Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA
IL MOLISE
DI ANTONIO GIANGRANDE
TUTTO SUL MOLISE
QUELLO CHE NON SI OSA DIRE
I MOLISANI SONO DIVERSI DAGLI ALTRI ?!?!
Quello che i Molisani non avrebbero mai potuto scrivere.
Quello che i Molisani non avrebbero mai voluto leggere.
di Antonio Giangrande
SOMMARIO
INTRODUZIONE
MOLISANI VOLTAGABBANA.
"PADRI DELLA PATRIA" VITTIME E COMPLICI DELLA NOSTRA ROVINA.
TANGENTOPOLI IN MOLISE.
IL SUD TARTASSATO.
ITALIANI. LA CASTA DEI "COGLIONI". FACCIAMO PARLARE CLAUDIO BISIO.
IL NORD EVADE PIU’ DEL SUD.
FRATTURA MOLISANA.
IL MOLISE NON ESISTE.
IL PAPA IN MOLISE. INIZIA LA FARSA.
L’ITALIA DEGLI IPOCRITI. GLI INCHINI E LA FEDE CRIMINALE.
IL MOLISE DEI VELENI. BUFERA SULLA POLIZIA.
LE ORIGINI DEL MOLISE.
MOLISE MASSONE.
MOLISE MAFIOSO.
IL MOLISE E LA POLITICA.
PARENTOPOLI. IL MOLISE ED I PARENTI: UNIVERSITA', POLITICA, MAGISTRATURA.
MOLISE E MAGISTROPOLI.
MOLISE E SANITOPOLI.
MOLISE E CONCORSOPOLI.
INTRODUZIONE
Antonio Giangrande, orgoglioso di essere diverso.
Se si è omologati (uguali) o conformati (simili) e si sta sempre dietro alla massa, non si sarà mai primi nella vita, perché ci sarà sempre il più furbo o il più fortunato a precederti.
In un mondo caposotto (sottosopra od alla rovescia) gli ultimi diventano i primi ed i primi sono gli ultimi. L’Italia è un Paese caposotto. Io, in questo mondo alla rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo sono ignorato o perseguitato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che cazzo di vita è?
Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il culo.
Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante tracce lasci del tuo percorso.
Il difetto degli intelligenti è che sono spinti a cercare le risposte ai loro dubbi. Il pregio degli ignoranti è che non hanno dubbi e qualora li avessero sono convinti di avere già le risposte.
Un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.
Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati, che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che fece il primo saggista mondiale.
Da sempre diffido di chi, vestito da lupo, è pecora genuflessa alla magistratura. I saccenti giustizialisti dei 5 stelle che provino a proporre la figura del difensore civico giudiziario con poteri di magistrato, senza essere uno di loro, per poter metter le mani nelle carte dei fascicoli e poterle sparigliare. Io da anni mi batto inascoltato per questo. I signori dei 5 stelle non si degnano nemmeno di rispondere ai messaggi degli esperti: tanto san tutto loro. A sbraitare son bravi, ma a proporre leggi sensate, mi sa che non son capaci. Parlan solo di soldi, soldi, soldi ed onestà, certificata dai loro magistrati, e mai parlano di libertà ed opportunità senza concorsi ed esami pubblici truccati.
Ad ogni azione umana nefasta si trova sempre una giustificazione...lo si fa per le piante...lo si fa per gli animali...lo si fa per le persone! Ma, alla fine, rimane solo un'azione nefasta che fa male al prossimo...e, spesso, il prossimo siamo noi. A parte il partito preso, noi siamo tutti responsabili delle azioni nefaste di uno, quando gli permettiamo di farle.
Parlare nei miei libri del caso singolo del semplice cittadino significa incorrere nell’accusa di mitomania, pazzia o calunnia, oltre che ne disinteresse. Invece parlo di loro, delle istituzioni che delinquono impunite. Parlo della vera mafia. Cosa posso dire di più di quello che ho scritto e che altri non dicono? Credo che quanto divulgato possa essere di grande soddisfazione per le vittime, non potendo avere altro che quella in questa Italia con italiani di merda a cui interessa solo di loro stessi e se ne fottono degli altri.
MOLISANI VOLTAGABBANA.
Massoni, fascisti, DC e “Dem”: il pendolo ideologico dei molisani, scrive Claudio de Lucail 27 agosto, 2015 su “Termoli on Line”. Nicolò D’Abramo, di Guglionesi, Socialista dai tempi di Giolitti, perseguitato dal Duce e componente del Cnl molisano, scrisse: “In Molise? Prima tutti Massoni, poi tutti Fascisti, infine tutti Democristiani”. All’epoca, quando la Massoneria ebbe a diffondersi, furono in molti a preconizzare il pericolo che avrebbe percorso la vita pubblica. Il Partito popolare (con “Fra’ Cristofaro”, Gaetano Amoroso) si batté, tràmite le pagine de “l’Avvenire del Sannio”, per mettere in guardia contro gli “avvelenatori” della società. Nel 1921, l’aspirazione all’autonomia (ed il calcolo politico) suggerirono di presentare un listone in cui confluirono liberali, popolari, fascisti e nazionalisti. Furono eletti solo i massoni Pietravalle, Marrucino, Veneziale e Presunti. Dopo la marcia su Roma, iniziò il “marcio” col fenomeno della conversione al Fascismo. Pare incredibile ma pochi anni prima (1919), a Campobasso, non operavano sezioni di partito. I candidati alle tornate elettorali erano, più o meno, sempre i “cappucci”. La Sede della Provincia era il centro riconosciuto dei “grembiulini”. Un annuario registrò le attività dei Cavalieri di Kadosch, dignitari del 30° grado, presieduti dal Segretario dell’Ente Francesco S. Giancarlo. Questo consesso soprassedeva su 5 Capitoli dei “Rosa-Croce” in cui operavano affiliati dal 15° al 18° grado. Le Sedi dipendenti erano l’Aquila, Chieti e Lanciano. Ad Isernia dominava Antonio Di Lullo. Sino al 1923 il Molise vantava 5 Logge. Alla “Nova Lux” di Campobasso avevano aderito il Presidente della Provincia Angelo Del Lupo e quello degli industriali Giuseppe Petrucciani; poi si segnalarono i Sindaci (Domenico Pistilli ed Eugenio Grimaldi) e Gustavo Spetrino, Presidente della “Società operaia”. Ad Agnone l’ “Aquilonia” contava sull’on. Alessandro Marrucino, poi Sottosegretario alla Guerra nel Ministero Facta, quindi senatore del Regno; infine c’erano Raffaele Sabelli e Michele Cervone. Ad Isernia (Loggia “Giuseppe Garibaldi-Cesare Battisti”) prevaleva il deputato Ferdinando Veneziale ed il “venerabile” Di Lullo. A Larino (Loggia “Giuseppe Mazzini”) operava il dr. Emilio Ricci, l’avv. Giulio Colesanti e il dr. Giuseppe Battista; a Termoli (Loggia “Ernesto Nathan”) il riferimento era l’avv. Franco Petti e Felice Solchi. Per il Fascismo rinnegarono in molti. Cervone e Marrucino si dimisero; Giancarlo, che pensava di poter fare il doppio gioco, venne espulso. Ma la Massoneria molisana, guidata dall’avv. perugino Enrico Presunti (di genitori campobassani) si distinse all’opposizione. Alla vigilia delle politiche del ’24, le “camice nere” aggredirono il proprietario del Caffè Lupacchioli ed il barbiere Emilio Brienza, gestori di esercizi frequentati da adepti. Quest’ultimo, sbarbando un avversario, ne aveva attinto la mascella. Nonostante i soprusi patiti, chi si opponeva riuscì ad eleggere Presunti nel Collegio abruzzese-molisano (19 seggi ai Fascisti ed uno soltanto ai Socialisti). A giugno la “Società Operaia” aderì allo sciopero nazionale per il delitto Matteotti, suscitando le preoccupazioni del Prefetto. La “Vita del Molise”, diretto dal larinese Giulio Colesanti, si vide sequestrare alcune edizioni fino a cessare le pubblicazioni. Dopo l’attentato-Zamboni la Massoneria venne soppressa; le logge di Agnone, di Larino e di Palazzo Petrucciani a Campobasso furono devastate mentre quella d’Isernia si sciolse spontaneamente così come il Circolo “Eguaglianza” e la Società operaia nel capoluogo. Gli ultimi sussulti massonici si ebbero con Folchi (Termoli) che perse l’insegnamento per non avere rinnegato; con il dr. Battista di Larino che dové abbandonare la condotta medica; e con Presunti, dichiarato decaduto dalla carica di deputato nel 1926 per essersi rifiutato di prestare giuramento al Regime. Allontanato pure dalla docenza universitaria, visse dei soli proventi professionali; poi, sottoposto a sorveglianza, fu colpito da paralisi e morì nel 1949. Caduto il Fascismo i Massoni confluirono nel Pli. Silvestro Delli Veneri, Capogruppo socialista, negherà sempre ogni attività massonica. Remo Sammartino: “Non ho avuto mai l’impressione di trovarmi circondato da gente che tramasse nell’ombra”. Il Presidente della Provincia Ciuffo: “Escludo di avere subito pressioni o contatti che potessero far pensare alla setta”. Pure alla Regione che verrà si rigetterà ogni ipotesi di eredità massonica. Per Florindo D’Aimmo non v’era traccia di massoni nell’Ente e nessuna pressione sulle competizioni elettorali.
"PADRI DELLA PATRIA" VITTIME E COMPLICI DELLA NOSTRA ROVINA.
Lettera da Crispi a Garibaldi - Caprera. Torino, 3 febbraio 1863.
Mio Generale! Giunto da Palermo, dove stetti poco men che un mese, credo mio dovere dirvi qualche cosa della povera isola che voi chiamaste a libertà e che i vostri successori ricacciarono in una servitù peggiore di prima. Dal nuovo regime quella popolazione nulla ha ottenuto di che potesse esser lieta. Nissuna giustizia, nissuna sicurezza personale, l'ipocrisia della libertà sotto un governo, il quale non ha d'italiano che appena il nome. Ho visitate le carceri e le ho trovate piene zeppe d'individui i quali ignorano il motivo per il quale sono prigionieri. Che dirvi del loro trattamento? Dormono sul pavimento, senza lume la notte, sudici, nutriti pessimamente, privi d'ogni conforto morale, senza una voce che li consigli e li educhi onde fosser rilevati dalla colpa. La popolazione in massa detesta il governo d'Italia, che al paragone trova più tristo del Borbonico. Grande fortuna che non siamo travolti in quell'odio noi, che fummo causa prima del mutato regime! Essa ritien voi martire, noi tutti vittime della tirannide la quale viene da Torino e quindi ci fa grazia della involontaria colpa. Se i consiglieri della Corona non mutano regime, la Sicilia andrà incontro ad una catastrofe. E' difficile misurarne le conseguenze, ma esse potrebbero essere fatali alla patria nostra. L'opera nostra dovrebbe mirare ad evitare cotesta catastrofe, affinchè non si sfasci il nucleo delle provincie unite che al presente formano il regno di Italia. Con le forze di questo regno e coi mezzi ch'esso ci offre, noi potremmo compiere la redenzione della penisola e occupar Roma. Sciolto cotesto nucleo, è rimandata ad un lontano avvenire la costituzione d'Italia. Della vostra salute, alla quale tutti c'interessiamo, ho buone notizie, che spero sempre migliori. Di Palermo tutti vi salutano come vi amano. Abbiatevi i complimenti di mia moglie e voi continuatemi il vostro affetto e credetemi. Vostro ora e sempre. F. Crispi.
La verità è rivoluzionaria. Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Non credo di aver fatto del male. Nonostante ciò, non rifarei oggi la via dell'Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio. Giuseppe Garibaldi (da una lettera scritta ad Adelaide Cairoli, 1868)
Cronologia moderna delle azioni massoniche e mafiose.
27 marzo 1848 - Nasce la Repubblica Siciliana. La Sicilia ritorna ad essere indipendente, Ruggero Settimo è capo del governo, ritorna a sventolare l'antica bandiera siciliana. Gli inglesi hanno numerosi interessi nell'Isola e consigliano al Piemonte di annettersi la Sicilia. I Savoia preparano una spedizione da affidare a Garibaldi. Cavour si oppone perchè considera quest'ultimo un avventuriero senza scrupoli (ricordano impietositi i biografi che Garibaldi ladro di cavalli, nell' America del sud, venne arrestato e gli venne tagliato l'orecchio destro. Sarà, suo malgrado, capellone a vita per nascondere la mutilazione) [Secondo altre fonti l’orecchio gli sarebbe stato staccato con un morso da una ragazza che aveva cercato di violentare all’epoca della sua carriera di pirata, stupratore, assassino in America Latina, NdT]. Il nome di Garibaldi, viene abbinato altresì al traffico di schiavi dall'Africa all'America. Rifornito di denaro inglese da i Savoia, Garibaldi parte per la Sicilia.
11 maggio 1860 - Con la protezione delle navi inglesi Intrepid e H.M.S. Argus, Garibaldi sbarca a Marsala. Scrive il memorialista garibaldino Giuseppe Bandi: I mille vengono accolti dai marsalesi come cani in chiesa! La prima azione mafiosa è contro la cassa comunale di Marsala. Il tesoriere dei mille, Ippolito Nievo lamenta che si trovarono pochi spiccioli di rame. I siciliani allora erano meno fessi! E' interessante la nota di Garibaldi sull'arruolamento: "Francesco Crispi arruola chiunque: ladri, assassini, e criminali di ogni sorta".
15 maggio 1860 - Battaglia di Calatafimi. Passata alla storia come una grande battaglia, fu invece una modesta scaramuccia, si contarono 127 morti e 111 furono messi fuori combattimento. I Borbone con minor perdite disertano il campo. Con un esercito di 25.000 uomini e notevole artiglieria, i Borbone inviano contro Garibaldi soltanto 2.500 uomini. E' degno di nota che il generale borbonico Landi, fu comprato dagli inglesi con titoli di credito falsi e che l'esercito borbonico ebbe l'ordine di non combattere. Le vittorie di Garibaldi sono tutte una montatura.
27 maggio 1860 - Garibaldi entra a Palermo da vincitore!....Ateo, massone, mangiapreti, celebra con fasto la festa di santa Rosalia.
30 maggio 1860 - Garibaldi dà carta bianca alle bande garibaldine; i villaggi sono saccheggiati ed incendiati; i garibaldini uccidevano anche per un grappolo d'uva. Nino Bixio uccide un contadino reo di aver preso le scarpe ad un cadavere. Per incutere timore, le bande garibaldine, torturano e fucilano gli eroici siciliani.
31 maggio 1860 - Il popolo catanese scaccia per sempre i Borbone. In quell'occasione brillò, per un atto di impavido coraggio, la siciliana Giuseppina Bolognani di Barcellona Pozzo di Gotto (ME). Issò sopra un carro un cannone strappato ai borbonici e attese la carica avversaria; al momento opportuno, l'avversario a due passi, diede fuoco alle polveri; il nemico, decimato, si diede alla fuga disordinata. Si guadagnò il soprannome Peppa 'a cannunera (Peppa la cannoniera) e la medaglia di bronzo al valor militare.
2 giugno 1860 - Con un decreto, Garibaldi assegna le terre demaniali ai contadini; molti abboccano alla promessa. Intanto nell'Isola divampava impetuosa la rivoluzione che vedeva ancora una volta il Popolo Siciliano vittorioso. Fu lo stesso popolo che unito e compatto costrinse i borbonici alla ritirata verso Milazzo.
17 luglio 1860 - Battaglia di Milazzo. Il governo piemontese invia il Generale Medici con 21.000 uomini bene armati a bordo di 34 navi. La montatura garibaldina ha fine. I contadini siciliani si ribellano, vogliono la terra promessagli. Garibaldi, rivelandosi servo degli inglesi e degli agrari, invia loro Nino Bixio.
10 agosto 1860 - Da un bordello di Corleone, Nino Bixio ordina il massacro di stampo mafioso di Bronte. Vengono fucilati l'avvocato Nicolò Lombardo e tre contadini, tra i quali un minorato! L'Italia mostra il suo vero volto.
21 ottobre 1860 - Plebiscito di annessione della Sicilia al Piemonte. I voti si depositano in due urne: una per il "Sì" e l'altra per il "No". Intimorendo, come abitudine mafiosa, ruffiani, sbirri e garibaldini controllano come si vota. Su una popolazione di 2.400.000 abitanti, votarono solo 432.720 cittadini (il 18%). Si ebbero 432.053 "Sì" e 667 "No". Giuseppe Mazzini e Massimo D'Azeglio furono disgustati dalla modalità del plebiscito. Lo stesso ministro Eliot, ambasciatore inglese a Napoli, dovette scrivere testualmente nel rapporto al suo Governo che: "Moltissimi vogliono l'autonomia, nessuno l'annessione; ma i pochi che votano sono costretti a votare per questa". E un altro ministro inglese, Lord John Russel, mandò un dispaccio a Londra, cosí concepito: "I voti del suffragio in questi regni non hanno il minimo valore".
1861 - L'Italia impone enormi tasse e l'obbligo del servizio militare, ma per chi ha soldi e paga, niente soldato. Intanto i militari italiani, da mafiosi, compiono atrocità e massacri in tutta l'Isola. Il sarto Antonio Cappello, sordomuto, viene torturato a morte perchè ritenuto un simulatore, il suo aguzzino, il colonnello medico Restelli, riceverà la croce dei "S.S. Maurizio e Lazzaro". Napoleone III scrive a Vittorio Emanuele: "I Borbone non commisero in cento anni, gli orrori e gli errori che hanno commesso gli agenti di Sua Maestà in un anno”.
1863 - Primi moti rivoluzionari antitaliani di pura marca indipendentista. Il governo piemontese instaura il primo stato d'assedio. Viene inviato Bolis per massacrare i patrioti siciliani. Si prepara un'altra azione mafiosa contro i Siciliani.
8 maggio 1863 - Lord Henry Lennox denuncia alla camera dei Lords le infamie italiane e ricorda che non Garibaldi ma l'Inghilterra ha fatto l'unità d'Italia.
15 agosto 1863 - Secondo stato d'assedio. Si instaura il terrore. I Siciliani si rifiutano di indossare la divisa italiana; fu una vera caccia all'uomo, le famiglie dei renitenti furono torturate, fucilate e molti furono bruciati vivi. Guidava l'operazione criminale e mafiosa il piemontese Generale Giuseppe Govone. (Nella pacifica cittadina di Alba, in piazza Savona, nell'aprile 2004 è stato inaugurato un monumento equestre a questo assassino. Ignoriamo per quali meriti.)
1866 - In Sicilia muoiono 52.990 persone a causa del colera. Ancora oggi, per tradizione orale, c'è la certezza che a spargervi il colera nell'Isola siano state persone legate al Governo italiano. Intanto tra tumulti, persecuzioni, stati d'assedio, terrore, colera ecc. la Sicilia veniva continuamente depredata e avvilita; il Governo italiano vendette perfino i beni demaniali ed ecclesiastici siciliani per un valore di 250 milioni di lire. Furono, nel frattempo, svuotate le casse della regione. Il settentrione diventava sempre più ricco, la Sicilia sempre più povera.
1868 - Giuseppe Garibaldi scrive ad Adelaide Cairoli:"Non rifarei la via del Sud, temendo di essere preso a sassate!". Nessuna delle promesse che aveva fatto al Sud (come quella del suo decreto emesso in Sicilia il 2 giugno 1860, che assegnava le terre comunali ai contadini combattenti), era stata mantenuta.
1871 - Il Governo, con un patto scellerato, fortifica la mafia con l'effettiva connivenza della polizia. Il coraggioso magistrato Diego Tajani dimostrò e smascherò questa alleanza tra mafia e polizia di stato e spiccò un mandato di cattura contro il questore di Palermo Giuseppe Albanese e mise sotto inchiesta il prefetto, l'ex garibaldino Gen. Medici. Ma il Governo italiano, con fare mafioso si schiera contro il magistrato costringendolo a dimettersi.
1892 - Si formano i "Fasci dei Lavoratori Siciliani". L'organizzazione era pacifica ed aveva gli ideali del popolo, risolvere i problemi siciliani. Chiedeva, l'organizzazione dei Fasci la partizione delle terre demaniali o incolte, la diminuzione dei tassi di consumo regionale ecc.
4 gennaio 1894 - La risposta mafiosa dello stato italiano non si fa attendere: STATO D'ASSEDIO. Francesco Crispi, (definito da me traditore dei siciliani a perenne vergogna dei riberesi) presidente del Consiglio, manda in Sicilia 40.000 soldati al comando del criminale Generale Morra di Lavriano, per distruggere l'avanzata impetuosa dei Fasci contadini. All'eroe della resistenza catanese Giuseppe De Felice vengono inflitti 18 anni di carcere; fu poi amnistiato nel 1896, ricevendo accoglienze trionfali nell'Isola.
Note di "Sciacca Borbonica": Sono molti i paesi del mondo che dedicano vie, piazze e strade a lestofanti e assassini. Ma pochi di questi paesi hanno fatto di un pirata macellaio addirittura il proprio eroe nazionale. Il 27 luglio 1995 il giornale spagnolo "El Pais", giustamente indignato per l’apologia di Garibaldi fatta dall’allora presidente Scalfaro (quello che si prendeva 100 milioni al mese in nero dal SISDE, senza che nessuno muovesse un dito) nel corso di una visita in Spagna, così gli rispose a pag. 6: “Il presidente d'Italia è stato nostro illustre visitante...... Disgraziatamente, in un momento della sua visita, il presidente italiano si è riferito alla presenza di Garibaldi nel Rio della Plata, in un momento molto speciale della storia delle nazioni di questa parte del mondo. E, senza animo di riaprire vecchie polemiche e aspre discussioni, diciamo al dott. Scalfaro che il suo compatriota [Garibaldi] non ha lottato per la libertà di queste nazioni come egli afferma. Piuttosto il contrario". Il 13 settembre 1860, mentre l'unificazione italiana era in pieno svolgimento, il giornale torinese Piemonte riportava il seguente articolo. (1): «Le imprese di Garibaldi nelle Due Sicilie parvero sin da allora così strane che i suoi ammiratori ebbero a chiamarle prodigiose. Un pugno di giovani guidati da un audacissimo generale sconfigge eserciti, piglia d'assalto le città in poche settimane, si fa padrone di un reame di nove milioni di abitanti. E ciò senza navigli e senz'armi... Altro che Veni, Vedi, Vici! Non c'è Cesare che tenga al cospetto di Garibaldi. I miracoli però non li ha fatti lui ma li fecero nell'ordine: 1°)-L'oro con il quale gli inglesi comprarono quasi tutti i generali borbonici e col quale assoldarono 20.000 mercenari ungheresi e slavi e pagarono il soldo ad altri 20.000 tra carabinieri e bersaglieri, opportunamente congedati dall'esercito sardo-piemontese e mandati come "turisti" nel Sud, altro che i 1000 scalcinati eroi...... 2°)-il generale Nunziante ed altri tra ufficiali dell'esercito e della marina che, con infinito disonore, disertarono la loro bandiera per correre sotto quella del nemico eccovi servito un piccolo elenco di traditori al soldo degli anglo-piemontesi, oltre al Nunziante: Generale Landi, Generale Cataldo, Generale Lanza, Generale Ghio, Comandante Acton, Comandante Cossovich,ed altri ancora; 3°)-i miracoli li ha fatti il Conte di Siracusa con la sua onorevolissima lettera al nipote Francesco II° (lettera pubblicata in un post a parte); 4°)-li ha fatti la Guardia Nazionale che, secondo il solito, voltò le armi contro il re che gliele avea date poche ore prima; 5°)-)li ha fatti il Gabinetto di Liborio Romano il quale, dopo aver genuflesso fino al giorno di ieri appié del trono di Francesco II, si prostra ai piedi di Garibaldi; 6°)- La quasi totalità della nobiltà siciliana. Beh, Con questi miracoli ancor io sarei capace di far la conquista, non dico della Sicilia e del Reame di Napoli, ma dell'universo mondo. Dunque non state a contare le prodezze di Sua Maestà Garibaldi I. Egli non è che il comodino della rivoluzione. Le società segrete (la massoneria) che hanno le loro reti in tutto il paese delle Due Sicilie, hanno di lunga mano preparato ogni cosa per la rivoluzione. E quando fu tutto apparecchiato si chiamò Garibaldi ad eseguire i piani [...]. Se non era Garibaldi sarebbe stato Mazzini, Kossuth, Orsini o Lucio della Venaria: faceva lo stesso. Appiccare il fuoco ad una mina anche un bimbo può farlo. Di fatto vedete che dappertutto dove giunge Garibaldi la rivoluzione è organizzata issofatto, i proclami sono belli e fatti, anzi stampati. In questo modo credo che Garibaldi può tranquillamente fare il giro del mondo a piantare le bandiere tricolori del Piemonte. Dopo Napoli Roma, dopo Roma Venezia, dopo Venezia la Dalmazia, dopo la Dalmazia l'Austria, caduta l'Austria il mondo è di Garibaldi, cioé del Piemonte! Oh che cuccagna! Torino capitale dell'Europa, anzi dell'orbe terracqueo. Ed i torinesi padroni del mondo!». Dai Savoia agli Agnelli, da una famiglia di vampiri ad un altra.....per il Sud sempre lo stesso destino.......dar loro anche l'ultima goccia di sangue. Comunque la Giustizia Divina arriva sempre........i savoia son finiti nella merda e nel ludibrio, gli Agnelli nella tomba e nella droga che certamente sarà il mezzo con quale ci libereremo di questa gente maledetta.
Gli eurobond che fecero l'Unità d'Italia quando il Regno di Napoli era come la Germania, scrive Giuseppe Chiellino il 30 giugno 2012 su “Il Sole 24 Ore”. Il vertice europeo di fine giugno ha cancellato gli eurobond dall'agenda. Almeno per ora. Angela Merkel è stata drastica: «Mai finchè sarò viva» aveva detto in pubblico qualche giorno prima. Chissà se la cancelliera tedesca aveva avuto il tempo di leggere lo studio di Stéphanie Collet, storica della finanza della Université Libre de Bruxelles che è andata a spulciare negli archivi delle Borse di Parigi e Anversa per studiare l'unico precedente assimilabile agli Eurobond: l'unificazione del debito sovrano dei sette stati che 150 anni orsono, su iniziativa del Piemonte e sotto tutela di Francia e Inghilterra, costituirono il Regno d'Italia. Nella storia dello stato moderno è l'esperienza storicamente più vicina al faticosissimo tentativo di dare maggiore consistenza politica all'Unione europea, anche attraverso l'integrazione delle politiche economiche e fiscali, compresi debiti sovrani dei 17 paesi dell'euro. Un precedente prezioso, secondo la Collet, per cercare di capire – mutatis mutandis - come potrebbero comportarsi i mercati finanziari di fronte all'unificazione del debito pubblico dei paesi della zona euro. «Come l'Italia di allora, l'Europa oggi è fatta da stati eterogenei, con economie di dimensioni e condizioni diverse, che parlano lingue diverse e hanno sistemi di imposizione fiscale separati» ricorda la studiosa. Grazie al fatto che anche dopo l'unificazione i titoli del Regno d'Italia conservarono fino al 1876 l'indicazione della loro origine (per esempio, ad Anversa le emissioni del Regno delle Due Sicilie erano indicate come "Italy-Neapolitean") la Collet è riuscita a ricostruire le serie storiche dei prezzi settimanali tra il 1847 e il 1873. Un lavoro certosino di raccolta manuale dei dati dagli archivi e dai database originali per capire come si sono mosse le quotazioni, prima e dopo l'unità, politica ed economica. 25 emissioni suddivise in quattro gruppi: Regno di Piemonte e Sardegna, Lombardo-Veneto, Due Sicilie e Stato Pontificio. La prima cosa che balza agli occhi è lo spread (anche allora!) tra i rendimenti dei diversi gruppi di bond prima e dopo l'Unità. Quelli del Regno delle Due Sicilie (che erano un quarto del totale) prima del 1861 pagavano i tassi più bassi: 4,3%, 140 punti base in meno delle emissioni papali e di quelle piemontesi (che rappresentavano rispettivamente il 29% e il 44% del debito unitario dopo la conversione) e 160 in meno rispetto a quelle Lombardo-Venete (che però erano solo il 2%). Insomma, a voler utilizzare le categorie di oggi, il Regno di Napoli economicamente era per l'Italia quello che oggi la Germania è per l'Eurozona. «Come il Regno di Napoli prima dell'integrazione del debito sovrano, la Germania di oggi è l'economia più forte dell'eurozona e beneficia del costo del debito più basso in assoluto» scrive Collet. Considerazioni, queste, che faranno storcere il naso a molti, ma sicuramente non di parte. Del resto, come ricorda Collet, Napoli era di gran lunga la città più importante del neonato Regno d'Italia. E le regioni del Sud avevano una discreta struttura industriale, un'agricoltura fiorente sia pure basata sul latifondismo, e importanti porti commerciali. Subito dopo il 1861, però, lo scettiscismo dei mercati nel processo unitario italiano impose un "risk premium" comune a tutti i bond degli stati preunitari, anche a quelli che fino a quel momento avevano goduto di maggiore fiducia e dunque di rendimenti più bassi. Proprio quello che oggi la Germania teme possa avvenire con gli eurobond: l'anno successivo, infatti, i rendimenti dei titoli convertiti in "Regno d'Italia" si allinearono ben al di sopra dei tassi precedenti, al 6,9%. Per gli "Italy – Neapolitean" 260 punti base in più che diventarono 460 nel 1870, per poi cominciare a ripiegare dopo il 1871, quando cioè l'annessione di Venezia e di Roma e il trasferimento della capitale nella città del papato convinsero gli investitori, e non solo, che l'Unità era ormai irreversibile. L"Italia" non era più una mera "espressione geografica", come l'aveva definita Metternich nel 1847, ma dopo tre guerre d'indipendenza e più di vent'anni di manovre diplomatiche era diventata uno stato unitario. «L'integrazione dei debiti sovrani era stato uno strumento per portare avanti l'integrazione politica, come sarebbe oggi per l'Europa» afferma Collet, ma nota anche che «un aumento del premio di rischio aggraverebbe la crisi del debito che sta vivendo l'Europa piuttosto che risolverla. Significherebbe che, se fossero introdotti gli eurobond, la Germania perderebbe il suo rating elevato». Questo portava Collet a definire, già nei mesi scorsi, «remote» le speranze di vedere nel breve termine un mercato integrato dei titoli di debito dell'eurozona. Nel lungo termine, invece, i risultati della ricerca sul caso italiano dimostrano che «nel tempo i rendimenti dei titoli diminuirono». Alla luce di questo, oggi la domanda è: quanto tempo ci vorrà perché anche l'Europa sia considerata come un blocco unico e in grado di dotarsi di un vero e proprio piano di salvataggio per l'euro? Per l'Italia ci volle all'incirca un decennio. Considerato che quella italiana fu un'annessione anche militare e quella europea è un'integrazione consensuale, e che i mercati dei capitali si muovono a ritmi diversi rispetto alla seconda metà dell'800, anche Collet concorda che un aumento del costo del debito nel breve termine sarebbe un prezzo che potremmo permetterci di pagare se avessimo la certezza di avere, tra qualche anno, un'Europa più unita. Ma questa certezza nessuna ricerca, per quanto accurata, potrà mai darla. Serve, forse, la capacità di andare oltre il breve periodo, di guardare un po' più lontano rispetto alla prossima scadenza elettorale, superando la "veduta corta" che per Tommaso Padoa Schioppa è stata «la radice» della crisi.
TANGENTOPOLI IN MOLISE.
Quando la Dc dei vari La Penna, Santoro & Co. Si rivelò per quello che era…, scrive Alessandro Corroppoli il 17 Febbraio 2012 su “L’Infiltrato”. La corruzione in qualche modo è sempre stata presente nella vita degli italiani. Ma è nel 1992 che, grazie all’attivismo di un magistrato molisano, di origine contadine, gli italiani sembrano ribellarsi e riappropriarsi della propria rappresentatività e dignità. Il magistrato in questione è Antonio Di Pietro da Montenero di Bisaccia, il quale attraverso l’inchiesta “Mani Pulite” mette a soqquadro l’intera cartina geografica politica. Ma nella terra d’origine del magistrato contadino cosa successe? Chi venne coinvolto negli scandali giudiziari? Quali furono gli uomini che fecero la “tangentopoli molisana”? Negli anni che vanno dal 1992 al 1994 i maggiori partiti dell’arco costituzionale (Dc –Psi e in tono minore il Pci) subiscono delle vere è proprie rivoluzioni copernicane attraverso scissioni e diaspore varie. Paradosso vuole che proprio mentre la politica politicante veniva messa a ferro a fuoco, nel 1994 al potere sale un imprenditore lombardo, proprietario tra l’altro di tre emittenti televisive e di varie testate giornalistiche, che segnerà e influenzerà la vita politica e sociale dell’intero Paese, Silvio Berlusconi. Ma nella terra d’origine del magistrato contadino cosa successe? Chi venne coinvolto negli scandali giudiziari? Quali furono gli uomini che fecero la “tangentopoli molisana”? Era il 17 Febbraio 1992 quando a Milano viene arrestato il socialista Mario Chiesa, Presidente del Pio Albergo “Trivulzio”: intasca 7 milioni da un fornitore dell’istituto che stanco di dovergli pagare le mazzette denuncia il fatto. In Molise esattamente 18 giorni prima per la stessa motivazione e per la stessa somma, una mazzetta intascata da 7 milioni di vecchie lire, la Corte d’appello di Campobasso conferma la pena di 3 anni e 6 mesi di reclusione inflitta in primo grado a un dipendente della provincia di Campobasso il quale all’epoca era il segretario amministrativo regionale della Democrazia Cristiana. Pure coincidenze oppure l’onda lunga dello scandola che sta per travolgere l’intero panorama nazionale?
IL QUADRO POLITICO MOLISANO NEL 1992. Il 5 e il 6 aprile del 1992 si svolsero le consultazioni Politiche. La regione Molise seguì la scia nazionale dando continuità alla propria pattuglia di rappresentati. L’elettore molisano si trovò a scegliere tra 15 liste alla Camera e 7 lista al Senato. La Democrazia Cristiana, pur rimanendo il partito più votato perde in termini percentuali sia alla Camera che al Senato. Nel ramo basso del Parlamento perde il 5.5% dei consensi passando dal 58.8% del 1990 al 51.8%, conquistando i tre seggi disponibili con Fernando Di Laura Frattura, Florindo D’Aimmo e Girolamo La Penna. Viceversa a Palazzo Madama il penta partito crolla di oltre 10%, raggiungendo solo il 46.5% e perdendo un seggio. Infatti se nel collegio di Larino vince Osvaldo Di Lembo in quello di Campobasso–Isernia l’ex sottosegretario alla giustizia Lello Lombardi lascia il passo all’ex consigliere regionale Luigi Biscardi, che viene sostenuto da una coalizione anti Dc composta da Pds, Psdi, Pri, Pli e Verdi. E se la Democrazia Cristiana si mantiene a galla, gli ex comunisti del Pds – che precipita segnando un meno 6.6% e totalizzando un misero 13. 5% – riescono comunque ad eleggere alla Camera, seppur con i resti, Edilio Petrocelli. Mentre i socialisti, allora ancora uniti sotto il simbolo del Garofano rosso, ottengono un risultato eccezionale: 14.6% alla Camera, dove riescono ad eleggere per la prima volta un loro uomo, nella fattispecie è il segretario regionale del partito Angelino Sollazzo. A livello regionale le consultazioni regionali del 1990 hanno visto trionfare la balena bianca e e incoronato Presidente il democristiano Enrico Santoro.
LO SCANDALO “ALBERGHI D’ORO”. Non è ancora sbollito il post voto quando il 30 aprile del 1992 un funzionario regionale viene arrestato in riferimento alle indagini sui contributi pubblici destinati al potenziamento della rete ricettiva: viene accusato di concussione, truffa, abuso e falso per avere voluto una mazzetta del 10% sulla prima rata del contributo regionale di 600 milioni di lire, attribuito ad una coppia di operatori turistici. L’inchiesta della procura di Campobasso che coinvolge altri quattro imprenditori viene denominata “Alberghi d’oro”. Ma per conoscere il primo nome eccellente caduto nella rete di Tangentopoli bisogna aspettare ancora qualche mese. È fine ottobre quando il Presidente del consorzio per lo sviluppo industriale del Basso Molise, Mario Di Pasquale, viene portato in carcere con l’accusa di concussione per aver preteso soldi da imprenditori interessati all’assegnazione di lotti terrieri. È il primo esponente di spicco del mondo manageriale molisano a finire dietro le sbarre. È il primo esponente della Democrazia Cristiana ad essere arrestato. E non sarà l’ultimo.
1993, L’ANNO DELLO SCUDO CROCIATO A SBARRE. Il 1993 si apre con i botti. L’11 gennaio riceve un avviso di garanzia Enrico Santoro,che nel frattempo ha ceduto la sua carica da Presidente della Regione a Luigi Di Bartolomeo, attuale sindaco di Campobasso. L’ex Presidente è coinvolto nello scandalo “Alberghi d’oro” e viene accusato di truffa e abuso per "spinte", ovvero raccomandazioni a imprenditori turistici nell’epoca in cui fu assessore. Verrà scagionato il 24 marzo 1993. I problemi giudiziari affliggono il pentapartito molisano tanto che un primo vero segnale di logorio politico lo si avverte il 7 febbraio ’93, allorché si svolgono le consultazioni comunali ad Isernia. La Dc subisce una severa punizione dal suo elettorato: scende dal 61.4% del 1990 ad un misero 38.9%, per un totale di 16 seggi a fronte dei 40 di soli tre anni prima. Ma i guai non vengono mai da soli. Il 17 febbraio, a circa un mese dall’avviso di garanzia ad Enrico Santoro, viene arrestato – dopo un’inchiesta della procura di Firenze – un funzionario dell’Asl di Campobasso. L’inchiesta viene denominata “Mense D’oro” per via delle mazzette date per conquistare gli appalti del servizio di ristorazione nell’ospedale e nelle scuole elementari di Campobasso. Dopo le indagini di rito, in merito all’inchiesta “Mense D’oro”, la procura di Campobasso spicca un mandato d’arresto per i consiglieri regionali Dc Pietro Pasquale, 26 febbraio, e Pasquale Ioffredi, 4 marzo. Entrambi sono accusati di: corruzione, truffa, turbativa d’asta e abuso d’ufficio per favorito una ditta di Firenze quando erano assessore al comune di Campobasso il primo, e amministratore dell’Asl il secondo. Ma appena 8 giorni dopo l’arresto di Ioffredi il mondo politico italiano e molisano, nella fattispecie quello democristiano, subisce uno scossone terrificante. Il 12 marzo del 1993 la procura della Repubblica di Larino fa recapitare all’onorevole Girolamo La Penna un avviso di garanzia con richiesta alla Camera dei Deputati per l’autorizzazione a procedere. Il leader dei fanfaniani molisani è al centro dell’inchiesta sul traffico di mazzette del Consorzio industriale di Termoli. Gli vengono accreditati i seguenti reati: concussione e violazione della legge sul finanziamento dei partiti in concorso con l’allora Presidente del nucleo Mario Di Pasquale, il quale finisce di nuovo dietro le sbarre dopo aver usufruito degli arresti domiciliari. Il continuo aggiornarsi del curriculum penale dei maggiori esponenti democristiani porta l’ente regione verso un’inesorabile crisi. Il 9 aprile del 1993 – è un venerdì santo – Gino Di Bartolomeo, Presidente in carica subentrato ad Enrico Santoro nell’agosto del 1992, si dimette. Gli esponenti regionali della Dc cercano un nuovo assetto e propongono un esecutivo al cui vertice siederà Michele Iorio, mentre tra gli assessori verrà segnalato anche l’ex Presidente Enrico Santoro. Il nuovo esecutivo resiste agli attacchi della minoranza e della magistratura. Infatti se con i primi è facile controbattere la vera difficoltà la si ha nei confronti della giustizia. Il 17 aprile del 1993 viene arrestato l’assessore regionale all’agricoltura Antonio Di Rocco, uomo di punta della Coldiretti. Di Rocco è accusato del reato di concussione per aver favorito prima un imprenditore agricolo nel prendere finanziamenti pubblici e poi preteso dallo stesso una mazzetta. Fatto curioso è che mentre Di Rocco viene portato in cella, assieme al cognato accusato di essere il cassiere, il suo compare esce. Infatti lo stesso imprenditore era stato dentro per aver ricevuto dalla Regione indebiti sostegni per le campagne del grano duro. In quello stesso mese d’Aprile vanno di scena i referendum. I molisani, con un’affluenza del 61.6% sul totale degli aventi diritti al voto, cancellano il finanziamento pubblico dei partiti (per l’abrogazione votò l’86.2). Questo intermezzo elettorale permette alla Dc di riprendersi dalla crisi regionale tanto che il 28 aprile viene formalizzato un nuovo ulteriore esecutivo che vede nuovamente al suo vertice il riconfermato Luigi Di Bartolomeo. Ma come nei migliori thriller la serenità dura poco. Ioffredi e Pasquale vengono rinviati a giudizio mentre Tonino Martino, esponente Dc di fanfaniana fede, deluso dalle proposte del segretario nazionale Martinazzoli, lascia il partito e fonda il Partito Popolare Progressista d’ispirazione cristiana. È il 5 maggio e la Dc non ha più la maggioranza in seno al consiglio regionale. Numeri che scendono ancora, ora sono diventati 14. Di Bartolomeo si presenta nuovamente dimissionario ma il gruppo Dc temporeggia, prende tempo nella speranza che i vari Di Rocco, Ioffredi e Pasquale si dimettano da consiglieri per far entrare in consiglio i primi dei non eletti in modo da ricomporre una nuovo maggioranza. Ma la crisi continua e temporeggiare non servirà. A fine maggio si allontana dal partito anche Paolo Nuvoli, ex Presidente della Regione, ma non per questo lascia la presidenza dell’Ersiam ottenuta dopo l’esperienza in seno al consiglio regionale. Il 18 giugno si dimette il segretario regionale Dc Giovanni Capirchio. Il 23 giungo torna in carcere l’ex assessore Antonio Di Rocco. Il mese prima, il 12 maggio, aveva ottenuto gli arresti domiciliari, ma la procura di Campobasso lo accusa di nuovi reati: peculato, falso, truffa ai danni del Consorzio agrario di cui era stato Presidente. Con le stesse accuse finisce agli arresti domiciliari anche Emilio Orlando, esponente della Coldiretti e soprattutto Presidente del Consorzio Agrario. La Dc con Orlando fa cinquina: infatti son ben cinque consiglieri regionali finiti sui registri della giustizia. Il 6 luglio il tribunale di Campobasso condanna Ioffreddi e Pasquale a 3 anni di reclusione per lo scandalo “mense d’oro”. Beneficeranno di un anno di condono (Dopo uno sconto di pena in appello in Cassazione otterranno sentenza dichiarata della prescrizione dei reati). Stessa sanzione per l’imprenditore proprietario dell’impresa fiorentina. Dopo due settimane esattamente il 20 luglio il Governo sospende Ioffreddi e Pasquale, fatto senza precedenti nella storia molisana. In sostanza vengono interdetti dai ruoli nelle amministrazioni pubbliche. L’estate trascorre con tentativi di alleanze tra Dc e Psi ma entrambe le formazioni, debellate dai rispettivi guai giudiziari, non riescono nel loro intento governativo. L’autunno del 1993 è molto caldo. Nel Paese e in Molise si respira aria di elezioni anticipate e allora in tanti cercano di mettersi a posto con la giustizia. In Molise 15 di loro hanno debiti con la giustizia. Uno, Emilio Orlando, salda il conto. Versa un assegno di 15 milioni di lire per risarcire il danno fatto al Consorzio agrario mentre davanti al Gip di Campobasso patteggia una pena di 13 mesi e 20 giorni di reclusione con i benefici della legge. Il 22 dicembre Luigi Di Bartolomeo resosi conto delle oggettive difficoltà a comporre e tenere insieme un esecutivo credibile ufficializza una nuova crisi regionale. Sarà l’ultima crisi politica della ormai morente Democrazia Cristiana.
Molise, sul regno doratolo spreco non tramonta mai. E’ la regione più assistita d’Italia: in dieci anni il presidente-vicerè ha utilizzato i fondi ricevuti per le calamità per oliare il consenso, scrive l'1/11/2010 “La Stampa”. Sul regno di Michele Iorio non tramonta mai il sole», ironizzano i detrattori. I possedimenti immobiliari della regione spaziano da Campobasso, a Roma (due sedi in via del Pozzetto e via Nomentana), al villino di rappresentanza di Bruxelles (554 mq nella centralissima Rue de Toulouse), fino alla «Casa Molise» di Moron (Buenos Aires), la dependance argentina inaugurata nel settembre 2008 con un viaggio costato alle casse regionali la bellezza di 80 mila euro. La flotta presidenziale invece era pronta in rada al porto di Termoli: una nave/jet da 8,5 milioni acquistata per collegare la cittadina adriatica con i dirimpettai ex jugoslavi. Peccato che la scelta diretta del partner senza gara pubblica sia stata irregolare. Aliscafi Snav ha fatto ricorso e ha vinto. Frustrando i sogni di gloria del presidente armatore. Michele Iorio da 10 anni è il vicerè immaginifico del piccolo Molise (320 mila abitanti, un quartiere di Roma), la regione più sussidiata d’Italia. Anche se il suo potere camaleonte affonda al principio dei Novanta: prima sindaco di Isernia, il suo feudo, poi assessore regionale in quota centrosinistra, poi il ribaltone, la sconfitta in regione, una fugace apparizione in senato, il ricorso, e il rivoto vittorioso nel 2001 a capo di una coalizione berlusconiana, ma sempre con una avvertenza: in Molise Iorio è Iorio, non certo un di cui del premier. Potere e consenso conquistato con capacità chirurgica, clientela su clientela. Si potrebbero scrivere interi libri sull’epopea di questo medico di provincia fattosi in poco tempo monarca assoluto dell’ex contado del Molise, staccatosi nel 1963 dagli Abruzzi nell’illusione di farsi mantenere in eterno. L’anno scorso c’ha pensato Vinicio D’Ambrosio («Il regno del Molise», edizioni il Chiostro). Il suo è un documento pieno di fatti e cifre, sprechi e scandali, mai smentiti dai protagonisti ma nemmeno ripresi dai media locali: «semplicemente snobbato, un muro di gomma», commenta amaro D’Ambrosio. Per capire il Molise basta un numero: articolo 15. Lo chiama così chi prova a mettere in fila il sistema Iorio. Una tecnica nata dopo il «terremotino» del 2002. Il sisma colpisce 14 paesi vicini a Campobasso ma il presidente riesce ad estendere lo stato di calamità a tutta la provincia. Lo stesso farà qualche mese dopo con l’alluvione che colpisce il Basso Molise: emergenza spalmata su tutta la regione. Nel frattempo da duplice commissario straordinario (terremoto e alluvione) il presidentissimo lavora al suo capolavoro: un programma pluriennale (votato con delibera nel giugno 2004 e istituito ex art 15) per rilanciare il sistema socio-economico della regione colpito. Un pacchetto omnibus su cui fa convergere un miliardo di euro di risorse. Da quel giorno non c’è comune, impresa, famiglia molisana che non ne sia stata beneficiata: le piazze dei paesi rifatte, le scuole di musica, il museo del profumo, la sanità foraggiata (vedi articolo a fianco) il parco sentimentale, le consulenze d’oro e le assunzioni attraverso le controllate regionali, l’università, la Camera di commercio, i centri per l’educazione ambientale o Sviluppo Italia Molise. Fondi per le calamità usati per oliare il consenso e costruire clientele. Un miliardo gestito in house su cui la magistratura contabile chiede lumi da tempo e che ha finito per dopare un’intera economia già in difficoltà, dal pastificio La Molisana allo zuccherificio di Termoli all’ex impero Ittierre in amministrazione straordinaria. Lasciando il piccolo Molise in balia della bolla edilizia e dell’impiego pubblico. Economia assistita più che produttiva. Con questo metodo clientelare, nel 2006 Iorio non rivince le elezioni, trionfa. Lo stuolo di auto blu e di carte di credito per dirigenti ed assessori, il personale in eccesso, la nuova facoltà di medicina aperta nel 2006 (a pochi metri dalla Cattolica), i viaggi all’estero (tipo per le olimpiadi del formaggio in Svizzera), le 18 commissioni consiliari tra ordinarie e speciali (ce n’è una sulla influenza suina) e una regione merchant bank che si occupa di produrre polli e zucchero, sono paradossalmente la sua forza. «Finché Berlusconi lo copre per via del voto regionale nel 2011, Iorio resta a galla ma le vacche grasse sono finite», ragiona Peppino Astore, senatore molisano ex Idv oggi nel gruppo Misto. «Per questo sta provando a dare la colpa al governo centrale che taglia i trasferimenti e lo mette sotto accusa per il deficit sanitario. Fa la vittima, il leghista al contrario». Sarò dura scalzarlo. La sua è sempre stata una satrapia dolce, costosa ma avvolgente, consensuale, che si è mangiata pezzi di opposizione offrendo posti di sottobosco e che controlla molta stampa locale e soprattutto la tv principe, Telemolise (diretta dalla moglie di Ulisse Di Giacomo, coordinatore regionale del pdl), attraverso il meccanismo della pubblicità istituzionale per la promozione di progetti tipo «albergo diffuso» (306 mila euro di stanziamento nel 2009 più altri 190mila due settimane fa). «Il Molise resta un quartierino asfittico in cui tutti si conoscono e in cui quasi tutti tengono famiglia», prosegue D’Ambrosio. Ad esempio Nicola Passarelli, ex presidente della corte d’appello di Campobasso, appena andato in pensione è stato nominato assessore esterno alla Sanità. Tutto passa in cavalleria perché l’andazzo va bene a molti. «Manca l’autonomia della società civile, attaccata alla sottana di una politica che si è comprata il consenso di tutti», spiega Michele Petraroia, consigliere regionale del Pd. Potere e soldi senza responsabilità. «Solo che oggi con il federalismo fiscale è insostenibile», dice Sergio Sammartino dell’associazione Majella madre. L’ex contado «non ha più i presupposti per restarsene da solo, bello e sussidiato. Produciamo 30 euro su ogni 100 consumati». E’ finita la pacchia. «Meglio tornare con i cugini abruzzesi». Nel frattempo i giovani scappano (il 50% dei laureati) e Campobasso e Isernia sono pieni di torsoli di cemento sconclusionato costruito qua e là, a sfregiare una regione bellissima e selvaggia...
Finché la barca va. Dal silenzio allo scandalo: se il Molise non distingue le colpe politiche da quelle giudiziarie, scrive “Primo Numero il 12/06/2012. Ora che i magistrati hanno messo sotto inchiesta il Governatore per l’allegra gestione dei fondi sisma, il mondo politico e perfino il “sistema” dell’informazione molisana prendono le distanze e scaricano Iorio, scoprendo improvvisamente che per dieci anni nella nostra regione è stata calpestata ogni regola della buona amministrazione alle spalle dei terremotati. Sono gli stessi che per un decennio sono stati zitti davanti a questa pratica, e hanno perfino accusato chi ha denunciato gli sperperi di “fare il male del Molise”. Si realizza così il paradosso più nocivo per uno stato democratico: un politico è “buono” fino a quando un pm non lo indaga, e diventa addirittura “cattivo” se un giudice lo condanna. Le responsabilità politiche, le uniche che dovrebbero interessare gli elettori, non esistono. Quello che sta accadendo in Molise a proposito della gestione del dopo terremoto ha degli aspetti grotteschi. I magistrati hanno messo sotto inchiesta Michele Iorio imputandogli una conduzione a dir poco allegra dei fondi sisma, e la Corte dei Conti minaccia perfino (in un’ipotesi remotissima, per il momento) di chiedergli di rimborsare personalmente le centinaia di migliaia di euro sperperate con la scusa della ricostruzione. Ma non è questa la parte grottesca. Ad essere grotteschi, piuttosto, sono gli esponenti del mondo politico locale e dell’informazione locale (e anche dell’opinione pubblica locale) che - improvvisamente ridestatisi da un sonno letargico -hanno scoperto che per dieci anni nella nostra regione grazie alle maglie larghe dell’emergenza sismica è stata calpestata ogni regola della buona amministrazione e della buona politica, e che ora s’indignano e si scandalizzano. Meglio tardi che mai, certo. Tuttavia qualche domanda a questi ritardatari senza giustificazione va posta. Cos’hanno fatto per dieci anni? Perché hanno sistematicamente chiuso gli occhi? Perché si sono ripetutamente scagliati contro chi metteva in evidenza le incongruenze della gestione commissariale di Iorio accusandoli perfino di «volere il male del Molise»? Ora, per esempio, sulla scorta dell’intervento dei magistrati e della Guardia di Finanza tutti si sono finalmente accorti che l’allargamento dell’area dei paesi terremotati all’intera provincia di Campobasso è stato un grave errore che ha consentito di dirottare fondi necessari alla ricostruzione dei centri maggiormente colpiti (una quindicina) verso Comuni e aree che non necessitavano che di pochi interventi. O addirittura, in qualche caso, di nessun intervento. Lo stesso Iorio, sostenendo in modo assai comico di essere stato costretto a farlo nel 2003 dall’allora governo Berlusconi, ha ammesso che la cosa andava studiata meglio. Si è ben guardato però dal dire che la cosa venne pianificata in ossequio ai rigidi dettami del clientelismo e dell’urgenza di utilizzare i soldi pubblici della ricostruzione per solidificare il consenso intorno alla propria persona. Ma soprattutto si sono dimenticati di dirlo i politici e gli autorevoli commentatori che dal 2002 hanno fatto orecchie da mercante, fingendo che tutto andasse per il meglio, e sperando semmai che il loro feudo elettorale o il loro Comune di appartenenza o magari il loro organo di informazione o la loro associazione ricreativa venissero beneficiati da questa leggiadra distribuzione di denaro. Vale la pena ricordare che già molti anni fa alcune inchieste di Primonumero.it stigmatizzarono l’assurda decisione di estendere l’area dei paesi colpiti a tutti i Comuni della provincia di Campobasso, e documentarono anche come bastasse “inventarsi” l’esistenza di danni marginali (una lapide rotta al cimitero, un mattone sbreccato su un campanile) per essere annoverati dal generoso Commissario fra i Comuni terremotati. Quelle inchieste vennero riprese e amplificate dalla stampa e dalle televisioni nazionali, da Repubblica a La Stampa a La 7. Col risultato che fummo tutti insieme accusati di danneggiare l’immagine del Molise, di voler remare contro, di essere al servizio dei nemici della nostra regione. Ecco allora un’altra domanda per i ritardatari: chi ha fatto più male al Molise? Chi ha messo in evidenza la politica degli sperperi? O chi invece ha materialmente sperperato il denaro? I molisani, per dieci anni, sono stati zitti davanti a questa pratica che ha devastato la ricostruzione del post terremoto. Consiglieri, assessori, sindaci, giornalisti (con pochissime eccezioni) che sapevano perfettamente cosa stava accadendo ma che per piccoli o grandi interessi – a seconda del ruolo e delle mire – hanno taciuto in modo complice. Così come hanno taciuto molti esponenti dell’opposizione sulla base della meschina convinzione che mettersi di traverso a un’operazione di distribuzione del denaro tanto diffusa fosse impopolare. E, malgrado l’evidenza dei fatti e delle malefatte, hanno taciuto anche i cittadini e gli elettori. Anzi, la maggioranza non solo ha taciuto ma ha continuato a elargire il proprio consenso al «sistema di clientele» di Iorio il quale dal terremoto in poi è stato rieletto altre due volte alla guida della Regione. Poi adesso sono arrivati i magistrati, hanno detto che ciò che era esecrabile dal punto di vista politico è anche rilevante dal punto di vista giudiziario e a quel punto, solo a quel punto, tutti hanno scoperto che la gestione del terremoto è stata pessima, dannosa, clientelare. E adesso fanno pure a gara a chi la dice più grossa contro Iorio, a chi è più rapido nel prendere le distanze da lui, a chi è più pronto nel far dimenticare di essere stato immerso mani e piedi in quel sistema che oggi si va criticando e disconoscendo come se nessuno – oltre a Iorio e pochi aficionados – lo avesse mai conosciuto e animato. Ma bisognava aspettare i magistrati? Non eravamo in grado di saperlo da noi? Non eravamo capaci di usare la nostra intelligenza, la nostra passione, il nostro senso civile per capire quello che stava avvenendo alle spalle dei terremotati? Il sospetto è che fosse semplicemente molto più comodo e molto più utile far finta di non capirlo. Nel nostro Paese si va diffondendo la pessima abitudine di confondere le colpe giudiziarie con le colpe politiche, affidando cioè ai magistrati l’onore e l’onere di dare la valutazione a chi guida la pubblica amministrazione. Dunque un politico è “buono” fino a quando un pm non lo mette sotto inchiesta, e diventa addirittura “cattivo” se un giudice lo condanna. E’ un’assurdità. Poco interessa, nel caso della ricostruzione mancata del Molise, se Iorio o chi per lui sia colpevole per la giustizia. Ciò che dovrebbe interessare i cittadini e gli elettori è se Iorio o chi per lui ha gestito bene o male la montagna di soldi che gli sono stati affidati. Ciò che dovrebbero voler sapere i cittadini e gli elettori non è il tipo di reato di cui è accusato il Governatore ma se il fatto che il 60 per cento della popolazione terremotata sia ancora senza un tetto sia dovuto alla negligenza e alla cattiva gestione di chi doveva ricostruire le case e non lo ha fatto. Ma questo ormai non lo fa più nessuno. Le “colpe politiche” non esistono più. Non a caso ci si è perfino dimenticati che molti sindaci di paesi appena sfiorati dal sisma fecero carte false per rientrare fra i beneficiati e chiesero preventivamente rimborsi astronomici per danni mai subiti. Un atteggiamento che non evidenza reati, quindi non comporta “colpe giudiziarie”, e dunque «va bene così». Con questa grottesca conseguenza: che se domani Iorio o chi per lui dovesse uscire indenne dalle inchieste della Procura e della Corte dei Conti potrebbe sostenere di aver assolto nel migliore dei modi ai suoi compiti di Commissario per la ricostruzione. (Morpheus)
Un fiume di soldi pubblici per una strada mai realizzata. Scoppia scandalo tra Puglia, Molise e Campania, scrive il 22 settembre 2015 ”L’Immediato”. Un fiume di soldi pubblici per un’opera incompiuta. Si tratta della tanto attesa “Circumlacuale”, arteria strategica dal punto di vista della mobilità e dello sviluppo delle aree interne più disagiate di tre regioni, Molise, Campania e Puglia, disegnata lungo la riva a sud del lago di Occhito. Un’opera incompiuta, purtroppo, l’ennesima pagata dai contribuenti a peso d’oro. Oggi la Guardia di Finanza di Campobasso vuole saperne di più ed infatti, il Nucleo di Polizia Tributaria ha segnalato alla locale Procura Regionale della Corte dei Conti un presunto danno erariale di circa 17,5 milioni di euro. Venticinque le persone ritenute responsabili: si tratta di funzionari e dirigenti della comunità montana Fortore Molisano, della Regione Molise, e del Provveditorato interregionale per le opere pubbliche di Campania e Molise nonché di alcuni amministratori comunali e regionali. Gli accertamenti istruttori, disposti dal Procuratore Regionale della Corte dei Conti, Carlo Alberto Manfredi Selvaggi e svolti dagli uomini del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Campobasso, hanno messo in evidenza un appalto caratterizzato da diverse problematiche. Le attività ispettive, in particolare, hanno permesso di rilevare una illecita gestione dello stesso, in relazione ai seguenti aspetti:
- alla fase esecutiva dei lavori - caratterizzata da diverse perizie di variante illegittime, che hanno comportato impedimenti e notevoli ritardi nell’esecuzione dell’opera e soprattutto il conseguente affidamento a trattativa privata “a unico soggetto” ovvero “a soggetto vincolato” di lavori extra contrattuali, in aperta violazione delle norme della concorrenza e della trasparenza dell’azione amministrativa;
- al conferimento degli incarichi professionali, per la progettazione e la conduzione dello stesso, tutti avvenuti mediante affidamento diretto, in contrasto con la normativa in materia;
- alla definizione delle riserve in pendenza per un rilevante importo (inerente alle richieste risarcitorie dell’impresa per i maggiori oneri conseguenti all’anomalo andamento dei lavori), avvenuta attraverso un atto transattivo rilevatosi illegittimo.
Le indagini complessivamente esperite hanno permesso di evidenziare che i lunghi tempi del procedimento, con riferimento alla esecuzione dei lavori, sono state impropriamente ricondotte alle criticità connesse ad aspetti geologici ed a sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari. Il prolungamento dei tempi dell’appalto era invece da imputare esclusivamente al fatto dell’impresa, la quale per ovviare ai difetti ed alle carenze del progetto migliorativo dalla stessa proposto, è addivenuta, con la connivenza dei soggetti coinvolti a vario titolo nell’appalto, a parziali varianti, reiterate per tutto il corso dei lavori, alla formazione di innumerevoli nuove lavorazioni con relativi nuovi prezzi e ad una inammissibile “conduzione a regia” dell’appalto. Pertanto, l’impresa non aveva diritto al ristoro dei maggiori oneri e danni derivanti dal prolungamento dei tempi dell’appalto e, al contrario, era tenuta a sopportare le conseguenze patrimoniali pregiudizievoli relative al periodo di sospensione dei lavori, ed al maggior tempo necessario per consentire l’esecuzione dell’opera pubblica. Si rileva che allo stato, dopo circa quattordici anni dall’aggiudicazione definitiva dell’appalto, non vi sia ancora alcun beneficio per la collettività. Tutte le falle di questa vicenda hanno determinato, a distanza di più un ventennio dalla sua ideazione, l'inutilizzabilità dell'opera in questione nonostante il notevole sforzo finanziario sostenuto dall'Amministrazione Regionale. Ad oggi non si ha notizia di atti di programmazione e di finanziamento da parte della Regione delle cospicue somme (circa 100 milioni di euro) necessarie a far fronte ai costi di esecuzione dell’intervento, nel frattempo lievitati. In definitiva, a fronte di una spesa quantificata in complessivi 17.384.196,18 euro risultano realizzati soltanto circa 200 ml di galleria - totalmente inutilizzabili (e, peraltro, mai collaudati) - rispetto al progetto esecutivo originario dei lavori che prevedeva la costruzione di un tronco stradale della lunghezza complessiva di 2.992,43 ml, di cui ml. 2.016,22 in galleria naturale, ml. 254,40 in viadotto e ml. 722,81 su sedime naturale. All’attualità il cantiere è fermo e chiuso. L’area di cantiere rimane totalmente incustodita e versa in uno stato di pericoloso abbandono, soprattutto in assenza di concrete misure, a tutela della pubblica e privata incolumità. La situazione attuale potrebbe essere, pertanto, fonte di pericolo. All’esito dell’espletata fase istruttoria, la Procura Regionale della Corte dei Conti ha introdotto nove distinti giudizi di responsabilità, contestando un danno erariale di circa 17,5 milioni di euro. La prima udienza è stata fissata al prossimo 24 settembre.
IL SUD TARTASSATO.
Sud tartassato: il Meridione paga più di tutti, scrive Lanfranco Caminiti su “Il Garantista”. Dice la Svimez che se muori e vuoi un funerale come i cristiani, è meglio che schiatti a Milano, che a Napoli ti trattano maluccio. E non ti dico a Bari o a Palermo, una schifezza. A Milano si spende 1.444,23 euro per defunto, a Napoli 988 euro, a Bari 892 euro e 19 centesimi, a Palermo 334 euro. A Palermo, cinque volte meno che a Milano. Il principe Antonio De Curtis, in arte Totò, si rivolterà nella tomba, che a quanto pare non c’è nessuna livella, dopo morti. E checcazzo, e neppure lì terroni e polentoni siamo uguali. E basterebbe solo questo – il culto dei morti dovrebbe antropologicamente “appartenere” alle società meridionali, era il Sud la terra delle prefiche, era il Sud la terra delle donne in nero, era il Sud la terra dei medaglioni con la fotina dell’estinto che pendono sul petto delle vedove – per dire come questa Italia sia cambiata e rovesciata sottosopra. Si paga al Sud di più per tutto, per l’acqua, la monnezza, l’asilo, gli anziani, la luce nelle strade, i trasporti, insomma per i Lep, come dicono quelli che studiano queste cose: livelli essenziali delle prestazioni. Essenziali lo sono, al Sud, ma quanto a prestazioni, zero carbonella. Eppure, Pantalone paga. Paga soprattutto la classe media meridionale che si era convinta che la civilizzazione passasse per gli standard nazionali. Paghiamo il mito della modernizzazione. Paghiamo l’epica della statalizzazione. Paghiamo la retorica della “cosa pubblica”. Paghiamo l’idea che dobbiamo fare bella figura, ora che i parenti ricchi, quelli del Nord, vengono in visita e ci dobbiamo comportare come loro: non facciamoci sempre riconoscere. Paghiamo le tasse, che per questo loro sono avanti e noi restiamo indietro. Lo Stato siamo noi. Parla per te, dico io. Dove vivo io, un piccolo paese del Sud, pago più tasse d’acqua di quante ne pagassi prima in una grande città, e più tasse di spazzatura, e non vi dico com’è ridotto il cimitero che mi viene pena solo a pensarci. Sono stati i commissari prefettizi – che avevano sciolto il Comune – a “perequare” i prelievi fiscali. Poi sono andati via, ma le tasse sono rimaste. Altissime, cose mai viste. In compenso però, la spazzatura si accumula in piccole montagne. A volte le smantellano, poi si ricomincia. Non sai mai quando, magari qualcuno dei laureati che stanno a girarsi i pollici al baretto della piazza potrebbe studiarla, la sinusoide della raccolta rifiuti. Invece, i bollettini arrivano in linea retta. Con la scadenza scritta bella grossa. L’unica cosa che è diminuita in questi anni al Sud è il senso di appartenenza a una qualche comunità più grande del nostro orto privato. La pervasività dello Stato – e quale maggiore pervasività della sua capacità di prelievo fiscale – è cresciuta esponenzialmente quanto l’assoluta privatizzazione di ogni spirito meridionale. Tanto più Stato ha prodotto solo tanta più cosa privata. E non dico solo verso la comunità nazionale, la Patria o come diavolo vogliate chiamarla. No, proprio verso la comunità territoriale. Chi può manda i figli lontano, perché restino lontano. Chi può compra una casa lontano sperando di andarci il prima possibile a passare gli anni della vecchiaia. Chi può fa le vacanze lontano, a Pasqua e a Natale, il più esotiche possibile. Chi non può, emigra. Di nuovo, come sempre. Il Sud è diventato terra di transito per i suoi stessi abitanti. Come migranti clandestini, non vediamo l’ora di andarcene. il Sud dismette se stesso, avendo perso ogni identità storica non si riconosce in quello che ha adesso intorno, che pure ha accettato, voluto, votato.
C’era una volta l’assistenzialismo. Rovesciati come un calzino ci siamo ritrovati contro un federalismo secessionista della Lega Nord che per più di vent’anni ci ha sbomballato le palle rubandoci l’unica cosa in cui eravamo maestri, il vittimismo. Siamo stati vittimisti per più di un secolo, dall’unità d’Italia in poi, e a un certo punto ci siamo fatti rubare la scena da quelli del Nord – e i trasferimenti di risorse, e le pensioni, e l’assistenzialismo e la pressione fiscale e le camorre degli appalti pubblici – e l’unica difesa che abbiamo frapposto è stata lo Stato. Siamo paradossalmente diventati i grandi difensori dell’unità nazionale contro il leghismo. Noi, i meridionali, quelli che il federalismo e il secessionismo l’avevano inventato e provato. Noi, che dello Stato ce ne siamo sempre bellamente strafottuti. Li abbiamo votati. Partiti nazionali, destra e sinistra, sindaci cacicchi e governatori, li abbiamo votati. Ci garantivano le “risorse pubbliche”. Dicevano. Ci promettevano il rinascimento, il risorgimento, la resistenza. Intanto però pagate. Come quelli del Nord. Facciamogli vedere. Anzi, di più. La crisi economica del 2007 ha solo aggravato una situazione già deteriorata. E ormai alla deriva. È stata la classe media meridionale “democratica” l’artefice di questo disastro, con la sua ideologia statalista. Spesso, loro che possono, ora che le tasse sono diventate insopportabili, ora che il Sud è sfregiato, senza più coscienza di sé, ora se ne vanno. O mandano i loro figli lontano. Chi non può, emigra. Di nuovo, come sempre.
Non solo i cittadini italiano sono tartassati, ma sono anche soggetti a dei disservizi estenuanti.
ITALIANI. LA CASTA DEI "COGLIONI". FACCIAMO PARLARE CLAUDIO BISIO.
In molti mi hanno scritto chiedendomi il testo del mio monologo effettuato durante il Festival di Sanremo 2013 il 16 Febbraio scorso. Beh, eccolo. Inoltre alcuni di voi, sull'onda del contenuto di quel monologo hanno creato una pagina facebook "Quelli che domenica voteranno con un salmone". Come vedete, l'ho fatto anch'io...
Sono un italiano. Che emozione... E che paura essere su questo palcoscenico... Per me è la prima volta. Bello però. Si sta bene… Il problema ora è che cosa dire. Su questo palco è stato fatto e detto davvero di tutto. E il contrario di tutto. Gorbaciov ha parlato di perestroika, di libertà, di democrazia… Cutugno ha rimpianto l’Unione Sovietica. Gorbaciov ha parlato di pace… e Cutugno ha cantato con l’Armata Rossa… Belen ha fatto vedere la sua farfallina (io potrei farvi vedere il mio biscione, ma non mi sembra un’ottima idea… è un tatuaggio che ho sulla caviglia, dopo tanti anni a Mediaset è il minimo…) Ma soprattutto Benigni, vi ricordate quando è entrato con un cavallo bianco imbracciando il tricolore? Ecco, la rovina per me è stato proprio Benigni. Lo dico con una sana invidia. Benigni ha alzato troppo il livello. La Costituzione, l'Inno di Mameli, la Divina Commedia... Mettetevi nei panni di uno come me. Che è cresciuto leggendo Topolino... Però, se ci pensate bene, anche Topolino, a modo suo, è un classico. Con la sua complessità, il suo spessore psicologico, le sue contraddizioni… Prendete Nonna Papera, che animale è? ... chi ha detto una nonna? Non fate gli spiritosi anche voi, è una papera. Ma è una papera che dà da mangiare alle galline. Tiene le mucche nella stalla... Mentre invece Clarabella, che anche lei è una mucca, non sta nella stalla, sta in una casa con il divano e le tendine. E soprattutto sta con Orazio, che è un cavallo. Poi si lamentano che non hanno figli... Avete presente Orazio, che fa il bipede, l’antropomorfo, però ha il giogo, il morso, il paraocchi. Il paraocchi va bene perché Clarabella è un cesso, ma il morso?!? Ah, forse quando di notte arriva Clarabella con i tacchi a spillo, la guêpiere, la frusta: "Fai il Cavallo! Fai il cavallo!" nelle loro notti sadomaso… una delle cinquanta sfumature di biada. E Qui Quo Qua. Che parlano in coro. Si dividono una frase in tre, tipo: "ehi ragazzi attenti che arriva Paperino/ e/ ci porta tutti a Disneyland", oppure: "ehi ragazzi cosa ne direste di andare tutti/ a/ pescare del pesce che ce lo mangiamo fritto che ci piace tanto..." ecco, già da queste frasi, pur banali se volete, si può evincere come a Quo toccassero sempre le preposizioni semplici, le congiunzioni, a volte solo la virgola: "ehi ragazzi attenti che andando in mezzo al bosco/, / rischiamo di trovare le vipere col veleno che ci fanno del male" inoltre Quo ha sempre avuto un problema di ubicazione, di orientamento... non ha mai saputo dove fosse. Tu chiedi a Qui: "dove sei?" "sono qui!" ... Chiedi a Qua "dove sei?", e lui: "sono qua!" tu prova a chiederlo a Quo. Cosa ti dice? "sono Quo?" Cosa vuol dire? Insomma Quo è sempre stato il più sfigato dei tre, il più insulso: non riusciva né a iniziare né a finire una frase, non era né qui, né qua... Mario Monti. Mari o Monti? Città o campagna? Carne o Pesce? Lo so. So che siamo in piena par condicio e non si può parlare di politica. Ma sento alcuni di voi delusi dirsi: ma come, fra sette giorni ci sono le elezioni. E questo qui ci parla di mucche e galline... Altri che invece penseranno: basta politica! Io non voglio nascondermi dietro a un dito, anche perché non ne ho nessuno abbastanza grosso… decidete voi, volendo posso andare avanti per altri venti minuti a parlare di fumetti, oppure posso dirvi cosa penso io della situazione politica… Ve lo dico? Io penso che finché ci sono LORO, non riusciremo mai a cambiare questo paese. Dicono una cosa e ne fanno un'altra. Non mantengono le promesse. Sono incompetenti, bugiardi, inaffidabili. Credono di avere tutti diritti e nessun dovere. Danno sempre la colpa agli altri… A CASA! Tutti a casa!!! (A parte che quando dici tutti a casa devi stare attento, specificare: a casa di chi? No perché non vorrei che venissero tutti a casa mia) Vedo facce spaventate... soprattutto nelle prime file... Lo so, non devo parlare dei politici, ho firmato fior di contratti, ci sono le penali... Ma chi ha detto che parlo dei politici? Cosa ve l'ha fatto pensare? Ah, quando ho detto incompetenti, bugiardi, inaffidabili? Ma siete davvero maliziosi... No, non parlavo dei politici. Anche perché, scusate, i politici sono in tutto poche centinaia di persone... cosa volete che cambi, anche se davvero se ne tornassero tutti a casa (casa loro, ribadisco)? Poco. No, quando dicevo che devono andare tutti a casa, io non stavo parlando degli eletti. Io stavo parlando degli elettori... stavo parlando di NOI. Degli italiani. Perché, a fare bene i conti, la storia ci inchioda: siamo noi i mandanti. Siamo noi che li abbiamo votati. E se li guardate bene, i politici, ma proprio bene bene bene... è davvero impressionante come ci assomigliano: I politici italiani… sono Italiani! Precisi, sputati. Magari, ecco, con qualche accentuazione caricaturale. Come le maschere della commedia dell'arte, che sono un po' esagerate, rispetto al modello originale. Ma che ricalcano perfettamente il popolo che rappresentano. C'è l'imbroglione affarista, tradito dalla sua ingordigia “Aò, e nnamose a magnà!... A robbin, ‘ndo stai?”; C'è il servitore di due padroni: "orbo da n'orecia, sordo de n'ocio"… qualche volta anche di tre. Certi cambiano casacca con la velocità dei razzi… C'è il riccone arrogante...”Guadagno spendo pago pretendo” C'è la pulzella che cerca di maritarsi a tutti i costi con il riccone, convinta di avere avuto un'idea originale e che ci rimane male quando scopre che sono almeno un centinaio le ragazze che hanno avuto la sua stessa identica idea... C'è il professore dell'università che sa tutto lui e lo spiega agli altri col suo latino/inglese perfetto: "tananai mingheina buscaret!" Cos’ha detto? “Choosy firewall spending review” Ah, ecco, ora finalmente ho capito… C'è quello iracondo, manesco, pronto a menar le mani ad ogni dibattito... “culattoni raccomandati” Insomma, c'è tutto il campionario di quello che NOI siamo, a partire dai nostri difetti, tipo l'INCOERENZA. Come quelli che vanno al family day... ma ci vanno con le loro due famiglie... per forza poi che c'è un sacco di gente.... E se solo li guardi un po' esterrefatto, ti dicono: "Perché mi guardi così? Io sono cattolico, ma a modo mio”. A modo tuo? Guarda, forse non te l'hanno spiegato, ma non si può essere cattolico a modo proprio... Se sei cattolico non basta che Gesù ti sia simpatico, capisci? Non è un tuo amico, Gesù. Se sei cattolico devi credere che Gesù sia il figlio di Dio incarnato nella vergine Maria. Se sei cattolico devi andare in chiesa tutte le domeniche, confessare tutti i tuoi peccati, fare la penitenza. Devi fare anche le novene, digiunare al venerdì... ti abbuono giusto il cilicio e le ginocchia sui ceci. Divorziare: VIETATISSIMO! Hai sposato un farabutto, o una stronza? Capita. Pazienza. Peggio per te. Se divorzi sono casini… E il discorso sulla coerenza non vale solo per i cattolici... Sei fascista? Devi invadere l’Abissinia! Condire tutto con l'olio di ricino, girare con il fez in testa, non devi mai passare da via Matteotti, anche solo per pudore! Devi dire che Mussolini, a parte le leggi razziali, ha fatto anche delle cose buone! Sei comunista? Prima di tutto devi mangiare i bambini, altro che slow food. Poi devi andare a Berlino a tirare su di nuovo il Muro, mattone su mattone! Uguale a prima! Devi guardare solo film della Corea… del nord ovviamente. Devi vestirti con la casacca grigia, tutti uguali come Mao! …mica puoi essere comunista e poi andare a comprarti la felpa da Abercrumbie Sei moderato? Devi esserlo fino in fondo! Né grasso né magro, né alto né basso, né buono né cattivo... Né…Da quando ti alzi la mattina a quando vai a letto la sera devi essere una mediocrissima, inutilissima, noiosissima via di mezzo! Questo per quanto riguarda la coerenza. Ma vogliamo parlare dell'ONESTÀ? Ho visto negozianti che si lamentano del governo ladro e non rilasciano mai lo scontrino, Ho visto fabbriche di scontrini fiscali non fare gli scontrini dicendo che hanno finito la carta, Ho visto ciechi che accompagnano al lavoro la moglie in macchina, Ho visto sordi che protestano coi vicini per la musica troppo alta, Ho visto persone che si lamentano dell’immigrazione e affittano in nero ai gialli… e a volte anche in giallo ai neri!, Ho visto quelli che danno la colpa allo stato. Sempre: se cade un meteorite, se perdono al superenalotto, se la moglie li tradisce, se un piccione gli caga in testa, se scivolano in casa dopo aver messo la cera: cosa fa lo stato? Eh? Cosa fa?... Cosa c’entra lo stato. Metti meno cera, idiota! Lo sapete che nell'inchiesta sulla 'ndrangheta in Lombardia è venuto fuori che c'erano elettori, centinaia di elettori, che vendevano il proprio voto per cinquanta euro? Vendere il voto, in democrazia, è come vendere l'anima. E l'anima si vende a prezzo carissimo, avete presente Faust? Va beh che era tedesco, e i tedeschi la mettono giù sempre durissima, ma lui l'anima l'ha venduta in cambio dell'IMMORTALITA'! Capito? Non cinquanta euro. Se il diavolo gli offriva cinquanta euro, Faust gli cagava in testa. La verità è che ci sono troppi impresentabili, tra gli elettori. Mica poche decine, come tra i candidati… è vero, sembrano molti di più, ma perché sono sempre in televisione a sparar cazzate, la televisione per loro è come il bar per noi... "Ragazzi, offro un altro giro di spritz" "E io offro un milione di posti di lavoro" e giù a ridere. "E io rimborso l'imu!” “e io abolisco l'ici!" “Guarda che non c'è più da un pezzo l'ici" "Allora abolisco l'iva... E anche l'Emy, Evy e Ely!" "E chi sono? "Le nipotine di Paperina! "Ma va là, beviti un altro grappino e tasi mona!..." Vedi, saranno anche impresentabili ma per lo meno li conosci, nome e cognome, e puoi anche prenderli in giro. Invece gli elettori sono protetti dall’anonimato… alle urne vanno milioni di elettori impresentabili, e nessuno sa chi sono! Sapete quale potrebbe essere l’unica soluzione possibile? Sostituire l'elettorato italiano. Al completo. Pensate, per esempio, se incaricassimo di votare al nostro posto l'elettorato danese, o quello norvegese. Lo prendiamo a noleggio. Meglio, lo ospitiamo alla pari... Au pair. Carlo, ma chi è quel signore biondo che dorme a casa tua da due giorni? “Oh, è il mio elettore norvegese alla pari, domenica vota e poi riparte subito... C'è anche la moglie”... E per chi votano, scusa? "Mi ha detto che è indeciso tra Aspelünd Gründblomma e Pysslygar". Ma quelli sono i nomi dell'Ikea!, che tra l’altro è svedese… "Ma no, si assomigliano… però ora che mi ci fai pensare, effettivamente ho visto nel suo depliant elettorale che i simboli dei loro partiti sono un armadio, una lampada, un comodino. Mah. E tu poi, in cambio cosa fai, vai a votare per le loro elezioni? In Norvegia? "Ah, questo non lo so. Non so se mi vogliono. Mi hanno detto che prima devo fare un corso. Imparare a non parcheggiare in doppia fila. A non telefonare parlando ad alta voce in treno. A pagare le tasse fino all'ultimo centesimo. Poi, forse, mi fanno votare." Si, va beh, qualche difficoltà logistica la vedo: organizzare tutti quei pullman, trovare da dormire per tutti... Ma pensate che liberazione, la sera dei risultati, scoprire che il nostro nuovo premier è un signore o una signora dall'aria normalissima, che dice cose normalissime, e che va in televisione al massimo un paio di volte all'anno.
(Lancio di batteria e poi, sull’aria de “L’italiano”)
Lasciatemi votare
con un salmone in mano
vi salverò il paese
io sono un norvegese…
IL NORD EVADE PIU’ DEL SUD.
Economia Sommersa: Il Nord onesto e diligente evade più del Sud, scrive Emanuela Mastrocinque su “Vesuviolive”. Sono queste le notizie che non dovrebbero mai sfuggire all’attenzione di un buon cittadino del Sud. Per anni ci hanno raccontato una storia che, a furia di leggerla e studiarla, è finita con il diventare la nostra storia, l’unica che abbiamo conosciuto. Storia di miseria e povertà superata dai meridionali grazie all’illegalità o all’emigrazione, le due uniche alternative rimaste a “quel popolo di straccioni” (come ci definì quella “simpatica” giornalista in un articolo pubblicato su “Il Tempo” qualche anno fa) . Eppure negli ultimi anni il revisionismo del risorgimento ci sta aiutando a comprendere quanto lo stereotipo e il pregiudizio sia stato utile e funzionale ai vincitori di quella sanguinosa guerra da cui è nata l‘Italia. Serviva (e serve tutt‘ora) spaccare l’Italia. Da che mondo e mondo le società hanno avuto bisogno di creare l’antagonista da assurgere a cattivo esempio, così noi siamo diventati fratellastri, figli di un sentimento settentrionale razzista e intollerante. Basta però avere l’occhio un po’ più attento per scoprire che spesso la verità, non è come ce la raccontano. Se vi chiedessimo adesso, ad esempio, in quale zona d’Italia si concentra il tasso più alto di evasione fiscale, voi che rispondereste? Il Sud ovviamente. E invece non è così. Dopo aver letto un post pubblicato sulla pagina Briganti in cui veniva riassunta perfettamente l’entità del “sommerso economico in Italia derivante sia da attività legali che presentano profili di irregolarità, come ad esempio l’evasione fiscale, che dal riciclaggio di denaro sporco proveniente da attività illecite e mafiose” abbiamo scoperto che in Italia la maggior parte degli evasori non è al Sud. Secondo i numeri pubblicati (visibili nell‘immagine sotto), al Nord il grado di evasione si attesta al 14, 5%, al centro al 17,4% mentre al Sud solo al 7,9%. I dati emersi dal Rapporto Finale del Gruppo sulla Riforma Fiscale, sono stati diffusi anche dalla Banca d’Italia. Nel lavoro di Ardizzi, Petraglia, Piacenza e Turati “L’economia sommersa fra evasione e crimine: una rivisitazione del Currency Demand Approach con una applicazione al contesto italiano” si legge “dalle stime a livello territoriale si nota una netta differenza tra il centro-nord e il sud, sia per quanto attiene al sommerso di natura fiscale che quello di natura criminale. Per quanto riguarda infine l’evidenza disaggregata per aree territoriali, è emerso che le province del Centro-Nord, in media, esibiscono un’incidenza maggiore sia del sommerso da evasione sia di quello associato ad attività illegali rispetto alle province del Sud, un risultato che pare contraddire l’opinione diffusa secondo cui il Mezzogiorno sarebbe il principale responsabile della formazione della nostra shadow economy. Viene meno, di conseguenza, la rappresentazione del Sud Italia come territorio dove si concentrerebbe il maggiore tasso di economia sommersa". E ora, come la mettiamo?
Si evade il fisco più al Nord che al Sud. E’ uno dei dati che emerge dal rapporto sulla lotta all’evasione redatto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Secondo Padoan, la somma totale delle principali imposte evase (Iva, Ires, Irpef e Irap) ammonta a 91 miliardi. Il 52% di questa cifra si attesta dunque nel Settentrione, contro i 24 miliardi del centro (26% del totale) e i 19,8 miliardi del Meridione (22%). Il dato è influenzato dal maggior reddito nazionale del Nord. Soprattutto, scrivono i tecnici del Tesoro, la rabbrividire la percentuale di verifiche sulle imprese che trova irregolarità fiscali: è 98,1% tra le grandi, al 98,5% sulle medie e al 96,9% sulle Pmi. Il record tocca agli enti non commerciali, il 99,2% non è in regola. 100% di `positività´ i controlli sugli atti soggetti a registrazione. Ad ogni modo, l’evasione effettiva ‘pizzicata’ dall’Agenzia delle Entrate nel 2013, ha rilevato il Mef, ammonta a 24,5 miliardi. La maggiore imposta accertata è così salita dell’87% in sette anni, rispetto ai 13,1 miliardi del 2006. Un numero in calo rispetto agli anni 2009-2012 e soprattutto rispetto al picco di 30,4 miliardi del 2011.
Ma quale Sud, è il Nord che ha la palma dell’evasione, scrive Vittorio Daniele su “Il Garantista”. Al Sud si evade di più che al Nord. Questo è quanto comunemente si pensa. Non è così, invece, secondo i dati della Guardia di Finanza, analizzati da Paolo di Caro e Giuseppe Nicotra, dell’Università di Catania, in uno studio di cui si è occupata anche la stampa (Corriere Economia, del 13 ottobre). I risultati degli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza mostrano come, nelle regioni meridionali, la quota di reddito evaso, rispetto a quello dichiarato, sia inferiore che al Nord. E ciò nonostante il numero di contribuenti meridionali controllati sia stato, in proporzione, maggiore. Alcuni esempi. In Lombardia, su oltre 7 milioni di contribuenti sono state effettuate 14.313 verifiche che hanno consentito di accertare un reddito evaso pari al 10% di quello dichiarato. In Calabria, 4.480 controlli, su circa 1.245.000 contribuenti, hanno consentito di scoprire un reddito evaso pari al 3,5% di quello dichiarato. Si badi bene, in percentuale, le verifiche in Calabria sono state quasi il doppio di quelle della Lombardia. E ancora, in Veneto il reddito evaso è stato del 5,3%, in Campania del 4,4% in Puglia, del 3,7% in Sicilia del 2,9%. Tassi di evasione più alti di quelle delle regioni meridionali si riscontrano anche in Emilia e Toscana. Alcune considerazioni. La prima riguarda il fatto che nelle regioni del Nord, dove più alta è la quota di evasione, e dove maggiore è il numero di contribuenti e imprese, si siano fatti, in proporzione, assai meno accertamenti che nel meridione. Poiché, in Italia, le tasse le paga chi è controllato, mentre chi non lo è, se può, tende a schivarle, sarebbe necessario intensificare i controlli là dove la probabilità di evadere è maggiore. E questa probabilità, secondo i dati della Guardia di Finanza, è maggiore nelle regioni più ricche. La seconda considerazione è che il luogo comune di un’Italia divisa in due, con un Nord virtuoso e un Sud di evasori, non corrisponde al vero. L’Italia è un paese unito dall’evasione fiscale. Il fatto che in alcune regioni del Nord si sia evaso di più che al Sud non ha nulla a che vedere né con l’etica, né con l’antropologia. Dipende, più realisticamente, da ragioni economiche. L’evasione difficilmente può riguardare i salari, più facilmente i profitti e i redditi d’impresa. E dove è più sviluppata l’attività d’impresa? Come scrivevano gli economisti Franca Moro e Federico Pica, in un saggio pubblicato qualche anno fa della Svimez: «Al Sud ci sono tanti evasori per piccoli importi. Al Nord c’è un’evasione più organizzata e per somme gigantesche». Quando si parla del Sud, pregiudizi e stereotipi abbondano. Si pensa, così, che la propensione a evadere, a violare le norme, se non a delinquere, sia, per così dire, un tratto antropologico caratteristico dei meridionali. Ma quando si guardano i dati, e si osserva la realtà senza la lente deformante del pregiudizio, luoghi comuni e stereotipi quasi mai reggono. Di fronte agli stereotipi e alle accuse – e quella di essere evasori non è certo la più infamante – che da decenni, ogni giorno e da più parti, si rovesciano contro i meridionali, non sarebbe certo troppo se si cominciasse a pretendere una rappresentazione veritiera della realtà. Insieme a pretendere, naturalmente, e in maniera assai più forte di quanto non si sia fatto finora, che chi, al Sud, ha responsabilità e compiti di governo, faccia davvero, e fino in fondo, il proprio dovere.
Quante bugie ci hanno raccontato sul Mezzogiorno! Scrive Pino Aprile su “Il Garantista”. L’Italia è il paese più ingiusto e disuguale dell’Occidente, insieme a Stati Uniti e Gran Bretagna: ha una delle maggiori e più durature differenze del pianeta (per strade, treni, scuole, investimenti, reddito…) fra due aree dello stesso paese: il Nord e il Sud; tutela chi ha già un lavoro o una pensione, non i disoccupati e i giovani; offre un reddito a chi ha già un lavoro e lo perde, non anche a chi non riesce a trovarlo; è fra i primi al mondo, per la maggiore distanza fra lo stipendio più alto e il più basso (alla Fiat si arriva a più di 400 volte); ha i manager di stato più pagati della Terra, i vecchi più garantiti e i giovani più precari; e se giovani e donne, pagate ancora meno. È in corso un colossale rastrellamento di risorse da parte di chi ha più, ai danni di chi ha meno: «una redistribuzione dal basso verso l’alto». È uscito in questi giorni nelle librerie il nuovo libro di Pino Aprile («Terroni ’ndernescional», edizioni PIEMME, pagine 251, euro 16,50). Pubblichiamo un brano, per gentile concessione dell’autore. Quante volte avete letto che la prova dell’ estremo ritardo dell’Italia meridionale rispetto al Nord era l’alta percentuale di analfabeti? L’idea che questo possa dare ad altri un diritto di conquista e annessione può suonare irritante. Ma una qualche giustificazione, nella storia, si può trovare, perché i popoli con l’alfabeto hanno sottomesso quelli senza; e í popoli che oltre all’alfabeto avevano anche ”il libro” (la Bibbia, il Vangelo, il Corano, Il Capitale, il Ko Gi Ki…) hanno quasi sempre dominato quelli con alfabeto ma senza libro. Se questo va preso alla… lettera, la regione italiana che chiunque avrebbe potuto legittimamente invadere era la Sardegna, dove l’analfabetismo era il più alto nell’Italia di allora: 89,7 per cento (91,2 secondo altre fonti); quasi inalterato dal giorno della Grande Fusione con gli stati sabaudi: 93,7. Ma la Sardegna era governata da Torino, non da Napoli. Le cose migliorarono un po’, 40 anni dopo l’Unità, a prezzi pesanti, perché si voleva alfabetizzare, ma a spese dei Comuni. Come dire: noi vi diamo l’istruzione obbligatoria, però ve la pagate da soli (più o meno come adesso…). Ci furono Comuni che dovettero rinunciare a tutto, strade, assistenza, per investire solo nella nascita della scuola elementare: sino all’87 per cento del bilancio, come a Ossi (un secolo dopo l’Unità, il Diario di una maestrina, citato in Sardegna , dell’Einaudi, riferisce di «un evento inimmaginabile »: la prima doccia delle scolare, grazie al dono di dieci saponette da parte della Croce Rossa svizzera). Mentre dal Mezzogiorno non emigrava nessuno, prima dell’Unità; ed era tanto primitivo il Sud, che partoriva ed esportava in tutto il mondo facoltà universitarie tuttora studiatissime: dalla moderna storiografia all’economia politica, e vulcanologia, sismologia, archeologia… Produzione sorprendente per una popolazione quasi totalmente analfabeta, no? Che strano. Solo alcune osservazioni su quel discutibile censimento del 1861 che avrebbe certificato al Sud indici così alti di analfabetismo: «Nessuno ha mai analizzato la parzialità (i dati sono quelli relativi solo ad alcune regioni) e la reale attendibilità di quel censimento realizzato in pieno caos amministrativo, nel passaggio da un regno all’altro e in piena guerra civile appena scoppiata in tutto il Sud: poco credibile, nel complesso, l’idea che qualche impiegato potesse andare in giro per tutto il Sud bussando alle porte per chiedere se gli abitanti sapevano leggere e scrivere» rileva il professor Gennaro De Crescenzo in Il Sud: dalla Borbonia Felix al carcere di Penestrelle. Come facevano a spuntare oltre 10.000 studenti universitari contro i poco più di 5.000 del resto d’Italia, da un tale oceano di ignoranza? Né si può dire che fossero tutti benestanti, dal momento che nel Regno delle Due Sicílie i meritevoli non abbienti potevano studiare grazie a sussidi che furono immediatamente aboliti dai piemontesi, al loro arrivo. Sull’argomento potrebbero gettare più veritiera luce nuove ricerche: «Documenti al centro di studi ancora in corso presso gli archivi locali del Sud dimostrano che nelle Due Sicilie c’erano almeno una scuola pubblica maschile e una scuola pubblica femminile per ogni Comune oltre a una quantità enorme di scuole private» si legge ancora nel libro di De Crescenzo, che ha studiato storia risorgimentale con Alfonso Scirocco ed è specializzato in archivistica. «Oltre 5.000, infatti, le ”scuole” su un totale di 1.845 Comuni e con picchi spesso elevati e significativi: 51 i Comuni in Terra di Bari, 351 le scuole nel complesso; 174 i Comuni di Terra di lavoro, 664 le scuole; 113 i Comuni di Principato Ultra, 325 le scuole; 102 i Comuni di Calabria Citra, 250 le scuole…». Si vuol discutere della qualità di queste scuole? Certo, di queste e di quella di tutte le altre; ma «come si conciliano questi dati con quei dati così alti dell’analfabetismo? ». E mentiva il conte e ufficiale piemontese Alessandro Bianco di Saint-Jorioz, che scese a Sud pieno di pregiudizi, e non li nascondeva, e poi scrisse quel che vi aveva trovato davvero e lo scempio che ne fu fatto (guadagnandosi l’ostracismo sabaudo): per esempio, che «la pubblica istruzione era sino al 1859 gratuita; cattedre letterarie e scientifiche in tutte le città principali di ogni provincia»? Di sicuro, appena giunti a Napoli, i Savoia chiusero decine di istituti superiori, riferisce Carlo Alianello in La conquista del Sud. E le leggi del nuovo stato unitario, dal 1876, per combattere l’analfabetismo e finanziare scuole, furono concepite in modo da favorire il Nord ed escludere o quasi il Sud. I soliti trucchetti: per esempio, si privilegiavano i Comuni con meno di mille abitanti. Un aiuto ai più poveri, no? No. A quest’imbroglio si è ricorsi anche ai nostri tempi, per le norme sul federalismo fiscale regionale. Basti un dato: i Comuni con meno di 500 abitanti sono 600 in Piemonte e 6 in Puglia. Capito mi hai? «Mi ero sempre chiesto come mai il mio trisavolo fosse laureato,» racconta Raffaele Vescera, fertile scrittore di Foggia «il mio bisnonno diplomato e mio nonno, nato dopo l’Unità, analfabeta». Nessun Sud, invece, nel 1860, era più Sud dell’isola governata da Torino; e rimase tale molto a lungo. Nel Regno delle Due Sicilie la ”liberazione” (così la racconta, da un secolo e mezzo, una storia ufficiale sempre più in difficoltà) portò all’impoverimento dello stato preunitario che, secondo studi recenti dell’Università di Bruxelles (in linea con quelli di Banca d’Italia, Consiglio nazionale delle ricerche e Banca mondiale), era ”la Germania” del tempo, dal punto di vista economico. La conquista del Sud salvò il Piemonte dalla bancarotta: lo scrisse il braccio destro di Cavour. Ma la cosa è stata ed è presentata (con crescente imbarazzo, ormai) come una modernizzazione necessaria, fraterna, pur se a mano armata. Insomma, ho dovuto farti un po’ di male, ma per il tuo bene, non sei contento? Per questo serve un continuo confronto fra i dati ”belli” del Nord e quelli ”brutti” del Sud. Senza farsi scrupolo di ricorrere a dei mezzucci per abbellire gli uni e imbruttire gli altri. E la Sardegna, a questo punto, diventa un problema: rovina la media. Così, quando si fa il paragone fra le percentuali di analfabeti del Regno di Sardegna e quelle del Regno delle Due Sicilie, si prende solo il dato del Piemonte e lo si oppone a quello del Sud: 54,2 a 87,1. In tabella, poi, leggi, ma a parte: Sardegna, 89,7 per cento. E perché quell’89,7 non viene sommato al 54,2 del Piemonte, il che porterebbe la percentuale del Regno sardo al 59,3? (Dati dell’Istituto di Statistica, Istat, citati in 150 anni di statistiche italiane: Nord e Sud 1861-2011, della SVIMEZ, Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno). E si badi che mentre il dato sulla Sardegna è sicuramente vero (non avendo interesse il Piemonte a peggiorarlo), non altrettanto si può dire di quello dell’ex Regno delle Due Sicilie, non solo per le difficoltà che una guerra in corso poneva, ma perché tutto quel che ci è stato detto di quell’invasione è falsificato: i Mille? Sì, con l’aggiunta di decine di migliaia di soldati piemontesi ufficialmente ”disertori”, rientrati nei propri schieramenti a missione compiuta. I plebisciti per l’annessione? Una pagliacciata che già gli osservatori stranieri del tempo denunciarono come tale. La partecipazione armata dell’entusiasta popolo meridionale? E allora che ci faceva con garibaldini e piemontesi la legione straniera 11 domenica 4 gennaio 2015 ungherese? E chi la pagava? Devo a un valente archivista, Lorenzo Terzi, la cortesia di poter anticipare una sua recentissima scoperta sul censimento del 1861, circa gli analfabeti: i documenti originali sono spariti. Ne ha avuto conferma ufficiale. Che fine hanno fatto? E quindi, di cosa parliamo? Di citazioni parziali, replicate. Se è stato fatto con la stessa onestà dei plebisciti e della storia risorgimentale così come ce l’hanno spacciata, be’…Nei dibattiti sul tema, chi usa tali dati come prova dell’arretratezza del Sud, dinanzi alla contestazione sull’attendibilità di quelle percentuali, cita gli altri, meno discutibili, del censimento del 1871, quando non c’era più la guerra, eccetera. Già e manco gli originali del censimento del ’71 ci sono più. Spariti pure quelli! Incredibile come riesca a essere selettiva la distrazione! E a questo punto è legittimo chiedersi: perché il meglio e il peggio del Regno dí Sardegna vengono separati e non si offre una media unica, come per gli altri stati preunitari? Con i numeri, tutto sembra così obiettivo: sono numeri, non opinioni. Eppure, a guardarli meglio, svelano non solo opinioni, ma pregiudizi e persino razzismo. Di fatto, accadono due cose, nel modo di presentarli: 1) i dati ”belli” del Nord restano del Nord; quelli ”brutti”, se del Nord, diventano del Sud. Il Regno sardo era Piemonte, Liguria, Val d’Aosta e Sardegna. Ma la Sardegna nelle statistiche viene staccata, messa a parte. Giorgio Bocca, «razzista e antimeridionale », parole sue, a riprova dell’arretratezza del Sud, citava il 90 per cento di analfabeti dell’isola, paragonandolo al 54 del Piemonte. Ma nemmeno essere di Cuneo e antimerìdionale autorizza a spostare pezzi di storia e di geografia: la Sardegna era Regno sabaudo, i responsabili del suo disastro culturale stavano a Torino, non a Napoli;
2) l’esclusione mostra, ce ne fosse ancora bisogno, che i Savoia non considerarono mai l’isola alla pari con il resto del loro paese, ma una colonia da cui attingere e a cui non dare; una terra altra («Gli stati» riassume il professor Pasquale Amato, in Il Risorgimento oltre i miti e i revisionismi «erano proprietà delle famiglie regnanti e potevano essere venduti, scambiati, regalati secondo valutazioni autonome di proprietari». Come fecero i Savoia con la Sicilia, la stessa Savoia, Nizza… Il principio fu riconfermato con la Restaurazione dell’Ancièn Regime, nel 1815, in Europa, per volontà del cancelliere austriaco Klemens von Metternich). E appena fu possibile, con l’Unità, la Sardegna venne allontanata quale corpo estraneo, come non avesse mai fatto parte del Regno sabaudo. Lo dico in altro modo: quando un’azienda è da chiudere, ma si vuol cercare di salvare il salvabile (con Alitalia, per dire, l’han fatto due volte), la si divide in due società; in una, la ”Bad Company”, si mettono tutti i debiti, il personale in esubero, le macchine rotte… Nell’altra, tutto il buono, che può ancora fruttare o rendere appetibile l’impresa a nuovi investitori: la si chiama ”New Company”.
L’Italia è stata fatta così: al Sud invaso e saccheggiato hanno sottratto fabbriche, oro, banche, poi gli hanno aggiunto la Sardegna, già ”meridionalizzata”. Nelle statistiche ufficiali, sin dal 1861, i dati della Sardegna li trovate disgiunti da quelli del Piemonte e accorpati a quelli della Sicilia, alla voce ”isole”, o sommati a quelli delle regioni del Sud, alla voce ”Mezzogiorno” (la Bad Company; mentre la New Company la trovate alla voce ”Centro-Nord”). Poi si chiama qualcuno a spiegare che la Bad Company è ”rimasta indietro”, per colpa sua (e di chi se no?). Ripeto: la psicologia spiega che la colpa non può essere distrutta, solo spostata. Quindi, il percorso segue leggi di potenza: dal più forte al più debole; dall’oppressore alla vittima. Chi ha generato il male lo allontana da sé e lo identifica con chi lo ha subito; rimproverandogli di esistere. È quel che si è fatto pure con la Germania Est e si vuol fare con il Mediterraneo.
FRATTURA MOLISANA.
Iorio, Frattura, bugie, ricatti e media asserviti: nel Molise di Report non si salva nessuno. Le telecamere di Rai 3 sono tornate in Molise per raccontare la vicenda Biocom e il Sistema Iorio. Dalla mini inchiesta di Bernardo Iovene emerge l’incredibile intreccio di affari e interessi in una regione in cui tutti sembrano legati al doppio filo a personaggi politici, dell’informazione, magistrati e imprenditori. «Dal sistema Iorio al sistema Frattura» il Molise rimedia l’ennesima figuraccia nazionale. E spunta la testimonianza anonima di un inquirente, scrive “Primo Numero”. Campobasso. Un servizio di un quarto d’ora, preceduto da tre minuti di riassunto della puntata sul “Sistema Molise” del 2010, è andato in onda ieri sera 21 dicembre 2014 a Report su Raitre. “Frattura molisana”, il titolo del lavoro di Bernardo Iovene, racconta due inchieste: quella sul finanziamento erogato alla Biocom, la ex società di Frattura finanziata con 265 mila euro all’epoca del governo Iorio per un impianto a biogas mai realizzato e quella, esplosa con la notifica della conclusione delle indagini per 28 indagati lo scorso ottobre, sul cosiddetto sistema Iorio, in cui s’intrecciano politica, burocrazia e informazione. Nella ricostruzione di Report, l’immagine del Molise esce, ancora una volta, assai ammaccata. La figuraccia è generale, coinvolge protagonisti nuovi, vecchi ed eterni della storia molisana politica e giornalistica e restituisce l’idea di un luogo dove amicizie, interessi privati, consorterie piccole e grandi ripicche si mescolano in un sistema senza sbocchi di favori dati e negati. Non si salva nessuno, fatta eccezione (forse) per il magistrato Fabio Papa, il pm dell’inchiesta su Biocom recentemente trasferito a Rovigo per volontà del Csm, l’organo giudicante dei magistrati. Secondo il racconto di Rai 3, che sostiene la tesi secondo cui nel Molise di Frattura siano in vigore più o meno gli stessi meccanismi del "sistema Iorio", Fabio Papa «è l’unico ad aver pagato fino ad oggi in una vicenda dai contorni torbidi» che non risparmia nessuno. Dal servizio emergono anche nuovi particolari, come l’intervista a un anonimo inquirente che a proposito del finanziamento pubblico erogato alla Biocom (fino al 2011 nella disponibilità di Frattura), parla di «distrazione di fondi», sostenendo che per l’acquisto dei macchinari sono stati spesi solamente 50 degli oltre 260mila euro erogati. E riferendo, poi, che «la volontà reale non era quella di costruire l’impianto ma di ottenere un risarcimento». Parole che riportano immediatamente alla vicenda biomasse e all’impianto da 1 megawatt di Campochiaro anch’essa terminata con la richiesta di risarcimento danni milionario (su cui si pronuncerà il Tar) da parte dell’ex socio di Frattura, l’ingegnere Luca Di Domenico, marito della segretaria di Giunta, Mariolga Mogavero. Frattura, raggiunto nel suo ufficio dalle telecamere della Rai, si difende sostenendo quello che dice da tempo, cioè che «il denaro è servito per pagare i macchinari che sono a Termoli». E poi mostra carte e fatture a Iovene il quale si sposta a Termoli dove ottiene dall’ex sindaco Di Brino la conferma che il permesso a costruire l’impianto non è mai stato dato dal Comune e che il materiale di cui parla Frattura, in parte ancora imballato, si trova in un magazzino della C&T, la biomasse del Nucleo. Tra gli intervistati anche l’ex presidente della Regione Molise, Michele Iorio, che ribadisce la vecchia militanza politica in Forza Italia di Paolo Frattura e il ‘tradimento’ dell’attuale presidente, oggi tesserato Pd. Sullo stesso argomento si dilunga anche Manuela Petescia, direttore di Telemolise, in merito alla quale, al pari di Ignazio Annunziata dominus del free press La Gazzetta del Molise, viene sottolineato il coinvolgimento nell’inchiesta sul perverso sistema di finanziamenti all’editoria (illegali, secondo la pubblica accusa) elargiti dal sistema Iorio in cambio di un totale appiattimento sulle posizioni politiche dell’ex Governatore e di campagne di danneggiamento mediatico dei confronti dei suoi nemici, interni o esterni alla sua coalizione. Un capitolo dell’inchiesta è anche dedicato al cosiddetto conflitto di interessi che si sarebbe consumato nella Questura di Campobasso, i cui uffici sono stati incaricati delle indagini sia sulla Biocom sia sugli intrecci tra politica e informazione malgrado la presenza fra i vertici della stessa Questura della sorella di Paolo Di Laura Frattura. La tesi secondo la quale le inchieste possano essere stato condizionate viene respinta dal Procuratore capo Armando D’Alterio il quale ribadisce che non vi sono irregolarità nelle inchieste, tantomeno nella decisione di intercettare alcuni indagati nè nell’utilizzo successivo delle intercettazioni stesse. «Dal sistema Iorio al sistema Frattura» conclude la Gabanelli al termine della mini inchiesta in cui di parla anche di sanità, a proposito del Neuromed della famiglia Patriciello, di avvocati onnipresenti (Salvatore Di Pardo) e del Tar.
Frattura contesta Report e Corriere: "Vogliono una loro verità". "Quanto trasmesso ieri sera da Report è un dejà vu sul Molise", scrive “Prima Pagina Molise”. Lo afferma il presidente della Regione Molise, Paolo Di Laura Frattura, commentando il servizio mandato in onda nella puntata di domenica sera sugli intrecci fra politica ed editoria e sulle attività imprenditoriali di Frattura. "La suggestione creata dalla Gabanelli per il Molise - sottolinea il presidente - potrebbe assomigliare a quella descritta su L'Espresso da Saviano a proposito di Mafia capitale. Prendo atto, senza darmene una ragionevole spiegazione nè sul piano umano nè su quello professionale, che pure una delle più importanti trasmissioni di inchiesta televisiva ha deciso di non ascoltare o di prestare un ascolto di parte. Infatti - conclude Frattura - della mia lunga intervista rilasciata a Iovene, circa due ore di colloquio diretto e senza filtri, non è stato mandato in onda che qualche frammento ridicolo e insignificante, a fronte di tutti i chiarimenti circoscritti e puntuali che ho ricostruito davanti alla telecamera".
Il governatore Paolo Frattura, che dopo la messa in onda del servizio sul Molise di Report ha contestato «le verità preconfezionate» del programma di Milena Gabanelli, è tornato a parlare della puntata di domenica scorsa durante la conferenza stampa di fine anno, scrive “Primo Numero”. In particolare, alla domanda sull’inquirente anonimo intervistato dal giornalista Bernardo Iovene che lo accusava di aver distratto i fondi per la centrale Biocom, il presidente ha detto: «Non so come faccia un inquirente a parlare, se lo è sa bene che non avrebbe potuto farlo per il segreto istruttorio e se non lo dice il falso perché non c’è nessuna distrazione di fondi. Il denaro è servito per l’acquisto dei terreni e per le attrezzature, come ho fatto vedere, carte alla mano, anche a Report». Frattura, indagato nell’ambito dell’inchiesta sulla Biocom, ha rispedito al mittente anche l’accusa di appropriazione indebita ribadendo che la centrale non è stata realizzata a causa dei ritardi nel permesso a costruire «tanto che quando è stato revocato il finanziamento Biocom ha impugnato la revoca e il Tar gli ha dato ragione. Ha fatto bene Michele Iorio a costituirsi, come Regione Molise, al Consiglio di Stato. Siamo ancora in attesa che si decida: se i giudici dovessero dare ragione alla Regione Molise il primo ad attivarsi per il recupero delle somme sarei io, ma se è soccombente non so chi ripagherà per l’evidente incapacità gestionale». Frattura ha chiuso il fuori programma ricordando la lezione del collega Vasco Errani: l’ex governatore dell’Emilia Romagna si è dimesso un’ora dopo la condanna a un anno di reclusione - pena sospesa - in Appello per falso ideologico lo scorso 8 luglio.
Report, la terra di mezzo e il Molise di merda, scrive Pietro Colagiovanni su “Informa Molise”. Ci si può vergognare di appartenere ad un territorio,ad una Regione, ad un posto? Dopo la puntata di domenica sera di Report probabilmente sì. Ci si può vergognare di essere molisani. Lo scenario, nauseabondo, putrido che l’inchiesta di Iovene ha scoperchiato rende il Molise, agli occhi di un’intera nazione, un posto sordido, una Sodoma e Gomorra con la giacca buona della domenica mattina. Manca, nello schifo segnalato da Report, persino, una dimensione tragica, una dimensione pur distortamente ideale come può essere l’appartenenza mafiosa, con i suoi riti, i suoi codici di onore, i suoi giuramenti. No, la mafia al comando in Molise (perché di questo si tratta, un mischione che coinvolge tutti politici, magistrati, giornalisti professionisti e semplici cittadini) è povera, misera, non ha alcuna dimensione in qualche modo epica. Si tratta solo di gente organizzata per depredare e appropriarsi di soldi, secondo legami familistici, di affari o sessuali, a volte tutte e tre le cose insieme. Questo è quanto riporta, con puntualità e correttezza Report, questa è, per noi che viviamo qui ogni giorno, la verità. E questo soprattutto è quello che capiranno di noi molisani il resto dell’Italia. E’ una terra di mezzo, per usare le parole di Carminati (meglio sarebbe ricondurre la citazione al suo ideatore, il Tolkien del Signore degli Anelli) ma soprattutto appare una terra di merda. Attenzione, chi scrive questa terra di mezzo la conosce bene. Se oggi vogliamo ripartire non possiamo fare la gara a chi è più puro e più santo. Chi scrive, avendo scelto in giovane età di non fuggire dalla propria terra natia, con questo sistema (che sa essere complice e a volte persino suadente) ci ha convissuto. E quindi lo conosce bene, sin troppo bene. Ma, attraverso dolorose scelte personali, qualche anno fa ha deciso di troncare i ponti con un mondo senza prospettive, senza futuro, un mondo piccolo fatto di gente meschina, disperatamente meschina. Ha avviato quindi una sua idea imprenditoriale nel posto più assurdo, forse, dove avviare un’idea imprenditoriale. Avendo poi conosciuto il buio e l’oscurità (la citazione è sempre tratta da Tolkien) le regole a questo punto dovevano essere ferree: in primis assunzione di responsabilità e comportamenti tracciabili. Tutto quello che, a qualsiasi livello, ieri sera mancava. Un giudice va a cena con gli avvocati di persone sulle quali sta indagando? E’ un galantuomo, si dice subito. E sicuramente lo sarà. Ma come diceva Paolo Borsellino i politici non solo non devono essere mafiosi ma non devono neppure apparire tali. Figuriamoci un giudice. Prendi un contributo pubblico per fare una cosa che poi per mille motivi non fai? Bene i soldi si restituiscono e poi fai tutte le cause di questo mondo. No, nel Molise di mezzo si va al Tar, si mostrano carte, fatture e tante belle cose ma i soldi comunque non tornano indietro. Ora il punto di non ritorno credo sia finalmente arrivato. Il silenzio che ha fatto seguito all’agghiacciante servizio di Report testimonia che, forse, qualcosa si è finalmente mosso. Questa gente deve andare a casa. Prima ci va, meglio è. Ma per mandarla a casa, vista anche l’insipienza degli organi di controllo, a questo punto bisogna fare un outing collettivo. Questa gente, tutta, è stata votata in modo convinto, a volte addirittura plebiscitario, dal cittadino elettore. E allora il dubbio è un altro: che non siano solo i politici, i controllori, i professionisti ad essere marci, mafiosi o come cavolo volete chiamarli. No, il dubbio (e la mancanza di qualsiasi reazione della gente ne è la riprova) è che ad essere marcia è l’intera società molisana, un posto dove la corruzione è una metastasi sociale, una metastasi culturale. Un posto dove imbrogliano tutti e fanno a gara a chi imbroglia di più. Dal barista che non fa lo scontrino, al dipendente fancazzista, all’amministratore di condominio truffaldino, all’avvocato che spella vivo il cliente, al medico che ti prescrive le medicine per farsi una vacanza gratis. E allora non siamo più in una terra di mezzo. No, stiamo sotto la terra di mezzo, quella dove ci stanno solo i morti.
IL MOLISE NON ESISTE.
Nina Moric odia il Molise? I vip di tutto il mondo sanno quanto essere una celebrità comporti ricevere l'affetto del pubblico ed anche gli insulti dei famosi haters, scrive "Il Sussidiario" il 26 aprile 2016. Lo sa sicuramente molto bene la modella Nina Moric che nelle ultime ore è stata presa di mira da numerose contestazioni. La Moric ha sempre sfruttato i social per mostrare ai fans un lato che di certo nelle varie foto non emerge così tanto. La modella infatti ama scherzare e soprattutto ironizzare, ma è un'arma che può diventare a doppio taglio. Lo dimostra uno dei suoi ultimi post (24 aprile) in cui la Moric ha voluto ironizzare su alcuni insulti appena ricevuti, affermando di essere sicura che chi la odia vive in Molise. Perché? Semplicemente perché è l'unica regione d'Italia in cui non essere mai stata. “Quelli che offendono sui Social abitano tutti in Molise. Si lo penso veramente, vivo in Italia da 15 anni, per lavoro o per vacanza posso dire di essere stata ovunque, tranne che in Molise, e siccome non mi è mai successo che qualcuno mi urlasse per strada, troia, puttana, rifatta, gommone e anche peggio, l'unica spiegazione deve essere questa: quelli che commentano con insulti irripetibili vivono tutti in Molise. State lontani è un posto bruttissimo”. Purtroppo la battuta non è stata colta da molti che hanno invece rincarato la dose. L'orgoglio molisano è subito emerso ed i commenti successivi al post, togliendo gli ovvi insulti, mettono solo in luce che lo humour non è di casa sui social: "non sei degna nemmeno di nominare la Terra dei nostri padri[...]post patetico e di una discriminazione territoriale unica"; "detto da lei signora Moric non è altro che un gran complimento per noi molisani. Fa una bella cosa 'gran signora', torna al tuo paese e portati pure i tuoi fans italiani"; "questo post non fa ridere, è inutile, gratuitamente offensivo". Sono solo alcune delle centinaia di testimonianze - in tutto per ora i commenti superano il milione - che si sono sentite provocate dall'ironia di Nina Moric. Qualche fans in sua difesa aveva anche predetto quello che sarebbe successo e puntualmente si è verificato. Tutto nasce da una battuta annosa che circola sulla regione, ovvero che non esiste, tanto che in molti dimenticano di annoverarla nell'elenco. Eppure Nina Moric, anche se comunque sottolinea di non sentirsi offesa dalle parole di molti, ha dovuto spiegare in un post successivo che si trattava solo di un commento ironico: "è l'ultima volta che vi spiego un post poi basta. Intendevo l'esatto contrario di quello che la stragrande maggioranza di voi ha capito" e prosegue con la spiegazione punto per punto della propria frase. Tuttavia non sembra servito a molto perché la pioggia di commenti era ormai inarrestabile. Anche la Moric però dimostra ancora una volta di non sentirsi toccata dai rimbrotti, tanto che nelle ultime ore ha voluto continuare, scrivendo: "facebook è un posto dove se scrivi che il mare è bello, devi specificare che non ce l'hai con quelli di Bolzano". C'è da chiedersi se effettivamente gli abitanti di Bolzano troveranno tendenziosa anche quest'ultima frase.
"Il Molise non esiste" interpretato da John Travolta diventa un successo sul web. L'immagine dell'attore americano che si aggira confuso nei più disparati contesti, associata al ritornello usato per prendere in giro i cugini molisani, conquista il web, scrive Giuseppe Boi il 7 dicembre 2015 su “Il Centro”. Un meme sommato a un meme non fa due memi ma un meme al quadrato. Per averne la prova basta vedere cosa accade in questi giorni nelle pagine abruzzesi sui social network. Protagonisti sono John Travolta in versione "confused" e il ritornello che tutti i ragazzi usano per prendere in giro i cugini molisani, ossia il detto "Il Molise non esiste". Un mix straordinario di viralità e ironia che ha conquistato la bacheca Facebook di chiunque abbia a che fare con queste due regioni. " John Travolta confused " e il motto "Il Molise non esiste" sono da un punto di vista sociologico dei memi. Il meme è un'informazione che si replica da una mente a un'altra, ossia " un'unità auto-propagantesi " analoga a ciò che il gene è per la genetica. Si tratta in pratica di un elemento di una cultura trasmesso da mezzi non genetici, soprattutto per imitazione, da un individuo all'altro. Il web in generale e i social network in particolare sono il contesto ideale per la propagazione di questo genere di fenomeni. Meme è dunque l'immagine di Travolta tratta da una scena di Pulp Fiction di Quentin Tarantino che in questi giorni ha conquistato i social network. Grazie a una Gif (acronimo di Gaphics interchange format, ossia un formato per immagini digitali utilizzato nel web) l'attore americano viene inserito nei più disparati contesti. E il suo fare confuso è diventato un must. "John Travolta è confuso", il meme che ha conquistato i social. Una cosa è certa, nessuno in questi giorni è scampato alla faccia spaesata di John Travolta mentre si aggira confuso nei più disparati contesti. La gif virale di questi giorni è infatti una scena di Pulp Fiction di Quentin Tarantino del 1994, dove il gangster Vincent Vega entra per la prima volta nella casa dove abita l'amante del suo boss. Come spesso accade nel caotico mondo di Internet, la clip è diventata virale a distanza di oltre vent'anni dall'uscita del film nelle sale americane. La gif fu creata - con l'ambientazione originale - la prima volta nell'ottobre 2012 quando un utente del sito Imgur utilizzò quei pochi frame ripetuti per descrivere lo spaesamento che provava nel leggere una discussione online. Poco meno di un mese fa, il 6 novembre 2015, ritroviamo Vincent Vega in un negozio di giocattoli: l'obiettivo stavolta era descrivere l'indecisione per un regalo. Questa nuova gif - vista da quasi 4 milioni di utenti - è immediatamente diventata virale grazie anche al tutorial del creatore Ma meme è anche il detto " Il molise non esiste ". Un ritornello che nasce prima dei social network ma che con arguta ed educata ironia permette di prendere in giro i cugini molisani. I ragazzi abruzzesi lo usano in parte per ricordare che quella che oggi è una Regione era, fino al 1963, una provincia come Pescara, L'Aquila, Chieti e Teramo. Più in generale il motto è usato per indicare l’incapacità di associare al Molise qualcosa che lo renda riconoscibile non solo ai turisti stranieri ma anche agli italiani. Se poi aggiungiamo battute di comici come Crozza e Littizzetto, è facile capire come il ritornello si replichi di generazione in generazione diventando così un meme che trova vita facile su internet. Ma torniamo all'incipit di questo articolo: meme più meme non fa due memi, ma meme al quadrato. Per averne la "prova" basta collegarsi alla pagina Facebook " L'Abbruzzo di Morris ". In quello che è uno dei gruppi più attivi e innovativi nel panorama solcial abruzzese (ricordate il caso #freebirkir?), il "Travolta confused" in versione Abruzzo e Molise è diventato in pochi minuti un successone.
Neve, ghiaccio, disagi e il Molise che non esiste! Scrive il 19 gennaio 2016 MDL su “Informa Molise”. Negli ultimi anni l’inverno in Molise sembra essere una grande novità! Nonostante sia una regione in cui la neve non è mai mancata, anche in maniera più copiosa e senza i mezzi in dotazione oggi, allerta meteo annunciata, conoscenza della situazione della viabilità e infrastrutture regionali, eppure dopo ogni nevicata tutti a bocca aperta per lo stupore! I mezzi? Non sono sufficienti, il sale? non ci sono soldi, Evitiamo di intasare il traffico con mezzi privati usiamo quelli pubblici, ad averceli! E quest’anno oltre alla neve, e connessi disagi prevedibili, anche il terremoto, ma lo sciame sismico di cui parliamo era già in atto da giorni prima della nevicata, con tanto di segnalazioni. Ci si sarebbe aspettati un dispiegamento della Protezione Civile, ma oltre al sito” attaccato da un hacker”, riferiscono dalla regione, che fine ha fatto? Che il Molise non esiste poi ce lo certificano anche le reti nazionali, una giornalista di Mediaset, oltre ad un giornalista de La Repubblica, arrivata a Baranello pensa di essere in provincia di Benevento! Con tanto di sottopancia: “in diretta da Baranello (Benevento)”. Svista o meno di giornalisti o tecnici resta il fatto che questa regione continua a non avere una collocazione geografica in barba a tutti gli sforzi che le associazioni e i pochi giovani, rimasti in Molise, fanno per affermare un’identità culturale e tradizionale millenaria. E visto che in Molise esiste, forse, anche una stazione sciistica la neve dopo tutto potrebbe essere attrazione turistica, ma in quanto a Turismo è tutta un’altra storia … Qualcuno cerca di giustificarsi con “il tempo è impazzito” forse forse ad essere impazziti sono gli uomini non il tempo o la natura, ma anche questa è un’altra storia …
Molise: regione reale o inganno collettivo? Scrive il 13 ottobre 2013 Adam Salmon. L’esistenza del Molise è sempre stata in dubbio. Spesso se ne parla con ironia, alcuni la usano come fonte di umorismo. Ma esiste davvero una regione chiamata Molise? La cosa davvero grave è che la risposta a questa domanda viene da uno scienziato americano, il Dott. Gregory Donald Johnson, e non da fonti italiane, che invece cercano sempre di lasciare un velo di mistero attorno alla faccenda. Il verdetto è semplice, lapidario: il Molise NON esiste. Vediamo passo passo i motivi di questa conclusione. Se provate a chiedere in giro di preparare un piatto tipico molisano, quali siano i capoluoghi del Molise o di accennare una canzone tipica molisana la risposta sarà sempre la stessa: “Non saprei”. Che dialetto si parla in Molise? Molti rispondono “il molisano”, ma interrogando ulteriormente su come sia strutturato questo fantomatico “dialetto molisano” non esiste nessuno che sappia emularlo. Il Molise è una regione estremamente inospitale, composta quasi esclusivamente da formazioni montuose, e per questo non visibile dall’esterno. Confinante con ben quattro regioni diverse, da nessuna di esse è possibile intravedere paesaggi molisani. Coincidenze? Io non credo proprio. Analizziamo altre prove schiaccianti. Il giovane Leonardo Ortolani ed uno dei suoi messaggi di avvertimento. Il pluripremiato geologo Dott. Leonardo Ortolani, amante dei viaggi, decise di testare personalmente un’esperienza di permanenza in Molise. Il risultato fu sconcertante! Non raccontò mai in maniera diretta del suo viaggio, ma da tracce nascoste nelle sue opere a fumetti è traspaiono alcuni dettagli sconcertanti: I molisani sono stranamente simili l’uno con l’altro, indipendentemente dai legami di parentela. Il costo di una cena al ristorante è all’incirca la metà di quanto si paga in un qualsiasi altro ristorante italiano. Più ci si addentra in Molise, più il costo della benzina scende. Questi indizi portano ad una sconcertante conclusione: il Molise non è che una copertura!!! Cosa si cela dietro quelle invalicabili catene montuose? Perché sembra che le lobby petrolifere non siano riuscite a colpire quell’unico pezzo di terra? Perché il Molise non viene mai menzionato durante le previsioni meteo? “Del Molise, purtroppo, continuiamo a non avere notizie”. Coincidenze? Ma soprattutto … PERCHÈ IL MOLISE NON APPARE SU GOOGLE EARTH? Dove dovrebbe essere situato il Molise, su Google Earth appare solo acqua. Ci stanno nascondendo qualcosa. Magari il Molise è la reale ubicazione della fantomatica Area 51? Magari il Molise non è che una colonia aliena? Questo spiegherebbe il disinteresse verso il denaro e l’incredibile somiglianza dei molisani. Che sia semplicemente frutto della fervida immaginazione di qualche scrittore fantasy? Forse, un giorno, riusciremo a trovare una risposta a tutte queste domande. Fino ad allora il consiglio è quello di comunicarci qualsiasi informazione o testimonianza a riguardo, così da riuscire a svelare l’ennesimo complotto ai nostri danni.
Lo strano caso del Molise che non esiste, ma fa ridere. Da Luciana Littizzetto a Checco Zalone passando per Massimo Gramellini, il Corriere della sera ed una lunga serie di battute di Maurizio Crozza, breve bestiario sulla satira costruita sempre più frequentemente, in televisione, sui giornali e nel web, intorno alla ventesima regione d’Italia prendendo di mira in particolare le sue dimensioni risicate. Che strappa sorrisi a denti stretti, scrive Giuseppe Villani su "Primo Numero" il 15 agosto 2015. In principio fu Crozza. Il noto comico genovese sugli sfottò al Molise ci ha tirato su un vasto repertorio tra copertine di “Ballarò” – il talk di Floris diventato Dimartedì nel passaggio dalla Rai a La7 – e sketch di “Italialand” e “Il paese delle meraviglie”. Ai tempi delle vicende giudiziarie del Cavaliere diceva: “Me lo immagino ai domiciliari nella sua casa da 300mila metri quadrati. Casa sua è grande come il Molise. Lui non farebbe i domiciliari, ma gli arresti regionali”. Imitando l’ex presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, invece ironizzava con il giornalista che lo intervistava: “Ma lo sa che io sono in grado di far sparire il Molise con un pulsante?!”. Oppure, parlando dell’ex manager Ferrari: “Montezemolo deve fare i conti con il bilancio in rosso di Italo per il 2013 e ovviamente scopre che non tutti i giovani possono vendere Ferrari come lui, per non parlare poi del fatto che confonde il Michigan con il Molise. Certo, i molisani parlano strano come gli americani…”. In una scena chiede addirittura di incartare la regione per farne un regalo. Mentre, riferendosi alle elezioni, dice: “La campagna elettorale è costata 25mila euro. Ne hanno incassati 32mila con le donazioni dei cittadini. Grillo con i settemila euro che gli avanzano come minimo si prende il Molise”. A Sanremo poi il comico disse: “L’Italia è una nazione unica ma non è mai stata accatastata, il Molise, per esempio, risulta come veranda”. Ma Maurizio Crozza non è rimasto l’unico a fare ironia sulle dimensioni o sull’utilità della ventesima regione. Un altro comico, Maccio Capatonda (alias Marcello Macchia, abruzzese di madre molisana) in una sua esilarante serie televisiva ha ipotizzato un meteo senza Molise. In un altro sketch sulle elezioni diceva: “Domenica si vota in 19 regioni italiane. E in Molise”. In una puntata di “Che tempo che fa”, anche Luciana Littizzetto prese di mira la regione parlando di Siffredi all’Isola dei famosi. “Cara Marcuzzi, dire a Rocco levati gli slip è come dire Hannibal togliti la museruola. Noi non abbiamo visto niente, mettono il bollino grosso come il Molise”. Passando ai vari film, vengono subito in mente “Sole a catinelle” di Zalone e “Generazione mille euro” di Massimo Venier. Nel primo, l’attore pugliese evidenzia la chiusura e l’arretratezza della cultura contadina strappando un sorriso a denti stretti. Mitica la battuta nel secondo: “Questa è l’unica epoca della storia in cui c’è gente che torna in Molise! (Francesco a Matteo, i protagonisti, a proposito del terzo inquilino che condivide con loro l’appartamento e che torna a casa, in Molise, dopo essere stato licenziato). Di recente, dopo un lungo filone web, ci si è messa pure la stampa nazionale. Il Corriere della sera, in una puntata della serie “Il terzo segreto di satira” passata sulla web tv, lancia al governo l’idea di tagliare fisicamente il Molise e portarlo nel Mar Caspioper migliorare i conti pubblici. Antonio Dipollina, dalle pagine di Repubblica, parlando del cambiamento culturale degli italiani che seguono lo sport sul web, scrive: “Meglio qualcosa che somigli alla radiolina di una volta: però usare davvero la radiolina, beh, non è più cosa, ammesso che ne esistano ancora, di quelle piccole, in rari esemplari che vengono conservati come reliquie e riparati da uno solo in Italia, un anziano elettricista molisano che sta diventando miliardario”. Sull’ultimo numero di Linus, c’è un’intera pagina dove Alessandro Antonelli regala dodici freddure sul Molise. Un esempio: "Nell’unica settimana in cui non si indossa l’eskimo, Campobasso è un’autentica fornace. E a Campobasso, quando fa molto caldo, ci si sposa. I soli tre gradi di separazione (parente-amico-parente dell’amico) costringono gli invitati a staffette mostruose ai limiti dell’ubiquità: tre, anche quattro matrimoni nella stessa giornata, per comodità officiati nel medesimo luogo con il semplice avvicendamento dei nomi nella torta nuziale". L’ultima è di Massimo Gramellini su La Stampa. Nella rubrica “Buongiorno” scrive: “A distanza di secoli dalla gloriosa Rivoluzione il rapporto dei francesi con i re non sembra molto migliorato. Appena il monarca saudita Salman è sbarcato in Costa Azzurra con i propri cari (mille persone del seguito) e ha chiesto di transennare una spiaggia pubblica che aveva avuto l’ardire di trovarsi nei pressi della sua villetta grande come il Molise, i cittadini e i politici locali sono insorti, raccogliendo in pochi giorni centocinquantamila firme che ieri lo hanno indotto a sloggiare”. Be’. Forse il Molise non esiste, come ha scritto qualcuno, ma di sicuro viene usato per far sorridere. E di questi tempi non è poco.
Il Molise non esiste, scrive Antonio Leggieri il 5 ottobre 2015 su "Il Fatto Quotidiano". Cercando su Google “Molise non esiste” si ottiene come primo risultato una pagina di Nonciclopedia con questo virgolettato attribuito a un fantomatico Dottor Gregory Donald Johnson: “Ho studiato a lungo la geografia (…) dell’Italia, e sono giunto alla conclusione che il fatto che nessuno ricordi il capoluogo del Molise, il piatto tipico del Molise, una canzone popolare del Molise o perfino il dialetto di questa regione, si può spiegare così: il Molise non esiste”. Che vi piaccia o no il Molise invece esiste eccome, però è afflitto da un problema non da poco: l’incapacità atavica di associare a se stesso qualcosa che lo renda riconoscibile non solo ai turisti stranieri ma anche agli italiani. Agli occhi dei suoi detrattori questa regione è un po’ come quelle formule matematiche che si insegnano a scuola, nessuno le tiene a mente più di mezz’ora perché sono troppo astratte per riuscire a collegarci un’immagine che aiuti il cervello a ricordarle. La geografia ci ha messo del suo, questo non si può negare. Come la Valle d’Aosta, il Molise è una regione piccola e montagnosa, ma non può competere con la reginetta delle Alpi se si parla di neve e impianti sciistici. Ha il privilegio di avere anche il mare, certo, ma si ritrova a dover fare i conti a una manciata di chilometri più a sud con gli strombazzati lidi salentini. A guardarlo sulla mappa il Molise appare per quello che è: un pezzetto di terra stritolato tra la Puglia e l’Abruzzo e ricacciato verso l’Adriatico dal Lazio e dalla Campania. Se con Madre Natura è inutile prendersela, con il Caso invece ci si può anche arrabbiare. A Ferrazzano, il comune molisano che ha dato le origini ai bisnonni di Robert De Niro, firmerebbero subito per ricevere anche solo la metà della visibilità avuta da Bernalda, il paesino della Basilicata scelto da Francis Ford Coppola per costruirci un relais di lusso in onore dei suoi antenati lucani. Nonostante una corte spietata, pare che l’attore non si sia mai fatto vivo nella terra in cui riposano i suoi avi. Nel frattempo, nella poco distante Montenero di Bisaccia, c’è chi si accontenta del ricordo di Antonio Di Pietro che in maglietta gialla e cappellino parasole trebbia il grano della sua campagna. Ma l’agricoltura, si sa, non ha il fascino dell’hôtellerie di lusso targata Hollywood. Se ci si aggiunge un po’ di danno, il Molise è stata l’unica regione italiana non visitata dall’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, e pure la beffa, dal Molise partono i traghetti che portano i turisti alle visitatissime Tremiti, che però sono pugliesi, ecco che il quadro può cominciare a farsi sconsolante. Come per gli esseri umani, anche lo spirito di una città e di una regione è influenzato dagli eventi del passato. È quello che ho capito passeggiando per le vie di Termoli con Roberto Trivelli, termolese doc e tra i fondatori di Let’s Dig Again, la prima web radio italiana che affronta tematiche legate all’archeologia. Roberto mi ha spiegato che questa città è stata per secoli terra di conquista da parte di pirati e briganti di ogni sorta, che ne hanno saccheggiato non solo le ricchezze ma anche, un po’ alla volta, l’identità.
Scoprendo Termoli ci si rende conto di come le varie sfortune del Molise possono trasformarsi in punti di forza. Questa città, che conserva ancora le vestigia dell’antico borgo marinaro, riesce a regalare tutto quello che un turista cerca d’estate: mare pulito, un’unicità da fotografare (il vicolo più stretto d’Italia, Rejecelle, purtroppo abbandonato a se stesso), un buon rapporto qualità-prezzo e spettacoli come quello del sole che tramonta sui trabocchi. Il romanticismo però non basta. Servono strategie di promozione turistica non solo per le località marittime ma anche per quelle, ancora più trascurate, dell’entroterra. Magari non si riuscirà a replicare il colpaccio messo a segno nel 2010 dalle Marche, che per qualche milione di euro si aggiudicò Dustin Hoffman come testimonial, ma da qualche parte bisogna pur partire. Magari da un blogtour o da un sito del turismo regionale che non faccia tornare in mente gli albori dell’era digitale. A cercare bene la materia prima che può essere usata per creare un’immagine forte del brand Molise c’è tutta. Ma non è sufficiente appuntarsi la medaglietta sul petto quando una testata internazionale parla di te (mi riferisco a questo articolo della Cnn che ha fatto gonfiare d’orgoglio il Presidente della Regione Paolo Di Laura Frattura) o lanciare improvvisati gemellaggi con Boston e Silver Lake (questo inverno a Capracotta, in provincia di Isernia, sono caduti la bellezza di 256 centimetri di neve e il paese è finito sui media di mezzo mondo, mandando in estasi il primo cittadino Antonio Monaco). Mi chiedo se chi si occupa di turismo in Molise sa che su Facebookc’è una pagina che si chiama “Il Molise non esiste” che ha 13 mila “mi piace”, più di quelli di tutte le pagine collegate al turismo nella regione. E mi chiedo, poi, se le battute sulle dimensioni fatte da personaggi pubblici come Luciana Littizzetto e Crozza siano state prese solo per quello che sono oppure usate come spunto di riflessione. Le gambe corte non si possono allungare, ma le lenti degli occhiali possono essere pulite.
Chiudo questo post con una domanda: perché non lanciare una vera campagna per sfruttare quelle che sono ragioni di ilarità collettiva –le dimensioni, la presunta inesistenza – a proprio favore e ribaltare l’idea che gli italiani hanno del Molise? L’hashtag esiste già e io ve lo ripropongo: #moliseesiste.
IL MOLISE ESISTE, NOI ABBIAMO 5 PROVE PER DIMOSTRARLO! [GEOGRAFIA PORTAMI VIA]. Scrive "Bonsai tv" il 20 aprile 2015. In tantissimi modi ci hanno fatto credere più e più volte che il Molise è una regione inesistente, che il Molise è pura fantascienza, che il Molise è uno stato mentale, una forma mentis… C’è chi giura che in Molise non ci arrivano neanche i treni, che per arrivare in Puglia non si passa per il Molise, che la regione del Salento confina a Nord solo e soltanto con l’Abruzzo. Ci hanno fatto credere anche su Facebook che il Molise non esiste. Noi abbiamo deciso che non ci stiamo però e con un’inchiesta al limite della legalità siamo riusciti a scoprire che in realtà il Molise esiste eccome! Ecco le inconfutabili prove.
1) Sono andata a Capracotta e ho visto un posto bellissimo. Sì, Capracotta, quel posto di cui tutta la stampa estera ha parlato perché quando nevica diventa un mondo fatato, incantato, che sembra disegnato come manco Shining e il labirinto pazzesco.
2) Ho mangiato le mozzarelle più buone di quelle pugliesi. Non incazzatevi pugliesi, giuro che è vero! Sto parlando di quelle di Bojano e anche se questo nome fa riderissimo, vi dico che le mozzarelle sono veramente buone e poi i nodini e poi la ricotta e poi tutto.
3) Sono andata all’università con una ragazza del Molise. La suddetta ragazza ha avuto il coraggio di lamentarsi dell’Abruzzo e che è tornata di corsa in Molise. Che poi, a dirla tutta, magari ha dimenticato che prima del Molise esistevano gli Abruzzi, ma questa è un’altra storia. Insomma, a quanto pare non solo il Molise esiste, ma ci si vive anche bene.
4) Aldo Biscardi è nato in Molise. Per l’esattezza a Larino, per l’esattezza quindi in provincia di Campobasso. No, ma cioè vi rendete conto che personalità di spicco per la storia italica vanta il Molise? Il prossimo che dice che il Molise non esiste lo meno, ok?
5) Prunus spinosa trigno. Questo arbusto spinoso che cresce proprio in Molise, sembrerebbe avere effetti antitumorali. Il Molise dunque, non solo esiste, ma è anche capace di curare malattie come mai nessuno prima e soltanto con la sua terra. Le chiacchiere stanno a zero belli miei, fate pace con questa cosa: Il Molkise esiste davvero.
Il Molise? Ho le prove della sua (non) esistenza, scrive Luca Mastrantonio il 25 aprile 2016 su “Il Corriere della Sera”. Colletorto, in Molise, è il paese che amo, lì ho le mie radici, è nato mio padre e i miei genitori si sono conosciuti. Ci torno ogni estate, dopo una pausa dovuta ai crolli del terremoto del 2002, felice di perdermi nelle sue dolci tortuosità. Con gli amici Gaetano & co, ridiamo del barzellettificio «Il Molise non esiste», un’espressione molto diffusa sul web, cui sono dedicati vari gruppi Facebook (tra cui l’anglofono «Molisn’t»), forieri di frizzi, lazzi e battute. Alcune infelici, come quella cinguettata da Nina Moric su Twitter ieri, per cui tutti quelli che la insultano sarebbero molisani; altre brillanti, liberatorie: come quella dell’artista milanese Biancoshock che per il festival di street art (e street food con chef Rubio) a Civitacampomarano (Campobasso), conclusosi il 24 aprile, ha scritto su un muro «Il Molise non esiste», cancellando «non esiste» e trasformandolo in «resiste». So dunque che il Molise esiste e ho le prove, non solo autobiografiche, ma so che possono essere ribaltate da chi, per bullismo o umorismo metafisico, ne minimizza o nega l’esistenza. Checco Zalone in Sole a catinelle ripiega sul viaggio low cost in Molise, che al regista Gennaro Nunziante piace perché ricorda l’Italia dei film di Pietro Germi. Il fumettista Leo Ortolani porta il suo eroe Ratman in un luogo dove per chilometri e chilometri c’è il nulla: «Sai dove ti trovi?» Sì, risponde, «in Molise». Anche in quest’epoca di mappe digitali, in pochi sanno dove collocare il Molise, un’espressione geografica diventata Regione solo nel 1963, quando è stata staccata dall’Abruzzo. L’epoca d’oro, nella Storia, è antica, a metà del primo millennio avanti Cristo, quando c’erano i Sanniti, che fecero passare i romani sotto le forche caudine: popoli di cui si conservano suggestivi siti archeologici a Sepino e Pietrabbondante. Termoli è il polo turistico più moderno (e industriale, lo stabilimento Fca ha pure assunto); da qui ci si imbarca per le Tremiti, gioielli insulari dell’Adriatico fondate dall’acheo Diomede, filmate ne I cannoni di Navarone (1961) e amate da Lucio Dalla, che nella casa-studio compose Com’è profondo il mare (1977). Bello, no? Peccato che le Tremiti siano pugliesi. Come i Comuni che beneficiano della diga di Occhito, uno dei più grandi bacini artificiali d’Italia cui invano presta i suoi fianchi montuosi il Molise. Eroi molisanpopolari degli anni 80/90 sono Aldo Biscardi, telegiudice del Processo con i suoi «sgub!» («scoop»), e Antonio Di Pietro, noto per l’espressione post-manzoniana «che c’azzecca?»: personaggi così caricaturali da sembrare parodie di un originale smarrito, degni compari del commissario molisano Don Ciccio Ingravallo, protagonista del Pasticciaccio brutto de via Merulana (1927) di Gadda. I veri grandi molisani sono stati lo storico e politico Vincenzo Cuoco, lo scrittore Francesco Jovine, il cantante Fred Bongusto (Una rotonda sul mare) e il fumettista termolese Benito Franco Giuseppe Jacovitti. Di origini molisane è Robert De Niro, i cui nonni nacquero a Ferrazzano. Di Duronia è la famiglia di Elio Germano, che ad essa è restata legato. E la politica? I molisani patiscono un lunatico («celotico», in dialetto) senso si abbandono da quando non sono più alla ribalta Di Pietro e Ciampi, la cui moglie ha radici a Santa Croce di Magliano. Le dimissioni di Napolitano? Titolò Isernianews: «Addio al presidente che non ha mai visitato il Molise». La visita di Mattarella? Ecoaltomolise.net titola «E io pago!». E poi, Berlusconi: ha usato questo bacino elettorale (poco più di 300mila abitanti) nel 2013 per entrare in Senato, ai danni di Ulisse Di Giacomo, rientrato in Parlamento, poi, come «alfaniano». Per molti, dunque, il problema del Molise è più politico che ontologico. Esiste, ma si deve (re)inventare.
Il Molise esiste, ma le istituzioni lo dimenticano, scrive il 06/09/2015 Rita Iacobucci su “Teleregionemolise”. Domenico Gramazio è un giornalista che scrive per Metropolis. Sul suo blog ha scritto di recente del Molise, di Campomarino e di un tratto di storia importante per la regione che però oggi in pochi ricordano. È la storia dei ragazzi del ‘45 che grazie al contributo di Gramazio Primo Piano propone ai suoi lettori. Voglio parlarvi del Molise, una regione che insieme alla Puglia e alla Campania crea il mio ‘triangolo delle Bermuda’. In Molise ci trascorro le mie vacanze ormai da un decennio. Lo so, questa frase non farà piacere agli amici della pagina Facebook "Io non credo nell’esistenza del Molise", che hanno creato un modo di fare satira unico nel proprio genere. Chissà se i vertici della Regione Molise sanno dell’esistenza di questa pagina e che proprio da qui basterebbe commissionare un progetto di marketing turistico anche alla più sgangherata società di comunicazione (a mio avviso sarebbe bello vedere cosa uscirebbe dalla testa dell’abruzzese Maccio Capatonda e dal molisano doc Luigi Luciano alias Herbert Ballerina), per spopolare e guadagnarci (per davvero) scherzando sul concetto del Molisn’t (in inglese significa che il Molise non esiste). Chissà, per ora resta tutto su carta. Ma vuoi vedere che qualcosa si possa smuovere per davvero? Boh, certo è che la speranza è l’ultima a morire. E io ho speranza anche per Campomarino, una delle tre località molisane che affaccia sul mare. Chi viene qui difficilmente va via, oppure meglio ancora ci lascia un pezzo di cuore. Per il paesaggio, la serenità e l’opportunità di fare vacanze di ogni tipo. Posto tranquillo per le famiglie, giusto per i giovanissimi e ottimo per i giovani che a pochi chilometri di auto possono raggiungere centri più movimentati come Termoli e Vasto (poi c’è sempre l’opzione Pescara che dista quasi un’ora di auto). Bella Campomarino, con un borgo caratteristico e un lembo di terra che affaccia direttamente sul mare. Un Lido che d’estate raggiunge 100mila presenze (centomila!). In prevalenza pugliesi e beneventani, ma si trovano tutti i dialetti d’Italia nell’antica Kemarin. Bella, bella per davvero. Bandiera blu anche nel 2015. L’isola che non c’è dirà qualcuno? Non proprio, visto che per fare bancomat un turista deve prendere l’auto e andare su in paese. Ebbene sì, esiste un luogo di mare senza uno sportello bancomat. O meglio, uno ne esiste ma permette di prelevare solo a chi possiede una determinata carta di credito. Può mai accadere una cosa del genere in una città a vocazione turistica? La risposta ve la do io: no. Andiamo avanti. Un bellissimo lungomare, che però sul più bello non è illuminato. Tutta colpa di autorizzazioni ballerine (così dicono i ben informati) che stanno bloccando i lavori da più di tre anni. Va bene, ma questo in un Paese come l’Italia può capitare. Ma avete mai visto una località marittima che avvia i lavori di valorizzazione della pineta, per crearci un passaggio pedonale, il 3 luglio 2015, in piena stagione estiva, per farli terminare a ottobre? A mia memoria una cosa del genere non l’ho mai vista e sentita. Ma a Campomarino questo esiste. E guai a lamentarti. Perché il forestiero (anche quello che paga l’Imu della seconda casa alta quanto Rimini, la capitale del turismo estivo italiano) non ha diritto a farlo. “Se non ti piace stare qui puoi andare via”. Tutti cafoni i turisti e i villeggianti. Non vogliono fare nemmeno la differenziata. Mica li si educa avviando una campagna di tolleranza zero come ha fatto Vincenzo De Luca a Salerno (lo sceriffo per eccellenza)? Ma quando mai, siamo in estate. Allora basta lamentarsi. E chi lo fa, magari viene anche offeso e cancellato dai profili Facebook gestiti dagli amministratori locali. Dove succede questo? A Campomarino, una terra baciata da Dio. Ma dimenticata dagli uomini evidentemente, tanto da non ricordarne la storia più recente. La storia, un capitolo che merita ancora un altro po’ di attenzione. La storia ci ricorda le nostre origini. Eppure c’è chi la dimentica, nonostante sia alla guida delle istituzioni. A Campomarino, durante la Seconda guerra mondiale, è stata fatta la storia dell’aviazione militare e civile. In particolare in uno dei cinque campi volo presenti (Madna, Biferno, Nuova, Canne e Ramitelli). Ne sono venuto a conoscenza leggendo gli articoli che ha scritto o hanno visto protagonista Giuseppe Marini, semplice impiegato che nel 2001 iniziò una ricerca per ricostruire il legame che unisce Campomarino all’aviazione. Che bravo Marini. Nel 2005 organizzò anche le celebrazioni del Ve-day (la Giornata della Vittoria europea che si festeggia l’8 maggio) nella sua città, riportando in quelle zone i ragazzi del ‘45. E, come spesso capita, mi sono imbattuto nella storia nella storia. “Ma c’è un altro motivo – anche questo storico – che fa di Campomarino un posto speciale. Da quelle piste infatti presero il volo i primi piloti di colore della Storia dell’Aviazione statunitense. Si rivelano talmente bravi nello scortare i cacciabombardieri da Berlino alla Francia (non ne fu abbattuto neppure uno) da meritarsi di entrare di diritto nell’Air Force. «Campomarino fu la città del riscatto militare e sociale dei piloti neri – spiega Marini – ai quali prima della Seconda Guerra Mondiale, per colpa del pregiudizio razziale, non era permesso far parte dell’Aeronautica americana. Tutto iniziò quando il presidente Roosvelt ordinò al dipartimento di Guerra statunitense di creare una unità di soli neri da destinare al conflitto in Europa. Quei piloti vennero destinati a Campomarino, e da qui eseguirono con successo oltre 200 missioni, dimostrando che la loro esclusione dall’Air Force era solo un pregiudizio». E Marini, qualche anno dopo, aggiunse: “Ramitelli fu l’unico campo di volo al mondo in cui operarono i primi piloti neri dell’aviazione statunitense. Uomini che stavano lottando due guerre una contro Hitler e l’altra contro il pregiudizio razziale della società americana di quegli anni. A fine conflitto il buon esito delle missioni da Ramitelli permise ai neri d’America, di entrare nell’Air Force Statunitense, fino a quel momento negato da pregiudizi razziali”. Marini parla precisamente del Tuskegee Airmen, il reparto nato per addestrare i piloti di caccia degli Stati Uniti d’America riservato agli uomini di colore, attivo tra il 1941 e il 1946 e spesso soprannominato Red Tails, code rosse. Su tutto questo, nel 2012, è stato girato un film prodotto da George Lucas (avete capito bene, il papà di Guerre Stellari) e girato da Anthony Hemingway. Lucas, come riporta Wikipedia, ha iniziato a sviluppare Red Tails intorno al 1988 dopo aver sentito del Tuskegee Airmen dal suo amico George Hall, un fotografo. Nel gennaio 2012, è arrivato in seconda posizione tra i 10 miglior film della settimana negli Stati Uniti d’America, incassando ben 18,1 milioni di dollari. L’incasso totale ammonta a circa 50 milioni di dollari. Un’americanata, girata da Croazia, Repubblica Ceca e – marginalmente – in Italia. E ovviamente Ramitelli viene citata più volte (almeno 4) con le vicende sentimentali tra i protagonisti del film che si svolgono in un paese che, dunque, dovrebbe essere Campomarino. Una cosa fantastica. Basti pensare che in Campania, seppur in ritardo, sull’operazione Avalanche sono nati due musei a distanza di 25 chilometri (Salerno ed Eboli). Perché non creare un mostra permanente anche in Molise? Ma la situazione è desolante. Infatti, oltre al lungomare dedicato agli aviatori, e a un cartello che ricorda l’ubicazione del campo volo Biferno non c’è più nulla. Il tesoro mondiale di Ramitelli? Una stradone pieno di erbacce. E guai a dirlo ad alta voce che forse la storia è stata messa da parte. E guai a far sapere che l’hanno dimenticata anche gli amministratori (un politico locale in una conversazione privata con il sottoscritto ha ammesso candidamente di non sapere dei Red Tails). Non è vergognoso tutto ciò? Nemmeno il 5% delle persone che vengono a villeggiare a Campomarino sa di questa storia. Ma quando la racconti brillano gli occhi a tutti. Avere un tesoro mondiale e non saperlo sfruttare. Ecco cosa ho visto quest’estate. E io da cittadino italiano mi vergogno di tutto ciò. Ché a 70 anni da quello che fu, con la storia totalmente accantonata in un cassetto e dopo il lavoro brillante del signor Marini, si poteva fare di più. Per questo la questione assume toni sempre più vergognosi. Basti pensare che, sempre come racconta Marini, nel 1983 il Ve-day fu festeggiato a Campomarino dall’allora ministro degli esteri, Giovanni Spadolini. Nel 2015, a 70 anni da una storia che è diventata anche un film e viene raccontata attraverso libri pubblicati in tutte le lingue del mondo (fra tutti spicca quello di John B. Holway che su Amazon si acquista per pochi euro), Campomarino non doveva dimenticare. Certo, meglio i concerti di Rocco Hunt e Bandabardò. Ma la storia ci aiuta a capire chi siamo. E forse c’è ancora tempo per recuperare. Il Molise esiste, ma viene dimenticato dalle istituzioni. Domenico Gramazio.
Il Molise non esiste: la spiegazione del perché. Sarà uno shock, ma la dura realtà va affrontata prima o poi: il Molise non esiste. La spiegazione del perché risiede principalmente nell’aura di mistero che avvolge questa piccola regione, talmente silenziosa e isolata nella sua radiosa esistenza, da essere completamente dimenticata. A volte deriso, spesso bistrattato, il territorio del Molise e i suoi abitanti sono diventati negli ultimi anni oggetto di una vera e propria leggenda metropolitana, dando adito a battute, scherzi e tormentoni. Non stupisce quindi il fatto che il Molise sia considerato al pari di una città fantasma, pronto a sparire dalla memoria collettiva e, forse, anche dalle cartine geografiche. La prova più lampante dell’inesistenza del Molise risiederebbe nell’oggettiva difficoltà di rintracciarne gli abitanti. Con appena 314.000 anime a disposizione, non è semplice imbattersi in un molisano all’infuori dei confini regionali. Anche chiedendo ad amici di amici, o ad amici di amici di amici, giungere all’individuazione di un cittadino del Molise sembra un’impresa titanica. Molti hanno difficoltà anche a inquadrare una cucina tradizionale molisana, o dei prodotti tipici della regione, cosa che di certo non aiuta. Così come non aiuta l’economia poco sviluppata del territorio, fattore dovuto alla scarsa densità di popolazione: poco si importa e poco si esporta, limitando quindi ulteriormente i contatti con il mondo esterno. La teoria più in voga riguardo all’inesistenza del Molise è, neanche a dirlo, una cospirazionista. Cercando in rete si troveranno articoli di presunta matrice scientifica che riconducono la piccola regione ad un fantomatico progetto intergovernativo. Secondo i sostenitori di tale teoria, il nome della regione altro non sarebbe se non un acronimo, per la precisione uno che sta per: Modello OLografico per Individui SEnzienti. In cosa consiste, vi chiederete? La brillante realtà che si cela dietro questa definizione è la seguente: i molisani altro non sarebbero che delle figure olografiche, individui virtuali che interagiscono con un’infrastruttura tridimensionale. Quelle che il nostro occhio percepisce come persone provenienti dal Molise sarebbero pertanto illusioni belle e buone. I molisani sono quindi entità del tutto astratte, generate con lo scopo di simulare più (come nel caso di Fred Bongusto) o meno bene (vedasi Antonio Di Pietro e Aldo Biscardi) il comportamento umano classico. Sarà per questo che il Molise è interamente circondato da montagne? Per celare a occhi indiscreti delle attività super segrete e pericolose? Nel Molise tutto costa la metà di quanto costerebbe al di fuori dei confini regionali e i suoi abitanti non si lamentano mai di nulla, nè delle tasse, nè dei dieci mesi all’anno in cui sono costretti a fare i conti con la neve e il ghiaccio. Come è mai possibile? Non vi sembrano forse queste delle prove sufficienti per decretare l’inesistenza del Molise? O forse, tutto sommato, questa regione è il paese di Bengodi?
Millantare che il Molise non esiste. Non si tratta della storia della solita pagina Facebook sulla quale si scherza ironicamente sul fatto che la nostra regione non abbia vita, ma si tratta del tema trattato nella mattinata di ieri da una radio nazionale seguitissima, Rds. Anche qui, durante la trasmissione condotta da Chiara Papanicolau e Beppe De Marco ci si è divertiti a sbeffeggiare il Molise, sempre con sarcasmo. Ed è in quel momento che i corregionali hanno fatto sentire la propria voce. I commenti dei molisani in merito, infatti, non sono tardati ad arrivare. Tra chi ha assicurato che il Molise esistesse realmente e chi, invece, ha parlato di una terra 'ambita' dai politici visti gli ultimi scandali, c'è chi realmente ha colto l'opportunità per promuovere la nostra regione. “Il Molise è una regione piena di genuinità e di tradizioni. Non è conosciuta perché vive nella sua tranquillità e nel suo lento evolversi. Perché venire in Molise? Per respirare e vivere nella tranquillità delle nostre montagne ricche di storia e tradizioni ancora vive. Venite a trovarci anche voi." Nulla di meglio se non una vetrina per il nostro Molise che da troppo tempo, ormai, viene schernito e deriso vuoi per la situazione politica che per quella culturale che non rispecchia la realtà.
C’è chi pensa che: “il Molise non esiste”, scrive Molise Network. Traffico. Caldo. Mille servizi da fare. Mattinata trascorsa in macchina. Stazione radio RDS. “Si beffeggia il Molise”. Questa la segnalazione che ci è pervenuta da nostri “seguaci”. Pare infatti che ieri (26 giugno), intorno alle dodici, la trasmissione in onda su Radio Dimensione Suono abbia preso simpaticamente in giro Molise e molisani, sottolineando che “tale regione non esiste. Quando si va al mare si toccano le spiagge dell’Abruzzo e poi si scende diretti in Puglia. Il Molise? Nessuno lo conosce. Aspettiamo ora commenti dai molisani.” La provocazione lanciata, a livello nazionale, dalla radio di Roma , è stata subito raccolta dagli udenti. I più cinici sostengono che in realtà il Molise non esista davvero e che la sua “esistenza” sia a vantaggio solo della classe politica che in tale regione governa, i più sognatori, coloro che ci credono, invece, sono stati molto offesi dalle parole della radio. “Siamo d’accordo che il Molise abbia particolari handicap e deficit, ma non merita per questo di essere beffeggiato.” La nostra regione infatti gode di terre bellissime, sane, pulite, verdi, al suo interno si intervallano zone di mare, pianure e colline dai mille colori e sfumature. E’ una terra antica, di storia e tradizione, in cui ancora vivo è il senso delle cose, la piccola realtà di paese, le tinte folckloristiche, un particolare senso di rispetto ed educazione. Vero è anche che le amministrazioni succedutesi al governo della regione non sono mai riuscite ad innalzare questo senso naturalistico del Molise, che potrebbe essere chiave caratterizzante per gli abitanti, sia a livello sociale, che a livello economico. Nonostante “intrallazzi” di vario genere, il Molise non ha l’aspirazione di primeggiare, ma non può essere denigrato a causa di un’amministrazione inefficiente che non valorizza le sue terre. Per fortuna però qualcuno si è accorto della sua bellezza. Molti i film girati in questo territorio. Ricordiamo, il più recente, “Sole a catinelle” di Checco Zalone, che ha effettuato una sorta di documentario all’interno della regione, analizzando simpaticamente usi, costumi e dialetti delle nostre terre. Comicità sottile che non ha destato nessuno scalpore negli animi dei molisani, anzi, onorati da tal lavoro. Anche Sergio Castellitto è stato attratto dalla purezza della nostra terra e dai suoi borghi medievali, dove qualche hanno fa, ha deciso di girare qualche scena del film “Non ti muovere”. Ma tutt’ora il Molise è oggetto di studio, è casa di giovani talenti, molte, infatti, sono le attività culturali proposte al suo interno. Giudicata positiva la critica mossa nei confronti della radio nazionale. Critica costruttiva che sa di patriottismo, di orgoglio, di rispetto, di origine. Tutte caratteristiche che affermano che il Molise esiste. Molte le risposte pervenute dai molisani alla stazione RDS, di particolare importanza una, rilevante per la sua profondità e per il senso di riflessione che scaturisce: “Il Molise è una regione piena di genuinità e di tradizioni… non è conosciuta perchè vive nella sua tranquillità e nel suo lento evolversi. Perchè venire in Molise? Per respirare e vivere nella tranquillità delle nostre montagne ricche di storia e tradizioni ancora vive. Venite a trovarci anche voi.“
ED IL PAPA VIENE IN MOLISE. INIZIA LA FARSA.
5 luglio 2014. Papa Francesco in Molise In visita nella regione dopo 19 anni dall'ultimo viaggio pastorale di un pontefice, scrive “La Repubblica”. Lo hanno aspettato in migliaia, sono arrivati da fuori, 100 mila pellegrini a Campobasso, 70 mila a Isernia. Un molisano su quattro è andato incontro a Francesco. Sono passati 19 anni dall'ultima visita di un Papa in Molise. Da Giovanni Paolo II, che si recò nella piccola regione due volte, nel 1983 a Termoli e nel 1995 a Campobasso e Agnone. Il capoluogo molisano stanotte è rimasto insonne, in attesa, alcuni negozi hanno aperto le saracinesche alle 5 del mattino in una città dove ci sono stati canti tutta la notte. Partito alle 7.45 dall'eliporto del Vaticano, l'elicottero dell'Aeronautica Militare che accompagna Papa Francesco è atterrato nel campus dell'Università del Molise in anticipo di dieci minuti sul programma. Ad accoglierlo l'arcivescovo di Campobasso Giancarlo Bregantini e le autorità locali. Accompagnato da un ristretto gruppo di collaboratori - tra i quali due arcivescovi di Curia, il sostituto della Segreteria di Stato Angelo Giovanni Becciu e il prefetto della Casa Pontificia Georg Gaenswein - Francesco è salito sulla jeep aperta, senza protezione, ha toccato e salutato la folla poi ha incontrato il mondo del lavoro e dell'industria nell'Aula Magna dell'Università degli Studi del Molise. Prima di affrontare la giornata ha ripetuto ciò che mette in pratica per primo: "Il nostro Dio è Dio delle sorprese: ogni giorno ce ne fa una. Dio è così, Dio rompe gli schemi: se non rompiamo gli schemi, non andremo mai avanti. Perché Dio ci spinge a questo, a essere creativi verso il futuro". La dignità di lavorare, non la domenica. "Bisogna conciliare i tempi del lavoro con i tempi della famiglia", ha detto il Pontefice, "è un punto critico", che "ci permette di discernere, di valutare la qualità umana del sistema economico in cui ci troviamo". Così "la domenica libera dal lavoro - eccettuati i servizi necessari - sta ad affermare che la priorità non è all'economico, ma all'umano". "Forse è giunto il momento di domandarci se quella di lavorare alla domenica è una vera libertà", ha aggiunto. Francesco ha aggiunto: "Vorrei unire la mia voce a quella di tanti lavoratori e imprenditori di questo territorio nel chiedere che possa attuarsi anche qui un 'patto per il lavoro'". Perché lavorare dà dignità. "Non avere lavoro non è solo non avere il necessario per vivere: no, noi possiamo mangiare tutti i giorni, andare alla Caritas o altre associazioni. Il problema è non portare il pane a casa, questo toglie la dignità", ha detto. "Il problema più grave non è la fame, è la dignità: dobbiamo difenderla e la dà il lavoro". Un peccato sfruttare la terra. "Il peccato nostro è sfruttare la terra e non lasciare che ci dia quello che ha dentro". Papa Francesco ha risposto così alla denuncia di un giovane contadino (laureato in agraria) riguardo al tema della mancata "custodia" della natura. "Restare a fare il contadino sulla terra non è - ha osservato Bergoglio - rimanere fisso, è fare un dialogo per far diventare la terra feconda per tutti noi". Giocate con i vostri bambini. "Genitori, perdete tempo con i vostri bambini", ha detto Francesco. "Quando andavo a confessare, nella diocesi - ha raccontato a braccio -, nel caso arrivi una mamma o un papà giovani io chiedevo: quanti bambini hai? Poi un'altra domanda: tu giochi con i tuoi bambini? E la risposta era sempre: come padre?". "Stiamo perdendo questa scienza, di giocare con i bambini". L'altare simbolico per la messa. Alle 10.30 Concelebrazione Eucaristica nell'ex Stadio Romagnoli a Campobasso, l'area allestita per la Santa Messa è gremita dall'alba. Papa Francesco l'ha celebrata da un altare inserito dentro una grande capanna. Un altare di grande significato che si deve a un giovane senegalese che sul Paliotto ha raffigurato un ragazzo che sta sprofondando nella disoccupazione, nella droga, ma c'è il Papa che gli viene incontro. Diffondere dappertutto la cultura della solidarietà. "Testimoniare la carità", "servendo Dio nel servizio ai fratelli, e diffondendo dappertutto la cultura della solidarietà" dinanzi a "situazioni di precarietà materiale e spirituale, specialmente di fronte alla disoccupazione, una piaga che richiede ogni sforzo e tanto coraggio da parte di tutti", ha detto Francesco durante la Messa. Alla mensa dei poveri con fettuccine. A 12.30 ha salutato una rappresentanza di ammalati nella Cattedrale di Campobasso. Infine alle 13 ha pranzato con i poveri assistiti dalla Caritas nella "Casa degli Angeli", allestita nell'asilo di via Monte San Gabriele, in un quartiere popolare della città dove i balconi sono stati addobbati con le bandiere del Vaticano e striscioni di benvenuto. In cinquanta hanno avuto insieme a Francesco fettuccine ai funghi, Cavatelli, Caponata, Pollo e Patate al forno. Per concludere, crostata al limone, frutta di stagione e Mate, il tè argentino. La battuta del Papa tifoso. Durante il pranzo c'è stato anche un divertente siparietto con un gruppo di preti colombiani ai quali il Papa, noto tifoso della nazionale argentina, ha fatto le "condoglianze" per la sconfitta contro il Brasile. Giovani, abbiate coraggio. Dopo pranzo Papa Francesco ha incontrato i giovani delle Diocesi di Abruzzo e Molise nel Piazzale del Santuario di Castelpetroso: "Non lasciatevi rubare il desiderio di costruire nella vostra vita cose grandi e solide! - ha detto Bergoglio- Non accontentatevi di piccole mete! Aspirate alla felicità, abbiatene il coraggio, il coraggio di uscire da voi stessi e di giocare in pienezza il vostro futuro insieme a Gesù". Il Pontefice, denunciano la "cultura del provvisorio", ha incoraggiato a "scelte di vita stabili con legami solidi". L'incontro con i detenuti. A Isernia nel pomeriggio l'incontro con i detenuti nella Casa Circondariale di Isernia che lo hanno accolto offrendogli una maxi-tavoletta di cioccolato decorata con il motto del papa, un ulivo con il segno di pace, e un mandorlo, segno di rinascita, quella che i detenuti auspicano al termine del tempo trascorso nel penitenziario. Così come in Calabria, nel carcere di Cassano allo Ionio, anche al penitenziario di Isernia il Papa ha posto l'accento sulla parola "speranza", così papa Francesco si è rivolto ai detenuti nell'incontro durante la visita al carcere di Isernia. "E per questo - ha aggiunto - c'è bisogno di un percorso, di un cammino, sia all'esterno, nel carcere, nella società, sia al proprio interno, nella coscienza, nel cuore". «Se siamo scomunicati, a messa non vale la pena andarci». Questa la reazione dei detenuti della Sezione di alta sicurezza del carcere di Larino, in Molise, rimasti colpiti dall’intervento di Papa Francesco due settimane fa in Calabria, quando ha pronunciato la scomunica per i mafiosi. Lo ha riferito alla Radio Vaticana padre Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso. «È una cosa sorprendente - ha commentato il presule - che conferma quanto il Papa parlando, incida nelle coscienze, perché la Sezione di alta sicurezza del carcere di Larino, quasi 200 persone, si è messa in ribellione davanti a questa frase». Il discorso di Isernia. Dopo il saluto agli ammalati nella Cattedrale di Isernia, il Pontefice ha incontrato gli abitanti della città molisana: "La Misericordia e la profezia di un mondo nuovo, in cui i beni della terra e del lavoro siano equamente distribuiti e nessuno sia privo del necessario, perché la solidarietà e la condivisione sono la conseguenza concreta della fraternità", ha detto Bergoglio nell'ultimo discorso della sua visita in Molise con cui ha aperto l'anno giubilare in occasione dell'ottavo centenario della nascita di San Pier Celestino, il Papa del "gran rifiuto".
«Caro Papa Francesco, ti hanno già scritto in tanti e la mia lettera forse è superflua ma sento comunque di doverla scrivere. In Molise fervono i preparativi per il tuo arrivo che a me sembra più una parata di autorità e di “prescelti” che un incontro con la collettività, quella vera, quella che crede, che combatte duramente e qualche volta vince, ma che spesso, troppo spesso perde. Qui non vedrai chi lotta la corruzione e diffonde la legalità da anni ma probabilmente stringerai mani di corrotti o addirittura di condannati che per il loro ruolo, e solo per quello, avranno il privilegio di baciare la tua mano. Faranno di tutto per farti ignorare la realtà che vive questa regione per paura che tu sappia la verità. Come Presidente della Commissione Anticorruzione del Molise comunque sono davvero felice che i molisani possano vederti. Per te nutro una profonda stima poiché hai scelto di porti non come maestro di dottrina, ma come esempio, come autentica guida morale e spirituale a prescindere dalla fede professata. Mi entusiasmi perché rianimi, motivi, infondi fiducia, indicando criteri per rileggere e convertire le “pratiche religiose” in fatti concreti. In fondo, nei tuoi primi mesi di pontificato non hai fatto altro che incoraggiare e spronare la Chiesa ad uscire dal ripiegamento su se stessa e dai discorsi autoreferenziali, nella convinzione che solo “mettendosi in gioco” si fa esperienza concreta e si realizza il bene comune. Nel tuo libro “Guarire dalla Corruzione” affermi con grande lucidità che la corruzione è diversa dal peccato, perché per il peccato c’è sempre perdono, per la corruzione no. Dalla corruzione è necessario guarire. Ed è un cammino faticoso, dove persino la parola di Dio stenta a far breccia. Per i corrotti quindi è previsto l’inferno. Per i corrotti non c’è salvezza. Una meditazione morale, complessa e profonda che apprezzo molto. Un’idea che, se pur da presupposti diversi, anche la nostra associazione persegue in Molise da quasi tre anni e che vede nelle tue parole la conferma dei nostri sforzi nel difficilissimo cammino di lotta alla corruzione. Caro Papa Francesco, certamente non ci incontreremo in terra molisana per cui ti auguro ogni bene sperando che continuerai ad essere inflessibile contro i corrotti! Grazie papa Francesco.» Vincenzo Musacchio
Arriva il Papa, tutti pronti per la messa in scena. Finalmente ci siamo, scrive Giovanna Ruggiero su "La Gazzetta del Molise". Ancora qualche ora e i cittadini molisani saranno onorati di ricevere la visita di papa Francesco. Si contano sulle punta delle dita di una mano le manifestazioni che hanno visto il Molise protagonista a livello mondiale. Una piccola terra dimenticata da tutti, politici e non. Quasi non facesse parte dell’Italia. Bergoglio, dopo appena un anno e tre mesi dalla sua elezione a Santo Padre, ha invece confermato di guardare verso le terre più bisognose organizzando il suo viaggio in questo lembo di terra. Arriverà in elicottero. Peccato. In auto avrebbe potuto rendersi conto di come questa regione sia isolata dal resto d’Italia per via di una mobilità stradale arretrata. Anche se allo stesso tempo avrebbe potuto godere delle bellezze molisane guardando fuori dal finestrino. E nel guardare le pale eoliche sparse ovunque avrebbe magari potuto chiedersi: cosa succede in questa regione? Già, perché il Molise è un terra maltrattata e bisfrattata proprio da gran parte di coloro che domani siederanno in prima fila e gli stringeranno la mano. Quasi nessuno di loro applica le sue parole: “la politica è carità”. Perché se così fosse, qualcuno dovrebbe spiegare come mai in Molise nell’ultimo anno si sono persi 7.700 posti di lavoro. Dati allarmanti che si sono aggiunti al già alto tasso di disoccupazione. Tutti i governanti saranno seduti lì, in prima fila, a fare gli onori di casa. Ma nessuno di loro racconterà che in questo anno di governo, per giunta di centrosinistra, hanno mandato a casa i lavoratori delle società partecipate, i precari della Regione e degli enti regionali. Il papa non saprà delle vertenze dello Zuccherificio a Termoli, la Gam a Bojano, l’Ittierre a Isernia. E poi ancora la Fiat a Termoli, le Esattorie, la Molise Dati, i precari della Protezione Civile, la chiusura della Biblioteca Albino di Campobasso. Per non parlare della sanità. Chissà se qualcuno racconterà al papa cosa vuol dire sentirsi male in Molise, correre al pronto soccorso e restare lì per ore, quando va bene. Chissà se quando i rappresentanti del governo regionale riferiranno di come, con la scusante della spending review, hanno tolto lavoro e dignità ad un popolo che continua a non arrendersi e soffre in silenzio. Nessun politico regionale gli racconterà dell’aumento di tasse per cittadini e imprese che questo governo ha deciso mentre, nel frattempo, si trovavano escamotage per aumentare le proprie indennità. “Tante persone vanno alla mensa e di nascosto, piene di vergogna, portano a casa del cibo. La loro dignità è progressivamente depauperata, vivono in uno stato di prostrazione” ha già affermato Bergoglio. Bene, in Molise non ci sono neppure mense per i poveri. “Marx non ha inventato niente, la Chiesa da sempre pensa ai deboli” sono parole che hanno fatto scalpore. Qualcuno gli dirà che i suoi stessi colleghi molisani, parroci e vescovi, collaborano a piene mani con il favoreggiamento del lavoro nero, pagato a quattro soldi e senza neppure uno stralcio di contratto? O forse qualcuno, nel segreto della confessione, potrebbe raccontare di come magicamente spariscono soldi pubblici, o di quanto lavoro ci vuole per utilizzare soldi del popolo da investire fintamente nelle proprie aziende decidendo i finanziamenti nel ruolo di governo. Oppure si potrebbe raccontare di come nel Basso Molise la Curia ha provveduto ad acquistare i terreni su cui impiantare la mega stalla delle Gran Manze che avrebbe prodotto un danno immane alla popolazione e alle terre regionali che vivono di agricoltura. E in tutto questo la Chiesa molisana tace pronta però a gestire un evento con assoluto autoritarismo. Bregantini, uomo vicino ai poteri più forti che qui in Molise non se ne vedono, manderà a parlare con il santo padre un ragazzo in nome degli agricoltori che non è agricoltore ma sicuramente ha una posizione politica da lui condivisa (Pd). Così come la scelta del monsignore di far intervenire una dipendente Fiat è ricaduta ad una dei pochi che prendono lo stipendio. Bergoglio parlando della politica dice: “Io sono responsabile del loro governo e devo fare il meglio perché loro governino bene e devo fare il meglio partecipando nella politica come io posso. La politica – dice la Dottrina Sociale della Chiesa – è una delle forme più alte della carità, perché è servire il bene comune. Io non posso lavarmi le mani, eh? Tutti dobbiamo dare qualcosa!”. Tra qualche ora inizierà la messa in scena di quanti hanno il diritto/dovere di decidere il destino di questo lembo di terra e invece di indirizzare fatti e atti verso un cammino meno ripido per il popolo, si appellano al Santo Padre per chiedere coraggio. Dimenticando di scrivere delle proprie azioni volte solo alla tutela di un interesse personale che con il bene comune ha poco a che fare, se non per interferenza verso la vocazione di una terra. Ancorati e inchinati ad un dio che si chiama denaro. Il Molise della farsa accoglierà papa Francesco. Ma grazie a Dio sarà numericamente maggiore il numero dei molisani onesti che si riverserà per strada pronti a raccogliere uno sguardo o una carezza. Così come altrettanto numerosi saranno i malati che lo guarderanno dagli schermi televisivi delle loro abitazioni felici di ascoltare una parola di conforto da quell’uomo vestito di bianco che ha ricordato a tutti dell’esistenza di questa terra chiamata Molise.
L’ITALIA DEGLI IPOCRITI. GLI INCHINI E LA FEDE CRIMINALE.
L’italiano è stato da sempre un inchinante ossequioso. Ti liscia il pelo per fottersi l’anima.
Fino a poco tempo fa nessuno aveva mai parlato di inchini. Poi i giornali, in riferimento alla Concordia, hanno parlato di "Inchini tollerati". Lo sono stati fino a qualche ora prima della tragedia sulla Costa Concordia che ha provocato morti e feriti incagliandosi sulla scogliera davanti al porto dell'Isola del Giglio. Repubblica.it lo ha documentato: nei registri delle capitanerie di porto che dovrebbero controllare il traffico marittimo, emerge che la "Costa Concordia" - così come tutte le altre navi in zona e in navigazione nel Mediterraneo e nei mari di tutto il mondo - era "seguita" da Ais, un sistema internazionale di controllo della navigazione marittima che è stato attivato da alcuni anni e reso obbligatorio da accordi internazionali dopo gli attentati dell'11 settembre (in funzione anti-terrorismo) e dopo tante tragedie del mare avvenute in tutto il mondo. Si è scoperto così che quel passaggio così vicino all'isola del Giglio era un omaggio all'ex comandante della Costa Concordia Mario Palombo ed al maitre della nave che è dell'isola del Giglio. Si è scoperto anche che per ben 52 volte all'anno quella nave aveva fatto gli "inchini". Inchini che fino al giorno prima, fino a prova contraria, erano stati tollerati: nessuno fino ad allora aveva mai chiesto conto e ragione ai comandanti di quelle navi. Nessuno aveva cercato di capire perché passassero così vicini alla costa dove per legge è anche vietato (se una piccola imbarcazione sosta a meno di 500 metri dalle coste, se beccata dalle forze dell'ordine, viene multata perché vietato). Figuriamoci se a un bestione come la Costa Concordia è consentito "passeggiare" in mezzo al mare a 150-200 metri dalla costa. Il comandante Schettino, come confermano le indagini e le conversazioni radio con la capitaneria di porto di Livorno, ha fatto errori su errori, ma nessuno prima gli ha vietato di avvicinarsi troppo all'isola del Giglio. Quando si è incagliata era troppo tardi.
Da un inchino ad un altro. Dopo il 2 luglio 2014 l’anima italica, ipocrita antimafiosa, emerge dalle testate di tutti i giornali. I moralisti delle virtù altrui, per coprire meglio le magagne governative attinenti riforme gattopardesche. Si sa che parlar dei mondiali non attecchisce più per la male uscita dei pedanti italici. Pedanti come ostentori di piedi pallonari e non di sapienza. Lo dice uno che sul tema ha scritto un libro: “Mafiopoli. L’Italia delle mafie”.
Una protesta plateale. Se la Madonna fa l’inchino ai boss, i carabinieri se ne vanno. Se i fedeli e le autorità, civili e religiose, si fermano in segno di “rispetto”, davanti alla casa del mafioso, le forze dell’ordine si allontanano, in segno di protesta. E ne diventano eroi. Tanto in Italia basta poco per esserlo. È successo il 2 luglio 2014, a Oppido Mamertina, piccolo paese in provincia di Reggio Calabria, sede di una sanguinosa faida tra mafiosi: durante trenta secondi di sosta per simboleggiare, secondo tutti i giornali, l’inchino al boss Giuseppe Mazzagatti, i militari che scortavano la processione religiosa si sono allontanati. Tutti ne parlano. Tutti si indignano. Tutti si scandalizzano. Eppure l’inchino nelle processioni è una tradizione centenaria in tantissime località del sud. Certo è che se partiamo con la convinzione nordista mediatica che il sud è terra mafiosa, allora non ci libereremo mai dei luoghi comuni degli ignoranti, che guardano la pagliuzza negli occhi altrui. Gli inchini delle processioni si fanno a chi merita rispetto: pubbliche istituzioni e privati cittadini. E’ un fatto peculiare locale. E non bisogna additare come mafiosi intere comunità (e dico intere comunità), se osannano i singoli individui e non lo Stato. Specie dove lo Stato non esiste. E se ha parvenza di stanziamento, esso dà un cattivo esempio. A volte i giudizi dei tribunali non combaciano con quelle delle comunità, specie se il reato è per definizione nocumento di un interesse pubblico. Che facciamo? Fuciliamo tutti coloro che partecipano alle processioni, che osannano chi a noi non è gradito? A noi pantofolai sdraiati a centinaia di km da quei posti? Siamo diventati, quindi, giudici e carnefici? Eliminiamo una tradizione centenaria per non palesare il fallimento dello Stato?
Dare credibilità agli amministratori locali? Sia mai da parte dei giornali. Il sindaco di Oppido Mamertina, Domenico Giannetta, ha rilasciato un lungo comunicato per spiegare l'accaduto «Noi siamo una giovane amministrazione che si è insediata da 40 giorni e non abbiamo nessuna riverenza verso un boss. Se i fatti e le motivazioni di quella fermata sono quelli ricostruiti finora noi siamo i primi a condannare e a prendere le distanze», spiega Domenico Giannetta, sindaco di Oppido Mamertina. «A quanto appreso finora - spiega ancora il sindaco - la ritualità di girare la madonna verso quella parte di paese risale a più di 30 anni, ma questa - chiarisce Giannetta - non deve essere una giustificazione. Se la motivazione è, invece, quella emersa condanniamo fermamente. Noi - sottolinea - siamo un’amministrazione che vuole perseguire la legalità. Ci sentiamo come Amministrazione Comunale indignati e colpiti nel nostro profilo personale e istituzionale. Era presente al corteo religioso tutta la Giunta Comunale, il Presidente del Consiglio Comunale, il Comandante della Polizia Municipale e il Comandante della Stazione dei Carabinieri di Oppido. Giunti all'incrocio tra via Ugo Foscolo e Corso Aspromonte, nel seguire il Corteo religioso tutti i predetti camminando a piedi svoltavamo a sinistra, circa 30 metri dietro di noi vi erano i presbiteri e ancora dietro la vara di Maria SS. Delle Grazie. Mentre tutti procedevamo a passo d'uomo la vara si fermava all'intersezione predetta e veniva girata in direzione opposta al senso di marcia del Corteo, come da tradizione. Peraltro, nell'attimo in cui i portatori della vara hanno espletato tale rotazione, improvvisamente il Comandante della Stazione locale dei Carabinieri che si trovava alla destra del Sindaco si è distaccato dal Corteo, motivando che quella gestualità era riferibile ad un segno di riverenza verso la casa di Mazzagatti. Sentiamo dunque con sobrietà di condannare il gesto se l'obiettivo era rendere omaggio al boss, perché ogni cittadino deve essere riverente alla Madonna e non si debba verificare al contrario che per volontà di poche persone che trasportano in processione l'effigie, venga dissacrata l'onnipotenza divina, verso cui nessun uomo può osare gesto di sfida. Dal canto nostro nell'immediatezza del fatto, nel dubbio abbiamo agito secondo un principio di buon senso e non abbiamo abbandonato il Corteo per non creare disagi a tutta la popolazione oppidese ed ai migliaia di fedeli che giungono numerosi da diversi paesi ed evitare il disordine pubblico».
Se non vanno bene, possiamo cambiare le regole. Bene ha fatto a centinaia di km in quel di Salerno il clero locale. Meno applausi e più preghiere, affinchè la processione di San Matteo ritorni ad essere «un corteo orante» e non un teatro o un momento «di interessi privatistici», scrive “La città di Salerno”. L’arcivescovo Luigi Moretti annuncia così le nuove “regole” che, in linea con la Cei, caratterizzeranno la tradizionale celebrazione dedicata al Santo Patrono, invitando tutti - fedeli, portatori, istituzioni - a recuperare il senso spirituale della manifestazione. Non sono previste fermate dinanzi alla caserma della Guardia di Finanza, nè dinanzi al Comune. Aboliti gli “inchini” delle statue che per nessuna ragione dovranno fermarsi sulla soglia di bar e ristoranti, visto che «sono i fedeli che si inchinano ai Santi e non il contrario». Nessuna “ruota” delle statue, fatta eccezione per tre momenti di sosta all’altezza di corso Vittorio Emanuele, corso Garibaldi e largo Campo. I militari che sfileranno dovranno essere rigorosamente non armati e le bande saranno ridotte ad un unica formazione. Le stesse statue saranno compattate «in un blocco unico per evitare dispersioni». Nei giorni che precedono la processione saranno organizzate iniziative nelle parrocchie della zona orientale, «che prima erano tagliate fuori dalla celebrazione». Il corteo sarà aperto da croci e candelabri, poi le associazioni, con l’apertura anche a quelle laiche, altra novità di quest’anno. A seguire la banda, le statue, il clero «su doppia fila», l’arcivescovo che precederà San Matteo e dietro i Finanzieri, il Gonfalone del Comune e le autorità con il popolo. Durante la sfilata «si pregherà e verranno letti dei brani del Vangelo». No ai buffet allestiti per ingraziarsi il politico di turno con brindisi e pizzette. «Quelle, se i fedeli vorranno, potranno recapitarle a casa dei portatori», ha ironizzato Moretti. «Ben venga chi vuole offrire un bicchiere d’acqua a chi è impegnato nel trasporto delle statue, ma il resto no, perchè c’è un momento per fare festa ed uno per pregare».
In conclusione sembra palese una cosa. Gli inchini nelle processioni non sono l’apologia della mafia, ma spesso sono atti senza analisi mediatica dietrologica. Molte volte ci sono per ingraziarsi, da parte dei potenti, fortune immeritate. Sovente sono un segno di protesta contro uno Stato opprimente che ha vergognosamente fallito.
L’italiano è stato da sempre un inchinante ossequioso. Ti liscia il pelo per fottersi l’anima. Si inchina a tutti, per poi, un momento dopo, tradirlo. D'altronde ognuno di noi non si inchina a Dio ed ai Santi esclusivamente per richieste di tornaconto personale? Salute o soldi o carriera?
Ricordatevi che lo sport italico è solo glorificare gli appalti truccati ed i concorsi pubblici falsati.
IL MOLISE DEI VELENI. BUFERA SULLA POLIZIA.
Questore indagato: “Ha trasferito le indagini per favorire Frattura”. Lui smentisce: “Accuse false”. Secondo la lettera del pm Fabio Papa pubblicata oggi dal Corriere della Sera, il questore di Campobasso Pozzo avrebbe disatteso l’ordine del magistrato affidando le indagini su una ex società del Governatore Frattura alla Squadra Mobile invece che alla Digos, come chiesto dal pm. Il giornalista Sergio Rizzo ricostruisce la vicenda sull’edizione odierna del quotidiano. Il diretto interessato, iscritto sul registro degli indagati per abuso d’ufficio e favoreggiamento personale, nega di aver disposto trasferimenti d’indagine: «Non ho il potere di disporre che un’indagine vada fatta da un ufficio piuttosto che da un altro». Dietro il caso, che ha innescato un terremoto in Molise, l’ombra del conflitto d’interessi. Il numero due della Questura è la sorella del governatore, contro la quale Iorio ha presentato un esposto che ora Papa chiede di acquisire, scrive Assunta Domeneghetti su “Primo Numero”. Avrebbe disatteso l’ordine del pm Fabio Papa di affidare agli agenti della Digos le indagini sulla Biocom, la società di cui Paolo Frattura è stato socio fino al 2011. Per questa ragione il questore di Campobasso, Gian Carlo Pozzo, è stato iscritto nel registro degli indagati con le accuse di abuso d’ufficio e favoreggiamento personale. In pratica, è il sospetto del magistrato, il questore avrebbe volutamente affidato l’inchiesta alla Squadra Mobile e non alla Digos proprio perché in passato la Squadra Mobile non aveva rilevato nulla di penalmente rilevante a carico di Frattura e della Biocom. Il questore, investito dalle accusa, nega tutto. E racconta a Rai Tre Molise di non aver disposto alcun trasferimento d’indagine «perché non ho il potere di disporre che un’indagine vada fatta da un ufficio piuttosto che da un altro». Racconta pure, Pozzo, di essere «allibito per le accuse che mi sono state rivolte» confidando in una risoluzione positiva e aggiungendo che l’informazione di garanzia non gli è stata nemmeno recapitata «ma vista la fonte autorevole non dubito che sia vero». La «fonte autorevole» è il giornalista Sergio Rizzo il quale, sulle colonne del Corriere della Sera di oggi, mercoledì 15 gennaio, ha pubblicato alcune parti della lettera che Fabio Papa, titolare dell’indagine, ha scritto al procuratore generale Fabio D’Alterio, al capo della Procura e a tutti i colleghi d’ufficio, per spiegare le ragioni della sua iniziativa giudiziaria. Sono accuse pesanti quelle mosse dal pm, legate a un’inchiesta sui contributi pubblici incassati dalla Biocom, società di cui era proprietario l’attuale governatore Frattura, per la realizzazione di un impianto a biomasse a Termoli. La centrale, per la quale l’imprenditore Frattura aveva ottenuto sei anni fa dall’ex governo di centrodestra 265mila euro, non si realizzò mai. Problemi nei permessi, infatti, fecero saltare il progetto e alla Biocom venne chiesto di restituire i fondi ottenuti. Per quella revoca Frattura presentò anche un ricorso al Tar che gli diede ragione dicendo, sostanzialmente, che se avesse restituito i soldi in un’unica tranche la Biocom sarebbe fallita. La sentenza del Tar giunse a tre mesi dalle elezioni regionali vinte per un soffio da Michele Iorio nell’ottobre 2011 proprio su Frattura, e giusto qualche settimana prima della messa in liquidazione volontaria della società. Il verdetto elettorale di quell’autunno 2011 fu cancellato, come noto, da un ricorso che ha riportato alle urne i molisani nel febbraio 2013 quando Frattura ce l’ha fatta e immediatamente dopo ha rinunciato alle sue quote nella Biocom cedendo il pacchetto a Vittorino Del Cioppo, candidato non eletto con l’Idv. La restituzione dei fondi “indebitamente” percepiti da Frattura è stata l’ultima carta che Michele Iorio si è giocato in campagna elettorale. Nonché una delle prime dell’altro candidato presidente sconfitto, Massimo Romano. A marzo dell’anno scorso la “nuova” Regione- presieduta da Frattura – ha fatto ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar che aveva stoppato la restituzione di quel vecchio finanziamento “concesso alla sua ‘ex’ società” come spiega Rizzo riferendosi a un “secondo micidiale conflitto d’interessi”. “La revoca tuttavia si è impantanata” e sono partiti nuovi esposti. E qui si giunge alla prima indagine sull’affare Biocom condotta dagli agenti della Squadra Mobile che a inizio estate hanno concluso il loro lavoro escludendo rilievi di natura penale. Insomma, a loro giudizio il caso andava archiviato e la soluzione affidata ai giudici amministrativi. Il pm Papa, invece di accogliere il suggerimento della Squadra Mobile,decise invece di affidare un nuovo incarico alla Digos. Che nella realtà non ha mai indagato sulla questione perché, questo almeno sostiene Papa nella sua lettera - “inopinatamente, indebitamente e sorprendentemente Pozzo è intervenuto su una delega dell’autorità giudiziaria (cioè del pm, ndr) fornendo giustificazioni da valutare e comunque decisamente confutabili e già confutate”. Per stringere: Papa dice a Pozzo di affidare nuove indagini sulla Biocom alla Digos perché quelle della Mobile a suo giudizio non sono state accurate. Lui disubbidisce e le riaffida alla Squadra Mobile, il pm s’infuria e gli chiede spiegazioni. Le risposte di Pozzo però non sono soddisfacenti e per questo lo iscrive nel registro degli indagati. Il questore, al contrario, sostiene che il potere di trasferire le indagini lui non ce l’ha proprio. Pozzo può, insomma, solo eseguire gli ordini dell’autorità giudiziaria. «Dicono che sono accusato di aver favorito il presidente Paolo di Laura Frattura - commenta il questore - e di aver conseguentemente abusato del potere del mio ufficio. Poichè questo non è stato, ritengo e credo che non dovrebbe essere una cosa laboriosa arrivare alla verità. Poi io cercherò di aiutare l’autorità giudiziaria procedente in tutto questo, per quello che mi sarà consentito fare». Sulla Squadra Mobile, intanto, quella denunciata dal Corsera è la seconda bufera che si abbatte in poco tempo. Va ricordato, infatti, che già l’ex presidente Michele Iorio aveva denunciato, mesi fa, un conflitto d’interessi tra Questura e Regione Molise per la presenza della sorella del governatore nel Gabinetto del questore di cui la dottoressa Giuliana Di Laura Frattura è il numero due (vice questore vicario). Sempre nella lettere che Papa scrive a D’Alterio si chiede di acquisire anche l’esposto di Iorio. E c’è, infine, un’interrogazione parlamentare del senatore Ulisse Di Giacomo che chiede l’intervento del ministro dell’Interno Angelino Alfano su questa parentela “ai massimi livelli istituzionali”. L’ex delfino di Berlusconi, a detta del medico di Carovilli, promise il suo interessamento alla vicenda anticipando un’imminente ispezione negli uffici di via Tiberio che non c’è mai stata. Fino a questo momento.
Denunce ed esposti, il Molise dei veleni. E nel ciclone finisce anche il questore, scrive Enzo Luongo su “Prima Pagina Molise”. Nel ciclone dei veleni politici molisani finisce travolto addirittura il questore di Campobasso. Gian Carlo Pozzo è indagato per abuso di ufficio e favoreggiamento personale. Un fulmine, questo, a ciel sereno, ma fino a un certo punto. Perché è dallo scorso autunno che in Molise la guerra di schieramenti, con protagonisti il governatore Paolo Frattura e il suo predecessore Michele Iorio, chiama in causa anche le principali forze dell'ordine di Campobasso. Tutto ha inizio a metà novembre, quando l'ex presidente torna in scena con una conferenza stampa al vetriolo per accusare la polizia del capoluogo e con essa Paolo Frattura. "So che ci sono indagini in corso su di me e su persone a me vicine. Non mi sento sicuro - lamenta Iorio - poiché a Capo del Gabinetto della Questura c'è la sorella dell'attuale presidente della Regione, la dottoressa Giuliana Frattura". Un'accusa che in Molise scatena, va da sé, un terremoto sotterraneo piuttosto tumultuoso. A rincarare la dose, dopo nemmeno un mese dalle pubbliche accuse di Iorio, ci pensa il senatore del Nuovo centrodestra, Ulisse Di Giacomo, appena tornato a Palazzo Madama dopo l'uscita di Berlusconi. Di Giacomo, tra i suoi primi atti, presenta un'interrogazione ai Ministri Alfano e Cancellieri per chiedere al governo di inviare in Molise ispettori in grado di verificare la condotta della polizia del capoluogo. Alla luce degli attacchi, altrettanto fa il governatore Frattura. In sostanza, accusato di manipolare le indagini della questura attraverso il ruolo della sorella, Giuliana, risponde scrivendo lui stesso una lettera al premier Letta e al Ministro Alfano per chiedere chiarezza sulle vicende in corso e anche lui chiede l'invio di ispettori. Gli avversari del presidente in carica intanto rispolverano una vecchia inchiesta su un finanziamento, circa 300 mila euro, alla società Biocom, di cui Frattura è stato socio fino a qualche tempo fa. La Biocom deve costruire una centrale a biomasse nel territorio di Termoli. Il Comune del centro adriatico però blocca tutto, non concedendo il permesso di costruire. Parte la battaglia davanti alla giustizia amministrativa sulla revoca del finanziamento: in primo grado il Tar dà ragione alla Biocom. Il ricorso della Regione è ora pendente al Consiglio di Stato. Le indagini della procura, aperte dopo la presentazione di alcuni esposti, furono affidate alla Squadra mobile e si chiusero a metà dello scorso anno: la polizia non trovò rilievi penali. Altri esposti però sono poi arrivati nei mesi successivi e così il pubblico ministero Fabio Papa ha riaperto il caso incaricando stavolta delle indagini la Digos. A questo punto, secondo l'accusa, il questore avrebbe fatto diversamente affidando di nuovo l'indagine alla Squadra mobile. Di qui l'iscrizione di Pozzo nel registro degli indagati. La notizia, pubblicata dal Corriere della sera, diventa di dominio pubblico e si accendono così nuove polemiche. "Sono sereno, credo siano accuse che cadranno facilmente - commenta lo stesso questore -. Penso che non ci metteranno molto a capire come stanno le cose". Pozzo inoltre getta acqua sul fuoco anche in merito alle polemiche sulla sorella di Frattura: "Il nostro ordinamento non prevede incompatibilità tra l'incarico della dottoressa con l'incarico del fratello. Peraltro lei ricopre un incarico che riguarda sostanzialmente l'ordine pubblico, e non si occupa di indagini". Anche Frattura si dice certo che le cose si chiariranno: "I miei rapporti con il questore di Campobasso sono sempre stati rapporti solo ed esclusivamente istituzionali. Sono sbalordito per l'accaduto, ma sereno perché con la coscienza a posto e perché convinto che tutto si chiarirà presto e che su questa assurda storia si farà piena luce".
L'inchiesta sugli «affari del presidente» fa tremare, oltre ai palazzi della politica, anche la questura di Campobasso, investita da una vera bomba giudiziaria, scrive Carmen Sepede su “Il Tempo”. Il sostituto procuratore Fabio Papa ha iscritto nel registro degli indagati il questore Gian Carlo Pozzo, per abuso d'ufficio e favoreggiamento personale. Per aver cioè affidato l'indagine sulla «Biocom», l'ex società del governatore Paolo di Laura Frattura, alla Squadra Mobile, togliendola alla Digos. Decisione clamorosa, della quale Papa ha informato in una lettera il procuratore generale e i colleghi magistrati. Tutto nasce dall'inchiesta sui finanziamenti concessi nel 2008 alla Biocom dalla Regione, allora guidata da Michele Iorio, 265.000 euro per progettare un impianto di biomasse a Termoli. Il progetto sfuma per il no del Comune di Termoli, e la Regione chiede indietro i finanziamenti. La Biocom allora si rivolge al Tar, che gli dà ragione (ora la vicenda è al Consiglio di Stato), e la società viene messa in liquidazione prima della candidatura di Frattura a governatore, nel 2011. Intanto, a seguito di alcuni esposti parte l’indagine sulla Biocom, affidata alla Mobile e conclusa con un rapporto in cui si dice che «la vicenda Biocom è stata oggetto di ricorso amministrativo e non ci sono rilievi di natura penale». Arrivano altre segnalazioni e Papa riapre il caso, rivolgendosi alla Digos. Ma interviene il questore, che toglie l’indagine alla Digos per ridarla alla Mobile. Da qui l'apertura del procedimento nei confronti di Pozzo «in ossequio al principio dell’obbligatorietà» chiarisce Papa, per abuso d’ufficio e favoreggiamento. La vicenda si intreccia alla denuncia fatta da Michele Iorio, sull'indagine nei suoi confronti portata avanti dalla questura dove il capo di gabinetto è Giuliana Frattura, sorella del governatore. Questione di cui il senatore del Nuovo centrodestra Ulisse Di Giacomo ha informato in un’interrogazione parlamentare il ministro dell’Interno Alfano. E gli ispettori in questura li ha chiesti anche Frattura in una lettera al Governo del 29 dicembre. «La cosa mi lascia perplesso, non mi hanno notificato alcun atto e credo che si tratti di accuse che cadranno facilmente – ha commentato il questore Pozzo –. Io sono sereno, sicuro di aver lavorato correttamente. Dicono che sono accusato di aver favorito il presidente Frattura. Poiché questo non è stato, non dovrebbe essere cosa laboriosa arrivare alla verità. Il nostro ordinamento non prevede incompatibilità tra l’incarico del governatore e quello della dottoressa Frattura, che non si occupa di indagini ma di ordine pubblico». E «sereno sotto tutti i punti di vista» si è detto anche Frattura. «Di questa vicenda – ha commentato - non so nulla. Non ho avuto alcun rapporto col questore e invito per certificarlo a controllare i tabulati telefonici». Poi il commento sulle «ridicole accuse su inesistenti favoritismi che avrei ricevuto dalla questura, perché mia sorella lavora lì». Sulla vicenda il deputato e coordinatore di Fi Sarro ha presentato un’interrogazione al ministro Alfano.
L’affaire Biocom potrebbe avvelenare il clima politico-istituzionale nella Regione Molise, scrive Emanuele Bracone su Termoli on line. L’affondo micidiale di Sergio Rizzo che ieri sulla prima pagina del Corriere della Sera ha amplificato a livello nazionale il coinvolgimento nell’inchiesta da parte dei vertici della Questura di Campobasso è stato solo il prologo rispetto all’iniziativa portata avanti dal Pm Fabio Papa, che non si fa cruccio si andare all’assalto del potere politico, visto anche cosa ha determinato nella carriera di Michele Iorio. Al comune di Termoli, proprio per acquisire documenti relativi all’indagine partita nel capoluogo, si sono presentati i carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale, a cui la Procura ha delegato l’attività di polizia giudiziaria. I militari dell’Arma hanno richiesto tutti gli atti relativi alle richieste e al contenzioso Biocom. La Biocom chiese il permesso di costruire all’allora giunta Greco, che col dirigente Berchicci la bocciò in assenza del piano di rischio idraulico dell’autorità di bacino del Biferno, visto che si era anche a soli 6 anni dall’evento alluvionale che sconvolse la vallata. Cominciò così una guerra amministrativa, che portò la Biocom a ricorrere prima al Tar Molise con l’istanza di sospensiva cautelare, negata e quindi al Consiglio di Stato, che riformando la sentenza di primo grado dette ragione alla società, invitata a formulare quote di rischio idraulico direttamente all’Autorità di bacino. Nel frattempo a Termoli era cambiata l’amministrazione comunale e anche qui il diniego venne impugnato con varie diffide, sino al ricorso al commissario ad acta (quel Marcello Vitiello che sospese settimane fa il cantiere di Blu costruzioni) che superò ogni ostacolo. Ma proprio sul più bello arrivò la rinuncia della Biocom (2012) al permesso di costruire. Tutto questo iter sarà oggetto dell’acquisizione documentale che andrà in Procura a Campobasso, nelle mani del sostituto Papa.
«Che cosa vi ha uniti?», le chiede www.primapaginamolise.it. E lei, risoluta: «Una fortissima sintonia di pensiero», scrive Sergio Rizzo su “Il Corriere della Sera”. Senza sintonia con il governatore Paolo Di Laura Frattura, uomo che dovrebbe incarnare il rinnovamento dopo 12 anni di regno di Michele Iorio, l'ingegner Mariolga Mogavero non sarebbe certo arrivata fin qui. Ovvero, nella stanza dei bottoni della piccola Regione Molise, capo di gabinetto e segretario generale della nuova giunta di centrosinistra. Così da attirarsi le invidiose attenzioni di chi l'ha già acidamente battezzata «la governatrice». Mariolga, però, è qualcosa di più. Tanto che per dipanare l'incredibile intreccio di interessi privati, relazioni politiche, parentele e coincidenze che si addensa intorno alla figura del governatore, non si può che cominciare da lei, sua factotum. E da una società di consulenza, la Gap consulting di Campobasso, di cui l'ingegner Mogavero ha il 50%. Non è una società qualunque: si è candidata a fare un impianto a biomasse, per cui ha presentato apposita richiesta alla Regione. Ma nemmeno la titolare del restante 50% è una persona qualsiasi. Si tratta infatti della compagna del futuro governatore, Gilda Maria Antonelli. Il 10 marzo del 2011 entrambe le signore escono di scena vendendo ai mariti. La quota di Mariolga Mogavero finisce alla società (Civitas) del suo consorte Luca Di Domenico. Quella di Gilda Maria Antonelli, invece, alla società (Proter) del suo compagno. Il 30 gennaio 2012 la Gap regala quindi il progetto della centrale alla Civitas di Di Domenico. In quel momento Di Laura Frattura è il capo dell'opposizione regionale: alle elezioni di novembre 2011 è stato sconfitto da Iorio, di cui a lungo era stato il braccio destro prima di passare al centrosinistra. Intervistato dal giornalista Paolo De Chiara respinge ogni sospetto di conflitto d'interessi. «Con le biomasse non ho nulla a che fare. Quando l'iter autorizzativo è partito non avevo nessun impegno politico. Se faccio politica non posso fare l'imprenditore», taglia corto. Passa un anno e diventa governatore, ventotto anni dopo suo padre Ferdinando, democristiano. Ma qui cominciano i problemi. Perché quando si hanno tanti interessi già è difficile guidare l'opposizione, figuriamoci la giunta. Soprattutto in una città piccola, dove le voci, talvolta insieme alle maldicenze, si rincorrono. E tutti si conoscono. Luca Di Domenico, per esempio, conosce di sicuro l'ex sindaco Giuseppe Di Fabio. Non fosse altro perché sua sorella Marilina Di Domenico, candidata con Fratelli d'Italia alle ultime politiche, è stata assessore comunale. Inoltre la società delle biomasse ha lo stesso indirizzo di una onlus, la Seconda ala, che fa capo all'ex primo cittadino. Anni d'oro, per Campobasso, quelli di Di Fabio: anni in cui partiva il progetto delle Due torri, iniziativa edile milionaria della società Immobiliare le torri, controllata al 51% dall'attuale governatore. Iniziativa pensata per ospitare nientemeno che la nuova sede della Regione. Anche qui fra mille coincidenze. Il costruttore, nonché socio di Di Laura Frattura alla partenza dell'operazione, è l'impresa Nidaco. I proprietari? Cotugno Nicandro, figlio di Cotugno Vincenzo, attuale consigliere regionale, e Giuseppina Patriciello, moglie di Vincenzo Cotugno e sorella dell'europarlamentare Pdl Aldo Patriciello. Vincenzo Cotugno, dettaglio, è in attesa di nomina ad assessore regionale: sarebbe il quinto, ma le norme dicono non più di quattro. Si dovranno quindi cambiare legge e statuto. Coincidenze e intrecci però non finiscono qua. La società della centrale a biomasse del marito di Mariolga Mogavero, ricordate? Il 15 aprile scorso se la compra quasi tutta (il 99,5 per cento delle azioni) la C&t spa, nonostante un ricorso pendente al Tar. Si tratta di una società del settore energetico che controlla pure il 20% della Biocom. Che cos'è? Un'altra ditta del settore biomasse il cui restante 80 per cento era in mano allo stesso Paolo Di Laura Frattura, e che ha avuto dalla Regione Molise un finanziamento di 300 mila euro per realizzare un impianto a Termoli. Ma siccome il Comune non dà i permessi il contributo viene revocato, con immediato ricorso al Tar contro la Regione da parte del futuro governatore. Il progetto si scioglie, la società va in liquidazione e il 7 marzo 2013, due settimane dopo il voto, Di Laura Frattura si libera di quell'ingombrante pacchetto dell'80%. A comprarlo è il liquidatore Vittorio Del Cioppo, sfortunato candidato alle regionali per l'Idv. Partito che ovviamente sostiene la giunta, come anche Sinistra ecologia e libertà. Unico consigliere vendoliano e capogruppo di se stesso, in un'assemblea regionale con 21 seggi e ben 14 gruppi dei quali addirittura nove composti da una sola persona, è Nico Loffredi, cognato di Paolo Di Laura Frattura. È il marito di sua sorella Giuliana Di Laura Frattura, capo di gabinetto del questore di Campobasso.
Bene, allora cari italiani: TUTTI DENTRO, CAZZO!!
LE ORIGINI DEL MOLISE.
I più antichi insediamenti nella regione risalgono al paleolitico (abbevilliano) e numerosi sono i reperti risalenti al neolitico e all’età del bronzo. I romani conquistarono il Molise nel secolo III a.C. sottomettendo le popolazioni sannitiche che lo abitavano. Passato ai longobardi (secolo VI) e incluso nel ducato di Benevento, riconquistò la propria autonomia (9 contee, secoli X-XII) prima di entrare nei domini dei normanni (1092) che gli diedero l’attuale nome (contea di Boiano, poi del Molise). Sotto Rodolfo e i suoi successori conobbe una notevole espansione territoriale (confini all’alta valle del Volturno), sino a che Federico II non lo unì alla Terra di Lavoro (1221), dopo le guerre degli Svevi per la conquista della Sicilia (Enrico VI, sec. XII). Entrato a far parte del regno spagnolo di Napoli, fu annesso alla Capitanata (1558), mantenendo questa condizione, dopo il passaggio ai Borbone (1735), sino all’unificazione italiana (1860), salvo la breve parentesi autonomista (1806) durante il governo napoleonico. Fra il 1860 e il 1870 fu attivo il fenomeno del brigantaggio.
Devastato dai Goti (535-553 d.C.) e invaso dai Longobardi nel 572, il territorio dell'attuale Molise era anticamente aggregato al ducato di Benevento. Annessione che aprì una fase di turbolenza nella storia della regione, invasa anche dai mercenari bulgari, i quali costituirono un castaldato comprendente Sepino, Isernia, Trivento e Venafro. La Chiesa, dopo la conversione dei Longobardi al cattolicesimo, riuscì ad acquistare nel Molise un notevole potere, ma con l'inizio delle invasioni saracene del IX sec., il territorio subì una pesante crisi economica. Nel X sec. si costituirono alcune signorie feudali che si resero autonome, formando nel tempo nove contee: Venafro, Larino, Trivento (X sec.), Bojano, Isernia, Campomarino, Termoli, Sangro, Pietrabbondante (inizi dell'XI sec.). Fra queste cominciò a prevalere la contea di Bojano, che ebbe come signori i conti normanni Rodolfo (1092) e poi Ugo I di Molhouse (o de Molinis o Molisio) [1095], dai cui forse deriva il nome della regione. Quest'ultimo ingrandì i confini della contea, e nella prima metà del XII sec. il conte Ugo II, poté assumere il titolo di conte di Molise (1144). Alla sua morte (1168), però, la contea del Molise (comitatus Molisii) fu ceduta dalla reggente spagnola Margherita di Navarra e, all'inizio del XIII sec., divenne di Tommaso di Segni conte di Celano, che la perse a sua volta, a favore dell'imperatore Federico II. Il Molise, dopo aver subito diversi mutamenti in epoca angioina e aragonese, nel XVI sec. fu unito alla Capitanata. La regione attraversò, allora, delle fasi difficili, nei secoli XVI-XVIII, dovute all'isolamento e alla decadenza economica, che colpì tutta la penisola italiana. Nel 1806, con l'occupazione francese il Molise fu staccato dalla Capitanata e divenne una provincia autonoma. La dominazione borbonica, però, peggiorò le condizioni della regione e nemmeno l'unità d'Italia portò ad una ripresa del Molise, che divenne anzi uno dei centri del brigantaggio. Nel corso della seconda guerra mondiale, inoltre, il territorio attorno a Campobasso fu devastato da combattimenti, che ebbero termine solo con lo sbarco alleato a Termoli, avvenuto nel settembre del 1943. Il Molise è divenuto una regione autonoma nel 1963.
Il territorio molisano condivise la sua storia con l'Abruzzo, fino alla caduta dell'Impero Romano. Resti di quel tempo si possono ancora osservare a Larino, dove sono stati rinvenuti reperti di mosaici policromi ottimamente fatti. Tutti i principali centri molisani divennero colonie romane, tra cui Isernia, colonia fin dal 262 a.C. , Venafro, città di origine Augustea, e Bojano, nata durante l'epoca di Vespasiano. E' proprio Bojano a diventare il primo territorio autonomo molisano, il Gastaldato di Bojano che, sotto i Normanni, diverrà Comitatus Molisii. Fu invasi dai Goti negli anni dal 535 al 553 d.C. e invaso dai Longobardi nel 572 d.C. Il territorio dell'attuale Molise era unito, anticamente, al ducato di Benevento. Questo periodo di annessione fu causa di particolari turbamenti, dovuti anche ad invasioni da parte di mercenari bulgari, che costruirono un castaldato comprendente Sepino, Isernia, Trivento e Venafro. Dopo la conversione dei Longobardi al Cattolicesimo, la chiesa acquistà molto potere sul Molise, ma con l'inizio delle invasioni saracene del IX secolo il territorio subì una grave crisi economica. Nel X secolo nacquero diverse signorie feudali che si resero autonome, formando nel tempo nove contee: Venafro, Larino, Trivento (X sec.), Bojano, Isernia, Campomarino, Termoli, Sangro, Pietrabbondante (inizi dell'XI sec.). Fra queste prevalse la contea di Bojano, che ebbe come signori i conti normanni Rodolfo e Ugo I di Molhouse (o de Molinis, o Molisio - forse da questo conte deriva il nome della regione). Ugo I ingrandì i confini della contea e, nel XII secolo, il conte Ugo II potè assumere, nel 1144, il titolo di conte di Molise. Una data fondamentale nella storia del Molise è il 1221, anno nel quale l'attuale imperatore Federico II trasformò il Molise in un distretto di giustizia imperiale, dove l'autorità del Re si opponeva a quella dei feudatari. Nel XV secolo il Molise conobbe una forte immigrazione di zingari, schiavoni ed albanesi, i quali fondarono diversi centri e si insediarono nei territori adiacenti Foggia. Il secolo seguente fu unito alla Capitanata. La regione conobbe nuovamente fasi difficili nel secoli XVII e XVIII, dovute all’isolamento e alla decadenza economica che colpì l'Italia intera. Nel 1806, con l'occupazione francese, il Molise si distaccò dalla capitanata e divenne provincia autonoma, nel 1811 ad opera di Gioacchino Murat. Tra il 1861 e il 1865 il Molise fu uno degli epicentri del fenomeno dei Briganti quale espressione di malessere delle plebi montanare e contadine del Sud. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, il territorio attorno a Campobasso fu devastato dai combattimenti, che ebbero termine solo nel settembre 1943, con lo sbarco degli alleati a Termoli. Il Molise è divenuto una regione autonoma nel 1963.
All’Archivio di Stato di Campobasso si è tenuta la presentazione del volume “Memorie del Risorgimento”. Avvenimenti e protagonisti nel Molise”, a cura di Renata De Benedettis, che raccoglie gli scritti, ispirati ai fatti avvenuti nel Molise a cavallo tra il 1860 e il 1861, di coloro che avevano abbracciato la causa unitaria. A completare l’opera, una raccolta di biografie di garibaldini molisani e di protagonisti che sono venuti nel Molise per combattere una dura battaglia contro i borbonici, stilate da Barbara Bertolini, Luigi Biscardi, Annalisa Carlascio, Renata De Benedettis, Rita Frattolillo, Antonio Santoriello. Tra gli illustri relatori dell’Università di Salerno, Francesco Barra, Pier Luigi Rovito e Sebastiano Martelli oltre agli interventi del Presidente dell’Associazione culturale “Vincenzo Cuoco”, Luigi Biscardi, della curatrice del libro, Renata De Benedettis e della Direttrice dell’Archivio di Stato di Campobasso, Annalisa Carlascio. Sono intervenute anche Barbara Bertolini e Rita Frattolillo per illustrare la vita dei protagonisti molisani. Qui di seguito la relazione tenuta da Rita Frattolillo su “Memorie del Risorgimento in Molise” pubblicata su “Molise d’autore” :
“….Prima di parlare dei miei patrioti e del loro ardimento, Nicola Campofreda e dei suoi figli Antonio, Luigi e Achille, dell’avvocato Girolamo Pallotta di Bojano, dell’eroe mirabellese Francesco De Feo, vorrei spendere qualche minuto per accennare al ruolo delle donne nel processo unitario. Per farlo, vi invito a inoltrarvi idealmente con me tra le mura domestiche di certe dimore molisane, perché non v’è dubbio che l’Unità d’Italia non è stata solo il prodotto del sangue dei campi di battaglia o degli intrighi e interessi nazionali e internazionali, ma il risultato ben visibile di un lungo e paziente lavorio - purtroppo invisibile - di sostegno, aiuto, convincimento alla causa risorgimentale, portato avanti proprio lì, tra le mura domestiche, da donne vere, avvertite e sensibili, che, assumendosi una grande responsabilità, hanno affermato gli ideali risorgimentali inculcandoli nei figli, di cui sono state mentori e guide, li hanno invogliati a passare all’azione al momento giusto e a compiere il loro dovere verso la patria. Sapete bene che all’epoca le condizioni ambientali sfavorevoli, la compressione sociale, l’angustia dello scenario locale, insomma, impedivano alle donne di esporsi, di partecipare direttamente alla vita pubblica, e d’altra parte, nella miscela esplosiva del periodo risorgimentale, non era facile orientarsi, gli orizzonti erano cupi, si era divisi tra i “codini fedeloni” (come aveva scritto don Agostino Tagliaferri, docente nel seminario di Bojano) e il patriottismo; i sospetti, le delazioni e i conflitti erano all’ordine del giorno; per cui, mentre alcune donne restavano dietro la porta chiusa dalle convenzioni sociali e dall’indifferenza, e mentre delle ragazze, come la Silvia decantata da Alberto Mario (l’intellettuale garibaldino veneto fervente mazziniano amico di Carducci che con La camicia rossa –caposaldo della memorialistica garibaldina- ha fatto conoscere all’Italia post-unitaria un Molise dalle tinte forti) covavano la vendetta contro il Borbone senza tuttavia passare ai fatti, e altre, infine, per sfuggire al mondo correvano a rinchiudersi in convento, come fecero le cinque sorelle del garibaldino luogotenente di F. De Feo Gaetano Bracale, che divennero tutte suore ( riesce un po’ difficile credere a una vocazione collettiva), eppure, dicevo, malgrado l’avversità dei tempi, malgrado quel contesto sociale, non sono mancate donne di grande spessore morale, che con slancio patriottico e coraggio hanno acceso nei figli l’amor patrio e li hanno spinti all’azione. I loro nomi forse non li conosceremo mai, ma due ve li posso fare: Enrichetta Formichelli, vedova del notaio Domenicangelo di Isernia, madre di sei figli di cui tre maschi, ideò nell’agosto ‘60 uno stratagemma per corrompere i cacciatori regi accampati nei pressi del suo palazzo, invitandoli a disertare tra una cena e l’altra allestita per quasi un mese sulla terrazza di casa sua . L’impresa, portata avanti con la cognata Teresa, ebbe successo, e i tre ragazzi Formichelli poterono guidare i borbonici “convertiti” anziché a Caiazzo, (dove era la postazione napoletana), verso il Matese, dove si trovavano i garibaldini. L’altro nome è quello della nobildonna Teresa Lembo di Lupara, madre di cinque femmine, bisnonna di Lina Pietravalle; perno della sua famiglia, educò i figli negli ideali liberali, e, spingendo alla battaglia l’unico figlio maschio, Giuseppe Suriani, che ardeva d’entusiasmo ma era fermato dalla angosciata opposizione della giovane moglie, Luisa Bucci di Larino, ne dovette piangere l’uccisione, avvenuta durante i terribili scontri e i massacri di Isernia del 17 ottobre ‘60, la cui eco giunse fino al Parlamento inglese per bocca del ministro degli esteri lord Russel. Quella tragica morte, che portò alla tomba poco dopo Teresa, consumata dal rimorso, ha trovato risonanza letteraria grazie al cognato, marito di Virginia Suriani, Vincenzo De Lisio (l’intellettuale di Castelbottaccio che sarà padre del pittore Arnaldo), e, circa 80 anni dopo, grazie alla penna di Francesco Jovine che in una frase lapidaria del capolavoro meridionalista Signora Ava (1942) sintetizza il sacrificio del giovane. La testa mozzata del giovane, allineata con le altre sulla fontana pubblica del largo della Concezione di Isernia, venne riconosciuta con strazio dal garibaldino Domizio Tagliaferri, che aveva partecipato alla spedizione De Luca, e, fatto prigioniero durante la battaglia di Pettoranello, veniva condotto alle carceri di Gaeta. A Gaeta, lo racconta Domizio, gli fu promessa salva la vita se avesse rivelato chi era tra loro l’attendibile Francesco De Feo. E con lui (1828 - 1879) torniamo sui campi di battaglia. Francesco, esponente di una stirpe che ha dato all’Italia, nel tempo, personalità di spicco in campo militare (il nipote Vincenzo 1876-1955 è comandante di sommergibili durante la I guerra mondiale e governatore dell’Eritrea, 1937) e scientifico (ha messo a punto le nuove centrali di tiro, adottate dalla flotta durante la II guerra mondiale, mentre un altro nipote, Ugo Tiberio, inventa il prototipo del radar , il radiotelemetro) malgrado l’ambiente di fede borbonica, si infervora per gli ideali liberali e a 20 anni si imbarca a Napoli, dove era studente, sul vapore “M.Cristina” noleggiato dalla principessa Cristina di Belgioioso per correre in aiuto dei lombardi a Curtatone (29 maggio ’48), dove morirà Leopoldo Pilla e lui rimarrà ferito. Da allora si distingue su molti campi di battaglia, e quando rientra a Mirabello S., pur se schedato come attendibile, e vessato (persino per l’inno politico Italia di oggi composto da giovane), non rinuncia alla sua azione patriottica. Si laurea in legge e lettere, esercita l’avvocatura a Campobasso, nello stesso tempo rafforza i contatti con i gruppi liberali molisani, si lega d’amicizia con Nicola De Luca e aderisce al comitato fondato da Giuseppe Demarco di Paupisi. Il 30 agosto ’60, quando Garibaldi proclama la dittatura a Napoli, De Feo innalza il tricolore sul castello Monforte. Non posso dilungarmi sulla fase successiva, costellata di battaglie ma anche di divergenze con il colonnello dei cacciatori del Vesuvio Teodoro Pateras riguardanti la conduzione delle operazioni militari nel momento più critico della reazione filo borbonica; sta di fatto che Vittorio Emanuele II, il 24 ottobre ‘60 a Venafro, riceve Francesco, nominandolo sottintendente di Isernia (De Luca è confermato sottogov. del Molise). Da questo momento, De Feo si impegna nella lotta al brigantaggio, come sottoprefetto e prefetto, divenendo ad appena 45 anni il più giovane prefetto d’Italia. Per la sua abnegazione e la prontezza delle sue iniziative ottiene promozioni e riconoscimenti di grande prestigio. Ma con i briganti aveva avuto a che fare in più riprese l’audace e ambizioso albanese di Portocannone Nicola Campofreda (1794-1873), la prima volta quando gli uccisero il padre Nazario in una imboscata, e poi quando ebbe dal governo l’incarico di stanarli: dopo una serie di agguati e vendette la banda Vardarelli è distrutta nel 1818. Impetuoso e ribelle, Nicola aveva conquistato una grande influenza nel proprio territorio, e fin dal 1820 è segnalato alle autorità quale uomo facinoroso per indole; nel ’28 conosce le carceri di Castel dell’Ovo perché accusato di complicità con i rivoltosi del Cilento, ma nondimeno gli vengono assegnati diversi incarichi governativi, forse anche per “tenerlo attaccato alla causa dell’ordine”. In realtà mentre a parole si dichiara fedele alla Corona, nei fatti intreccia rapporti con i patrioti napoletani, abruzzesi e molisani (Dragonetti, Piersilvestro Leopardi, Carlo Poerio, Silvio Spaventa, Nicolangelo Petitti , Giacomo De Santis) e per questo ha dato qualche pensiero agli storici. Nel settembre ’47 mette in piedi un movimento insurrezionale che finisce con gli interrogatori di Nicola da parte della polizia e con l’arresto dei figli Luigi e Achille. L’anno successivo, giugno ’48, prende parte alla cospirazione di Casacalenda (il comitato di Larino discuteva dell’assalto alle truppe borboniche di ritorno dalla Lombardia) in cui risultano imputati Nicola e Achille. Il 4 sett. ’60, convinto dai patrioti napoletani a promuovere l’insurrezione nel Molise, Nicola, benché ormai 66enne, muove da Portocannone con Luigi e Achille, valenti tiratori a cavallo, a capo di una colonna che si va ingrossando via via che si avvicina alla città. Qualche giorno dopo il neogovernatore De Luca invia a Isernia i Campofreda e i 200 volontari da loro radunati, ma affida il comando al commissario politico, medico Giacomo De Santis. L’affronto subito viene attutito dalla lettera inviata il I ott. da Garibaldi a Nicola e Achille in cui li autorizza a chiamare i cittadini alle armi e fa conto sulla loro energia e sul loro patriottismo. E tutti i Campofreda prendono parte attiva ai fatti d’arme dell’autunno ’60. In particolare, il 4 ott. Luigi, capitano come Achille, ma anche uomo di cultura, che ha lasciato diversi scritti, tra cui Cenno storico-politico (1861, sostanzialmente pamphlet contro Nicola De Luca), prende d’assalto Isernia con i suoi volontari albanesi nelle prime file, mentre Achille, che è il primogenito, è l’eroe di Pettorano “per l’indomito coraggio mostrato durante il tragico attacco 17 ott. a Carpinone e Pettorano nel corso del quale riesce anche a salvare i suoi dal massacro”. La disfatta del 17 ott.’60 è anche il nodo a cui è legato il nome di Girolamo Pallotta (1804- 1866)di Bojano. Quest’avvocato, nato in un ambiente culturalmente aperto, era stato convinto fautore delle riforme vòlte a migliorare le misere condizioni del popolo, amministratore attento e sensibile; ma da riformatore era diventato rivoluzionario quando nel ‘48 aveva perso fiducia nel sovrano borbonico. Pallotta il 5 sett. ’60 – prima ancora di Napoli- aveva dichiarato l’adesione di Bojano alla monarchia sabauda, proclamandosi pro-dittatore del nuovo governo provvisorio; poi, temendo la reazione delle truppe regie appostate sulla consolare per Isernia, dimessosi da pro-dittatore (nelle mani del neo-governatore De Luca), era corso da Garibaldi a Caserta per chiedere rinforzi ai suoi 3000 volontari previsti, rinforzi che ottenne solo grazie alla sua tenacia. Purtroppo, c’è da dire che aveva sopravvalutato lo spirito patriottico dei suoi conterranei, che mancarono all’appello – arrivarono solo venti uomini con un sergente e un caporale- eccezion fatta per i duecento volontari albanesi dei Campopfreda. A tale proposito Domizio Tagliaferri rammenta che l’ordine impartito da Garibaldi al colonnello Nullo era di non attaccare prima dell’arrivo dei piemontesi di Cialdini, previsto per il 20 ott., ma il colonnello Nullo, disobbedendo, attacca andando incontro alla disfatta, della quale A. Mario, per motivi ideologici (era fiero repubblicano), getta la croce addosso al gentiluomo di Bojano(favorevole alla monarchia sabauda), per aver “ingannato”Garibaldi ventilando la presenza di volontari mai arrivati. Ma il giudizio severo di A.Mario era anche dettato dalla contrarietà per essere stato allontanato dall’amato generale Garibaldi allo scopo di “dare la caccia a qualche cafone infellonito” con Francesco Nullo, Emilio Zasio e Caldesi, che avrebbero preferito correre all’assalto di Capua con Garibaldi. Concludendo, direi che una felice confluenza di eventi, energie e volontà ha fatto sì che questi nostri patrioti, pur così diversi per temperamento ed estrazione sociale, abbiano dato il meglio di sé in un momento di svolta epocale per la nostra Storia Nazionale.
MOLISE MASSONE.
Massoneria in Molise, poche luci e troppe ombre, scrive Michele Mignogna su “L’Infiltrato”. I Fratelli molisani. Quelli che indossano grembiulini e pregano nei templi massonici; quelli che si nascondono perchè nell'ombra si agisce meglio; quelli che - probabilmente - gestiscono la cosa pubblica a loro unico e insindacabile giudizio. L'etica? Esiste, certo, e si chiama tornaconto personale. In questo scenario che indaga i rapporti tra la massoneria e la politica, in Molise, viene fuori un quadro che per qualcuno sarà difficile da digerire. Soprattutto per quei dirigenti, quei politici, quei dottori che non gradiscono alcuna pubblicità..." In Abruzzo e Molise cresce il numero degli iscritti alla Massoneria del Grande Oriente d'Italia di Palazzo Giustiniani. Gli iscritti alla Circoscrizione, che comprende le due regioni, sono 275 suddivisi in 13 Logge: 4 a Pescara, due a Lanciano, una rispettivamente a L'Aquila,Teramo,Montesilvano,Francavilla al Mare, Lanciano, Chieti e Campobasso. L'ufficio stampa del Grande Oriente precisa che l'eta dei nuovi iscritti si abbassa, consolidandosi ad una media di circa 35 anni”. Questa è una agenzia ANSA di poche settimane fa alla quale in pochi hanno dato la giusta importanza, ovvero, cosa succede nella massoneria molisana. Innanzitutto bisogna dire che negli ultimi anni il GOI ha deciso una sorta di riorganizzazione sull’intero territorio nazionale, unificando quelle logge che seppur molto attive, avevano un numero ristretto di iscritti, e cosi al Molise, anche per una questione geografica, è toccato l’accorpamento con la regione Massonica dell’Abruzzo. La sede dei Gran Maestri Venerabili si trova in una zona centrale di Pescara, scelta fatta a seguito della distinzione che la loggia pescarese ha avuto sullo scenario massonico nazionale, disegnando anche importanti dirigenti. Ma facciamo un passo indietro. In Molise sono presenti tre logge legate al Grande Oriente D’Italia - quella massoneria per intenderci che viene definita “regolare”, cioè che opera nel rispetto delle leggi (ed è di quella che parliamo in questo articolo) - rispettivamente Nuova Era 771 con sede, prima dell’accorpamento, a Larino, la Loggia Ernesto Saquella 1366 di Campobasso e la Loggia Ernesto Natham di Termoli. Su questa di Termoli ci sono alcune indiscrezioni che la vorrebbero praticamente in sonno, una condizione cioè di non operatività per un problema legato alla gestione ed alla nomina del locale Gran Maestro, che ha innescato una lotta intestina tra due fazioni che si contendono il controllo, anche se da ultime notizie attinte, sembra che ci sia la convergenza su un nome che ha anche responsabilità di governo cittadino. La loggia di Larino invece ha sempre avuto un’attività più o meno regolare garantita anche da un ricambio generazionale al suo interno: infatti la palma d’oro per il rinnovamento va proprio alla Nuova Era 771, per capacità di fare sintesi e di guardare al futuro in modo diverso. La presenza dei grembiulini è forte anche in Molise ma più che indagare l’ambito prettamente massonico, è interessante indagare l’aspetto politico che apre scenari curiosi sui locali liberi muratori. Infatti, leggendo le cronache nazionali sullo scandalo che ha coinvolto i vertici della Protezione Civile, abbiamo scoperto che quella che viene chiamata loggia P3 – protagonisti Verdini e Carboni - operava indisturbata anche in Molise. Referente di eccezione quel famoso ingegnere Claudio Rinaldi, soggetto attuatore di quasi tutte le opere pubbliche del Molise. Ma andiamo con ordine. All’indomani del terremoto che ha sconvolto l’esistenza di 14 comuni del Basso Molise - così come per ogni calamità naturale - si mettono in moto tanti e tali interessi da far passare in secondo piano la reale emergenza che si viene a creare. E visto che San Giuliano di Puglia è stato il comune più colpito, andava ricostruito totalmente, cosi come è stato. Ad essere nominato soggetto attuatore, il controllore cioè dei soldi pubblici, è stato l’ingegner Rinaldi, indagato a Roma per abuso d’ufficio e a Firenze per corruzione. Cosa c’entra Rinaldi con il terremoto molisano? C’entra e come, infatti tutti sanno che il comune fortorino è l’unico ad essere stato ricostruito perché sotto la gestione diretta della Protezione Civile, tanto che lo stesso Bertolaso è cittadino onorario di San Giuliano. E qui iniziano le stranezze. Come dichiarato anche dalla Corte dei Conti, Rinaldi, in qualità di Soggetto Attuatore, è stato autorizzato anche ad assumere personale tecnico specializzato (quattro unità) e ad avvalersi di sei unità del Servizio integrato infrastrutture e trasporti Campania-Molise. Ma attenzione: già in questo una pesante irregolarità. Inizialmente Rinaldi era stato nominato Soggetto Attuatore soltanto per l’area di San Giuliano di Puglia (per “l'espletamento delle attività connesse con la realizzazione degli interventi e delle opere di ricostruzione inerenti al Comune”), ma ben presto ha assunto la qualità di soggetto attuatore per la realizzazione di tutti gli interventi e le opere di ricostruzione inerenti l’intero territorio della provincia di Campobasso . In più ha avuto anche la possibilità di progettazione e realizzazione di interventi di edilizia, qualora delegato dalle amministrazioni comunali della stessa provincia. E proprio per questi “nuovi incarichi” altro personale: “è stato autorizzato ad avvalersi di sei unità di personale del Servizio integrato infrastrutture e trasporti Lazio-Abruzzo-Sardegna e ad acquisire la disponibilità di una sede logistica idonea per la struttura di titolarità; è stata, altresì, concessa l'apertura di una contabilità speciale di tesoreria intestata allo stesso Soggetto Attuatore”. Un potere enorme non solo nelle mani del singolo Rinaldi, ma nelle mani di una confraternita organizzata per far soldi sfruttando posizioni personali, amicizie particolari, e una forte influenza sui governi locali, originati proprio dall’appartenenza comune alla loggia massonica P3. In che modo, vi chiederete, sia stato possibile tutto questo? E soprattutto perché? Partiamo dall’aspetto economico. Michele Iorio ha aperto ben due distinte contabilità speciali in favore del Soggetto Attuatore: la n.3280, relativa agli interventi di ricostruzione nel territorio della provincia di Campobasso, e la n.3990 relativa agli interventi specifici nel comune di San Giuliano di Puglia. Ci sarà qualche documento che attesti come sono stati spesi i soldi? Certo che no: agli atti del Dipartimento della Protezione Civile non risulta pervenuto alcun rendiconto. Addirittura, per quanto riguarda la contabilità speciale n.3280, istituita il 3 maggio 2005 e chiusa il 4 ottobre 2007, non c’è “alcun movimento né in entrata né in uscita”. Un mare di soldi senza rendicontazione e a favore della famosa cricca. In concreto diverse sono le opere per cui Rinaldi è risultato “Soggetto Attuatore” fino al giugno 2010. Alcuni esempi che ci fanno capire ancora meglio: realizzazione di una Struttura socio-sanitaria assistenziale per anziani a San Giuliano per un importo complessivo di euro 1.060.000,00; “collegamento F.V. Trigno – F.V.Biferno pedemontana Montemauro” - importo complessivo euro 2.300.000,00; la ricostruzione del Comune di San Giuliano di Puglia, per la quale è stato approvato un “Piano Generale di ricostruzione” che comporta una spesa complessiva di 240 milioni di euro, di cui circa 160 per le Opere Pubbliche e 79 per quelle private; realizzazione dei lavori per la messa in sicurezza e ammodernamento della SS 87 Sannitica nella tratta da Campobasso a Sant’Elia a Pianisi (per la cui progettazione compare anche il nome dell’Arch. Carlo Strassil, anch’egli indagato nell’ambito di un’inchiesta pescarese sulla Statale 81 “Mare-Monti”). Insomma, molti soldi ma nessun documento. Una parte della massoneria italiana e molisana opera indisturbata in settori economici sicuri e remunerativi; il tutto con il placet della classe dirigente locale. La stessa storia che poi si è ripetuta all’Aquila. Quindi qual è il ruolo della massoneria locale? Quello di fornire supporto e aiuto nelle operazioni economiche e nelle opere pubbliche: molti Fratelli molisani sono ingegneri, architetti, dirigenti, politici, costruttori, trasportatori, capitani d’impresa (anche se in Molise è un eufemismo) che utilizzano denaro pubblico per gli affari privati (vedi Zuccherificio del Molise, Cantina Valbiferno e Conservificio di Guglionesi). Questi sono i soggetti che in maniera più o meno trasparente gestiscono il potere economico, e non solo, nella XX Regione, per nulla esente dai fenomeni che a livello nazionale hanno più risalto, come appunto, il ruolo di certa massoneria nella vita pubblica, economica e sociale, di tutti i giorni.
Riporto un articolo di stampa apparso qualche tempo fa su un giornale online "pennemolisane". L'articolo è per certi versi simpatico. Firmato da tale Giacomo Donati, contiene però (oltre a commenti singolari e gratuiti del sig. Donati), una ricostruzione storica degli eventi abbastanza veritiera. Lo riporto integralmente. Scrive Giacomo Donati: «L’estro popolare molisano non ha mai disdegnato di toccare le corde satiriche. Anzi, secondo un diffuso convincimento critico, è nella satira che l’animo nostro riesce ad esprimersi in modo originale. Le occasioni per “ricacciare” canzoni erano perloppiù legate a disinibiti comportamenti muliebri, come quelli stigmatizzati a Bagnoli del Trigno.
A Carmela uocchie basse
Giuacchine la porte a spasse
e se nn’era ru cappotte
re faceva n’antra botta.
E Carmela la schiummatora
ze ne va a spasse tutte l’ora:
mo ce la fa un’antra botta
senza manche nu delore.
E Carmela sopraffina
z’ha purtata na vicina;
come mai Giuacchine
nen ce iute a San Michele?
Giuacchine sta mmalate
dentr’u liette scunzelate,
e Carmela puverella
z’ha trevate n’antr’amante.
Giuacchine l’ha recercata,
ma Carmela ze n’è scappate;
Giuacchine mo ze more
mo ze more de passione.
Né a Bagnoli né altrove mancavano esche diverse, come il tentativo inglorioso di migliorare la posizione sociale portato avanti da qualche intrepido condannato ai capitomboli e agli sfottò in rima e in musica.
Caratille è iute a Roma
pe cumbrarse la pultrona;
mo z’è rotta la riella,
Caratille è iute a terra.
Care cocò durmice n’ coppa,
care cocò nen ci penzà,
ca ru debbutate nen l’hai da fà.
Cannavine ci ha la pultrona,
don Michele la medaglia,
Caratille la cariola:
l’arte seia a la via nova.
Care cocò durmice n’ coppa,
care cocò nen ci penzà,
ca ru debbutate nen l’hai da fà.
Dall’alto del loro Olimpo, i Cannavina, i Michele Pietravalle ricordati nella satira, e i loro benestanti elettori amavano guardare al “popolino” con atteggiamento estetizzante, infarcito di languori di maniera che alimentavano le sdolcinatezze dei Cirese e dei suoi emuli.
Belle capille ricce ncannellate,
a chessa bionda testa le tenite,
e quande la matina le intrecciate
fate fermà ru sole a meza strada:
tu fa’ fermà ru sole e ie la stella,
tu va cercanne l’amante e i’ so quelle;
tu fa’ fermà ru sole e ie la luna,
tu va cercanne l’amante e i’ so une.
Tanto corrivi, i galantuomini, a sospirare per le trecce d’oro o gli occhi neri di ogni pacchiana avvenente e senza meno a insidiarne le grazie, quanto ferocemente determinati ad escludere la povera gente da ogni orizzonte di elevazione sociale. Erano i tempi della massoneria imperante. I molisani, che secondo una icastica riflessione di Nicolò D’Abramo, sarebbero successivamente confluiti sotto l’ala del fascismo prima, della Democrazia Cristiana poi, e – aggiungiamo noi – di Berlusconi oggi, erano a quei tempi alla mercé di capipopolo uniti tra di loro dal vincolo massonico. Una ricognizione in quel mondo sarebbe oltremodo stimolante, a giudicare da quanto anticipato in alcuni studi da Michele Tuono. In questa sede basterà riprodurre una indagine concepita con intenti divulgativi e pubblicata una dozzina d’anni fa, quando la cronaca nazionale era tornata a ridipingere il Molise come terra pullulante di liberi muratori. Niente mi impedisce di trasformarmi in uomo sandwich e andarmene a spasso per Roma con la scritta: 'Sono un massone'. Ma non posso fare la stessa cosa per gli altri. Non posso rivelare i nomi dei fratelli molisani: la leggenda dipinge ancora i massoni come mangiatori di bambini". L'interlocutore anonimo di Villa Medici del Vascello, sede del Grande Oriente d'Italia di Palazzo Giustiniani a Roma, è cortese ma ovviamente abbottonato. Undici anni dopo la sinistra fiammata della P2, ci eravamo messi sulle tracce della massoneria molisana, con la convinzione di muovere incontro all'appendice regionale di un organismo ormai in decomposizione. Invece, a ottobre si è cominciato a parlare di connessione mafia-massoneria-politica, e quindi di copertura massonica al movimento referendario di Mario Segni; si è aperto subito dopo il processo alla P2; ed è arrivata, infine, l'inchiesta dei magistrati di Palmi. L'escalation, riportando sulle prime pagine dei giornali le cazzuole, le squadre e i compassi della normale liturgia dei liberi muratori, ha restituito all'attualità il nostro approccio che poteva apparire un po' snob. Però, gli ha tolto la terra da sotto i piedi. Il dr. Giampiero Batoni, portavoce ufficiale della Massoneria Italiana, al quale su indicazione dell'uomo sandwich avevamo strappato l'impegno a fornire i nomi di logge e affiliati molisani, o quantomeno quello di un referente locale, si è visto impossibilitato, certo per l'indagine giudiziaria in corso, a mantenere la promessa. La massoneria molisana vanta una storia di tutto rispetto. Affonda le radici nella seconda metà del Settecento, quando vi aderirono professionisti e intellettuali che avendo studiato a Napoli, recepiranno poi le istanze giacobine. Si fortifica con il sacrificio dei martiri del 1799. Cresce sul terreno degli ideali liberali, propugnati dai carbonari e dai rivoltosi del 1848. L'Unità d'Italia, raggiunta grazie agli sforzi non sempre coordinati ma sempre generosi dei quattro grandi della massoneria nazionale, Mazzini, Garibaldi, Cavour e Vittorio Emanuele II, apporta nuova linfa alla causa dei liberi muratori nostrani. Appartati nel loro angolo di mondo, i galantuomini dettero vita a un saldo vincolo massonico, cementato da un vigoroso anticlericalismo, di cui è testimonianza nel gran numero di gazzette pubblicate fin nei più sperduti centri della regione. Il vincolo ribadiva lo strapotere di ognuno di loro nei paesi di appartenenza e della casta a livello istituzionale. La massoneria si configurò come la più grande lobby, il più grosso partito trasversale operante in Molise fino al fascismo. I più importanti posti di comando erano nelle mani dei fratelli muratori. E ciò anche grazie alla posizione del Clero, spesso servo e maggiordomo dei notabili massoni, con i quali stabilì intese di reciproci appoggi e supplenze. Il solo don Balduino Migliarese, battagliera e controversa figura di parroco a Petrella Tifernina, cercherà di arginare nel 1914 il dilagare della massoneria con gli strumenti del pubblicista; mentre nel 1915, Mons. Gianfelice, vescovo di Boiano-Campobasso si limiterà a protocollare la presenza della "secta massonica" fin dai tempi antichi. Lo zenit massonico fu raggiunto nel periodo che va dal 1900 all'avvento del fascismo, quando i partiti politici moderni si mostrarono incapaci a scalfire il tessuto regionale (è un fatto che a Campobasso nel 1919 non ancora era stata aperta una sola sezione di partito). Di conseguenza le elezioni molisane promossero sempre gli stessi nomi liberali e ministeriali, quasi sempre massonici. La sede dell'Amministrazione Provinciale di Palazzo Magno a Campobasso si propose allora come roccaforte della massoneria e Campobasso come capitale dei massoni di Abruzzo e Molise. L'Annuario Massonico del 1919 vi registra l'esistenza di un Consiglio dei Cavalieri di Kadosch, che accoglieva gran dignitari del 30° grado, con a capo il potente segretario generale della Provincia, l'avv. Francesco Saverio Giancarlo. Il Consiglio dei Kadosch estendeva la sua autorità su cinque Capitoli Rosa-Croce, con affiliati dal 15° al 18° grado, le cui sedi erano a Campobasso (con lo stesso Giancarlo come presidente), all'Aquila, a Chieti, a Lanciano e a Isernia, con il prof. Antonio Di Lullo presidente. La prof. Annamaria Isastia, storica della Massoneria Italiana, informa inoltre che a tutto il 1923 esistevano cinque logge in Molise. A Campobasso, la "Nova Lux" annoverava tra le sue fila, oltre a Giancarlo, Angelo Del Lupo, presidente della Provincia e Giuseppe Petrucciani, presidente dell'Associazione Industriali; disponeva, inoltre, di un retroterra demomassonico formato dai sindaci Domenico Pistilli ed Eugenio Grimaldi, da Gustavo Spetrino, presidente della Società Operaia, ed altri. Ad Agnone la loggia "Aquilonia" contava sul deputato Alessandro Marracino, poi sottosegretario alla Guerra nel Ministero Facta, e quindi senatore del Regno, e su professionisti locali come Raffaele Sabelli e Michele Cervone. A Isernia, la loggia "Giuseppe Garibaldi-Cesare Battisti" s'imperniava sul deputato Ferdinando Veneziale e sul venerabile Di Lullo. Nel Basso Molise, attorno alla loggia "Giuseppe Mazzini" di Larino ruotavano il venerabile dr. Emilio Ricci, l'avv. Giulio Colesanti e il dr. Giuseppe Battista; a Termoli, infine, la loggia "Ernesto Natham", dal nome del Gran Maestro a capo della Massoneria Italiana dal '17 al '21, aveva punti di riferimento nell'avv. Franco Petti e nel venerabile Felice Folchi. Con la diffusione capillare della massoneria, dunque, bisognava fare i conti. I socialisti, i cui rapporti con la setta avrebbero dovuto essere improntati all'alternativa e furono spesso di commistione, avevano da tempo denunciato il pericolo di deviazione della vita pubblica, insito nel vincolo massonico, non improntato a criteri democratici. Ma fu il Partito Popolare che s'incaricò di portare avanti una veemente battaglia dalle colonne dell'Avvenire del Sannio. La polemica dei popolari con i massoni del periodico Democrazia e rinnovamento toccò toni di un'asprezza mai più raggiunta. Gli uni, a firma Fra' Cristofaro (Gaetano Amoroso), definivano la massoneria come "il serpe verde" che avvelenava la vita pubblica italiana, impadronendosi di tutti i poteri per asservirli a fini settari; gli altri rivendicavano con ostentazione il proprio ruolo e la propria forza nei confronti dei "collitorti baciapile del pipì". In ogni modo, la potenza della massoneria si espresse in forma schiacciante in occasione delle elezioni politiche del '21. In Molise, motivi di autonomia regionalistica e di calcolo politico, avevano suggerito la presentazione di un listone unico in cui confluirono liberali, ministeriali, popolari, fascisti, nazionalisti e altri. Ne risultarono eletti solo i quattro esponenti massoni: Pietravalle, Marracino, Veneziale e Presutti. Ma toccato l'apice, cominciò allora la stagione di declino e per certi versi eroica degli incappucciati molisani. La marcia su Roma segnò l'inizio della conversione al fascismo dei molisani. Si rinnegarono principi e fedi per vestire la camicia nera. Molti massoni presentarono le dimissioni e saltarono il fosso, come Cervone e Marracino. Singolare quel che accadde al Giancarlo. Il "pezzo grosso" massone di Palazzo Magno pensò di poter tenere il piede in due scarpe. Venne, invece, platealmente espulso, insieme ai suoi accoliti, dal sindacato fascista. Tuttavia la massoneria molisana tenne duro e, guidata dalla figura eminente di un collaboratore strettissimo di Amendola, Enrico Presutti, avvocato e professore universitario, nato a Perugia nel 1870 da genitori campobassani, si distinse in una strenua attività di opposizione. Nel settembre 1923, la Società Operaia di Spetrino e il sindaco Grimaldi promossero a Campobasso una grande manifestazione antifascista. Alla vigilia delle politiche del '24, i fascisti provocarono diversi incidenti a Campobasso. Tra l'altro, furono aggrediti il proprietario del caffè Lupacchioli e il barbiere Emilio Brienza, gestori di esercizi frequentati da massoni, e Brienza, in particolare, perché, sbarbando un fascista, gli aveva fatto il segno di Zorro, cioè gli aveva intaccato la mascella. Ma ad aprile, pur tra mille soprusi patiti, l'Opposizione Costituzionale di Presutti riuscì ad eleggere un candidato, lo stesso Presutti, nel collegio di Abruzzi e Molise: degli altri 20 seggi, 19 erano andati ai fascisti e uno ai socialisti. A giugno la Società Operaia di Campobasso aderì allo sciopero nazionale di protesta contro il delitto Matteotti, suscitando preoccupazioni nel prefetto per l'attività niente affatto rallentata dei demo-massoni, che nel novembre di quell'anno aderirono all'Unione Nazionale di Amendola. L'U.N. si avvalse di un foglio battagliero, La Vita del Molise, diretto coraggiosamente da Giulio Colesanti. Ma a causa della solidarietà espressa ad Amendola per l'attentato subito ad opera dei fascisti, il torchio del regime si strinse attorno al giornale. Vennero sequestrate più edizioni e, infine, il 31 dicembre 1925 La vita del Molise cessò le pubblicazioni. La legge di soppressione della massoneria, a seguito dell'attentato Zaniboni a Mussolini, aveva portato, intanto, alla devastazione delle logge di Agnone, di Larino e di Palazzo Petrucciani a Campobasso. La loggia d'Isernia s'era già sciolta spontaneamente. Ancor prima erano stati sciolti il Circolo Eguaglianza e la Società Operaia di Campobasso, perché centri di propaganda e di reclutamento dei democratici. Gli ultimi sussulti massonici in Molise si ebbero con Folchi, venerabile della loggia di Termoli, che perse l'insegnamento per non aver rinnegato la massoneria, con il dr. Battista di Larino che, per lo stesso motivo, perse la condotta medica in quel comune, e con Presutti che, in quanto aventiniano fu dichiarato decaduto dalla carica di deputato nel 1926 e, per essersi rifiutato di prestare il giuramento di fedeltà al regime, perse la cattedra universitaria. Enrico Presutti visse dei soli proventi di avvocato, pare non troppo agiatamente; per cercare nuove fonti di guadagno, tentò di pubblicare un romanzetto anonimo, il cui manoscritto fu però sequestrato dai fascisti. Era ritenuto pericolosissimo e, come tale, sottoposto a sorveglianza e isolamento fino al 1937, quando fu colpito dalla paralisi che lo costrinse a letto, fino alla morte avvenuta nel 1949. Si potrebbe pensare che, con la caduta del fascismo, la massoneria molisana rialzasse il capo e, dal momento che massoni storici come Brienza, Petrucciani, Grimaldi, confluirono nel Partito Liberale, sia lì che bisogna cercare tracce. Il dr. Silvestro Delli Veneri, capogruppo socialista al Comune di Campobasso, ma all'epoca giovanissimo esponente di spicco del liberalismo molisano, è però di tutt'altro avviso. Nega ogni attività massonica nel Partito Liberale. "Prima di tutto, - sostiene - c'era l'ostracismo alla massoneria decretato dal Croce, al quale i nostri, da Morelli a Colitto agli altri, guardavano come a un vero e proprio nume tutelare. E poi, davvero non era il caso di offrire spazio di propaganda alla DC sul terreno dell'anticlericalismo; i liberali, Colitto in testa, erano e mostravano di essere sempre ligi alla Chiesa. Infine, - conclude Delli Veneri - di qualsivoglia attività massonica, per limitata che fosse stata, saremmo venuti a conoscenza". Sul versante cattolico, l'onorevole Remo Sammartino, che da ragazzo era stato testimone della devastazione fascista della loggia di Agnone, cui, a suo dire, aderiva il fior fiore dei professionisti locali, si allinea sulla posizione di Delli Veneri: "In tanti e tanti anni di attività politica non ho avuto mai l'impressione di trovarmi circondato da gente e partiti che tramassero nell'ombra". Lo stesso ripete Antonio Chieffo, presidente della Provincia di Campobasso che fu la roccaforte della massoneria molisana. "Escludo categoricamente di aver mai subito pressioni o comunque contatti che alla setta potessero far pensare. Né in sede istituzionale, né in sede elettorale. Ed è logico: i partiti hanno sottratto spazio di aggregazione a strutture come la massoneria; e comunque con l'istituzione delle Regioni la Provincia non è più la massima espressione politica periferica". Ma alla Regione, ovviamente, si rigetta ogni ipotesi di eredità massonica. E l'on. Florindo D'Aimmo, già consigliere e presidente della Regione Molise, condivide: nessuna traccia di massoni nell'Ente e neppure nelle competizioni elettorali che lo hanno interessato. Insomma, pare proprio che la grande tradizione massonica molisana sia svanita nel nulla. E forse è vero il giudizio perentorio di Nicolò D'Abramo, farmacista di Guglionesi, socialista fin dai tempi di Giolitti, perseguitato da Mussolini, e membro autorevole del Comitato di Liberazione Molisano. D'Abramo, che nel 1922, in qualità di direttore di Molise Avanti, polemizzò aspramente con l'allora sindaco di Campobasso, Grimaldi, e con altri massoni, giura dall'alto dei suoi 105 anni di età, sullo spirito buono ma gregario dei molisani: "Prima tutti massoni, poi tutti fascisti, infine tutti democratici cristiani". Senonché nella sede romana della Massoneria di Palazzo Giustiniani, si è di tutt'altro avviso". L'abbottonato e cortese uomo sandwich, dal quale abbiamo prese le mosse, assicura che non si è seccata l'acacia massonica, tutt'altro, e ce ne sono di logge, ce ne sono di affiliati. Intanto la stampa nazionale comincia ad alzare i veli: opererebbe a Campobasso l'unica loggia del Molise, la "Nuova Era". La loggia, che almeno nel nome ricorda la "Nova Lux", è accreditata di un numero esorbitante di affiliati: circa settecento. Con molta probabilità il solerte cronista ha preso per numero di affiliati il numero d'ordine. Diversamente a Campobasso spetterebbe non il vecchio titolo di capitale massonica di Abruzzo e Molise, ma di capitale d'Italia.»
MOLISE MAFIOSO.
Senza dimenticare la mafia minore, quella Sacra Corona Unita che prova a governare l’area basso molisana ma che in ogni caso dipende dai boss della camorra. Non manca proprio nessuno nell’isola felice – felice per chi? – del centro Italia. Ai Bellocco di Rosarno, una delle famiglie più potenti della Santa, tocca il business della droga; i casalesi gestiscono appalti e rifiuti; la mafia siciliana si occupa di riciclaggio. Il Molise, con un indice pari a 0,31, si posiziona all’ultimo posto della classifica nazionale per presenza mafiosa. Sul podio vi sono Campania, Calabria e Sicilia, rispettivamente con 61,21, 41,76, 31,80. E’ quanto emerge[more...] dal rapporto ”Gli investimenti delle mafie” realizzato dal centro di ricerca Transcrime dell’Universita’ Cattolica del Sacro Cuore di Milano per il Ministero dell’Interno e presentato oggi a Milano. Il Molise, analizzando i dati contenuti nell’indagine, sembra essere una di quelle regioni, al di fuori dei territori a tradizionale presenza mafiosa, in cui si registra la rilevante presenza di un solo tipo di organizzazione, ovvero la Camorra, pari all’93,4% del totale. Seguono Sacra Corona Unita (3,7%), Ndrangheta (2,7%) e Cosa Nostra (0,2%). In ogni caso, analizzando le mappe presenti nel rapporto, emerge che il rischio di presenza delle mafie nella regione e’ basso, come confermato dall’indice complessivo. Le attivita’ illegali, in Molise, registrano ricavi medi pari a 134 milioni di euro: spiccano lo sfruttamento sessuale, che va da un minimo di 10 ad un massimo di 40 milioni di euro, e le droghe (minimo 23 milioni, massimo 58 milioni). In particolare, i ricavi illegali della Camorra vanno da un minimo di 22 ad un massimo di 29 milioni di euro. Rilevante anche il fenomeno dell’usura, con 3.211 famiglie coinvolte nel 2010 e ricavi annui pari a oltre 25 milioni di euro.
Benvenuti in Molise: Regione da abolire (più piccola di una provincia) dove camorra e ‘ndrangheta sono di casa, scrive Roberto Galullo. “Sequestrate armi da guerra e altro materiale di qualità”. Era questo il take con il quale l’ufficio di corrispondenza dell’Ansa di Termoli, in provincia di Campobasso, il 22 luglio 2011 dava la notizia del ritrovamento di un deposito di armi della 'ndrangheta. Almeno: sono queste le prime conclusioni alle quali è giunta l’inchiesta, ancora in corso, della Polizia che sta indagando sul ritrovamento di armi in un’auto parcheggiata in un garage. Il sequestro di armi a Termoli rappresenta uno dei più grossi del centro sud avvenuto di recente: 14 fucili, altri a pompa, mitra, di cui alcuni kalashnikov; 10 pistole, silenziatori, passamontagna, lacrimogeni di segnalazione degli elicotteri, munizionamento per armi particolari, giubbotti antiproiettile, cesoie, ramponi per aprire furgoni. In più, tanto per non farsi mancare nulla, qualche grammo di cocaina. Materiale vario e per gli investigatori di qualità. Le indagini non escludono che l’arsenale potesse servire per eventuali grosse operazioni malavitose di una famiglia di ‘ndrangheta di Mesoraca (Crotone), specializzata nel traffico di armi, soprattutto dalla Svizzera, droga e riciclaggio di denaro sporco. Per quei pochi che credevano che il Molise – una regione-città, con i suoi 319 mila abitanti, più o meno la popolazione di Bari o, se preferite, Cagliari e Foggia messe insieme, anche se i molisani si consolano dicendo che l’Islanda ha gli stessi abitanti della loro regione – fosse un’isola felice dalla contaminazione mafiosa, ecco a voi l’ultima testimonianza significativa (e allarmante) in ordine di tempo. Certo che, in tempi di tagli utili, quello di questa Regione sarebbe una mano santa! E’ impossibile pensare che una regione che confina con Lazio, Puglia e Campania, rimanga immune dal contagio. Senza dimenticare che la Calabria è lì a un passo. Non a caso il territorio è stato rifugio di latitanti – nel 2000 in Molise è stato arrestato Aniello Bidognetti, tra i boss dei Casalesi – ed è stato spesso scelto come sede per il soggiorno obbligato, soprattutto dai pugliesi. Diversi arresti di latitanti campani, eseguiti sia in passato che in tempi anche recentissimi, testimoniano che qui la camorra è di casa. Il 15 luglio 2009, è stata eseguita a Toro (Campobasso), un’ordinanza di custodia cautelare emessa il 1° luglio 2009 dal Gip del Tribunale di Napoli per associazione mafiosa nei confronti di due soggetti ritenuti esponenti del “clan dei Casalesi”. Il loro ruolo? Fungere da collegamento tra S. Cipriano di Aversa e Modena. “Resta la circostanza che due esponenti non secondari di un clan camorristico – scrive a De Simone - avessero la disponibilità di un immobile nel Molise, ritenuto evidentemente utile o per la cura di interessi criminali locali non emersi dalle indagini ovvero per fruire di un appoggio utile agli interessi criminali del clan dei Casalesi con riferimento a regioni più o meno vicine come ad esempio l’Abruzzo, sul quale si appuntano le mire di sfruttamento del clan tramite l’imprenditoria collusa, con riferimento alla ricostruzione post-sismica”. Anche la Provincia di Isernia è territorio di elezione di appartenenti a clan camorristici (come il clan La Torre, attivo nella confinante provincia di Caserta). Infiltrazioni camorristiche sono state scoperte anche nei lavori di completamento del 2° lotto della strada Isernia Castel di Sangro-Forlì del Sannio-Rioneo Sannitico. Gli accertamenti svolti dalle Forze dell’ordine hanno rilevato la presenza sui cantieri, con mezzi e personale, di società ritenute in collegamento con alcuni soggetti gravitanti in clan camorristici. Non solo. Alcune imprese avevano tentato goffamente di aggirare la certificazione antimafia.
NEGARE, NEGARE SEMPRE NEGARE. Un antico adagio recita che anche di fronte ad un tradimento colto in flagranza la migliore strategia sia quella di negare sempre e comunque. “Cara non è come credi”. “Caro ti posso spiegare”. Questo adagio mi è tornato in mente quando il 2 luglio ho letto Il Quotidianomolise.it. L’articolo riguardava gli arresti di presunti affiliati al clan dei Casalesi. L’ultimo era quello di Andrea Letizia sul quale pendeva un provvedimento restrittivo e per questo si era trasferito a Venafro dopo il divieto di dimora in Campania e Lazio inflittogli dal Gip di Napoli per presunti delitti commessi per conto del clan Piccolo di Marcianise. Il sindaco di Venafro, Nicandro Cotugno, anziché affrontare di petto il problema dei soggiorni obbligati che – come testimoniano tutti gli esperti è un richiamo irresistibile per il trasloco fuori regione delle famiglie mafiose – racconto che gli episodi di cronaca non riguardano la città. “I fatti- dichiarò il sindaco Cotugno al giornale online - non riguardano la città di Venafro. Posso tranquillizzare i cittadini su questo punto. Venafro non ha nulla a che fare con la camorra. Il territorio è sotto controllo perché qui le forze dell’ordine fanno il loro dovere fino in fondo e di questo non possiamo non ringraziare Carabinieri, Polizia, Magistratura per un lavoro straordinario di prevenzione e di salvaguardia del nostro comprensorio da possibili infiltrazioni malavitose”. Sulla stessa lunghezza d’onda l’ex sindaco Vincenzo Cotugno che in pieno consiglio comunale ha invitato il sindaco e tutta l’assise civica ad alzare la voce e a difendere l’immagine della città e dell’intera comunità venafrana. “Prego il sindaco e tutta l’assise - ha detto tra l’altro Vincenzo Cotugno durante i lavori del consiglio comunale - ad alzare la voce a difesa dell’onorabilità della città di Venafro e di tutte le forze sane della città. A Venafro non c’è la camorra, questo deve essere chiaro a tutti e noi che abbiamo responsabilità istituzionali dobbiamo fare in modo di veicolare questo messaggio all’esterno con unità d’intenti. La nostra città è una città fatta di galantuomini ed è governata da persone per bene da sempre. Il nostro territorio è integro, sano”. La mafia, insomma, è sempre un problema del comune vicino. A domani con una nuova puntata su questa regione che, se fosse abolita, nessuno sentirebbe la mancanza (tranne parte dei molisani).
Molise di cultura e legalità scrive (di Paolo De Chiara su “Malitalia”. “Quando arrivano i soldi dei mafiosi in Lombardia, in Molise, a Duisburg, a Madrid e in qualunque parte del mondo arrivano anche i mafiosi. E questo non è solo un tema delle forze di polizia, degli apparati investigativi o della magistratura. Riguarda la trasparenza dell’economia, il sistema delle imprese, il mercato, la politica, le Istituzioni”. Con queste parole è intervenuto in Molise l’ex presidente della Commissione Antimafia Francesco Forgione e autore del libro Mafia Export. Lo stesso concetto ribadito in passato da diversi giornalisti, magistrati e operatori del settore. “In questo territorio – secondo il procuratore di Larino Nicola Magrone – la delinquenza è anche peggiore rispetto a quella siciliana. Qui in Molise quello che non va è il funzionamento della pubblica amministrazione. In Sicilia poi la delinquenza ti avverte con un omicidio. In questa terra non esiste alcun tipo d’avvertimento”. Sulla presenza delle mafie in Molise si è espressa anche il pm Rossana Venditti: “Il Molise non è un’isola felice. Lo dico ossessivamente ogni volta che mi è data la possibilità. Può essere calma e rassicurante la superficie. Sicuramente a un livello sottostante se solo vogliamo e possiamo arrivarci già riusciamo a cogliere e a intercettare dei segnali piuttosto inequivoci”. I segnali continuano ad essere registrati. Dai sequestri di beni legati alla criminalità organizzata alla presenza di soggetti vicini o parte integrante delle organizzazioni criminali, dalle denunce fino ai vari segnali di intimidazione. Ma in questa piccola Regione continua l’assordante silenzio intorno alla presenza delle mafie. E la politica, che dovrebbe intervenire, resta a guardare e a difendere “l’isola felice”, che come ha affermato Forgione “felice non è”. Secondo l’ex presidente della Commissione Antimafia Giuseppe Lumia, oggi componente dell’Antimafia: “Per troppi anni il Molise ha sottovalutato la possibilità di infiltrazioni mafiose. Le mafie sono arrivate. La ‘ndrangheta, la sacra corona unita, la cosiddetta “società foggiana” che è quella realtà pugliese che ha una sua consistenza, la camorra. Il Molise per anni ha fatto finta di non vedere, per anni ha abbassato la guardia, per anni ha tacciato di irresponsabilità, paradossalmente isolando e colpendo, quelli che indicavano il male. Non c’è stata prevenzione, non c’è stata un’organizzazione e una strutturazione per impedire e bloccare le prime presenze dell’organizzazione mafiosa, ma si è trasformata la politica in clientelismo, non per esaltare le vostre stupende potenzialità, ma per umiliarle, negarle, offenderle”. E cosa fa la politica locale, oltre a dare il cattivo esempio? Ecco una dichiarazione dell’Assessore regionale alla Programmazione Gianfranco Vitagliano: “Che senso ha citare pochi beni confiscati a qualche delinquente non regionale? Ce ne sono a iosa in tutte le regioni. […]. Il nostro è un popolo di timorati di Dio, lontano dal disprezzo delle regole e legato agli uomini della sicurezza pubblica da rispetto, affetto e riconoscenza. Se, ci si riferisce, ad episodi singolari – sui quali la magistratura sta facendo luce nell’ambito dei propri doveri – intanto, si rispetti il lavoro d’indagine, non lo si condizioni e se ne aspettino le conclusioni nel giudizio. Prima di tutto ciò non si trasformino gli indizi in colpe, non si generalizzi estendendo a tanti quello che potrebbe essere stato comportamento improvvido di alcuni e, soprattutto, non si facciano consapevolmente, alla dignità e alla storia di un popolo, danni ben maggiori rispetto a quelli che deriverebbero dagli ipotizzati comportamenti delittuosi. Questa terra ha bisogno di certezze, di speranza, di valorizzare vocazioni e peculiarità, di dare spazio ai talenti che ha, non di avvitarsi, vergognandosi, su mali che non ha”. Mentre la classe dirigente molisana, quindi, continua a mettere sotto il tappeto problemi che andrebbero affrontati con onestà, coraggio e costanza è utile seguire il ragionamento del presidente dell’Anm Molise Rossana Venditti: “In Molise il fenomeno malavitoso non ha manifestazioni eclatanti, facilmente percepibili e facilmente decifrabili. Non abbiamo, per nostra fortuna, i morti per strada e non abbiamo le saracinesche che saltano. Cominciamo ad avere situazioni più sottili che vanno decifrate, comprese, ricollegate tra di loro e indagate con professionalità. Tutto ciò implica un livello di preparazione ancora maggiore di quello che viene richiesto in realtà dove il fenomeno oramai è conosciuto, indagato. Dove ci sono sentenze passate in giudicato che dicono che esiste una certa realtà criminale così denominata, che ha quella struttura, che ha quella storia. In Molise lavoriamo ancora in una fase sperimentale, di decifrazione. Fatichiamo molto a farlo. Non esistono le capacità di capire fino in fondo cosa sta succedendo e la disponibilità ad esporsi e ad assumere un ruolo, che per definizione è un ruolo scomodo: quello di chi denuncia, quello di chi testimonia, quello di chi inizia un percorso pieno di incognite. Come magistratura molisana ci proponiamo e cerchiamo di essere disponibili, autorevoli, rassicuranti. E’ una fatica quotidiana con i nostri numeri, con i nostri mezzi e con i nostri organici”. Fondamentale è quindi parlarne. Continuare con il concetto di “cultura della legalità”. Per cambiare le coscienze, per far conoscere la realtà, quindi anche i rischi e i pericoli. “Il giorno che è uscito questo libro – ha dichiarato Forgione – il presidente del consiglio non ha trovato di meglio che dire che non bisogna più scrivere libri di mafia perché rovinano l’immagine dell’Italia. Di mafia dobbiamo parlarne, perché dobbiamo rompere questo muro di omertà sul territorio. Mi fa piacere che sia stato usato come pretesto il mio libro per aprire una riflessione in Molise, in questa isola che felice non è. Ho scritto un libro raccogliendo anche l’esperienza della Commissione Antimafia. Un libro contro l’ipocrisia. L’ipocrisia vale per il mondo. Vale per l’Australia, vale per la Germania, vale per la Lombardia e può valere anche per il Molise”. Qual è l’ipocrisia? “E’ quella che non vede le mafie fino al momento in cui le mafie non insanguinano le strade”. Ritorna il concetto che si riscontra da troppi anni in Molise. Per Forgione: “Il massimo di questa ipocrisia l’abbiamo riscontrata in questa dimensione internazionale con la strage di Duisburg. I tedeschi sapevano delle famiglie in lotta dal 1991, al punto che nel 2000 la polizia tedesca inviava un rapporto all’autorità italiane, descrivendo in modo minuzioso cosa facevano le famiglie di San Luca. Poi il problema era degli italiani. Riscoprono la ‘ndrangheta quando la notte di ferragosto del 2007 trovano per la prima volta sei corpi uccisi davanti al ristorante. L’altra faccia di questa ipocrisia qual è? Che puoi prendere, in qualunque parte dell’Italia e del Mondo, i soldi dei mafiosi con la presunzione che quando arrivano i soldi sporchi non arrivano anche i mafiosi. Quando abbiamo un fatturato criminale annuo che oscilla tra i 100 e i 150miliardi il problema non è più del rapporto tra l’economia legale e l’economia illegale. Il problema che abbiamo, che dovrebbe essere l’assillo di ogni governo e delle classi dirigenti, è tracciare la linea di confine tra economia legale ed economia illegale. La globalizzazione ha favorito la dispersione di questa traccia, di questo confine netto”. Per l’ex presidente della Commissione Antimafia: “La ricostruzione di un’etica pubblica del nostro Paese deve riguardare la politica, ma deve riguardare anche il mondo economico, deve riguardare le categorie professionali, deve riguardare la chiesa troppo silente in alcune aree del territorio. Deve riguardare tutti. Noi abbiamo il dovere di partire ognuno dal proprio ruolo se vogliamo far superare l’esclusività della dimensione penale e giudiziaria nella lotta alla mafia”. Ma come si riconoscono le mafie? “Guardate cosa avviene sul territorio, guardate quante aree agricole stanno diventando commerciali, guardate le varianti ai piani di fabbricazione, guardate alle deroghe alle normative urbanistiche esistenti e cosa avviene in deroga, guardate quanti progetti vengono realizzati con il silenzio-assenso. E cominciate a capire cosa sono le mafie. Diciamoci la verità: in nome dello snellimento nelle procedure sono stati abbattuti tutti gli strumenti di controllo in questo Paese. I fondi europei – continua Forgione – vengono gestiti tutti con l’autocertificazione. È chiaro che tutti i procedimenti sono regolari. In Italia c’è l’anagrafe dei conti correnti bancari, stabilita con legge del 2001. Il decreto attuativo della legge viene fatto a febbraio del 2008. Quanti governi sono passati e perché non è stato fatto? Perché questo santuario del mercato è intoccabile. Bisogna fare un patto con gli imprenditori su questi temi. Il sistema dei subappalti con il massimo ribasso è un sistema criminogeno”. Quale deve essere l’impegno dell’antimafia? “La nostra antimafia deve ripartire da una rilettura del territorio, dei processi di modernizzazione. Oggi le mafie sono soggetti dinamici, imprenditoriali. Sono delle grandi holding economico finanziarie. La ricostruzione di un’etica pubblica passa attraverso la ricostruzione di un meccanismo di trasparenza dei comportamenti individuali e collettivi. Se facciamo questo la lotta alla mafia cambia di significato”. Ma qual è la situazione drammatica che dobbiamo affrontare? “Siamo un Paese che ha garantito la latitanza di Bernardo Provenzano per 40anni. Non esiste una latitanza che può durare tutti questi anni senza un sistema di coperture istituzionali, politiche e sociali. Non a caso che per quella latitanza ci sono vertici dei Ros che devono rispondere anche di fronte alla giustizia. Quando si arresta un latitante, quando si aggredisce la dimensione criminale militare delle mafie è sempre un bene. Ma se da un lato aggrediamo questa dimensione, riconquistiamo fette di territorio e dell’altra, però, garantiamo alla dimensione economico finanziaria di potersi espandere e di inquinare settori interi della nostra economia, anche attraverso processi legislativi che ne favoriscono l’espansione, la lotta alla mafia non la facciamo. Questa è la questione drammatica che noi oggi abbiamo di fronte”.
IL MOLISE E LA POLITICA.
La Rai blocca inchiesta sul Molise di News24. “Maxi spese per micro regione” doveva essere questo il titolo dell’inchiesta realizzata da Rainews24 dedicata alla Regione Molise, ma ieri sera viale Mazzini ha bloccato la messa in onda, proteste del CdR e dellUsigrai. Alle 20.40 doveva partire un reportage dedicato alle spese e gli sprechi abnormi della più piccola delle regioni italiane a statuto ordinario e invece una telefonata della Direzione generale ha fermato tutto. Si trattava del primo di tre reportage dedicati alle regioni dove si vota in contemporanea alle politiche, dopo il Molise ci sarebbe stata la Lombardia e la Sicilia. Il governatore Michele Iorio aveva tuonato allo scandalo nella giornata di ieri, con anticipo rispetto alla messa in onda. Le sue parole devono aver avuto effetto al punto da bloccare la programmazione in nome della par condicio. Motivazione singolare in quanto, a detta del CdR, l’inchiesta dava ampio diritto di replica allo stesso governatore, sei minuti su venti complessivi del servizio. Poco dopo è giunta anche la protesta del sindacato dei giornalisti, l’Usigrai, che ha definito “gravissimo” il blocco del servizio soprattutto perché si trattava di un inchiesta documentata sui fatti. I giornalisti del servizio pubblico ritenevano comunque inaccettabile la censura preventiva non trattandosi di uno spazio di comunicazione politica. Non è la prima volta che inchieste televisive si occupano della “micro regione” del Molise. Report, La7, Corriere della Sera e altri hanno affondato telecamere e taccuini soprattutto sugli sperperi della ricostruzione post terremoto, su cui è in corso un procedimento giudiziario. Puntualmente il governatore uscente che si ricandida per il quarto mandato consecutivo ha protestato con energia. Questa, tuttavia, è la prima volta – a quanto si sa pubblicamente – che si blocca un reportage ancora prima di andare in onda. In Molise accadono tante cose che spesso sfuggono alla grande stampa. Bisogna tenere aperta una finestra di informazione, parlarne fa sempre bene.
Il Regno del Molise. Il Regno è ancora di Re Michele Iorio, scrive Alessandro Corroppoli su “Malitalia”. Il Molise è una regione che raramente balza agli onori della cronaca nazionale, nel senso più ampio del termine. Anzi quasi mai ci capita, venendo da sempre accreditata come un’isola felice. Ma negli ultimi dodici mesi si è abbattuto su questa tranquilla e silenziosa terra un ciclone: Vinicio D’Ambrosio. Con il suo libro “Il Regno del Molise. Sprechi, scandali e inchieste giudiziarie nell’Isola felice governata da Michele Iorio”, giunto alla quarta edizione, ha in qualche modo interrotto il sonno e i sogni di tanti cittadini/elettori che da troppo tempo hanno delegato il proprio futuro ad amministratori regionali che hanno fatto della mala politica e della mala amministrazione la propria bandiera. Lo abbiamo intervistato per parlare dell’ultima manovra finanziaria della Regione, della sanità, della magistratura molisana, ma anche di come ci si senta a vivere per un anno sotto i riflettori della critica.
D’Ambrosio, in meno di un anno siamo giunti alla quarta edizione del suo libro “Il Regno del Molise”. Come si sente a vivere sotto i riflettori? Ci fa un primo bilancio
«Un bilancio sicuramente positivo, più che lusinghiero per quanto mi riguarda, dato che il libro è stato recensito a livello nazionale su quotidiani come Repubblica, l’Unità, Liberal e su periodici come la Voce delle Voci. Ho avuto modo di presentarlo in diversi comuni della regione, mentre a metà settembre sarò a Potenza su invito dell’associazione culturale Decander. La cosa curiosa è che in Molise, all’infuori di alcune eccezioni, da parte dei media non ci sono state recensioni, analisi, critiche rispetto al contenuto del libro. Questo perché c’è un controllo quasi assoluto degli organi di informazione da parte di Michele Iorio. In buona sostanza, non parlandone si è cercato di svilire la portata del mio lavoro. C’è stato poi anche qualche tentativo di attacco sul piano personale di cui i responsabili risponderanno in sede giudiziaria.»
A distanza di un anno Lei ritiene che il suo libro sia ancora attuale oppure pensa che abbia bisogno di qualche aggiornamento?
«Il contenuto del mio libro è decisamente attuale. La conferma viene dalla stessa amministrazione regionale, che ha appena messo in campo delle misure di razionalizzazione della spesa per ridurre, seppure parzialmente, gli sprechi perpetrati in questi anni. Sprechi e veri e propri scandali troppo spesso sottovalutati, che io ho descritto nel libro con chiarezza e precisione. Chi l’ha letto si rende conto che buona parte della manovra riguarda proprio il taglio degli sprechi che ho denunciato con documenti e circostanze materiali.»
Possiamo dire che è stato anticipatore e, forse, senza esagerare, buon profeta delle conseguenze del mal costume dei nostri amministratori?
«Ho solo fatto un lavoro di ricerca e di elaborazione di atti, documenti ufficiali, dati numerici, indagini giudiziarie, evidenziando cosa, a mio giudizio, non andava. In Molise c’è un sistema clientelare diffuso, esaltato dalla ristrettezza demografica della regione. Oggi “lor signori” si vedono costretti a tagliare parte delle spese improduttive finalizzate solo ad acquisire consenso. Veri e propri sprechi che riguardano il costo della politica, le consulenze, i contratti di collaborazione, gli apparati politici e amministrativi, il numero dei dirigenti, la soppressione delle commissioni consiliari speciali. Quest’ultime, assolutamente inutili e istituite per accontentare, con personale, indennità e prebende, i consiglieri regionali di maggioranza rimasti senza incarico. Possibile, tanto per fare un esempio, che ci sia ancora una commissione sull’influenza suina? Sappiamo tutti come è finita, a livello nazionale, la storia della “bufala” dell’influenza A, con centinaia di milioni di euro spesi per un vaccino rimasto inutilizzato. Figurarsi i consiglieri della nostra regione che discettano di aviaria! Non si è a conoscenza di un solo documento prodotto dalla commissione in tanti mesi.»
Come giudica, quindi, la manovra economica finanziaria varata dalla Regione: tagli veri o ingannevoli?
«Intanto bisogna dire che Michele Iorio, dopo essersi beccato del “cialtrone” al pari di altri amministratori meridionali da parte del ministro dell’economia Tremonti, in presenza di una forte riduzione dei trasferimenti statali non poteva non avviare una manovra correttiva. Tagli che non possono incidere in profondità per due ordini di fattori: 1) non sono dovuti ad un’impostazione di sana e corretta gestione nell’interesse della collettività ma esclusivamente al taglio dei trasferimenti da parte del governo centrale; 2) Iorio deve comunque preservare le sue modalità di gestione clientelare dato che il prossimo anno ci saranno le elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale. Inoltre bisogna aggiungere che c’è stato un ritardo inspiegabile nella pubblicazione sul bollettino ufficiale della Regione della relativa legge.»
Perché questo ritardo?
«L’interpretazione più ovvia è quella che il ritardo abbia consentito al presidente, agli assessori, ai consiglieri di continuare a percepire per l’intero mese di agosto i soliti compensi e prebende. C’è qualche spunto da approfondire contenuto in questa manovra? Va approfondita l’ammissione, contenuta nel provvedimento, del fatto che la società per l’informatica, la Molise Dati Spa, non sia una società in house della Regione. Nelle misure per il contenimento della spesa pubblica è previsto che la Giunta regionale possa procedere all’acquisizione “per completarne la configurazione di società in house providing” della totalità delle quote dai privati oppure di cedere a terzi la sua partecipazione in toto. Ora, se la società non è mai stata in house sono, di conseguenza, ipotizzabili possibili profili di responsabilità degli amministratori e l’annullabilità delle assunzioni, forniture, servizi, appalti posti in essere in tutti questi anni per decine, o meglio, centinaia di milioni di euro? A chi di dovere la risposta.»
Questa sua ultima riflessione costituisce un monito per la magistratura molisana. Anche essa è forse dormiente?
«Nel libro ho scritto che, a volte, si ha l’impressione che talune Procure e magistrature voltino le spalle per non guardare. Eppure la questione morale riguarda tutti i cittadini, anche i magistrati. E invece, in un’apparente, tranquillità, sembra che tutto proceda per il meglio. Chi osa chiedere se sia possibile che non esistano controlli, che non si facciano verifiche di fronte all’utilizzo dei fondi pubblici, che non si sappia quante decine di milioni di euro costano annualmente gli enti sub-regionali, viene visto come un fastidioso rompiscatole. Oggi si ha come la sensazione di una strategia di Iorio per coprirsi le spalle con la nomina di grossi, ma anche meno grossi, calibri a livello giudiziario e di organi inquirenti, a partire dal caso eclatante della nomina di Nicola Passarelli, ex presidente della Corte d’Appello di Campobasso, come assessore esterno alla Sanità, per finire alla nomina contemporanea dell’ex procuratore capo della Corte dei conti del Molise, Giuseppe Grasso, e di un generale della Guardia di Finanza in una commissione di gara. Ma ci sono tanti altri esempi. Sanità: deficit altissimo, Regione commissariata, molte critiche, tante proteste, fiumi di parole. Non sto qui a ricordare gli errori e i favoritismi nella gestione della sanità regionale. Ricordo solo l’istituzione di un reparto di neurofisiopatologia presso l’ospedale di Isernia, diretta dal fratello di Michele Iorio, Nicola. È un caso unico in Italia, e probabilmente al mondo. Perché non esiste in alcun ospedale una unità di neurofisiopatologia senza che sia connessa a un reparto di neurologia, di cui è una branca, o di neurochirurgia. L’ospedale di Isernia non ha né neurologia né neurochirurgia. Infine: nel momento in cui si va verso la riduzione drastica dei fondi e il taglio dei posti letto nei nosocomi regionali, e inoltre si parla sempre più spesso della soppressione degli ospedali di Venafro, Agnone e Larino, cosa ti fa l’Azienda sanitaria regionale? Un avviso, nel quale si spiega che per la realizzazione dei progetti di ricerca scientifica – un inciso, sfido a trovare qualcuno che abbia mai sentito parlare di ricerca scientifica da parte dell’Asrem – intende procedere alla costituzione di una “long list”. Espressione per dire che vuole avere un elenco di consulenti esterni a cui conferire incarichi di collaborazione. Da una parte si tagliano i posti letto e dall’altra parte si pensa ancora di procedere all’assunzione di consulenti.»
Per chiudere. È vero che Iorio ha l’abitudine di tenere per sé documenti e atti che pure dovrebbe mettere a disposizione di ministeri superiori e organi inquirenti?
«Diciamo che c’è questa cattiva abitudine del presidente Iorio di non fornire, e non solo alla pubblica opinione, documenti, informazioni, chiarimenti. Ad esempio il 19 maggio 2010 si è saputo che Iorio non ha mai trasmesso ai ministeri dell’Economia e della Salute una delibera di Giunta regionale del giugno 2008 comportante oneri di spesa per decine di milioni di euro. Poi, per ben tre volte, in tre anni, la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti del Molise ha chiesto, con distinte deliberazioni, informazioni ed elementi conoscitivi alla Giunta regionale sui derivati finanziari contratti dall’ente per ben 258 milioni di euro. È stata anche interessata la procura della stessa Corte. Inutilmente. Il comportamento omissivo della Regione persiste. E il bello, si fa per dire, è che ciò non viene sanzionato e non vengono presi ulteriori provvedimenti e avviati accertamenti.»
Sulle inesattezze de «Il Regno del Molise» il governatore Iorio scrive a la Repubblica. Un «corpo a corpo» fatto di accuse, sottolineature e precisazioni, veleni vecchi e nuovi che certamente non ingentiliscono la sensibilità dell'opinione pubblica presa in mezzo ad un tiro al bersaglio dove i sibili dei colpi sono diventati acuti e sottili ma assordanti, scrive “Il Tempo”. Tutto è partito dalla pubblicazione del libro «Il Regno del Molise» dove l'autore Vinicio D'Ambrosio riconduce al presidente della Giunta una serie di accuse e quindi di riferimenti prontamente contestati e respinti da Iorio in più di un'occasione e da qui l'origine di uno scontro a distanza dove entrambi ribattono colpo su colpo accuse insinuazioni e fatti comunque riportati o dichiarati. Poi la chiamata in causa del giornale «Repubblica» attraverso alcuni interventi apparsi negli ultimi giorni, come afferma il Governatore Iorio, di Mario Pirani. Quest'ultimo, infatti, trattando la recensione del libro di D'Ambrosio, in due puntate si è soffermato su critiche e osservazioni addebitate al governo Iorio. Una posizione che quest'ultimo non ha sopportato in alcun modo, come afferma in una lettera inviata allo stesso Pirani, contestando e puntualizzando su alcune precise situazioni ed esponendone altre al contrario. Prendendo spunto, infatti, da una definizione attribuita all'autore del libro, lo stesso Iorio sottolinea un elenco di episodi e di provvedimenti con tanto di riferimenti date e cifre la cui destinazione, da quanto scrive Iorio, rimane il direttore di Concooperative. Lo stesso presidente della Giunta del Molise ribadendo che i fatti raccontati sono scritti in «documenti più immediatamente a portata di mano dei miei collaboratori», invita il giornalista di Repubblica a valutare meglio il quadro della situazione alimentata anche da altri luoghi giornalistici. Sulla sua condotta politica come ha fatto ieri l'altro in aula a palazzo Moffa, Iorio ribadisce la sua assoluta equa e trasparente linea amministrativa sottolineando ancora una volta che «non esiste traccia di una qualsiasi indagine che riguardi la corruzione o che sia anche solo vagamente riconducibile a una qualche Tangentopoli da lei (ndr.rivolgendosiall'articolista) troppo sbrigativamente richiamata nell'introduzione del suo articolo».
La stampa nazionale torna ad occuparsi del Molise, scrive “Tv Molise”. Il Fatto quotidiano punta il dito contro liste sbagliate e candidati eccellenti indagati in molteplici processi. Per il presidente Iorio l’elenco dei processi dov’è imputato. Non è la prima volta che la nostra piccola regione finisce sulla stampa nazionale, ma le vicine elezioni regionali hanno fornito un nuovo spunto per parlare e far parlare del Molise. Ancora una volta è Il Fatto Quotidiano ad occuparsi dei panni sporchi di casa nostra, con un articolo firmato dal giornalista Gabriele Paglino sulla corsa per un posto a Palazzo Moffa. Sulle colonne de Il Fatto Quotidiano finiscono i problemi giudiziari di diversi candidati impegnati in questa campagna elettorale 2013. In primis del Governatore uscente, Michele Iorio, il cui curriculum – si legge nell’articolo – pare la trasposizione, a livello regionale, di quello del leader nazionale del Pdl. Il giornalista parte dal recente decadimento di Iorio, sancito dal Tar e confermato dal Consiglio di Stato, per poi passare in rassegna tutti i procedimenti nel quale l’aspirante presidente del centrodestra è coinvolto. Inchieste di spessore come quella sulla vendita di parte delle quote dello Zuccherificio, nella quale è indagato per abuso d’ufficio e falso in bilancio; quella sull’acquisto della nave Termoli Jet, con accuse di truffa, abuso d’ufficio e falso; ancora, uno dei filoni dell’inchiesta Open Gates, sullo smaltimento illegale di rifiuti pericolosi nei campi del Basso Molise, fino ad arrivare all’accusa di abuso d’ufficio nell’inchiesta sullo scandalo della sanità regionale denominata Black Hole. Inoltre – continua l’articolo pubblicato da Il Fatto Quotidiano – sulle spalle del governatore uscente pesa anche una richiesta di rinvio a giudizio per aver gonfiato il numero dei paesi colpiti dal terremoto del 2002. Mentre il rinvio a giudizio è arrivato nell’ambito dell’inchiesta sulla contabilità dell’istituto di musica Imam. Michele Iorio, candidato per la quarta volta alla guida della Regione Molise, annovera infine – scrive Paglino – una condanna in primo grado, ad un anno e sei mesi, per abuso d’ufficio per aver favorito la Bain&Co, multinazionale nella quale lavorava il figlio. Ma l’approfondimento giudiziario de Il Fatto Quotidiano si allarga anche ai fedelissimi del Governatore uscente, come gli assessori Chieffo e Velardi, anche loro coinvolti nell’affaire Termoli Jet. Nonché a diversi candidati nelle liste a sostegno di Iorio, tra i quali compaiono i nomi dell’ex sindaco di Termoli, Alberto Montano, indagato in passato per abuso d’ufficio, accusa poi decaduta, e Vincenzo Ferrazzano, Udc, rinviato a giudizio per truffa, lottizzazione abusiva e abuso d’ufficio e coinvolto nell’inchiesta Black Hole.
Repubblica.it e Il Giornale tornano a parlare del Molise. Questa volta del Pd e del caso Greco, scrive “Prima Pagina Molise”.
Il Giornale.it: Rissa e processo sovietico, l'ennesima faida Pd. Se a livello centrale il Pd è allo sbando, a quello periferico è già capottato. Si prenda il Molise dove il partito, non da ieri, è lacerato da una vera e propria faida intestina. E a Termoli, martedì scorso, è andato in scena uno show tragicomico. Nella sezione cittadina allestita nel centro commerciale «Lo Scrigno» si sono visti interrogatori stile Pcus, insulti e risse. Una bagarre in piena regola terminata, come si conviene, con l'intervento dei carabinieri. Tutto inizia alle 20 quando, nell'ultima ora utile per aderire al partito di Franceschini, si presentano il sindaco di Termoli, Vincenzo Greco, e due consiglieri ex Udeur, Antonio Giuditta e Gabriele Petrella. Il primo, importante esponente del centrosinistra, tuttavia non ha mai avuto alcuna tessera in tasca. Gli altri hanno detto addio a Mastella, reo di essersi spostato a destra. Il gruppetto piomba davanti ai vertici locali del Pd, guidati da Antonella Occhionero, e parte l'insolito esame. Test curioso, visto che nella giunta e nella maggioranza che regge Greco sono presenti diversi esponenti piddini. Il colloquio si trasforma presto in un interrogatorio e la tensione sale alle stelle. Lì dentro c'è chi la tessera non gliela vuole proprio dare e partono gli insulti: «Sputi nel piatto dove mangi», gli rinfaccia qualcuno che lo accusa di simpatizzare per l'Idv. Il sindaco ribatte colpo su colpo ma poi crolla, cede, si alza e se ne va indignato. Accanto a lui un assessore che, più che basito, straccia persino la tessera appena sottoscritta. Il sindaco, amareggiato, si sente un po' Beppe Grillo e non risponde più al telefonino che squilla invano dopo che, presumibilmente, dall'alto è arrivato il nulla osta all'iscrizione. Forse qualcuno si è reso conto che il niet è stato un passo falso. In sezione la bagarre continua fino all'arrivo dei carabinieri ai quali gli ex udeurrini fanno verbalizzare il divieto al tesseramento. Una bella bega per il povero Franceschini, dopo quella recente dell'affaire D'Ascanio. Pochi giorni fa, infatti, il commissario regionale del Pd, il deputato Giampiero Bocci, ha espulso dal partito otto persone. Mica pedine insignificanti: cacciati il presidente della provincia di Campobasso, Nicola D'Ascanio, l'assessore Pierpaolo Nagni, un po' di consiglieri provinciali e l'ex capogruppo Pd al comune di Campobasso, Lello Bucci. La loro colpa, secondo Bocci, l'aver appoggiato una lista che alle ultime comunali era in contrapposizione alla lista ufficiale. Piccata la replica degli epurati: «Il Pd molisano s'è trasformato in un comitato elettorale che serve solo a curare gli interessi di pochi impoverendo il partito che in pochi mesi ha perso due terzi dei consensi che aveva in Molise». E in effetti lì il partito rischia l'estinzione, surclassato dal Pdl e cannibalizzato da Di Pietro. Alle europee Franceschini ha raggranellato un misero 12% contro il 28% dell'Idv e il 41,8% del Pdl. Alle politiche del 2008 prese il 18% e nel 2006, come Ulivo, il 29,7%. Insomma una débâcle. Di chi la colpa? In molti puntano il dito contro Roberto Ruta, ex deputato margheritino, amico di Bocci, sostenitore di Franceschini, eterno pupillo di Beppe Fioroni e vero dittatore-padrone del partito. Ma la resa dei conti in Molise continuerà anche dopo il congresso di ottobre. In vista due date: tra due anni si vota per le regionali e pochi mesi prima è prevista anche l'elezione del nuovo presidente della provincia di Campobasso. Chi prende in mano oggi il partito laggiù gestirà candidature e alleanze.
Repubblica.it: Termoli, niente Pd per il sindaco Tra i 'giudici', assessori cacciati. Una commissione molto vivace per negargli la tessera. C'è stato persino l'intervento finale dei carabinieri. Il sindaco è stato esaminato, valutato col massimo rigore e infine bocciato. Tessera del Partito democratico rifiutata a Vincenzo Greco, primo cittadino di Termoli. La bocciatura, ma prima ancora la convocazione all'esame, un lungo tavolo, di qua lui e di là i dirigenti del partito, e l'avvertenza "comunque la sua iscrizione sarà con riserva", cambia il corso della cronaca che fino a qualche mese fa aveva raccontato la conquista delle adesioni alle diverse mozioni congressuali. Pacchetti di tessere spostati o comprati, allusioni e veleni, traghettamenti operosi e notturni, innalzamento del numero delle adesioni (circa ottocentomila) avvenuto in zona Cesarini, sono temi e testimonianze che non tengono conto che l'Italia è lunga e varia anche il volto del Pd piuttosto cangiante. Se dunque le cronache campane e laziali hanno dovuto occuparsi di alcune tumultuose e improvvise esplosioni di militanza di massa, gli abitanti della piccola città molisana sull'Adriatico hanno letto della severità alla quale il sindaco ha dovuto fare i conti. Al dottor Greco è capitato, purtroppo, che nella commissione esaminatrice - presieduta, secondo i resoconti giornalistici, dalla signora Antonella Occhionero - figurassero ex assessori proprio da lui rimossi. Chiaramente sono stati subito guai. L'interrogazione (o interrogatorio, ma sono punti di vista) è iniziata subito a farsi dura. Le domande sono fioccate e quel foglio di adesione è stato lasciato in un cassetto. Prima rispondi e poi vediamo. Non si è capito se il sindaco abbia replicato, e come. Si è solo saputo che a un certo punto si è arreso: "Rinuncio all'iscrizione". Però i toni evidentemente già concitati, hanno obbligato i carabinieri a bussare alla porta della sezione per limitare i danni e decretare concluso sia il confronto che la campagna di tesseramento.
PARENTOPOLI. IL MOLISE ED I PARENTI: UNIVERSITA’, POLITICA, MAGISTRATURA.
L’UNIVERSITA’ DEI PARENTI. L'università dei parenti, scrive Riccardo Bocca su “L’Espresso”. Una valanga di mogli, zii e cognati che affollano gli uffici. E una ragnatela di contratti esterni per i prof amici. Indagine sul singolare ateneo del Molise. Parenti, parenti e ancora parenti. Tutti insieme appassionatamente negli uffici dell'Unimol, l'università del Molise fondata nel 1982. Alla sede centrale di Campobasso, per dire, il direttore amministrativo vicario si chiama Valerio Barbieri ed è sposato con Maria Teresa De Blasis, responsabile della segreteria di presidenza a Legge. La quale, a sua volta, ha il fratello Salvatore al settore sicurezza e prevenzione. Intanto il cugino di Barbieri, Ottavio Cirnelli, è segretario amministrativo al dipartimento di Scienze economiche gestionali e sociali, mentre la moglie Silvana Rubbo si trova al settore previdenza. Ed è appena l'inizio. Gaetano Campidoglio, capo segreteria tecnica del coordinamento al rettorato, ha il figlio Andrea al settore servizi informatici, mentre il cognato Giuseppe Centillo lavora all'ufficio amministrativo del centro Unimol management. Giovanni Lanza, responsabile dei servizi tecnici, ha per consorte Cinzia Dardone alla segreteria studenti. Dopodiché, per chiudere alla grande, ecco riunita all'Unimol la famiglia di Fiore Carpenito: lui al settore del diritto allo studio, la moglie Maria Di Camillo alla segreteria di Agraria, il figlio Felicino alla biblioteca di Isernia, e la nipote Assunta Di Camillo alla segreteria studenti. Doveroso, visto l'elenco, è chiedere al rettore Giovanni Cannata come sia cresciuto questo reticolo familiare. E la risposta è tra il seccato e il romantico: "Tutto ciò non mi stupisce e non mi turba", spiega, "molte persone lavorano insieme, hanno l'opportunità di conoscersi, e quindi stabiliscono relazioni...". No problem, in altre parole. "Niente è avvenuto fuori dalle norme", assicura Cannata; e poi "i fondamentali di quest'ateneo sono solidi", aggiunge. Il che sarà certamente vero, commentano al ministero dell'Istruzione, ma resta il dato che Unimol è soltanto "al quarantacinquesimo posto tra gli atenei virtuosi catalogati dall'Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e ricerca)". Di più: la "Grande guida all'università 2010-2011" del quotidiano "la Repubblica", riserva a Unimol il nono posto sui nove atenei italiani che hanno meno di 10 mila iscritti. Per non parlare dell'analisi pubblicata a luglio 2009 dal "Sole 24 ore", secondo cui il 16,5 per cento degli allievi Unimol "non ottiene crediti in un anno", mentre un migliorabile 14,5 si laurea nei tempi previsti. "L'università più pazza del mondo", l'ha ribattezzata esagerando qualche studente. Ma anche il senatore Giuseppe Astore, oggi gruppo misto ed ex Italia dei valori, ha le sue perplessità: "Cannata è in carica dal 1995, sta svolgendo il sesto mandato, e ha indetto di colpo le ultime elezioni a rettore il 18 marzo 2010, mentre in Parlamento si discuteva la riforma Gelmini con il limite di due mandati proprio per i rettori". Il 6 maggio successivo, Astore ha segnalato il fatto in un'interpellanza parlamentare, citando "l'inopportunità di indire elezioni improvvise in vista di disposizioni che, qualora approvate" avrebbero rinnovato "radicalmente l'assetto di governo delle università". Ma nessuno gli ha ancora risposto. "Come nessuno", rilancia, "vuole toccare un altro punto dolente dell'Unimol: la proliferazione delle docenze esterne". Una voce, quella dei professori a contratto, che nel 2007 è costata all'ateneo 1 milione 258 mila euro, nel 2008 967 mila euro e nel 2009 altri 848 mila. "Fenomeno fisiologico", lo considera Cannata, "frutto anche del blocco delle assunzioni". E ha ragione, in questo senso. Ma c'è un altro aspetto da considerare, già individuato nel 2007 dall'ordinario all'Unimol di Chimica fisica Andrea Ceglie: "Prendere a prestito docenti dall'esterno, dalle professioni, dalle arti e mestieri per attivare nuovi corsi, snatura l'insegnamento universitario", scriveva candidandosi (senza successo) a rettore. E soprattutto, "condanna l'istituzione a un declassamento inevitabile". Frasi profetiche, secondo la Flc-Cgil: "Nel tempo", racconta il sindacalista Paolo De Socio, "si è creata all'Università del Molise una ragnatela di contratti esterni che spazia dalla politica al giornalismo, dalla magistratura alla medicina". Spiccano, tra i tanti nomi, quelli di Nicola D'Angelo e Giovanna Rosa Immacolata Di Petti, magistrati a Campobasso. C'è Rossana Iesulauro, presidente facente funzioni della Corte d'appello locale. Si trova, in questa lista disponibile sul sito Unimol, Giorgio Giaccardi, presidente del Tar molisano. E con lui vantano docenze esterne Antonio Di Brino, sindaco Pdl di Termoli, il direttore di Telemolise Manuela Petescia (moglie del senatore Pdl Ulisse Di Giacomo), i giornalisti Rai Pasquale Rotunno e Mario Prignano, la dirigente dei rapporti istituzionali per la regione Molise Alberta De Lisio (sposata con Carlo Alberti Manfredi Selvaggi, capo dipartimento per gli Affari regionali alla presidenza del Consiglio dei ministri, anch'egli docente esterno). Senza dimenticare Marco Tagliaferri, che oltre a essere un medico ha contribuito alla realizzazione di Progetto Molise: "Una lista vicina al governatore Michele Iorio, cioè allo sponsor storico del rettore Cannata", sottolinea Vinicio D'Ambrosio, autore del best seller regionale "Il regno del Molise". Perplessi, gli studenti dell'Unimol chiedono "una gestione più condivisa e democratica dell'ateneo". E della stessa opinione è il professor Ceglie, il quale boccia anche la composizione del Senato accademico, "esteso ai soli direttori di dipartimento e presidi di facoltà, senza rappresentanza elettiva di professori associati o ricercatori, e tantomeno degli studenti e del personale tecnico amministrativo". Una struttura, spiega De Socio di Flc-Cgil, "che la scorsa estate ha approvato, senza un vero dibattito, il progetto della Federazione pugliese-molisano-lucana". Ottima idea, il matrimonio dell'Unimol con il politecnico di Bari e l'ateneo del Salento, ma ancora da monitorare sui tempi operativi. Lo stesso Cannata parla di "un percorso di avvicinamento". Anzi, di "un cantiere aperto". Insomma: "Non è come una frittata, che si sbatte l'uovo e si mette in padella...". Ecco perché, "sperando di recuperare qualche posizione nella classifica Anvur", molti suoi colleghi incrociano le dita.
PARENTOPOLI. LA DINASTIA IORIO OCCUPO’ ISERNIA.
Sotto accusa il presidente del Molise: "Parentopoli nella sanità", mentre il deficit sanitario regionale ha raggiunto in otto anni 600 milioni di euro, scrive Giuseppe Caporale su “La Repubblica”. All'ospedale "il Veneziale" di Isernia non c'è vento di crisi. Mentre sulla gran parte dei nosocomi della regione si abbattono tagli e ridimensionamenti (con tanto di rivolte cittadine), per porre un argine al deficit sanitario arrivato a 600 milioni di euro in otto anni, al Veneziale no. Qui accade tutt'altro. Infatti, in questo ospedale la Regione Molise ha deciso di investire altro denaro, attivando una nuova unità operativa (una "stroke unit") che costerà alle esangui casse regionali più di un milione di euro. Un finanziamento indirizzato al reparto di neurofisiopatologia, diretto dal primario Nicola Iorio, fratello del governatore. Fondi che saranno gestiti dalla direttrice del distretto sanitario regionale di Isernia, Rosa Iorio, sorella del governatore. Ma i due Iorio citati non sono gli unici parenti di Michele, presidente della Regione, che lavorano al Veneziale. L'elenco, in verità, è lungo ed anche al centro di interrogazioni in consiglio regionale: il cognato Sergio Tartaglione (marito di Rosetta Iorio) è il primario del reparto di psichiatria e presidente dell'ordine dei medici di Isernia; il figlio del governatore, Luca Iorio, nell'ospedale lavora in qualità di medico chirurgo; il cugino del presidente, Vincenzo Bizzarro, attuale consigliere regionale di Forza Italia, è stato direttore del distretto sanitario di Isernia, ed una volta in pensione ha lasciato il posto alla cugina Rosa (nominata tra le polemiche in virtù della sua laurea in giurisprudenza). L'elenco prosegue: la moglie del cugino del governatore, Luciana De Cola, ricopre, al Veneziale, il ruolo di vice direttrice sanitaria. Il primario del reparto di Cardiologia è Ulisse Di Giacomo, senatore di Forza Italia e coordinatore regionale del partito di Berlusconi. Anche lui al Veneziale ha un parente nel suo stesso staff medico. Lavora a Isernia, ma in un centro medico privato (Hyppocrates), convenzionato anche con la Regione, Raffaele Iorio (figlio del governatore) in qualità di direttore medico. La parentopoli ha dato anche problemi giudiziari a Michele Iorio: a causa dell'assunzione del terzo figlio, Davide Iorio, presso una multinazionale estera che ha lavorato per la Regione Molise, il governatore è stato indagato dalla procura di Campobasso per corruzione. I magistrati ipotizzano una correlazione tra il contratto di lavoro del giovane e le consulenze affidate dall'ente alla società. Ma i parenti di Iorio lavorano anche negli uffici della Regione. Infatti un'altra cugina di Iorio, Giovanna Bizzarro, ricopre il ruolo di funzionaria, mentre il fratello della moglie del presidente, Paolo Carnevale, risulta direttore della società pubblica Arpa (Azienda regionale per la protezione ambientale) di Isernia. Dai parenti poi si passa ai colleghi di area politica. Gianfranca Testa, candidata alle elezioni comunali di Isernia con la lista civica (voluta da Michele Iorio) "Progetto Molise", è stata da poche settimane nominata direttrice del distretto sanitario di Venafro. Le connessioni coinvolgono anche lo staff del governatore. Il figlio del suo portavoce, Giuseppe Scarlatelli, è stato assunto negli uffici del distretto sanitario di Termoli con l'incarico di "correttore di bozze" del giornalino dell'ente. La fitta ragnatela è contenuta in un dossier prodotto dal consigliere regionale del Pd Michele Petraroia, che racconta: "L'ultimo episodio è sintomatico. Anche la figlia di uno degli autisti del governatore è entrata a lavorare per un ente regionale. Senza concorso, per chiamata diretta...".
MOLISE E LA PARENTOPOLI.
Compagne e cognati, vecchie parentopoli nel "nuovo" Molise. La Regione e le società del governatore: intreccio di interessi privati, relazioni politiche, parentele e coincidenze, scrive Sergio Rizzo si “Il Corriere della Sera”. «Che cosa vi ha uniti?», le chiede www.primapaginamolise.it. E lei, risoluta: «Una fortissima sintonia di pensiero». Senza sintonia con il governatore Paolo Di Laura Frattura, uomo che dovrebbe incarnare il rinnovamento dopo 12 anni di regno di Michele Iorio, l'ingegner Mariolga Mogavero non sarebbe certo arrivata fin qui. Ovvero, nella stanza dei bottoni della piccola Regione Molise, capo di gabinetto e segretario generale della nuova giunta di centrosinistra. Così da attirarsi le invidiose attenzioni di chi l'ha già acidamente battezzata «la governatrice». Mariolga, però, è qualcosa di più. Tanto che per dipanare l'incredibile intreccio di interessi privati, relazioni politiche, parentele e coincidenze che si addensa intorno alla figura del governatore, non si può che cominciare da lei, sua factotum. E da una società di consulenza, la Gap consulting di Campobasso, di cui l'ingegner Mogavero ha il 50%. Non è una società qualunque: si è candidata a fare un impianto a biomasse, per cui ha presentato apposita richiesta alla Regione. Ma nemmeno la titolare del restante 50% è una persona qualsiasi. Si tratta infatti della compagna del futuro governatore, Gilda Maria Antonelli. Il 10 marzo del 2011 entrambe le signore escono di scena vendendo ai mariti. La quota di Mariolga Mogavero finisce alla società (Civitas) del suo consorte Luca Di Domenico. Quella di Gilda Maria Antonelli, invece, alla società (Proter) del suo compagno. Il 30 gennaio 2012 la Gap regala quindi il progetto della centrale alla Civitas di Di Domenico. In quel momento Di Laura Frattura è il capo dell'opposizione regionale: alle elezioni di novembre 2011 è stato sconfitto da Iorio, di cui a lungo era stato il braccio destro prima di passare al centrosinistra. Intervistato dal giornalista Paolo De Chiara respinge ogni sospetto di conflitto d'interessi. «Con le biomasse non ho nulla a che fare. Quando l'iter autorizzativo è partito non avevo nessun impegno politico. Se faccio politica non posso fare l'imprenditore», taglia corto. Passa un anno e diventa governatore, ventotto anni dopo suo padre Ferdinando, democristiano. Ma qui cominciano i problemi. Perché quando si hanno tanti interessi già è difficile guidare l'opposizione, figuriamoci la giunta. Soprattutto in una città piccola, dove le voci, talvolta insieme alle maldicenze, si rincorrono. E tutti si conoscono. Luca Di Domenico, per esempio, conosce di sicuro l'ex sindaco Giuseppe Di Fabio. Non fosse altro perché sua sorella Marilina Di Domenico, candidata con Fratelli d'Italia alle ultime politiche, è stata assessore comunale. Inoltre la società delle biomasse ha lo stesso indirizzo di una onlus, la Seconda ala, che fa capo all'ex primo cittadino. Anni d'oro, per Campobasso, quelli di Di Fabio: anni in cui partiva il progetto delle Due torri, iniziativa edile milionaria della società Immobiliare le torri, controllata al 51% dall'attuale governatore. Iniziativa pensata per ospitare nientemeno che la nuova sede della Regione. Anche qui fra mille coincidenze. Il costruttore, nonché socio di Di Laura Frattura alla partenza dell'operazione, è l'impresa Nidaco. I proprietari? Cotugno Nicandro, figlio di Cotugno Vincenzo, attuale consigliere regionale, e Giuseppina Patriciello, moglie di Vincenzo Cotugno e sorella dell'europarlamentare Pdl Aldo Patriciello. Vincenzo Cotugno, dettaglio, è in attesa di nomina ad assessore regionale: sarebbe il quinto, ma le norme dicono non più di quattro. Si dovranno quindi cambiare legge e statuto. Coincidenze e intrecci però non finiscono qua. La società della centrale a biomasse del marito di Mariolga Mogavero, ricordate? Il 15 aprile scorso se la compra quasi tutta (il 99,5 per cento delle azioni) la C&t spa, nonostante un ricorso pendente al Tar. Si tratta di una società del settore energetico che controlla pure il 20% della Biocom. Che cos'è? Un'altra ditta del settore biomasse il cui restante 80 per cento era in mano allo stesso Paolo Di Laura Frattura, e che ha avuto dalla Regione Molise un finanziamento di 300 mila euro per realizzare un impianto a Termoli. Ma siccome il Comune non dà i permessi il contributo viene revocato, con immediato ricorso al Tar contro la Regione da parte del futuro governatore. Il progetto si scioglie, la società va in liquidazione e il 7 marzo 2013, due settimane dopo il voto, Di Laura Frattura si libera di quell'ingombrante pacchetto dell'80%. A comprarlo è il liquidatore Vittorio Del Cioppo, sfortunato candidato alle regionali per l'Idv. Partito che ovviamente sostiene la giunta, come anche Sinistra ecologia e libertà. Unico consigliere vendoliano e capogruppo di se stesso, in un'assemblea regionale con 21 seggi e ben 14 gruppi dei quali addirittura nove composti da una sola persona, è Nico Ioffredi, cognato di Paolo Di Laura Frattura. È il marito di sua sorella Giuliana Di Laura Frattura, capo di gabinetto del questore di Campobasso.
Di bene in meglio. In Molise l’intreccio tra parenti e affari continua scrive Paolo De Chiara su “Resto al Sud”. Si ritorna a parlare del piccolo Molise. Dopo lo sgretolamento del sistema di potere di Michele Iorio (colpito da inchieste, indagini e condanne) è il turno del ‘nuovo’ presidente della giunta regionale, Paolo Di Laura Frattura. Ex Presidente della Camera di Commercio, in passato molto vicino a Michele Iorio, candidato con poca fortuna (per due volte) con Forza Italia. Oggi ha trovato la sua dimensione politica nel centro-sinistra. Grazie alle nuove alleanze e ai continui cambi di casacca. Questa volta è il Corriere.it, con il bravo e puntuale giornalista Sergio Rizzo, a mettere sul piatto un tema mai affrontato: il conflitto di interessi. Potrebbe configurarsi la fattispecie di conflitto di interessi per Frattura? A questa domanda, prima della vittoria, i suoi colleghi di centro-sinistra, non hanno risposto. Non hanno saputo rispondere, non hanno voluto rispondere. Il tema ruotava intorno alla costruzione di una centrale a biomasse. Dovevano leggere prima le carte.
“Non ne so nulla – dichiarò il consigliere regionale del Pd, oggi vice presidente della Regione Molise e Assessore Michele Petraroia – non ho notizie. Prima dovrei vedere le carte. Sull’impianto specifico non ho nessun documento. Sono stato l’unico a mettermi contro la centrale ad olio vegetali a Trivento e Montefalcone. Il mio parere è scontato su questi argomenti. Se mi devo mettere a battibeccare con questi personaggi di nuova generazione, scelgo io il terreno”. Per l’attuale assessore: “le centrali a biomasse sono semplicemente degli espedienti. Nascono per le biomasse e alla fine diventano potenziali destinatari, diciamo, di rifiuti”. Nemmeno Cristiano Di Pietro (oggi rieletto in consiglio regionale con la defunta Idv) era a conoscenza dell’autorizzazione. “Non ho letto la determina. Mi serve il tempo per leggerla. Devo capire meglio, devo approfondire l’argomento. Se dovesse essere vera la notizia bisogna capire se Frattura è ancora socio. Se dovesse essere socio chiederemo spiegazioni di questa situazione. Devo capire come stanno le cose”. L’argomento non suscitò particolare interesse. Oggi i presunti conflitti di interessi del ‘nuovo’ presidente Frattura ritornano alla luce. Scrive Rizzo sul Corriere.it: “Senza sintonia con il governatore Paolo Di Laura Frattura, uomo che dovrebbe incarnare il rinnovamento dopo 12 anni di regno di Michele Iorio, l’ingegner Mariolga Mogavero non sarebbe certo arrivata fin qui. Ovvero, nella stanza dei bottoni della piccola Regione Molise, capo di gabinetto e segretario generale della nuova giunta di centrosinistra. Così da attirarsi le invidiose attenzioni di chi l’ha già acidamente battezzata «la governatrice». La Mogavero, moglie di Luca Di Domenico, è la prima firmataria del ricorso elettorale, andato a buon fine, al Tar Molise. Lo stesso nome che si ritrova in una delle società (la prima proponente) legata alla costruzione della centrale biomasse di Campochiaro, in provincia di Campobasso. Il 20 luglio del 2010 la società Gap Consulting srl “ha chiesto l’autorizzazione unica per la realizzazione e l’esercizio, nella zona del Consorzio per lo sviluppo Industriale Campobasso-Bojano del Comune di Campochiaro, di un impianto di produzione di energia elettrica da biomasse”, si legge nella determina, “utilizzante biomassa legnosa ed assimilati”. Secondo la visura camerale del 5 giugno 2012, la Gap Consulting srl, è stata costituita il 14 luglio del 2005, con un capitale sociale di 10 mila euro. La Gap è composta da altre due società, con pari quote: la Proter e la Civitas. Entrambe a responsabilità limitata. L’amministratore unico della Gap risulta essere Mogavero Mariolga. La Civitas e la Proter hanno altri due amministratori. Per la prima (costituita il 6 aprile del 2009) risulta essere l’ing. Di Domenico Luca, marito della Mogavero; per la seconda (costituita il 1 giugno del 1991) il capo dell’allora opposizione in consiglio regionale, Di Laura Frattura Paolo. Il 30 gennaio del 2012 viene protocollata la richiesta dell’amministratore unico della società Gap Consulting (Mogavero Mariolga, già collaboratrice di Frattura) e dell’amministratore unico della società Civitas (Di Domenico Luca, marito della Mogavero). Per far subentrare la Civitas nel procedimento attivato da Gap. È lo stesso Rizzo che scrive sul Corriere: “Mariolga, però, è qualcosa di più. Tanto che per dipanare l’incredibile intreccio di interessi privati, relazioni politiche, parentele e coincidenze che si addensa intorno alla figura del governatore, non si può che cominciare da lei, sua factotum. E da una società di consulenza, la Gap consulting di Campobasso, di cui l’ingegner Mogavero ha il 50%”. Ma come è andata a finire per la centrale biomasse del marito di Mariolga Mogavero? “Il 15 aprile scorso – spiega Sergio Rizzo – se la compra quasi tutta (il 99,5 per cento delle azioni) la C&t spa, nonostante un ricorso pendente al Tar. Si tratta di una società del settore energetico che controlla pure il 20% della Biocom. Che cos’è? Un’altra ditta del settore biomasse il cui restante 80 per cento era in mano allo stesso Paolo Di Laura Frattura, e che ha avuto dalla Regione Molise un finanziamento di 300 mila euro per realizzare un impianto a Termoli. Ma siccome il Comune non dà i permessi il contributo viene revocato, con immediato ricorso al Tar contro la Regione da parte del futuro governatore. Il progetto si scioglie, la società va in liquidazione e il 7 marzo 2013, due settimane dopo il voto, Di Laura Frattura si libera di quell’ingombrante pacchetto dell’80%. A comprarlo è il liquidatore Vittorio Del Cioppo, sfortunato candidato alle regionali per l’Idv. Partito che ovviamente sostiene la giunta, come anche Sinistra ecologia e libertà. Unico consigliere vendoliano e capogruppo di se stesso, in un’assemblea regionale con 21 seggi e ben 14 gruppi dei quali addirittura nove composti da una sola persona, è Nico Ioffredi, cognato di Paolo Di Laura Frattura. È il marito di sua sorella Giuliana Di Laura Frattura, capo di gabinetto del questore di Campobasso”. L’intreccio di interessi privati, relazioni politiche, parentele e coincidenze sollevato dal Corriere della Sera non interessa a nessuno. In Molise chi ha governato ieri, governa pure oggi? Sotto nuovi colori, sotto nuove bandiere? Di certo c’è un solo assente: Michele Iorio, colpito da un’interdizione dai pubblici uffici.
Legami e parentele tra giudici e politici molisani: il caso a Bari, scrive “Primo Numero”. L’Osservatorio Molisano sulla Legalità presenta un esposto al Procuratore Generale della Repubblica di Bari circa le "relazioni pericolose" tra magistrati e rappresentanti istituzionali. Dopo l’accusa alla Procura del capoluogo di essere un “porto delle nebbie” in cui le inchieste giudiziarie a carico di rappresentanti istituzionali vengono insabbiate, una denuncia con nomi e cognomi e un nuovo punto interrogativo: che fine hanno fatto le indagini contro Michele Iorio? Una lettera che sta facendo rumore, tanto che il Procuratore Generale in persona, il dottor Mazzetti, ha deciso di prendere carta e penna per scrivere la sua versione. Ma senza entrare nel merito. Tra i magistrati che operano a Campobasso e il mondo politico molisano esistono “relazioni pericolose” e rapporti perfino intimi che potrebbero condizionare la correttezza e l’imparzialità di processi che coinvolgono proprio i politici, a cominciare dal presidente della Regione Michele Iorio. Lo dichiara, con tanto di nomi e cognomi, l’Osservatorio Molisano sulla Legalità, che dopo la lettera aperta inviata al Procuratore Generale di Campobasso Silvano Mazzetti il 7 aprile scorso, per mettere in evidenza come determinate inchieste aperte per reati contro la pubblica amministrazione a Campobasso cadano nell’oblio, si rivolge direttamente a Bari, Tribunale competente per esercitare il controllo sulla magistratura molisana. Con una “bomba” davanti alla quale lo stesso Mazzetti, in maniera del tutto insolita, non ha potuto restare in silenzio e ha fornito una propria versione senza tuttavia entrare nel merito né replicare ai paragrafi più scottanti. Per esempio che «nel Tribunale di Campobasso, ove Angelo Michele Iorio è sottoposto a procedimenti penali, opera come magistrato giudicante la dott.ssa Laura Scarlatelli, figlia del portavoce del governatore Iorio». Oppure che «Evelina Palaia, la moglie del sub commissario alla Ricostruzione post terremoto del Molise Nicola Eugenio Romagnuolo, fino a poco tempo fa numero due del Commissario Iorio, è direttore amministrativo della Procura Generale della Corte di Appello di Campobasso», ed è la stessa persona che invia anche comunicati stampa per conto del Procuratore Silvano Mazzetti. E ancora: «Marina Calandrella, moglie del magistrato Vincenzo Pupilella che lavora presso la Corte di Appello di Campobasso, è inserita nella segreteria del consigliere regionale Rosario De Matteis (appena eletto presidente della Provincia di Campobasso), dello stesso schieramento politico del governatore Iorio», e «Alberta De Lisio, dirigente dei Servizi “Rapporti istituzionali e relazioni economiche esterne” e “Avvocatura regionale” in Giunta regionale, è la moglie del dott. Carlo Alberto Manfredi Selvaggi, già Pubblico ministero nella Procura Regionale della Corte dei Conti per il Molise e oggi Capo Dipartimento per gli Affari Regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri». Niente di illegittimo, niente che lasci prefigurare reati o irregolarità. Ma è abbastanza per gettare ombre su quella trasparenza cristallina che dovrebbe caratterizzare la linea di separazione tra politica e magistratura. Soprattutto considerando, sintetizza l’Osservatorio, che non si hanno più notizie su alcune inchieste particolarmente delicate che coinvolgono i vertici della Regione Molise. A cominciare dalla «ricostruzione e “allargamento”, sino a ricomprendere l’intera regione, dell’area del terremoto del 2002 e dell’alluvione del 2003 e sul connesso programma pluriennale – ex articolo 15 - diretto a favorire la ripresa produttiva delle aree danneggiate», che ha usato centinaia di milioni di euro per finanziare i progetti più fantasiosi, fino all’acquisto «con soldi pubblici, del catamarano Termoli Jet» la cui vicenda racconta una storia truffaldina, per arrivare alle «infrastrutture per la rete radio del Servizio regionale di Protezione civile», all’inchiesta sulla malasanità molisana Black Hole, «trasferita a Bari ma la cui udienza preliminare stranamente non risulta ancora fissata». La denuncia riferisce anche di nomine politiche a beneficio di esponenti della magistratura, come quella fatta dal governatore della Regione Molise Angelo Michele Iorio «ancorché sotto processo e plurindagato (senza considerare il Tribunale di Larino, a Campobasso ha i seguenti procedimenti penali in corso: “Bain&Co” e “Turbogas”), che il 21.09.2009 nomina l’ex Presidente della Corte di Appello del Molise ed ex Presidente del Tribunale di Campobasso, dott. Nicola Passarelli, assessore regionale alla Sanità (lo stesso si è dimesso a fine ottobre 2010, dopo 13 mesi)». O l’assegnazione - il 12.03.2010 – dalla Regione Molise all’ex Procuratore Regionale della Corte dei Conti per il Molise, Giuseppe Grasso (andato in pensione alcuni mesi prima), della presidenza della Commissione di valutazione e verifica della gara per l’affidamento del Servizio di Assistenza Tecnica e Gestionale del Programma di Sviluppo Rurale del Molise 2007/2013. Chiamato a far parte della Commissione, insieme a Grasso, anche il dott. Domenico Vitale, Generale in pensione della Guardia di Finanza». E’ normale tutto questo? Garantisce il diritto dovere dell’imparzialità nello svolgimento dei procedimenti giudiziari? La lettera, inviata per conoscenza anche alla Procura Generale di Campobasso, e finita sul tavolo di Silvano Mazzetti, ha fatto in ambienti giudiziari un bel po’ di rumore, tanto da spingere proprio il dottor Mazzetti a replicare con una lunga nota nella quale tuttavia non si affronta il nodo né delle parentele né delle inchieste apparentemente scomparse nel nulla, ma si replica al finanziamento per 250mila con fondi regionali del “servizio di riorganizzazione dei processi lavorativi e di ottimizzazione delle risorse degli uffici giudiziari della Procura per i minori e della Procura Generale di Campobasso”. «Sembra che l’Osservatorio voglia in qualche modo mettere in relazione i procedimenti penali pendenti a carico del Presidente della regione – scrive Mazzetti – con il finanziamento regionale agli uffici giudiziari, ignorando che tale finanziamento è previsto per tutti gli uffici giudiziari delle regioni che hanno aderito al protocollo d’intesa riguardante un progetto interregionale». A parte questo, il Procuratore Generale della Corte d’Appello di Campobasso torna all’attacco, come già fatto in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, della Procura di Larino. O meglio: della Procura di Larino all’epoca di Nicola Magrone, il magistrato che ha perseguito con particolare attenzione reati di pubblica amministrazione, approdando a inchieste importanti alcune delle quali, iniziate da lui, sono arrivate a Campobasso e restano in attesa di una conclusione. Ora che Magrone è in pensione, fa capire Mazzetti, a Larino si lavora bene di nuovo. Affermazioni pesanti, che sottendono conflitti e guerre molto più radicati di quanto una lettura superficiale dello "scambio epistolare” fa immaginare.
MOLISE E MAGISTROPOLI.
INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/07700 presentata alla Camera dei Deputati da SUSI DOMENICO (PARTITO SOCIALISTA ITALIANO) in data 13 novembre 1992.
SUSI. Al Ministro di grazia e giustizia. - Per sapere - premesso che: nel 1991 e negli anni precedenti presso la procura di Vasto è stata avviata un'indagine giudiziaria sugli atti concernenti la megalottizzazione denominata SIGMA-SIV, indagine che all'interrogante risulta essersi conclusa con un'archiviazione; durante l'istruttoria sono emersi vivaci polemiche riportate dalla stampa locale circa presunte omissioni e pressioni da parte del dottor Antonio La Rana, sostituto procuratore a Vasto, al fine di garantire sia l'archiviazione dell'indagine sia, principalmente, la fattibilità del complesso SIGMA-SIV; risulta all'interrogante che esistono stretti rapporti di affari tra congiunti del dottor La Rana e il signor Angelo Soria, promotore della SIGMA-SIV a Vasto, tramite il quale il dottor La Rana e/o i suoi congiunti, secondo quanto risulta all'interrogante, hanno acquistato e opzionato riservatamente immobili a condizioni di particolare favore; risulta all'interrogante che, come emerge largamente dai resoconti giornalistici, il predetto magistrato ha conseguito notevoli vantaggi nel settore assicurativo in virtù di legami con esponenti del mondo economico vastese; risulta inoltre all'interrogante che: a) l'impresa Americo Marra, del cui fallimento il dottor Antonio La Rana ebbe ad occuparsi, ha "ceduto" allo stesso magistrato o a suoi congiunti, non si sa a quale titolo e per quale prezzo, locali da adibire o adibiti a negozi; b) il dottor Antonio La Rana ha avuto in uso gratuito delle auto di notevole valore dalla ditta Tessitore di Vasto, il cui titolare è stato arrestato recentemente nell'ambito dell'inchiesta sui trasporti in Abruzzo; c) il dottor Antonio La Rana ha accumulato nel corso di pochi anni un patrimonio miliardario, assolutamente ingiustificato dai redditi denunciati da lui e dalla sua famiglia - le iniziative che il ministro intenda assumere nell'ambito delle sue competenze, in particolare per verificare se, accertata la eventuale commistione tra le attività private del magistrato e dei suoi congiunti e l'esercizio delle delicate funzioni pubbliche che egli svolge quale sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Vasto, non intenda promuovere l'azione disciplinare davanti al Consiglio superiore della magistratura. (4-07700).
INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/14232 presentata alla Camera dei Deputati da TOTO DANIELE (FUTURO E LIBERTA' PER IL TERZO POLO). Atto Camera Interrogazione a risposta scritta 4-14232 presentata da DANIELE TOTO mercoledì 14 dicembre 2011, seduta n.560
TOTO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che: con sentenze assolutorie, rispettivamente, del tribunale di Bari n. 1356/2011 e del tribunale di Vasto, in data 22 novembre 2011, proc. n. 939/10, è stata definita la serie di procedimenti penali a carico del dottor Antonio La Rana, già sostituto procuratore presso il tribunale di Vasto poi trasferito a Campobasso con le funzioni di sostituto (e attualmente reggente) procuratore generale, nei cui confronti durante il semestre aprile-settembre 2003 erano stati ipotizzati trenta reati in concorso con undici persone, di cui sei pubblici ufficiali; le prime accuse erano state avanzate da un gruppo di amministratori pubblici al duplice e dichiarato scopo di natura forse ritorsiva e preventiva, in risposta a precedenti inchieste condotte dal nominato magistrato e in vista di una causa di incompatibilità ambientale da precostituire e opporre in relazione a una sua eventuale istanza di ritrasferimento alla procura presso il tribunale di Vasto. I procedimenti penali si sono, poi, arricchiti di ipotesi di reati assunte da sostituti procuratori presso il tribunale di Vasto i quali, pur avendo chiesto ed ottenuto di essere esonerati dalla trattazione di procedimenti penali a carico del dottor La Rana, si sono occupati di inchieste nel cui ambito, emergendo il coinvolgimento anche di detto collega, disponevano la trasmissione degli atti alla procura della Repubblica presso il tribunale di Bari; è anche accaduto che, nonostante nel corso delle indagini sia stata denunciata, dagli stessi pubblici ufficiali che risultavano apparenti firmatari dell'atto, la falsità ideologica e materiale di un verbale di riscontro dei carabinieri, confluito in un procedimento nel cui ambito sono state persino adottate misure cautelari personali, è stata avviata un'indagine non già, come sarebbe apparso logico, volta a individuare gli autori del falso verbale, bensì, inopinatamente, sui due carabinieri che avevano riscontrata la falsità dell'atto e sullo stesso dottor La Rana, ipotizzando, a suo carico, l'istigazione alla calunnia. Il processo attinente alla vicenda di detto (falso) verbale è ancora in corso. E' singolare che nessuna traccia del parallelo procedimento sulla falsità del verbale sia stata fatta confluire nel diverso procedimento nel quale tale atto ha avuto rilievo investigativo; ciò con evidente grave nocumento per il diritto di difesa e per l'accertamento della realtà dei fatti; la procura della Repubblica di Bari, ignorando completamente i molteplici elementi, anche documentali, che militavano in favore del dottor La Rana, ha confezionato trenta capi di imputazione a carico del predetto magistrato, formalmente denominato all'anagrafe giudiziaria barese «Geotropa Nanni», con la conseguenza che l'interessato non poteva accedere alle doverose notizie risultanti dal casellario giudiziale, proprio perchè iscritte al citato nome di fantasia «Geotropa Nanni», piuttosto che, come imposto dall'articolo 335 del codice di procedura penale, all'effettivo nome dell'indagato, dottor Antonio La Rana; per quindici dei contestati reati è stata chiesta l'archiviazione, ma non al giudice per le indagini preliminari, giudice naturale indicato dal codice di rito, bensì al giudice dell'udienza preliminare. Lo scopo appare, evidentemente, quello di utilizzare tutta la mole delle imputazioni per indurre a un convincimento colpevolista il giudice dell'udienza preliminare di Bari. Obiettivo, questo, che risulta effettivamente conseguito per avere il giudice disposto il rinvio a giudizio del dottor La Rana e degli altri undici coimputati, senza mai deliberare su nessuna delle singole eccezioni e richieste istruttorie avanzate dai difensori; dopo la separazione dei processi disposta dal tribunale di Bari per ragioni di incompetenza territoriale, già, peraltro, sollevate, invano, dai difensori, le ipotesi di tutti i gravi reati contestati si sono dissolte sulla base della sola lettura dei capi di imputazione, inidonei a sostenere l'accusa. Ciò, in sostanziale conformità alle richieste dei pubblici ministeri di udienza, i cui rappresentanti, frattanto, erano mutati; infatti, il tribunale di Bari, pur in presenza dell'intervenuta prescrizione dei reati contestati, ha assolto il dottor La Rana da tutti gli addebiti; l'epilogo della vicenda - risolta in termini di puro diritto e sulla scorta di prove documentali acquisite sin dalle primissime battute dei procedimenti - ha richiesto il trascorrere di oltre otto anni; l'avvicendarsi di numerosi magistrati, circa quindici; l'intervento di numerosi uomini delle forze dell'ordine chiamati a lavorare anche in trasferta; l'uso di materiale per innumerevoli intercettazioni telefoniche ed ambientali corredate da pedinamenti; l'assistenza legale di svariati difensori degli imputati, i quali ultimi, sono, nella gran parte, dipendenti dello Stato e, pertanto, avranno presumibilmente premura di richiedere il rimborso delle spese legali sostenute, essendo il valore economico globale della spesa, secondo una prudenziale valutazione, di circa cinquecentomila euro, a cui andrà aggiunto quello, maggiore, dei danni, oggetto di probabili future richieste di risarcimento, sofferti dagli imputati che, in conseguenza dei richiamati processi, hanno persino subito trasferimenti d'ufficio, rallentamenti della carriera o coazioni al pensionamento anticipato; è assolutamente indispensabile prevenire siffatte aberrazioni, analoghe a quelle in atto descritte, tenuto anche conto che, paradossalmente, tutti i magistrati intervenuti nella richiamata vicenda processuale sono in servizio con identiche funzioni; i presunti autori della relazione di servizio falsa sono in servizio nel medesimo nucleo operativo dei carabinieri di Vasto; è ancora pendente il procedimento penale a cui si riferisce la falsa relazione, attribuita a due carabinieri nella inconsapevolezza degli imputati; è stupefacente e incontrovertibile, in ogni caso, che l'ingente spesa che ha gravato e che graverà sulla collettività è il prodotto di indagini promosse su fatti ritenuti dagli organi giudicanti insussistenti in modo evidente -: se il Ministro della giustizia, vagliati i fatti, non intenda avviare iniziative ispettive ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza.(4-14232).
Atto Camera. Interrogazione a risposta scritta 4-06369 presentata da COSIMO GIUSEPPE SGOBIO mercoledì 9 aprile 2008 nella seduta n.278.
SGOBIO. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il 6 marzo 2008 il TAR del Molise ha accolto la richiesta di sospensiva dell'ordine di trasferimento per il capitano dei Carabinieri Fabio Muscatelli operante a Termoli (Campobasso). Il trasferimento era stato disposto dai vertici dell'arma che voleva inviarlo a Livorno ma il capitano si era opposto ritenendolo un atto punitivo nei suoi confronti e la sua tesi è stata accolta dal Tar;
il capitano Muscatelli è stato l'autore dell'inchiesta istruita dalla procura di Larino (Campobasso) e denominata Black Hole e di cui ha seguito tutti i passaggi; inchiesta su reati contro il patrimonio, truffa, furto, corruzione e che ha messo in luce collusioni fra mondo della politica e dell'imprenditoria locale coinvolgendo esponenti di spicco del mondo politico molisano. Nell'ambito di quell'inchiesta nello scorso mese di gennaio sono stati emessi un centinaio di avvisi di chiusura delle indagini;
da un filone dell'inchiesta Black Hole nello scorso mese di maggio la procura di Larino (Campobasso) aveva emesso numerosi avvisi di garanzia nei confronti di alcuni appartenenti alle forze dell'ordine con accusa di truffa, associazione a delinquere e rivelazione del segreto di ufficio;
il procuratore di Larino sosteneva la tesi relativa all'esistenza di un «corpo separato» nella Procura che avvisava gli indagati delle mosse dei magistrati e degli inquirenti. In questa indagine era stato coinvolto un alto ufficiale dei Carabinieri del Molise;
nei mesi scorsi un altro ufficiale dei Carabinieri, il tenente Bandelli, è stato trasferito dalla sua sede di Venafro (Isernia) a Foggia. In questo caso si è parlato di «normale rotazione», ma il tenente Bandelli è stato anch'egli autore di una delle più importanti indagini contro i rischi di infiltrazione malavitosa nel mondo imprenditoriale del Molise;
in questo caso si tratta della cosiddetta indagine «piedi d'argilla» tuttora in corso e riguardante appalti per opere pubbliche e che ha coinvolto anche in questo caso esponenti del mondo politico locale;
molti degli inquirenti che hanno lavorato all'indagine piedi di argilla sarebbero stati, secondo indiscrezioni di stampa, a loro volta intercettati e finiti sotto inchiesta per reati minori. Tali intercettazioni sarebbero al vaglio della Procura di Isernia;
sulla possibilità che nei confronti degli inquirenti venissero operate pressioni al fine di inquinare le indagini sono state aperte alcune inchieste e si sono verificate tensioni fra i vertici delle Procure del Molise nonché al loro stesso interno;
il 29 gennaio 2008, secondo notizie di stampa non smentite, la procura di Larino emetteva mandato di perquisizione per i comandi regionali e provinciali dei Carabinieri del Molise e di Campobasso per acquisire documenti relativi alla richiesta di trasferimento del capitano Muscatelli;
iniziativa analoga era avvenuta il 30 giugno 2006 quando la Procura distrettuale antimafia di Campobasso (a firma del magistrato Nicola D'Angelo) emetteva mandato di perquisizione per i locali del comando generale dell'Arma dei carabinieri di Roma, del comando interregionale di Napoli, del comando regione Molise, di quello provinciale di Isernia e della compagnia di Venafro al fine di recuperare, con motivazioni molto dettagliate, documenti relativi a presunte pressioni o tentativi di pressione da parte di singoli sugli ufficiali dell'arma che svolgevano o avevano svolto le delicate inchieste di cui sopra;
presumibilmente a seguito dell'inchiesta avviata dal sostituto procuratore dottor Nicola D'Angelo della DDA di Campobasso su eventuali interferenze, il 31 ottobre 2006, il procuratore distrettuale di Campobasso, dottor Mario Mercone, inviava una lettera alla Procura generale di Campobasso ed al comando regionale Carabinieri e al procuratore D'Angelo, lettera con la quale si chiedeva di trasmettere a sé tutti gli atti inerenti l'ampia mole di procedimenti consequenziali scaturiti dall'inchiesta «piedi di argilla» al fine di evitare, come testualmente riportato dalla missiva, «che pubblici ufficiali si attribuiscano la potestà di scegliere il magistrato cui assegnare i procedimenti»;
il 2 novembre 2006 il sostituto procuratore dottor Nicola D'Angelo (ex titolare dell'inchiesta «piedi di argilla» nonché di quella sulle presunte pressioni sugli ufficiali dell'Arma dei Carabinieri) rispondeva che la missiva, al di là degli intenti dell'autore, potrebbe avere «un effetto lesivo della dignità personale e professionale dello scrivente» aggiungendo di «non essersi mai reso strumento, consapevole o inconsapevole di qualcuno» -:
se non si ritenga necessario ed urgente, alla luce di quanto esposto e nell'ambito delle rispettive competenze disporre un'accurata indagine presso le procure di Isernia, Campobasso e Larino per verificare se sussistano le condizioni di serenità ambientale tali da consentire il corretto funzionamento delle procure stesse;
se non si ritenga di adottare le opportune iniziative al fine di verificare, presso il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, il corretto svolgimento delle procedure relative ai provvedimenti di trasferimento emessi nei confronti degli ufficiali di cui in premessa.(4-06369)
Atto Camera. Interrogazione a risposta scritta 4-12655 presentata da NICHI VENDOLA martedì 1 febbraio 2005 nella seduta n.578.
VENDOLA. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa, al Ministro delle politiche agricole e forestali. - Per sapere - premesso che:
in data 2 dicembre 2004, la D.D.A. (Direzione Distrettuale Antimafia) di Campobasso portava a termine una operazione anticrimine denominata «Piedi d'Argilla», con l'arresto di quattro persone e l'emissione di 23 avvisi di garanzia;
tra gli indagati dell'inchiesta risulta esserci l'allora vice presidente della regione Molise, Aldo Patriciello, i fratelli Antonio e Aniello, il nipote Vincenzo mentre agli arresti domiciliari risulta esserci un altro fratello, Gaetano;
sempre nella citata data veniva posto sotto sequestro il cantiere della variante autostradale di Venafro (Isernia), opera appaltata dall'ANAS per oltre 55 milioni di euro, primo tratto del congiungimento tra l'autostrada Roma-Napoli (A1), all'altezza dell'uscita autostradale di San Vittore (Frosinone) e l'autostrada Adriatica (A 14) all'uscita di Termoli (Campobasso);
nell'operazione della D.D.A. risultano coinvolti dipendenti della ditta Adanti di Bologna, in quanto aggiudicataria della commessa, nonché di altre imprese sub-appaltatrici e fornitrici, sia del gruppo riconducibile alla famiglia Patriciello, sia quello dei Garofalo di Petilia Policastro (Crotone);
tra gli indagati della ditta Adanti risulta esserci il capo cantiere, Massimo Zullo (attualmente agli arresti domiciliari), e, successivamente, la DDA emetteva altri tre avvisi di garanzia nei confronti di un altro dirigente della ditta Adanti, di un dipendente di una delle ditte sub-appaltatrici e di un rappresentante delle Forze dell'ordine;
le motivazioni che hanno indotto l'autorità giudiziaria a sequestrare il cantiere della variante di Venafro sarebbero: 1) l'utilizzo di materiale assolutamente scadente conglobando nel cemento utilizzato, anche terra e pezzi di legno; 2) nel preconfezionare false fatture d'acquisto di un dato tipo di cemento dal momento che non era mai stato acquistato quello che avrebbero dovuto utilizzare, salvo procurarsene pochi sacchi al solo scopo di confezionare i saggi da inviare al controllo; 3) nell'utilizzo di un cemento per tipologia, qualità e quantità assolutamente diverso da quello prescritto in contratto; 4) nel ricorrere a modalità operative pregiudizievoli alla futura stabilità dell'opera, in particolare provvedendosi a simulare la presenza di un terreno di appoggio sufficientemente solido per la gettata di alcuni pali, predisponendo nottetempo apposite camicie in cemento armato tali da simulare, nella giornata successiva, il raggiungimento di un punto di appoggio solido oppure, in altri casi, nel gettare il palo senza aver trovato un terreno di appoggio adatto; 5) nell'utilizzare in talune occasioni pali normali quando occorrevano pali sonici; 6) nell'utilizzare materiali inidonei tanto che i pochi saggi regolari riportavano valori drammaticamente inferiori al dovuto, al punto che solo a mezzo di un illecito accordo con la ditta Geolab di San Vittore che doveva effettuare la valutazione dei saggi, di riuscivano ad ottenere certificazioni attestanti la bontà dell'opera; 7) nel fare in modo che i saggi fossero dirottati nei punti in cui minore era stata la frode, ma soprattutto, nel predisporre a parte il materiale da presentare come campione di saggio; 8) nel sostituire, almeno in un caso, il materiale dei saggi prelevati da personale dell'ANAS, con materiale appositamente preconfezionato in modo da dare risultati idonei al controllo;
vi sarebbe il coinvolgimento di alcuni appartenenti alle forze dell'ordine in servizio presso il tribunale di Isernia con l'ipotesi di reato di corruzione, concussione e rivelazione del segreto d'ufficio;
tra gli indagati dalla D.D.A. risulta esserci il comandante della Guardia forestale di Venafro, Antonio Varone (la cui moglie è attualmente impiegata presso la clinica Neuromed di Pozzilli di proprietà dei fratelli Patriciello), il quale in una conversazione telefonica con il capo cantiere della Adanti, Massimo Zullo, mostrava disappunto per aver dovuto sequestrare una cava dei Patriciello, promettendo di riaprirla nel giro di pochi giorni;
tra gli indagati risulta esserci il luogotenente presso la procura generale di Isernia appartenente all'Arma dei carabinieri, maresciallo Giuseppe Guerriero, con l'accusa di concussione e rivelazione di segreti d'ufficio. Il ruolo del maresciallo sarebbe stato quello di carpire informazioni sulle indagini della procura della Repubblica di Isernia o di aggiustare vicende processuali così come riportato da notizie di stampa dalle quali si evince che: «Guerriero rivela un notevole grado di confidenza con Aldo Patriciello, al punto di alzare la voce perché l'ex vice presidente non si mostra del tutto disponibile alle sue richieste»;
il maresciallo Guerriero da notizie di stampa risulta proprietario di una grande villa con piscina ubicata sulle colline di Venafro. Nei lavori di costruzione della villa il maresciallo risulta aver ricevuto in dono dalla ditta Adanti degli alberi di ulivo espiantati dai cantieri della variante di Venafro e risulta, altresì, che il maresciallo abbia utilizzato materiali e macchinari che provenivano dai cantieri stessi;
oltre al maresciallo Guerriero risultano indagati altri tre militari appartenenti all'Arma dei carabinieri e altri tre appartenenti alla Polizia stradale;
prestano servizio presso la Compagnia dei carabinieri di Venafro circa 100 militari di cui 20 risultano avere mogli o figli impiegati presso aziende del gruppo Patriciello;
da notizie di stampa si evince che l'attuale procuratore della Repubblica di Isernia, dottor Antonio La Venuta, nel corso di una conversazione telefonica invitava Aldo Patriciello nella sua villa di San Gregorio Matese (Caserta) e nel corso della medesima conversazione il Procuratore La Venuta mostrava familiarità nei confronti di Aldo Patriciello dandogli del tu. Il colloquio avveniva mentre Aldo Patriciello era oggetto di indagine;
il dottor Antonio La Venuta nel 1996 è stato candidato alle elezioni politiche per la Camera dei deputati nelle liste di Forza Italia, risultando non eletto;
l'accusa più grave rivolta ad Aldo Patriciello e ai suoi fratelli, sarebbe quella di aver avuto rapporti con la cosca 'ndranghetistica Garofalo di Petilia Policastro, coinvolta in occasione della campagna elettorale di Aldo Patriciello per il rinnovo del Parlamento europeo avvenuto nel 2004;
tra gli impiegati del gruppo Patriciello, risulterebbe tale Antonio Curcio, appartenente alla cosca dei Garofalo il quale è gravato da numerosi precedenti penali, con l'incarico di ragioniere;
da notizie di stampa parrebbe che: «il clan 'ndranghetistico dei Garofalo si è impegnato direttamente e fattivamente nella campagna elettorale in favore di Aldo Patriciello» -:
quali valutazioni dia il Governo dei fatti suesposti;
se il Governo non ritenga opportuno intervenire presso l'ANAS affinché sia avviato un monitoraggio del cantiere della variante di Venafro, al fine di individuare e, successivamente rimuovere le irregolarità citate in premessa;
se corrisponde al vero che il comandante della Guardia forestale di Venafro, Antonio Varone, sia attualmente in servizio e, in caso affermativo, se non si ritenga opportuno sollevarlo dall'incarico o sospenderlo in via precauzionale, al fine di consentire all'autorità giudiziaria di definire in maniera certa le presunte responsabilità penali;
se corrisponda al vero che il maresciallo Giuseppe Guerriero sia attualmente in servizio presso la Procura Generale di Isernia e, in caso affermativo, se non si ritenga opportuno sollevarlo dall'incarico che ricopre;
se il Ministro interrogato non ritenga sussistenti gli elementi per promuovere azione disciplinare contro il procuratore di Isernia, dottor Antonio La Venuta, dall'ufficio dal medesimo ricoperto a fronte della gravità dei fatti di cui si sarebbe reso protagonista;
se il Ministro della giustizia non intenda avviare una ispezione ministeriale presso la procura della Repubblica di Isernia;
quali iniziative il Governo intenda adottare per riportare il territorio di Isernia in un'orbita di legalità.(4-12655)
SANITOPOLI
Carmelo Abbate su "Panorama" racconta la sua inchiesta filmata sulla Sanità italiana.
Ho indossato un camice bianco, un paio di zoccoli verdi e sono entrato negli ospedali. Mi sono attaccato al petto un cartellino con un nome fasullo: dottor Valerio Trimarchi, dell’inesistente associazione Orchidea bianca onlus. Ho assunto le vesti di un volontario, laureato in medicina in procinto di fare la specializzazione. È bastato per spalancarmi le porte di reparti, pronto soccorso, sale operatorie.
Trattato come un medico da pazienti, inservienti, infermieri, colleghi. Questi ultimi mi hanno accolto nei loro camerini, mi hanno assegnato l’armadietto e gli indumenti da lavoro. Sono entrato a contatto diretto con i malati, ho fatto il giro di visite del mattino e ho preso parte (ma non ho preso i ferri in mano, tranquilli) a interventi chirurgici.
Gli ospedali al centro di questa inchiesta sono quattro: a Catanzaro, Napoli, Isernia e Venafro, in provincia di Isernia. Nel corso dell’indagine (tutta documentata da una telecamera nascosta) ho visto barboni che mangiano e dormono a pochi metri dai malati, zingare che passano fra i letti a chiedere l’elemosina, cinesi che entrano nei reparti per vendere ai bambini giocattoli privi di ogni standard di sicurezza.
Poi medici e infermieri che fumano, alcuni perfino dentro i blocchi operatori. Ho seriamente rischiato di togliere dei punti di sutura dalla testa di una donna. Soprattutto, ho visto da vicino come il personale sanitario si comporta a volte nei nostri ospedali. Come vengono ignorate le più basilari regole di comportamento e di igiene, la cui inosservanza provoca ogni anno circa 500 mila infezioni e più di 5 mila morti. Pazienti che erano andati a curarsi per altre cause.
Per entrare all’ospedale di Isernia, in Molise, mi infilo in un vorticoso giro di conoscenze tipico di una certa Italia dove l’amicizia e il clientelismo la fanno da padrone. Si trova sempre qualcuno che ti consiglia a un altro, che a sua volta non si prende nemmeno la briga di capire chi sei. Gli basta soltanto sapere che sta facendo un favore. Si va avanti così, in una sorta di catena di Sant’Antonio della quale non si riesce più a venire a capo.
Intanto Valerio Trimarchi venerdì 2 ottobre di buon mattino arriva in divisa d’ordinanza all’ospedale Veneziale. Dico che mi sono appena laureato e che mi accingo a scegliere la specializzazione. In medicina generale i pazienti sono tutti anziani. I medici si fermano ai piedi del letto, guardano la cartella, si confrontano, prescrivono esami. Le mani ce le mettono gli infermieri. Si passa da un pannolone all’altro fino alle flebo: senza guanti. Solo un’infermiera è ligia al dovere. Gli altri quasi la rimproverano per l’inutile perdita di tempo. Alla fine vado al bar.
Una dottoressa in camice bianco è appoggiata a un’auto parcheggiata. Aspetta qualcuno. Un medico in tuta verde attraversa la strada. Torno nel blocco operatorio. Mi conoscono tutti, mi muovo in totale libertà. Vedo medici e infermieri senza copriscarpe, mascherine. Senza guanti. Un paio di chirurghi fumano. A pochi metri dalle sale dove si operano i malati, i posacenere sono pieni di mozziconi.
Intorno alle 2 del pomeriggio mi accingo a lasciare l’ospedale. Sbaglio l’uscita. Percorro un corridoio pieno di scatoloni, qualcosa a metà tra un magazzino e un ripostiglio. I muri sono scrostati, alcune piastrelle divelte. Cammino per una decina di metri quando sulla destra mi trovo una porta spalancata: dentro ci sono tre malati che dormono sui lettini. Fanno la dialisi. Le condizioni igieniche sono scadenti. A metà corridoio, senza alcuna porta divisoria, c’è un bagno con due sanitari dove si scaricano pale e pappagalli.
Nel pomeriggio accompagno un medico all’ospedale di Campobasso, nel reparto di anatomia patologica, dove da Isernia mandano ad analizzare i tessuti asportati. Davanti a un cartello con scritto «Vietato fumare» una dottoressa ci intrattiene con una sigaretta fra le mani. La stessa mattina le sono arrivati dei «pezzi» che ancora non riesce a capire perché siano stati asportati. Ci invita a prendere l’abitudine di segnalare la sospetta diagnosi. E accende una seconda sigaretta.
Il giorno dopo, su segnalazione di un medico di Isernia, vado a trovare un collega a Venafro, distante una trentina di chilometri. Ha l’aspetto provato, è stanco. Ha voglia di parlare e di sfogarsi. Fare l’ortopedico lì è come essere in trincea, ti arriva di tutto e lavori in condizioni estreme. Con gente che fuma in sala operatoria. Ogni volta che impianta una protesi, dopo che ha cucito prega Dio perché non subentrino complicazioni e infezioni.
Quello che intende lo vedo con i miei occhi lunedì 5 ottobre. Faccio un rapido giro per il reparto. Le camere sembrano supermercati. I comodini faticano a contenere bottiglie, biscotti, patatine e pasticcini. I medici mi danno subito del collega. Dico che sono troppo buoni e che non merito ancora quel titolo perché devo fare la specializzazione. Non importa, sono molto gentili. Mi invitano nella loro stanza, mi affidano un armadietto e una tuta per la sala operatoria. C’è da correre a fare gli interventi. Ci cambiamo.
Nel blocco operatorio ci sono i canonici indumenti monouso. Poi, stranamente, gli spogliatoi sono più avanti nel percorso che porta alle sale operatorie. Le regole vengono molto disattese. L’infermiere che assiste il chirurgo non indossa guanti. Mentre l’operazione è in corso la porta si apre: è un medico in camice bianco e scarpe normali. Rimane sulla soglia a chiacchierare con i colleghi.
Torno in reparto. Sul tavolo della saletta infermieri c’è dell’uva. Il medico mangia e con la stessa mano tocca la medicazione di una donna. Una signora cammina con un mucchio di lenzuola tra le braccia. Ha disfatto lei stessa il letto della figlia. Intanto il medico controlla la mano fasciata di un uomo. Tre dita sono nere, in necrosi. Dai polpastrelli escono fili di ferro. Lui ci infila le mani, che non ha mai lavato dopo avere mangiato l’uva.
Rimango solo, mi trovo davanti una signora: «Dottò, stamattina il primario mi ha detto che prima di uscire mi devono togliere questi punti dalla testa. Ma ora lui non c’è più. Che fa, me li toglie lei?». Esito. Poi chiedo a un’infermiera di indicarmi la medicheria perché, specifico bene, devo togliere i punti a quella donna. Entriamo. Faccio accomodare la signora, prendo un paio di strumenti, ci gioco, la guardo e le dico che forse è meglio aspettare il primario. Con la salute della gente è meglio non scherzare.
MOLISE E CONCORSOPOLI.
MOLISE, LA LOTTERIA DEI POSTI PUBBLICI: 2000 CONCORRENTI PER 22 CONTRATTI. I vincitori scelti per sorteggio. Il posto pubblico adesso si estrae a sorte, scrive Giuseppe Caporale su “La Repubblica”.
Da un'urna come per il lotto. Accade nel palazzo della Regione Molise, dove per scegliere 22 lavoratori per un contratto a termine, la commissione giudicante è ricorsa ad una estrazione tra duemila nominativi in gara. I sorteggiati per la verità, alla fine, sono stati almeno 44, poi tra questi, si è passati dal giudizio della sorte a quello del merito comparando i vari profili dei "baciati dalla fortuna". E così si è arrivati alla scelta finale.
La Regione Molise, guidata dal governatore forzista Michele Iorio, assicura che il sorteggio si è reso necessario in quanto l'analisi di duemila curricula avrebbe richiesto troppo tempo rispetto alle scadenze del progetto in questione. Ma l'opposizione di centrosinistra, chiede la revoca dell'aggiudicazione della gara e una nuova selezione su "criteri di trasparenza e merito".
A denunciare l'accaduto un consigliere regionale ds, Danilo Leva, che ha presentato una interrogazione su quello che ha definito "l'assurdo criterio di selezione" di 22 posti di lavoro all'interno del progetto culturale "Molise Live" con contratti relativi per lo più, a qualifiche amministrative e legali.
Il sorteggio, è stato effettuato tra duemila nominativi appartenenti ad uno speciale albo di collaboratori (long list), predisposto in precedenza, proprio dall'ente regionale.
Ma veniamo all'incarico in questione. I prescelti si dovranno occupare, si legge nella disposizione dirigenziale dell'ente "del costante monitoraggio di tutte le fasi del progetto, con lo scopo di enucleare possibili elementi di criticità organizzativa o burocratica, e di verificare la correttezza e la celerità delle richieste di procedure di ordinazione e di pagamento di spesa". Il contratto di lavoro per i fortunati prescelti del progetto "Molise Live" ha una durata triennale.
"Sono francamente senza parole - sottolinea il consigliere regionale Danilo Leva - L'accesso alle procedure comparative è un diritto di tutti coloro che hanno legittimamente partecipato alla gara. Trovo stucchevole che la creazione di uno staff di professionisti sia stata affidata alla sorte e non alla valutazione delle professionalità richieste".
Il presidente della commissione (composta per altro da funzionari della Regione), Claudio Locca (dirigente del settore cultura), che ha estratto a sorte i 44 nominativi, difende le scelte dell'ente.
"Ci siamo limitati a recepire una disposizione dirigenziale che imponeva un percorso, quello del sorteggio, e solo dopo della comparazione, e lo abbiamo eseguito, senza analizzare la questione giuridica, non di nostra competenza. La selezione si è svolta circa un mese fa, in commissione. Abbiamo stampato i nominativi dei duemila iscritti all'albo regionale dei collaboratori esterni, ritagliati e inseriti in un'urna. Al momento dell'estrazione erano presenti solo i tre commissari. Non era previsto che il sorteggio fosse pubblico. La metodologia? Inusuale, ma credo dettata dai tempi stretti del progetto".
"Molise Live" costa alle casse pubbliche oltre due milioni di euro ed è finanziato anche dal ministero dei Beni Culturali.