Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

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LE MARCHE

 

 

 

 

DI ANTONIO GIANGRANDE

 

 

 

 

Descrizione: TUTTO MARCHE.jpg

 

TUTTO SU LE MARCHE E LE SUE CITTA'

QUELLO CHE NON SI OSA DIRE

I MARCHIGIANI SONO DIVERSI DAGLI ALTRI ?

 

Quello che i Marchigiani non avrebbero mai potuto scrivere.

Quello che i Marchigiani non avrebbero mai voluto leggere.

di Antonio Giangrande

 

  

 

SOMMARIO

 

INTRODUZIONE

"PADRI DELLA PATRIA" VITTIME E COMPLICI DELLA NOSTRA ROVINA.

E’ TUTTA QUESTIONE DI COSCIENZA.

LA SETTIMANA ROSSA E LA GRANDE GUERRA

IL SUD TARTASSATO.

ITALIANI. LA CASTA DEI "COGLIONI". FACCIAMO PARLARE CLAUDIO BISIO.

IL NORD EVADE PIU’ DEL SUD.

BANCOPOLI.

PARLIAMO DI ANCONA

MAFIOPOLI. LA MAFIA DOVE NON SI VEDE.

LA MASSONERIA AD ANCONA.

...E LA POLITICA.

MALAGIUSTIZIA: IL CASO DRAGOTTO.

MAGISTROPOLI.

PARLIAMO DI ASCOLI PICENO

MASSONERIA AD ASCOLI PICENO.

DELITTO DI MELANIA REA, SALVATORE PAROLISI, PAOLO FERRARO ED IL PROGRAMMA MONARCH.

MALAGIUSTIZIA: IL CASO EMIDIO ORSINI ED ALBERTO PANICHI.

PARLIAMO DI MACERATA

MACERATA E LA MASSONERIA.

PARLIAMO DI PESARO URBINO

MAFIOPOLI. LA MAFIA DOVE NON SI VEDE.

PESARO E URBINO E LA MASSONERIA.

 

 

 

INTRODUZIONE

Antonio Giangrande, orgoglioso di essere diverso.

Se si è omologati (uguali) o conformati (simili) e si sta sempre dietro alla massa, non si sarà mai primi nella vita, perché ci sarà sempre il più furbo o il più fortunato a precederti.

In un mondo caposotto (sottosopra od alla rovescia) gli ultimi diventano i primi ed i primi sono gli ultimi. L’Italia è un Paese caposotto. Io, in questo mondo alla rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo sono ignorato o perseguitato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che cazzo di vita è?

Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il culo.

Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante tracce lasci del tuo percorso.

Il difetto degli intelligenti è che sono spinti a cercare le risposte ai loro dubbi. Il pregio degli ignoranti è che non hanno dubbi e qualora li avessero sono convinti di avere già le risposte.

Un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.

Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re. 

Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.

E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati, che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che fece il primo saggista mondiale.

Da sempre diffido di chi, vestito da lupo, è pecora genuflessa alla magistratura. I saccenti giustizialisti dei 5 stelle che provino a proporre la figura del difensore civico giudiziario con poteri di magistrato, senza essere uno di loro, per poter metter le mani nelle carte dei fascicoli e poterle sparigliare. Io da anni mi batto inascoltato per questo. I signori dei 5 stelle non si degnano nemmeno di rispondere ai messaggi degli esperti: tanto san tutto loro. A sbraitare son bravi, ma a proporre leggi sensate, mi sa che non son capaci. Parlan solo di soldi, soldi, soldi ed onestà, certificata dai loro magistrati, e mai parlano di libertà ed opportunità senza concorsi ed esami pubblici truccati.

Ad ogni azione umana nefasta si trova sempre una giustificazione...lo si fa per le piante...lo si fa per gli animali...lo si fa per le persone! Ma, alla fine, rimane solo un'azione nefasta che fa male al prossimo...e, spesso, il prossimo siamo noi. A parte il partito preso, noi siamo tutti responsabili delle azioni nefaste di uno, quando gli permettiamo di farle.

Parlare nei miei libri del caso singolo del semplice cittadino significa incorrere nell’accusa di mitomania, pazzia o calunnia, oltre che ne disinteresse. Invece parlo di loro, delle istituzioni che delinquono impunite. Parlo della vera mafia. Cosa posso dire di più di quello che ho scritto e che altri non dicono? Credo che quanto divulgato possa essere di grande soddisfazione per le vittime, non potendo avere altro che quella in questa Italia con italiani di merda a cui interessa solo di loro stessi e se ne fottono degli altri.

"PADRI DELLA PATRIA" VITTIME E COMPLICI DELLA NOSTRA ROVINA.

Lettera da Crispi a Garibaldi - Caprera. Torino, 3 febbraio 1863.

Mio Generale! Giunto da Palermo, dove stetti poco men che un mese, credo mio dovere dirvi qualche cosa della povera isola che voi chiamaste a libertà e che i vostri successori ricacciarono in una servitù peggiore di prima. Dal nuovo regime quella popolazione nulla ha ottenuto di che potesse esser lieta. Nissuna giustizia, nissuna sicurezza personale, l'ipocrisia della libertà sotto un governo, il quale non ha d'italiano che appena il nome. Ho visitate le carceri e le ho trovate piene zeppe d'individui i quali ignorano il motivo per il quale sono prigionieri. Che dirvi del loro trattamento? Dormono sul pavimento, senza lume la notte, sudici, nutriti pessimamente, privi d'ogni conforto morale, senza una voce che li consigli e li educhi onde fosser rilevati dalla colpa. La popolazione in massa detesta il governo d'Italia, che al paragone trova più tristo del Borbonico. Grande fortuna che non siamo travolti in quell'odio noi, che fummo causa prima del mutato regime! Essa ritien voi martire, noi tutti vittime della tirannide la quale viene da Torino e quindi ci fa grazia della involontaria colpa. Se i consiglieri della Corona non mutano regime, la Sicilia andrà incontro ad una catastrofe. E' difficile misurarne le conseguenze, ma esse potrebbero essere fatali alla patria nostra. L'opera nostra dovrebbe mirare ad evitare cotesta catastrofe, affinchè non si sfasci il nucleo delle provincie unite che al presente formano il regno di Italia. Con le forze di questo regno e coi mezzi ch'esso ci offre, noi potremmo compiere la redenzione della penisola e occupar Roma. Sciolto cotesto nucleo, è rimandata ad un lontano avvenire la costituzione d'Italia. Della vostra salute, alla quale tutti c'interessiamo, ho buone notizie, che spero sempre migliori. Di Palermo tutti vi salutano come vi amano. Abbiatevi i complimenti di mia moglie e voi continuatemi il vostro affetto e credetemi. Vostro ora e sempre. F. Crispi.

La verità è rivoluzionaria. Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Non credo di aver fatto del male. Nonostante ciò, non rifarei oggi la via dell'Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio. Giuseppe Garibaldi (da una lettera scritta ad Adelaide Cairoli, 1868) 

Cronologia moderna delle azioni massoniche e mafiose.

27 marzo 1848 - Nasce la Repubblica Siciliana. La Sicilia ritorna ad essere indipendente, Ruggero Settimo è capo del governo, ritorna a sventolare l'antica bandiera siciliana. Gli inglesi hanno numerosi interessi nell'Isola e consigliano al Piemonte di annettersi la Sicilia. I Savoia preparano una spedizione da affidare a Garibaldi. Cavour si oppone perchè considera quest'ultimo un avventuriero senza scrupoli (ricordano impietositi i biografi che Garibaldi ladro di cavalli, nell' America del sud, venne arrestato e gli venne tagliato l'orecchio destro. Sarà, suo malgrado, capellone a vita per nascondere la mutilazione) [Secondo altre fonti l’orecchio gli sarebbe stato staccato con un morso da una ragazza che aveva cercato di violentare all’epoca della sua carriera di pirata, stupratore, assassino in America Latina, NdT]. Il nome di Garibaldi, viene abbinato altresì al traffico di schiavi dall'Africa all'America. Rifornito di denaro inglese da i Savoia, Garibaldi parte per la Sicilia. 

11 maggio 1860 - Con la protezione delle navi inglesi Intrepid e H.M.S. Argus, Garibaldi sbarca a Marsala. Scrive il memorialista garibaldino Giuseppe Bandi: I mille vengono accolti dai marsalesi come cani in chiesa! La prima azione mafiosa è contro la cassa comunale di Marsala. Il tesoriere dei mille, Ippolito Nievo lamenta che si trovarono pochi spiccioli di rame. I siciliani allora erano meno fessi! E' interessante la nota di Garibaldi sull'arruolamento: "Francesco Crispi arruola chiunque: ladri, assassini, e criminali di ogni sorta". 

15 maggio 1860 - Battaglia di Calatafimi. Passata alla storia come una grande battaglia, fu invece una modesta scaramuccia, si contarono 127 morti e 111 furono messi fuori combattimento. I Borbone con minor perdite disertano il campo. Con un esercito di 25.000 uomini e notevole artiglieria, i Borbone inviano contro Garibaldi soltanto 2.500 uomini. E' degno di nota che il generale borbonico Landi, fu comprato dagli inglesi con titoli di credito falsi e che l'esercito borbonico ebbe l'ordine di non combattere. Le vittorie di Garibaldi sono tutte una montatura. 

27 maggio 1860 - Garibaldi entra a Palermo da vincitore!....Ateo, massone, mangiapreti, celebra con fasto la festa di santa Rosalia. 

30 maggio 1860 - Garibaldi dà carta bianca alle bande garibaldine; i villaggi sono saccheggiati ed incendiati; i garibaldini uccidevano anche per un grappolo d'uva. Nino Bixio uccide un contadino reo di aver preso le scarpe ad un cadavere. Per incutere timore, le bande garibaldine, torturano e fucilano gli eroici siciliani. 

31 maggio 1860 - Il popolo catanese scaccia per sempre i Borbone. In quell'occasione brillò, per un atto di impavido coraggio, la siciliana Giuseppina Bolognani di Barcellona Pozzo di Gotto (ME). Issò sopra un carro un cannone strappato ai borbonici e attese la carica avversaria; al momento opportuno, l'avversario a due passi, diede fuoco alle polveri; il nemico, decimato, si diede alla fuga disordinata. Si guadagnò il soprannome Peppa 'a cannunera (Peppa la cannoniera) e la medaglia di bronzo al valor militare. 

2 giugno 1860 - Con un decreto, Garibaldi assegna le terre demaniali ai contadini; molti abboccano alla promessa. Intanto nell'Isola divampava impetuosa la rivoluzione che vedeva ancora una volta il Popolo Siciliano vittorioso. Fu lo stesso popolo che unito e compatto costrinse i borbonici alla ritirata verso Milazzo. 

17 luglio 1860 - Battaglia di Milazzo. Il governo piemontese invia il Generale Medici con 21.000 uomini bene armati a bordo di 34 navi. La montatura garibaldina ha fine. I contadini siciliani si ribellano, vogliono la terra promessagli. Garibaldi, rivelandosi servo degli inglesi e degli agrari, invia loro Nino Bixio. 

10 agosto 1860 - Da un bordello di Corleone, Nino Bixio ordina il massacro di stampo mafioso di Bronte. Vengono fucilati l'avvocato Nicolò Lombardo e tre contadini, tra i quali un minorato! L'Italia mostra il suo vero volto.

21 ottobre 1860 - Plebiscito di annessione della Sicilia al Piemonte. I voti si depositano in due urne: una per il "Sì" e l'altra per il "No". Intimorendo, come abitudine mafiosa, ruffiani, sbirri e garibaldini controllano come si vota. Su una popolazione di 2.400.000 abitanti, votarono solo 432.720 cittadini (il 18%). Si ebbero 432.053 "Sì" e 667 "No". Giuseppe Mazzini e Massimo D'Azeglio furono disgustati dalla modalità del plebiscito. Lo stesso ministro Eliot, ambasciatore inglese a Napoli, dovette scrivere testualmente nel rapporto al suo Governo che: "Moltissimi vogliono l'autonomia, nessuno l'annessione; ma i pochi che votano sono costretti a votare per questa". E un altro ministro inglese, Lord John Russel, mandò un dispaccio a Londra, cosí concepito: "I voti del suffragio in questi regni non hanno il minimo valore". 

1861 - L'Italia impone enormi tasse e l'obbligo del servizio militare, ma per chi ha soldi e paga, niente soldato. Intanto i militari italiani, da mafiosi, compiono atrocità e massacri in tutta l'Isola. Il sarto Antonio Cappello, sordomuto, viene torturato a morte perchè ritenuto un simulatore, il suo aguzzino, il colonnello medico Restelli, riceverà la croce dei "S.S. Maurizio e Lazzaro". Napoleone III scrive a Vittorio Emanuele: "I Borbone non commisero in cento anni, gli orrori e gli errori che hanno commesso gli agenti di Sua Maestà in un anno”. 

1863 - Primi moti rivoluzionari antitaliani di pura marca indipendentista. Il governo piemontese instaura il primo stato d'assedio. Viene inviato Bolis per massacrare i patrioti siciliani. Si prepara un'altra azione mafiosa contro i Siciliani.

8 maggio 1863 - Lord Henry Lennox denuncia alla camera dei Lords le infamie italiane e ricorda che non Garibaldi ma l'Inghilterra ha fatto l'unità d'Italia. 

15 agosto 1863 - Secondo stato d'assedio. Si instaura il terrore. I Siciliani si rifiutano di indossare la divisa italiana; fu una vera caccia all'uomo, le famiglie dei renitenti furono torturate, fucilate e molti furono bruciati vivi. Guidava l'operazione criminale e mafiosa il piemontese Generale Giuseppe Govone. (Nella pacifica cittadina di Alba, in piazza Savona, nell'aprile 2004 è stato inaugurato un monumento equestre a questo assassino. Ignoriamo per quali meriti.)

1866 - In Sicilia muoiono 52.990 persone a causa del colera. Ancora oggi, per tradizione orale, c'è la certezza che a spargervi il colera nell'Isola siano state persone legate al Governo italiano. Intanto tra tumulti, persecuzioni, stati d'assedio, terrore, colera ecc. la Sicilia veniva continuamente depredata e avvilita; il Governo italiano vendette perfino i beni demaniali ed ecclesiastici siciliani per un valore di 250 milioni di lire. Furono, nel frattempo, svuotate le casse della regione. Il settentrione diventava sempre più ricco, la Sicilia sempre più povera. 

1868 - Giuseppe Garibaldi scrive ad Adelaide Cairoli:"Non rifarei la via del Sud, temendo di essere preso a sassate!". Nessuna delle promesse che aveva fatto al Sud (come quella del suo decreto emesso in Sicilia il 2 giugno 1860, che assegnava le terre comunali ai contadini combattenti), era stata mantenuta. 

1871 - Il Governo, con un patto scellerato, fortifica la mafia con l'effettiva connivenza della polizia. Il coraggioso magistrato Diego Tajani dimostrò e smascherò questa alleanza tra mafia e polizia di stato e spiccò un mandato di cattura contro il questore di Palermo Giuseppe Albanese e mise sotto inchiesta il prefetto, l'ex garibaldino Gen. Medici. Ma il Governo italiano, con fare mafioso si schiera contro il magistrato costringendolo a dimettersi. 

1892 - Si formano i "Fasci dei Lavoratori Siciliani". L'organizzazione era pacifica ed aveva gli ideali del popolo, risolvere i problemi siciliani. Chiedeva, l'organizzazione dei Fasci la partizione delle terre demaniali o incolte, la diminuzione dei tassi di consumo regionale ecc. 

4 gennaio 1894 - La risposta mafiosa dello stato italiano non si fa attendere: STATO D'ASSEDIO. Francesco Crispi, (definito da me traditore dei siciliani a perenne vergogna dei riberesi) presidente del Consiglio, manda in Sicilia 40.000 soldati al comando del criminale Generale Morra di Lavriano, per distruggere l'avanzata impetuosa dei Fasci contadini. All'eroe della resistenza catanese Giuseppe De Felice vengono inflitti 18 anni di carcere; fu poi amnistiato nel 1896, ricevendo accoglienze trionfali nell'Isola. 

Note di "Sciacca Borbonica": Sono molti i paesi del mondo che dedicano vie, piazze e strade a lestofanti e assassini. Ma pochi di questi paesi hanno fatto di un pirata macellaio addirittura il proprio eroe nazionale. Il 27 luglio 1995 il giornale spagnolo "El Pais", giustamente indignato per l’apologia di Garibaldi fatta dall’allora presidente Scalfaro (quello che si prendeva 100 milioni al mese in nero dal SISDE, senza che nessuno muovesse un dito) nel corso di una visita in Spagna, così gli rispose a pag. 6:  “Il presidente d'Italia è stato nostro illustre visitante...... Disgraziatamente, in un momento della sua visita, il presidente italiano si è riferito alla presenza di Garibaldi nel Rio della Plata, in un momento molto speciale della storia delle nazioni di questa parte del mondo. E, senza animo di riaprire vecchie polemiche e aspre discussioni, diciamo al dott. Scalfaro che il suo compatriota [Garibaldi] non ha lottato per la libertà di queste nazioni come egli afferma. Piuttosto il contrario". Il 13 settembre 1860, mentre l'unificazione italiana era in pieno svolgimento, il giornale torinese Piemonte riportava il seguente articolo. (1): «Le imprese di Garibaldi nelle Due Sicilie parvero sin da allora così strane che i suoi ammiratori ebbero a chiamarle prodigiose. Un pugno di giovani guidati da un audacissimo generale sconfigge eserciti, piglia d'assalto le città in poche settimane, si fa padrone di un reame di nove milioni di abitanti. E ciò senza navigli e senz'armi... Altro che Veni, Vedi, Vici! Non c'è Cesare che tenga al cospetto di Garibaldi. I miracoli però non li ha fatti lui ma li fecero nell'ordine: 1°)-L'oro con il quale gli inglesi comprarono quasi tutti i generali borbonici e col quale assoldarono 20.000 mercenari ungheresi e slavi e pagarono il soldo ad altri 20.000 tra carabinieri e bersaglieri, opportunamente congedati dall'esercito sardo-piemontese e mandati come "turisti" nel Sud, altro che i 1000 scalcinati eroi...... 2°)-il generale Nunziante ed altri tra ufficiali dell'esercito e della marina che, con infinito disonore, disertarono la loro bandiera per correre sotto quella del nemico eccovi servito un piccolo elenco di traditori al soldo degli anglo-piemontesi, oltre al Nunziante: Generale Landi, Generale Cataldo, Generale Lanza, Generale Ghio, Comandante Acton, Comandante Cossovich,ed altri ancora; 3°)-i miracoli li ha fatti il Conte di Siracusa con la sua onorevolissima lettera al nipote Francesco II° (lettera pubblicata in un post a parte); 4°)-li ha fatti la Guardia Nazionale che, secondo il solito, voltò le armi contro il re che gliele avea date poche ore prima; 5°)-)li ha fatti il Gabinetto di Liborio Romano il quale, dopo aver genuflesso fino al giorno di ieri appié del trono di Francesco II, si prostra ai piedi di Garibaldi; 6°)- La quasi totalità della nobiltà siciliana. Beh, Con questi miracoli ancor io sarei capace di far la conquista, non dico della Sicilia e del Reame di Napoli, ma dell'universo mondo. Dunque non state a contare le prodezze di Sua Maestà Garibaldi I. Egli non è che il comodino della rivoluzione. Le società segrete (la massoneria) che hanno le loro reti in tutto il paese delle Due Sicilie, hanno di lunga mano preparato ogni cosa per la rivoluzione. E quando fu tutto apparecchiato si chiamò Garibaldi ad eseguire i piani [...]. Se non era Garibaldi sarebbe stato Mazzini, Kossuth, Orsini o Lucio della Venaria: faceva lo stesso. Appiccare il fuoco ad una mina anche un bimbo può farlo. Di fatto vedete che dappertutto dove giunge Garibaldi la rivoluzione è organizzata issofatto, i proclami sono belli e fatti, anzi stampati. In questo modo credo che Garibaldi può tranquillamente fare il giro del mondo a piantare le bandiere tricolori del Piemonte. Dopo Napoli Roma, dopo Roma Venezia, dopo Venezia la Dalmazia, dopo la Dalmazia l'Austria, caduta l'Austria il mondo è di Garibaldi, cioé del Piemonte! Oh che cuccagna! Torino capitale dell'Europa, anzi dell'orbe terracqueo. Ed i torinesi padroni del mondo!». Dai Savoia agli Agnelli, da una famiglia di vampiri ad un altra.....per il Sud sempre lo stesso destino.......dar loro anche l'ultima goccia di sangue. Comunque la Giustizia Divina arriva sempre........i savoia son finiti nella merda e nel ludibrio, gli Agnelli nella tomba e nella droga che certamente sarà il mezzo con quale ci libereremo di questa gente maledetta.

Gli eurobond che fecero l'Unità d'Italia quando il Regno di Napoli era come la Germania, scrive Giuseppe Chiellino il 30 giugno 2012 su “Il Sole 24 Ore”. Il vertice europeo di fine giugno ha cancellato gli eurobond dall'agenda. Almeno per ora. Angela Merkel è stata drastica: «Mai finchè sarò viva» aveva detto in pubblico qualche giorno prima. Chissà se la cancelliera tedesca aveva avuto il tempo di leggere lo studio di Stéphanie Collet, storica della finanza della Université Libre de Bruxelles che è andata a spulciare negli archivi delle Borse di Parigi e Anversa per studiare l'unico precedente assimilabile agli Eurobond: l'unificazione del debito sovrano dei sette stati che 150 anni orsono, su iniziativa del Piemonte e sotto tutela di Francia e Inghilterra, costituirono il Regno d'Italia. Nella storia dello stato moderno è l'esperienza storicamente più vicina al faticosissimo tentativo di dare maggiore consistenza politica all'Unione europea, anche attraverso l'integrazione delle politiche economiche e fiscali, compresi debiti sovrani dei 17 paesi dell'euro. Un precedente prezioso, secondo la Collet, per cercare di capire – mutatis mutandis - come potrebbero comportarsi i mercati finanziari di fronte all'unificazione del debito pubblico dei paesi della zona euro. «Come l'Italia di allora, l'Europa oggi è fatta da stati eterogenei, con economie di dimensioni e condizioni diverse, che parlano lingue diverse e hanno sistemi di imposizione fiscale separati» ricorda la studiosa. Grazie al fatto che anche dopo l'unificazione i titoli del Regno d'Italia conservarono fino al 1876 l'indicazione della loro origine (per esempio, ad Anversa le emissioni del Regno delle Due Sicilie erano indicate come "Italy-Neapolitean") la Collet è riuscita a ricostruire le serie storiche dei prezzi settimanali tra il 1847 e il 1873. Un lavoro certosino di raccolta manuale dei dati dagli archivi e dai database originali per capire come si sono mosse le quotazioni, prima e dopo l'unità, politica ed economica. 25 emissioni suddivise in quattro gruppi: Regno di Piemonte e Sardegna, Lombardo-Veneto, Due Sicilie e Stato Pontificio. La prima cosa che balza agli occhi è lo spread (anche allora!) tra i rendimenti dei diversi gruppi di bond prima e dopo l'Unità. Quelli del Regno delle Due Sicilie (che erano un quarto del totale) prima del 1861 pagavano i tassi più bassi: 4,3%, 140 punti base in meno delle emissioni papali e di quelle piemontesi (che rappresentavano rispettivamente il 29% e il 44% del debito unitario dopo la conversione) e 160 in meno rispetto a quelle Lombardo-Venete (che però erano solo il 2%). Insomma, a voler utilizzare le categorie di oggi, il Regno di Napoli economicamente era per l'Italia quello che oggi la Germania è per l'Eurozona. «Come il Regno di Napoli prima dell'integrazione del debito sovrano, la Germania di oggi è l'economia più forte dell'eurozona e beneficia del costo del debito più basso in assoluto» scrive Collet. Considerazioni, queste, che faranno storcere il naso a molti, ma sicuramente non di parte. Del resto, come ricorda Collet, Napoli era di gran lunga la città più importante del neonato Regno d'Italia. E le regioni del Sud avevano una discreta struttura industriale, un'agricoltura fiorente sia pure basata sul latifondismo, e importanti porti commerciali. Subito dopo il 1861, però, lo scettiscismo dei mercati nel processo unitario italiano impose un "risk premium" comune a tutti i bond degli stati preunitari, anche a quelli che fino a quel momento avevano goduto di maggiore fiducia e dunque di rendimenti più bassi. Proprio quello che oggi la Germania teme possa avvenire con gli eurobond: l'anno successivo, infatti, i rendimenti dei titoli convertiti in "Regno d'Italia" si allinearono ben al di sopra dei tassi precedenti, al 6,9%. Per gli "Italy – Neapolitean" 260 punti base in più che diventarono 460 nel 1870, per poi cominciare a ripiegare dopo il 1871, quando cioè l'annessione di Venezia e di Roma e il trasferimento della capitale nella città del papato convinsero gli investitori, e non solo, che l'Unità era ormai irreversibile. L"Italia" non era più una mera "espressione geografica", come l'aveva definita Metternich nel 1847, ma dopo tre guerre d'indipendenza e più di vent'anni di manovre diplomatiche era diventata uno stato unitario. «L'integrazione dei debiti sovrani era stato uno strumento per portare avanti l'integrazione politica, come sarebbe oggi per l'Europa» afferma Collet, ma nota anche che «un aumento del premio di rischio aggraverebbe la crisi del debito che sta vivendo l'Europa piuttosto che risolverla. Significherebbe che, se fossero introdotti gli eurobond, la Germania perderebbe il suo rating elevato». Questo portava Collet a definire, già nei mesi scorsi, «remote» le speranze di vedere nel breve termine un mercato integrato dei titoli di debito dell'eurozona. Nel lungo termine, invece, i risultati della ricerca sul caso italiano dimostrano che «nel tempo i rendimenti dei titoli diminuirono». Alla luce di questo, oggi la domanda è: quanto tempo ci vorrà perché anche l'Europa sia considerata come un blocco unico e in grado di dotarsi di un vero e proprio piano di salvataggio per l'euro? Per l'Italia ci volle all'incirca un decennio. Considerato che quella italiana fu un'annessione anche militare e quella europea è un'integrazione consensuale, e che i mercati dei capitali si muovono a ritmi diversi rispetto alla seconda metà dell'800, anche Collet concorda che un aumento del costo del debito nel breve termine sarebbe un prezzo che potremmo permetterci di pagare se avessimo la certezza di avere, tra qualche anno, un'Europa più unita. Ma questa certezza nessuna ricerca, per quanto accurata, potrà mai darla. Serve, forse, la capacità di andare oltre il breve periodo, di guardare un po' più lontano rispetto alla prossima scadenza elettorale, superando la "veduta corta" che per Tommaso Padoa Schioppa è stata «la radice» della crisi.

Perché leggere Antonio Giangrande?

Ognuno di noi è segnato nella sua esistenza da un evento importante. Chi ha visto il film si chiede: perché la scena finale de “L’attimo fuggente”, ogni volta, provoca commozione? Il professor John Keating (Robin Williams), cacciato dalla scuola, lascia l’aula per l’ultima volta. I suoi ragazzi, riabilitati da lui dalla corruzione culturale del sistema, non ci stanno, gli rendono omaggio. Uno dopo l’altro, salgono in piedi sul banco ed esclamano: «Capitano, mio capitano!». Perché quella scena è così potente ed incisiva? Quella scena ci colpisce perché tutti sentiamo d’aver bisogno di qualcuno che ci insegni a guardare la realtà senza filtri.  Desideriamo, magari senza rendercene conto, una guida che indichi la strada: per di là. Senza spingerci: basta l’impulso e l’incoraggiamento. Il pensiero va a quella poesia che il vate americano Walt Whitman scrisse dopo l'assassinio del presidente Abramo Lincoln, e a lui dedicata. Gli stessi versi possiamo dedicare a tutti coloro che, da diversi nell'omologazione, la loro vita l’hanno dedicata per traghettare i loro simili verso un mondo migliore di quello rispetto al loro vivere contemporaneo. Il Merito: Valore disconosciuto ed osteggiato in vita, onorato ed osannato in morte.

Robin Williams è il professor Keating nel film L'attimo fuggente (1989)

Oh! Capitano, mio Capitano, il tremendo viaggio è compiuto,

La nostra nave ha resistito ogni tempesta: abbiamo conseguito il premio desiderato.

Il porto è prossimo; odo le campane, il popolo tutto esulta.

Mentre gli occhi seguono la salda carena,

la nave austera e ardita.

Ma o cuore, cuore, cuore,

O stillanti gocce rosse

Dove sul ponte giace il mio Capitano.

Caduto freddo e morto.

O Capitano, mio Capitano, levati e ascolta le campane.

Levati, per te la bandiera sventola, squilla per te la tromba;

Per te mazzi e corone e nastri; per te le sponde si affollano;

Te acclamano le folle ondeggianti, volgendo i Walt Whitman (1819-1892) cupidi volti.

Qui Capitano, caro padre,

Questo mio braccio sotto la tua testa;

È un sogno che qui sopra il ponte

Tu giaccia freddo e morto.

Il mio Capitano tace: le sue labbra sono pallide e serrate;

Il mio padre non sente il mio braccio,

Non ha polso, né volontà;

La nave è ancorata sicura e ferma ed il ciclo del viaggio è compiuto.

Dal tremendo viaggio la nave vincitrice arriva col compito esaurito,

Esultino le sponde e suonino le campane!

Ma io con passo dolorante

Passeggio sul ponte, ove giace il mio Capitano caduto freddo e morto.

Antonio Giangrande. Un capitano necessario. Perché in Italia non si conosce la verità. Gli italiani si scannano per la politica, per il calcio, ma non sprecano un minuto per conoscere la verità. Interi reportage che raccontano l’Italia di oggi  “salendo sulla cattedra” come avrebbe detto il professore Keating dell’attimo fuggente e come ha cercato di fare lo scrittore avetranese Antonio Giangrande.

Chi sa: scrive, fa, insegna.

Chi non sa: parla e decide.

Chissà perché la tv ed i giornali gossippari e colpevolisti si tengono lontani da Antonio Giangrande. Da quale pulpito vien la predica, dott. Antonio Giangrande?

Noi siamo quel che facciamo: quello che diciamo agli altri è tacciato di mitomania o pazzia. Quello che di noi gli altri dicono sono parole al vento, perche son denigratorie. Colpire la libertà o l’altrui reputazione inficia gli affetti e fa morir l’anima.

La calunnia è un venticello

un’auretta assai gentile

che insensibile sottile

leggermente dolcemente

incomincia a sussurrar.

Piano piano terra terra

sotto voce sibillando

va scorrendo, va ronzando,

nelle orecchie della gente

s’introduce destramente,

e le teste ed i cervelli

fa stordire e fa gonfiar.

Dalla bocca fuori uscendo

lo schiamazzo va crescendo:

prende forza a poco a poco,

scorre già di loco in loco,

sembra il tuono, la tempesta

che nel sen della foresta,

va fischiando, brontolando,

e ti fa d’orror gelar.

Alla fin trabocca, e scoppia,

si propaga si raddoppia

e produce un’esplosione

come un colpo di cannone,

un tremuoto, un temporale,

un tumulto generale

che fa l’aria rimbombar.

E il meschino calunniato

avvilito, calpestato

sotto il pubblico flagello

per gran sorte va a crepar.

E’ senza dubbio una delle arie più famose (Atto I) dell’opera lirica Il Barbiere di Siviglia del 1816 di Gioacchino Rossini (musica) e di Cesare Sterbini (testo e libretto). E’ l’episodio in cui Don Basilio, losco maestro di musica di Rosina (protagonista femminile dell’opera e innamorata del Conte d’Almaviva), suggerisce a Don Bartolo (tutore innamorato della stessa Rosina) di screditare e di calunniare il Conte, infamandolo agli occhi dell’opinione pubblica. Il brano “La calunnia è un venticello…” è assolutamente attuale ed evidenzia molto bene ciò che avviene (si spera solo a volte) nella quotidianità di tutti noi: politica, lavoro, rapporti sociali, etc.

Alla fine di noi rimane il nostro operato, checché gli altri ne dicano. E quello bisogna giudicare. Nasco da una famiglia umile e povera. Una di quelle famiglie dove la sfortuna è di casa. Non puoi permetterti di studiare, né avere amici che contano. Per questo il povero è destinato a fare il manovale o il contadino. Mi sono ribellato e contro la sorte ho voluto studiare, per salire nel mondo non mio. Per 17 anni ho cercato di abilitarmi nell’avvocatura. Non mi hanno voluto. Il mondo di sotto mi tiene per i piedi; il mondo di sopra mi calca la testa. In un esame truccato come truccati sono tutti i concorsi pubblici in Italia: ti abilitano se non rompi le palle. Tutti uguali nella mediocrità. Dal 1998 ho partecipato all’esame forense annuale. Sempre bocciato. Ho rinunciato a proseguire nel 2014 con la commissione presieduta dall’avv. Francesco De Jaco. L’avvocato di Cosima Serrano condannata con la figlia Sabrina Misseri per il delitto di Sarah Scazzi avvenuto ad Avetrana. Tutte mie compaesane. La Commissione d’esame di avvocato di Lecce 2014. La più serena che io abbia trovato in tutti questi anni. Ho chiesto invano a De Jaco di tutelare me, dagli abusi in quell’esame, come tutti quelli come me che non hanno voce. Se per lui Cosima è innocente contro il sentire comune, indotti a pensarla così dai media e dai magistrati, perché non vale per me la verità che sia vittima di un sistema che mi vuol punire per essermi ribellato? Si nega l’evidenza. 1, 2, 3 anni, passi. 17 anni son troppi anche per il più deficiente dei candidati. Ma gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Compiti non corretti, ma ritenuti tali in tempi insufficienti e senza motivazione e con quote prestabilite di abilitati.  Così per me, così per tutti. Gli avvocati abilitati negano l’evidenza.  Logico: chi passa, non controlla. Ma 17 anni son troppi per credere alla casualità di essere uno sfigato, specialmente perché i nemici son noti, specie se sono nelle commissioni d’esame. In carcere o disoccupato. Tu puoi gridare a squarciagola le ingiustizie, ma nessuno ti ascolta, in un mondo di sordi. Nessuno ti crede. Fino a che non capiti a loro. E in questa Italia capita, eccome se capita! La tua verità contro la verità del potere. Un esempio da raccontare. Ai figli non bisogna chiedere cosa vogliono fare da grandi. Bisogna dir loro la verità. Chiedergli cosa vorrebbero che gli permettessero di fare da grandi. Sono nato in quelle famiglie che, se ti capita di incappare nelle maglie della giustizia, la galera te la fai, anche da innocente. A me non è successo di andare in galera, pur con reiterati tentativi vani da parte della magistratura di Taranto, ma sin dal caso Tortora ho capito che in questa Italia in fatto di giustizia qualcosa non va. Pensavo di essere di sinistra, perché la sinistra è garantismo, ma non mi ritrovo in un’area dove si tollerano gli abusi dei magistrati per garantirsi potere ed impunità. E di tutto questo bisogna tacere. A Taranto, tra i tanti processi farsa per tacitarmi sulle malefatte dei magistrati, uno si è chiuso, con sentenza del Tribunale n. 147/2014, con l’assoluzione perché il fatto non sussiste e per non doversi procedere. Bene: per lo stesso fatto si è riaperto un nuovo procedimento ed è stato emesso un decreto penale di condanna con decreto del Gip. n. 1090/2014: ossia una condanna senza processo. Tentativo stoppato dall’opposizione.

Zittirmi sia mai. Pur isolato e perseguitato. Gli italiani son questi. Ognuno dia la sua definizione. Certo è che gli italiani non mi leggono, mi leggono i forestieri. Mi leggeranno i posteri. Tutto regolare: lo ha detto la tv, lo dicono i giudici. Per me, invece, è tutto un trucco. In un mondo di ladri nessuno vien da Marte. Tutti uguali: giudicanti e giudicati. E’ da decenni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti ai magistrati, all’economia ed alla politica, ma che non impediscono il fatto che di me si parli su 200.000 siti web, come accertato dai motori di ricerca. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it, Lulu.com. CreateSpace.com e Google Libri, oltre che in forma di lettura gratuita e free vision video su www.controtuttelemafie.it, mentre la promozione del territorio è su www.telewebitalia.eu.

Ha la preparazione professionale per poter dire la sua in questioni di giustizia?

Non sono un giornalista, ma a quanto pare sono l’unico a raccontare tutti i fatti. Non sono un avvocato ma mi diletto ad evidenziare le manchevolezze di un sistema giudiziario a se stante. La mia emigrazione in piena adolescenza in Germania a 16 anni per lavorare; la mia laurea quadriennale in Giurisprudenza presa in soli due anni all’Università Statale di Milano, lavorando di notte e con moglie e due figli da mantenere, dopo aver conseguito il diploma da ragioniere in un solo anno da privatista presso un Istituto tecnico Statale e non privato, per non sminuirne l’importanza, portando tutti i 5 anni di corso; tutto ciò mi ha reso immune da ogni condizionamento culturale od ambientale. I miei 6 anni di esercizio del patrocinio legale mi hanno fatto conoscere le macagne di un sistema che non è riuscito a corrompermi. Per questo dal 1998 al 2014 non mi hanno abilitato alla professione di avvocato in un esame di Stato, che come tutti i concorsi pubblici ho provato, con le mie ricerche ed i miei libri, essere tutti truccati. Non mi abilitano. Perché non sono uguale agli altri, non perché son meno capace. Non mi abilitano perché vedo, sento e parlo. Ecco perché posso parlare di cose giuridiche in modo di assoluta libertà, senza condizionamento corporativistico, anche a certezza di ritorsione. E’ tutta questione di coscienza.

E’ TUTTA QUESTIONE DI COSCIENZA.

A’ Cuscienza di Antonio de Curtis-Totò

La coscienza

Volevo sapere che cos'è questa coscienza 

che spesso ho sentito nominare.

Voglio esserne a conoscenza, 

spiegatemi, che cosa significa. 

Ho chiesto ad un professore dell'università

il quale mi ha detto: Figlio mio, questa parola si usava, si, 

ma tanto tempo fa. 

Ora la coscienza si è disintegrata, 

pochi sono rimasti quelli, che a questa parola erano attaccati,

vivendo con onore e dignità.

Adesso c'è l'assegno a vuoto, il peculato, la cambiale, queste cose qua.

Ladri, ce ne sono molti di tutti i tipi, il piccolo, il grande, 

il gigante, quelli che sanno rubare. 

Chi li denuncia a questi ?!? Chi si immischia in questa faccenda ?!?

Sono pezzi grossi, chi te lo fa fare. 

L'olio lo fanno con il sapone di piazza, il burro fa rimettere, 

la pasta, il pane, la carne, cose da pazzi, Si è aumentata la mortalità.

Le medicine poi, hanno ubriacato anche quelle, 

se solo compri uno sciroppo, sei fortunato se continui a vivere. 

E che vi posso dire di certe famiglie, che la pelle fanno accapponare,

mariti, mamme, sorelle, figlie fatemi stare zitto, non fatemi parlare.

Perciò questo maestro di scuola mi ha detto, questa conoscenza (della coscienza)

perchè la vuoi fare, nessuno la usa più questa parola,

adesso arrivi tu e la vuoi ripristinare. 

Insomma tu vuoi andare contro corrente, ma questa pensata chi te l'ha fatta fare, 

la gente di adesso solo così è contenta, senza coscienza,

vuole stentare a vivere. (Vol tirà a campà)

LA SETTIMANA ROSSA E LA GRANDE GUERRA

Un secolo fa, tra il 7 e il 14 giugno 1914, l’Italia fu interessata da una serie di scioperi, contestazioni e agitazioni che, nelle Marche e in Romagna, assunsero il carattere di un’autentica insurrezione contro lo Stato nazionale. Il moto partì da Ancona dopo la morte di tre giovani manifestanti uccisi dalla forza pubblica all’uscita di Villa Rossa, sede dei repubblicani, durante il tentativo di impedire la formazione di un corteo. La protesta si estese a diverse periferie italiane. L’evento coinvolse ed ebbe come protagonisti personalità che ebbero grande rilievo politico nei decenni successivi come il repubblicano Pietro Nenni, l’anarchico Errico Malatesta, il socialista massimalista Benito Mussolini e altri ancora. Tutto l’establishment politico, l’opinione pubblica, il movimento sindacale e soprattutto le piazze italiane si trovarono di fronte a una prova eccezionale. Il governo Salandra, entrato in carica da meno di tre mesi, rispose con la forza mobilitando circa 100.000 soldati.

1914 - La settimana rossa di Ancona. Scritto da Carlo Del Mestre. Gli eventi del giugno 1914 sono esemplificativi come pochi altri nel Novecento delle potenzialità rivoluzionarie che si aprono improvvise nelle crisi di legittimazione della classe dominante, così come della forza della reazione che riconsolida il proprio potere quando la rivolta non si arma di un programma di transizione per la conquista del potere politico. Il fatto che segna l’inizio di quella che verrà chiamata la Settimana rossa avviene il 7 giugno ad Ancona, giorno della Festa dello Statuto Albertino. In opposizione alla parata militare celebrativa, socialisti, repubblicani e anarchici promuovono alla Villa rossa, sede del Partito repubblicano, un comizio contro il militarismo e la guerra in Libia, cominciata nel 1911. Un vasto movimento antimperialista si era formato in contrapposizione all’aggressione coloniale, e la manifestazione era stata promossa per la liberazione di Augusto Masetti, l’anarchico che sparò al suo ufficiale nella caserma di Bologna per protestare contro l’invio delle truppe, e di Antonio Moroni, il sindacalista recluso nelle famigerate “Compagnie di disciplina”, istituti di rieducazione repressiva per gli agitatori politici sotto la leva. Dopo le parole infuocate di Errico Malatesta, esponente storico dell’anarchismo, e del giovane repubblicano Pietro Nenni, i manifestanti si scontrano con il blocco della polizia, che spara e lascia sulla strada tre giovani morti, Antonio Casaccia, Nello Budini e Attilio Giambrignone. E' indetto immediatamente uno sciopero ad oltranza, e la reazione all’eccidio assume caratteri insurrezionali: i palazzi pubblici vengono occupati, si assaltano le armerie, porto e stazione vengono bloccati. Ampie zone delle Marche e della Romagna sfuggono al controllo dello Stato, i comitati rivoluzionari annunciano la nascita della Repubblica dei lavoratori, si rifiuta la moneta con l’effige del re e nelle piazze svettano per l’ultima volta gli Alberi della libertà della tradizione giacobina. Gli archivi comunali vengono ovunque dati alle fiamme. Nei paesi più accesamente anticlericali, anche le chiese subiscono la sorte riservata ai simboli dell’oppressione. Nei giorni seguenti s’innalzano barricate in tutte le grandi città industriali e nei territori rurali prostrati dalla miseria endemica. Scontri violentissimi impegnano i militanti della sinistra contro le forze dell’ordine e i nazionalisti. A Torino, Milano, Roma, Napoli, Bari, Firenze si contano morti tra i manifestanti. A Milano, Benito Mussolini e Filippo Corridoni, allora due dei capi rispettivamente della sinistra socialista e del sindacalismo rivoluzionario, vengono arrestati dopo aver partecipato ad un comizio all’Arena di fronte a 60mila persone. Nel frattempo si muove l’esercito, che il 10 giugno riesce a sbarcare ad Ancona. L’intervento delle forze armate allarma la Confederazione generale del lavoro, che al contrario del Partito socialista era ancora nelle mani degli elementi riformisti. Il 13 giugno decreta la cessazione dello sciopero generale. Nonostante gli insorti non avessero certo aspettato gli ordini del sindacato per muoversi, ora, abbandonati a loro stessi, cessano l’agitazione e i militari riconquistano senza incontrare resistenza le terre ribelli. Il 14 giugno è finita la Settima rossa, il bilancio a livello nazionale è di 16 manifestanti uccisi e 600 feriti. Quella settimana, che nella visione di Lenin non bisogna lasciar passare perché spartiacque storico tra due epoche, viene lasciata esaurirsi dalla Cgl e da un Partito socialista incapace di prendersi le responsabilità della direzione della lotta rivoluzionaria, come si ripeterà nel Biennio rosso. Un paio di settimane dopo, la biforcazione storica è definitiva: l’assassinio di Francesco Ferdinando il 28 giugno, nella Sarajevo capitale della Bosnia-Erzegovina da pochi anni annessa all’Impero austro-ungarico, determina l’accelerazione dell’infernale macchina bellica che travolgerà i popoli dell’Europa nel lago di sangue della Grande guerra celebrata da tutti i nazionalismi.

La “Cronologia” della Grande Guerra, scrive di Sergio Masini su “L’Opinione”. Siamo arrivati all’ultimo mese della “Belle Époque”. A partire dalla fine di giugno del 1914 il mondo non sarà mai più come prima, anche se gli europei faticheranno ad accorgersene. Tutti i nodi stanno per venire al pettine: le manovre politico-diplomatiche, la corsa agli armamenti, i problemi sociali irrisolti, l’impossibilità di conciliare le ambizioni dei governanti, l’avidità degli imprenditori e degli speculatori, le spinte nazionalistiche stanno per far deflagrare l’Europa e con lei gran parte del pianeta, dominato, controllato o condizionato dalle potenze europee. Il 28 giugno, a Sarajevo, due colpi di pistola segneranno l’inizio della catastrofe.

1 Giugno. L’inviato del presidente americano Woodrow Wilson, Edward Mandell House, è ricevuto dal Kaiser Guglielmo II. Gli Stati Uniti intendono mantenersi neutrali rispetto alle alleanze che attraversano e dividono l’Europa, ma sono comunque preoccupati per il futuro e soprattutto per i propri investimenti.

2 Giugno. Il successo elettorale della sinistra alle elezioni legislative in Francia del 10 maggio consentirebbe di mantenere la stabilità del governo Doumergue, alla quale sono favorevoli i radicali. Ma Doumergue dà le dimissioni e occorreranno parecchi giorni al presidente Poincaré per trovare un nuovo Presidente del Consiglio nella persona di René Viviani, destinato a costituire un governo largamente costituito da radical-socialisti. Sarà questo governo a dover affrontare i drammatici eventi che si preparano.

6 Giugno. Primo volo della storia durante il quale il velivolo perde, sia pure per poco, il contatto con la terra (dalla Scozia alla Norvegia).

7 Giugno. La prima nave passa attraverso le chiuse del Canale di Panama.

7 Giugno. Ad Ancona si scatenano disordini tra lavoratori anconetani (principalmente portuali e ferrovieri appartenenti a sindacati autonomi di indirizzo socialista ed anarchico) e forze dell'ordine, schierate per difendere la parata militare celebrativa dello Statuto Albertino. Molti movimenti disapprovano la spedizione militare italiana in Libia, e nello stesso giorno della parata è prevista una manifestazione contraria ai festeggiamenti, alla monarchia e all'esercito. Visto il divieto di manifestare, i partecipanti si danno appuntamento a Villa Rossa, sede del partito Repubblicano. Dopo un comizio che infiamma gli animi, i manifestanti escono da Villa Rossa e subito incontrano le forze dell'ordine. Al tentativo di forzare il blocco, i carabinieri rispondono aprendo il fuoco e uccidendo Nello Budini di 24 anni, Attilio Giambrignani di 22 e Antonio Casaccia di 17.

7 Giugno. Nello stesso giorno si conclude il Giro d'Italia 1914, svoltosi in otto tappe per un percorso totale di 3162 km, vinto dall'italiano Alfonso Calzolari e ricordato come il Giro più duro dell'epoca eroica del ciclismo. Il prossimo si svolgerà dopo la guerra. Su 81 partiti, solo 8 corridori arriveranno al traguardo finale.

10 Giugno. Sciopero generale a seguito dell’eccidio di Ancona: inizia spontaneamente, ma poi è appoggiato da CGdL e Psi. Si scatena la “Settimana rossa” nel centro Italia. Ondate di dimostrazioni e scontri con le forze dell’ordine nelle Marche e in Romagna a seguito dell’eccidio di Ancona: 13 morti tra i dimostranti, 1 tra le forze dell’ordine, decine di feriti. Ancona è l’epicentro degli scontri. Si assaltano le armerie, i lavoratori portuali e ferroviari bloccano porto e stazione, rallentando l'arrivo di ulteriori militari chiamati come rinforzo, i palazzi pubblici vengono presi dai manifestanti. Si proclamano scioperi in tutta Italia e si hanno violentissimi scontri nella Romagna, a Milano, Torino, Bologna, Firenze, Napoli, Palermo e Roma. Il governo Salandra è incapace di controllare la situazione. Intere zone della penisola sfuggono allo stato, i comitati rivoluzionari cercano di riorganizzare la vita nelle città in loro possesso. Sembra imminente la guerra civile, ma presto i militari riprendono il controllo della situazione, anche perché la CGdL (Confederazione Generale del Lavoro), dopo aver inizialmente appoggiato lo sciopero, lo revoca e invita i lavoratori a riportare l’ordine.

10 Giugno. A Londra, alla Royal Albert Hall, si svolge il Gran Ballo celebrativo della Pace tra Inglesi e Americani, per festeggiare i cento anni di pace tra Stati Uniti e Impero Britannico. Organizzato da un comitato di nobildonne inglesi di altissimo rango, raccoglie il meglio dell’alta società inglese e Americana, compresi sei membri della famiglia reale Britannica. Con grande scorno delle nobili e ricche organizzatrici, l’evento è disturbato da una suffragette, ovvero una militante del voto femminile, che riesce ad arrampicarsi sul palco della sala e tenta di improvvisare un comizio, prima di essere allontanata con la forza. Il Ballo riscuote comunque un grande successo. Sarà l’ultimo del suo genere per alcuni anni, almeno fino a novembre del 1918, quando si organizzerà un evento simile per celebrare la vittoria inglese: il “Ballo della Vittoria – una Processione di Pace”. Il clima, naturalmente, sarà profondamente diverso.

12 Giugno. Genocidio greco. I greci della Focide sono massacrati da elementi dell’esercito ottomano.

13 Giugno. Nasce in Francia il governo Viviani.

14 Giugno. Dopo ben 16 morti tra i rivoltosi, la situazione torna definitivamente sotto il controllo dell'esercito. La “Settimana rossa” è finita, ma ha dimostrato l’entità del disagio sociale in Italia e, dopo la guerra, fungerà da esempio per il “biennio rosso”. Le forze conservatrici comprendono che solo una forte spinta nazionalista e patriottica può bilanciare il desiderio di riscatto della parte più acculturata del popolo.

15 Giugno. Nel pomeriggio, su Parigi si scatena una delle più terribili piogge della sua storia, con diverse vittime e gravi danni in tutta la città.

21 Giugno. Sul Figaro di Parigi appare un articolo nel quale un ambasciatore – di cui non si fa il nome – enumera tutte le ragioni che portano a temere che la Germania desideri la guerra. L’articolista teme il nazionalismo esasperato delle classi più elevate, del clero, delle forze armate e degli intellettuali. Proprio i latenti contrasti sociali indurrebbero i nazionalisti a spingere in direzione di una diversione delle energie all’esterno della società tedesca. Il popolo è fondamentalmente pacifico, la borghesia è confusa e facilmente suggestionabile, e una minoranza bellicista è capace di influenzare il popolo e il governo e spingere il paese verso la guerra. L’articolo si conclude esprimendo tuttavia la convinzione che se i pacifisti sono completamente impotenti, i “pan-germanisti” non sono strapotenti in Germania…

23 Giugno. Dopo essere rimasto chiuso per poter essere reso più profondo (e in grado così di far navigare navi più grandi, soprattutto quelle da guerra) il canale “Kaiser Wilhelm” è riaperto dal Kaiser, ma è visitato dalla flotta inglese comandata da Sir George Warrender ; lo stesso Kaiser Guglielmo II visita la corazzata di Sua Maestà Britannica “King George V”.

24 Giugno. Re Pietro I di Serbia nomina il figlio Alexander Principe reggente.

26 Giugno. “Le Figaro” pubblica un articolo spiritoso sulla decisione della presidenza della Camera francese di dividere l’aula in una serie di settori destinati ai differenti gruppi parlamentari. “Con i tempi che corrono – osserva l’articolo – è molto più difficile trovare un posto stabile per se stessi che dare stabilità alle proprie convinzioni”.

28 Giugno. Assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando d’Austria, erede al trono degli Asburgo, e di sua moglie, Duchessa Sofia di Hohenberg, a Sarajevo, capitale della Bosnia-Herzegovina. Francesco Ferdinando è fautore di una politica in favore degli slavi nei territori dell’Impero Austro – Ungarico, fino al punto di auspicare una monarchia triplice (tedeschi, ungheresi e slavi) che superi la duplice monarchia (gli Asburgo sono imperatori d’Austria e re d’Ungheria). In questa sua posizione trova contrari lo stesso imperatore Francesco Giuseppe, ovviamente gli ungheresi e una parte delle forze armate, ma all’esterno anche i serbi lo considerano una minaccia, un ostacolo ai loro sogni di egemonizzare tutti gli slavi dei Balcani. La città è in festa, ma persino la giornata è stata scelta male: è l’anniversario di una storica sconfitta subita dai serbi oltre cinque secoli prima per mano dei Turchi. Il convoglio in cui viaggia l’Arciduca è composto da sette automobili scoperte in modo da poter godere al meglio anche della bellissima giornata di sole – gravissima imprudenza in una città solo da pochi anni passata sotto la sovranità totale dell’Impero. Nella seconda vettura trovano posto il Sindaco e un commissario di polizia, nella terza gli illustri ospiti con Francesco Ferdinando in alta uniforme e il generale Potiorek, e nelle successive ufficiali di ordinanza e personalità della corte imperiale. Si trova in città anche un manipolo di cospiratori del gruppo ultranazionalistico che fa riferimento ad elementi dei servizi segreti serbi ed è denominato “Mano Nera”. Uno di loro lancia un ordigno con l’obiettivo di uccidere l’Arciduca, ma la bomba rotola sotto la vettura successiva, provocando serie ferite agli occupanti. L’episodio non ferma il programma dell’evento, che prosegue senza variazioni per espressa volontà di Francesco Ferdinando. Dopo un discorso molto acceso indirizzato alla folla dal sindaco e dall’erede al trono, che parlano dal balcone del municipio, il corteo riparte verso il Museo Nazionale ma lungo la strada Francesco Ferdinando ordina di dirigersi verso l’ospedale per visitare i feriti dell’attentato mattutino. Il cambio di programma provoca un ingorgo e un forzato rallentamento del corteo all’altezza di un ponte, dove un altro dei congiurati, lo studente diciannovenne serbo-bosniaco Gavrilo Princip, trovandosi praticamente di fronte la coppia imperiale, non esita ad estrarre la pistola semiautomatica Browning calibro 7,65 ed esplode due colpi. Il primo colpisce all’addome la duchessa, il secondo ferisce al collo l’arciduca. Le vittime muoiono durante la corsa verso il palazzo del governatore. Gavrilo Princip è salvato dal linciaggio e sarà processato insieme agli altri congiurati, che cadono tutti nelle mani della polizia. Non sarà giustiziato e morirà in carcere.

29 Giugno. Il Segretario della Legazione di Belgrado invia un dispaccio a Vienna suggerendo la complicità serba nell’attentato di Sarajevo. Tumulti anti - serbi si scatenano a Sarajevo, in tutta la Bosnia e a Vienna e in alter parti dell’impero. 30 Giugno Si esprime cordoglio per la morte dell’Arciduca alla Camera dei Lords e alla Camera dei Comuni in Inghilterra, come in tutti gli altri Parlamenti d’Europa.

30 Giugno. Primo arresto del Mahatma Gandhi, che manifesta per i diritti degli Indiani in Sud Africa.

30 Giugno. “Bisogna sistemare una volta per tutte i serbi, e subito!”: così annota il Kaiser Guglielmo II a margine di un telegramma inviatogli dall’ambasciatore tedesco a Vienna.

IL SUD TARTASSATO.  

Sud tartassato: il Meridione paga più di tutti, scrive Lanfranco Caminiti su “Il Garantista”. Dice la Svimez che se muori e vuoi un funerale come i cristiani, è meglio che schiatti a Milano, che a Napoli ti trattano maluccio. E non ti dico a Bari o a Palermo, una schifezza. A Milano si spende 1.444,23 euro per defunto, a Napoli 988 euro, a Bari 892 euro e 19 centesimi, a Palermo 334 euro. A Palermo, cinque volte meno che a Milano. Il principe Antonio De Curtis, in arte Totò, si rivolterà nella tomba, che a quanto pare non c’è nessuna livella, dopo morti. E checcazzo, e neppure lì terroni e polentoni siamo uguali. E basterebbe solo questo – il culto dei morti dovrebbe antropologicamente “appartenere” alle società meridionali, era il Sud la terra delle prefiche, era il Sud la terra delle donne in nero, era il Sud la terra dei medaglioni con la fotina dell’estinto che pendono sul petto delle vedove – per dire come questa Italia sia cambiata e rovesciata sottosopra. Si paga al Sud di più per tutto, per l’acqua, la monnezza, l’asilo, gli anziani, la luce nelle strade, i trasporti, insomma per i Lep, come dicono quelli che studiano queste cose: livelli essenziali delle prestazioni. Essenziali lo sono, al Sud, ma quanto a prestazioni, zero carbonella. Eppure, Pantalone paga. Paga soprattutto la classe media meridionale che si era convinta che la civilizzazione passasse per gli standard nazionali. Paghiamo il mito della modernizzazione. Paghiamo l’epica della statalizzazione. Paghiamo la retorica della “cosa pubblica”. Paghiamo l’idea che dobbiamo fare bella figura, ora che i parenti ricchi, quelli del Nord, vengono in visita e ci dobbiamo comportare come loro: non facciamoci sempre riconoscere. Paghiamo le tasse, che per questo loro sono avanti e noi restiamo indietro. Lo Stato siamo noi. Parla per te, dico io. Dove vivo io, un piccolo paese del Sud, pago più tasse d’acqua di quante ne pagassi prima in una grande città, e più tasse di spazzatura, e non vi dico com’è ridotto il cimitero che mi viene pena solo a pensarci. Sono stati i commissari prefettizi – che avevano sciolto il Comune – a “perequare” i prelievi fiscali. Poi sono andati via, ma le tasse sono rimaste. Altissime, cose mai viste. In compenso però, la spazzatura si accumula in piccole montagne. A volte le smantellano, poi si ricomincia. Non sai mai quando, magari qualcuno dei laureati che stanno a girarsi i pollici al baretto della piazza potrebbe studiarla, la sinusoide della raccolta rifiuti. Invece, i bollettini arrivano in linea retta. Con la scadenza scritta bella grossa. L’unica cosa che è diminuita in questi anni al Sud è il senso di appartenenza a una qualche comunità più grande del nostro orto privato. La pervasività dello Stato – e quale maggiore pervasività della sua capacità di prelievo fiscale – è cresciuta esponenzialmente quanto l’assoluta privatizzazione di ogni spirito meridionale. Tanto più Stato ha prodotto solo tanta più cosa privata. E non dico solo verso la comunità nazionale, la Patria o come diavolo vogliate chiamarla. No, proprio verso la comunità territoriale. Chi può manda i figli lontano, perché restino lontano. Chi può compra una casa lontano sperando di andarci il prima possibile a passare gli anni della vecchiaia. Chi può fa le vacanze lontano, a Pasqua e a Natale, il più esotiche possibile. Chi non può, emigra. Di nuovo, come sempre. Il Sud è diventato terra di transito per i suoi stessi abitanti. Come migranti clandestini, non vediamo l’ora di andarcene. il Sud dismette se stesso, avendo perso ogni identità storica non si riconosce in quello che ha adesso intorno, che pure ha accettato, voluto, votato.

C’era una volta l’assistenzialismo. Rovesciati come un calzino ci siamo ritrovati contro un federalismo secessionista della Lega Nord che per più di vent’anni ci ha sbomballato le palle rubandoci l’unica cosa in cui eravamo maestri, il vittimismo. Siamo stati vittimisti per più di un secolo, dall’unità d’Italia in poi, e a un certo punto ci siamo fatti rubare la scena da quelli del Nord – e i trasferimenti di risorse, e le pensioni, e l’assistenzialismo e la pressione fiscale e le camorre degli appalti pubblici – e l’unica difesa che abbiamo frapposto è stata lo Stato. Siamo paradossalmente diventati i grandi difensori dell’unità nazionale contro il leghismo. Noi, i meridionali, quelli che il federalismo e il secessionismo l’avevano inventato e provato. Noi, che dello Stato ce ne siamo sempre bellamente strafottuti. Li abbiamo votati. Partiti nazionali, destra e sinistra, sindaci cacicchi e governatori, li abbiamo votati. Ci garantivano le “risorse pubbliche”. Dicevano. Ci promettevano il rinascimento, il risorgimento, la resistenza. Intanto però pagate. Come quelli del Nord. Facciamogli vedere. Anzi, di più. La crisi economica del 2007 ha solo aggravato una situazione già deteriorata. E ormai alla deriva. È stata la classe media meridionale “democratica” l’artefice di questo disastro, con la sua ideologia statalista. Spesso, loro che possono, ora che le tasse sono diventate insopportabili, ora che il Sud è sfregiato, senza più coscienza di sé, ora se ne vanno. O mandano i loro figli lontano. Chi non può, emigra. Di nuovo, come sempre.

Non solo i cittadini italiano sono tartassati, ma sono anche soggetti a dei disservizi estenuanti.

ITALIANI. LA CASTA DEI "COGLIONI". FACCIAMO PARLARE CLAUDIO BISIO.

In molti mi hanno scritto chiedendomi il testo del mio monologo effettuato durante il Festival di Sanremo 2013 il 16 Febbraio scorso. Beh, eccolo. Inoltre alcuni di voi, sull'onda del contenuto di quel monologo hanno creato una pagina facebook "Quelli che domenica voteranno con un salmone". Come vedete, l'ho fatto anch'io... 

Sono un italiano. Che emozione... E che paura essere su questo palcoscenico... Per me è la prima volta. Bello però. Si sta bene… Il problema ora è che cosa dire. Su questo palco è stato fatto e detto davvero di tutto. E il contrario di tutto. Gorbaciov ha parlato di perestroika, di libertà, di democrazia… Cutugno ha rimpianto l’Unione Sovietica. Gorbaciov ha parlato di pace… e Cutugno ha cantato con l’Armata Rossa… Belen ha fatto vedere la sua farfallina (io potrei farvi vedere il mio biscione, ma non mi sembra un’ottima idea… è un tatuaggio che ho sulla caviglia, dopo tanti anni a Mediaset è il minimo…) Ma soprattutto Benigni, vi ricordate quando è entrato con un cavallo bianco imbracciando il tricolore? Ecco, la rovina per me è stato proprio Benigni. Lo dico con una sana invidia. Benigni ha alzato troppo il livello. La Costituzione, l'Inno di Mameli, la Divina Commedia... Mettetevi nei panni di uno come me. Che è cresciuto leggendo Topolino... Però, se ci pensate bene, anche Topolino, a modo suo, è un classico. Con la sua complessità, il suo spessore psicologico, le sue contraddizioni… Prendete Nonna Papera, che animale è? ... chi ha detto una nonna? Non fate gli spiritosi anche voi, è una papera. Ma è una papera che dà da mangiare alle galline. Tiene le mucche nella stalla... Mentre invece Clarabella, che anche lei è una mucca, non sta nella stalla, sta in una casa con il divano e le tendine. E soprattutto sta con Orazio, che è un cavallo. Poi si lamentano che non hanno figli... Avete presente Orazio, che fa il bipede, l’antropomorfo, però ha il giogo, il morso, il paraocchi. Il paraocchi va bene perché Clarabella è un cesso, ma il morso?!? Ah, forse quando di notte arriva Clarabella con i tacchi a spillo, la guêpiere, la frusta: "Fai il Cavallo! Fai il cavallo!" nelle loro notti sadomaso… una delle cinquanta sfumature di biada. E Qui Quo Qua. Che parlano in coro. Si dividono una frase in tre, tipo: "ehi ragazzi attenti che arriva Paperino/ e/ ci porta tutti a Disneyland", oppure: "ehi ragazzi cosa ne direste di andare tutti/ a/ pescare del pesce che ce lo mangiamo fritto che ci piace tanto..." ecco, già da queste frasi, pur banali se volete, si può evincere come a Quo toccassero sempre le preposizioni semplici, le congiunzioni, a volte solo la virgola: "ehi ragazzi attenti che andando in mezzo al bosco/, / rischiamo di trovare le vipere col veleno che ci fanno del male" inoltre Quo ha sempre avuto un problema di ubicazione, di orientamento... non ha mai saputo dove fosse. Tu chiedi a Qui: "dove sei?" "sono qui!" ... Chiedi a Qua "dove sei?", e lui: "sono qua!" tu prova a chiederlo a Quo. Cosa ti dice? "sono Quo?" Cosa vuol dire? Insomma Quo è sempre stato il più sfigato dei tre, il più insulso: non riusciva né a iniziare né a finire una frase, non era né qui, né qua... Mario Monti. Mari o Monti? Città o campagna? Carne o Pesce? Lo so. So che siamo in piena par condicio e non si può parlare di politica. Ma sento alcuni di voi delusi dirsi: ma come, fra sette giorni ci sono le elezioni. E questo qui ci parla di mucche e galline... Altri che invece penseranno: basta politica! Io non voglio nascondermi dietro a un dito, anche perché non ne ho nessuno abbastanza grosso… decidete voi, volendo posso andare avanti per altri venti minuti a parlare di fumetti, oppure posso dirvi cosa penso io della situazione politica… Ve lo dico? Io penso che finché ci sono LORO, non riusciremo mai a cambiare questo paese. Dicono una cosa e ne fanno un'altra. Non mantengono le promesse. Sono incompetenti, bugiardi, inaffidabili. Credono di avere tutti diritti e nessun dovere. Danno sempre la colpa agli altri… A CASA! Tutti a casa!!! (A parte che quando dici tutti a casa devi stare attento, specificare: a casa di chi? No perché non vorrei che venissero tutti a casa mia) Vedo facce spaventate... soprattutto nelle prime file... Lo so, non devo parlare dei politici, ho firmato fior di contratti, ci sono le penali... Ma chi ha detto che parlo dei politici? Cosa ve l'ha fatto pensare? Ah, quando ho detto incompetenti, bugiardi, inaffidabili? Ma siete davvero maliziosi... No, non parlavo dei politici. Anche perché, scusate, i politici sono in tutto poche centinaia di persone... cosa volete che cambi, anche se davvero se ne tornassero tutti a casa (casa loro, ribadisco)? Poco. No, quando dicevo che devono andare tutti a casa, io non stavo parlando degli eletti. Io stavo parlando degli elettori... stavo parlando di NOI. Degli italiani. Perché, a fare bene i conti, la storia ci inchioda: siamo noi i mandanti. Siamo noi che li abbiamo votati. E se li guardate bene, i politici, ma proprio bene bene bene... è davvero impressionante come ci assomigliano: I politici italiani… sono Italiani! Precisi, sputati. Magari, ecco, con qualche accentuazione caricaturale. Come le maschere della commedia dell'arte, che sono un po' esagerate, rispetto al modello originale. Ma che ricalcano perfettamente il popolo che rappresentano. C'è l'imbroglione affarista, tradito dalla sua ingordigia “Aò, e nnamose a magnà!... A robbin, ‘ndo stai?”; C'è il servitore di due padroni: "orbo da n'orecia, sordo de n'ocio"… qualche volta anche di tre. Certi cambiano casacca con la velocità dei razzi… C'è il riccone arrogante...”Guadagno spendo pago pretendo” C'è la pulzella che cerca di maritarsi a tutti i costi con il riccone, convinta di avere avuto un'idea originale e che ci rimane male quando scopre che sono almeno un centinaio le ragazze che hanno avuto la sua stessa identica idea... C'è il professore dell'università che sa tutto lui e lo spiega agli altri col suo latino/inglese perfetto: "tananai mingheina buscaret!" Cos’ha detto? “Choosy firewall spending review” Ah, ecco, ora finalmente ho capito… C'è quello iracondo, manesco, pronto a menar le mani ad ogni dibattito... “culattoni raccomandati” Insomma, c'è tutto il campionario di quello che NOI siamo, a partire dai nostri difetti, tipo l'INCOERENZA. Come quelli che vanno al family day... ma ci vanno con le loro due famiglie... per forza poi che c'è un sacco di gente.... E se solo li guardi un po' esterrefatto, ti dicono: "Perché mi guardi così? Io sono cattolico, ma a modo mio”. A modo tuo? Guarda, forse non te l'hanno spiegato, ma non si può essere cattolico a modo proprio... Se sei cattolico non basta che Gesù ti sia simpatico, capisci? Non è un tuo amico, Gesù. Se sei cattolico devi credere che Gesù sia il figlio di Dio incarnato nella vergine Maria. Se sei cattolico devi andare in chiesa tutte le domeniche, confessare tutti i tuoi peccati, fare la penitenza. Devi fare anche le novene, digiunare al venerdì... ti abbuono giusto il cilicio e le ginocchia sui ceci. Divorziare: VIETATISSIMO! Hai sposato un farabutto, o una stronza? Capita. Pazienza. Peggio per te. Se divorzi sono casini… E il discorso sulla coerenza non vale solo per i cattolici... Sei fascista? Devi invadere l’Abissinia! Condire tutto con l'olio di ricino, girare con il fez in testa, non devi mai passare da via Matteotti, anche solo per pudore! Devi dire che Mussolini, a parte le leggi razziali, ha fatto anche delle cose buone! Sei comunista? Prima di tutto devi mangiare i bambini, altro che slow food. Poi devi andare a Berlino a tirare su di nuovo il Muro, mattone su mattone! Uguale a prima! Devi guardare solo film della Corea… del nord ovviamente. Devi vestirti con la casacca grigia, tutti uguali come Mao! …mica puoi essere comunista e poi andare a comprarti la felpa da Abercrumbie Sei moderato? Devi esserlo fino in fondo! Né grasso né magro, né alto né basso, né buono né cattivo... Né…Da quando ti alzi la mattina a quando vai a letto la sera devi essere una mediocrissima, inutilissima, noiosissima via di mezzo! Questo per quanto riguarda la coerenza. Ma vogliamo parlare dell'ONESTÀ? Ho visto negozianti che si lamentano del governo ladro e non rilasciano mai lo scontrino, Ho visto fabbriche di scontrini fiscali non fare gli scontrini dicendo che hanno finito la carta, Ho visto ciechi che accompagnano al lavoro la moglie in macchina, Ho visto sordi che protestano coi vicini per la musica troppo alta, Ho visto persone che si lamentano dell’immigrazione e affittano in nero ai gialli… e a volte anche in giallo ai neri!, Ho visto quelli che danno la colpa allo stato. Sempre: se cade un meteorite, se perdono al superenalotto, se la moglie li tradisce, se un piccione gli caga in testa, se scivolano in casa dopo aver messo la cera: cosa fa lo stato? Eh? Cosa fa?... Cosa c’entra lo stato. Metti meno cera, idiota! Lo sapete che nell'inchiesta sulla 'ndrangheta in Lombardia è venuto fuori che c'erano elettori, centinaia di elettori, che vendevano il proprio voto per cinquanta euro? Vendere il voto, in democrazia, è come vendere l'anima. E l'anima si vende a prezzo carissimo, avete presente Faust? Va beh che era tedesco, e i tedeschi la mettono giù sempre durissima, ma lui l'anima l'ha venduta in cambio dell'IMMORTALITA'! Capito? Non cinquanta euro. Se il diavolo gli offriva cinquanta euro, Faust gli cagava in testa. La verità è che ci sono troppi impresentabili, tra gli elettori. Mica poche decine, come tra i candidati… è vero, sembrano molti di più, ma perché sono sempre in televisione a sparar cazzate, la televisione per loro è come il bar per noi... "Ragazzi, offro un altro giro di spritz" "E io offro un milione di posti di lavoro" e giù a ridere. "E io rimborso l'imu!” “e io abolisco l'ici!" “Guarda che non c'è più da un pezzo l'ici" "Allora abolisco l'iva... E anche l'Emy, Evy e Ely!" "E chi sono? "Le nipotine di Paperina! "Ma va là, beviti un altro grappino e tasi mona!..." Vedi, saranno anche impresentabili ma per lo meno li conosci, nome e cognome, e puoi anche prenderli in giro. Invece gli elettori sono protetti dall’anonimato… alle urne vanno milioni di elettori impresentabili, e nessuno sa chi sono! Sapete quale potrebbe essere l’unica soluzione possibile? Sostituire l'elettorato italiano. Al completo. Pensate, per esempio, se incaricassimo di votare al nostro posto l'elettorato danese, o quello norvegese. Lo prendiamo a noleggio. Meglio, lo ospitiamo alla pari... Au pair. Carlo, ma chi è quel signore biondo che dorme a casa tua da due giorni? “Oh, è il mio elettore norvegese alla pari, domenica vota e poi riparte subito... C'è anche la moglie”... E per chi votano, scusa? "Mi ha detto che è indeciso tra Aspelünd Gründblomma e Pysslygar". Ma quelli sono i nomi dell'Ikea!, che tra l’altro è svedese… "Ma no, si assomigliano… però ora che mi ci fai pensare, effettivamente ho visto nel suo depliant elettorale che i simboli dei loro partiti sono un armadio, una lampada, un comodino. Mah. E tu poi, in cambio cosa fai, vai a votare per le loro elezioni? In Norvegia? "Ah, questo non lo so. Non so se mi vogliono. Mi hanno detto che prima devo fare un corso. Imparare a non parcheggiare in doppia fila. A non telefonare parlando ad alta voce in treno. A pagare le tasse fino all'ultimo centesimo. Poi, forse, mi fanno votare." Si, va beh, qualche difficoltà logistica la vedo: organizzare tutti quei pullman, trovare da dormire per tutti... Ma pensate che liberazione, la sera dei risultati, scoprire che il nostro nuovo premier è un signore o una signora dall'aria normalissima, che dice cose normalissime, e che va in televisione al massimo un paio di volte all'anno.

(Lancio di batteria e poi, sull’aria de “L’italiano”)

Lasciatemi votare

con un salmone in mano

vi salverò il paese

io sono un norvegese…

IL NORD EVADE PIU’ DEL SUD.

Economia Sommersa: Il Nord onesto e diligente evade più del Sud, scrive Emanuela Mastrocinque su “Vesuviolive”. Sono queste le notizie che non dovrebbero mai sfuggire all’attenzione di un buon cittadino del Sud. Per anni ci hanno raccontato una storia che, a furia di leggerla e studiarla, è finita con il diventare la nostra storia, l’unica che abbiamo conosciuto. Storia di miseria e povertà superata dai meridionali grazie all’illegalità o all’emigrazione, le due uniche alternative rimaste a “quel popolo di straccioni” (come ci definì quella “simpatica” giornalista in un articolo pubblicato su “Il Tempo” qualche anno fa) . Eppure negli ultimi anni il revisionismo del risorgimento ci sta aiutando a comprendere quanto lo stereotipo e il pregiudizio sia stato utile e funzionale ai vincitori di quella sanguinosa guerra da cui è nata l‘Italia. Serviva (e serve tutt‘ora) spaccare l’Italia. Da che mondo e mondo le società hanno avuto bisogno di creare l’antagonista da assurgere a cattivo esempio, così noi siamo diventati fratellastri, figli di un sentimento settentrionale razzista e intollerante. Basta però avere l’occhio un po’ più attento per scoprire che spesso la verità, non è come ce la raccontano. Se vi chiedessimo adesso, ad esempio, in quale zona d’Italia si concentra il tasso più alto di evasione fiscale, voi che rispondereste? Il Sud ovviamente. E invece non è così. Dopo aver letto un post pubblicato sulla pagina Briganti in cui veniva riassunta perfettamente l’entità del “sommerso economico in Italia derivante sia da attività legali che presentano profili di irregolarità, come ad esempio l’evasione fiscale, che dal riciclaggio di denaro sporco proveniente da attività illecite e mafiose” abbiamo scoperto che in Italia la maggior parte degli evasori non è al Sud. Secondo i numeri pubblicati (visibili nell‘immagine sotto), al Nord il grado di evasione si attesta al 14, 5%, al centro al 17,4% mentre al Sud solo al 7,9%. I dati emersi dal Rapporto Finale del Gruppo sulla Riforma Fiscale, sono stati diffusi anche dalla Banca d’Italia. Nel lavoro di Ardizzi, Petraglia, Piacenza e Turati “L’economia sommersa fra evasione e crimine: una rivisitazione del Currency Demand Approach con una applicazione al contesto italiano” si legge “dalle stime a livello territoriale si nota una netta differenza tra il centro-nord e il sud, sia per quanto attiene al sommerso di natura fiscale che quello di natura criminale. Per quanto riguarda infine l’evidenza disaggregata per aree territoriali, è emerso che le province del Centro-Nord, in media, esibiscono un’incidenza maggiore sia del sommerso da evasione sia di quello associato ad attività illegali rispetto alle province del Sud, un risultato che pare contraddire l’opinione diffusa secondo cui il Mezzogiorno sarebbe il principale responsabile della formazione della nostra shadow economy. Viene meno, di conseguenza, la rappresentazione del Sud Italia come territorio dove si concentrerebbe il maggiore tasso di economia sommersa". E ora, come la mettiamo?

Si evade il fisco più al Nord che al Sud. E’ uno dei dati che emerge dal rapporto sulla lotta all’evasione redatto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Secondo Padoan, la somma totale delle principali imposte evase (Iva, Ires, Irpef e Irap) ammonta a 91 miliardi. Il 52% di questa cifra si attesta dunque nel Settentrione, contro i 24 miliardi del centro (26% del totale) e i 19,8 miliardi del Meridione (22%). Il dato è influenzato dal maggior reddito nazionale del Nord. Soprattutto, scrivono i tecnici del Tesoro, la rabbrividire la percentuale di verifiche sulle imprese che trova irregolarità fiscali: è 98,1% tra le grandi, al 98,5% sulle medie e al 96,9% sulle Pmi. Il record tocca agli enti non commerciali, il 99,2% non è in regola. 100% di `positività´ i controlli sugli atti soggetti a registrazione. Ad ogni modo, l’evasione effettiva ‘pizzicata’ dall’Agenzia delle Entrate nel 2013, ha rilevato il Mef, ammonta a 24,5 miliardi. La maggiore imposta accertata è così salita dell’87% in sette anni, rispetto ai 13,1 miliardi del 2006. Un numero in calo rispetto agli anni 2009-2012 e soprattutto rispetto al picco di 30,4 miliardi del 2011.

Ma quale Sud, è il Nord che ha la palma dell’evasione, scrive Vittorio Daniele su “Il Garantista”. Al Sud si evade di più che al Nord. Questo è quanto comunemente si pensa. Non è così, invece, secondo i dati della Guardia di Finanza, analizzati da Paolo di Caro e Giuseppe Nicotra, dell’Università di Catania, in uno studio di cui si è occupata anche la stampa (Corriere Economia, del 13 ottobre). I risultati degli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza mostrano come, nelle regioni meridionali, la quota di reddito evaso, rispetto a quello dichiarato, sia inferiore che al Nord. E ciò nonostante il numero di contribuenti meridionali controllati sia stato, in proporzione, maggiore. Alcuni esempi. In Lombardia, su oltre 7 milioni di contribuenti sono state effettuate 14.313 verifiche che hanno consentito di accertare un reddito evaso pari al 10% di quello dichiarato. In Calabria, 4.480 controlli, su circa 1.245.000 contribuenti, hanno consentito di scoprire un reddito evaso pari al 3,5% di quello dichiarato. Si badi bene, in percentuale, le verifiche in Calabria sono state quasi il doppio di quelle della Lombardia. E ancora, in Veneto il reddito evaso è stato del 5,3%, in Campania del 4,4% in Puglia, del 3,7% in Sicilia del 2,9%. Tassi di evasione più alti di quelle delle regioni meridionali si riscontrano anche in Emilia e Toscana. Alcune considerazioni. La prima riguarda il fatto che nelle regioni del Nord, dove più alta è la quota di evasione, e dove maggiore è il numero di contribuenti e imprese, si siano fatti, in proporzione, assai meno accertamenti che nel meridione. Poiché, in Italia, le tasse le paga chi è controllato, mentre chi non lo è, se può, tende a schivarle, sarebbe necessario intensificare i controlli là dove la probabilità di evadere è maggiore. E questa probabilità, secondo i dati della Guardia di Finanza, è maggiore nelle regioni più ricche. La seconda considerazione è che il luogo comune di un’Italia divisa in due, con un Nord virtuoso e un Sud di evasori, non corrisponde al vero. L’Italia è un paese unito dall’evasione fiscale. Il fatto che in alcune regioni del Nord si sia evaso di più che al Sud non ha nulla a che vedere né con l’etica, né con l’antropologia. Dipende, più realisticamente, da ragioni economiche. L’evasione difficilmente può riguardare i salari, più facilmente i profitti e i redditi d’impresa. E dove è più sviluppata l’attività d’impresa? Come scrivevano gli economisti Franca Moro e Federico Pica, in un saggio pubblicato qualche anno fa della Svimez: «Al Sud ci sono tanti evasori per piccoli importi. Al Nord c’è un’evasione più organizzata e per somme gigantesche». Quando si parla del Sud, pregiudizi e stereotipi abbondano. Si pensa, così, che la propensione a evadere, a violare le norme, se non a delinquere, sia, per così dire, un tratto antropologico caratteristico dei meridionali. Ma quando si guardano i dati, e si osserva la realtà senza la lente deformante del pregiudizio, luoghi comuni e stereotipi quasi mai reggono. Di fronte agli stereotipi e alle accuse – e quella di essere evasori non è certo la più infamante – che da decenni, ogni giorno e da più parti, si rovesciano contro i meridionali, non sarebbe certo troppo se si cominciasse a pretendere una rappresentazione veritiera della realtà. Insieme a pretendere, naturalmente, e in maniera assai più forte di quanto non si sia fatto finora, che chi, al Sud, ha responsabilità e compiti di governo, faccia davvero, e fino in fondo, il proprio dovere.

Quante bugie ci hanno raccontato sul Mezzogiorno! Scrive Pino Aprile su “Il Garantista”. L’Italia è il paese più ingiusto e disuguale dell’Occidente, insieme a Stati Uniti e Gran Bretagna: ha una delle maggiori e più durature differenze del pianeta (per strade, treni, scuole, investimenti, reddito…) fra due aree dello stesso paese: il Nord e il Sud; tutela chi ha già un lavoro o una pensione, non i disoccupati e i giovani; offre un reddito a chi ha già un lavoro e lo perde, non anche a chi non riesce a trovarlo; è fra i primi al mondo, per la maggiore distanza fra lo stipendio più alto e il più basso (alla Fiat si arriva a più di 400 volte); ha i manager di stato più pagati della Terra, i vecchi più garantiti e i giovani più precari; e se giovani e donne, pagate ancora meno. È in corso un colossale rastrellamento di risorse da parte di chi ha più, ai danni di chi ha meno: «una redistribuzione dal basso verso l’alto». È uscito in questi giorni nelle librerie il nuovo libro di Pino Aprile («Terroni ’ndernescional», edizioni PIEMME, pagine 251, euro 16,50). Pubblichiamo un brano, per gentile concessione dell’autore. Quante volte avete letto che la prova dell’ estremo ritardo dell’Italia meridionale rispetto al Nord era l’alta percentuale di analfabeti? L’idea che questo possa dare ad altri un diritto di conquista e annessione può suonare irritante. Ma una qualche giustificazione, nella storia, si può trovare, perché i popoli con l’alfabeto hanno sottomesso quelli senza; e í popoli che oltre all’alfabeto avevano anche ”il libro” (la Bibbia, il Vangelo, il Corano, Il Capitale, il Ko Gi Ki…) hanno quasi sempre dominato quelli con alfabeto ma senza libro. Se questo va preso alla… lettera, la regione italiana che chiunque avrebbe potuto legittimamente invadere era la Sardegna, dove l’analfabetismo era il più alto nell’Italia di allora: 89,7 per cento (91,2 secondo altre fonti); quasi inalterato dal giorno della Grande Fusione con gli stati sabaudi: 93,7. Ma la Sardegna era governata da Torino, non da Napoli. Le cose migliorarono un po’, 40 anni dopo l’Unità, a prezzi pesanti, perché si voleva alfabetizzare, ma a spese dei Comuni. Come dire: noi vi diamo l’istruzione obbligatoria, però ve la pagate da soli (più o meno come adesso…). Ci furono Comuni che dovettero rinunciare a tutto, strade, assistenza, per investire solo nella nascita della scuola elementare: sino all’87 per cento del bilancio, come a Ossi (un secolo dopo l’Unità, il Diario di una maestrina, citato in Sardegna , dell’Einaudi, riferisce di «un evento inimmaginabile »: la prima doccia delle scolare, grazie al dono di dieci saponette da parte della Croce Rossa svizzera). Mentre dal Mezzogiorno non emigrava nessuno, prima dell’Unità; ed era tanto primitivo il Sud, che partoriva ed esportava in tutto il mondo facoltà universitarie tuttora studiatissime: dalla moderna storiografia all’economia politica, e vulcanologia, sismologia, archeologia… Produzione sorprendente per una popolazione quasi totalmente analfabeta, no? Che strano. Solo alcune osservazioni su quel discutibile censimento del 1861 che avrebbe certificato al Sud indici così alti di analfabetismo: «Nessuno ha mai analizzato la parzialità (i dati sono quelli relativi solo ad alcune regioni) e la reale attendibilità di quel censimento realizzato in pieno caos amministrativo, nel passaggio da un regno all’altro e in piena guerra civile appena scoppiata in tutto il Sud: poco credibile, nel complesso, l’idea che qualche impiegato potesse andare in  giro per tutto il Sud bussando alle porte per chiedere se gli abitanti sapevano leggere e scrivere» rileva il professor Gennaro De Crescenzo in Il Sud: dalla Borbonia Felix al carcere di Penestrelle. Come facevano a spuntare oltre 10.000 studenti universitari contro i poco più di 5.000 del resto d’Italia, da un tale oceano di ignoranza? Né si può dire che fossero tutti benestanti, dal momento che nel Regno delle Due Sicílie i meritevoli non abbienti potevano studiare grazie a sussidi che furono immediatamente aboliti dai piemontesi, al loro arrivo. Sull’argomento potrebbero gettare più veritiera luce nuove ricerche: «Documenti al centro di studi ancora in corso presso gli archivi locali del Sud dimostrano che nelle Due Sicilie c’erano almeno una scuola pubblica maschile e una scuola pubblica femminile per ogni Comune oltre a una quantità enorme di scuole private» si legge ancora nel libro di De Crescenzo, che ha studiato storia risorgimentale con Alfonso Scirocco ed è specializzato in archivistica. «Oltre 5.000, infatti, le ”scuole” su un totale di 1.845 Comuni e con picchi spesso elevati e significativi: 51 i Comuni in Terra di Bari, 351 le scuole nel complesso; 174 i Comuni di Terra di lavoro, 664 le scuole; 113 i Comuni di Principato Ultra, 325 le scuole; 102 i Comuni di Calabria Citra, 250 le scuole…». Si vuol discutere della qualità di queste scuole? Certo, di queste e di quella di tutte le altre; ma «come si conciliano questi dati con quei dati così alti dell’analfabetismo? ». E mentiva il conte e ufficiale piemontese Alessandro Bianco di Saint-Jorioz, che scese a Sud pieno di pregiudizi, e non li nascondeva, e poi scrisse quel che vi aveva trovato davvero e lo scempio che ne fu fatto (guadagnandosi l’ostracismo sabaudo): per esempio, che «la pubblica istruzione era sino al 1859 gratuita; cattedre letterarie e scientifiche in tutte le città principali di ogni provincia»? Di sicuro, appena giunti a Napoli, i Savoia chiusero decine di istituti superiori, riferisce Carlo Alianello in La conquista del Sud. E le leggi del nuovo stato unitario, dal 1876, per combattere l’analfabetismo e finanziare scuole, furono concepite in modo da favorire il Nord ed escludere o quasi il Sud. I soliti trucchetti: per esempio, si privilegiavano i Comuni con meno di mille abitanti. Un aiuto ai più poveri, no? No. A quest’imbroglio si è ricorsi anche ai nostri tempi, per le norme sul federalismo fiscale regionale. Basti un dato: i Comuni con meno di 500 abitanti sono 600 in Piemonte e 6 in Puglia. Capito mi hai? «Mi ero sempre chiesto come mai il mio trisavolo fosse laureato,» racconta Raffaele Vescera, fertile scrittore di Foggia «il mio bisnonno diplomato e mio nonno, nato dopo l’Unità, analfabeta». Nessun Sud, invece, nel 1860, era più Sud dell’isola governata da Torino; e rimase tale molto a lungo. Nel Regno delle Due Sicilie la ”liberazione” (così la racconta, da un secolo e mezzo, una storia ufficiale sempre più in difficoltà) portò all’impoverimento dello stato preunitario che, secondo studi recenti dell’Università di Bruxelles (in linea con quelli di Banca d’Italia, Consiglio nazionale delle ricerche e Banca mondiale), era ”la Germania” del tempo, dal punto di vista economico. La conquista del Sud salvò il Piemonte dalla bancarotta: lo scrisse il braccio destro di Cavour. Ma la cosa è stata ed è presentata (con crescente imbarazzo, ormai) come una modernizzazione necessaria, fraterna, pur se a mano armata. Insomma, ho dovuto farti un po’ di male, ma per il tuo bene, non sei contento? Per questo serve un continuo confronto fra i dati ”belli” del Nord e quelli ”brutti” del Sud. Senza farsi scrupolo di ricorrere a dei mezzucci per abbellire gli uni e imbruttire gli altri. E la Sardegna, a questo punto, diventa un problema: rovina la media. Così, quando si fa il paragone fra le percentuali di analfabeti del Regno di Sardegna e quelle del Regno delle Due Sicilie, si prende solo il dato del Piemonte e lo si oppone a quello del Sud: 54,2 a 87,1. In tabella, poi, leggi, ma a parte: Sardegna, 89,7 per cento. E perché quell’89,7 non viene sommato al 54,2 del Piemonte, il che porterebbe la percentuale del Regno sardo al 59,3? (Dati dell’Istituto di Statistica, Istat, citati in 150 anni di statistiche italiane: Nord e Sud 1861-2011, della SVIMEZ, Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno). E si badi che mentre il dato sulla Sardegna è sicuramente vero (non avendo interesse il Piemonte a peggiorarlo), non altrettanto si può dire di quello dell’ex Regno delle Due Sicilie, non solo per le difficoltà che una guerra in corso poneva, ma perché tutto quel che ci è stato detto di quell’invasione è falsificato: i Mille? Sì, con l’aggiunta di decine di migliaia di soldati piemontesi ufficialmente ”disertori”, rientrati nei propri schieramenti a missione compiuta. I plebisciti per l’annessione? Una pagliacciata che già gli osservatori stranieri del tempo denunciarono come tale. La partecipazione armata dell’entusiasta popolo meridionale? E allora che ci faceva con garibaldini e piemontesi la legione straniera 11 domenica 4 gennaio 2015 ungherese? E chi la pagava? Devo a un valente archivista, Lorenzo Terzi, la cortesia di poter anticipare una sua recentissima scoperta sul censimento del 1861, circa gli analfabeti: i documenti originali sono spariti. Ne ha avuto conferma ufficiale. Che fine hanno fatto? E quindi, di cosa parliamo? Di citazioni parziali, replicate. Se è stato fatto con la stessa onestà dei plebisciti e della storia risorgimentale così come ce l’hanno spacciata, be’…Nei dibattiti sul tema, chi usa tali dati come prova dell’arretratezza del Sud, dinanzi alla contestazione sull’attendibilità di quelle percentuali, cita gli altri, meno discutibili, del censimento del 1871, quando non c’era più la guerra, eccetera. Già e manco gli originali del censimento del ’71 ci sono più. Spariti pure quelli! Incredibile come riesca a essere selettiva la distrazione! E a questo punto è legittimo chiedersi: perché il meglio e il peggio del Regno dí Sardegna vengono separati e non si offre una media unica, come per gli altri stati preunitari? Con i numeri, tutto sembra così obiettivo: sono numeri, non opinioni. Eppure, a guardarli meglio, svelano non solo opinioni, ma pregiudizi e persino razzismo. Di fatto, accadono due cose, nel modo di presentarli: 1) i dati ”belli” del Nord restano del Nord; quelli ”brutti”, se del Nord, diventano del Sud. Il Regno sardo era Piemonte, Liguria, Val d’Aosta e Sardegna. Ma la Sardegna nelle statistiche viene staccata, messa a parte. Giorgio Bocca, «razzista e antimeridionale », parole sue, a riprova dell’arretratezza del Sud, citava il 90 per cento di analfabeti dell’isola, paragonandolo al 54 del Piemonte. Ma nemmeno essere di Cuneo e antimerìdionale autorizza a spostare pezzi di storia e di geografia: la Sardegna era Regno sabaudo, i responsabili del suo disastro culturale stavano a Torino, non a Napoli;

2) l’esclusione mostra, ce ne fosse ancora bisogno, che i Savoia non considerarono mai l’isola alla pari con il resto del loro paese, ma una colonia da cui attingere e a cui non dare; una terra altra («Gli stati» riassume il professor Pasquale Amato, in Il Risorgimento oltre i miti e i revisionismi «erano proprietà delle famiglie regnanti e potevano essere venduti, scambiati, regalati secondo valutazioni autonome di proprietari». Come fecero i Savoia con la Sicilia, la stessa Savoia, Nizza… Il principio fu riconfermato con la Restaurazione dell’Ancièn Regime, nel 1815, in Europa, per volontà del cancelliere austriaco Klemens von Metternich). E appena fu possibile, con l’Unità, la Sardegna venne allontanata quale corpo estraneo, come non avesse mai fatto parte del Regno sabaudo. Lo dico in altro modo: quando un’azienda è da chiudere, ma si vuol cercare di salvare il salvabile (con Alitalia, per dire, l’han fatto due volte), la si divide in due società; in una, la ”Bad Company”, si mettono tutti i debiti, il personale in esubero, le macchine rotte… Nell’altra, tutto il buono, che può ancora fruttare o rendere appetibile l’impresa a nuovi investitori: la si chiama ”New Company”.

L’Italia è stata fatta così: al Sud invaso e saccheggiato hanno sottratto fabbriche, oro, banche, poi gli hanno aggiunto la Sardegna, già ”meridionalizzata”. Nelle statistiche ufficiali, sin dal 1861, i dati della Sardegna li trovate disgiunti da quelli del Piemonte e accorpati a quelli della Sicilia, alla voce ”isole”, o sommati a quelli delle regioni del Sud, alla voce ”Mezzogiorno” (la Bad Company; mentre la New Company la trovate alla voce ”Centro-Nord”). Poi si chiama qualcuno a spiegare che la Bad Company è ”rimasta indietro”, per colpa sua (e di chi se no?). Ripeto: la psicologia spiega che la colpa non può essere distrutta, solo spostata. Quindi, il percorso segue leggi di potenza: dal più forte al più debole; dall’oppressore alla vittima. Chi ha generato il male lo allontana da sé e lo identifica con chi lo ha subito; rimproverandogli di esistere. È quel che si è fatto pure con la Germania Est e si vuol fare con il Mediterraneo.

BANCOPOLI.

SPROFONDO ROSSO – ALLA BANCA DELLE MARCHE (528 MILIONI DI ROSSO) CONCEDEVANO MAXI FINANZIAMENTI AGLI AMICI DEGLI AMICI IN 5 MINUTI – UN ALTRO SCANDALO BANCARIO IN UNA REGIONE ROSSA DOPO MPS, POP SPOLETO, ETRURIA E CASSA DI FERRARA. Gli avvocati della Banca delle Marche, che stanno agendo contro gli ex vertici, contestano un «quadro impressionante di anomalie e violazioni gestionali», particolarmente riferiti a 37 grandi finanziamenti plurimilionari che sarebbero stati concessi a costruttori e imprese marchigiani e non, senza una adeguata valutazione di merito o garanzie… scriveDescrizione: http://adv.ilsole24ore.it/RealMedia/ads/Creatives/default/empty.gif Camilla Conti per “il Giornale” l’8 luglio 2015. «Quello di Banca delle Marche costituisce il maggiore disastro bancario verificatosi in Italia dopo quelli risalenti al secolo scorso dei casi Sindona e Calvi». Lo scrivono gli avvocati dell'istituto nell'atto di citazione in giudizio per 282,5 milioni di euro di danni presentata al tribunale di Ancona contro gli ex amministratori (tra cui l'ex direttore generale Massimo Bianconi e gli ex presidenti Michele Ambrosini e Lauro Costa) e l'ex società di revisione Price Waterhouse Coopers. L'atto fa riferimento a «un gran numero di irregolarità, carenze e violazioni commesse da amministratori, sindaci e funzionari che si sono succeduti dal 2006 nella gestione di Banca Marche», e a un «quadro impressionante di anomalie e violazioni gestionali», particolarmente riferiti a 37 grandi finanziamenti plurimilionari che sarebbero stati concessi a costruttori e imprese marchigiani e non, senza una adeguata valutazione di merito o garanzie. Al netto dell'enfasi forense che rimanda al crac dell'Ambrosiano, ci sono 83 delibere di finanziamento approvate dal cda a luglio del 2008 «in meno di cinque minuti» mentre il Comitato esecutivo di minuti ne ha impiegati venti nel 2009 per dare l'ok ad altri 78 finanziamenti a clienti importanti nonostante i conti dell'istituto continuassero ad accumulare perdite (l'ultimo dato ufficiale parla di un rosso di 528 milioni). Tanto che ancora oggi la banca viene tenuta in piedi con flebo e terapie intensive, mancano all'appello gli investitori per la ricapitalizzazione (salita nel frattempo a circa un miliardo) e a ottobre scadono i due anni di commissariamento. Ma il caso di Banca Marche non è isolato. Anzi, guardando la geografia del credito, il centro Italia sembra essere stato colpito da un virus contagioso negli ultimi anni. Dal Monte dei Paschi alla Popolare di Spoleto e a quella dell'Etruria, passando per la Tercas di Teramo (che con i cugini marchigiani ha intrecciato destini e affari) e allungandosi fino alla Cassa di Risparmio di Ferrara: tutti questi istituti si sono ritrovati ostaggio degli errori di un passato fatto di intrecci immobiliari, crediti offerti con disinvoltura agli amici degli amici e di interferenze da parte dei potentati di campanile anche attraverso le Fondazioni di riferimento. Altro denominatore comune: il radicamento in regioni considerate storicamente feudi della sinistra. Del Pci poi diventato Ds e infine Pd. Il filo rosso che le unisce è quel legame patologico tra il credito e la politica locale spesso accomodata nelle Fondazioni, che ne ha minato le fondamenta passando da un'invadenza eccessiva all'incapacità di mettere un freno agli appetiti di potere. A Siena, dove i rapporti incestuosi fra politica e finanza sono emersi con l'inchiesta Antonveneta, il Monte è reduce dall'ultimo aumento di capitale da 3 miliardi - il quarto in sei anni dopo i 7 miliardi raccolti tra il 2011 e il 2014 - in attesa di un principe azzurro che la risvegli dal coma in cui è sprofondata. Sulla Cassa di Risparmio di Ferrara ha aperto un'inchiesta la Procura che vuol passare al setaccio l'aumento di capitale da 150 milioni del 2011 e le presunte infedeltà dei vertici prima del commissariamento deciso da Bankitalia nel 2013, dunque prima che il management venisse azzerato. Tra le altre ipotesi quella di una sorta di accordo tra banca e imprenditori sull'aumento di capitale: con Carife che apriva linee di credito a imprenditori che poi investivano nella Cassa, facendo rientrare le stesse somme, acquistando le azioni dell'aumento. Quanto all'Etruria, dove era vicepresidente Pier Luigi Boschi ovvero il padre del ministro Maria Elena, a gennaio è finita sotto i riflettori di Consob per i movimenti anomali del titolo in Borsa a cavallo dell'approvazione della riforma sulle Popolari voluta da Renzi. E qualche mese prima che il Tesoro ne disponesse il commissariamento, si è vista presentare da Bankitalia un conto da 2,5 milioni in multe alla passata gestione.

Banca Marche, il sindaco revisore che faceva mutui a gettone: 5% a prestito. Franco D'Angelo è indagato dalla procura di Ancona nell'ambito dell'inchiesta sul crac dell'istituto, che rischia però di andare in prescrizione. E Bankitalia non si è mossa quando la Consob ha autorizzato l'aumento di capitale del 2012, nonostante avesse rilevato uno "scadimento della qualità del portafoglio” e chiesto di sostituire l'allora direttore generale, scrive Giorgio Meletti il 17 ottobre 2015 su "Il Fatto Quotidiano". Dietro la sistematica distruzione del sistema bancario italiano ci sono storie a cui la fantasia di un romanziere non arriverebbe. Ecco un esempio. Un paio d’anni fa – mentre esplode il crac di Banca Marche – un agricoltore di Urbino, Andrea Busetto Vicari, va a pranzo in un agriturismo della zona e raccoglie lo sfogo del titolare. Commentando lo stato penoso della banca, messa sul lastrico dalla gestione di Massimo Bianconi (direttore generale dal 2004 al 2012), l’uomo racconta che per ottenere un prestito di 300mila euro ha dovuto dare il 5 per cento a un misterioso intermediario. Il giorno dopo Busetto Vicari racconta tutto alla Finanza di Pesaro. LeFiamme Gialle convocano il ristoratore, Amato Falconi, che conferma. “È arrivato un signore in Porsche, che sapeva delle mie difficoltà a ottenere il mutuo, e mi ha fatto la sua proposta. Dopo un paio di mesi mi chiamano dalla filiale di Casinina di Banca Marche e mi dicono che il mio mutuo è stato sbloccato. Il 30 gennaio 2007 ho ricevuto i 300mila euro e una telefonata del signore della Porsche. Il giorno dopo ho prelevato 15mila euro in contanti, li ho messi in una busta e glieli ho consegnati”. Falconi riferisce che anche sua sorella aveva ricevuto lo stesso trattamento per un mutuo di 500mila euro e anche un suo collega per un milione. Tre mutui, 90mila euro in nero per l’efficiente mediatore in Porsche. Falconi, non frequentando l’alta società pesarese, non ha capito che il signor 5 per cento con Porsche era Franco D’Angelo, uno dei più importanti commercialisti di Pesaro ma soprattutto sindaco revisore della Banca Marche. Gli ispettori di Bankitalia – che da due anni spulciano le carte della banca per capire come sia stato possibile affossarla in pochi anni accumulando 4,7 miliardi di crediti deteriorati su un totale di 18 miliardi – hanno scoperto che il metodo era sistematico. Sono state rilevate centinaia di coincidenze tra erogazione del prestito e prelievo in contanti di un cifra attorno al 5 per cento. Luca Terrinoni, ispettore della Banca d’Italia che collabora con le procure di Ancona e Roma per le indagini, attraverso l’agguerrito sito Cronache Maceratesi, lancia un appello del tipo “chi sa parli”: “Dietro queste vicende si celano drammi personali e familiari e chi collabora con la giustizia non deve aver paura. Invito la società a denunciare”. Nelle Marche domina l’indifferenza. La storia è stata raccontata sul Resto del Carlino da Roberto Damiani. Nessuno si è scandalizzato né sorpreso. D’Angelo è indagato ma non intimorito: “Sono fatti destinati a prescriversi, non mi sembra che questa inchiesta abbia un grande sprint”, taglia corto il suo legale Francesco Coli, “a livello di indagini non è stato fatto quasi niente”. L’ottimismo dell’avvocato di D’Angelo non sorprende. L’inchiesta su Banca Marche, che pure vede 37 indagati capitanati da Bianconi, per reati che vanno dall’associazione a delinquere all’appropriazione indebita, dal falso in bilancio alla corruzione tra privati, ha avuto un percorso difficile. Il procuratore capo di Ancona, Elisabetta Melotti, in questi due anni ha dovuto combattere soprattutto contro i ricorsi avversi alla sua nomina del collega Alberto Cisterna, che si ritiene più meritevole del posto. Dal 9 aprile scorso, dopo sospensioni e riammissioni, Melotti è stata fatta fuori, e la procura di Ancona – vittima di una guerra insensata tra Csm eTar del Lazio – da allora non ha capo. Intanto D’Angelo continua a svolgere le sue funzioni da eterno notabile: tesoriere del Rotary Club, revisore dei conti nei maggiori gruppi industriali della zona, come Scavolini e Berloni, ma anche nella municipalizzata Pesaro Parcheggi e, soprattutto, nel gioiello della buona società pesarese, il Rossini Opera Festival, di cui è presidente il giovane sindaco Matteo Ricci, vicepresidente nazionale del Pd nonché indefesso frequentatore di talk show dove – con l’entusiasmo del bersaniano pentito – predica il verbo renziano. I commissari che da due anni le fanno la respirazione bocca a bocca hanno detto che “quello di Banca Marche è il maggiore disastro bancario italiano dopo quelli di Roberto Calvi e Michele Sindona”. I sindacati hanno protestato giudicando “offensivo” l’accostamento ed è stata l’unica reazione registrata. Eppure il Fondo interbancario di garanzia sui depositi (cioè le altre banche italiane) dovrà a breve ricapitalizzare Banca Marche con almeno 1,2 miliardi di euro per evitare la bancarotta. Nel frattempo gli stessi commissari hanno chiesto danni per 185 milioni alla Price Waterhouse Coopers per aver certificato i bilanci dal 2008 al 2012 senza accorgersi di niente, e 31 milioni ai vari amministratori dell’era Bianconi. Bankitalia ha inflittosanzioni per oltre 4 milioni di euro ai vertici di Banca Marche (tra i quali Bianconi per 387mila euro e D’Angelo per 129mila euro). LaConsob ha multato gli stessi per 420mila euro (60mila la parte di Bianconi, 20mila per D’Angelo). E qui c’è la comica finale. Consob multa gli amministratori di Banca Marche per non aver dato notizia – nel prospetto informativo per l’aumento di capitale da 180 milioni lanciato a inizio 2012 – della lettera che avevano appena ricevuto dalla Banca d’Italia, nella quale il governatore Ignazio Visco aveva espressamente parlato di “scadimento della qualità del portafoglio” e di “rilevante esposizione ai rischi creditizi e finanziari”, esortando il consiglio d’amministrazione a sostituire Bianconi. Quindi è andata così: Banca Marche chiede 180 milioni al mercato nascondendo la diagnosi infausta di Bankitalia, la Consob (a cui Bankitalia tiene nascoste le sue lettere) autorizza l’aumento di capitale, Bankitalia non fiata (la vigilanza forse non legge i Prospetti), e gli azionisti di Banca Marche buttano via 180 milioni senza che nessuno li fermi. Però dopo tre anni (a cose fatte, anzi sfatte) Consob e Bankitalia multano gli amministratori e la magistratura li indaga per “ostacolo alla vigilanza”. Se questa storia non è un’eccezione (e sappiamo che non lo è) per il futuro del sistema bancario c’è da avere paura. Da il Fatto Quotidiano di mercoledì 14 ottobre 2015

La nostra fedele Banca. Nelle Marche sta scoppiando un altro caso come quello del Monte Paschi, scrive Giorgio Meletti su Il Fatto Quotidiano del 23/07/2013. Uno degli imprenditori presenti parla di scena surreale: “Ci voleva Kafka”. È accaduto giovedì scorso. Il Governatore delle Marche, Gian Mario Spacca, ha convocato un centinaio di imprenditori, i più importanti della regione, e ha chiesto loro di mettersi una mano sul cuore e una sul portafoglio e di tassarsi per salvare la Banca delle Marche. Accanto a Spacca c’era il presidente dell’istituto di credito, Rainer Masera, nominato appena il 9 luglio scorso su indicazione (sussurrata) della Banca d’Italia. Masera, una prestigiosa carriera alle spalle, da Bankitalia all’Imi, ministro del Bilancio nel governo Dini (1995), ha fatto coro con Spacca inneggiando alla “marchigianità” della banca. Ma tutti hanno riconosciuto che i conti sono “un disastro”. L’ennesima storia di banche scassate e di politici locali che non vogliono perdere la presa. Solo che stavolta la Banca delle Marche è veramente scassatissima. Gli ispettori della Banca d’Italia, che dall’anno scorso stanno aprendo tutti i cassetti nella sede centrale di Jesi (in provincia di Ancona), non si decidono a chiudere la loro ispezione. Qualcuno paventa lo la spettro del commissariamento a breve. I numeri non perdonano. A fine giugno la banca ha emesso un “prestito obbligazionario subordinato Upper Tier II”, cioè un prestito a tasso di rischio così elevato che la cedola promessa è del 12,5 per cento. Si tratta di 80 milioni, che vanno trovati entro il 31 luglio per rientrare nei coefficienti patrimoniali minimi fissati dalla vigilanza bancaria. Finora 20 milioni li hanno versati le Fondazioni di Jesi e di Pesaro, che insieme a quella di Macerata controllano il 55 per cento della banca. Fondazioni squattrinatissime, modello Siena, con in più la Macerata in rotta con le altre due, che le hanno respinto la proposta di un’azione di responsabilità contro gli amministratori che hanno ridotto la banca in condizioni pietose. Mancano all’appello 60 milioni, ed è questione di vita o di morte. Se gli imprenditori locali non si tassano Bankitalia prenderà in mano la situazione e Banca delle Marche sarà verosimilmente salvata da qualche gruppo del credito maggiore. Il bilancio 2012 di Banca delle Marche, chiuso con 526 milioni di perdita, illustra perfettamente come si può ridurre una banca quando viene gestita dalle oligarchie politico-economiche del mai troppo lodato territorio. L’anno si è chiuso con 13,9 miliardi di finanziamenti in bonis, cioè senza problemi apparenti, e 4,7 miliardi di crediti deteriorati, come si dice in gergo. Di questi, 1,3 miliardi sono stati semplicemente cancellati, cioè dati per persi, e sono rimasti 3,4 i miliardi di crediti deteriorati (cioè di difficile recupero), pari al 19,7 per cento degli impieghi. Per farsi un’idea si consideri che il sistema bancario italiano nel suo complesso, che se la passa sempre peggio come potete leggere nell’articolo a pagina 3, ha i crediti deteriorati attorno al 7 per cento degli impieghi. La Banca delle Marche si è distinta perché dopo il 2008, mentre gli altri istituti italiani chiudevano i rubinetti alle società immobiliari, ha deliberatamente ignorato la crisi del mattone innescata negli Stati Uniti, e ha continuato a largheggiare in crediti al settore. Un’inchiesta del settimanale L’Espresso rivelò nel 2011 che “lo scrigno dei soldi facili della Cricca era stato individuato dai magistrati di Firenze e e Perugia nella Banca delle Marche. Balducci, Anemone e la loro corte di amici, soci e familiari godevano di percorsi facilitati per muovere denaro”. La Banca d’Italia scrive da anni lettere di fuoco ai vertici dell’istituto di Jesi, che hanno reagito con girandole di nomine e dimissioni, fino all’arrivo di Masera. In una di queste, rilevando una girandola di assegni per 160 mila euro versati su un conto dell’allora direttore generale Massimo Bianconi, la vigilanza tuonava: “Tali operazioni evidenziano profili di opacità che non appaiono coerenti con la deontologia professionale che deve connotare l’operato del-l’alta dirigenza di una banca”. Bianconi ha lasciato la Banca un anno fa, con lauta buonuscita, dopo che Bankitalia aveva allungato lo sguardo su una’altra “opaca” operazione immobiliare fatta da Anna Rita Mattia, moglie di Bianconi, con l’immobiliarista Vittorio Casale, poi in dissesto con il suo gruppo Operae e arrestato. Negli anni della direzione generale di Bianconi, dal 2004, la Banca delle Marche aveva abbondantemente finanziato Casale. Ma altri sono i gruppi immobiliari che hanno beneficiato di crediti che oggi mettono nei guai la banca. Tra questi il noto gruppo che fa capo alla famiglia Lanari. Dopo l’uscita di Bianconi è esploso il caso del direttore generale organizzazione, Corrado Faletti, indagato dalla procura di Bergamo per falso e truffa al locale ateneo, nel quale si era candidato per una docenza di economia – dopo aver già insegnato nell’Università marchigiana di Camerino – vantando nel curriculum due lauree, una in biologia e una in fisica dei calcolatori, inesistenti. Mentre si frantumavano i conti e la reputazione della Banca delle Marche, la politica locale ovviamente non si è accorta di niente, restando intenta come al solito a spartirsi le poltrone nelle Fondazioni e nell’istituto di credito. Seguendo alla perfezione il modello Siena, anche le tre Fondazioni che controllano l’istituto marchigiano non hanno più risorse per salvarlo, ma vogliono ad ogni costo mantenerne il controllo in nome e per conto della politica e delle trasversali alleanze massoniche che guardano a Masera come al possibile salvatore. L’ultima speranza è una cordata di imprenditori vogliosi di investire nella banca: la sta organizzando un avvocato di Recanati Paolo Tanoni, e sembrano interessati Francesco Merloni (crisi Indesit) e Adolfo Guzzini (quello delle lampade). Vedremo a giorni se partono i bonifici da 60 milioni. Solo per cominciare.

Procura, ex vertici Banca Marche un gruppo criminale, scrive “L’Ansa”. “C'era un ''gruppo organizzato” che agiva come un'associazione per delinquere ai vertici di Banca Marche, precipitata fra il 2007 e il 2012 nel baratro di un miliardo di perdite, fino al commissariamento di Bankitalia scattato nell'ottobre scorso. E' la pesantissima ipotesi d'accusa che dopo 9 mesi di indagini la procura di Ancona ha trasformato in incolpazione preliminare a carico di 12 delle 27 persone raggiunte ieri da un Decreto di perquisizione e sequestro notificato dalla Guardia di finanza. Il reato associativo (art. 416 del Codice penale) viene prospettato per 12 fra ex presidenti e amministratori di BM e della controllata Medioleasing spa, che si sarebbero resi responsabili di ''appropriazioni indebite aggravate in danno di BM e Medioleasing; corruzione tra privati; falsi in bilancio e comunicazioni sociali ed ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza''. Crediti, mutui e fidejussioni 'facili' per centinaia di milioni concessi a gruppi imprenditoriali, per lo più del settore costruzioni, ''con la consapevolezza che i crediti non sarebbero stati, in parte o interamente, riscossi alle scadenze''. Centinaia di milioni di perdite ''occultate'' nei bilanci per conseguire un ''ingiusto profitto'' sia attraverso bonus ''correlati ai falsi risultati positivi esposti, sia per i clienti medesimi dell'istituto di credito, ai quali veniva garantito ulteriore credito''. A vario titolo, per i reati più gravi sono indagati gli ex presidenti di BM Lauro Costa e Michele Ambrosini, l'ex vice presidente Tonino Perini, l'ex direttore generale Massimo Bianconi, il suo vice Stefano Vallesi, gli ex direttori generali di BM Leonardo Cavicchia, Pier Franco Giorgi, Claudio Dell'Aquila. E ancora, l'ex direttore generale di Medioleasing Giuseppe Barchiesi, l'allora vice direttore generale Fabio Baldarelli, l'ex capo dei servizi commerciali Daniele Cuicchi, l'ex vice direttore Giorgio Giovannini. Per la procura, i ''promotori e organizzatori'' del disegno criminoso sarebbero stati Bianconi, Barchiesi e Vallesi. Con gli altri indagati nel ruolo di ''partecipanti'', si sarebbero associati fra loro e con altre persone nell'erogazione di finanziamenti alla clientela ''in alcuni casi anche a fronte di utilità per gli associati, caratterizzati da svariate irregolarità procedurali'', ostacolando fra l'altro l'attività dell'Organo di vigilanza. Ambrosini, Vallesi, Cuicchi fanno sapere, direttamente o attraverso i loro difensori, di essere sicuri di poter provare la propria estraneità ai fatti. Sereno è apparso a chi l'ha visto anche l'ex potente Dg di Banca Marche Bianconi, che a Roma ha assistito alle perquisizioni dei suoi uffici e dell'abitazione. Stando al pool di magistrati coordinato dal procuratore capo Elisabetta Melotti, un ''medesimo disegno criminoso'' avrebbe unito Ambrosini, Costa, Perini, Bianconi, Vallesi, l'ex capo area concessione crediti Massimo Battistelli, gli ex vice Dg Leonardo Cavicchia, Claudio Dell'Aquila, Pier Franco Giorgi e l'ex capo del servizio concessione crediti Giuseppe Paci e gli imprenditori Vittorio Casale e Pietro Lanari nel porre in essere ''un'indebita disposizione di denaro della Banca per procurare un ingiusto profitto a favore dei gruppi finanziati, per importi complessivi di varie centinaia di milioni di euro''. Le irregolarità riguarderebbero i crediti concessi al Gruppo Lanari, al Gruppo Casale e ''ulteriori altri sui quali sono in corso gli accertamenti (tra cui il Gruppo De Gennaro, il Gruppo Ciccolella, il Gruppo Celius, il Gruppo Foresi e plurimi altri)''. Una girandola di affidamenti che fra il 2007 e il 2012 avrebbe cagionato a BM ''un danno patrimoniale di rilevante gravità''.

Gli indagati sono 27. Tra loro spiccano i nomi degli ex presidenti di Banca Marche Lauro Costa e Michele Ambrosini, e del vicepresidente Antonio Perini. Coinvolto anche l'ex manager apicale Massimo Bianconi, direttore generale dal 2004 al 2012, e i suoi 4 vice, oltre a funzionari delle aree crediti e commerciale, scrive Stefano Elli per il "Sole 24 Ore", Nuove perquisizioni a tappeto sono state condotte ieri dal nucleo anconetano di polizia tributaria nelle sedi della Banca delle Marche, della controllata Medioleasing e nei confronti di persone fisiche e giuridiche vicine ai trascorsi vertici dell'istituto, a Roma, Fano, Pesaro e persino a Sassari. La Guardia di Finanza aveva già visitato nei mesi scorsi la sede di Jesi della banca e dunque, quella della procura di Ancona guidata da Elisabetta Melotti, potrebbe essere una decisione volta ad accertare nuove ipotesi di reato a carico di ex amministratori, ex manager, funzionari e imprenditori beneficiati da prodighe erogazioni da parte della banca marchigiana e dalla sua attivissima branch del leasing. Gli indagati sono 27. Tra loro spiccano i nomi degli ex presidenti di Banca Marche Lauro Costa e Michele Ambrosini, del vicepresidente Antonio Perini (i tre si sono avvicendati anche in Medioleasing). Coinvolto anche l'ex manager apicale Massimo Bianconi, direttore generale dal 2004 al 2012, e i suoi quattro vice, oltre a funzionari dell'area crediti e di quella commerciale. Tra le ipotesi di reato figurerebbe l'associazione a delinquere (contestata solo a 12 indagati) finalizzata al falso in bilancio e all'appropriazione indebita, ma non si esclude che tra i reati possa essere contestato anche l'ostacolo alle funzioni di vigilanza. Tra i nomi dell'imprenditoria che sarebbero coinvolti a vario titolo nelle perquisizioni spicca quello di Vittorio Casale, affidato dalla banca per un'operazione immobiliare condotta nei pressi di Capo Caccia, non distante da Alghero (ecco perché le perquisizioni a Sassari), e di Pietro Lanari, un altro immobiliarista affidato dal vecchio management della banca per 240 milioni di euro e controparte dell'attuale gestione (commissariale) in un contenzioso legale. Tra gli indagati anche consulenti esterni: Giuseppe Lucarini e Christian Renzetti, periti immobiliari che da tempo lavoravano per conto della banca valutandone i cespiti. Da almeno due anni la banca di Jesi versa in condizioni di equilibrio patrimoniale precario: la semestrale del 2012 esponeva un attivo di una quarantina di milioni ma il bilancio chiudeva con un rosso di 518 milioni con rettifiche di valore su crediti per oltre 800 milioni. Una situazione che mese dopo mese è degenerata sino a indurre Banca d'Italia a chiedere a fine agosto 2013 al ministero dell'Economia il commissariamento con la nomina di Giuseppe Feliziani e Federico Terrinoni. Provvedimento che viene bissato nel febbraio dell'anno successivo con la sottoposizione ad amministrazione straordinaria anche di Medioleasing, soffocata da una marea crescente di crediti inesigibili, incagli e procedure concorsuali di clienti finanziati in scioltezza sino a pochi mesi prima.

Scrivono Sandra Amurri e Giorgio Meletti su “Il Fatto Quotidiano” del 13 novembre 2013. Massimo Bianconi, direttore generale di Banca Marche dal 2004 al 2012, “figli di” ne ha assunti parecchi. F. C. è figlio di A., generale dei Carabinieri e poi vicepresidente della Protezione civile regionale; Francesca Luzi è figlia di Vincenzo, procuratore capo di Ancona prima e di Camerino poi; Marco D’Aprile è figlio di Mario Vincenzo D’Aprile, presidente del Tribunale di Ancona; Serena Orrei è figlia di Paolo, ex prefetto di Ancona; Luca Di Matteo è figlio di Antonio, ex direttore della Cassa di Risparmio di Teramo (Tercas) oggi commissariata. Dettagli, nella storia di una banca messa in ginocchio dai crediti facili alle aziende amiche (mentre chiudeva i rubinetti alle piccole imprese). Servono però alla trepidazione con cui le Marche che contano, dal presidente della Regione Gian Mario Spacca al decano degli imprenditori Francesco Merloni, si sono occupate della banca oggi commissariata.

RAINER MASERA è stato a suo modo vittima di tanta sollecitudine. Il banchiere di lungo corso è stato chiamato lo scorso aprile a Jesi come salvatore della patria. Il presidente Lauro Costa e il vicepresidente Michele Ambrosini si erano appena dimessi. I grandi azionisti, le fondazioni bancarie di Pesaro, Jesi e Macerata, vedevano che le perdite stavano ormai mangiando il capitale. Già a febbraio il presidente della fondazione di Macerata, Franco Gazzani, il primo a denunciare lo sconquasso, aveva scritto in una email riservata a un consigliere della banca: “Quello che ti posso dire, ma lo dico a te che sei persona intelligente, è che siamo a un passo dal commissariamento”. Le fondazioni di Pesaro e Jesi chiedono a Masera di assumere la presidenza della banca. L’ex numero uno dell’Imi ed ex ministro del Bilancio prende tempo. È a quel punto che Francesco Merloni, 87 anni, ex ministro dei Lavori pubblici, lo porta dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. Negli austeri saloni di palazzo Koch, Merloni parla di una cordata di imprenditori pronta a investire subito 200 milioni di euro. Si mormorano i nomi di Adolfo Guzzini, Gennaro Pieralisi, dello stesso Merloni e anche di Diego Della Valle. Masera si lascia convincere, ma ben presto scoprirà che le condizioni della banca sono peggiori di quanto pensava e che gli imprenditori marchigiani, nonostante l’appello accorato di Spacca, non cacciano un euro. A fine agosto, subìta l’onta del commissariamento, Masera si dimette, confidando agli amici tutta l’amarezza di chi si è sentito tradito. Nel frattempo ispettori della Banca d’Italia, ispettori interni mobilitati dal direttore generale Luciano Goffi, che dall’estate 2012 ha preso il posto di Bianconi, e magistrati di Ancona passano al setaccio le carte della banca. È Goffi a mandare i primi due esposti alla Procura della Repubblica di Ancona, il 28 febbraio e l’8 marzo 2013. Quando il direttore tira una linea emerge che i crediti “deteriorati” ammontano a 4,7 miliardi, un quarto dell’erogato totale della banca. Basta scorrere qualche storia esemplare per capire come si è potuti arrivare a tale scempio.

CIRO DI PIETRO, costruttore napoletano, viene arrestato a Perugia il 9 novembre 2012 assieme ad altre persone, con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata principalmente alla truffa ai danni di Banca Marche. Di Pietro avrebbe ottenuto crediti per 19,8 milioni di euro con l’aiuto di perizie addomesticate sugli immobili. Con lui viene arrestato il direttore della filiale di Perugia di Banca Marche, Carlo Mugnoz. Quattro giorni dopo Goffi cancella dall’albo interno dei periti estimatori l’ingegnere anconetano Giuseppe Lucarini, a cui è addebitata una perizia di favore su immobili della Cellulis, società di Di Pietro. Ma arrivano due colpi di scena. Mugnoz viene quasi subito rimesso in libertà dopo aver convinto il gip di Perugia della sua tesi difensiva: Di Pietro parlava direttamente con il direttore generale Bianconi. Intanto Lucarini scrive una accorata lettera a Goffi, in cui fa capire che i periti subivano pressioni dal vertice della Banca per aggiustare le valutazioni. Scrive Lucarini: “L’imprenditore di Cellulis è un bandito? E mica l’ho scelto io; Banca Marche sapeva già che era stato inserito nelle indagini per riciclaggio già prima di fare le indagini in questione”.

CANIO MAZZARO, imprenditore potentino di 54 anni, ha chiesto il primo finanziamento a Banca Marche il 26 agosto 2004: 2 milioni di euro per la Pierrel Farmaceutici, che allora controllava. La linea di credito è stata deliberata nel giro di 24 ore dal direttore generale Bianconi. Oggi il gruppo Mazzaro è esposto con l’istituto di Jesi per 19,4 milioni, di cui 18,8 già in sofferenza. Scrivono gli ispettori interni: “La motivazione delle richieste dell’appoggio di Banca Marche è stata quasi esclusivamente di natura finanziaria (aumenti di capitale e/o acquisizione di quote di maggioranza) ma in effetti le linee di credito sono state utilizzate per sopperire alla mancanza di liquidità delle società del gruppo”. Mazzaro, di fatto uscito dalla Pierrel, oggi controlla Bioera, società quotata nata dalle ceneri del gruppo Burani. Lui è amministratore delegato, la sua ex compagna e madre di suo figlio, Daniela Garnero Santanchè, è presidente. Ma fino all’anno scorso, Mazzaro era presidente e amministratore delegato era Luca Bianconi, figlio di Massimo. Scrivono gli ispettori della banca con qualche ironia: “Per quanto emerso dall’analisi delle singole proposte di fido e dalla documentazione acquisita, è plausibile che l’ex direttore generale Massimo Bianconi e l’ing. Canio Mazzaro si conoscessero”. Gli ispettori si sono occupati anche dell’immobiliare Bologna Uno, che fa capo all’imprenditore Stefano Mattioli. L’esposizione di 25 milioni circa presenta alcune criticità, tra le quali colpisce il fatto che azionista della società, con il 10 per cento, è l’Immobiliare Uffreducci, “riconducibile all’ingegner Fabio Tombari”. Tombari altri non è che il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Fano, azionista di Banca Marche.

PIETRO LANARI è uno dei maggiori costruttori marchigiani. La sua esposizione con Banca Marche è di 236 milioni e, secondo gli ispettori Bankitalia, è uno dei clienti messi peggio, insieme ai gruppi Casale, Ciccolella, Minardi-Polo Holding e Foresi, in quanto “i tentativi di ristrutturazione non hanno dato esiti positivi”. Ma il costruttore non ci sta. Sostiene di aver ottenuto il finanziamento per importanti operazioni immobiliari nella regione, in particolare nelle aree turistiche di Numana, Senigallia e Potenza Picena, ma che “poco dopo l’inizio dei lavori la dirigenza di Banca delle Marche è stata sostituita e la nuova ha ritenuto di revocare ogni linea di credito ritenendo che i valori degli immobili fossero prossimi allo zero”. Lanari va oltre e avverte: “Non intendo essere mescolato con sporchi giochi di potere, vicende e vendette personali”.

VITTORIO CASALE, indebitato oggi per circa 60 milioni con Banca Marche, racconta di aver conosciuto Bianconi attraverso il comune amico Leonardo Ceoldo. Un giorno, racconta l’immobiliarista, Bianconi lo invita nella sede di Banca Marche a Jesi, dove viene ricevuto dal presidente del collegio sindacale, Piero Valentini, e dal vicedirettore generale, Stefano Vallesi, che gli chiedono di salvare l’imprenditore calzaturiero marchigiano Giovanni Marocchi (esposto con la banca per 26 milioni) rilevando le sue quote nel resort Capo Caccia di Alghero. Bianconi chiede a Casale anche di nominare nel collegio sindacale una delle sue società Ludovico Valentini, figlio di Piero, il presidente del collegio sindacale di Banca Marche che gli aveva chiesto il “favore”. Poco dopo, nel 2011, Casale viene arrestato per la bancarotta della sua società Operae, e mentre è agli arresti fallisce anche Marocchi, cosicché l’esposizione dell’immobiliarista sale dai 20 milioni iniziali a 40, dopo aver assorbito quella di Marocchi. Appena uscito dal carcere viene nuovamente arrestato per la vicenda dell’albergo Capo Caccia, con l’accusa di essere il regista della bancarotta di Marocchi. “Bianconi, Valentini e Vallesi mi hanno fatto un bel pacco. Nessuno di loro si è più fatto sentire”, protesta oggi Casale, che si di ce pronto a dimostrare le sue accuse in tribunale, mentre l’esposizione di Banca Marche è lievitata a 60 milioni. Possibile che Bianconi abbia fatto tutto da solo? La storia di questo brillante banchiere che arriva a Jesi nel 2004 per dare slancio a una piccola banca regionale, è intessuta di amicizie importanti, in un ambiente politico-affaristico ad alto coefficiente massonico. Casale racconta di avergli chiesto chi lo avesse sponsorizzato, e di aver ottenuto in risposta un significativo elenco di grossi nomi del potere finanziario regionale e nazionale. Certo è che, mentre dà impulso agli affari della Banca Marche, Bianconi non trascura quelli di famiglia. Nel 2006 sua moglie, Anna Rita Mattia, sale agli onori della cronaca per l’acquisto in leasing di un immobile a Treviso che il giorno dopo viene affittato per 12 anni a Banca Popolare di Bari. Passa un anno e l’Espress o rivela la commistione di interessi con Danilo Coppola e Stefano Ricucci, quest’ultimo finanziato abbondantemente da Bianconi quando era in Bna, poi in Banca Agricola Mantovana e in Cariverona. Le oligarchie locali plaudono alla sua intraprendenza e non battono ciglio di fronte a stipendi d’oro e benefit da nababbo: accresce la clientela tra i costruttori, proprio mentre esplode la bolla immobiliare, promuove due aumenti di capitale, vende gli immobili della banca al Fondo Conero prendendoli in affitto con canoni pari al 7,5 per cento del valore. Nel giro di quattro anni affluiscono nel patrimonio della banca circa 600 milioni di euro. Ma i crediti in sofferenza stanno crescendo molto più rapidamente.

BIANCONI fa una fine degna della sua forza passata. Per accompagnarlo alla porta la Banca d’Italia ha dovuto attendere la più classica delle bucce di banana. Durante un’ispezione alla Tercas gli uomini di Visco scoprono che il 7 maggio 2009 Bianconi manda un funzionario a cambiare un assegno circolare di Banca Marche da 160 mila euro con 32 assegni di 5 mila euro cadauno, poi versati sul conto personale del direttore generale. Questo tentativo di sfuggire alla tracciabilità viene giudicato da Bankitalia non coerente “con la deontologia professionale che deve connotare l’operato dell’alta dirigenza di una banca”. Così il 12 giugno 2012 il capo della vigilanza Luigi Signorini chiede a Banca Marche il siluramento di Bianconi. Il presidente Lauro Costa risponde che Bianconi faceva sempre così, perché amava una certa qual “riservatezza relativamente a una parte degli emolumenti percepiti”. Dopo Bianconi (coperto d’oro) anche Costa è stato accompagnato all’uscita. Adesso tocca alla magistratura capire com’è che ci sono voluti tanti anni per accorgersi dello scempio.

Banca Marche, la commedia è finita, scrive su cronachemaceratesi.it Marco Ricci il 2014/09/01. Per troppo tempo gli azionisti della banca e il territorio si sono sentiti raccontare poco meno che favole, favole che oggi si stanno rivelando per quello che erano. Sarebbe un gioco troppo facile riprendere alcune di quelle tante frasi, ormai epiche, pronunciate o scritte nei mesi passati o le tante idee stravaganti che hanno ruotato intorno al dissesto Banca Marche. Dalla teoria del complotto, teoria degna delle scie chimiche, a cui hanno partecipato un po’ tutti, dagli usceri ai parlamentari, alle affermazioni rassicuranti, come ad esempio quella del presidente della Fondazione di Fano il quale ha asserito che le svalutazioni messe in atto dall’istituzione solo pochi mesi fa non siano perdite ma, appunto, solo svalutazioni. Il leite motive, in ogni caso, è stato sempre lo stesso. Qualche problemino sì, ma la banca è sana, la banca si riprenderà. La commedia, però, adesso è finita. E mentre viene emessa, seppure solo in primo grado, la prima sentenza che stabilisce come la banca non sia stata gestita bene (così per usare un eufemismo), comminando sanzioni agli ex vertici per oltre 4 milioni di euro, il territorio si rende conto che il salvataggio dell’istituto di credito sta avvenendo solo grazie al cappello della Banca d’Italia e all’intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi. Questo perché, in soldoni, Banca Marche, era arrivata sull’orlo della liquidazione. Il genius loci regionale deve proprio fare cilecca quando si parla di credito, così che molto difficilmente l’ottimismo che pioveva da ogni palazzo, tra cui da quello del Consiglio Regionale, e da ogni Fondazione (ad eccezione, per il vero di Macerata, accusata spesso negli ultimi due anni di disfattismo), potrà essere condiviso dai 40.000 azionisti di Banca Marche i quali, da questa vicenda, ne usciranno come carne da macello. Perché mentre l’istituto, durante l’era Bianconi, prestava soldi ai gruppi legati a Danilo Coppola, Stefano Ricucci, Mazzaro Canio (noto nei rotocalchi perché ex marito di Daniela Santanché), a Ciro di Pietro (arrestato nel 2012 dalla squadra anti crimine organizzato della questura di Perugia), a Vittorio Casale (l’immobiliarista del famoso appartamento di via Archimede a Roma, indagato da svariate procure), ai grandi gruppi edilizi della regione (dal fanese all’anconetano, con decine di milioni di euro che saltavano da una società all’altra quando non finivano direttamente nelle tasche degli amministratori delle stesse società, con i terreni che, passando di mano in mano, da uno che valevano all’inizio dieci valevano alla fine), mentre i gruppi Anemone e Balduzzi facevano centinaia di operazioni, alcune delle quali in barba alle segnalazioni antiriciclaggio in una delle due filiali romane dell’istituto, mentre Banca Marche si proponeva come capofila tra gli istituti di credito per fornire liquidità, attraverso Finsoe, all’Unipol di Consorte per la scalata Bnl (“abbiamo una banca!”, esultò Piero Fassino, peccato per lui che la banca poi non l’ebbe), mentre alcuni capitali locali si volatilizzavo chissà dove attraverso la Amphora Fiduciaria, partner commerciale di BM, mentre accadeva questo e molto molto altro, i marchigiani, così come si mettono al sicuro i propri risparmi sotto al materasso, investivano pensioni e liquidazioni in azioni Banca Marche, sicuri come quando si investe in titoli di stato. Perché Banca Marche, in fin dei conti, era la banca di stato della regione Marche, la banca di cui le persone si fidavano perché avevano la filiale dietro l’angolo di casa e perché era nata dalle vecchie Casse di Risparmio. La banca che, nel 2011, vinse il premio Creatori di Valori al Milano Finanza Global Awards come migliore istituto italiano di dimensioni regionali (un certo genius non dove essere prerogativa dei soli marchigiani!). L’ultima contrattazione del titolo, prima della sospensione stabilita a fine agosto dai commissari, ha visto le azioni Banca Marche scendere fino a 0.2 centesimi e pochi spiccioli. E se ad inizio del 2012, quell’oltre 30% di capitale sociale posseduto dai privati valeva sul mercato quasi 400 milioni di euro, a fine agosto di quest’anno ne valeva poco più di 80, con il rischio, ovviamente, che non sia finita qui. Il vero timore che aleggia adesso nell’azionariato, dopo un riferimento apparso su IlSole24ore, è che si riproponga per Banca Marche lo stesso scenario del salvataggio Tercas, ovvero l’azzeramento del valore delle azioni. Quest’ipotesi, va sottolineato, non ha avuto conferma, sia perché non sarebbero ancora maturi i tempi per stabilire esattamente il valore della banca, sia perché le voci che si rincorrono sono diverse, sia perché c’è da immaginarsi una fase di contrattazione che andrà ad aprirsi nelle prossime settimane sul valore di avviamento dell’istituto di credito. L’investitore tipico di Banca Marche, è importante ricordarlo, molto spesso non era un investitore speculativo ma erano le famiglie, i pensionati, i piccoli imprenditori, coloro che hanno investito nelle azioni della banca la propria liquidazione, gli stessi correntisti e dipendenti dell’istituto, il popolo bue che dava fiducia alla banca del territorio, una fiducia che valeva centinaia e centinaia di milioni di euro di risparmi della collettività. In ogni locale si incontra un barista o un cliente che ci racconta di possedere azioni Banca Marche, di avere investito un’eredità, la vendita di una casa, i risparmi di famiglia. Chi racconterà a questi azionisti che quei risparmi sono andati in buona parte in fumo? E chi in Regione, ha mai mosso una parola su questo, dopo averne sprecate a bizzeffe sull’autonomia, la territorialità, sulla delirante teoria del complotto su cui si sono riversati fiumi di inchiostro e di energie prima di scoprire (o far finta di scoprire) che le Marche il complotto ce l’avevano in casa? Insieme ai patrimoni delle Fondazioni, il drastico ridimensionamento del capitale dei piccoli risparmiatori rischia di avere effetti sociali molto duri, specie nel periodo di crisi epocale che sta vivendo l’economia delle Marche, un’economia che, al di là dello solite facilonerie, nonsta affatto per riprendersi. Così, mentre le famiglie arrancano paurosamente, buona parte di quei risparmi investiti in azioni Banca Marche se ne andrà in fumo. E cosa avevano a loro disposizione i piccoli azionisti, così come per certi versi anche le Fondazioni, per valutare lo stato della banca? I piani industriali, i bilanci (che la Procura ha ipotizzato falsi) e nel 2012 un prospetto informativo per cui la Consob ha avviato delle formali contestazioni nei confronti di Bianconi e dell’allora Cda, oltre a una lettera che affermava come Banca Marche “non fosse mai stata così liquida e patrimonializzata” (sul liquida, in effetti, anche oggi si potrebbe ironicamente concordare). Molti risparmiatori acquisirono azioni perché spinti allo sportello dalla stessa banca, fidandosi, in sostanza, della parola dell’istituto e dei dipendenti, i quali furono fortemente spinti a far sottoscrivere l’offerta del 2012. Da quando si parla dell’intervento di Fonspa e del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (il Fitd dovrebbe riunirsi il 16 settembre) ci sono arrivate moltissime lettere che sollevavano il problema, alcune paventando proprio l’azzeramento del valore delle azioni come avvenuto per Tercas, altre ricordano l’operazione di salvataggio del Banco Ambrosiano che lasciò in pista l’azionariato, altre ancora auspicando l’emissione di warrant, con qualcuno ancora dubbioso se rimettersi in gioco con il prossimo aumento di capitale. Sono i primi vagiti del risveglio. La commedia, in fin dei conti, è finita. Così che oggi citare, come abbiamo fatto, la famosa opera di Ruggero Leoncavallo, Pagliacci, quando appunto la commedia termina perché il protagonista riconosce l’amara verità del tradimento dell’amata, è forse l’unico riferimento che viene in mente pensando alla vicenda Banca Marche e ai suoi tanti piccoli (e incolpevoli) azionisti.

Dissesto Banca Marche. Il memoriale di Vallesi: “Veicolata una sola verità”, scrive “Cronache Maceratesi”. L’ex vice direttore generale di Banca Marche, il maceratese Stefano Vallesi, ha deciso di rendere nota la propria versione a proposito dei fatti che hanno portato al dissesto dell’istituto di credito commissariato da ormai un anno dalla Banca d’Italia per perdite, sopraggiunte in poco più di un anno, superiori al miliardo di euro. Vallesi è stato dal 2009 al 2012 vice direttore generale mercato, con responsabilità tra l’altro nel  comparto creditizio. Licenziato per giusta causa da Banca Marche nel 2013, decisione a cui Vallesi si è opposto con un ricorso al Tribunale del lavoro di Ancona, l’ex vice direttore è attualmente indagato dalla procura dorica con l’ipotesi di essere il promotore – assieme a Massimo Bianconi e  a Giuseppe Barchiesi – di un’associazione per delinquere finalizzata tra l’altro all’appropriazione indebita e alla corruzione tra privati. Raggiunto poche settimane fa da oltre centomila euro di sanzioni comminategli in primo grado dalla Banca d’Italia a seguito delle ispezioni della Vigilanza del 2012 e 2013, Vallesi ha rotto il proprio silenzio per far conoscere la propria verità. E lo ha fatto inviandoci un lungo memoriale che di seguito riportiamo integralmente. Come in tutte le occasioni in cui, a proposito di questa vicenda, abbiamo dato spazio a ricostruzioni in qualche modo personali dei fatti, Cronache Maceratesi è come sempre disponibile a lasciare ampio spazio a chi si sentisse chiamato in causa.

IL MEMORIALE - Dopo ormai più di 18 mesi ancora non si è fatta chiarezza sulle cause che hanno generato la situazione in cui si è venuta a trovare Banca Marche. La crisi che ha interessato l’economia dal 2008, ancora in atto con forti problemi anche occupazionali, ha contribuito in modo forte a complicare l’attività caratteristica del sistema bancario. Sempre più aziende hanno cessato l’attività e soprattutto sono fallite o aderito a procedure concorsuali visto il calo dei fatturati, la non sopportabilità degli indebitamenti, le insolvenze e soprattutto la costante e progressiva pressione fiscale derivante dall’indebitamento del nostro Paese. Ho ricoperto il ruolo di vice direttore generale Mercato dal primo agosto 2009 e a fine ottobre 2012 sono stato nominato direttore generale di Carilo Spa ed in data 4.2.2013 licenziato per giusta causa. Le motivazioni addebitatemi, tutte in essere prima della nomina, sono il rischio di concentrazione nel settore immobiliare e verso i grandi prenditori, gli accantonamenti e varie carenze non meglio precisate in merito alla attività della Banca nel settore crediti, nonostante che i rischi di concentrazione siano stati riportati, nel periodo in cui ho ricoperto il ruolo di vice direttore generale, a livelli di normale concentrazione, siano state introdotte modifiche alla struttura distributiva della Banca, siano stati introdotti limiti stringenti all’esercizio dei poteri delegati in materie di credito vista la perdurante critica situazione economica ed avviate le attività, con la consulenza di primaria società del settore fin dall’estate 2011, per la rivisitazione del processo del credito. Il Gruppo bancario Banca Marche è stato sottoposto a verifiche da parte dell’Organo di Vigilanza dal 2006 in poi con cadenza quasi biennale che si sono sempre chiuse con la irrogazione di sanzioni. La Banca, al termine di ogni ispezione, ha intrapreso con tempestività tutte le attività per eliminare le anomalie rilevate e comunicato tale progettualità e lo stato avanzamento degli interventi, con cadenza periodica, all’organo di controllo. La Banca d’Italia ha concluso una verifica ispettiva sui crediti, la redditività e rischi di tasso a gennaio del 2011. In data 30 marzo 2011 è stato consegnato il verbale ispettivo con un giudizio parzialmente sfavorevole e nel mese di novembre 2011 è stato notificato il procedimento sanzionatorio che riguardava anche l’altra verifica, sempre intervenuta nel 2010, relativa all’antiriciclaggio, con sanzioni da 12mila a 16mila euro. Il sottoscritto non è stato destinatario di tali sanzioni. In quella sede l’Organo di Vigilanza ha verificato tutte le posizioni citate nei verbali ispettivi riferiti alle due verifiche intervenute nel novembre del 2012 e nel marzo 2013, in quanto già affidate prima della mia nomina a Vice direttore generale mercato, concordando con la loro classificazione (sofferenze, incagli, alto rischio, ristrutturati e past-due) e gli accantonamenti per dubbio esito appostati ed ha verificato i criteri di valutazione dei crediti deteriorati utilizzati dalla banca senza muovere eccezioni. La banca ha sempre operato prevalentemente nel centro Italia (Lazio, Marche, Umbria, Emilia Romagna e da ultimo in Abruzzo) con controparti affidate anche dal resto del sistema bancario e dalle banche di provenienza del nuovo management. Qualcuno ha creduto che la crisi finanziaria non avrebbe interessato il Gruppo Banca delle Marche ma solo le altre banche. Questo è un problema che è divenuto non gestibile nel momento in cui sono state introdotte regole fortemente impattanti (che nessuno ha richiesto visto che l’azione della Banca d’Italia era mirata a verificare nei primi 20 gruppi bancari italiani i criteri di valutazione del credito deteriorato) nella gestione della struttura/banca, che nessuna altra banca ha utilizzato in modo così drastico, che il resto delle banche hanno utilizzato in modo diverso e discrezionale e soprattutto in modo sopportabile rispetto alla dotazione di mezzi patrimoniali vista la natura di copertura di future perdite ipotizzate e non certe. I citati criteri, che non sono regolamentati ed imposti dalla Banca d’Italia ma decisi in autonomia da ogni banca nel rispetto della normativa dei principi contabili internazionali Ias introdotti fin dal 2005, sono stati modificati nel terzo trimestre del 2012. I nuovi parametri, che nessuna banca in Italia ha applicato con la stessa metodologia, sono stati applicati in sede di chiusura del bilancio 2012, senza verificarne evidentemente l’impatto a conto economico, approvato con la nota perdita di oltre 500 milioni di euro derivante da accantonamenti per dubbio esito per oltre 1 miliardo di euro ad aprile 2013 e con la presa d’atto da parte del Cda. Sono stati approvati dal Consiglio di Amministrazione, seppur più prudenziali rispetto alla media del settore, nel mese di maggio 2013 (dopo la chiusura del bilancio 2012) e adottati da quella data a livello di Gruppo Bancario. La semestrale al 30 giugno 2013 è stata approvata e chiusa con una ulteriore perdita di oltre 250 milioni di euro derivanti da accantonamenti per oltre 450 milioni di euro. La variazione dei criteri di valutazione delle garanzie immobiliari, acquisite a sostegno delle operazioni di finanziamento a medio e lungo termine, sia a privati che ad imprese, ha introdotto la valutazione degli immobili al valore di pronto realizzo (valore commerciale o costo di acquisto, determinato in presenza di un mercato immobiliare in piena crisi, diminuito minimo del 30%). A tale valore è stato poi applicato un ulteriore abbattimento del 40% per gli immobili residenziali e del 50% per tutte le altre tipologie di immobili compresi quelli in corso di realizzazione (stato avanzamento lavori). E’ quindi comprensibile, anche da parte di chi non è addetto ai lavori, che il valore di un immobile residenziale acquistato al prezzo di 200mila euro è stato valorizzato circa 84mila euro pari al 42% del costo di acquisto. La Banca ha operato fin dal 2001 utilizzando parametri restringenti per i finanziamenti ipotecari. Nei casi di mutui a privati, ha finanziato fin dal 2001 l’80% del valore cauzionale dell’immobile acquistato (costo di acquisto diminuito del 15% in caso di nuova abitazione e a seguire del 25% nel caso di immobili costruiti da oltre 12 mesi) e quindi a fronte di un costo di acquisto di 200mila euro erogato un finanziamento di 136mila euro pari al 68% del valore commerciale. Da ciò scaturisce che nei casi in cui il mutuo non è in regolare ammortamento (past due) o insorgono eventi pregiudizievoli non sanati, la posizione viene incagliata o trasferita a sofferenza e la Banca ha contabilizza un accantonamento (dubbio esito) di 52mila euro (136mila euro meno 84mila è uguale a 52mila). Ancora più negativa è la valutazione riferita agli immobili commerciali/industriali o in corso di realizzazione. La banca ha finanziato fin dal 2001 l’80% dei costi di costruzione certificati da tecnico di fiducia e dal 2009 il 50% del costo dell’area e al 70% dei costi di costruzione sostenuti sempre verificati da periti di fiducia e confrontati ai valori Omi. Gli accantonamenti quindi sono stati determinati non a fronte di una perdita certa ma a fronte di stimate soggettive ipotetiche future perdite che si potranno verificare al momento del recupero del credito e forse senza tenere conto delle garanzie fidejussorie garanzie personali acquisite a sostegno dell’affidamento. Qualcuno ha sostenuto che il grado di copertura del credito deteriorato (accantonamenti) era troppo basso rispetto al resto del sistema bancario. Non ha però tenuto conto che Banca Marche è stata confrontata con altre banche che utilizzano il sistema di rating avanzato e non ha tenuto conto della composizione degli impieghi garantiti rispetto a quelli non garantiti. Ha solo fatto un compito in classe basato solo su dati di bilancio senza considerare ad esempio le percentuali di recupero dei crediti in sofferenza e le plusvalenze nel tempo realizzate. Basti solo sapere che l’adozione del sistema interno di rating validato da Banca d’Italia avrebbe liberato capitale in Banca Marche per un importo stimato tra i 300/400 mln di euro. La Banca d’Italia, la società di revisione, i Consigli di Amministrazione, i collegi sindacali, i direttori generali, i responsabili delle varie funzioni organizzative della Banca, le funzioni di controllo, i Capi Zona (15), i Titolari di Filiale (circa 300), i Dipendenti (circa 3.000), i Soci (circa 40.000), le Associazioni di categoria, le Banche anche internazionali che hanno perfezionato operazioni di cessione e cartolarizzazione con la Banca, gli Enti (circa 500) di cui la Banca ha gestito le tesorerie o i servizi di cassa, la clientela affidata e non, i Sindacati non hanno mai percepito questa situazione così grave. La Banca ha il potere di modificare le regole gestionali in qualsiasi momento ma deve essere trasparente verso tutti in merito alle cause che generano poi situazioni così difficili e non addossare la colpa a chi non c’è più. I nuovi complessivi accantonamenti per circa 1,5 miliardi di euro che hanno generato le complessive perdite di circa 750 milioni hanno comportato il fatto che il gruppo bancario non avesse più i requisiti patrimoniali stabiliti dall’Organo di Vigilanza. Dopo il commissariamento della capogruppo è intervenuto il commissariamento della controllata Medioleasing e nel mese di aprile 2014 il commissariamento della controllata Carilo. Il bilancio 2012 della Carilo è stato chiuso con l’applicazione dei vecchi criteri valutativi e la Banca d’Italia che stava effettuando verifiche sulla Capogruppo non ha eccepito alcunché in merito ai dubbi esiti riferiti a clientela affidata comune. Nel verbale ispettivo riferito alle due verifiche conclusesi nel 2013 il predetto organo di controllo afferma che sono stati utilizzati criteri più prudenziali e non afferma quindi che quelli in precedenza utilizzati non lo fossero. Si pensa che la Banca d’Italia possa affermare che un accantonamento è eccessivo. Di solito pretende l’immediato recepimento a livello di conto economico di quelli che ritiene non adeguati. Nel mese di novembre 2013 la Banca ha presentato, dopo quelli inviati nel mese di febbraio e marzo 2013, un ulteriore esposto alla Procura di Ancona che ha ipotizzato reati di estrema gravità quali associazione a delinquere ed appropriazione indebita in danno di Banca Marche e Medioleasing, corruzione tra privati, ostacolo alla vigilanza ed altri, a carico di 37 nominativi tra cui il sottoscritto, e le indagini sono ancora in corso. Nel mese di novembre 2013 la Banca d’Italia ha avviato il procedimento sanzionatorio riferito alle ultime due verifiche che si è concluso con la irrogazione delle sanzioni più volte riportate dai giornali a carico degli amministratori di Banca Marche e di Medioleasing e dei rispettivi collegi sindacali in carica fino al 30 aprile 2012, oltre che al sottoscritto, lasciando indenni gli organi societari ed il management che ha gestito il gruppo bancario da quella data fino al commissariamento. Le motivazioni scaturiscono da anomalie che la Banca d’Italia non ha rilevato nella precedente ispezione, ed in presenza di continui interventi di miglioramento nella gestione dei rischi, dell’operatività e dei controlli, puntualmente e periodicamente comunicati all’Organo di Vigilanza, posizioni affidate già in essere e gestite nella logica di un graduale disimpegno e livelli di concentrazione riportati alla normalità in anticipo rispetto a quanto pianificato nei piani industriali della Banca noti all’organo di controllo. In merito alla mia situazione professionale ho chiarito quanto accaduto attraverso i due ricorsi pendenti presso il Tribunale di Ancona – Sezione del Lavoro, con le controdeduzioni al procedimento sanzionatorio della Banca di Italia per il quale è stato presentato ricorso presso la Corte di Appello di Roma e attraverso un corposo memoriale depositato presso la Procura di Ancona che sta indagando sulla vicenda. Documenti puntualmente corredati di atti ufficiali della Banca intervenuti dal mese di ottobre 2012. Fino ad oggi è stata veicolata una sola verità e la unica responsabilità in capo ai vecchi amministratori ed il management in carica fino al mese di aprile 2012, data in cui si è insediato il nuovo Consiglio di Amministrazione e a seguire (settembre ottobre 2012) la nuova direzione. Ho tentato di chiarire quanto avvenuto in questo anno e mezzo sia ai presidenti delle Fondazioni che a personaggi politici della regione. Nessuno ha voluto o richiesto chiarimenti, segno evidente che la verità, che non è la mia verità ma gli accadimenti succedutesi, non interessa a nessuno. Una delle gravi anomalie denunciate è stato il fatto che la semestrale al 30.6.2012 è stata chiusa con un utile di oltre 40 mln ed il bilancio al 31 dicembre 2012 con una perdita di oltre 500 milioni. Come già detto le motivazioni sono state descritte ma amareggia il fatto che chi ha espresso giudizi critici in merito e ha gridato allo scandalo non ha compreso che la marginalità del primo semestre 2012 derivava esclusivamente da plusvalenze realizzate dall’Area finanza della banca attraverso la vendita ed il riacquisto di titoli in portafoglio della banca e non ha notato che gli accantonamenti per il rischio di credito erano di molto superiori a quelli della semestrale al 30.6.2011. L’aumento di capitale sociale conclusosi nel mese di marzo 2012 è stato allocato tra tutta la clientela della banca ed è stato incrementato il numero dei soci privati ad oltre 40.000 nominativi. Le Fondazioni hanno sottoscritto le quote di loro competenza. Il valore della azione della Banca, a seguire, si è notevolmente ridotto (da 0,85 prezzo dell’aumento di capitale a meno di 0,30) ed i soci lamentano questo fatto. Ritengo che, se esistono i presupposti legali per tutelare la loro situazione, hanno tutto il diritto di agire sulla base però della reale dinamica che ha portato la Banca in questa situazione. E’ da tutto questo tempo che tento di dare una risposta alla domanda che spesso mi faccio: come mai questa azienda (il gruppo bancario era uno dei primi 20 gruppi in Italia) è stata in appena 9 mesi esclusa dal panorama bancario nazionale? Tutte le delibere riferite alle posizioni citate nei verbali ispettivi sono state approvate dal Consiglio di Amministrazione o dal Comitato Esecutivo. Ogni qualvolta un consigliere ha richiesto approfondimenti in merito ad una qualsiasi delibera sono stati forniti tutti i chiarimenti e le notizie richieste per consentire l’adeguata informativa utile per l’eventualmente delibera. Con cadenza quindicinale o mensile le Fondazioni sono sempre state informate, attraverso incontri programmati, dal presidente, dai vice presidenti e dal direttore generale sulla situazione aziendale (rischi di credito, rischi di concentrazione, di mercato, di tasso e operativi), sulla progettualità, sui piani industriali e la Loan Policy del Gruppo bancario). Inoltre anche i consiglieri ritengo che abbiano fornito alle stesse aggiornamenti in merito alle attività della Banca. Le strutture operative della banca hanno agito in questo contesto sempre mettendo in campo la massima attenzione alla gestione dei rischi in portafoglio evitando di assumersi rischi in capo ad altri istituti bancari ma sempre nel rispetto del territorio e del tessuto economico in cui operavano consapevoli che tutte le imprese hanno subito ripercussioni più o meno gravi in termini di fatturato, di liquidità e di redditività e per i privati in termini di occupazione. Diversi soggetti, emanazione delle fondazioni, hanno partecipato alla gestione della Banca fin dal 1994, data in cui è stata costituita, e hanno partecipato alla gestione anche nel periodo seguente all’aprile 2012. Prima tutto era corretto e poi è diventato tutto sbagliato. Potremmo parlare ancora per tanto tempo ma anche se comprendere la materia è complicato, il tempo è galantuomo, la giustizia farà il proprio corso avvalendosi sicuramente di valide consulenze tecniche e la verità dovrà emergere nell’interesse di tutti e non solo del sottoscritto ed ogni attore dovrà assumersi le proprie responsabilità e rispondere del proprio operato. Se qualcuno ha utilizzato il ruolo ricoperto nella banca per trarne vantaggi a livello professionale o personale o quant’altro, se ha operato con dolo ed in malafede deve risponderne. Nessuno riuscirà a scalfire la mia onorabilità, trasparenza e correttezza nei confronti di tutti. Chiaro è che ho svolto la mia attività con fermezza e determinazione, visto il particolare momento di crisi, e certamente a qualcuno non sono piaciute le mie decisioni ma ho sempre anteposto gli interessi della Banca a tutto. Ritengo di aver operato in modo corretto ma rimane l’amarezza per quanto sta accadendo.

PARLIAMO DI ANCONA.

MAFIOPOLI. LA MAFIA DOVE NON SI VEDE.

La penetrazione delle mafie nel “cuore verde” d’Italia, scrive  Massimo del Papa su “Antimafia Duemila”. L’isola felice”. Così ai marchigiani piace immaginare la loro terra di valli come tovaglie d’erba che sembrano sospese a mezz’aria, di colline digradanti verso il mare, un’enclave che difende e accende l’orgoglio localistico fino a farlo diventare una chiusura quasi ansiosa verso l’esterno. La stessa che tormentava l’anima a Leopardi. E nel Fermano, comprensorio a nord di Ascoli Piceno all’eterno inseguimento di una provincia autonoma, si va anche oltre: “la nostra gente, le nostre parti”, è una giaculatoria che non si finisce mai d’ascoltare. Qui il tessuto imprenditoriale è quello calzaturiero, una galassia di tremila microfabbriche a gestione familiare, quasi sempre sotto i 15 dipendenti salvo rarissime eccezioni. Alla faccia delle globalizzazione. A un recente convegno è arrivato un professorino bocconiano, tutto azzimato: dovete crescere, ha predicato. Qui sei in casa nostra, gli hanno risposto, lo sappiamo noi cosa è meglio fare. E’ in questa bolla senza ricambio d’aria che la mafia bianca, senza coppola e lupara dunque più facile da non vedere, quella che non spara dunque “ci si può convivere”, come direbbe qualcuno, ha messo le radici. Non da adesso, gli stupori di oggi sono pelosi, la retata di maggio 2002 dei Ros, 67 paia di manette che scattano ai polsi di esponenti della “Famiglia foggiana” (ma anche di ragazzotti con la testa confusa, più che mafiosi da temere), ha fatto parlare, discutere, stracciare vesti. Ma una “famiglia” della Sacra Corona non arriva in un giorno, non improvvisa una rete capace di avvolgere l’intera regione e il sud, il Fermano, in particolare. In principio fu Cutolo. Il capo della Nuova Camorra Organizzata finì nel carcere di Marino del Tronto all’inizio degli anni ’80, inaugurando una tradizione di ospiti illustri nel supercarcere ascolano continuata, fra gli altri, con il celeberrimo Totò Riina (appena trasferito a Milano per motivi di salute). Cutolo dunque all’inizio degli anni ’80 sta dentro, ma i suoi tentacoli stanno fuori, mettono radici sino al Fermano costiero che in breve si riempie di personaggi in soggiorno obbligato, spesso con rispettive famiglie. L’effetto-domino che fatalmente ne consegue, finisce ovviamente per travalicare la presenza cutoliana. Le prime conseguenze processuali si avranno una decina d’anni dopo, quando nelle Marche pare traballare la pax mafiosa, simile a una guerra fredda, ipotizzata dall’Antimafia dorica tra le varie infiltrazioni dal meridione che negli anni ’80 prevedevano una spartizione di ambiti geografici e criminosi nella regione, con occasioni di mutua assistenza e, soprattutto, il concorso attivo delle comunità locali per assicurare alloggi, coperture, un radicamento completo. Sono gli anni in cui il boss della ‘ndrangheta Giuseppe Cirillo è sospettato di tessere alleanze coi costruttori anconetani: con esiti disastrosi, al processo che gli frutta 10 anni Cirillo ammetterà: “Le Marche non sono terra da estorsioni”. Non meglio va al suo delfino Fabrizio Fiocco, finito tra le quattro pareti di una cella a inseguire improbabili sogni di gloria criminale. Proprio a Fermo tra il ’92 e il ’93 si celebra il primo maxiprocesso per droga: la procura ipotizza un passaggio di consegne, nelle rete di spaccio che intossica il Fermano, tra i calabresi di Raffaele Belcastro, ‘ndrangheta, e Andrea Maizzi il pugliese. Il processo si tiene in due tranches davanti all’allora presidente Giovanni Rebori: al termine della prima Belcastro si becca 20 anni, alla fine della seconda Maizzi ne scampa altrettanti. Poi, il giorno dopo, sale in ufficio dal procuratore Piero Baschieri a stringergli la mano, come in una disfida cavalleresca. D’ora in avanti le operazioni, i blitz di fiamme gialle, polizia, carabinieri del nucleo operativo prendono a susseguirsi a ondate regolari. Non sempre vanno a buon fine: nel 1996 il processo “Lampreda”, dal nome in codice dell’operazione dei militari del nucleo operativo che sbaragliano un giro di hashish ed eroina dalla Campania, si chiude con una raffica di condanne minori e assoluzioni eccellenti, di fatto una sconfessione del teorema che, per la prima volta, ipotizza un assetto criminale curiosamente destinato a venire puntualmente comprovato da quell’inchiesta in poi: al vertice qualche personaggio “importato” in odore di malavita organizzata; subito sotto i bracci destri, naturalmente conterranei; dopo di loro, qualche locale con voglia di emergere; a scendere “cavalli” e “muletti” sempre più disperati, tutti indigeni. Ma ora il presidente del collegio, dopo quindici ore di camera di consiglio, alle tre di notte scandisce le condanne dimezzate e soprattutto le assoluzioni, e il pm Claudio Carini scuote la testa: nelle udienze precedenti aveva letto le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche, “allora, la merda arriva o no? i miei qui stanno uscendo tutti pazzi”, “Il cazzo devono tirarsi quegli stronzi fino a mercoledì”. Chiedeva 130 anni di carcere complessivi l’accusa, s’è dovuta accontentare di un secolo di meno. Andrà meglio un anno dopo col processo “White Hill”, collina imbiancata, ovvero il colle fermano coperto di “neve”. Un traffico per molti versi speculare, sono ancora gli uomini del nucleo operativo a stroncarlo. Ma questa volta l’epilogo giudiziario è diverso, con rito abbreviato o ordinario vengono condannati tutti gli imputati più importanti. Meno uno, l’asserita mente del giro: il napoletano Vincenzino Girardi schiva la raffica d’anni di carcere solo perché, poche ore prima del processo, non fa in tempo a schivare una raffica di pallottole che lo fulminano in un bar di Arzano. Intanto le azioni continuano, lo spaccio è un’Araba fenice, una metastasi, più lo estirpi più si riforma, più forte, più largo. “Troppi soldi” dicono le forze dell’ordine e i magistrati. Soldi che alimentano l’antica, purulenta piaga del gioco d’azzardo, bische più o meno risapute dove fuoriserie, fabbriche e, secondo leggende di paese, qualche moglie passano di mano in un giro di teresina. Il concime migliore per l’usura, che infatti finisce con l’intasare di processi il tribunale. Nell’arco degli anni ’90 la non belligeranza sembra evolvere in un passaggio di consegne tra infiltrazioni criminali dal sud, almeno nel Fermano. I calabresi hanno passato la mano, scalzati dai pugliesi; a metà decennio sembra il momento dei napoletani, che imbastiscono alleanze più o meno effimere con i predecessori ma a un certo punto sembrano in grado di soppiantarli. C’è una terra di nessuno, che dura non più di un paio di chilometri ma ospita tutti quelli che contano. Una striscia tra il mare e la Statale, unisce i quartieri limitrofi di Lido 3 Archi e Casabianca/Lido di Fermo e finisce per minare anche la confinanti, laboriose, idilliache Porto Sant’Elpidio, Porto San Giorgio. Qui si concentrano quotidianamente le forze dell’ordine, qui di notte ci si spara addosso, qui le retate, a un certo punto anche di extracomunitari, grandinano quasi attese. Qui spariscono o bruciano automobili nottetempo. Qui, nell’alveare di minialloggi-alcove, qualche femminiello ci lascia la pelle. Qui, ancora nel giugno 2002, hanno scoperto un carcere cinese: chi non pagava il prezzo della libertà, ovvero quello del viaggio fino in Albania e di qui, in gommone, fino in Italia veniva rinchiuso e massacrato a oltranza da connazionali. Un disperato di 47 anni a un certo punto ha preferito gettarsi dal terzo piano piuttosto che subire altre botte, altre torture. Chi le fornisce le case a Lido 3 Archi, chi li ospita gli schiavi cinesi o le prostitute e prostituti dall’est Europa, la Nigeria o il sud America? Come fanno a starsene qui, più o meno indisturbati, a ricreare un loro torvo e inaccessibile reame notori pregiudicati, gente a soggiorno obbligato e magari qualche ricercato? Nelle mani dei pm fermani è passato nel 2001 un fascicolo con una sessantina di indagati (in gran parte poi prosciolti), dal favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione alla violazione della normativa sugli alloggi; che, si mormora, si è sempre mormorato, venivano riempiti con due, tre quattro professioniste/i ciascuno, dietro affitto mensile di un milione e oltre di vecchie lire a testa. In nero, va da sé. Lido 3 Archi è stata per vent’anni un’oasi sordida, ciò che restava di una speculazione edilizia selvaggia finita male: per vent’anni gli scheletri dei palazzi mai conclusi hanno dominato, cattedrali decomposte, la Statale sottostante che di notte si riempie di una fauna multirazziale e multisessuale, con relativi clienti; dietro, il mare aperto sale inverno dopo inverno a bersi le fondamenta dei negozi abbandonati, dei palazzoni solo nel 2000-2001 terminati da una nuova impresa edile. Per vent’anni è stata un inferno questa striscia destinata a venire considerata dalla Dia il vero centro nevralgico della mafia marchigiana. Nessuno lo ignorava, la sensazione era che, finchè la pentola infernale restava chiusa a ribollire il suo brodo criminale, senza traboccare troppo, andasse già bene così. Oggi, dopo le ultime sparatorie, che puntuali falciano una diffusa volontà di tornare a vivere nei palazzoni finalmente completati, c’è chi invoca le telecamere per tenere a bada la malavita. Sempre nel 1996, in marzo, esplode un trauma inaudito. Mentre stanno cenando nel loro casolare di Sambucheto, a due passi da Recanati, vengono falciati a raffiche di mitra Nazzareno Carducci (in quel momento imputato a Fermo in un processo per traffico di auto rubate), la moglie incinta e il suocero. Si parla finalmente di mafia, mafia marchigiana, perché la strage viene inserita in una inchiesta massiccia della Dia che punta a colpire “il mastino”, al secolo Gianfranco Schiavi, di Loreto, considerato dagli inquirenti potente quanto temuto. Ma le voci presto si smorzano, il procedimento salpa per altri lidi, a L’Aquila il gup ha disposto l’acquisizione di tutte le intercettazioni ambientali, una marea, Radio-Assise mormora: udienza preliminare non prima del 2004-2005. Intanto nel Fermano gli attentati, gli incendi a pianobar, night club e bische, i giri di droga, le rapine anche sanguinose a banche, poste, portavalori, i processi per riduzione in schiavitù di giovani extracomunitarie costrette al marciapiede da connazionali-belve, si succedono senza tregua. Come Albana Strazimiri, albanese di nemmeno 20 anni, trovata una mattina livida del gennaio 1996 da un gruista nella discarica di Grottazzolina. Una gamba spunta da un sacco, lo aprono, c’è questo cadavere di ragazzina. La facevano battere, e la battevano, all’ombra dello stadio di Civitanova. Alloggiava in un hotel del posto assieme ad altre sette disgraziate, una notte l’hanno vista salire su una macchina, per l’ultima volta. “Che c’è di strano” dice la gente “forse altrove è diverso?”. No, non è diverso. Ma è questa la tragedia che nessuno vuole vedere: che qui non siamo in un altrove da milioni di persone, siamo nell’isola sempre meno felice dove nel frattempo un altro nome si sente mormorare, con rispetto e sottovoce, nell’ambiente delle scommesse sui cavalli: quello di Gaetano Nuvoletta, suoi emissari sarebbero stati notati col compito di sondare la possibilità di penetrazione in un settore considerato fertile. Nella seconda parte degli anni ’90 l’entrata in grande stile della malavita extracomunitaria spariglia ancora una volta le carte. Adesso le organizzazioni sgominate da carabinieri, finanza e polizia vedono sempre più gl’indigeni di rincalzo, adibiti a compiti di manovalanza, e albanesi o marocchini nei piani alti degli organigrammi. Si paventano nuove tregue armate tra la vecchia criminalità meridionale, ormai radicata, e i nuovi arrivati dall’Africa, dai Balcani. I processi per spaccio e riduzione in schiavitù non si contano, sul finire del 2003 la procura fermana chiude la sua parte d’inchiesta mandando un centinaio di faldoni alla Dda di Bologna, su circa 90 albanesi organizzatisi in formazione mafiosa. Il primo “Tifone” di questo nuovo livello era scoppiato nel 1998: pareva la solita maxiretata dei carabinieri del nucleo operativo, dritti in carcere una trentina fra locali, vecchie conoscenze dal sud e stranieri. Invece l’organizzazione, giudicata particolarmente feroce e strutturata, verrà definita “un salto di qualità nel crimine marchigiano”. L’operazione “Tifone” spezza il fascicolo penale in due: il primo troncone segue la scia dell’art. 73 della 309/90, ovvero il semplice spaccio di stupefacenti; da Fermo passa per conoscenza alla Dia, che lo rispedisce al mittente: nel 2001, il tribunale locale comminerà pene detentive per oltre 60 anni di carcere, spalmate su più imputati. L’altro fascicolo invece la Dia se lo tiene, il pm Irene Bilotta si muove sempre sulla scorta della 309/90, però questa volta in base all’art. 74: associazione a delinquere a fini di spaccio. Sarà il cavallo di troia per ricostruire un giro clamorosamente più vasto per uomini, intensità criminale, espansione territoriale. Intanto nel Fermano si coaugula una nuova infiltrazione, l’ennesima: viene dalla Sicilia, le fiamme gialle, coordinate dal pm Raffaele Iannella, ricostruiscono un asse della droga tra Catania e Milano, con il Fermano a fare da crocevia. Nel fascicolo del magistrato (che nel frattempo ne ha aperto un altro, laterale, ugualmente puntato sull’isola dei limoni), ventuno nomi: alcuni vengono ricondotti al clan di Nitto Santapaola, ma la menzione particolare è per Santo Finocchiaro, vent’anni appena, nipote carnale del boss catanese Pillera. Pare l’ennesimo passaggio di consegne, ma una mattina di maggio del 2001, quasi a tradimento, i Ros esplodono un temporale di 67 paia di manette: è l’epilogo dell’inchiesta del pm Bilotta, partorita dalla “Operazione Tifone”: la vecchia associazione in spaccio è diventata, o almeno la ritengono, un’associazione di stampo mafioso a tutto tondo: narcotraffico, racket dei videogiochi, attentati a pentiti, a negozi e locali notturni, le mani protese sulle aziende calzaturiere. C’è chi ha parlato, riesumando lontane storie tremende, vecchie ma collegate a quelle nuove: come quella di Alduino Santucci, un commerciante d’auto ucciso a forza di botte, per debiti di gioco, all’inizio degli anni ’90. I responsabili, che già in primo grado avevano preso una pena assai ridotta rispetto agli ergastoli chiesti dal pm Carini, si erano visti ridurre ulteriormente in appello la pena a proporzioni simboliche, per il reato di “lesioni”. Come dire che Santucci era morto da solo, per conto suo, dopo il pestaggio. Saranno i pentiti di allora a inguaiare i presunti capi di oggi, su tutti il già incontrato Maizzi,  ritenuto il capozona della “Famiglia” nelle Marche; sotto di lui capidecina, rappresentanti, batterie, i manovali pronti all’azione. Tra i molti pugliesi spunta anche qualche napoletano o siculo, ma non mancano i locali, giovani o anche giovanissimi. I frutti storti dei quartieri-ghetto o dei paesini un tempo sani, ormai contagiati. “La famiglia foggiana è saltata”, strillano i giornali. E, con loro, sindaci, assessori, politicanti, uomini delle istituzioni: tutto un crepitare di “io l’avevo detto”, “era ora”, “noi, abbiamo gli anticorpi noi, con la nostra gente certe cose non attaccano”. Peccato che perfino la sana imprenditoria calzaturiera venisse ormai intaccata, con qualche imprenditore che, passato dall’altra parte della barricata, s’incaricava secondo la Dia di lavare i soldi sporchi della mafia. Peccato che tra Ancona e Fermo fiocchino i processi per associazione mafiosa con alla sbarra Gaetano Guida, “’O pazzo”, considerato uomo di camorra, con altre 9 persone tra cui l’ex direttore dell’Istituto vendite giudiziarie della Corte d’Appello di Ancona, Luigi Marrino, dove le aste venivano allegramente pilotate. Processi in primo grado terminati entrambi con raffiche di condanne ad personam, anche se il giudice non ha ritenuto provato il 416 bis né a Fermo né ad Ancona (ma sussiste, a Fermo, un enorme stralcio in attesa di definizione). Peccato che altri due siano i procedimenti tuttora aperti al secondo piano, in procura, passati per la Dia dorica (che in tutto ne ha attualmente 12). Peccato che qui il procuratore Baschieri resti da oltre un decennio Cassandra inascoltata quando, inaugurazione dopo inaugurazione dell’Anno giudiziario, ripete l’allarmante progresso delle infiltrazioni mafiose; sentendosi puntualmente rispondere da illuminati colleghi “nessuna infiltrazione, al massimo episodi isolati che non fanno testo e non debbono fomentare inutili allarmismi”. Peccato che ancora oggi qualche amministratore locale reagisca in modo incredibilmente sventato: “Roba d’importazione [sic!], noi non c’entriamo”. Peccato che quattro anni fa la stessa Regione Marche reagì a un’inchiesta di “Sette” del Corriere, a firma di Sandra Amurri, che si addentrava nei retroscena degli sbarchi settimanali delle russe all’aeroporto di Falconara, annunciando querele per diffamazione, caso unico al mondo di ente locale che querela un giornale. E alla fine arrivano, a Porto Sant’Elpidio, i primi arresti a imprenditori accusati di riciclaggio per conto della mafia russa. Senza dimenticare quella cinese, che ha intensificato la sua presenza in zona come ben sanno gli investigatori che dal 1996 ad oggi hanno scoperto almeno cinque lager mimetizzati da laboratori o scantinati. Ma nelle Marche, mai dire mai. I sessantasette arrestati dalla Dia nel 2001 sono usciti uno dopo l’altro quasi immediatamente a cominciare proprio dall’asserito boss, incredibilmente interrogato dal gip senza la presenza dei difensori di fiducia e perciò rimesso in libertà con efficacia retroattiva. I pentiti sono stati ritenuti poco o per nulla attendibili, l’inchiesta è scoppiata come una bolla di sapone e nessuno ne parla più. Intanto, le informative delle forze dell’ordine e degli inquirenti segnalano l’ingresso del sangue fresco, la nuova generazione che, arrivata all’età della ragione, comincia con le scorribande che furono dei loro padri: le irruzioni strafottenti nei locali di sera, i conti platealmente non pagati, i coltelli sotto la gola di chi si permette di protestare, le spedizioni punitive. Nei piccoli centri come Porto San Giorgio la criminalità si guarda in giro alla ricerca di negozi e abitazioni. Insomma investe. I circoli malavitosi locali assistono, mugugnano, tentano a volte improbabili convivenze. Restano abbarbicati al mito di una microdelinquenza violenta ma domestica, senza voglia di espandersi, paga di farsi riconoscere e temere come tale. Un pessimo segnale è quello delle baby gang guidate da piccoli boss che taglieggiano, devastano, intimidiscono e da ultimo scippano finchè non li fermano con le manette. Ma sul finire del 2003 a Porto San Giorgio prenderanno a bruciare addirittura automobili, a saltare cabine del telefono. Brutti, pessimi segnali. Ragazzate, per qualcuno. Intanto, proprio per un rogo d’auto a Casabianca (ma qui non è cosa da baby gang), il 9 dicembre finiscono in manette i due figli del “mastino”, Gianfranco Schiavi, oltre a un terzo complice, foggiano d’origine: tutti accusati di racket sui locali notturni. Secondo i giornali è il capolinea di una lunga stagione di intimidazioni e attentati lungo la costa, spazzata da un vento criminale lungo almeno 20 anni. Ma nel Fermano, mai dire mai. Quel che è certo, è che dai verbali della Dia le Marche escono come un supermarket, una terra di conquista o almeno di analisi, di studio ventennale per le mafie di ogni provenienza anche straniera. Con una centrale piccola, torva: un centro residenziale abortito per trasformarsi in quartiere ad alta densità mafiosa. Lido 3 Archi con la propaggine Casabianca. È stata l’omertà, il chiudere occhi e orecchie (e magari l’aprire i minialloggi) a favorire la mafia nell’ (ex) isola felice.

LA MASSONERIA AD ANCONA.

Amministrare una città importante come Ancona e obbedire ai vincoli di  segretezza richiesti dalla massoneria sono scelte difficilmente conciliabili. Lo afferma Claudio Fava, del Coordinamento Nazionale di Sinistra e Libertà , commentando la vicenda dell’assessore comunale Pd di Ancona iscritto alla Massoneria, e su cui il gruppo della Sinistra ha presentato una mozione di sfiducia. Ad un assessore – prosegue Fava -  che ha deciso di affiliarsi a una l oggi a massonica, io chiederei di scegliere: o con quella loggia o con la città. Mi piacerebbe conoscere l’opinione di Bersani e di Rosy Bindi, visto che su questo punto i loro  dirigenti locali si sono mostrati finora, oltre all’imbarazzo,  molto evasivi. Come ci piacerebbe, infine, conoscere il giudizio del compagno Ferrero sulla posizione del Prc anconetano che difende l’assessore massone.

QUESTO E’ IL TESTO DELLA MOZIONE DI SFIDUCIA. Lo rende noto l’Ufficio Stampa di Sinistra e Libertà.

Mozione di sfiducia a Ezio Gabrielli dall’incarico di Assessore del Comune di Ancona. Il Consiglio Comunale di Ancona,

premesso che in data 23 ottobre 2009, durante lo svolgimento dei lavori della 1^ Commissione Consiliare, sono state annunciate e depositate agli atti, tre bozze di mozione tra cui una riguardante il cosiddetto “codice etico degli eletti e degli amministratori” che recepisce una decisione del Consiglio d’Europa;

visto che l’adozione di tale codice rientra tra le proposte presentate, non solo da “Sinistra per Ancona”, in occasione della campagna elettorale per le recenti elezioni municipali, nell’ambito di una serie di misure volte ad una reale discontinuità nella vita politico-amministrativa della città;

appreso che in data 25 ottobre, sulla stampa locale, è apparsa una dichiarazione spontanea dell’Assessore Ezio Gabrielli, che dichiara di appartenere ad una loggia massonica denominata “Guido Monina” della quale “si onora di fare parte”;

visto che nei giorni successivi colui che si dichiara “Maestro Venerabile” della stessa loggia, peraltro nominato pochi giorni prima Presidente del collegio Sindacale di una delle Aziende partecipate del Comune Dorico, ha dichiarato che non vi è nulla di opaco, di segreto, indicando “la sede della loggia Monina e di altre 4 in via del Commercio, ove ha sede il Tempio;

visto che il sig. Roberto la Rocca, che si definisce “delegato magistrale della Gran Loggia d’Italia” dichiara di essere disponibile a consegnare al Sindaco l’elenco degli affiliati” che in Ancona ci sono 4 e non 5 logge e che “i nomi sono stati dati alla Prefettura”, notizia riportata anche dal Consigliere Comunale Galeazzi Renato (Resto del Carlino del 30 ottobre 2009);

appurato che in Prefettura non esiste alcun elenco di massoni di alcun tipo, come del resto non previsto da alcuna norma legislativa e che pertanto si assiste ad una campagna informativa quantomeno fuorviante;

visto che il sig. Ezio Gabrielli non ha tempestivamente informato il Sindaco di Ancona e il Consiglio Comunale della propria autonoma scelta, contravvenendo ad un fondamentale dovere di trasparenza nei confronti della città;

ritenuto politicamente inopportuno, se non scorretto, affidare al Sindaco, a cose già fatte, la responsabilità di una scelta pro o contro le Associazioni della massoneria sulle quali è aperto un serrato dibattito sulle regole interne e sulla scarsa trasparenza delle svariate Associazioni;

appurato che il comportamento dell’’Assessore Gabrielli, le dichiarazioni avventate quando non veritiere, delle gerarchie massoniche hanno determinato l’ulteriore occasione, per mettere in difficoltà il Sindaco e la città di Ancona,

invita il sig. Ezio Gabrielli a dimettersi dal proprio incarico assessorile e il Sindaco a ritirargli ogni delega.

Il capogruppo Sinistra per Ancona, On. Eugenio Duca

Massoneria e bandi truccati: il Pd di Ancona affonda, scrive Gian Marco Chiocci su “Il Giornale”. Assessori col grembiulino o sotto inchiesta, sotto processo o in conflitto d'interessi, dimissionati o in procinto di esserlo. La rossa, rossissima, Ancona si vergogna un'altra volta. Travolta dagli scandali e dalle fratellanze massoniche. Il Pd marchigiano annaspa e ridiscute di questione morale, di codici etici, di senso della legalità. I vertici locali del partito sbandano, quelli nazionali balbettano, indecisi sul da farsi. Colpa della giunta di centrosinistra appena nata sulle ceneri della precedente, spazzata via per colpa di un sindaco (Fabio Sturani) indagato per l'inchiesta sul porto e politicamente imputato per le frequentazioni con imprenditori indagati che lo ospitavano in barca, in vacanza oltreoceano. Colpa di scelte scellerate, come quella del successore, neo sindaco Pd, Fiorello Gramillano, di nominare assessore ai servizi sociali il compagno Maurizio Belligoni, dei Comunisti italiani, indagato dalla procura di Ancona per falso in atto pubblico e abuso d'ufficio per aver «ritoccato» una delibera per il conferimento di una consulenza in qualità di direttore dell'agenzia sanitaria Ars. Il consiglio comunale non ha nemmeno il tempo di insediarsi che il giovane esponente del Pdl, Stefano Benvenuti Gostoli, presenta la mozione di sfiducia più rapida della storia. Tre giorni dopo la scure giudiziaria si abbatte rovinosamente sulla giunta: la procura chiede il processo per Bellingoni per un presunto bando truccato da 270mila euro. L'interessato è costretto a togliere il disturbo. Tolto un assessore, se ne va subito un altro. Quello alla Cultura, nella persona di Alessandra Panzini, obbligata a lasciare quando si scopre che è amministratore e titolare della Marchingegno Srl, società che dal Comune di cui lei fa parte riceve incarichi per 130mila euro (l'ultimo pochi giorni prima del voto). Di fronte all'evidenza la signora Pazzini fa presente che non vi è alcun conflitto di interessi perché al momento di essere nominata assessore ha ceduto tutte le quote. A chi? Al marito. Di male in peggio. Fioccano le interrogazioni, gli esposti in procura, le mozioni di sfiducia, le denunce alla Corte dei conti. L'assessore regge finché può, dopodiché abbandona nel momento in cui le si rinfacciano i 14 incarichi da 240mila euro ottenuti anche dalla Provincia di Ancona e gli 80mila dal Comune di Falconara. Fuori due. Nel frattempo anche il Partito democratico cittadino resta senza guida. Il segretario comunale Giovanni Ranci, raggiunto da un avviso di garanzia per truffa, si dimette seduta stante. La vicenda che lo riguarda s'interseca con le indagini sugli «incarichi facili» al nuovo ospedale Inrca. Presto in giunta scoppia un'altra grana: l'assessore al bilancio Andrea Biekar, in evidente conflitto d'interessi, si ritrova a dover scegliere fra la poltrona politica e quella di presidente dell'ordine dei commercialisti: opta per la prima e salva la giunta. Anche se su di lui pesano ombre per presunti trascorsi frammassonici (che l'interessato nega) tornati d'attualità con l'outing del «fratello» Ezio Gabrielli, assessore alle aziende e al porto, esponente di spicco del Pd. Nel giorno della morte dello zio Mario, Gran Maestro come il nonno suo omonimo e decano dell'ordine iniziatico dorico, Gabrielli se ne esce così: «Mi onoro di appartenere alla loggia Guido Monina. Una tradizione di famiglia che ho seguito con convinzione. Non vedo perché dovrei avere timidezza a dire che sono iscritto». Non vede contrasti fra il dovere della fratellanza e gli obblighi sanciti dalla Costituzione per ogni buon amministratore. L'opposizione però sfida gli assessori col cappuccio a dichiararsi. Il coro si fa ogni giorno più insistente: «Sindaco prendi gli elenchi delle tre logge», che però la prefettura fa sapere di non avere. «Sindaco prendi gli elenchi che ci trovi qualcuno che conosci», tipo il più papabile alla poltrona di presidente dei revisori di Mobilità e Trasporti che guardacaso è il Gran Maestro della medesima loggia di Gabrielli figlio, di Gabrielli padre e di Gabrielli nonno. Il sindaco barcolla ma non molla. Coinvolge i garanti e i probiviri del partito. Sonda la maggioranza. Incassa i malumori interni. Per far vedere che d'ora in poi si fa sul serio, col partito approva uno statuto surreale che obbliga la comunicazione anche in caso di iscrizione alla bocciofila sotto casa. Il primo cittadino prova a coinvolgere tutti, pure Bersani, anche perché a dar retta al tesoriere Piercarlo Proietti «potrebbero essercene altri» di fratelli in giunta. Il tira e molla finisce con l'assessore-massone che si dimette e con le voci di altri politici «in sonno» pronti a svegliarsi. Se la grande casa del Pd dorico sta crollando, la colpa, più che dei liberi muratori, sembra ricadere sugli apprendisti del Pd che giusto ieri si meravigliavano delle proteste dei cittadini per lo stanziamento di 2.380 euro necessario a far mangiare lo stoccafisso, in Norvegia, al presidente del consiglio comunale.

...E LA POLITICA.

Scandalo alla Regione Marche, si va verso un maxi-processo. Peculato: indagati i consiglieri di tutti i partiti, scrive Roberto Damiani su “Il Resto del Carlino”. Il Consiglio regionale delle Marche è finito sott’inchiesta per peculato. Gli anni delle spese folli (a disposizione un milione di euro complessivi per il 2011 e il 2012) adesso hanno un nome e un cognome. Soldi soprattutto per ristoranti, viaggi, telefoni, persino ritiri spirituali e senza dimenticare la beneficienza fatta con i soldi regionali. Poi c’è il caso del consigliere Pdci che ha acquistato un libro da 16 euro sul «Segreto delle donne, viaggio nel piacere» giustificandosi con la Corte dei Conti col dire che è «aggiornamento sul genere perché sono stato il fondatore della commissione pari opportunità». Ma a splendere di luce viva sono soprattutto le consulenze. Di tutti i tipi. Persino un avvocato pagato a forfait 1000 euro al mese dall’Idv per capirci qualcosa sulle leggi. La Corte ha bocciato il contratto dicendo che i rimborsi non possono essere forfettari ma vanno riferiti sempre a spese realmente e motivatamente sostenute. E poi i convegni. Lì la fantasia è libera di raggiungere vette degne di Walter Bonatti. Un consigliere, Erminio Marinelli, unico componente del gruppo per le Marche, ha scritto: «Rimborso di 1530 euro per convegno su Dis-organizzazione della sanità regionale». E sapete quando lo ha fatto? Il 31 dicembre 2012, a San Silvestro. Oppure i quattro convegni in un giorno solo, il 23 novembre 2011, a Chiaravalle, da parte del gruppo Psi, sulla riorganizzazione sanitaria dal costo di 333 euro, 149 euro, 150 euro, e 240 euro. Ne ha fatti quattro anche la settimana dopo, in un giorno solo, questa volta ad Ancona, sul titolo V della Costituzione, dal costo di 146 euro, 72 euro, 193 e 399 euro. Oppure i 47mila euro del Pd per studi ed incontri oltre ai 7mila euro di consulenze, senza dimenticare gli 11mila euro dell’Idv per le spese di rappresentanza insieme ai 15mila euro di consulenze. Ma con Alleanza per l’Italia (Api) abbiamo scoperto che matite e penne costano ancora tanto: 8mila 533 euro in un anno. Che siano tutte Montblanc?

Regione, le spese pazze dei gruppi: beneficenza, cene e viaggi. Marche, la Corte dei Conti boccia i rendiconti dei gruppi. Spese per libri e mimose, continua Roberto Damiani. Soprattutto viaggi. Ma anche cene, benzina, regali, night, alberghi, interviste a pagamento, persino una bella puntatina a Rimini per il convegno di Rinnovamento dello spirito a carico della Regione Marche. Non solo: anche la beneficenza apparentemente personale veniva fatta mungendo dalla cassa pubblica. Lo facevano tutti i partiti. Pure l’app di Itunes per scaricare navigon sul libro paga della Regione. Lo ha fatto il gruppo autonomo del presidente Spacca, spendendo 94 euro. Ma la Corte stessa dice che la spesa deve essere chiarita e pertanto non può dare un giudizio di 'inerenza'. L’analisi sulle spese dei gruppi consiliari della regione Marche fatta dalla Corte di Conti di Ancona per il 2012 fa a fette la presunta diversità delle Marche. Tutti i gruppi hanno speso male, fuori dai limiti e senza spiegazioni credibili. Non ci sono grandi spese, solo un’enormità di piccole. E il totale arriva a 500mila euro. Ogni gruppo aveva il bancomat. Che problema c’era? Soldi spesi soprattutto in viaggi e ristoranti. Ma anche nei libri. Come quello acquistato dal consigliere Pdci-Prc Raffaele Bucciarelli dal titolo: "Il segreto delle donne, viaggio nel cuore del piacere", dal costo di 16.80 euro. Non è il prezzo, ma il gesto che colpisce, in particolare la spiegazione data dal consigliere alla Corte dei Conti che gli chiedeva che cosa centrasse il piacere e l’orgasmo delle donne col mandato consigliare. Ecco cosa scrive Bucciarelli a sua giustificazione: "...il consigliere è da sempre impegnato per le pari opportunità tra uomo e donna, pertanto l’acquisto di tale pubblicazione è da considerarsi utile ai fini dell’aggiornamento sulle questioni di genere". Anche il Pdci-Prc non resiste al fascino della telecamera. Per il convegno Le Marche, l’Appennino, la Sibilla" ha pagato 485 euro a Tvrs per riprendere il dibattito. Per la Corte dei Conti sono soldi spesi in maniera non permessa e fuori dalla legge. Non scherzava nemmeno l’Idv: per la Corte la somma di 7.614 euro spesa in ristoranti e viaggi non è stato possibile attribuirla a qualcuno né risulta autorizzata. Scrive la Corte: "...è impossibile pervenire all’individuazione di chi ha sostenuto la singola spesa rimborsata. Ai fini della ammissione al rimborso, elemento minimo imprescindibile è l’individuazione di chi ha sostenuto la spesa. E qui non c’è". Per l’Udc, l’assessore Luca Marconi il 2 maggio 2012 ha partecipato al convegno di "Rinnovamento dello spirito" nella qualità di "invitato esperto di politiche familiari e sociali" presentando una fattura di 340 euro. La Corte ha bocciato la spesa scrivendo che quell’associazione religiosa non c’entra niente con la politica marchigiana. Tutta particolare la storia del il gruppo di Sel: ha comprato biglietti di lotterie per associazioni di beneficenza ma soprattutto ha elargito rimborsi per una trentina di viaggi a Roma andata e ritorno in favore di persone di cui non si sa nulla. Viaggi in taxi, treni e auto pagati a sconosciuti e tantomeno ad autorizzati. Scrive la Corte: "Si evidenzia che l’ipotesi di rimborsi a favore di volontari esula dalle categorie previste dalla legge". La Lega Nord ha presentato rimborsi spesa per l’impiegato del gruppo per viaggi a Torino e a Brescia. Ha chiesto 577 euro. La Corte si è accorta che nel viaggio c’era anche il consigliere Zaffini. Il suo costo non doveva essere rimborsato. I soldi li aveva già avuti. Ha detto che si era sbagliato.

MALAGIUSTIZIA: IL CASO DRAGOTTO.

Su un blog anonimo metteva alla berlina le sentenze impresentabili, scrive “Il Corriere della Sera”. E per un titolo impresentabile il Csm non lo ha confermato procuratore generale di Ancona. A dispetto del parere unanime e altamente positivo inviato al Csm dal consiglio dei colleghi del suo distretto. Per questo Gaetano Dragotto lascia la magistratura. Questione di stile è la motivazione che avrebbe spinto il plenum a silurarlo. A causa di un doppio senso, utilizzato per bacchettare una collega (non nominata) che sbagliava i calcoli delle attenuanti e delle aggravanti regolati dall’articolo 69. Ma lui si difende: «Il blog era riservato a pochi amici. Era anonimo come le sentenze. Virgolettava solo alcune perle. Come la sentenza di un collega della Cassazione sul barista che serve detersivo per lavastoviglie nell’acqua minerale. Stabilisce che se il liquido è puro il barista non è punibile, se diluito sì: per contraffazione. Se il cliente morisse sarebbe omicidio colposo. E il primo presidente della Cassazione e il pg hanno votato contro la mia riconferma», dice, amareggiato, Dragotto. Contro gli svarioni giudiziari dei colleghi aveva combattuto a lungo, dando anche giudizi negativi in sede di valutazione. «Non avevo ottenuto nulla se non voci di una mia presunta cattiveria. Per difendermi avevo creato quel blog per gli amici. E ridevamo dei pasticci scritti nelle sentenze ». Come quella sulla «prostata salvifica». L’aveva fatta franca un maniaco che aveva mostrato la sua virilità a una bimba ferma in auto con il finestrino aperto, giacché il giudice aveva attribuito l’esibizione alla impossibilità di «trattenersi dall’urinare». Senza domandarsi perché non si fosse allora rivolto verso il muro. Oppure le attenuanti generiche, concesse a un senegalese «perché l'imputato è africano e l'Africa è povera ». O quella nella quale il computo di un terzo della pena di tre mesi faceva sempre tre mesi. E infine quella della giudice che applicava male l’articolo 69. «Lei deve essersi riconosciuta, forse avvertita da qualche collega, si è offesa per il titolo sarcastico e ha avvertito il Csm» racconta Dragotto. Ma la preistruttoria per incompatibilità ambientale a causa della caduta di stile si è subito chiusa. Ed è finita lì. Al momento di valutare il rinnovo dell’incarico da pg però è risaltata fuori. «E pensare che proprio a seguito di quell’episodio c’era stata una riunione nella quale avevamo parlato finalmente di queste motivazioni impresentabili, e finalmente si erano ridotte quasi della metà». Il magistrato esclude un collegamento della sua bocciatura con gli arresti firmati per l’ex sindaco pd e altri, nell’ambito dell’inchiesta sulle tangenti per l’aera portuale. Non crede a chi sussurra che l’hanno voluto fare fuori da altri incarichi direttivi ai quali concorreva. E conclude: «C’è chi mi ha consigliato di fare ricorso. Ma come potrei continuare a fare il magistrato con le mani legate dietro la schiena?». Per questo lascerà la toga. Ma non il web.

BIOGRAFIA DI GAETANO DRAGOTTO.

Messina 21 luglio 1937. Magistrato. Ex procuratore generale della Corte d’appello di Ancona. Noto come «magistrato blogger», si dimise nel luglio del 2009, dopo che il Csm bocciò la sua conferma nell’incarico. Fu uno dei fondatori di Magistratura democratica, la corrente di sinistra dei giudici. «Padre magistrato, lieve accento romano dovuto alla lunga permanenza nella capitale, si insedia al vertice del distretto giudiziario marchigiano alla fine del 2003. Appassionato di informatica, tra il dicembre 2007 e l’aprile 2008 sul suo blog Teminera, usando lo pseudonimo Teti Nera, elenca e commenta 43 sentenze clamorosamente sbagliate. L’Associazione nazionale magistrati convoca un’assemblea, il caso finisce al Consiglio superiore della magistratura per sospetta incompatibilità ambientale. Il Csm però si dice incompetente a pronunciarsi, stigmatizza “la caduta di stile” di Dragotto e si rimette alle eventuali decisioni del ministro Angelino Alfano e del pg della Cassazione Vitaliano Esposito. (...) “(...) Il blog è un diario, un diario intimo. Il giro era limitato, quello dei colleghi più vicini a me, della procura generale, il presidente della Corte d’appello. Era rivolto a un circuito di non più di 10, 12 persone, quelle che avrebbero potuto stimolare all’interno dei loro uffici un dibattito. (...) Io non mi sono limitato alle sentenze marchigiane. A ben guardare ce n’è una sballata del Tar del Lazio, mi pare, una di Perugia e una della Cassazione (...) E comunque molte delle sentenze del mio blog sono di giudici onorari, cioè non di professione (...) Un esempio. L’imputato viene chiamato Tizio, nella motivazione diventa Caio e nel dispositivo Sempronio. Il giudice onorario aveva fatto il copia incolla di una sentenza con la motivazione di un’altra e il dispositivo di una terza. (...) Il problema è che non è ammissibile che uno prenda soldi dallo Stato e produca documenti simili che rimangono negli archivi per l’eternità. Perché le nostre sentenze sono come scolpite, non si distruggono mai. (...) Io non davo tutta questa importanza al mio blog. Lo facevo la sera, a casa, quando avevo tempo e mi veniva l’estro di scrivere qualcosa. (...) E comunque il mio obiettivo è stato raggiunto. (...) Le castronerie si sono ridotte del 50 per cento”» (Paola Ciccioli) [Pan 13/3/2009]. «Fino a ieri lo hanno chiamato il “magistrato blogger”. Da domani Gaetano Dragotto, procuratore generale della Corte d’appello di Ancona, sarà solo un blogger. Ha deciso di dimettersi dopo che il Csm ha bocciato la sua conferma nell’incarico, mettendo con quella decisione la parola fine a una vicenda che si trascinava da più di un anno: la storia di un magistrato che non ha avuto paura di mettere in discussione il lavoro dei suoi colleghi spulciando fra le sentenze più assurde, e che ora dice addio alle aule dei tribunali. (...) I motivi della bocciatura non sono ancora noti, ma lui non ha dubbi: “Da fonti private mi risulta che la causa principale sia stata proprio il blog”, dice. E in effetti è impossibile non mettere in collegamento la decisione del Csm con quanto è accaduto nell’ultimo anno, quando alcuni magistrati “vittime” degli strali di un anonimo blogger identificarono nel misterioso castigatore di sentenze proprio il pg Dragotto. Da tempo si maceravano nella ricerca dell’autore delle sferzanti battute con cui venivano liquidate condanne e assoluzioni incongruenti, assurde, talvolta al limite della barzelletta. (...) Una volta identificato, Dragotto non ebbe alcun problema ad ammettere di essere l’autore del blog che però, aggiunse, sarebbe dovuto rimanere riservato a una stretta cerchia di amici. “Sei troppo cattivo, troppo sarcastico...”, cominciarono a dirgli. I colleghi che si sentivano chiamati in causa fecero sentire la loro voce. Fu organizzata addirittura un’assemblea durante la quale Dragotto chiarì che il suo intento era tutt’altro che denigratorio: voleva solo provocare un dibattito e attirare l’attenzione dei colleghi su un modo a volte troppo sciatto e approssimativo di amministrare la giustizia. Dragotto, dopo aver fatto notare che sul web non era mai stato citato un magistrato con nome e cognome, fu “assolto” dall’assemblea, anche perché si impegnò ad abbandonare il blog incriminato (teminera.blogspot.com), interrompendo una volta per tutte il suo impietoso “bestiario togato”. Il caso, però, non finì lì: approdò alla prima commissione del Csm che avviò un’istruttoria per verificare se esistessero i presupposti dell’incompatibilità del magistrato con il suo ufficio e il suo ruolo. In altri termini, Dragotto rischiava il trasferimento. La pratica venne archiviata, ma la prima commissione inviò gli atti ai titolari dell’azione disciplinare, il ministro della Giustizia e il procuratore generale della Cassazione, perché aveva comunque individuato nel blog “una caduta di stile” e un “tono di scherno in ordine alla professionalità dei colleghi”. Nel frattempo, al Csm vennero esaminate altre pratiche intestate a Dragotto. La prima: la sua domanda per ottenere l’incarico di avvocato generale dello Stato. Respinta, nonostante il vasto curriculum del pg. La seconda: un’altra candidatura, questa volta alla nomina di presidente di sezione del tribunale di Grosseto. Respinta. La terza: la riconferma quadriennale alla procura generale della Corte d’appello di Ancona. Sappiamo anche questa com’è finita. A questo punto, il blogger in toga sbatte la porta. Lascia la magistratura e avvia le pratiche per la pensione, fra le ostentate manifestazioni di solidarietà di alcuni colleghi e la mascherata esultanza di altri» (Fulvio Milone) [Sta 3/7/2009]. Giorgio Dell’Arti, Catalogo dei viventi 2015 (in preparazione).

MAGISTROPOLI.

L’auto blu di un giudice anconetano viene multata in divieto di sosta davanti alla Prefettura, ma il magistrato contesta il verbale di contravvenzione e denuncia per falso in atto d’ufficio il comandante della Polizia municipale e i due agenti che hanno accertato l’infrazione, scrive “Il Resto del Carlino”. La vicenda, accaduta ad Ancona, risale all’autunno scorso quando il giudice, in servizio in una sede giudiziaria del centro città, si è fatto accompagnare da un autista fino alla Prefettura, in piazza del Plebiscito. Il veicolo, un’auto di servizio, è stato parcheggiato nelle vicinanze dell’ufficio territoriale del Governo, in divieto di sosta. Quando i vigili urbani di Ancona sono arrivati sul posto hanno accertato l’infrazione e stilato il verbale. Stando a quanto riportato dai due agenti, l’auto era stata lasciata in sosta irregolare e l’autista si era allontanato: a bordo del veicolo o nelle immediate vicinanze non c’era nessuno, tanto che non è stato possibile contestare subito la contravvenzione. E’ proprio su questo aspetto, però, che si baserebbe l’impugnazione del giudice: il magistrato ribatte che invece l’autista era rimasto a poca distanza dall’auto e avrebbe potuto quindi rimuovere subito il veicolo se questo fosse stato di intralcio alla circolazione. Con questa motivazione il giudice anconetano ha impugnato la sanzione, e per lo stesso motivo ha denunciato gli agenti per falso in atto di ufficio. Oltre ai due vigili che hanno materialmente stilato il verbale di contravvenzione, è stato denunciato anche l’allora comandante della Polizia municipale Guido Paolini. Da quanto trapela, l’autista dell’auto blu avrebbe prima ammesso di essere uscito dal veicolo mentre era in attesa del magistrato, impegnato in attività istituzionale, poi però, di nuovo interpellato, avrebbe spiegato di essere comunque rimasto nelle vicinanze del mezzo. I contorni della vicenda, accaduta diversi mesi fa, rimangono ancora da chiarire nel dettaglio e le bocche restano cucite in attesa di chiarimenti e possibili sviluppi.

Condannato per corruzione il giudice resta al suo posto.

Dopo la sentenza penale il Pd vuole «le dimissioni o per lo meno la sospensione» di Passanisi dall’incarico e in un’interrogazione parlamentare chiede al premier Monti un’azione disciplinare.

“Sentenza venduta”, nei guai il presidente del Tar Marche. Può continuare a pronunciare sentenze un magistrato condannato in primo grado per corruzione in atti giudiziari? Per la legge sì, poiché non è prevista una sospensione automatica. Per il Pd no, tanto da invocare in Parlamento un intervento del presidente del Consiglio Monti, scrive Giuseppe Salvaggiulo su “La Stampa”. Il protagonista è Luigi Passanisi, presidente del Tar Marche. Una settimana fa è stato condannato in primo grado a tre anni e sei mesi di reclusione (il pm ne aveva chiesti sei). Il reato è il più infamante per un giudice: corruzione in atti giudiziari per aver «venduto» una sentenza del Tar di Reggio Calabria nel 2005, quando ne era presidente. Il presunto corruttore, condannato a quattro anni, è Amedeo Matacena, imprenditore e deputato di Forza Italia dal 1994 al 2001, già coinvolto in un’inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa, nella quale dopo un’assoluzione annullata dalla Cassazione è stato condannato in secondo grado a cinque anni. Secondo la Procura e il tribunale, Passanisi aveva accettato la promessa di ricevere 200 mila euro dal deputato per favorire le sue società di navigazione in alcuni ricorsi contro l’Ufficio marittimo. Il processo si è concluso con altre sei condanne, tra cui quella della moglie dell’alto magistrato, Graziella Barbagallo, a un anno e otto mesi, per accesso abusivo ai sistemi informatici in concorso con Agatino Sarrafiore, ex comandante provinciale della Finanza, a sua volta condannato a otto mesi in appello per rivelazione di segreto d’ufficio. Secondo il pm, la moglie di Passanisi aveva chiesto aiuto al finanziere, insospettita da quanto capitato al figlio. Il ragazzo si era imbattuto in una pattuglia di carabinieri che cercavano di piazzare una microspia nell’auto del padre.  Di fronte all’imprevisto incontro, i militari avevano simulato un controllo anti rapina, ma il ragazzo non l’aveva bevuta. Preso il numero di targa dell’auto dei carabinieri, lo aveva passato alla madre, che si era rivolta al finanziere per un controllo nelle banche dati delle forze dell’ordine, rivelatore dell’indagine sul marito. Per Passanisi si tratta del secondo infortunio giudiziario. Nel 2009 il sindaco di Catania Umberto Scapagnini, medico di Berlusconi, lo aveva nominato assessore al contenzioso e all’urbanistica, ma il Consiglio di presidenza (corrispondente del Csm) dei giudici amministrativi aveva negato l’autorizzazione perché voleva svolgere il doppio ruolo di presidente del Tar a Reggio e assessore a Catania. Passanisi non si era dato per vinto, invocando «le libertà e i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione» e facendo ricorso allo stesso Tar Calabria, che gli aveva dato ragione insediandolo in Comune. Ma la carriera politica era stata troncata dal trasferimento del fascicolo per competenza al Tar Lazio, dalla prima sentenza negativa e dall’infruttuoso appello al Consiglio di Stato. Di quella esperienza gli resta un processo davanti alla Corte dei conti per illegittimi incarichi nell’ufficio stampa del Comune, per i quali è stato condannato in primo grado a un lieve risarcimento con Scapagnini e altri assessori. Dal 2009 Passanisi è presidente del Tar Marche. Ora, dopo la sentenza penale, il Pd reclama «le dimissioni o per lo meno la sospensione» dall’incarico e con un’interrogazione parlamentare chiede al premier un’azione disciplinare «per grave lesione del prestigio e della credibilità della magistratura». Passanisi ha sostenuto di non aver mai avuto rapporti con Matacena, ha annunciato appello e rifiuta l’ipotesi di autosospendersi. Nelle prossime settimane continuerà a presiedere udienze e a firmare sentenze. 

PARLIAMO DI ASCOLI PICENO.

MASSONERIA AD ASCOLI PICENO.

Politici e professionisti tra i Massoni. Sessantotto nomi illustri nelle liste. Sono 38 invece gli iscritti del Fermano, scrive Luca Marcolini “Il Resto del Carlino”. Medici, politici, un ex sindaco, commercialisti… E ancora, avvocati e procuratori legali, dentisti, consulenti, operatori finanziari, imprenditori, bancari, assicuratori, insegnanti e persino un operatore cinematografico. Sono centosei, 68 della nuova provincia di Ascoli e 38 della provincia di Fermo, i residenti piceni (facendo riferimento al territorio ante-divisione) che, stando al documento pubblicato dai Comunisti italiani di Messina e tratto dalla Biblioteca del Pratico Mondo, risulterebbero inseriti in quello che viene definito l’Elenco accorpato dei Massoni italiani. Un documento che, trattandosi di una divulgazione non autorizzata, non rappresenta una fonte ufficiale ma viene ritenuto credibile. Gli stessi Comunisti italiani messinesi, che mettono “in vetrina” nomi e professioni degli iscritti nell’elenco, lo definiscono una “lista non aggiornata degli esponenti della massoneria italiana”, non escludendo “dimenticanze o eventuali omissioni”. Il documento estratto dalla Biblioteca del Pratico Mondo, in realtà, rivela nomi noti della realtà locale, tra i quali anche qualcuno che, nel frattempo, è morto, inserendoli in un lungo elenco attribuito alla Massoneria che conta, complessivamente, migliaia di nominativi. Una carrellata che, in ogni caso, incuriosisce anche per quell’alone di mistero e segretezza che da sempre aleggia attorno al fenomeno Massoneria. Pur mantenendo i nominativi nel limbo della privacy, com’è giusto che sia, è possibile disegnare una mappa dei possibili aderenti alla massoneria del territorio piceno. L’attenzione viene, innanzitutto, calamitata dalla presenza di qualche politico, tra cui almeno uno ancora in attività ad Ascoli, un altro paio tra coloro che hanno appeso la… tessera al chiodo e un ex sindaco di un comune dell’hinterland ascolano. Andando a scandagliare la lista, sono cinque i medici ascolani inseriti, di cui quattro in pensione (due dei quali ex medici ospedalieri) e un medico ospedaliero, tre i medici della riviera (tra cui un cardiologo), anch’essi in pensione, due i medici del Fermano, oltre ad un dentista. C’è, inoltre, anche un farmacista della zona sambenedettese. Altra categoria “nutrita” è quella degli imprenditori. In questo caso Ascoli primeggia con quattro esponenti, tre sono dell’hinterland, due sambenedettesi e quattro del Fermano. Poi, via via, tanti altri nomi in ordine sparso, tra cui un ingegnere ascolano, otto bancari, tre commercianti fermani e due della vallata del Tronto, tre impiegati, otto dirigenti d’azienda, due assicuratori, due geometri (di cui uno defunto), tre rappresentanti, quattro funzionari, quattro commercialisti, due avvocati e due procuratori legali, due insegnanti, un ingegnere, un notaio, un operatore cinematografico e tanti altri nomi ancora. 

«Dietro l’omicidio di Melania Rea si nasconde la pista della massoneria». Ad ipotizzarlo è il magistrato Paolo Ferraro che ha denunciato una fitta rete di relazioni di sesso e massoneria che gravitano attorno alle caserme militari, scrive “Prima Da Noi”. Ma non solo… Questi appuntamenti rientrano, secondo Ferraro, in un programma militare ben preciso l’Mk Ultra oggi Programma Monarch utilizzato negli anni 50 dalla Cia con lo scopo di influenzare e controllare il comportamento di determinate persone ipnotizzandole, drogandole o torturandole per indurle a compiti ingrati (consegna di droga o altro). Anche Melania Rea potrebbe essere caduta in questa rete e ne sarebbe uscita, da morta. Un’ipotesi da molti ritenuta fantasiosa ma che ha trovato sostegno nel gip Giovanni Cirillo. Il magistrato Ferraro non è mai stato creduto, anzi silurato e rimasto vittima di ritorsioni. Oggi in un’intervista rilasciata alla web tv di Antonio Del Furbo, Zone d’Ombra, l’uomo parla della sua esperienza come di una saggia, lucida follia. Sembra di trovarsi sul set di Eyes Wide Shut. Il film di Stanley Kubrick in cui l’alta borghesia americana si dà appuntamento in una villa sontuosa per orge a base di sesso, droga e mistero. E invece il contesto è la cittadella militare dove Ferraro ha risieduto per qualche tempo a partire dal maggio del 2008. Dopo essersi accorto di strani movimenti ha deciso di registrare tutto piazzando microcamere e cimici. La stanza degli incontri è semibuia, le immagini sfuocate, l’atmosfera sovrastata da voci indistinte e confuse. Un leggero fruscio separa gli attori che non vengono mai inquadrati e i loro movimenti. Si intonano canti medievali, dice Ferraro, tipici di questo tipo di pratiche militari. «Ah, lascia stare, shh, Sado bello rimani, capo», si sente nelle intercettazioni, poi sussurri, gemiti, comandi incomprensibili e cifrati, porte che cigolano, panche che sbattono. Quando Ferraro ha fornito le prove di tutto ciò non è stato creduto. Sguardo basso, fronte grondante sudore l’uomo ha spiegato a Zone d’Ombra il calvario personale affrontato. Lo hanno dato per pazzo, è stato sospeso dal Csm per quattro mesi per gravi problemi di salute. Poi la proposta di Tso (Trattamento sanitario obbligatorio). L’incendio appiccato sul terrazzo di casa. Chiare intimidazioni, le definisce l’ufficiale. In quelle farneticazioni c’era qualcosa di fascinosamente inquietante. E Melania Rea che c’entra? Il gip Giovanni Cirillo pensa che la donna abbia scoperto questi esperimenti nella caserma dove lavorava il marito e ne sia stata vittima prima della gravidanza e dopo la nascita della figlia ne stesse elaborando il ricordo. A suffragare l’ipotesi sono le dichiarazioni della migliore amica di Melania, Imma Rosa, che ha confessato che la donna dopo aver scoperto i tradimenti di Parolisi ha manifestato intenzioni suicide. E ancora un magistrato di Teramo ed un ufficiale dell’Arma di Teramo sono stati vittime di episodi incendiari ai danni delle loro automobili. Nel meccanismo perverso rientrano anche i politici. Per Ferraro la casta è stata irretita così si spiegano certi ricatti estremi: «i politici non hanno capacità decisionale, appartengono ad un mondo congiunto, non decidono più, le caste sono accordi tra apparati segreti e massonerie. Anche Falcone nelle sue indagini pensava ad un quadro interpretativo di questo genere e per questo gliel’hanno fatta pagare».E in Abruzzo? C’è la massoneria ed a che livelli? Ferraro risponde: «quello che so è che c’è ad Ascoli Piceno, quello che so è che ci sono infiltrazione di poteri massonici, quello che so è che i magistrati di Teramo si sono comportati bene ed ho visto piazzare tre bombe ad un magistrato, ad un ufficiale dell’Arma e al titolare di un giornale multimediale. Penso che l’Abruzzo abbia grandi risorse democratiche. Penso che ci siano poteri deviati ma non escono in modo così eclatante».

DELITTO DI MELANIA REA, SALVATORE PAROLISI, PAOLO FERRARO ED IL PROGRAMMA MONARCH.

Il magistrato Paolo Ferraro continua la battaglia sui presunti abusi avvenuti all'interno della città militare della Cecchignola, scrive Antonio Del Furbo su Zonadombratv. Lui, Paolo Ferraro, l'uomo che ha pagato screditato come uomo prima e come istituzione poi prosegue il viaggio per far conoscere a tutti le sue inchieste. I militari e i servizi segreti non avrebbero mai concluso il progetto di controllo mentale ma addirittura avrebbero rimodulato tale progetto con l'aggiunta di riti satanici e atti sessuali. Il magistrato, come riferito in più circostanze, ha incontrato più volte Melania Rea nei corridoi della procura di Roma. La donna sarebbe stata a conoscenza delle pratiche che si svolgevano all'interno della caserma di Ascoli Piceno e della Cecchignola. «Basi segrete per la manipolazione mentale, angherie sulle reclute, festini a base di sesso e droghe» racconta Ferraro. Poi tiene a precisare che:«quando mi sono unito con la mia nuova compagna e iniziare una convivenza in un appartamento della Cecchignola destinato ai militari, l'ex marito della donna sottufficiale dell'esercito, non si è assolutamente opposto all'unione ma, anzi, l'ha incoraggiata». Ferraro s'insospettisce soprattutto guardando l'atmosfera e gli sguardi di chi gli sta intorno: strani sguardi d’intesa tra vicine di casa, che però non si parlano, anzi all’apparenza sembrano detestarsi, bambini che sembrano automi. Il magistrato comincia a notare strani comportamenti nella moglie che, dopo insistenze da parte di Ferraro, ammette di aver fatto parte di una specie di setta. I racconti appaiono fumosi e con molte lacune. A quel punto il magistrato decide di registrare tutto ciò che avviene in quella casa quando lui è a lavoro: da lì inizia una triste storia. Ferraro scopre che, in sua assenza, all'interno dell'appartamento avvengono fatti indicibili. La sua compagna è la protagonista involontaria di orge di gruppo anche con minori. Si riconosce la voce atona di lei che risponde come un automa a comandi di altre persone. Gemiti suoni risposte strozzate, tentativi di rifiuto “Bevi. No non mi va”. Secondo Paolo Ferraro nella stessa rete sarebbe caduta anche Sara Tommasi che ha più volte dichiarato:«Mi mettono in casa il gas dai bocchettoni. Mi addormento e dormo tantissimo. Mi danno sostanze perché sia più lasciva durante le riprese, dietro ci sono i servizi segreti». La Tommasi ultimamente ha ritrattato tutto dicendo di aver rilasciato tale dichiarazioni solo per farsi pubblicità. Certo è che il beneficio del dubbio ammette anche un'altra ipotesi: che la showgirl possa essere stata ricattata dalla Camorra. La criminalità organizzata gestirebbe il servizio delle escort in tutt'Italia e, tramite Fabrizio Corona e Lele Mora, sarebbe entrata nella fornitura delle prostitute in casa Arcore. Leo Lyon Zagami è un siciliano aristocratico, un massone gran maestro di 33°grado affiliato alla loggia massonica P2 di Monte Carlo, il quale ha rotto i legami con gli illuminati a giugno del 2006 e sta rivelando tutti i segreti inconfessabili del satanismo collegato ai vertici politici degli USA, del Vaticano e dei Gesuiti. Insieme a Zagami, molti altri “pentiti” hanno rivelato segreti che nessuno avrebbe mai potuto conoscere riguardo gli illuminati. L'uomo, che ha vissuto sulla propria pelle i metodi criminali utilizzati dai vertici corrotti di Massoneria e Illuminati che, come denuncia da anni, arriverebbero a utilizzare la manipolazione mentale, la tortura, l’omicidio, il sacrificio di sangue e la pedofilia per compiere i loro obiettivi del tutto “terreni”. Lo SMOM, Corpo Militare dell'Ordine di Malta, avrebbe forti collegamenti con la Cecchignola e ambienti militari italiani. Elio Lannutti, il 17 novembre 2011, presentò un'interrogazione al Ministero della Giustizia e al Ministero della Difesa in cui chiedeva conto delle informazioni a disposizione del Governo sui fatti esposti da Paolo Ferraro e Milica Fatima Cupic. Ancora oggi non se ne sa nulla.

Fra le colline di Ascoli Piceno, quando scendeva la sera e il contrappello chiudeva la giornata militare della caserma Clementi, il sergente G. M. invitava l’allieva Simona nell’Ufficio del plotone e lì parlava, ammiccava e osava, pare con successo, scrive Andrea Pasqualetto su “Il Corriere della Sera”. Prima Simona, poi Anna per il bicchierino, poi Sara... Lui aitante, vulcanico e impaziente, loro giovani aspiranti soldate dell’esercito italiano di stanza al Reggimento addestramento volontari, cioè la caserma di Salvatore Parolisi. Il quale, al di là della grossa grana per l’omicidio di sua moglie Melania che gli è costata una condanna a 30 anni, dovrà vedersela anche per un episodio decisamente meno grave ma molto simile a quello del collega G. M.: sempre dopo la mezzanotte, sempre negli uffici del plotone, sempre per un bicchierino con le soldate e via. «Lo stanno indagando per averle ricevute al termine dell’addestramento, lui però dice che non è andata così», avverte l’avvocato Federica Benguardato, suo difensore.  Ma la procura militare di Roma non ha dubbi: ha commesso un reato. Si tratta di violata consegna continuata ed aggravata, perché avrebbe trasgredito gli obblighi disciplinari che impediscono al sergente di giornata di incontrare le allieve, soprattutto dopo il suono del silenzio, quando il militare «deve accertarsi che tutte le porte dei locali siano chiuse e durante l’arco del servizio vigila sul contegno dei militari del reparto», scrive il pm Antonella Masala. Gli inquirenti lo contestano a Parolisi e a G. M. ma anche ad altri sette caporali e pure a tre allieve della stessa caserma. Spuntano, dunque, gli atti di questa inchiesta monstre su caporali e soldate, partita un paio d’anni fa fra le pieghe del delitto di Melania Rea e ora conclusa e prossima alla richiesta di rinvio a giudizio. Emerge lo spaccato di un mondo militare pruriginoso, dove il rigore della disciplina di caserma vacilla sull’incontro dei due sessi. Da una parte i soldati che addestrano e comandano, dall’altra le allieve che ascoltano e obbediscono. In mezzo, qualche tentazione. Il soldato Enza, per esempio, l’ha raccontata così al comandante della Clementi chiamato dalla procura a una relazione informativa: «Un giorno il caporal maggiore mi si è rivolto chiedendomi cosa gli potevo dare per sapere la mia destinazione. Dissi “nulla, aspetto altri due giorni e lo saprò”». E l’altro, sempre secondo l’allieva: «Devi offrire te stessa a me e poi agli altri istruttori. Mi devi dire se sei vergine o meno, perché se lo sei devo prendere delle precauzioni, altrimenti devo prenderne altre, ad esempio frustini...». Ma non scherzava? «Forse, ma a me non piaceva». Di giorno in mensa , di sera negli uffici del plotone. La procura ha fatto l’elenco: «Il caporal maggiore dopo il contrappello riceveva alcune allieve con cui si intratteneva per bere e scambiarsi effusioni... G.M. dopo la mezzanotte contattava via sms l’allieva Simona invitandola a raggiungerlo in ufficio per chiacchierare e avere un rapporto sessuale... ». E avanti così, tratteggiando la caserma di Ascoli come qualcosa di boccaccesco. Naturalmente la stragrande maggioranza delle allieve non partecipava agli incontri proibiti, molte ne ignoravano pure l’esistenza, altre li rifiutavano. Come Monica: «Il sottufficiale si è avvicinato a me e mi ha abbassato leggermente la cerniera della giacca della tuta. Io mi sono allontanata riordinando l’uniforme - ha messo a verbale - Vedendomi infastidita mi ha detto che l’aveva fatto perché faceva molto caldo». Nonostante la mimetica, un argomento forte era il décolleté di Gaia. «Lui era entrato nella camerata e diceva di essere intervenuto per un problema tecnico - ha raccontato -. Poi ha iniziato a dire che avrebbe preferito entrare nelle diverse camerette a trovare le volontarie in biancheria intima invece che in uniforme, infine mi ha espresso apprezzamenti sulla mia scollatura...». Fin qui, gli approcci. Poi c’è il capitolo «violenza contro inferiore, minacce e ingiurie», dove a farla da padrone è sempre il caporale G. M., rispetto al quale, in questo caso, sfigurerebbe anche il duro sergente Hartman di «Full Metal Jacket», quello che chiamava l’allievo «Palla di lardo». Ecco il suo vellutato sistema di addestramento: «Vi faccio sputare sangue, mi sembrate delle pecore, lo sapete cosa fa il pastore con le pecore... mi fate schifo... Tu sei una casalinga non idonea alla vita militare, hai i prosciutti al posto delle gambe, chiatta, balena... Siete delle galline, delle pappe molli, siete tutte z...», e avanti così, edulcorando e rimanendo alle espressioni più gentili. Il suo avvocato, Giovanni Falci, ricorda che contro il suo cliente il 25 febbraio sarà celebrato un processo con rito abbreviato ad Ascoli per fatti analoghi, dove però l’accusa è da tribunale ordinario: abuso d’ufficio. Falci dice che non bisogna sorprendersi: «Per una caserma si tratta di un linguaggio istituzionale. Stiamo parlando di addestramento al combattimento, di lancio di bombe, di piegamenti sulle braccia. È sempre stato così, andiamo, solo che adesso ci sono le donne. Il caporale non voleva danneggiare nessuno, solo stimolare e pungolare». Quanto agli appuntamenti serali, il legale sospira: «Non si può impedire che soldati e soldate si incontrino, fa parte della natura umana e forse sarebbe meglio adeguare il codice a questa nuova realtà». A lui si è rivolta anche Anna che frequentava G. M. e che ora è indagata anche per abbandono di posto, perché quella sera ha lasciato il banchetto di piantone per salire nell’ufficio del caporale. Lo stesso caporale che di fronte all’incalzante colonnello che lo interrogava, ha fatto, dulcis in fundo , una lacrimuccia: «Ho sbagliato - avrebbe singhiozzato - è giusto che paghi».

Il caso Paolo Ferraro e il caso Melania Rea in tre articoli pubblicati a firma di Enrica Perrucchietti (Paolo Ferraro) su “Signoraggio”.

Una penna sublime, una conoscenza profonda, uno studio attento ed una giornalista intellettuale di primissimo ordine per un articolo in tre parti del 2011, eccezionale. Con una precisazione sulla terza parte, dovuta, ad Enrica. Le parti uno e due sono state pubblicate sulla rivista XTIMES nell’autunno del 2011 , la terza su sito in rete nel 2012 .

Parte prima pubblicata nell’ottobre 2011 Di Enrica Perucchietti.

Loro? Chi sono Loro, Raymond?” chiede con angoscia il vecchio giornalista a Raymond Shaw un attimo prima che questi lo uccida, nel film del 1962 The Manchurian Candidate. Potete chiamarli Loro, o rubando l’espressione più prosaica a Webster Tarpley, “compagnia bella”. Non saprete mai chi sono. Coperti da corporazioni, lobby e governi, di destra e di sinistra, manipolano l’opinione pubblica e condizionano le menti di reclute, politici, malati psichici, giovani donne e bambini per poter avere il controllo sull’agenda mondiale e sulla storia. Controllo mentale. In senso più stretto per controllo mentale si intenda una metodologia psichiatrica elaborata negli anni ’50 e ’60 da alcuni programmi sperimentali della CIA (come il noto Progetto MK ULTRA) o inglesi (come il TAVISTOCK) che avevano lo scopo di contrastare la più avanzata ricerca scientifica di Cina, Russia e Corea sul controllo mentale. Da quel che emerge almeno dagli oltre 22 mila documenti statunitensi declassificati e riportati alla luce nel 1977, gli esperimenti facevano ricorso a droghe come LSD, abusi fisici e psichici, radiazioni, elettroshock, e ipnosi. Numerose testimonianze da parte di ex vittime parlano anche di un risvolto “occulto” con abusi sessuali sulle vittime quali stupri e addirittura pedofilia a sfondo satanico per manipolare i bambini. Questo genere di torture non sarebbe però finito nei “mitici” anni ’70 ma si sarebbe raffinato e continuerebbe ancora oggi seguendo un protocollo specifico. Progetto MONARCH. L’eredità del MK ULTRA sarebbe la programmazione Monarch: una tecnica di controllo mentale che comprende elementi del Satanic Ritual Abuse (SRA) e del disturbo di personalità multipla (MPD). Come nei programmi di controllo mentale elaborati dalla CIA, psichiatri e ricercatori di neuroscienze avrebbero continuato i progetti degli anni ’70 elaborando una combinazione di psicologia, neuroscienze e rituali occulti per creare all’interno degli schiavi un alter ego che possa essere attivato e programmato dietro semplici comandi. Gli schiavi della programmazione Monarch vengono oggi utilizzati da varie organizzazioni collegate con l’élite mondiale – in particolare massoneria e Illuminati – in settori come: l’esercito, la schiavitù sessuale e l’industria dell’intrattenimento che comprende soubrette, escort, etc. In questo senso il magistrato italiano Paolo Ferraro avrebbe scoperto a sue spese l’esistenza di una setta di carattere occulto legata al Corpo Militare SMOM (Sovrano Militare Ordine di Malta), che coinvolgerebbe alcuni vertici militari, e avente legami con magistratura, psichiatria, politica e, infine, massoneria deviata. I Loro in questione sarebbero coloro che si nascondono dietro la piramide di silenzio e torture volta ancor oggi a manipolare la mente di reclute, persone scomode, gente comune, pazienti psichiatrici, bambini…The Manchurian Candidate. Tratto da romanzo The Manchurian Candidate di Richard Condon l’omonima pellicola del 1962 di John Frankenheimer – a metà tra Hitchcock e Welles – ebbe un destino infelice: snobbato dai critici nonostante la potenza visionaria e la presenza di un cast di prim’ordine (Frank Sinatra, Angela Lansbury, Janet Leigh), anticipava di poco la dinamica ancor misteriosa della morte di John F. Kennedy l’anno successivo. Si racconta che per le straordinarie analogie con l’assassinio di JFK, Sinatra – proprio colui che aveva aiutato l’ambasciatore Joseph Kennedy a stringere un’alleanza con la Mafia di Chicago durante la campagna elettorale del figlio – ordinò il ritiro del film dalle sale cinematografiche. Non aiutava neppure la somiglianza del co-protagonista del film, Raymond Shaw, con il Presidente democratico: l’eroismo dimostrato da JFK in guerra, quando, nonostante il morbo di Addison, portò in salvo i compagni marines nuotando per oltre 5 km in un mare impestato di squali risuonava nelle gesta cinematografiche del giovane Shaw – costruite ad hoc dai medici russi e coreani affinché tornasse in patria accolto come eroe di guerra. Il film venne ripreso nel 2004 da Jonathan Demme che ne trasse il più noto remake con Denzel Washington – nei panni di Ben Marco, che furono di Frank Sinatra – Liev Shrieber, Meryl Streep e John Voight. Cathy O’ Brien. La storia di Paolo Ferraro invece è vera ma è una di quelle destinate a farvi venire le vertigini. L’unico paragone possibile è quello con Cathy O’ Brien, il cui racconto appare ancora ad anni di distanza della pubblicazione di TranceFormation of America e Access Denied come un pugno nello stomaco. Nel caso della O’ Brien mancano però le prove inconfutabili a sua testimonianza, mentre nel caso del PM romano esistono file audio, video e centinaia di pagine di documenti. Basta avere il coraggio e la pazienza di aprire il vaso di Pandora. Ringraziando la fiducia e la disponibilità di Ferraro, io l’ho fatto. Questa è la sua storia. Chi è Paolo Ferraro? Come il Maggiore Ben Marco, il Procuratore Paolo Ferraro è stato sospeso dal suo incarico e per lungo tempo bollato come pazzo da chi non poteva capire ma soprattutto doveva scoraggiarlo nelle sue indagini. Se la paranoia del personaggio interpretato da Frank Sinatra trae origine da sogni che gli ricordavano un’altra realtà rispetto a quella che coscientemente ricordava di aver vissuto in Corea, il comportamento del magistrato trae origine dall’intuizione che la donna che aveva a fianco non fosse realmente ciò che sembrava e da prove indi raccolte minuziosamente. Entrambi hanno avuto però il coraggio di seguire il proprio istinto e di verificare se i dubbi riguardanti Raymond Shaw e la compagna del PM, tale S. R. fossero veri. Anche le iniziali dei nomi sono le stesse, quasi che la Cabala abbia lasciato un indizio o un Trickster il proprio zampino…Ci si potrebbe chiedere perché il PM abbia messo a repentaglio la propria vita e carriera per scoprire che cosa si nascondesse tra le quattro mura di casa sua quando usciva lasciando la compagna Sabrina da sola. Sarebbe bastato andarsene e interrompere quella relazione per certi versi “inquietante”. Abbandonare quello stabile abitato soltanto da militari e dalle loro mogli dalla dubbia moralità e con figli più simili ad automi che a bambini. Forse l’affetto nei confronti della donna e la presenza del figlio di lei all’epoca solo dodicenne lo hanno spinto ad andare fino in fondo. Forse una parziale inconsapevolezza del pericolo in cui si stava deliberatamente cacciando. Il suo comportamento temerario più che coraggioso è indice infatti di un’eccessiva fiducia nella Giustizia italiana che urta contro la conoscenza che un PM dovrebbe avere del sistema giudiziario e dei suoi inganni. Per certi versi, nella discesa agli inferi e ritorno, il magistrato sembra indossare i panni di un novello Don Chisciotte che si ostina a lottare contro i mulini a vento piuttosto che accettare l’ineluttabile e salvarsi la pelle. La sua ostinazione nel percorrere la sua missione – o catabasi? – fino in fondo lascia spiazzati e non può che far riflettere sul problema del secolo scorso e del suo incancrenimento in quello in corso: la paura e l’indifferenza prima come uomini, poi come cittadini che ci fanno finire il più delle volte – citando Giovanni Papini – col divenire complici silenziosi delle offensive diaboliche. Chiamatela banalità del male, chiamatela a-morale indifferenza, pochi al posto del magistrato sarebbero andati fino in fondo per sete di giustizia o di verità. La maggior parte di noi se la sarebbe data a gambe, lasciandosi il passato alle spalle. Eppure alcuni strani comportamenti della compagna, delle sibilline rivelazioni da parte del figlio di lei, il comportamento dei vicini di casa che sembravano sgusciati fuori da un romanzo di Ira Levin, hanno spinto Ferraro a oltrepassare la soglia per la verità. Mi sono scervellata su questo per settimane, fino a dovermi confrontarmi con lui. Gli ho chiesto quali effettivamente fossero questi indizi che lo avevano messo in allerta e perché non avesse preferito affidarsi a un investigatore privato. O andarsene e basta. Le sue risposte sono state sincere e mi hanno convinto. Le ammissioni della compagna Sabrina di aver preso parte a uno strano gruppo – simile a una setta – il suo coinvolgimento giovanile nell’estrema sinistra e la frequentazione con ambigui personaggi appartenenti ai servizi segreti, l’uso nel passato di cocaina e hashisc , l’ammissione di aver lavorato come hostess ed estetista in ambienti in cui erano persone  dedite alla prostituzione, incubi e strani sogni ricorrenti, infine il rapporto conflittuale, a volte persino violento con il figlio dietro l’immagine da “bambolina” acqua e sapone che voleva trasmettere sarebbero bastati a chiunque per dubitare di lei. Bella da mozzare il fiato, ma scostante e dal carattere boderline. Ex moglie di un sottoufficiale circondata da personaggi ambigui legati a filo doppio. Insomma, una donna fragile ma con troppi segreti. La vicenda dai toni fantapolitici sembra infatti sgusciata fuori dalla penna di Kafka, o, per gli scenari di reticenza e di complotto che ne hanno accompagnato la genesi, da un racconto di Tiziano Sclavi. Ciò che sconcerta tutt’ora è la complicità del sistema al comportamento criminale scoperto e denunciato dal PM. Connivenza, disinformazione, inganni, tradimenti, menzogne. A tutti i livelli: dai vertici militari, giudiziari, fino alla famiglia e ad alcuni colleghi della Procura. Ci sono davvero tutti gli elementi per un noir o per finire dritti al manicomio. Cosa che è successa al PM che dopo un tentativo di Trattamento Sanitario Obbligatorio assolutamente illegale, è stato sottoposto per mesi a terapia farmacologica in modo da “sedare” ogni possibile volontà di continuare sulla strada intrapresa. Ma il tentato sequestro da parte delle autorità sanitarie, la somministrazione di psicofarmaci e la seguente sospensione dall’incarico – mentre le perizie dimostravano la sua sanità mentale! – non hanno messo a tacere la sua sete di verità. Anzi, credo che abbiano alimentato il suo bisogno di risposte per uscire dall’incubo in cui era precipitato. Ma che cosa non doveva scoprire e soprattutto rivelare Paolo Ferraro? La presenza di una setta, o meglio, di un’organizzazione settaria, sotterranea, all’interno dell’esercito, con ramificazioni nel mondo della psichiatria e della Procura, che praticherebbe riti occulti a base di sesso e droga, ipnosi e manipolazione mentale in stile MK ULTRA. A rendere la vicenda ancora più inquietante la presenza di minori testimoniata da intercettazioni ambientali raccolte seppur in modo illegittimo dal PM. Le prove. A chi conosce il nome di Paolo Ferraro è senz’altro nota la storia. Eppure su internet la vicenda è stata ripresa in modo distorto. Stampa cartacea e TV, come spesso accade, hanno scelto di insabbiare la vicenda. Questa deliberata reticenza a trattare il caso o almeno a diffondere la notizia della sospensione del magistrato dal suo ruolo – condannata dallo stesso in un’apposita conferenza stampa – è stato uno dei motivi che mi ha spinto a interessarmi della storia. Il secondo motivo è stato un dettaglio confidatomi dall’amico Gianluca Marletta che, avendo avuto modo di parlare brevemente con il PM, aveva scoperto che tra le tante minacce ricevute, a Ferraro era stato intimato di sospendere le indagini e di non parlarne per almeno due anni – ovvero fino a fine 2012 – inizio 2013. Questo periodo mi ha incuriosito: accantonata la pista che conduce alla “fine del mondo” del 21 dicembre 2012, è pur vero che nel mondo della controinformazione stanno filtrando da alcuni mesi delle indiscrezioni su un ipotetico Golpe nazionale o addirittura internazionale che dovrebbe avvenire in quella data. Non potendo scartare l’ipotesi di una psicosi di massa o meglio, di una follia collettiva che starebbe colpendo taluni giornalisti, ricercatori, ora anche avvocati e magistrati, uniti da un’irrazionale convinzione nella fine del mondo, ho deciso di sentire direttamente Ferraro. Se non si confermano le fonti all’origine si rischia soltanto di farsi un’idea distorta o di credere “per fede” a una testimonianza solo perché essa ci aggrada o ci stimola l’immaginazione. Il che, ovviamente, dal punto di vista giornalistico, è assurdo. Ho avuto così modo di conoscere il protagonista di questa intricata vicenda e ricostruire, dati alla mano, la sua versione dei fatti: Ferraro mi ha infatti messo a disposizione 38 file audio di intercettazioni ambientali da lui stesso effettuate, due registrazioni di telefonate, diversi memoriali, tutti i documenti della Procura di Roma e Perugia e le perizie sul suo stato mentale, mail e sms scambiati con la sua ex compagna. Ora, quanto segue è un breve resoconto della storia vista e vissuta da Paolo Ferraro, senza aver avuto modo di interrogare anche gli altri protagonisti della vicenda, compito che spetta alla Procura di Perugina dove il Pm ha depositato denuncia. L’aspetto che più colpisce di questa vicenda è l’ostinata rete di alleanze volte a persuadere il magistrato ad abbandonare le ricerche e, una volta appurata la mancata efficacia del metodo, la manovra di discredito dell’uomo sino a un tentativo reiterato di un trattamento sanitario obbligatorio.

Parte seconda pubblicata nel novembre 2011 di Enrica Perucchietti.

Per trovare un precedente del caso del magistrato Paolo Ferraro, che sia confermato da documenti altrettanto ufficiali e attendibili, bisogna risalire nel passato. Correva il 1950 e la vicenda passò alla storia come il caso “Dot Jones”. Poco dopo la pubblicazione di Dianetics, il ricercatore e scrittore Ron Hubbard, ricevette a Washington la visita di una giovane donna visibilmente alterata che manifestava evidenti sintomi compulsivi alternati a frasi senza senso ripetute come un mantra. La donna era la moglie di un ufficiale del servizio segreto dell’Esercito che, in seguito si sarebbe scoperto, era stata drogata, sottoposta a elettroshock e ipnotizzata nel deliberato tentativo di controllarne il comportamento. Fu uno dei primi casi di manipolazione mentale su un civile che venne reso pubblico e che permise al futuro fondatore della religione di Scientology, di smascherare gli effetti distruttivi del meccanismo psichiatrico di dolore-droga-ipnosi volto a condizionare la mente umana e a installare comandi sub-ipnotici: «Questa forma di ipnosi – scriveva Hubbard nel libro Scienza della Sopravvivenza del 1951 – ha costituito un segreto gelosamente custodito da determinate organizzazioni militari e spionistiche. È un’arma da guerra insidiosa e, per conquistare una società, può essere notevolmente più utile della bomba atomica. Questa non è una esagerazione. La diffusione di questa forma di ipnosi nel campo dello spionaggio è talmente vasta oggigiorno che la gente avrebbe dovuto iniziare a preoccuparsene da un bel pezzo». MK-ULTRA. Ciò che allora poteva sembrava ancora come fantascienza, venne svelato solamente a metà degli anni Settanta quando i documenti della CIA sul progetto MK-ULTRA vennero resi pubblici, sfuggiti per errore alla loro distruzione ordinata nel 1973 dall’allora direttore della CIA Richard Helms. I documenti testimoniavano che il programma MK-ULTRA: «…riguardava la ricerca e lo sviluppo di materiale chimico, biologico e radiologico da potersi utilizzare in operazioni clandestine per controllare il comportamento umano [...] furono tracciate ulteriori strade per il controllo del comportamento umano, da investigarsi sotto l’ombrello protettivo dell’MKULTRA, incluso radiazioni, elettroshock, vari campi della psicologia, sociologia e antropologia, grafologia, sostanze molestanti, materiali e dispositivi paramilitari». Le tecniche di controllo mentale avevano infatti subito un’impennata grazie a un protocollo segreto che aveva permesso a eminenti psichiatri e neuroscienziati di testare su cavie umane tecniche per ottenere il depatterning del cervello attraverso la somministrazione di droghe naturali quali il peyotl e artificiali come LSD, oltre a torture, deprivazioni sensoriali, di sonno e cibo, elettroshock, ipnosi, immersione in campi e frequenze elettromagnetici. Il lavaggio del cervello e la perdita di memoria uniti al trauma reiterato portavano alla decognizione, perdita di controllo e di identità da parte della vittima. La mente alveare. Quando siamo vittime di un trauma profondo la nostra mente crea infatti una barriera di amnesia intorno all’evento, in modo da non dover rivivere il dolore di quei ricordi: la mente si parcellizza, isolando così il ricordo del trauma che viene rimosso ma non eliminato. Furono i nazisti i primi a rendersi conto che – grazie agli studi del dottor Mengele – se si traumatizzava sistematicamente qualcuno attraverso la tortura, le molestie sessuali, o sacrificando e torturando qualcun altro davanti ai suoi occhi, si poteva distruggere la mente di quella persona, trasformandola in qualcosa di simile a un nido d’api, costituito cioè da compartimenti indipendenti, separati da barriere di amnesia: è la cosiddetta teoria della mentalità dell’alveare. È per questo che oltre alla deprivazione sensoriale, la somministrazione di droghe e la tortura, si utilizzano rituali occulti a sfondo satanico per traumatizzare, plagiare e manipolare la mente delle vittime: una volta che l’unità della mente è stata distrutta, i vari compartimenti, ognuno ignaro dell’esistenza dell’altro, possono essere programmati per vari compiti o esperienze, senza che l’uno abbia coscienza dell’esistenza dell’altro. Ciò non esclude la possibilità che vi siano dei veri e propri missing-time sentiti dalla vittima con malessere per l’incapacità di ricordare. Usando parole-innesco, chiavi, suoni o segnali ipnotici, questi compartimenti possono essere spostati in avanti o all’indietro proprio come un casellario mentale. Un compartimento autonomo, corrispondente a una specifica personalità della mente riprogrammata, diventa così il livello cosciente dell’individuo, e risprofonda poi nell’inconscio, nel momento in cui si ha accesso a un altro compartimento. Questo significa che dopo aver eseguito un compito, la vittima dimentica ciò che ha fatto e con chi. Questa condizione è divenuta nota come Disordine della Personalità Multipla (MPD) o Disordine dell’Identità Dissociata (DID), che ovviamente la psichiatria tratta come una “patologia” senza prendere in considerazione i possibili casi di dissociazione indotta e non patologica o genetica. Il progetto MONARCH oggi. Nonostante i documenti sul progetto MK-ULTRA o i dossier sul progetto inglese TAVISTOCK siano ormai noti, si stenta ancora a credere che i Governi possano aver sperimentato, grazie all’ausilio di equipe di psichiatri e neuroscienziati, tecniche di manipolazione mentale su civili e militari allo scopo non solo di resistere a interrogatori da parte di nemici o di creare il sicario perfetto – il cosiddetto “Candidato Manciuriano” – ma più in generale per manipolare e sottomettere la mente di qualsiasi individuo. L’eredità del MK-ULTRA è stata invece continuata e sviluppata nel progetto MONARCH ed esportata nei Paesi dove la presenza dei Servizi inglesi e americani è forte. Se l’Australia è ancora oggi sede di sperimentazioni psichiatriche legate al vecchio progetto Tavistock, o il Belgio capostipite in Europa di esperimenti in tal senso a sfondo satanico, in Italia le infiltrazioni dei servizi segreti e delle sperimentazioni psichiatriche avvengono non solo in cliniche quanto all’interno degli avamposti militari, come scoperto e reso pubblico proprio dal magistrato Paolo Ferraro. L’omicidio di Melania Rea. E qui emergono anche i collegamenti con la Caserma di Ascoli Piceno dove operava come addestratore Salvatore Parolisi, secondo la testimonianza di Leo Lyon Zagami legato alla Loggia napoletana del Tempio di Set: un mese prima della morte di Melania Rea, il pm Paolo Ferraro avrebbe incontrato la donna alla Procura di Roma, dove sarebbe andata per un colloquio con un altro magistrato e che – forse? – le sarebbe costato la vita. Melania era a conoscenza delle pratiche non solo sessuali (emerse negli ultimi mesi) utilizzate all’interno della caserma per “addestrare” le “sacerdotesse” cadette? Voleva in questo senso chiedere il trasferimento del marito, per salvarlo da quel girone infernale, o forse da se stesso? Il 235° Reggimento di Fanteria “Piceno” di Ascoli Piceno, dove lavorava Parolisi ( e in Roma Cecchignola vi sono nessi che portano allo SMOM – Corpo Militare dell’Ordine di Malta), era una base segreta per la manipolazione mentale? A questo servivano le angherie sulle giovani reclute, i festini a base di droghe e sesso? Alla fine del racconto troverete da soli la risposta. Ma questa è un’altra storia…Avere una compagna riprogrammata. La nostra storia, invece, ha luogo nella cittadina militare di Cecchignola, vero e proprio avamposto dello SMOM. Qui il PM Paolo Ferraro si trasferisce nel 2008 a convivere con la sua nuova compagna, S., nell’appartamento di lei e dell’ex marito, sottoufficiale dell’esercito. Stranamente il marito non si oppone a quella convivenza, anzi, sembra incoraggiarla. Così come Ferraro era stato “incoraggiato” a frequentare la donna tramite un amico comune. La possibile mancata casualità dell’incontro sarebbe emersa soltanto più avanti… non come mera congettura. Lo stabile è tutto abitato da coppie in cui gli uomini sono membri dell’esercito. Qua sorgono i primi indizi che mettono in guardia il magistrato: strani sguardi d’intesa tra vicine di casa che non si parlano e sembrano solo all’apparenza detestarsi; bambini talmente sottomessi alla volontà dei genitori da sembrare degli automi; un uomo che vigila su tutto e tutti. L’inquietudine dello stabile si prolunga in quei momenti di blackout nella personalità della compagna, S., con troppe zone d’ombra nel passato e troppe anomalie nel presente. C’è il rapporto a volte improvvisamente violento con il figlio dodicenne che in un paio di occasioni lascia trapelare con Ferraro che succedono cose assurde che ha “paura” di riferire per non essere preso per pazzo, quando il PM non è in casa. C’è l’ammissione della donna – con un passato/presente occultato nelle frange estremiste di sinistra – di aver preso parte a una specie di Setta (“la setta non mi ha mai fatto del male…”) e di avervi di fatto introdotto anche il figlio. Ci sono delle lacune nei suoi racconti, è evasiva sul suo passato: anche incalzata dalle domande, si ritrae. Poi ci sono gli incubi ricorrenti, i blackout che la stremano anche fisicamente, le abbuffate compulsive di cioccolata e le disfunzioni alla vescica che la costringono ad alzarsi più volte la notte per andare in bagno. Dove la paranoia e il carattere all’apparenza borderline della donna si associano a una consapevolezza di essere sottomessa alla volontà altrui, spingono il magistrato a registrare ciò che avviene in casa quando egli esce per andare a lavoro. Si è accorto infatti di un sospetto via vai dentro e fuori casa sua: i vicini lo osservano entrare e uscire dall’appartamento come delle sentinelle pronte a dare il via libera. L’incubo ha inizio. Da qua nascono i file audio che mi ha sottoposto. Alcune registrazioni sono chiare, altre disturbate e si possono ascoltare solo con un adeguato programma di montaggio per pulirne l’audio dai rumori di fondo. Si scopre presto che ogni volta che il magistrato esce per recarsi a lavoro, l’appartamento viene visitato da più persone che ne hanno addirittura le chiavi di casa. E qui inizia l’incubo: S. si dimostra subito mansueta, troppo accondiscendente. Le vengono ripetute delle frasi, cantilene e versi di canzoni che a un esame più attento sembrano essere dei comandi evocativi. Frasi o parole solo di rado sboccate, perlopiù sussurrate , alternate a espressioni in latino e ad anagrammi (“ah Be.Delta Dai”, forse anagramma di Beltade, comando evocatico sintetico che serve per stimolare la azione e forse anche il lato femminino della vittima). Frasi sussurrate di stampo medievalista che ne alterano la personalità. La voce atona di lei che risponde come un automa a comandi di altre persone e che sembra far emerge tre personalità distinte: soltanto in seguito Ferraro ipotizzerà che le tre personalità siano state indotte in base a traumi del passato – che può ipotizzare nei ricordi frammentari di S. – e che verrebbero richiamati tramiti comandi vocali veloci. Poi gemiti e suoni che fanno intendere il consumo di strane bevande (“Bevi”, “non mi va”, “tu Bevi!”), droghe e rapporti sessuali multipli con altre donne e uomini (“non mi va…”, “Ti va sempre!”), persino il coinvolgimento di bambini nelle attività sessuali. Gli schiavi MONARCH. Gli schiavi Monarch sono infatti principalmente utilizzati dalle organizzazioni per effettuare operazioni mediante capri espiatori addestrati a svolgere compiti specifici, che non contestino gli ordini, che non ricordino le loro azioni e che, se scoperti, si suicidino automaticamente. Si capisce in questo senso il tipo di addestramento che, secondo le ricostruzioni, si sarebbe svolto nella caserma di Ascoli Piceno, tra le cui mura avvenivano festini, angherie sulle soldatesse, uso e abuso di droga: evidentemente non solo casi di “nonnismo” o relazioni clandestine all’insaputa dei vertici. Ma questo dev’essere appurato dalle autorità competenti. Qui non possiamo che fare ipotesi sulla base delle testimonianze e della storia del PM. Le vittime della manipolazione mentale sono in generale il capro espiatorio perfetto per gli omicidi di alto profilo, candidate ideali per la prostituzione, per la schiavitù sessuale o la pornografia di tipo snuff. Sono anche perfette marionette per l’industria dell’intrattenimento che fa di loro delle star – da vallette a icone del pop – o come adescatrici per spiare o ricattare uomini pericolosi per il sistema o semplicemente scomodi. I collegamenti con altre vicende appaiono come pezzi di un puzzle più generale. Sara Tommasi. Così acquistano un senso diverso le dichiarazioni che la starlette Sara Tommasi, implicata in un giro di prostituzione e soldi falsi su cui indaga la Procura di Napoli, rilasciò al settimanale Diva e Donna pubblicato il 17 febbraio 2011, dove sosteneva di essere stata drogata e manipolata mentalmente. La Tommasi, al limite della paranoia, ha raccontato di essere stata seguita e ricattata per tenerla in proprio potere: “Mi mettono in casa anche il gas: dalle finestre, dai bocchettoni. A volte mi capita di addormentarmi e di dormire tantissimo. Sento un odore pesante e mi sento barcollare […] Mi hanno somministrato sostanze che rimangono nel corpo, per rendermi lasciva a letto. Ci sono dietro anche i servizi segreti: è la cosa che mi preoccupa di più. Fanno queste cose per uniformare una volontà comune”. La starlette arrivò a ipotizzare l’esistenza di un complotto di cui lei sarebbe stata vittima, lasciando intendere che dietro tutto ci sarebbe la regia di Berlusconi: “E potrebbero anche esserci dei riti satanici. Io mi sento obbligata a fare delle cose. Loro si sono impossessati di tutto. Mi controllano con le microspie […] Possono avermi anche impiantato dei microchip secondo me: è come se facessero degli esperimenti scientifici”. Il contenuto dell’intervista, bollato ovviamente come il delirio di una mente fragile sconvolta dallo scandalo, apre però inquietanti scenari sul reale svolgimento non solo dei festini ad Arcore, ma più in generale del servizio di escort gestito anche dalla camorra, e, secondo la Procura di Napoli, da Fabrizio Corona e Lele Mora. Quest’ultimo avrebbe avuto inoltre il compito di procacciare ragazze avvenenti per le cene del premier. Il condizionale, in situazioni delicate come questa, è naturalmente d’obbligo. La programmazione di S. Dalla ricostruzione ad ampio raggio del magistrato sembra invece emergere infatti il ruolo di S. come adescatrice assoggettata a un piano a lei sconosciuto: la donna sarebbe stata scelta e programmata per entrare nella vita di Ferraro, per osservarlo e spiarlo? La sensazione è che la donna si sia però innamorata veramente di colui che doveva controllare e che qui sia iniziata la dissociazione: la lotta contrastante tra i comandi subipnotici e i sentimenti per il compagno, forse la prima persona che in vita sua non abbia cercato di “usarla”. La presunta programmazione di S. ne avrebbe bloccato l’elaborazione cosciente nonostante alcuni ricordi e un malessere di fondo emergessero a tratti nella sua personalità base di compagna del PM. La programmazione si basa proprio sulla capacità di dissociazione che consente la creazione di nuove personalità indipendenti l’una dall’altra. Per questo nei file audio e nella vasta documentazione raccolta da Ferraro si distinguono degli immediati passaggi da uno stato di coscienza a un altro, con cambio evidente di tono di voce e di personalità – tre, di cui una di ragazzina – innescato a seconda delle volte da un semplice comando, invito, suono. Il vaso di Pandora è aperto. Messa di fronte all’evidenza dei fatti e fattele ascoltare le registrazioni, S. dapprima appare incredula, non riconoscendosi e non distinguendo le voci con lei. Poi si mostra impaurita per quello che le può accadere, infine reticente adotta un atteggiamento aggressivo negando la veridicità dei nastri. Alterna momenti di amabilità a scontri violenti ad ancora momenti di perdita di controllo e consapevolezza (prova ne sono le telefonate registrate, le mail e alcuni sms come quello che segue inviato a Ferraro mezz’ora dopo un sms all’apparenza normale: “Io vilipesa,data della putt,stordita,dimagrita,spaventata,ci ved luned¥@.@l@u@n@e@d¥”, dove il simbolo ¥ sembra richiamare la stilizzazione di un antico sigillo satanico e ancora del “capro” o del simbolo solare delle “corna”). Il confronto di Ferraro con l’ex marito e il padre della donna non portano a nulla, dimostrandosi entrambi sulla difensiva, come se sappiano più di quanto non possano o vogliano dire. Da qui la decisione immediata, e certo ragionevolmente coinvolta sul piano emotivo, del magistrato di depositare una denuncia presso la Procura di Roma, che si sarebbe presto ritorta contro di lui. L’errore fondamentale che ha compiuto il magistrato è stato quello di indagare come privato una situazione che si è rivelata essere più grande anche per un magistrato, e di depositare denuncia, scontrandosi così apertamente contro un sistema dove l’infiltrazione massonica è solo la punta dell’iceberg. Estraneo al mondo della controinformazione e tantomeno dell’occultismo, Ferraro non era allora consapevole della tempesta che stava per sollevare e che si sarebbe abbattuta su di lui con l’intenzione di spazzarlo via. Eppure, ha resistito, come uomo e come magistrato. La battaglia inizia ora. Avrebbe potuto soccombere al sistema, chinare il capo e tacere pur di tornare alla sua vecchia vita. Invece Ferraro si è scontrato apertamente contro la sovversione del sistema massonico e militare che aveva scoperto. Ciò gli è costato caro: la carriera, innanzitutto, il tentativo di discredito pubblico, un tentativo di Trattamento Sanitario Obbligatorio culminato in un vero e proprio sequestro di persona, la somministrazione di psicofarmaci. Ma né il TSO, né la sospensione dal lavoro l’hanno fermato: si è trovato solo, ha suoi famigliari, e colleghi congiurare contro di lui “per il suo bene”, ma ha resistito eroicamente ed è riuscito a rendere pubblica la sua storia. Ci scherza su e spiega che da buon “leone ascendente leone”, non può che essere un guerriero. Ora ha un’altra compagna e si è ricostruito quell’equilibrio che gli avevano sottratto con la forza. Ma non è più l’uomo che era prima. Ora conosce il suo nemico, il nostro nemico. Da questo punto è un privilegiato: ha aperto il vaso di Pandora, ha alzato il velo dello spesso sipario che, coprendo la realtà, ci fa vivere in un teatrino dove noi siamo soltanto marionette in balia dei poteri forti. Ora Ferraro sa che non è tutto come appare, che anche le istituzioni più antiche e tradizionali a cui facciamo quotidianamente riferimento come colonne portanti di giustizia e sicurezza, sono corrotte: le infiltrazioni massoniche e la sovversione satanica del sistema militare e della politica si sono estese ovunque, a nostra insaputa. Ma egli l’ha toccato con mano e ora si batte con il suo CDD (Comitato Difendiamo la Democrazia) per promuovere la democrazia in un percorso collettivo che veda la ricostituzione dei valori fondanti una società che si possa davvero dire “libera”: per contrastare quel golpe strisciante che il sistema attuale colluso con la massoneria deviata, sembra intenzionato a portare alle ultime conseguenze nel 2012, passando per la crisi economica e la distruzione del ceto medio. Ora Ferraro sa, e anche se gli mancano ancora dei tasselli che solo una buona conoscenza dell’occultismo e del sistema delle sette sataniche può fornire , si trova obbligato secondo il suo sistema etico e di valori a informare, formare, progettare antidoti politici e sociali a partire dalla testimonianza di ciò che ha scoperto. Non gli rimane altro che girare l’Italia, chissà, il mondo, come l’Eremita dei Tarocchi, cercando di diffondere quella luce e conoscenza che lo hanno illuminato in questo arduo percorso di conoscenza dal concreto, , anche se a caro prezzo. Le ferite rimarginate dall’impegno ideale e personale possono fungere da testimonianza e monito per il futuro: quel futuro che, sull’orlo della fine dei Tempi, solo noi possiamo riprendere in mano ricostruendo una solida speranza collettiva . Ha detto, come aveva sempre fatto nella vita sua, nò alle scorciatoie che ogni giorno accompagnano le nostre vite in modo silenzioso … nò alla ipocrisia ( il metro di giudizio falso al di sotto della realta .. ) ..nò a quel dominio violento, nascosto, progettato che ha appreso.

Il circolo dei pedofili assassini che nel 1996 venne alla luce in Belgio non è che una parte della rete satanica che opera in quel paese. Il giornale britannico “Sunday Times” riportò testimonianza di vittime che descrivevano alcune Messe Nere durante le quali i bambini venivano uccisi davanti a un pubblico formato da membri di spicco della società belga.

Dichiarazione postata su Facebook.

ENRICA …. una  necessaria durezza a suo tempo esercitata per salvaguardare le ipotetiche indagini a Teramo. Sulla parte terza non più fatta uscire sulla rivista XTIMES,  per un intervento a gamba tesa mio,  debbo delle pubbliche spiegazioni oggi, anche ad Enrica. Chiesi di  modificare il testo e di   scindere poi la parte simbologica e numerologica dal resto . Avevo difatti la ragionevole certezza della concreta e reale matrice militar deviata, e coperta, del tutto e la mia esperienza suggeriva che la “simbolizzazione rituale ” e la analisi conseguente potevano involontariamente  portare molto lontano dalla realtà utile. Oggi le indagini o il  libro sui traffici internazionali gestiti dall’esercito deviato e l’incardinamento della vicenda nel quadro più amplio e strategico (che inseguivo e intravedevo sin dall’inizio),  quantomeno spiegano la durezza del mio intervento di allora. Più in particolare però la indicazione ( non mia ) della ipotizzata personale conoscenza con Stefano Pesci di Melania , in ipotesi fatta di  amicizia di famiglia, e il racconto del mio vederla ( o vedere donna sosia) a Roma erano “necessariamente” nel dettaglio imprecisi e non riferibili a me ( e potevano creare una qualche indiretta confusione negli inquirenti ). Avevo invece  analiticamente descritto l’uomo ( ometto in gessato grigio e capelli grigi, con fisic du rule tipicamente campano e direi napoletano ) che  aveva accompagnato la donna nella procura romana, essendo stato analiticamente sentito sul punto dalla Procura di Teramo. Ma non potevo dirlo allora nè “farlo” scrivere. Chiesi comunque di modificare il pezzo, su dettagli, ma  con estrema decisione. Oggi sappiamo la rilevanza della mia descrizione dell’uomo che accompagnava al colloquio con Stefano Pesci alle ore 19 la donna nella procura romana: quell’uomo anche dovrebbe avere una certa identità. Infine ho preso,  dopo averla costruita consapevolmente per due anni , chiara e pubblica presa di posizione sul FALLIMENTO DELLA ROSACROCIANIZZAZIONE della SUPERGLADIO e sull’uso del culto,  simbolismo e numerologia a copertura, devianza interna e creazione dell’aurea paurosa e mitologizzata che serviva alle concrete attività della organizzazione segreta  che ho denunciato pubblicamente. Una associazione criminale segreta di stampo mafioso che non poteva comparire se non nella forma mitologizzata per creare la “omertà e paura/assoggettamento ”necessari, rimanendo occulta ed “inafferrabile“. Capirete bene che io mi muovevo nella esatta simmetrica direzione opposta. Dall’esoterismo all’essoterismo , affettuosamente pensando alla altrettanto intelligente Cecilia Gatto Trocchi, cui oggi tributo il mio riconoscimento ( ahimè) postumo.  IL testo della terza parte è stato poi pubblicato in rete e quì lo riporto come successivo tributo ( non postumo certo)  alla stupenda Enrica Perrucchietti che spero non me ne voglia per essere stato io un tantino autoritario ( lo ammetto ) e per  non averle potuto spiegare tutto. Paolo Ferraro.

Parte terza pubblicata su sito Voci della strada il 15 marzo 2012  di Enrica Perucchietti.

«Cari amici la soluzione del caso di Melania Rea è molto semplice: Salvatore Parolisi risulta essere legato alla filiale italiana del “Tempio di Set” che si trova a Napoli, setta fondata dal Tenente Colonnello Michael Aquino nel 1975, un esperto di altissimo livello di Psicologia Operativa legato al progetto Monarch del programma MK-ULTRA». Questo è un estratto di una dichiarazione postata dal ricercatore ex Illuminato Leo Lyon Zagami su facebook e poi ripresa da numerosi siti internet e quotidiani on line in merito al noto omicidio di Carmela Rea detta Melania. Ho chiesto subito ragguagli a Zagami che mi ha inviato un vecchio video del periodo in cui apparteneva ancora alla Loggia di Montecarlo e in cui constatava la pericolosità di Aquino, concludendo: «andatevi a studiare la metodica e il lavoro di Aquino – ha invitato Zagami – e vedrete che non sono solo speculazioni e mere affermazioni campate in aria. Purtroppo il segreto di stato in seguito tenderà a coprire certe verità, vista l’implicazione dei servizi segreti americani, ma i rituali descritti da Parolisi sono quelli in uso nel Tempio di Set e il fatto che abbiano la loro base operativa a Napoli e dintorni non pone di certo in loro favore. Questa informazione mi è stata data in maniera molto riservata anche da una fonte interna ai servizi segreti militari». Seguendo superficialmente questa ipotesi di lavoro si sarebbe inclini a condannare Parolisi come l’esecutore materiale del delitto, sulla base della sua presunta affiliazione al Tempio di Set. Ma i delitti rituali di matrice massonica o semplicemente satanica ci hanno insegnato – per quel poco che possiamo aver imparato dal “di fuori” – che la realtà non è mai quello che sembra: in questo campo si deve abbandonare purtroppo la logica aristotelica per calarsi nel mondo infero del cosiddetto “satanismo”. Da qui l’uso psicotico del simbolismo e della numerologia a sfondo rituale, chiave e matrice di un pensiero irrazionale che cerca di proiettare sulla realtà credenze di carattere magico e occulto che solo se interpretate in chiave esoterica possono svelare le dinamiche che queste società segrete portano avanti da secoli…In fondo, da Jack lo Squartatore agli inspiegabili delitti di giovani donne o bambini dei giorni nostri, molto poco abbiamo compreso, ostinandoci a non voler comprendere che proprio a fianco a noi esiste un apparato segreto con infiltrazioni in tutti gli ambiti del reale. Questo mondo sotterraneo utilizza, per dialogare e per farsi riconoscere dagli altri affiliati, un linguaggio e categorie di stampo esoterico all’apparenza incomprensibile. Solo all’apparenza. Melania in Procura. Partiamo dalla fine, ovvero dall’omicidio Rea. Le dichiarazioni di Zagami, la cui verifica di attendibilità lasciamo agli inquirenti che stanno ancora indagando sulla misteriosa morte di Melania, si ricollegano alla testimonianza del PM romano, Paolo Ferraro che ebbe modo di raccontare ad alcuni giornalisti di aver incontrato Melania, esattamente un mese prima dell’omicidio, presso la Procura di Roma. Ferraro stesso mi raccontò di essere sicuro al 99% di aver visto Melania uscire dall’ufficio di un suo collega procuratore, che a quel tempo stava tenendo d’occhio per i presunti legami di questi con la massoneria deviata. Fuori dai denti, Ferraro ha ammesso che la donna che gli passò davanti ( n.d. r. la vidi appena uscita  da una stanza accanto alla mia a sinistra e fuori la aspettava l’uomo descritto alla Procura di Teramo ) era talmente bella e carica di fascino che gli rimase scolpita nella memoria. Alta, bruna, mediterranea, dall’andatura sensuale, aveva però i capelli ondulati che le cadevano sulle spalle. Appena un mese dopo, quando la foto di Melania Rea venne trasmessa per la prima volta da tutti i notiziari e poi pubblicata dai quotidiani, dubitò che fosse lei solo per il dettaglio dei capelli che in tutte le immagini risultavano essere lisci. Quando finalmente vide una foto di Melania con i capelli al naturale, ossia ondulati, fu assolutamente certo che era proprio la donna che aveva incontrato quel giorno in Procura. Se teniamo fede alla testimonianza di Ferraro, sorge il dubbio sul motivo della visita della donna da sola alla Procura di Roma, ben lontana da casa. Il magistrato mi ha confessato di credere ( n.d.r. raccontato di aver ipotizzato ) che Melania si fosse rivolta a quel suo “collega” per denunciare un comportamento del marito, atteggiamento coerente con la ricostruzione della polizia che ha descritto una Melania furiosa per la relazione di Parolisi con la giovane soldatessa Ludovica Perrone: proprio Melania avrebbe minacciato Ludovica di rovinare la carriera a lei a al marito se quella liaison non fosse finita, tirando in ballo presunte conoscenze del padre e del fratello appartenenti all’Aeronautica italiana. Ora, questa interpretazione dei fatti, non è l’unica plausibile. La presenza di Melania in Procura si può interpretare in diversi modi: secondo la ricostruzione di Ferraro la donna si sarebbe rivolta a un magistrato – forse amico di famiglia o indirizzatole da qualcuno legato all’ambiente militare – per scoraggiare la relazione clandestina del marito o addirittura per denunciare gli abusi che avvenivano nella caserma di Ascoli Piceno dove prestava servizio il marito. I presunti festini, forse addirittura orge, l’abuso di droghe e le violenze sulle giovani reclute sono emerse in fretta e tanto in fretta messe a tacere, una volta che gli inquirenti hanno iniziato a indagare sul passato del caporalmaggiore. Difficile che la moglie ne fosse completamente all’oscuro. Forse che si riferisse a questo quando minacciò Ludovica di rovinarle la carriera rendendo noti certi dettagli? Di certo la notizia della relazione tra il marito e una recluta non sarebbe stata una notizia così sconvolgente da far finire nei guai i due amanti e da spingere Parolisi a uccidere la moglie. Il divorzio anche se in un ambiente “tradizionale” ancora legato ai valori famigliari non sarebbe stato un vero e proprio “scandalo”. Neppure la presunta eredità che Salvatore stava “aspettando” giustificherebbe un gesto così estremo, sebbene l’uomo, dai messaggi che si scambiava con l’amante su facebook, sia emerso come evidentemente esasperato. La pista passionale non giustifica tutta una serie di dettagli che sono emersi durante le indagini e che aprono alla possibilità che dietro l’omicidio ci sia la regia di una società segreta con evidenti infiltrazioni nell’esercito. Misteriosi rituali in caserma. Vi è anche la possibilità che Melania sapesse già dei rituali che avvenivano in caserma e di un ipotetico protocollo legato al progetto Monarch di addestramento e manipolazione mentale a cui venivano sottoposte le giovani reclute, e di cui Michael Aquino era un noto esperto ancor prima di entrare a fare parte della Chiesa di Satana e di fondare poi nel 1975 il Tempio di Set. In questo senso Melania può però essersi infuriata alla notizia del legame ormai consolidato tra il marito e Ludovica e ciò avrebbe potuto spingerla a confidarsi con un “amico” di famiglia, che, tra l’altro, secondo Ferraro, avrebbe il compito, nell’ambiente della massoneria infiltrata nella Procura romana, di dissuadere le giovani mogli o i vari testimoni a “denunciare” i soprusi o le violenze che vengono scoperte in ambito famigliare. Può essere successo così anche con Melania? Questo magistrato può aver tentato di dissuaderla ma vedendola irremovibile può aver dato l’allarme ai superiori, causandone così la morte (per mano del marito o di chi per lui). Lo scandalo in questo senso sarebbe derivato dalla rivelazione di “segreti” militari, non di una semplice relazione extraconiugale. Oppure, ancora, Melania conosceva perfettamente ciò che avveniva nella caserma perché anch’essa – venendo tra l’altro da un ambiente militare – era una “sacerdotessa” dei rituali che ivi venivano svolti? Per questo sembrava così “sottomessa” alla volontà del marito a cui aveva perdonato quella che sembrava essere solo una scappatella? Per questo si costringeva a digiunare per assecondare il desiderio dell’uomo che la voleva ancora più “magra”? O la sua anoressia dipendeva dalla frustrazione del tradimento? Non lo sapremo mai, ma sono le uniche ipotesi possibili se la donna effettivamente incontrata da Ferraro in Procura era veramente Melania Rea. Se prendiamo per vera la testimonianza del PM, Melania si sarebbe rivolta a qualcuno di cui si fidava e forse da questi sarebbe stata tradita, messa sotto controllo e dopo aver compreso le intenzioni della donna di rendere pubblici certi “segreti”, messa a tacere definitivamente. Pista satanica? A ciò aggiungiamo la dichiarazioni di Zagami, ovviamente da confermare, di un ipotetico legame di Parolisi con il Tempio di Set. È abbastanza plausibile che Parolisi avesse il ruolo di addestrare le reclute secondo una metodologia che sfociava nella manipolazione mentale, seguendo un protocollo molto, troppo simile al Monarch: droghe, violenze, sesso, abusi. Una testimone parlò agli inquirenti di una specie di rituale che prevedeva l’uso di candele nere mentre la “vittima” era legata al letto. Se Parolisi fosse stato anche affiliato al culto satanico fondato dal colonnello Michael Aquino, la faccenda assumerebbe dei connotati più precisi e drammaticamente più inquietanti. Se così fosse, cioè, sarebbe confermata la pista rituale non solo dell’addestramento che veniva svolto nella caserma, ma anche dell’omicidio di Melania. Ricordiamo infatti che la filiale napoletana del Tempio di Set è l’unica ufficiale esistente in Italia e i suoi proseliti furono già accusati di aver organizzato una messa nera nei sotterranei dello stadio San Paolo… La Chiesa di Satana. Fondato il 21 giugno 1975 da Michael Aquino dopo uno scisma dalla Chiesa di Satana di Anton La Vey, il culto del Tempio di Set si distingue dal credo razionalista professato da La Vey per abbracciare una concezione più occulta di Satana inteso come un vero e proprio essere personale. La Vey, infatti, nella sua Bibbia Satanica, precisava che Lucifero rappresenta l’energia vitale dell’uomo, «il fattore bilanciante della natura» e tutto ciò che è chiamato “peccato”, ovvero l’appagamento dei sensi, partendo dal presupposto che l’uomo è principalmente un animale, una creatura egoista e violenta: «Godetevi il meglio della vita. QUI E ORA» invitava La Vey, facendosi cultore della Via della Mano Sinistra e dichiarando infatti che, «il satanismo […] è la religione della carne, della mondanità, della sensualità». Detto ciò, dobbiamo però riconoscere a sostegno di La Vey, che costui non ha mai teorizzato il sacrificio umano né ha ritenuto che il Diavolo esistesse come creatura personale tanto che per lui la messa nera valeva come un semplice psicodramma: «il Satanismo è una forma di egoismo controllato. Questo non vuol dire che non devi mai fare nulla per gli altri. Se fai felice qualcuno a cui tieni, la sua gioia ti darà un senso di gratificazione». Purtroppo, come spesso capita, il suo pensiero è stato stravolto, travisato e confuso con emanazioni deteriori e successive del suo credo: egli, infatti ammoniva gli occultisti sostenendo che il vero mago non ha bisogno di spargere il sangue di vittime innocenti (e tantomeno di vergini o bambini!) per ottenere un risultato, perché «la liberazione di queste forze magiche NON è provocata dal reale versamento di sangue, ma dalla morte sofferta dell’essere vivente!», ossia dalla scarica bioelettrica che l’iniziato deve imparare a trarre «dal suo stesso corpo, invece che prenderla da una vittima innocente e non disposta!». La Vey giustificava invece la maledizione di coloro che si fossero resi colpevoli di crimini reiterati, cosa che fece egli stesso scagliando un incantesimo di magia nera contro Sam Brody, avvocato e compagno dell’attrice Jane Mansfield, Gran Sacerdotessa della Chiesa, reo di averla allontanata dal culto. Purtroppo a farne le spese fu la stessa attrice che morì insieme all’amante in un tragico incidente d’auto. Illesi i tre figli della donna avuti da Mickey Hargitay, che riportarono solo lievi ferite, tra cui Mariska, divenuta celebre attrice nel ruolo di Olivia Benson in Law and Order. I fedeli del Culto credettero ovviamente che il maleficio di La Vey avesse funzionato, i razionali non poterono che ridere di ciò bollandolo come una mera coincidenza: semmai la consapevolezza dell’anatema può aver agito sulle vittime a livello inconscio causando nel guidatore uno stato di angoscia che potrebbe esser sfociato in momento di disattenzione, causando così l’incidente. Ci ritroviamo di fronte all’arcaico dilemma tra i fautori dell’efficacia della magia e i suoi detrattori. Ciò che qui conta è che chi compie un certo tipo di rituali o materialmente dei crimini a sfondo cerimoniale “creda” che le forze occulte possano essere evocate attraverso adeguate pratiche e mediante un rigoroso seppur parossistico ricorso alla numerologia e al simbolismo. Ciò che crediamo noi conta davvero poco: i ricercatori, così come le vittime, si trovano dinanzi a un sistema segreto, occulto, gerarchico, chiuso, davanti al quale non possono che rimanere annichilite. Se si vuole invece cercare di comprendere le ragioni dei delitti rituali, non si può che scendere agli Inferi e da novelli Ulisse o Enea, consultare le stesse fonti a cui possono attingere coloro che credono a questo genere di cose. Ricordandosi, ovviamente, di risalire poi dal viaggio verso le Inferiora Terrae, come ben insegna il motto alchemico del VITRIOL…Il Tempio di Set. Se per il razionalista La Vey Satana rappresentava «il carnale, il materiale e gli aspetti mondani della vita», per Aquino, invece, Lucifero era un vero e proprio “essere personale” che andava adorato al posto del Dio biblico. Dopo aver invocato Satana e aver ricevuto in risposta un messaggio che trascrisse in The Book of the Coming Forth By Night e che divenne il testo fondamentale del credo (nel quale il Diavolo dichiarava di chiamarsi Set e che Satana fosse soltanto il suo epiteto ebraico), Aquino, memore della sua esperienza nel controspionaggio e nel progetto Monarch, estremizzò il concetto di “egoismo animale” teorizzato da La Vey codificandolo nella cosiddetta “piccola magia nera” La piccola magia nera, intesa a manipolare gli altri e l’universo in generale, «consiste nel far accadere qualcosa senza spendere il tempo e l’energia necessaria per farlo accadere attraverso un processo diretto di causa ed effetto», ove Aquino intendeva l’arte della manipolazione «grazie a semplici trucchi di disinformazione fino a una manipolazione estremamente sottile e complessa dei fattori psicologici nella personalità umana». A questa aggiunse una “grande magia nera” (che trae gli incantesimi dalla Golden Dawn e dagli insegnamenti magici di Aleister Crowley) legata invece a una rivisitazione del mito gnostico secondo cui il Principe delle Tenebre sarebbe invece un Portatore di Luce (come indica il nome Lucifero), una sorta di ribelle Prometeo che avrebbe consegnato la conoscenza agli uomini nonostante il divieto del geloso e sanguinario Dio biblico. In questo senso il “peccato originale” assume un significato opposto a quello cattolico. L’uscita dall’Eden e dall’alveo del malvagio dio biblico andrebbe interpretato come una presa di coscienza e di conoscenza dell’uomo primigenio che, grazie all’intervento del Serpente, scopre il modo per divenire egli stesso un dio, attraverso la legge Fa’ ciò che Vuoi di Crowley, intesa nel senso più alto come conseguimento della propria autentica volontà (da non confondere con i bassi istinti). In questo senso l’emancipazione dalla legge jahvista conduce l’Uomo Primo verso un cammino per il conseguimento della sua stessa deificazione: ecco che l’Uomo si fa Dio. Xeper. La filosofia setiana aspira infatti a conseguire un supremo autocontrollo (xepering) e a ottenere il controllo sulla natura e sugli altri mediante la piccola magia – che risente come abbiamo visto della metodologia acquisita da Aquino ai tempi del controspionaggio. Il Tempio di Set rifiuta il nichilismo e l’edonismo superficiale della società moderna per privilegiare un sentiero di conoscenza e potere: il suo ideale è “Essere è Conoscere”, l’opposto della filosofia orientale che ricerca invece la liberazione nei dettami mistici della Via della Mano Destra partendo dal presupposto che “Essere è Sofferenza”. I Setiani, sebbene credano in una divinità nel senso letterale, non adorano però Set nello stesso modo in cui i Cristiani adorano Dio: essi venerano Set in quanto rappresenta per loro una coscienza più profonda e la forza individuale sprigionata può renderli simili a un dio. Il fine ultimo dei Setiani è infatti quello di raggiungere questa più alta consapevolezza spirituale e più profonda conoscenza del sé. Tale processo di attualizzazione del sé è chiamato Xeper, un termine egizio che significherebbe secondo Aquino “venire alla luce”: anche per questo Lucifero, come abbiamo visto, è il portatore di Luce. Così la messa nera ha varie modalità di celebrazione, mentre gli altri riti sono rigidamente definiti. L’autorità esecutiva risiede invece nel “Consiglio dei Nove” che nomina il Sommo Sacerdote e il Direttore Esecutivo. Sei sono i gradi di appartenenza e l’affiliazione al Tempio è segreta e nota solo al Sacerdoti competenti. Per questo una presunta affiliazione di Parolisi alla filiale italiana del Tempio non è verificabile se non da membri interni al gruppo o da alti rappresentanti della massoneria o di altri culti legati al Tempio. Numerologia. Ma non è tutto così “semplice” come i Media o alcune fonti di controinformazione vorrebbero farci credere. Né è così evidente che il colpevole sia effettivamente Parolisi, nonostante sia indubbio che abbia raccontato (male) una marea di bugie, ai famigliari e agli inquirenti, rendendosi sicuramente “colpevole” agli occhi dell’opinione pubblica. Neppure la pista “passionale” è scontata, perché alla luce di parecchi indizi si sarebbe portati a definirlo un omicidio premeditato. Per comprendere questo genere di delitti, occorre scendere allo stesso livello dei mandanti/esecutori, che nei crimini rituali fanno ricorso a un parossistico quanto patologico utilizzo della numerologia e del simbolismo. Anche nel caso dell’omicidio di Melania il ricorso a una chiave esoterica del delitto può gettare luce sul movente, senza però arrivare a identificare il o gli esecutori materiali. Può servire da ipotesi di lavoro tenendo conto che costoro agiscono ricreando un tessuto del reale infarcito di numeri, simboli, nomi. Secondo la testimonianza di Parolisi la moglie sarebbe scomparsa il 18 aprile scorso intorno alle 15 sul Colle San Marco di Ascoli Piceno, dov’erano andati insieme alla figlioletta Vittoria di 18 mesi per trascorrere qualche ora all’aria aperta. Melania si sarebbe allontanata per cercare la toilette di uno degli chalet di zona, dal quel momento non sarebbe più tornata indietro. Dopo una ventina di minuti, non vedendola tornare, Parolisi avrebbe chiamato i soccorsi, facendo così scattare le ricerche di Carabinieri, Polizia, Vigili del fuoco, Vigili urbani, Soccorso Alpino e Corpo Forestale dello Stato. Le unità cinofile attive sul posto fiutarono una pista che portava fino a un sentiero che sfocia in un piccolo corso d’acqua non distante da una strada dove un’auto avrebbe potuto prelevare la donna fino a Colle San Giacomo dove dopo due giorni, il 20 aprile, venne ritrovato – in seguito a una segnalazione telefonica anonima – il cadavere martoriato da 35 coltellate. Sulla salma, infatti è stato rinvenuto il segno di un puntura e non si esclude che Melania sia stata narcotizzata e uccisa altrove. Il corpo è stato ritrovato solo due giorni dopo la sparizione a Ripe di Civitella, a circa 18 chilometri di distanza da Colle San Marco lungo la strada provinciale 35. Ora, il ricorrere dei numeri 18 e 35 è evidente, e se si suppone una matrice rituale, non può essere casuale. Parolisi è caporalmaggiore del 235° reggimento della caserma di Ascoli Piceno. 3+5=8, che negli Arcani Maggiori dei Tarocchi rappresenta la Giustizia, ovvero l’obbedienza come nel caso di Parolisi, militare. Legato al numero 8 il caporalmaggiore assume la connotazione di un sacerdote intermediario con Potenze Superiori (militari, o setiani?) a cui avrebbe rivolto la propria obbedienza mantenendo un segreto e in questo senso rappresenterebbe Giove (ma anche il Papa, che corrisponde al numero 5 dei tarocchi che analizzeremo tra poco). La Giustizia rivolta in questo caso nei confronti della vittima che porta sul corpo il segno di 35 coltellate (3+5=8) indica che è stata consumata una condanna tramite un giudizio imparziale emesso per un “tradimento”. Il tradimento in questione sarebbe stato quello di Melania, pronta a rendere pubblica la relazione del marito con Ludovica e, forse, i segreti della caserma dove venivano addestrate le reclute. Infatti il numero del giorno della morte di Melania, il 18, indica l’Arcano della Luna che se da un lato è legato alla femminilità, alla Madre, dall’altra indica la presenza di segreti, di un tradimento e di una forte gelosia – il sentimento che avrebbe accecato Melania pronta a rovinare la carriera del marito. La Luna indica inoltre la divulgazione di un segreto e il rischio di uno scandalo. Il corpo dissanguato. Nella numerologia il 18 è legato anche al sangue e al cadavere. Da notare che, come negli omicidi rituali, il corpo di Melania è stato trovato dissanguato… Come si trova scritto in Levitico 17, 11 «La vita della carne è nel sangue»: da ciò deriva il divieto ebraico di mangiare carne con sangue. All’opposto nei rituali cruenti, satanici o non (come quelli atzechi), le vittime vengono dissanguate e il sangue fatto colare sopra e lungo l’altare (sia esso in pietra o rappresentato dal corpo di una donna come nelle messe nere del satanismo di stampo ludico od occulto). In questo senso l’omicidio rituale di Melania sembrerebbe riproporre una ritualità simile al “sacrificio di riparazione” descritto in Levitico (Lv 5, 8; 7,1; 17,11). Ma in questo caso a essere sacrificata – proprio durante il periodo pasquale, ovvero il lunedì successivo alla domenica delle Palme – sarebbe stata Melania intesa come l’incarnazione della Dea Madre (o della sacerdotessa), come indicato cabalisticamente anche dal cognome della vittima: Rea. Rea, la Dea Madre. Nella religione greca, infatti, Rea rappresentava la Dea Madre e della Terra, associata poi alla divinità anatolica Cibele, venerata come Dea Madre, patrona della natura e dei luoghi selvatici, mentre presso i romani Rea veniva invece considerata la Magna Mater Deorum Idaea, associata inoltre a Opi, divinità del raccolto e compagna di Saturno. Saturno – che in questo caso sarebbe da identificare con Parolisi – inoltre è associato al carcere e a un periodo forzato di solitudine… Non per nulla Rea è il nome di uno dei satelliti di Saturno, che nell’alchimia, invece, rappresenta il grezzo elemento del piombo che deve essere trasfigurato in oro in seguito a un lungo processo di lavorazione. Il numero del reggimento dove prestava servizio Parolisi è 235 che dà come somma 2+3+5=10 che negli Arcani maggiori dei Tarocchi corrisponde alla Ruota della Fortuna che rappresenta il successo e la riuscita per chi lo merita e la caduta per chi invece è in errore. Indica in sintesi l’alternanza di alti e bassi e l’acquisizione di un vantaggio destinato però a non durare. Il 35 invece, numero delle coltellate inflitte a Melania e numero della strada provinciale lungo la quale sorge Colle San Giacomo, è un numero “pentagonale” e al contempo rappresenta il Triangolo di Tartaglia o di Pascal: secondo la sua interpretazione neoplatonica indicherebbe il passaggio dall’Uno alla Diade, ovvero il distacco dall’Uno e la caduta nella molteplicità, la genesi del manifestato e dunque del disordine. La creazione, ovvero il passaggio alla Diade è elemento di Caos, così come il rischio di rivelare un segreto che deve rimanere taciuto. Il 35 è anche il numero che simboleggia la natura, i boschi, i luoghi selvatici: Melania è scomparsa in un parco ed è stata ritrovata esangue in un altro bosco. Il suo cadavere, dunque, ha trovato riposo per due giorni in un bosco, proprio come il simulacro silvestre di una Dea – in questo senso come già suggerito dall’avvocato Paolo Franceschetti nel suo blog potrebbe rientrare in una macabra ricostruzione della Primavera di Botticelli, a cui dovrebbero essere aggiunte anche Sara Scazzi e Yarah Gambirasio. La simbologia di Botticelli. Sparita da Colle San Marco Melania è stata rinvenuta a 18 km di distanza a Colle San Giacomo: Giacomo è patrono dei soldati (come Parolisi, e infatti in quel luogo avvenivano abitualmente esercitazioni militari) e dei cavalieri. Il suo simbolo è la conchiglia, organo di nascita come rappresentato da Botticelli nell’altro suo celebre dipinto, La Nascita di Venere. In questo caso la conchiglia – simbolo ricettivo come la Luna – da rappresentazione femminile di vita e acqua finisce per richiudersi su di sé divenendo la tomba della divinità femminile (Dea Madre-Venere-Cibele-sacerdotessa-Rea-Melania) che è stata sacrificata. La conchiglia da ricettacolo di vita diviene simbolo di morte, ovvero tomba della Dea che è stata uccisa. Evidente anche l’allusione a una simbologia primigenia dove la Dea Madre – fonte di vita – muore immersa nei boschi per poi rigenerarsi, proprio come nel ciclo naturale. Come anticipato, la morte di Melania risale al 18 aprile, data in cui si festeggia proprio la Beata Maria dell’Incoronazione Carmelitana e Barbara Avrillot, madre fondatrice dell’ordine del Carmelo in Francia. Il vero nome di Melania è proprio Carmela… Il suo nome recava in sé l’allusione duplice (diade) alla divinità femminile, Dea Madre e sacerdotessa, legata alla vita e alla natura. La Diade indica appunto la scissione o emanazione dall’Uno primordiale: il 2 è rappresentato nei Tarocchi dalla Papessa e indica una persona che è a conoscenza di un segreto e che per questo può costituire un “peso”. Carmela Rea (anagramma di Era, moglie di Zeus, versione greca di Giunone compagna di Giove che abbiamo visto essere legato alla figura di Parolisi) muore lasciando in vita però la figlioletta di 18 mesi, Vittoria, forse testimone inconsapevole del delitto. Il “Vecchio Malefico”. 1+8=9, l’Eremita indica un segreto rivelato o un ostacolo difficile da superare: è l’assassino, il “Vecchio Malefico”: un’incisione del pianeta Saturno risalente al 1521, Pratica Teüsch lo raffigura infatti come un vecchio “malefico” con la falce. In questo senso sembra alludere all’omicida, ma non è detto che l’eremita sia lo stesso Parolisi, anche perché l’Eremita dovrebbe indicare un uomo di mezz’età. Ora, da una testimonianza anonima fatta al Corriere Adriatico, emerge che un uomo di mezz’età avrebbe fatto salire Melania in macchina – insieme ad altre due donne – proprio a Colle San Marco. La donna avrebbe litigato con il marito e sarebbe andata via in macchina con i tre. Ma con chi? E perché costoro si trovavano nel luogo della sparizione? Erano stati chiamati da Melania o la stavano seguendo? Sarebbe dunque questo uomo di mezza età il Vecchio Maleficio a cui il simbolismo sembra alludere? E perché questa pista – sulla base della testimonianza – non è stata battuta? L’esistenza di quest’uomo potrebbe svelare forse un’altra realtà rispetto a quella della pista passionale su cui si sono concentrate le indagini, e forse scagionare Parolisi. Capro espiatorio o semplice bugiardo? Il caporalmaggiore è sicuramente da associare all’arcano del Papa, o a Giove (noto per i tradimenti nei confronti di Giunone, così come nella mitologia greca Zeus con Era), compagno infatti della Papessa-sacerdotessa, ovvero Melania. Emblematica la frase che Parolisi disse commentando il “Calvario” che stava subendo: «Mi sento come Cristo in Croce». Qui abbiamo un “Salvatore” che si associa deliberatamente all’Agnello, a Cristo, evocando forse la sua natura di capro espiatorio. Una frase a effetto che nasconde forse un richiamo di innocenza? O l’ennesimo bluff di un bugiardo incallito che non distingue più la realtà dalle prigione di menzogne che si è costruito per evitare la condanna? Nel Vangelo di Marco 18, 1-35 (ricordiamo che Melania secondo il marito era sparita proprio da Colle San Marco) troviamo proprio la profezia dell’imminente Passione di Cristo. Se la croce rappresenta il numero 4, Cristo come centro della croce è il numero 1: la somma dei fattori dà come risultato il numero 5 che corrisponde appunto all’Arcano del Papa. Il Papa va inteso come il Gran Sacerdote, come medium o intermediario (nei confronti delle alte sfere) e in senso negativo indica debolezza morale, infedeltà e settarismo, caratteristiche che ben si attagliano a Parolisi, ancor di più se avesse ragione Zagami nell’additare l’uomo come affiliato al Tempio di Set. Sicuramente bugiardo, infedele, immorale, ma non necessariamente assassino. Se così fosse, avremmo però un Salvatore – incarnazione della divinità solare – che uccide la Dea Madre – divinità lunare come suggerito anche dal numero 18 – per “punizione” o semplicemente per viltà, attuando un “sacrificio di riparazione” e al contempo un gesto di contro-iniziazione nei confronti di quello che dovrebbe essere il legame “ermetico” tra marito e moglie: il matrimonio mistico, le nozze alchemiche. In questo caso avremmo lo Zolfo o Sole alchemico che uccide il Mercurio (anche identificabile con l’Argento) o Luna. Da un punto di vista “religioso” un emissario della Chiesa (Chiesa di Satana o Tempio di Set che sia) rappresentata dal Salvatore Parolisi che uccide la sua compagna (come la Maria Maddalena “espulsa” e additata come prostituta dal credo cattolico). Si conferma così il carattere solare dell’omicidio rituale che attraverso l’utilizzo della volontà magica (lo Zolfo ermetico) dissangua e uccide il Femminino, in vista di una sua resurrezione tra i suoi elementi “naturali”. I funerali di Melania sono stati infatti officiati presso la Chiesa di Santa Maria del Pozzo, che sorge sulle strutture della Chiesa inferiore fatta costruire dal re Roberto d’Angiò nel 1333 e dedicata alla Nostra Signora. Omicidio premeditato. Infine, è da notare che il corpo è stato ritrovato il 20 aprile, anniversario della nascita di Adolf Hitler. Sul cadavere della donna sono stati incisi post mortem vari simboli che ricordano croci uncinate e svastiche. Ricorrendo invece all’interpretazione di Enrico Cornelio Agrippa, contenuta nel suo Libro del Comando, i segni sul corpo della vittima sembrerebbero delle “intersecazioni” atte all’evocazione di “spiriti benigni” all’interno di una pratica di alta magia cerimoniale, che, stando all’ipotesi dell’omicidio rituale, non potrebbe essere stato compiuto in un parco, ma in un luogo asettico. Se abbracciamo questa teoria, torna l’ipotesi che a rapire Melania sia stato un uomo di mezz’età (che forse la vittima conosceva) insieme ad altre due donne. Costoro potrebbero aver condotto Melania in un luogo chiuso per officiare un rituale con il suo consenso o a sua insaputa, degenerato poi nella sua uccisione. Una volta “sacrificata”, il suo corpo può essere stato spostato a Colle San Giacomo. In ogni caso il 18/04, 1+8+4=22, nei tarocchi il Matto, indica la rottura drammatica di una relazione sentimentale ma anche che il colpevole (ovvero il Matto) è depositario di segreti “spirituali” ma è assolutamente “lucido” nei suoi propositi. Solo in apparenza sembra folle, perché ha compiuto un cammino iniziatico (o meglio, contro-iniziatico) che lo rende incomprensibile ai profani. In questo senso il delitto acquisisce un’ulteriore conferma della sua premeditazione rituale, accantonando la pista passionale. Al di là della gelosia, della passione e dei tradimenti che caratterizzano questa storia, l’uccisione di Melania – sia essa avvenuta nel Parco oppure in un luogo chiuso – ha un’evidente matrice cerimoniale: la donna ha pagato letteralmente con il sangue un tentato tradimento, ovvero la volontà di rendere pubblico un segreto che forse non riguardava tanto il marito, quanto ciò che avveniva all’interno della caserma di Ascoli dove Parolisi, come un sommo sacerdote, addestrava secondo un rituale di contro iniziazione giovani reclute, pronte – chissà – un giorno a divenire sacerdotesse di un culto legato alla Massoneria deviata, al progetto Monarch, forse agli Illuminati o al Tempio di Set. Ma il segreto su ciò che avveniva veramente tra quelle mura è morto per sempre (“provvisioriamente stato seppellito”) con Melania. 

MALAGIUSTIZIA: IL CASO EMIDIO ORSINI ED ALBERTO PANICHI.

Emidio Orsini e Mario Romanucci hanno presentato una denuncia alla Procura della Repubblica contro sei persone, due di questi avvocati iscritti al Foro ascolano, per presunte responsabilità nel far sì che procedimenti e denunce per usura e estorsione contro istituti di credito venissero archiviate. A comunicare questi fatti è stato il professor Carlo Taormina, così come riporta Gaetano Amici su “Picus on line”. Il noto penalista nel corso della conferenza stampa ha esposto le sue tesi, dalle quali ha preso le distanze Nazario Agostini, l'avvocato che assiste Emidio Orsini nelle sue 12 cause contro diverse banche e che ora ha presentato due ricorsi alla Corte di Cassazione in relazione a due sentenze di assoluzione emesse dal Gup Alessandra Panichi per gli indagati di due istituti di credito denunciati per usura. La denuncia presentata dovrebbe essere per presunta corruzione, secondo i fatti narrati dal professor Taormina che assiste l'Associazione nazionale Lotta Usura e Racket. A corredo delle denunce, secondo quanto riferito dal professor Taormina, ci sarebbero alcune registrazioni.

Emidio Orsini non è il solo a tentare di reagire ad un presunta ingiustizia subita. Dopo che la magistratura aquilana ha rigettato con l'archiviazione le molteplici denunce presentate da Alberto Panichi, imprenditore sambenedettese di spicco negli anni 80-90, contro 14 magistrati del tribunale di Ascoli Piceno, la "palla" passa ora alla Procura della Repubblica di Campobasso, competente in quanto ci sono di mezzo magistrati abruzzesi. Il Panichi infatti ha sporto denuncia-querela alla procura molisana nei confronti del gip e del procuratore, di coloro cioè che dalla procura aquilana hanno deciso i sopra citati decreti di archiviazione. Una determinazione veramente eccezionale, legata alla convinzione di essere vittima dei poteri forti, sorreggono l'ex imprenditore, deciso più che mai ad ottenere giudizi e non archiviazioni.

Vicenda Panichi Spa, denunciato gip aquilano, scrive Nazareno Perotti su “Riviera Oggi”. Dopo che la procura dell’Aquila ha archiviato tutte le querele-denunce presentate da Alberto Panichi contro magistrati del tribunale di Ascoli Piceno, l’ex imprenditore si è rivolto alla procura di Campobasso querelando gli autori del decreto a lui sfavorevole. Dopo che la magistratura aquilana ha rigettato con l’archiviazione le molteplici denunce presentate da Alberto Panichi, imprenditore sambenedettese di spicco negli anni 80-90, contro 14 magistrati del tribunale di Ascoli Piceno, la “palla” passa ora alla Procura della Repubblica di Campobasso, competente in quanto ci sono di mezzo magistrati abruzzesi. Il Panichi infatti ha sporto denuncia-querela alla procura molisana nei confronti del gip e del procuratore, di coloro cioè che dalla procura aquilana hanno deciso i sopra citati decreti di archiviazione. Una determinazione veramente eccezionale, legata alla convinzione di essere vittima dei poteri forti, sorreggono l’ex imprenditore, deciso più che mai ad ottenere giudizi e non archiviazioni. Lo dimostra senza ombra di dubbio la nota che ci ha inviato: «Spero sia chiaro a tutti che non demorderò fino a che non verrà fatta piena luce sulla inverosimile vicenda giudiziaria che mi ha riguardato e continua a riguardarmi a cui ha fatto seguito la gogna mediatica di cui sono stato oggetto. Dovranno emergere difatti, in tutta la loro interezza, comportamenti di cui si sono macchiati alcuni personaggi. Mi auguro solo di incontrare sulla mia strada, prima o poi, chi veramente tratti la mia vicenda in modo neutrale e super partes». Anche il fascicolo sul coinvolgimento degli avvocati della Cariverona Alberto Pavesi e Luciano Cesari passa ora alla Procura abruzzese dopo che il Gip ha riconosciuto l’incompetenza territoriale del Tribunale di Ascoli Piceno. È del 16 febbraio 2007 la decisione del Gip, Alessandra Panichi, di respingere la richiesta di archiviazione inoltrata dal procuratore capo di Ascoli Piceno in seguito all’opposizione di Alberto Panichi al riguardo del fallimento della Panichi Spa, continua Nazareno Perotti. Il Gip ha disposto l’invio dell’intero fascicolo alla Procura della Repubblica dell’Aquila. In pratica il giudice ha accolto le tesi di diritto illustrate ed articolate dall’avvocato Enzo Nucifora, legale di Alberto Panichi in questa circostanza. Nel ricorso si rilevava che ci sono elementi di chiara connessione fra il fascicolo in questione e quelli che riguardano alcuni magistrati del tribunale ascolano per i quali, sempre per la stessa vicenda, in questi giorni è stata chiesta la proroga delle indagini. E’ evidente che la vicenda Panichi Spa sta diventando sempre più complessa con il coinvolgimento dei due legali della Fondazione Cariverona (Alberto Pavesi e Luciano Cesari) e di Giuseppe Franchi, avvocato dell’aggiudicatario Achille Lauri. La competenza del giudizio ora è passata dal tribunale ascolano alla procura aquilana. Sviluppi che hanno soddisfatto Alberto Panichi il quale si pone ora un altro interrogativo: «Come mai la Procura della Repubblica di Ascoli Piceno ha trattenuto per ben due anni fascicoli che non erano di sua competenza?»

Nel mese di marzo 2007 Orsini Emidio iniziò lo sciopero della fame per protestare contro i lunghi tempi per l'accesso al Fondo nazionale di Solidarietà da parte delle vittime dell'usura. Ad interessarsi della vicenda ed affiancare la 1^ vittima di usura bancaria riconosciuta in Italia dal GOVERNO anche il noto programma televisivo "Striscia la notizia", presente ad Ascoli con il suo corrispondente Moreno Morello, che intervistò l'imprenditore.

La sua storia sul orsiniemidio.it. Mi chiamo Emidio Orsini e sono Amministratore Unico della Orsini S.r.l. di Ascoli Piceno. Il 21 aprile 2005 denunciai diverse Banche per l’applicazione di interessi usurari alla mia Società .

La truffa scoperta: La ratio della legge 108/96 sull’usura che ha apportato modifiche all’art. 644 c.p. è stata quella di cercare di impedire che surrettiziamente si possa realizzare una “usura lecita” attraverso una maliziosa disciplina contrattuale. Nella determinazione del Tasso Annuo Effettivo Globale (TAEG) delle Banche (cioè il costo del denaro), ai sensi dell’art. 644 c.p. come riformato dall’art. 1, L. 108/96, sono comprese “… le commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e le spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito“ . Invece gli Istituti di Credito, interpretando “maliziosamente” la Circolare della Banca d’Italia, periodicamente emanata esclusivamente ai fini statistici per la “rilevazione trimestrale” del tasso soglia, ex-art. 2 della medesima L. 108/96, non hanno conteggiato nella determinazione del tasso applicato ai clienti le Commissioni di Massimo Scoperto ed altre spese non omogenee (spese legali, interessi di mora, addebiti tenuta conto, servizio incassi ecc..). Ripeto, solo negli ultimi 10 anni le Banche hanno sottratto, con questo sofisticato giocattolo di ingegneria bancaria (apparentemente legale), 400 Miliardi di Euro (800.000 Miliardi di vecchie Lire), con la compiacenza, quantomeno, della Banca d’Italia, dell’ABI e di personaggi politici - di sinistra e di destra -. Quegli stessi politici che stanno lavorando per depenalizzare il reato di “usura bancaria”, ora che è stato scoperto. Il giocattolo ha funzionato talmente bene che per 10 anni, con questo meccanismo, le Banche hanno saccheggiato Milioni di piccole Aziende che hanno lavorato sodo per pagare loro interessi usurari. Purtroppo, mentre le Banche sono potenti e solide, le controparti sono composte da un popolo di ignoranti (le norme bancarie sono poco conosciute) e di bisognosi . Per l’applicazione di tassi bancari usurari, milioni di Famiglie sono state ridotte alla fame, depredate di tutti i propri averi, spinte anche al suicidio. Appare strano che la Banca d’Italia non si sia mai accorta del meccanismo perverso delle C.M.S.. Se poi alle C.M.S., furbescamente escluse dal costo del denaro, aggiungiamo i cosiddetti “interessi anatocistici” che la Cassazione a Sezioni Unite ha messo fuorilegge nel 2004, emergeranno con assoluta certezza migliaia di casi come il mio, i quali, invece di essere debitori delle Banche, risulteranno addirittura creditori. Risulto infatti creditore delle Banche sotto inchiesta per somme maltolte di oltre € 1.600.000,00.

Nella Provincia di Ascoli Piceno, sono numerosi gli Imprenditori che hanno seguito il mio esempio e la Procura della Repubblica ha aperto diversi fascicoli che riguardano sia l’usura che l’estorsione Bancaria. Una puntuale informazione sulla usura bancaria e sui sistemi per difendersi, peraltro previsti dalla Legge (ex-art. 20 L. 44/99), potrebbe aiutare milioni di italiani che ogni giorno vengono dalle Banche “condannati all’asta immobiliare” per somme non dovute. Il fatto che lo scrivente sia stato riconosciuto dallo Stato - Commissario Straordinario del Governo Antiracket ed Antiusura - 1ª vittima di usura bancaria in Italia, la dice lunga sulla fine riservata agli altri milioni di italiani vessati, spremuti ed usurati dalle Banche. Vorrei soffermarmi su taluni privilegi riservati alle Banche e porre in evidenza aspetti giuridici assurdi:

Una prima assurdità è che alle Banche ritenute usuraie dalle A.G. non vengono applicate misure interdittive. Ciò consente loro di mantenere le provvisorie esecuzioni di Decreti Ingiuntivi, ottenuti per somme prodotte dall’applicazione di tassi usurari, quindi - corpo del reato - . Con detti titoli illegittimi mantengono la Orsini S.r.l. ed i Suoi fideiussori, parti offese del reato di usura bancaria, segnalati alla Centrale rischi della Banca d’Italia ed annotati con iscrizioni pregiudizievoli alla Conservatoria dei Registri Immobiliari. Sta quindi emergendo un vuoto (legislativo?) per il quale, altra assurdità, mentre dal fronte delle indagini penali si può dedurre di essere prossimi alla prima udienza dibattimentale per un procedimento penale di usura bancaria, dall’altro, alla medesima Banca sotto processo viene consentito di mantenere le proprie vittime SEGNALATE come detto.

Infatti: La permanenza delle segnalazioni alla Centrale Rischi della Banca d’Italia resta di fatto uno strumento unilaterale e discrezionale in mano alle Banche. Alcune la utilizzano come forma di pressione e di ritorsione (Cfr. p.p. per estorsione n. 2317/07 e n. 2510/07); la provvisoria esecuzione ai Decreti Ingiuntivi ex-art. 648 c.p.c. è di fatto ed in diritto “inamovibile” fino alla sentenza di merito. Per i Giudici civili, gli estratti conto bancari, anche se illegittimi già solo per la presenza degli interessi anatocistici, sono ritenuti titoli validi e credibili, liquidi ed esigibili, quindi, le provvisorie esecuzioni vengono sempre puntualmente assentite; le trascrizioni pregiudizievoli poste sui beni delle Aziende o dei fideiussori, non sono suscettibili di essere cancellate fino a sentenza di merito passata in giudicato.

Altra assurdità: Le Banche riescono ad ottenere le provvisorie esecuzioni ai Decreti Ingiuntivi sulla base di semplici “dichiarazioni” di Dirigenti - ex art. 50 T.U.B. - che attestano la liquidità e certezza del credito anche quando ciò non è vero (Cfr. p.p. per estorsione n. 1038/07). Gli utenti vessati ed usurati, a causa dei lunghi tempi delle procedure civili, non riescono dopo Tre/Quattro anni ad ottenere nemmeno la nomina di un C.T.U. che accerti il reale dare/avere e, quindi, la veridicità del credito richiesto dalle banche.

Pertanto, la vittima di usura bancaria, rispetto alla vittima di usura criminale, è doppiamente penalizzata : 1°, perché l’usuraio comune viene generalmente arrestato ed i titoli ottenuti in frode vengono sequestrati, mentre la Banca usuraia oltre a non venire interdetta nella prosecuzione di tale attività illecita mantiene i titoli illegittimi, potendoli utilizzare, addirittura, come mezzi di pressione (estorsione) nei confronti della propria vittima; 2°, perché il Comitato di Solidarietà, presieduto dal Commissario Straordinario del Governo, utilizza una disparità di trattamento tra le vittime di usura “Bancaria” rispetto a quelle di usura “comune”.

Sul Fondo di Solidarietà presso il Ministero dell'Interno, ex art. 14 L. 108/96. Come detto, il Ministero dell’Interno ed il Commissario Straordinario del Governo utilizzano parametri diversi quando a fare usura è una Banca. Appare ovvio che qualcosa non funzioni. Infatti, dopo il deposito della mia denuncia-querela del 21.04.05, in data 08/06/2005 presentai l’istanza per la concessione della sospensione dei termini ex-art. 20 L. 44/99 e per l’accesso al fondo di solidarietà mediante mutuo decennale senza interessi. La sospensione dei termini di pagamento mi fu concessa subito, mentre il fondo di solidarietà, dopo due anni, non ha dato le risposte auspicate. Sono stati incaricati 3 Periti (Commercialisti nominati dal Prefetto), i quali hanno depositato 3 diverse Perizie. Altre 2 Perizie sono state eseguite dalla Guardia di Finanza . Ma il Commissario Straordinario del Governo, nonostante ciò e nonostante tale pratica sia stata oggetto di almeno 7 assemblee del Comitato aspetta ancora nuove valutazioni. Una mia personale opinione in merito all’allungamento dei tempi istruttori rintraccia le motivazioni nel fatto che, il mio caso, essendo il 1° in Italia di “USURA BANCARIA” possa aver mosso forti pressioni nei confronti del Comitato Nazionale di Solidarietà per impedire già solo il riconoscimento dello “status di usurato bancario”. Utilizzando parametri non rispettosi della Legge, e soprattutto non rispettosi dell’interesse legittimo che non può prevedere discriminazioni nell’applicazione dei criteri di legge mi è stato concesso un mutuo irrisorio a fronte della mia legittima richiesta. Ho comunque ottenuto il riconoscimento di “vittima di usura Bancaria” . E ciò è un successo.

Dal mese di ottobre 2006, fino allo scorso mese di gennaio fu trasmessa alla radio ed in televisione una pubblicità, su iniziativa della Presidenza del Consiglio e dal Ministero dell’Interno, che invitava le vittime di usura a “non chiedere aiuto alle persone sbagliate” ma a chiamare il numero verde con un impegno fermo : “noi ti aiutiamo a riprenderti la vita”, così diceva la pubblicità. Per la mia esperienza, debbo ritenere che detta pubblicità sia stata ingannevole, difatti le vittime di usura bancaria sono considerate diversamente rispetto all’usura criminale. Entrando sul sito internet del Ministero dell’Interno è possibile leggere le interviste rilasciate sia dal Sottosegretario Ettore Rosato che dal Commissario Straordinario del Governo, Raffaele Lauro, i quali in più occasioni hanno affermato che “L’indispensabile percorso delle denunce deve trovare uno Stato efficace, una magistratura rapida, risposte di tipo legislativo che diano compensazione ai danni subiti, uffici di Prefettura rispondenti alle esigenze del cittadino” ed ancora che : “se la vittima denuncia l’usura e la risposta dello Stato arriva dopo due anni, c’è qualcosa che evidentemente non funziona : serve una risposta più tempestiva”.

NESSUNA INFORMAZIONE E’ MAI STATA DATA IN MERITO AL BENEFICIO DELLA SOSPENSIONE DEI TERMINI: beneficio indispensabile alle vittime di usura per non soccombere sotto gli attacchi delle Banche usuraie ed avere la possibilità di dimostrare le proprie ragioni con pari dignità. Tale beneficio è tra l’altro soggetto ad un termine di decadenza, per cui la mancata tempestiva richiesta fa perdere il diritto alla concessione dello stesso. A volte mi chiedo se esista differenza tra i comportamenti delle Banche e quelli dell’usuraio comune, mafioso o camorrista, che, per il caso di mancato pagamento di interessi usurari, minacci di bruciare la casa dell’usurato o collochi una bomba sotto la sua automobile. I metodi sono equivalenti; il reato è il medesimo. L’unica differenza residua nel fatto che i criminali comuni vanno in galera, i Banchieri no. Oltretutto, mentre ai criminali comuni i titoli illeciti vengono sequestrati, anzi, confiscati, ai Banchieri detti titoli illeciti vengono lasciati nella piena disponibilità per essere utilizzati come arma di ricatto per perseguitare - rectius estorcere - le proprie vittime. Le Banche hanno sempre agito ed agiscono nei confronti dei clienti di cui conoscono lo stato di necessità, anche temporaneo, mediante quella violenza psichica che consiste nella brutale prospettazione di un danno ingiusto, esercitata su una persona con lo scopo di ottenere un indotto consenso alla conclusione di un determinato negozio giuridico. O paghi l’indebito o ti chiediamo il rientro immediato e Ti segnaliamo in sofferenza alla Centrale Rischi della (nostra) Banca d’Italia.

O prendere o lasciare.

O paghi l’indebito senza discutere o sei finito come uomo e come Imprenditore.

Questa ignobile ed immorale prospettazione, è di tale gravità da far temere ad una persona sensata che, non seguendo l’imposizione della Banca, esporrebbe sé stesso, i garanti (fratelli, mogli, figli), ed i relativi beni (personali ed aziendali) ad un male iniquo e devastante : l’espropriazione di tutto il suo avere; di 40 anni di lavoro e di sacrifici; la dissoluzione della sua famiglia. Il mio silenzio davanti agli iperbolici e crescenti addebiti di interessi ultralegali, anatocistici ed alle indebite remunerazioni mai concordate con la Banca, né autorizzate, è stato a lungo determinato al solo fine di evitare le reiterate e minacciate azioni giudiziarie dei Direttori di Filiale e dei vari Dirigenti responsabili del credito, i quali giustificano le loro ignobili iniziative come “imposte dalla Procedura del C.d.A. della Banca ”. Una sorta di scaricabarile dove, dai Vertici all’ultimo Direttore di sede, vengono posti in essere ignobili comportamenti, anche penalmente rilevanti, uniti da reciproche prebende economiche. Ed è in questi frangenti che emerge in tutta la sua capacità distruttiva la prepotenza delle Banche, che al fine di distruggere chi ha osato denunciarle, non esitano ad utilizzare i titoli provenienti da fatti illeciti, “corpo del reato” , ed il “proprio potere politico ed economico“ per passare quella non troppo metaforica corda intorno al collo, rappresentata, prima dalle segnalazioni in Centrale Rischi e dalle trascrizioni pregiudizievoli, poi dai tanti condizionamenti ambientali posti in essere per impedire alle proprie vittime l’accesso ad ogni credito legale. Ritengo che la mia personale esperienza possa attagliarsi a quella di milioni di utenti bancari, che non hanno la fortuna di rientrare nel giro dei furbetti del quartierino.

PARLIAMO DI MACERATA

MACERATA E LA MASSONERIA.

"Loggia massonica criminale a Macerata". Le rivelazioni di Antonino Lo Giudice, il boss nascosto in città per mesi, scrive “Il Resto del Carlino”. Antonino Lo Giudice, detto Nino, il boss pentito che era a capo dell'omonima cosca della 'ndrangheta (Ansa). MACERATA capitale della massoneria. A rivelare questo ruolo di primissimo piano per la provincia è il super pentito Antonino Lo Giudice, il boss della ’Ndrangheta che ha terremotato la procura di Reggio Calabria. Come riportato nei giorni scorsi, Lo Giudice, 54 anni, soprannominato «Nino il nano», era a capo di una temutissima famiglia della malavita calabrese. Nel 2010, decise di pentirsi, rivelando le sue e altrui responsabilità in merito ad alcuni attentati attuati ai danni della magistratura reggina. Da allora è stato messo sotto protezione, con un falso nome, proprio a Macerata. Qui il boss avrebbe vissuto, cercando di non dare nell’occhio, per evitare che i suoi ex compari della ’Ndrangheta potessero rintracciarlo e fargli pagare le accuse mosse contro di loro. Ma all’improvviso, il 5 giugno, Lo Giudice è scomparso nel nulla. La procura di Macerata ha aperto un fascicolo, e l’anticrimine della Questura ha avviato — con la massima discrezione possibile — le ricerche. Finora senza risultati. Dalla sua scomparsa però il calabrese, clamorosamente, si è pentito di essersi pentito, e non solo ha ritrattato le dichiarazioni, ma anche accusato alcuni magistrati di Reggio Calabria di avergliele estorte, quando non di averle inventate. Lo Giudice ha inviato a giornali e avvocati una serie di dossier con le sue memorie, dove fa anche tante rivelazioni di vario tenore. Tra queste, anche quelle sulla massoneria maceratese. Il boss racconta di aver saputo, da un altro pentito che era in carcere con lui, che esiste una grossa e pericolosa organizzazione massonica criminale; le centrali operative di questa associazione sarebbero Vibo Valentia, un centro non identificato della Sicilia, e poi Macerata, dove lui racconta di avere vissuto anche bene, e dove sostiene che avrebbe il cuore questo pericoloso movimento. Riscontri, alle sue parole, non ne indica. Ma fa una serie di nomi di personaggi che sarebbero legati a questa associazione. Il suo amico pentito gli avrebbe detto che, alla procura, gli avrebbero vietato di rilasciare dichiarazioni scritte sulla massoneria, ma a voce il detenuto gli avrebbe detto tutto. Quanto c’è di vero sulle affermazioni di Lo Giudice? Tutti i suoi dossier, secondo gli inquirenti che li stanno esaminando, conterrebbero verità mischiate a menzogne, una serie di messaggi cifrati destinati a qualcuno in grado di interpretarle facilmente. Questi dossier sono ancora datati Macerata, il primo aveva anche il timbro postale di Ancona, ma ormai è lecito pensare che Lo Giudice se ne sia andato da qui, con la speranza che non vengano a cercarlo i soggetti poco raccomandabili che frequentava fino a qualche anno fa.

Nei meandri della Massoneria. Più di 600 i Liberi Muratori maceratesi.

Un massone ci guida alla scoperta di alcuni dei segreti delle tredici Logge presenti nella nostra provincia, scrive Alessandra Pierini su “Cronache Maceratesi”.

“Macerata è bloccata dalla Massoneria”, “Lo hanno deciso i massoni”, “Sono le logge a fare il bello e il cattivo tempo” e per finire “Macerata, città della Massoneria”: sono queste le espressioni con cui il maceratese medio descrive quella che gli aderenti chiamano l’Istituzione massonica, riconoscendole un ruolo di potere e controllo sui cambiamenti sociali, economici e culturali che interessano l’intera provincia. In molti poi, legano l’attività massonica maceratese alla politica del mattone ( non dimentichiamo che la Massoneria nasce da una corporazione di muratori e il termine deriva proprio dal francese “masson” che vuol dire muratore) che ha caratterizzato gli ultimi decenni, dando così origine al termine ibrido di “mattoneria” che indica il condizionamento delle società segrete sull’urbanistica cittadina. Altri settori che, sempre secondo il comune pensare, sarebbero interessati dal volere massonico sarebbero quello bancario e quello universitario in cui l’affidamento di incarichi e ruoli di potere assicurerebbe il controllo. Abbiamo deciso di andare a fondo, di approfondire il fenomeno, di indagare sulle sue caratteristiche e di addentrarci, guidati da un massone maceratese che ha preferito non svelare pubblicamente la sua identità, per raccogliere elementi concreti e per capire, nei fatti, se e quanto la massoneria maceratese rispecchi le caratteristiche e le funzioni che le vengono normalmente attribuite nell’immaginario collettivo.Il nostro reportage non ha pretesa di completezza, tanto più che la Massoneria ha alle spalle una storia plurisecolare ma vogliamo comunque approfondire caratteristiche, dinamiche interne, effetti e condizionamenti che l’istituzione ha nel nostro territorio. Innanzitutto nella nostra provincia la Massoneria è un fenomeno diffuso e vanta 13 logge. La loggia è, secondo la costituzione massonica, corpo primario e fondamentale della Comunione, è la collettività autonoma e sovrana dei Liberi Muratori costituita per lo svolgimento dei lavori massonici, per costituire una loggia è necessaria l’adesione di almeno sette fratelli con il grado di Maestro, salgono a quindici di cui almeno sette con il Grado di Maestro nel caso in cui sorga in una città dove esistono altre logge. La Loggia acquisisce il riconoscimento con il rilascio da parte del Gran Maestro della Bolla di Fondazione, si fregia della Bandiera Nazionale e di un proprio Labaro, assume una denominazione ed è contraddistinta da un numero. «Le logge maceratesi – spiega il nostro massone – raccolgono tra i 40 e i 60 membri, limite massimo che non può essere superato in base al regolamento interno» quindi possiamo tranquillamente dire che nella provincia di Macerata i “grembiulini” sono circa 650. Nel territorio si contano sei logge aderenti al Grande Oriente d’Italia (GOI) e altrettante iscritte alla Grande Loggia d’Italia che fa capo a Piazza del Gesù, più una della Gran Loggia Regolare d’Italia. L’Istituzione, così la chiamano i suoi aderenti, si afferma nella provincia già a partire dal XVIII secolo e nel tempo i principi fondamentali, gli obiettivi e i simboli che ne costituiscono l’essenza non si sono persi, anzi continuano a caratterizzarla. Le logge aderenti al Goi sono a Macerata “Progresso Sociale”, “Helvia Recina” e “Evoluzione e Tradizione”, a Civitanova  “Resurrezione”, a Tolentino la “Aldo Nardi” e a Treia la “De Humilitate”. A Tolentino c’è anche la Loggia Amor Actio e Fides aderente alla Gran Loggia Regolare d’Italia, obbedienza derivata dal GOI. La Gran Loggia d’Italia – Piazza del Gesù, invece comprende le Logge “Garibaldi”, “Luigi Spadini”, “Rudjart Kipling”, ” Dante Alighieri”, “Pax et Concordia” e “Anderson”. La Gran Loggia d’Italia, a differenza del GOI, ammette anche la partecipazione femminile quindi a Macerata ci sono anche delle logge composte da donne. Tutte le logge della provincia si incontrano per due volte al mese a Macerata dove si trovano i templi massonici, alternandosi quindi nelle settimane e nei giorni per non incrociarsi negli incontri. Il tempio del GOI è nelle immediate vicinanze di piazza Mazzini, mentre la Gran Loggia d’Italia si riunisce in vicolo Ulissi, nelle vicinanze dell’Hotel Claudiani. «Il tempio del GOI del capoluogo – sottolinea il nostro massone – è uno dei più belli in Italia». Il Tempio è il luogo sacro per il libero muratore ed  è esso stesso un simbolo. «Esso rappresenta il cosmo – si legge nel sito della massoneria civitanovese – per questo la sua volta è stellata e simbolicamente, si estende in lunghezza da Occidente ad Oriente, in larghezza dal Settentrione al Meridione, in altezza dallo Zenit al Nadir. Al suo interno si trovano i simboli massonici più importanti e conosciuti. All’ingresso ( si entra nel Tempio procedendo da Meridione a Settentrione ) troviamo due colonne, a destra quella di Boaz, dorica, robusta con pochi ornamenti. Essa rappresenta la Forza; il suo capitello sostiene un globo terracqueo stellato che rappresenta l’Universo ( la Massoneria è Universale ). La colonna di sinistra, quella di Joakim, è corinzia : alta, slanciata, elegantemente elaborata, essa rappresenta la bellezza e la sapienza; il suo capitello sostiene tre melagrane. La melagrana è il simbolo massonico che rappresenta l’insieme di tutti i Fratelli (semi) uniti indissolubilmente dalla ganga fibrosa e protetti dalla coriacea scorza ( la famiglia massonica ). Al di là delle colonne poste ai lati dell’ingresso del Tempio, troviamo il primo pavimento, costituito da scacchi bianchi e neri che rappresentano il continuo contrasto delle cose : il colore e l’incolore, il sole e la luna, la luce e le tenebre, la vita e la morte. Ai lati altre colonne , queste tutte uguali, senza uno stile particolare, sei poste a Meridione, sei a Settentrione; rappresentano i dodici mesi dell’anno e i dodici segni zodiacali, ( è la scansione del ritmo della vita ). Questo primo pavimento basso è riservato agli apprendisti ed ai compagni d’arte, cioè a coloro che non si sono ancora elevati nella loro arte muratoria. Qui si pongono pure i Maestri 1° e 2° Sorvegliante che controllano rispettivamente le colonne del Meridione con gli Apprendisti posti tra esse e le colonne del Settentrione con i Compagni posti tra esse. Rialzato di livello rispetto a questo, c’è un altro pavimento , è lo spazio riservato ai Maestri. La parte più “nobile” di questo livello si chiama Oriente dove si trovano lo scranno del Maestro Venerabile, l’Ara Sacra costituita da un altare triangolorettangolare con tre supporti, sopra il quale sono posti il Libro Sacro, il Candelabro a sette bracci, il Compasso e la Squadra». L’articolo 1 della costituzione massonica del Grande Oriente d’Italia, che fa capo a Palazzo Giustiniani a Roma e che si considera l’unica ufficiale, recita «La Massoneria è un Ordine universale iniziatico di carattere tradizionale e simbolico. Intende al perfezionamento e all’elevazione dell’uomo e dell’umana famiglia” . Ancora nel sito del Goi si legge: «La natura della Massoneria e delle sue istituzioni è umanitaria, filosofica e morale. Essa lascia a ciascuno dei suoi membri la scelta e la responsabilità delle proprie opinioni religiose, ma nessuno può essere ammesso in Massoneria se prima non abbia dichiarato esplicitamente di credere nell’Essere Supremo. La Massoneria lavora con propri metodi, mediante l’uso di Rituali e di simboli coi quali esprime ed interpreta i princìpi, gli ideali, le aspirazioni, le idee, i propositi della propria essenza iniziatica». Ci spiega il senso di queste parole il nostro massone: «Ammettiamo fratelli di qualunque religione e ideologia politica perchè la Massoneria non è né bigotta, né libertina. Tutti però crediamo nell’essere superiore che chiamiamo Grande Architetto. Il disciplinare vieta che si parli di politica e religione perchè sono argomenti che producono conflitto». Continua la Costituzione del Grande Oriente d’Italia: «Essa stimola la tolleranza, pratica la giustizia, aiuta i bisognosi, promuove l’amore per il prossimo e cerca tutto ciò che unisce fra loro gli uomini ed i popoli per meglio contribuire alla realizzazione della fratellanza universale. La Massoneria afferma l’alto valore della singola persona umana e riconosce ad ogni uomo il diritto di contribuire autonomamente alla ricerca della Verità. Essa inizia soltanto uomini di buoni costumi, senza distinzione di razza o di ceto sociale. Il Massone è tenuto ad osservare scrupolosamente la Carta Costituzionale dello Stato nel quale risiede o che lo ospita e le leggi che ad essa si ispirino. La Massoneria non permette ad alcuno dei suoi membri di partecipare o anche semplicemente di sostenere od incoraggiare qualsiasi azione che possa turbare la pace e l’ordine liberamente e democraticamente costituito della società. I Massoni hanno stima, rispetto e considerazione per le donne. Tuttavia, essendo la Massoneria l’erede della Tradizione Muratoria operativa, non le ammette nell’Ordine. Ogni membro, al fine di rendere sacri i propri impegni, deve aver prestato Solenne Promessa sul Libro della Legge da esso ritenuta Sacra». A spiegare l’importanza della ritualità è ancora il nostro massone: «I riti e l’abbigliamento diverso sono un modo che usiamo per distaccarci dalla vita profana. Il grembiule nero, ad esempio, serve per togliere ogni segno di ricchezza e povertà e mettere tutti sullo stesso piano». Questa presentazione dal sapore antico non risolve però gli interrogativi sul perché un ente che ha come obiettivo la crescita dell’uomo dovrebbe preoccupare tanto. Né spiega se, come e con quali strumenti e procedure interviene nella realtà. Qual è la reale portata del fenomeno? La Massoneria ha davvero il potere di influenzare o obbligare le scelte della classe dirigente? Secondo il nostro massone principi e aspetti dell’istituzione sono spesso «fraintesi o incompresi» proprio per mancanza di informazione. «I fratelli massoni si aiutano, anche nella vita privata. Ad esempio all’interno di ogni loggia c’è un ospedaliere che si occupa della salute di tutti e che consiglia in caso di malattie specifiche a chi rivolgersi. La solidarietà può esprimersi anche con il sostegno ad un fratello in difficoltà economica. Per quanto riguarda il lavoro, accade un po’ quello che succede in una qualsiasi associazione, che so ad esempio una bocciofila. Se dovrò tinteggiare la mia casa mi rivolgerò ad un imbianchino che conosco, lo stesso vale per i fratelli massoni». «La Massoneria è una scuola di vita – spiega il nostro massone – nelle due riunioni mensili, da settembre a giugno, ci si confronta su tavole architettoniche, approfondimenti che fratelli muratori incaricati dal Maestro venerabile fanno su argomenti tra i più disparati». Ad esempio nel sito della loggia Resurrezione 144 di Civitanova si trovano diversi esempi e i temi affrontati passano da quelli inerenti la storia e la cultura all’esoterismo, dai personaggi illustri tra i quali figura Padre Matteo Ricci ai simboli massonici. Da questi parte la riflessione. «Nella loggia si entra con il grado di “apprendista muratore” e per i primi tre anni si impara ad ascoltare e si parla solo per rispondere alle domande, poi si passa a quello di “compagno muratore” che può parlare solo se gli viene chiesto e dopo cinque anni si diventa “maestro d’arte”. Il governo della Loggia è composto dal Maestro Venerabile, affiancato dal I e dal II sorvegliante (questi tre formano il Consiglio delle Luci), da un oratore, da un segretario e da un tesoriere. Durante le riunioni è vietata la conversazione tra i membri e chiunque parla lo deve fare rivolgendo lo sguardo al Maestro venerabile». I Dignitari e gli Ufficiali di Loggia affiancano il Maestro Venerabile nella conduzione della Loggia. Durano in carica un anno e sono rieleggibili. Possono essere eletti Dignitari i Fratelli che abbiano un’anzianità nel Grado di Maestro di almeno un anno. Il Segretario deve aver maturato la stessa anzianità. I massoni sono anche conosciuti come “incappucciati”, termine che ha portato nei secoli ad immaginare riunioni in cui i componenti vengono misteriosamente nascosti da copricapi che non permetterebbero di vederne il volto. Secondo il nostro massone, l’appellativo sarebbe legato ad uno specifico momento del percorso iniziatico. «Coloro che chiedono di entrare in Massoneria – racconta – vengono detti “bussanti”. Di questi vengono raccolti curriculum e certificati penali, questi vengono pubblicati in tutte le logge della circoscrizione in modo che fratelli o cugini che vogliano segnalare incongruenze possano farle. Verificata la situazione, il bussante viene presentato ai fratelli con una tavola poi  si passa al voto col metodo delle palline bianche o nere. Si vota per due volte a distanza di quindici giorni, un anno dopo che è stata presentata la domanda. L’eventuale voto contrario, in ogni caso, va motivato al Maestro Venerabile. Una volta che è stato accettato, il bussante farà il suo percorso iniziatico che lo porterà dal buio alla luce. E’ lì che indosserà per qualche decina di secondi una benda prima di pronunciare le parole “Sì, aderisco”. E’ una forma di autotutela per evitare che qualcuno entri per vedere chi c’è all’interno per poi non confermare l’adesione». Lo insegna la storia: il più delle volte il segreto del potere non sta nella sua manifestazione ma nella sua aura. Potrebbe essere vero anche per le Massonerie. L’accezione con la quale normalmente viene definita la Massoneria è molto negativa, i massoni non sono per niente ben visti dai cittadini e i maceratesi, diffidenti per eccellenza, trovano nella segretezza dell’organizzazione e nella sua presunta rigidità interna, dei motivi in più per guardare ad essa con grande sospetto. Sono poi diversi gli amministratori e i personaggi pubblici che lasciano intendere che la Massoneria abbia la capacità di condizionare in qualche modo la loro attività e di orientare scelte, specie se non particolarmente ben accolte. Diffusa è anche la curiosità che spesso porta a ipotesi e congetture sui riti, sui disciplinari, sull’attività massonica interna. «Se nel resto del mondo essere massoni è considerato un vanto – sottolinea il nostro massone- in Italia è in effetti il contrario, specie dopo lo scandalo della P2 e di Licio Gelli». Fu ritrovata negli anni ’80 una lista in cui figuravano quasi mille iscritti tra i quali personaggi di spicco della politica, delle forze dell’ordine, del giornalismo ma secondo le cronache dell’epoca sarebbero stati molto di più. La loggia puntava, secondo le indagini, ad impossessarsi delle leve del potere italiano. La vicenda fu, per l’istituzione massonica, un vero tsunami e costrinse ad una profonda riflessione sul sistema. Fu allora che la massoneria si diede delle regole e dei limiti, uno dei più significativi quello sul numero massimo di componenti la loggia stessa che attualmente si aggira tra i 50 e i 60 componenti. Sono passati 30 anni da allora ma i massoni italiani temono ancora di essere additati e discriminati, specie nell’ambito pubblico. E’ evidente che se questa è la situazione nelle grandi città, nella piccola provincia di Macerata, il rischio della “caccia al massone” è ancora più significativo specie se consideriamo che i presunti aderenti sono circa 600 su un totale di 324 mila abitanti. In una fase storica in cui ciò che non appare non esiste, anche la Massoneria sente l’esigenza di comunicare con il resto del mondo. Basti pensare alla presenza di uno stand alla Fiera del Libro di Torino nei mesi scorsi, o all’apertura prevista per il 2013 del Museo Italiano della Massoneria a Roma o ancora cliccare i siti internet delle comunioni massoniche  ricchi di informazioni. Anche la loggia di Civitanova Resurrezione 144 ha un curato sito internet il cui dominio è stato registrato da Giuseppe Asdrubali di Recanati. Nel sito sono accessibili le tavole, utilizzate durante le riunioni. A Macerata il comitato “Stringiamoci a coorte” di origine massonica e il cui presidente Giancarlo Cossiri non ha mai fatto mistero della sua appartenenza all’Istituzione, ha persino proposto al Comune la realizzazione di una statua dedicata al 150mo dell’Unità d’Italia da donare alla cittadinanza ma anziché accettare il regalo (a caval donato non si dovrebbe guardare in bocca) l’amministrazione sta palleggiando la proposta magari in attesa che passino i due anni e mezzi rimasti alla fine del mandato per poi passare la patata bollente ai successori. Se in molte occasioni, l’associazione viene allo scoperto, dall’altra parte però la scelta di riservatezza degli aderenti continua a farla da padrone, così anche il presidente del Consiglio Mario Monti si è affrettato a smentire quanti segnalavano una sua appartenenza alla società segreta: “Confesso, non so bene cos’è la massoneria” ha dichiarato durante un’intervista a Lilli Gruber. Altro personaggio di spicco, indicato come Massone, è Matteo Renzi, il “rottamatore” del Pd, il quale per tutta risposta si è fatto ritrarre dai giornali con il padre, democratico e appunto, massone. A Macerata la trasparenza sembra ancora un traguardo piuttosto lontano. In termini di apertura vanno registrati dei convegni organizzati in zona e aperti al pubblico, l’ultimo quello del 28 novembre dello scorso anno a Filottrano ma mentre alcuni “fratelli” (così si chiamano all’interno della loggia, mentre gli aderenti ad altre logge sono “Cugini”) scelgono di palesarsi molti altri continuano a vivere nell’ombra. Il problema della necessità o meno del palesamento dei massoni con cariche pubbliche è stato già affrontato nelle Marche, sia in consiglio regionale che in diverse assise cittadine, senza arrivare però all’obiettivo di far venire allo scoperto gli associati. Su internet sono consultabili gli elenchi aggiornati agli anni ’90 dei componenti anche maceratesi, alcuni di questi sono deceduti, altri potrebbero aver abbandonato l’Istituzione. Gli elenchi dei massoni vengono inoltrati costantemente al Ministero dell’Interno, quindi lo Stato conosce l’identità degli aderenti, possiamo quindi dire che la Massoneria è un segreto di Stato.

PARLIAMO DI PESARO URBINO

MAFIOPOLI. LA MAFIA DOVE NON SI VEDE.

Il Procuratore Palumbo prima il Prefetto Visconti poi hanno evidenziato un pericolo mafia e camorra sui nostri territori, scrive Giancarlo D’Anna su “Vivere Pesaro”. Finalmente si parla chiaro e non ci si nasconde, come troppo spesso è accaduto in passato dietro un dito. Parte del nostro territorio negli ultimi anni è diventato terra di conquista di organizzazioni che, direttamente o indirettamente stanno occupando i spazi vitali della nostra società. Sarebbe importante sapere (e controllare a fondo) quante attività commerciali sono passate di mano, da dove arrivano i soldi, chi sono questi personaggi che all’improvviso compaiono nei paesi, nelle città e acquistano attività commerciali e turistiche. Quanti sono i pentiti che vivono sul nostro territorio? Quanti sono quelli che vivono in soggiorno obbligato? Tra questi,quanti sono coloro che hanno aperto attività commerciali?E queste attività sono reali o una sorta di parafulmine, di ventaglio, di separé, che nascondo altro? La nostra è una Provincia che è stata presa d’assalto dalle eco-mafie, come dimostra la vicenda Arcobaleno. I traffici illeciti riguardano anche lo smercio di griffe false che spesso, purtroppo, vengono tollerate anche dai Comuni. I proventi di questi traffici vanno poi a finire soprattutto in acquisto di droga. Droga circola a fiumi nonostante alcune brillanti operazioni delle Forze dell'Ordine. Dietro lo sballo si nasconde la criminalità e un business impressionante, calamita della criminalità mafiosa e camorrista. Ben venga l'allarme del Procuratore e del Prefetto. Si agisca di conseguenza. Terra bruciata alla malavita ad iniziare dalla presenza di collaboratori e pentiti e soggiorni obbligati. Controlli sulle nuove attività specie quelle che vedono investitori estranei al territorio. Insorgano i comuni di fronte alla presenza sul loro territorio di certi personaggi che magari scavalcano nelle graduatorie delle case popolari chi è veramente in difficoltà ed ha veramente bisogno. Lotta spietata alla droga e ai clan che gestiscono il traffico. Abbiamo assistito in questi giorni al blitz di controllo delle attività commerciali che non rilasciano gli scontrini. Ci aspettiamo altrettanta e visibile attenzione e controllo dei luoghi , delle situazioni e delle persone che gravitano intorno a questo grave fenomeno. Infine, ci si dimentica di noi in fatto di rimborsi per i danni causati dal maltempo o per le fermate dei treni mentre ci si ricorda quando c'è da piazzare pentiti e collaboratori. E' giunta l'ora di dire basta e le denunce autorevoli degli ultimi mesi possono e devono segnare l'inizio di una vera difesa del nostro territorio e della qualità della vita.

PESARO E URBINO E LA MASSONERIA.

La Massoneria a Urbino: un massone fra i fondatori del Partito Comunista. La presenza di logge massoniche a Urbino e nei territori del Montefeltro sono già documentate nella seconda metà del '700. Per quanto riguarda Urbino nel '500 si ha la presenza della "Confraternita dei sette dormienti" e nel '700 ad una delle prime colonie Arcadiche in Italia, la "Colonia Metaurica", importanti per la nascente Massoneria. Le colonne della loggia "Victor Hugo 1893" n. 1273 del Grande Oriente d'Italia di Palazzo Giustiniani vennero alzate all'Oriente di Urbino nel 1893, e nel periodo del suo massimo fulgore superò i 60 iscritti. La presenza della Victor Hugo si estrinseca a cavallo fra la fine dell'800 e i primi 25 anni del '900 e molti dei suoi componenti hanno segnato la loro esperienza massonica in entrambi i periodi. Francesco Budassi già sindaco di Urbino, parlamentare del Regno d'Italia fu, soprattutto, figura storica del movimento repubblicano e della massoneria urbinate. Domenico Gasparini che fu maestro venerabile della loggia nel 1895 e fra i fondatori del Partito comunista d'Italia quando nel 1921 si determinò la scissione fra riformisti e massimalisti al congresso del Psi di Livorno.

E poi…..In casa i carabinieri gli hanno trovato documenti scottanti e il classico grembiulino per i riti massonici, scrive “Il Corriere della Sera”. E così Vito Rosaspina, Psi, presidente da 12 anni della Provincia di Pesaro, si è dimesso dopo la perquisizione dell'abitazione e degli uffici. Rosaspina è la prima vittima eccellente nel Pesarese dell'inchiesta, avviata da Agostino Cordova della Procura di Palmi, sulla massoneria e i suoi possibili intrecci affaristici. La loggia di appartenenza del politico socialista sarebbe la "Serenissima", considerata coperta. "E un complotto - ha detto Rosaspina - e la documentazione sequestrata è innocua: lettere di amici ed un carteggio avuto con un esponente politico locale il cui nome venne fatto nell' ambito dell'inchiesta P2". Pesaro era entrata nell'inchiesta in ottobre quando fu ritrovato nascosto in un sottotetto di un istituto tecnico, un computer Olivetti con 12 dischetti in codice, zeppo di nomi e specchi contabili che in un primo tempo sembrava provenisse da Genova, città al centro di un'altra inchiesta sulla massoneria. I dischetti vennero inviati alla Procura di Palmi per la decodificazione. All'epoca fu proprio Vito Rosaspina a chiedere la pubblicazione di tutti gli affiliati alle logge. Ieri i carabinieri hanno effettuato anche altre sei perquisizioni su ordine del sostituto Emma Cosentino, di Firenze, mandata di rinforzo alla Procura di Palmi proprio per questa inchiesta: una in casa del segretario particolare del presidente dimissionario, Torquato Benedetti, sospeso alcune settimane fa dall'incarico perchè condannato dal Tribunale di Torino per un episodio di concussione; un'altra, in casa di un funzionario pesarese del comune di Fano. Contemporaneamente la Procura di Palmi avrebbe incaricato la Finanza di compiere accertamenti sui conti correnti di altri personaggi. Per sapere se esista una relazione fra i floppy disk scoperti in ottobre e le perquisizioni, tre senatori (Londei, Brutti e Pecchioli) hanno presentato un'interrogazione ai ministeri dell' Interno e di Giustizia.

Affari dei Templari leghisti Appalti dei Gran Maestri.

Contratti con Asl, Pirellone, Comune di Brescia oltre ai ruoli nel partito: così la Suprema Militia piazza parenti e amici, scrive Leonardo Piccini su “Libero Quotidiano”. Chi sono e, soprattutto, quali sono gli scopi che si sono prefissati gli adepti alla organizzazione templare attiva in Lombardia e in tutta Italia, detta la  “Suprema Militia”, composta come abbiamo visto nella prima puntata da uomini politici, prefetti, imprenditori? Persone decise ad assumere le vesti di epigoni del gran maestro Jacques de Molay, seguaci di quei cavalieri dispersi nel quattordicesimo secolo dalle persecuzioni dal Papa e dal re di Francia. A colpire sono soprattutto le implicazioni di rapporti cementati dall’appartenenza a un ambiente iniziatico ed esclusivo tra esponenti della pubblica amministrazione, della politica, dell’economia. In teoria questa “Suprema Militia Equitum Christi” dovrebbe promuovere un percorso, per i suoi adepti che assomiglia molto a un lavoro iniziatico di conoscenza e di approfondimento dei temi principali dell’esistenza, da perseguire mediante la carità, la beneficenza, il servizio ai diseredati. Ma al suo interno si trovano affiliati che si occupano di questioni molto mondane e pratiche: consulenze professionali, incarichi pubblici, politica, imprese, strategie delle multiutility lombarde. Senza contare poi la presenza di chi, per dovere istituzionale, è chiamato a rappresentare lo Stato, non ultimo, il prefetto di Pesaro e Urbino, Attilio Visconti, pronto a vestire i panni di cerimoniere e a occuparsi della formazione degli adepti e dei novizi di una cupola riservata. Ieri Visconti ha spiegato: «Ma quale loggia massonica o associazione segreta: la Suprema Militia Equitum Christi è una onlus che fa beneficenza, non politica. Non ha legami con la Lega, ed elenco degli iscritti e bilanci sono pubblici». Visconti s’è detto «onorato di far parte di questa associazione». Fatto sta che insieme a lui ci sono altri esponenti delle istituzioni, come il vicesindaco di Brescia Fabio Rolfi, l’assessore regionale Monica Rizzi, e il dirigente comunale Marco Antonio Colosio, l’ex consigliere regionale e, ora, vicepresidente dell’Aler bresciana, Corrado Della Torre. E che dire poi della presenza, in un gruppo di duri e puri del cattolicesimo più intransigente, di un massone, come Marco Belardi, il presidente dell’Ordine degli Ingegneri di Brescia, in forza alla Glri, la Gran Loggia Regolare d’Italia? A suscitare interrogativi è questo mix di rapporti e interessi profani e spirituali, trattati all’ombra di un gruppo coperto e lontano da occhi e orecchie indiscrete. È forse in virtù della comune militanza templare con il vicesindaco leghista, che l’ingegnere Belardi ottiene consulenze ben retribuite dal Comune di Brescia? Nel marzo del 2010, la sua società, la “Intertecnica Group” si vede assegnare un incarico per la ristrutturazione di impianti idrotermo-sanitari di una proprietà comunale; mentre nell’aprile del 2011, sempre la sua “Intertecnica” si aggiudica un incarico di progettazione e direzione lavori nell’area archeologica cittadina del Capitolium. Il vicesindaco Rolfi, da qualche mese anche segretario provinciale della Lega Nord, è censito come cavaliere dell’ordine templare già nel 2009 nella “Commanderia San Gottardo” di Brescia; almeno dallo stesso periodo risulta aver incrociato, a San Gottardo, proprio il “novizio” Marco Belardi, che proprio dall’ottobre del 2009 si insedia nella posizione delicata e prestigiosa di presidente dell’Ordine degli Ingegneri. È forse grazie a questa consorteria così profondamente annidata nel cuore della Lega Nord che Fabio Rolfi, fallito il primo tentativo di sistemare la moglie Silvia Raineri attraverso un concorso pubblico indetto dalla provincia di Brescia, la piazza all’Asl di Milano? Il concorso della provincia di Brescia aveva suscitato un clamore nazionale, perché delle sei vincitrici ben cinque erano leghiste e parenti di esponenti politici leghisti di primo piano del bresciano. Un tale clamore da rendere necessaria una commissione d’inchiesta e da indurre il presidente della provincia Molgora, pure leghista ma estraneo all’ambiente di Rolfi e dei cavalieri, a congelare le assunzioni. Così Rolfi si rivolge prima al gruppo leghista in regione Lombardia, che conferisce a Silvia Raineri un incarico, poi al leghista Giacomo Walter Locatelli, potente direttore generale dell’Asl di Milano: la Rainieri si piazza diciottesima in un concorso per l’assunzione di un solo impiegato, ma viene ugualmente assunta; si dimette dall’incarico in Regione, prende possesso dell’impiego all’Asl, ottiene immediatamente dal direttore generale un’aspettativa e riassume il suo incarico in Regione. C’è poi chi fa notare certe coincidenze: recentemente eletto alla carica di segretario provinciale della Lega Nord, Rolfi affronta il nodo di Montichiari, importante comune della provincia in cui la Lega governa dagli anni 90 e dove ha sofferto, in occasione delle ultime elezioni, una secessione che ha portato fuori dal partito tutto il gruppo dirigente locale, compreso sindaco e vicesindaco. Dopo anni la spaccatura viene ricucita e l’incarico di commissario della sezione leghista di Montichiari, tutt’ora percorsa da forti tensioni, va a Corrado Della Torre, il Grand Commandeur dei cavalieri di San Gottardo dei quali fa parte lo stesso Rolfi. Quel Della Torre che, intervistato da Marta Calcagno, su il Giornale del 09/10/2010, dichiarava che «nell’Ordine dei Templari ci sono vari gradi di cavalleria, che sono immutabili dal 1100. C’è una composizione sociale varia: dal generale dei carabinieri, a professionisti di diversi livelli, sino ad imprenditori e industriali». A San Gottardo non mancava mai un altro abitué del Tempio, il prefetto Attilio Visconti: nato a Benevento il 21 ottobre del 1961, per due anni, dal 1990 al 1992, presta servizio nel Comitato Esecutivo per i Servizi di Informazione e Sicurezza (Cesis). Nel 2006 è trasferito alla Prefettura di Brescia, dove gli viene conferito l’incarico di Capo di Gabinetto. Nel 2007 è chiamato a svolgere il ruolo di commissario straordinario per i Comuni di Offlaga, Travagliato e Borno. Il 12 dicembre del 2007 è nominato viceprefetto Vicario di Brescia. Nel giugno del 2008 è nominato commissario prefettizio del comune di Edolo (il paese di Bruno Caparini, il Gran Baylo dell’ordine templare in cui milita lo stesso Visconti). Poi l’incarico di viceprefetto vicario a Torino, l’arrivo a Caserta e la tanto agognata nomina a Prefetto di Urbino. In molti di questi incarichi, soprattutto in quelli di commissario prefettizio in comuni bresciani, Visconti è sempre accompagnato da due giovani leghisti: il fido Marco Antonio Colosio, presente nell’elenco dei templari bresciani, e l’architetto Franco Claretti, oggi sindaco leghista di Coccaglio, un paesone del bresciano. E  l’amministrazione comunale di Brescia, in cui Fabio Rolfi è vicesindaco e dominatore assoluto, nomina entrambi dirigenti fin dal debutto della giunta di centrodestra. Il capo del gruppo lombardo è Bruno Caparini, cofondatore assieme a Bossi della Lega e attuale membro del consiglio di sorveglianza di A2A. Di lui, fino a poco tempo fa, Monica Rizzi, assessore regionale allo Sport (una adepta della loggia templare fino all’anno scorso, espulsa, forse, per la vicenda della finta laurea in psicologia, più credibilmente per incompatibilità con l’ambiente e gli altri cavalieri leghisti, ormai di stretta osservanza maroniana), conservava una foto in assessorato: abito nero con mantello bianco e croce templare rossa sul cuore, spada Carlo V e decorazione dell’ordine appesa al collo.

"Ma quale loggia massonica o associazione segreta: la Suprema Militia Equitum Christi è una onlus che fa beneficenza, non politica. Non ha legami con la Lega Nord, ed elenco degli iscritti e bilanci sono pubblici". Il prefetto di Pesaro Urbino Attilio Visconti è "onorato di far parte di questa associazione", e stamani, spiega all'ANSA, é "trasecolato" leggendo l'articolo di Libero 'I Gran Maestri della Lega Nord'. Un reportage che, prendendo spunto dal blog tempomoderno.it, descrive la Militia (sede ad Arezzo, molto attiva a Brescia) come "una strana organizzazione esoterica di cui fanno parte molti esponenti lumbard e un prefetto vicino al ministro Annamaria Cancellieri", cioé lo stesso Visconti, definito un maroniano. "Non ho nulla da nascondere - attacca lui - sono iscritto alla onlus dal 2009, anche se da due anni non pago la quota associativa (250 euro ndr), e da quando sono stato trasferito a Pesaro non ho avuto più tempo per partecipare agli incontri". Visconti è stato vice prefetto proprio a Brescia, ma la Cancellieri non la conosceva nemmeno: "quando sono arrivato io, nel 2006, e l'allora prefetto Cancellieri era stato trasferito in Sicilia già da due anni". Visconti teme "strumentalizzazioni indebite" e che "il vero spirito" della Militia, che si riunisce "pochissimo, una messa e un pranzo con le famiglie una volta l'anno", possa essere frainteso per colpa di "cappe e spade, del mantello bianco con la croce", simboli comuni ai "cavalieri del Santo Sepolcro, all'Ordine Costantiniano di San Giorgio, di cui sono commendatore, o all'Ordine di Malta, di cui spero di entrare presto a far parte". "Per qualcuno fose questi segni evocano logge e spettri del passato, ma l'ispirazione è ai cavalieri di Cristo, che con umiltà francescana si recavano in Terra Santa per portare aiuto ai bisognosi". "Sono figlio e nipote di due generali di Corpo d'Armata dei carabinieri, mio nonno venne deportato perché rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò - dice Visconti, che ha lavorato anche al Cesis, il Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza, e nel Gabinetto del ministero degli Interni -, la mia famiglia ha solidissimi principi ed è da sempre fedele alle istituzioni: non cerco e non ho bisogno di 'massonerie' o di scorciatoie, lo dimostrano il mio percorso professionale, e i 24 trasferimenti di sede che fra me e mio padre abbiamo affrontato". Il presidente della Militia è Marcello Piergentili, "una persona umile e semplice, pronta a mettere a disposizione della stampa tutti i dati della onlus". Dopo le grandi nevicate che hanno colpito la provincia di Pesaro Urbino ad esempio "stava organizzando una sottoscrizione, un piccolo contributo per ricostruire una palestra danneggiata". "Se non si fa nulla - osserva Visconti - si viene tacciati di inerzia e menefreghismo. Se ci si impegna si diventa 'massoni', o delinquenti". E il suo incarico di 'maestro di cerimonie e responsabile della formazione'? è un titolo onorifico, risponde, "me lo hanno assegnato sulla carta, non ho mai visto un 'novizio' in vita mia. E non mi risulta che ci sia alcuna scuola".

Suprema Militia Equitum Christi, il prefetto: "Non è una loggia". La replica su “Il Resto del Carlino”. Dopo aver letto l'articolo di Libero "I Gran Maestri della Lega Nord", Visconti ribatte: "Non ho nulla da nascondere". - "Il gran priorato della Suprema Militia Equitum Christi è una onlus che fa volontariato e beneficenza. Non è una loggia e non c'entra niente con la politica ed in particolare con la Lega Nord. Inoltre non è segreta visto che l'elenco degli iscritti ed i bilanci sono pubblici". Il prefetto di Pesaro Urbino Attilio Visconti si dice "onorato di far parte di questa associazione". "Non ho nulla da nascondere - aggiunge - sono iscritto alla onlus dal 2009, anche se da due anni non pago la quota associativa (250 euro), e da quando sono stato trasferito prima a Torino e poi a Pesaro non ho avuto più tempo per partecipare agli incontri". E' stata una mattinata complessa quella del prefetto Attilio Visconti, a Pesaro da poco più di un anno, dopo la pubblicazione di un articolo di Libero intitolato "I Gran Maestri della Lega Nord", dove il Gran Priorato viene definito "una strana organizzazione esoterica di cui fanno parte molti esponenti lumbard e un prefetto vicino al ministro Annamaria Cancellieri". Cioè lo stesso Attilio Visconti, indicato anche come vicino all'ex-ministro Bobo Maroni ed a quella parte di Lega Nord. E' evidente, anche se il prefetto Visconti non lo dice, che articoli di questo genere sono figli dello scontro interno alla Lega Nord. Il prefetto Visconti ci tiene soprattutto ad evitare ''strumentalizzazioni indebite''. In particolare il riferimento a rituali massonici: "Il vero spirito della Militia, che si riunisce pochissimo, una messa e un pranzo con le famiglie una volta l'anno può essere frainteso per colpa di cappe e spade, del mantello bianco con la croce, simboli comuni ai cavalieri del Santo Sepolcro, all'Ordine Costantiniano di San Giorgio, di cui sono commendatore, o all'Ordine di Malta, di cui spero di entrare presto a far parte". Il presidente della Militia è Marcello Piergentili, ''una persona umile e semplice, pronta a mettere a disposizione della stampa tutti i dati della onlus - aggiunge Visconti - che viste le nevicate che hanno colpito la provincia di Pesaro Urbino stava organizzando una sottoscrizione, un piccolo contributo per ricostruire una palestra danneggiata". E il suo incarico di maestro di cerimonie e responsabile della formazione? "E' un titolo onorifico, risponde, me lo hanno assegnato sulla carta per la mia attività di vice prefetto, non ho mai visto un novizio in vita mia. E non mi risulta che ci sia alcuna scuola". Conclusione personale di Visconti: "Sono figlio e nipote di due generali di Corpo d'Armata dei carabinieri, mio nonno venne deportato perchè rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò - dice Visconti, che ha lavorato anche al Cesis, il Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza, e nel Gabinetto del ministero degli Interni -, la mia famiglia ha solidissimi principi ed è da sempre fedele alle istituzioni: non cerco e non ho bisogno di massonerie o di scorciatoie, lo dimostrano il mio percorso professionale, e i 24 trasferimenti di sede che fra me e mio padre abbiamo affrontato".

 

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