determinante e prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti ai quali possono essere soltanto rimborsate le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata. Tale requisito è correlato al mantenimento dell’iscrizione ai registri del volontariato”, come mai chi fornisce la propria attività filantropica percepisce rimborsi esorbitanti (RIGOROSAMENTE NON TASSATI), non ha tutele previdenziali (alcuni operatori lavorano oltre le 8 ore per turno) pur chiare e palesi le molteplicità di scenari ai quali i suddetti vanno incontro? Quanto di etico, morale e giuridicamente rilevante vi è assegnando una risorsa umana su un mezzo di soccorso sanitario senza tutelarne l’incolumità a 360 gradi e speculando sulle prestazioni di chi offre il suo tempo e le sue energie (vuoi per propensione al volontariato, vuoi per un tornaconto economico: disoccupato, cassaintegrato, depositario di salario insufficiente ecc. ecc.)? Nella mappa delle segnalazioni del “sommerso”, due arrivano dalla provincia di Arezzo, una particolarmente specifica. Una persona, finta volontaria, spiega di prestare servizio per 320 ore mensili con una paga da 2,77 euro all’ora. Il servizio delle Iene si chiude con l’inviato Pecoraro che informa delle presunte irregolarità il ministro della Sanità Beatrice Lorenzin. Quanti sono gli infermieri vittime di questa forma di sfruttamento professionale e che vista la contingenza del momento si trovano loro malgrado ad accettare proposte lavorative che hanno superato abbondantemente il limite della legge? Nurse Times si è occupata della problematica denunciando la situazione degli infermieri in partita Iva impiegati dalle cooperative anche nel servizio emergenziale 118 nella regione Lazio, producendo anche una interrogazione regionale che purtroppo non ha avuto un seguito.
Errori, sciatteria e morti Sanità malata, Paese infetto. Dai chirurghi in lite per la sala parto mentre il bebè muore all'aorta tagliata per sbaglio. Una deriva letale, scrive Stefano Zurlo, Mercoledì 14/06/2017, su "Il Giornale". Lo scambio delle barelle e, peggio ancora, quello degli organi. Numeri da circo e non solo: le attese interminabili e il degrado, con i malati buttati per terra come fossimo a Kabul e non a Roma o Milano. Le morti senza un perché e quelle con un perché che mette i brividi e suscita rabbia. La malasanità, dal Nord al Sud ma giù, in fondo allo stivale ancora di più, è ormai un genere a sé. Quasi una forma di narrativa con vicende surreali, incredibili e però dolorosissime e devastanti.
Come il caso, terribile, che arriva nei giorni scorsi da Palermo. Un uomo di 38 anni, Filippo Chiarello, viene ricoverato al Villa Sofia per togliere alcuni calcoli. Un intervento di routine, come si dice in un gergo tranquillizzante, da effettuare in laparoscopia e dunque poco invasivo. Invece l'operazione si allunga per sei ore, diventa uno scempio, un disastro senza rimedio: tre arresti cardiaci, danni cerebrali gravissimi, il coma e infine la morte del giovane che lascia due figli piccoli. Ma che cosa è successo? È il chirurgo stesso ad ammettere l'errore: «Ho tagliato per sbaglio l'aorta addominale e ho perforato l'intestino».
A Bari va anche peggio: quel che succede è inimmaginabile. Due medici dell'ospedale Di Venere si contendono la sala operatoria, manco fossimo in un'adrenalinica puntata di Grey's Anatomy. Si perde un'ora mezzo mentre Marta Brandi aspetta il momento per poter partorire con taglio cesareo. Impuntature, negligenze, sciatteria: va tutto storto. Prima la sala operatoria occupata, perché ci sono altri due cesarei programmati. Non è finita. La quasi mamma viene dirottata in chirurgia generale dove però hanno prenotato i ferri per un'appendicite. Chi deve avere la precedenza? Inizia una discussione, i toni si accendono, nessuno volle cedere il passo. È in quei minuti drammatici che Marta perde la sua bambina. Il cordone ombelicale la strozza prima di nascere. Quando finalmente arriva il suo turno è troppo tardi. Otto persone, fra medici e infermieri, vengono messe sotto indagine. I due litiganti si difendono sostenendo che nessuno aveva loro spiegato l'urgenza di quel cesareo. Certo, il sistema non ha funzionato.
È un ritornello che si ripete tante volte. Troppe. Pagine vergognose che offendono la dignità di chi soffre. A Tivoli, al San Giovanni Evangelista, un paziente viene confuso per un altro. La barella che doveva partire per la rianimazione va in chirurgia e viceversa. Caos e confusione, ritardi. I due, tutti e due, muoiono. Intendiamoci: erano anziani e conciati molto male, forse il finale non sarebbe cambiato o forse sì, magari per uno solo. La procura indaga per omicidio colposo, aprendo l'ennesima inchiesta su quel che accade nelle nostre strutture sanitarie.
A Vigevano, è cronaca recente, portano via il rene sinistro a un signore di 78 anni. Una scelta sconsiderata perché la patologia diagnosticata era benigna. Quella maligna era dall'altra parte. Infatti passa il tempo, le condizioni di salute non migliorano neanche un po', alla fine i medici sono costretti asportare anche il secondo organo, gravemente compromesso. Il destro. In questo modo il poveraccio, per sopravvivere, deve attaccarsi tre volte la settimana alla macchina per la dialisi. Per carità, in medicina è meglio non dare nulla per scontato, ma almeno la differenza fra destra e sinistra dovrebbe essere conosciuta e così il reparto cui indirizzare il malato.
Ma c'è pure chi è stato dimesso ed è andato a mani alzate, disarmato, incontro alla morte. Cosi Antonio Francolino che muore a Tropea a gennaio scorso. Francolino arriva al pronto soccorso alle 18 di una domenica con forti dolori alla pancia. Attende tre ore, sempre in difficoltà, poi l'elettrocardiogramma rivela una sofferenza del cuore. Si tratta di aritmia, ma alle nove di sera l'anziano viene mandato a casa. Dove muore poco dopo. Il figlio, disperato, scrive al ministro Lorenzin: un'altra lettera che aspetta risposta.