Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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IL COGLIONAVIRUS
NONA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
GLI IMPROVVISATORI
INDICE PRIMA PARTE
IL VIRUS
Introduzione.
Le differenze tra epidemia e pandemia.
I 10 virus più letali di sempre.
Le Pandemie nella storia.
Coronavirus, ufficiale per l’Oms: è pandemia.
La Temperatura Corporea.
L’Influenza.
La Sars-Cov.
Glossario del nuovo Coronavirus.
Covid-19. Che cos’è il Coronavirus.
Il Coronavirus. L’origine del Virus.
Alla ricerca dell’untore zero.
Le tappe della diffusione del coronavirus.
I 65 giorni che hanno stravolto il Mondo.
I 47 giorni che hanno stravolto l’Italia.
A Futura Memoria.
Quello che ci dicono e quello che non ci dicono.
Sintomi. Ecco come capire se si è infetti.
Fattori di rischio.
Cosa risulta dalle Autopsie.
Gli Asintomatici/Paucisintomatici.
L’Incubazione.
La Trasmissione del Virus.
L'Indice di Contagio.
Il Tasso di Letalità del Virus.
Coronavirus: A morte i maschi; lunga vita alle femmine, immortalità ai bimbi.
Morti: chi meno, chi più.
Morti “per” o morti “con”?
…e senza Autopsia.
Coronavirus. Fact-checking (verifica dei fatti). Rapporto decessi-guariti. Se la matematica è un'opinione.
La Sopravvivenza del Virus.
L’Identificazione del Virus.
Il test per la diagnosi.
Guarigione ed immunità.
Il Paese dell’Immunità.
La Ricaduta.
Il Contagio di Ritorno.
I preppers ed il kit di sopravvivenza.
Come si affronta l’emergenza.
Veicolo di diffusione: Ambiente o Uomo?
Lo Scarto Infetto.
INDICE SECONDA PARTE
LE VITTIME
I medici di famiglia. In prima linea senza ordini ed armi.
Dove nasce il Focolaio. Zona rossa: l’ospedale.
Eroi o Untori?
Contagio come Infortunio sul Lavoro.
Onore ai caduti in battaglia.
Gli Eroi ed il Caporalato.
USCA. Unità Speciali di Continuità Assistenziale.
Covid. Quanto ci costi?
La Sanità tagliata.
La Terapia Intensiva….Ma non per tutti: l’Eutanasia.
Perché in Italia si ha il primato dei morti e perchè così tanti anziani?
Una Generazione a perdere.
Non solo anziani. Chi sono le vittime?
Andati senza salutarci.
Spariti nel Nulla.
I Funerali ai tempi del Coronavirus.
La "Tassa della morte".
Epidemia e Case di Riposo.
I Derubati.
Loro denunciano…
Le ritorsioni.
Chi denuncia chi?
L’Impunità dei medici.
Imprenditori: vittime sacrificali.
La Voce dei Malati.
Gli altri malati.
INDICE TERZA PARTE
IL VIRUS NEL MONDO
L’epidemia ed il numero verde.
Coronavirus, perchè colpisce alcuni Paesi più di altri?
Perché siamo i più colpiti in Occidente? Chi cerca, trova.
Il Coronavirus in Italia.
Coronavirus nel Mondo.
Schengen, di fatto, è stato sospeso.
Quelli che...negazionisti, sbeffeggiavano e deridevano.
…in Africa.
…in India.
…in Turchia.
…in Iran.
…in Israele.
…nel Regno Unito.
…in Albania.
…in Romania.
…in Polonia.
…in Svizzera.
…in Austria.
…in Germania.
…in Francia.
…in Belgio.
…in Olanda.
…nei Paesi Scandinavi.
…in Spagna.
…in Portogallo.
…negli Usa.
…in Argentina.
…in Brasile.
…in Colombia.
…in Paraguay.
…in Ecuador.
…in Perù.
…in Messico.
…in Russia.
…in Cina.
…in Giappone.
…in Corea del Sud.
A morte gli amici dell’Unione Europea.
A morte gli amici della Cina.
A morte gli amici della Russia.
A morte gli amici degli Usa.
INDICE QUARTA PARTE
LA CURA
La Quarantena. L’Immunità di Gregge e l’Immunità di Comunità: la presa per il culo dell’italianissimo “Si Salvi chi Può”.
L'Immunità di Gregge.
L’Immunità di Comunità. La Quarantena con isolamento collettivo: il Modello Cinese.
L’Immunità di Comunità. La Quarantena con tracciamento personale: il Modello Sud Coreano e Israeliano.
Meglio l'App o le cellule telefoniche?
L’Immunità di Comunità: La presa per il culo dell’italianissimo “Si Salvi chi Può”.
Epidemia e precauzioni.
Indicazioni di difesa dal contagio inefficaci e faziose.
La sanificazione degli ambienti.
Contagio, Paura e Razzismo.
I Falsi Positivi ed i Falsi Negativi. Tamponi o Test Sierologici?
Tamponi negati: il business.
Il Tampone della discriminazione.
Tamponateli…non rinchiudeteli!
Epidemia e Vaccini.
Il Vaccino razzista e le cavie da laboratorio.
Il Costo del Vaccino.
Milano VS Napoli. Al Sud gli si nega anche il merito. Gli Egoisti ed Invidiosi: si fanno sempre riconoscere.
Epidemia, cura e la genialità dei meridionali..
Il plasma della speranza, ricco di anticorpi per curare i malati.
Gli anticorpi monoclonali.
Le Para-Cure.
L’epidemia e la tecnologia.
Coronavirus e le mascherine.
Coronavirus e l’amuchina.
Coronavirus e le macchine salvavita.
Coronavirus. I Dispositivi medici salvavita: i respiratori.
Attaccati all’Ossigeno.
INDICE QUINTA PARTE
MEDIA E FINANZA
La Psicosi e le follie.
Epidemia e Privacy.
L’Epidemia e l’allarmismo dei Media.
Epidemia ed Ignoranza.
Epidemie e Profezie.
Le Previsioni.
Epidemia e Fake News.
Epidemia e Smart Working.
La necessità e lo sciacallaggio.
Epidemia e Danno Economico.
La Mazzata sui lavoratori…di più sulle partite Iva.
Il Supply Shock.
Epidemia e Finanza.
L’epidemia e le banche.
L’epidemia ed i benefattori.
Coronavirus: l’Europa ostacola e non solidarizza.
Mes/Sure vs Coronabond.
La Caporetto di Conte e Gualtieri.
Mes vs Coronabond-Eurobond. Gli Asini che chiamano cornuti i Buoi.
I furbetti del Quartierino Nordico: Paradisi fiscali, artifici contabili, debiti non pagati.
"Il Recovery Fund urgente".
Il Piano Marshall.
Storia del crollo del 1929.
Il Corona Virus ha ucciso la Globalizzazione del Mercatismo e da rivalutato la Spesa Pubblica dell’odiato Keynes.
Un Presidente umano.
Le misure di sostegno.
…e le prese per il Culo.
Morire di Fame o di Virus?
Quando per disperazione il popolo si ribella.
Il Virus della discriminazione.
Le misure di sostegno altrui.
Il Lockdown del Petrolio.
Il Lockdown delle Banche.
Il Lockdown della RCA.
INDICE SESTA PARTE
LA SOCIETA’
Coronavirus: la maledizione dell’anno bisestile.
I Volti della Pandemia.
Partorire durante la pandemia.
Epidemia ed animali.
Epidemia ed ambiente.
Epidemia e Terremoto.
Coronavirus e sport.
Il sesso al tempo del coronavirus.
L’epidemia e l’Immigrazione.
Epidemia e Volontariato.
Il Virus Femminista.
Il Virus Comunista.
Pandemia e Vaticano.
Pandemia ed altre religioni.
Epidemia e Spot elettorale.
La Quarantena e gli Influencers.
I Contagiati vip.
Quando lo Sport si arrende.
L’Epidemia e le scuole.
L’Epidemia e la Giustizia.
L’Epidemia ed il Carcere.
Il Virus e la Criminalità.
Il Covid-19 e l'incubo delle occupazioni: si prendono la casa.
Il Virus ed il Terrorismo.
La filastrocca anti-coronavirus.
Le letture al tempo del Coronavirus.
L’Arte al tempo del Coronavirus.
INDICE SETTIMA PARTE
GLI UNTORI
Dall’Europa alla Cina: chi è il paziente zero del Covid?
Un Virus Cinese.
Un Virus Americano.
Un Virus Norvegese.
Un Virus Svedese.
Un Virus Transalpino.
Un Virus Teutonico.
Un Virus Serbo.
Un Virus Spagnolo.
Un Virus Ligure.
Un Virus Padano e gli Untori Lombardo-Veneti.
Codogno. Wuhan d’Italia. Dove tutto è cominciato.
La Bergamasca, dove tutto si è propagato.
Quelli che… son sempre Positivi: indaffarati ed indisciplinati.
Quelli che…i “Corona”: Secessione e Lavoro.
Il Sistema Sanitario e la Puzza sotto il Naso.
La Caduta degli Dei.
La lezione degli Albanesi al razzismo dei Lombardo-Veneti.
Quelli che…ed io pago le tasse per il Sud. E non è vero.
I Soliti Approfittatori Ladri Padani.
La Televisione che attacca il Sud.
I Mantenuti…
Ecco la Sanità Modello.
Epidemia. L’inefficienza dei settentrionali.
INDICE OTTAVA PARTE
GLI ESPERTI
L’Infodemia.
Lo Scientismo.
L’Epidemia Mafiosa.
Gli Sciacalli della Sanità.
La Dittatura Sanitaria.
La Santa Inquisizione in camice bianco.
Gli esperti con le stellette.
Epidemia. Quelli che vogliono commissariare il Governo.
Le nuove star sono i virologi.
In che mani siamo. Scienziati ed esperti. Sono in disaccordo su tutto…
Virologi: Divisi e rissosi. Ora fateci capire a chi credere.
Coronavirus ed esperti. I protocolli sanitari della morte.
Giri e Giravolte della Scienza.
Giri e Giravolte della Politica.
Giri e Giravolte della stampa.
INDICE NONA PARTE
GLI IMPROVVISATORI
La Padania si chiude…con il dubbio. A chi dare ragione?
Il Coglionavirus ed i sorci che scappano.
Un popolo di coglioni…
L’Italia si chiude…con il dubbio. A chi dare ragione?
La Padania ordina; Roma esegue. L’Italia ai domiciliari.
Conta più la salute pubblica o l’economia?
Milano Economia: Gli sciacalli ed i caporali.
“State a Casa”. Anche chi la casa non ce l’ha.
Stare a Casa.
Ladri di Libertà: un popolo agli arresti domiciliari.
Non comprate le cazzate.
Quarantena e disabilità.
Quarantena e Bambini.
Epidemia e Pelo.
Epidemia e Violenza Domestica.
Epidemia e Porno.
Quarantena e sesso.
Epidemia e dipendenza.
La Quarantena.
La Quarantena ed i morti in casa.
Coronavirus, sanzioni pesanti per chi sgarra.
Autodichiarazione: La lotta burocratica al coronavirus.
Cosa si può e cosa non si può fare.
L’Emergenza non è uguale per tutti.
Gli Irresponsabili: gente del “Cazzo”.
Dipende tutto da chi ti ferma.
Il ricorso Antiabusi.
Gli Improvvisatori.
Il Reato di Passeggiata.
Morte all’untore Runner.
Coronavirus, l’Oms “smentisce” l’Italia: “Se potete, uscite di casa per fare attività fisica”.
INDICE DECIMA PARTE
SENZA SPERANZA
TUTTO SARA’ COME PRIMA…FORSE
In che mani siamo!
Fase 2? No, 1 ed un quarto.
Il Sud non può aspettare il Nord per ripartire.
Fase 2? No, 1 e mezza.
A Morte la Movida.
L’Assistente Civico: la Sentinella dell’Etica e della Morale Covidiana.
I Padani col Bollo. La Patente di Immunità Sanitaria.
Fase 2: finalmente!
“Corona” Padani: o tutti o nessuno. Si riapre secondo la loro volontà.
Le oche starnazzanti.
La Fase 3 tra criticità e differenze tra Regioni.
I Bisogni.
Il tempo della Fobocrazia. Uno Stato Fondato sulla Paura.
L’Idiozia.
Il Pessimismo.
La cura dell’Ottimismo.
Non sarà più come prima.
La prossima Egemonia Culturale.
La Secessione Pandemica Lombarda.
Fermate gli infettati!!!
Della serie si chiude la stalla dopo che i buoi sono già scappati.
Scettici contro allarmisti: chi ha ragione?
Gli Errori.
Epidemia e Burocrazia.
Pandemia e speculazione.
Pandemia ed Anarchia.
Coronavirus: serve uno che comanda.
Addio Stato di diritto.
Gli anti-italiani.
Gli Esempi da seguire.
Come se non bastasse. Non solo Coronavirus…
I disertori della vergogna.
Tutte le cazzate al tempo del Coronavirus.
Epidemia: modi di dire e luoghi comuni.
Grazie coronavirus.
IL COGLIONAVIRUS
NONA PARTE
GLI IMPROVVISATORI
· La Padania si chiude…con il dubbio. A chi dare ragione?
L'Italia si ferma per il Coronavirus. Le misure del decreto di Palazzo Chigi. Il Corriere del Giorno il 5 Marzo 2020. Oltre tremila i contagi, crescono dell’8,95 per cento le guarigioni. Il Governo assicura aiuti a lavoratori e imprese. Ma i 3,6 miliardi pensati qualche giorno fa per il decreto sulle misure economiche potrebbero non bastare. Continuano a crescere i contagi – superata la soglia dei tremila – è record di guarigioni: ieri la percentuale dei casi guariti è salita all’8,95 per cento. Si tratta di 116 casi su un totale di 276. Per bloccare il coronavirus e limitare il contagio il presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, ha firmato un nuovo decreto, mettendo di fatto l’Italia in quarantena: scuole e università chiuse fino al 15 marzo, campionato di calcio a porte chiuse per un mese, stop a tutti gli eventi affollati. Tutti devono stare distanza di sicurezza di un metro da altre persone. Una decisione questa senza precedenti che rischia di mettere letteralmente in ginocchio l’economia italia. “La situazione è grave, chiederò a Bruxelles la massima flessibilità” (cioè di aumentare il proprio debito pubblico), dice il Premier, che promette agli italiani: “Ci rialzeremo, come dopo il ponte Morandi“. Queste le misure previste dal decreto “per il contrasto e il contenimento sull’intero territorio nazionale del diffondersi del virus COVID-19“.
Chiuse scuole e università. Sospese le attività didattiche sino al 15 marzo nelle scuole di ogni ordine e grado nonché la frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore, comprese le Università e le Istituzioni di Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica, di corsi professionali, master e università per anziani, ferma in ogni caso la possibilità di svolgimento di attività formative a distanza. I dirigenti scolastici attivano, per tutta la durata della sospensione delle attività didattiche nelle scuole, modalità di didattica a distanza. Sono esclusi dalla sospensione i corsi post universitari connessi con l’esercizio di professioni sanitarie, inclusi quelli per i medici in formazione specialistica.
Stop a eventi affollati e restrizioni per cinema e teatri. Sospesi i congressi, le riunioni, i meeting e gli eventi sociali, inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro.
Eventi sportivi agonistici a porte chiuse. Il campionato di calcio di Serie A e gli eventi sportivi agonistici si svolgeranno a porte chiuse sino al 3 aprile.
Palestre. Gli sport di base in palestre o piscine sono ammessi solo se rispettano le norme di igiene e sempre la distanza di sicurezza di almeno un metro.
Massima attenzione per anziani e pazienti a rischio. E’ fatta espressa raccomandazione a tutte le persone anziane o affette da patologie croniche o con multimorbilità ovvero con stati di immunodepressione congenita o acquisita, di evitare di uscire dalla propria abitazione o dimora fuori dai casi di stretta necessità e di evitare comunque luoghi affollati nei quali non sia possibile mantenere la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro.
Coronavirus, cosa devono fare sindaci e associazioni. I sindaci, enti territoriali e associazioni di categoria devono promuovere la diffusione delle informazioni sulle misure di prevenzione igienico, offrire attività ricreative individuali alternative a quelle collettive interdette dal decreto, che promuovano e favoriscano le attività svolte all’aperto, purché svolte senza creare assembramenti di persone. Nelle pubbliche amministrazioni e, in particolare, nelle aree di accesso alle strutture del servizio sanitario, nonché in tutti i locali aperti al pubblico devono essere messe a disposizione degli addetti, nonché degli utenti e visitatori, soluzioni disinfettanti per l’igiene delle mani.
I concorsi. Adottate opportune misure organizzative nello svolgimento delle procedure concorsuali pubbliche e private volte a ridurre i contatti ravvicinati tra i candidati e tali da garantire ai partecipanti la possibilità di rispettare la distanza di almeno un metro tra di loro.
Chi arriva in Italia da zone a rischio coronavirus. Chiunque abbia fatto ingresso in Italia dopo aver soggiornato in zone a rischio epidemiologico, come identificate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, o sia transitato e abbia sostato nei comuni nella zona rossa, a partire dal quattordicesimo giorno antecedente la data di pubblicazione del presente decreto, deve comunicare tale circostanza al dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente per territorio nonché al proprio medico di medicina generale ovvero al pediatra di libera scelta.
Coronavirus e telelavoro. Durante lo stato di emergenza i datori di lavoro possono attuare lo smart working a ogni lavoratore, anche in assenza di accordi individuali.
Aumento dei posti letto negli ospedali. Il piano di Palazzo Chigi prevede anche l’aumento del 50 per cento dei posti letto in terapia intensiva e del cento per cento nei reparti di pneumologia e malattie infettive.
Aiuti a lavoratori e imprese. Il Governo assicura aiuti a lavoratori e imprese. Ma i 3,6 miliardi pensati qualche giorno fa per il decreto sulle misure economiche potrebbero non bastare.
Coronavirus, nuove regole in Parlamento: si vota solo di mercoledì. Pubblicato venerdì, 06 marzo 2020 su Corriere.it da Fabrizio Caccia. Al tempo del Coronavirus, i parlamentari si preparano anche psicologicamente. Prossima votazione in programma alla Camera: mercoledì prossimo, 11 marzo, per lo scostamento di bilancio. «Siederemo uno vicino all’altro, ma dovrebbe essere una roba veloce, un voto e via - dice Luca Carabetta, deputato M5S - mi preoccupa di più mercoledì 18, quando ci sarà la votazione sul Garante della Privacy, lì non si voterà da seduti, ma uno dopo l’altro dovremo entrare nell’urna con la scheda, insomma passeremo più tempo insieme in Aula, sarà una cosa lunga e soprattutto sarà impossibile rispettare il metro di distanza». Perché più tempo passa e più si è esposti al contagio, il ragionamento è semplice. La delibera dei Questori di giovedì 5 marzo ha posto paletti precisi: si voterà solo il mercoledì, molte commissioni sono state già sconvocate. Maria Teresa Baldini, la deputata di Fratelli d’Italia con la mascherina ormai divenuta celebre anche in Cina da dove le scrivono ammiratori, racconta che pure l’Intergruppo delle donne parlamentari, che stava lavorando a un progetto in vista dell’8 marzo, ha dovuto rinviare la sua riunione. La commissione Lavoro, invece, che sta lavorando sul taglio del cuneo fiscale, dovrebbe continuare a vedersi anche la prossima settimana. Però, insomma, ecco che alla Camera il day after, cioè il venerdì dopo la circolare dei Questori sulle nuove regole, si presenta ancora più tranquillo del solito: pochissimi clienti nella tabaccheria interna al Palazzo così come in banca e all’ufficio postale. La mitica barberia di Montecitorio aprirà invece solo il mercoledì, in concomitanza con l’Aula. Gli infermieri con i termoscanner all’ingresso misurano la temperatura a chi entra, c’è Amuchina ovunque, nei bagni e alla buvette. «All’inizio ci scherzavamo sopra,facevamo battute -racconta Patrizia Prestipino del Pd, Commissione Scuola, Cultura e Sport - Ma adesso il clima è cambiato,dai commessi del bar ai funzionari tutti ci adeguiamo con il massimo scrupolo al protocollo del governo. Ieri in ascensore sono salita con un collega e ci siamo messi ognuno al suo angolo: giochiamo ai quattro cantoni? Gli ho detto per stemperare un po’ la tensione. Ma ci sono delle distanze da rispettare ed è giusto così. Ad altre persone che volevano salire abbiamo detto, infatti, di aspettare la corsa successiva». D’ora in poi ciascun parlamentare potrà ricevere al massimo 3 ospiti al giorno e costoro non potranno più fare un salto in Transatlantico come prima per respirare da vicino il profumo del potere, ma dovranno accontentarsi di passeggiare avanti e indietro lungo la Galleria dei Presidenti. «Ho ricevuto ieri una persona che veniva da Milano ed era un po’ raffreddata - continua la Prestipino - all’ingresso i commessi si sono un po’ allarmati, lui ha cercato subito di tranquillizzarli: ‘Ho fatto già il tampone, sono negativo...’ ha detto. Il clima è questo, in fondo siamo lo specchio del Paese,le nostre paure sono quelle di tutti». Anche se si voterà solo di mercoledì, però, la macchina del Parlamento continua a muoversi. «Molte audizioni si faranno in videoconferenza - dice Carabetta (M5S) della X commissione Attività produttive - uno strumento che continuerà ad essere molto utile poi in futuro, dopo che sarà finita l’emergenza». Anche i giornalisti parlamentari si stanno organizzando. Marco Di Fonzo, il presidente dell’Asp (Associazione stampa parlamentare) racconta che è stato già chiesto e si spera di ottenerlo presto un microfono centralizzato per realizzare le interviste nella Saletta Troupe (l’ex Tabaccheria),mentre nella sala stampa dove si lavora ogni giorno a stretto contatto di gomito, la prevenzione sarà affidata soprattutto al buon senso dei singoli. «Mia mamma Liliana mi chiama otto volte al giorno per sapere se mi sono lavata le mani - racconta Giusy Versace, deputata di Forza Italia - Del resto il Parlamento è un incubatore naturale di virus perchè noi tutti veniamo da ogni parte d’Italia e viaggiamo in continuazione, parliamo con tante persone, assessori regionali, consiglieri comunali e purtroppo avete visto che il Corovinarus ha infettato anche alcuni di loro. Chissà, magari qualcuno di noi asintomatico il virus l’ha già avuto ed è guarito, non lo escluderei...». Lei fa parte della Commissione Affari sociali e della Bicamerale d’Infanzia: «Entro sera ci diranno il programma della prossima settimana - conclude la Versace - secondo me sarebbe stato meglio concentrare i lavori in sette giorni e poi magari chiudere due settimane. Votare solo di mercoledì è una misura che non capisco molto: non è che quel giorno il Coronavirus entra in sciopero».
La chiusura delle scuole è stata una scelta politica. Non tutti gli scienziati coinvolti dal governo la ritenevano necessaria. Da quanto risulta, infatti, il premier Giuseppe Conte si sarebbe assunto questa enorme responsabilità a prescindere dal parere non unitario del comitato tecnico-scientifico. E’ stata proprio una fonte autorevole del comitato a confermarlo al quotidiano La Stampa: la misura “è stata valutata come priva di evidenza scientifica soprattutto di limitata efficacia se non prolungata nel tempo”. E’ la stessa risposta fornita dagli esperti al governo dopo ore di fughe di notizie e quando ormai l’intero Paese era in fibrillazione e in attesa di una conferma. Sarebbe stato il solo presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro a dare il via libera. E’ l’unico nome che Conte cita durante la conferenza stampa convocata per ufficializzare lo stop e per dare una spiegazione a genitori e insegnanti di tutta Italia, dopo il pasticcio avvenuto sulla comunicazione. “La notizia fuoriuscita è stata completamente improvvida – ha detto Conte – In mattinata non ci siamo lasciati con una decisione finale in quanto avevamo demandato al professor Brusaferro un approfondimento per avere tutti gli elementi di valutazione”. Sono le conclusioni del premier Conte a dare un’evidente indicazione del dibattito tra gli esperti. “La valutazione tecnico-scientifica ci è arrivata da poco ed è mia responsabilità, in quanto firmatario del Dpcm, disporre la chiusura delle scuole“. Dunque Conte, come dimostrato dalle indiscrezioni arrivate in anticipo, era già orientato alla chiusura. Il parere del comitato quindi non gli avrebbe fatto cambiare la sua idea iniziale. Poco dopo le dichiarazioni di Conte l’Iss rimanda a un comunicato, pubblicato sul proprio sito, in cui vengono promosse “le misure di salute pubblica introdotte in questi giorni con lo scopo di evitare una grande ondata epidemica“, compresa la chiusura degli istituti scolastici. Brusaferro non ha partecipato alla quotidiana conferenza stampa presso la sede della Protezione civile. Per spegnere gli interrogativi su una sua possibile defezione in polemica con i colleghi, l’istituto pubblica una nota: «Il presidente ha semplicemente partecipato a un altro incontro”. Il Coronavirus può attendere….
«La Corrida» e «I soliti ignoti» non andranno in onda per l’emergenza coronavirus: troppo pubblico in sala. Pubblicato giovedì, 05 marzo 2020 da Corriere.it. Era nell’aria dopo l’ultimo provvedimento del governo, ora è ufficiale La Corrida, di Carlo Conti che non può evidentemente prescindere dal pubblico in sala , non verrà trasmessa e così per «I soliti ignoti», con tutta quella teoria di concorrenti oltreché gli spettatori in sala. Per altri programmi, vedi «Amici» e «Ballando con le stelle», si sta valutando se realizzarli senza pubblico (come già accaduto per «Le Iene», la trasmissione di Barbara D’Urso, «La domenica sportiva» e «Che tempo che fa») oppure rinviarli. Ma, per il momento la seconda puntata della trasmissione di Maria De Filippi, in onda venerdì sera, è confermata.
Gigi Rock da Manduria a Milano sull'aereo svuotato dal Coronavirus. «Eravamo si e no una decina, mi sono sentito importantissimo come Mick Jagger che per non essere disturbato dai fans ha fatto prenotare un aereo tutto per lui». Nazareno Dinoi su La Voce di Manduria venerdì 06 marzo 2020. «Oggi sul volo Brindisi-Malpensa eravamo io e il comandante, neanche un’hostess, mi sono fatto il caffè da solo». La prende con ironia Gigi Rock (d'altronde è il suo mestiere), la surreale condizione di un volo di linea praticamente vuoto quando in altri tempi avrebbe registrato il tutto esaurito. L’artista manduriano che vive a Milano, è stato a Manduria dove vive ancora la sua anziana madre ed altri parenti. Una permanenza di pochi giorni prima del volo sull’aero di ieri svuotato dal coronavirus. «Eravamo si e no una decina, mi sono sentito importantissimo come Mick Jagger che per non essere disturbato dai fans ha fatto prenotare un aereo tutto per lui» scherza Gigi Rock, alla nascita Luigi Rossetti. L’ideatore del rockettaro metropolitano con chitarra e vestito alla Elvis con l’incipit, «ciao raga tutto rego?», racconta di aver trovato l’aeroporto di Malpensa come mai prima. «Era un altro deserto, pochissima gente, qualche gruppo di tre, quattro persone per lo più stranieri». Una desolazione come il resto d’Italia, al Nord più che al Sud, almeno sinora. Quando tornerà a Manduria, il comico cantautore, rispetterà rigorosamente l’auto isolamento fiduciario così come ha fatto in questi giorni di sole Messapico. Alla domanda se anche lui si è lasciato prendere dalla fobia del virus, Gigi risponde così: «devo essere sincero, io mi attengo alle regole, seguo le raccomandazioni, ma sono un grande fatalista, perciò continuo a vivere normalmente, senza paranoie». Però in Puglia sempre meglio che Milano, no? «In Puglia più che più sicuro mi sento bene perchè è una terra meravigliosa», giura l’artista che nella metropoli lombarda ha messo su famiglia e trovato lavoro. Che ora con il Covid-19 sta subendo un freno. «Erano state già programmate delle registrazioni con Zelig, ma anche queste sono state posticipate a chissà quando; meno male che sono milionario altrimenti sarebbe un problema», chiosa l’Elvis metropolitano.
L'Italia si chiude. Decisione senza precedenti: scuole chiuse in tutta Italia. "Bisogna salvare il Servizio sanitario". Conte e Speranza forzano la scelta nonostante il parere contrario degli esperti. Pietro Salvatori su huffingtonpost.it il 04/03/2020. Sulla chiusura delle scuole il primo vero cortocircuito interno alla maggioranza di governo sul coronavirus. Giuseppe Conte ha convocato a Palazzo Chigi in mattinata tutti i ministri. Sul tavolo un nuovo decreto per un’ulteriore stretta sulle misure per affrontare il contagio. Dopo quasi due ore filtra una notizia: le scuole verranno chiuse su tutto il territorio nazionale da giovedì fino al 15 marzo. La parte del governo più vicina al premier strabuzza gli occhi: “Questa è una forzatura, incomprensibili fughe in avanti”. “Una fuga di notizie improvvida”, la definirà qualche ora dopo con più understatement, ma con faccia severa il capo del governo. A nessuno all’interno dell’esecutivo è sfuggito che chiudere i cancelli di scuole e università in tutta Italia è una decisione dalla quale passa un’intera linea comunicativa, contribuisce forse più d’ogni altra a spostare la china di questi giorni difficili dal sottile crinale che divide il panico dalla calma. È stato il ministero della Salute a intestarsi più d’ogni altro la scelta. “Capiamo che ha un forte valore simbolico - spiegano fonti vicine a Roberto Speranza - ma segnala che la situazione è seria”. Il Partito democratico ha seguito fin da subito la medesima linea. Nicola Zingaretti ha parlato chiaro e tondo: “Una decisione giusta, il primo grande provvedimento economico è sconfiggere il virus”. A frenare sin da subito Italia viva: “Andiamo in controtendenza con quanto detto finora - la posizione del partito di Matteo Renzi - Così si rischia di creare il panico”. È su questo che si è incentrata la discussione dei ministri riuniti, quello che Conte ha definito con morbidezza “uno scambio che ha preso ampia parte” del summit governativo. Ad avere dubbi anche i 5 stelle. Mentre la notizia si diffondeva, dal ministero dell’Istruzione si tirava il freno a mano: “Aspettate, ora parla il ministro”. Lucia Azzolina si presentava davanti ai microfoni infrangendo ogni certezza: “Nessuna decisione è stata presa, aspettiamo il parere del comitato tecnico scientifico”. Un parere che era già noto a buona parte dei presenti, e che è stato affinato nei colloqui intercorsi subito dopo l’ora di pranzo: secondo gli esperti la misura di per sé non è dannosa, ma rappresenta un eccesso di prudenza. Perché, avrebbero spiegato gli esperti nominati dalla protezione civile, l’evidenza scientifica di una serrata di scuole e università è limitata. Ovvero: non ci sono prove che lo stop contribuisca ad arginare il contagio. Conte si è infilato in un giro di incontri con le parti sociali. Occorrono misure straordinarie, la posizione di Confindustria. “Servono scelte coraggiose, senza le quali è forte il rischio che l’emergenza sanitaria sfoci in una catastrofe economica”, va giù duro Angelo Margiotta, segretario generale della Confsal. Proprio di una “normalizzazione” dell’emergenza sanitaria parla Vincenzo Boccia, presidente degli industriali. Ma sarebbe stato proprio il parere del presidente del Consiglio a far pendere la bilancia verso la soluzione drastica, seguendo il principio che meglio eccedere in prudenza che rischiare per non aver messo in campo tutte le misure possibili. La strada scelta è stata dunque diversa. E prevede la chiusura delle scuole, appunto, ma anche di cinema, teatri, eventi sportivi e la sospensione di eventi pubblici e manifestazioni. Il ministero della Salute ripete senza sosta che la curva dei contagi non dà segni di normalizzazione, e che la saturazione dei reparti di terapia intensiva è un’ipotesi più che concreta. Conte lo ha detto in chiaro: “La priorità sono misure di contenimento o di ritardo della diffusione del coronavirus. Il sistema sanitario rischia di andare in sovraccarico”. Nessuno si è sentito di fare muro a quelle che sono, comunque la si voglia vedere, tentativi per superare il momento critico. Da stasera tutta Italia è zona gialla.
Isteria da virus. Il centro di comando del Paese ha mostrato un caos decisionale e una irrefrenabile pulsione all’orgia comunicativa. È il quadro di una confusione sistemica, in termini di decisione e di immagine, accompagnata da una costante recita a soggetto dei singoli. Alessandro De Angelis su huffingtonpost.it il 04/03/2020. Solo alle sei di pomeriggio si capisce che le scuole saranno chiuse, nell’ambito di una conferenza stampa in cui il presidente del Consiglio parla la metà del tempo del pasticcio di giornata, tra fughe di notizie, smentite del ministro dell’Istruzione, incertezze e poi silenzi. Poco male se l’oggetto di questa confusione fosse la prescrizione, o questo o quel tema su cui spesso il Palazzo si avvita su se stesso. Il problema è che invece siamo di fronte a misure “eccezionali” per una situazione “eccezionale”, che hanno un impatto enorme sulla vita di milioni di famiglie. Ecco, è accaduto che, ancora una volta, il centro di comando del Paese ha mostrato una isteria decisionale e un’irrefrenabile pulsione all’orgia comunicativa, disvelando il dato strutturale di questa crisi, e cioè che non c’è una solida plancia di comando: la Azzolina che, dopo un vertice, smentisce ciò che fonti di governo avevano fatto trapelare ai giornali sulla chiusura delle scuole, poi un black out di ore, poi Conte che annuncia ciò che la Azzolina aveva negato, con lo spirito di chi si giustifica più che per spiegare, con la forza della scienza e la determinazione della politica, una situazione da “stato di guerra”. Insomma, l’emergenza che nel Paese del melodramma diventa un coro di acuti, in cui l’incontinenza dei singoli alimenta uno stato permanente di incertezza istituzionale. Qui la fuga di notizie non c’entra niente, non è questione di rapporto tra fonti e giornali. Qui c’entra il senso della gravità del momento che dovrebbe essere, in questi casi, il primo collante del governo. Parliamoci chiaro: il Paese sta dimostrando una straordinaria compostezza e una straordinaria maturità, di fronte a un’emergenza che è un’incognita e dopo un mese di messaggi contraddittori e di continui stop and go. Non un gesto di insofferenza, non un momento di alterazione collettiva. Il problema è la testa, non il corpo, che dall’inizio di questa storia, tra cambi di registro e annunci sui giornali, ha proceduto in modo poco ordinato, arrancando nello stress e nell’ansia da rincorsa della realtà. In un primo momento Conte l’ha cavalcata pensando che l’emergenza potesse essere un’opportunità per legittimarsi di fronte al Paese, quando ancora si viveva in un clima da imminente crisi di governo, auto-inducendosi un isolamento internazionale con l’Iraq e l’Eritrea che hanno chiuso i voli. Poi la svolta al contrario, in termini di minimizzazione, di fronte all’impatto in termini di immagine e di Pil, col Corona virus diventato “poco più di una influenza”. Si arriva, in ultimo, alle misure draconiane su partite di calcio e alle scuole, che trasformano l’Italia in una grande zona gialla e rossa, giallorossa, come il governo che ha impugnato qualche giorno fa la decisione del governatore delle Marche di chiudere le scuole, facendola bocciare dal Tar, per poi fare proprio come il “bocciato” aveva fatto. È il quadro di una confusione sistemica, in termini di decisione e di immagine, accompagnata da una costante recita a soggetto dei singoli: la Azzolina che smentisce una decisione che sarà presa, Patuanelli che annuncia la sua quarantena pur non essendo positivo (fortunatamente senza mascherina), Conte che, dopo essere andato dalla D’Urso in maglioncino, solo oggi registra via Facebook un messaggio, che non ha la solennità di un discorso di verità alla nazione, ma almeno è in giacca, cravatta e bandiera italiana ed europea alle spalle. La politica¸ il più grande strumento di servizio per il Paese, mostra, proprio nel momento più difficile, fragilità e subalternità al circo mediatico. In questo contesto, la grande “serrata nazionale antivirale” con la chiusura delle scuole e le porte chiuse alle partite è un ulteriore tassello della confusione. Nell’ambito del cortocircuito di una catena di comando che non c’è, tra protezione civile debole, governo incerto e nervosismo delle regioni, alla fine si è scelto di affidarsi ai pareri degli scienziati più prudenti, come nel caso dell’Istituto superiore di Sanità. Ma non è un parere unanime, perché il “comitato scientifico” nominato dalla protezione civile esprime una neutralità a riguardo, ritenendo la misura non necessaria al momento. Una sorta di cessione di sovranità che rivela un’ansia crescente, fondata sul timore del “collasso” delle strutture sanitarie di fronte al dilagare dei contagi. Tutto racconta dell’assenza di una solida bussola decisionale e di una sovrapposizione di piani senza un baricentro. Più di un ministro del Pd, a ragione, e si tratta di quelli che provengono da una scuola politica più solida (non tutti sono scivolati di fronte alle telecamere) ha fatto notare al premier che, di fronte a una emergenza, palazzo Chigi non può essere il luogo di un dibattito permanente in cui tutti parlano di tutto, a prescindere dalle proprie competenze. Occorre una catena di comando certa, dove ognuno fa il suo mestiere. E il premier si occupa di tenere unito il Paese e indica una direzione, anche sull’economia perché, in questi casi, non c’è una politica dei due tempi “prima la salute, poi l’economia”, ma le due cose vanno di pari passo, nella misura in cui la recessione non né un antivirale né una cura. Tra il proliferare di sigle, esperti, voci, istituzionali e non, Istituto della sanità, protezione civile, ministri che quotidianamente dicono la propria, manca una figura, tecnica o politica, che si occupi della sensibilità del Paese, delle sue domande, delle sue paure, della sua vita destinata a mutare anche dopo la fine di questa emergenza, come dopo una guerra. Perché di questo si sta parlando, non di una verifica di governo.
Dagospia il 5 marzo 2020. DALL’ACCOUNT TWITTER DI ROBERTO BURIONI. “Molti stanno usando l’assenza di evidenze per contestare la misura che chiude le scuole. Sfido chiunque a trovare una pubblicazione su come prevenire la diffusione di un virus comparso pochi mesi fa sulla faccia della Terra”. Considerati i numeri attuali, la chiusura delle scuole è un provvedimento indispensabile. Mi stupisco che qualcuno con un minimo di raziocinio possa non essere d’accordo.
Dagospia il 5 marzo 2020. Da “Circo Massimo - Radio Capital”. Oltre ai politici, anche i virologi si stanno dividendo sul nuovo coronavirus. “A dir la verità non siamo così tanti e pochi sono molto validi, gli altri sono solo pseudo-virologi - spiega a Circo Massimo, su Radio Capital, il professor Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia, "la nostra categoria non siede al tavolo del governo, non sta dando alcun apporto alle decisioni. Ci sono epidemiologi, infettivologi e igienisti che in questo momento di emergenza si arrogano il diritto di sapere di virologia”. In realtà, secondo il professore Caruso i virologi la pensano allo stesso modo: “Noi diciamo che il nuovo coronavirus non è simile all’influenza, è una follia dirlo. È un virus molto più aggressivo, che penetra nella popolazione velocemente e ora vediamo tutti i danni che sta facendo nelle persone più deboli: la metà di chi si infetta va in ospedale con sintomi abbastanza seri, il 10% va in rianimazione e i decessi si attestano attestati al 3,5- 4%”. Imparagonabile col tasso di mortalità dell’influenza: “È allo 0,02%, perché siamo vaccinati", aggiunge il presidente Caruso nell’intervista con il direttore Massimo Giannini e Oscar Giannino, "ora siamo alle prese con un virus che conosciamo da poco e ovviamente non è la stessa cosa di un’influenza che conosciamo da mille anni". C'è stata divisione, invece, sulla chiusura delle scuole: Walter Ricciardi, membro dell'OMS e del comitato scientifico che affianca il governo nella gestione dell'emergenza, ha definito la misura "dannosa", mentre l'infettivologo Massimo Galli, dell'Ospedale Sacco di Milano, è favorevole: "Non dico che il dottor Ricciardi millanti: è un esperto e una persona di valore, è stato presidente dell'ISS. Lui ha sotto controllo la situazione centrale, a Roma. Galli, un carissimo amico, invece è sul posto, vede quello che sta succedendo in Lombardia. L'Italia è spezzata in due". Dove si schiera Caruso? "Per me la chiusura di atenei e scuole è un atto di coraggio apprezzabile: soprattutto in quelle regioni dove sono presenti piccolo focolai, non dobbiamo permettere che si espanda il virus ed è molto più probabile che accada nei momenti di aggregazione. In questi giorni si gioca la nostra partita: se cresce in maniera esponenziale, si espande anche nelle altre regioni; se si ferma, si ferma anche nelle altre zone. È un momento di pausa, in cui dobbiamo riflettere con qualcosa di fermo e non con qualcosa in movimento. Cerchiamo noi stessi di evitare assembramenti, con spirito civico”. Il professor Caruso fa poi un appello alla politica: “Il virus non muta nelle parti più fondamentali e questo ci fa ben sperare per poter fare un vaccino che possa essere efficace e per poter fare immediatamente dei farmaci. È importante però che ci siano fondi per la ricerca perché ce ne ricordiamo solo nei momenti di emergenza”. Sui tempi per debellare il virus, il professore Caruso si augura che "finisca tutto, perché ci sono categorie più deboli. Da padre e da figlio, spero che possa smorzarsi con la bella stagione, come avviene spesso con le infezioni virali e respiratorie. Dobbiamo però aspettarci.
Chiara Baldi per “la Stampa” il 5 marzo 2020. «Prendere determinate posizioni è sempre stato impopolare e, purtroppo, sempre lo sarà. Ma tra l' impopolarità e il dovere di mantenere lucidità e rigore scientifico, sceglierò sempre il secondo». Il professor Massimo Galli, primario infettivologo dell' ospedale Sacco di Milano, non ha dubbi sulla bontà delle misure messe in campo dal governo. «Il principio fondamentale che anima queste iniziative estese a livello nazionale è che bisogna evitare che situazioni di affollamento e contatto facilitino la diffusione del virus».
Professore, era davvero necessario chiudere le scuole in Italia fino al 15 marzo?
«In un' aula i ragazzi passano molte ore e questo impedisce sia il distanziamento di un metro l' uno dall' altro sia la riduzione dell' affollamento, che si verifica al momento dell' entrata a scuola, dell' uscita e durante la ricreazione.
Se è vero che i bambini e gli adolescenti sono, vedendo i numeri, appena toccati da questa infezione per motivi che non sono ancora chiari, è anche vero che non è improbabile che facciano da "amplificatori" della diffusione del Covid19. Soprattutto nei confronti dei nonni che, come sappiamo, sono per età tra le persone che più rischiano nel momento del contagio».
Agli anziani viene consigliato di stare il più possibile in casa e di evitare contatti sociali. Non si rischia un po' di abbandono e solitudine?
«Mi rendo conto, da quasi 69 enne, che potrebbe sembrare una forma di emarginazione. Ma in realtà si tratta solo di adottare una maggiore attenzione alle fasce più deboli. Certo è che la comunità in generale e l' assistenza dovranno prendersi in carico in particolare gli anziani soli».
Un' altra delle misure riguarda la chiusura di cinema e teatri. Frequentare i luoghi di svago ci rende così tanto vulnerabili?
«Facciamo un esempio. Se una persona in sala non sa di essere contagiata - e può capitare - e tossisce, le goccioline emesse con la tosse entrano nell' ambiente e rischiano di infettare chi si trova un metro davanti a lui, un metro dietro a lui e un metro di fianco a lui. Se valgono i dati sulla trasmissione dell' influenza, potrebbero essere infettate anche persone sedute a distanza un po' maggiore. Poi, c' è il problema dell' affollamento al botteghino per comprare o ritirare il biglietto e gli spostamenti non strettamente necessari sui mezzi pubblici per arrivare al cinema».
Anche le manifestazioni sportive sono vietate al pubblico: si svolgeranno a porte chiuse. Cosa ne pensa?
«Pure questa decisione contribuisce a evitare che ci siano assembramenti e che le persone stiano a una distanza ravvicinata. E, di nuovo, contribuisce a ridurre in modo consistente gli spostamenti non indispensabili su autobus, tram e metropolitane».
Il governo ha consigliato anche di non stringersi la mano, di non baciarsi né abbracciarsi. Dobbiamo rinunciare ai nostri modi di fare?
«Purtroppo noi italiani dovremo, almeno per un periodo, rinunciare alla nostra espansività: è triste rinunciare ai baci ma ci dovremo adattare per un po'. Il frutto di questo sacrificio sarà però la possibilità di contribuire ad arrestare la circolazione e la diffusione di questo virus. Oggi siamo già molto avvantaggiati rispetto ai primi giorni in cui si sono presentati i primi contagiati da coronavirus, perché ora il nostro sistema sanitario è allertato, per cui se dovesse capitare un caso appena sospetto lo si individuerebbe subito attivando subito le misure adatte per isolarlo».
Ilario Lombardo per “la Stampa” il 5 marzo 2020. Non voleva chiudere le scuole di tutta Italia, Giuseppe Conte. Poi però lo ha fatto anche contro il parere del comitato tecnico-scientifico che lo consiglia. L'altro ieri sera il premier ancora era convinto che fosse una misura troppo d'impatto sul piano sociale, che avrebbe stravolto le vite degli italiani anche là dove il Covid 19 lo stanno conoscendo solo nei martellanti aggiornamenti dei media. Il ministro della Salute Roberto Speranza è per la chiusura. Anche il Pd. Conte ha un confronto acceso con Dario Franceschini. E quando va a dormire, dopo due vertici, ha i primi dubbi. La mattina di ieri cambia le cose, prima che l'Italia precipiti in una confusione generata dalla sbagliata gestione della comunicazione all'interno del governo. Conte si convince quando gli portano i numeri sui nuovi casi di contagi e vittime. In un giorno sono schizzati all' insù come mai prima. Si fa strada il terrore di aver sottovalutato la potenza del contagio, capace di sfondare il contenimento e di dilagare in tutto il Paese. Anche a Sud. È laggiù che vola il pensiero di Conte, a una sanità devastata, incapace di reggere all' urto del virus per strutture carenti, personale impreparato. Non si può correre questo rischio. Se la Lombardia, la regione meglio organizzata d' Italia, è allo stremo, al Sud, riflette Conte, «sarebbe il caos». La decisione dunque è presa. Se non si facesse questa forzatura il sistema nazionale sarebbe a un passo dal collasso. Ma siamo solo al prologo di una giornata di contraddizioni e sorprese nella quale genitori e insegnanti vengono trascinati da spettatori impotenti in un' altalena di informazioni, tra fughe in avanti, parziali retromarce, spaccature, divisioni, emerse di ora in ora. Conte è già intenzionato, sin dalla tarda mattinata, a registrare un messaggio alla nazione per le 20, tanto che vengono preallertati i programmi di quella fascia oraria. Prima di rendere ufficiale la notizia però vuole avere in mano il parere del comitato tecnico-scientifico. Che arriverà e non sarà favorevole. Walter Ricciardi è tra gli esperti il più contrario. Ma anche gli altri considerano la misura «inefficace se non prolungata nel tempo», oltre il 15 marzo. Come a Londra, dove è stato chiesto di sbarrare le aule per due mesi. Il rapporto degli scienziati però non farà cambiare idea a Conte. «Ha pesato sulla decisione - diranno da Palazzo Chigi - anche l' obiettivo di assicurare una piena omogeneità sul territorio rispetto a misure di fatto sin qui applicate in buona parte d' Italia sia pure con grande confusione». Intanto escono le indiscrezioni, mentre i ministri sono riuniti con il presidente del Consiglio. Le agenzie verificano da Palazzo Chigi e confermano. A questo punto però succede quello che non doveva succedere. Viene chiesto alla ministra dell' Istruzione Lucia Azzolina, del M5S, di uscire e dichiarare che «non è stata ancora decisa la chiusura». L'effetto è dirompente sull' opinione pubblica. Conte intuisce solo dopo qualche ora che il corto circuito è stato fatale per la credibilità del governo. È furioso, in cerca di un colpevole. Gli dicono che la notizia non è uscita dalla presidenza del Consiglio, anche se, raccontano, dal premier sarebbe partita la richiesta ad Azzolina di uscire con una toppa che si è rivelata disastrosa. «Sembra che diciamo una cosa e ne facciamo un'altra» commenta stizzito prima della conferenza. Qualche minuto dopo Conte è seduto nella sala stampa davanti ai giornalisti, accanto alla ministra. Conferma che le scuole saranno chiuse e fornisce una spiegazione che sa di scuse: «C'è stata una fuoriuscita di notizie improvvida». Conte è stato sopraffatto dal contismo. Quel mix di attento e lento studio dei documenti e comunicazione in tempo reale, che a un certo punto è andato in tilt. Un' armonia degli opposti che trova la sua sintesi nel video-messaggio alle famiglie riunite per cena. Conte appare quasi sollevato, abbozza un volto sorridente, per diffondere fiducia, sullo sfondo il giallo di una lampada, le bandiere d' Italia e di Europa, il colore ocra del calore di un padre che vuole rassicurare: «In caso di crescita esponenziale dei contagiati - dice - nessun Paese reggerebbe».
Scuole chiuse fino al 15 marzo in tutta Italia: ufficiale la decisione del governo. Pubblicato mercoledì, 04 marzo 2020 su Corriere.it da Monica Guerzoni. La ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina ha confermato la chiusura di scuole e università in tutta Italia da domani, giovedì 5 marzo, fino al 15 marzo: «Per noi non è stata una decisione facile, abbiamo aspettato il parere del comitato scientifico», ha dichiarato in una conferenza stampa a Palazzo Chigi. La misura è stata definita «prudenziale». La vice ministra dell’Economia Laura Castelli ha aggiunto: «Siamo consapevoli dell’impatto che una misura come la chiusura delle scuole potrà avere sui nuclei familiari e sul Paese, per questo ci stiamo muovendo con la massima celerità e determinazione a tutela dei lavoratori pubblici e privati. È in fase di definizione una norma che prevede la possibilità per uno dei genitori, in caso di chiusura delle scuole, di assentarsi dal lavoro per accudire i figli minorenni. Ne ho già parlato con il Ministro Gualtieri e gli altri Ministri competenti: faremo tutto quello che è necessario per venire incontro ai bisogni dei cittadini e delle famiglie e per ridurre al massimo i disagi». Il premier Giuseppe Conte ha sottolineato che le misure sono volte al «contenimento diretto del virus o di ritardo della sua diffusione perché il sistema sanitario per quanto efficiente e eccellente rischia di andare in sovraccarico» in particolare «per la terapia intensiva e sub-intensiva». Il governo, ha aggiunto Conte, sta «lavorando alacremente al decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) con le ultime misure. Lo voglio firmare questa sera - ha concluso - abbiamo già una bozza pronta».
Coronavirus, lezioni a distanza: dalle elementari alle superiori le ricette per l'insegnamento online. C’è chi si affida al fai-da-te su WhatsApp e chi già sfrutta le grandi piattaforme online. Ma gli ostacoli tecnologici sono tanti. Corrado Zunino il 5 marzo 2020 su La Repubblica. Si può capire che cosa sarà, la scuola a distanza per otto milioni e mezzo di scolari e studenti, guardando chi ha già iniziato.
La primaria. A Parabiago, Nord-Ovest di Milano, 28 mila residenti, l’Istituto comprensivo Legnago 1 — infanzia, elementari, medie — è chiuso da lunedì scorso. La dirigente scolastica Monica Fugaro, arrivata solo lo scorso settembre, così ha organizzato le giornate per i più piccoli: ogni docente utilizza gli strumenti che conosce, che usa con destrezza, per arrivare ai bambini a casa. Ai discenti fra i tre e cinque anni le maestre stanno chiedendo di inventare storie sul mostriciattolo del coronavirus: «Affrontarlo fa superare la paura», spiega la preside. Alcune maestre hanno registrato letture e lezioni, che gli scolari ascoltano via WhatsApp «grazie ai genitori e spesso insieme ai nonni». Si cercano modalità semplici, basiche, come spiega Daniele Barca, lui preside dell’Ic3 di Modena (altra area chiusa alle scuole dagli scorsi giorni) ed esperto di lungo corso di scuola digitale. «La prima difficoltà è quella di ottenere le autorizzazioni dai genitori». Questi giorni possono essere riempiti, illustra, con una didattica non necessariamente tecnologica. «Ho suggerito ai docenti di avviare un concorso fotografico dal titolo “I miei giorni con il coronavirus”. Con i ragazzi di prima e seconda primaria una maestra legge libri — in alcuni casi possono essere poche pagine condivise sugli smartphone dei genitori — oppure suggerisce titoli da recuperare e leggere a casa. Il tempo dilatato — la nuova ordinanza indica due settimane di vacanza da scuola — avvicina al racconto, al testo lungo. «I compiti, per essere efficaci a questa età, devono essere sulla realtà o su un’idea di esplorazione». In terza, quarta e quinta elementare si può salire nell’impegno. Le discipline iniziano a essere nette: Scienze, Geografia, Storia. Si possono fare ricerche e approfondimenti, «e sulle lingue ci sono interessanti giochi online». Troppo presto per offrire lezioni via webcam: sotto i dieci anni la concentrazione a distanza è ancora un optional. Le valutazioni, con le scuole chiuse, sono sospese. «La prima settimana è quella dello stupore», dice chi è partito prima, «alla terza si va a regime».
Le medie. Le piattaforme per fare lezioni con gli studenti più grandi, a partire dalle scuole medie, ci sono: Google for education (non ha pubblicità), Classroom. Ma gli stessi registri elettronici — Axios, Spaggiari — possono diventare diari. «Per i docenti che non sono abituati a utilizzare questi sistemi non è semplice», spiega Barca, «e a casa molti ragazzi non hanno una connessione garantita». L’Ic Ungaretti di Melzo, ancora nella provincia di Milano, ingloba le medie Gavazzi. L’Istituto comprensivo è l’unico statale riconosciuto a livello internazionale come “Apple distinguished school”: La preside Stefania Strignano spiega: «Utilizziamo una didattica integrata con il digitale dai tre anni di età e questo ci sta facilitando anche con i ragazzi della secondaria superiore, abituati agli strumenti a distanza. Oggi, per affrontare l’emergenza, abbiamo previsto un modello di orario per collegarsi a una piattaforma e mantenere una scansione delle lezioni simile a quella della scuola. Gli studenti hanno condiviso tutto». Ci saranno videolezioni e momenti con domande ed esercitazioni. Lo strumento qui sarà il webinar, il seminario via internet.
Le superiori. All’Istituto tecnico economico di Busto Arsizio, Enrico Tosi, il professor Dennis Bignami sta preparando le sue due ore di Economia aziendale. Le invierà agli studenti via mail. Blocchi di video, si chiamano screen recording. Tre minuti da far digerire agli studenti. Poi andrà su Instagram e, sotto la voce “Storie”, aprirà una diretta per recepire le domande dei ragazzi e verificare il grado di comprensione. Chi non farà domande su “Insta”, risulterà assente e i genitori dovranno portare la giustificazione a scuole riaperte. Con lo stop alle lezioni di due settimane, al Tosi, sono pronti a passare alla fase “verifiche” e “interrogazioni”.
Coronavirus, il calcio sarà a porte chiuse. Provvedimento fino al 3 aprile. Il Governo conferma le porte chiuse. Il ministro dello sport Spadafora: ''Sport continui con dovute cautele". Marotta: "Giocare senza pubblico unico strumento per portare a termine il campionato". Sei partite nel weekend: due sabato e quattro domenica fra cui Juventus-Inter. Intanto il presidente nerazzurro Zhang dona 100mila euro all'ospedale Sacco di Milano. La Repubblica il 04 marzo 2020. "Sospensione degli eventi e delle competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato". E' quanto previsto sullo sport contenuto nella bozza del nuovo Dpcm, per fronteggiare il coronavirus, e che rimarrà in vigore fino al 3 aprile. "Resta comunque consentito, nei comuni diversi da quelli della zona cosiddetta rossa, lo svolgimento dei predetti eventi e competizioni, nonchè delle sedute di allenamento degli atleti agonisti, all'interno di impianti sportivi utilizzati a porte chiuse, ovvero all'aperto senza la presenza di pubblico; in tutti tali casi, le associazioni e le società sportive, a mezzo del proprio personale medico, sono tenute ad effettuare i controlli idonei a contenere il rischio di diffusione del virus COVID-19 tra gli atleti, i tecnici, i dirigenti e tutti gli accompagnatori che vi partecipano". Ed ancora "lo sport di base e le attività motorie in genere, svolte all'aperto ovvero all'interno di palestre, piscine e centri sportivi di ogni tipo, sono ammessi esclusivamente a condizione che sia possibile consentire il rispetto della raccomandazione di mantenere in ogni contatto sociale una distanza interpersonale di almeno un metro". La Figc ovviamente si è adeguata: "Tenuto conto delle disposizioni emanate e delle ulteriori indicazioni ricevute dal Governo per fronteggiare l'emergenza Coronavirus e salvaguardare la salute pubblica, al fine di evitare l'interruzione della competizione sportiva, nonchè di assicurarne lo svolgimento e consentirne la conclusione, la FIGC - si legge in una nota - ha disposto con apposito provvedimento, fino a nuova determinazione, che si giochino a porte chiuse tutte le gare organizzate dalla Lega Serie A". "Lo strumento delle porte chiuse potrebbe essere l'unico per poter portare a termine il campionato alla luce di quelle che sono le restrizioni che giustamente il governo ci sta indicando". Giuseppe Marotta, ad dell'Inter, aveva parlato così al termine della riunione di Lega di A al Coni per decidere sul calendario a causa dell'emergenza Coronavirus. "Il Consiglio di Lega ha ratificato la proposta delle 20 società, che è quella di riprendere le partite sospese. Questa al momento è la situazione". Juventus-Inter "si dovrebbe giocare domenica o lunedì" ha aggiunto Marotta spiegando che "in un momento di grande emergenza del paese, con gravissimi problemi di salute davanti a noi, dobbiamo assolutamente prendere coscienza di questo fatto e nel nostro ambito calcistico è evidente che il tentativo è quello di portare a termine il campionato con la massima regolarità, senza creare uno squilibrio competitivo. Lo scenario purtroppo di giorno in giorno subisce cambiamenti e nell'aria c'è anche un ulteriore provvedimento da parte del governo, per cui attendiamo. Navighiamo a vista, riconoscendo quello che è uno stato di emergenza". Intanto il presidente nerazzurro, Steven Zhang, ha annunciato la donazione di 100.000 euro al Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche "L. Sacco" di Milano, diretto dal prof.Massimo Galli. "L'Inter - spiega- ha un legame indissolubile con la città di Milano ed è orgogliosa della dedizione con cui tutto il personale del Ospedale Sacco sta facendo fronte alla eccezionalità della situazione. Fin dall'avvio dell'emergenza Coronavirus abbiamo seguito con particolare attenzione e apprensione l'evoluzione della situazione, sia come club sia come azionista, rimarcando in tutte le sedi come l'unica priorità fossero la salute pubblica e la sicurezza. È per questo motivo che FC Internazionale Milano sente il dovere di sostenere l'Ospedale Sacco", conclude. La Serie A si avvia dunque a recuperare subito le 6 gare non disputate nell'ultimo week-end: 2 partite da giocare sabato 7 marzo e 4 domenica 8 marzo. Juve-Inter si giocherebbe così domenica sera (l'ipotesi di posticiparla a lunedì, per giocare con il pubblico, è evidentemente non più praticabile).
Spadafora: "Campionato va avanti a porte chiuse". "Sullo sport cercheremo di contemplare il prosieguo di tutte le attività e anche del campionato ma nel rispetto della salute di tutti. A porte chiuse? Si va verso questo tipo di provvedimento" aveva altresì spiegato il ministro per lo Sport, Vincenzo Spadafora, al termine della riunione a palazzo Chigi. "Il Dpcm che verrà emanato tra poco risponderà a tutti gli interrogativi e chiarirà tutti gli aspetti che riguardano il mondo dello sport ha detto poi Spadafora rispondendo al questione time alla Camera -. Posso dire che di sicuro si darà la possibilità di realizzare eventi e competizioni sportive esclusivamente a porte chiuse, dando anche indicazioni ben precise per la prevenzione sanitarie delle squadre, degli staff e di tutto il personale coinvolto. Nel Dpcm si dirà anche come e dove sarà possibile svolgere sport di base per tutti. Non è necessario, infatti, né utile bloccare tutto in tutto il territorio purché si rispettino le raccomandazioni che saranno indicate nel dpcm - ha aggiunto il ministro.-. Si intende consentire almeno allo sport di base ma anche a quello agonistico di continuare a essere svolto, con le dovute cautele".
Il calcio a porte chiuse secondo Gianni Brera: "Si è giocato sul fondo di un cratere lunare". Il 6 novembre 1985 Juventus e Verona si affrontano in Coppa dei Campioni nel ritorno del secondo turno. L'Hellas è campione d'Italia in carica, i bianconeri campioni d'Europa e giocano al Comunale di Torino senza pubblico dopo la tragedia dell'Heysel. Il racconto di allora di Gianni Brera per Repubblica: "In quello strano silenzio, risuonavano agre concitate rauche le grida dei calciatori in affanno". Gianni Brera il 04 marzo 2020 su La Repubblica. La Juventus ha vinto 2-0. Sarei meno preciso se affermassi pari pari che la Juventus ha battuto il Verona. In realtà, si è giocato sul fondo di un cratere lunare o, che è immagine un poco più attendibile, sotto qualche metro di acqua limpida. La mancanza del pubblico ha rallegrato dapprima il vecchio stordito suiveur che io sono: in quello strano silenzio, risuonavano agre concitate rauche le grida dei calciatori in affanno, evidentemente intese a convincere tutti noi che si stesse davvero giocando una partita di Coppa Campioni. In effetti, si stava giocando una partita in perverso programma da mesi: però, non giuro di averla sofferta e ancor meno di averla goduta. Il Verona ha avuto sfortuna marcia. La tetragona Juventus - del tutto estranea per una volta ad ogni ubbia stilistica - ha trovato tutto facile sul proprio cammino. Se qualche difficoltà ha dovuto superare, dal limbo lontano della tribuna stampa, noi non ce ne siamo accorti. L'arbitro franco-renano Wurtz, il cui nome non significa salsiccia, bensì radice, ha forse deciso l'esito dall'alto della sua sicumera. In Francia, viene considerato il primo della classe. Vedendolo agire, uno di noi ha gridato: "Imparate a lagnarvi di Paparesta!". Wurtz ha dato solenne avvio alla partita. Nel primo quarto d' ora, nulla è stato combinato di buono né da una parte né dall'altra. Al 18' Mauro ha effettuato un diagonale da sinistra a destra: in area, si è bruscamente scansato Serena, fintando per non so chi: alle sue spalle era in agguato Briegel, che è stato sorpreso dalla finta e si è trovato a ricever palla sull' omero destro: aveva il tedesco l'ossuto gomito lievemente piegato all' infuori e Wurtz ci ha visto il buzzo malandrino della respinta volutamente fasulla: ha dunque esitato un poco ma poi ha fischiato il rigore. A questo punto ci siamo accorti che il professor Platini era sicuramente in campo: è avanzato infatti per battere col destro un rigoruzzo avaro e carogna come la sua riconosciuta bravura. Disilluso a quel barbino, il Verona è tornato all'attacco penando assai. Il centrocampo juventino teneva con piglio arcigno. Mauro ha ricevuto da Laudrup un'inattesa palla-gol al 23' e l'ha sparata su Giuliani. Del Verona non s' è visto nulla dopo il pallonetto di Volpati sul quale era uscito a vuoto Tacconi: Larsen aveva tentato di infilare, scoordinandosi peraltro malamente: da terrà, dov' era caduto, il demoniaco Brio ha salvato la faccia e la Juve con una prodigiosa rovesciata (4'). Altro episodio non ricordo se non quello finale imperniato su Larsen: un fortunato rimpallo di Marangon messo in campo al 32' per Galbagini, lo aveva illuso: doveva a questo punto e poteva segnare per l'1-1: il danese ha sparato su Tacconi un impavido (almeno a giudicarlo da lontano). E' tornato sotto il Verona alla ripresa, contando sul non ancora demeritato 1-1. Invano però Di Gennaro ha cercato Tacconi da fuori. Era squilibrato il Verona (e probabilmente arrabbiato per un episodio poco chiaro avvenuto nell' area avversaria) quando Mauro - stolidamente servito di rimessa - ha fatto diagonale da destra al 5' : affranto dal proprio errore, Giuliani ha colpevolmente esitato: un po' tutti i veronesi hanno avuto incertezze nei suoi dintorni: non però Serena, appostato sul centro-sinistra: la sua capa adusata ha incornato secondo momentanea giustizia: la palla del 2-0 juventino si è infilata beffarda alle spalle di un portiere che i colleghi napoletani, buoni d' animo, hanno imparato a definire "sc-fortunate". Sul 2-0, potevamo davvero andarcene. Calcio non se n' è più visto se non velleitario o banale. Il Verona ha tentato di attaccare e forse la Juventus non sperava di meglio. Il suo centrocampo era impostato come neppure lontanamente si era potuto vedere a Napoli. Non si sfiatava affatto Platini, ma sì Bonini e quel bravo cocciuto malandrino che risponde al nome di Manfredonia (sempre più accorto e misurato). Brio si faceva perdonare ogni utile rudezza. Scirea toccava con garbo e convinzione. Subito dopo il 2-0, era entrato Galderisi al posto di Marangon: si è visto però al 21' digitare con astuzia un pallonetto incornato da Briegel: purtroppo, la marachella del nanu non gli ha giovato: il suo tiro è finito fuori. La Juventus ha solo difeso, paga di sé, fino al 35', quando Laudrup ha rubato una palla a Ferroni e a Briegel e l'ha scagliata verso Giuliani in fervido volo. Nell'area juventina assediata si è visto - mi dicono - un mani alto di Serena e i veronesi hanno circondato Wurtz, che ha ammonito Tricella, il più indignato di tutti. Wurtz era fiero e solenne anche nell'errore: così, ha inflitto una punizione a Briegel che era volato in area juventina, simulando secondo lui il rigore. La partita non era mai riuscita a decollare sul piano tecnico ed io sono gerbido, ahimè, nel ricordarne tenui episodi. Rivedo per esempio Vignola crossare da sinistra e Tacconi mancare malamente la palla come altri, per sua fortuna, fra i quali re armadio Briegel. Nel finale, Trapattoni non ha resistito alla voglia di richiamare all'ordine Platini sostituendolo con Pin, che non è affatto asino ma vivo e senz' altro. Poi, anche Mauro è uscito per Pioli, al quale dunque spetterà il premio intero, povero figlio. Mauro ha giocato, che io ricordi e sappia, la sua miglior partita dall' avvio della stagione. Mentre si aspettava la fine, nella mia coscienza adusata fervevano contrasti di fierissima tempra sentimentale. Il mio caro Verona mi è sembrato subito in mora con la fortuna e con Wurtz: se avesse egualmente passato il turno - io mi dicevo fra i denti -, la Juventus avrebbe potuto dedicarsi meglio alla conquista non facile del ventiduesimo scudetto; però, in tutta onestà, dove sarebbe potuto arrivare "questo" Verona? Qualcosa è sempre quagliato male nel suo gioco ultimo: le ruggini dello scudetto sono rimaste: i nuovi innesti non hanno saputo colmare i vuoti lasciati dai partenti famosi: nanu Galderisi si è per giunta ferito al ginocchio: dal punto di vista dell'interesse nazional-calcistico, forse è più cattivante il passaggio di turno conquistato dalla collaudata Juventus. Sono considerazioni fatte senza cedere al sentimento, che deve ancora questo registrare, secondo nota barzelletta anti-juventina. L'arbitro si fa presso la panchina dalla quale il bravissimo Trap va gridando ai suoi: "Ritmo, ritmo!", e l'arbitro perplesso: "Non eravamo d'accordo per una 132?". A parte le piacevolezze e i vetri presi a zoccolate, debbo ricordare di aver ammirato Cabrini, Scirea, Mauro, Brio e Manfredonia in campo juventino; Volpati, Tricella, Di Gennaro, Vignola, Briegel in campo veronese. Qui chiudo per volare a San Siro. Chissà che non mi capiti di vedere qualcosa di meno triste laggiù. (La Repubblica, 7 novembre 1985)
Emiliano Bernardini per il Messaggero il 5 marzo 2020. Si va avanti, sì ma a porte chiuse. E per almeno un mese. Tradotto fino al tre aprile e quindi per i prossimi 3 turni, compresi i recuperi fissati questo week end, niente tifosi negli stadi d'Italia. Ossia i 354 mila abbonati delle 20 squadre di serie A più gli spettatori che di volta in volta acquistano i biglietti dovranno guardare le partite in tv. Lo ha disposto il dpcm arrivato nel tardo pomeriggio di ieri che all'articolo 1 comma C stabilisce: «Sono sospesi altresì gli eventi e le competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato». Ma c'è di più perché il decreto stabilisce anche che «le associazioni e le società sportive, a mezzo del proprio personale medico, sono tenute ad effettuare i controlli idonei a contenere il rischio di diffusione del virus Covid-19 tra gli atleti, i tecnici, i dirigenti e tutti gli accompagnatori che vi partecipano». Oggi alle 11 tutti i responsabili medici parteciperanno ad una videoconferenza in cui verrà spiegato il protocollo che dovranno utilizzare e trasmettere a giocatori e dirigenti.
LE NUOVE DATE. Ora cosa succederà? Questa mattina verrà ufficializzato il nuovo calendario che come da, faticosi, accordi si volgerà così: subito i recuperi della settima giornata di ritorno con Samp-Verona sabato 7 alle 20,45 (che dovrebbe essere trasmessa da Dazn), domenica 8 alle 12,30 Milan-Genoa, alle 15 Parma-Spal e Sassuolo-Brescia, alle 18 Udinese-Fiorentina e alle 20,45 Juve-Inter. Poi il campionato slitterà di una giornata, con un'infrasettimanale in più il 13 maggio. Tre partite del sesto turno, Torino-Parma, Verona-Cagliari e Atalanta-Sassuolo, saranno programmate mercoledì 18 marzo. Resta senza data Inter-Samp in quanto i nerazzurri al momento non hanno slot per inserire il recupero. Messa nel limbo, invece, al momento la Coppa Italia. Le due semifinali saltate ieri ed oggi Juve-Milan e Napoli-Inter dovrebbero giocarsi il 20 maggio con la finale che verrebbe disputata prima dell'inizio della nuova stagione.
RESTANO LE SPACCATURE. C'è voluto l'intervento del governo, seppur tardivo, e successivamente quello della Figc per mettere a tacere le beghe da condominio che stavano gettando nel ridicolo l'intera serie A. Ai 20 presidenti di fatto è stato tolto il pallone e sono state imposte nuove regole per continuare a giocare in un momento di grande emergenza per il Paese. In Lega resta la conflittualità e non a caso l'ad Marotta ha proposto di convocare «un'assemblea per ritrovare unità». A proposito quella fissata per lunedì 9 è stata rinviata al 16 marzo. Di fatto il decreto del governo ha tenuto in vita ancora la stagione, anche se a porte chiuse. Una decisione che inevitabilmente avrà pesanti ripercussioni: basti pensare ai diritti tv (come si comporteranno le tv che hanno pagato per un prodotto e ore se ne trovano un altro?) e ai soldi di biglietti e abbonamenti che dovranno essere restituiti. Si va avanti, è vero ma resta il caos più totale. E a breve bisognerà lavorare al nuovo bando dei diritti tv e al rinnovo della carica del presidente di Serie A.
E.B. per il Messaggero il 5 marzo 2020. Il condominio della serie A resta litigioso. Impossibile trovare pace. Gli interessi personali vengono sempre messi in prima pagina. E così è la Federcalcio ad assumersi la responsabilità. Subito dopo la firma del Decreto, da via Allegri con carattere d'urgenza è stato disposto che «per evitare l'interruzione prolungata, assicurare lo svolgimento e consentire la conclusione della competizione sportiva, con apposito provvedimento, fino a nuova determinazione, che si giochino a porte chiuse tutte le gare organizzate dalla Lega Serie A». Lo ha fatto la Figc, che ne ha la piena facoltà, perché la Lega di A non poteva assumersi la responsabilità di una decisione così grande che avrebbe esposto i club a cause milionarie. Ieri per quasi quattro ore si è andati avanti a bisticciare come se il calcio fosse una parte estranea al paese. Solo grazie agli interventi del presidente di Lega Dal Pino e del numero uno della Figc, Gravina che si è riusciti a portare a casa il risultato evitando altre figuracce. Eh già perché ad un certo punto si è rischiato davvero che saltasse tutto di nuovo con conseguenze disastrose. A Palazzo H, nella casa del Coni, con il capo dello sport Malagò a vigilare, il consiglio di Lega si è ritrovato unito più per forma che per sostanza. Nove club (Lazio, Juve, Inter, Milan, Fiorentina, Sassuolo, Udinese, Roma e Atalanta) a vario titolo si sono presentati a Roma. E sono state subito liti, tanto che più di una volta il presidente Dal Pino ha minacciato addirittura le dimissioni in mancanza di unità d'intenti. Ore di tensione in cui più che la necessità di trovare una via comune venivano trovati solo spunti per acuire le frizioni. In barba anche ai 18 sì, inviati tramite mail certificata, che garantivano l'accettazione delle decisioni prese tra lunedì e martedì.
MAROTTA-AGNELLI. Il numero uno della Lazio e consigliere di Lega, Lotito spingeva per tenere aperte le porte. Litigando poi con il patron dell'Atalanta Percassi che tornava a pungolarlo ancora e provando a forzare per far sì che il 27° turno fosse recuperato il 13 maggio. Una soluzione che non è piaciuta per niente a Lotito: il patron della Lazio ritiene che spostando così avanti il turno il campionato ne risulterebbe alterato e falsato. Tanto da battersi affinché anche Juve-Inter non si giocasse il 13 maggio. A proposito, tra bianconeri e nerazzurri sono state ancora scintille. In particolare sul giorno in cui giocare il match scudetto: domenica o lunedì? Si giocherà con ogni probabilità domenica sera con buona pace di Agnelli che spingeva per lasciarla lunedì. Sulla scelta c'è anche una questione legata alle pay tv. Con la sfida di lunedì non ci sarebbe poi una gara di valore equivalente spendibile. L'ad Marotta ha poi messo l'accento su un aspetto: «Occorre indire di nuovo una assemblea, che sia formale o informale, per delineare una strategia precisa a salvaguardia del fenomeno sportivo e dei singoli club». Già, sempre quei singoli che insieme non fanno mai unione.
Ivan Zazzaroni per il ''Corriere dello Sport'' il 4 marzo 2020. Il calcio italiano sta dando prova di grande unità e maturità avendo compreso perfettamente il senso dell’emergenza internazionale. Solidarietà, rispetto dell’avversario, educazione, toni bassi e una commovente attenzione nei confronti del tifoso sono i valori coltivati in queste ore dalla Lega, che non è un partito, bensì un’associazione che riunisce venti benefattori dello sport nazionale i quali non pensano affatto ai propri interessi: si preoccupano di offrire agli appassionati un prodotto di altissima qualità, oltre che il più etico degli spettacoli sportivi. La stessa Lega è peraltro sensibile anche ai temi del momento, dalla sostenibilità al green, al verde. Non a caso è passata da Abete a (Dal) Pino. Azzerata, dunque, la litigiosità dei Rosellini Old Boys, bandita l’indignazione. Il problema non sono loro, siamo noi, noi che non capiamo. Si impone uno sforzo comune per evitare di ragionare come un tempo: anche grazie ai social, l’etimologia e il valore delle parole non sono più gli stessi. Faccio un esempio: quando Steven Zhang sul suo profilo Instagram dà del “pagliaccio” a Dal Pino aggiungendo un affettuoso «si vergogni», non lo fa per offendere l’istituzione o la persona: l’ha spiegato molto bene l’Inter sottolineando che lui «ha a cuore sopra ogni cosa la salute pubblica dell’intera comunità e che le decisioni del presidente della Lega su porte aperte o porte chiuse avrebbero destato preoccupazioni perché sembravano suggerite da altre logiche rispetto alla salvaguardia della salute». Le “altre logiche” alle quali Zhang - che non è un ragazzino: a 28 anni non lo si è più - fa riferimento (non è l’unico) sarebbero quelle juventine. Ma da Torino si affrettano a far sapere che nessuno ha fatto pressioni sulla Lega e che forse l’Inter pensava di avere il diritto di giocare con loro soltanto a porte chiuse. Del resto Marotta l’aveva anticipato: «La proposta di giocare Juve-Inter lunedì 9 è di buonsenso, ma rispettando la logica del calendario». E quando la Lega ha presentato il nuovo calendario con Juve-Inter il 9, il primo dei due (su 20) a mettersi di traverso è stato proprio Marotta che «nel rispetto del calendario» avrebbe voluto affrontare di lunedì la Samp impegnata, sempre secondo il nuovo programma, due giorni prima col Verona. Minacce, avvocati in calore. Sbaglia dunque Enrico Mentana, interista e giornalista tra più bravi e popolari, quando scrive che «un presidente di una società di Serie A non può dare del pagliaccio al presidente della Lega Calcio. È vergognoso. Danneggia il suo club, delegittima il sistema, fa pensare a sostenitori e avversari che alla guida dell’Inter ci sia non una fi gura di polso ma un ragazzino miliardario che non va lasciato solo nemmeno sui social». Enrico è rimasto indietro, cosa che non gli capita quasi mai. Il linguaggio del calcio gli (e ci) è cambiato addosso. Per cui il prossimo dirigente che darà dello stronzo a un collega non dovrà essere deferito, né querelato, poiché il significato di quell’ingiuria oggi è questo: «sei una persona perbene e io ho a cuore la tua salute e il tuo benessere, trovo però inopportuno che tu non sia d’accordo con me. Cordialmente». Nessuno scandalo. Il dibattito calcistico è ancora a livelli sopportabili. Quasi civili. Se il bisticcio fosse nato con connotati politici, Dal Pino quella dei topi vivi non se la sarebbe fatta scappare.
PS1. Quello che abbiamo capito è che la Lega non può permettersi un presidente con pieni poteri, né un amministratore delegato, anch’egli eletto. Figuriamoci poi un direttore generale, ruolo vacante. I venti galletti ai quali non basta la salute non accettano di subire decisioni prese da altri: tornino al presidente fantoccio e si restituiscano un consiglio direttivo. Dimenticavo: il comitato scientifico del Governo suggerisce di «evitare per 30 giorni manifestazioni, anche quelle sportive, che comportino l’affollamento di persone e il non rispetto della distanza di almeno un metro». Chiedo aiuto a Batman.
Coronavirus, ma qual è la giusta distanza di sicurezza? Pubblicato mercoledì, 04 marzo 2020 su Corriere.it da Cristina Marrone. Un metro e 80 centimetri (o per essere precisi 1,82). Anzi no un metro. Però meglio un metro e mezzo. Nella nostra battaglia quotidiana contro il coronavirus la giusta distanza di sicurezza è diventata un rebus con indicazioni un po’ schizofreniche che hanno confuso un po’ le idee. Questa misura di sicurezza è legata al termine «droplet», cioé le gocciolone di saliva che vengono disperse nell’aria da chi starnutisce, tossisce e, in misura minore, da chi parla. Dal punto di vista scientifico la giusta misura di sicurezza da rispettare per evitare con certezza il contagio da Covid-19 è di 1,82 metri: in questo modo si sarà certi che nessuna di queste goccioline (piuttosto grosse, cadono per gravità) raggiungerà altre persone. Il calcolo è stato fatto in base a studi non specifici sul coronavirus, ma su altri virus che si trasmettono via «droplet» e ritenuti validi dalla comunità scientifica anche per questa nuova emergenza. Gli esperti hanno comunque più volte ribadito che la distanza corretta da mantenere sarebbe almeno un metro e mezzo . L’aspetto scientifico è un conto, quello realistico un altro. La distanza di 1,82 metri, che rappresenta la sicurezza quasi matematica di evitare di essere contagiati è di difficile applicazione. «I due metri sono la certezza, la scelta del metro è una misura ragionevole in termini di fattibilità, altrimenti molti uffici e luoghi pubblici dovrebbero essere chiusi» chiarisce Fabrizio Pregliasco che rassicura: «Ad ogni modo il discorso è probabilistico: la possibilità di essere raggiunti dalle goccioline si riduce man mano che ci si allontana dalla bocca del soggetto contagiato. Anche a un metro, seppur non ci sia certezza assoluta, diminuiscono le probabilità di essere contagiati. Un esempio per chiarire: a mezzo metro magari ci sono 10 goccioline, a un metro 5, a due metri appena 1. Naturalmente molto è legato anche alle condizioni ambientali, alla presenza di ventilazione, alla potenza di uno starnuto o di un colpo di tosse non protetti». Parlando si emettono «droplet» in quantità inferiore e più piccole e, in questo contesto il metro di distanza è ragionevole. In alcuni luoghi particolarmente affollati o dove ci sono persone che non si conoscono e quindi non si sa se potrebbero aver contratto il virus, sarebbe comunque meglio mantenere quell’iniziale metro e 82 centimetri di distanza. Che sia chiaro: non ci sono multe o sanzioni per chi si avvicina troppo. Sono indicazioni caldamente suggerite, sta poi al buon senso dei singoli adeguarsi per proteggere se stessi e gli altri.
Alessandra Ricciardi per “Italia Oggi” il 4 marzo 2020. Se ci fermiamo per un paio di mesi e ci occupiamo solo di salvare la pelle, forse potremmo uscirne con una semplice recessione, più o meno come nel 2008. Se invece ci intestardiamo a far ripartire l' economia subito, e questo aiuterebbe la circolazione del virus, potrebbe essere la catastrofe». Luca Ricolfi, sociologo, ordinario di Analisi dei dati all' Università di Torino, ha letto le informazioni disponibili sul Coronavirus - contagio, ammalati, morti - utilizzando le sue competenze statistiche. I risultati delle simulazioni fatte per la Fondazione David Hume (fondazionehume.it), di cui è presidente, sono choccanti: con gli attuali tassi di propagazione, se il virus non verrà rallentato drasticamente, potrebbero esserci centinaia di migliaia di decessi in pochi mesi. Decisiva una politica rigorosa di contenimento, in tal senso «le attività dovrebbero essere poste sistematicamente in folle, o meglio al regime di giri minimo necessario per la sopravvivenza fisica della popolazione».
I 3,6 miliardi di sforamento del deficit che la Ue potrebbe autorizzarci?
«Andrebbero utilizzati non per dare aiuti a pioggia alle imprese ma a rafforzare il Servizio sanitario nazionale con un' iniezione straordinaria di personale, attrezzature, posti letto. Altrimenti si rischia il collasso».
Domanda. Professore, lei stima che, con gli attuali trend di contagio e di morte, si possa arrivare anche ad avere 2-300 mila decessi. Una cifra terribile. Come arriva a questa conclusione? Qual è il metodo di calcolo?
Risposta. Il calcolo si basa su due parametri, uno (relativamente) noto e l' altro ipotetico. Il parametro noto è che, su 100 infetti, ne muoiono 2 o 3. Questo dato, da solo, ci dice che, ove avessimo 8 milioni di infetti (come in una comune influenza), il numero di morti sarebbe compreso fra 160 e 240 mila. Il parametro ipotetico è invece il tasso di propagazione del virus, che dipende da tanti fattori e al momento non è noto, ma a mio parere è nettamente superiore a 2 o a 2.5 contagiati per ogni infettato.
È qui che subentrano i modelli matematici di simulazione, che partono da ipotesi sul tasso di propagazione e controllano se le traiettorie che ne risultano sono compatibili con i dati noti, ossia con le serie storiche dei contagi accertati e, soprattutto, delle morti connesse al coronavirus. Queste ultime sono le più affidabili, perché dipendono solo dalla diffusione effettiva del contagio, e non dalle politiche sanitarie e diagnostiche messe in atto, come accade invece con le statistiche sul numero di positivi al test.
D. E cosa dicono le sue simulazioni?
R. Ebbene, le simulazioni mostrano che, se si vogliono generare serie storiche compatibili con la dinamica di quelle osservate, si è costretti a ipotizzare un tasso di propagazione più alto di 2.5. Qualche esperto, come il prof. Andrea Crisanti, virologo dell' Università di Padova, è arrivato a ipotizzare un tasso di 4 o 5 contagiati per infettato, che nelle simulazioni risulta più compatibile con i dati storici di un tasso di 2 o di 2.5. Ma il dramma è che, se il tasso di propagazione è davvero 4 o 5, e non si interviene con politiche di contenimento drastiche, il numero degli infettati non ci metterà molto ad arrivare a qualche milione, come accade con l' influenza stagionale.
D. Il calcolo statistico non sconta variabili, nella fattispecie potrebbero essere il caldo della primavera, l' indebolimento del virus stesso o l' efficacia delle misure prese dal governo. Che margini di errore hanno di solito analisi di questo tipo?
R. Le analisi basate su modelli matematici possono solo formulare ipotesi su eventuali meccanismi di attenuazione (o di amplificazione), perché la capacità di propagazione del virus non è un dato assoluto, o intrinseco, ma dipende da numerose condizioni al contorno, perlopiù sconosciute nelle loro dimensioni e nel loro impatto. Cionondimeno, la mera osservazione della dinamica attuale basta a suggerire che, per frenare il virus, occorrerebbero fattori di grandissimo impatto, come una elevata sensibilità al caldo, o una tendenza all' indebolimento nel ciclo delle mutazioni. Fra i fattori potenzialmente frenanti, però, ve n' è uno fondamentale, che nei miei modelli ho chiamato qt.
D. Cosa indica qt?
R. È la quota di malati «ritirati» dalla scena pubblica al tempo t e collocati in quarantena, in quanto precocemente diagnosticati come positivi al coronavirus. Ebbene, poiché (assieme alle norme comportamentali) l' incremento di q mediante una campagna massiccia di tamponi è l' unica arma che abbiamo, considero irresponsabile (per non dire altro) il comportamento del premier Giuseppe Conte, che qualche giorno fa ha esortato a fare meno tamponi. Se anziché straparlare di numero eccessivo di tamponi il governo avesse seguito il saggio consiglio del virologo Roberto Burioni di moltiplicarli, prevedendoli per chiunque abbia anche solo 37 gradi e mezzo di febbre, oggi la progressione del contagio sarebbe sensibilmente più lenta, e avremmo qualche speranza di fermarlo.
D. Tra Nord e Sud c' è qualche differenza? Ad oggi ci sono meno contagi.
R. Penso che l' esplosione dei contagi al Nord sia dovuta a due fattori distinti. Il primo è il caso, ossia che il Nord abbia avuto un paziente super-spreader (ultra-capace di infettare), che da solo ha dato luogo a una catena di contagi molto vasta, favorita dai protocolli seguiti nell' ospedale di Codogno, che per quel che ne so erano quelli vigenti, anche se inadeguati. Il secondo, decisivo, fattore è che sono tutte del Nord le regioni più produttive e internazionalizzate del Paese, ossia Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Io ho fatto calcoli separati per la propagazione al Nord e al Sud e, allo stato attuale dell' informazione disponibile mi risulta che la velocità di propagazione sia analoga.
D. L' Italia da zona franca è diventato focolaio europeo. Ma c' è chi sostiene che la differenza sia proprio nel numero (in eccesso) di tamponi fatti in Italia.
R. La considero una sciocchezza. In Italia il processo è partito un po' prima, per ragioni casuali, ma temo che gli altri paesi vedranno il medesimo film, a meno che qualche paese si decida a percorrere la strada-Burioni anziché il precipizio-Conte. Lì si vedrà quali paesi hanno una classe dirigente all' altezza.
D. A fronte di questa situazione, le autorità stanno via via riavviando le attività. Che segnali arrivano alla popolazione?
R. Errati. Le attività dovrebbero essere poste sistematicamente in folle, o meglio al regime di giri minimo necessario per la sopravvivenza fisica della popolazione. Io però distinguo nettamente fra l' intervento assistenziale e riparativo dello Stato (che è opportuno) e il tentativo di riaprire le attività, tornando alla vita normale (che produrrebbe effetti catastrofici). Quest' ultima cosa, il ritorno alla normalità, non possiamo ancora assolutamente permettercela.
D. Senza risorse massicce, il Servizio sanitario nazionale rischia di non farcela.
R. Rischia il collasso. A mio parere è praticamente certo che, nel giro di poche settimane, si comincerà a morire perché non ci sono abbastanza posti nei reparti di terapia intensiva.
È il guaio delle democrazie, che non possono costruire un ospedale in dieci giorni, né rinchiudere qualche milione di abitanti in una zona rossa, né proclamare il coprifuoco.
D. Lei sta seguendo il flusso di informazioni dei media? Come lo giudica?
R. Ne sono disgustato. Tutto continua con i consueti teatrini, in cui i soliti personaggi si scambiano opinioni (e qualche volta insulti) su cose più grandi di loro. È come la scena finale del Titanic, con la gente che balla mentre la nave affonda.
D. Che stima è possibile fare per quanto riguarda gli effetti sul pil?
R. Stime vere e proprie sono impossibili. Se proprio devo azzardare, però, di stime ne farei non una ma due. Se ci fermiamo per un paio di mesi e ci occupiamo solo di salvare la pelle, forse potremmo uscirne con una semplice recessione, più o meno come nel 2008. Se invece ci intestardiamo a far ripartire l' economia subito, e questo - come è elementare prevedere - anziché frenare il virus aiuta la sua circolazione, potrebbe essere la catastrofe. Che a quel punto non si misura sui punti di pil perduti ma, come in guerra, sul numero di morti.
D. Il governo italiano si accinge a incassare uno sforamento dei vincoli Ue pari a 3,6 miliardi di euro di maggiori risorse. Che effetto avrà?
R. Sono sempre stato ostile agli sforamenti del deficit, ma questo è uno dei pochi casi in cui lo troverei sacrosanto. Il problema, però, è come usarli i 3.6 milioni di euro. Io prevedo che il grosso sarà usato per soddisfare le innumerevoli richieste di risarcimento danni che pioveranno sul tavolo del governo, e ben poco resterà per l' unica vera emergenza: rafforzare il servizio sanitario nazionale con un' iniezione straordinaria di personale, attrezzature, posti letto.
Marco Palombi per il “Fatto quotidiano” il 6 marzo 2020. Allerta-allerta! La narrazione sul coronavirus è cambiata di nuovo. Breve riassunto: partiti da "allarme razzismo", passati per "oddio-la-peste-cinese" e poi per "cerchiamo di non esagerare", ora siamo al "si salvi chi può". Interprete massimo di questa nuova fase è il sociologo Luca Ricolfi, che ci ha fatto sapere su Italia Oggi che "se ci fermiamo per un paio di mesi e ci occupiamo solo di salvare la pelle, forse potremmo uscirne con una recessione", ma "se ci intestardiamo a far ripartire l' economia subito potrebbe essere la catastrofe". Numeri? Pronti: grazie alle simulazioni fatte per la Fondazione Hume - il cui algoritmo predittivo gira su un futuribile macchinario in cui palline di legno di vari colori si muovono sull' asse orizzontale spostate da un pappagallo che ripete "Empirismo!" - potremmo avere in Italia oltre 8 milioni di contagiati e 200-300 mila morti. Come già accaduto per certi dati sartoriali del suo ultimo successo letterario, c'è chi contesta il calcolo che ci guiderebbe alla temuta carneficina (temuta, certo, ma Gadda ci ha già spiegato quale abisso erotico e quali insidie del destino si nascondano sotto i timori, absit iniuria verbis, delle signore Menegazzi), ma noi tendiamo invece a fidarci e già vediamo l'Italia del futuro: sempre società signorile, ma assai meno di massa. Quanto al dibattito sui media, infine, facciamo senz'altro nostre le parole di Ricolfi: "Ne sono disgustato. Tutto continua coi consueti teatrini, in cui i soliti personaggi si scambiano opinioni (e qualche volta insulti) su cose più grandi di loro". Ecco.
Ilaria Capua “I divieti sono giusti. Rischiamo il collasso del sistema sanitario”. La virologa: “Tutelando gli anziani possiamo frenare la diffusione. I malati potrebbero essere cento volte di più di quelli dichiarati”. Gabriele Beccaria il 4 marzo 2020 su La Stampa.
«Sono misure ragionevoli - dice Ilaria Capua - e, per favore, aiutatemi a evitare un pericoloso fraintendimento». Parola della virologa che dirige l’One Health Center of Excellence dell’Università della Florida.
Qual è il punto?
«Qualche anziano si è sentito tirato in ballo e c’è chi, giustamente, ha detto: “Scusate se esistiamo!”. Ma non è così. Gli anziani fanno parte delle categorie a rischio, come i pazienti di alcune patologie croniche, e che potrebbero soffrire le complicanze più gravi a causa del virus».
Sono loro i più in pericolo?
«Tutelando quelle persone, le persone fragili, stiamo aiutando tutti noi: solo così possiamo prevenire un picco di ammalati e un possibile collasso del Sistema Sanitario. Quegli individui sono altrettanti semafori verdi che possono favorire la diffusione del virus».
Siamo un Paese di anziani e l’allarme diventa globale.
«Dobbiamo scongiurare un effetto domino: non tutta la Sanità italiana, infatti, è efficiente e preparata come quella Lombarda».
A che punto è l’epidemia in Italia?
«Non lo sappiamo: i contagiati sono molti di più dei circa 2 mila dichiarati».
Quanti?
«Forse anche oltre 100 volte tanto».
Perché una differenza così clamorosa tra numeri ufficiali e dati possibili?
«Perché i test più usati individuano il virus e non gli anticorpi. Di conseguenza non sappiamo quanti siano gli infetti, contando sia i sintomatici sia gli asintomatici».
Chi sono gli asintomatici?
«Le persone che hanno contratto il virus, ma che ora sono immunizzate: si tratta di chi è guarito e di chi è stato colpito da un’infezione lieve, non degna di attenzione medica. Il numero totale, e reale, di queste persone è essenziale per fare qualsiasi tipo di previsione accurata».
Perché?
«Sono altrettanti semafori rossi, che tendono a bloccare la circolazione del virus. Sapere esattamente quanti sono questi individui ci permette di capire a che punto siamo con la curva epidemica».
Non teme che le misure consigliate, a cominciare dall’evitare le strette di mano, scatenino ulteriori psicosi e nuove polemiche?
«Evitiamo le polemiche. Dalla tutela delle persone fragili al rispetto delle distanze di cautela, le misure sono strumenti importanti: non fermano l’epidemia, ma mitigano il contagio. Così il virus si diffonde alla spicciolata, anziché di colpo. Siamo noi a controllare i tempi che altrimenti ci imporrebbe la biologia: il virus galopperebbe».
Gli italiani si sentiranno un popolo in quarantena?
«Le contromisure si stanno adottando in tante altre nazioni: qui in Florida, approfittando dello “spring break” di metà semestre, ho detto ai miei collaboratori di lavorare da casa in attesa di direttive dal governatore. Un segnale di attenzione volontaria al problema: la pandemia c’è, ma noi sappiamo cosa fare per difenderci. Si tratta di ubbidire al buon senso e, come si dice, di stare dalla parte dei bottoni anziché delle asole».
Se tutto funzionerà, quanto durerà l’emergenza?
«Si tratta - come dicevo - di rallentare la diffusione del virus, poi il caldo ci aiuterà: i virus lo soffrono e la loro circolazione sarà più difficile».
L'opinione del virologo Coronavirus, Burioni: "Danno gravissimo da messaggi tranquillizzanti". Rai News 04 marzo 2020 "Io ho la sensazione che molta, troppa gente non abbia capito con che cosa abbiamo a che fare. Forse alcuni messaggi troppo tranquillizzanti hanno causato un gravissimo danno inducendo tanti cittadini a sottovalutare il problema". Così su Facebook il virologo Roberto Burioni, commentando una foto di una via centrale di Parma affollata con l'hashtag #parmanonsiferma. E in un altro post aggiunge: "La gente in questo momento deve stare a casa. Tutto quello che causa un affollamento DEVE ESSERE EVITATO". "Le scuole vanno chiuse" "Discutono ancora se chiudere o no le scuole? Secondo me non lo devono fare oggi, lo devono fare 'ieri', nel senso che si dovevano già chiudere prima". Così all'AGI il virologo Roberto Burioni, in merito all'ipotesi del governo di chiusura delle scuole fino a metà marzo. "Siamo di fronte a un'epidemia contagiosa e pericolosa - sottolinea Burioni - che potrebbe mandare in crisi il sistema sanitario nazionale. Per questo bisogna assolutamente fare di tutto per contenerla. Mi sorprende che qualcuno ancora discuta su 'se' chiudere le scuole quando dovremmo già pensare a 'come' chiuderle, pensando alle lezioni a distanza come stiamo già facendo nella mia università. Le aule scolastiche sono un punto di contagio, un modo perfetto per trasmettere il virus".
L’infettivologo: “Sono scelte impopolari, ma solo così si limita la diffusione del virus”. Massimo Galli, primario dell’ospedale Sacco di Milano: “È necessario ridurre i momenti di affollamento e contatto tra persone”. Chiara Baldi il 5 marzo 2020 su La Stampa. «Prendere determinate posizioni è sempre stato impopolare e, purtroppo, sempre lo sarà. Ma tra l’impopolarità e il dovere di mantenere lucidità e rigore scientifico, sceglierò sempre il secondo». Il professor Massimo Galli, primario infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano, non ha dubbi sulla bontà delle misure messe in campo dal governo. «Il principio fondamentale che anima queste iniziative estese a livello nazionale è che bisogna evitare che situazioni di affollamento e contatto facilitino la diffusione del virus».
Professore, era davvero necessario chiudere le scuole in Italia fino al 15 marzo?
«In un’aula i ragazzi passano molte ore e questo impedisce sia il distanziamento di un metro l’uno dall’altro sia la riduzione dell’affollamento, che si verifica al momento dell’entrata a scuola, dell’uscita e durante la ricreazione. Se è vero che i bambini e gli adolescenti sono, vedendo i numeri, appena toccati da questa infezione per motivi che non sono ancora chiari, è anche vero che non è improbabile che facciano da “amplificatori” della diffusione del Covid19. Soprattutto nei confronti dei nonni che, come sappiamo, sono per età tra le persone che più rischiano nel momento del contagio».
Agli anziani viene consigliato di stare il più possibile in casa e di evitare contatti sociali. Non si rischia un po’ di abbandono e solitudine?
«Mi rendo conto, da quasi 69 enne, che potrebbe sembrare una forma di emarginazione. Ma in realtà si tratta solo di adottare una maggiore attenzione alle fasce più deboli. Certo è che la comunità in generale e l’assistenza dovranno prendersi in carico in particolare gli anziani soli».
Un’altra delle misure riguarda la chiusura di cinema e teatri. Frequentare i luoghi di svago ci rende così tanto vulnerabili?
«Facciamo un esempio. Se una persona in sala non sa di essere contagiata – e può capitare – e tossisce, le goccioline emesse con la tosse entrano nell’ambiente e rischiano di infettare chi si trova un metro davanti a lui, un metro dietro a lui e un metro di fianco a lui. Se valgono i dati sulla trasmissione dell’influenza, potrebbero essere infettate anche persone sedute a distanza un po’ maggiore. Poi, c’è il problema dell’affollamento al botteghino per comprare o ritirare il biglietto e gli spostamenti non strettamente necessari sui mezzi pubblici per arrivare al cinema».
Migliaia di contagi da coronavirus, ma cosa c'è davvero dietro quei numeri? Anche le manifestazioni sportive sono vietate al pubblico: si svolgeranno a porte chiuse. Cosa ne pensa?
«Pure questa decisione contribuisce a evitare che ci siano assembramenti e che le persone stiano a una distanza ravvicinata. E, di nuovo, contribuisce a ridurre in modo consistente gli spostamenti non indispensabili su autobus, tram e metropolitane».
Il governo ha consigliato anche di non stringersi la mano, di non baciarsi né abbracciarsi. Dobbiamo rinunciare ai nostri modi di fare?
«Purtroppo noi italiani dovremo, almeno per un periodo, rinunciare alla nostra espansività: è triste rinunciare ai baci ma ci dovremo adattare per un po’. Il frutto di questo sacrificio sarà però la possibilità di contribuire ad arrestare la circolazione e la diffusione di questo virus. Oggi siamo già molto avvantaggiati rispetto ai primi giorni in cui si sono presentati i primi contagiati da coronavirus, perché ora il nostro sistema sanitario è allertato, per cui se dovesse capitare un caso appena sospetto lo si individuerebbe subito attivando subito le misure adatte per isolarlo».
Scuole chiuse in tutta Italia fino al 15 marzo. I dubbi degli scienziati: non serve. Il Dubbio il 4 marzo 2020. Il nuovo decreto non convince il comitato degli esperti. Il governo ha deciso di ricorrere alla più forte delle misure attese per fermare il diffondersi del Coronavirus in Italia. E lo ha fatto dopo una lunga riflessione e dopo aver investito il Comitato di esperti che affianca l’esecutivo. Sono stati gli scienziati a consigliare di tenere i bambini a casa. ma non solo. Fra le misure del decreto del Presidente del Consiglio c’è la chiusura degli stadi di calcio al pubblico. Le partite si svolgeranno regolarmente, ma rigorosamente a porte chiuse. E ancora: stop agli eventi pubblici anche in teatri e cinema, niente accompagnatori nelle sale d’aspetto dei pronto soccorso, evitare abbracci e strette mano, rinvio dei convegni che riguardano il personale medico. “Siamo concentrati ad adottare tutte le misure per ottenere l’effetto di contenimento diretto del virus o di ritardo della diffusione perché il sistema sanitario, per quanto efficiente, rischia di andare in sovraccarico”, spiega il presidente del Consiglio Giuseppe Conte: “Abbiamo il problema con la terapia intensiva e sub intensiva se la crisi dovesse proseguire”. Conte ha voluto poi rivolgere un appello a tutti i cittadini: “Questa sfida non ha colore politico, va vinta con l’impegno di tutti. Siamo sulla stessa barca. Chi è al timone ha il dovere di indicare la rotta. Adesso sono in arrivo nuove misure e dobbiamo fare insieme uno sforzo in più”. La misura che fa più discutere è, tuttavia, la chiusura delle scuole, anche per l’impatto che ha nella vita quotidiana delle famiglie che dovranno organizzarsi per tenere i figli a casa.
I DUBBI DEL COMITATO DEGLI SCIENZIATI. Non è stato il comitato tecnico-scientifico a proporre al governo la misura della chiusura delle scuole. Gli esperti, a quanto si apprende, avrebbero espresso al contrario dei dubbi sull’opportunità di tale misura, perchè non supportata da evidenze scientifiche sulla reale efficacia rispetto al contenimento del virus, se non su tempi molto più lunghi. Dubbi espressi nel parere consegnato al governo ma solo consultivo. In serata, l’Istituto Superiore di Sanità ha poi pubblicato sul suo sito un focus in cui si sottolinea invece l’efficacia delle misure prese per prevenire una grande ondata di contagi.
DECISIONE SENZA PRECEDENTI. L’emergenza coronavirus oggi entra nella storia d’Italia con le misure annunciate dal governo: mai prima, neppure durante la Seconda guerra mondiale, sono state sospese su tutto il territorio nazionale le lezioni nelle scuole e nelle università. Salvo il coprifuoco, decretato nel tentativo di proteggere il Paese dai bombardamenti (prima degli angloamericani, quindi dei tedeschi), anche le attività di cinema e teatri non sono mai state sospese in modo generalizzato. Nessun italiano ha pertanto nozione, ne’ memoria diretta e personale, delle circostanze che il Paese vivrà fino al 15 marzo prossimo, qualora l’emergenza non convinca il governo a una proroga dei provvedimenti contenuti nel dpcm firmato questa sera dal premier Giuseppe Conte.
Le Camere penali: “Insensato chiudere le scuole e lasciare aperti i tribunali”. Il Dubbio il 6 marzo 2020. La lettera dei penalisti: “Tutelare gli utenti della giustizia”. Una lettera al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, per chiedere “risposte inequivoche” sulle misure a tutela degli “utenti della giustizia” in relazione all’emergenza coronavirus. A scriverla è la Giunta dell’Unione delle camere penali. “Quali differenze il governo ritiene sussistano, ai fini dell’obiettivo di contenimento della diffusione del coronavirus, tra uno stadio, un’aula scolastica, una sala cinematografica, e invece un Tribunale?“, è la domanda che i penalisti rivolgono al ministro, sottolineando che “è giunto il momento di dare agli ‘utenti della Giustizia’ una risposta logicamente e scientificamente ineccepibile: perché non si può andare al cinema, ma si deve andare in udienza?”. “Sin dal diffondersi di questa epidemia, l’Unione delle Camere Penali ha ritenuto di schierarsi dalla parte di chi rifiuta allarmismi e isterie, e sceglie, come sempre, ragionevolezza e buon senso. Ma se avete deciso, e ne avrete avute tutte le ragioni, di chiudere le scuole di tutta Italia, dovete spiegarci perché non chiudere, salvi i processi urgenti ed indifferibili, i Tribunali – è la richiesta delle Camere penali – Ancor meno comprensibile è l’idea di rimettere ogni decisione ai responsabili degli uffici giudiziari, senza vincolarli a parametri univoci e categorici, ispirati e regolati dagli unici criteri rilevanti, cioè quelli della scienza medica e della tutela della salute pubblica”. A giudizio dell’Ucpi “è del tutto ovvio e condivisibile affermare che non possa essere rimessa agli avvocati la valutazione delle condizioni e dei parametri di salvaguardia della salute pubblica; ma perché questa ineccepibile considerazione non dovrebbe invece valere per un Procuratore della Repubblica o per un Presidente di Corte di Appello? In nome di cosa, cioè di quali cognizioni scientifiche si chiudono alcuni Tribunali, e se ne tengono aperti altri?“. “Ecco le domande alle quali ci attendiamo adeguate risposte da parte di chi ha la difficile responsabilità di governare un Paese. Dovreste comprendere Voi per primi che in una situazione di allarme sociale e di crescente ansia dei cittadini, regole di comportamento inspiegabilmente diverse adottate in relazione a situazioni equivalenti creano sconcerto, rabbia, smarrimento – denunciano i penalisti – ed avviano l’allarme verso la strada pericolosa della paura irrazionale e incontrollabile. Attendiamo fiduciosi le risposte Sue e del Governo del quale Ella è così autorevole parte, sin dalle prossime ore”, conclude la nota.
Giustizia, nelle zone a rischio stop ai processi fino al 31 maggio. Ma si faranno quelli urgenti. I tribunali non chiudono. Decidono i capi degli uffici. Sì alle udienze per divorzi, minori, espulsioni. Stop ai permessi per i detenuti. Liana Milella il 06 marzo 2020 su La Repubblica. Fino al 31 maggio scatta il massimo stato di emergenza possibile in tutti i tribunali italiani. Con il rinvio dei processi, sia civili che penali, che non hanno carattere di urgenza. Stop anche ai colloqui in carcere e ai permessi per i detenuti. Ma attenzione: la giustizia non è la scuola, quindi gli uffici giudiziari non solo non chiudono i battenti, ma non ci sarà alcun tipo di automatismo. Si valuterà, caso per caso, quale processo effettivamente debba essere rinviato a dopo il 31 maggio e quale invece debba essere necessariamente fatto. Come per tutti i casi che riguardano le famiglie (ad esempio i divorzi), ma soprattutto i minori.
Il decreto legge di via Arenula. Tre articoli, e poco più di tre pagine. Chi ha potuto vedere il decreto legge del Guardasigilli Alfonso Bonafede, cui sta lavorando il sottosegretario alla Giustizia Andrea Giorgis, lo descrive come un “cantiere tuttora aperto” perché fino all’ultimo momento potrebbe cambiare l’elenco delle emergenze irrinviabili. Perché, per 24 ore, proprio questo è stato l’oggetto di discussione in via Arenula: intervenire sul Coronavirus, per evitare qualsiasi tipo di possibile diffusione, ma al contempo non bloccare la macchina della giustizia italiana. Perché questo sarebbe un danno troppo grande, rispetto al quale - è il messaggio del ministero - chi opera in quel mondo, magistrati, avvocati, agenti penitenziari, ma anche parenti dei detenuti - devono fare ognuno la propria parte di responsabilità.
Il rinvio a dopo il 31 maggio. Saranno i capi degli uffici giudiziari (il presidente della Corte di appello e il procuratore della Repubblica), dopo aver consultato sia i responsabili sanitari della Regione, sia il Consiglio dell’ordine degli avvocati, a decidere le misure sulla vita nei palazzi di giustizia e quindi sui processi da fare oppure da rinviare con l’obiettivo di evitare sia gli assembramenti che i contatti troppo ravvicinati tra le persone.
Le regole obbligatorie. I palazzi di giustizia, quindi, non chiudono. Ma vi potrà entrare solo chi potrà dimostrare di dover compiere atti effettivamente urgenti. Quindi anche gli orari di ingresso saranno ridotti. Mentre verrà potenziato un sistema di prenotazioni per fare in modo che chi deve compiere un atto urgente possa entrare in tribunale ad un orario prestabilito.
I processi civili e penali. Il decreto è molto dettagliato nel capitolo che riguarda i processi. A cominciare dal divieto della presenza del pubblico. Anche per quelli civili saranno possibili collegamenti “da remoto” che garantiscano il contraddittorio ma evitino contatti diretti tra le persone. Quanto al rinvio delle udienze dopo il 31 maggio sono previste delle deroghe. In ambito civile, per esempio, si svolgeranno comunque le udienze che riguardano i divorzi, quando vi sia da decidere il mantenimento. Si faranno i processi sugli abusi familiari, ma anche quelli sulle espulsioni, nonché tutte le udienze che riguardano i minorenni che quasi sempre hanno carattere di urgenza. Saranno comunque i giudici a decidere caso per caso. Ovviamente, tra le urgenze, ci saranno soprattutto i processi con persone detenute, anche in custodia cautelare.
La prescrizione bloccata. Per tutti i processi rinviati la prescrizione resterà bloccata. Quindi non si perderà un solo giorno. Ricomincerà a decorrere quando l’emergenza sanitaria sarà terminata.
Le regole per i detenuti. Videoconferenze per tutti i detenuti che devono prendere parte a un processo, ad esempio per essere interrogati. Blocco degli incontri direttivo tra detenuti e familiari, che saranno comunque garantiti ma probabilmente via telefono. Permessi premio e semilibertà bloccate ma solo dopo il via libera del Garante dei detenuti d’intesa con il magistrato di sorveglianza.
Tribunali chiusi per virus vanno in tilt, giustizia congelata. Iuri Maria Prado su Il Riformista il 5 Marzo 2020. Ieri mattina il Palazzo di giustizia di Milano era deserto come nemmeno in agosto. Un paio di magistrati sono risultati infetti, e il presidente del Tribunale ha disposto che i giudici del settore civile provvedano a rinviare “a data congrua” le cause chiamate sino al 9 marzo (è fatta eccezione per alcune categorie di procedimenti, come quelli d’urgenza o relativi al trattamento di posizioni personali molto delicate). Poi si vedrà. Intanto però è un macello. Già solo organizzare i rinvii delle udienze è difficile, perché non si fa con un fischio ma serve un provvedimento, che deve essere acquisito dalle cancellerie e comunicato. Sembra nulla ma è complicato, se moltiplichi la cosa per gli innumeri fascicoli che aggravano i ruoli. E poi i termini processuali sono stabiliti dalla legge, non puoi rifare un’agenda dei processi che li trascura. Per non parlare di quel che significa un simile blocco per le persone e le imprese inevitabilmente implicate in una situazione di giustizia congelata. Un guaio, insomma. Si tratta senz’altro di misure necessarie nella gestione di un’incertezza effettiva circa i pericoli di contagio e in vista di quelli, gravissimi, cui potrebbe essere esposta la stessa tenuta dell’efficienza amministrativa. Ma questo piccolo caso riguardante la giustizia milanese (piccolo per modo di dire visto che si tratta di un centro di interessi importantissimo) induce a riflettere molto seriamente sulle ragioni di uno stato di agitazione ben più vasto e che, identicamente, coinvolge pressoché ogni settore della vita sociale. E la riflessione, magari banale ma dovuta, è questa: siamo sicuri che questi provvedimenti di apparentemente necessario contenimento non siano l’effetto di comunicazioni inadeguate da parte dell’autorità pubblica, e di una concezione ormai completamente stravolta della convivenza civile? Ieri ero appunto in tribunale, dove ho constatato quella desolazione agostana. E La giudice con cui parlavo, come diciamo noi, “a margine” dell’udienza, la quale aveva pur doverosamente disposto le sedie l’una distante dall’altra, così che noi avvocati non si rischiasse contaminazione e di contaminare, mi confidava: decenni e decenni di pace e benessere ci hanno fatto credere di aver diritto di non soffrire, di non ammalarci, ma non è un diritto e se pure lo fosse avremmo comunque il dovere di accettarne la provvisorietà, la precarietà nel caso di vicende di questa portata. Parole ragionevolissime. E non perché uno dovrebbe allargare le braccia e non far nulla davanti alla possibilità di ammalarsi, ma perché l’alternativa al pericolo non è l’assenza del pericolo, che non si può ottenere, ma la gestione ragionevole della situazione rischiosa. E a me pare che la sostanziale chiusura di un ufficio pubblico, mentre è disposta – come nel caso del tribunale milanese – per indiscutibili esigenze cautelari, trovi causa in realtà in motivi più profondi, motivi che di ragionevole non hanno proprio nulla e sono invece il segno di una contaminazione già avvenuta e più grave: l’idea, appunto, che occorra garantire un diritto che concretamente non si può garantire, il diritto di tutti a non ammalarsi al costo di arrestare la vita di un Paese intero. Un Paese di vivi, ammalato di sicurezza. Per parte mia, eviterò di dare dettagli sull’impiegato che mi ha salutato con uno starnuto, all’uscita del tribunale.
· Il Coglionavirus ed i sorci che scappano.
Stefano Montefiori per corriere.it il 23 aprile 2020. «Tornare a casa». Ovunque nel mondo, quando è stato chiaro che l’epidemia di Covid-19 era un evento senza precedenti e che i governi si apprestavano a confinare la popolazione, molti — non solo turisti — hanno reagito con lo stesso istinto: tornare a casa, per affrontare la crisi nel Paese di origine o nella regione di appartenenza all’interno di uno stesso Stato. In molti casi questo ha significato un colossale esodo dalle grandi metropoli verso le zone rurali o più in generale le province. Un ripiegamento dettato da motivi economici e sentimentali, osservato nelle città occidentali come Parigi, Milano o New York ma anche a Mosca, Nairobi, Antananarivo. Oltre la metà dell’umanità vive, con modalità variabili, confinata in casa. Ma prima dell’entrata in vigore del lockdown, molti hanno avuto qualche ora di tempo per scegliere quale fosse, la casa in cui vivere rinchiusi per chissà quanto tempo. Le scene che si sono viste a Milano, con i treni all’improvviso carichi di cittadini diretti al Sud, si sono ripetute ovunque nel mondo. In Francia, secondo i dati resi noti da Orange (il primo operatore telefonico francese), oltre un milione di abitanti ha lasciato Parigi e la sua regione nella settimana precedente il confinamento. L’analisi delle celle telefoniche ha indicato che il 17% dei cittadini ha abbandonato la capitale, e che negli stessi giorni la popolazione dell’île de Ré (una località sull’Atlantico dove molti possiedono una seconda casa) è cresciuta del 30 per cento. L’esodo interno francese è stato accompagnato da molte polemiche perché molti lo hanno interpretato come l’ennesimo segno della frattura della società francese, divisa in classi sociali e colpita dalle diseguaglianze: i meno fortunati sono stati costretti a rimanere negli appartamenti di pochi metri quadrati dei palazzoni di periferia della Seine-Saint-Denis, il dipartimento «93» che è il più colpito dal virus e che oggi conosce di nuovo incidenti tra giovani e poliziotti; chi ha potuto, ha preso i treni e le auto ed è tornato nella mai così accogliente provincia francese, nelle dimore di famiglia o nelle seconde case. Tutte le sere alle 20 si aprono le finestre e si applaudono medici e infermieri: ma l’ovazione è tenue, perché in certi quartieri della capitale interi palazzi si sono svuotati dei loro abitanti. Lo stesso riflesso, l’abbandono della metropoli verso una provincia che spesso è il luogo di origine, si è avuto ovunque, per esempio in Madagascar. Richard Rakotoarisoa, padre di famiglia trentenne, ha raccontato alla Afp di essersi messo in marcia con altre centinaia di abitanti di Antananarivo, la capitale, sulla strada nazionale 7 per raggiungere la città di Antsirabe, a 150 chilometri. «I miei genitori sono agricoltori, là potremo vivere dei prodotti della terra, mentre nella capitale saremmo costretti ad attendere l’arrivo della carestia». In Kenya, colonne di auto hanno lasciato la capitale Nairobi in direzione dei villaggi di origine. L’esodo interno è stato accompagnato da accuse agli «untori», giudicati responsabili di portare il virus nelle zone fino a quel momento meno colpite. Ma finora, in Francia per esempio, non ci sono prove di un contagio simile: le regioni più colpite dall’epidemia restano quelle di Parigi e del Grand Est (Alsazia) mentre le altre, soprattutto a Ovest (per esempio Bretagna e Normandia) continuano ad avere pochi casi. L’esodo da un Paese all’altro ha riguardato turisti presi alla sprovvista ma anche lavoratori: per esempio centinaia di migliaia di ucraini, che hanno abbandonato i bar e ristoranti polacchi ormai chiusi e sono tornati a casa, nel Paese di origine.
La Francia, lo scenario all’italiana e la fuga da Parigi: stazioni prese d’assalto. Pubblicato martedì, 17 marzo 2020 su Corriere.it da Stefano Montefiori. «Non posso vivere per due mesi in 20 metri quadrati. Vado dai miei genitori in Normandia», dice Jacques, uno studente 22enne che sta approfittando delle ultime ore prima del blocco totale per lasciare Parigi e spostarsi in campagna. Sono migliaia le persone in fuga dalla capitale, non si trova più un treno per Bordeaux e la Gare Montparnasse, la stazione ferroviaria che serve l’Ovest della Francia, è affollata come prima delle vacanze natalizie o estive. Pochi fortunati hanno la mascherina, ma seguire le regole contro il coronavirus in queste condizioni è comunque impossibile: addio distanza di sicurezza di almeno un metro, c’è tempo fino alle 12 per non incorrere in sanzioni e molti ne approfittano, come se il rischio di essere contagiati o contagiare seguisse i tempi burocratico-organizzativi annunciati dal presidente Macron ieri sera in diretta tv, e precisati dal ministro dell’Interno poche ore dopo. Negli ultimi tre o quattro giorni, quando era evidente che il governo preparava gradualmente la popolazione al temuto «scenario all’italiana», il pensiero ha attraversato la mente di ognuno: restare o partire? Sono gli stessi meccanismi che hanno portato all’assalto ai treni in Italia la sera dell’annuncio del premier Conte, e i francesi per adesso riproducono anche in questo lo schema italiano: dopo le corse ai supermercati per fare scorte (la carta igienica il bene più ricercato), ecco l’idea di approfittare delle ultime ore per godere della libertà di movimento. Per giorni è circolato su WhatsApp un messaggio «Info Sénat» - in arrivo in teoria dal Senato, una fake news - che parlava di un coprifuoco tutti i giorni alle 18 a partire da mercoledì 18, e per cinque settimane. L’annuncio di Macron lunedì sera - blocco a partire dalle 12 di martedì - ha solo ristretto i tempi. Rispetto all’Italia, c’è qualche specificità francese: Parigi «intra muros», cioè senza la banlieue, ha una tra le densità per abitante più alte del mondo: 2 milioni 187 mila abitanti su una superficie di 105 chilometri quadrati. Più di New York, Londra o New Delhi. Vivere in una casa di 30-40 metri quadrati capita non solo a giovani o studenti ma anche a tante famiglie della classe media, quelle che ancora possono permettersi di vivere nella capitale. Il confinamento deciso da Macron per adesso è di quindici giorni, ma nessuno si fa illusioni. «Siamo in quattro, io, la mia compagna e i bambini di 11 e 6 anni, come facciamo a vivere per due mesi in tre piccole stanze senza un balcone?», dice Paul, insegnante 40enne che vive nel XV arrondissement, il quartiere delle famiglie. Come molti ha deciso di caricare l’auto e di andare in Bretagna, dove il fratello può ospitarlo. Chi non ha amici o parenti pronti ad aprire la casa agli ospiti cerca soluzioni su AirBnb. La Francia è vasta, a differenza dell’Italia ha molte zone disabitate o quasi, se Parigi è densamente popolata la provincia molto meno, ed ecco la tentazione: una ex fattoria sperduta nella campagna della Normandia, lontana dal mare ma con un enorme giardino privato di 2000 metri quadrati, 5 posti letto, ancora ieri veniva proposta a 1500 euro per un mese. Decine le offerte simili. Quell’annuncio è andato via in pochi minuti, tanti parigini sono pronti a stanziare una cifra importante per non restare imprigionati tra quattro mura. L’idea della fuga è stata favorita anche dalla foto di mezzi pesanti dell’esercito sul périphérique, la tangenziale che racchiude i venti arrondissement di Parigi. Gli stessi che magari venerdì sera riempivano i ristoranti o i cinema, o quelli che domenica si sono assiepati al sole, noncuranti, lungo le sponde del Canal Saint Martin o nei parchi, hanno visto all’improvviso in quella foto il segno della catastrofe in arrivo, la prova che l’esercito stava per occupare Parigi, motivo in più per scappare. In realtà quei mezzi venivano spostati da una base militare all’altra per il normale turnover verso il Mali, ma la psicosi è più forte della realtà. Tanti scappano verso Sud o verso Ovest perché l’Ile de France (la regione di Parigi) è assieme al Grand Est (Alsazia soprattutto) la regione più colpita, dove i casi sono più numerosi. «A Parigi avremo più probabilità di rimanere contagiati anche solo andando a fare la spesa - dice Anne Marie, incontrata per strada mentre sta caricando la macchina, le due figlie già dentro con le cinture allacciate -. Andiamo nel Lot, nel centro della Francia, a tre ore d’auto da Parigi. Lì i casi sono pochissimi, e se qualcosa andasse male gli ospedali saranno sicuramente meno affollati che a Parigi». E’ una scommessa. Ospedali forse meno affollati, ma anche con pochi letti nei reparti di rianimazione, quando ci sono. La scelta di partire è discutibile sul piano individuale, e criticata dai medici sul piano collettivo. «Così i pericoli aumentano, il confinamento è deciso per interrompere la diffusione del virus, questi comportamenti vanno in direzione esattamente contraria - dice Rémi Salomon, presidente della commissione medica degli Ospedali di Parigi -. Chi lascia in fretta la capitale rischia di portare il coronavirus nelle zone dove per il momento è poco diffuso». Già cordialmente detestati dai «provinciali» in tempi normali, i parigini potrebbero non essere accolti a braccia aperte.
Da "leggo.it" il 27 marzo 2020. Sono tantissimi gli italiani che vivono nel Regno Unito, e in migliaia sono tornati o stanno per tornare nel nostro Paese durante questa emergenza legata alla pandemia del coronavirus. Mentre in Italia da settimane si parla dei pericoli del contagio, e contemporaneamente in Gran Bretagna il premier Boris Johnson minimizzava la pandemia e un suo consigliere parlava di immunità di gregge, in tanti sono tornati in Italia con gli aerei messi a disposizione da Alitalia su richiesta della Farnesina. Sono rientrati pochi giorni fa anche i figli del sindaco di Bergamo Giorgio Gori e di Cristina Parodi, decisione che ha provocato non poche polemiche da parte della stampa britannica, in una situazione in cui se da una parte l'emergenza italiana ha portato il Governo a chiudere tutto per proteggere la salute dei cittadini, dall'altra le istituzioni britanniche hanno risposto con grande ritardo al diffondersi della pandemia. Secondo quanto scrive il sito LondraItalia.com, sono cinquemila gli italiani sono tornati nell’arco di tempo che va dallo scorso 13 marzo ad oggi, poco meno di due settimane: sulla tratta Heathrow Fiumicino sono sei i voli disponibili attualmente, e le prenotazioni arrivano fino al 6 aprile prossimo. A rientrare sono studenti, lavoratori stagionali e molti giovani che lavoravano in pub, caffè e ristoranti, e che con la loro chiusura hanno perso il lavoro. L'ambasciatore italiano a Londra Raffaele Trombetta a LondraItalia.com ha dichiarato come l'ambasciata abbia ricevuto migliaia di richieste: «Non è sempre stato semplice ma siamo riusciti a creare quel ponte operativo che ha permesso di far rientrare in Italia migliaia di nostri concittadini. Lavoriamo per offrire tutto il nostro supporto anche a coloro che vivono qui e che hanno scelto di rimanere. A quei quasi 700mila che compongono la comunità italiana in UK».
Coronavirus, gli untori e il diritto di tornare a casa. Ludovica Serafini su Il Quotidiano del Sud l'11 maggio 2020. Andando alla ricerca di sviluppi d’interesse per noi fuorisede rimasti al Nord causa lockdown, mi sono spesso imbattuta nella parola “untore”: ho dunque incolpato la mia eventuale ignoranza del reale significato del termine – se così abusato –, e quindi l’ho cercato sulla Treccani; non vi sorprenderà il significato: Untóre: Coloro che nella peste di Milano del 1630 furono sospettati di diffondere il contagio ungendo persone e cose (…) con unguenti malefici; contro di essi si scatenò l’ira popolare, si dette anche corso a persecuzioni. Non v’è però rispondenza della definizione, storicamente esplicativa, con il presente; per cui non me ne voglia la Treccani se ne ho elaborato un’altra: Untóre: Diffusore incauto di coronavirus che grava sulla già malconcia sanità di Regioni che fanno ancora i conti con la “Questione Meridionale”. Mosso da comprensibile paura o da inciviltà causa depennamento della materia “Educazione Civica” dai programmi scolastici, elude i DPCM per accalcarsi in stazioni e/o aeroporti o, se già nella sua residenza, per uscire causa “zonzo”. Sfruttatore di propaganda social tramite reperti fotografici correlati da immancabile #IoRestoaCasa, non indica di quale congiunto sia la non sua casa. Non è sinonimo di fuorisede, sebbene i termini siano più volte accostati. Es. “Untori, tornate solo per portarci il virus”. Qui mi rifaccio al molto apprezzato articolo del mio amico Osvaldo Vetere, “Il diritto di tornare a casa”, in cui il validissimo autore rimarca l’importanza favorire il rientro dei calabresi dislocati al Nord; cito testualmente: “non è facile vivere e affrontare questa emergenza in una casa che non è la propria, (…) vivere soli e lontano dai propri cari e non è facile neanche a livello economico quando non puoi lavorare a causa dell’emergenza o quando sei uno studente e i tuoi non possono mandarti soldi”. Amico mio, giusto una postilla: non è facile neppure essere esposti alla pubblica gogna solo perché vuoi andare a casa quando “vieni liberato”. Un’emergenza mai sperimentata necessariamente si trascina dietro svariati errori; d’altronde non c’è un prestampato con “le 10 regole del buon Governo”, di cui dotare chi è eletto a guida di un Paese. Per cui non biasimo né il Presidente Conte, né la Governatrice Santelli, né tantomeno le restrizioni. Tuttavia, da persona con spiccato civismo grazie alla presenza di “Educazione Civica” nel mio programma di scuola, non posso perdonare come noi fuorisede – legittimamente rientrati – siamo ancora adesso trattati. Molti mi hanno raccontato le loro esperienze nell’attesa – che non è mai un piacere, anzi è spasmodica – di tornare in modo “legale”. Se abiti da solo in una casa della quale paghi un affitto che non ti è stato sospeso; hai il tuo cuore lontano e da ciò sei leso; non fai la spesa perché temi il mancato distanziamento nelle code chilometriche fuori dal supermercato, e non rischi neanche la via online perché nelle sovrappopolate città del Nord il tuo ordine richiede almeno un paio di settimane; senti le sirene dell’ambulanza ogni venti minuti; non hai un medico di base cui rivolgerti se hai dei sintomi: è un’altra storia, davvero. Sogni la normalità, affidandoti a tecniche di rilassamento imparate online, a pagine che nessuno leggerà, ed a pianti isterici perché sei stanco di sentire che “Andrà tutto bene”. Andrà bene solo quando rientrerai, stanco, nella tua casa di bambino. Non un ritorno trionfante: dalla Calabria sei pur sempre andato via, ma mai fuggito. La tua Terra ti ha sempre richiamato, come nella frase di “Venuto al mondo” che recita: Tieni un capo del filo, con l’altro capo in mano io correrò nel mondo. E se dovessi perdermi tu tira. Lei tirerà sempre il filo che vi lega, lungo abbastanza da farti vedere il mondo, troppo lungo quando la vita ti costringe a restarne fuori. Quando siamo riusciti a rientrare, tutti ci siamo sottoposti a tampone, sebbene non fosse obbligatorio: abbiamo di nuovo fatto la cosa giusta. Il nostro premio? Quarantena obbligatoria. Più che lecito, naturalmente, se non fosse stata refertata e resa nota dai telegiornali la negatività di tutti tamponi in entrata dei fuorisede calabresi. E gli altri al bar. Che senso ha poi ritornare, se la nostra Terra non ci difende da chi imperterrito sostiene, nonostante le evidenze, che se i contagi risaliranno sarà colpa dei fuorisede? Cari organi regionali, dopo averci sedotto ci abbandonate di nuovo, fate in modo che l’opinione pubblica ci dipinga come paria indifendibili. E noi che volevamo solo tornare a casa in sicurezza dopo sacrifici di due mesi, magari senza straparlarne, sperando in un po’ di rispetto o, semmai, di riconoscenza. Danno e beffa. Mi rifugio tra le pagine della Treccani, cerco un vocabolo che riassuma come mi sento. Amarézza: Sapore di ciò che è amaro. In senso fig., dolore, tristezza mista a un sentimento di contrarietà, talora a lieve rancore. Amarezza di mamma, che appena mi ha visto mi ha detto: “hai gli occhi diversi”; amarezza di amici e conoscenti, che mi han detto “Il crimine paga, dovevamo scendere senza essere in regola”. Cari tutti: è davvero questo il messaggio che volete passi? Ludovica Serafini
Da Brescia alla Puglia, in furgone e poi a piedi in autostrada: 7 denunciati. Sono 7 operai, hanno abbandonato il veicolo al casello e sono tornati a casa a piedi. La Gazzetta del Mezzogiorno il 24 Marzo 2020. Sette operai di Molfetta e Terlizzi residenti a Brescia sono tornati a casa in Puglia, in violazione del decreto del Governo che vieta gli spostamenti tra città, lasciando il mezzo al casello autostradale e poi dirigendosi in città a piedi. Ad immortalare la marcia dei primi due sono state le telecamere comunali, costantemente monitorate dalla Polizia locale. E’ scattata quindi la segnalazione ai carabinieri che hanno identificato anche gli altri cinque e per tutti è scattata la denuncia. Stando a quanto ricostruito dagli investigatori, i sette, a bordo di un furgoncino a noleggio, sono partiti da Brescia dopo che le loro aziende hanno chiuso per via dei nuovi provvedimenti di contenimento del coronavirus. Sono riusciti ad attraversare l'Italia e hanno lasciato il mezzo nelle vicinanze del casello autostradale di Molfetta sull'A14. A quel punto, intorno alle 19.30 di ieri, hanno tentato il rientro a casa a piedi. Alcune delle 160 telecamere comunali li hanno ripresi mentre, con borsoni e trolley e mascherine sul volto, percorrevano i pochi chilometri dal casello alla città lungo la provinciale Molfetta-Terlizzi. I primi due, quelli ripresi dalle immagini della videosorveglianza, sono stati fermati subito dalla polizia locale. Le successive indagini hanno consentito di identificare gli altri cinque colleghi (quattro molfettesi e uno della vicina Terlizzi) che viaggiavano con loro, rintracciati quando erano già nelle rispettive abitazioni. Oltre alla denuncia, a tutti è stato ricordato l’obbligo di auto-isolamento per 14 giorni.
Coronavirus, l'illusione della grande fuga da Milano. Ecco i veri numeri degli spostamenti verso sud. Grazie ai dati della svizzera Teralytics, abbiamo analizzato i movimenti dalla Lombardia al Meridione in alcune giornate chiave. Il treno preso d’assaltato alla Stazione Centrale il 7 marzo è diventato un simbolo, ma quel giorno si mossero in 166. L’esodo in realtà era già avvenuto, soprattutto verso la Campania, che però è fra le meno colpite. Jaime D'Alessandro il 23 aprile 2020 su La Repubblica. Sembrava la grande fuga: immagini di persone che correvano verso l'ultimo treno in partenza la notte del 7 marzo prima della chiusura della Lombardia. Il simbolo della pandemia e non solo per le regioni del nord. In serata la notizia sulle intenzioni del governo aveva spinto a scappare d'improvviso prendendo d'assalto quel convoglio alla Stazione Centrale di Milano. Scopriamo oggi, grazie ai dati della svizzera Teralytics, che la percezione è piena di zone d'ombra. Durante quel sabato ad esempio si diressero al sud in 835 ma la maggior parte di loro usò aereo e macchina, con buona probabilità ben prima che trapelassero i dettagli sul decreto del Governo. Furono "solo" 166 quelli che salirono su un treno contro i 414 che scelsero di volare e i 257 che optarono per l'autostrada. La vera fuga in realtà era già avvenuta. Il 23 febbraio per l'esattezza. La Teralytics analizza i dati, resi anonimi, di 30 milioni di clienti italiani di alcune aziende telefoniche. Successivamente vengono elaborati espandendoli a tutta la popolazione, usando varie tecniche di machine learning, arrivando ad un'accuratezza del 95 per cento. Un tassello importante per le strategie di aziende coinvolte nel settore dei trasporti fino a ieri, oggi per chi si occupa di studiare la pandemia. La compagnia di Zurigo aveva già misurato per Repubblica la decrescita degli spostamenti durante l'esplodere dell'emergenza sanitaria, ben prima che Google, Facebook e infine Apple offrissero i loro dati sullo stesso fenomeno. Stavolta siamo scesi più nel dettaglio analizzando i movimenti di sola andata dalla zona di Milano alle aree del sud in giornate specifiche.
Torniamo al 23 febbraio, una domenica. Da Milano andarono via in 9149, quattromila in più rispetto alla media. Raggiusero Napoli soprattutto, poi Pescara, Chieti, Caserta, Bari, Salerno, Palermo e Cagliari. Si va dai quasi 550 che avevano come meta il capoluogo campano ai 151 che invece raggiunsero quello sardo. Era appena stato deciso lo stop delle attività scolastiche in Lombardia, Piemonte, Veneto e Friuli e fu quella con buona probabilità la vera molla dell'esodo. La Francia valutava di imporre controlli sanitari alle frontiere, l'Austria aveva prima annunciato poi ritirato il blocco dei treni dall'Italia. "E' emergenza nazionale", diceva Giuseppe Conte in televisione, mentre diventavamo il terzo Paese più colpito dopo Cina e Corea del Sud con con però "appena" 152 positivi e tre morti. Nulla rispetto a quel che avremmo visto poco dopo. Il 7 marzo, i casi erano saliti a 5883 e i decessi a 233.
Il 28 febbraio, alla vigilia dell'ultimo fine settimana prima della chiusura, si diressero verso il Meridione in 1640. Le notizie dal mondo cominciavano a farsi sempre più gravi con il crollo delle borse a causa della pandemia. In Italia i casi erano diventati 888 con 21 vittime. La partita Atalanta-Valencia si era già svolta, il 19 febbraio, con i 15293 tifosi (e non 40 o 50mila) che da Bergamo avevano raggiunto Milano. Sarebbero stati loro, stando alle stime, a diffondere il contagio.
Guardando ai dati della Teralytics e confrontandoli con le percentuali di casi positivi nelle varie regioni, con la Lombardia a fare da epicentro, verrebbe da pensare che a fine febbraio e inizio marzo il virus era ancora poco presente a Miliano al di là dei numeri ufficiali più bassi di quelli reali. Oppure la pandemia non ha seguito il flusso degli spostamenti in maniera didascalica non solo nelle due giornate chiave del 23 febbraio e il 7 marzo, ma anche durante tutto il periodo che va dal 20 febbraio al 10 Marzo. La destinazione più popolare in quel lasso di tempo è Caserta con oltre cinquemila persone, seguita da Teramo, Palermo, Chieti e ancora Campobasso, Bari e Foggia. Regioni, nella maggior parte dei casi, colpite relativamente poco. Per capire come è davvero andata, fra i tanti conti di questa pandemia che nei prossimi tempi bisognerà far tornare, c'è anche questo.
LA FUGA AL SUD POTREBBE TRASFORMARSI IN UN’ECATOMBE – SONO ALMENO 41 MILA LE PERSONE RIENTRATE DAL NORD ITALIA NEL MERIDIONE. Natascia Ronchetti per "il Fatto quotidiano” il 12 marzo 2020. La fuga da Nord a Sud, dalle aree con il maggior numero di contagi da coronavirus al Meridione, si rivela sempre più massiccia. E sulle regioni del Sud ora pende una pesantissima spada di Damocle: la paura, tangibile, che siano destinate a diventare una nuova zona rossa, con migliaia di casi. Sono infatti salite a oltre 33.500 in due giorni, le autosegnalazioni dei rientri in Calabria, Sicilia, Campania, Puglia e Basilicata iniziati con la grande fuga scattata la sera dello scorso 7 marzo quando sono cominciate a trapelare le indiscrezioni sul decreto del premier Conte sulle misure restrittive in Lombardia e in 14 province del Settentrione. Ma se si fa un passo indietro, se si torna ai primi provvedimenti - come la chiusura delle scuole nel Nord - i numeri diventano ancora più drammatici: oltre 41 mila rientri. E questa è solo la punta dell' iceberg, molti altri potrebbero aver omesso le dichiarazioni. In Campania è la stessa Regione ad ammettere che a fronte di sole 1.700 autodenunce, i rientri potrebbero essere molti di più. E parliamo di migliaia. In Calabria le autosegnalazioni ieri erano circa 4 mila, ma si stima che le persone tornate qui siano almeno il triplo: 12 mila. È anche il risultato di una politica in tre fasi delle restrizioni. Prima le scuole e le università, i luoghi di aggregazione. Poi lo stop agli spostamenti, se non per effettive necessità, nelle aree del Nord con il numero più alto di contagiati. Infine, il decreto che ha fatto di tutto il Paese una zona protetta. Quelle oltre 41 mila persone rientrate - e le migliaia che non lo hanno denunciato - ora rappresentano una pesantissima incognita per regioni che non hanno sistemi sanitari forti come quelli di Lombardia, Emilia-Romagna o Veneto. La Calabria (18 casi accertati ieri, oltre 900 persone in quarantena) è la regione che rischia di pagare il prezzo più alto. Qui il sistema sanitario, commissariato, era già prossimo al collasso. Dispone di soli 148 posti letto in terapia sub-intensiva e 107 in rianimazione. Che però sono già vicini alla saturazione, perché occupati da persone affette da altre patologie, con percentuali che oscillano rispettivamente tra il 75 e il 90%. È l' ultima regione in Europa per rapporto tra posti letto e popolazione: la diffusione del contagio avrebbe un impatto disastroso. La Puglia conta oltre 13 mila autosegnalazioni dall' inizio dell' emergenza nel Nord, di queste 7.600 dal 7 marzo in poi, quando il rientro è diventato un' ondata. "Abbiamo migliaia di persone in quarantena - dice il presidente della Regione Michele Emiliano -. Questo ha già sovraccaricato il nostro sistema sanitario, più esile di quello dell' Emilia-Romagna, con la quale ci confrontiamo perché abbiamo più o meno lo stesso numero di abitanti, ma 15 mila operatori in meno. Per cinque anni non mi è stato permesso di ridurre il gap, adesso ho autorizzato migliaia di assunzioni". La sanità pugliese, ricorda Emiliano, ha una capacità massima di assorbimento. La sua soglia è di duemila contagiati, dei quali mille ricoverati. Oltre questo limite c' è il crollo. La Campania, che fino a ieri contava 154 casi di positività al virus, ha una soglia più alta (potrebbe reggere un massimo di tremila contagiati) ma è anche la regione maggiormente esposta alle incognite, visto che potrebbero essere migliaia le persone rientrate senza autosegnalarsi. Questo nonostante, come rileva il governatore Vincenzo De Luca, gli abitanti stiano dando prova di "compostezza e responsabilità". Ora ci vorranno alcuni giorni per capire se il virus è destinato a diffondersi rapidamente. "Valutiamo nelle prossime ore - dice De Luca -. Se servirà io non avrò problemi a chiedere la chiusura di tutto: resteranno aperti solo farmacie e negozi alimentari e supermercati". La Sicilia ha avuto il rientro più imponente. Oltre 21 mila autodenunce da quando è iniziata l' emergenza, 19.500 solo dal 7 marzo in poi. Per ora il numero dei contagiati è ancora contenuto (ieri erano 83) ma le conseguenze del rientro sono ancora tutte da verificare. "Stiamo predisponendo nuovi posti letto - spiega il presidente della Regione Nello Musumeci -, ne abbiamo pronti 200 per la rianimazione". Oggi si riunirà la giunta regionale. "Chiederemo alle cliniche di dare il loro supporto - prosegue Musumeci - e alle università di mettere in servizio gli specializzandi". Modesti, invece, i numeri della Basilicata: solo 775 rientri.
Quella vita al tempo della peste "Siamo tornati a 700 anni fa..." La Studiosa e docente di storia medievale Zanoboni e i parallelismi tra le misure anti Covid e quelle prese ai tempi della peste. Paolo Stefanato, Domenica 25/10/2020 il Giornale. "Norme identiche a quelle di 700 anni fa”. Maria Paola Zanoboni, studiosa e docente di storia medievale, fin dal primo decreto legge d'emergenza emanato il 23 febbraio di quest'anno ha osservato con stupore come le misure di difesa collettiva nei tempi delle epidemie siano alla fine sempre le stesse: “Già nel Trecento, prima in Italia e poi in Europa, vennero promulgate norme che oggi ci appaiono di sconcertante attualità: il divieto di assembramento, di ritrovo, di spostamento delle persone, obblighi di isolamento, di quarantena, di comunicazione alle autorità. Esattamente le misure che stiamo sperimentando in questi mesi”. Ne è nato un libro, “La vita al tempo della peste – Misure restrittive, quarantena, crisi economica” (Jouvence, pagine 214, euro 18), nel quale l'autrice ripercorre le epidemie in Italia e in Europa che hanno avuto nel XIV e nel XVI-XVII secolo i loro apici. Molte le analogie con le misure anti Covid: “Oggi si chiudono i locali pubblici, allora si chiudevano le taverne. Niente commerci, facevano eccezione solo le farmacie e i negozi di alimentari. Si chiudevano le scuole, si cancellavano, come oggi, tutti i tipi di manifestazioni pubbliche, comprese fiere e mercati. Niente cerimonie religiose, funerali, processioni. Nel Cinquecento, durante la cosiddetta peste di San Carlo, furono allestiti altari nelle strade affinchè la gente potesse seguire la messa da finestre e balconi”. Racconta sempre Maria Paola Zanoboni: “Si diffonde fin dal XVI secolo la pratica della quarantena generale, il nostro lockdown, prima a Palermo, poi Milano, Firenze, Genova. Quest'ultima città emanò un decalogo di regole, tra cui l'obbligo di stare serrati in casa e il permesso per il solo capofamiglia di uscire al mattino per fare la spesa. A Palermo nel 1575 – poi copiata da Milano – di fronte all'indisciplina della popolazione furono erette delle forche in tutta la città nelle quali venivano sommariamente giustiziati coloro che uscivano di casa infrangendo le regole. A Chiavari fu uccisa all'istante una donna colpevole di non aver denunciato la morte di peste del marito”. Fin dal 1348 le città italiane, al Centro Nord e poi anche al Sud, furono le prime in Europa a darsi delle ferre regole sanitarie, poi copiate ovunque; furono istituite delle autorità apposite e fa dato il massimo rilievo al flusso di informazioni che potesse far prevedere l'arrivo della malattia da altre aree. Tali norme si diffusero in Francia, in Germania, ultima l'Inghilterra: anche qui la storia si ripete. Pessime, allora come oggi, le reazioni della gente, intollerante alle restrizioni della libertà e fortemente provata sotto il profilo economico: oltre che di peste, si moriva di fame. Per questo a Firenze, durante il lockdown del 1630, furono distribuiti sussidi economici e viveri, misure poi adottate ovunque: ma anche allora c'erano i furbi che restavano chiusi in casa se il sussidio era superiore al salario, e che uscivano per lavorare (nel caso potessero farlo) se era inferiore. Ovunque le autorità erano disperate anche perchè le regole fortemente impopolari innescavano le rivolte della gente: per perseguire l'igiene, venivano infatti bruciati materassi e arredi delle case più povere. Le spese che dovettero affrontare le amministrazioni furono enormi, anche perchè ai danni della peste si sommavano quelli provocati dalla crisi economica. Le casse delle città si prosciugavano in fretta. Per finanziare la sopravvivenza i metodi furono sempre gli stessi: aumento delle imposte indirette, emissioni forzose di titoli del debito pubblico, nuove tasse. Sullo sfondo, l'inflazione. A Milano nel secondo Quattrocento furono rilevanti le variazioni di valore del ducato l'oro rispetto alle monete d'argento d'uso comune: così si assistette a rincari enormi e generalizzati, mentre la vita quotidiana si faceva sempre più dura.
La stupidità fa più vittime del morbo, nel 1630 come nel 2020. Manzoni sapeva che gli uomini, specie in caso di emergenza, sono deboli, irrazionali, ignoranti, ostili gli uni agli altri. Silvi Perugi l'1 Marzo 2020 su Il Quotidiano del Sud. Rileggere la descrizione che Alessandro Manzoni fa ne I promessi sposi, della pestilenza che intorno al 1630 colpì la città di Milano, fa un certo effetto ai tempi del coronavirus. Ho sempre sostenuto, fin da quando lo lessi e me ne innamorai sui banchi del liceo, che il romanzo per eccellenza della letteratura italiana contenga la risposta a qualunque domanda possibile sulla vita e le sue mirabolanti esperienze, e sia lo specchio più completo e sincero della natura umana, che evidentemente il suo autore ha conosciuto e rappresentato come nessun altro è mai riuscito a fare. Proverò qui a spiegarvi cosa intendo, ripercorrendo indegnamente il racconto del Maestro: Manzoni aveva già scritto tutto. Ma ai tempi del panico e dell’isteria generale, dei supermercati presi d’assalto, delle sassaiole contro i possibili contagiati, delle fughe dalle zone del contenimento dei possibili esposti al virus, è d’obbligo una precisazione: lungi da me paragonare le proprietà, gli effetti, la virulenza e la mortalità delle due malattie, la peste e la COVID-19. Non ne ho l’intenzione, né tanto meno le capacità. Negli ultimi capitoli del libro, una lunga digressione storica, in perfetto stile manzoniano, rievoca l’epidemia che tra la fine del 1629 e l’inizio del 1630 cominciò a dilagare nel nord Italia, in particolare nella zona intorno a Milano. Notate qualche somiglianza geografica e temporale con i giorni nostri? Non fatevi suggestionare, vale la pena di proseguire nel racconto. Anche allora il contagio in Lombardia arrivò da fuori: venne portato dai lanzichenecchi, di passaggio per raggiungere Mantova. I soldati delle fanterie mercenarie tedesche erano coinvolti nella guerra di successione del ducato, che vedeva contrapposte Spagna e Francia, e oltre a saccheggi e devastazioni, lungo il percorso seminarono la peste. Le autorità sanitarie di Milano nutrivano forti timori che il passaggio delle soldatesche potesse diffondere la malattia, perciò rappresentarono al governatore milanese il rischio incombente sulla città, chiedendo provvedimenti di prevenzione. La risposta fu sorda e cieca: “le esigenze belliche sono imprescindibili, confidiamo nella Provvidenza”. Tipo, “sospendiamo i voli diretti dalla Cina e rimettiamoci a Dio per chi arriva in Italia facendo scalo in altri paesi”. Ma torniamo al Manzoni. Mentre la peste si diffondeva nel territorio di Lecco e nel Bergamasco, il Tribunale di Sanità propose di stringere un cordone di sicurezza intorno alla città di Milano, per impedire l’ingresso alle popolazioni già colpite. Ma niente da fare. Anzi, vennero celebrate pubbliche feste in tutta l’area a rischio, per onorare la nascita del primogenito di Filippo IV, il re di Spagna, senza alcun timore che il concorso di folla nelle strade potesse facilitare la diffusione del morbo. Quando ormai era troppo tardi, iniziò la caccia al soldato che entrando a Milano con un fagotto di vesti comprate dai fanti tedeschi, aveva contribuito a diffondervi il mortale contagio. Spirò tre giorni dopo l’arrivo in città. Tutte le sue suppellettili vennero bruciate e internate al lazzaretto le persone che erano entrate in contatto con lui. Le autorità, comunque, non erano più di tanto allarmate, e i festeggiamenti per il carnevale proseguirono. A preoccupare le persone era soprattutto il rischio di finire confinate in quarantena. Dunque, meglio nascondere i malati e coprire i decessi; meglio accusare i medici di diffondere voci infondate per dare lavoro alla sanità. Dal mese di marzo del 1630 la peste cominciò a mietere vittime in ogni angolo di Milano, rendendo drammatica evidenza ciò che fino a quel momento era stato negato o sminuito. A fine maggio si cominciarono a contare più di 40 nuovi casi al giorno. Le gride a quel punto proibirono di lasciare la città, minacciando pene severissime per chi avesse disubbidito. Quando ormai non serviva più a prevenire la crisi, ma solo ad esasperare una situazione già molto critica, si diffuse il panico generale. Con esso arrivarono le dicerie senza senso, eppure impossibili da fermare: sono alcuni uomini a propagare la peste, spargendo appositi unguenti venefici. Nella Storia della colonna infame, pubblicata in appendice al romanzo, Manzoni ricostruisce le vicende giudiziarie che coinvolsero due uomini, che vennero accusati di essere untori e condannati a morte, dopo che le loro confessioni erano state estorte con la tortura. Per fortuna, ai tempi nostri esiste una prova scientifica per dimostrare se si è o si è stati infetti e, dunque, possibili trasmettitori del virus. Basta attendere l’esito di un tampone, ma nel frattempo le dicerie non perdonano. Avete presente quelle sul fantomatico paziente zero, che poi si è rivelato sano come un pesce? Il continuo aumento dei decessi e l’infuriare del morbo spinsero alcuni amministratori cittadini a chiedere al cardinale Borromeo l’autorizzazione a svolgere una solenne processione per le strade, in cui fosse esposto il corpo venerato di San Carlo e si invocasse il soccorso divino per porre un freno alla terribile calamità. La processione venne indetta per l’11 giugno, partendo dal duomo cittadino. Attraversò tutti i quartieri della città, radunando una folla incredibile. Sin dal giorno successivo i decessi causati dal morbo crebbero in maniera vertiginosa. Evidentemente attraverso i contatti tra le persone radunatesi in strada, i contagi si erano moltiplicati. Ancora una volta la colpa fu attribuita all’azione degli untori, mescolatisi nel corteo in processione. Mi raccomando, in caso di epidemia, evitate i luoghi affollati. Dunque, tutti in coda nei supermercati a fare razzie. Nell’estate del 1630 la situazione a Milano divenne insostenibile. Il numero di decessi giornalieri arrivò a 500. Mentre i frati si prodigavano per portare assistenza ai malati e supplire alle mancanze delle autorità cittadine nel far fronte all’emergenza, ci fu anche l’esempio molto meno edificante di chi cercò di trarre vantaggio dalla catastrofe. I monatti, gli addetti a raccogliere i cadaveri e i moribondi lungo le strade per portarli al lazzaretto, usarono il loro potere per derubare gli ammalati o minacciarne le famiglie per estorcere loro del denaro. Vi ricordano per caso quelli che oggi speculano sul prezzo dei disinfettanti o che si fingono incaricati dalle Asl a fare tamponi a domicilio per truffare gli anziani? Qualcuno arrivò persino a travestirsi da monatto, attaccandosi un campanello al piede, approfittandone per compiere ogni sorta di ruberie. Il racconto di Manzoni si fa da storico a paradigmatico: come una parabola evangelica. A dimostrare il disfacimento del tessuto sociale a cui si giunse in città verso la fine di quella tremenda estate. A sottolineare l’incuria e la negligenza dimostrate dalle autorità milanesi nel sottovalutare il rischio del contagio e poi nel tacere e minimizzare la pestilenza quando ormai era in corso. Manzoni aveva già scritto tutto. Manzoni sapeva già tutto. Sapeva soprattutto che gli esseri umani sono deboli, irrazionali, ignoranti, ostili gli uni agli altri. Che, neanche a dirlo, la stupidità fa più vittime del morbo. Nel 1630 come nel 2020. Quella di chi è convinto di saperla più lunga di medici, esperti, virologi. Quella di chi antepone alle drastiche misure di prevenzione, esigenze economiche, lavorative, di svago, di libertà. Quella di chi esorcizza le proprie paure andando alla forsennata ricerca di un untore da incolpare. Quella di chi sottovaluta i rischi. Di chi sopravvaluta le conseguenze, alimentando il panico. Di chi se ne frega degli altri e in barba a qualunque recondito, infinitesimale barlume di solidarietà umana, non adotta misure di quarantena volontaria pur sapendo di essere tra coloro che sono stati esposti.
Bastano 14 giorni. Usateli per rileggere Manzoni.
“Sono partiti prima della mezzanotte. Nonostante le gride che proibivano di lasciare la città e minacciavano le solite pene severissime, come la confisca delle case e di tutti i patrimoni, furono molti i nobili che fuggirono da Milano per andarsi a rifugiare nei loro possedimenti in campagna”. Scriveva così, Alessandro Manzoni, nel capitolo XVI de “I Promessi Sposi“. Allora era il 1827, ma il celebre scrittore parlava della peste che colpì la popolazione nel 1630. L’epidemia si diffuse – tra l’altro – in diverse zone dell’Italia settentrionale e il Ducato di Milano fu uno degli Stati più gravemente colpiti. Sono trascorsi decenni, eppure la situazione che ci troviamo a dover fronteggiare in questi giorni non sembra essere dissimile da quella di allora.
Coronavirus, rileggiamo Manzoni. Quella peste a Milano parla di noi. Pubblicato giovedì, 12 marzo 2020 su Corriere.it Paolo Di Stefano. «La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia». Incipit del capitolo XXXI dei Promessi sposi. Così Manzoni si avvia a raccontare «quella calamità», che occupa questo e il capitolo seguente, senza coinvolgere personaggi immaginari e sostenendosi su documenti storici. Non solo Manzoni — molto prima di lui Tucidide e Boccaccio e dopo di lui Camus ne La peste e Saramago in Cecità — lega l’epidemia a riflessioni di tipo morale: la peste è uno stato d’eccezione che porta a galla vizi e virtù di una comunità, eroismi e viltà dei singoli individui, tutti quei tratti che altrimenti si nascondono nelle pieghe della quotidianità. Inoltre, se il flagello minaccia la tenuta fisica della popolazione rivelando la fragilità dell’essere umano, mette anche in discussione i suoi stessi valori e le norme di comportamento. E investe il rapporto tra verità e menzogna, tra vero e falso storico da una parte, nonché tra il vero e il falso delle notizie che si diffondono sul territorio: sono le false opinioni e credenze che riguardano tutti i gruppi sociali il vero obiettivo polemico di Manzoni. Il quale ironizza da par suo alludendo a quella «voce del popolo» che, assecondata dalla dabbenaggine dei governanti, restii ad ammettere i fatti per ragioni politiche ed economiche, sulle prime non vuol credere alla peste. Il suo racconto è un crescendo impressionante con passaggi da thriller, giocato com’è sul mistero e sulla stranezza perturbante di certe apparizioni: «Per tutta adunque la striscia di territorio percorsa dall’esercito, s’era trovato qualche cadavere nelle case, qualcheduno sulla strada. Poco dopo, in questo e in quel paese, cominciarono ad ammalarsi, a morire, persone, famiglie, di mali violenti, strani, con segni sconosciuti alla più parte de’ viventi». E così quando i delegati arrivano «a provvedere» nei territori di Lecco, in Valsassina, sul Lago di Como, in Brianza, «il male s’era già tanto dilatato, che le prove si offrivano, senza che bisognasse andarne in cerca». Il romanzo di Renzo e Lucia è anche un intreccio di informazioni mancate e cercate a fatica, di annunci mai giunti a buon fine, di voci che si rincorrono senza certezze, di indicazioni sbagliate, di equivoci della comunicazione, di lettere non recapitate, di incognite sul destino dei congiunti e di itinerari smarriti: oggi la tv, la radio, le mail, i social e i navigatori satellitari risolverebbero buona parte dei problemi che affliggevano i personaggi di Manzoni nell’anno di grazia (di disgrazia) 1630. Buona parte ma non tutti. E viceversa ci sono costanti del comportamento umano che comunque ritornano nel 2020 come allora nonostante gli smartphone. Per esempio, la sottovalutazione colpevole e irresponsabile del contagio. Ecco che i messi del tribunale vengono sì tempestivamente sollecitati dal protofisico Ludovico Settala (un esperto in materia, per autorevolezza una specie di Burioni ottantenne, presidente della Commissione superiore della Sanità), ma si guardano bene dal prenderlo sul serio. E arrivando in ritardo sui luoghi dell’epidemia «trovarono paesi chiusi da cancelli all’entrature, altri quasi deserti, e gli abitanti scappati e attendati alla campagna, o dispersi…». Lacerazione e morte sono causate dall’iniziale concorso di credulità popolare e miopia del potere. Appare con «forte meraviglia» a Manzoni la condotta di quella fetta di popolazione che, «non tocca ancora dal contagio, aveva tanta ragion di temerlo»: chi crederebbe, si chiede il narratore, che l’incombere del morbo, ormai evidente, non riesca a suscitare «un desiderio di precauzioni» o «almeno una sterile inquietudine»? Sta parlando degli antenati (certo più spaventosamente ignoranti) dei molti che fino a qualche giorno fa, pur sommersi dal diluvio dell’informazione, affollavano sconsideratamente i pub, gli happy hour, i supermercati come nulla fosse: «sulle piazze, nelle botteghe, nelle case, chi buttasse là una parola del pericolo, che motivasse peste, veniva accolto con beffe incredule, con disprezzo iracondo». Altra differenza macroscopica è che allora, diversamente da oggi, la «medesima miscredenza» e cecità prevaleva anche nelle autorità pubbliche (tutte precocemente trumpiane?).Parziale eccezione il cardinal Federigo, un po’ più sollecito a lanciare l’allarme. La chiusa del capitolo XXXI rende al meglio il clima dell’epoca, ma anche la precisione e l’ironia che ci mette Manzoni nel descrivere il corso «storto» di certi discorsi e di certe parole pronunciate a sproposito. Un passo che più di tanti altri dovrebbe farci riflettere sulla responsabilità nell’uso della lingua, sulla «trufferia di parole», sugli inganni del linguaggio che contribuiscono ad ammorbare l’aria: «In principio dunque, non peste, assolutamente no, per nessun conto: proibito anche di proferire il vocabolo. Poi, febbri pestilenziali: l’idea s’ammette per isbieco in un aggettivo. Poi, non vera peste, vale a dire peste sì, ma in un certo senso; non peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare un altro nome. Finalmente, peste senza dubbio, e senza contrasto: ma già ci s’è attaccata un’altra idea, l’idea del venefizio e del malefizio, la quale altera e confonde l’idea espressa dalla parola che non si può più mandare indietro (…). Si potrebbe però, tanto nelle cose piccole, come nelle grandi, evitare, in gran parte, quel corso così lungo e così storto, prendendo il metodo proposto da tanto tempo, d’osservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare. Ma parlare, questa cosa così sola, è talmente più facile di tutte quell’altre insieme, che anche noi, dico noi uomini in generale, siamo un po’ da compatire». Anche nella Milano di quel tempo si va a caccia del paziente numero uno. Il «portator di sventura» pare identificarsi in un soldato italiano al servizio dell’esercito spagnolo: il suo nome non è certo e neppure è certa la data del suo ingresso a Milano. Si suppone che si sia fermato in casa di parenti, vicino ai cappuccini, prima di finire in ospedale con un bubbone sotto un’ascella e di morire nel giro di quattro giorni. Seguono il sequestro della casa e l’isolamento dei parenti, nonché il rogo dei vestiti, ma è tutto inutile, visto che un «semino» del morbo «non tardò a germogliare». È così che, con il «contatto e la pratica» (esattamente quel che oggi cerchiamo di evitare al motto #iorestoincasa), il male si va diffondendo: e con esso cresce «la cieca e indisciplinata paura» in parallelo con la caccia all’untore. Eccoci vicini alle tinte più cupe del sospetto, del delirio delle unzioni e del complotto, tipiche della Colonna infame. Anche nella Milano di quel tempo salta fuori il super commissario. Si chiama Felice Casati ed è il padre cappuccino che via via assume, nel racconto di Manzoni, un ruolo chiave, con l’incarico di sovrintendere al lazzaretto, dotato com’è di pieni poteri economici, organizzativi e giudiziari, ma soprattutto di carità cristiana nell’avvicinarsi ai malati: «sempre affaticato e sempre sollecito, girava di giorno, girava di notte». Un Domenico Arcuri di quattro secoli fa? Molto di più, se «minacciava, puniva, riprendeva, confortava, asciugava e spargeva lacrime». Un amministratore che lavora anche sul campo come tanti altri piccoli eroi di ieri e di oggi (allora i monaci, oggi medici e infermieri che fanno turni ospedalieri impossibili fino a crollare di stanchezza su una tastiera). È il momento in cui si vede «la pietà cozzar con l’empietà (di altri)»: l’eterna costante italiana (e non solo). Fatto sta che anche nel Seicento si costruiscono in quattro e quattr’otto strutture di soccorso: «bisognava trovare e preparar nuovo alloggio per gli ammalati che sopraggiungevano ogni giorno», si tirano su capanne di paglia per ospitare quattromila pazienti. Anche nel 1630 c’è l’esigenza di «tener fornito il lazzeretto di medici, di chirurghi, di medicine, di vitto, di tutti gli attrezzi d’infermeria». Nella città devastata dalla morte e dal sospetto verso gli untori, oltre che dall’ignoranza che aggiunge «angustie alle angustie» e produce «falsi terrori», arriva Renzo. Il quale sa bene che le mura sono chiuse e non ci si può entrare senza «bulletta di sanità» (niente autocertificazione); ma sa bene anche che ogni ordine è mal eseguito e basta poco per disattenderlo. Infatti, entra grazie a una moneta. Così gli appare Milano vista dalle parti del naviglio: «Il tempo era chiuso, l’aria pesante, il cielo velato per tutto da una nuvola o da un nebbione uguale, inerte, che pareva negare il sole, senza prometter la pioggia; la campagna d’intorno, parte incolta, e tutta arida; ogni verzura scolorita, e neppure una gocciola di rugiada sulle foglie passe e cascanti. Per di più, quella solitudine, quel silenzio, così vicino a una gran città, aggiungevano una nuova costernazione all’inquietudine di Renzo, e rendevan più tetri tutti i suoi pensieri». Passato da una fase in cui ciò che gli faceva più terrore era il suo stesso terrore, scansata l’aggressione di un passante che lo prende per un untore, Renzo cammina per le strade abbandonate e squallide di Milano, non più dominato dalla paura ma alternando l’incomprensione, l’orrore di certe visioni cadaveriche repellenti con il coraggio e la speranza di raggiungere la meta (la casa di don Ferrante). Cammina e cammina sbucando in un luogo «che poteva pur dirsi città di viventi». Ma guardando le strade deserte e le case serrate, non può che pensare: «Ma quale città ancora, e quali viventi!».
Coronavirus, i nostri doveri. Pubblicato domenica, 08 marzo 2020 su Corriere.it da Luciano Fontana. Quello che fino a qualche giorno fa sembrava inimmaginabile è accaduto. La Lombardia, molte province dell’Emilia Romagna, del Veneto, del Piemonte e delle Marche sono trasformate in un’enorme «zona di sicurezza»: non si potrà entrare o uscire nemmeno per motivi familiari e di lavoro, se non in casi eccezionali e «comprovati». All’interno delle città e dei paesi di questa area tantissime attività vengono bloccate e vietate. È uno scatto nelle misure (i cui dettagli si stanno ancora definendo) che ci mette di fronte, se qualcuno poteva non esserne ancora convinto, alla gravità della situazione. Il virus si diffonde e contagia tanti di noi, le terapie intensive, essenziali per curare i malati più gravi, sono al limite in Lombardia. Il lavoro di medici e infermieri, eroi di questi giorni, potrebbe non bastare se non venisse arginata rapidamente la diffusione del coronavirus. In questi giorni abbiamo ascoltato le preoccupazioni di tanti cittadini, imprenditori, commercianti e artigiani di questa parte d’Italia abituata da sempre a correre, porsi traguardi, innovare. Abbiamo capito tutti che le conseguenze sociali ed economiche di questa emergenza saranno pesanti e ci vorrà molto tempo per tornare alla normalità. Avremo il tempo per valutare se i comportamenti del governo e delle autorità pubbliche siano stati all’altezza della situazione. E se questi provvedimenti senza precedenti siano stati presi con la necessaria preparazione. Ora però è il tempo di fare tutto quello che serve per frenare e infine bloccare i contagi. Possiamo farlo solo ascoltando con attenzione cosa ci dicono gli esperti, adottando tutti i comportamenti e tutte le precauzioni che possono portarci fuori da questa situazione. Le regole le abbiamo ascoltate ossessivamente in questi giorni: regole sanitarie e regole di comportamento. Da quello che abbiamo visto nelle nostre strade, e nelle nostre comunità, non tutti le hanno rispettate. Qualcuno può aver pensato «non mi riguarda, a me non accadrà». Invece adesso è importante che tutti facciano la loro parte: chi ci governa, chi ci amministra, ma anche ognuno di noi. È il tempo della cautela e della responsabilità. Prima faremo tutto ciò che è necessario, prima ne usciremo. E torneremo a quello che ci manca, che ci fa sentire in un angolo. Consapevoli che una comunità come la nostra è forte perché è unita, responsabile e fiduciosa. Ha fiducia nei suoi medici, nei suoi ricercatori e in chi fronteggia il virus. Ha fiducia in sé stessa e capace, con i gesti di oggi, di guardare con ottimismo e voglia di ripartire a quel futuro che deve arrivare il prima possibile.
Coronavirus, in Lombardia si potrà entrare e uscire solo per gravi motivi. Chiusura per discoteche, palestre e impianti da sci. Pubblicato sabato, 07 marzo 2020 su Corriere.it da Fiorenza Sarzanini. L’ingresso in Lombardia e in alcune province di Veneto, Emilia Romagna e Piemonte sarà consentito solo per motivi «gravi e indifferibili», di lavoro o di famiglia. Lo prevede il decreto che sarà emanato nelle prossime ore dal governo «per fermare il contagio da Coronavirus». Le restrizioni dovrebbero restare in vigore almeno fino al 3 aprile. Nel provvedimento viene stabilita una «zona di sicurezza» dove sono previste limitazioni strettissime. In particolare: sospensione delle attività sciistiche, sospensione di eventi pubblici. Chiusi musei, palestre, piscine, teatri, stop ai concorsi pubblici ad esclusione del personale sanitario. Bar e ristoranti dovranno mantenere l’obbligo di distanza di un metro altrimenti l’attività sarà sospesa. Le attività commerciali dovranno rispettare la distanza di un metro per i clienti altrimenti scatterà la sanzione. Se non riescono per motivi strutturali dovranno chiudere chiusura. Divieto di accesso pronto soccorso, hospice. Le riunioni di lavoro dovranno essere rinviate e si dovrà privilegiare lo smart working. Nel decreto c’è un invito a limitare la mobilità interna alle «zone di sicurezza». Nelle prossime ore scatteranno altri divieti in tutta Italia . Saranno chiuse discoteche, locali da ballo e feste, pub e sale giochi, sale scommesse e bingo. Non si potranno organizzare feste o eventi pubblici. I ristoranti e bar dovranno mantenere un metro di distanza.
Quali sono le «comprovate esigenze» e come si dimostrano? I treni e gi aerei viaggiano? Pubblicato domenica, 08 marzo 2020 su Corriere.it da Fiorenza Sarzanini. I decreti in vigore prevedono una «zona rossa» e una «zona arancione».
Chi si può spostare? Dalla «zona rossa» non si può uscire e non si può entrare per nessun motivo. Dalla «zona arancione» si può entrare e uscire «soltanto per comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità o per motivi di salute». A chi si trova fuori al momento dell’entrata in vigore del decreto «è consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione e residenza». All’interno di entrambe le zone è chiesto di limitare gli spostamenti. Non ci si può spostare da una «zona arancione» all’altra se non per comprovate esigenze.
Quali sono le comprovate esigenze? Chi viene fermato dovrà dimostrare di avere le necessità di effettuare lo spostamento e dunque un certificato medico se si tratta di esigenze sanitarie oppure una lettera del datore di lavoro o un documento comprovante l’esigenza lavorativa.
Chi effettuerà i controlli? Il decreto affida «al prefetto l’esecuzione delle misure». I controlli devono essere effettuati dalle forze dell’ordine. Vuol dire che ci saranno posti di blocco ai caselli autostradali e controlli all’interno degli aeroporti e delle stazioni.
Si possono prendere i mezzi pubblici? Non ci sono limitazioni particolari per i trasporti urbani se non quella di mantenere il metro di distanza. I treni e gli aerei da e per le «zone arancioni» viaggiano regolarmente. Chi ne usufruisce dovrà però giustificare il viaggio.
Musei, palestre, piscine, discoteche, pub e sale giochi: si può entrare? Le attività sono sospese fino al 3 aprile e dunque il pubblico non può entrare.
Si possono frequentare bar e ristoranti? Le attività sono consentite mantenendo la distanza di un metro tra il personale e i clienti e tra i clienti. Chi non la rispetta rischia la chiusura. Chi non ha la metratura sufficiente per rispettarla deve chiudere.
Nei negozi si può entrare? Le attività commerciali sono aperte ma devono far rispettare la distanza di 1 metro. Nei centri commerciali e nei mercati devono chiudere il sabato e la domenica. Sono escluse farmacie, parafarmacie e negozi alimentari che devono comunque far rispettare la distanza di un metro tra il personale e i clienti e tra i clienti in fila.
Ci sono multe per chi non rispetta le prescrizioni? Chi non rispetta il decreto rischia la denuncia per l’articolo 650 del codice penale: inosservanza di un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene (2). Prevede l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a duecentosei euro.
Quando entrano in vigore le nuove regole? Anche se il decreto non è stato ancora pubblicato in Gazzetta ufficiale, le prescrizioni valgono dalla mezzanotte tra sabato 7 marzo e domenica 8 marzo.
Coronavirus, a Milano Centrale il trasporto prosegue regolare: "Al momento nessuna direttiva". Daniele Alberti su La Repubblica Tv l'8 marzo 2020. Dalla giornata odierna fino a venerdì 3 aprile l'intera Lombardia e 14 altre province che cadono in Piemonte, Emilia Romagna, Marche sono diventate zona rossa. In particolare si indica ai residenti di "evitare in modo assoluto ogni spostamento in entrata e in uscita dai territori", si legge nell'ultima bozza del decreto del presidente del Consiglio dei ministri. Nella notte di sabato 7 marzo la stazione di Milano Porta Garibaldi è stata presa d’assalto da diversi cittadini per prendere l’ultimo treno delle 23.30 diretto a Salerno. Questa mattina in una stazione Centrale deserta la circolazione dei mezzi ferroviari è ancora regolare con diversi cittadini in partenza.
Stretta del governo, Lombardia e 14 province in isolamento. Conte: "Cambiare lo stile di vita". Un nuovo provvedimento del governo estende la zona rossa. Spostamenti bloccati, permessi solo in caso di emergenza. "Sospensione" su tutto il territorio nazionale per cinema, teatri, musei, sale da gioco e Bingo. Nelle zone blindate, invece, stop anche a palestre, piscine, centri benessere e stazioni sciistiche. Centri commerciali aperti solo dal lunedì al venerdì. Governatori critici. Lombardia: "Direzione giusta, bozza pasticciata". Emilia Romagna: "Cerchiamo soluzioni più coerenti". Veneto: "Soluzione sproporzionata". La Repubblica l'08 marzo 2020. Definite le nuove misure nazionali di contenimento dell'emergenza coronavirus. Nell'articolo 1 del nuovo decreto del governo, firmato alle 3.20 di questa notte e pubblicato oggi alle 13 in Gazzetta ufficiale, compare il divieto di ingresso e di uscita dalla Lombardia e da altre 14 province, e l'estensione delle zone controllate a Piemonte ed Emilia-Romagna. Nel dettaglio, le province diventate "zona rossa" sono le seguenti: Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Asti, Vercelli, Novara, Verbano Cusio Ossola e Alessandria. Tutte le nuove disposizioni sono valide dall'8 marzo fino al 3 aprile. Erano passate da poco le 2 di notte, quando il presidente del Consiglio Conte ha tenuto una conferenza stampa, indispensabile dopo una lunga giornata piena di dubbi generati dalla diffusione di una bozza del decreto del governo. "È necessario chiarire quel che è successo, una cosa inaccettabile: un dpcm, che stavamo formando a livello di governo per regolamentare le nuove misure che entrano in vigore subito, lo abbiamo letto su tutti i giornali. Ne va della correttezza dell'operato del governo e della sicurezza degli italiani. Questa pubblicazione ha creato incertezza, insicurezza, confusione e non lo possiamo accettare". Conte ha spiegato di aver raccolto sino alle 19 le indicazioni e i pareri dei ministri competenti e presidenti di regioni, ma l'iter non era completato". "Adesso il decreto del presidente del Consiglio è stato elaborato nella sua versione definitiva: sono pervenute le osservazioni delle regioni e tra qualche ora sarà pubblicato in Gazzetta ufficiale e sarà vigente". "Sarà consentito il rientro al proprio domicilio", ha sottolineato, "ma non possiamo più permetterci nelle aree previste dal decreto forme di aggregazione". "D'ora in poi chi avrà febbre da più di 37,5 gradi centigradi e infezioni respiratorie è fortemente raccomandato di restar presso proprio domicilio, a prescindere che siano positivi o no. Contattino il medico curante", ha spiegato Conte. "Divieto assoluto di mobilità per chi sia stato in quarantena, dobbiamo limitare il contagio del virus e evitare il sovraccarico delle strutture ospedaliere. Con il nuovo decreto non ci sono più le zone rosse, i focolai stabiliti all'inizio. Non c'è più motivo di tenere le persone di Vò e del lodigiano in una zona rossa confinate. Sono state create zone più ampie". "Queste misure - ha continuato il premier - provocheranno disagio ma questo è il momento dell'auto-responsabilità, non del fare i furbi. Tutelare soprattutto la salute dei nostri nonni". Sono sospese in tutta Italia, ha precisato Conte, manifestazioni, eventi, spettacoli di qualsiasi natura, compresi quelli cinematografici e teatrali, in qualsiasi luogo, pubblico o privato. E poi le attività di pub, scuole di ballo, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, discoteche e locali assimilati, con sanzione della sospensione dell'attività in caso di violazione. Sospesa l'apertura dei musei e degli altri istituti di cultura. "Le forze di polizia - ha poi sottolineato il premier - saranno legittimate a chiedere conto ai cittadini che si muovono sui territori interessati dalle nuove norme per il contenimento del Coronavirus: è un divieto non assoluto di muoversi ma la necessità di motivarlo sulla base di specifiche indicazioni. E' insomma una ridotta mobilità". In Lombardia e nelle 14 province interessate dal nuovo dpcm sul Coronavirus bar e ristoranti potranno stare aperti dalle 6 alle 18 purché garantiscano almeno un metro di distanza tra i clienti: la sanzione della sospensione dell'attività in caso di violazione; "Ci rendiamo conto che è molto severa ma non possiamo più consentire contagi". Non pienamente soddisfatti i governatori di Lombardia ed Emilia Romagna. Attilio Fontana commenta: "La bozza del provvedimento del governo sembra andare nella direzione giusta ma non posso non evidenziare che sia a dir poco pasticciata". Più critico Stefano Bonaccini: "Ho chiesto al presidente Conte e al ministro Speranza, in una logica di leale collaborazione, di poter lavorare ancora alcune ore per addivenire alle soluzioni più coerenti e condivise". Il Veneto lo giudica "una misura sproporzionata" e chiede lo stralcio delle "tre province di Padova Treviso e Venezia" dal decreto. "Mi assumo la responsabilità politica di questo momento, ce la faremo" ha concluso Conte.
Fiorenza Sarzanini per Corriere.it l'8 marzo 2020. L’ingresso in Lombardia e in alcune province di Veneto, Emilia Romagna e Piemonte sarà consentito solo per motivi «gravi e indifferibili», di lavoro o di famiglia. Lo prevede il decreto che sarà emanato nelle prossime ore dal governo «per fermare il contagio da Coronavirus». Le restrizioni dovrebbero restare in vigore almeno fino al 3 aprile. Nel provvedimento viene stabilita una «zona di sicurezza» dove sono previste limitazioni strettissime. In particolare: sospensione delle attività sciistiche, sospensione di eventi pubblici. Chiusi musei, palestre, piscine, teatri, stop ai concorsi pubblici ad esclusione del personale sanitario. Bar e ristoranti dovranno mantenere l’obbligo di distanza di un metro altrimenti l’attività sarà sospesa. Le attività commerciali dovranno rispettare la distanza di un metro per i clienti altrimenti scatterà la sanzione. Se non riescono per motivi strutturali dovranno chiudere chiusura. Divieto di accesso pronto soccorso, hospice. Le riunioni di lavoro dovranno essere rinviate e si dovrà privilegiare lo smart working. Nel decreto c’è un invito a limitare la mobilità interna alle «zone di sicurezza». Nelle prossime ore scatteranno altri divieti in tutta Italia . Saranno chiuse discoteche, locali da ballo e feste, pub e sale giochi, sale scommesse e bingo. Non si potranno organizzare feste o eventi pubblici. I ristoranti e bar dovranno mantenere un metro di distanza.
(Misure urgenti di contenimento del contagio nella regione Lombardia e nelle province di Province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini; Pesaro e Urbino; Venezia, Padova, Treviso; Asti e Alessandria )
1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 nella regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Asti e Alessandria sono adottate le seguenti misure:
a) evitare in modo assoluto ogni spostamento in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonche all’interno dei medesimi territori di cui al presente articolo, salvo che per gli spostamenti motivati da indifferibili esigenze lavorative o situazioni di emergenza;
b) ai soggetti con sintomatologia da infezione respiratoria e febbre (maggiore di37,5° C) e fortemente raccomandato di rimanere presso il proprio domicilio e di limitare al massimo i contatti sociali, contattando il proprio medico curante;
c) divieto assoluto di mobilita dalla propria abitazione o dimora per i soggetti sottoposti alla misura della quarantena ovvero risultati positivi al virus;
d) sono sospesi gli eventi e le competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, in luoghi pubblici o privati. Resta consentito lo svolgimento dei predetti eventi e competizioni, nonchè delle sedute di allenamento degli atleti agonisti, all’interno di impianti sportivi utilizzati a porte chiuse, ovvero all’aperto senza la presenza di pubblico. In tutti tali casi, le associazioni e le società sportive, a mezzo del proprio personale medico, sono tenute ad effettuare i controlli idonei a contenere il rischio di diffusione del virus COVID-19 tra gli atleti, i tecnici, i dirigenti e tutti gli accompagnatori che vi partecipano. Lo sport di base e le attività motorie in genere, svolte all’aperto sono ammessi esclusivamente a condizione che sia possibile consentire il rispetto della distanza interpersonale di un metrod) si raccomanda ai datori di lavoro pubblici e privati di anticipare, durante il periodo di efficacia del presente decreto, la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti dei periodi di congedo ordinario o di ferie;
e) sono chiusi gli impianti nei comprensori sciistici;
f) sono sospese tutte le manifestazioni organizzate, nonchè gli eventi in luogo pubblico
o privato, ivi compresi quelli di carattere culturale, ludico, sportivo e religioso, anche se svolti in luoghi chiusi ma aperti al pubblico, quali, a titolo d’esempio, grandi eventi, cinema, teatri, pub, scuole di ballo, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, discoteche e locali assimilati; nei predetti luoghi e sospesa ogni attività;
g) l’apertura dei luoghi di culto e condizionata all’adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro. Sono sospese le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri;
h) sono sospesi i servizi educativi per l’infanzia di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65 e le attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, nonchè della frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore, comprese le Università e le Istituzioni di Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica, di corsi professionali, master, corsi per le professioni sanitarie e università per anziani, ferma in ogni caso la possibilità di svolgimento di attività formative a distanza ad esclusione dei corsi per i medici in formazione specialistica e dei corsi di formazione specifica in medicina generale, nonchè delle attività dei tirocinanti delle professioni sanitarie, .Al fine di mantenere il distanziamento sociale, e da escludersi qualsiasi altra forma di aggregazione alternativa;
i) sono chiusi i musei e gli altri istituti e luoghi della cultura di cui all’articolo 101 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;
j) sono sospese le procedure concorsuali pubbliche e private ad esclusione dei casi in cui la valutazione dei candidati e effettuata esclusivamente su basi curriculari ovvero in modalità telematica; sono inoltre esclusi dalla sospensione i concorsi per il personale sanitario, ivi compresi gli esami di Stato e di abilitazione all’esercizio della professione di medico chirurgo, e quelli per il personale della protezione civile, i quali devono svolgersi preferibilmente con modalità a distanza o, in caso contrario, garantendo la distanza di sicurezza interpersonale di un metro;
k) sono consentite le attività di ristorazione e dei bar, con obbligo, a carico del gestore, di far rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, con sanzione della sospensione dell’attività in caso di violazione;
l) sono consentite le attività commerciali diverse da quelle di cui alla lettera precedente a condizione che il gestore garantisca un accesso ai predetti luoghi con modalità contingentate o comunque idonee a evitare assembramenti di persone, tenuto conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei locali aperti al pubblico, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza di almeno un metro tra i visitatori, con sanzione della sospensione dell’attività in caso di violazione. In presenza di condizioni strutturali o organizzative che non consentano il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro, le richiamate strutture dovranno essere chiuse);
m) e fatto divieto agli accompagnatori dei pazienti di permanere nelle sale di attesa dei dipartimenti emergenze e accettazione e dei pronto soccorso (DEA/PS), salve specifiche diverse indicazioni del personale sanitario preposto;
n) l’accesso di parenti e visitatori a strutture di ospitalità e lungodegenza, residenze sanitarie assistite (RSA), hospice, strutture riabilitative e strutture residenziali per anziani, autosufficienti e non, e limitato ai soli casi indicati dalla direzione sanitaria della struttura, che e tenuta ad adottare le misure necessarie a prevenire possibili trasmissioni di infezione;
o) sono sospesi i congedi ordinari del personale sanitario e tecnico, nonchè del personale le cui attività siano necessarie a gestire le attività richieste dalle unita di crisi costituite a livello regionale;
p) sono adottate in tutti i casi possibili, nello svolgimento di incontri o riunioni, modalità di collegamento da remoto con particolare riferimento a strutture sanitarie e sociosanitarie, servizi di pubblica utilità e coordinamenti attivati nell’ambito dell’emergenza COVID-19, comunque garantendo il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro ed evitando assembramenti;
q) nelle giornate festive e prefestive sono chiuse le medie e grandi strutture di vendita, nonchè gli esercizi commerciali presenti all’interno dei centri commerciali e dei mercati. Nei giorni feriali, il gestore dei richiamati esercizi deve comunque garantire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro, con sanzione della sospensione dell’attività in caso di violazione. In presenza di condizioni strutturali o organizzative che non consentano il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro, le richiamate strutture dovranno essere chiuse. La chiusura non e disposta per farmacie, parafarmacie e punti vendita di generi alimentari, il cui gestore e chiamato a garantire comunque il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro, con sanzione della sospensione dell’attività in caso di violazione;
r) sono sospese le attività di palestre, centri sportivi, piscine, centri natatori, centri benessere, centri termali (fatta eccezione per l’erogazione delle prestazioni rientranti nei livelli essenziali di assistenza), centri culturali, centri sociali, centri ricreativi.
Coronavirus, cosa si può fare e non fare fino al 3 aprile: il vademecum. Pubblicato martedì, 10 marzo 2020 su Corriere.it da Fiorenza Sarzanini. Il premier Giuseppe Conte ha esteso a tutte le Regioni d’Italia, a partire da martedì 10 marzo e fino al 3 aprile, le misure già attive da domenica in Lombardia e in altre 14 province e relative all’emergenza Coronavirus (qui i dati aggiornati dell’epidemia). Ecco nello specifico cosa prevedono le misure del nuovo decreto. L’Italia — tutta — è definita «zona di sicurezza» (non si usa più il termine «zona rossa», e le vecchie «zone rosse» di Vo’ Euganeo e dei comuni del Lodigiano non esistono più) fino al 3 aprile 2020 per tentare di fermare la corsa del virus, che ha contagiato — al 9 marzo, stando ai dati forniti dalla Protezione civile — 9.172 persone, 463 delle quali sono morte (724 i guariti, oltre 700 in terapia intensiva: qui tutti i dati). Non si può uscire di casa a meno che non ci siano dei comprovati motivi: il decreto parla esplicitamente di divieto di spostamento se non per «comprovati motivi di lavoro» oppure «gravi esigenze familiari o sanitarie». La linea imposta dal decreto prevede di mantenere sempre, in ogni caso, la distanza di almeno un metro dalle altre persone.
Sono vietati tutti gli spostamenti e chi ha necessità di uscire di casa deve giustificarlo. Per essere esenti basta l’autocertificazione (ecco il modulo) . Si può utilizzare il modulo del ministero dell’Interno (scaricabile qui: la parte che occorre è a pagina 3). Il modulo che trovate, per ora, riporta ancora le indicazioni relative alle zone di sicurezza (Lombardia e 14 Province) ma vale già per tutto il territorio nazionale: insomma, se lo si scarica e compila, va bene per tutta Italia. Chi non può scaricarlo e stamparlo può copiare il testo su un foglio e portare la dichiarazione con sé. Chi deve fare sempre lo stesso spostamento può utilizzare un unico modulo specificando che si tratta di un impegno a cadenza fissa. La stessa modalità vale anche per chi ha esigenze familiari che si ripetono quotidianamente oppure a scadenze fisse e dunque può indicare la frequenza degli spostamenti senza bisogno di utilizzare moduli diversi. Ad esempio chi deve spostarsi tra i comuni per raggiungere i figli o altri parenti da assistere oppure per impegni di carattere sanitario. Se si viene fermati si può fare una dichiarazione verbale che le forze dell’ordine trascriveranno ma sulla quale potranno fare verifiche anche successive. Spetta poi al cittadino dimostrare di aver detto la verità.
Uscire per andare a lavorare si può: basta scriverlo nell’autocertificazione. Bisogna dimostrare le esigenze che non consentono lo smart working — cioè spiegare alle forze dell’ordine, nel caso in cui si venisse fermati, che la propria azienda non fa smart working o che, per il proprio ruolo, è materialmente impossibile evitare la presenza fisica in ufficio, in azienda, in studio.
Si può uscire per assistere un familiare malato oppure per andare a riprendere i figli in caso di separazione.
Certo: si può uscire per andare dal medico, fare analisi ed altri esami diagnostici, controlli. Ripetiamo però che, nel caso in cui si temesse di aver contratto il virus, non bisogna in nessun caso andare al pronto soccorso: bisogna chiamare i numeri verdi regionali (li trovate qui). Non solo: chi ha 37,5 di febbre non deve uscire di casa, come indicato con chiarezza nel decreto.
Si può uscire per fare la spesa — per questo è sbagliato, e pericoloso, affollarsi oggi nei negozi di alimentari per fare scorte — ma anche per tutti gli altri prodotti. I negozi sono aperti e dunque qualsiasi compera è consentita. L’importante è mantenere la distanza di sicurezza di almeno un metro .
È consentito andare a correre e fare altri sport all’aperto purché si stia a distanza dagli altri.
Sono aperti tutti i giorni - anche gli alimentari: ecco perché (ci ripetiamo, ma è meglio farlo) non occorre affollarsi ora nei negozi per fare scorte di cibo - ma nei centri commerciali e nei mercati devono essere chiusi il sabato e la domenica
Sì, sono aperte. Nei centri commerciali e nei mercati sono aperte il sabato e la domenica.
Sono aperti tutti i giorni, ma solo fino alle 18.
Sono vietati gli assembramenti: quindi anche all’aperto bisogna mantenere la distanza di sicurezza. Vietato stazionare davanti ai locali oppure in strada a gruppetti. La misura mira a impedire ai giovani di uscire o comunque di stare a distanza ravvicinata. Sono chiusi, in tutta Italia, fino al 3 aprile. Sono chiuse fino al 3 aprile.
Coronavirus: il vademecum del Governo su cosa fare e cosa no. Il Corriere del Giorno il 10 Marzo 2020. E’ possibile fare acquisti ma solo di stretta necessità (come ad esempio delle lampadine di ricambio se fulminate). E’ possibile e consentita l’assistenza ad anziani non autosufficienti. Ecco le misure del decreto #IoRestoaCasa spiegate con domande e risposte sul sito del governo: semaforo verde per acquisti di stretta necessità , comprese ad esempio le lampadine di ricambio se se ne fulmina una in casa, alle attività motorie all’aperto ma non in gruppo; all’assistenza dei cari anziani non autosufficienti.
ZONE INTERESSATE DAL DECRETO
Ci sono differenze all’interno del territorio nazionale? No, per effetto del Dpcm del 9 marzo le regole sono uguali su tutto il territorio nazionale e sono efficaci dalla data del 10 marzo e sino al 3 aprile.
Sono ancora previste zone rosse? No, non sono più previste zone rosse. Le limitazioni che erano previste nel precedente Dpcm del 1° marzo (con l’istituzione di specifiche zone rosse) sono cessate. Ormai, con il Dpcm del 9 marzo, le regole sono uguali per tutti.
SPOSTAMENTI
Cosa si intende per “evitare ogni spostamento delle persone fisiche”? Ci sono dei divieti? Si può uscire per andare al lavoro? Chi è sottoposto alla misura della quarantena, si può spostare? Si deve evitare di uscire di casa. Si può uscire per andare al lavoro o per ragioni di salute o per altre necessità, quali, per esempio, l’acquisto di beni essenziali. Si deve comunque essere in grado di provarlo, anche mediante autodichiarazione che potrà essere resa su moduli prestampati già in dotazione alle forze di polizia statali e locali. La veridicità delle autodichiarazioni sarà oggetto di controlli successivi e la non veridicità costituisce reato. È comunque consigliato lavorare a distanza, ove possibile, o prendere ferie o congedi. Senza una valida ragione, è richiesto e necessario restare a casa, per il bene di tutti. È previsto anche il “divieto assoluto” di uscire da casa per chi è sottoposto a quarantena o risulti positivo al virus.
Se abito in un comune e lavoro in un altro, posso fare “avanti e indietro”? Sì, è uno spostamento giustificato per esigenze lavorative.
Ci sono limitazioni negli spostamenti per chi ha sintomi da infezione respiratoria e febbre superiore a 37,5? In questo caso si raccomanda fortemente di rimanere a casa, contattare il proprio medico e limitare al massimo il contatto con altre persone.
Cosa significa “comprovate esigenze lavorative”? Come faranno i lavoratori autonomi a dimostrare le “comprovate esigenze lavorative”? È sempre possibile uscire per andare al lavoro, anche se è consigliato lavorare a distanza, ove possibile, o prendere ferie o congedi. “Comprovate” significa che si deve essere in grado di dimostrare che si sta andando (o tornando) al lavoro, anche tramite l’autodichiarazione vincolante di cui alla FAQ n. 1 o con ogni altro mezzo di prova , la cui non veridicità costituisce reato. In caso di controllo, si dovrà dichiarare la propria necessità lavorativa. Sarà cura poi delle Autorità verificare la veridicità della dichiarazione resa con l’adozione delle conseguenti sanzioni in caso di false dichiarazioni.
Come si devono comportare i transfrontalieri? I transfrontalieri potranno entrare e uscire dai territori interessati per raggiungere il posto di lavoro e tornare a casa. Gli interessati potranno comprovare il motivo lavorativo dello spostamento con qualsiasi mezzo (vedi faq precedente).
Ci saranno posti di blocco per controllare il rispetto della misura? Ci saranno controlli. In presenza di regole uniformi sull’intero territorio nazionale, non ci saranno posti di blocco fissi per impedire alle persone di muoversi. La Polizia municipale e le forze di polizia, nell’ambito della loro ordinaria attività di controllo del territorio, vigileranno sull’osservanza delle regole. Chi si trova fuori dal proprio domicilio, abitazione o residenza potrà rientrarvi? Sì, chiunque ha diritto a rientrare presso il proprio domicilio, abitazione o residenza, fermo restando che poi si potrà spostare solo per esigenze lavorative, situazioni di necessità o motivi di salute.
È possibile uscire per andare ad acquistare generi alimentari? I generi alimentari saranno sempre disponibili? Sì, si potrà sempre uscire per acquistare generi alimentari e non c’è alcuna necessità di accaparrarseli ora perché saranno sempre disponibili.
È consentito fare attività motoria? Sì, l’attività motoria all’aperto è consentita purché non in gruppo.
Si può uscire per acquistare beni diversi da quelli alimentari? Si, ma solo in caso di stretta necessità (acquisto di beni necessari, come ad esempio le lampadine che si sono fulminate in casa).
Posso andare ad assistere i miei cari anziani non autosufficienti? Sì, è una condizione di necessità. Ricordate però che gli anziani sono le persone più vulnerabili e quindi cercate di proteggerle dai contatti il più possibile.
TRASPORTI
Sono previste limitazioni per il transito delle merci? No, nessuna limitazione. Tutte le merci (quindi non solo quelle di prima necessità) possono essere trasportate sul territorio nazionale. Il trasporto delle merci è considerato come un’esigenza lavorativa: il personale che conduce i mezzi di trasporto può spostarsi, limitatamente alle esigenze di consegna o prelievo delle merci.
I corrieri merci possono circolare? Sì, possono circolare.
Sono un autotrasportatore. Sono previste limitazioni alla mia attività lavorativa? No, non sono previste limitazioni al transito e all’attività di carico e scarico delle merci.
Esistono limitazioni per il trasporto pubblico non di linea? No. Non esistono limitazioni per il trasporto pubblico non di linea. Il servizio taxi e di Ncc non ha alcuna limitazione in quanto l’attività svolta è considerata esigenza lavorativa.
UFFICI E DIPENDENTI PUBBLICI
Gli uffici pubblici rimangono aperti? Sì, su tutto il territorio nazionale. L’attività amministrativa è svolta regolarmente. In ogni caso quasi tutti i servizi sono fruibili on line. E’ prevista comunque la sospensione delle attività didattiche e formative in presenza di scuole, nidi, musei, biblioteche.
Il decreto dispone per addetti, utenti e visitatori degli uffici delle pubbliche amministrazioni, sull’intero territorio nazionale, la messa a disposizione di soluzioni disinfettanti per l’igiene delle mani.
Nel caso di difficoltà di approvvigionamento di tali soluzioni e conseguente loro indisponibilità temporanea, gli uffici devono rimanere comunque aperti? Gli uffici devono rimanere comunque aperti. La presenza di soluzioni disinfettanti è una misura di ulteriore precauzione ma la loro temporanea indisponibilità non giustifica la chiusura dell’ufficio, ponendo in atto tutte le misure necessarie per reperirle.
Il dipendente pubblico che ha sintomi febbrili è in regime di malattia ordinaria o ricade nel disposto del decreto-legge per cui non vengono decurtati i giorni di malattia? Rientra nel regime di malattia ordinaria. Qualora fosse successivamente accertato che si tratta di un soggetto che rientra nella misura della quarantena o infetto da COVID-19, non si applicherebbe la decurtazione.
Sono un dipendente pubblico e vorrei lavorare in smart working. Che strumenti ho? Le nuove misure incentivano il ricorso allo smart working, semplificandone l’accesso. Compete al datore di lavoro individuare le modalità organizzative che consentano di riconoscere lo smart working al maggior numero possibile di dipendenti. Il dipendente potrà presentare un’istanza che sarà accolta sulla base delle modalità organizzative previste.
PUBBLICI ESERCIZI
Bar e ristoranti possono aprire regolarmente? È consentita l’attività di ristorazione e bar dalle 6.00 alle 18.00, con obbligo a carico del gestore di predisporre le condizioni per garantire la possibilità del rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, con sanzione della sospensione dell’attività in caso di violazione.
Si potranno comunque effettuare consegne a domicilio di cibi e bevande? Il limite orario dalle 6.00 alle 18.00 è riferito solo all’apertura al pubblico. L’attività può comunque proseguire negli orari di chiusura al pubblico mediante consegne a domicilio. Sarà cura di chi organizza l’attività di consegna a domicilio – lo stesso esercente ovvero una cosiddetta piattaforma – evitare che il momento della consegna preveda contatti personali.
Sono gestore di un pub. Posso continuare ad esercitare la mia attività? Il divieto previsto dal DPCM riguarda lo svolgimento nei pub di ogni attività diversa dalla somministrazione di cibi e bevande. È possibile quindi continuare a somministrare cibo e bevande nei pub, sospendendo attività ludiche ed eventi aggregativi (come per esempio la musica dal vivo, proiezioni su schermi o altro), nel rispetto delle limitazioni orarie già previste per le attività di bar e ristoranti (dalle 6.00 alle 18.00) e, comunque, con l’obbligo di far rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro.
Cosa è previsto per teatri, cinema, musei, archivi, biblioteche e altri luoghi della cultura? E’ prevista la chiusura al pubblico su tutto il territorio nazionale.
SCUOLA
Cosa prevede il decreto per le scuole? Nel periodo sino al 3 aprile 2020, è sospesa la frequenza delle scuole di ogni ordine e grado. Resta la possibilità di svolgimento di attività didattiche a distanza, tenendo conto, in particolare, delle specifiche esigenze degli studenti con disabilità.
UNIVERSITA’
Cosa prevede il decreto per le università? Nel periodo sino al 3 aprile 2020, è sospesa la frequenza delle attività di formazione superiore, comprese le università e le istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica, di corsi professionali, master e università per anziani. Resta la possibilità di svolgimento di attività formative a distanza, tenendo conto, in particolare, delle specifiche esigenze degli studenti con disabilità. Non è sospesa l’attività di ricerca.
Si possono tenere le sessioni d’esame e le sedute di laurea? Sì, potranno essere svolti ricorrendo in via prioritaria alle modalità a distanza o comunque adottando le precauzioni di natura igienico sanitaria ed organizzative indicate dal Dpcm del 4 marzo; nel caso di esami e sedute di laurea a distanza, dovranno comunque essere assicurate le misure necessarie a garantire la prescritta pubblicità.
Si possono tenere il ricevimento degli studenti e le altre attività? Sì. Corsi di dottorato, ricevimento studenti, test di immatricolazione, partecipazione a laboratori, etc., potranno essere erogati nel rispetto delle misure precauzionali igienico sanitarie, ricorrendo in via prioritaria alle modalità a distanza. Anche in questo caso particolare attenzione dovrà essere data agli studenti con disabilità.
Cosa si prevede per i corsi per le specializzazioni mediche? Dalla sospensione sono esclusi i corsi post universitari connessi con l’esercizio delle professioni sanitarie, inclusi quelli per i medici in formazione specialistica, e le attività dei tirocinanti delle professioni sanitarie e medica. Non è sospesa l’attività di ricerca.
Cosa succede a chi è in Erasmus? Per quanto riguarda i progetti Erasmus+, occorre riferirsi alle indicazioni delle competenti Istituzioni europee, assicurando, comunque, ai partecipanti ogni informazione utile.
CERIMONIE ED EVENTI
Cosa prevede il decreto su cerimonie, eventi e spettacoli ? Su tutto il territorio nazionale sono sospese tutte le manifestazioni organizzate nonché gli eventi in luogo pubblico o privato, ivi compresi quelli di carattere culturale, ludico, sportivo, religioso e fieristico, anche se svolti in luoghi chiusi ma aperti al pubblico (quali, a titolo d’esempio, cinema, teatri, pub, scuole di ballo, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, discoteche e locali assimilati).
Si può andare in chiesa o negli altri luoghi di culto? Si possono celebrare messe o altri riti religiosi? Fino al 3 aprile sono sospese su tutto il territorio nazionale tutte le cerimonie civili e religiose, compresi i funerali. Pertanto è sospesa anche la celebrazione della messa e degli altri riti religiosi, come la preghiera del venerdì mattina per la religione islamica. Sono consentiti l’apertura e l’accesso ai luoghi di culto, purché si evitino assembramenti e si assicuri la distanza tra i frequentatori non inferiore a un metro.
TURISMO
Cosa prevede il decreto per gli spostamenti per turismo? Sull’intero territorio nazionale gli spostamenti per motivi di turismo sono assolutamente da evitare. I turisti italiani e stranieri che già si trovano in vacanza debbono limitare gli spostamenti a quelli necessari per rientrare nei propri luoghi di residenza, abitazione o domicilio. Poiché gli aeroporti e le stazioni ferroviarie rimangono aperti, i turisti potranno recarvisi per prendere l’aereo o il treno e fare rientro nelle proprie case. Si raccomanda di verificare lo stato dei voli e dei mezzi di trasporto pubblico nei siti delle compagnie di trasporto terrestre, marittimo e aereo.
Come trova applicazione la limitazione relativa alle attività di somministrazione e bar, alle strutture turistico ricettive? Le strutture ricettive possono svolgere attività di somministrazione e bar anche nella fascia oraria dalle ore 18 alle ore 6, esclusivamente in favore dei propri clienti e nel rispetto di tutte le precauzioni di sicurezza di cui al Dpcm dell’8 marzo.
Come si deve comportare la struttura turistico ricettiva rispetto ad un cliente? Deve verificare le ragioni del suo viaggio? Non compete alla struttura turistico ricettiva la verifica della sussistenza dei presupposti che consentono lo spostamento delle persone fisiche.
AGRICOLTURA
Sono previste limitazioni per il trasporto di animali vivi, alimenti per animali e di prodotti agroalimentari e della pesca? No, non sono previste limitazioni.
Se sono un imprenditore agricolo, un lavoratore agricolo, anche stagionale, sono previste limitazioni alla mia attività lavorativa? No, non sono previste limitazioni.
Coronavirus, chiuse Lombardia e 14 province: stretta per 16 milioni di abitanti. Redazione de Il Riformista 8 Marzo 2020. Alla fine l’incubo temuto si è materializzato: col decreto firmato nella notta dal presidente del Consiglio il governo ha messo buona parte del Nord Italia ‘in quarantena’ fino al 3 aprile. Il Dpcm mette nell’area off limits Lombardia e 14 altre province di Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Marche. Nella zona rossa entra infatti Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Asti, Alessandria, Novara, Vercelli e Verbano Cusio Ossola, tre province in più rispetto alla bozza iniziata a circolare già nella serata di sabato. Il totale di residenti interessati dal decreto supera i 16 milioni. Il decreto non prevede un “divieto assoluto”, come spiegato dallo stesso Giuseppe Conte in una conferenza stampa convocata alle 2 di notte. “Non si ferma tutto”, aggiunge il premier, treni e aerei saranno ancora disponibili ma sarà possibile muoversi solo per comprovate esigenze lavorative o per emergenze e motivi di salute. A far rispettare l’ordinanza ci penseranno le forze dell’ordine, che potranno fermare i cittadini e chiedere loro perché si stiano spostando nei territori della zona rossa.
LE RESTRIZIONI IN ZONA ROSSA – Per le aree in quarantena sono stati adottati provvedimenti estremi: da evitare lo spostamento delle persone in entrata e uscita dai territori in zona rossa, salvo se per per comprovate esigenze lavorative o per emergenze e motivi di salute; divieto assoluto di mobilità per le persone in quarantena; in caso di infezioni respiratorie o febbre superiore a 37.5° è fortemente raccomandato di restare a casa e limitare i contatti; sospesi eventi e eventi e competizioni sportive, con l’eccezione per atleti professionisti e di categoria assoluta, purché le attività si svolgano a porte chiuse; chiusi gli impianti sciistici; chiusi cinema, teatri, pub, sale scommesse, discoteche; chiuse anche le scuole e università, che potranno continuare le attività con la didattica a distanza; chiusi musei e istituti culturali; sospese le cerimonie civili e religiose, compresi i funerali; le attività di ristorazione e bar sono consentite dalle 6 alle 18 sempre nel rispetto della regola della distanza di almeno un metro fra le persone.
LE PAROLE DI CONTE – “Mi assumo la responsabilità politica di questo momento, ce la faremo”, ha detto il premier Conte nella conferenza stampa convocata in piena notte. “Non è un divieto assoluto ma una ridotta mobilità – ha precisato il presidente del Consiglio – Non si ferma tutto ma entrare nella logica che ci sono delle regole da rispettare. Lo dico a tutti: i nostri figli devono capire che non è occasione di contatto, ma leggere e seguire la didattica a distanza”. Conte ha rimarcato come il Paese sta “affrontando un’emergenza nazionale, lo abbiamo fatto dall’inizio con misure di massima cautela, senza sottovalutare. Ci stiamo muovendo con lucidità, coraggio, determinazione”. Il premier è anche tornato sulla fuga di notizie che ha consentito la pubblicazione di una bozza del decreto già nella serata di ieri, definendola “”irresponsabile” e “rischiosa per la sicurezza”.
LA FUGA DA MILANO – Dopo la pubblicazione della bozza del Dpcm, diverse centinaia di persone hanno preso d’assalto la stazione centrale di Milano per prendere i treni diretti verso il Mezzogiorno. Le persone, in barba all’appello alla responsabilità lanciato da tutte le autorità nazionali, per il timore di ritrovarsi improvvisamente bloccati in città con l’estensione della zona rossa, sono salite sui treni per “evadere” da Milano e dalla Lombardia.
Coronavirus, la Lombardia diventa "zona rossa": fuga da Milano sui treni notturni, poi in stazione torna la calma. Uno dei treni presi d'assalto in serata. Centinaia di persone alla Stazione Centrale e a Porta Garibaldi hanno riempito i treni in partenza per il Sud. Terminal dei bus affollati di prima mattina. Sandro De Riccardis e Massimo Pisa l'08 marzo 2020 su La Repubblica. La bozza del decreto legge, che istituisce la "zona rossa" in Lombardia, ha provocato un assalto ai treni della notte alla stazione Garibaldi e Centrale di Milano. Con oltre 500 persone, tra i due scali milanesi, che hanno cercato di salire sugli ultimi convogli in partenza verso sud ancor prima che il premier Conte, nella notte, firmasse il decreto definitivo. Dopo il picco di ieri sera questa mattina c'era poca gente nelle stazioni milanesi, presidiate comunque da pattuglie di Polfer ed Esercito. Ma i viaggiatori sembrano essersi spostati al terminal dei pullman di Lampugnano, dove questa mattina già prima delle sette c'erano circa 150 persone ad attendere gli autobus: soprattutto stranieri, preoccupati di non poter tornare nel loro Paese, e studenti. Situazione tranquilla invece a Linate, con pochissime persone in partenza dallo scalo cittadino milanese. Al momento sono pochi i voli cancellati e quasi tutti di Alitalia: uno per Roma di mezzogiorno, uno per Perugia delle 15, uno per Francoforte delle 17.30 e uno per Bruxelles delle 17:35. Cancellato anche un volo Alitalia per Londra delle 20:30 e uno della compagnia Bruxelles Airlines delle 18:45. Parte invece il British Airways delle 17:00. Dopo le 22 in circa 400 si sono riversati nella stazione di Porta Garibaldi per tentare di prendere l'Eurocity night per Salerno. Quasi tutti sono riusciti a salire a bordo e il convoglio è partito con qualche minuto di ritardo. Almeno 150 erano invece le persone che hanno affollato le biglietterie e poi i vagoni dei treni verso il Sud in Centrale, per raggiungere le regioni d'origine prima dell'entrata in vigore del decreto legge del Governo, che comunque non avverrà prima di domani. Alla stazione Termini di Roma questa mattina non c'è nessuna comunicazione sulle nuove misure varate questa notte dal governo. Sui display sparsi sulle banchine non appaiono cancellazioni, e neppure annunci legati alle nuove disposizioni governative, e i treni verso il nord partono regolarmente. Al box informazioni di Italo ci tengono a specificare che essendo la misura di questa notte ancora non sono arrivate indicazioni in merito, ma che comunque nei giorni scorsi sono stati già cancellati dei treni e che stamattina quello in arrivo da Milano Centrale alle 9.15 non ha effettuato il servizio. Negli scali ferroviari è intervenuto il personale della polizia ferroviaria che ha cercato di sedare qualche piccolo momento di tensione. Ma arrivano notizie di molti residenti al Sud, temporaneamente a Milano, che - saputo del rischio di rimanere bloccati a lungo in Lombardia - hanno deciso di lasciare in auto il capoluogo lombardo. E arrivano anche notizie di famiglie in questo momento divise tra il capoluogo lombardo e le località di villeggiatura in Liguria o in Valle d'Aosta, con persone che si mettono in viaggio per raggiungere il resto dei congiunti e riportarli a Milano, prima che la Lombardia diventi ufficialmente "zona rossa".
Coronavirus, Milano vista dal drone: strade deserte, palestre e centri commerciali chiusi. Coronavirus, stretta spiazza enti locali. Veneto: "Sproporzionata". Conte ha firmato nella notte un decreto che limita le possibilità di movimento nelle aree più colpite da covid 19. Fontana, avrei voluto misure più rigide. Valeria Pini l'8 marzo 2020 su La Repubblica. La stretta del governo e i provvedimenti per fermare il coronavirus sconcerta parte degli amministratori locali. ll premier Giuseppe Conte ha infatti firmato nella notte un decreto che limita le possibilità di movimento nelle zone più colpite da covid 19. Parliamo della Lombardia e di 14 province di Veneto, Emilia Romagna, Piemonte, Marche. E questa mattina le reazioni sono state piuttosto critiche. Il Veneto si è opposto alla creazione delle tre zone di isolamento nella regione previste dal Dpcm. Nelle controdeduzioni inviate al governo, il comitato tecnico scientifico di supporto all'Unità di crisi aveva chiesto "lo stralcio delle 3 province di Padova Treviso e Venezia dal decreto". "Non si comprende - si legge nelle controdeduzioni - il razionale di una misura che appare scientificamente sproporzionata all'andamento epidemiologico". Critiche che motiva poco dopo il governatore Luca Zaia: "Noi veneti non ci siamo mai tirati indietro, io non mi sono mai permesso di dissentire, anche se c'erano misure che a volte avrei fatto in un'altra maniera. Ma questo decreto per un'interpretazione ha bisogno minimo di una circolare attuativa. Tutto magari ha una ratio, ma per noi veneti, in questo momento no". Il decreto non piace neanche al governatore del Piemonte, Alberto Cirio. "Abbiamo trattato fino alle 2 di notte per avere un decreto che avesse maggiore omogeneità, invece ci siamo svegliati con il nuovo decreto già firmato. Il governo ha fatto le sue valutazioni ma con il presidente della Conferenza delle Regioni Bonaccini c'era l'accordo per avere una maggiore interlocuzione. Il decreto fatto nella notte ha fatto strillare tanti sindaci, che hanno scoperto di essere in zone rosse, gialle non da una una telefonata, ma sul web o in tv". E sulla questione interviene anche Pareri negativi che non condivide il presidente della Lombardia Attilio Fontana. "Sarei stato un pochino più rigido nelle misure che attengono al cosiddetto distanziamento sociale, avrei cercato di impedire occasioni di contatto", ha detto, spiegando che molte personenon si sono rese conto della situazione. "Mi hanno mandato foto di code interminabili di piste da sci, fotografie di assembramenti nei bar. La gente non ha ancora capito che è una situazione in cui tutti dobbiamo fare uno sforzo, rinunciare a una parte della nostra libertà". Fontana ha poi chiarito che chi deve spostarsi per lavoro lo può fare e le merci possono viaggiare. La posizione del governo non è piaciuta neanche a molti sindaci che da Nord a Sud hanno espresso dubbi e critiche. Il decreto che spiazza Maurizio Rasero, sindaco di Asti."Una follia, un disastro che non ci aspettavamo", spiega commentando la decisione di isolare per coronavirus anche la provincia di Asti. "Questa mattina saremo di nuovo convocati in Prefettura, dopo la riunione della notte, ma non sappiamo ancora di preciso cosa accadrà. Ad ora non ci é stato spiegato il motivo di questa scelta". Ieri sera prima della firma di Conte, il sindaco di Pesaro, Mattia Ricci, aveva espresso dubbi sulla bozza di decreto: "E' una cosa inaudita: già la situazione è difficile, non ci vuole confusione istituzionale come abbiamo visto da parte del governo. "Registriamo una grande confusione: si prevede una limitazione di spostamento in entrata e in uscita dalla provincia di Pesaro-Urbino, ma ci sono molte cose non chiare". Da Casalpusterlengo, uno dei comuni della zona rossa lodigiana isolati da due settimane, arriva una bocciatura. Su Facebook, il sindaco Elia Delmiglio scrive: "Governo Conte = irresponsabili". "Prima denigrano il lavoro degli ospedali lodigiani, con ritardo istituiscono una zona rossa che ha fatto un grande sacrificio per salvaguardare la salute pubblica - attacca il sindaco leghista -. Ieri divulgano una bozza di decreto agevolando il fuggi fuggi delle persone su e giù dall'Italia. Successivamente firmano un Decreto pasticciato e dalle mille interpretazioni e che rischia di vanificare il sacrificio della zona rossa". Sul tema interviene anche il sindaco di Licata. "Raccomando alla cittadinanza intera di continuare a vivere nelle normalità, senza eccessivi allarmismi. Tenendo però ben presente la necessità di attenersi alle regole dettate dalle Autorità Sanitarie", dice il sindaco di Licata (Agrigento), Pino Galanti, ma "è importante che coloro i quali rientrano a Licata, provenendo da Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, devono comunicarlo". La paura dei contagi ha portato anche alla sospensione delle gare da parte della Lega Basket. "In seguito al nuovo decreto diramato dal Governo contenente misure urgenti di contenimento del contagio e conseguente Provvedimento di chiusura in Lombardia e in 14 province, la Lega Basket, in accordo con la Federazione Italiana Pallacanestro e sentite anche le società interessate, ha deciso di sospendere tutte le gare della settima giornata in programma domenica 8 marzo", scrive la Lega Basket sul sito. Una notizia, quella della Lombardia e delle aree isolate di apertura su gran parte dei siti internazionali, dalla Cnn ad Al Jazeera, passando per Bbc, Sky e Suddeutsche Zeutung. "Un quarto della popolazione italiana in quarantena", titola a tutta pagina il sito del Guardian. "Il Nord Italia mette in quarantena 16 milioni di persone", titola in apertura la Bbc. Wall Street Journal e Financial Times sono più cauti e danno la notizia come previsione: "L'Italia metterà in quarantena la Lombardia a causa del coronavirus", scrive il Ft. "L'Italia prevede un blocco su larga scala nel nord del Paese per combattere il coronavirus", titola il giornale di Wall Street.
La Lombardia diventa una sorta di zona rossa, così come alcune parti di Veneto, Emilia Romagna, Piemonte, Marche in cui sarà consentito entrare o uscire solo per motivi "gravi e indifferibili". La Gazzetta del Mezzogiorno il 7 Marzo 2020. L'emergenza Coronavirus si prolunga in Italia: La Lombardia diventa una sorta di zona rossa, così come alcune parti di Veneto, Emilia Romagna e Piemonte in cui sarà consentito entrare o uscire solo per motivi "gravi e indifferibili". È una delle misure contenute nella bozza del decreto del governo per contenere il contagio del coronavirus. Undici province coinvolte fuori dalla Lombardia: Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Asti e Alessandria. In queste aree è prevista la chiusura di palestre, piscine, spa e centri benessere, dei centri commerciali nel week end, musei, centri culturali e le stazioni sciistiche. Scuole chiuse fino al 3 aprile e stop a ogni tipo di manifestazione sportiva, si legge nella bozza del provvedimento. È previsto l'uso dell'esercito e delle forze armate, in caso di necessità, per rendere esecutive le misure previste dal decreto.
TRENI PRESI D'ASSALTO: A MIGLIAIA TORNANO AL SUD - Migliaia di persone durante la notte hanno preso d'assalto le stazioni di Milano. Come mostrano le immagini, nella stazione di Milano Porta Garibaldi c'è la corsa a chi salta sull'ultimo treno per poter tornare a casa, nelle diverse regioni d'Italia. Probabilmente il panico si è creato a causa della bozza del decreto governativo. Secondo quanto si apprende non ci sarebbero già più posti liberi sui convogli diretti a Sud per la giornata di domani. La Regione intanto sta esaminando la possibilità di sorvegliare stazioni e aeroporti per tracciare i nomi di chi torna.
I NUMERI - sono 5.061 i malati per Covid 19 nel Paese, con un incremento di 1.145 persone rispetto a ieri, e 233 i morti, 36 in più. Il nuovo dato è stato fornito dal commissario Angelo Borrelli nella conferenza stampa alla Protezione Civile. Sono 567 i malati ricoverati in terapia intensiva per coronavirus, 105 in più rispetto a ieri. Di questi 567 ben 359 sono in Lombardia, che ha avuto un incremento in un giorno di 50 casi. Sono invece 2651 i malati con sintomi ricoverati e 1843 quelli in isolamento domiciliare. Sono 589 le persone guarite dal coronavirus in Italia, 66 in più di ieri. Sulla base delle analisi effettuate sui decessi è evidente che il virus colpisce in maniera più aggressiva una precisa fascia di popolazione: ottant'anni di età media, con due o più patologie, una vittima su quattro è un uomo. E’ questa la fotografia dei 197 morti per coronavirus fatta dal presidente dell’Iss Silvio Brusaferro nel corso della conferenza stampa alla protezione Civile. «Dai dati emerge che le persone decedute - ha spiegato - nell’80% dei casi raggiungono due o più patologie, hanno un’età media di 81 anni e nel 28% dei casi sono donne». Le patologie, ha aggiunto, «sono le classiche cronico degenerative: patologie cardiache, diabete, malattie epatiche o persone portatrici di patologie neoplastiche».
LE PRECAUZIONI DA SEGUIRE - «Abbiamo evidenze di atteggiamenti superficiali, servono grande attenzione e consapevolezza» sulle misure contro il coronavirus. L'Iss aggiunge che «anche dove ci sono pochi casi bisogna adottare questi comportamenti per far diffondere più lentamente l'infezione. L'andamento mostra oggi una crescita, focalizzata su alcuni poli, serve un supporto perché la circolazione attorno venga rallentata». «La mortalità riguarda persone molto anziane, con un’età media che supera gli 81 anni. Sono prevalentemente maschi, prevalentemente portatori di più patologie (l'80% ne più di due) e solo il 2% non ha più patologie» - sottolinea Brusaferro - «La sintomatologia - aggiunge - è rappresentata dall’associazione di febbre e difficoltà a respirare. Gli anziani con questi sintomi contattino il proprio medico, il 112, stiano a casa e non affollino i pronti soccorsi o le sale d’attesa dei medici». «Gli anziani si muovano il meno possibile dalla propria abitazione, evitino i luoghi affollati e non affollino le sale d’attesa degli studi medici». Un’analisi della mortalità da coronavirus in Italia mostra che «l'età media delle vittime è di oltre 81 anni, prevalentemente maschi e portatori di più patologie, l’80 per cento più di due, 60 per cento più di tre, solo due per cento non ne ha». «L'associazione di febbre e difficoltà a respirare sono i sintomi d’esordio: le persone stiano a casa e non affollino i pronto soccorso, specie gli anziani per la particolare fragilità del quadro italiano». Circa la stagionalità del virus allo stato non c'è alcuna evidenza scientifica che possa confermare o no l'eventuale ambientamento dell'infezione con temperature elevate, tuttavia l'allungamento delle giornate favorirebbe la frequentazione di luoghi all'aperto limitando quindi quelle situazioni di calca e affollamento in locali chiusi, che al momento rappresentano una delle maggiori possibilità del veicolo di contagio. L'Iss si rivolge in particolare a coloro i quali soffrono di dispnea e febbre, e che quindi rientrano in categorie a rischio. In questo caso i pazienti devono contattare subito il medico e le autorità sanitarie.
LA SITUAZIONE IN PUGLIA, EMILIANO: SCHIERATI CON I VOLONTARI - «In Puglia nessuno deve sentirsi solo. Mi riferisco alle persone che per diverse ragioni sono costrette a restare in casa per prevenzione, in quarantena fiduciaria o perché vivono una condizione di fragilità. Stiamo schierando un vero e proprio esercito di volontari per dare loro ogni tipo di supporto: sono i volontari della Protezione civile della Regione Puglia chiamati a raccolta per fronteggiare questa emergenza. Pugliesi che aiutano altri pugliesi con piccoli gesti che però in questo momento hanno un enorme valore. Ovviamente con tutte le precauzioni del caso e il sostegno della Regione Puglia». Con queste parole il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, comunica di aver disposto l’attivazione delle organizzazioni di volontariato per l’assistenza alla popolazione colpita dall’emergenza connessa al COVID 2019. Ad oggi - riferisce una nota - in tutta la Puglia sono circa 500 le persone che si trovano in quarantena fiduciaria (obbligo di rimanere a casa con sorveglianza attiva, a seguito di contatto stretto con un caso positivo al Covid 19). A queste, si aggiunge un’altra fascia di popolazione, in particolare persone rientrate dalle zone gialle (regioni e province con focolaio) alle quale i medici di famiglia hanno consigliato la permanenza domiciliare a casa sempre per motivi precauzionali. Ci sono poi le situazioni delle persone più fragili o anziane che, giustamente, per evitare rischi stanno rimanendo in casa: saranno i Comuni, attraverso i COC (centri operativi comunali) a individuarle e a metterle in contatto con la rete dei volontari della protezione civile per ricevere il supporto necessario. Il provvedimento è stato inviato ai Sindaci pugliesi, ai coordinamenti del volontariato della Protezione civile delle province, ai presidenti delle associazioni di volontariato iscritte all’elenco regionale di protezione civile e all’Anci.
LA SITUAZIONE IN BASILICATA - «Dobbiamo cercare di stare in casa il più possibile». E’ l’appello lanciato dal presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi, «a tutta la comunità lucana». In Basilicata, finora, sono 4 i casi di contagio riscontrati, con un quarto che riguarda un professore dell’Università lucana residente in Puglia. «Cerchiamo - ha aggiunto Bardi - di uscire solo quando è strettamente necessario. Cerchiamo di rinviare viaggi fuori regione se non indispensabili». «Il sabato sera, la domenica e la pausa dalla attività scolastiche - ha aggiunto Bardi - deve essere una occasione per fermarsi a casa o non frequentare luoghi troppo affollati. Faccio appello al senso di responsabilità delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi. Avremo altri momenti per socializzare e per stare tutti insieme. Ma in questa fase così delicata vi chiedo un particolare senso di responsabilità. Capisco e comprendo bene la voglia di stare insieme, ma dobbiamo avere la pazienza di rinviare tutto questo a quando l’emergenza sarà solo uno sgradevole ricordo».
Secondo il governatore lucano, «la situazione è seria: cerchiamo di usare tutti gli strumenti di prevenzione individuali possibili. Lo dobbiamo ai nostri cari, lo dobbiamo alle nostre famiglie. Da parte nostra abbiamo messo in campo tutte le misure possibili a tutela della pubblica incolumità ma questo non basta. Ci vogliono anche comportamenti e responsabili. Mi affido - ha concluso Bardi rivolgendosi ai lucani - a tutti voi»
Repubblica.it l'8 marzo 2020. La bozza del decreto legge, che istituisce la "zona rossa" in Lombardia, ha provocato un vero assalto ai treni della notte alla Stazione Centrale e alla stazione Garibaldi di Milano. Con oltre 500 persone, tra i due scali milanesi, che hanno cercato di salire sugli ultimi convogli in partenza verso sud. Dopo le 10, in circa 400 si sono riversati nella stazione di Porta Garibaldi per tentare di prendere l’Eurocity night per Salerno. Quasi tutti sono riusciti a salire a bordo e il convoglio è partito con qualche minuto di ritardo. Almeno 150 erano invece le persone che hanno affollato le biglietterie e poi i vagoni dei treni verso il Sud in Centrale, per raggiungere le regioni d’origine prima dell’entrata in vigore del decreto legge del Governo, che comunque non avverrà prima di domani. Nei due scali è intervenuto il personale della polizia ferroviaria che ha cercato di sedare qualche piccolo momento di tensione. Ma arrivano notizie di molti residenti al Sud, temporaneamente a Milano, che – saputo del rischio di rimanere bloccati a lungo in Lombardia – hanno deciso di lasciare in auto il capoluogo lombardo. E arrivano anche notizie di famiglie in questo momento divise tra il capoluogo lombardo e le località di villeggiatura in Liguria o in Valle d’Aosta, con persone che si mettono in viaggio per raggiungere il resto dei congiunti e riportarli a Milano, prima che la Lombardia diventi ufficialmente "zona rossa".
Davide Falcioni per fanpage.it l'8 marzo 2020. Centinaia di persone stanno prendendo d'assalto le stazioni ferroviarie di Milano e del resto della Lombardia dopo la decisione del governo – che dovrebbe diventare ufficiale nelle prossime ore – di decretare la zona rossa in tutta la regione. Le immagini che arrivano dal capoluogo meneghino sono emblematiche: biglietterie automatiche prese d'assalto, vagoni che si stanno riempiendo all'inverosimile in barba alle indicazioni più volte ripetute in questi giorni, in particolare quella di evitare assembramenti e mantenere una distanza di almeno un metro uno dall'altro. Lo stesso avverrà nelle prossime ore e nella giornata di domani nelle altre province interessate dal decreto, quelle di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Asti e Alessandria, aree del paese dove non si potrà più entrare e da dove non sarà più possibile andarsene salvo motivi "gravi e indifferibili".
Estratto dell’articolo di Paolo Russo per “la Stampa” il 9 marzo 2020. Ed è proprio per evitare il collasso degli ospedali che il governo ha già in tasca il piano B, qualora entro una settimana la curva dei contagi non iniziasse a scendere. Mosse che andrebbero da un ulteriore irrigidimento delle disposizioni nelle attuali zone rosse a un loro allargamento, anche a sud della linea gotica. «Regioni come il Lazio e Roma sono particolarmente a rischio. Nei prossimi giorni la Capitale sarà sicuramente interessata», ha affermato Ricciardi dagli studi di Domenica In. Nulla di scontato, soprattutto se si comincerà a rinunciare a un po' di vita sociale. Anche se, intanto, Zingaretti ha servito l' antipasto, chiudendo da oggi palestre, piscine e centri benessere in tutto il Lazio.
Camilla Mozzetti e Marco Pasqua per “il Messaggero” il 9 marzo 2020. Tutti coloro che provengono dalle zone rosse e anche da quelle arancioni devono comunicare la loro presenza e i loro spostamenti, mettersi in contatto con le Asl e porsi in auto-isolamento. Per quanto tempo? Ogni casi verrà valutato a seconda delle circostanze. È questa una delle modifiche introdotte con l'ultima ordinanza della Regione Lazio firmata dall'assessore alla Sanità Alessio D'Amato e dal vicepresidente Daniele Leodori, dopo quanto accaduto sabato sera quando le stazioni di Milano sono state prese d'assalto da cittadini di altre Regioni che volevano tornare a casa. Ma il passaggio che «non vieta alle persone fisiche gli spostamenti su tutto il territorio nazionale per motivi di lavoro, di necessità e di salute», desta parecchie perplessità per l'ampiezza della platea dei possibili fruitori che - con una semplice autocertificazione - possono aggirare controlli e divieti. Nel dispositivo che impone le misure per chi negli ultimi 14 giorni ha viaggiato tra Roma e il Nord Italia rientravano alcune categorie che inizialmente avevano sollevato qualche protesta. Ad esempio i parlamentari e i piloti di aerei, che per motivi diversi sono costretti a spostarsi frequentemente tra Nord e Sud Italia per svolgere le loro attività. tra i deputati e i senatori, molti sono quelli che hanno fatto ritorno a casa e poi sono risultati presenti nei giorni scorsi a Montecitorio e Palazzo Madama. Se tutti avessero seguito scrupolosamente i divieti della prima ordinanza, «il rischio di arrivare a ridurre significativamente i numeri in Aula - spiega Walter Rizzetto, deputato Fdi originario di San Vito al Tagliamento in provincia di Pordenone ed eletto in Friuli-Venezia Giulia - sarebbe stato certo». Stesso scenario anche per i piloti di aerei che ovviamente in questi giorni hanno viaggiato da Nord a Sud del Paese. Intanto sempre la Regione Lazio ha inviato i Comuni ad adottare una misura di contenimento per gli assembramenti nei locali e nei luoghi di ritrovo dei giovani. Ieri l'assessore D'Amato postando su Facebook l'immagine di Ponte Milvio - nota zona di ritrovo dei giovani di Roma - ha lanciato l'hashtag #Nunsepofà sottolineando come gli assembramenti di persone sono i canali principali per la trasmissione del virus. Ma nell'ultimo Dpcm del governo ai ristoranti, ad esempio, non è stata imposta la chiusura alle ore 18, ma solo l'adozione di regole sul posizionamento dei tavoli al fine di mantenere i limiti di distanza. Il Campidoglio non ha ancora emanato nessun provvedimento in questa direzione ma intanto solo nello scorso weekend le stesse prescrizioni del governo proprio in merito ai locali sono state ampiamente disattese. Ed è nella Capitale che si registrano violazioni, talvolta eclatanti, alle prescrizioni governative circa la distanza minima da mantenere tra una persona e l'altra. Se, infatti, le discoteche tradizionali (da quelle cult come il Piper e Spazio 900, fino alle più piccole) hanno chiuso i battenti (il Room 26, sabato notte, si è inventato un dj-set in streaming sul proprio canale Facebook), altri locali hanno trovato un pericoloso escamotage per richiamare il pubblico di giovanissimi che si è trovato senza piste su cui poter ballare. Ecco, infatti, le cosiddette cene spettacolo: cibo, musica, e fiumi di alcol. Ma, soprattutto, tutti insieme, vicini-vicini, in locali (chiusi), saturi di persone. È successo in pieno Centro, in via della Conciliazione, dove al Chorus Cafè - l'altra notte, il pubblico si è lasciato trasportare dalla musica. Ma anche alle Palmerie, ai Parioli, dai tavoli alla pista improvvisata il passo è stato breve e su Instagram era un rincorrersi di storie danzate. Le stesse del ristorante fusion Me Geisha, a Monteverde, dove la voglia di far festa ha avuto la meglio sul buon senso. Alla Villa, popolare luogo di ritrovo al Fleming, la distanza tra i tavoli ma, soprattutto, il numero di persone presenti, trasformava il locale in una sorta di disco-pub improvvisato. E anche se in riva al mare, si è ballato a Maccarese, alla Rambla, con dj-set in spiaggia. Ma anche la movida all'aperto non si è adeguata alle nuove norme: da Ponte Milvio a Trastevere, i giovanissimi non hanno evitato gli assembramenti.
Coronavirus, Zaia si oppone a creazione di tre zone di isolamento. Mattia Pirola l'08/03/2020 su Notizie.it. Il Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, in merito ai provvedimenti per contrastare il Coronavirus, ha parlato di “misure sproporzionate ” per la sua regione. “Il Veneto si oppone alla creazione delle tre zone di isolamento previste dal Dpcm – ha scritto in un post su Facebook -. Nelle controdeduzioni inviate al Governo, sulla base delle conclusioni scientifiche cui il comitato tecnico scientifico è giunto stanotte, ho chiesto lo stralcio del blocco deciso per le 3 province di Padova Treviso e Venezia. A fronte di cluster circoscritti, e che non interessano in maniera diffusa la popolazione generale, non si comprende il razionale di una misura che appare scientificamente sproporzionata all’andamento epidemiologico”. Poi Zaia continua: “Nella lettera accompagnatoria alle controdeduzioni si sottolinea come l’impegno dimostrato dal sistema sanitario regionale contrasti con una misura di isolamento estremo dei territori individuati, che non ha avuto nessun confronto né scientifico né di lealtà istituzionale con i tecnici della Regione del Veneto“. “Nel documento vengono riepilogate – spiega -, con gli ultimi dati, le situazioni epidemiologiche nelle tre province da isolare – Padova, Venezia, Treviso – inserite nel Dpcm”. “Lo studio e la valutazione costante del trend dei casi e la ricerca dei contatti – conclude Zaia -, oltre allo sforzo organizzativo per l’ospedalizzazione dei pazienti sia nei reparti di malattie infettive che in terapia intensiva dimostrano l’impegno del sistema sanitario regionale”. Sulla stessa linea del Governatore del Veneto anche il Sindaco di Asti, indaco Asti, Maurizio Rasero. “Una follia (quella di chiudere la regione, ndr), un disastro che non ci aspettavamo. Questa mattina saremo di nuovo convocati in Prefettura, dopo la riunione della notte, ma non sappiamo ancora di preciso cosa accadrà. Ad ora non ci è stato spiegato il motivo di questa scelta. Sono giorni che monitoriamo la situazione, in stretto contatto con l’ospedale. Anche lì era tutto sotto controllo”.
Dagospia l'8 marzo 2020. IL TWEET DI SCONFORTO DI ROBERTO BURIONI. Non sono stato mai disfattista ma è difficile non diventarlo. Sono troppi nel nostro paese i cialtroni ignoranti, arroganti ed egoisti. La questione dei vaccini l'aveva suggerito, il coronavirus lo conferma drammaticamente.
Valentina Dardari per ilgiornale.it l'8 marzo 2020. Il virologo Roberto Burioni non le ha certo mandate a dire al governo. Subito dopo aver letto la bozza del Dcpm per cercare di contenere il coronavirus, ha postato il suo commento su Twitter. “Follia pura. Si lascia filtrare la bozza di un decreto severissimo che manda nel panico la gente che prova a scappare dalla ipotetica zona rossa, portando con sé il contagio. Alla fine l'unico effetto è quello di aiutare il virus a diffondersi. Non ho parole”. Più che chiara la posizione di Burioni che definisce pura follia quanto avvenuto. E ha rincarato subito la dose: “Non solo confonde. Porta la gente a partire dalla Lombardia (e dalle altre province con alto numero di casi) per altre zone, favorendo in modo irreparabile la diffusione del contagio. E' un comportamento totalmente irresponsabile”. Già, perché infatti, nella tarda serata di ieri, sono state centinaia le persone che hanno fatto in fretta e furia i bagagli per saltare sull’ultimo treno per raggiungere Roma e il Sud Italia. Creando non pochi problemi in fatto di sicurezza. Molte le critiche anche dai governatori del Nord Italia. Burioni aveva infatti sottolineato che con il coronavirus non solo si rischia di morire, ma si può finire in rianimazione. Ieri il virologo aveva spiegato che “si può andare al lavoro, al supermercato, ma non è il momento per cene, aperitivi, concerti, palestre. Bisogna stare a casa. E quando si esce bisogna sempre stare a un metro di distanza dalle altre persone, non dare strette di mano e lavarsi spesso le mani. Tutto quello che è possibile fare online, dobbiamo farlo on-line”. Ha poi ribadito che non si tratta di una semplice influenza ma di qualcosa di ben più grave. “Altro punto importante, non è vero che non si muore di coronavirus: si muore di coronavirus e soprattutto oltre che morire si finisce in rianimazione” ha tenuto a dire. Il pericolo poi è doppio, perché se i posti letti in rianimazione finiscono, non saranno solo i soggetti affetti da coronavirus a morire, ma anche coloro colti da infarto, ictus o traumi vari. La posizione di Burioni non cambia e resta coerente, sempre la stessa fin dall’inizio: la situazione è molto grave e la diffusione del virus è velocissima, non si tratta di una banale influenza.
Zaia: «Il Veneto non deve essere isolato, il nostro modello sta funzionando». Pubblicato domenica, 08 marzo 2020 su Corriere.it da Luciano Ferraro. Mentre a Venezia si sentiva solo il rumore di qualche vaporetto senza passeggeri, alle due della notte tra sabato e domenica il governatore Luca Zaia scriveva al «pregiatissimo professor avvocato Giuseppe Conte» una lettera di otto righe. Per spiegare che il Veneto non è la Lombardia, che la situazione «è al momento sotto controllo» e che il decreto su Venezia, Padova e Treviso blindate «va riscritto stralciando le province venete». In tre fogli firmati dagli undici primari e studiosi che compongono il comitato scientifico che affianca l’unità di crisi veneta (tra questi c’è Francesco Zambon, coordinatore dell’Oms per le Regioni nell’emergenza Covid-19), sono elencati i motivi della controllata ribellione del governatore. A chi gli è vicino continua a ripetere che non è il momento delle polemiche e non è il caso di cantare vittoria, perché da un giorno all’altro tutto può cambiare. Ma è innegabile che la marcia del virus vista da Palazzo Balbi, la sede della giunta regionale sul Canal Grande, sembri più arrestabile che in altre zone del Nord. Il motivo, spiegano i medici veneti nel dossier spedito a Conte, è che la bomba di Vo’ Euganeo sembra essere stata disinnescata. Mettendo sotto esame tutto il paese, con due serie di 3.500 tamponi. «I positivi sono 84 (66 i residenti), di cui 10 ricoverati in reparto, 3 in terapia intensiva». Dopo due settimane di quarantena rigida, «dai primi dati sugli oltre mille tamponi analizzati si evidenzia come le misure di mitigazione di sanità pubblica applicate abbiano bloccato il diffondersi dell’infezione passando da circa il 3% della positività allo 0,05%». A Treviso, spiegano gli studiosi, il contagio è «quasi esclusivamente ospedaliero», dovuto ad una paziente del reparto di geriatria, senza estendersi in città. Come a Venezia, dove «i casi di positività riscontrati interessano quasi per la metà operatori sanitari». Tre casi per ora circoscritti che rendono «sporporzionata la misura dell’isolamento estremo» delle province venete. Con questa relazione inviata a Roma, Zaia ha ripetuto, dall’alba di ieri fino a tarda sera, con più interventi alla radio e in tv, che «il decreto sulle zone sotto sorveglianza va rivisto». «Non aiuta la definizione di zona rossa — ha ribadito dagli schermi di La7 —. Non possiamo fare diventare l’Italia dal punto di vista della comunicazione al pari di Wuhan. Parlo del Veneto, abbiamo un sistema sanitario che funziona, stiamo avendo buone risposte». Quello che fa irritare Zaia è che non ci sia stato, a differenza di quanto accaduto dall’inizio della crisi, un confronto con i governatori prima di emanare il decreto. «Avevamo chiesto di attendere fino a domenica mattina, ma ho dovuto mandare nella notte, in solitaria, il nostro dossier a Roma». Anche se il governatore ripete che «non è il momento di abbassare la guardia, perché bisogna restare preoccupati e vigili», non nasconde la contrarietà. E a chi gli chiede come si sentano i veneti dopo il decreto, risponde: «Responsabili, leali e angosciati». Significa che sono pronti a rispettare le norme, anche se «non sono di facile comprensione, perché servirebbe una circolare esplicativa». Uno dei dubbi principali è l’economia, con le migliaia di aziende venete che, si fa notare, stanno intasando i centralini della Regioni e del Comuni per chiedere lumi sulla circolazione delle merci. Cosa si può portare fuori dalle tre province, e con quale documentazione? Zaia rilegge il dossier tecnico inviato nella notte e aggiorna i dati. I pazienti in terapia intensiva sono 47. I positivi sono 670, tre quarti di questi non hanno sintomi, 18 i decessi, «quasi tutti con quadri clinici complessi». Dopo una notte insonne e dopo la più tesa tra le giornate da quando è comparso il coronavirus, il governatore si è di nuovo rivolto al «pregiatissimo professor avvocato Conte», non più con una lettera ma con una dichiarazione alle agenzie. Chiedendo di far sapere ai veneti i motivi della scelta di isolare Venezia, Padova e Treviso. «Ci dicono che è stato utilizzato un criterio percentuale sulla popolazione che non comprendiamo, avendo queste zone due cluster essenzialmente ospedalieri, attualmente circoscritti e messi in sicurezza, e il terzo riconducibile a Vo’ che ha visto cordone sanitario e quarantena per 3.500 persone con 66 positivi. Quando i criteri scientifici usati ci saranno resi noti, ne prenderemo atto». A tarda sera, le luci dell’unità di crisi riunita nella sede della Protezione civile a Marghera sono ancora accese. Bisogna dare attuazione ad un decreto non condiviso.
Coronavirus, la Svizzera non blocca i 67 mila frontalieri lombardi. Senza di loro in crisi anche la sanità. Pubblicato lunedì, 09 marzo 2020 su Corriere.it da Claudio Del Frate. La Svizzera non chiude la frontiera agli italiani, purché siano lavoratori. Benché provengano dalla zona più contaminata d'Europa, i 67.000 frontalieri lombardi hanno potuto recarsi questa mattina regolarmente al lavoro in Canton Ticino; a meno che le aziende abbiamo attuato forme di smart working. Gli italiani rappresentano ormai circa il 30% degli occupati a nord della frontiera di Chiasso e senza di loro si fermerebbero non solo interi settori dell'economia ma verrebbe messa alle corde anche la sanità che sta garantendo il contenimento del contagio in Svizzera (domenica i colpiti dal coronavirus erano 245, 58 dei quali in Ticino). La scelta di mantenere la frontiera «permeabile» è maturata in seguito a colloqui tra il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Mario e il suo omologo elvetico Ignazio Cassis ia(qui la mappa dei contagi in Itala). La posizione presa dalle autorità di Berna può essere sintetizzata così: gli italiani che sono occupati in Svizzera possono recarsi regolarmente al lavoro ma devono sempre portare con sé i documenti di permesso; le aziende sono invitate ad attivare forme di telelavoro o a far smaltire le ferie ai dipendenti; alle frontiere ma anche nelle fabbriche e negli uffici verranno intensificati controlli sanitari. L'afflusso in Svizzera di tutti gli altri italiani è bloccato; il divieto vale anche per gli studenti iscritti a università elvetiche (che al,pari delle altre scuole al momento non hanno fermato l'attività didattica). E dunque stamattina, pur con qualche rallentamento in più, il fiume dei frontalieri è defluito dalla Lombardia diventata «zona di sicurezza» per andare a lavorare in Ticino. Vengono segnalati sono casi sporadici di pendolari italiani che da qualche giorno hanno scelto di fermarsi a dormire in alberghi del Ticino.
Alessandra Di Matteo per “la Stampa” il 9 marzo 2020. Quelle bozze giravano tra troppe mani, ormai al governo la pensano quasi tutti così. Di sicuro, non si placano le polemiche per quella «fuga dal Nord» innescata dalle notizie uscite sui media prima ancora che il decreto fosse approvato ufficialmente e, quindi, prima che chiunque potesse impedire alle persone di «scappare» dalle nuove zone rosse. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è davvero arrabbiato: «È necessario chiarire quel che è successo, una cosa inaccettabile. Ne va della correttezza dell' operato del governo e della sicurezza degli italiani». Nel mirino ci sono i presidenti di Regione. Vito Crimi, capo politico M5s lo dice abbastanza chiaramente: «Alle ore 19 (di sabato, ndr), la bozza del decreto è stata inviata ai presidenti di Regione. È la procedura: i governatori devono essere sentiti prima dell' emanazione del decreto. Poco dopo, la bozza viene diffusa su vari mezzi di informazione. Un fatto grave e inaccettabile». La Cnn, poi, ha tirato in ballo esplicitamente la Lombardia, sostenendo di avere avuto il Dpcm dallo staff del governatore Fontana. Una cosa che poi in parte corretta in serata, dal momento che la Cnn ha precisato di avere solo chiesto una «conferma» alla Lombardia delle bozze che già circolavano su altri media. Di sicuro, la Lega non ci sta: «È assolutamente falso - scrive l' account twitter del partito di Salvini - che regione Lombardia o qualsiasi canale Lega abbia diffuso in anteprima "bozze"». Una replica rivolta ai «poveretti a 5 Stelle che ci accusano». Per la Lega i responsabili vanno cercati «al governo». Ma anche tra gli alleati di governo in parecchi attribuiscono proprio al premier l' errore di fondo, quello di aver fatto circolare così tanto la bozza tra presidenti di Regione e ministeri vari. «Ce l' aveva davvero tanta gente - dice un ministro - può essere stato chiunque». E un parlamentare Pd aggiunge: «La verità è che sono stati ingenui: hanno seguito alla lettera la prassi, ma in un momento come questo non dovevano far girare la bozza. Solo telefonate per acquisire pareri, ma la bozza secretata fino all' ultimo. È come se Amato avesse fatto trapelare che voleva fare il prelievo sui conti correnti prima di farlo... ».
Coronavirus, polemica sulla "fuga di notizie" per il nuovo decreto. Fontana: «Nessuna anticipazione». Next Domenica 8 Marzo 2020. È polemica sulla "fuga di notizie" sul nuovo dpcm del governo che di fatto "blinda" la Lombardia e 14 province. Secondo il Pd la Cnn ha ricevuto la bozza del decreto governativo, ore prima dell'approvazione, dall'ufficio stampa della Regione Lombardia. «Solo per capire: ma qui la Cnn scrive di aver ricevuto la bozza del decreto governativo dall'ufficio stampa della Regione Lombardia». Ma davvero mentre il Governo lavorava con le Regioni sui dettagli del provvedimento lo staff del Presidente Fontana diffondeva bozze?». Se lo chiede su twitter Andrea Romano (Pd) allegando la foto del pezzo sul sito della Cnn in cui si legge che la bozza del Dpcm era stata girata alla tv americana dall'ufficio stampa della Regione Lombardia. Ma Fontana smentisce: «Dalla Lombardia non c'è stata nessuna anticipazione». «L'Ufficio stampa della Regione Lombardia ha appreso i contenuti della bozza del DPCM dell'8 marzo dai principali quotidiani online - precisa una nota - Pertanto, da parte nostra - prosegue la nota -, non è stata fatta alcuna anticipazione. Sono quindi del tutto infondate le ricostruzioni giornalistiche di un broadcaster internazionale a cui stata chiesta immediata rettifica».
Fuga di notizie su decreto, la Regione Lombardia ha inviato la bozza. Piero de Cindio de Il Riformista l'8 Marzo 2020. L’ha detto chiaramente il presidente del consiglio Giuseppe Conte la scorsa notte: “la bozza del decreto sull’ampliamento della zona rossa una volta passato tra le mani delle regioni è finito sui giornali“. Il premier ha poi aggiunto che avrebbe indagato per scoprire i responsabili. Nonostante l’opinione pubblica si sia scatenata su un solitamente facile, anzi facilissimo, bersaglio come Rocco Casalino, stavolta non è stato l’ex concorrente del Grande Fratello a passare la notizia ai giornali. Infatti il portavoce di Conte, che aveva sbagliato tutto e fatto scoppiare la grana Azzolina in merito alla chiusura delle scuole, questa volta è stato muto come un pesce. E allora chi è stato? Leggendo tra le righe del discorso del premier risulta semplicissimo: i governatori, o chi per loro, e probabilmente uno di quelli della Lega. Più precisamente, però, la bozza è stata diffusa dall’ufficio stampa della Regione Lombardia secondo quanto riferito anche dalla CNN. In allegato l’articolo a firma Livia Borghese e Nicola Ruotolo per l’emittente del celebre network statunitense che riportano questa circostanza e confermano la fuga i notizie degli uffici di Attilio Fontana. In questo momento di grandissima difficoltà per tutta Italia nessuno avrebbe interesse a mettere in difficoltà l’esecutivo tranne una persona: Matteo Salvini. Il leader leghista a settimane sta infatti “sciacallando” sul coronavirus e attaccando il governo su questo tema. E stavolta l’avrebbe fatta grossa nonostante il suo motto sia sempre stato “prima gli italiani“, in realtà è “prima il mio interesse (politico)“. Infatti con la fuga di notizie è seguita quella da Milano e i governatori del sud sono dovuti correre ai ripari con le ordinanze emanate in fretta e furia su quarantena domiciliare per chi viene dalle zone rosse. Insomma dopo 7 mesi Salvini più che dare una spallata a Conte l’ha data all’Italia scatenando il panico nella sua regione.
La Cnn sostiene di aver ricevuto la bozza del decreto Coronavirus dalla Regione Lombardia. Enzo Boldi l'08/03/2020 su Giornalettismo. La diffusione della bozza Dpcm Coronavirus prima che fosse approvato e reso pubblico da Palazzo Chigi ha provocato un grande confusione, compresa la presa d’assalto delle stazioni ferroviarie milanesi con cittadini che hanno provato a lasciare il capoluogo lombardo prima che le disposizioni diventassero effettive e ancor prima della conferenza stampa di Giuseppe Conte sul decreto. In Italia si cerca la fonte che ha diffuso in anteprima il documento (ancora incompleto) e dalla Cnn fanno sapere di aver ricevuto il testo dall’ufficio stampa della Regione Lombardia. Negli Stati Uniti la notizia è stata pubblicata dopo la mezzanotte e la prima testimonianza sul sito della Cnn risale intorno alle ore 1.30 della notte tra sabato e domenica 8 marzo. In quella prima news si parla delle disposizioni che in Italia stavano circolando già da alcune ore, dopo la diffusione della bozza Dpcm (quella che parlava di 11 province incluse nelle zone rosse e non 14 come indicato nel documento finale). All’inizio non si fa riferimento ad alcuna fonte, ma si parla di tema in discussione. Poi, intorno alle 5 di questa mattina, viene pubblicata la notizia definitiva dei provvedimenti comunicati da Giuseppe Conte in conferenza stampa: dalle 14 province inserire nell’elenco delle zone rosse alla chiusura dei confini della Regione Lombardia. Nello spiegare tutto ciò viene riportato anche il testo della bozza Dpcm circolata in Italia qualche ora prima, con questa annotazione: «Sent to CNN by the press office of the Lombardy regional authority» (Inviato alla Cnn dall’ufficio stampa della Regione Lombardia).
L’ufficio Stampa della Regione Lombardia. Si fa espresso riferimento alla bozza Dpcm sul Coronavirus di cui Giuseppe Conte ha parlato solo qualche ora dopo, con tutte le indicazioni (alcune errate, come il caso delle province zona rossa) previste dal decreto del governo italiano. Nel nostro Paese la notizia è iniziata a circolare qualche ora prima rispetto agli Stati Uniti, ma non è ancora chiara la fonte che abbia diffuso il documento in anteprima. Nel frattempo, alle 22.30 di ieri sera, Attilio Fontana aveva scritto.
Jacopo Iacoboni per La Stampa l'8 marzo 2020. Tentare una ricostruzione analitica e fredda, in questo caos, è difficile. Ma di una cosa si può essere certi: sulla vicenda del decreto che dispone di fatto la chiusura di gran parte del Nord abbiamo assistito a un gigantesco disastro comunicativo del governo. Non il primo, in questa drammatica emergenza del Coronavirus. Appena l’altro giorno, una storia analoga era accaduta con il provvedimento di chiusura delle scuole: pubblicato dall’Ansa, smentito dalla ministra Azzolina dopo appena un quarto d’ora, annunciato ufficialmente dalla stessa ministra quattro ore dopo, con dentro esattamente i contenuti riferiti dall’Ansa. Il nuovo disastro è ancora più grave, se possibile. I fatti di ieri sono questi. In serata, intorno alle 19, comincia a circolare la bozza del decreto con cui oggi il premier Conte ha severamente ristretto la possibilità di muoversi in Lombardia e 14 province del nord Italia. L’Ansa batte una notizia alle 19,33. La batte da Roma, non dalla Lombardia o dal Piemonte: stop ai ricoveri non urgenti. Al di là della notizia, che non colpisce più di tanto, il testo si conclude: “Così il decreto che l'ANSA ha potuto visionare”. Un testo governativo dunque è già fuori. E’ lo stesso che a breve uscirà? Di sicuro occorre un minimo di tempo per leggerlo, e prendere una decisione su cosa è più giusto fare della sua disposizione più grave: il nord bloccato. Poco più tardi, il Corriere della sera è in grado, fatte le sue verifiche, di andare online con un articolo di Fiorenza Sarzanini, che annuncia con quasi assoluta precisione le misure sul nord contenute nel decreto del premier (si parla di 11 province chiuse, alla fine saranno 14. Ma il testo e la ricostruzione sono precisissimi). Si scatena subito una certa polemica sui social network. In non pochi accusano i giornalisti di diffondere notizie non ufficiali, scatenando il panico. Diverse persone raccontano che alcune centinaia di milanesi hanno preso d’assalto le stazioni per andare via dal capoluogo della Lombardia nell’ultimo tempo utile. L’irresponsabilità, a caldo, viene scaricata immancabilmente sui media mainstream, che senza scrupoli e cinicamente avrebbero dato una notizia gravissima, ma non ufficiale. Poco a poco, però, la scena cambia. Si comincia a capire non solo che la notizia è vera, ma che è imminente la sua divulgazione ufficiale, e è stata fatta uscire da qualcuna delle autorità italiane. Non si sa per sciatta volontà, o per incapacità nel dominare i meccanismi della comunicazione in una grave emergenza sanitaria nazionale. Entrambe sarebbero opzioni gravi. Anche perché, a questo punto, comincia un grottesco scaricabarile. A tarda notte il premier Conte va in conferenza stampa e pronuncia una frase che ad alcuni pare un’accusa alle regioni. Anche se la frase non è del tutto chiara, lessicalmente. Conte dice: “L’abbiamo letto su tutti i giornali. Ne va della correttezza del governo. Ne va della sicurezza di tutti gli italiani. Perché questa pubblicazione, tra l’altro di una bozza non definitiva, ha creato incertezza, insicurezza, confusione. Cosa è successo? Decreto del presidente del Consiglio che significa? Esistono delle procedure a cui siamo tenuti: il decreto lo propone il ministro della Salute. Lo elabora e poi lo fa girare, perché bisogna raccogliere i pareri dei ministri competenti e di tutti i presidenti delle regioni. A quel punto lì ce lo siamo ritrovato su tutti i giornali”. Conte non attacca direttamente le regioni, e la sua frase potrebbe riferirsi a chiunque altro, anche ai “ministri competenti”, o agli staff del gabinetto. Tuttavia l’ultima parola che echeggia è: “i presidenti delle regioni”. O è una frase mal pronunciata, o si produce come l’impressione che il presidente del Consiglio stia additando le regioni. All’1,17 ora italiana, la Cnn mette online un articolo in cui è scritto che “stando a una bozza spedita anche alla Cnn dall’ufficio stampa della Regione Lombardia...”. Ma come sappiamo, la bozza è in circolazione a Roma da alcune ore prima, intorno dalle sette di sera. [update. L'ufficio stampa della Regione Lombardia, com’è ovvio, smentisce infatti, tempi alla mano, di avere anticipato ai media i contenuti della bozza del decreto contenente le restrizioni per fermare il contagio da coronavirus. «L'ufficio stampa della Regione Lombardia ha appreso i contenuti della bozza del Dpcm dell'8 marzo dai principali quotidiani online. Pertanto, da parte nostra, non è stata fatta alcuna anticipazione. Sono quindi del tutto infondate le ricostruzioni giornalistiche di un broadcaster internazionale a cui è stata chiesta immediata rettifica»]. La fonte originaria non è stata dunque lombarda? A fine conferenza stampa di Conte, ormai a notte fonda, interviene Rocco Casalino, portavoce di palazzo Chigi, e invita sbrigativamente i presenti a intervenire se ci sono questioni da porre: “Se ci sono domande parli”, dice a una giornalista. Nel frattempo altre discrasie appaiono evidenti. Conte ha aperto la conferenza stampa lamentando che la bozza circolata non era quella definitiva. Ma quando ha illustrato il testo definitivo, si è potuto facilmente constatare che era quasi identico a quello in giro da ore. Salvo due differenze: vengono sbarrate più province in Piemonte (solo Torino, Cuneo e Biella restano aperte benché di fatto isolate), e è prevista la possibilità di rientrare al proprio domicilio per chi sia fuori. Un punto sottile, che sembra linguistico, viene fatto notare da Luca Sofri: si passa dalla bozza, che autorizzava a muoversi solo per "indifferibili esigenze lavorative", al testo definitivo, che dice "comprovate esigenze lavorative". Una relativa maggiore elasticità. Anche qui si può facilmente obiettare che il problema comunicativo resta notevole: cosa sono le “comprovate esigenze lavorative”? Non ci muoviamo tutti, forse, per lavoro “comprovato”, e non per divertimento? Sofri dà voce a una domanda che serpeggia: “C’è solo una cosa che sarebbe interessante sapere dai giornalisti con cui abbiamo discusso di queste cose, e che è un buco nella comprensione delle loro ragioni: ancora Casalino?” La risposta di palazzo Chigi è ovviamente negativa, al momento. Resta il fatto che – anche al di là di chi sia stato a far uscire il testo (i leakers potrebbero essere più d’uno) - la comunicazione di un decreto del presidente del Consiglio di tale gravità è affidata a precisi responsabili, e è centralizzata proprio per evitare che accadano vicende pericolose come quella di stanotte.
Il presidente della Regione Lombardia Fontana inchioda Conte ai suoi errori: "Pronto esposto in Procura". Il Corriere del Giorno il 9 Marzo 2020. “Oggi andrò a presentare un esposto alla Procura perchè mi sono rotto le scatole“. Questa la decisione intrapresa da Attilio Fontana, in merito alla vicenda della bozza del decreto del Presidente del Consiglio sulle nuove limitazioni per l’emergenza CoronaVirus, che è stata fatta circolare dagli uffici del Governo prima che il provvedimento venisse approvato. Nella giornata di ieri c’erano state diverse polemiche sulla diffusione della bozza del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sulle nuove misure più stringenti da prendere per arginare il contagio da CoronaVirus. La bozza ha iniziato a circolare già poco prima delle 20.30 di sabato sera, venendo ripresa dai principali siti d’informazione, compreso il CORRIERE DEL GIORNO. Intorno all’1.15, la CNN aveva rilanciato la notizia della bozza non definitiva, attribuendo il documento all’ufficio stampa della Regione Lombardia, tra le prime a criticare fortemente la circolazione di materiale confusionario e – come era stato definito subito “pasticciato". Inizialmente quindi si era diffusa la voce che la Regione Lombardia aveva consegnato la bozza alla CNN, ma successivamente la stesso network televisivo americano ha precisato che dalla Regione in realtà era arrivata solo una conferma a una notizia che era già in possesso i giornalisti dell’emittente americana . Intervenuto in collegamento con Mattino 5, il Presidente Fontana ha chiarito il tutto: “La Cnn ha smentito di aver ricevuto la notizia dalla Regione Lombardia, così come anche il Tg1 ha smentito ed io oggi presenterò denuncia”. Il presidente Fontana ha inoltre fatto sapere di aver ricevuto peraltro la copia del decreto “quando ormai era stata già diffusa sui social, cosa che mi ha lasciato perplesso“: a suo giudizio sono “stati anche i primi commenti” a creare panico, aggiungendo “L’unica cosa in cui la Regione Lombardia è intervenuta, è stata su una telefonata della CNN che chiedeva conferma del documento, che loro avevano già. Lo avevano ricevuto da Repubblica. Si è cercato quindi come sempre di strumentalizzare la situazione “. Jonathan Hawkins, vicepresidente della Comunicazione CNN International, ha successivamente inviato una lettera a Fontana all’interno della quale si spiega che la CNN ha “applicato i rigorosi standard editoriali per verificare informazioni che erano già di pubblico dominio su quotidiani italiani e internazionali“(tra cui il Corriere della Sera e La Repubblica) e sui media internazionali tra cui l’agenzia Reuters ed il New York Times) . Per questo, il network americano ha chiesto spiegazioni all’ufficio stampa della Regione Lombardia: “I nostri corrispondenti – si legge nella lettera – hanno prestato molta attenzione a verificare la bozza del documento che circolava su altri media e di questo hanno chiesto spiegazioni all’ufficio stampa della regione Lombardia e ad altri contatti”. “Spero – conclude il dirigente della CNN – che questa mia nota possa chiarire ogni equivoco”.
Casalino ora è nel mirino: Conte pronto a silurarlo? La fuga di notizia di sabato non è piaciuta a Palazzo Chigi e a Giuseppe Conte. Il premier ha "ampliato" le deleghe di Maria Chiara Ricciuti, la portavoce numero due. Roberto Vivaldelli, Martedì 10/03/2020 su Il Giornale. La gravissima fuga di notizia di sabato sera sul coronavirus, che ha permesso la divulgazione sui quotidiani italiani della bozza del decreto del presidente del Consiglio che metteva in quarantena il Nord Italia, scatenando il caos e "l'assalto" ai treni verso il sud Italia dalle stazioni di Milano centrale e Garibaldi, non poteva che avere delle conseguenze. Come già chiarito dal nostro giornale, la responsabilità di quel bruttissimo pasticcio non è certamente della Regione Lomabardia, dato che la bozza del decreto era già circolata sui quotidiani italiani prima della pubblicazione del pezzo della Cnn (che citava, in una prima versione poi smentita, la stessa regione come fonte). È dunque probabile che la bozza sia stata divulgata da ambienti romani vicini al governo Conte. Già, ma da chi? Difficile dirlo. Sta di fatto, come riporta Jacopo Iacoboni su La Stampa, che quella fuga di notizia non è piaciuta affatto a Palazzo Chigi e al premier Giuseppe Conte. Il primo effetto della disastrosa vicenda, scrive La Stampa, è che, in un lunedì politicamente difficilissimo per Rocco Casalino, a Palazzo Chigi sono state ampliate sia pure in maniera informale le deleghe di Maria Chiara Ricciuti, la portavoce numero due, nella gestione della vicenda coronavirus. Maria Chiara Ricciuti potrebbe avere, d'ora in poi, a discapito di Casalino, sempre maggiori responsabilità e più voce in capitolo rispetto al passato per quanto concerne la comunicazione di Palazzo Chigi. La nuova "pupilla" del premier, abruzzese e laureata in scienze della comunicazione alla Sapienza, cominciò a lavorare per la politica con Pino Pisicchio, deputato dell’Italia dei Valori, il primo partito che usufruì della consulenza di Gianroberto Casaleggio. Ma può vantare anche un'altra esperienza molto interessante nel suo curriculum: tra 2013 e 2014, infatti, ha curato la comunicazione delle onlus di Igor Danilov, a lungo il referente principale di Gazprom Media in Italia.
Coronavirus, quel brutto pasticcio che ha provocato il caos. Rimane il giallo su chi ha fatto circolare la bozza del decreto prima del dovuto. A scagionare del tutto la Regione Lombardia è la lettera inviata in serata al presidente Attilio Fontana da Jonathan Hawkins, vice presidente della Comunicazione Cnn International, il quale spiega che in merito alla polemica sull'anticipazione della bozza del Dpcm "la Cnn ha applicato i suoi rigorosi standard editoriali per verificare informazioni che erano già di pubblico dominio, sia sui siti italiani (tra cui il Corriere della Sera e La Repubblica) che sui media internazionali (tra cui Reuters e il New York Times)". Secondo quanto ricostruito da Il Fatto Quotidiano, il primo giornale a dare la notizia del blocco della Lombardia e di altre 14 regioni alle ore 20:12 di sabato è stato il Corriere.it - insieme a Open - con un articolo a firma di Fiorenza Sarzanini. Qualche minuto dopo il Corriere.it, la notizia del contenuto del decreto è stata pubblicata anche dagli altri principali quotidiani online, quindi è stata la volta delle agenzie di stampa, e dei quotidiani internazionali. Nella giornata di ieri, il Presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana ha annunciato di voler "presentare un esposto alla Procura perché mi sono rotto le scatole". Sul caso della bozza di decreto sul coronavirus anticipata da alcuni organi di stampa si muove anche il Codacons, che ha presentato oggi un esposto alla Procura della Repubblica di Roma. "Chiediamo alla magistratura di accertare chi ha diffuso agli organi di stampa la bozza di decreto, generando il caos tra i cittadini e portando a spostamenti di massa in treno, pullman e auto dal Nord al Sud Italia, indagando i responsabili per il reato di concorso in epidemia e disponendo nei loro confronti la misura dell’arresto in carcere". afferma il presidente Carlo Rienzi.
Jacopo Iacoboni per lastampa.it il 10 marzo 2020. Chiunque sia stato, sabato sera da Roma (non certo dalla regione Lombardia), a far uscire per primo la bozza del decreto del presidente del Consiglio che in sostanza metteva in quarantena il Nord, un fatto è certo: la cosa non è piaciuta per niente a Conte, e non è rimasta senza conseguenze. Il primo effetto della disastrosa vicenda è che, in un lunedì politicamente difficilissimo per Rocco Casalino, a Palazzo Chigi sono state ampliate sia pure in maniera informale le deleghe di Maria Chiara Ricciuti, la portavoce numero due, nella gestione della vicenda Coronavirus. Ricciuti resta il capo dell’ufficio stampa (in sostanza la vice di Casalino) ma tutti hanno notato ieri come lei abbia cominciato a muoversi con maggior autorità, nei rapporti con molti giornalisti, e sia ormai quasi più vicina al premier di quanto non lo sia Casalino stesso. Il che rende necessario capire bene chi sia, questa donna. E’ innegabile che abbia un ottimo rapporto con Conte, che si fida sempre più di lei. Maria Chiara Ricciuti è un personaggio fino a oggi rimasto molto sottotraccia, ma adesso potrebbe silenziosamente conquistare la posizione di persona più influente nella comunicazione del premier. Abruzzese di Miglianico, diplomata a Chieti, laureata in scienze della comunicazione alla Sapienza, figlia di un geometra, cominciò a lavorare per la politica con Pino Pisicchio, deputato dell’Italia dei Valori, il primo partito che usufruì della consulenza di Gianroberto Casaleggio – e un grande sifone nel reclutamento di personale nel mondo grillino. Ricciuti si è fatta notare innanzitutto perché, all’opposto di Casalino, ha lavorato senza concedersi mai la vanità del farsi notare, in questo senso davvero nell’ombra. Anche se ovviamente nel tempo è diventata sempre più conosciuta. Faceva parte del team stretto di Luigi Di Maio durante la campagna elettorale, assieme a Cristina Belotti, e per una certa fase ha anche curato i social network dell’allora capo politico M5S. Tutti guardavano alla Belotti, le cui mosse sono state più rumorose, e intanto a Palazzo Chigi ci è poi andata la Ricciuti. Da tempo Mariachiara è sempre più l’ombra di Conte e, ci informa il quotidiano “Il Centro”, quando è in giro per il mondo con Conte spedisce a casa, a papà Pantaleone, foto di Trump e degli altri leader del mondo visti da vicino. Lasciando stare il colore familiare, Gianluca De Feo su Repubblica raccontò invece un dettaglio interessante, che Ricciuti aveva esperienze speciali nella sua biografia: non tanto la laurea, semmai un lavoro, tra 2013 e 2014, a curare la comunicazione delle onlus di Igor Danilov, che fu a lungo il personaggio principale di Gazprom Media in Italia, un uomo che tra le sue tante attività aveva anche aperto una società di marketing digitale in Italia, e ha una serie di interessi legati alla cybersecurity. Danilov aveva anche un’associazione che, all’insegna del dialogo “bizantino”, gemellava comuni italiani e russi. Ricciuti diede una spiegazione abbastanza tesa a minimizzare di questo rapporto di lavoro: “Me lo presentò un'amica, una interprete dal russo che faceva traduzioni per lui. Sapevo del suo ruolo in Russia, ma sembrava avesse venduto le sue attività nei media. Io ho collaborato agli eventi sul dialogo culturale e la tradizione bizantina in diverse cittadine. Era un personaggio sempre pieno di idee, ma all'epoca non aveva interessi nella comunicazione e non si era dedicato a ricerche di quel tipo. Da anni non ne so più nulla”. La cosa non comparve nel suo curriculum, e lei spiegò così il perché: “Nel curriculum “si indicano solo gli incarichi importanti”. Siamo andati perciò a consultare il suo curriculum ufficiale: dove per tagliare la testa al toro non son menzionati incarichi tout court. Nulla. Come se fosse nata col Movimento 5 stelle. Fece un po’ di rumore anche il suo stipendio, quando venne fuori che Ricciuti guadagnava a palazzo Chigi 129.196mila euro lordi: soldi del tutto in linea con altre figure analoghe nel passato, sia chiaro, ma non proprio in linea coi predicozzi grillini sull’austerità e i soldi pubblici. Anche allora, però, tutto il fuoco delle polemiche se lo beccò Casalino. Ricciuti, curva sui dossier e abile a schivare ogni riflettore, ora marca davvero stretto il portavoce del premier.
Coronavirus, spostamenti e autocertificazione: ecco come funziona. In caso di esigenze lavorative, situazioni di necessità o motivi di salute è consentivo uscire dalle zone a contenimento rafforzato, ma è necessario compilare un modulo fornito anche dalla Pubblica sicurezza. Cristina Nadotti su La Repubblica il 09 marzo 2020. Il Decreto della presidenza del Consiglio emanato ieri prevede già per questa mattina il monitoraggio nelle “aree a contenimento rafforzato”, tra le quali l'intera Lombardia e altre 14 province di Piemonte, Emilia, Veneto, Marche e Piemonte: Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini in Emilia Romagna, Pesaro e Urbino nelle Marche, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli in Piemonte, Padova, Treviso e Venezia in Veneto. In queste zone ci sono limitazioni agli spostamenti ma non c’è un divieto assoluto come era per le zone rosse. Per spostarsi per «esigenze lavorative, situazioni di necessità o motivi di salute» è necessario presentare ai controlli certificazione che attesti il motivo per derogare alla direttiva di ridurre il più possibile il movimento da un'area all'altra (e con questo la diffusione del contagio). Le limitazioni riguardano le persone e non le merci. Chi si sposta per esigenze motivate potrà presentare ai controlli un'autocertificazione. Il modulo è stato messo a disposizione dal dipartimento di Pubblica sicurezza. Resta comunque il divieto assoluto a spostarsi, senza eccezioni, per le persone sottoposte a quarantena o positive al coronavirus. I controlli saranno eseguiti lungo le linee di comunicazione e le grandi infrastrutture dalla Polizia stradale e lungo la viabilità ordinaria anche dall’Arma dei carabinieri e dalle polizie locali. La Polizia ferroviaria curerà invece, con la collaborazione del personale delle Ferrovie dello Stato, delle autorità sanitarie e della Protezione civile, su tutte le linee ferroviarie controlli su tutti i passeggeri in entrata e uscita dalle stazioni per eseguire le verifiche sullo stato di salute dei viaggiatori con i termoscanner. Anche in stazione, come ai posti di blocco lungo le strade, per andare incontro ai cittadini che non hanno il modulo la Polizia ferroviaria fa compilare le certificazioni anche al momento all'apposito desk di controllo. Così come già avviato in precedenza, negli aeroporti saranno controllati i passeggeri in partenza e in arrivo e, anche in questo caso, sarà necessario esibire l'autocertificazione per muoversi dalle zone a contenimento rafforzato. Per i voli Schengen ed extra Schengen in partenza le autocertificazioni sono richieste solo per i residenti nelle “aree a contenimento rafforzato”; mentre in arrivo i passeggeri dovranno motivare lo scopo del viaggio.
Come è punita la violazione delle norme. Il decreto stabilisce che chi viola le prescrizioni è punito con l’arresto fino a tre mesi e l’ammenda fino a 206 euro, secondo quanto previsto dall’articolo 650 del codice penale sull’inosservanza di un provvedimento di un’autorità. Ma pene più gravi possono essere comminate per chi adotterà comportamenti, come ad esempio la fuga dalla quarantena per i positivi, che possono configurare il reato di delitto colposo contro la salute pubblica, reato che persegue tutte le condotte idonee a produrre un pericolo per la salute pubblica.
Chi viola i divieti rischia l’arresto. Ma per viaggiare basta autocertificarsi. Pubblicato domenica, 08 marzo 2020 su Corriere.it da Fiorenza Sarzanini. Una grande «zona di sicurezza» che comprende la Lombardia e 14 province e mira al «contenimento del contagio da coronavirus». Lo prevede il decreto del governo che libera le «zone rosse» del Lodigiano e del Padovano e fissa nuove regole per «evitare gli spostamenti». Un provvedimento che non blinda le zone ritenute a rischio ma di fatto divide in due l’Italia. Per tentare di fermare la corsa del Covid-19, scattano divieti in tutta la penisola e controlli affidati alle forze dell’ordine in porti, aeroporti e stazioni, dove saranno montati i termoscanner. Le verifiche all’interno di Comuni e Regione saranno invece «a campione» e dunque saranno i cittadini a dover dimostrare di avere necessità a varcare il confine della «zona di sicurezza» con un’autocertificazione. Per questo ieri sera la ministra Luciana Lamorgese — che ha istituito al Viminale una cabina di regia e ha convocato per oggi il comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza — ha emanato la direttiva per fissare «percorsi canalizzati» per i passeggeri, stabilire le regole per gli accertamenti e i criteri per chi violerà le norme. Per tutti coloro che saranno fermati e forniranno una giustificazione senza riscontro scatterà la denuncia per inosservanza del provvedimento dell’autorità, l’articolo 650 del Codice penale punito con l’arresto fino a tre mesi e l’ammenda fino a 206 euro. Si è però deciso di potenziare le possibili sanzioni contro chi viola le norme prevedendo «la contestazione di delitti colposi contro la salute pubblica». La «veridicità dell’autodichiarazione potrà essere verificata anche con successivi controlli» e la raccomandazione alle forze dell’ordine è quella di ammonire il cittadino a dire la verità, ma in caso di riscontro negativo si procederà alla cattura. Un rischio previsto anche per viola la quarantena. Il decreto mira al «contenimento del contagio nella Regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia». Per questo impone di «evitare ogni spostamento delle persone in entrata e uscita dai territori individuati e negli stessi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità per motivi di salute». È stato il comitato tecnico scientifico a suggerire la creazione di un’unica «area arancione» ritenendo che la «cinturazione» di sole due zone non fosse necessaria. E per questo è stato «consentito il rientro presso il domicilio, abitazione o residenza». La direttiva ai prefetti stabilisce che «la Polizia ferroviaria curerà, con la collaborazione del personale delle Ferrovie dello Stato, delle autorità sanitarie e della Protezione civile, la canalizzazione dei passeggeri in entrata e in uscita dalle stazioni al fine di consentire le verifiche speditive sullo stato di salute dei viaggiatori anche attraverso apparecchi “termoscan”». Al momento dell’ingresso nell’area viaggiatori «saranno attuati controlli sui passeggeri acquisendo le autodichiarazioni». Controlli serrati per chi vola da e per i luoghi della «zona di sicurezza». Il Viminale ha deciso che «negli aeroporti delle aree dei territori “a contenimento rafforzato”, i passeggeri in partenza saranno sottoposti al controllo, oltre che del possesso del titolo di viaggio, anche della prescritta autocertificazione. Analoghi controlli verranno effettuati nei voli in arrivo nelle predette aree. Restano esclusi i passeggeri in transito». Nuove regole anche per chi va all’estero: «Per i voli Schengen ed extra Schengen in partenza, le autocertificazioni saranno richieste unicamente per i residenti o domiciliati nei territori soggetti a limitazioni. Nei voli Schengen ed extra Schengen in arrivo, i passeggeri dovranno motivare lo scopo del viaggio all’atto dell’ingresso». Il controllo di chi viaggia in macchina o sui Tir «avverrà lungo le linee di comunicazione e le grandi infrastrutture del sistema dei trasporti». Sarà la polizia stradale «a vigilare sulla rete autostradale e sulla viabilità principale verificando le autodichiarazioni», mentre sulla «viabilità ordinaria» toccherà « all’Arma dei carabinieri e alle polizie municipali». Il decreto consente la libera circolazione delle merci e questo — è stato poi spiegato — è stato deciso «per non interrompere l’attività produttiva e quella commerciale». In pratica basterà dimostrare che ci si sposta per consegne e approvvigionamenti — anche di generi che non rientrano nelle categoria di “prima necessità” — e non ci sarà alcun obbligo di andare in quarantena anche se il transito è avvenuto nella «zona di sicurezza». Venezia è stata dichiarata «zona di sicurezza» dunque «i passeggeri delle navi di crociera non potranno sbarcare per visitare la città ma potranno transitare unicamente per rientrare nei luoghi di residenza o nei Paesi di provenienza». Nei porti vengono invece effettuate verifiche analoghe a quelle dei viaggiatori che utilizzano altri mezzi e dunque passando attraverso i «corridoi» prestabiliti. Le regole per le navi dove ci fosse una persona positiva sono state fissate dalla protezione civile e prevedono l’individuazione di quattro porti — Civitavecchia, Bari, Ancona e Ravenna — dove farle attraccare. La procedura prevede che i crocieristi siano sottoposti al triage prima dello sbarco e vengano poi divisi tra asintomatici da destinare alle caserme e sintomatici da trasferire in ospedale. I nuclei familiari non dovranno essere divisi e i turisti stranieri saranno subito rimpatriati. I divieti imposti al di fuori della «zona di sicurezza» impongono la sospensione di tutte le attività sportive e di quelle sociali nelle discoteche, nei pub e nelle sale giochi. «Alle persone anziane e agli immunodepressi viene raccomandato di uscire dalla propria abitazione se non nei casi di stretta necessità» e lo stesso «limite agli spostamenti vale per tutte le altre persone». È invece proibito entrare nelle sale di attesa degli ospedali «agli accompagnatori dei pazienti» mentre le visite a chi si trova nelle case di riposo e negli hospice devono essere effettuate soltanto «se autorizzate dalla direzione sanitaria». La lotta contro il tempo per battere il coronavirus si muove su tre linee precise e indispensabili: seguire le regole, mantenere le distanze, spostarsi soltanto in casi eccezionali.
«Niente blocchi per aziende e merci». Caos sui divieti, il governo rassicura. Pubblicato domenica, 08 marzo 2020 su Corriere.it da Enrico Marro. Il primo nel pomeriggio, quando una nota del ministero degli Esteri ha precisato che «le merci possono entrare ed uscire dai territori interessati. Il trasporto delle merci è considerato come un’esigenza lavorativa: il personale che conduce i mezzi di trasporto può quindi entrare e uscire dai territori interessati e spostarsi all’interno degli stessi, limitatamente alle esigenze di consegna o prelievo delle merci». Anche i lavoratori transfrontalieri, aggiunge la nota, «salvo che siano soggetti a quarantena o che siano risultati positivi al virus, potranno entrare e uscire dai territori interessati per raggiungere il posto di lavoro e tornare a casa». Poi in serata l’ordinanza della Protezione civile: i vincoli del dpcm Conte non si applicano al trasporto merci «da» e «per» la zona arancione e non sono vietati gli spostamenti alle persone fisiche per motivi di lavoro, di salute e di necessità. Un altro segnale di normalità sarà l’apertura come sempre della Borsa, questa mattina, anche se le attese sono negative e comunque di forte volatilità dei listini. Sul fronte dei consumi, «nei supermercati per il momento i rifornimenti ci sono», assicura Esselunga, e Confcommercio parla di «forniture alimentari regolari». L’Assolombarda ha diffuso una nota per le imprese delle province di Milano, Monza Brianza e Lodi, con dettagli pratici sul trasporto merci: gli autisti non possono scendere dai mezzi e devono indossare mascherine e guanti monouso. Se «il carico/scarico richiede la discesa dal mezzo deve essere mantenuta la distanza di sicurezza (1 metro)» e la documentazione di trasporto va «trasmessa in via telematica». Secondo la prefettura di Alessandria, i datori di lavoro, per facilitare i controlli delle forze di polizia, dovrebbero fornire ai dipendenti un’attestazione o un documento (tessera o simili) che comprovi il rapporto di lavoro. Oggi il banco di prova.
"Ho noleggiato un'auto, poi...". La fuga già finita di Capuozzo. La città meneghina vincerà questa guerra attenendosi alle regole, bloccando il contagio. E lo si può fare solo evitando di muoversi. Il racconto di Capuozzo. Michele Di Lollo, Lunedì 09/03/2020, su Il Giornale. Quello che è successo ieri, l’assalto ai treni e alle autostrade, la fuga da Milano, aiutata dalla disastrosa comunicazione di un decreto, è comprensibile, ma ingiusto. Da questa guerra si esce solo bloccando il contagio. E lo si può fare solo evitando di muoversi. Toni Capuozzo continua il suo diario giornaliero da una Milano capitale del coronavirus. Scrive come ormai ogni giorno il suo post su Facebook. Un consiglio di famiglia - una famiglia in cui lui è il fragile, perché immunodepresso e vecchio - gli ha affettuosamente suggerito di andarsene, perché, non è di grande aiuto e può diventare un peso. Lo hanno aiutato a prenotare un’auto per tornarmene nel suo Friuli, contando sul fatto che un tesserino di giornalista e una lunga storia di posti di blocco evitati lo avrebbe aiutato a farlo. "Sono andato all’autonoleggio, e l’impiegata mi ha raccontato dell’assalto della notte. Ho pensato a un incontro che non ho visto, domenica mattina, nel territorio neutro dell’Idroscalo, tra la mia nipotina e suo papà: credo che lei non lo vedesse da una settimana, o più: è medico in terapia intensiva". Si sono guardati da lontano, senza sfiorarsi. "Mia figlia mi ha detto che forse è meglio se davanti alla bambina ci mettiamo tutti le mascherine, così si abitua, e non trova troppo strano quel padre, quando potrà rivederlo. Ho pensato di non essere io quello fragile, e ho deciso di restare. Ho noleggiato l’auto, per sentirmi libero di farlo in qualunque momento, e per girare come con uno scafandro la città che non avevo mai sentito così mia fino a quel momento". Ha posteggiato sotto casa, Capuozzo. Sperando che i vigili abbiano altro cui pensare. C’è abituato: è una piccola Sarajevo senza gloria, questa, è solo un posto dove le ambulanze non arrivano più sotto casa in quindici minuti ma in più di un’ora: hanno troppo da fare. Capuozzo ha una piccola, balzana proposta da fare al sindaco Sala. Il prossimo 7 dicembre riunisca tutta la città a San Siro o in un posto più grande. “Siamo gente che non ha ascoltato i nostri vecchi, che non sa che cos’è una guerra, e forse per questo immaginava fuggito da una guerra chiunque cercasse solo un futuro migliore. Siamo gente che ha pensato di essere street fighter con un tatuaggio, o una rissa in discoteca. Siamo gente che non poteva non essere promossa e non poteva fare compiti troppo gravosi. Siamo gente che predica la solidarietà e accumula seconde case, che ama la globalizzazione e paga un filippino che gli pulisca casa. Diciamo prima gli italiani, ma intendiamo dire prima noi stessi. Scambiamo le appartenenze politiche per ideali, e le liti da reality per passioni: ci colleghiamo con la Casa, quanti milanesi se ne sono andati? Siamo gente che pensa che resistere sia far finta di niente, aperitivi o mostre”. E dunque il sindaco Sala dovrebbe, il prossimo Sant’Ambrogio, dare un simbolico ambrogino. Di latta o di bronzo, a tutti quelli restati, per amore, per forza, per dovere, per pigrizia, perché non avevano dove andare, perché non hanno avuto il tempo di decidere. "È ovvio, prima i medici e gli infermieri, gente cui abbiamo lasciato il terribile compito di decidere chi salvare e chi non ce la facciamo. Poi gli altri, tutti quelli restati in una città senza rumore, come se avesse messo le pantofole dei vecchi, addio a scarpe da jogging e tacchi, suole da manager o anfibi da rapper. Tutti quelli che non sapevano dove andare, e sono andati a dormire. Tutti quelli che avranno superato un virus che in fondo era poco più di un’influenza. Tutte le mamme e i papà, e i single. Tutti gli anziani, e specie quelli soli, e specie quelli che sanno che troveranno il tutto occupato in sala di terapia, non si prenota come usava nei ristoranti ora vuoti e chiusi. Premiati con quella onorificenza che io ho ricevuto e non è bastata a farmi sentire milanese, allora". Dovrebbero essere premiati non perché abbiano fatto qualcosa di speciale. Solo perché non hanno fatto associare, in giro per l’Italia, la parola "milanese" al sospetto, al fastidio, alla preoccupazione, al ganassa invadente. "Ieri mattina sull’Idroscalo splendeva un sole prepotente, incurante degli umori. Da Linate, lì a fianco, decollava un aereo all’ora, o meno. Il cielo era lucido, e la trasparenza rivelava l’arco delle montagne. È un paradosso struggente che nella Milano con l’aria migliorata si possa morire perché manca l’ossigeno".
Coronavirus, la lunga notte del tassista: “Non erano clienti, ma persone in fuga da Milano”. Le Iene News l'8 marzo 2020. Stazioni e treni assaltati, persone che hanno abbandonato in fretta e furia Milano e la Lombardia. C’è chi ha vissuto in prima linea il panico della notte più lunga dell’emergenza del coronavirus. A Iene.it parla un tassista in servizio nelle ore precedenti alla firma del nuovo decreto che impone divieti e allarga la zona rossa nel Nord Italia. Stazioni invase da centinaia di persone, treni assaltati per fuggire dai nuovi divieti per contenere i contagi da coronavirus. La firma del nuovo decreto che blinda per un mese la Lombardia e 14 province di Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto è stata attesa con la fuga da Milano e dalle grandi città lombarde. C’è chi è testimone diretto della notte più lunga delle ultime due settimane da quando è scoppiata l’epidemia. Non sono stati assaltati solo treni e mezzi pubblici, ma anche i taxi. Tra loro c’è chi ha contattato Iene.it per raccontare quelle ore di servizio. “Sono le 17 di sabato, quando sto per iniziare il turno in centro a Milano. Tra i colleghi girano voci di clienti che prendono il taxi anche per lunghe percorrenze, c’è chi addirittura si è fatto portare fino a Roma”, racconta il nostro tassista che preferisce mantenere l’anonimato. Ma quelle voci sono solo l’inizio del panico generale che è scattato poche ore dopo. Attorno alle 21.30 le strade vengono invase da persone che hanno al seguito i loro trolley. Da pochi minuti è trapelata la bozza del decreto che in nottata verrà firmata dal premier Giuseppe Conte. Prevede l’estensione della zona rossa a tutta la Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia. Il governo dispone infatti il "vincolo di evitare in modo assoluto ogni spostamento in entrata e in uscita e anche all'interno dei medesimi territori". Ci si muoverà solo per “comprovate esigenze lavorative”, “situazioni di necessità” e “spostamenti per motivi di salute”. Per le strade e stazioni milanesi è il panico. “Attorno alle 22, due ragazze mi chiedono di accompagnarle alla stazione di Lampugnano. Avrebbero preso un Flixbus, uno di quegli autobus per lunghe tratte, per Firenze”, racconta il nostro tassista. Finito questo giro deve ripetere lo stesso itinerario. “Inizio a capire che questi non sono normali clienti, ma persone che scappano dalla città. Un altro mi chiede di portarlo alla stazione di Lampugnano perché sta per incontrarsi con i genitori. Nel frattempo un collega accompagna altre persone a Linate perché sarebbero partite per l’Abruzzo”. Più passano i minuti più la situazione degenera. C’è chi ai treni a lunga percorrenza e agli autobus preferisce il taxi. All’una di notte un altro ragazzo si rivolge per le vie del centro al nostro tassista. Destinazione: Torino, vuole andare dalla fidanzata. “Aveva la mascherina. Siamo partiti e in un’ora e mezza l’ho riportato a casa”. Da lì ha ripercorso lo stesso tragitto in senso opposto. In mezzo ha fatto tappa in autogrill per un caffé e alle 4 ha finito il turno. “Da due settimane i turisti sono completamente spariti. Abbiamo fatturato solo il 30% che facciamo normalmente, solo grazie a chi viaggia per lavoro”, racconta. E ora anche lui ha paura di questi nuovi divieti: “Immagino che il lavoro si fermi ancora di più. Spero che si ricordino di noi partite Iva alla fine di questa emergenza”.
Nicole Cavazzuti per “il Messaggero” il 9 marzo 2020. È già stata soprannominata la notte della fuga da Milano. Altro che Milano da bere e capitale della night life. Priva di traffico di giorno e deserta di notte, da quando è esplosa l'emergenza coronavirus il capoluogo lombardo ricorda piuttosto un triste paesino del Far West. Con tanto di gente pronta a tutto per andarsene dopo che le misure per contenere la diffusione dell'epidemia sono state inasprite. E se negli ultimi giorni si erano già intensificate le partenze, dopo che la bozza del decreto è stata diffusa dai giornali sabato sera, la situazione è precipitata. Dalle 21.30 la Stazione Garibaldi è stata invasa da centinaia di persone intenzionate a lasciare la città prima che scattasse il divieto di entrare e uscire dalla Lombardia. E molte hanno preso l'ultimo treno per Salerno, quello delle 22, partito carico come un carro di bestiame con numerosi viaggiatori privi di biglietto, disposti a pagare la multa pur di non perdere l'occasione di fuggire. Poi, una volta chiusa la Stazione Garibaldi, gli ultimi fuggiaschi sono andati in Centrale, dove poco dopo le 5 partono i primi treni per tutta Italia. E dove, fin dalle 2 del mattino e nonostante i cancelli ancora serrati, si è formato un gruppetto (inizialmente sparuto, via via sempre più folto) di gente decisa ad andarsene prima dell'entrata in vigore dell'ordinanza. Determinata, a prescindere dalla situazione personale e dalle possibili conseguenze a livello sociale. Qualcuno con la mascherina, la maggioranza senza. A un certo punto un elegante signore anziano a passeggio con il cane al guinzaglio ha notato l'assembramento e si è avvicinato con aria perplessa. «Sciagurati! Siamo un popolo di furbetti privo di senso civico, che antepone il proprio tornaconto personale al bene collettivo», ha sibilato con un chiaro accento milanese. «Queste persone possono diffondere il virus tra parenti e amici e vanificare così in buona parte i sacrifici di un'intera regione. Diamine! Non ci vuole un virologo per prevedere che i casi di contagio si moltiplicheranno nei prossimi giorni. E non solo in Lombardia, ovunque», ha aggiunto con tono secco prima di voltare le spalle sdegnato. Che dire? In effetti se tra chi ha lasciato la città all'alba non mancavano turisti stranieri e italiani residenti altrove, persone insomma motivate da un reale bisogno di raggiungere la propria casa, molti dei presenti in Centrale erano invece lavoratori e studenti fuori sede che un tetto dove dormire l'avevano. È il caso di una coppia di ragazzi liguri, per esempio. «Non mi sono posta il problema che possa contagiare i miei parenti o i miei amici. Semplicemente, ho deciso di tornare a casa prima che Milano venisse blindata», ha ammesso lei. Meno sconsiderato Davide Rasconi, un giovane di Ferrara nel capoluogo lombardo per lavoro: «Quando è stata divulgata la bozza del nuovo decreto, a Milano è scoppiato il panico. In una situazione così incerta e caotica, chi ha potuto ha fatto armi e bagagli e si è affrettato a partire», ha raccontato. E ancora: «Sono conscio che questi esodi di massa contribuiranno a incrementare la diffusione del virus. È stato un errore diffondere quella bozza, ma quando sai che potresti rimanere bloccato beh, come fai a restare? Corro un rischio, ma appena arrivato visiterò la guardia medica». Lo abbiamo chiamato qualche ora dopo: risultato negativo al controllo, Davide nel pomeriggio di ieri era a spasso per le vie del centro di Ferrara. «Il mio treno non era affollato e nemmeno sugli altri binari c'era tantissima gente. Chi voleva partire era già partito ormai». In questo fuggi fuggi generale, c'è stata pure una fanciulla che ha abbandonato il capoluogo lombardo per raggiungere Roma in taxi! Costo della corsa? Appena 1200 euro.
(ANSA il 9 marzo 2020) - I carabinieri hanno denunciato due giovani di 20 e 25 anni, provenienti da Parma, che stavano andando all'aeroporto Marconi di Bologna per prendere un aereo per Madrid, violando così l'area interessata dalle misure del dpcm per limitare il contagio da coronavirus. Durante un controllo stradale, alla richiesta di specificare il motivo per cui si trovavano fuori dalla loro provincia hanno risposto che stavano andando all'aeroporto per partire per viaggio di piacere. Entrambi sono stati denunciati.
Negramaro, Sangiorgi: la mia canzone per fermare chi scappa. Pubblicato domenica, 08 marzo 2020 da Corriere.it. Ecco il post che Giuliano Sangiorgi, frontman dei Negramaro, ha pubblicato domenica 8 marzo sui social per invitare i fan a restare a casa. Che prima o poi l’emergenza finirà. «Le immagini di tutte quelle persone che ieri scappavano da Milano e assalivano l’ultimo treno che li avrebbe riportati a casa, dai propri affetti, sono ancora impresse nella mia mente... Cucino il ragù della domenica, fingo che sia tutto normale , come sempre. Giro e rigiro quel sugo, che Stella ama tanto. Smetto, lo faccio riposare e penso che ho del tempo per mettere nero su bianco i miei pensieri e, magari, ho il tempo pure di cantarli, prima di riprendere la cura del mio ragù. Sento che è giusto condividere queste parole nuove con voi, scritte per voi, per me... per capire o per cercare almeno di farlo. La musica, tante volte, mi ha aiutato a comprendere, a comprendermi. Tante canzoni, quelle rimaste nel cassetto, ma vi assicuro, mi hanno aiutato tanto, anche senza essere pubblicate, senza essere dei successi. Questa no, voglio dedicarvela, per annullare le distanze e per sentirvi in questa stanza tutti. Torno al mio ragù e vi aspetto, aspetto che tutto torni a girare nel senso giusto come questo mio ragù, come questa mia canzone... Restiamo a casa. Sono giorni che ci penso... Vorrei incontrarti, ma non si può. Sono ore, lunghe ore passate solo ad aspettare che qualcuno sappia dire qualcosa che faccia sperare, che questa maledetta storia sia sul punto di finire e insieme, finalmente, noi domani torneremo a uscire A incontrarci per le strade come un tempo in un locale, con un sogno e una birra in mano e una strana gioia, qui, nel cuore, che è difficile da capire perché sembra sia normale #. Ma da questi giorni qui tutto sarà un po’ speciale. E intanto noi restiamo a casa, così... In quel cassetto ho molti libri e un bel film Facciamo finta che là fuori piove e che quel sole tarda ad arrivare Ma è solo tempo da rispettare. Che dici potremmo fare l’amore? Approfittiamone per ricordare quanto è importante la vita insieme. È poco tempo! C’è solo da aspettare! Ti giuro torneremo a fare l’amore... Per ora resta casa qui con me. Per ora resta a casa. Fallo per te e per me E per noi!»
Fuga da Milano, centinaia in stazione per andare via prima che sia zona rossa. Redazione de Il Riformista l'8 Marzo 2020. Alcune centinaia di persone si sono recate nei pomeriggio e in serata alla stazione di Milano per “scappare” in vista dell’approvazione del decreto sulla zona rossa. Le persone, in barba all’appello alla responsabilità lanciato da tutte le autorità nazionali, per il timore di ritrovarsi improvvisamente bloccati in città con l’estensione della zona rossa, stanno provando a prendere treni ed “evadere” da Milano e dalla Lombardia. La stazione centrale del capoluogo lombardo e la stazione di Porta Garibaldi sono state prese d’assalto da centinaia di persone per gli ultimi treni della sera soprattutto in direzione Roma e Sud Italia. A generare il caos è senz’altro il decreto del governo e la bozza trapelata nelle scorse ore che ha generato caos e polemiche. Infatti delle decisioni così drastiche, probabilmente, non andavano comunicate in questo modo ma a cose fatte per evitare isterismi collettivi. Intanto il rischio maggiore è che queste persone in fuga possano allargare il contagio.
IL DECRETO – Il Dpcm firmato nella notte mette nell’area off limits Lombardia e 14 altre province di Piemonte, Emilia Romagna, Marche. Nella zona rossa entra infatti Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Asti, Alessandria, Novara, Vercelli e Verbano Cusio Ossola, tre province in più rispetto alla bozza iniziata a circolare già nella serata di sabato. Il totale di residenti interessati dal decreto supera i 16 milioni. Il decreto non prevede un “divieto assoluto”, come spiegato dallo stesso Giuseppe Conte in una conferenza stampa convocata alle 2 di notte. “Non si ferma tutto”, aggiunge il premier, treni e aerei saranno ancora disponibili ma sarà possibile muoversi solo per comprovate esigenze lavorative o per emergenze e motivi di salute. A far rispettare l’ordinanza ci penseranno le forze dell’ordine, che potranno fermare i cittadini e chiedere loro perché si stiano spostando nei territori della zona rossa. Per le aree in quarantena sono stati adottati provvedimenti estremi: da evitare lo spostamento delle persone in entrata e uscita dai territori in ‘zona rossa’, salvo se per per comprovate esigenze lavorative o per emergenze e motivi di salute; divieto assoluto di mobilità per le persone in quarantena; in caso di di infezioni respiratorie o febbre superiore a 37.5° è fortemente raccomandato di restare a casa e limitare i contatti; sospesi eventi e eventi e competizioni sportive, con l’eccezione per atleti professionisti e di categoria assoluta, purché le attività si svolgano a porte chiuse; chiusi gli impianti sciistici; chiusi cinema, teatri, pub, sale scommesse, discoteche; chiuse anche le scuole e università, che potranno continuare le attività con la didattica a distanza; chiusi musei e istituti culturali; sospese le cerimonie civili e religiose, compresi i funerali; le attività di ristorazione e bar sono consentite dalle 6 alle 18 sempre nel rispetto della regola della distanza di almeno un metro fra le persone.
Appello di un napoletano che lavora a Milano: “Restiamo qui, non portiamo il Coronavirus dai nostri genitori”. Redazione de Il Riformista l'8 Marzo 2020. Nella psicosi collettiva che ha colpito ieri sera il Nord Italia, con centinaia di persone che hanno raggiunto la stazione centrale di Milano per prendere il primo treno e fare ritorno nel Mezzogiorno, c’è chi mantiene la lucidità. ‘Il Riformista’ ha raccolto infatti l’appello di Luigi, napoletano di 37 anni residente nel capoluogo lombardo, che non si è fatto prendere dal panico dopo la pubblicazione della bozza del decreto, poi firmato e pubblicato nella notte dal governo Conte, che istituisce misure stringenti per fronteggiare il Coronavirus in tutta la Lombardia e in 14 province tra Piemonte, Emilia Romagna, Veneto e Marche. “Sono un uomo napoletano di 37 anni. Vivo a Milano con mia moglie dal 2014. Per necessità, certo. Ma anche per scelta, non devo e non posso nasconderlo. Chiedo a tutti i miei contatti che sono più o meno nelle mie stesse condizioni di fare come me e restare in questi giorni a Milano”, spiega Luigi. “Evitando tutti gli strascichi polemici, ritengo sia un atto di responsabilità – continua il suo appello – Io non so se ho il CoronaVirus, ma so che alla mia età e con le mie condizioni di salute, se dovessi contrarlo potrei combatterlo. E so che se ormai ce l’ho, non voglio rischiare di contagiare mia madre o i miei suoceri, da cui inevitabilmente andrei se decidessi di tornare a Napoli. E so anche che non vorrei gravare ulteriormente su una sanità che, seppur resistente e forte, non ha di certo bisogno di ulteriori pesi”. Infine l’appello finale: “Fermiamoci e pensiamo, prima di farci prendere dal panico. È un atto di responsabilità”.
Coronavirus, la testimonianza: «Io, scappato con BlaBlaCar dalla Lombardia: avevo paura». Parla uno studente universitario pugliese fuggiasco: «Non mi giudicate, ho agito di pancia». Graziana Capurso su La Repubblica il 09 Marzo 2020. «Non giudicatemi, ho avuto paura». Francesco (nome di fantasia) studente universitario pugliese, da anni a Monza, vuole restare anonimo. Sa di aver sbagliato. Di aver agito di pancia e che qui, se dovessero scoprirlo, lo metterebbero alla gogna. Ma proprio non ce l'ha fatta a restare fermo nella sua stanza in affitto. È uno dei «fuggiaschi», che durante l’altra notte ha abbandonato la Lombardia dopo la fuga di notizie riguardanti il decreto governativo che istituiva in tutta la Regione la «zona rossa» per frenare il contagio da coronavirus. «Lo so, è imperdonabile ciò che ho fatto. Me ne vergogno anche. Non prendetemi per un furbo. Anzi, mettetevi nei miei panni». «Il panico - prosegue - è scattato all'improvviso e l'unica cosa cui pensavo era cercare un modo per poter ritornare dai miei genitori». Da lì la ricerca di un posto in treno. «Ho pensato di scendere da Milano Centrale, ma vista la calca ho capito che la soluzione migliore era un viaggio in auto». I controlli in autostrada sono differenti e sfruttando l’incertezza legislativa in cui si trovava l’Italia durante la notte, Francesco ha bloccato un posto con Blablacar ed è «sceso» indisturbato. Mentre frotte di fuorisede si sono riversati in stazione e sui bus per avviare il controesodo degli «impauriti», lui all'alba era già a casa con il suo trolley. «È irrazionale la paura, so che potrei mettere a rischio i miei cari, ma giuro che non mi muoverò di casa. Resterò in quarantena anche oltre il necessario, se serve. Non ho febbre. Non ho nulla. L'importante per me è avere vicino mia mamma e poterla guardare negli occhi e non attraverso una videochiamata sul cellulare».
Coronavirus, studentessa di ritorno da Milano: "La quarantena? Meglio a Napoli". La Repubblica Tv il 9 marzo 2020. Napoli, arrivano i passeggeri in fuga dal Nord nella Stazione centrale. "Sicuramente ci aspetterà un periodo di quarantena ma meglio a casa di altrove" dice una studentessa del treno proveniente da Milano ed arrivato questa mattina nel capoluogo campano dopo esser stato bloccato per diverso tempo all'altezza di Villa Literno . "Sicuramente - prosegue - rispetteremo quanto previsto dal decreto, staremo a casa e faremo quello che è giusto. Io già sarei dovuta partire, ho solo anticipato un di qualche ora la partenza. Siamo tutte studentesse ed è chiaro che essendo sole e studiando in un'altra città abbiamo preferito tutte tornare a casa per fare lì la quarantena e non essere sole. Il treno non è affollato come si crede".
Fuga dal Nord per il Coronavirus, calabrese lancia #IoNonTornoAlSud: “Lasciate le valigie vuote, il Sud ci ringrazierà”. Rossella Grasso de Il Riformista il 9 Marzo 2020. “Chi l’avrebbe mai detto? Eppure è così. Questa volta l’unico modo per aiutare la nostra terra è non tornare”. Inizia così il commuovente appello sui social di Rosanna Grano, giovane calabrese fuori sede, che poi è diventato anche una petizione su Change.org. Un messaggio rivolto a chi, come lei, vive lontano da casa e che dopo i decreti restrittivi per arginare l’epidemia di coronavirus è stato preso subito dalla tentazione di fuggire, di tornare a casa. Di tornare al Sud. Ma Rosanna chiede a chi come lei è migrato lontano da casa a restare lì dove sono. E lancia l’hashtag per sensibilizzare tutti a non foralo e per condividere questo sforzo. “Mandateci gli scatti delle vostre valige vuote e chiuse con l’hashtag #IoNonTornoAlSud #NoiNonTorniamoAlSud”. “Siamo quelli degli abbracci, dell’accoglienza, dell’ospitalità – continua l’appello – Siamo quelli del sole e del mare, del cibo buono e dell’aria pulita. Siamo quelli che hanno preso in mano una valigia, ci hanno chiuso dentro speranze, ambizioni, scelte dolorose e cuori impavidi nonostante le circostanze, e sono partiti”. Quello che racconta Rosanna è la condizione di tantissimi ragazzi che sono partiti in cerca di un futuro migliore e adesso si ritrovano costretti a non poter tornare a casa. “Ci siamo messi alla ricerca di un posto che potessimo chiamare casa, anche se casa non sarebbe mai stato perché casa è una sola – si legge nell’appello di Rosanna – Abbiamo condiviso spazi comuni con coinquilini improbabili, abbiamo imparato a muoverci in città con i tram, le metro, gli autobus (e non “pullman”, come li avevamo sempre chiamati prima). Abbiamo fatto da Cicerone agli amici e ai parenti che ci venivano a trovare, sentendoci più grandi e più indipendenti. Salvo poi ammettere a noi stessi di sentirci un po’ soli la domenica, quando i pranzi in famiglia ce li facevamo raccontare al telefono o con i video su WhatsApp”. “Siamo sempre noi, quelli che hanno affollato le università dell’Italia e del mondo con schiere di parenti e amici, tutti arrivati per festeggiare i nostri successi. Per dirci che sì, i nostri e i loro sacrifici erano valsi a qualcosa. I sacrifici, nostri e loro. Anche per loro, genitori, nonni, parenti vari, non sarà stato semplice accettare la distanza. Eppure, ci hanno sostenuto, moralmente ed economicamente. Ci hanno inviato senza sosta negli anni gli ormai famosi pacchi da giù, riserve di cibo per loro, testimonianza di amore per noi”. “Siamo lontani, alcuni di noi anche da molti anni. E sentiamo sempre, ancora, che la nostra casa è "gggiù". Sarà sempre così. Però adesso non è il momento di farsi prendere dalla malinconia di casa, dalla paura di non poter tornare, dal bisogno di stringere forte le persone che amiamo di più. Un nostro abbraccio ora non è un gesto d’amore. Tutt’altro. Non avere la febbre, sentirci in salute, non tossire, credere di non essere mai entrati in contatto con persone affette da coronavirus, non è sufficiente per dire di non essere stati contagiati”. “Dobbiamo essere responsabili. Potremmo essere noi, giovani, sani, e sconsiderati, il veicolo del contagio. Serve un atto di responsabilità. Nei confronti di chi amiamo, nei confronti di chi ci ha sempre sostenuto e ci ha permesso di diventare grandi e indipendenti altrove. Il tempo e le circostanze ci chiedono di fare un grande atto di coraggio e di responsabilità. Forse il più forte atto di coraggio e di responsabilità che siamo mai stati chiamati a fare nei confronti della società e poi anche delle nostre piccole grandi comunità che dal Sud ci portiamo dentro ovunque nel mondo”. “Non torniamo a casa, non ora. Diamo una speranza alla nostra terra, alle persone che amiamo, all’Italia intera di uscire da questa emergenza. Fermiamoci un attimo. Ritorniamo ad avere lucidità e pazienza. Torneremo a casa quando potremo. Come abbiamo sempre fatto. Teniamo vuote e chiuse le nostre valige, conserviamole. Nessun panico: siamo tutti insieme. Seguiamo le indicazioni del Ministero della Salute, rispettiamo i divieti. Diamo un segnale di ringraziamento anche alle città e ai posti che ci hanno accolto e sono diventati la nostra seconda casa. Per un giorno, un anno o una vita. Abbiamo ogni strumento per non sentirci soli. C’è internet, ci sono i telefoni, le serie tv, le foto, le dirette, le storie. E ci sono i social. Raccontiamolo questo sforzo. Il Sud ci ringrazierà”.
Coronavirus, il post di Katya è virale: “Caro papà, ti amo talmente tanto che resto qui”. Pubblicato da Redazione Blitz il 10 Marzo 2020. “Caro papà, ti amo talmente tanto che resto qui”. Con questo messaggio condiviso su Facebook, Katya Imbalzano, calabrese residente in Lombardia, ha commosso il web. In piena emergenza coronavirus, mentre i suoi concittadini, presi dal panico per il decreto che blindava la Lombardia scappavano e prendevano d’assalto i treni per il Sud, Katya ha deciso di restare a casa per scongiurare eventuali rischi di contagio. La stessa decisione che 48 ore dopo il premier Giuseppe Conte ha esteso all’Italia intera. Il suo post, così carico di senso civico e rispetto, è diventato così virale: oltre 3omila like e altrettante condivisioni. Queste le parole che Katya ha rivolto al suo papà, che vive a Reggio Calabria: “Caro papà, in queste ore tutti stanno scappando da Milano per raggiungere i loro cari giù. Io non l’ ho fatto. Non pensare che non ti ami…ti amo talmente tanto che ho deciso di starti lontana. Mi dici che stai bene e stai prendendo tutte le precauzioni necessarie… e va bene così…. Ti amo a distanza”.
I pugliesi restano a Milano per tutelare le famiglie, i nonni commossi sul web: “Vi vogliamo bene”. Redazione de Il Riformista il 9 Marzo 2020. Da Foggia a Lecce sono tanti i fuori sede che sono tornati a casa in Puglia approfittando della manciata di minuti prima dell’avvio del decreto coronavirus. Ma sono anche molto numerosi quelli che hanno deciso di non muoversi dalle zone rosse. Una scelta sofferta ma fatta con grande responsabilità. Studenti e lavoratori hanno deciso di rimanere dove si trovavano al dine di “tutelare la salute dei propri cari”. Sui social girano commenti di ogni tipo, tra gli insulti a chi ha deciso di partire e gli “io resto” di chi ha lasciato la valigia nell’armadio. E i nonni non sono rimasti in silenzio e hanno affidato ai social i loro ringraziamenti: “Vi vogliamo bene e , state certi, quando il Coronavirus resterà soltanto un brutto ricordo, nei nostri cuori ci sarà spazio anche per il bel ricordo delle vostre azioni razionali e responsabili. Quando tutto sarà finito vi aspetteremo qui a braccia aperte”. Intanto sono 2.545 le persone che hanno compilato il modulo di autosegnalazione online per dichiarare di essere rientrate in Puglia da Lombardia e province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro, Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treciso e Venezia. Dal 29 febbraio sono 9.362 i moduli di autosegnalazione per dichiarare di essere ritornati in Puglia.
Io resto al nord perché amo il sud. Redazione de La Voce di Maruggio il 9 Marzo 2020. Io resto al nord perché amo il sud!!! Sono delle parole semplici e contraddittorie tra di loro ma rafforzano un principio di responsabilità e amore per la propria terra, ad esplicitarle è Salvatore Cosma originario di Avetrana ma da 15 anni ormai residente a Reggio Emilia che costituisce una delle province dell’Emilia Romagna delimitata come zona rossa in quanto presenti diversi casi di infezione da corona virus. A seguito della bozza di decreto ministeriale fatta circolare sabato sera in Lombardia è avvenuto il finimondo … Treni, autobus e caselli presi d’assalto per ritornare al sud incuranti di poter diffondere il virus anche al sud. “Io ho fatto mio l’hashtag” io resto al nord perché amo il sud,” perché ritengo che ci siano tanti modi per amare il sud, la propria famiglia di origine ed i conterranei” afferma Cosma, ” per questi motivi resto al nord, continuo la mia vita con tutte le accortezze e restrizioni del caso al fianco della mia famiglia e ogni tanto tiro un sospiro pensando alla mia famiglia di origine al dover rinunciare di rivederli al compleanno imminente del mio piccolo e penso tra me e me… prima la salute”. “Teniamo duro” – sentenzia Cosma – “applichiamo a mena dito tutte le accortezze e prima o poi ne usciremo, lontano dal sud e con la Puglia ed Avetrana nel cuore” .
Coronavirus, fuga da Milano: io non sono partita, ma non condannate chi lo ha fatto. Federica Rana il 09/03/2020 su Notizie.it. "Ho scelto di rimanere a Milano, ma non me la sento di erigermi su un piedistallo e puntare il dito contro chi è andato via". La testimonianza di un'insegnante fuorisede. Detesto il momento in cui arrivo in classe e mi tocca fare il solito predicozzo moralistico. Magari stavolta avranno copiato da Wikipedia, non avranno rispettato i termini di consegna oppure si saranno comportati in modo ingiusto con i loro compagni. Eppure, profondo respiro mentre varco la soglia, e giù con l’importanza dell’autorialità, con il mondo lì fuori che non aspetta noi, con “la nostra libertà finisce quando inizia quella degli altri”. È il mio dovere, sono una docente, giovane e comprensiva, ma su certe questioni non si può proprio scendere a compromessi. Noi dobbiamo formare dei cittadini. Adesso, però, non posso vestire i panni della docente. Non so nulla sul Covid-19 e mi attengo a quello che la comunità scientifica e lo Stato mi impongono di fare. Non me la sento di fare pistolotti moralistici a nessuno.
La fuga da Milano nella notte di sabato 7 marzo. Sabato sera il tempo sembrava scorrere lentissimo e mai avrei creduto di vivere una situazione del genere a Milano, la città europea e superconnessa dove ho deciso di vivere. Ho avuto paura e pensato di fare la valigia e andare via. Ho pensato anche a tutta la leggerezza con cui, spiegando della peste del Trecento, solitamente parlo di epidemie, carestie e calo demografico come fenomeni ovviamente connessi. Ho scritto ai miei, dicendo loro che avevo paura, e pianto al telefono con le mie sorelle. No, non sono una cittadina modello. Non sono rimasta a Milano perché le sono riconoscente, perché ho in mente solo il bene della collettività ed è la luce che illumina la mia via. Sono rimasta a Milano perché ho paura per i miei cari, per la mia città e per la comunità, ma anche perché a Milano c’è ormai casa mia, i miei libri e il mio lavoro, perché voglio continuare a inviare le audiolezioni ai miei ragazzi per sentirmi viva, perché non voglio fare la profuga per chissà quanto, perché avevo paura di prendere un treno o un aereo andando a casa tanto quanto di contrarre il virus a Milano, perché non voglio essere stigmatizzata, proprio lì, nel mio Sud.
Il ritorno al Sud e l’impatto sulla comunità. Credo che chi sia partito sia da condannare. La morale e l’etica ci impongono di rimanere qui, di evitare il contagio, di essere maturi e prenderci le nostre responsabilità, anche lontano dai nostri cari. Sarò un’irresponsabile, ma allo stesso tempo non me la sento di erigermi su un piedistallo e puntare il dito contro chi è andato via. Forse il mio è solo il frutto ingenuo della non piena competenza in campo scientifico, virologico e sanitario. Tuttavia, quella paura non l’ho ancora lavata via e non me la sento, umanamente, di presentarmi come modello di comportamento civico e gettare fango, mediatico soprattutto, contro chi è scappato. Ho terrore dell’impatto che questo esodo possa avere, anche sui miei cari e sulla comunità che io in persona ho voluto tutelare. Spero, tuttavia, che chi sia tornato sia coscienzioso e segua le indicazioni della quarantena volontaria. Sì, hanno sbagliato, ma non riesco a condannarli a pieno. L’empatia non giustifica tutto, ci sono comportamenti giusti e comportamenti sbagliati, ma io non mi sento migliore di nessuno.
Da huffingtonpost.it il 10 marzo 2020. Disposta a tutto pur di scappare da Milano. Anche a pagare 1.200 euro e a viaggiare di notte, in taxi, per 6 ore. Destinazione Roma, ovvero casa. Un bacio al fidanzato che resta lì e via, prima che quella città che ormai conosce come le sue tasche diventi una prigione. Michela ha 30 anni e sale a bordo di Como 47. È la macchina di Melchiorre, tassista da 20 anni. “La radio mi ha avvisato che la corsa era per Roma e mi ha chiesto se ci fossero problemi - racconta - Io l’ho accettata senza pensarci è il mio lavoro. Ovviamente, prima di partire, ho chiesto alla ragazza se sapeva a che spesa sarebbe andata incontro. Lei si era già informata e non si è scomposta”. Ore 22.30, Melchiorre ingrana la marcia e parte. In giro non c’è nessuno da giorni, il lavoro scarseggia pure per le auto bianche. Solo la stazione Centrale è affollata di persone che se ne vogliono andare dalla zona rossa. Ma Michela vuole stare tranquilla, nemmeno lo ha cercato il treno, ha scelto il taxi. Preleva i soldi prima e dopo mezzanotte, ce ne vogliono tanti per arrivare a Roma. “Sono abituato a viaggiare di notte, ho la musica che da sempre mi tiene compagnia - spiega Melchiorre - Non avevo sonno. Lei invece a un certo punto si è addormentata”. Seicento chilometri sono tanti, soprattutto se hai cominciato a lavorare alle 17. Alle 4.30 la scritta Roma sulle indicazioni stradali si fa sempre più grande. Ultimo casello autostradale e casa per Michela è a una manciata di chilometri. Destinazione Balduina, e l’aria sa già di famiglia. ″È scesa la mamma per pagare la corsa, 1.200 euro, anche se la ragazza aveva pagato quasi tutto - dice il tassista - Ho tirato giù una valigia grande e una piccola e le ho salutate”. Michela e la mamma si sono avviate a casa, sotto braccio. La voglia di normalità in una situazione anomala. Melchiorre rimette in moto la sua macchina. A Roma fa ancora freddo la mattina presto. Però gli uccelli hanno cominciato ad annunciare l’alba. Sul lungotevere non ci sono macchine: “Quanto è bella Roma, mi sono ritrovato a dire a voce alta. I palazzi si riflettevano sul fiume, e intorno c’era aria di normalità. Quella che manca a Milano, dove dovrò tornare”. Ma quella è un’altra storia, i bar stanno aprendo: “Un cornetto e un cappuccino, grazie. Anzi, due cornetti”.
"Chiudono tutta la Lombardia". Assalto alla stazione di Milano. La bozza del decreto Coronavirus mette in fuga le persone da Milano. Biglietterie e treni presi d'assalto nella serata di sabato. Rosa Scognamiglio, Domenica 08/03/2020 su Il Giornale. Gente in fuga alla stazione di Milano con tanto di bagagli al seguito e mascherina sanitaria ben salda al volto. Biglietterie prese d'assalto e scale mobili quasi al collasso. È la fotografia di un paese in preda al panico, piegato della psicosi ingenerata tanto dalla esplosione di una eventuale pandemia quanto dalla suspance per le comunicazioni tardive del Governo sulle nuove misure relative allo spostamento delle persone nei territori assediati dal virus. Stavolta la posta in gioco è più alta del previsto e l'indiscrezione relativa alla blindatura della Lombardia fa scappare tutti a gambe levate. Un pasticcio madornale, goffo e deleterio. Si tratta dell'effetto boomerang prodotto dalla bozza del decreto coronavirus varato dal Consiglio dei Ministri che, nonostante i reiterati annunci di un'imminente sottoscrizione, allo scoccare della mezzanotte di sabato non ha ancora ricevuto il benestare del premier. Insomma, ci sarebbe uno scartafaccio ma mancherebbe la firma. Soltanto dopo ore di spasmodica attesa, infatti, nella notte di domenica 8 marzo, Conte annuncia l'approvazione dei provvedimenti. "Leggerete tutto domani sulla Gazzetta Ufficiale", si rivolge alla stampa prima di ritirarsi nuovamente nelle stanze di Palazzo Chigi. Ma ormai la frittata è fatta e, mentre il Cdm mette a segno l'ennesimo strafalcione, centinaia di persone si sono già messe in marcia da Milano verso il sud del Paese col rischio concreto di diffondere agevolmente l'epidemia. Tutto comincia pressapoco alle ore 20, quando le testate giornalistiche e i notiziari nazionali anticipano parte del contenuto relativo alla bozza del nuovo decreto. Tra le varie limitazioni in elenco, si evidenzia la necessità di "chiudere la Lombardia" con ingresso e uscita garantita solo per motivi "gravi e indifferibili" di lavoro e famiglia. Bastano due righe di troppo, frutto di una comunicazione istituzionale parecchio dinoccolata, a scatenare il pandemonio. Appresa l'indiscrezione, decine di persone si riversano in massa alla stazione centrale di Milano in ricerca di un treno che possa condurli lontano dal capoluogo meneghino, fuori dai confini serratissimi della Lombardia. Le destinazioni sono varie e disparate: da Roma a Catanzaro, passando per Firenze fino a Bari o Napoli. E poco importa se gli unici convogli disponibili non rispondono agli standard della modernità, ciò che conta è garantirsi la fuga dalle terre del virus prima che giunga una interdizione ufficiale alla libera circolazione delle persone nelle province off limits di Veneto, Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna. "C'è l'ho fatta, sono riuscita a prendere un biglietto su un InterCity per Roma", racconta una ragazza in un video amatoriale circolato su Facebook. Intanto, tutt'attorno è solo un grande caos di provvedimenti non confermati e silenzi ministeriali.
Il treno della vergogna. Andrea Indini l'8 marzo 2020 su Il Giornale. La paura, per carità, va compresa. Ma vedere centinaia di persone correre in stazione, a Milano, per prendere l’ultimo treno, l’Intercity che alle 23.20 di ieri sera è partito da Garibaldi, per lasciare la Lombardia messa in quarantena dal governo è davvero vergognoso. Non solo perché svela un’isteria immotivata, ma perché è la rappresentazione plastica di un pericoloso egoismo. Davvero nessuno di questi ha avuto la forza di starsene tranquillo in casa, magari a guardarsi una serie tv di Netflix o a leggersi un buon libro? Davvero hanno pensato, tutti ammassati negli scompartimenti e nei corridoi, di riuscire a sfuggire così dal contagio del coronavirus? Davvero a nessuno di loro è venuto in mente che, se portatore sano, rischia nei prossimi giorni di contagiare qualche parente o amico e quindi di allargare ulteriormente l’epidemia? Certo, ieri sera, qualcuno ha pasticciato. La fuga di notizie sulla bozza, che estendeva la zona rossa alla Lombardia e ad altre province in Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna e che anticipava le restrizioni durissime per 16 milioni di persone che vivono in queste zone, ha sicuramente contribuito a scatenare il panico. Verissimo. Ma non credo che sarebbe cambiato poi tanto se i “prodi”, che ieri notte hanno assaltato la stazione Garibaldi di Milano (video), avessero appreso il contenuto del decreto questa mattina. La corsa a fare la valigia e a salire su un treno o un autobus, che li avrebbe riportati a casa, sarebbe stata identica. Sui social l’esodo ha scatenato un odio violentissimo: chi è rimasto ha accusato chi è partito di aver voltato le spalle a una Regione che, dopo averli accolti, gli ha dato tanto; chi invece si troverà i fuggiaschi tra le scatole, li teme come degli “untori”. Il rischio, a ben vedere, è proprio questo: questa fuga immotivata finirà per estendere ulteriormente il contagio facendo esplodere l’epidemia anche nel Sud Italia e trasformando l’intero Paese in una immensa “zona rossa“. Ci auguriamo, ovviamente, che questo non accada. Ma la minaccia è alta. Da quando il coronavirus ha iniziato a mordere l’Italia, abbiamo dovuto assistere a drammatici esempi di egoismo. In molti si sono voltati dall’altra parte lasciando il nostro Paese da solo a combattere in prima linea. Lo hanno fatto la Francia e la Germania. E, ovviamente, lo ha fatto pure l’Unione europea scaricando l’emergenza sulle nostre spalle. Tuttavia, c’è chi quotidianamente si impegna in prima persona in questa lotta. Penso ai medici, agli infermieri e, più in generale, a tutto il personale che da settimane guarda in faccia il virus. Sono loro i nostri angeli. Con turni massacranti, stanno gestendo una situazioni al limite della sopportabilità umana. E penso anche a quegli imprenditori che hanno messo mano ai portafogli per donare svariati milioni alle strutture ospedaliere. Soldi che potranno servire a trovare una cura, a comprare nuovi macchinari per tenere in vita i contagiati, a coprire gli stipendi dei nuovi assunti o, più semplicemente, per salvare anche solo una vita in più. Guardiamo, quindi, a loro. E affidiamoci a questi eroi che restano e che tutti i giorni combattono anche per quelli che scappano.
Coronavirus, i controlli: rientrate al sud 25.000 persone. Multe ai furbetti della quarantena. Alessandra Ziniti il 10 marzo 2020 su La Repubblica. Chiavari, i mezzi della polizia municipale passano per le strade con i megafoni: «Attenzione, si invita la cittadinanza a restare il più possibile a casa per evitare il contagio». E siamo in Liguria, fuori dalla zona arancione dove accanto alla moral suasion i prefetti hanno messo in piedi una più o meno energica azione di posti di blocco e controlli per garantire il rispetto del decreto che limita gli spostamenti a quelli di lavoro o strettamente necessari e ferma tutte le attività. Gli almeno venticinquemila che nel weekend e ancora ieri sono fuggiti con ogni mezzo dalle regioni del nord per far ritorno a casa al centro-sud, ma anche in Toscana e Liguria, danno l’immagine plastica di quanto la moral suasion non basti a convincere le persone, soprattutto i giovani a rimanere a casa. E ora, dopo essersi registrati sui siti delle Regioni che hanno emesso ordinanze autonome, sono tutti in quarantena fiduciaria. E ci sono ancora decine di bus segnalati in arrivo. Quasi nessuno di coloro che si sono presentati ieri mattina alla stazione centrale di Milano sapeva se poteva partire o meno e tantomeno era informato della necessità dell’autocertificazione per il viaggio. E così, per paradosso, in stazione si è formata una lunghissima fila di gente in coda (non certo ad un metro di distanza) davanti al check point al quale polizia ferroviaria e militari chiedevano i documenti e distribuivano i moduli per l’autocertificazione delle «comprovate esigenze di lavoro, di salute o di necessità», che consente gli spostamenti. Il modulo è scaricabile dal sito del ministero dell’Interno, chi si deve muovere deve compilarlo e portarlo con sé. Chi non ne è in possesso potrà compilarlo davanti alle forze dell’ordine che controlleranno la veridicità della dichiarazione successivamente. Se si mente scatta la denuncia e si rischia l’arresto fino a tre mesi. E multe e denunce per chi ha violato le regole non si sono fatte attendere: per le due donne, appena tornate dalla Lombardia a Vibo Valentia, che invece di rispettare la quarantena se ne sono andate al ristorante a festeggiare l’8 marzo, per le due ragazze che ad Agrigento si sono filmate davanti ad uno dei locali della movida postando poi il video su Instagram vantandosi di essere riuscite ad aggirare i divieti della zona arancione in Lombardia. O per i due ragazzi di Parma, che hanno aspettato tutta la notte fermi in auto vicino l’aeroporto di Bologna nel tentativo di prendere il volo e non rinunciare alla vacanza a Madrid. C’è stato pure chi, come due turisti bergamaschi, è riuscito ad arrivare alla meta agognata, in questo caso Procida, ma è stato intercettato e rispedito indietro, o chi — a Modena — si è visto chiudere il locale per aver comunque organizzato una serata con trenta ballerine e decine di clienti.
La linea del Viminale è quella dell’informazione prima e della tolleranza zero poi. «È stata una giornata molto difficile — ha detto la ministra dell’Interno Lamorgese al Tg1 —. Siamo in una situazione di emergenza e ogni cittadino deve collaborare con le autorità. Ho chiesto ai prefetti di fare attività di comunicazione istituzionale perché i cittadini devono avere informazioni chiare. Voglio lanciare un messaggio ai giovani, non alimentino la movida, questa disinvoltura può causare danni ai loro amici, ai loro familiari». Controlli a tutti gli aeroporti delle zone arancioni, posti di blocco all’ingresso e all’uscita delle principali direttrici di Milano, termoscanner alle stazioni e al porto di Venezia. E in molte città gli agenti della polizia municipale hanno tirato fuori il metro per verificare il rispetto delle distanze di sicurezza in negozi, bar e ristoranti.
I controlli sugli spostamenti: "Tracciati con gli smartphone". Tramite i gestori telefonici si potrebbero tracciare i flussi delle partenze di massa: così potrebbe scattare una maxi quarantena. Luca Sablone, Martedì 10/03/2020, su Il Giornale. L'obiettivo principale è chiaro: rallentare i contagi da Coronavirus. Un traguardo che però è stato messo a serio rischio dalla recente partenza di migliaia di persone da Nord a Sud. Da qui l'avvertimento lanciato da Piero Marcati, matematico della Scuola Superiore di Studi Avanzati Gran Sasso Science Institute (Gssi): "Già adesso, il numero di positivi raddoppia ogni due giorni e mezzo". A suo giudizio risulta evidente come l'arrivo al meridione di potenziali positivi "richiede immediate politiche di quarantena", altrimenti il pericolo è dietro l'angolo ed è piuttosto inquietante: "Tra pochissime settimane si potrebbero raggiungere i livelli della Lombardia". Lo scenario drastico potrebbe essere evitato grazie all'identificazione di "tutti i telefoni cellulari che, ad esempio, il 7 marzo erano agganciati a celle telefoniche milanesi e che il giorno dopo si sono agganciate a celle a sud dell'Emilia-Romagna". Tramite i gestori telefonici, che eventualmente potrebbero fornire tutte le informazioni specifiche del caso, potrebbe essere possibile tracciare i flussi delle partenze di massa e sapere fino a dove sono arrivati. E c'è anche un passaggio ulteriore che andrebbe seriamente preso in considerazione: rintracciare quelle persone e metterle in quarantena; la misura sarebbe estesa anche alla catena di contatti. "Ma va fatto subito", ha avvertito l'esperto di modelli di previsione delle dinamiche delle epidemie.
Il problema della privacy. Con le dovute cautele, sarebbe possibile non ledere il diritto alla privacy? Luca Bolognini ha spiegato a Il Fatto Quotidiano che da un punto di vista giuridico "chi dice che non sarebbe costituzionale non dice una cosa corretta", poiché l'ordinamento europeo "lascia dei margini per limitare le libertà personali in casi di situazioni estreme, con l'art. 23 del Regolamento generale sulla protezione dei dati del 2016". Dunque un'emergenza di sanità pubblica di estrema gravità lo renderebbe costituzionale. Il presidente dell'Istituto italiano per la Privacy ha poi aggiunto: "Deve essere garantito da una legge dello Stato che preveda tutele rigorose della privacy, anche di temporalità". Polizia e militari potrebbero essere così sostituiti dalle app: ne esistono già alcune che - sulla base di un algoritmo che assegna il livello di rischio contagio per ogni singolo individuo - dichiarano automaticamente la messa in quarantena. In molti sostengono che la diffusione del Covid-19 è combattuta in tal modo da Cina e Corea del Sud. Maya Wang, ricercatrice senior della Cina per Human Rights Watch, ha dichiarato: "In Cina è probabile che il virus sia un catalizzatore per un'ulteriore espansione del regime di sorveglianza, come lo sono stati le Olimpiadi del 2008 di Pechino o l'Expo di Shanghai nel 2010. Dopo questi eventi, le tecniche di sorveglianza di massa sono diventate permanenti".
Salvatore Dama per Libero Quotidiano il 9 marzo 2020. La follia collettiva scatta nella serata di sabato. Quando, in seguito alle prime indiscrezioni trapelate dal consiglio dei ministri, inizia a girare voce di una imminente estensione della zona rossa a tutta la Lombardia. Le stazioni ferroviarie di Milano si riempiono di fuorisede. Soprattutto Garibaldi, dove sta per partire l' intercity notturno diretto a Salerno. Le immagini dell' esodo rimbalzano sui social, il professor Burioni accusa gli emigranti di ritorno di portarsi in valigia il virus. E immediata è la reazione dei governatori del Sud Italia. Il primo a reagire è Michele Emiliano. Alle 2.31, in un post su Facebook, il governatore intima ai pugliesi di ritorno di non mettere piede nella sua Regione. L' ex magistrato non vuole avere niente a che fare con i lombardi. E tratta i paesani trapiantati all' ombra della Madonnina come degli untori da respingere alle frontiere. «Vi parlo come se foste i miei figli, i miei fratelli, i miei nipoti», scrive Emiliano suoi social nottetempo, «fermatevi e tornate indietro. Scendete alla prima stazione ferroviaria, non prendete gli aerei per Bari e per Brindisi, tornate indietro con le auto, lasciate l' autobus alla prossima fermata. Non portate nella vostra Puglia l' epidemia lombarda, veneta ed emiliana scappando per prevenire l' entrata in vigore del decreto legge del Governo». E' follia collettiva, appunto. Perché l' esecutivo non ha ancora preso nessuna decisione. Ma ovunque girano bozze del decreto della presidenza del Consiglio. La fuga di notizie è un danno enorme. Nessuno vigila sull' imminente contenimento della Lombardia, così chi vuole se la dà a gambe. Allora le Regioni del Sud, finora fatte salve dal contagio per culo o per opera divina, reagiscono in maniera brutale. Si respira una sorta di razzismo al contrario. Stop all' invasione, dicono i sudisti, aiutiamo i padani a casa loro. Alla fine sono pochi i pugliesi che salgono sul treno per tornare da mammà. I più scelgono il bus o l' auto. Ma non è un esodo biblico. Eppure Emiliano prepara subito una bella ordinanza che dispone l' obbligo di quarantena fiduciaria per 14 giorni imposta a tutti coloro che decidono di tornare dalle zone chiuse dal nuovo Dpcm. L' idea piace. Tanto che nel giro di qualche ora tutte le altre sei Regioni del Sud si adeguano con ordinanze analoghe. Di qui succede il delirio. In Campania, in seguito alla disposizione presa dal presidente Enzo De Luca, un treno proveniente da Milano e diretto a Napoli viene fermato due volte in provincia di Caserta. Sale a bordo la Polizia Ferroviaria e identifica tutti i viaggiatori prima dell' arrivo alla stazione di Napoli Centrale. Succede lo stesso a Salerno in un bus proveniente sempre da Milano e diretto a Matera.
Ritorsioni Le ordinanze dei presidenti delle Regioni meridionali sono in sostanza sette fotocopie: coloro che sono tornati a partire dal 7 marzo provenienti dalla Lombardia e dalle 14 province indicate dal nuovo Dpcm «hanno l' obbligo di comunicarlo». E, in caso di «comparsa di sintomi», gli emigranti devono «avvertire immediatamente il medico». Emiliano non si placa. In un video pubblicato in mattinata, minaccia ritorsioni contro chi vuole fare il furbo: in caso di mancata osservanza degli obblighi previsti dall' ordinanza, ci sarà l' arresto. Ma non si capisce chi dovrà fare rispettare queste disposizioni. Nel caso pugliese l' ordinanza indica i prefetti. Tuttavia il Viminale contraddice gli sceriffi sudisti. In una nota si precisa che le ordinanze delle Regioni contenenti delle direttive ai prefetti relative all'emergenza coronavirus «non risultano coerenti con il quadro normativo». La stessa ministra dell' interno Luciana Lamorgese fa sapere che sta lavorando a una direttiva rivolta ai prefetti «per dare attuazione uniforme e coordinata delle disposizioni del Dpcm» con le misure per il contenimento del Coronavirus «che investono profili di ordine e sicurezza pubblica». In serata il presidente della Protezione Civile Angelo Borrelli smentisce definitivamente i governatori del Sud con un' altra ordinanza: non sono vietati gli spostamenti per motivi di lavoro e di salute sul territorio nazionale: «Le Regioni si uniformino», intima il commissario incaricato a gestire l' emergenza.
L’ira su quelli che da Milano sono tornati «giù» di corsa. Famiglie divise dal virus: «Ci infettate, state sui treni». Pubblicato lunedì, 09 marzo 2020 su Corriere.it da Giusi Fasano. Fino a due giorni fa tornare a casa era una festa. Da ieri puoi passeggiare in paese come se nulla fosse, certo, ma vai a spiegarlo alla cugina, allo zio, all’amico d’infanzia, che «tanto io sto bene, sta’ tranquillo». Se vieni da Milano, da Vo’ Euganeo, dal Lodigiano, da una qualunque delle aree di contagio, essere «giù» è un aggravante e (giustamente) prudenza e timori hanno il sopravvento. Al punto che negli sguardi delle persone puoi quasi leggere le didascalie: sei scappato da Milano, eh; vieni qui a infettare tutti noi; ma non ti vergogni? Ecco. Da ieri mattina va così per chi, sabato sera, ha scelto la fuga verso Sud dalle stazioni milanesi di Garibaldi e Centrale prima che chiudessero le aree rosse del decreto. Fatti salvi i genitori, che sono felici di riavere a casa i figli al momento senza lavoro o senza lezioni, tutti gli altri sono in rivolta. E se per l’amico o il parente «scappato giù» almeno resta un saluto a distanza antivirus, per chi non si conosce montano proteste e richieste alla politica locale: di espulsione, di isolamento, di controllo, perfino di carcere. «Mio cugino è uno di quelli che è letteralmente fuggito da Milano ed è tornato a Palermo» racconta dal suo profilo twitter Leonardo (@leo_Thewall). Mio padre mi ha detto che lo ha visto passeggiare beatamente in centro. Questo significa essere idioti. Mio padre non è sceso dalla macchina e l’ha salutato da lontano». «Il cugino di mio padre che è scappato da Milano è deficiente» annuncia al mondo Em (@SUHOLY), «mio padre che però lo vuole accogliere in casa lo è il triplo». Sui social, via whatsapp o nelle videochiamate delle famiglie divise dalla geografia e dal Covid-19, la paura del contagio non racconta la storia dell’insurrezione del Sud contro il Nord, piuttosto svela piccole sommosse intrafamiliari in nome della salvezza comune. Lo zio che a malapena saluta il nipote da lontano, appunto, il figlio che se la prende con il padre irresponsabile, perfino amicizie che finiscono. Un signore che si firma Agankure, per dire. Dal suo account (@AganKureAKAcSen) rivela che «un amico di mia moglie da Milano è scappato per tornare in Calabria. Lo abbiamo chiamato dicendogli che non si deve azzardare ad avvicinarsi a casa dei miei suoceri che solitamente con educazione va a trovare. Con una buona dose di intimidazione...». Loro, i fuggiaschi del sabato sera milanese, nel giro di poche ore sono diventati i meno amati dagli italiani. Alcuni sono scesi dai treni e tanti saluti a tutti, ma molti - per esempio quelli degli Intercity per Napoli o gli altri sugli autobus Flixbus diretti a Caserta e poi a Matera - sono stati fermati e identificati dalla polizia oppure attesi alla meta da ambulanze per misurare la temperatura. Per tutti quarantena fiduciaria (obbligata per febbri oltre 37.5), dopo un «viaggio da incubo», in un treno in ritardo e affollato perché molta gente è salita senza biglietto pur di non restare bloccata a Milano. Sotto i profili facebook dei governatori regionali che prevedono quarantena per chi arriva dalle aree del contagio, migliaia di messaggi di utenti approvano e propongono altro. La signora Teresa Nardone scrive a Michele Emiliano: «mettete esercito, carabinieri, polizia, posti di blocco in giro, chiedete i documenti a tutti questi pazzi». Marco Scarabbaggio suggerisce: «Fateli venire in Puglia però lasciateli sul treno in quarantena». Ilaria Bellino ipotizza «l’oblio anche per i familiari che accolgono in casa il parente fuggito dal Nord». Al governatore Vincenzo De Luca Mary Durni chiede: «Mettetegli i braccialetti per gli arresti a casa, già si vede che non rispettano le regole», mentre riguardo alla quarantena fiduciaria Anna Chianese la butta lì: «Presidente non fidiamoci...». Il tweetdi @suxior (nome in codice: MancoMorta) va di logica: «Se mia sorella scappasse da Milano e si presentasse a casa mia, a parte una serie infinita di schiaffi, la chiuderei subito in cantina perché se la scoprissero darebbero fuoco alla casa con noi dentro. E allora è meglio stare a Milano». In effetti, messa così...
Coronavirus, la fuga nella notte, poi lo stop: Intercity fermato nel Casertano. Il treno Intercity notte 797 proveniente da Milano è rimasto fermo per circa un'ora nel Casertano. Predisposti controlli nelle stazioni di Napoli e Salerno. Giorgia Baroncini, Domenica 08/03/2020 su Il Giornale. La fuga verso Sud per il timore di restare bloccati a Milano e in Lombardia è iniziata nella notte. Appena i giornali e i notiziari hanno rivelato ieri sera parte della bozza del nuovo decreto, è scoppiato il panico. Subito centinaia di persone hanno preso d'assalto la stazione centrale di Milano e quella di Porta Garibaldi per fare ritorno nelle regioni del Sud: video e foto pubblicate sui social mostrano le biglietterie affollate e i treni in partenza dal capoluogo lombardo pieni. Dopo la prima bozza, a tarda notte il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha firmato il decreto imponendo così misure ristrettive e riducendo fortemente la mobilità in Lombardia e in altre 14 province. E questo ha messo in moto le persone che si sono subito riversate nelle stazioni per raggiungere le città del Centro e Sud Italia (guarda il video). Pochi minuti prima delle 23, dalla stazione di Porta Garibaldi, è partito l'ultimo treno verso il Sud. Gente ammassata e seduta per terra pur di scappare dalla Lombardia: così l'Intercity797 proveniente da Torino Porta Nuova ha lasciato il Nord con a bordo centinaia di passeggeri. Poi lo stop: il treno è rimasto fermo per circa un'ora all'altezza di Villa Literno, in provincia di Caserta. La Polizia Ferroviaria ha acquisito i documenti dei viaggiatori, che saranno segnalati alle Asl competenti per il periodo di quarantena domiciliare di 14 giorni obbligatoria nelle proprie abitazioni. Alla stazione centrale di Napoli è scattato il protocollo per il coronavirus, d'intesa con la Protezione Civile. In mattinata sono giunti nel capoluogo campano altri due treni provenienti da Venezia e Torino: anche in questo caso sono stati effettuati controlli a campione, così come sta avvenendo al terminal bus alle spalle della stazione ferroviaria. Dopo la fermata di Napoli, l'Intercity ha ripreso la sua corsa verso Salerno. Come riporta l'Agi, in stazione, fonti della Prefettura confermano l'allestimento due presidi della Polizia e del personale sanitario che sottoporranno tutti i passeggeri ad un questionario per comprendere da dove arrivano e se presentano eventuali sintomi. "D'intesa con Regione Campania, Prefettura, Questura, Asl e Protezione Civile è stato attivato un immediato servizio di presidio all'arrivo di bus e treni provenienti dalla zona rossa. Tutti i passeggeri sono sottoposti ad identificazione, controlli sanitari e quarantena obbligatoria", ha spiegato il sindaco di Salerno, Vincenzo Napoli. Alla stazione ferroviaria di Salerno, in attesa dell'Intercity, intorno alle 12 è arrivato un Frecciarossa a bordo del quale il personale sanitario ha eseguito i controlli sanitari sui passeggeri.
Coronavirus, l’«esodo» dal Nord: controlli a treni e autobus in arrivo a Salerno. Pubblicato domenica, 08 marzo 2020 da Corriere.it. Controlli sanitari e quarantena obbligatoria per tutti quelli che arrivano dal Nord, con autobus o treni. Non ha perso tempo il sindaco di Salerno, Enzo Napoli, quando ha saputo dell’arrivo in massa di studenti e lavoratori originari del Sud che, alla notizia del decreto di chiusura della Lombardia, hanno deciso di tornare alle proprie case di famiglia nonostante l’invito del premier Giuseppe Conte. E così già in tarda mattinata sono state avvistate le prime ambulanze ad accogliere gli autobus Flixbus in piazza della Concordia. Nessuno, a quanto si apprende, ha superato i 37,5 gradi. Il Flixbus è poi ripartito per Matera. Nell’area c’erano tre ambulanze oltre alla Polizia di Stato e alla Polizia locale. Intanto è bloccato a Villa Literno (Caserta), il treno Intercity Notte 797, partito alle 22,55 di ieri dalla stazione di Milano Centrale e diretto a Napoli. Le vetture sono molto affollate per la presenza di centinaia di persone. L’arrivo del treno alla stazione di Napoli Centrale era previsto intorno alle 10 e alle 10.50 il convoglio sarebbe stato a Salerno. Ma quello del sindaco di Salerno non è l’unico provvedimento per arginare il potenziale contagio che potrebbe dilagare con l’arrivo di centinaia di persone dal Nord. Molti sindaci campani, hanno preso iniziative simili, da Praiano a Camerota a Sapri. E la Regione Campania ha emesso un’ordinanza con l’obbligo di isolamento domiciliare per chi viene dalla zona rossa: dovranno «mantenere lo stato di isolamento fiduciario per 14 giorni dall’arrivo con divieto di contatti sociali». Ed osservare «il divieto di spostamenti e viaggi», rimanendo raggiungibili «per ogni eventuale attività di sorveglianza», si legge nel provvedimento firmato da Vincenzo De Luca. Come lui, si sono già mossi molti altri governatori. Il primo è stato Michele Emiliano, che nella notte ha annunciato su Facebook l'ordinanza: Considerato che l’esodo di un così elevato numero di persone provenienti dalle zone cosiddette rosse potrebbe comportare l’ingresso incontrollato in Puglia di soggetti a rischio di trasmissione del virus, con conseguente grave pregiudizio alla salute pubblica» l’ordinanza dispone per tutti coloro che «hanno fatto ingresso in Puglia dal 7 marzo provenienti dalla Regione Lombardia e dalle province» indicate dal nuovo Dpcm «di comunicare tale circostanza al proprio medico di medicina generale» di «osservare la permanenza domiciliare con isolamento fiduciario per 14 giorni, di osservare il divieto di spostamenti e viaggi; di rimanere raggiungibile per ogni eventuale attività di sorveglianza». «Chi sbarca in Sicilia, con qualsiasi mezzo, provenendo dalle zone rosse del Nord, ha il dovere di informare il medico di base e porsi in autoisolamento»: ordinanza restrittiva anche per la Sicilia. «Se tutti manteniamo la calma e il senso di responsabilità, riusciremo a gestire e superare anche questo particolare momento. Noi siciliani abbiamo affrontato ben altre calamità e non ci arrendiamo. Ma ognuno faccia la propria parte», ha esortato Musumeci dal suo isolamento domiciliare dove si trova da ieri per precauzione dopo il contatto avuto mercoledì a Roma con il collega Zingaretti. Quarantena obbligatoria anche per chi prova a raggiungere la Calabria, dove la governatrice Jole Santelli è «al lavoro senza sosta per preservare la nostra terra da chi non ha ben compreso la gravità del rientro senza controllo. Ritornare dal Nord in modo incontrollato mette in pericolo la nostra terra e gli affetti di tutti. Non fatelo. Fermatevi». Santelli, dopo aver chiesto il blocco delle partenze verso la Calabria, che «rischia di creare una bomba emergenziale», chiede controlli sui treni e nelle stazioni dei pullman.
Leggo.it l'8 marzo 2020. Coronavirus in Italia. È arrivato con oltre 4 ore di ritardo il treno Intercity partito da Milano ieri sera alle 21.34 e il cui arrivo era previsto a Napoli alle 9,36. Il ritardo è dovuto ai controlli effettuati sul convoglio in attuazione dell'ordinanza del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, che stabilisce «l'isolamento domiciliare per chi arriva dalle zone interessate dal decreto». Inoltre sul convoglio, preso d'assalto ieri sera alla stazione di Milano, molti passeggeri erano sprovvisti di biglietto per la fretta di salire sui vagoni. Tantissime persone - secondo quanto riferito da fonti Polfer a Caserta - sono salite ieri sera da Milano sul treno per tornare al Sud, molti senza biglietto. Il convoglio è stato fatto fermare due volte nel Casertano, perché la Polizia Ferroviaria doveva identificare tutti i viaggiatori prima dell'arrivo alla stazione di Napoli Centrale, essendo stata anche emanata proprio stamani dal governatore De Luca l'ordinanza che obbliga chi arriva dalla Lombardia o altre zone rosse a mettersi in quarantena. Il primo stop c'è così stato a Sessa Aurunca, dove la tensione tra i passeggeri, convinti di doversi sottoporre a controlli medici, ha però spinto le forze dell'ordine a far ripartire il treno. Il convoglio è stato poi fermato a Cancello Scalo: oltre cento persone sono state identificate, non senza problemi, tra cui alcune decine senza biglietto. Blindata da questa mattina la stazione di Salerno dove, dopo il decreto approvato dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, sono scattati i controlli a tutti i passeggeri in arrivo dalle zone a rischio contagio. Operazioni che avevano già interessato chi viaggiava a bordo dei bus Flixbus, fermati in piazza della Concordia per i controlli sanitari. Poi la task force si è spostata alla stazione ferroviaria. Medici e sanitari, indossando le tute anticontaminazione, sono saliti a bordo dei convogli per identificare i passeggeri, annotando la loro provenienza e la temperatura corporea. I controlli hanno riguardato un Frecciarossa proveniente da Milano - che è rimasto fermo al binario 2 per oltre cinquanta minuti - e un Italo che arrivava da Roma. La task force proseguirà per l'intera giornata: nel pomeriggio, infatti, sono attesi altri bus e treni in arrivo a Salerno e provenienti dal Nord Italia.
Il governatore De Luca: «Serve il pugno di ferro contro il contagio». Pubblicato domenica, 08 marzo 2020 su Corriere.it da Monica Guerzoni. Enzo De Luca, presidente della Campania, invoca Padre Pio, chiede al governo il «pugno di ferro» e sospira: «Sono state 24 ore difficili per noi».
Si aspettava la grande fuga dal Nord?
«C’è stata un’ondata di arrivi imprevista e ingovernata, con la conseguente paura diffusa di una penetrazione di massa del contagio. Abbiamo dovuto emettere ordinanze immediate per identificare tutti i cittadini arrivati dalle zone a rischio e sottoponendoli a isolamento domiciliare controllato».
Come farete a garantire la quarantena?
«Non è facile, perché chi è rientrato con i mezzi propri sfugge al controllo. Sono impegnate le forze dell’ordine, i Comuni, le Prefetture, le Asl».
Perché voi governatori non riuscite a coordinarvi con il governo?
«Sulla gestione di questo passaggio, è indubbio che abbiamo scontato elementi di disorganizzazione».
Dove ha sbagliato Palazzo Chigi?
«Al di là di un ritardo obiettivo nell’individuazione del focolaio, mi pare che il governo e il ministero della Salute abbiano lavorato con serietà. Considero produttivo il rapporto di collaborazione con le Regioni. Poi, passata l’emergenza, dovremo capire dove vi sono state criticità».
Sul treno per Napoli c’erano contagiati?
«Un solo caso di febbre, ma non abbiamo notizie certe sulla causa».
Gli italiani non capiscono la gravità dell’epidemia?
«Qui da noi, come al Nord, si registrano episodi gravi di irresponsabilità individuale. Nei locali, la norma di distanza di almeno un metro è illusoria e ingestibile. Di notte centinaia di ragazzi affollano i pub. Se la realtà è questa, bisogna impegnare le forze di polizia a chiudere i locali che contravvengono alle regole. Per evitare la diffusione di massa del contagio, occorre il pugno di ferro. Se non lo farà il governo, lo faremo noi».
Il sistema sanitario in Campania reggerà?
«Provo a immaginare, con i brividi addosso, cosa sarebbe successo qualche anno fa, con la nostra sanità commissariata e disastrata. Oggi, grazie al lavoro rigoroso di questi anni, stiamo reggendo, con una attività di prevenzione straordinaria da parte delle Asl. Ma se il numero di contagi cresce la situazione diventa pesante».
Come vi state attrezzando?
«Realizzando il nostro Piano B, per raddoppiare i posti letto di terapia intensiva. E sperimentando sui pazienti, con risultati significativi, farmaci innovativi utilizzati dall’Istituto Pascale nelle terapie oncologiche».
Pensa ci sia bisogno di un supercommissario come Bertolaso?
«L’unico supercommissario con il curriculum adeguato per la Campania sarebbe Padre Pio, ma evitiamo di complicarci la vita e rafforziamo la linea di comando».
Coronavirus, l'ira di De Luca: «Il 40% di quelli che sono rientrati dal Nord non va in isolamento». Il Mattino Martedì 10 Marzo 2020. «Diamo per scontato che il 30-40% di coloro che sono rientrati dal Nord sfuggirà al dovere elementare di civiltà dell'autoisolamento». Lo ha detto il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca a Radio Kiss Kiss. «Non credo - ha detto De Luca - che abbiamo numeri enormi sul rientro ma quando avremo numeri certi li diremo. Le persone rientrate con bus, treni e aerei sono state controllate all'arrivo dai medici ma è evidente che centinaia di persone sono rientrate con mezzi propri, in auto. Ricordo che abbiamo emesso un'ordinanza per obbligare tutti a mettersi in isolamento domiciliare protetto per due settimane».
Coronavirus Campania, De Luca: “1733 rientrati dal Nord in isolamento”. Sky il 10 marzo 2020. “Se dovessimo avere, tra queste persone, una percentuale elevata di contagiati, sarebbe un problema", ha aggiunto il presidente della Regione. "Sono migliaia le persone rientrate. Ne abbiamo identificate 1733 che adesso sono in isolamento domiciliare. Se dovessimo avere, tra queste persone rientrate, una percentuale elevata di contagiati, sarebbe un problema", ha detto il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, a Radio Crc. "Chiedo - ha aggiunto - a chi è rientrato con mezzi propri, in auto, di segnalare la propria presenza sul territorio".
De Luca: “Sovraccarico di lavoro per medici e infermieri”. "Una situazione preoccupante è quella dei medici, che mano mano si stanno contagiando: abbiamo 6 medici positivi alla Federico II. La situazione - ha aggiunto De Luca - rischia di aggravarsi nei prossimi giorni e c'è un evidente sovraccarico di lavoro per medici, infermieri e personale amministrativo. Cominciamo ad avere problemi anche da quel punto di vista. Al momento - ha spiegato il governatore - il quadro è questo: ieri sera contavamo 147 persone contagiate, quindi più 9 rispetto al giorno prima, 2 persone guarite, 44 in terapia intensiva".
Altri due laboratori per i tamponi. "Abbiamo avuto l'autorizzazione ad utilizzare altri due laboratori per i tamponi, quindi da oggi li esaminano anche il Moscati di Avellino e il Ruggi di Salerno, così da velocizzare ancora di più i tempi per individuare chi ha problemi. Attualmente - ha proseguito De Luca - l'unico laboratorio accreditato era quello dell'ospedale Cotugno che proseguirà e farà anche supervisione sugli altri due centri. Su questo dobbiamo essere estremamente attenti e avere prudenza: ho notizie che negli ultimi giorni ci sono laboratori privati che fanno tamponi il più delle volte a pagamento ai cittadini che lo richiedono. I tamponi vanno fatti con grande serietà e affidabili altrimenti rischiamo risultati fantasiosi". De Luca ha sottolineato anche l'improvvisa carenza di donatori di sangue: "La mancanza di sangue è una delle tematiche che più mi preoccupa, abbiamo 7 bambini, oggi, in attesa di un trapianto di midollo al Santobono e c'è poco sangue disponibile. Faccio un appello a donatori: che riprendano a donare sangue, non c'è nessuna preoccupazione nel farlo. Vedremo di mettere in campo anche un camper per far stare tutti più tranquilli, bisogna fare in modo che non ci sia una carenza di sangue".
L'ipotesi di chiudere le attività commerciali. "I cittadini di Napoli, ieri, hanno dato una prova di compostezza straordinaria. A Napoli in giro non c'era nessuno", poi aggiunto De Luca che parlato anche dell'ipotesi di chiusura di tutte le attività commerciali tranne quelle indispensabili: "Credo che la Lombardia e il Veneto facciano bene a fare quella richiesta: meglio interrompere tutte le attività economiche. Il sindaco di Bergamo dice 'facciamo come se fossimo a ferragosto'. Teniamo conto che in Lombardia ci sono dei numeri eccezionali, ci sono oltre 5mila contagi e una grande difficoltà sulla terapia intensiva. Valutiamo nelle prossime ore, se servirà io non avrò problemi a chiedere la chiusura di tutto, e cioè resteranno aperti sono farmacie e negozi alimentari e supermercati". Il governatore ha anche stimolato le forze dell'ordine a controllare il rispetto delle nuove regole: "Se facciamo le ordinanze e poi non ci sono i controlli il sistema non funziona, per questo faccio appello alle forze dell'ordine e alla polizia municipale perché siano attivi. Non si può tollerare chi abbassa a metà la saracinesca per continuare a fare un po' di attività. Se alle 18.00 chiudono le attività commerciali, bisogna controllare. Chi non si attiene alle ordinanze, compie un reato penale, perchè la diffusione di epidemia è un reato penale grave".
Coronavirus, il post shock del prof: «A chi rientra da zone rosse, le mafie impongano quarantene domiciliari». Pubblicato domenica, 08 marzo 2020 su Corriere.it da Alessio Ribaudo. «Chiedo alle mafia, alla ‘ndrangheta, alla sacra corona unita e alla camorra, nei vasti territori da loro controllati, di imporre la quarantena domiciliare obbligatoria a tutti i loro corregionali improvvidamente rientrati a casa dai loro domicili al Nord rientranti nella zona rossa». Non è una «richiesta» effettuata sui social da un parente di un boss o la battuta, mal riuscita, di un cabarettista. È, invece, il post pubblico — poi rimosso dopo poche ore — che Alessandro Campi, professore di Scienze politiche all’Università di Perugia e direttore della Rivista di politica, ha scritto sul suo profilo Facebook. Un post che arriva dopo le infinite polemiche sulle persone che sabato notte sono precipitosamente andate via dal Nord per tornare al Sud. Il docente va oltre nel suo post. «Nel caso esse non riescano, con le proprie forze, a garantire il rispetto di questa elementare norma di prudenza, riterrei ragionevole da parte loro chiedere la collaborazione delle autorità pubbliche dello Stato italiano». Qualora non fosse chiaro il suo pensiero, precisa anche: «In questo momento tutte le istituzioni debbano collaborare». Un’equiparazione inaccettabile — neanche se avesse un tono ironico — fra la criminalità organizzata e gli organismi dello Stato. Il professor Campi, nato 59 anni fa a Catanzaro, è stato dal 1989 al 1996 responsabile dell’ufficio stampa e Centro Studi di Confindustria Umbria. Dal 1997 al 2002, è stato ricercatore presso la cattedra di Storia delle dottrine politiche del dipartimento di filosofia dell’Università di Perugia. Poi, nello stesso ateneo, è diventato professore associato di Storia delle dottrine politiche e, attualmente, è docente di Scienza politica. È stato dal 1999 al 2002, segretario generale della Fondazione Ideazione e, scrive sul suo sito internet, ricopre «attualmente l’incarico di direttore scientifico della Fondazione Farefuturo». Una fondazione di cultura politica, che ha fra i suoi scopi «quello di promuovere la cultura delle libertà e dei valori dell’Occidente nel quadro di una rinnovata idea d’Europa, forte delle proprie radici e consapevole del proprio ruolo nei nuovi scenari internazionali». È presieduta dal senatore Adolfo Urso (FdI). Però sul sito della fondazione, aggiornato al 19 ottobre 2019, però il suo nome di Alessandro Campi non compare.
Da gazzettadelsud.it il 10 marzo 2020. Ha suscitato polemiche e sconcerto il post pubblicato alcune ore fa su Facebook da Alessandro Campi, professore ordinario di scienza politica all’università di Perugia. "Chiedo alla mafia, alla 'ndrangheta, alla Sacra corona unita e alla camorra - ha scritto il docente- di imporre, nei vasti territori da loro controllati, la quarantena domiciliare obbligatoria a tutti i loro corregionali improvvidamente rientrati a casa dai loro domicili al Nord rientranti nella zona rossa. Nel caso esse non riescano, con le proprie forze, a garantire il rispetto di questa elementare norma di prudenza, riterrei ragionevole da parte loro chiedere la collaborazione delle autorità pubbliche dello Stato italiano. In questo momento tutte le istituzioni debbono collaborare". "L'ho scritto e l’ho anche cancellato - si giustifica Campi - il senso del paradosso andrebbe capito, ma evidentemente non è questo il momento giusto". Cari amici della Gazzetta del Sud, ma davvero avete preso anche voi sul serio un post su 'Facebook' che voleva solo essere un paradossale commento a quello che è successo ieri sera con la fuga da Milano verso il Sud di parecchi nostri connazionali timorosi di restare confinati entro la 'zona rossa'? Un paradossale invio a rispettare le disposizione della autorità statali, che stanno invitando tutti a starsene a casa e a non circolare, lo avete scambiato per un messaggio choc. Davvero non me ne capacito. Capisco il momento delicato. Ma forse bisognerebbe avere la capacità, proprio in questi momenti, di discernere le cose importanti da quelle che non lo sono. Ovviamente ho provveduto a rimuovere il post, se questo rischia di esserne l'effetto. Vi ringrazio per l'attenzione. Cordialmente, Alessandro Campi
Coronavirus, rientri di massa al Sud: in migliaia si autodenunciano. Controlli per chi rientra nella stazione ferroviaria di Potenza. In Sicilia, Puglia e Campania quarantena per chi arriva dalla Lombardia. L'allarme dell'assessore regionale alla Salute: "Ci sarà un numero altissimo di casi portato dal Nord". L'Iss mette in guardia su Roma: "Il virus sta cominciando a circolare". La Repubblica il 09 marzo 2020. Sono circa 2mila500 soltanto in Puglia le persone che hanno risposto al provvedimento del presidente della Regione, Emiliano, e hanno segnalato di essere rientrati da una delle zone di contenimento del coronavirus. L'appello del governatore Emiliano in un video Facebook ha sortito i primi effetti: "Vi parlo come se foste i miei figli, i miei fratelli, i miei nipoti: fermatevi e tornate indietro. Scendete alla prima stazione ferroviaria, non prendete gli aerei per Bari e per Brindisi, tornate indietro con le auto, lasciate l'autobus alla prossima fermata". E ancora: "Non portate nella vostra Puglia l'epidemia lombarda".
L'Iss mette in guardia su Roma: "Il virus sta cominciando a circolare". "A Roma il virus sta già incominciando a circolare, anche se le catene di trasmissione sono per ora piccole. Ne dobbiamo prendere atto perché altrimenti si fa il patatrac come a Lodi di nuovo. Solo che stavolta eravamo avvertiti". Sono parole decise quelle di Gianni Rezza, direttore del Dipartimento di malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità (Iss), intervenuto sull'emergenza nuovo coronavirus a 'Radio anch'iò su Rai Radio 1. "E' chiaro che bisogna anche in qualche modo usare dei deterrenti per chi se ne va in giro, crea assembramenti o fa le feste nei locali chiusi in questo periodo, perché è da incoscienti". "Certamente - ragiona l'esperto - se si fossero messe in atto le misure che sono state messe in atto in Cina a Wuhan e nell'Hubei, saremmo più ottimisti. E' chiaro che per noi è difficile, non sarebbe probabilmente realizzabile. Allora bisogna ricorrere alla responsabilità e al senso civico dei cittadini e usare anche qualche metodo deterrente". Però l'invito dello specialista è a usare il senso di responsabilità, e ai giovani dice: "Anche loro avranno padri, nonni e zie. Quindi sarebbe il caso che si responsabilizzassero".
Intanto in Sicilia l'assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza, ha lanciato l'allarme "C'è un numero altissimo di casi aggiuntivi che si potrebbero determinare per questo esodo dal Nord al Sud che è stato indotto". Il Sud isola chi arriva dalle zone a rischio. In Campania il governatore De Luca ha firmato un dispositivo per cui chi dal 7 marzo è tornato dalle zone rosse in regione deve rimanere in quarantena a casa. Questo nonostante le misure prese anche in Sicilia: il governatore Musumeci ha deciso la quarantena per chi arriva dalle zone rosse. Sospesa l'attività nelle palestre. La sanzione prevista è l'arresto fino a tre mesi. Matrimoni e funerali in forma privata. Intanto in questa settimana l'obiettivo è di contenere il contagio e tutte le autorità ripetono la necessità di rispettare le regole del decreto del Governo e la quarantena. In Italia l'ultimo bollettino ufficiale diramato dal commissario straordinario Borrelli conta 7.375 positivi (la mappa), con un bilancio di 366 deceduti.
La campagna social #Iorestoacasa. In rete continua la campagna virale #iorestoacasa, un inno collettivo, divertente e ironico, sulla bellezza di fermarsi tra le quattro mura. Perr convincere soprattutto i giovanissimi a fermarsi e a non fare gruppo, a sostegno di #iorestoacasa sono arrivati artisti, cantanti e musicisti. Fiorello, Jovanotti, Ligabue, Sangiorgi e Paola Turci, Francesca Archibugi, Paolo Sorrentino, ma anche politici, medici, ministri, tra video e canzoni scritte di getto per addolcire l'esilio casalingo. Una mobilitazione subito applaludita dal ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini: "Ringrazio i tanti i protagonisti della musica, del cinema, dello spettacolo che in queste ore stanno promuovendo sui social la campagna #iorestoacasa. Un messaggio importantissimo per i ragazzi".
Le rivolte nelle carceri. Altro fronte caldo da tenere sotto controllo, anche oggi, è quello delle carceri. In tutta Italia forti tensioni ,dopo la decisione di sospendere, in via preventiva, i colloqui. Tre detenuti sono morti nel corso della rivolta scoppiata ieri nel carcere di Modena. Durissima la protesta - con il sequestro di due agenti - a Pavia, sedata solo nella tarda serata di ieri. Le proteste hanno riguardato anche Salerno, Napoli e Frosinone, Vercelli, Alessandria, Palermo, Bari e Foggia. Nel primo pomeriggio i detenuti di Poggioreale, protestando per le misure di prevenzione per il Covid-19, si sono barricati nell'istituto.
Coronavirus, il Sud si isola: 7 Regioni ordinano la quarantena per chi arriva dalle zone rosse. Redazione de Il Riformista l'8 Marzo 2020. Obbligo di quarantena domiciliare per chi proviene dalla Lombardia e dalle province di Modena, Parma Piacenza, Reggio Emilia, Pesaro e Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Asti e Alessandria, le ‘zone rosse’ previste dal decreto del Governo Conte firmato nella notte dal premier. È la decisione drastica presa dalla Puglia, in apprensione dopo l’esodo della serata di ieri da Milano verso il Mezzogiorno, con centinaia di persone che prese dal panico dopo l’uscita sui media della bozza del decreto, hanno deciso di scappare. Il governatore Michele Emiliano ha formato un’ordinanza nella notte, pubblicando poi un appello su Facebook rivolto ai suoi concittadini: “Vi parlo come se foste i miei figli, i miei fratelli, i miei nipoti: fermatevi e tornate indietro. Scendete alla prima stazione ferroviaria, non prendete gli aerei per Bari e per Brindisi, tornate indietro con le auto, lasciate l’autobus alla prossima fermata”. E ancora: “Non portate nella vostra Puglia l’epidemia lombarda, veneta ed emiliana. State portando nei polmoni dei vostri fratelli e sorelle, dei vostri nonni, zii, cugini, genitori il virus che ha piegato il sistema sanitario del Nord Italia. Avreste potuto proteggervi come prescritto, rimanendo in casa e adottando tutte le precauzioni che ormai avrete imparato”. Per quanto riguarda l’ordinanza della Regione Puglia, viene precisato che in caso di comparsa dei sintomi dei deve “avvertire immediatamente il medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta o l’operatore di sanità pubblica competente sul territorio”. L’inosservanza degli obblighi previsti dall’ordinanza “comporterà le conseguenza sanzionatorie come per legge (articolo 650 del Codice penale, se il fatto non costituisce più grave reato)”.
LE ALTRE REGIONI MERIDIONALI – Lo stesso provvedimento è stato preso in ordine sparso anche da altri governatori del Mezzogiorno. A firmare ordinanze per la quarantena domiciliare delle persone provenienti dal Nord Italia sono state Sicilia, Calabria, Campania, Abruzzo, Molise e Basilicata.
Smentito l’esodo di massa, ma il Sud è in rivolta: «Identificate chi parte e mettetelo in quarantena». Il Dubbio l'8 marzo 2020. Polfer e aeroporti negano la fuga dalla Lombardia, ma sulle bacheche Facebook del meridione sale la protesta. I governatori: «tutti in quarantena». «Identificateli, fermateli, metteteli in quarantena». Quando sulle pagine Facebook comincia a girare il video della stazione di Milano, popolata in piena notte di gente con valigia in mano, pronta a scappare dalla Lombardia prima della “chiusura” dei confini, a diffondersi non è il Coronavirus, ma il panico. «Statevene a casa», ammonisce qualcuno, mentre qualcun altro prova a fare valere il proprio «irresponsabili» tramite la tastiera. Parola che poche ore dopo il premier Giuseppe Conte rivolge a chi ha fatto trapelare quella bozza – poi modificata – che avrebbe seminato il panico tra coloro che, di li a poco, si immaginavano in un carcere delimitato dai propri confini territoriali. Ma quegli assalti, poche ore dopo, vengono smentiti. Non c’è nessun tipo di ressa a Milano Centrale, comunica la Polfer, ma gente che sostiene di aver anticipato la propria partenza. Anzi, la città appare deserta. Molti arrivano con la mascherina sul volto, spiegando di aver deciso di partire dopo la firma del decreto da parte del governo. «Ho anticipato per non rischiare», dice una giovane diretta a Venezia, da zona rossa, dunque, a zona rossa. E nemmeno a Linate si sarebbe ipotizzata alcuna ressa: i banchi dei check-in Alitalia sono anzi quasi vuoti, eccetto la presenza di chi aveva già programmato il proprio viaggio. Ma a gettare nel panico il meridione sono i video, rimbalzati di bacheca in bacheca, che riprendono centinaia di persone dirigersi verso i binari, pronti ad abbandonare la Lombardia prima della sua chiusura ufficiale. Dalla pagina Associazione Ferrovie in Calabria"#coronavirus: queste sono le immagini quasi in diretta, dalla stazione di #Milano Porta Garibaldi: i treni Intercity Notte verso il sud Italia sono letteralmente presi d'assalto, per il timore che dalle prossime ore, dalle zone rosse, non sia più possibile entrare ed uscire. Sembra un brutto film, ma purtroppo è tutto vero…non possiamo fare altro che ribadire a chi ci segue, di rispettare alla lettera i protocolli imposti dal Governo, al fine di limitare il più possibile la diffusione del virus. Ricordando sempre che, in Calabria, le condizioni del sistema sanitario sono note a tutti, ed una eventuale forte diffusione del virus anche nella nostra Regione, sarebbe devastante. In questo video, diffuso dall’Associazione ferrovie di Calabria, la situazione ieri notte alla stazione di Milano Porta Garibaldi: i treni Intercity Notte verso il sud Italia, riporta la pagina, si sono riempiti da gente in fuga, incurante delle difficoltà dei sistemi sanitari del meridione che, in caso di nuovi contagi, rischierebbero di non poter sopperire alle necessità. E così è scoppiata l’ira del web. «Se fosse accaduto il contrario ci avrebbero aspettati con i fucili», dice una donna, mentre qualcun altro insiste: «cosa non si capisce della frase “siate responsabili”?». «Sarà contagio di massa», ipotizza qualcuno, maledicendo il governo. «Le smentite? Guardate i video, sentite cosa dicono gli intervistati: sono partiti dopo aver letto la bozza, altro che».
In men che non si dica, i governatori sono corsi ai ripari, tentando di contenere il panico e, soprattutto, fermare i rientri, annunciando quarantene e chiedendo di fermare l’esodo.
«Ore 2.31, ho firmato l’ordinanza per obbligare alla quarantena chi arriva in Puglia dalla Lombardia e dalle 11 province del nord», ha annunciato su Facebook il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. «Vi parlo come se foste i miei figli, i miei fratelli, i miei nipoti: Fermatevi e tornate indietro. Scendete alla prima stazione ferroviaria, non prendete gli aerei per Bari e per Brindisi, tornate indietro con le auto, lasciate l’autobus alla prossima fermata. Non portate nella vostra Puglia l’epidemia lombarda, veneta ed emiliana scappando per prevenire l’entrata in vigore del decreto legge del Governo. State portando nei polmoni dei vostri fratelli e sorelle, dei vostri nonni, zii, cugini, genitori il virus che ha piegato il sistema sanitario del nord Italia. Avreste potuto proteggervi come prescritto, rimanendo in casa e adottando tutte le precauzioni che ormai avrete imparato. Ma avete preso una decisione sbagliata – ha sottolineato Emiliano – Non ho purtroppo il potere di bloccarvi, ma posso ordinarvi di comunicare il vostro arrivo ai medici di famiglia e di rimanere a casa in isolamento fiduciario per 14 giorni. Se volete evitare queste conseguenze, se siete in Lombardia o nelle altre province indicate, non tornate adesso in Puglia e se siete già in viaggio ritornate indietro. So cosa state provando. Ma dovete essere lucidi».
Mentre Jole Santelli, governatrice della Calabria, ha definito una «follia» l’esodo verso il sud, ed in particolare verso la Calabria. «Siamo preoccupati ed a lavoro senza sosta per preservare la nostra terra da chi non ha ben compreso la gravità del rientro senza controllo. Ritornare dal nord in modo incontrollato mette in pericolo la nostra terra e gli affetti di tutti. Non fatelo, fermatevi, seguite le regole, proteggetevi e proteggeteci come prescritto. L’esodo incontrollato porterà all’aumento esponenziale del contagio anche da noi – ha sottolineato -. È evidente che una sanità come quella calabrese, vessata da anni da tagli selvaggi, non è in grado di reggere una situazione di totale emergenza.Occorrono provvedimenti urgenti e seri di contenimento e sicurezza che non è nel potere della Regione emanare. Chiedo il blocco delle partenze verso la Calabria, per ordinanza regionale noi stiamo facendo i controlli negli aeroporti, ma non possiamo chiudere ingressi, treni e pullman. Il governo blocchi l’esodo verso la Calabria che rischia di innescare una bomba emergenziale. Chiediamo immediati ed urgenti controlli su treni e nelle stazioni dei pullman. Non è nei miei poteri bloccare gli arrivi dalla zona arancione. La Calabria non è in grado di reggere un’emergenza sanitaria grave. Io sto firmando un’ordinanza urgente che dispone la quarantena obbligatoria per chi arriva dalle 14 province, un provvedimento per cui chiedo la collaborazione attiva dei sindaci, subito».
È in corso, intanto, una riunione della Polizia Ferroviaria a Milano Centrale per l’attuazione del decreto che ieri ha reso l’intera Lombardia e 11 province zona circondata da cordone sanitario. La Polfer si prepara infatti al pattugliamento delle stazioni e ai controlli per evitare uscite dalla regione non previste dalla norma, sebbene al momento non siano state ancora date disposizioni precise in merito, che arriveranno in giornata.
(ANSA l'8 marzo 2020) - Imposta la quarantena a tutti coloro che rientrano in Abruzzo dalla Lombardia e dalle zone indicate nel Dpcm. Lo prevede un'ordinanza della Regione - firmata dal vicepresidente perché il governatore è in isolamento - dopo il "vero e proprio esodo 'biblico'" delle ultime ore. Il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio, parla di "ordinanza di difficile applicazione e altrettanto difficile monitoraggio se non sarà accompagnata da una vasta e coscienziosa collaborazione dei diretti interessati e delle loro famiglie". "E' una follia. La diffusione della bozza di decreto sulla nuova zona rossa sta portando ad un vero esodo verso il sud e verso la Calabria. Siamo preoccupati e al lavoro per preservare la nostra terra da chi non ha ben compreso la gravità del rientro senza controllo. Ritornare dal Nord in modo incontrollato mette in pericolo la nostra terra e gli affetti di tutti. Non fatelo. Fermatevi!". E' l'appello della presidente della Regione Calabria Jole Santelli. "Seguite le regole, proteggetevi e proteggeteci - prosegue Santelli - come prescritto. L'esodo incontrollato porterà all'aumento esponenziale del contagio anche da noi. È evidente che una sanità come quella calabrese, vessata da anni da tagli selvaggi, non è in grado di reggere una situazione di totale emergenza. Occorrono provvedimenti urgenti e seri di contenimento e sicurezza che non è nel potere della Regione emanare. Chiedo con forza un'assunzione seria di responsabilità da parte del governo nella gestione delle partenze. È evidente che la situazione sta sfuggendo al controllo. Chiedo il blocco delle partenze verso la Calabria, per ordinanza regionale stiamo facendo i controlli negli aeroporti, ma non possiamo chiudere ingressi, treni e pullman". "Il Governo blocchi l'esodo verso la Calabria - sottolinea ancora la Governatrice - che rischia di innescare una bomba emergenziale. Chiediamo immediati ed urgenti controlli sui treni e nelle stazioni dei pullman. Non è nei miei poteri bloccare gli arrivi dalla zona arancione. La Calabria non è in grado di reggere un'emergenza sanitaria grave. Sto firmando un'ordinanza urgente che dispone la quarantena obbligatoria per chi arriva dalle 14 province, un provvedimento per cui chiedo la collaborazione attiva dei sindaci, subito". "Chiunque arrivi in Calabria o vi abbia fatto ingresso negli ultimi quattordici, giorni dopo aver soggiornato in zone a rischio epidemiologico, la misura della quarantena obbligatoria con sorveglianza attiva". E' quanto prevede un'ordinanza firmata da Jole Santelli, presidente della Regione Calabria "che introduce misure straordinarie a seguito dell'evoluzione che ha avuto l'emergenza Coronavirus nelle regioni settentrionali. Un'evoluzione che ha spinto tante persone residenti al Nord a far ritorno in Calabria". "È necessario comunicare questa misura - prosegue Santelli - al proprio medico di Medicina Generale o Pediatra di Libera Scelta oppure telefonando al numero verde regionale 800-767676 o al Dipartimento di Prevenzione dell'Azienda Sanitaria Provinciale territorialmente competente, che adotterà le misure necessarie. I Dipartimenti di Prevenzione dovranno fornire giornalmente al Dipartimento Tutela della Salute e Politiche Sanitarie e al Prefetto territorialmente competente, le informazioni relative ai soggetti posti in quarantena o isolamento domiciliare con sorveglianza attiva, secondo il format appositamente definito. Le società di autolinee e Trenitalia sono tenute a comunicare l'elenco dei passeggeri provenienti dalle zone indicate dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ai Dipartimenti di Prevenzione territorialmente competenti, anche tramite i sindaci. I Prefetti delle Province regionali, invece, dispongono verifiche presso le stazioni ferroviarie, aeroportuali, le stazioni delle autolinee interregionali. I sindaci, in qualità di autorità locale di protezione civile, dovranno valutare l'apertura del Centro Operativo Comunale con l'attivazione di attività di "Assistenza alla popolazione" e "Volontariato", dedicate alle categorie fragili e ai cittadini sottoposti a quarantena o isolamento domiciliare. Sul sito istituzionale della Regione Calabria sarà a breve pubblicata una scheda censimento per il monitoraggio dei rischi da Covid-19. Dovrà essere compilata da chiunque arrivi in Calabria o vi abbia fatto ingresso negli ultimi quattordici, giorni dopo aver soggiornato in zone a rischio epidemiologico".
Puglia, obbligo di quarantena per chi torna dal Nord. Emiliano: "Ci state portando il virus". Nella notte, dopo il decreto del governo sull'istituzione delle nuove zone rosse, il provvedimento del governatore per l'emergenza Coronavirus. Poi un messaggio su Facebook: "Fermatevi e tornate indietro". La Repubblica l'08 marzo 2020. La Puglia in apprensione per gli arrivi dal Nord, a poche ore dallla firma del decreto con cui il governo ha istituito le nuove zone rosse, e nella notte il presidente della Regione, Michele Emiliano, ha firmato un'ordinanza. Il provvedimento del governatore "obbliga chi proviene dalla Lombardia e dalle province di Modena, Parma Piacenza, Reggio Emilia, Pesaro e Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Asti e Alessandria a comunicare tale circostanza al proprio medico di medicina generale" e soprattutto di "osservare la permanenza domiciliare con isolamento fiduciario" - la quarantena, in altre parole - "mantenendo lo stato di isolamento per 14 giorni". Emiliano ha affidato poi a Facebook un messaggio rivolto a tutti i pugliesi che stanno rientrando dal Nord. "Vi parlo come se foste i miei figli, i miei fratelli, i miei nipoti: fermatevi e tornate indietro. Scendete alla prima stazione ferroviaria, non prendete gli aerei per Bari e per Brindisi, tornate indietro con le auto, lasciate l’autobus alla prossima fermata". E ancora: "Non portate nella vostra Puglia l’epidemia lombarda, veneta ed emiliana. State portando nei polmoni dei vostri fratelli e sorelle, dei vostri nonni, zii, cugini, genitori il virus che ha piegato il sistema sanitario del Nord Italia. Avreste potuto proteggervi come prescritto, rimanendo in casa e adottando tutte le precauzioni che ormai avrete imparato". Tornando all'ordinanza, si ricorda che "in caso di comparsa di sintomi" si deve "avvertire immediatamente il medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta o l'operatore di sanità pubblica competente sul territorio" e che "la mancata osservanza degli obblighi" imposti dal provvedimento "comporterà le conseguenza sanzionatorie come per legge - articolo 650 del Codice penale - se il fatto non costituisce più grave reato". L'articolo 650 prevede che "chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o d'igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a 206 euro".
Fuga dal nord, Emiliano ferma l’esodo: quarantena obbligatoria per chi arriva. Pugliesi fermati a Milano: «Vogliamo tornare». Provvedimento nella notte per arginare il rischio di un contagio diffuso nella regione. Nicola Pepe l'8 Marzo 2020 su La Gazzetta del Mezzogiorno. Il Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, ha firmato nella notte una ordinanza che impone la quarantena obbligatoria di 14 giorni a chi arriva dal Nord in queste ore in particolare dalla Lombardia e dalle 14 province di Emilia Romagna, Piemonte, Veneto e Marche oggetto di un decreto legge del Governo varato in nottata. Un provvedimento reso necessario dopo le immagini e le notizie diffuse nella tarda serata che raccontavano di treni presi d’assalto al Nord da parte di centinaia di persone alcune delle quali sono state disposte a pagare la multa e viaggiare stipate come sardine pur di tornare a casa al Sud. ”Non ho il potere di bloccare queste persone” ha scritto il Governatore in un post su Facebook ma ha esortato questa gente anche a tornare indietro pur di evitare di diventare veicoli di contagio per familiari pugliesi esponendoli al Covid 19. Una marea umana incontrollabile a fronte della quale il Governatore non ha potuto far altro che imporre la quarantena obbligatoria nei confronti di queste persone. Un atto dovuto la cui efficacia è legata allo spirito di responsabilità dei singoli interessati. "State portando nei polmoni dei vostri fratelli e sorelle, dei vostri nonni, zii, cugini, genitori il virus che ha piegato il sistema sanitario del nord Italia.- scrive Emiliano - Avreste potuto proteggervi come prescritto, rimanendo in casa e adottando tutte le precauzioni che ormai avrete imparato. Il Governatore parla di decisione sbagliata e aggiunge: "Se volete evitare queste conseguenze, se siete in Lombardia o nelle altre province indicate, non tornate adesso in Puglia e se siete già in viaggio ritornate indietro".
Ecco uno stralcio di ordinanza con gli obblighi prescritti: "Tutti gli individui che hanno fatto ingresso in Puglia con decorrenza dalla data del 7/03/2020, provenienti dalla Regione Lombardia e dalle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Asti e Alessandria, hanno l’obbligo:
- di comunicare tale circostanza al proprio medico di medicina generale ovvero al pediatra di libera scelta o all’operatore di sanità pubblica del servizio di sanità pubblica territorialmente competente;
- di osservare la permanenza domiciliare con isolamento fiduciario, mantenendo lo stato di isolamento per 14 giorni;
- di osservare il divieto di spostamenti e viaggi;
- di rimanere raggiungibile per ogni eventuale attività di sorveglianza;
- in caso di comparsa di sintomi, di avvertire immediatamente il medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta o l’operatore di sanità pubblica territorialmente competente per ogni conseguente determinazione". In caso di «comparsa di sintomi, di avvertire immediatamente il medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta o l'operatore di sanità pubblica territorialmente competente per ogni conseguente determinazione». «La mancata osservanza degli obblighi di cui alla presente ordinanza - si sottolinea - comporterà le conseguenze sanzionatorie come per legge». Saranno i prefetti ad assicurare «l'esecuzione delle misure disposte con la seguente ordinanza» che è stata trasmessa anche ai sindaci.
UNIVERSITARI PUGLIESI BLOCCATI A MILANO - «Noi stiamo aspettando il pullman per andare a Bari, arriva alle 10 ma siamo venuti presto per capire che succedeva. All’inizio volevamo restare, ma tutti i nostri amici che stanno al Nord sono già giù». A raccontarlo sono tre studenti pugliesi che frequentano l’università a Milano. «I corsi sono sospesi - aggiungono - gli esami non si capisce come si daranno e quando. Tutti i nostri compagni di corso sono partiti la scorsa settimana». «Io a casa non ho più le mie inquiline - spiega una di loro - Ho fatto le valigie e vado dai miei finché posso». Un uomo in biglietteria chiede se il servizio di trasporto funziona o se verrà bloccato. «Mah non penso stamani - gli rispondono - e forse nemmeno oggi». «Meno male - risponde - finché non è finito questo casino non me ne torno proprio».
CONTROESODO DA BARI A MILANO - Contro esodo ai tempi del coronavirus. Si chiama Angela ed era a Monopoli fino a qualche ora fa per seguire i lavori di ristrutturazione di una casa di famiglia, ma leggendo le notizie sulla chiusura totale della Lombardia ha prenotato il primo treno per Milano per tornare a casa. Un Intercity partito da Bari alle 11.55 e che a Milano arriverà dopo circa 12 ore di viaggio. «Stanotte mi sono allarmata - racconta Angela -. Io di solito non mi allarmo mai, sono una persona positiva, però le informazioni della chiusura totale della Lombardia, sia in entrata che in uscita, mi hanno allarmata e di corsa sono riuscita a trovare questo treno». Riguardo agli inasprimenti delle disposizioni per evitare il contagio da coronavirus che limitano l’ingresso nella zona rossa dice: «Sono residente e devo per forza entrare perché ho la famiglia. Immagino uno scenario di chiusura. Di gente che non si muove, si muove poco». Quanto alla paura di ammalarsi, netta la risposta di Angela: «No».
Coronavirus, rientro dal Nord: oltre 2500 autosegnalazioni in un giorno, 10mila totali. Ordinanza è valida. “L’ordinanza della Regione Puglia è valida e va rispettata” lo dichiara il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano. La Gazzetta del Mezzogiorno l'08 Marzo 2020. Oltre 2mila persone di rientro dal Nord (2545 - dato aggiornato al 9 marzo) hanno compilato il modulo di autosegnalazione online per tornare in Puglia. (Dato aggiornato fino alle ore 21). «L’ordinanza della Regione Puglia è valida e va rispettata» ha dichiarato il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano. In totale, dal 29 febbraio ad oggi, sono 9362 i moduli on line di autosegnalazione per dichiarare di essere rientrati in Puglia. Il dato è in continuo aggiornamento. Il capo dell’Avvocatura regionale Rossana Lanza spiega: “Le disposizioni interpretative rese dal Capo di protezione civile sulla portata dell’art.1 lettera A del DPCM 8 marzo 2020 confermano e non sono in contrasto con quanto stabilito dal presidente della Regione Puglia che ha disposto l’obbligo di isolamento fiduciario per 14 giorni per chi rientra in Puglia al fine di soggiornare nel proprio domicilio, abitazione o residenza. L’ordinanza della Regione Puglia non impedisce l’ingresso nel territorio pugliese, bensì impone solo un obbligo di cautela al sol fine di prevenire la diffusione del virus, trattandosi di individui che provengono da zone per le quali la stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri con il medesimo DPCM ha disposto di evitare ogni spostamento in entrata e in uscita, salvo che per comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità o per motivi di salute. Quanto agli ulteriori chiarimenti interpretativi relativi ai casi in cui non si applicano le disposizioni limitative del DPCM, anche il presidente della Regione Puglia ha emanato una ordinanza con la quale specifica i casi in cui le limitazioni della sua ordinanza non si applicano”. Negli obblighi per chi rientra in Puglia da Lombardia e dalle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia, per soggiornare nel proprio domicilio, abitazione o residenza (con decorrenza dalla data del 7/03/2020) c’è quello di comunicare tale circostanza al proprio medico di medicina generale o pediatra di libera scelta o all'operatore di sanità pubblica del servizio di sanità pubblica territorialmente competente. Oppure di compilare il modulo online di autosegnalazione sanita.puglia.it/autosegnalazione-coronavirus. Chi rientra dalle zone indicate deve osservare la permanenza domiciliare con isolamento fiduciario, mantenendo lo stato di isolamento per 14 giorni e il divieto di spostamenti e viaggi; rimanere raggiungibile per ogni eventuale attività di sorveglianza; in caso di comparsa di sintomi, deve avvertire immediatamente il medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta o l’operatore di sanità pubblica territorialmente competente per ogni conseguente determinazione. “La risposta di 2000 pugliesi all’ordinanza è un fatto positivo – dichiara il presidente Michele Emiliano – compilando il modulo per segnalare il loro arrivo in Puglia di fatto queste persone si mettono in isolamento a casa per 14 giorni, i pugliesi stanno dimostrando grande senso di responsabilità. Un pensiero riconoscente va anche alle migliaia di nostri corregionali che hanno deciso di rimanere al Nord per senso di responsabilità nei confronti dei loro cari e della loro terra. Sono tantissimi e dalla Puglia a loro va il nostro grazie”.
Coronavirus, le voci in aeroporto a Bari: «Nessuno ci controlla la temperatura». Pochi voli, ma ecco le testimonianze di chi era sul Milano Malpensa-Bari. Leonardo Petrocelli su La Gazzetta del Mezzogiorno il 09 Marzo 2020. «Mi ha sorpreso terribilmente il lassismo in aeroporto, sul nostro volo in partenza da Milano Malpensa c’erano a malapena 15 persone. Né ai controlli in partenza né a quelli in arrivo ci hanno misurato la temperatura». Luigi, 54 anni, rientrato ieri a Bari con un volo dal capoluogo lombardo, cuore del contagio, punta l’indice sulla mancata misurazione della temperatura di chi è appena tornato dalle «zone rosse». La questione, già postasi nei giorni scorsi, torna sul tavolo del dibattito. Per disposizione del Ministero della Salute il termoscanner è obbligatorio all’arrivo per chi giunge dall’estero (anche come scalo intermedio) o da Roma Fiumicino, ma la logica dovrebbe suggerire la necessità di estenderlo anche a chi approda dalle «zone rosse». Senza sottovalutazioni. Quella dell’esodo per via aerea è infatti una questione che può essere affrontata da due angoli visuali diversi. Il primo è quello della conta dei passeggeri: nei voli arrivati ieri a Bari da Milano, Bergamo e Venezia-Treviso i passeggeri erano pochissimi, dai 15 ai 25 a viaggio. Velivoli semi-vuoti dunque, per ragioni che non sfuggono all’intuito: diversamente da treni, macchine e pullman, l’aereo rappresenta una via di fuga molto più «stretta». Il biglietto è nominale, si sa da dove parti e dove arrivi, e i controlli - sanitari, quando capita, o della polizia - sono dietro l’angolo. Difficile eludere «l’occhio» dello Stato. E, infatti, i «fuggitivi» dell’ultima ora hanno scelto asfalto o rotaie per il proprio esodo. Le lamentele dei tassisti per le prenotazioni saltate e i grandi spazi deserti in aeroporto stanno lì a testimoniare un clima generale di dismissione. Ma c’è anche un’altra angolazione da cui affrontare il problema: se è vero che i passeggeri sono pochi, è altrettanto vero che i voli sono tanti. Solo ieri, dalle «zone rosse», ne sono approdati a Bari più di dieci. Basta fare una moltiplicazione: dieci voli con venti passeggeri fa 200 persone. Un numero non proprio irrilevante. Chi è rientrato per via aerea, però, non si scompone. Tutti battono sullo stesso punto: «Vivo qui, avevo necessità di tornare. Le disposizioni delle autorità? Faremo tutto quello che serve», è il ritornello. Qualcuno, però, esibisce già qualche indecisione. È il caso di una giovane studentessa dell’Università di Udine, arrivata ieri da Venezia-Treviso carica di valige: «Sono tornata per il funerale di mia nonna. L’isolamento? Vedremo, ora non so». Più rassicurante Antonio, reduce con famiglia da una vacanza proprio a Venezia: «Sono sicuro che non ci tratteranno da untori anche perché non potevamo certo rimanere in albergo per un mese. Siamo qui e faremo tutto ciò che ci chiederanno di fare». Le testimonianze si susseguono sulla stessa linea ma non mancano elementi che aggiungono confusione a confusione: c’è chi a Venezia è stato controllato pur non venendo da fuori, chi si è armato di mascherina perché «in aereo tossivano tutti» e chi, infine, un bacio e un abbraccio ai parenti li dà comunque, altro che isolamento. Chiudono la carrellata coloro che, invece, da Bari tornano su, lì nelle zone dove il contagio impazza. Un volontario della Croce rossa di Abano Terme, ad esempio, ci racconta di essersi concesso qualche giorno di vacanza in Puglia dopo aver trasportato contagiati da Vo’ a Padova. Ma ci sono anche casi meno borderline come Donato e Valentina in partenza per Venezia con due figlie di 7 e 4 anni al seguito. Le bimbe indossano la mascherina, loro no. Tirano un sospiro: «Dobbiamo rientrare, la nostra vita è in Veneto. Speriamo bene, soprattutto per le piccole».
Coronavirus Puglia: stop a ricoveri, visite ambulatoriali ed esami non urgenti in ospedale. Sospese le attività di front office anche nei Cup: prenotazioni solo al telefono o su internet. La Gazzetta del Mezzogiorno l'08 Marzo 2020. Nell’ambito delle misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da Coronavirus - CoVID-19, il direttore del dipartimento Promozione della Salute, Vito Montanaro, ha comunicato con una nota che da oggi sono sospese in via straordinaria tutte le attività sanitarie non urgenti nelle strutture pubbliche. Le prestazioni urgenti e indifferibili restano invece garantite. Il provvedimento serve ad evitare la presenza in ospedale di pazienti che potrebbero infettarsi. L’obiettivo è anche quello di garantire la disponibilità di un congruo numero di posti letto sia nelle degenze mediche che chirurgiche.E anche a rendere disponibili più sanitari nelle attività di contrasto al contagio durante il picco epidemico. Stop quindi a ricoveri, visite ambulatoriali, esami diagnostici e operativi, gli esami di laboratori, i day service, non urgenti.Sono sospesi i ricoveri programmati sia medici che chirurgici che non siano giudicati indifferibili dai sanitari. Sarà possibile effettuare solo i ricoveri programmati per pazienti oncologici e per quelli provenienti dal Pronto Soccorso, che siano considerati dai sanitari indifferibili. Si svolgeranno regolarmente i piani terapeutici, le somministrazioni di farmacoterapia e tutte quelle prestazioni che non si possono rimandare in quanto potrebbero procurare un potenziale danno al paziente, quali ad esempio dialisi, terapie oncologiche-chemioterapiche, PET-TAC, radioterapia, e naturalmente tutti gli esami, le visite ed ogni altra prestazione connessa alla procreazione, alla nascita ed alla diagnosi prenatale ed al parto. Si svolgeranno regolarmente le donazioni di sangue, per le quali si continua a fare appello ai donatori per far fronte al calo delle scorte. A partire da domani è prevista inoltre la sospensione temporanea delle operazioni di sportello all’interno dei CUP per evitare la sosta dei pazienti nelle sale di aspetto e davanti agli sportelli, fatta eccezione per i pagamenti dei ticket relativi a prestazioni urgenti. Tutte le altre operazioni - come prenotazioni e/o disdette - saranno garantite esclusivamente per via telematica (salute.puglia.it ) o telefonica. Per ridurre ogni rischio di contagio, sono già in vigore provvedimenti per la riduzione dei punti di accesso in ospedali e ambulatori. L’accesso ai reparti ospedalieri di degenza sarà consentito in modo rigorosissimo esclusivamente durante l’orario di visita ad un solo visitatore per paziente al giorno. Stesse limitazioni negli ambulatori, dove sarà garantito l’accesso ad un solo accompagnatore per paziente.
ECCO I NUMERI UTILI:
- Numero Verde 800888388: prenotazioni telefoniche nella fascia oraria 8.00-19.00 dal lunedì al venerdì, attivo solo da rete fissa.
- Numero 080 9181603: prenotazioni telefoniche nella fascia oraria 8.00-19.00 dal lunedì al venerdì.
Coronavirus a Matera, positivi padre e figlio: erano entrati in contatto con turisti della zona rossa. Il test effettuato all'uomo in mattinata dopo l’unico sui 36 tamponi, giunti dalle province di Potenza e di Matera. La Gazzetta del Mezzogiorno l'08 Marzo 2020. Salgono a cinque in Basilicata i casi di persone positive al coronavirus: l’ultimo a risultare contagiato è un giovane, figlio di un uomo - quarto lucano in ordine di contagio - ricoverato nell’ospedale «Madonna delle Grazie» di Matera. Lo ha reso noto la task force della Regione Basilicata: il giovane, che «è seguito a casa», nei giorni scorsi «è venuto in contatto con turisti provenienti dalla zona rossa». La scoperta della sua positività al covid-19 è avvenuta grazie ad un tampone effettuato «durante l’accertamento della catena di contatti del padre». La task force lucana, infine, ha precisato che «al momento non è in corso la processazione di altri tamponi».
Coronavirus, Basilicata, il governatore Bardi ordina la quarantena per chi arriva dalle «zone rosse». Salgono a 5 i positivi. Stazione ferroviaria e terminal bus presidiate da Protezione civile e volontari. La Gazzetta del Mezzogiorno l'8 Marzo 2020. Salgono a cinque in Basilicata i casi di persone positive al coronavirus: l’ultimo a risultare contagiato è un giovane, figlio di un uomo - quarto lucano in ordine di contagio - ricoverato nell’ospedale «Madonna delle Grazie» di Matera. Lo ha reso noto la task force della Regione Basilicata: il giovane, che «è seguito a casa», nei giorni scorsi «è venuto in contatto con turisti provenienti dalla zona rossa». La scoperta della sua positività al covid-19 è avvenuta grazie ad un tampone effettuato «durante l’accertamento della catena di contatti del padre». La task force lucana, infine, ha precisato che «al momento non è in corso la processazione di altri tamponi».
L'ORDINANZA DI BARDI - Il presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi, così come il suo collega della Puglia, Michele Emiliano, ha emanato l’ordinanza n. 3 che prevede misure urgenti per arginare il diffondersi del Covid-19 sul territorio lucano. In particolare, l’ordinanza prevede che chiunque proviene in Basilicata dalle zone rosse, cioè dalla Regione Lombardia e dalle Province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia, è obbligato a mettersi in quarantena, osservando l’isolamento fiduciario, e a comunicare la propria presenza al medico di medicina generale, se si è minori al pediatra di base, o al Numero Verde istituito dalla Regione Basilicata 800996688. Agli stessi soggetti è richiesto, ancora, di evitare contatti sociali, di osservare il divieto di spostamenti e viaggi e di rimanere raggiungibili per le attività di sorveglianza. Se compaiono sintomi, si deve avvertire immediatamente il medico di base, il pediatra o l’operatore di sanità pubblica territorialmente. L’ordinanza è immediatamente esecutiva ed è stata pubblicata sul Bollettino ufficiale e sul sito istituzionale della Regione Basilicata. Ecco alcuni stralci: «Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19, tutti i soggetti che rientrano a far data dall’8 marzo 2020 nella regione Basilicata, provenienti dalla regione Lombardia e dalle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia, devono osservare le seguenti misure:
- comunicare tale circostanza al proprio medico di medicina generale, ovvero pediatra di libera scelta, ovvero al numero verde appositamente istituito dalla Regione 800996688;
- osservare la permanenza domiciliare, con isolamento fiduciario, mantenendo lo stato di isolamento per quattordici giorni;
- evitare contatti sociali;
- osservare il divieto di spostamenti e/o viaggi;
- rimanere raggiungibili per le attività di sorveglianza;
- in caso di comparsa di sintomi, avvertire immediatamente il medico di medicina generale, o il pediatra di libera scelta o l’operatore di sanità pubblica territorialmente competente per ogni conseguente determinazione».
«La mancata osservanza degli obblighi di cui al precedente comma 1, lettere da a) a f), comporta l’applicazione delle conseguenze sanzionatorie indicate all’articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 marzo 2020».
Coronavirus Basilicata, 699 persone rientrate dal Nord. Azzerate visite nei Sassi. Salgono a 8 i contagi. La Gazzetta del Mezzogiorno il 10 Marzo 2020. Sono 699 le persone provenienti dalle altre regioni italiane rientrate in Basilicata e censite fino a questo momento dalla Protezione civile: lo ha reso noto la task force della Regione Basilicata.
Intanto «sono otto i tamponi giunti in mattinata all’ospedale 'San Carlo' di Potenza per essere analizzati, a cui potrebbero aggiungersene altri nelle prossime ore: i risultati di laboratorio verranno resi noti in serata». Infine, la task force ha definito «stazionarie le condizioni di salute dei sette pazienti lucani risultati positivi nei giorni scorsi al nuovo coronavirus».
8 I CONTAGIATI - In Basilicata sono saliti a otto i casi di Coronavirus. Lo ha reso noto - attraverso l’ufficio stampa della giunta lucana - la task force regionale, specificando che «dei tamponi analizzati oggi nel laboratorio dell’ospedale San Carlo di Potenza, sette sono risultati negativi, uno positivo».
Il caso positivo registrato oggi «riguarda un uomo di 70 anni, di Potenza, che si trova in quarantena nella propria abitazione. È già stato programmato dagli specialisti il tampone sulla moglie».
Nel comunicato è anche evidenziato che «uno dei due pazienti di Matera positivi al Coronavirus, ricoverato nel reparto di malattie infettive dell’ospedale 'Madonna delle Graziè, nelle ultime ore è stato trasferito in rianimazione a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute».
AZZERATE VISITE NEI SASSI - Un calo nei primi due mesi del 2020 dell’80-90%: questo calcolano gli operatori turistici di Matera, ma la sensazione, camminando oggi nei rioni Sassi «deserti», è quella che il Coronavirus, prima con la paura e poi con le decisioni del Governo, abbia di fatto azzerato il turismo della città che nel 2019 è stata Capitale europea della Cultura.
I dati dello scorso anno parlano di circa un milione di visitatori; le immagini e i «ricordi» - perché, nonostante siano passate solo poche settimane dalla cerimonia di chiusura dell’anno da «Capitale», sono proprio ricordi - raccontano di piazze piene e di vie e viuzze dei Sassi inondate da turisti. Un’inondazione reale - poi diventata «virale» attraverso i video diffusi sui social e arrivati in tutto il mondo - c'è stata il 12 novembre, con i Sassi travolti dall’acqua e dal fango.
Da quel momento in poi - anche se tutto tornò alla normalità in pochissime ore - la storia recente di Matera ha svoltato, questa volta però in senso negativo: sono aumentate le cancellazioni per il fine 2019 e sono invece notevolmente diminuite le prenotazioni per l’inizio 2020.
Le prime settimane del nuovo anno hanno quindi lasciato gli operatori molto delusi. In tanti, in particolare tra i gestori di bar, ristoranti, B&B e affittacamere, si sono accorti che i conti non tornavano più e che il «boom» stava volgendo al termine, cominciando a pensare di chiudere. E negli ultimi giorni la paura del coronavirus ha inflitto un altro colpo pesantissimo all’economia cittadina, fino ad arrivare a una mattina che, a Matera - ma forse mai come a Matera se si pensa a tutto quello che c'è stato nel 2019 - è stata surreale. Di reale, nel primo giorno dell’entrata in vigore del nuovo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, c'è una città che ha perso per strada i turisti e che teme un tracollo. A parecchi pare inevitabile.
LE PAROLE DI BARDI - Il presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi, ha chiesto ai sindaci lucani «il massimo sforzo» per «organizzare servizi di recapito beni di prima necessità e farmaci, soprattutto rivolti alle persone anziane e ai cittadini con problemi di assistenza": l’obiettivo comune «è di fornire a tutti i cittadini, soprattutto agli anziani, il supporto necessario per evitare il più possibile i movimenti sul territorio».
Bardi, è scritto in una nota dell’ufficio stampa della giunta regionale, con l’Unità di crisi regionale sul Coronavirus ha incontrato oggi alcuni componenti del Consiglio direttivo dell’Anci «per approfondire, nel dettaglio, tutta le questioni legate alla gestione dell’emergenza». Il coordinatore della Task force regionale, Ernesto Esposito, ha poi spiegato che la Regione ha «avviato uno studio epidemiologico, prendendo a riferimento i dati della Lombardia, per avere indicatori utili a comprendere la possibile evoluzione del contagio in Basilicata».
Lo studio «fornirà in anticipo suggerimenti utili su come ottimizzare l’assistenza sanitaria che ad oggi può contare su 60 postazioni di terapia intensiva, una metà delle quali deve essere resa disponibile anche per altre esigenze mediche» e, ha aggiunto Esposito, «stiamo censendo strutture utili per organizzare eventuali spazi di quarantena». Il presidente dell’Anci, Salvatore Adduce, ha invece ricordato che in relazione alla chiusura delle scuole «si è anche valutata la possibilità di aumentare le corse dei pullman sui quali viaggiano molti lavoratori, al fine di garantire la sicurezza delle sedute».
Coronavirus, l'esercito dei "rientrati" Più di 7mila in Sicilia. Sono 7 mila i giovani che hanno fatto rientro dal Nord e che si sono registrati sulla piattaforma della Regione Siciliana. Intanto i turisti bergamaschi in quarantena a Palermo tornano a casa. Vincenzo Ganci, Lunedì 09/03/2020, su Il Giornale. L'assessore alla salute della Regione Siciliana fa il punto della situazione coronavirus. Tra giovani che hanno fatto rientro dal Nord e chi invece, dopo la quarantena torna a casa al Nord. “Cominciamo con una buona notizia: stamattina lasceranno Palermo i turisti di Bergamo che erano stati in quarantena da noi, a loro rivolgo un buon rientro a casa”. Ha annunciato l’assessore alla salute della Regione siciliana, Ruggero Razza, intervenuto a Omnibus su La7. Oggi la comitiva di turisti bergamaschi in quarantena per due settimane all’Hotel Mercure di Palermo lasceranno il capoluogo siciliano. Si tratta di una trentina di persone che erano in compagnia della prima paziente risultata positiva a Palermo. Ieri hanno voluto ringraziare i palermitani e i siciliani che in questi giorni sono stati vicini ai turisti portando anche pietanze tipiche siciliane. “La Sicilia sta lavorando in maniera molto forte come le altre regioni, stiamo potenziano le terapie intensive aggiungendo 100 posti e arrivando a 500 posti nell’isola”, ha aggiunto l’assessore Razza. “Stiamo realizzando delle strutture sanitarie collegate al contenimento dell’emergenza – dice Razza – Noi abbiamo dimostrato in queste settimane di avere contenuto abbondantemente l’ipotesi di contagio”.
L'esodo dei giovani dal Nord. L’assessore ha poi parlato dell’esodo di cittadini dal Nord e diretti in Sicilia e nelle altre regioni del Sud. “Stiamo adottando delle misure di contenimento – ha spiegato Razza – abbiamo chiesto ai ragazzi di registrarsi sul sito della Regione e lo hanno fatto in oltre 7.000, perché in questo momento è determinante potere tracciare la presenza sul territorio di chiunque raggiunge la Sicilia dalle regione di area rossa o gialla. Noi dobbiamo fare tesoro dell’esperienza della Lombardia o del Veneto – dice – dobbiamo lavorare per incrementare il numero di posti letto in Sicilia”. "Abbiamo dimostrato in queste settimane di essere in linea con tutte le regioni e abbiamo contenuto il contagio. La mia preoccupazione è legata al numero fortissimo di casi aggiuntivi per questo esodo indotto al Sud". Sottolinea l'assessore della Regione siciliana. "C'è un numero altissimo di casi aggiuntivi che si potrebbero determinare per questo esodo dal Nord al Sud che è stato indotto". É la denuncia dell'assessore Razza. Intanto è terminata la quarantena anche per i 276 migranti salvati in mare, in tre diverse operazioni, e imbarcati due settimane fa sulla nave Ocean Viking. I migranti hanno trascorso due settimane in stato di quarantena nell'hotspot di Pozzallo (Ragusa). Insieme ai migranti è stato isolato anche l'equipaggio della nave di Sos Meditérranée e Medici senza Frontiere. Da oggi potranno iniziare i trasferimenti in altri centri di accoglienza.
Rientrata la protesta dei detenuti. Ad aggiungersi alle preoccupazioni del governo regionale anche le proteste dei detenuti per le limitazioni alle visite dovute al Decreto sul coronavirus. É rientrata in nottata la protesta nel carcere "Antonio Lorusso" di Palermo, dove i detenuti ieri a tarda sera hanno incendiato lenzuola e coperte, sbattendo le stoviglie sulle sbarre delle celle. Una protesta determinata dai timori di contagio al coronavirus e alle restrizioni anche ai colloqui con i familiari, necessarie per il contenimento del contagio. Fiamme, grida e rumori percepibili dall'esterno dove, in strada, c'erano i familiari che hanno bloccato il traffico sulla Circonvallazione, ostruendo la carreggiata con le automobili. "Non sappiamo cosa succede là dentro - dicevano i familiari in strada - ma non siamo solo noi che possiamo contagiarli. Anche gli agenti della polizia penitenziaria devono fare il tampone". Sul posto le volanti delle forze dell'ordine, la polizia di stato e i vigili del fuoco. La direzione del carcere ha cercato il dialogo con i detenuti e a notte fonda la protesta è rientrata. Stamattina, a scopo preventivo, in circonvallazione nei pressi del penitenziario, sono presenti personale e mezzi della Polizia di stato, ma al momento non risulta nessuna protesta.
· Un popolo di coglioni…
Parafrasi ed Assioma con intercalare. Non ho nulla più da chiedere a questa vita che essa avrebbe dovuto o potuto concedermi secondo i miei meriti. Ma un popolo di coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato, istruito, informato, curato, cresciuto ed educato da coglioni. Ed è per questo che un popolo di coglioni avrà un Parlamento di coglioni che sfornerà “Leggi del Cazzo”, che non meritano di essere rispettate. Chi ci ha rincoglionito? I media e la discultura in mano alle religioni; alle ideologie; all’economie. Perché "like" e ossessione del politicamente corretto ci allontanano dal reale. In quest'epoca di post-verità un'idea è forte quanto più ha voce autonoma. Se la libertà significa qualcosa allora ho il diritto di dire alla gente quello che non vuole sentire.
Lettera al ''Giornale'' il 20 ottobre 2020. Tale Simona Bonafè (Pd) in tv, ospite di Nicola Porro, ha testualmente affermato «non facciamo gli italiani più imbecilli di quanto non siano». Informo la svampita onorevole che gli italiani non meritano di essere offesi da una scappata di casa che sostiene un governo che dell' imbecillità ha fatto una bandiera! Giuseppe Metelli
Risponde Tony Damascelli sul ''Giornale'' il 20 ottobre 2020. Gentile signor Giuseppe ogni volta che leggo o ascolto una corbelleria mi tornano alla mente le battute di Totò, il quale anticipava i tempi non immaginando comunque che addirittura i rappresentanti delle istituzioni scendessero al ruolo di comparse e battutisti. Lei segnala, appunto, un passaggio delle parole pronunciate dalla parlamentare Bonafé Simona la quale, in coerenza con il proprio cognome, dunque in buona fede, ha detto testualmente. «non facciamo gli italiani più imbecilli di quanto non siano». Meglio avrebbe fatto a usare la prima persona plurale del verbo, dunque «..di quanto non siamo..» ma mi rendo conto che questo sarebbe stato un salto culturale e di coscienza che una esponente di questo governo non può avere, appartenendo a un clan esclusivo di nati già imparati. Ecco perché mi è tornata in mente la frase del principe De Curtis: «Lei è un cretino, si informi», un riassunto che spiega tutto, un invito che è una condanna alla berlina pubblica. Può darsi che noi italiani siamo così cretini che nemmeno una parlamentare può immaginarlo, ma si dovrebbe presumere che la nostra imbecillità derivi proprio dal fatto di essere rappresentati da simili personaggi. Non voglio scadere nelle facili e volgari provocazioni ma spesso la Bonafé è scivolata in modo imprevedibile e goffo, scambiando congiunto con congiuntivo, un errore di sbaglio si potrebbe dire per mettersi allo stesso livello ma, come sostiene la stessa deputata di Azzate, non siamo mica tutti imbecilli.
Hanno prima istituito le zone rosse contagiate dal Virus Padano con limiti invalicabili e poi hanno permesso agli infettati di quelle zone di varcare i limiti e di contagiare il Sud.
Hanno prima chiuso gli stadi del nord per timore del contagio del Virus Padano e poi hanno permesso la trasferta a Lecce degli infettati atalantini.
Oggi hanno unificato l’Italia. Se prima si erano dati al lassismo, oggi, nell’onda lunga giustizialista, hanno ristretto l’Italia ai domiciliari con misure draconiane.
Tutti contagiati. Ergo: niente vizi privati; niente servizi pubblici.
Tra queste misure si è previsto la chiusura delle scuole in tutta Italia. Come se le scuole fossero veicolo di contagio in territori dove il virus non c’è.
Come dire: gli ulivi del Salento sono infettati dalla Xylella? Tagliamo le piante in Liguria.
Vada per gli stadi ed ogni manifestazione sportiva, per non avvantaggiare nessuno. Ma cosa centrano le scuole.
Se uno Stato non riesce a garantire la sicurezza dalla violenza e dall’illegalità.
Se uno Stato non riesce a garantire la salubrità degli edifici pubblici da contaminazioni e contagi.
Se uno Stato non riesce a fare ciò: è uno Stato che non merita rispetto.
Chiudono i parchi per le passeggiate
e liberano i treni degli infettati
Coronavirus: rinchiudono i sani per difenderli dai malati. La logica vorrebbe: relegare gli infettati in quarantena. Come? Individuarli col tampone a tappeto. Il costo sarebbe inferiore rispetto al blocco dell'economia. Ci hanno sottoposto alla cultura del sospetto. Diffidiamo, addirittura, dei nostri affetti. Ristretti ai domiciliari perdiamo gli ultimi momenti importanti con i nostri vecchi e i primi dei nostri giovani.
Scegliere la deficienza. È tutta questione di… volontà. Alessandro Bertirotti il 6 aprile 2020 su Il Giornale. In questo articolo, che evidenzia lo stato attuale delle cose virulente in questa nazione, emerge una serie interessante di dati, che conducono ad altrettante riflessioni. Io scelgo di proporvene una sola, fra quelle che considero più significative, ovviamente dal mio punto di vista, come sempre. Mi riferisco al titolo di questo articolo, ossia alla capacità di scegliere che ogni essere umano, dalla prima infanzia in poi (0-3 anni), esercita quotidianamente. Questo sano esercizio, fondamentale per la sopravvivenza, nella nostra specie si caratterizza perché è veicolato dalla coscienza. Ed una delle più importanti funzioni della coscienza umana è l’esercizio dell’attenzione. Quest’ultima, a sua volta, è frutto di una cosiddetta percezione selettiva. Bene, per sintetizzare, le cose stanno come segue. Noi percepiamo la realtà selezionandola in base all’attenzione che poniamo ad alcune cose, rispetto ad altre; quindi, prendiamo coscienza di questa selezione e agiamo scegliendo come comportarci di fronte ai dati che abbiamo incamerato. Mi sembra un processo chiaro, lineare e sereno. Non comporta un’alterazione della nostra capacità di comprendere il mondo, anzi, è proprio tale procedimento che dimostra la nostra attività cognitiva. Ma, questo stesso procedimento ci dice anche come e in quale misura avviene la comprensione del mondo che ci conduce a scegliere. Noi ascoltiamo (e consiglio, a questo proposito, di ascoltare solo una volta al giorno le notizie nei media…) tutto ciò che sta accadendo oggi al mondo, grazie al saggio avvento di zio Covid-19. Ognuno di noi seleziona ciò che è degno di attenzione, ne diviene cosciente e prende una decisione, ossia sceglie, circa il comportamento da adottare. Un comportamento che lui/lei stesso/a porta avanti, che ha conseguenza anche, ora più che mai, per l’intera collettività. Dunque: coloro che escono di casa, per fare gli affari propri, come se nulla fosse; coloro che dicono di pensare alternativamente al mainstream (nel quale, fra l’altro, si muore…), credendo di sconfiggere con la forza della mente zio Covid-19; coloro che scrivono autocertificazioni false; coloro che dicono che gli operatori sanitari sono eroi, dimenticando che per anni lo Stato ha tagliato loro fondi su fondi, ma hanno continuato a votare i cialtroni che ci governano da decine di anni; coloro che si preoccupano di pensare che si può ritornare a vivere, come sempre e come prima; ebbene, tutte queste tipologie di individui scelgono di essere deficienti. E lo scelgono, perché sono deficienti. Punto.
Carla Vistarini per Dagospia il 29 marzo 2020. "Sono quasi venti giorni che siamo chiusi in casa a decine di milioni. Ora, se l'incubazione del coronavirus è di 14 giorni massimo come dicono, ormai chi sta bene o è sano da prima, o è sano perché può considerarsi immune o è sano perché l'ha avuto in modo asintomatico, e può ragionevolmente supporre di averlo superato (considerati sempre i 14 giorni). Bene, decidendosi a fare tamponi a tappeto per avere la conferma di quanto sopra esposto, si potrebbe tornare, almeno a scaglioni, e con le dovute cautele (mascherine, distanza di sicurezza, ecc.) a una vita quasi normale. Soprattutto al lavoro, ai propri cari, e a cercare di riacciuffare il riacciuffabile di questo Paese e di questa economia che stanno lentamente morendo. Altrimenti che si diano chiare e giustificate, scientificamente e socialmente parlando, ragioni per continuare a tenere (quo usque tandem?) decine di milioni di persone, presumibilmente sane e immuni, in quarantena. Farlo sine die e senza strategie è un rischio colossale le cui conseguenze, a parte quelle che iniziano a essere visibili già ora, si prospettano catastrofiche. Qui non si sta dicendo di fare uscire tutti, ma di fare uno screening per capire chi può uscire. Tenere 60 milioni di persone a casa a tempo indeterminato (perché è questo che sta succedendo ora) è una bomba sociale. Senza contare che non esiste al mondo la garanzia di estinzione del virus in assoluto per sempre e ovunque, e quindi la possibilità di contrarlo, pur se inferiore, resterà, come per ogni altra patologia. Ma non per questo per le altre patologie stiamo barricati in casa. Corriamo il ragionevole rischio. Si chiama vita. Il campa cavallo non porta da nessuna parte. O meglio, il campa cavallo, molto più che il virus, alla fin fine porta ai cipressi (quei famosi cipressi che "a Bolgheri alti e schietti van da San Guido in duplice filar...", come diceva Giosuè, premio Nobel).
Vincenzo Magistà : Tgnorba 4 marzo 2020. «A tutto c’è rimedio, anche al Coronavirus. Ma, a quanto sembra, nulla, nulla può guarire dalla idiozia. L’idiozia sta facendo danni irreparabili. Hanno cominciato i social a diffondere il terrore. Stanno continuando gli idioti. Gli idioti sono quei soggetti che, sempre sui social, stanno prendendo di mira le persone risultate positive ai controlli. I contagiati, così come vengono definiti, con la stessa terminologia che si usava ai tempi della peste. E loro da appestati vengono trattati. Un esempio della più cieca ed assurda inciviltà. Queste persone andrebbero sostenute, difese, rispettate. E, invece, ricevono insulti, offese, emarginazione. Loro, i figli , le famiglie. C’è da vergognarsi. Anche in questi casi, però, c’è da indentificare i responsabili delle denigrazioni e denunciarli. Così come una denuncia la merita questo giornale che adesso vedrete. Che anziché Libero (Quotidiano, nda), è stupido e idiota. Una vera miscela esplosiva, fra l’altro. “Il Virus va alla conquista del Sud” leggete questo titolo. Così titola con entusiasmo questo giornale milanese e leghista: “trenta infetti in Campania, undici nel Lazio, cinque in Sicilia e sei in Puglia. Ora sì che siamo tutti fratelli”. Verrebbe da lanciargli qualcosa contro, se ne avessimo la possibilità. Potremmo rispondergli che, invece di fare gli stupidi, dovrebbero piangere per le loro sventure., perché poi gli untori sono proprio loro: i lombardi, che da soli contano 1500 infetti. Noi ne abbiamo in tutto il Sud, insieme, meno dei loro morti, che sono 55. Adesso si rallegrano per averci contagiato. Come se ci fosse da guadagnare qualcosa in questo. La supesanità lombarda è allo stremo: denuncia tutti i propri limiti. Gli ospedali, la Regione Lombardia chiedono aiuto a noi. E un giornale che “Libero” non è per niente si permette di ironizzare sull’Unità d’Italia realizzata attraverso il Coronavirus. Adesso siamo tutti uguali: Coronavirus al Nord; Coronavirus al Sud. No, no, no signori. L’Italia resta ancora divisa: spaccata in due. Da una parte il Nord: il Nord degli untori. Quello che infetta. Dall’altra, purtroppo, il Sud infettato. Però, una volta tanto, stiamo meglio noi».
Da corrieredellosport.it il 17 marzo 2020. Nuovi casi di positività al Coronavirus nella rosa del Valencia. La società ha diramato una nuova nota specificando che “tutti sono asintomatici e sono in quarantena presso le proprie abitazioni”. Nel comunicato si fa anche riferimento alla partita di Champions contro l’Atalanta: “Nonostante le rigide misure adottate dal club dopo aver giocato una partita di UEFA Champions League a Milano il 19 febbraio 2020, un'area che giorni dopo è stata confermata ad alto rischio dalle autorità italiane, allontanando il personale dall'ambiente di lavoro e dal pubblico in generale, gli ultimi risultati mostrano che l'esposizione ha causato circa il 35% dei casi positivi”.
Coronavirus, il caso Valencia: «Da noi il 35 per cento di contagiati dopo la partita di Milano con l’Atalanta». Pubblicato martedì, 17 marzo 2020 su Corriere.it da Salvatore Riggio. C’è grande paura al Valencia. Si percepisce, si tocca per mano. Il club spagnolo ha fatto sapere che il 35% del gruppo (non solo calciatori, ma anche membri dello staff) che il 19 febbraio scorso ha giocato a Milano contro l’Atalanta per l’andata degli ottavi di Champions finita 4-1 per i nerazzurri, è risultato positivo al test del coronavirus. «Nonostante le rigide misure adottate dal club — è scritto in una nota del club — dopo aver giocato una partita di Champions League a Milano, un’area confermata ad alto rischio dalle autorità italiane giorni dopo, gli ultimi risultati mostrano che l’esposizione legata alle partite ha causato circa il 35% dei casi positivi». La nota del Valencia — club della città dove è stato registrato il primo morto spagnolo per coronavirus il 13 febbraio — aggiungepoi: «».Sono tutti casi asintomatici e tutti i contagiati si trovano nei propri domicili con monitoraggio medico e misure di isolamento, e realizzano con tranquillità il piano di lavoro preparato per loro Nei giorni scorsi il club aveva annunciato i contagi dei giocatori Garay, Gaya e Mangala, del dottor Aliaga e del team manager Camarasa. Ora ci sono altri nove casi, anche se non sono più stati fatti i nomi. Quello che preoccupa, oltre naturalmente all’epidemia interna, è che il Valencia, poi, è andato a giocare a San Sebastian, ha giocato in casa col Betis,ha viaggiato a Vitoria (città con un alto numero di contagi) e poi ha affrontato di nuovo l’Atalanta a porte chiuse al Mestalla.
Paolo Berizzi e Paolo Griseri per “la Repubblica” il 22 marzo 2020. Una concentrazione abnorme. Qual è stato il detonatore che ha fatto esplodere il caso Bergamo e l' aumento esponenziale dei contagi? E ancora: l' epidemia nel bergamasco e quella di Milano hanno avuto un punto di contatto? All' unità di crisi della Protezione civile, negli ultimi giorni, ha cominciato a farsi strada un' ipotesi. Qualcosa di più di una suggestione, qualcosa di meno di una certezza scientifica, del resto ormai impossibile da provare. E cioè che a spiegare l' anomalia di quel cluster possano essere una data e una partita. Atalanta-Valencia, 19 febbraio 2020, ottavi di Champions League, stadio San Siro, Milano. Per molto, troppo tempo, si è cercato il paziente 0, il primo positivo che avrebbe contagiato gli altri. Fatica sprecata. Per questo si è cominciato a rileggere a posteriori un mese di calvario lombardo provando a rispondere non più alla domanda «chi ha contagiato chi», ma a cercare che cosa possa aver aiutato la diffusione del contagio. Massimo Galli, responsabile del reparto malattie infettive al Sacco di Milano: «Certamente - dice - quella partita può essere stata un importante veicolo di contagio. Penso che l' epidemia sia partita prima, nelle campagne, durante le fiere agricole e nei bar di paese. Ma il fatto di concentrare decine di migliaia di persone della stessa zona nello stesso luogo può essere stato un importante fattore di diffusione ».
19 febbraio, dunque. Lo stadio milanese, se l' ipotesi è corretta, diventa l' appuntamento di Samarcanda che trasforma una festa dello sport nell' incipit di una tragedia. Possibile? È una fatto che pochi giorni prima accada qualcosa. In un cimitero spagnolo e in una trattoria di Zogno, sulla sponda del Brembo. Il 13 febbraio, nella regione Valenciana muore un uomo, che soltanto il 3 marzo, quando ne verrà riesumato il cadavere, risulterà positivo al coronavirus. È il primo decesso accertato per Covid-19 in Spagna. Lo conferma il 3 marzo Ana Barcelo, responsabile della sanità della regione di Valencia: «Una persona morta il 13 febbraio nella nostra regione è risultata positiva al coronavirus». Il 13 febbraio, sei giorni prima della partita di San Siro, l' epidemia aveva dunque già colpito nel sud della Spagna. Quell' uomo era un caso isolato? O tra i 2.500 fan che arriveranno a Milano la settimana successiva c' è qualcuno già infetto? Il 14 febbraio, nella trattoria-pizzeria "Da Cecca" di Zogno si festeggia San Valentino. Il menù è eccellente come testimoniano i commenti dei clienti: «Uella, che atmosfera da sogno ». «Presente, tutto ottimo e grazie allo staff». Ma non è una serata da sogno. Il 23 febbraio, e sono ancora i post a confermarlo, i clienti di quella sera vengono contattati dall' Asl perché uno degli avventori è risultato positivo al coronavirus.
13 e 14 febbraio: il virus gira nella regione valenciana e a Zogno, venti chilometri da Alzano e Nembro, due degli epicentri del contagio. Mancano sei e cinque giorni a San Siro. Si dirà: un indizio. E a posteriori. È però un fatto che il giorno dell' andata degli ottavi l' esodo dei bergamaschi che raggiungono il Meazza coinvolge più di 45 mila tifosi (record di sempre per l' Atalanta). Arrivano da ogni dove: da Bergamo, dalla pianura, dalle valli. Vogliono esserci nel giorno in cui il calcio orobico scrive la storia. I pullman, censiti dal tifo organizzato, sono 28. Poco più di 1.500 persone. Gli altri, la maggior parte, arrivano in macchina. Due ore per fare 50 chilometri. Ci sono tra loro anche quelli che abitano nei 38 comuni della val Seriana, uno dei focolai del contagio. Sono 540 persone secondo quanto Repubblica ha ricostruito in base ai dati forniti dal tifo organizzato. Molti raggiungono direttamente lo stadio e sostano sul piazzale Angelo Moratti, antistante agli ingressi. Altri consumano l' attesa passeggiando nel cuore della città, in piazza Duomo, dove fraternizzano con i tifosi del Valencia (nonostante il loro gemellaggio con i "nemici" dell' Inter) che non assomigliano neppure alla lontana agli ultrà neri della Dinamo Zagabria (incontrati a fine novembre). È una festa documentata dalla diretta di Bergamo Tv dove, tra gli altri, il giornalista Cesare Zapperi racconta: «Prima di venire qui mi sono fatto un giro in piazza Duomo. C' era un' atmosfera bellissima. Ho preso la metro. C' erano tifosi del Valencia e dell' Atalanta insieme. Una festa dello sport». Piazza Duomo, da lì la metro con un cambio per arrivare a San Siro. È un dettaglio che va annotato. Perché sulla metropolitana sale anche il giornalista spagnolo Kike Mateu (intervistato in questa pagina) risultato positivo al Covid-19 pochi giorni dopo. E lì è sicuro di aver contratto il virus. 45 mila tifosi - e davvero non importate quale fosse il loro passaporto, quanti fossero infetti, sintomatici o quanti asintomatici - sono l' evento che può aver creato l' innesco. È un fatto che il 4 marzo, 14 giorni esatti dopo la partita di San Siro, la curva dei contagi bergamasca subisce un' impennata. Sappiamo anche che cosa accade dopo. Il 9 marzo l' Atalanta parte per Valencia dove il giorno dopo giocherà il ritorno a porte chiuse. Nove giorni prima ha disputato una surreale partita di campionato a porte aperte a Lecce. Proprio quel giorno si ammalerà di coronavirus un ristoratore locale. Il 16 marzo il Valencia rende ufficiale che «il 35 per cento del personale della società, giocatori e personale tecnico, risulta positivo al coronavirus». L' Atalanta cancella immediatamente il calendario di allenamenti previsto nei giorni successivi. Mette in quarantena precauzionale i suoi calciatori facendo sapere informalmente che non c' è nessun caso di contagio e annuncia che gli allenamenti riprenderanno il 24 marzo, il giorno in cui l' Italia dovrebbe uscire di casa. Sapendo che così non sarà.
Coronavirus, positivo il titolare di un locale: «Ha ospitato tifosi dell'Atalanta». Poli Bortone: «Il sindaco si dimetta». Il Quotidiano di Puglia Giovedì 12 Marzo 2020. «Nella pizzeria, prima della partita con il Lecce, c'erano tifosi dell'Atalanta»: lo sostiene l'emittente Sportitalia, che ha raccolto la testimonianza di alcuni supporter della squadra nerazzurra, in trasferta nel capoluogo salentino poche settimane fa. Quel match fu preceduto da molte polemiche e diverse critiche alle istituzioni, perché fino all'ultimo - nonostante i dubbi sollevati dalla stessa Us Lecce - non si sono ottenute indicazioni precise sul fatto che la partita dovesse essere giocata a porte chiuse o aperte alla luce della zona di provenienza dei tifosi dell'Atalanta, Bergamo appunto, fra le più colpite dal coronavirus.
"Tifosi dell'Atalanta nella pizzeria, poi il contagio": la denuncia...All'indomani della notizia del contagio di un pizzaiolo di Lecce, la scoperta: i tifosi nerazzurri sarebbero stati proprio in quel locale, prima della partita. Inevitabile, dunque, oggi la polemica politica. «Se è vero - scrive la consigliera di minoranza, già senatrice, Adriana Poli Bortone - che ci sono stati tifosi dell'Atalanta nel locale di proprietà dell'uomo positivo al Covid 19, ancora una volta ci convinciamo della superficialità con cui il sindaco Carlo Salvemini ha affrontato il pericolo del coronavirus nella nostra città. Ricordiamo la totale incuranza in consiglio comunale quando, per tempo, ponemmo il problema della prevenzione preoccupati del messaggio di assoluta superficialità che proveniva dalla sorridente foto del sindaco e dell'intera giunta in un ristorante cinese, quasi a sottolineare una forma di scherno verso chi avvertiva una giusta e corretta preoccupazione». «Fare adesso post categorici - prosegue Poli Bortone - è come mettersi l'anima in pace dopo essersi assolutamente spogliato delle sue prerogative di autorità sanitaria che al di là delle direttive nazionali e regionali avrebbe dovuto autonomamente mettere in atto in modo categorico e risoluto per la sicurezza dei cittadini e a tutela della loro salute. All'epoca, mi riferisco all'ingresso dei tifosi dell'Atalanta, avrebbe dovuto insistere in tutte le sedi opportune per evitare che venissero in città tifosi e persone provenienti da quelle che ormai erano zone rosse. Ma nessun cenno abbiamo avuto di questa sua importante competenza e funzione tant'è che tra le altre cose, non abbiamo notato nessun intervento di igienizzazione e sanificazione in città. Né precauzione alcuna, a partire dalla compresenza di almeno 30 persone in commissione, stampa compresa, in ambienti di pochi metri quadri. Insomma una superficialità totale di cui stiamo cominciando a pagare le conseguenze. Salvemini dovrebbe amettere la sua incapacità, fare una doverosa ammissione e un unico proclama: dimissioni. Mentre il virus si diffondeva in città (anche sabato e domenica i locali erano pieni zeppi di gente senza controlli di alcun tipo) lui era impegnato a discutere una delibera di dubbia legittimità sulla costruzione di un impianto di rifiuti». Contattato per telefono, il sindaco Carlo Salvemini ha preferito non commentare.
Le “perle” della settimana. Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano 2 Marzo 2020.
Dilemmi esistenziali. “In tavola. Voi lo mangereste mai un topo o un pipistrello?” (“sondaggio” su sito web di Libero, 29.2). Mangiato un’altra volta pesante, eh?
Uomini e topi. “… si riesce persino a distinguere fra un leghista serio, Luca Zaia (e basta), e un Cazzaro Verde” (Marco Travaglio, il Fatto quotidiano, 27.2). “Li abbiamo visti tutti i cinesi mangiarsi i topi vivi” (Luca Zaia, Lega, presidente Regione Veneto, 28.2). Due pirla al prezzo di uno.
Immunodeficienza/1. “Se la situazione degenera è possibile che prenderemo misure come a Wuhan” (Attilio Fontana, Lega, presidente Regione Lombardia, In mezz’ora, Rai3, 23.2). “Questo virus è poco più di una normale influenza” (Fontana, 25.2). “La collaborazione con il governo è ottima” (Fontana, 24.2 ore 13.15). “Le parole di Conte sono inaccettabili e per certi versi offensive. Parole in libertà” (Fontana, 24.2, ore 22.46). “Il governo inizia a essere fuori controllo” (Fontana, 25.2). Facciamo tre.
Immunodeficienza/2. “Il video con la mascherina lo rifarei” (Fontana, Repubblica, 28.2). Cioè: si leva la prima o ne mette due, una sull’altra?
Immunodeficienza/3. “Richiamiamo i medici dalla pensione” (Fontana, 1.3). E mandiamoci lui.
Il Conte Ciano. “Conte usa parole quasi fasciste ed evoca i pieni poteri, si dimetta” (Riccardo Molinari, capogruppo Lega alla Camera, 25.2). Chi si crede di essere, Salvini?
Non chiama. “Ad oggi non ho più sentito Conte… Sono stato ad aspettare la sua telefonata per darmi appuntamento, ma non l’ho più sentito” (Lorenzo Fioramonti, ex ministro dell’Istruzione, ex M5S, Un giorno da pecora, Rai Radio1, 27.2). Strano che il premier non trovi un’oretta per chiamare Fioramonti, invece di occuparsi delle solite cazzate.
Terrenovirus. “Voglio che si sappia chiaramente, i cittadini devono sapere di cosa stiamo parlando. É bene che i cittadini conoscano la realtà. É bene che la informazione giunga corretta e non sia offuscata o ottenebrata dalla pur importante e preoccupante situazione derivata dal Terrenovirus” (Renzo Tondo, deputato Noi con l’Italia, dibattito alla Camera sul decreto Intercettazioni, 25.2). Giusto: se c’è un nuovo virus in circolazione, gli italiani devono sapere. Incluso il medico curante dell’on. Tondo.
Aridatece Cuffaro. “Se i turisti arrivano dal Nord sarebbe bene che non arrivassero” (Nello Musumeci, centrodestra, presidente Regione Sicilia, 26.2). Furbo, lui: così adesso arriveranno da tutto il resto del mondo.
Il Verano Illustrato. “Sanità distrutta, nazione infetta” (copertina dell’Espresso con tre uomini in tuta sterile e mascherona, 1.3). Poi tutti a domandarsi da dove nascerà mai tutto quel panico.
Condonavirus. “Salvini: ‘Stop alle cartelle in tutta Italia. Vanno sospesi subito gli adempimenti fiscali’” (La Verità, 29.2). Lui ci prova sempre. Poi magari ci spiega con quali soldi paghiamo gli stipendi ai medici e agli infermieri.
La pulce con la tosse/1. “Quando la politica riprenderà la sua vita normale, renderò ufficiali decisioni che altrimenti avrei già preso” (Ivan Scalfarotto, Iv, sottosegretario agli Esteri dopo la minaccia di dimissioni stoppate da Renzi, Repubblica, 1.3). Ma fai pure anche subito.
La pulce con la tosse/2. “I politici soffrono di una strana malattia, il sondaggismo” (Matteo Renzi, leader Iv, Corriere della sera, 29.2). Ora che lo danno sotto il 3%, gli stanno sul cazzo pure i sondaggi.
Triplo salto carpiato. “Ennesima prova, l’immigrazione porta malattie. Esportiamo la polmonite. Italiani portano il Covid in Arabia, Africa e Brasile” (Lorenzo Mottola, Libero, 29.2). Giusto: fermiamo subito i barconi carichi di italiani in partenza da Lampedusa.
Codice a sbarre. “Che vergogna Cecchi Gori dietro le sbarre a 78 anni”, “Andare in carcere a 78 anni: scoppia il caso Cecchi Gori” (Luca Fazzo, il Giornale, 1.3). Per la cronaca, Cecchi Gori (condannato definitivamente a 8 anni e 6 mesi), è in ospedale, piantonato dalla polizia penitenziaria. Che vergogna.
Il titolo della settimana/1. “Il salone di Ginevra non teme le malattie” (Libero, 28.2). “La Svizzera cancella il salone di Ginevra” (Il Messaggero, 29.2). Temeva le malattie.
Il titolo della settimana/2. “Nessun allarme Coronavirus, ma bisogna informare bene” (Antonio Lamorte, Il Riformista, 22.2). Se lo dice Lamorte, siamo in una botte di ferro
L’allarmismo, gli inviti alla calma e le gaffe. Il virus manda in confusione i governatori. I leghisti Fontana e Zaia tra l’esigenza di tutelare la salute pubblica e le direttive del governo “nemico”. La Stampa l''1 Marzo 2020. Emergenza sanitaria, virus scatenati, cittadini spaventati, polemiche, quarantene, crisi di nervi e diplomatiche. Non sono stati giorni facili per nessuno, figuriamoci per i presidenti delle regioni, soprattutto quelle in prima linea sul fronte dell’epidemia: Lombardia e Veneto. Dunque Attilio Fontana e Luca Zaia. Entrambi leghisti, entrambi sostenitori dell’eccellenza dei loro rispettivi sistemi sanitari, entrambi sotto pressione da subito. Qualche gaffe era forse inevitabile. La mascherina faticosamente indossata in mondovisione da Fontana e la battuta di Zaia sui cinesi che si nutrono di topi vivi, però, erano sicuramente evitabilissime. La battaglia, anche politica, è complessa. Perché, oltre che con il Covid-19, i governatori lombardo-veneti hanno dovuto combattere su due fronti: l’opinione pubblica, da mettere in allerta senza scatenare il panico, e il governo giallorosso, dunque nemico, anche perché imprevidentemente buonista. Così, ancora il 22, con il primo contagiato a Codogno, Fontana chiedeva di «controllare di più chi entra». Il 23, con i milanesi che prendono d’assalto i supermercati come i loro antenati manzoniani i forni, e la città che blinda tutto, anche i simboli più sacri, il Duomo, la Scala, San Siro, le sfilate di moda e perfino gli aperitivi, il governatore arriva a dire che si farà «come a Wuhan se la situazione degenera». In attesa dei monatti nelle strade, i governati fanno incetta di penne (intese come pasta, e per carità solo quelle rigate, le altre si sa che non trattengono il sugo...). Intanto Zaia chiude le università ma per bloccare il Carnevale di Venezia, magari un tantino più affollato, aspetta la domenica, quando alla fine dei festeggiamenti mancano due giorni: come chiudere Natale a Santo Stefano. Ma è lunedì 24 il giorno della crisi politica più grave. Di fronte alle regioni che vanno in ordine sparso, ognuna con la sua ordinanza fai-da-te, Giuseppe Conte esibisce il pugno di ferro nel guanto di velluto del suo involuto burocratichese: «Potremmo scegliere misure che contraggono le prerogative dei governatori», insomma commissariarli. Fontana, che alle 13.15 aveva dichiarato «per adesso la collaborazione con il governo è ottima», alle 22.46 definisce la sparata di Conte «inaccettabile e, per certi versi, offensiva. Parole in libertà». Zaia invece sostiene che «ci vuole una regia nazionale sulle ordinanze», e forse per questo in Veneto copiano pari pari quella dell’Emilia-Romagna dimenticandosi però di sostituire, appunto, il nome della regione. Curioso che per criticare il premier il capogruppo leghista alla Camera, Riccardo Molinari, dica che «Conte usa parole quasi fasciste ed evoca i pieni poteri», già chiesti in estate da qualcun altro durante la marcia sul Papeete. En passant, si distingue il governatore dem delle Marche, Luca Ceriscioli, che chiude le sue scuole infischiandosene del parere del governo e aprendo un’altra mezza crisi istituzionale. Intanto sbrocca Conte. E accusa i medici di Codogno, chiusi da giorni nel loro ospedale, a corto di tamponi e mascherine ma non di malati, di non seguire i protocolli. «Noi purtroppo abbiamo seguito quelli del governo»; «Siamo stati lenti? Non per colpa nostra»; «Il governo inizia a essere fuori controllo», le repliche di Fontana. Così alla videoconferenza del 25 è rissa. Cosa nell’occasione abbia esattamente urlato Fontana a Conte è controverso: il «vaffa» forse c’è stato o forse no, mentre i testimoni sono indecisi se, nella concitazione del momento, il presidente della regione abbia dato a quello del Consiglio del «cialtrone» o del «ciarlatano». Sta di fatto che, al solito, deve intervenire il Presidente Mattarella a mettere i puntini sulla «i» di Italia invitando tutti al «senso di responsabilità e di unità». Segue pace, o almeno tregua, fra Roma e Milano. Intanto però ci si è accorti che, a forza di allertare e allarmare, in tutto il mondo l’Italia sta diventando l’appestata o l’untrice, e fra turismo ed export ci rimettiamo una barca di soldi. La parola d’ordine è tornare alla normalità, o almeno provarci. Il sindaco Beppe Sala lancia l’hashtag #Milanononsiferma, toglie il coprifuoco ai bar e proclama solenne che «la cultura è vita» pochi minuti prima che si scopra che un corista della Scala è contagiato. Proprio in questo momento di ottimismo, e siamo ormai al 26, Fontana annuncia che una sua collaboratrice è stata trovata positiva e, in diretta Facebook, cerca di strangolarsi mettendosi una mascherina del tipo sbagliato e che non avrebbe alcuna ragione di indossare. Il video, ovviamente, fa il giro del mondo in un clic. Perfino il re dei gaffeur, Danilo Toninelli (sì, c’è ancora!) parla di «inutile allarmismo». Fontana non si pente («Il video con la mascherina? Lo rifarei»), ma la scena gli viene rubata da Zaia che, tutto sommato, finora non aveva sbagliato nulla. Quindi decide di andare in tivù a dire che i cinesi si lavano poco e, appunto, mangiano topi vivi. Mentre qualcuno ripesca le foto delle pantegane messe a essiccare in piazza a Belluno nell’«inverno della fame» del 1917 (ma almeno erano morte), l’ambasciata cinese si dichiara «basita» aprendo una crisi diplomatica di cui non si sentiva il bisogno. Finita qui? No, regala subito un’altra perla Nello Musumeci, presidente della Sicilia, spiegando che «se i turisti arrivano dal Nord sarebbe bene che non arrivassero», benvenuti. In Italia siamo sempre lì, al Regno delle Due Sicilie contro il Ducato di Milano. Ma chi governa i governatori?
Visto da Valerio Marini il 10/03/2020 su Malpensa24: il confronto tra Italia e Cina alle prese col coronavirus. Sorridere per provare a sdrammatizzare? Ma anche il sorriso rischia di spegnersi subito. Così la vede Valerio Marini, il nostro vignettista, che, a modo suo, fa il confronto tra Italia e Cina alle prese con il coronavirus. Più di un editoriale. Basta leggere.
CINA:
– Scoppia il virus.
– Quarantena da subito.
– Sospensione attività lavorative.
– Esercito per sanificare le strade.
– Costruzione ospedali in 10 giorni.
ITALIA:
– Arriva il virus.
– No, ma non è virus.. è che non ti sei messo la maglia della salute
– Muore 70 anni, 89, anni, 90 anni
– Eh.. ma tanto erano vecchi
– Sì, ma poi non campi più con la loro pensione
– Altri morti
– Allora è il virus, zona rossa
– Scappiamo dalla zona rossa
– Svaligiamo il supermercato
– No, le penne lisce no!
– Mettiamo in piedi la scopa
– Facciamo l’amuchina in casa
– Chiudiamo le scuole
– E allora andiamo in vacanza
– No, ma non devi andare in vacanza, a casa devi stare
– Riapriamo le scuole
– Chiudiamo gli stadi
– Riapriamo gli stadi
– Rimandiamo le partite
– Richiudiamo gli stadi
– Richiudiamo le scuole
– Tutti in discoteca
– Guardate che riapriamo le scuole!
– Tutti in discoteca lo stesso
– Chiudiamo le discoteche
– Apriamo le zone rosse piccole e facciamo le zone rosse grandi, le zone arancioni e le zone così e così
– E io me ne scappo al sud che ci sta u’ sol, u mar, a parmiggian e’ mammà e soprattutto non ci sta u’ virus
– Ma non ci sono i posti letto!
– Pazienza, piglio la sdraio
– Si ma cristo!!!
– Cristo lo puoi vedere in streaming sul canale youtube del papa
– Non ci dovete andare al sud, cazzo!
– Allora tutti a Riccione
– Ma chiudono tutto, non ci si può muovere
– Si sta a casa, ma puoi uscire
– Se esci giustifichi ma anche no
E siamo solo a martedì 10 marzo.
· L’Italia si chiude…con il dubbio. A chi dare ragione?
(ANSA il 9 marzo 2020) - "Ospedali in tilt, contagi in crescita, rivolte ed evasioni nelle carceri, crollo in Borsa, risparmi persi. Ho sentito gli alleati, ho telefonato al presidente Conte per chiedere un incontro. Sono vicino a tutte le persone che soffrono e che sono spaventate, insieme possiamo superare questo momento. Serve mettere in sicurezza il Paese estendendo le misure di emergenza sanitaria della cosiddetta "zona rossa" a tutto il territorio nazionale, la salute degli italiani viene prima di tutto". Lo chiede Matteo Salvini. "In questi giorni ho ripensato ad alcune vecchie letture, a Winston Churchill. Questa è la nostra 'ora più buia'. Ma ce la faremo". Lo scrive su Instagram il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, facendo riferimento all'emergenza che il Paese sta attraversando per il Coronavirus. "Le misure che sono state prese sono state comunicate come molto dure. Ma non lo sono. Anzi, io credo che, nei prossimi giorni, servirà altro. Il virus sta correndo molto più velocemente dei nostri decreti. Personalmente, credo che ormai tutta Italia debba essere considerata come una zona rossa. Altrimenti diamo un messaggio contraddittorio. E questo vale anche a livello economico. Tutto il Paese soffre il crollo economico, non solo i focolai". Così Matteo Renzi nell'enews. "Sono misure senza precedenti nella storia della Repubblica ed è normale che ci siano dubbi e domande ma il modo migliore per rilanciare l'Italia è sconfiggere il virus e per farlo dobbiamo limitare più possibile le occasioni di proliferazione del virus". Lo ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in diretta Facebook. "Dobbiamo cambiare le nostre abitudini, le misure vanno prese sul serio e affrontate con responsabilità. Se volete aiutare i nostri medici e i nostri eroi" che lottano contro il coronavirus, bisogna "limitare al massimo le opportunità di contagio", perché "c'è un 10% che finisce in terapia intensiva e più sale il numero dei contagi più la terapia intensiva potrebbe non farcela in tutta Italia Stiamo a casa il più possibile". Lo ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.
Bergamo, l'Eden produttivo che è diventato la Wuhan italiana. In una settimana la città è diventata una trincea sanitaria e l’unica soluzione è l’invito al coprifuoco. A Nembro ed Alzano Lombardo, i due principali focolai, i sindaci si sono dati regole rigidissime. Paolo Berizzi il 10 marzo 2020 su la Repubblica. Nella Wuhan d’Italia la gente parla poco: si bada alla sostanza e il pragmatismo è una condizione dell’anima. Più esci dalla città e più è così. Anche Bergamo, come il capoluogo della provincia di Hubei, l’incubatore del coronavirus, nella Cina centrale, è un polo commerciale. Intorno ci sono laghi, fiumi, parchi, grappoli di industrie e capannoni. Ma è come se tutto adesso fosse sigillato in un incubo. Un mondo intermedio scandito dalla paura, dall’incertezza. Nemmeno una settimana e l’Eden produttivo bergamasco si è trasformato in una trincea sanitaria rovente: l’area più compromessa, e più in difficoltà, del Paese. «La situazione è molto, molto grave — dice in un videomessaggio il sindaco, Giorgio Gori — . Entro fine mese il numero di persone che avranno bisogno degli ospedali crescerà esponenzialmente e non saremo in grado di soddisfare quel bisogno se non limitiamo drasticamente i contatti. Restate a casa. È l’unica soluzione possibile». L’invito al coprifuoco rende il clima. Di una provincia ricca e solida, che però in sette giorni si scopre fragilissima e vulnerabile. Se la curva non scende, la provincia, già in ginocchio, rischia di diventare un lazzaretto. Mentre stiamo scrivendo, sono le 19.30 di ieri, i casi di contagio da Covid-19 sono schizzati a 1245 (erano 997 venerdì sera, +248 in un giorno): primo territorio nel bollettino del Ministero della Salute.
I numeri gelano. Nella bergamasca i contagi galoppano a un ritmo impressionante, più che altrove. Gli ospedali sono al collasso e i medici ora, vedendo che la gente non percepisce il reale grado di pericolo, scelgono la terapia d’urto: riferiscono cosa succede nei reparti. In tempo reale. Daniele Macchini è chirurgo all’Humanitas Gavazzeni di Bergamo. «La situazione è drammatica. La guerra è esplosa e si combatte giorno e notte. Viaggiamo al ritmo di 15-20 ricoveri al giorno. Tutti per lo stesso motivo. I risultati dei tamponi arrivano uno dopo l’altro: positivo, positivo, positivo. Gli esami che escono dalla radiologia — riporta il medico — danno sempre lo stesso responso: polmonite interstiziale bilaterale. Tutti pazienti da ricoverare. Qualcuno già da intubare e va in terapia intensiva. Per altri invece è tardi… ». Il problema nel problema è la carenza di ventilatori. «Ogni ventilatore diventa come oro. Quelli delle sale operatorie che hanno sospeso la loro attività non urgente diventano posti da terapia intensiva che prima non esistevano». Ci si organizza così ovunque: dall’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo, a quello di Treviglio, al Bolognini di Seriate. «Quando le terapie intensive diventano sature, se ne creano altre. Oppure si trasportano i pazienti in altre regioni». Tre da Bergamo sono stati portati a Trieste. Il punto è che 1245 contagiati (contabilità in continua e finora inarrestabile crescita) su una popolazione di poco più di un milione di abitanti (tanti ne conta l’intera provincia, il capoluogo si ferma a 120mila) tracciano una media spaventosa: basti pensare che la città metropolitana di Milano (3,5 milioni di abitanti) di casi ne ha 400. Via Trucca, guard rail che costeggia l’ospedale Giovanni XXIII. Qualcuno ha appeso uno striscione di ringraziamento: “Medici e infermieri siete i nostri eroi. Bèrghem #molamìa” (“Bergamo non mollare”). Per fronteggiare l’emergenza Covid, da 48 ore, sono state coinvolte anche le case di cura private: i pazienti contagiati ma in via di guarigione vengono sistemati in queste strutture. Quanto durerà l’allarme? «Sarà una guerra lunga», dice il professor Walter Ricciardi, Oms e consigliere del ministro della Sanità. «Mancavano appena due giorni al collasso degli ospedali» lombardi, spiega commentando le misure restrittive che isolano la Lombardia.
Qui si è formato un nodo. La graticola mediatica (zona rossa si, zona rossa no) sulla quale per una settimana sono rimasti adagiati i comuni di Nembro e Alzano Lombardo — i due principali focolai della provincia, 27mila abitanti e 376 aziende — si è risolta così: i sindaci hanno messo in campo provvedimenti per “approfondire” il Dpcm governativo. Tradotto: da ieri polizia, carabinieri e polizia locale controllano con posti di blocco chi esce dalla valle Seriana. Verifiche anche nei locali e nei negozi (per scongiurare assembramenti). Ora: è vero che la chiusura dei due tra i paesi più produttivi della provincia avrebbe creato “danni economici enormi”, come dice il sindaco di Alzano, Camillo Bertocchi, ma adesso che lo stop è arrivato a maglie più larghe, i dubbi riguardano la messa in pratica delle limitazioni. Molti pensano che la chiusura doveva essere fatta prima. «Adesso il virus ha già preso il largo», dice Sergio Carminati del “Mo Caffè” di Alzano. Sulla vetrina campeggia quella che il commerciante definisce la sua massima. “Meglio essere pessimisti e avere ragione piuttosto che essere ottimisti e avere torto”. C’è, in effetti, anche un dato. Ricostruendo il viaggio lombardo del Covid-19 i medici bergamaschi hanno il fondato sospetto che il virus abbia provocato contagi e decessi a Bergamo e in valle Seriana prima ancora che nel lodigiano. Non se ne ha avuta evidenza immediata è perché i tamponi sono stati fatti con qualche giorno di ritardo. La morte una settimana fa del geriatra 61enne Ivo Cilesi — che abitava a Cene, 7 km da Nembro (98 contagi compreso il sindaco) - è stata la piega dell’escalation. «Ci siamo mossi tardi — ammette Giorgio Gori — . È il momento di fermarsi, ognuno faccia la sua parte». Effetti: Ryanair ha tagliato i voli nazionali da e per l’aeroporto di Orio al Serio fino all’8 aprile. Tra ieri e oggi oltre 2mila tifosi dell’Atalanta sarebbero dovuti partire per Valencia per assistere alla partita di ritorno degli ottavi di Champions League (si giocherà a porte chiuse). All’arrivo all’aeroporto spagnolo il capitano dell’Atalanta Alejandro Gomez è stato circondato (senza la distanza di sicurezza di 1 metro) dai cronisti spagnoli che volevano intervistarlo. “Non potete fare un’intervista ora?”. All’insistenza di chi lo ha rincorso con le telecamere, Gomez ha replicato amaro: “Pagliacci!”.
Coronavirus, Conte: “Italia zona protetta”. Al via zona rossa ovunque. Le Iene News il 9 marzo 2020. Tutta Italia diventa zona rossa per il diffondersi del coronavirus che ha contagiato oltre 9mila italiani. Lo ha annunciato il presidente Conte in conferenza stampa: “Italia zona protetta”. La zona rossa si estende a tutta Italia per il diffondersi del coronavirus con un aumento delle restrizioni e dei divieti in tutta la nazione. Lo ha annunciato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte nella conferenza stampa iniziata alle 21.30 il 9 marzo, a seguito dell’aumento delle persone risultate positive e dei decessi. “Abbiamo adottato una nuova decisione come governo, consapevoli come sia difficile cambiare le proprie abitudini. Lo sto sperimentando anche su me stesso, e parlo anche dei giovani. Sono abitudini che con il tempo, alla luce delle nostre raccomandazioni, potranno essere modificate. Ma il tempo ora non c’è. Stanno crescendo i contagi e anche le persone decedute", ha detto Conte. "Le nostre abitudini quindi vanno cambiate ora, dobbiamo rinunciare tutti a qualcosa per il bene dell’Italia. Lo dobbiamo fare subito e ci riusciremo solo se tutti ci adatteremo. Per questo ho deciso di adottare misure ancora più stringenti per contenere l’avanzata del coronavirus e tutelare la salute dei cittadini. Per questo sto per firmare un provvedimento che possiamo sintetizzare con l’espressione: “io resto a casa”. Non ci sarà più zona rossa, ci sarà “Italia zona protetta”. Gli spostamenti dovranno essere motivati da comprovate ragioni i lavoro, casi di necessità e motivi di salute. Aggiungiamo il divieto di assembramenti anche per i locali aperti al pubblico. Da oggi quindi varranno le misure che inizialmente abbiamo adottato per le zone settentrionali a tutta Italia”, ha concluso Conte. Per questo da oggi sono attive le misure che inizialmente sono state adottate per le zone settentrionali a tutta Italia. Resteranno sospese le attività didattiche in tutte le scuole di ogni ordine e grado, università comprese fino al 3 aprile. "Il patrimonio di esperienza che ci restituisce anche il dato incoraggiante della zona rossa di Lodi, deve portarci a fare un sacrificio ulteriore in tutta Italia. Possiamo battere il virus. Ma ora servono regole ferree ovunque", ha commentato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Al momento sono 9.172 i casi di coronavirus in Italia. Di questi 7.985 sono gli italiani attualmente positivi, 724 quelli guariti e 463 i decessi con un aumento di 97 unità in appena 24 ore. L’1% dei decessi si registra tra i 50 e 59 anni, il 10% tra 60 e 69, 31% tra 70 e 79, 44% tra 80 e 89, 14% ultranovantenni. I contagiati in totale sono saliti di 1.598 unità in un giorno, arrivando a quota 7985. Un forte incremento si è registrato in Lombardia con 5.469 positivi al coronavirus, cioè 1.280 più di ieri. I decessi di persone risultate positive al coronavirus sta aumentando anche in Veneto con 113 decessi in Piemonte, 20 in Veneto, 10 nelle Marche. "La minaccia di una pandemia sta diventando molto reale, ma sarà la prima che potrà essere controllata", ha detto in giornata il direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Tedros Ghebreyesus. Da domenica sono state attivate misure stringenti e divieti in tutta la Lombardia e in 14 province tra Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto. La firma del decreto è stata anticipata da una bozza che ha iniziato a circolare creando scene di panico in tutta la regione. Centinaia di persone si sono riversate nelle stazioni per prendere d’assalto i treni verso il Sud Italia. Nelle ore successive si sono diffusi sempre più appelli a restare nelle proprie case per evitare il diffondersi del contagio.
Coronavirus, estese a tutta Italia le restrizioni della "zona rossa". Il Corriere del Giorno il 10 Marzo 2020. Il governo estende da domattina a tutta Italia le misure varate per la Lombardia e per 14 Province: ci si potrà muovere esclusivamente per “comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità” o per “motivi di salute”. Il Governo ha esteso a tutto il resto d’ Italia, a partire da oggi martedì 10 marzo, fino al 3 aprile, le misure sinora vigenti in Lombardia e in altre 14 province e relative all’emergenza “CoronaVirus“. Da questa non ci sarà più una “zona rossa”, ma ci sarà tutta l’Italia “zona protetta” che tutti i cittadini devono rispettare, da nord a sud, per contrastare l’avanzata del CoronaVirus. Le misure erano state disposte con un decreto nella notte tra sabato e domenica, prevedono il divieto di spostamento ad eccezione di “comprovati motivi di lavoro” oppure per “gravi esigenze familiari o sanitarie“. Tutto il Paese viene quindi messo in allarme o sicurezza (per come lo si voglia vedere) nel tentativo di interrompere l’estensione del virus, che ha contagiato ad oggi, sulla base dei dati forniti dalla Protezione Civile , 9.172 persone, 463 delle quali sono morte (anche se l’ Istituto Superiore di Sanità deve ancora accertare ed ufficializzarne le cause) , oltre 700 in terapia intensiva e 724 le persone guarite. Conte si è presenta in sala stampa da solo, per quello che è senza dubbio l’annuncio più drammatico della sua esperienza di governo: “Abbiamo adottato una nuova decisione che si basa su un presupposto: tempo non ce n’è“, ribadisce. “I numeri ci dicono che stiamo avendo una crescita importante dei contagi, delle persone ricoverate in terapia intensiva e subintensiva e ahimè anche delle persone decedute. La nostre abitudini quindi vanno cambiate. Vanno cambiate ora. Ho deciso di adottare subito misure ancora più stringenti, più forti“. Il provvedimento è quello atteso ed ormai ritenuto inevitabile: “Sto per firmare un provvedimento che possiamo sintetizzare come ‘io resto a casa‘. Non ci sarà più una zona rossa nella penisola. Ci sarà l’Italia zona protetta“. Il Presidente del consiglio ha elencato tutti i punti fondamentali della nuova regolamentazione. A cominciare dalle scuole e le università: “Chiuse fino al 3 aprile”. “Non è stata una decisione facile – ha commentato Conte – sappiamo che stiamo chiedendo alle famiglie e ai genitori con figli uno sforzo non trascurabile ma il futuro dell’Italia è nelle nostre mani e ognuno deve fare la sua parte. Che ha fatto un nuovo balzo in avanti: i morti sono 463, altri 97 in sole 24 ore, i malati quasi 8.000, circa 1.600 in più. “Siamo ben consapevoli di quanto sia difficile cambiare tutte le nostre abitudini”, ha detto Conte. “Ma non abbiamo più tempo: c’è una crescita importante dei contagi e delle persone decedute. Quindi dobbiamo rinunciare tutti a qualcosa per il bene dell’Italia e lo dobbiamo fare subito“. Il provvedimento che il Consiglio dei Ministri ha varato ieri sera e che entrerà in vigore da questa mattina con il “plauso” delle regioni, informato il Quirinale “può essere chiamato – ha detto Conte – “io resto a casa”” . Esso prevede, tra l’altro, un divieto di assembramento in tutta Italia; spostamenti possibili solo per motivi di lavoro, necessità o salute; lo stop delle scuole fino al 3 aprile insieme a quello di tutte le manifestazioni sportive, campionato di calcio compreso. Stop quindi al calcio ed a tutte le attività sportive,. Per il premier, infatti, “non c’è ragione per cui proseguano le manifestazioni sportive, abbiamo adottato un intervento anche su questo”. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha sostenuto che per contrastare l’avanzata del virus: “non c’è tempo, occorre rinunciare tutti a qualcosa per tutelare la salute dei cittadini” sostenendo che “oggi è il momento della responsabilità. Non possiamo abbassare la guardia“. “Non è all’ordine del giorno una limitazione dei trasporti pubblici, per garantire la continuità del sistema produttivo e consentire alle persone di andare a lavorare”, ha precisa il premier. Sarà quindi possibile “l’autocertificazione“ per la giustificazione degli spostamenti, “ma se ci fosse una autocertificazione non veritiera ci sarebbe un reato”, precisa. Il testo del decreto estende a tutta la penisola le misure varate domenica . “I numeri ci dicono che stiamo avendo una crescita importante dei contagi, delle persone ricoverate in terapia intensiva e subintensiva e ahimé anche delle persone decedute. La nostre abitudini quindi vanno cambiate. Vanno cambiate ora. Ho deciso di adottare subito misure ancora più stringenti, più forti”, ha sostenuto Conte, aggiungendo “Sto per firmare un provvedimento che possiamo sintetizzare come “io resto a casa”. Non ci sarà più una zona rossa nella penisola. Ci sarà l’Italia zona protetta“.
I retroscena della decisione del Governo Conte. Il premier Conte aveva cercato di resistere fino all’ultimo, provando ad arginare er un giorno intero il pressing del Pd, delle opposizioni e dei presidenti delle Regioni che sin dal mattino gli chiedevano tutti la stessa cosa: misure di contenimento più drastiche e omogenee sull’intero territorio nazionale per fermare l’epidemia. Una serie di restrizioni senza precedenti, che l’avvocato foggiano fino all’ultimo ha tentato di evitare per paura delle ricadute sull’economia. Quando però gli hanno letti l’ultimo bollettino della Protezione civile, più 25 per cento di contagi in meno di ventiquattrore, ha capito che “tempo non ce n’è”. In serata prima della conferenza stampa ha riunito i capidelegazione del Governo e dato l’annuncio: “Nella penisola non ci sarà più una zona rossa”, trasformando poi in conferenza stampa l’affermazione in “ci sarà l’Italia zona protetta” a partire da oggi, senza più differenze fra la Lombardia e il resto del Paese. A metà pomeriggio i presidente delle Regioni l’avevano ribadito ai ministri Boccia, Speranza e De Micheli collegati in videoconferenza da Roma: la progressione del virus è impressionante e pericolosa, non si può più aspettare, occorrono provvedimenti più forti, regole uguali per tutti, altrimenti sarà il caos. Intimando che in caso di inerzia del Governo, ognuno avrebbe fatto da sè adottando singole ordinanze di contenimento. “I locali pubblici devono chiudere alle 18” ha preteso il presidente della Campania Vincenzo De Luca (Pd) “l’apertura di bar e ristoranti mantenendo un metro di distanza è ingestibile e non ha riscontri nella realtà». In assoluto accordo con il vicepresidente del Lazio Daniele Leodori, che aveva lanciato sui social il giorno prima la campagna #iorestoacasa, adottata ieri dal premier Conte. Una spinta “politica” dai territori, impossibile da controllare e frenare, della quale il ministro Boccia si è subito fatto “messaggero” presso il premier spingendolo di fatto a cedere. Troppe incertezze ed errori che hanno i convinto Palazzo Chigi che qualcosa va cambiato. “Stiamo ragionando sul da farsi» dirà Conte in coda delle conferenza stampa, “io avverto l’opportunità di un coordinamento per l’approvvigionamento di macchinari e attrezzature sanitarie. È un ruolo che potrebbe affiancare il capo della protezione civile”. Una decisione invocata ieri anche dal centrodestra, che ha proposto anche la nomina di un “supercommissario all’emergenza” in grado di caricarsi sulle spalle la gestione dei fondi e il coordinamento di tutte le operazioni necessarie a sconfiggere l’epidemia. Un ruolo delicatissimo per il quale Salvini e Berlusconi hanno fatto il nome di Guido Bertolaso. affiancato nelle ultime ore dall’ipotesi Gianni De Gennaro. Una ipotesi che però non piace a tutti nel governo, sopratutto al M5S, fortemente preoccupato che una personalità “forte” finisca per commissariare il capo della protezione civile Angelo Borrelli, vicino a Conte, i quali cederebbero dal “podio “mediatico. Da questa mattina di martedì 10 marzo, quindi chiunque dovrà spostarsi da un Comune all’altro dovrà avere una giustificazione e presentare una autocertificazione per il controllo. Le modalità per autocertificare la motivazione del proprio spostamento sono state definite ieri: occorre un modulo da esibire (questo il link per scaricarlo) al momento del controllo. Chi non può scaricarlo e stamparlo può copiare il testo e portare la dichiarazione con sé. Chi per motivi di lavoro o di salute deve effettuare sempre lo stesso spostamento può utilizzare un unico modulo specificando che si tratta di un impegno a cadenza fissa. La stessa modalità vale anche per chi ha esigenze familiari che si ripetono quotidianamente oppure a scadenze fisse e dunque può indicare la frequenza degli spostamenti senza bisogno di utilizzare moduli diversi. Ad esempio chi deve spostarsi tra i comuni per raggiungere i figli o altri parenti da assistere oppure per impegni di carattere sanitario. Se si viene fermati si può fare una dichiarazione che le forze dell’ordine trascriveranno ma sulla quale potranno fare verifiche anche successive. Spetta in ogni caso comunque al cittadino in caso di controlli, dimostrare di aver dichiarato il vero. Una buona notizia. Il paziente “uno” (cioè il primo ad essere stato affetto dal CoronaVirus), il 38enne manager dell’Unilever, residente a Codogno, ricoverato a Pavia è stato trasferito dalla terapia intensiva a quella sub intensiva. “È stato cioè “stubato” in quanto ha iniziato a respirare autonomamente”. Lo ha reso noto l’assessore al Welfare di Regione Lombardia Giulio Gallera.
L’emergenza e il decreto, arriva il via libera (con riserva) anche da Salvini. Pubblicato lunedì, 09 marzo 2020 su Corriere.it da Francesco Verderami. Il dramma è che nessuno può prevedere quanto sarà lungo il tunnel e cosa ci sarà alla fine. Perciò l’incontro di oggi tra il premier e i leader dell’opposizione sarà un atto dovuto verso il Paese in piena emergenza. Il resto, cioè «il referendum, le Regionali, i tentativi di ribaltone, le elezioni, il Conte-ter è roba evaporata», come dice Casini, secondo cui «il coronavirus segna uno spartiacque»: «Il suo impatto sarà peggiore dell’undici settembre e quando ce lo saremo lasciati alle spalle, ci accorgeremo che sarà cambiato tutto, anche nel Palazzo». Sono considerazioni che accomunano i vertici del centrodestra, se è vero che il forzista Tajani riconosce come «alla politica in questo frangente non pensa nessuno», se è vero che la Meloni garantisce «collaborazione e responsabilità», e se è vero che Salvini — dopo le telefonate con Conte e Zingaretti — ha anticipato ai suoi di non voler andare a Palazzo Chigi «per fare il rompiscatole». L’unità nazionale è l’inevitabile conseguenza della crisi sanitaria, che si è portata appresso la crisi economica e gravi tensioni di ordine pubblico, soprattutto nelle carceri. Per molto meno sono caduti governi, in altri casi. Ma non è questo il caso. «Ora il tema non è chi avrebbe potuto fare meglio», sostiene l’ex ministro leghista Centinaio: «Intanto vanno salvate le persone». Così, in vista dell’appuntamento di oggi, era evidente ieri sera il denominatore comune tra le misure decise dal governo e alcune richieste dell’opposizione: da una parte l’estensione della «zona rossa» a tutta Italia, invocata da Salvini «per mettere in sicurezza il Paese»; dall’altra uno sforamento maggiore del deficit, che il ministro dell’Economia Gualtieri ha fatto sapere di voler portare a una decina di miliardi e che il leader del Carroccio considera «un acconto». È ovvio che il clima di unità nazionale è cosa diversa da un governo di unità nazionale. Infatti Salvini pubblicamente marca la distanza, sostenendo che le decisioni di Palazzo Chigi sono «un primo passo apprezzabile ma non risolutivo». E la Meloni, che teme provvedimenti non risolutivi e ne vorrebbe altri più radicali, proporrà oggi a Conte una soluzione sotto forma di domanda: «Non sarebbe meglio chiudere tutto il Paese per due settimane?». Anche le schermaglie sul commissario all’emergenza sono parse al dunque una coda delle vecchie polemiche politiche: tra chi (il centro-destra e Renzi) reclama il ritorno di Bertolaso alla Protezione civile con l’intento di commissariare Conte; e chi (il premier) vede in prospettiva nel clima di unità nazionale un’insidia per il suo ruolo. Sono retaggi di un passato che scompare davanti al dilagare del contagio. Un tempo la nota del pd Orlando sulla rivolta nelle carceri, quelle parole con cui ha attaccato Salvini per criticare indirettamente anche il Guardasigilli Bonafede, avrebbero incendiato il Parlamento. Ma il Parlamento è di fatto chiuso: sopravvissuto a chi voleva farne «luogo di bivacco», capace di resistere agli oltraggi di cappi giustizialisti esposti in Aula ai tempi di Tangentopoli, mutilato dalla riforma che ne ha ridotto i seggi, d’ora in avanti si riunirà solo per varare le misure sul Coronavirus, fino al termine dell’emergenza. L’intesa raggiunta dai presidenti delle Camere anche con i gruppi di opposizione, prevede che per il voto con cui si autorizzerà lo scostamento di bilancio saranno presenti solo 350 deputati a Montecitorio e 161 senatori a Palazzo Madama non provenienti dalle zone del Nord maggiormente colpite dal Covid-19. Ieri il Transatlantico era deserto, la famosa buvette e la barberia avevano le luci spente. Nessun boatos e niente trame di Palazzo: c’è il virus e c’è l’unità nazionale. Perché il Paese deve attraversare un tunnel di cui non si vede la fine.
Spostamenti, scuole e bar, Conte alla fine si convince: “Tutta l’Italia zona protetta”. Il governo estende all’intero Paese la stretta adottata già nella zona arancione. Il Pd e la maggior parte delle Regioni chiedevano scelte più severe. Giuliano Foschini e Giovanna Vitale il 10 marzo 2020 su La Repubblica. Un intero Paese in quarantena. Assediato da un nemico invisibile. Da sconfiggere con ogni mezzo, prima che sia tardi. Alle dieci sera Giuseppe Conte va in tv per annunciare che l’ora delle scelte irrevocabili è arrivata. «I numeri ci dicono che stiamo avendo una crescita importante delle persone in terapia intensiva e purtroppo delle persone decedute» esordisce. «Le nostre abitudini vanno cambiate adesso: dobbiamo rinunciare tutti a qualcosa per il bene dell’Italia. Lo dobbiamo fare subito e ci riusciremo solo se ci adatteremo a queste norme più stringenti». Una decisione per nulla indolore, fa capire il capo del governo, adottata dopo aver informato il Quirinale. Perché «se a repentaglio è la salute dei cittadini bisogna scegliere» insiste. E usare le maniere forti. Dunque gli spostamenti saranno consentiti solo in casi strettamente necessari; scuole e università resteranno chiuse fino al 3 aprile; il campionato verrà fermato; gli assembramenti vietati. «Il futuro è nelle nostre mani, ognuno faccia la propria parte» l’appello finale rivolto ai cittadini perché rispettino le nuove norme «con senso di responsabilità». Ha cercato di resistere fino all’ultimo, il premier. Per un giorno intero ha provato ad arginare il pressing del Pd, delle opposizioni e dei presidenti di Regione che sin dal mattino gli chiedevano tutti la stessa cosa: misure di contenimento più drastiche e omogenee sull’intero territorio nazionale per fermare l’epidemia. Una serie di restrizioni senza precedenti, che l’avvocato pugliese tenta fino all’ultimo di evitare per paura delle ricadute sull’economia. Quando però gli leggono l’ultimo bollettino della Protezione civile, più 25 per cento di contagi in meno di ventiquattrore, capisce che «tempo non ce n’è». A sera riunisce i capidelegazione del governo e dà l’annuncio: «Nella penisola non ci sarà più una zona rossa», dirà poi in conferenza stampa, «ci sarà l’Italia zona protetta». Già a partire da oggi. Tutta di un colore solo, quello del massimo rischio, senza più differenze fra la Lombardia e il resto del Paese. A metà pomeriggio i governatori l’avevano ribadito ai ministri Boccia, Speranza e De Micheli collegati in videoconferenza da Roma: la progressione del virus è impressionante, non possiamo più aspettare, servono provvedimenti più forti, regole uguali per tutti, altrimenti è il caos. Pronti, in caso di inerzia dell’esecutivo, a fare ciascun per sé, adottando singole ordinanze di contenimento. «I locali pubblici devono chiudere alle 18» ha tuonato il presidente della Campania Vincenzo De Luca, «l’apertura di bar e ristoranti mantenendo un metro di distanza è ingestibile e non ha risconti nella realtà». In linea con il vicepresidente del Lazio Daniele Leodori, che il giorno prima sui social aveva lanciato la campagna #iorestoacasa, ieri adottata dal premier. «Dobbiamo fare un’unica zona rossa per tutta Italia» la richiesta perentoria del governatore pugliese Michele Emiliano, spalleggiato dal collega del Friuli Massimiliano Fedriga. Una spinta impossibile da frenare. Di cui Boccia si fa subito portatore presso il premier. Costringendolo di fatto a capitolare. Da giorni sia il Pd sia Leu con il ministro Speranza avevano chiesto a Conte un intervento più severo. Invocato ieri pure dal centrodestra, che ha proposto anche la nomina di un supercommissario all’emergenza in grado di caricarsi sulle spalle la gestione dei fondi e il coordinamento di tutte le operazioni necessarie a sconfiggere l’epidemia. Un ruolo delicatissimo per il quale sia Salvini sia Berlusconi hanno fatto il nome di Guido Bertolaso. Insidiato nelle ultime ore da Gianni De Gennaro. Un’opzione che però non piace a tutti nel governo. Non al M5S, preoccupato che una personalità forte finisca per commissariare il capo della protezione civile Angelo Borrelli, vicino a Conte. Mentre il Pd ha manifestato qualche perplessità. Ma incertezze ed errori hanno i convinto Palazzo Chigi che qualcosa va cambiato. «Stiamo ragionando sul da farsi» dirà Conte alla fine della conferenza stampa, «io avverto l’opportunità di un coordinamento per l’approvvigionamento di macchinari e attrezzature sanitarie. È un ruolo che potrebbe affiancare il capo della protezione civile”.
Coronavirus: spostamenti, spesa, salute, cosa si può fare? Tutte le regole per l'Italia "zona protetta". Cristina Nadotti il 10 marzo 2020 su La Repubblica. Il padre separato chiede sui social: "Mio figlio sta con la madre in un altro comune, potrò andare a trovarlo due volte a settimana?". E il figlio che si occupa dei genitori anziani che vivono in un'altra Regione si chiede se usufruendo della legge 104 potrà continuare ad assisterli. E c'è anche chi si chiede se potrà fare la passeggiata quotidiana. Fermo restando che, come recita il Decreto, bisogna "evitare ogni spostamento" ed "è vietata ogni forma di assembramento" anche all'aperto, e che sono chiusi ovunque cinema, teatri, palestre, matrimoni, funerali e nel weekend anche i centri commerciali, ma è garantita l'apertura di negozi di alimentari e farmacie: si può uscire di casa per fare la spesa. I bar e ristoranti possono aprire solo dalle 6 alle 18. Chi ha più di 37,5 di febbre deve stare a casa. In attesa di risposte più specifiche ad alcuni quesiti, ecco i punti principali del decreto.
Lavoro e necessità. I cittadini su tutto il territorio nazionale possono muoversi solo per "comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità o spostamenti per motivi di salute". Non si ferma la circolazione delle merci né il trasporto pubblico. E' possibile andare a fare la spesa. Chi si sposta sul territorio può autocertificare le ragioni per cui lo fa ma per chi trasgredisce o dichiara il falso sono previste sanzioni che vanno fino all'arresto.
Stop assembramenti. E' la novità annunciata da Conte, non prevista fino a ieri neanche nelle zone "arancioni": basta feste e raduni, sono vietati ovunque assembramenti in luoghi pubblici o aperti al pubblico.
Febbre e quarantena. Chi abbia sintomi da infezione respiratoria e febbre maggiore di 37,5 gradi centigradi, è "fortemente raccomandato" di restare a casa e contattare il proprio medico. Il divieto di muoversi è "assoluto" per chi sia stato messo in quarantena o sia positivo al virus.
Calcio: fermo il campionato, non le coppe. Si fermano tutti gli sport, incluso il campionato di calcio, ma possono tenersi a porte chiuse competizioni internazionali. Gli atleti professionisti e olimpici possono allenarsi.
Sport: palestre no, parchi sì. Sono chiuse le palestre, ma si può fare sport all'aria aperta rispettando la distanza di un metro.
Chiuse piscine, centri benessere, centri termali, centri culturali e ricreativi.
Chiusi gli impianti da sci.
Piste chiuse in tutta Italia.
Ferie e congedi. Si "raccomanda" ai datori di lavoro pubblici e privati di promuovere la fruizione di ferie e congedi. Sono invece sospesi i congedi dei medici. E' applicabile il lavoro agile anche in assenza di accordi aziendali.
Stop svaghi. Sospese tutte le manifestazioni e gli eventi: fermi i cinema, teatri, pub, scuole da ballo, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, discoteche. Chiusi musei e siti archeologici.
Bar e negozi. Bar e ristoranti possono aprire solo dalle 6 alle 18 con obbligo di garantire la distanza di almeno un metro, pena la sospensione dell'attività. La regola della distanza vale per tutti i negozi che possono stare aperti ma se sono all'interno dei centri commerciali chiudono nei weekend. Nessun fermo per alimentari, farmacie e parafarmacie.
Ferme scuole e esami patente. Scuole e università restano chiuse fino al 3 aprile. Stop a tutti i concorsi, tranne quelli per titoli o per via telematica, si fermano anche gli esami per la patente. Unica eccezione i concorsi per i medici.
Le chiese. I luoghi di culto possono aprire solo se in grado di garantire la distanza di almeno un metro: sospese le cerimonie civili e religiose, inclusi i funerali.
Coronavirus, spostamenti e autocertificazione: ecco come funziona. Il modulo per l'autodichiarazione degli spostamenti. In caso di esigenze lavorative, situazioni di necessità o motivi di salute è consentivo uscire dalle zone a contenimento rafforzato, ma è necessario compilare un modulo fornito anche dalla Pubblica sicurezza. Cristina Nadotti il 9 marzo 2020 su La Repubblica. Il Decreto della presidenza del Consiglio emanato ieri prevede già per questa mattina il monitoraggio nelle "aree a contenimento rafforzato", tra le quali l'intera Lombardia e altre 14 province di Piemonte, Emilia Romagna, Veneto, Marche: Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini in Emilia Romagna, Pesaro e Urbino nelle Marche, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli in Piemonte, Padova, Treviso e Venezia in Veneto. Da domani le misure saranno estese all'intero territorio nazionale. Ci sono limitazioni agli spostamenti, ma non c'è un divieto assoluto come era per le zone rosse. Per spostarsi per "esigenze lavorative, situazioni di necessità o motivi di salute" è necessario presentare ai controlli certificazione che attesti il motivo per derogare alla direttiva di ridurre il più possibile il movimento da un'area all'altra (e con questo la diffusione del contagio). Le limitazioni riguardano le persone e non le merci. Chi si sposta per esigenze motivate potrà presentare ai controlli un'autocertificazione. Il modulo è stato messo a disposizione dal dipartimento di Pubblica sicurezza. Resta comunque il divieto assoluto a spostarsi, senza eccezioni, per le persone sottoposte a quarantena o positive al coronavirus. I controlli saranno eseguiti lungo le linee di comunicazione e le grandi infrastrutture dalla Polizia stradale e lungo la viabilità ordinaria anche dall'Arma dei carabinieri e dalle polizie locali. La Polizia ferroviaria curerà invece, con la collaborazione del personale delle Ferrovie dello Stato, delle autorità sanitarie e della Protezione civile, su tutte le linee ferroviarie controlli su tutti i passeggeri in entrata e uscita dalle stazioni per eseguire le verifiche sullo stato di salute dei viaggiatori con i termoscanner. Anche in stazione, come ai posti di blocco lungo le strade, per andare incontro ai cittadini che non hanno il modulo la Polizia ferroviaria fa compilare le certificazioni anche al momento all'apposito desk di controllo. Così come già avviato in precedenza, negli aeroporti saranno controllati i passeggeri in partenza e in arrivo e, anche in questo caso, sarà necessario esibire l'autocertificazione per muoversi dalle zone a contenimento rafforzato. Per i voli Schengen ed extra Schengen in partenza le autocertificazioni sono richieste solo per i residenti nelle "aree a contenimento rafforzato"; mentre in arrivo i passeggeri dovranno motivare lo scopo del viaggio.
Come è punita la violazione delle norme. Il decreto stabilisce che chi viola le prescrizioni è punito con l'arresto fino a tre mesi e l'ammenda fino a 206 euro, secondo quanto previsto dall'articolo 650 del codice penale sull'inosservanza di un provvedimento delle autorità. Ma pene più gravi possono essere comminate per chi adotterà comportamenti, come ad esempio la fuga dalla quarantena per i positivi, che possono configurare il reato di delitto colposo contro la salute pubblica, reato che persegue tutte le condotte idonee a produrre un pericolo per la salute pubblica.
Orlando (Pd): "Serve una task force del ministero". "Leggo dichiarazioni a ruota libera sulle carceri e sui tragici eventi di queste ore rilasciate da persone che non sanno nemmeno di cosa stanno parlando e invocano "pugno di ferro" e azioni militari. Se avessero davvero parlato con le donne e gli uomini della polizia penitenziaria, con i dirigenti degli istituti, gli educatori, il personale sanitario che opera nelle carceri, saprebbero che il carcere è una realtà complessa che si regge su equilibri delicatissimi. Le scorciatoie proposte preparano soltanto il peggio". Lo scrive in un post sulla sua pagina Facebook il vice segretario del Pd, Andrea Orlando. "Questi equilibri sono stati progressivamente compromessi dal sovraffollamento che è cresciuto in modo incontrollato in questi due anni. Il virus li ha completamente travolti. Continuare ad utilizzare slogan ad effetto non serve a nulla. La situazione che si è determinata evidenzia un fatto: questa emergenza è stata affrontata senza alcuna preparazione da parte del dipartimento competente. La catena di comando è fortemente indebolita. Il ministro costituisca da subito una task force e chiami a raccolta tutte le competenze che in questi anni sono state marginalizzate in nome di un opinabile spoil system. Questa squadra riprenda il confronto con le organizzazioni sindacali e con la dirigenza territoriale, dialoghi costantemente con il Garante e la magistratura di sorveglianza, assuma subito le misure necessarie per dare sollievo alle realtà maggiormente esposte e al personale".
Da corriere.it il 10 marzo 2020. La questura di Milano ha organizzato pattuglie all’ingresso di tutte le grandi direttrici della città. Il servizio è in corso di disposizione: almeno una volante con due uomini sarà posta a controllo degli ingressi nel Comune, per seguire la direttiva del Dpcm. Fra le grandi strade pattugliate ci saranno via Novara, via Lorenteggio, via Palmanova. Saranno impiegati uomini dei commissariati di zona e delle Volanti dell’Upg. Si tratterà di posti di controllo «mobili» che verranno rimodulati nelle diverse aree della città. Questo dopo la direttiva inviata dal Viminale alle prefetture per monitorare gli spostamenti dei cittadini nelle aree più critiche per il coronavirus. Anche nelle stazioni e negli aeroporti sono partiti i controlli sul rispetto delle nuove direttive, che permettono gli spostamenti solo per necessità, per motivi di lavoro o di salute. Le persone controllate se non hanno con sé una documentazione possono firmare «un’autodichiarazione - spiegano dalla Prefettura - su modello fornito al momento dalle stesse forze dell’ordine». Ai viaggiatori in partenza dalla Stazione Centrale gli agenti della Polizia Ferroviaria spiegano che chi viaggia deve avere una autocertificazione che spiega perché si spostano. Per andare incontro ai cittadini che non hanno il modulo la Polizia ferroviaria fa compilare le certificazioni anche al momento all’apposito desk di controllo. Per i viaggiatori che arrivano a Milano in treno i controlli vengono fatti invece a campione e chi è senza la certificazione la può compilare. Sono tante le persone che non devono partire oggi ma nei prossimi giorni e che sono arrivate alla Stazione Centrale solo per chiedere informazioni sulle modalità della partenza. «Vivo e lavoro a Milano ma vorrei tornare a casa mia in Friuli per stare con mia madre fino a quando non finisce l’epidemia - ha spiegato un cittadino -. Sono venuto qua a chiedere come posso fare per partire e mi hanno detto di presentami con il biglietto e una autocertificazione dove dichiaro il perché del mio viaggio. Avevo solo il dubbio di fare la procedura giusta».
Lorenzo De Cicco per “il Messaggero” il 10 marzo 2020. «Devo assistere la nonna». E via, si passa oltre. Verso Roma o verso il Sud. Basta avere in tasca l'autocertificazione scaricabile sul web e si passano i controlli dalle aree più a rischio, come la Lombardia e le altre 14 province del Nord dichiarate inizialmente zone arancioni. Anzi, non serve nemmeno stampare il modulo del Ministero dell'Interno e portarselo dietro, dopo averlo compilato a penna. Possono essere gli uomini delle forze dell'ordine - così ha disposto il Viminale - a fornire l'attestato, da far redigere sul momento a chi è stato fermato in auto o è sceso dal treno. I controlli su chi ha mentito, in ogni caso, partiranno solo in una seconda fase. Quando chi si è messo in viaggio è già arrivato a destinazione da un pezzo. Col rischio di avere trasportato il virus nel posto del (momentaneo) trasloco. La fuga dalle zone dove l'epidemia è più diffusa, non pare ostacolata più di tanto, le maglie sembrano larghe. Non solo per i pendolari che si devono obbligatoriamente spostare nel raggio di qualche chilometro, per motivi di lavoro o di salute. Il modulo di «autodichiarazione» fornito dal Dipartimento della Pubblica sicurezza si mantiene vago. Tocca solo certificare che «il viaggio è determinato» da uno di questi 4 fattori: «Comprovate esigenze lavorative», «situazioni di necessità» non meglio specificate, «motivi di salute» o ancora il «rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza». Così si legge nel documento a portata di download, dopo la circolare interpretativa sfornata dalla Protezione civile. Anche l'obbligo di restare in isolamento per chi arriva dal Nord - misura prevista da alcune ordinanze regionali, come quella del Lazio - ieri è stato ulteriormente allentato. Vale, ma non per tutti. Basta dichiarare che il viaggio è per motivi di lavoro e niente auto-quarantena, se non si hanno sintomi. Peraltro, anche quando qualcuno riferisce della trasferta, rischia di trovare il centralino intasato (è successo ieri) oppure nessuno controlla il rispetto delle precauzioni. «Le autocertificazioni? Nel momento del controllo possiamo intervenire solo se si ravvisano palesi incongruenze, altrimenti è tutto demandato a verifiche successive», spiega Stefano Paoloni, segretario generale del Sap, il sindacato autonomo di polizia. «Se uno nel foglio scrive devo assistere mia madre, o mia nonna, passa avanti. Ovviamente non è che si può controllare sul momento se è vero o no. Quello, in caso, avviene dopo». Non è certo responsabilità degli uomini delle forze dell'ordine, operativi giorno e notte lungo lo Stivale. La falla semmai sembra risiedere nelle direttive troppo blande. Giustificativi compilati sulla base di ragioni spesso difficilmente verificabili. Salvo appunto incoerenze conclamate. Per dire, a Bologna i carabinieri hanno fermato a un posto di blocco due studenti di Parma (tra le cinque province dell'Emilia-Romagna diventate zone arancioni), che andavano all'aeroporto col biglietto per Madrid, in vacanza. Tutti e due denunciati. A Genova invece la polizia di frontiera ha respinto un gruppo di persone che voleva imbarcarsi su un traghetto diretto in Sardegna. Ma a parte questi casi, chiunque abbia una giustificazione più o meno verosimile, per quanto generica, può superare i posti di blocco. A poco rischiano di servire, allora, le sanzioni previste: da una multa di 206 euro fino a tre mesi di carcere. Oltre al reato di mentire al pubblico ufficiale (da 1 a 5 anni). «Se qualcuno dice una fesseria e non si può dimostrare, cosa si potrebbe fare? - si chiede Cesario Bortone, segretario della Consap (Confederazione sindacale autonoma di Polizia) - Ci si basa sulla parola e sul buon senso dei cittadini. Poi ovviamente se qualcuno dice il falso, ci saranno provvedimenti. Ma i controlli non si possono fare sul momento». Le falle nel sistema di contenimento rischiano di avere inficiato anche le ordinanze regionali, come quella sfornata dal Lazio, che a prima vista sembrava molto severa. Roma non è un focolaio, ma potrebbe registrare - dicono gli esperti della sanità - migliaia di casi. La Pisana, domenica, aveva previsto l'isolamento per chiunque arrivasse dal Nord. Ieri le misure sono state allentate, esentando chiunque abbia viaggiato per «comprovate esigenze lavorative», private o pubbliche. I centralini per avvisare dell'approdo a Roma, peraltro, sono andati in tilt. Tanto che la Regione ha dovuto allestire una pagina web (regione.lazio.it/sononellazio, online da ieri sera) per evitare di intasare le linee telefoniche. «Purtroppo l'autocertificazione è relativa e i centralini con poche persone e tantissime chiamate rischiano di non rispondere a tutti», racconta Antonio Magi, presidente dell'Ordine dei medici della Capitale. Chi controlla poi sulle persone in isolamento (magari a casa di amici disposti a ospitare)? Se non si hanno sintomi, nessuno. Anche qui, ci si affida al senso civico. Che non sempre, purtroppo, c'è.
Sospensione serie A: l’unico precedente è nel 1915 per la prima guerra mondiale (e fa ancora discutere). Pubblicato lunedì, 09 marzo 2020 su Corriere.it da Salvatore Riggio. Con un’Italia in emergenza e in lotta contro il coronavirus, lo spettro della sospensione del campionato di serie A è molto vicino. Lo chiedono il ministro Vincenzo Spadafora, il presidente del Coni Giovanni Malagò e il presidente dell’Aic Damiano Tommasi. In agenda, a Roma, per domani martedì 10 marzo, è in programma un Consiglio straordinario della Figc con il presidente Gabriele Gravina che dovrà prendere una decisione in merito. Sfogliando gli almanacchi, esiste un solo caso di campionato sospeso,quello della stagione 1914-1915. Tutto fermato a causa dell’ingresso dell’Italia, il 24 maggio 1915, nella prima guerra mondiale poco meno di un mese dopo il patto di Londra del 26 aprile. Un episodio che la Lazio ricorda bene perché lo scudetto andò al Genoa prima della finalissima nazionale che sarebbe stata tra i rossoblù (primi nel girone nord) e i biancocelesti (primi del centro-sud). Un caso che ancora oggi è disputa legale — portata avanti da Claudio Lotito, patron della Lazio, e dall’avvocato Gian Luca Mignogna — per rivendicare l’assegnazione ex equo dello scudetto del 1915. Ancora oggi tutta la documentazione è sui tavoli della Figc in attesa di una decisione definitiva. Da quando esiste il girone unico (stagione 1929-1930) mai un campionato è stato sospeso. C’è da ricordare, però, la stagione 1973/1974, quando l’Italia fu in apprensione per il colera a Napoli. Però, quel campionato non fu fermato e la Lazio di Tommaso Maestrelli vinse così il suo primo scudetto. Domani, quindi, potrebbe arrivare la prima sospensione del campionato di serie A che, al momento, vede in testa la Juventus con 63 punti, seguita da Lazio (62) e Inter (54, ma con una gara da recuperare, quella con la Sampdoria).
Così Conte si è convinto a chiudere tutta l'Italia. Dal mattino, i presidenti delle Regioni facevano pressioni sul premier, chiedendo di trasformare l'Italia in un'unica "zona rossa". Così Conte ha deciso di approvare le strette per tutta la Penisola. Francesca Bernasconi, Martedì 10/03/2020, su Il Giornale. "Le nostre abitudini vanno cambiate adesso". Con queste parole, ieri sera, Giuseppe Conte ha annunciato la "chiusura" dell'Italia. Il Paese è stato messo "in quarantena" e le misure applicate domenica alla Lombardia e in altre 14 province, sono state estese a tutta la Penisola. Una scelta dolorosa, quella presa dal presidente del Consiglio, che lui stesso ha definito "difficile": "C'è una crescita importante dei contagi e delle persone decedute- aveva spiegato- non abbiamo più tempo". Così, l'Italia è diventata un'unica "zona protetta". Nessuno spostamento consentito, se non in casi necessari, scuole, asili e università chiusi fino al 3 aprile e divieto di assembramenti: queste le misure entrate in vigore da questa mattina. Secondo quanto riporta Repubblica, il premier avrebbe provato a resistere al pressing di opposizioni e presidenti di Regione che, dal mattino, gli chiedevano di estendere le misure pensate per la Lombardia a tutta l'Italia. "Le misure che sono state prese sono state comunicate come molto dure. Ma non lo sono. Anzi, io credo che, nei prossimi giorni, servirà altro. Il virus sta correndo molto più velocemente dei nostri decreti. Personalmente, credo che ormai tutta Italia debba essere considerata come una zona rossa", aveva scritto Matteo Renzi, che chiedeva di "limitare il contagio", adottando misure stringenti in tutto il Pese: "C'è solo una zona rossa, si chiama Italia. Interveniamo subito". Sulla stessa linea si era espresso anche il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga: "Ho proposto al Governo che vengano prese delle misure fortissime di contenimento del Coronavirus e uniformi su tutto il territorio nazionale- aveva detto in conferenza stampa- La nostra proposta è quella di assumere misure fortemente più stringenti: meglio che l'Italia diventi zona rossa per un periodo limitato, ma che il problema si affronti e si risolva". Il governatore chiedeva la chiusura di ogni "attività non indispensabile". A dare man forte a Fedriga erano intervenuti anche Vincenzo De Luca, presidente della Campania, che aveva invocato il "pugno di ferro", con la possibilità di chiudere i locali pubblici alle 18, e il governatore pugliese Michele Emiliano, a sostegno di un'unica zona rossa. Così, dopo il bollettino della protezione civile, che annunciava una crescita di contagi del 25%, rispetto al giorno prima, il presidente del Consiglio si sarebbe convinto ad approvare le misure estese a tutta Italia. A far pensare ad un'azione in questa direzione era stato il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, che nella conferenza della protezione civile aveva detto: "Noi riteniamo che il processo di omogeneizzazione delle regole sia in corso e pensiamo possa essere chiuso in pochissimo tempo". Concordi nell'approvazione di misure valide per tutta Italia erano anche i rappresentanti del centrodestra, che sostenevano la nomina di un supercommissario per l'emergenza: "Io dico che bisogna nominare un supercommissario", aveva detto la leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, che indica in Guido Bertolaso un possibile candidato, sostenuta da Matteo Salvini e Silvio Berlusconi.
Coronavirus, assalti ai supermercati nella notte. Il governo: «Non è necessario ed è contrario alle motivazioni del decreto». Pubblicato martedì, 10 marzo 2020 da Corriere.it. Supermercati presi d’assalto alla vigilia dell’estensione delle prescrizioni per tutta Italia. Dopo il discorso del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ha annunciato misure restrittive in tutta Italia per contenere l’epidemia di coronavirus, in diverse città italiane si sono formate lunghe file nei supermercati h24, con la gente in coda fuori con i carrelli in attesa del turno per entrare. Un copione che si era già visto qualche settimana fa. Al Todis di via Tuscolana a Roma i clienti sono entrati scaglionati, con i commessi che hanno controllato il flusso, concedendo ingressi poco per volta e imponendo la distanza di sicurezza alle casse ed uso dei guanti al reparto ortofrutta. Stessa cosa al Carrefour h24 a Garbatella. «Le persone fanno incetta anche di saponi e disinfettanti, l’alcol va a ruba ed è praticamente esaurito», ha dichiarato un commesso all’Ansa. Ma è successo anche a Torino, nel supermercato di corso Monte Cucco e in numerosi altri punti vendita h24 del centro, come riferito da Torino Oggi. Stesse scene a Napoli, sempre nei market aperti tutti la notte: anche nella città campana si registrano carrelli pieni di scorte e code. L’Ansa riferisce inoltre che a Palermo, nel supermercato h24 di via Libertà, sono dovuti intervenire gli agenti di polizia per evitare tafferugli. Palazzo Chigi ha spiegato che non ce ne è bisogno perché la spesa è garantita. «Il decreto del Presidente del Consiglio firmato oggi prevede la possibilità di uscire di casa per motivi strettamente legati al lavoro, alla salute e alle normali necessità, quali, per esempio, recarsi a fare la spesa. Non è prevista la chiusura dei negozi di generi alimentari, che anzi rientrano tra le categorie che possono sempre restare aperte. Non è necessario e soprattutto è contrario alle motivazioni del decreto, legate alla tutela della salute e a una maggiore protezione dalla diffusione del Covid-19, affollarsi e correre ad acquistare generi alimentari o altri beni di prima necessità che potranno in ogni caso essere acquistati nei prossimi giorni. Non c’è alcuna ragione di affrettarsi perché sarà garantito regolarmente l’approvvigionamento alimentare», è stato spiegato in una nota della presidenza del Consiglio.
Da liberoquotidiano.it il 10 marzo 2020. Da Nord a Sud, i supermercati notturni sono stati presi d’assalto. Dopo il nuovo decreto annunciato dal premier Giuseppe Conte, in Italia si è scatenata una sorta di “corsa alle armi”. Assolutamente inutile, perché fare la spesa non rientra tra le restrizioni delle nuove misure che interessano tutte le regioni: i negozi di generi alimentari rimarranno regolarmente aperti anche durante l’emergenza e quindi sarà possibile fare la spesa in qualsiasi momento. Anzi, è consigliabile evitare assembramenti come quelli delle ultime ore: sono inutili e pure pericolosi perché aumentano il rischio di contagio. Invischiati nelle lunghe code dei supermercati, a Napoli sono stati fotografati anche tre calciatori del club di De Laurentiis. Si tratta di José Callejon, David Ospina e Fernando Llorente: i tre sono frequentatori abituali dei punti vendita notturni, ma stavolta si sono ritrovati nel mezzo di una grande folla e non sono passati inosservati.
"Si può andare a fare la spesa", ma nella notte parte l'assalto ai supermercati. Supermercati notturni presi d'assalto da Torino a Palermo nonostante il decreto per contrastare il coronavirus consenta di andare a fare la spesa. Palazzo Chigi in una nota: "Sarà garantito regolarmente l'approvvigionamento alimentare". Alessandra Benignetti, Martedì 10/03/2020, su Il Giornale. Il primo effetto della conferenza stampa del premier Giuseppe Conte, che ieri ha annunciato l’estensione delle disposizioni in vigore nelle "zona rossa" a tutta la Penisola, è stato quello di riversare centinaia di persone nei supermercati aperti 24 ore su 24. È successo a Roma, Napoli, Palermo, Pescara, ma anche a Torino e in altre città del nord. Nonostante sui social circolassero già i dettagli del decreto "Io resto a casa", in cui è specificato che sono concessi gli spostamenti verso supermercati, mercati rionali e farmacie, oltre ad essere assicurato l’approvvigionamento di merci nei punti vendita, a prevalere è stata la psicosi. E così la scena all’ingresso dei supermercati notturni di mezza Italia è stata la stessa a cui abbiamo assistito qualche settimana fa a Codogno o nei comuni del Lodigiano. Decine di persone in fila, con la mascherina, tenute a distanza di sicurezza dal personale. A Roma i negozi di alimentari aperti h24 sono stati presi d’assalto in diversi quartieri, dal Tuscolano a Montesacro, passando per la Garbatella. Tra i prodotti più acquistati ci sono beni di prima necessità come latte, acqua e farina. E poi saponi, disinfettanti ed alcol etilico, come riferiscono alcuni commessi al Corriere della Sera.
In Campania decine di persone si sono precipitate davanti agli ingressi dei negozi di corso Europa a Napoli, ad Avellino, Benevento e Salerno per fare incetta di beni di prima necessità. Stesse scene anche a Palermo, dove in molti hanno sfidato la pioggia battente per entrare nel supermercato h24 di via Libertà ed assicurarsi pasta, pane, carne e acqua. A nulla sono servite le rassicurazioni del titolare dell'esercizio, che ha cercato di placare l'ansia dei clienti, garantendo che la merce sarebbe arrivata anche nei prossimi giorni. Le persone hanno continuato ad accalcarsi e non è mancato neppure qualche momento di tensione, tanto da rendere necessario l’intervento di alcuni agenti di polizia, come riferisce l’Ansa. Una nota di Palazzo Chigi, quindi, ha ribadito che il decreto "prevede la possibilità di uscire di casa per motivi strettamente legati al lavoro, alla salute e alle normali necessità, quali, per esempio, recarsi a fare la spesa". "Non è prevista la chiusura dei negozi di generi alimentari, che anzi rientrano tra le categorie che possono sempre restare aperte", si legge nel comunicato della presidenza del Consiglio. "Non è necessario e soprattutto è contrario alle motivazioni del decreto, legate alla tutela della salute e a una maggiore protezione dalla diffusione del Covid-19 – viene specificato inoltre nella nota - affollarsi e correre ad acquistare generi alimentari o altri beni di prima necessità che potranno in ogni caso essere acquistati nei prossimi giorni". "Non c'è alcuna ragione di affrettarsi perché sarà garantito regolarmente l'approvvigionamento alimentare", ribadiscono da Palazzo Chigi per rassicurare i più allarmisti ed evitare assembramenti di persone fuori dai negozi.
Da ansa.it il 10 marzo 2020. File di quasi un'ora per entrare al supermercato - anche per rispettare la distanza di un metro tra gli utenti - tante richieste di bicchierini monouso per degustare il caffè al bar, volti coperti da mascherine e anche qualche signora dal coiffeur. Napoli, stamattina, si è risvegliata così dopo che tutta l'Italia è diventata 'zona rossa' per l'emergenza Coronavirus. Strade per niente deserte, almeno nella zona a ridosso di piazza Municipio dove tanti sono gli uffici. Chi è in fila al supermercato giura che non è per l'emergenza Covid19 e per la paura di restare senza cibo: "E' una spesa normale, vengo qui ogni giorno", ripetono tutti. Intanto le file ci sono, ma stamattina soprattutto per rispettare la distanza di un metro tra le persone. Nessun caos all'interno, anzi. In alcuni market lo speaker ripete in continuazione di rispettare la distanza e di usare i guanti nei reparti di frutta e verdura. Nei bar "ci aspettavamo di peggio", raccontano i titolari. "Non entrano in gruppo, sono tutti molto attenti a stare distanti - dicono - l'unica richiesta che è aumentata è quella dei bicchierini in monouso". C'è anche chi, il caffè lo degusta con due amiche al tavolino. "Sono americana e vivo a Napoli da due anni - racconta Lauren - devo dire che mi hanno chiamato i miei parenti per chiedere se in strada ci fosse la polizia e se potessi uscire di casa. Certo, è un po' tutto surreale e facciamo attenzione ma per ora Napoli sta reagendo in maniera tranquilla". E se stamattina tanti vanno in giro indossando le mascherine, qualche signora si concede anche la piega dal coiffeur.
(AWE/LaPresse il 10 marzo 2020) - L'ordine di idee per lo sforamento per far fronte all'emergenza coronavirus è di 10 miliardi. Così il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli a Circo Massimo su Radio Capital.
Maurizio Giannattasio e Stefano Landi per corriere.it il 10 marzo 2020. L’appello alle aziende perché permettano il lavoro a distanza ai propri dipendenti. L’appello ai ragazzi e alle ragazze perché rinuncino alla movida. Ma soprattutto l’orientamento che sta prendendo sempre più forma compiuta in queste ore tra chi deve decidere regole e divieti da mettere in campo per cercare di ridurre il contagio. Riguarda la chiusura dei negozi e delle attività, chiaramente non di prima necessità, che rappresentano un polo d’attrazione per tanta gente che in base al decreto dovrebbe restare a casa evitando uscite inutili. Il sindaco di Milano Beppe Sala ne sta parlando con i suoi colleghi primi cittadini lombardi e con i vertici della Regione. Si sta pensando a una chiusura temporanea a fronte però di un cospicuo e rapido intervento finanziario da parte del Governo che permetta di far fronte agli stipendi dei dipendenti. Un po’ quello che è successo a Hong Kong, dove a fronte della serrata di un mese sono stati corrisposti forti aiuti economici non solo ai commercianti e agli imprenditori, ma a tutti i cittadini, tra cui i dipendenti degli esercizi commerciali chiusi con una cifra pari a 1.175 euro. D’altra parte, le difficoltà di negozi e attività sono sotto gli occhi di tutti. Basta andare nel salotto di Milano, la Galleria Vittorio Emanuele e dintorni. Le chiusure sono a macchia di leopardo, una serranda giù un’altra su, una vetrina illuminata, un’altra spenta. E non stiamo parlando di piccoli e medi imprenditori, ma anche di grandi marchi che sicuramente hanno spalle più robuste per sopportare il peso di una chiusura. Ogni decisione però verrà presa collegialmente insieme alla Regione e agli altri sindaci perché è impensabile che ogni città e ogni territorio faccia di testa propria ma se si scorrono le centinaia di commenti al nuovo post di Sala, la stragrande maggioranza dei cittadini chiede un intervento in questo senso: chiudere immediatamente i negozi, i bar, i ristoranti, i mercati e tutte quelle attività non essenziali. Che poi è la stessa corrente che sta montando all’interno della categoria. Gli stessi negozianti, che si ritrovano con un buco d’affari tra il 70 e l’80 per cento, cominciano a chiedersi quanto valga la pena mettere a rischio la salute dei propri dipendenti. Numeri ribaditi ieri da Confimprese che ha spiegato come gli incassi siano scesi del 96% nel mondo della moda e dell’80 tra food e ristorazione. Nei primi due giorni di coprifuoco a Milano tira un’aria strana, con la gente che si muove nell’incertezza con le autocertificazioni nel taschino. Lunedì sono iniziati i controlli. L’approccio della prefettura è stato quello di concedere un approccio morbido, ma ora si inizierà a multare con severità crescente. Non camion e furgoni, ma le auto. La questura ha organizzato le squadre che pattuglieranno l’ingresso e l’uscita di tutte le grandi direttrici della città, coinvolgendo i commissariati di zona. Sono posti di blocco mobili, nel senso che si sposteranno per coprire la città. Anche nelle stazioni e aeroporti sono partiti gli interrogatori per capire chi davvero si muove per necessità. Alla stazione si è partiti con controlli a campione, più stringenti in aeroporto dove anche lunedì sono stati cancellati un centinaio di voli su Malpensa e altrettanti su Linate. Ci sono poi i numeri del bollettino medico quotidiano: da questo punto di vista Milano città «tiene», con 208 persone contagiate (37 più di domenica) e 9 morti.
Lorenzo De Cicco per “il Messaggero” l'11 marzo 2020. Si tengono la mano solo gli innamorati, in questa strana Roma ai tempi del Coronavirus. Gli altri - perlopiù bardati di mascherine o coi guanti in nitrile infilati fino al polso - disegnano strane traiettorie per non incrociarsi, sulle strade svuotate o sui marciapiedi mai così sgombri. Si allargano i giri nel segno del «distanziamento interpersonale» che raccomandano gli esperti, per schivare lo spettro del contagio. Si pazienta in coda fuori dalla farmacia, o alle poste, o al supermarket, senza nemmeno uno sbuffo, stavolta. Si è tutti un po' più gentili, con circospezione, mentre ci si guarda e si attende: «Prego tocca a lei», «ma no, si figuri», tutti staccati a un metro o più, nessuna prevaricazione da shopping, della serie «c'ero prima io». Tanto lo spazio non manca: la Capitale, nel primo giorno da zona protetta, si sveglia come in un ferragosto atipico, le vie semi-deserte, ma senza feste e anzi, con un senso di inquietudine. Pure i turisti, al contrario dell'estate, scarseggiano. Tanto che spariscono addirittura gli abusivi abituati a smerciare paccottiglie intorno ai monumenti. Nei paraggi del Colosseo, nemmeno un centurione solitario. Solo qualche chitarrista di dubbio talento. Il colonnato di San Pietro, vuoto. I salta-fila illegali per i Musei vaticani? Zero. Davanti a Fontana di Trevi, sciama qualche decina di stranieri appena, mentre di solito ci si accalca a bordo vasca con i vigili che si scapicollano da un capo all'altro dei marmi col fischietto in bocca, per evitare indecorose scalate sul monumento. Ieri, invece, niente. E sembra subito avere poco senso, nel pomeriggio, la notizia di una «chiusura» della vasca, messa in atto dai pizzardoni con tanto di (poco artistica) barriera pieghevole da cantiere stradale. C'è poco o nulla da «contingentare», in questo caso. Difatti, già a sera lo steccato di plastica viene scostato e si passa di nuovo accanto al gioiello del Barocco. Nel day 1 dell'isolamento romano, non resta traccia della Capitale degli ingorghi. Eravamo secondi al mondo per traffico dopo Bogotà? Ieri con le restrizioni del governo e gli appelli #iorestoacasa, sulle consolari si scorreva come capita solo all'alba. Un Lungotevere surreale, all'ora di punta tra le 6 e le 7 di sera, accoglieva i pochi veicoli sfreccianti. Il Centro storico - dove ora il Comune riaprirà le Ztl - sembra più vuoto delle periferie, dove qualche auto in più c'è. Ma il colpo d'occhio impressiona un po' ovunque. I bus, coi sedili sempre liberi, addirittura puntuali senza gli imbottigliamenti. Colpisce la sequenza tetra delle vetrine spente o delle saracinesche tirate giù. Quasi 4 negozi su 10 ieri non hanno proprio aperto, raccontano da Confesercenti. «Altri ci hanno provato, per qualche ora - dice il presidente Valter Giammaria - ma il 50% ha chiuso nel primo pomeriggio. Dopo le 18, quando scattava la chiusura di bar e ristoranti, sarà rimasta alzata meno di una saracinesca su 10, a dire tanto». Prima, all'ora di colazione o a pranzo, qualche tavolino fuori dai locali ancora resisteva, per i pochi clienti di passaggio. A Ponte Milvio addirittura si trovava parcheggio. Sparita la movida chiassosa e irresponsabile vista fino all'altro giorno, con le comitive stipate sui tavolini che se ne infischiavano dell'allerta virus. E dei pericoli. Già prima delle 18, hanno chiuso quasi tutti i locali. Altri esponevano un cartello: «Riapriamo a metà aprile». Anche Trastevere, altro rione dello sballo by night, mostrava una faccia diversa, insolitamente taciturna. E pure qui, dalle 6 di sera, si sparecchiava, tutti via. Con le palestre chiuse per decreto, ci si allena correndo accanto al Tevere. Jogging sempre a distanza. A volte, in mascherina. «Si suda di più, ma è meglio», raccontano due amiche mentre saettano su una ciclabile sgangherata. Restano aperti i supermercati e gli alimentari, quelli sì, come al solito. Al Lidl della Magliana c'è una guardia giurata all'ingresso. Per fortuna non si notano altri assalti agli scaffali, come lunedì notte. Le file, anche lunghe, invece sì. Uguali a quelle che si srotolano sui marciapiedi davanti alle Poste. All'ufficio accanto alla piramide Cestia, la coda sarà di cento metri. Pure fuori dai negozi spuntano i cartelli «si entra 2 per volta». O 3 per volta, a seconda degli spazi. E tanti medici della mutua non accettano più visite, se non si è gravi: chi vuole una ricetta, chiama e ritira le pillole in farmacia. Si aspetta un po' tutti che passi la nottata del Covid. E tanti, scrollando le spalle, nelle chiacchiere debitamente distanziate, lo dicono: «Passerà».
Franca Giansoldati per “il Messaggero” l'11 marzo 2020. La messa è (quasi) finita. Per la prima volta da tempo immemore la Basilica di San Pietro è di fatto off-limits persino ai pellegrini. Ieri mattina decine di persone si sono viste rifiutare l'ingresso in piazza nonostante assicurassero di voler entrare per recitare una preghiera e scattare una foto. I poliziotti di turno che controllavano il percorso obbligato verso i metal detector dai quali poi si accede ai varchi per la Basilica dove è sepolto San Pietro, sono stati inflessibili. «Non si passa». Il decreto d'urgenza per contenere l'epidemia non ammette deroghe fino al 3 aprile. In piazza e da lì alla basilica - si può entrare solo per necessità, motivi di lavoro o ragioni di salute. Di fatto ieri mattina l'amara sorpresa era stampata sul volto dei turisti di passaggio ignari di questo eccezionale inasprimento. Gli agenti di polizia controllavano meticolosamente tutti. Hanno fatto entrare in basilica alcuni giornalisti ma solo dopo che hanno mostrato i tesserini. Era una ragione di lavoro. Poi hanno persino controllato il tesserino di un cardinale di curia che transitava dalla piazza. Anche a lui gli hanno chiesto dove andasse e per quale motivo. Per tutta risposta ha dovuto tirare fuori il documento di riconoscimento. Sono giorni complicati e strani per tutti e il Vaticano è sospeso in un clima quasi irreale, come non era mai accaduto. L'altra sera i quattro maxischermi sulla piazza sono rimasti illuminati con una scritta in italiano e inglese che invitava la gente a rispettare la distanza di sicurezza tra una persona e l'altra. Restano aperte la farmacia e il supermercato dello Stato, ma con ingressi contingentati. Da oggi chiusa al pubblico anche la mensa, e al suo posto consegna pasti su richiesta. «Il Vaticano ha firmato un accordo con lo Stato italiano in merito anche a temi di salute pubblica. Questo è un caso fuori dall'ordinario che va inquadrato in quello che sta succedendo. La regola per il controllo della piazza, restando ai Patti lateranensi, prevede due situazioni. La cosiddetta piazza aperta, come è oggi, con i poteri della polizia che arrivano fino al sagrato della basilica, e la piazza chiusa (per esempio quando ci sono cerimonie) dove la polizia italiana si ferma al colonnato» spiega il costituzionalista Francesco Clementi. Di fatto però le verifiche sulla piazza limitano, come effetto secondario, anche l'accesso alla basilica che è extraterritoriale. Il Vaticano però ha accettato di buon grado questa misura perché la situazione è grave e l'obiettivo prioritario è salvaguardare la vita delle persone e, in ultima analisi, impedire i contagi. A San Pietro sono state nel frattempo abolite le celebrazioni quaresimali del Capitolo fissate per questi giorni. Francesco stamattina leggerà la catechesi dell'udienza dalla biblioteca. Per non creare confusione a proposito dell'invito che aveva rivolto ai preti a portare l'eucarestia ai malati di Covid-19, il Vaticano è dovuto correre ai ripari e precisare che potrà avvenire ma solo «nel rispetto delle misure sanitarie stabilite dalle autorità italiane».
Chiude anche San Pietro, a Roma controlli in strada: «Tutti a casa». Pubblicato mercoledì, 11 marzo 2020 da Corriere.it. «Il modulo? Quale modulo?» Dopo giorni di notiziari televisivi sulle zone rosse del Nord, ieri Roma si è svegliata sotto un cielo blu cobalto e dal racconto virtuale è precipitata nel reality dell’emergenza coronavirus. Pattuglie di vigili urbani, polizia e carabinieri (in zone strategiche come piazza Mazzini o via Cristoforo Colombo, Ostiense, san Giovanni) hanno fermato romani in macchina (moltissimi con le mascherine alla guida) chiedendo l’autocertificazione dello spostamento e di quale urgenza si trattasse. Sbalordimento. Spiegazioni che «tutti a casa» non è uno slogan ma un obbligo. Nel pomeriggio dalla questura e dai vertici delle altre forze dell’ordine è arrivata una indicazione ferrea: controlli serrati su spostamenti e autocertificazioni, tutti a casa significa solo e soltanto tutti a casa. Anche a Roma. La prima reazione della Capitale all’annuncio di Giuseppe Conte di lunedì sera è stata identica a quella di altre città del centro-sud: il rituale assalto notturno al supermercato. File serali davanti a quelli aperti fino a tardi in via Aurelia, Casal Palocco o in via Tuscolana. Qualche ressa. Molte foto sulla Rete. Ma martedì mattina presto Roma ha subito mostrato la sua millenaria capacità di metabolizzazione. Verso le 9 strade semivuote, l’asse dei Lungotevere libero come in piena estate, piazza Venezia senza l’ingorgo fisso, il gran dispiego di vigili urbani ha contribuito al miracolo, complice la chiusura delle scuole e di non pochi uffici privati. Metropolitana semivuota. Rare file alle fermate dell’Atac. Ma Roma è Roma, c’è sempre il risvolto grottesco: l’azienda pubblica di trasporti ha deciso l’isolamento degli autisti, le porte anteriori non si aprono più e molti conducenti hanno creato «isole» per l’area guida usando la plastica arancione degli eterni cantieri delle buche o i bandoni di plastica stesi dai vigili urbani per i divieti di sosta eccezionali. Un rimedio de noantri sfilacciato e balordo. L’assalto sotto le stelle ai banconi degli alimentari, col passare delle ore, si è trasformato in un approccio più rilassato, con i servizi d’ordine delle guardie private assoldate dalle marche della grande distribuzione: tutti in fila, ad almeno un metro di distanza come da regole, ingressi a scaglioni ordinati, precedenza a persone anziane o a donne in attesa. Stessa procedura davanti alle farmacie. La folla che di solito si trova all’interno dei locali, si fraziona sui marciapiedi. Davanti a una nota farmacia in viale Aventino, un uomo di mezza età mormora: «Va bene tutto, ma due giorni fa stavo nella calca a Porta Portese». Già. Perché nella Roma che fino all’annuncio di Conte di lunedì sera aveva cancellato l’emergenza, è accaduto anche questo: non solo i gruppi di adolescenti nei locali della movida con la complicità di incoscienti titolari preoccupati unicamente di far cassa (dieci sonore multe, e sono poche) ma anche migliaia di romani intruppati nel solito corpo a corpo tra i banchi di Porta Portese per godersi la bella domenica mattina. Altro che movida. Col passare delle ore, e prima del richiamo del pomeriggio, il traffico è aumentato e sono cresciuti i segnali di normalità. Furgoni impegnati nel carico e scarico in mezzo alla strada col metodo romanesco del «minutino» («un minutino e mi tolgo...», con corsetta da copione). L’impagliatore di sedie di via Sabotino col suo banchetto sul marciapiedi come in un giorno qualsiasi. Ma tante notizie hanno ricordato l’emergenza: la chiusura della Basilica e di piazza San Pietro, la circolazione dei turisti e dei pedoni vietata intorno a Fontana di Trevi — due simulacri di Roma, una sonora sveglia alla Capitale — mentre da lunedì sono inaccessibili Colosseo, Fori Imperiali, Foro Romano e Palatino. Nei bar, caffè serviti a distanza doverosa, spesso segnalata con i nastri adesivi a terra. Molti locali hanno optato per la chiusura, come l’antica trattoria Sora Margherita in piazza Cinque Scole («ci vediamo il 3 aprile») o le prime gelaterie appena riaperte e già chiuse, come Miami, notissima tra Monteverde e Trastevere (cartello: «per contribuire a migliorare la situazione attuale»). Tanti ristoranti si riciclano: dal servizio ai tavoli alla consegna a domicilio, ben sapendo che la stagione delle tavolate tra amici e parenti chissà quando tornerà. «Da Fortunata» in corso Rinascimento ecco piatti di fettuccine fatte in casa take away preparati dalla sorridente addetta che impasta in vetrina. Grande fermento distributivo nelle abitazioni dei romani in tante macellerie di quartiere: polpette, arrosti, polli pronti. Ma le abitudini capitoline registrano anche cambiamenti più profondi. La sospensione del rito della Messa domenicale proprio qui, nella Città dei Papi: la pratica cattolica è da tempo in crisi, la frequenza sta calando di anno in anno e c’è chi teme che molte parrocchie potrebbero riprendersi con immensa fatica dall’effetto coronavirus. E poi, amarissima, la scomparsa dell’addio collettivo a chi se ne va. Cioè a chi muore, per usare un verbo più duro. Niente funerali religiosi, di tutte le fedi, e nemmeno commiati laici con abbracci tra parenti e amici. Chi muore se ne va dall’ospedale o da casa direttamente col carro funebre verso uno dei cimiteri cittadini. Più di una rimozione.
Ansa il 12 marzo 2020. - Aeroporti di Roma informa di aver predisposto un piano di ridimensionamento dell'operatività dei terminal passeggeri di Fiumicino e Ciampino. Da sabato 14 marzo verrà chiuso il terminal per i passeggeri dei voli di linea dell'aeroporto G.B. Pastine di Ciampino. A partire da martedì 17 marzo, nell'aeroporto "Leonardo da Vinci" di Fiumicino verrà temporaneamente chiuso il Terminal 1. Tutte le operazioni di check-in, i controlli di sicurezza e la riconsegna bagagli verranno effettuate al Terminal 3 che resta operativo. La decisione si è resa necessaria a causa delle molteplici cancellazioni di voli da e per l'Italia annunciate da molte compagnie aeree che operano normalmente sui due scali della Capitale. Rimarranno invece invariate le attività di Aviazione Generale, quelle degli Enti di Stato e l'aviazione cargo. Le piste di volo dei due scali rimarranno pienamente agibili e non subiranno variazioni operative. Negli ultimi giorni è stimato rispettivamente nel 45 e poi oltre il 50 per cento il calo di passeggeri nel sistema aeroportuale romano, per gli aeroporti di Fiumicino e Ciampino, per effetto delle progressive riduzioni complessive dei voli. Lo si apprende in ambito aeroportuale. Emerge, a vista, la riduzione delle presenze nelle aerostazioni a causa della sospensione dei collegamenti decisa da diversi Paesi da e per l'Italia e per la riduzione operativa stabilita da compagnie aeree. E' sempre più probabile una chiusura dell'aeroporto di Linate per effetto delle ultime misure del Governo per contenere l'avanzata del coronavirus. Secondo quanto apprende l'ANSA è in arrivo infatti un decreto del Ministero dei Trasporti che riguarderebbe, oltre allo scalo milanese, anche altri aeroporti in tutto il territorio nazionale.
Coronavirus, Ryanair ed Easyjet cancellano voli sull'Italia. Trenitalia, i posti «distanziati». Le due compagnie aeree cancellano ogni collegamento dopo ordinanza del Governo. E da Gruppo Fs misura anti virus. La Gazzetta del Mezzogiorno il 10 Marzo 2020. Ryanair ha annunciato oggi la sospensione dell’intero programma di voli da/per l’Italia e sul territorio nazionale, a seguito alle misure messe in atto Governo italiano sull'intero Paese per contenere la diffusione del virus Covid-19. Nel dettaglio, dalle 24.00 di mercoledì 11 marzo fino alle 24.00 di mercoledì 8 aprile, Ryanair sospenderà tutti i voli nazionali italiani. Dalle 24.00 di venerdì 13 marzo fino alle 24.00 di mercoledì 8 aprile, Ryanair sospenderà tutti i voli internazionali da/per l’Italia. Tutti i passeggeri interessati riceveranno notifiche via e-mail nella giornata di oggi, con le informazioni su queste cancellazioni. I viaggiatori che hanno l’esigenza di rimpatriare possono ottenere un cambio gratuito per un volo Ryanair precedente a quello prenotato e operante fino alla mezzanotte di venerdì, 13 marzo. I clienti interessati da queste cancellazioni potranno scegliere tra un rimborso completo o un credito di viaggio che potrà essere riscattato sui voli Ryanair nei prossimi 12 mesi. Ryanair, spiega la nota, continua a seguire scrupolosamente le linee guida dell’OMS e del Governo nazionale e tutte le restrizioni di viaggio. La situazione si modifica di giorno in giorno e tutti i passeggeri dei voli interessati da divieti di viaggio o cancellazioni vengono informati via e-mail con proposte di cambio volo, rimborso completo o credito di viaggio. Anche Easyjet si aggiunge ai vettori che hanno deciso di sospendere tutti i voli da e per l’Italia: l'annuncio della grande compagnia low cost britannica è arrivato oggi pomeriggio, per ora sono cancellati tutti gli aerei in partenza o in arrivo negli aeroporti italiani per i prossimi due giorni, con successive revisioni previste fino al 4 aprile. Lo stop di EasyJet, dopo quello di British Airways e del colosso irlandese Ryanair, oltre che di Jet2, porta verso l’azzeramento temporaneo i collegamenti aerei fra Italia e Regno Unito. Trenitalia (Gruppo FS Italiane), intanto, ha avviato l’utilizzo di un nuovo criterio per la prenotazione dei posti a bordo delle Frecce. La nuova funzione di prenotazione, ideata e realizzata da FSTechnology FSTechnology (società del Gruppo) garantisce il rispetto delle distanze di sicurezza prescritte dalle disposizioni in materia di prevenzione e diffusione del virus COVID-19, mantenendo invariato il comfort offerto ai viaggiatori. Per essere più chiari in caso di prenotazione il sistema scegliere i posti nel rispetto delle distanze (ad esempio in caso di gruppo da 4, saranno disponibili solo i due posti diagonali). Il nuovo criterio di prenotazione è un’ulteriore azione, dopo quelle già avviate dal Gruppo FS Italiane a tutela dei viaggiatori e dipendenti: potenziamento delle attività di sanificazione e disinfezione dei treni e dei luoghi di lavoro, riducendo gli intervalli di tempo fra una sessione di pulizia e la successiva; installazione a bordo dei treni dispenser di disinfettante per le mani; istituzione di una task force intersocietaria per monitorare costantemente l’evoluzione della situazione e garantire il coordinamento di tutti gli interventi disposti dai provvedimenti governativi in materia. Sui canali di vendita di Trenitalia, inoltre, è aggiornata l’offerta commerciale con tutte le modifiche. Le informazioni sulla circolazione dei treni sono disponibili su App Trenitalia e il sito web trenitalia.com.
Il coronavirus ferma i treni: cancellate le corse altavelocità da nord a sud. Cancellati i treni che da nord raggiungono il sud. Nelle prossime ore la viabilità dovrebbe essere rimodulata. Il Dubbio il 10 marzo 2020. In seguito al decreto legge che ieri sera ha esteso la “zona rossa” a tutta Italia, si fermano anche i collegamenti su rotaia. Questa mattina moltissimi passeggeri sono arrivati nelle stazioni solo per trovare il loro treno alta velocità cancellato. Nonostante le parole di ieri del premier Conte, che aveva garantito la continuità del trasporto pubblico, sono interrotti la maggior parte dei collegamenti da nord a sud, sia da Milano che dal Veneto. In partenza, per ora, sono solo le corse dei regionali. La notizia della cancellazione non è stata comunicata via messaggio o via mail ai viaggiatori, che si sono trovati in stazione senza sapere cosa fare. Trenitalia ha previsto un rimborso totale dei biglietti, da poter ottenere o nella biglietteria della stazione oppure via internet. Secondo gli operatori, la viabilità ferroviaria dovrebbe venire rimodulata nelle prossime ore.
Da corriere.it l'11 marzo 2020. Trenitalia ha ideato una nuova funzione di prenotazione a bordo delle Frecce al fine di garantire il rispetto delle distanze di sicurezza prescritte dalle disposizioni in materia di prevenzione e diffusione del virus Covid-19. Una procedura che è stata messa a punto da FSThecnology, società del gruppo Fs Italiane. In pratica, la disposizione dei posti liberi assomiglia un po’ a una scacchiera, con i viaggiatori che potranno sedersi solo alternando le poltrone e mai uno di fronte all’altro.
I criteri e le motivazioni. «Il nuovo criterio di prenotazione è un’ulteriore azione, dopo quelle già avviate dal gruppo a tutela dei viaggiatori e dipendenti – si legge in una nota diffusa dalla società – ovvero: potenziamento delle attività di sanificazione e disinfezione dei treni e dei luoghi di lavoro, riducendo gli intervalli di tempo fra una sessione di pulizia e la successiva; installazione a bordo dei treni dispenser di disinfettante per le mani; istituzione di una task force intersocietaria per monitorare costantemente l’evoluzione della situazione e garantire il coordinamento di tutti gli interventi disposti dai provvedimenti governativi in materia».
· La Padania ordina; Roma esegue. L’Italia ai domiciliari.
Da #MilanoNonSiFerma a #RestateACasa: la genesi di un'emergenza sottovalutata e gestita con superficialità. Coronavirus: Milano non si è fermata, così si è ammalata. Faccia qualcosa prima che la valanga dei contagi ci travolga, la smetta di nascondere la testa sotto la sabbia”. Fabrizio Boschi il 10/03/2020 su Notizie.it. Milano non ce la fa più. La Lombardia non ce la fa più. Altri 15 giorni così e sarà collasso totale. Non doveva andare così. Non poteva. Non si doveva arrivare a questo. Ma, in un modo o in un altro, errore dopo errore, ci siamo arrivati. Il nostro peggior incubo adesso è realtà. Un nemico viscido e invisibile che rende questa la peggiore delle guerre. Tanti errori, soprattutto all’inizio. Troppa superficialità. Molte sottovalutazioni. Ricordate quando i giornalisti venivano offesi perché additati di essere degli sciacalli, di provocare panico nella popolazione con messaggi troppo allarmistici? Ecco, forse invece erano fin troppo poco allarmistici quei toni. Anche Milano ha sottovalutato il problema. E non poco.
Quando il 28 febbraio i morti erano appena 12 ci sembravano già un’enormità, non era ancora nulla.
Adesso che, dopo 11 giorni, sono 463 sembra una guerra. Eppure appena dieci giorni fa la percezione della gravità della situazione, non era ancora presente nella popolazione. Lo era già negli ospedali ma non nella popolazione. Forse le istituzioni sapevano già ma per non allarmare i cittadini hanno tenuto nascosto per troppo tempo il problema. Come ha fatto, all’inizio, la Cina del resto. E quando non è stato più possibile tenerlo nascosto ormai era già fuori controllo. Per questo il 27 febbraio Beppe Sala invitata i cittadini a non fare “stupide” scorte ai supermercati, a non aver paura “che è solo un’influenza”, a non abbandonare le proprie abitudini. . “Non abbiamo paura, Milano non si ferma“, con tanto di maglietta ostentata su Instagram. Il video del sindaco Sala, dell’Italia che non si arrende, diventa virale. Il Bosco verticale, piazza Duomo, la Galleria Vittorio Emanuele, persone che si muovono, lavorano e cantieri in movimento. E poi la scritta: “Milioni di abitanti. Ogni giorno facciamo miracoli, ogni giorno abbiamo ritmi impensabili, ogni giorno portiamo a casa risultati importanti. Ogni giorno non abbiamo paura, Milano non si ferma”. Il sindaco posta sui social #MilanoNonSiFerma e il video e l’hashtag vuole dire alla città di reagire al Coronavirus. Sembra passato un anno e invece sono solo 11 giorni. Lo spot si conclude con le scritte di altre città coinvolte dall’emergenza, come Codogno, Lodi, Torino, Genova, Firenze, Palermo e tutta l’Italia. Appena una settimana dopo le cose sono precipitate. Sala non si sente più. Forse dalla vergogna. Perché ora l’hashtag di Sala è esattamente l’opposto: “#RimaneteACasa”. L’atteggiamento, forse troppo incauto delle settimane precedenti, ha fatto arrabbiare molti milanesi. Sala rilascia una lunga intervista sul Corriere della Sera intitolata: “L’appello di Sala scuote i milanesi: “Rimanete in casa il più possibile””. Non proprio un appello ma al massimo un invito che non scuote proprio nessuno invece: inutile adesso, ovvio, ripetutissimo, dunque tardivo. Parole al vento, poco credibili dette da lui, a causa dell’atteggiamento ondivago e contraddittorio che ha sempre tenuto, frutto del suo smodato ego manifestato sia nella vita pubblica, quanto in quella privata. Sala nelle scorse settimane è andato a mangiare nei ristoranti cinesi di via Paolo Sarpi, così come il fidanzato di Selvaggia Lucarelli, il cuoco Lorenzo Bigiarelli, che ha fatto della campagna pro cinesi una sua grottesca crociata personale. Sia lui che Sala volevano ridicolamente dimostrare che il virus che faceva morti a Wuhan era una bufala razzista e xenòfoba, montata per insidiare gli interessi dell’antica e operosa comunità orientale di Milano. Così come ha fatto anche Enrico Rossi, l’illuminato governatore della Toscana, che oltre che proteggere i suoi amici Rom, è anche paladino degli interessi dei commercianti e imprenditori cinesi di “Plato”. Dopo qualche settimana, quando il Coronavirus si è presentato all’uscio di casa di centinaia di milanesi e ai cancelli dell’ospedale anti-infettivo Sacco con tutta la sua virulenza, il presuntuoso e sicuro di sé sindaco Sala ha pensato bene di contrapporvi la foto del suo virile torace con la t-shirt “Milano non si ferma”. Una uscita degna di un Salvini, inaccettabile per chi ha responsabilità di primo cittadino. Una mancanza di rispetto per medici e ricercatori che invece avevano già ben chiaro quello che stava per succedere. Ora, con migliaia di cittadini che scappano nella notte, dopo che qualcuno ha fatto trapelare la bozza del decreto che chiudeva la Lombardia, e adesso l’ipotesi di chiudere tutto, Sala lancia il suo farsesco contrordine: “Rimanete in casa il più possibile”. E il Corriere della Sera, fedele e ossequioso foglio quasi di famiglia, prono lo asseconda. Dopo questi clamorosi e fuorvianti scivoloni, cominciati con “mangiamo cinese”, proseguiti con “Milano non si ferma” e finiti con la risibile resa del “rimanete a casa”, forse è il caso che Sala taccia e faccia parlare solo chi è competente. I suoi messaggi hanno già provocato anche troppi danni alla comunità. Forse è proprio per causa dei suoi predicozzi sul “non fermarsi” che adesso Milano e la Lombardia sono fermi, in ginocchio. E chissà per quanto ancora.
Ettore Livini per “la Repubblica” l'11 marzo 2020. La scorta di culurgiones preparati dalla mamma - roba che in altri tempi sarebbe andata esaurita in 24 ore - è tristemente quasi intatta in frigorifero. I tavoli sono quasi vuoti. I tre dipendenti che lavoravano in cucina sono a casa da due giorni, in permesso e ferie. Il coronavirus ha capovolto il mondo di ristoranti e bar italiani. E Ignazio Cuboni, titolare del Baia Sardinia di Milano, uno dei gioielli nascosti della gastronomia meneghina, non può far altro che leccarsi le ferite. I conti sono semplici: «A mezzogiorno un mese fa facevo 150 coperti. Sa quanti ne ho fatti oggi? Diciotto». Lui e i suoi colleghi, dice Fipe-Confcommercio, rischiano di perdere 4 miliardi in tre mesi. La Lombardia chiede addirittura la serrata totale per combattere il coronavirus. E il fronte del fornello e del cappuccino rischia (come tanti altri pezzi d'Italia) una mezza Caporetto. «Io non dormo più per il magone», dice Cuboni. Non è difficile capire perchè: «Ho tremila euro al mese di bollette tra gas e luce, poi c' è l' affitto. In questi giorni devo pagare fornitori e contributi dei dipendenti». Totale: 25 mila euro di uscite al mese «mentre incasso anche meno di 200 euro al giorno». Per ora resiste, servendo catalane di mazzancolle e carpacci di ricciola in takeaway fino alle 18. «Ma se le cose vanno avanti così per un mese non so come faremo a tenere aperto». «Siamo alla desertificazione» conferma Lino Enrico Stoppani, presidente di Fipe-Confcommercio. I 330 mila ristoranti italiani fatturano 86 miliardi e danno lavoro a 1,2 milioni di persone. «Oggi molti hanno i ricavi quasi azzerati - dice Stoppani -. Servono interventi urgenti e non misure tampone». Un salvagente per il settore è allo studio del governo. Ma Caterina D' Urso, titolare di un bar e del ristorante giapponese Garibaldy di Stradella, non è molto ottimista. Il balletto di disposizioni anti-coronavirus è stato una via crucis per la ristoratrice pavese: «Prima ci hanno bloccato dopo le 18, poi ci hanno fatto riaprire, ora mettono nuovi limiti. Era meglio chiudere tutto subito e garantirci un sostegno economico », dice. Martedì è giorno di mercato davanti al suo bar e alla cassa si battono di solito 450 euro di cappuccini, brioches e caffè. «Oggi siamo a quota 100». Che fare? «I dipendenti ci verranno incontro, ho chiesto un' estensione del fido alla banca, ho bloccato un po' di pagamenti. Ma è un effetto domino, per il paese sarà un danno enorme». Bar e ristoranti - dice - «sono mucche da mungere. A cosa serve pagare le tasse se poi quando hai bisogno non hai niente indietro?». Il governo sembra pronto a dare l' ok al congelamento di mutui e scadenze fiscali. «Nei primi dieci giorni di crisi, i ristoranti nelle aree esposte hanno perso 212 milioni - calcola Giancarlo Banchieri, numero uno Fiepet, organizzazione di settore di Confesercenti - Ora serve l' ok alla cassa integrazione in deroga ». I grandi chef, invece, chiedono chiarezza e regole uguali per tutti: «Meglio chiudere tutto per un periodo più limitato», dice la lettera aperta dei Ristoratori responsabili milanesi (un elenco che - da Peck a Pont de Ferr - raccoglie molti nomi storici nomi della tavola lombarda). Le decisioni prese finora - lamentano - favoriscono chi opera di giorno. E per fortuna è arrivato l' ok all' uso delle cucine per la consegna a domicilio dopo le 18, «una soluzione che ammortizza la crisi». Destinata comunque, dicono i master chef senza troppi giri di parole a rischiare di causare «chiusure e licenziamenti di molti addetti». Vale per gli stellati ma anche per le (eccellenti) trattorie di campagna come il Cavallo di Scipione Ponte: «Io ho chiuso per tutelare la salute dei dipendenti e tengo aperto solo il bar», dice il titolare Marco Dioni. Martedì nel locale al confine tra le provincie di Parma e Piacenza sarebbe il giorno della "Buzeca", la trippa parmigiana. Invece i fornelli sono rimasti spenti. E Dioni, un po' per «distanziamento sociale» e un po' per sdrammatizzare, si è limitato a servire caffè, torte e cappuccini dalla finestra che dà sulla strada. «Io per un mese ce la posso ancora fare - calcola Cuboni del Baia Sardinia - . Poi non so. Siamo realtà familiari, non aziende con centinaia di dipendenti che possono andare a Roma a battere i pugni sul tavolo». Lui, dallo Stato, si aspetta un segnale forte: «Il fisco vede in tempo reale quanti scontrini batto ogni giorno e sa in che condizione siamo ora - spiega offrendo ai tre clienti ai tavoli un bicchiere della staffa di filu 'e ferru - . Rinviare bollette e mutui serve a poco. Quando riapriremo non avremo i soldi per gli arretrati. Meglio un taglio alle tasse fino a quando la crisi non sarà finita». Altrimenti la dieta imposta al settore dal coronavirus rischia di andare di traverso a lui e a tutti i ristoratori tricolori.
COMITATO RISTORATORI RESPONSABILI Lettera aperta
Milano, 9 marzo 2020. Egregi Presidente del Consiglio dei Ministri, Presidente della Regione Lombardia, Ministro della Salute e Sindaco della Città Metropolitana di Milano, redigiamo la presente per esprimere la nostra solidarietà come cittadini all'opera difficilissima di gestione dell'emergenza che state svolgendo. Come tutti siamo preoccupati, ma anche fiduciosi della forza che insieme come comunità possiamo avere se agiamo con coscienza e responsabilità. Prendiamo atto delle disposizioni redatte nel DPCM emanato in data 8 Marzo 2020 dettato dall'evoluzione dell'epidemia COVID-19. Ci rendiamo tutti conto della gravità della situazione e siamo pronti a fare i sacrifici necessari laddove siano dettati da logiche opportunità. La decisione di consentire l'apertura dei bar e ristoranti come da ART.1 comma n) del suddetto decreto pone tuttavia delle grandi perplessità di cui vogliamo rendervi partecipi:
1) per la natura del servizio offerto da esercizi di somministrazione la richiesta di mantenere il metro di distanza interpersonale è praticamente impossibile da far rispettare. La promiscuità è ineliminabile tra personale di servizio e cliente e tra i clienti stessi anche nel caso si dispongano di tavoli delle misure adeguate;
2) lasciare i gestori delle attività come baluardo di prevenzione del contagio che impongono la suddetta distanza a rischio di sanzione è un provvedimento che facciamo fatica a condividere;
3) la maggior parte di questi esercizi opera nelle ore serali. Lasciare la possibilità di tenere aperto fino alle 18 crea una disparità significativa tra esercizi che lavorano durante il giorno e altri che lavorano prevalentemente la sera;
4) mantenere gli esercizi aperti e raccomandare alla popolazione di non muoversi da casa propria equivale a condannare tali esercizi al fallimento;
5) non si contempla la possibilità di poter effettuare il delivery anche oltre le ore 18, misura questa che potrebbe almeno mitigare l'effetto crisi per alcune tipologie di attività;
6) in sintesi, nel miglior scenario possibile, l'inevitabile crollo degli incassi porterebbe alla chiusura e al licenziamento di molti addetti. Ci chiediamo pertanto se abbia senso chiudere tutto tranne i ristoranti e i bar. Se il fine ultimo è quello di evitare la socialità tout court, per quale motivo si vuole lasciare la possibilità di contatto e contagio in luoghi dove è intrinsecamente più difficile regolamentarla? Paradossalmente musei e cinema che devono rimanere chiusi hanno più possibilità di far rispettare le distanze regolamentando gli accessi.
Egregi Presidente del Consiglio e Presidente della Regione Lombardia, ci rendiamo conto della gravità della situazione e siamo pronti a conformarci alle direttive, ma siamo preoccupati come cittadini circa l'effettiva efficacia di misure prese a metà e come imprenditori della sopravvivenza delle nostre aziende. Chiediamo di essere ascoltati quanto prima e di lavorare insieme per trovare una soluzione più intelligente possibile. I punti che proponiamo vengano presi in considerazione con la massima urgenza sono:
1) opportunità di chiudere del tutto gli esercizi di somministrazione: meglio un periodo di contenimento più severo ma più limitato nel tempo;
2) istituzione di un fondo di emergenza per le imprese in difficoltà;
3) cassaintegrazione in deroga per i prossimi tre mesi per i dipendenti del settore: solo così potremmo restare aperti senza agonizzare economicamente;
4) sospensione degli oneri tributari per i prossimi 3 mesi, compresi quelli comunali (COSAP e altri);
5) moratoria per credito bancario; sospensione delle bollette.
La maggior parte di noi seguendo la propria coscienza ha già chiuso la propria attività. Ma temiamo che sia necessario farlo tutti. Non affrontare questi nodi porterebbe a una situazione di completa incertezza e probabili effetti negativi anche sul contenimento del contagio e una quasi certa emorragia di imprese che o licenziano in massa o soccombono senza poter più contribuire. Il mondo ci sta guardando. Cogliamo l’occasione per dimostrare a tutti che sappiamo rispettare le regole ed essere responsabili per la comunità. Non vorremmo in un futuro essere additati come coloro che hanno sacrificato il bene pubblico per il proprio orticello. Siamo a disposizione per un dialogo costruttivo e tempestivo. Comitato Ristoratori Responsabili
Peck, Milano
Trippa, Milano
Ratanà, Milano
Princi, Milano
Il Liberty, Milano
Røst, Milano
Spazio, Milano
Poporoya, Milano
Al Pont de Ferr, Milano
Ca-ri-co Milano
Dabass, Milano
Il Nemico, Milano
Infernot, Pavia
Cascina Vittoria, Pavia
Vineria Eretica, Milano
Mestè, Milano
Antica Osteria del Mare, Milano
Onest, Milano
Botticella, Pavia
Bicerin, Milano
Fingers, Milano
Pastamadre, Milano
Kanpai, Milano
Bar Banco, Bar Elettrocadore, Milano
Nebbia, Milano
Wood Banco e Cucina, Milano
Deus Cafè, Milano
Shannara3, Milano
Shannara Ristorante, Milano
Taglio, Milano
Burbee Artisanal Burger&Beer, Milano
Loolapaloosa, Milano
Besame Mucho, Milano
Gialle&Co, Milano
Neta, Milano
Il Cavallante, Milano
Cibi di Strada, Pavia
Mandarin 2, Milano
Ciotto, Milano
*drinc, Milano
Tàscaro, Milano
Ciz Cantina e Cucina, Milano
Cafè Gorille, Milano
Trattoria del Nuovo Macello, Milano
Tipografia Alimentare, Milano
Erba Brusca, Milano
Antica Osteria dei Sabbioni, Milano
Solo Crudo, Milano
Frigoriferi Milanesi, Milano
The Botanical Club, Milano
Elita Bar, Milano
142 Restaurant, Milano
Trattoria dei Cacciatori, Peschiera Borromeo (MI)
Mu Dimsum, Milano
Gennaro Esposito, Milano
Pizza Bistrot, Milano
Trattoria Mirta, Milano
La Cantina di Franco, Milano
Caffè del Lupo, Milano
Esco Bistro Mediterraneo, Milano
28 Posti, Milano
Altrimènti, Milano
Motelombroso, Milano
Flor, Milano
Fratelli Torcinelli, Milano
La Brisa, Milano
Trattoria del Gallo, Vigano di Gaggiano (MI)
Trattoria Angolo di Casa, Pavia
Dell’Angolo, Vittuone (MI)
Da Martino, Milano
Hygge, Milano
Ral Coctail Bar, Milano
Plaza Cafè, Milano
Osteria al Coniglio Bianco, Milano
Bussarakham, Milano
Bullona, Milano
Vino al Vino, Milano
Upcycle Bike Cafè, Milano
Osteria della Madonna, Pavia
Hu Hancheng, Milano
Kandoo, Milano
Le Api Osteria, Milano
Ristorante Zibo, Milano
Insieme, Milano
Cantine Isola, Milano
La Ravioleria Sarpi, Milano
Manna, Milano
Sushi Kòboo, Milano
Asola e Gerri, Milano
Chinesebox, Milano
Bob, Milano
Aguasancta, Milano
Sine Ristorante Gastrocratico, Milano
Nuova Arena, Milano
Torre degli Aquila, Pavia
Trattoria Caselle, Morimondo (MI)
Lon Fon, Milano
Osteria Nuovo Convento, Milano
Ta Hua, Milano
Locanda del Carmine, Pavia
Antica Mescita Origini, Pavia
Lacerba, Milano
Vinoir, Milano
Testina, Milano
Valhalla la Brace degli Dei, Milano
Vinyl Pub, Milano
Gelateria Vier Bar, Pavia
La Taverna Anzani, Milano
La Taverna Gourmet, Milano
Muzzi, Milano
Alvolo, Pavia
DistrEat, Milano
Fontana: "Il coronavirus è poco più di una normale influenza". Il presidente della Regione Lombardia ad alcuni Paesi europei: "Forse dovrebbero un po' rivedere la loro appartenenza all'Unione". Poi ringrazia medici e infermieri: "Persone eroiche". Francesca Bernasconi, Martedì 25/02/2020, su Il Giornale. Alcuni Paesi dell'Europa "forse dovrebbero un po' rivedere la loro appartenenza all'Unione, dopo che si inizia a fare discriminazioni nei nostri confronti". A pensare è il governatore della Regione Lombardia, Attilio Fontana, riferendo al Consiglio regionale sull'emergenza coronavirus. Una discriminazione dovuta al virus che sarebbe, a detta del governatore, "poco più di una normale influenza". Il presidente della Regione Lombardia cerca di "sdrammatizzare", nel tentativo, forse, di placare gli animi dei cittadini: "Questa è una situazione senza dubbio difficile- specifica-ma non così tanto pericolosa". Infatti, Fontana spiega come il virus sia aggressivo e rapido nella sua diffusione, ma "molto meno nelle conseguenze": "È poco più di una normale influenza", riferisce, precisando di aver usato le parole dei "tecnici". Inoltre, Fontana ricorda che "le persone decedute sono o molto anziane o con una compromissione derivante da patologie importanti". "C'è qualcuno che crede in questo Paese- ha aggiunto- e che vuole che questo Paese superi le difficoltà". Ma ora, secondo Fontana, le difficoltà non sarebbero solamente quelle dovute direttamente alla diffusione del Covid-19 in Italia, ma anche quelle derivanti dai comportamenti di alcune altre nazioni europee. Un aiuto concreto, invece, sarebbe arrivato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarela, che "ci è stato molto vicino e mi ha incaricato di estendere il ringraziamento a tutto comparto della sanità e non solo". Il capo dello Stato, riferisce Fontana, "si sente molto vicino a noi che stiamo combattendo questa battaglia per la salute dei cittadini. Il sostegno del presidente della Repubblica ci fa sentire un pò più forti e ci fa sentire che c'è una parte buona della politica che crede ancora in questo Paese. Grazie al presidente della Repubblica che ci è vicino". In merito alla diffusione del coronavirus, Fontana riferiche: "Questa settimana probabilmente il contagio continuerà ad aumentare e soltanto alla fine di questa settimana potremmo avere notizie più precise". Sembra che il contagio "sia partito dall'area dei 10 comuni nella 'zona rossa'" e i dati vanni in quella direzione: "I contagiati di altre parti della Lombardia che avevano avuto relazioni con quel territorio o con cittadini di quel territorio sono circa 85-90% dei contagi registrati nella nostra regione". E sul record europeo di contagi in Italia, il presidente Fontana dice:"Il numero è alto anche perchè la nostra Regione ha deciso di iniziare un'attenta valutazione delle persone che hanno le condizioni per essere ritenute affette da questo virus a allora abbiamo fatto tanti tamponi e tanti esami". Sarebbe questa, quindi, una delle motivazioni che hanno fatto scoppiare i casi italiani di malati: "Chiaro che facendo tanti esami abbiamo trovato tanti che erano stati colpiti da questa infezione". Il governatore della Regione Lombardia spiega anche le conseguenze del virus sull'economia, definendo l'arrivo del Covid-19 "un'ulteriore botta": "Al Governo abbiamo chiesto di intervenire e di aiutare gli imprenditori grandi, piccoli e medi, gli esercizi commerciali e quelle attività imprenditoriali che comunque subiranno un grave danno da questa situazione e il governo si è impegnato- spiega- Oggi a Roma con Patuanelli ci sarà un incontro". E sulle misure messe in atto nel tentativo di limitare la diffusione del virus, dice: "Abbiamo preso provvedimenti che non avremmo voluto prendere, perchè incidono sulla libertà dei nostri cittadini e sulla situazione economica della Regione". Infine, Attilio Fontana ha voluto ringraziare "il nostro sistema sanitario fatto da medici, infermieri, ma anche da gente che magari non si vede neanche e che lavora nell'ombra. Ci sono persone che sono da considerare eroiche, gente che non guarda l'orario di lavoro, gente che non torna a casa, medici che per paura di infettare la loro famiglia hanno deciso di vivere in ospedale per continuare a lavorare. A loro si deve dire grazie e questa è la dimostrazione che il sistema Lombardia funziona e che la nostra è una vera comunità".
Coronavirus, la rivalsa di Fontana: "Sbeffeggiato quando ho lanciato l'allarme. Ora recuperare il tempo perduto". Il governatore della Lombardia torna sulle polemiche scatenate nei giorni scorsi dalle sue parole e dalle sue iniziative. La Repubblica l'11 marzo 2020. "Per due settimane si è continuato raccontare che il coronavirus era poco più di un'influenza, che non ci si doveva preoccupare, e chi cercava di attirare l'attenzione sulle pericolosità di quello che invece poteva succedere veniva sbeffeggiato o addirittura insultato come è successo a me. Oggi bisogna recuperare questo terreno perduto". Il governatore della Regione Lombardia si toglie un sassolino (forse anche qualcosa di più) dalla scarpa, tornando alle polemiche scatenate nei giorni scorsi dalle sue dichiarazioni e decisioni. Fontana ha anche commentato la decisione del governo di accogliere le sue richieste per ulteriori restrizioni in Lombardia: "Ha prevalso il buon senso. Il coronavirus si può contrastare solo con misure rigorose. Sono certo - aggiunto il governatore - che non solo i lombardi, ma tutti gli italiani, valuteranno positivamente questo provvedimento. Con la consapevolezza che i sacrifici di oggi sono necessari per ripartire più forti domani". E sulla situazione della sanità lombarda: "Nessuno viene lasciato indietro - dice Fontana -. Abbiamo medici che hanno dei principi etici insuperabili. Questa è una preoccupazione che ci angoscia, che possa succedere una cosa di questo genere in futuro, il fatto che possano non esserci più letti di terapia intensiva sufficienti per i pazienti che li necessitano".
Marco Antonellis per Dagospia il 12 marzo 2020. Conte è passato dal no di due giorni fa alla zona rossa al sì di ieri sera dopo aver visto che il piano della Lombardia, spalleggiata da Salvini e Meloni, di chiudere tutto (quindi anche le fabbriche) non era appoggiato da Confindustria e avrebbe portato in pochi giorni a difficoltà di approvvigionamento nei supermercati ("se chiudo la Barilla e le altri grandi aziende dell'alimentare che succede?"). La questione era spinosa perché, ragionavano a Palazzo Chigi, gli Stati confinanti, tranne la sola Francia, ci hanno chiuso le frontiere (altri invece hanno chiuso collegamenti aerei e navali senza contare il blocco di Trump con l'Europa arrivato nottetempo) per cui è difficilissimo importare merci e l'Italia non è come l'Hubei che intorno a sé ha tutta la Cina che produce: se chiudiamo le fabbriche e le grandi aziende del paese chi produrrà i beni di prima necessità ora che non li possiamo nemmeno più importare dall'estero? Così si è optato per una linea più soft consentendo alle grandi aziende di operare purché in una logica di massima sicurezza sanitaria. A questo punto, considerato che si sarebbe trattato di una chiusura "morbida", Conte ha pensato di giocarsela in prima persona, mettendo nell'ombra Fontana e la destra. Su questa linea era anche il Pd che infatti, nella riunione dell'altra sera della Conferenza Stato Regioni tramite il Lazio di Zingaretti aveva fatto mettere a verbale: "Si a provvedimenti più duri, ma che valgano in tutta Italia. No a macchie di leopardo". Con questa sponda, ieri sera Conte si è potuto presentare nelle case di tutta Italia come l'unico referente e punto di equilibrio di tutta Italia (cosa che in futuro potrà tornargli utile per la corsa al Quirinale, suo vecchio pallino). Ora non resta che aspettare (e pregare, magari con Papa Francesco che ieri ha affidato le sorti dell'Italia alla Madonna del Divino amore) sperando che in una decina di giorni il virus inizi a decrescere.
Coronavirus, l’annuncio di Conte: «Chiusura di bar, negozi e uffici in tutta Italia». Pubblicato mercoledì, 11 marzo 2020 su Corriere.it da Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini. L’Italia è stata blindata. Dopo la richiesta arrivata dalla Lombardia, il governo decide che tutta la penisola sarà “zona rossa” per contenere l’epidemia di coronavirus (qui i dati aggiornati a oggi, 11 marzo: 12.462 casi e 827 morti). Chiudono i negozi, gli uffici. Chiudono tutti gli esercizi pubblici, i bar e i ristoranti. Saranno limitati gli spostamenti delle persone alle esigenze davvero indispensabili come la spesa e i farmaci. Per ore Palazzo Chigi ha lavorato a un decreto ad hoc per la sola Lombardia, che da giorni, spaventata per l’aumento esponenziale dei contagi e dei morti, invocava di «chiudere tutto». Ma poi al vertice del governo hanno prevalso le tesi del ministro Francesco Boccia (che ha spinto per varare norme omogenee, valide per tutto il territorio nazionale) e il pressing di Roberto Speranza. Il responsabile della Salute da giorni insiste sulla linea dura e l’asse con il presidente lombardo Attilio Fontana è stato fondamentale per convincere Giuseppe Conte ad assumersi il peso di una decisione forte e grave. «Speranza è quello meno timido, il ministro di Leu ha capito tutto», ha confidato ai collaboratori il governatore leghista. Il Pd, che contestava «misure a macchia di leopardo», è d’accordo. Il M5S, che aveva spinto per respingere la prima versione della lettera di Fontana a Conte, perché «debole, vaga e incompleta», sostiene la decisione del governo. E Matteo Renzi non può che gioire visto che da giorni, in asse con Matteo Salvini, chiedeva al premier il coraggio di un altro, energico giro di chiave. Nella lettera trasmessa dalla Regione Lombardia al presidente Giuseppe Conte che aveva sollecitato una richiesta dettagliata erano state elencate le attività da chiudere. In particolare. «Tutte le attività commerciali al dettaglio, ad eccezione di quelle relative ai servizi di pubblica utilità, ai servizi pubblici essenziali, alla vendita di beni di prima necessità e alle edicole; tutti i centri commerciali, gli esercizi commerciali presenti al loro interno e dei reparti di vendita di beni non di prima necessità; i mercati sia su strada che al coperto e le medie e grandi strutture di vendita; bar, pub, ristoranti di ogni genere; attività artigianali di servizio (es. parrucchieri, estetisti, ecc..) ad eccezione dei servizi emergenziali e di urgenza; tutti gli alberghi e di ogni altra attività destinata alla ricezione (es. ostelli, agriturismi, ecc..) ad eccezione di quelle individuate come necessarie ai fini dell’espletamento delle attività di servizio pubblico; sospensione di tutti i servizi mensa sia nelle strutture pubbliche che private; chiusura di tutti i servizi terziari e professionali, ad eccezione di quelli legati alla pubblica utilità».
Coronavirus, negozi e locali chiusi in tutta Italia fino al 25 marzo. Garantiti servizi essenziali, alimentari e farmacie. Possibili riduzioni trasporti. Conte: "Torneremo ad abbracciarci". L'annuncio del premier: "Stop anche a parrucchieri, centri estetici, servizi di mensa, ristoranti, bar. Le fabbriche resteranno aperte, ma solo con misure di sicurezza. Aperti anche benzinai, edicole, tabacchi, lavanderie, servizi bancari, assicurativi, postali. L'effetto del nuovo sforzo si vedrà tra 14 giorni". Il nuovo commissario per le terapie intensive è Domenico Arcuri. Tiziana Testa l'11 marzo 2020 su La Repubblica. Stop a tutte le attività non essenziali fino al 25 marzo. L'Italia verso lo stop. Almeno fino al 25 marzo. Il governo annuncia una nuova stretta nel contrasto al coronavirus. Il premier, Giuseppe Conte, parla in diretta Facebook - alle 21.45 - in un discorso a tratti anche drammatico. "Grazie agli italiani che compiono sacrifici. Stiamo dando prova di essere una grande nazione", comincia. Poi elenca le nuove misure, premettendo: "Ho fatto un patto con la mia coscienza, al primo posto c'è la salute degli italiani". Quindi spiega: "Saranno chiusi tutti i negozi tranne quelli per i beni di prima necessità, come farmacie e alimentari".
Coronavirus, quali negozi restano aperti e le attività chiuse. Sono sospese dunque le attività di bar, pub, ristoranti (per tutto il giorno e non solo dopo le 18). Mentre restano garantite le consegne a domicilio. Chiudono parrucchieri, centri estetici, servizi di mensa, mercati di ogni tipo. Saranno invece aperti tabacchi, lavanderie ed edicole. Lavoreranno anche idraulici, meccanici, benzinai e pompe funebri. Le industrie resteranno aperte ma con "misure di sicurezza", cioè purché garantiscano iniziative per evitare il contagio.
Chiusi invece i reparti aziendali "non indispensabili" per la produzione. E le aziende sono invitate a incentivare ferie, congedi retribuiti e smart working. "Garantiti i servizi bancari, assicurativi, postali, e i trasporti", con possibili riduzioni però per quanto riguarda quelli locali - le regioni decideranno caso per caso - i taxi, ma anche treni, aerei e trasporti marittimi. Insomma, misure improntate a un difficile equilibrio, che provano a evitare la serrata totale, per consentire all'economia in qualche modo di restare a galla. Ci saranno infatti accordi locali tra aziende, regioni e sindacati. Il premier annuncia anche la nomina di un commissario per le terapie intensive con "ampi poteri": Domenico Arcuri, l'uomo attualmente alla guida di Invitalia. Dovrà coordinare gli acquisti per le strutture sanitarie e potrà anche darà il via a nuove linee di produzione. "Se i numeri dovessero continuare a crescere, cosa nient'affatto improbabile - dice ancora Conte - non significa che dovremo affrettarci a varare nuove misure. Non dovremo fare una corsa cieca verso il baratro. Dovremo essere lucidi e responsabili". Il discorso si conclude con un messaggio-appello: "Restiamo distanti oggi per abbracciarci domani". Il decreto, firmato in tarda serata dal presidente del consiglio, è accolto da reazioni positive delle opposizioni, a partire da Matteo Salvini ("Il governo ha ascoltato il grido di aiuto di medici, infermieri, lavoratori, imprenditori, sindaci e governatori) e Giorgia Meloni ("Recepite le nostre proposte"). D'accordo anche Antonio Tajani di Forza Italia. Già prima dell'intervento in diretta di Conte aveva parlato il numero due del Pd, Andrea Orlando: "Il Pd sosterrà con determinazione le ulteriori misure". E Matteo Renzi, leader di Italia Viva: "Bene la stretta, ora pensiamo alla liquidità per famiglie e imprese". E Luigi Di Maio, che posta sui social il tricolore: "Noi ce la faremo. L'Italia ce la farà". Restano aperti stampatori ed edicole. Nel momento di massima emergenza l'intera filiera dell'informazione continuerà ad operare quale presidio essenziale di servizio pubblico e di democrazia. Restiamo uniti, collegati ed informati. Ce la faremo. #coronavirus. Il governo ha trovato una sintesi dopo una giornata di riunioni. Una giornata contrassegnata dal pressing di molte regioni, a partire dalla Lombardia e dal governatore Attilio Fontana, all'insegna dell'appello: "Chiudete tutto". Perplessità erano invece arrivate da Confindustria Lombardia. Che però a fine serata commenta: "Le decisioni di Conte meritano rispetto e gratitudine. Grazie per il senso di responsabilità e di equilibrio".
Coronavirus, il testo del dpcm 11 marzo 2020 sulla chiusura delle attività commerciali. La Repubblica l'11 marzo 2020.
Vista la legge 23 agosto 1988, n. 400;
Visto il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante «Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19» e, in particolare, l’articolo 3;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 febbraio 2020, recante “Disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 23 febbraio 2020;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 febbraio 2020, recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 47 del 25 febbraio 2020;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2020, recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 52 del 1° marzo 2020;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 marzo 2020, recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 55 del 4 marzo 2020;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020, recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 59 dell’8 marzo 2020;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 marzo 2020, recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.62 del 9 marzo 2020”;
Considerato che l’Organizzazione mondiale della sanità il 30 gennaio 2020 ha dichiarato l’epidemia da COVID-19 un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale;
Vista la delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, con la quale è stato dichiarato, per sei mesi, lo stato di emergenza sul territorio nazionale relativo al rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili;
Considerati l'evolversi della situazione epidemiologica, il carattere particolarmente diffusivo dell'epidemia e l'incremento dei casi sul territorio nazionale;
Ritenuto necessario adottare, sull’intero territorio nazionale, ulteriori misure in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19;
Considerato, inoltre, che le dimensioni sovranazionali del fenomeno epidemico e l’interessamento di più ambiti sul territorio nazionale rendono necessarie misure volte a garantire uniformità nell’attuazione dei programmi di profilassi elaborati in sede internazionale ed europea;
Su proposta del Ministro della salute, sentiti i Ministri dell'interno, della difesa, dell'economia e delle finanze, nonché i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, dello sviluppo economico, delle politiche agricole alimentari e forestali, dei beni e delle attività culturali e del turismo, del lavoro e delle politiche sociali, per la pubblica amministrazione, e per gli affari regionali e le autonomie, nonché sentito il Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni;
DECRETA:
ART. 1 (Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale)
Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 sono adottate, sull’intero territorio nazionale, le seguenti misure:
Sono sospese le attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità individuate nell’allegato 1, sia nell’ambito degli esercizi commerciali di vicinato, sia nell’ambito della media e grande distribuzione, anche ricompresi nei centri commerciali, purché sia consentito l’accesso alle sole predette attività. Sono chiusi, indipendentemente dalla tipologia di attività svolta, i mercati, salvo le attività dirette alla vendita di soli generi alimentari. Restano aperte le edicole, i tabaccai, le farmacie, le parafarmacie. Deve essere in ogni caso garantita la distanza di sicurezza interpersonale di un metro.
Sono sospese le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie), ad esclusione delle mense e del catering continuativo su base contrattuale, che garantiscono la distanza di sicurezza interpersonale di un metro. Resta consentita la sola ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di trasporto. Restano, altresì, aperti gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande posti nelle aree di servizio e rifornimento carburante situati lungo la rete stradale, autostradale e all’interno delle stazioni ferroviarie, aeroportuali, lacustri e negli ospedali garantendo la distanza di sicurezza interpersonale di un metro.
Sono sospese le attività inerenti i servizi alla persona (fra cui parrucchieri, barbieri, estetisti) diverse da quelle individuate nell’allegato 2.
Restano garantiti, nel rispetto delle norme igienico-sanitarie, i servizi bancari, finanziari, assicurativi nonché l’attività del settore agricolo, zootecnico di trasformazione agro-alimentare comprese le filiere che ne forniscono beni e servizi.
Il Presidente della Regione con ordinanza di cui all’articolo 3, comma 2, del decreto legge 23 febbraio 2020 n. 6, può disporre la programmazione del servizio erogato dalle Aziende del Trasporto pubblico locale, anche non di linea, finalizzata alla riduzione e alla soppressione dei servizi in relazione agli interventi sanitari necessari per contenere l’emergenza coronavirus sulla base delle effettive esigenze e al solo fine di assicurare i servizi minimi essenziali. Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro della salute, può disporre, al fine di contenere l’emergenza sanitaria da coronavirus, la programmazione con riduzione e soppressione dei servizi automobilistici interregionali e di trasporto ferroviario, aereo e marittimo, sulla base delle effettive esigenze e al solo fine di assicurare i servizi minimi essenziali.
Fermo restando quanto disposto dall’articolo 1, comma 1, lettera e), del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 marzo 2020 e fatte salve le attività strettamente funzionali alla gestione dell’emergenza, le pubbliche amministrazioni, assicurano lo svolgimento in via ordinaria delle prestazioni lavorative in forma agile del proprio personale dipendente, anche in deroga agli accordi individuali e agli obblighi informativi di cui agli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81 e individuano le attività indifferibili da rendere in presenza.
In ordine alle attività produttive e alle attività professionali si raccomanda che:
sia attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza;
siano incentivate le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti nonché gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva;
siano sospese le attività dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione;
assumano protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, con adozione di strumenti di protezione individuale;
siano incentivate le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro, anche utilizzando a tal fine forme di ammortizzatori sociali;
per le sole attività produttive si raccomanda altresì che siano limitati al massimo gli spostamenti all’interno dei siti e contingentato l’accesso agli spazi comuni;
in relazione a quanto disposto nell’ambito dei numeri 7 e 8 si favoriscono, limitatamente alle attività produttive, intese tra organizzazioni datoriali e sindacali.
10) Per tutte le attività non sospese si invita al massimo utilizzo delle modalità di lavoro agile.
ART. 2 (Disposizioni finali)
1. Le disposizioni del presente decreto producono effetto dalla data del 12 marzo 2020 e sono efficaci fino al 25 marzo 2020.
2. Dalla data di efficacia delle disposizioni del presente decreto cessano di produrre effetti, ove incompatibili con le disposizioni del presente decreto, le misure di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 marzo 2020.
3. Le disposizioni del presente decreto si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione.
Roma,
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
IL MINISTRO DELLA SALUTE
Allegato 1 COMMERCIO AL DETTAGLIO
Ipermercati
Supermercati
Discount di alimentari
Minimercati ed altri esercizi non specializzati di alimentari vari
Commercio al dettaglio di prodotti surgelati
Commercio al dettaglio in esercizi non specializzati di computer, periferiche, attrezzature per le telecomunicazioni, elettronica di consumo audio e video, elettrodomestici
Commercio al dettaglio di prodotti alimentari, bevande e tabacco in esercizi specializzati (codici ateco: 47.2)
Commercio al dettaglio di carburante per autotrazione in esercizi specializzati
Commercio al dettaglio apparecchiature informatiche e per le telecomunicazioni (ICT) in esercizi specializzati (codice ateco: 47.4)
Commercio al dettaglio di ferramenta, vernici, vetro piano e materiale elettrico e termoidraulico
Commercio al dettaglio di articoli igienico-sanitari
Commercio al dettaglio di articoli per l'illuminazione
Commercio al dettaglio di giornali, riviste e periodici
Farmacie
Commercio al dettaglio in altri esercizi specializzati di medicinali non soggetti a prescrizione medica
Commercio al dettaglio di articoli medicali e ortopedici in esercizi specializzati
Commercio al dettaglio di articoli di profumeria, prodotti per toletta e per l'igiene personale
Commercio al dettaglio di piccoli animali domestici
Commercio al dettaglio di materiale per ottica e fotografia
Commercio al dettaglio di combustibile per uso domestico e per riscaldamento
Commercio al dettaglio di saponi, detersivi, prodotti per la lucidatura e affini
Commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto effettuato via internet
Commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto effettuato per televisione
Commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto per corrispondenza, radio, telefono
Commercio effettuato per mezzo di distributori automatici
Allegato 2
Servizi per la persona
Lavanderia e pulitura di articoli tessili e pelliccia
Attività delle lavanderie industriali
Altre lavanderie, tintorie
Servizi di pompe funebri e attività connesse
Francesco Grignetti per “la Stampa” il 12 marzo 2020. E' il momento dei mille dubbi. L' Italia intera si trova a fare i conti con le misure di contenimento del virus, e tutti s' interrogano su quel che si può e non si può fare. Per regolarsi, c' è ora un decalogo di Palazzo Chigi. E ci sono le slide della polizia di Stato, rilanciate sui social istituzionali. Il messaggio è che la gente deve attenersi alle indicazioni di frenare al massimo le frequentazioni. Il vademecum della polizia è severo. «Dovremmo evitare ogni contatto con gli altri e quindi rimanere tutti a casa», l' esordio. Fatta questa premessa, l' ultimo decreto del presidente del Consiglio prevede delle deroghe. Ma per l' appunto devono essere eccezioni per motivi di lavoro, di salute e di necessità. «Sono deroghe - scrive ancora la polizia - che nascono nell' interesse della comunità, e non dei bisogni dei singoli, con l' eccezione di ciò che riguarda lo stato di salute di ciascuno. È per questo motivo che non ci si può spostare per fare una passeggiata (se lo facessimo tutti, ci si ritroverebbe in massa in strada) o per andare a trovare un amico». È quanto prescrive anche il vademecum del governo. Le uscite vanno limitate al massimo. E si può uscire per acquistare beni diversi da quelli alimentari? «Sì - scrive palazzo Chigi - , ma solo in caso di stretta necessità: acquisto di beni necessari, come ad esempio le lampadine che si sono fulminate in casa». E con i propri cari anziani non autosufficienti? «È una condizione di necessità. Ricordate però che gli anziani sono le persone più vulnerabili e quindi cercate di proteggerle dai contatti il più possibile».
Le forze di polizia sono chiamate a far rispettare i divieti. Come è noto, a infrangerli si rischia una condanna fino a 3 mesi, e se si viola la quarantena il reato diventa molto più grave e si rischia una condanna fino a 3 anni. Al ministero dell' Interno, però, si coglie un gran malumore verso chi, da Palazzo Chigi, ha deciso prescrizioni oggettivamente contraddittorie. Come si concilia, infatti, la chiusura delle scuole e dei luoghi di ritrovo con il permesso di fare jogging? E se era ovvio prevedere la possibilità di uscire di casa per fare la spesa o per recarsi in farmacia, perché restano aperti bar e ristoranti fino alle 18? Ecco, il disorientamento del cittadino è anche il disorientamento delle forze di polizia che dovrebbero far rispettare il decreto. Perciò il vademecum della polizia ha necessitato di una lunga preparazione. Alla fine, leggendolo, si capisce che il ministero dell' Interno spinge per una interpretazione molto rigorosa delle norme. «Si può visitare un genitore anziano, se è solo e malato, non quando ne sentiamo la mancanza. E per i singoli casi che ci interrogano, basta che ciascuno risponda alla domanda: è davvero necessario spostarmi? La risposta la conosciamo noi e non il poliziotto che ci ferma per il controllo».
Quand'è che si si può uscire? «Solo per comprovate esigenze primarie non rinviabili. Fare la spesa per sostentamento (quanto più vicino possibile). Evitare gli acquisti superflui. Situazioni familiari urgenti (congiunti malati). Gestione quotidiana degli animali domestici (esigenze fisiologiche e veterinarie dell' animale). Attività sportiva e motoria all' aperto purché a distanza di almeno 1 metro». In fondo, è quel che il premier Giuseppe Conte diceva in conferenza stampa: agli italiani si chiede una prova di responsabilità più che di ottemperare a un divieto. Se però si deve entrare nel merito, alla domanda «Posso uscire per lavoro?», e già c' è da notare che la deroga è nell' uscire di casa non nel muoversi in macchina, la risposta nel decalogo della polizia è: «Solo per comprovati motivi». Documenti da esibire a un controllo: l'autocertificazione, ma anche una attestazione rilasciata dal datore di lavoro. Segue avvertenza: «Ogni autodichiarazione verrà attentamente verificata». Al ministero dell' Interno sono consapevoli, comunque, che non ci potrà mai essere un agente ad ogni portone per inseguire e reprimere comportamenti irresponsabili. Se gli italiani non fanno la loro parte, sarà tutto inutile. Quindi, alla domanda «Cosa posso fare per aiutare?», segue questa risposta: «Segui e condividi solo le raccomandazioni provenienti da fonti ufficiali. Soprattutto resta a casa. Solo con il senso civico è possibile superare questo momento e proteggere la nostra salute e quella di anziani e persone gravemente malate».
Giuliano Benvegnù per corriere.it il 12 marzo 2020. Come per i supermercati dopo il decreto del 7 marzo, anche dopo questo annuncio di Conte, che prevede la chiusura dei bar, c'è stata la corsa all'ultimo pacchetto di sigarette. A piedi, in auto o col motorino, molte persone si sono messe in fila ai distributori automatici di sigarette. tra loro il mood è per tutti lo stesso: "devo stare a casa, almeno le sigarette" Anche se si è poi sparsa la notizia che i tabaccai rimarranno aperti, gli avventori non hanno cambiato idea: "Tanto ormai sono qui.."
Camilla Mozzetti per “il Messaggero” l'11 marzo 2020. La prima ondata è partita al mattino, tra l'agitazione e la ressa che ha animato l'autostazione Tibus alla Tiburtina, quella da dove partono i pullman per la Campania, l'Abruzzo, il Molise, la Calabria. Per un attimo, a guardare i video che ieri giravano sui social, sembrava replicato il modello Milano quando sabato scorso centinaia di persone hanno invaso le stazioni ferroviarie per lasciare la Lombardia dopo le restrizioni decise dal governo. E quando queste stesse restrizioni sono state allargate a tutta Italia - e dunque anche a Roma - con l'annuncio del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, la Capitale si è fatta trovare impreparata sul fronte dei controlli. Ovviamente non sulla stazione di Termini che rappresenta il primo scalo ferroviario della città. Ma qui era anche abbastanza scontato. Alla stazione Tibus, invece, che serve annualmente milioni di pendolari, le autocertificazioni - le stesse che solo la sera prima erano state imposte come obbligatorie per chi intende muoversi da una città all'altra, da una Regione all'altra lungo l'intero Stivale - non sono pervenute. E questo perché nessuno le ha chieste ai passeggeri che, a loro volta, in un caso su due, non avrebbero avuto nulla da mostrare. È vero pure che per garantire le verifiche bisogna anche dare il tempo per organizzare i controlli e alle persone le informazioni su regole che non possono essere tradite, ma ieri pomeriggio alle 16.52, diverse ore dopo le fughe mattutine e con oltre 14 ore di distanza dall'annuncio del presidente del Consiglio, sempre lo stesso piazzale (da cui pure sono partiti diversi pullman) contava decine di persone che quel foglio di carta non l'avevano compilato e neanche stampato. Rari i cittadini davvero coscienziosi e attenti alle nuove regole, che avevano scaricato dal sito del ministero dell'Interno quell'autocertificazione e che pure l'avevano compilata. Chiedere in biglietteria era inutile: «Lo deve scaricare, stampare e compilare». «Ma lei non ha una copia da potermi dare?» «No». «Scusi ma poi a chi lo devo fare vedere? Chi me lo deve controllare?». Silenzio. Sul piazzale oltre alla vigilanza privata che, come spiegava una dipendente, non è tenuta a svolgere questa mansione non c'era l'ombra di un agente di polizia, carabiniere, vigile urbano. «Devo tornare a Teramo - spiegava Gianni (lo chiameremo così) volto coperto dalla mascherina - e il foglio ce l'ho: eccolo». Già compilato di tutto punto e conservato nel porta documenti insieme alla patente. «Ma nessuno me l'ha chiesto». C'era Romina che doveva tornare in Sicilia, ma alla domanda sull'autocertificazione ha risposto confusa: «Ah sì quella, ma la devo davvero compilare?». Ieri sera il Questore Carmine Esposito dopo una riunione che ha chiamato a raccolta tutte le forze dell'ordine ha firmato l'ordinanza che stabilisce come saranno svolti i controlli e da chi. Il dispositivo effettivamente entra in funzione oggi, anche se ieri sera le pattuglie di carabinieri, polizia, finanza e vigili urbani erano già a lavoro per verificare che i locali chiudessero alle 18 e che nei luoghi della movida ma un po' in tutta la città non ci fossero assembramenti di persone. Le verifiche verranno svolte da quel personale che in maniera diversa e a vario titolo si occupa già del controllo del territorio. Ma da oggi non saranno controllate più capillarmente solo le stazioni ferroviarie e (forse) quelle dei pullman ma anche i locali o le palestre. Non solo. A Roma saranno previsti dei posti di controllo per verificare i motivi che spingono i cittadini a uscire di casa giacché l'invito è quello di restare chiusi ed evitare gli spostamenti. E dunque anche in città - fanno sapere dalla Questura - chi si muove per lavoro o per reali necessità dovrà dimostrarlo se verrà fermato durante un controllo. Che ci si trovi in auto, a piedi o su un bus si dovrà spiegare la ragione: motivi di lavoro, commissioni domestiche (come la spesa), attività sportiva all'aperto, visite a familiari o congiunti malati, necessità legate agli animali domestici. Le conseguenze sono note: i trasgressori possono essere denunciati per violazione del decreto e incorrere nel caso sia positivi al Covid o in quarantena alla reclusione da uno a 12 anni, all'arresto fino a 3 mesi e all'ammenda di 206 euro.
Da ilsole24ore.com l'11 marzo 2020. Fca chiude temporaneamente alcuni impianti italiani nell’ambito delle misure per contrastare la diffusione del coronavirus. Si fermano le fabbriche di Pomigliano oggi, giovedì e venerdì, Melfi e la Sevel giovedì, venerdì e sabato, Cassino giovedì e venerdì. Tutti gli stabilimenti italiani saranno coinvolti in interventi straordinari.
Interventi «straordinari». Da quanto si apprende dal gruppo si tratta «interventi straordinari» che arriveranno anche, in alcuni casi, alla chiusura temporanea di singoli impianti per mettere in atto tutte le misure possibili per minimizzare il rischio di contagio tra i lavoratori. In particolare, saranno ridotte le produzioni giornaliere con un minor addensamento di personale nelle principali aree di lavoro. In ogni stabilimento saranno inoltre fatti interventi specifici di igienizzazione delle aree di lavoro ed in particolare delle aree comuni di relax, degli spogliatoi e dei servizi igienici.
Al via processo di igienizzazione. Le azioni di igienizzazione dei singoli locali proseguiranno anche successivamente a questo primo intervento straordinario. Questi nuovi importanti interventi rafforzano le misure di sicurezza che sono state immediatamente implementate all’esplosione del virus in Italia nelle scorse settimane e che sono state comunicate a tutti i lavoratori italiani con molteplici strumenti di comunicazione interna (Employee Portal, locandine nei siti produttivi, informative dei singoli responsabili delle risorse umane).
Facilitazione del lavoro a distanza. Tra le principali azioni, la facilitazione del lavoro a distanza per gli impiegati e l’applicazione di rigidi controlli e misure di sicurezza nelle mense e agli accessi di tutti i siti del gruppo. Tutte le altre strutture amministrative di Fca continueranno regolarmente le loro attività nel rispetto delle norme e delle disposizioni governative con al tempo stesso il mantenimento delle misure di sicurezza e igiene applicate fin dal primo momento dell’esplosione del virus Covid-19.
Mario Ajello per “il Messaggero” l'11 marzo 2020. Ingressi scaglionati al Carrefour di Garbatella. In fila, all'ingresso, dove non c'è come quasi ovunque lo spazio legislativo di un metro tra una persona e l'altra, ci si diverte tutti insieme - i miei starnuti su di te, le mie risate mischiate alle tue ed è tutto poco asettico - a vedere sui telefonini quello spezzone del film in cui Albertone fa: «Mentre il mondo combatteva, io resistevo in cantina, chiuso, solo, senza luce, senz'acqua, con il vino, solo, il vino». «Ed è uscito - chiede a Sordi la sua spalla - quando è finita la guerra?». «No, quando è finito il vino». Risate nella coda dei romani pronti a entrare nel supermercato e a espugnarlo portandosi via tutto, e anche - qui come altrove - tanto vino. Visto che tocca stare chiusi in casa con la moglie o con il marito, tanto vale affrontare questa strana situazione un po' alticci. E comunque, molti negozi chiusi nel deserto romano, supermercati presi d'assalto di giorno e di notte, Coronavirus vissuto chissà perché come un insensato inizio di carestia - la Protezione Civile assicura: «Il cibo non finirà» - ma c'è un senso di affollata mestizia. Di comune consapevolezza di stare tutti pericolosamente sulla stessa barca. Di paura condivisa e solo in certi casi conflittuale (al megastore del Villaggio Olimpico l'altra notte hanno fatto quasi a botte per qualche pacco di spaghetti) e sarebbe pittoresco da raccontare, ma purtroppo così non è, un clima manzoniano da assalto dei forni (capitolo XII dei Promessi Sposi). «Pane! Pane! Aprite, aprite! Eran le parole più distinte nell'urlío orrendo della folla. E in risposta: giudizio, figliuoli! Voi andate, tornate a casa. Pane ne avrete ma non in questa maniera». La maniera scelta dai romani terrorizzati, ma per lo più composti nello loro spaesamento da virus, è quella di fare incetta di tutto, «la guera è guera» come al tempo del bombardamento su San Lorenzo. E in attesa che il bacillo sterminatore raggiunga il massimo della sua potenza di fuoco, meglio non morire di fame: pasta (perfino le ingiustamente maltrattate penne lisce), fagioli e piselli in scatola, latte a lunga conservazione (non sia mai la quarantena duri un anno o due), caffè, tonno che non invecchia mai e surgelati che durano, ecco i prodotti più comprati. Il rischio, lo dicono tutti, è che stare inchiodati a casa a non fare nulla porta a mangiare sempre. E come minimo lo spettro del Coronavirus (a proposito, ecco al Flaminio la birra Corona e l'avvertenza: «Il virus non c'entra») fa ingrassare. Ma nella paura dell'ignoto ci si aggrappa al frigo pieno. Intanto il servizio a domicilio di Amazon è al collasso per troppe richieste. Esselunga non garantisce sui tempi di consegna perché sono troppe le richieste. Idem gli altri colossi: «Il limite delle tre ore? In tempo di pace si poteva rispettarlo, ma adesso è l'inferno». Chi ironizza però sui romani che saccheggiano gli scaffali un po' si sbaglia. Alla Coop in Prati spiegano, e hanno ragione, che «se fai il pieno adesso, poi non esci di casa due, tre, dieci volte, e così che otre a tutelarti rispetti davvero le regole». Chi spende, e i casi non mancano, specie a Roma Nord, anche 500 euro di spesa in una botta sola è dunque un patriota più di quello che compra poco subito perché tornerà tante volte a comprare ancora anche se il governo gli dice che deve limitare le uscite? La condivisione di una pena, anche alimentare, si compone di scene strane. Due amiche casualmente capitate nella stessa fila d'ingresso al supermercato di via Riboty dietro Piazzale Clodio, si riconoscono nonostante la mascherina e la sciarpa fin sopra al naso e non si parlano se non a gesti e da lontano: per non infettarsi. Talvolta capita addirittura nella ressa da supermercato che persone che si conoscono fanno finta di non conoscersi, per non mettere in comune i loro eventuali bacilli. E questo è un modo, magari scortese, per essere solidali e per difendersi a vicenda. E anche quest'altro lo è: «Nun ce se dà la mano, stammi lontano»: ecco il nuovo saluto in uso a Roma, nei supermercati e ovunque, che unisce un po' di paura perché il momento è tragico e un po' di classica autoironia da quiriti, gente che ne ha viste tante e le ha superate tutte. Ma stavolta è dura. A via Flaminia c'è il mega store discount Fresco. Quasi di fronte c'è la mensa della Caritas. I clienti in fila fuori dal supermercato guardano dall'altra parte della strada i poveri in attesa del rancio e si sfogano: «Se l'emergenza continua, e l'economia continua a crollare, alla mensa della Caritas ci finiamo pure noi». Non improbabile. Anche se tutti speriamo che il virus si arrenda presto. Così si torna tutti al ristorante.
Coronavirus, la «Grande Bellezza» di Roma è rimasta senza ammiratori. Pubblicato giovedì, 12 marzo 2020 su Corriere.it. E’ una grande bellezza senza ammiratori, senza turisti che spalancano la bocca, che scattano selfie, che sporcano con i loro gelati trasbordanti o i pasti frugali tra le mani. Nessun cicalare, nessun rumore, nessun ambulante a venderti rose, nessun rito scaramantico, nessuna monetina nell’acqua. Persino i tanti odiati gladiatori da cinquanta euro a selfie sono spariti e la fontana di Trevi si può ammirare come in una ripresa di Sorrentino ne «La grande bellezza»: assoluta, neutra, intonsa. La piazza dei grandi raduni, quella che non si riesce a vedere vuota nemmeno nelle albe romane in cui trovi sempre qualche ciurmaglia di ragazzini su di giri a menare le loro bottiglie semivuote, è una vasca vuota. Una piazza del Popolo senza popolo, senza annunci, senza programmi da diramare per il futuro. L’unico programma è quello della chiusura dei siti archeologici, di tutta questa “grande bellezza”. L’unico avviso è più un invito stampato su fogli A4: per piacere restate a casa, evitiamo il contagio. Sembra che a parlare siano gli stessi monumenti che esclamano: “Fate in modo che possiamo presto tornare a stupirvi”. E poi c’è quel Colosseo che sembra ancora più mastodontico senza le colonne di turisti attorno a limarne l’altezza. Il sito archeologico italiano più visitato. Di quei 7,5 milioni di presenze registrate l’anno scorso in fila sognando le gesta dei gladiatori se ne vedono solo un paio di coppie. I piccioni beccano in perimetri di sanpietrini che mai avrebbero sognato di calcare. Ai Fori Imperiali passa un calesse e ai pochi altri attorno non pare vero di vederci seduti due turisti. A piazza di Spagna c’è una signora che guarda i gradini deserti, consulta la sua guida e poi ritorna a osservarla incerta. Come dire “Ma sono nel posto giusto? Dove sono le persone appollaiate su queste scale, dove sono tutti quegli imitatori di Audrey Hepburn e Gregory Peck in Vacanze romane? In realtà quelli erano spariti già prima del coronavirus grazie a un’ordinanza della sindaca Virginia Raggi che impedisce a chiunque di consumare la celebre gradinata. E sono sparite anche le buche per le strade; nessun inciampo, nessun incidente, nessuna immondizia maciullata da gabbiani, nessuna lamentela.
Lettera di Carla Vistarini a Dagospia l'11 marzo 2020. Caro Dago, stamattina ho fatto una passeggiata (finché si può...) qui intorno dalle mie parti. Ho provato ad affacciarmi a quattro farmacie per vedere (mi veniva da ridere ma ci ho provato) se avevano delle mascherine, e si sono messi a ridere loro, i farmacisti. Zero mascherine. Bene, avevo portato una sciarpa e me la sono messa davanti a bocca e naso, un po' alla John Wayne nei film di cowboy. Piccolo escamotage, a qualcosa servirà. Pochissima gente in giro, e tutti che, nell'incrociarsi, sgusciano via come se si sentissero colpevoli di qualcosa. E' giusto sgusciare via, per paura del contagio, ma, se stiamo a due metri di distanza, almeno uno sguardo, non dico un sorriso, ma uno sguardo normale sarebbe bello scambiarselo. Niente, tutti a testa bassa. Poi ho visto qualcuno, quattro o cinque persone non di più, in fila fuori del piccolo supermarket del quartiere. Le porte erano chiuse e facevano entrare una persona solo quando un'altra usciva. Ho gettato un'occhiata all'interno: era vuoto, o quasi. E allora perché alimentare il panico imponendo una fila inutile a quattro gatti? Poco più in là altri quattro gatti fuori della banca e dentro il vuoto cosmico. Non si capisce proprio il senso di certe scelte. Proseguo la mia camminata nel deserto dei tartari e, poco più, in là vedo un solerte ausiliario del traffico, ben protetto da una mascherina, che faceva le multe alle macchine parcheggiate. Ora io mi domando: non c'è un'anima in giro, non c'è traffico, le auto sono parcheggiate bene, non disturbano nessuno, forse non avranno rinnovato il ticket, magari l'hanno dimenticato, chiusi in casa come tutti. Perché accanirsi? Allora mi avvicino al tizio e gli chiedo "Ma in questo deserto e questa situazione non sarebbe meglio soprassedere?". E lui, abbastanza furioso: "M'hanno fatto uscì de casa, e io jè faccio le multe". Capito? Il fatto è che questa situazione surreale, questo virus, ci sta svelando cose di noi stessi, che noi nati e vissuti senza aver mai visto (per fortuna) guerre, né carestie, né altri drammi collettivi del genere, mai avremmo potuto immaginare, se non nei libri di fantascienza o di psicanalisi. E spaventa un po' rendersi conto che immediatamente quasi tutti perdono di vista quelle regole interiori basate su logica, umanità e buon senso, che ci hanno consentito fino a oggi, molto più delle semplici leggi, di vivere in una parvenza di civiltà e democrazia. Sono cose piccole, per fortuna, ancora, e spero restino tali senza degenerare in atmosfere da day after, ma sono campanelli d'allarme. Pian pianino me ne sono tornata verso casa, con la mia sciarpa alla John Wayne, che ho abbassato dal viso per sorridere a quei pochi che incontravo e dal cui sguardo smarrito di risposta ho capito che pensavano "aiuto, i marziani". Un paio però hanno risposto al sorriso. Meno male. Noi, marziani a Roma.
Nicola Porro contro il governo: "Coronavirus, qualcuno ha seriamente pensato a quanto possiamo resistere in casa?" Libero Quotidiano l'11 marzo 2020. Lo sfogo di un recluso per coronavirus, ovvero Nicola Porro, l'animatore della Zuppa di Porro e firma de Il Giornale. Tappato in casa per coronavirus, ora dopo ora, continua il suo cannoneggiamento contro il governo, contro Giuseppe Conte e la sua farraginosa gestione dell'emergenza. Ora, nel mirino di Porro ci finisce però anche la Lombardia, la richiesta di Attilio Fontana di serrata totale. E anche in questo caso, su Twitter, la firma non usa mezzi termini: "Chiudere tutto? Ok, ma mi chiedo ci diamo dei tempi?", premette polemico. Dunque riprende: "Facciamo stabilire al prossimo comunicato di Casalino&WInston. Qualcuno seriamente ha fatto dei calcoli su quanti giorni possiamo resistere chiusi?". E Porro si dà anche una risposta: "Naa". Un altro punto, decisivo, a cui il governo sembra non aver pensato. Chiudiamo tutto? Ok, ma mi chiedo ci diamo dei tempi? Facciamo stabilire al prossimo comunicato di casilino&Winston. Qualcuno seriamente ha fatto dei calcoli su quanti giorni possiamo resistere chiusi? Naaaa
· Conta più la salute pubblica o l’economia?
Conta più la salute pubblica o l’economia?
Dagospia il 12 marzo 2020. Riceviamo e pubblichiamo: Ciao Dago, si parla di tutte, ma proprio di tutte le categorie lavorative. Eppure c'è un esercito silenzioso di migliaia e migliaia di lavoratori negli studi notarili che continuano ad avere contatti quotidiani con le persone, senza in molti casi quelle garanzie richieste dai vari decreti. Non ne parla nessuno, proprio nessuno. Eppure secondo me in questi giorni credo che fare una compravendita/un mutuo in più o meno sia davvero marginale. Non salviamo vite umane accidenti, concordi? Da un lato è vero, il Notaio in quanto pubblico ufficiale deve continuare a svolgere la sua attività. Non lo si può fare a porte chiuse?? Io non metto in ballo la mia salute e quella dei miei cari per fare un atto notarile in più o meno. Il Notaio rappresenta lo Stato e lo Stato è stato chiaro, no? Non mi sembra, ci sono (stima mia personale) almeno 20000 / 30000 persone che tutti i giorni si recano a lavoro a cui devi sommare il numero di persone che incontrano durante il giorno. Scusa per lo sfogo, ma c'è paura. Reale. Non solo del virus, ma anche del Signor Notaio, che rappresenta lo Stato col culo di queste persone. Chiudete gli studi notarili al pubblico. Grazie infinite, anche solo per aver letto il mio sfogo.
Dagospia il 12 marzo 2020. Riceviamo e pubblichiamo: Al lettore che ha scritto a proposito di studi notarili aperti, vorrei semplicemente far presente (è normale che non lo sappia) che l’articolo 142 lettera c) della legge notarile (16 febbraio 1913 n. 89) punisce con la destituzione il notaio che abbandona la sede notarile in caso di malattie epidemiche o contagiose. Anche i notai sono preoccupati per la propria salute, per quella dei propri dipendenti e per quella dei cittadini che necessitano della loro pubblica funzione, ma sono pubblici ufficiali e ciascuno di essi ha giurato "di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e tutte le leggi dello Stato e di adempiere da uomo di onore e di coscienza le funzioni che gli sono affidate". Cordiali saluti Notaio Fabio Diaferia.
La protesta dei rider: «Noi senza mascherine, la nostra salute vale più di una pizza». Pubblicato giovedì, 12 marzo 2020 su Corriere.it da Alessandro Trocino. La prima settimana, dicono, vi divertirete a cucinare, a sperimentare nuovi piatti, infornare focacce, impastare tagliatelle. Poi la voglia passerà e rimarrà come unica alternativa alla pasta in bianco e alla scatoletta, il servizio di consegna di cibi pronti o quasi pronti. Chiusa ogni forma di ristorazione, le grandi piattaforme del settore potenziano motori e app per reggere la domanda e molti ristoranti si convertono nel servizio di delivery. Ma è sicuro il delivery? Quali norme di sicurezza rispettano imprese e rider che consegnano il cibo? Che ci sia un problema serio, lo dimostra la protesta degli stessi rider, con alcuni collettivi che invitano allo sciopero. Il problema della sicurezza è tanto sentito che il governatore della Campania Vincenzo De Luca ha vietato le consegne dopo le 18, con un’ordinanza. Il Comune di Bologna ha annunciato controlli per i fattorini. E la segretaria nazionale del Pd invita il governo a «valutare misure per la sicurezza dei lavoratori». Ma il problema lo pongono gli stessi rider, che nei giorni scorsi avevano denunciato i primi casi di contagio, spiegando di sentirsi trattati come «untori» e chiedendo un reddito garantito per stare a casa, come tutti. Quattro collettivi sindacali — Riders Union Bologna e Roma, Riders per Napoli e Deliverance Milano — denunciano i rischi a cui vanno incontro. E annunciano: «Noi ci fermiamo. Invitiamo le/i riders ad astenersi dal servizio fino a tutta la durata delle ordinanze restrittive». Secondo questi collettivi, «le indicazioni di sicurezza fornite dal governo nel nuovo decreto sull’emergenza Coronavirus non sono possibili da rispettare per le app del food delivery. La nostra salute vale più di una pizza, di un sushi, di un panino». E ancora: «Se distribuire cibo a casa diviene indispensabile, ci devono pensare lo Stato, la Protezione civile e gli organi preposti». Perché la protesta? Perché le aziende, spiegano, non sono in grado di fornire il materiale necessario: oltre alla normale dotazione — giacca catarifrangente ed impermeabile, luci, gomitiere, ginocchiere e casco — le imprese dovrebbero fornire la mascherina certificata, i guanti usa e getta e il gel disinfettante. I riders di Napoli denunciano: «Glovo e Deliveroo hanno mandato mail raccomandando ai fattorini di indossare guanti e mascherini. Ma non ce le impongono, altrimenti dovrebbero fornircele e non l’hanno fatto finora». Mentre a Bologna i riders chiedono al governo al Cassa integrazione. In Cina, come mostra un video, i rider venivano controllati quasi militarmente: prima di ogni consegna dovevano farsi controllare la temperatura, segnata poi sullo scontrino, e farsi spruzzare l’antibatterico addosso e sullo zaino. Mascherina e guanti obbligatori. E in Italia? Situazione decisamente diversa. È vero che tutti rispettano rigorosamente le norme igienico-sanitarie haccp (Hazard analysis and critical control points, ovvero un insieme di procedure che ha l’obiettivo di preservare la salubrità degli alimenti), ma per il resto si va un po’ in ordine sparso e non c’è un obbligo di mascherine e guanti. Simone Ridolfi, Ceo di Deliveroo, servizio di consegna romano, assicura il rispetto delle norme di sicurezza: «L’unico problema che abbiamo è con le mascherine. Non si trovano per tutti. L’altro giorno sono dovuto andare fino a Frosinone a fare rifornimento». Uno della questioni principali è il contatto diretto tra rider e cliente. Il pagamento in contanti è un possibile veicolo di infezioni: «Stiamo pensando di eliminarlo — spiega Ridolfi —, ma a Roma, in particolare per gli anziani, è il metodo di pagamento preferito». Pagando via app, magari facendosi aiutare, si minimizzano i rischi. A Wuhan il 95.5% delle consegne è avvenuto senza interazione umana. La catena Domino’s Pizza ha attivato il servizio Contactless: il rider lascia le pizze davanti alla porta, o dove stabilito. Lo stesso fa Just Eat. Il decalogo di AssoDelivery AssoDelivery (Deliveroo, Glovo, Just Eat, Uber Eats e Social Food) ha messo a punto insieme alla Fipe (Federazione pubblici esercizi) un decalogo con alcune linee guida. Tutti devono seguire scrupolosamente le raccomandazioni del ministero della Salute. «I ristoratori mettono a disposizione del proprio personale prodotti igienizzanti, assicurandosi del loro utilizzo tutte le volte che ne occorra la necessità e raccomandano di mantenere la distanza interpersonale di almeno un metro nello svolgimento di tutte le attività. I ristoratori definiscono delle aree destinate al ritiro del cibo preparato per le quali osservano procedure di pulizia e igienizzazione straordinarie. Queste aree devono essere separate dai locali destinati alla preparazione del cibo. Il ritiro del cibo preparato e la relativa consegna avviene assicurando la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro e l’assenza di contatto diretto. Il cibo preparato viene chiuso in appositi contenitori (o sacchetti) tramite adesivi chiudi-sacchetto, graffette o altro, per assicurarne la massima protezione. Il cibo preparato viene riposto immediatamente negli zaini termici o nei contenitori per il trasporto che devono essere mantenuti puliti con prodotti igienizzanti, per assicurare il mantenimento dei requisiti di sicurezza alimentare. La consegna del cibo preparato avviene assicurando la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro e l’assenza di contatto diretto. Chiunque presenti sintomi simili all’influenza resti a casa, sospenda l’attività lavorativa, non si rechi al pronto soccorso, ma contatti il medico di medicina generale o le autorità sanitarie». Come si vede, nessun obbligo di mascherina e guanti, considerati evidentemente non necessari, viste le altre cautele. Se nei primi giorni, la paura ha fatto diminuire di molto la richiesta, dopo il decreto di chiusura totale dei ristoranti, c’è stato un forte aumento della richiesta di consegne. Amazon Prime Now, il servizio di consegna della spesa, è rimasto bloccato a lungo a Milano e Torino e attualmente a Roma segnala «disponibilità limitata, a causa dell’elevata richiesta; le fasce di consegna potrebbero essere limitate». Stessa situazione per le grandi catene di supermercati — da Esselunga a Pam — che però riescono a tenere testa alle domanda. Molti dei food delivery più noti — da Just Eat a Deliveroo — hanno arricchito l’offerta in queste ultime ore delle proposte di ristoranti che, impossibilitati ad aprire, si sono inventati un modo per sopravvivere, preparando piatti da consegnare per asporto (anche se il costo di intermediazione, intorno al 30 per cento, non consente grandi guadagni).
Emergenza coronavirus, la rabbia nelle fabbriche aperte. Scioperi spontanei: "Non siamo carne da macello". Si moltiplicano le segnalazioni di sindacati e lavoratori arrabbiati per la scelta di mantenere le linee aperte e per gli atteggiamenti delle aziende. I metalmeccanici chiedono lo stop per sanificare fino al 22 marzo: "Pronti allo sciopero". Conte convoca una videoconferenza. La Repubblica il 12 Marzo 2020. La decisione di chiudere l'Italia dei negozi e degli esercizi commerciali, ma lasciare aperte le fabbriche e le attività produttive sta generando forti ripercussioni negli stabilimenti italiani. Scioperi spontanei sono segnalati da Brescia a Mantova, i sindacati sono in allarme perché vengano garantiti i livelli di sicurezza dal punto di vista sanitario. Nel pomeriggio le sigle dei metalmeccanici escono allo scoperto unitarie: Fim, Fiom, Uilm ritengono necessaria una momentanea fermata di tutte le imprese metalmeccaniche, "a prescindere dal contratto utilizzato, fino a domenica 22 marzo, al fine di sanificare, mettere in sicurezza e riorganizzare tutti i luoghi di lavoro". Sottolineando che "i lavoratori sono giustamente spaventati", i sindacati avvertono che sono "pronti allo sciopero se necessario". L'escalation di episodi e preoccupazioni - di cui si è fatto portavoce anche Andrea Orlando per il Pd - porta il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, a convocare per domani mattina alle 11 una videoconferenza da Palazzo Chigi con le associazioni industriali e i sindacati e alla presenza dei ministri del Lavoro, Nunzia Catalfo, dell'Economia, Roberto Gualtieri, e della Salute, Roberto Speranza. Oggetto della discussione, riportano fonti di Palazzo Chigi, sarà "l'attuazione delle previsioni contenute nell'ultimo Dpcm riguardanti i protocolli di sicurezza nelle fabbriche a tutela della salute dei lavoratori".
La Fiom: "Decreto inaccettabile, tutelare i lavoratori". La Fiom aveva già reagito in mattinata reagito al nuovo decreto sull'emergenza coronavirus con una dura nota che spazia dal bisogno di proteggere il lavoro degli operai a quello di tutelare la loro salute. La segretaria generale Francesca Re David definisce "inaccettabile la mancanza nel nuovo Dpcm di misure e iniziative volte alla protezione dei lavoratori che stanno garantendo la tenuta economica del Paese in una condizione di grave emergenza" e chiede "al governo la convocazione urgente di un confronto per affrontare la situazione di emergenza dei lavoratori metalmeccanici". La Fiom chiede di "mobilitarsi da subito per iniziative tese a verificare che ai lavoratori siano garantite dalle imprese le condizioni di salute e sicurezza anche attraverso fermate per una riduzione programmata delle produzioni". E ribadisce quindi "la necessità dei provvedimenti urgenti governativi sugli ammortizzatori sociali".
Si moltiplicano proteste e scioperi per la sicurezza. Da ogni parte del Paese, intanto, arrivano segnalazioni di lavoratori che lamentano scarsa attenzione da parte dei datori e che di conseguenza incrociano le braccia. Alla Ast di Terni sono state indette otto ore di sciopero, a partire dalle 6 di domani, per ogni turno di lavoro per i diretti e per l'indotto, fino al terzo turno del 13 marzo compreso: la mossa delle Rsu e delle segreterie territoriali di Fim, Fiom, Uilm, Fismic, Ugl e Usb, in segno di protesta per la mancata adozione da parte dell'azienda di misure ritenute "idonee" per il contenimento del coronavirus. Alla Fincantieri di Marghera i sindacati confermano la protesta dettata dall'emergenza sicurezza. "Impossibile rispettare le regole - dicono all'Ansa tre carpentieri in sub appalto -, non si può fare questo lavoro stando a distanza di un metro l'uno dall'altro sarebbe meglio chiudere tutto. Questo virus è un casino e non ci sentiamo protetti".
"Non siamo carne da macello". Anche nel bresciano si segnala una mattinata di scioperi spontanei in alcune fabbriche che non hanno chiuso la produzione, con gli operai che chiedono maggiori: "Non siamo carne da macello" é stato detto dagli operai di alcune aziende della provincia che chiedono la sospensione dell'attività per 15 giorni. "Stiamo discutendo con le aziende per capire come affrontare questa situazione. Registriamo scioperi in quattro o cinque realtà" ha detto il segretario della Cgil di Brescia Francesco Bertoli. "Ci sono aziende anche grandi che si sono fermate, mentre altre che per motivi di commesse legate a penali, sono in difficoltà e non possono sospendere la produzione. Il nostro obiettivo - aggiunge il segretario della Cgil di Brescia - è quello di riuscire ad ottenere quantomeno delle riduzioni di orario per garantire la sicurezza agli operai". Un altro caso è quello dei lavoratori della Corneliani di Mantova, fabbrica dello storico marchio di moda da uomo, decidono di scioperare "per tutelare la loro salute". Si tratta di 450 operai che hanno incrociato le braccia stamattina in modo spontaneo "per chiedere che non ci siano cittadini di serie A e di serie B: la salute è una ed è di tutti". L'Usb (Unione sindacale di base) proclama un pacchetto di 32 ore di sciopero dei settori industriali non essenziali, chiedendo "misure drastiche ed esigibili dai lavoratori, che salvaguardino la salute e il salario". Un richiamo arriva anche da Tarnato, dove la Fim Cisl denuncia il comportamento di Leonardo a Grottaglie denuncia la mancata adozione di tutele per i lavoratori. La compagnia ribatte che è in piedi una "serie di misure" per contenere il rischio di contagio.
Vittorio Feltri: "Sindacati pericolosi come il Coronavirus, vogliono farci morire". Vittorio Feltri su Libero Quotidiano il 14 marzo 2020. Ammetto di non avere mai avuto simpatia per i sindacati quindi, nell' articolo che sto scrivendo, sarò forse condizionato dal pregiudizio. Molti anni orsono quando essi ogni due per tre proclamavano uno sciopero, impedivano ai lavoratori di entrare in fabbrica istituendo dei picchetti davanti ai cancelli. Da lì non si passava, chi tentava di farlo veniva coperto di botte, cosicché la maggioranza degli operai rincasava, ovviamente senza la paga. Oggi le cose sono cambiate e non c' è più nessuno che percuota i cosiddetti crumiri. Però l' insensatezza sindacale permane. Ieri alcuni tribuni del popolazzo se ne sono usciti con questa brillante idea: se bisogna che gli italiani se ne stiano riparati in casa per ridurre al minimo i rischi di contagio, è necessario chiudano anche gli opifici che sfornano prodotti di vitale importanza. Se l' assurda proposta venisse accolta dal governo, va da sé che non solo si paralizzerebbe completamente il Paese, ma il popolo che non è morto a causa del virus morirebbe di inedia. Mi spiego con un esempio basico. Cremonini è il più grande allevatore di bestiame che, una volta macellato, serve ad alimentare milioni di persone. Se il suo personale, numerosissimo, cessasse di sgobbare, sparirebbe dal mercato la carne. Che io non mangio perché non mi va, ma di cui la maggioranza dei miei compatrioti ritiene di non potere fare a meno. Lo stesso discorso sussiste per mille altri generi di consumo. Se smetti di approntarli, automaticamente non li trovi al supermercato e forzosamente non sei in grado di acquistarli. È pacifico, non tutti gli articoli in vendita sono indispensabili, tuttavia parecchi di essi sì. Se le fabbriche e le officine, le ditte grandi o piccole, non li immettono più nel circuito commerciale, la gente non campa più. Chi non crepa di Corona muore di fame, che non è una gioiosa alternativa alla polmonite letale. Immagino che questi sintetici ragionamenti siano chiari a qualsiasi persona, tranne ai sindacalisti che insistono: fermiamoci tutti così scamperemo in blocco alla infezione senza distinzioni di appartenenza sociale. Essi non tengono conto che i cittadini non si nutrono di aria bensì hanno l' urgenza di soddisfare alcune esigenze, tipo pranzare, bere, usufruire della luce elettrica e roba simile. Se impedisci loro di appagarle poiché preferisci che ogni singolo individuo stia sul divano a grattarsi il ventre, in ossequio alle disposizioni velleitarie della cosiddetta triplice, non solo si ferma il mondo ma l' umanità va all'altro mondo.
Se si fermano fabbriche e imprese affonda l’Italia. Giuliano Cazzola de Il Riformista il 13 Marzo 2020. Nell’antica cultura contadina c’era una regola che si tramandava da una generazione all’altra: in caso di catastrofe, prima del raccolto, si devono mettere in salvo le sementi, perché sono loro a garantire che ci sarà un futuro e che la vita potrà rinascere. Con questa consapevolezza Alcide Cervi riuscì a sopravvivere e a custodire la memoria dei sette figli fucilati dai nazi-fascisti. Anche noi, in quest’ora gravissima, abbiamo il dovere di salvare le nostre sementi: le strutture produttive, le fabbriche, le aziende. Non c’è un prima e un dopo; in questi frangenti non vale il principio, un po’ opportunista, del primum vivere deinde philosophari. La pandemia virale deve evitare, nella misura del possibile, l’esplodere di una pandemia economica. Ecco perché considero giusta la linea fino a ora seguita dal governo: procedere lungo un’escalation di misure di prevenzione che non paralizzino l’intero Paese. Non è dimostrata né sostenibile (pertanto è vana) la speranza che un intervento di chiusura totale di ogni attività possa affrettare la conclusione dell’emergenza. È in coerenza con una linea di gradualità che il governo non ha accolto le richieste – provenienti dalle Regioni più in difficoltà – di decretare anche la chiusura delle imprese. Certo, la sfida è difficile, perché le misure da adottare nei reparti per la sicurezza dei lavoratori non hanno precedenti a cui risalire, almeno di tale estensione e diffusione del contagio. Ma se e quando finirà questa pandemia, non possiamo trovarci in un deserto. La ripresa ci sarà soltanto se – restando nella metafora – saremo riusciti a “salvare le sementi”. I nostri nonni e i nostri padri difesero le fabbriche con le armi, quando i nazisti volevano smontarle e trasferirle in Germania. Durante la battaglia di Inghilterra, le fabbriche continuarono a lavorare sotto le bombe. Poi, parliamoci chiaro: è possibile un blocco totale? Se la popolazione deve continuare a nutrirsi va salvaguardata la filiera agro-alimentare: dal campo, all’industria di trasformazione, ai mercati generali, fino ai punti vendita. I prodotti non viaggiano sui droni. Anche il sistema dei trasporti deve funzionare. Lo stesso dicasi per le forniture di energia (luce, gas, benzina, ecc.) e per gli uffici pubblici. Le ultime misure del governo hanno giustamente tenuto conto di queste esigenze, ivi comprese quelle del credito e dei mercati assicurativi e finanziari. Il governo ha allargato i cordoni della borsa, salendo nel giro di una settimana da uno stanziamento di 3,6 miliardi a 25 miliardi, senza tener conto (con il consenso della Ue) delle regole di bilancio e del livello del deficit. L’impiego di queste risorse dovrà rafforzare la trincea avanzata della sanità, tutelare i lavoratori attraverso nuovi e più estesi ammortizzatori sociali, consentire una pausa negli adempimenti fiscali da parte delle imprese e dei cittadini e quant’altro. Tutto bene. Attenzione, però: non possiamo permetterci di cercare la salvezza stando tutti seduti sul divano. Non si deve disarmare né per due settimane né mai. Sarebbe come bruciarsi i vascelli alle spalle. Quello, pur fondamentale, alla salute non può trasformarsi in un “diritto tiranno”, in nome del quale tutti gli altri diritti sociali e di libertà possono essere sacrificati. Non lo pensa e non lo dice solo chi scrive; si tratta di un principio solenne recentemente ribadito dalla Presidente della Consulta Marta Cartabia. La Corte ha affermato che «il diritto assoluto diventa un tiranno» e che pertanto occorre «tenere unito ciò che apparentemente non poteva trovare un contemperamento, la tutela della salute, dell’ambiente, ma anche il diritto al lavoro e i diritti economici dell’impresa. Istanze tutte buone ma che, se affermate in modo assoluto, rompono il tessuto sociale, e la necessità di bilanciare». In sostanza, le risorse non devono servire all’istituzione di un nuovo RdC (dove la lettera C sta per contagio), non possiamo rassegnarci a rilasciare ai cittadini una tessera annonaria da utilizzare, se e quando i rifornimenti di generi alimentari cominceranno a scarseggiare (magari anche a causa di approvvigionamenti eccessivi da parte di taluni consumatori), tanto da consentire un florido mercato nero delle banane al pari di quello delle mascherine. Il nostro Paese ha compiuto un percorso che può essere utile ad altri; soprattutto perché – a differenza della Cina – ci siamo mossi con trasparenza anche a costo di essere considerati gli untori del “virus venuto dal freddo”.
Guai, però, a essere faciloni, a pensare che ci siano delle scorciatoie per uscire dal labirinto. L’apparato produttivo del Paese non può cavarsela grazie a una liquidità usata come assistenza, come reddito di sopravvivenza. Deve continuare a “far girare” le macchine negli opifici. Ricordiamoci: prima di tutto le sementi.
Conta più la salute pubblica o l’economia? Deborah Bergamini de Il Riformista il 13 Marzo 2020. Sta emergendo una differenza sostanziale nella gestione del contagio fra noi e gli altri grandi paesi europei in questa fase critica di diffusione del Coronavirus. È macroscopica, la scopriamo giorno dopo giorno. E si spiega partendo da una semplice domanda: perché in Italia i numeri dei contagiati sono così più alti rispetto a Germania o Francia o Gran Bretagna? La storia del nostro Paese untore non regge più. Ha retto per alcuni giorni, sufficienti a provocare per noi un danno economico e di immagine incalcolabile. Ma la Storia corre a passi veloci e ora dobbiamo guardare in faccia una nuova realtà. Gli altri paesi ci hanno osservato con attenzione in queste settimane e sono stati portati a muoversi in modo diverso. Noi abbiamo nostro malgrado prodotto una case history mondiale che gli altri hanno studiato e scelto per ora di non riprodurre. Che cosa abbiamo fatto? Abbiamo affrontato subito apertamente l’arrivo del virus, abbiamo comunicato momento per momento, in modo anche estremamente caotico e controproducente, l’evolversi delle cose, ci siamo affidati al nostro ben radicato rapporto con la sanità pubblica, col nostro corpo medico e infermieristico, che nonostante i tagli draconiani a cui sono stati sottoposti in questi anni rimane uno dei migliori al mondo. Ci siamo appoggiati alla consuetudine fiduciaria e diretta che abbiamo con le strutture sanitarie pubbliche. Abbiamo voluto proteggerci e curarci denunciando e rendendo pubblica da subito tutta l’entità dell’emergenza. Abbiamo voluto, cioè, entrare totalmente nel problema. Non abbiamo pensato subito agli effetti della diffusione del virus per la nostra economia. Il nostro primo riflesso è stato quello della cura e dell’assistenza alla persona. La nostra scelta ha avuto, lo sappiamo, un costo economico altissimo, che tutti adesso siamo chiamati a condividere. E chi ci osserva fuori dai nostri confini ha preso buona nota. Gli altri Paesi si stanno dimostrando inspiegabilmente più lenti di noi nell’applicazione di misure atte a registrare e arginare l’evoluzione del contagio, eppure l’esempio dell’Italia mostra chiaramente che non c’è tempo da perdere. Quanto intensamente nelle altre nazioni europee ci si dedica a monitorare in modo capillare l’entità del contagio e a prendere con rapidità le necessarie drastiche azioni di contenimento? I numeri resi pubblici e le cose fatte fin qui ci dicono che la risposta è: troppo poco. Anche perché quelle azioni, una volta intraprese, hanno un costo epocale, e i governi lo sanno. È come se si avesse onta a trattare il fenomeno nella sua gravità per timore delle inevitabili ripercussioni sociali ed economiche. È come, cioè, se in tempi di globalizzazione la salute dell’economia finisse per essere considerata prioritaria rispetto a quella della popolazione. È un criterio diverso rispetto a quello applicato in Italia, ma sembra affacciarsi in tutta la sua chiarezza. Anche in questo caso, è impossibile calcolarne le conseguenze. In termini di gestione della cosa pubblica viene prima la salute dei cittadini o l’economia? Attorno a questa domanda si agitano in questi giorni i dubbi e le incertezze delle cancellerie, con perimetri di sensibilità diversi che provengono dalle caratteristiche specifiche di ciascuna nazione e dalla personalità dei loro leader di governo. Ecco, le caratteristiche di ciascuna nazione vengono fuori prima di tutto, preso atto che l’Europa come entità politica non esiste e non esisterà ancora per lungo tempo. Quali caratteristiche sta mostrando il nostro popolo in questo drammatico frangente? Quelle di sempre: solidarietà, flessibilità – che sconfina spesso nel disordine – e una voglia incontenibile di vincere anche la guerra più difficile guardando dritto negli occhi il nemico. Motivo per cui questa guerra la vinceremo.
· Milano Economia: Gli sciacalli ed i caporali.
Francesco Floris per affaritaliani.it il 13 marzo 2020. “Oggi ho ricevuto lo stipendio di febbraio: 535 euro. Mancano 415 di fuori busta”. Il suo commento? “Ora mi tocca fare la parte dello stronzo che in tempo di crisi va a chiedergli i soldi”. A parlare è il cameriere di un ristorante stellato di Milano, menù degustazione a partire da 100 euro a testa, vino escluso. Un'attività in affitto in zona Corso Como, contratto di locazione da quattro anni, ha abbassato le serrande lunedì. Da giorni il titolare non risponde alle chiamate dei dipendenti. Solo un messaggio WhatsApp: “Aspettate la cassa integrazione”. Una di loro ha fatto un salto al Caf per sicurezza, prima che i centri di assistenza fiscale a loro volta sospendessero le attività di ufficio. Ha scoperto di non avere i contributi versati. Non solo quelli dell'ultimo trimestre. Da molto più tempo. In attesa di ulteriori decreti del Governo “L'azienda che sa di non aver versato i contributi non fa nemmeno la domanda di cassa integrazione, perché sa che gli verrà respinta”, spiega l'avvocato Lorenzo Venini, esperto giuslavorista dello Studio Diritti e Lavoro di Milano. Sulla carta esiste la possibilità di regolarizzare le posizioni entro il mese successivo per le aziende che dispongono di liquidità in cassa. Come del resto il lavoratore in questa situazione ha diritto non solo al sostegno temporaneo ma ad essere indennizzato con l'intero stipendio da parte del datore. Nei fatti non è ciò che accade e si finisce a fare cause di lavoro contro qualcuno che magari non esiste più. Lo hanno detto in molti. Vale la pena ripeterlo. Il Covid-19 ha solo mostrato che il re è nudo. Il virus mette in evidenza le debolezze strutturali del mercato del lavoro meneghino, per troppo tempo incensato con gli aggettivi che da cinque anni dominano il discorso pubblico sulla città: “agile”, “smart”, “dinamica”. I lavoratori dei grandi gruppi del centro attendono fiduciosi la comunicazione dell'azienda. Quattro righe che però significano continuità retributiva: “Oggetto: sospensione del rapporto per richiesta assegno ordinario di integrazione salariale”. È l'intervento del fondo F.I.S. dell'Inps. Per tutti fino al 3 aprile ma molti hanno già messo in conto fino al 3 maggio. Per ora si sta a casa in ferie o con permessi e rol non goduti. In busta paga tornano a comparire antiche voci del diritto del lavoro italiano, come le “ex festività soppresse”: sono giorni di festa non più riconosciuti dall'ordinamento che danno diritto ad ore di permesso retribuite. Nel 2020 San Giuseppe, l'Ascensione, San Pietro e Paolo e la Festa dell'Unità Nazionale. Lunedì ha chiuso i battenti il Gruppo Calzedonia: Intimissimi, Tezenis, Falconieri, Atelier Emé, oltre alla casa madre. Il giorno dopo ha fatto la stessa cosa Inditex (Zara, Bershka, Pull and Bear, Massimo Dutti e altri). E a cascata tutti i marchi, grandi e piccoli, della moda che affollano il quadrilatero milanese e lo zone dello shopping che fino all'ultimo avevano tenuto accesi i registratori di cassa, pur vuoti da giorni, in uno strano gioco d'attesa reciproca in cui nessuno voleva fare la prima mossa. Nonostante situazioni al limite del paradossale: oltre alle perdite del tenere aperto senza fatturare, si sono verificati casi di piccoli negozi con una o due commesse a gestirli e che si ritrovano all'interno persone senza dimora con problemi di salute mentale, senza sapere come comportarsi. Nella moda ci sono anche i primi licenziati: causale scritta “mancato superamento della prova”. Causale a voce: il virus. Verranno impugnati, ma chissà quando. I tribunali chiusi (ma cancellerie aperte) e la sospensione dell'attività giudiziaria fanno sì che sia lecito aspettarsi un aumento vertiginoso di cause e contenzioso in futuro. Fra locali, pub e piccole attività si diffonde ora ulteriore scontento. Si sentono tagliati fuori dalle misure annunciate e poi prese a mezzo ordinanza dal sindaco Beppe Sala. Che riguardano i mercati scoperti, Area C, Area B, le soste auto, l'acquisto di dispositivi di protezione individuale per alcune categorie, nidi, mense e affitti nel patrimonio di proprietà comunale. Niente sconti per le attività. Solo differimento o rateizzazione di alcune tasse nel corso dell'anno. L'economia soffre e le prime vittime sono i rapporti umani e interpersonali di lavoro, soprattutto fra chi sa di non avere diritto ad alcuna tutela o ammortizzatore sociale: “Il mio capo per il quale lavoro tre giorni a settimana senza contratto, 600 euro al mese fissi, non mi ha semplicemente avvertito del fatto che dalla seconda metà di febbraio non avremmo più lavorato” racconta un libero professionista. “Sto ancora spettando lo stipendio di gennaio e su whatsapp le mie richieste hanno la spunta azzurra ma non mi risponde”.
· “State a Casa”. Anche chi la casa non ce l’ha.
Coronavirus, #iorestoacasa spopola in Europa. L’inventore Sensi: «Idea di mio figlio, troppi ragazzi in giro». Pubblicato giovedì, 12 marzo 2020 su Corriere.it da Claudio Bozza. Tutta l’Europa riprende la campagna social #iorestoacasa, partita dall’Italia. L’invito a non uscire per motivi non indispensabili, quando si e’ iniziata ad avvertire la pericolosità del contagio da coronavirus Covid-19, è stato lanciato su Twitter, giorni fa, dal deputato del Partito Democratico Filippo Sensi, ex portavoce del premier Matteo Renzi, molto influente sui social con il profilo @nomfup. L’hashtag ha avuto subito grande presa, tanto da dare il nome al decreto in vigore dal 10 marzo con le misure per fronteggiare l’emergenza Coronavirus, ripreso da tutti i vip (come Jovanotti, Emma Marrone, Ligabue e Fiorello) e rilanciato continuamente in rete dai politici. Da qualche giorno anche molti paesi europei lo stanno usando: #JerestealaMaison, #quedateencasa, #stayathome. L’onorevole Sensi spiega come è nato l’hashtag: «L’idea me l’ha data mio figlio Tommaso, a casa appunto. Vedeva tutti i suoi coetanei in giro la sera e mi ha detto che il messaggio di restare a casa doveva arrivare ai ragazzi, che ci voleva una campagna capace di arrivare ai piu’ giovani e io ho pensato di lanciare questo hashtag». Oggi hashtag #iorestoacasa continua a spopolare. «Su Tik Tok sono stati superati i 60 milioni di contatti», aggiunge Sensi, ricordando che «il primo a crederci è stato il ministro Franceschini e il lavoro dei ministeri dei Beni culturali e della Salute è stato prezioso». Può una campagna social aiutare a comprendere quali devono essere i comportamenti corretti? «Può, se aiuta a sensibilizzare bene — conclude Sensi, alias @nonmfup —, ma non surroga l’impegno e la responsabilità individuale. Non è un gioco di società».
Io resto a casa: dalla corsa in balcone alla cena in videocall, tutti modi per ingannare la distanza ed essere felici. Rossella Grasso de Il Riformista il 12 Marzo 2020. Le nuove direttive impongono di stare a casa e non avere nessun contatto con altre persone se non per motivi indispensabili. In meno di 24 ore tutti si sono organizzati per annullare le distanze usando l’ingegno, la fantasia e la tecnologia.
LA CENA IN STREAMING – Internet è uno strumento che mai come in questo periodo fondamentale per annullare le distanze e farci sentire in contatto (virtuale). Ci fa stare bene sapere di poter ingannare le distanze con le persone che amiamo di più. Per non rinunciare nemmeno alle cene tra amici c’è chi ha organizzato una tavolata virtuale: appuntamento alle 21 videocall, stesso menù, un brindisi e la cena in compagnia è fatta. Probabilmente aveva ragione Domenico Modugno a cantare che “la lontananza è come il vento, spegne i fuochi piccoli e accende quelli più grandi”, perchè il pretesto della quarantena, del non potersi vedere, ha spinto in tanti a videochiamare amici vicini e lontani che magari in altri tempi non avremmo chiamato. Così l’amicizia si riaccende in formato schermo. Ed è molto divertente.
COMPLEANNO – Sono in tanti a soffrire il divieto di fare feste. È dura soprattutto per chi festeggia il compleanno proprio in questi giorni. Ma Regali e candeline possono essere meno tristi usando l’ingegno. In certe circostanze può tornare utile il vecchio caro paniere, quello che a Napoli è il ‘panaro’: il cestino in plastica o in vimini con il manico legato a una corda. Basta uscire sul balcone o calarlo giù dalla finestra e tutti possono passare a consegnare un regalo (velocemente e con moderazione). Si possono spegnere insieme anche le candeline facendo una semplice videochiamata collettiva. Così il “tanti auguri a te” resta il momento imperdibile dell’anno da condividere con i propri cari.
CORSA IN BALCONE – Gli amanti dello sport devono rinunciare agli allenamenti in palestra. Ma gli irriducibili hanno trovato una soluzione: la corsa in balcone. Succede a Napoli dove un’amante dello sport ha inaugurato la sua personale pista da corsa sul suo balcone.
L’ALLEGRIA A DISTANZA – Dopo la dichiarazione di Conte a reti unificate e il divieto di uscire di casa, sono partite anche le iniziative di solidarietà e allegria a distanza. Ci si da appuntamento alla finestra tramite social e a una certa ora si inizia a cantare, ballare o semplicemente salutare. A Napoli l’appuntamento è per Venerdì 13 marzo, alle ore 12. “Invitiamo tutti i napoletani ad affacciarsi ai propri balconi o alle proprie finestre per un saluto a distanza. Dimostreremo che siamo uniti – anche se costretti a stare chiusi nelle nostre abitazioni – nel combattere questo nemico subdolo e invisibile! Dimostreremo che siamo in grado di sconfiggerlo con la perseveranza e il rispetto delle regole!”, recita il messaggio che circola di smartphone in smartphone. A Pagani, in provincia di Salerno, le persone si sono date appuntamento al balcone per ballare e suonare al ritmo delle musiche popolari utilizzate in occasione della feste della Madonna delle Galline.
CONCERTI IN STREAMING – Molti artisti hanno dovuto annullare i loro concerti per via del decreto “Io resto a Casa”. Anche in questo caso le dirette in streaming aiutano a non perdere il piacere della buona musica. Tanti artisti come Emma, Jovanotti, Gianna Nannini danno appuntamento ai loro fan e suonano da casa per un concerto intimo e quasi esclusivo. Anche il teatro sta diventando a portata di divano.
LEZIONI ONLINE – Il tempo libero ultimamente spopola e stanno esplodendo anche le visualizzazioni di tutorial su come fare qualcosa o cucinare qualcosa. Alex Britti ha addirittura messo su una serie di lezioni di chitarra online sui suoi canali social.
DISEGNI AI BALCONI – Tra le mamme gira l’invito social a sedersi con i propri bambini e disegnare. Sole, arcobaleni, fiori, colori e felicità. Ma soprattutto la scritta “andrà tutto bene”. “Fate i disegni e appendeteli fuori alle finestre e ai balconi, Tutto pronto per il lieto fine che certamente ci sarà”, c’è scritto nell’appello. E così le città si stanno colorando con i disegni di tutti i bambini che con i colori trasmettono il messaggio più vero.
A Milano denunciato un senzatetto per strada: "Violato il decreto coronavirus". Ronda della carità: "Non sanno più dove andare". L'uomo, un clochard di nazionalità ucraina, fermato dalla polizia a Lambrate. L'associazione: "Abbiamo dovuto chiudere il centro diurno, le tante persone che sono per strada non sanno dove andare e non hanno più aiuto". La questura poi ha fatto sapere: "La denuncia non andrà avanti". Zita Dazzi il 12 marzo 2020 su la Repubblica. Un cittadino senzatetto di nazionalità ucraina, con regolare permesso di soggiorno, è stato denunciato a Milano da una volante del commissariato di Polizia di Lambrate "in quanto non ottemperava alle disposizioni del decreto" con le norme per il contenimento del coronavirus. Lo hanno trovato questa mattina in via Crescenzago "all'altezza del palo 37" - si legge nella denuncia penale che gli è stata consegnata - invece che stare al chiuso, come prevedono le disposizioni firmate dal presidente del Consiglio Conte su richiesta anche delle autorità regionali lombarde. Certo non una scelta per mettere in pericolo qualcuno, ma una necessità dettata dal fatto di non avere dimora, come almeno altre 300 persone in questo momento a Milano. La questura in serata ha fatto sapere che il provvedimento non verrà portato avanti e che tutti i senzatetto non verranno sanzionati né denunciati per l'inosservanza del decreto. "Evidentemente una persona che vive in strada non ha una casa dove stare - dice Magda Baietta, presidente dell'associazione Ronda della carità che lo conosce e ora sta cercando di aiutarlo -. Di solito viene al nostro centro diurno, ma da questa settimana siamo chiusi anche noi. E quindi come questo cittadino, decine di altri senza dimora rischiano di subire una denuncia penale. E' assurdo, bisognerebbe aiutare chi in questo momento è più esposto e in pericolo, non causargli danni giudiziari". Problemi di questo tipo vengono segnalati anche dalla Croce Rossa che in questi giorni sta facendo i doppi turni per aiutare i senza dimora, che vagano per la città disperati, alla ricerca di cibo e di aiuti, cambiando anche zona rispetto a quella dove dormono di solito. "Si sono spostati dal centro e stanno più in periferia - dicono a Croce Rossa - Facciamo anche più fatica del solito a rintracciarli e a spiegare loro che cosa sta succedendo. Ovviamente loro hanno una percezione molto strana della realtà, non si rendono conto dei pericoli e spesso non credono nemmeno a quello che diciamo loro. In più non c'è cibo, non ci sono aiuti per loro, non ci sono più punti di riferimento". Croce Rossa sta andando con i suoi volontari a visitare i senzatetto che si rivolgono alle mense ancora aperte e al rifugio Caritas di via Sammartini.
#Iorestoacasa, in Italia ci sono 50 mila senza tetto: e loro come fanno? Pubblicato venerdì, 13 marzo 2020 su Corriere.it. La fila per accedere al dormitorio «La palma» a Napoli, attraversa parte del rione Sanità. «Noi li accogliamo, li facciamo disinfettare, lavare e cambiare e chi vuole può anche cenare - Spiega Danilo Tuccillo, presidente della cooperativa la locomotiva, che gestisce il dormitorio - poi però la mattina devono andare via e a quel punto saranno per strada per tutta la giornata e, ovviamente, la conseguenza è che il rischio contagio aumenta per tutti. Noi non abbiamo avuto alcuna indicazione dalle istituzioni per quanto riguarda un eventuale gestione dell’emergenza: per esempio non sapremmo come fare per approntare una quarantena, inoltre i volontari che ogni sera vengono a darci una mano, con le nuove disposizioni non possono muoversi. Anche il nostro piccolo bus che accoglierebbe nove persone, ora fa più viaggi portandone non più di quattro. È un servizio importante perché per arrivare qui bisogna fare una salita molto ripida e non tutti ce la fanno perché ci sono tanti anziani». In tutto a «La palma» arrivano un centinaio di persone la maggior parte tra i 35 e i 55 anni, ma ci sono anche tanti giovani e anziani. Alle otto del mattino c’è una signora anziana che ha difficoltà a camminare che si trattiene fuori al portone del dormitorio per sorseggiare il suo caffè. Ora dove vai? - le chiedo. «Su una panchina e lascio che passi il tempo». E il coronavirus? Sai che dovresti stare a casa? «Ma io una casa non ce l’ho. Che devo fare? Non c’è soluzione». Sono storie in bilico tra il dramma e la poesia. Rosaria è più giovane e mentre lascia la struttura, con un sorriso dice che va a farsi una passeggiata a Mergellina. Alcuni di loro sono redattori e venditori del periodico “Scarp de Tennis”. «I guadagni della vendita del giornale è una piccola fonte di reddito per i senzatetto – spiega Laura Guerra, che coordina la redazione napoletana – purtroppo però abbiamo dovuto chiudere e quindi a loro mancherà anche questo tipo di sostentamento». Luciano dell’Isola ha 50 anni, è uno dei venditori. Ha perso lavoro e genitori e da tempo vive in strada. «La pandemia ci spaventa ma cerchiamo di fare il possibile per tutelarci e tutelare anche gli altri. Per esempio io evito i luoghi affollati e quindi pur dovendo girovagare tutto il giorno, cerco di trovarmi dei posti in cui non c’è tanta gente. Il problema di questi giorni è che hanno chiuso anche le mense e quindi ci danno giusto i cestini ma non possono accoglierci nei locali. E’ una situazione difficile per le persone anziane che soffrono il freddo e per quelle che non accedono ai dormitori e sono costrette a dormire per strada. Noi siamo gli ultimi e restiamo anche in condizioni di emergenza invisibili».
Coronavirus in Italia: #iorestoincasa, ma chi una casa non ce l’ha? Giampiero Casoni l'11/03/2020 su Notizie.it. Nel paese vivono, ai margini di quella stessa società che oggi trova nel tetto domestico l’ultima trincea contro il virus, oltre 50mila senza tetto, persone cioè che a casa ci vorrebbero stare, ma che una casa non ce l’hanno. Un vecchio adagio dell’esercito recita che un plotone è efficiente quando marcia alla velocità del suo uomo più lento e quando il suo uomo più lento è comunque più veloce del più veloce dei nemici, un’utopia smargiassa la cui difficilissima realizzazione sta trovando polpa in questi giorni bui, in cui l’Italia intera si è idealmente irregimentata per far fronte alla minaccia Covid 19. È presto spiegata: nel paese vivono, ai margini di quella stessa società che oggi trova nel tetto domestico l’ultima trincea contro il virus, oltre 50mila senza tetto, persone cioè che a casa ci vorrebbero stare, ma che una casa non ce l’hanno. Non sono tutti uguali, nella misura in cui ci sono diversi modi di non avere una casa dietro le cui finestre arroccarsi in attesa che passi la buriana: da chi una casa proprio non ce l’ha e dorme sotto i ponti o in stazione a chi vive in regime di insicurezza abitativa e chiama casa una baracca di lamiera che lascia passare i procioni, altro che le particole della nuova Sars. E tutto questo si porta a traino altre croci che, sotto la greve campana dell’epidemia, scandiscono i rintocchi dell’allarme sociale: dato che vivere non è solo avere un parapioggia e un materasso, queste persone mangiano nelle mense sociali ed hanno una quotidianità scandita dalla deambulazione urbana. Camminano perché non hanno altro da fare, perché non hanno Netflix, i like a Commenti Memorabili, la moglie in vena di streap, il fidanzatino della figlia travestito da platano e infoiato fuori dal giardino di casa o il vecchio romanzo mai scritto da tirare fuori dal cassetto impolverato. Sono vulnerabili e rappresentano non solo l’anello debole nel sistema di profilassi generale, ma anche, anzi, ancor più, l’immagine che scacciamo via dagli occhi quando alziamo il riscaldamento e ci accucciamo in divano ad aspettare il 3 aprile con un occhio ai bollettini medici. Dietro queste persone c’è un piccolo ma agguerrito esercito di eroi, che li cura, li assiste, li informa con tutte le difficoltà figlie del dover interagire con gente che, per battage esistenziale, ha l’asticella del rischio e della sofferenza messa più in alto dei cimenti di Bubka, che guarda alla mascherina o all’amuchina come noi guarderemmo al tartufo di Alba. Davanti a queste persone ma dietro finestre coinbentate ci siamo noi, noi a casa, noi al calduccio, noi che nella lotteria del contagio e della morte abbiamo la mano migliore da calare sul tavolo, noi miopi perché forse il momento lo richiede ma che forse, dico forse, eravamo mezze talpe già da prima dell’emergenza. Noi che ciechi proprio non possiamo permetterci di esserlo, perché alla fine, anche solo a buttarci un pensiero a quella gente lì, è tutto un problema di marciare assieme, come quel plotone: alla velocità del più lento di noi. Così alla fine della guerra, quel Tricolore che oggi intasa le nostre pagine social diventerà coperta che non si sarà limitata a tenere al calduccio la testa e il petto, ma avrà protetto anche i piedi.
Coronavirus, «State a casa» ma chi una casa non ce l'ha non sa che cosa fare. Più di seimila senzatetto rischiano multe e arresto ma non hanno scelta. Ansa - CorriereTv il 12 marzo 2020. "State a casa", ha detto agli italiani il premier Giuseppe Conte, ma per chi una casa non ce l'ha il problema diventa enorme. Chi è in giro senza giustificato motivo rischia una multa e in casi limite anche l'arresto. I seimila senzatetto della capitale però non hanno alternative al riparo di fortuna in strada o nei parchi. A lanciare l'allarme sono i tanti volontari che ogni giorno assistono queste persone, come Paola: "Sono allo sbando, non c'è nessuno che gli spieghi cosa stia accadendo e soprattutto nessuno che gli dia alternative. I centri di giorno chiudono, per le nuove norme hanno anche ridotto gli ingressi. Vivono in macchine o in ripari di fortuna". "Non so cosa sia questo Coronavirus - ci dice Abdersatar, tunisino senza casa- ne ho sentito parlare all'ospedale dove sono andato per fare delle analisi e dove mi hanno fatto il tampone (negativo, ndr). Questa mattina la polizia mi ha fermato, voleva farmi la multa".
Da vita.it il 13 marzo 2020. Una riflessione necessaria, in questi giorni di emergenza, sulla condizione che le persone senza dimora e i servizi di accoglienza sono chiamati a fronteggiare. Come riusciranno, queste persone, che non hanno un'abitazione, ad affrontare un potenziale isolamento? In tanti, al Binario 95, il centro di accoglienza alla Stazione Termini di Roma (foto), ci dicono: #vorreirestareacasa, ma qual è la mia casa?
Persone senza casa. Una persona senza dimora è una persona che non ha un'abitazione e, in molti casi, non ha una residenza. Secondo la classificazione ETHOS di FEANTSA (Federazione Europea delle organizzazioni che lavorano con persone senza dimora), esistono quattro categorie per individuare la grave esclusione abitativa:
- le persone senza tetto;
- le persone prive di una casa;
- le persone che vivono in condizioni di insicurezza abitativa;
- le persone che vivono in condizioni abitative inadeguate.
Tutte queste categorie stanno comunque ad indicare l'assenza di una (vera) casa. Dalle persone che vivono in strada o in ricoveri di fortuna a quelle accolte in centri di accoglienza e dormitori, passando da chi è ospite in strutture per rifugiati e richiedenti asilo, fino a tutti coloro utilizzano mense sociali, servizi a bassa soglia e di orientamento per rispondere alle proprie necessità in assenza di una dimora. Oltre a non avere una casa nella quale isolarsi, le persone senza dimora sono comunque costrette ad utilizzare le mense per nutrirsi e i centri di accoglienza per dormire, entrambi luoghi in genere affollati e promiscui, nei quali la distanza minima non può essere, in molti casi, rispettata. Chi non ha un’abitazione, inoltre, pur avendo compreso la gravità della situazione e sforzandosi con buona volontà di rispettare le regole, ha molta difficoltà ad adeguarsi alle norme igieniche di base previste dal DPCM, per non parlare della complessità nel reperire i dispositivi di protezione, perché non ne ha le possibilità economiche.
Rischi per i servizi di accoglienza. I servizi attuali, quali centri di accoglienza e dormitori, non sarebbero in grado di garantire assistenza agli ospiti positivi al virus. Nel caso in cui un solo ospite si ammalasse, tutta la struttura potrebbe essere preclusa e, se messa in quarantena, verrebbe meno il servizio per altre decine di utenti. Se il problema si estendesse a livello nazionale tra i servizi di accoglienza, dormitori, ma anche tra mense, sportelli di orientamento e servizi di bassa soglia, il rischio, da scongiurare assolutamente, sarebbe la tentazione di voler chiudere tutto il sistema di supporto alle persone senza dimora riportando in strada almeno 50mila uomini e donne (stima Istat 2014) che peraltro, avendo scarse risorse per fronteggiare il virus, sarebbero potenziali veicoli di contagio. Per superare queste difficoltà occorre uno sforzo congiunto tra pubbliche amministrazioni ed enti del terzo settore che si occupano di persone senza dimora. Uno sforzo che sia orientato al mantenimento dei servizi in sicurezza e alla predisposizione di luoghi di potenziale autoisolamento per le persone senza dimora che dovessero essere malate; che faciliti la distribuzione presso i centri di presidi come maschere, guanti e gel; che sia orientato ad accettare che la vita dei centri di accoglienza possa cambiare in termini di orari e procedure, in modo da fare fronte a questo momento di crisi con la necessaria flessibilità anche amministrativa.
Cosa stiamo facendo nelle nostre strutture? Nel frattempo a Roma, al Binario 95, all'Help Center al magazzino Nextop MSC e al Rifugio Sant'Anna per donne fragili, così come anche negli altri centri partner della nostra rete nazionale, gli operatori continuano a fornire l'assistenza necessaria a chi ha più bisogno, con una giusta informazione sulle procedure da adottare in caso di rischio, attraverso una cartellonistica multilingue semplificata e ben visibile. Sono stati, inoltre, predisposti i dispositivi di sicurezza, quali gel, mascherine e fazzoletti, e sono state intensificate le pulizie delle superfici e degli ambienti, con una sanificazione ad hoc delle docce, dopo ogni utilizzo. Ci si attiene al rispetto della distanza minima di sicurezza e al contingentamento dell’afflusso delle persone negli ambienti unici, ma soprattutto si cerca anche di ridare conforto e vicinanza a chi, senza casa e senza famiglia, sta in questi giorni vivendo momenti di particolare tensione e di paura sentendosi ancora più isolato. “Informare, proteggere, organizzare, queste le parole d’ordine nelle nostre strutture di accoglienza - afferma Alessandro Radicchi, fondatore del Binario 95 e direttore dell'Osservatorio nazionale della solidarietà nelle stazioni italiane -, dobbiamo proteggere le persone senza dimora che ospitiamo e tutelare il lavoro dei nostri operatori. Chiediamo alle istituzioni, comunali in particolare, di non lasciarci soli ed iniziare a pensare da subito alla possibilità di predisporre dei luoghi dedicati alla quarantena di chi una casa non la ha. Guardando al futuro, penso che questa emergenza debba spingerci a rivedere il sistema di accoglienza, ripensando il ruolo dei centri e dando il giusto valore all’estrema responsabilità di cui si fanno carico nel sostenere persone che non hanno altre forme di supporto, come la famiglia. Bisognerà ripensare agli investimenti sull’housing, all’importanza di centri più piccoli, meno legati ai grandi numeri, al dialogo con il servizio sanitario nazionale, che in molti luoghi è già estremamente proficuo. L'emergenza sta cambiando la nostra vita. Speriamo che questo cambio porti ad una nuova visione che non escluda ancora di più chi vive ai margini”.
Tutti i nostri ospiti vorrebbero stare a casa, ma qual è la loro casa?
· Stare a Casa.
Da leggo.it il 30 aprile 2020. Checco Zalone rallegra la quarantena degli italiani e lo fa con una canzone ispirata in tutto e per tutto dagli ultimi sviluppi dell'emergenza coronavirus e dal nuovo Dpcm studiato in vista della fase due. Il comico pugliese, infatti, ha scritto il brano "L'immunità di gregge" raccontando le sensazioni vissute dagli italiani, alle prese da quasi due mesi con un lockdown non semplice da affrontare. La canzone è un chiaro richiamo ad un conterraneo illustre di Checco Zalone come Domenico Modugno: anche lo stile del comico pugliese, al secolo Luca Medici, sembra ispirato ad una delle leggende della musica italiana. Tra affetti pronti a ricongiungersi, restrizioni e autocertificazioni, il brano di Checco Zalone racconta tutte le vicissitudini dei cittadini italiani in quarantena. «Una canzone per voi, due note in allegria» - spiega il comico - «Mai come in questo periodo bisogna evitare di dire mai come in questo periodo».
TESTO
Ricordo le tue ultime parole
aspetta che sboccino le viole
febbraio è troppo triste e fuori piove
te la darò di marzo
il giorno 9
balordo fu quel giorno buio e tetro
drin, sono io, accirimi, chiudi in casa
che il presidente disse: “almeno un metro”
da allora aspetto invano in questa stanza
due cose stringo in mano, una è la speranza
arriverà
l’immunità di gregge
sui monti e sulle spiagge
la pecora più bella sarai tu
amore mio
vedrai, tutto andrà bene
e l’ultimo tampone
sarò io per te
la quarantena, sai, è come il veneto
spegne i focolai piccoli ma più accenderne di grandi
come quello che arde nel mio cuore
lui non resta a casa, il mio cuore va per le strade
scavalca muri, varca portoni
perché anche un cuore si rompe i coglioni
arriverà
l’immunità di gregge
sui monti e sulle spiagge
la pecora più bella sarai tu
amore mio
tu dimmi solo dove
ti porto un 19
che Covid non è
Irina è la tua giornata fortunata
sai cos’è un toyboy
Ode ai pastori, ultimi esempi di un’umanità perduta. Gioacchino Criaco su Il Riformista il 29 Aprile 2020. I pastori forse nemmeno lo sanno della pandemia, corrono troppo veloci, davanti o dietro i propri compagni di vita. Ogni anno di questi tempi, Tommaso lo si può trovare nella Valle dei Mulini dietro a Uggiate Trevano, guarda il cielo per osservare i falchi in agguato sopra il suo gregge di 700 bestie: pecore, capre, asini e cani, sono una poesia che marcia per tutto l’inverno sulla Pianura Padana e a giugno prende i sentieri antichi dell’alpeggio. Migliaia e migliaia di bestie in un su e giù che appare eterno, dal piano al monte, sospinte da una quarantina di pastori nomadi di cui il tempo si è scordato, lasciandoli scorrere come sabbia dentro infinite clessidre sfondate. I pastori, tutti, sono poesia: «la luna illumina la pianura solitaria. Un corso d’acqua, qua largo, là stretto, serpeggia fra le stoppie nere, e sparisce luccicando all’orizzonte, ove pare che vada a gettarsi silenzioso in un mare di vapori azzurri, in un vuoto lontano. Sono le prime ore della notte. Il pastore guarda le greggie pascolanti», scolpiva fra prosa e poesia Deledda, e Alvaro proseguiva «non è bella la vita dei pastori in Aspromonte, d’inverno, quando i torbidi torrenti corrono al mare, e la terra sembra navigare sulle acque. I pastori stanno nelle case costruite di frasche e di fango, e dormono con gli animali», e D’Annunzio, in sola poesia, «ora lungh’esso il litoral cammina La greggia. Senza mutamento è l’aria. Il sole imbionda sì la viva lana che quasi dalla sabbia non divaria. Isciacquio, calpestio, dolci romori. Ah perché non son io cò miei pastori?». Non è esistito un tempo in cui le lettere migliori, in prosa, poesia o canzone non abbiano innalzato un’ode al pastore: sardo, calabrese, abruzzese o di qualunque isola del mondo, e qualcuno, di certo, ne starà imprimendo elegia per i millenni a venire. Difficile che qualcuno si cimenti in un inno al manager o all’influencer, ora o nel futuro, pur se sappiamo che ogni petto umano cova sentimenti. Ci sono mestieri e professioni in cui solo una parte si potrebbe riconoscere, e poi ci sono categorie umane di cui elettivamente ogni uomo fa parte. Il pastore non è un lavoro, è un’elezione di umanità di cui ognuno di noi conserva l’iscrizione nei geni. A ciò è dovuta l’empatia per i pastori, per questo gli si perdonano le ecatombi, inevitabili, perché somigliano a un sacrificio pagano di cui tutti abbiamo memoria. Il pastore è il legame indissolubile fra l’uomo e Mana Gi, la madre terra, resiste per la propria famiglia, per se stesso, per noi, rimane aggrappato con le unghie all’ultimo brandello di umanità che il cinico sistema economico in cui stiamo affogando concede. E tutti siamo stati pastori di ogni isola, e tutti vorremmo esserlo ancora, pastori. Che sono l’ultima poesia d’Occidente.
Caterina Maniaci per Libero Quotidiano il 20 aprile 2020. Dal balcone Giulietta salutava il suo Romeo, in quel di Verona. Peccato che non fosse autentico, come tutta la storia che non ha precisi riscontri - e del resto al tempo in cui Shakespeare scriveva la sua commedia, sembra che in Inghilterra il balcone fosse del tutto sconosciuto, dato che il clima inclemente non lo contemplava - ma i veronesi sono riusciti a farne un' icona amata in tutto il mondo e capace di attirare milioni di turisti. Da un balcone Mussolini ha proclamato l' entrata in guerra dell' Italia nel 1940 e sempre da un balcone, anche se più esattamente si tratta di un loggiato, si affaccia il nuovo Pontefice appena eletto, dopo il Conclave. Questo angolo della casa, che, ammettiamolo, abbiamo spesso ignorato, lasciandolo agli appassionati di giardinaggio o ai fanatici del sole a tutti i costi, ora più che mai appare alla ribalta. Anzi, diventa la ribalta. Dai balconi, nelle prime settimane di reclusione forzata, si è ballato e cantato, si sono organizzati aperitivi e incontri galanti, poi, mano a mano, la voglia di cantare e ballare è andata scemando, ma i balconi lentamente si stanno trasformando in micro stabilimenti balneari: si tirano fuori sdraio e asciugamani, ci si stende al sole in ciabattine e costume, si fa finta, insomma, di essere già in vacanza. In realtà si rimane sempre nel solito balcone, che ora appare come un dono del cielo, trasformato in luogo da cui continuare a guardare il mondo, sia pure da lontano. Così nasce spontaneo chiedersi chi ha avuto l' idea impagabile di far nascere questo spazio che tanta parte ha avuto nella storia, nell' arte e nella vita sociale. Bisogna andare indietro nel tempo, fino al 1218 a.C., sulle rive del Nilo. Regna il faraone Ramses III, illuminato e amante delle cose belle. A Luxor ha creato un palazzo meraviglioso, con una innovazione particolare: ha una sporgenza verso l' esterno al centro della facciata. Da qui il faraone sovrintende alle cerimonie di corte. Può essere ammirato, e può controllare, dall' alto, la situazione. babilonesi e persiani Dall' Egitto dei faraoni i balconi si diffondono: a Babilonia diventano famosi i giardini pensili che sono una modifica colorata e fascinosa della "sporgenza rientrata" di egiziana memoria. E poi in Persia, in Grecia, e a Roma, dove si costruiscono loggiati di legno sopra i Fori imperiali, per permettere alla gente di assistere agli spettacoli. Nel mondo arabo diventano più ristretti, l' unico angolo da cui le donne possono guardare quel che succede fuori dalle mura di casa. Per via delle influenze arabe anche in Spagna, in Andalusia in particolare, e in Sicilia, i balconi diventano un elemento architettonico dominante. Si diffondono in tutt' Italia e dunque non possono rimanere fuori dallo sguardo degli artisti. Compare nei quadri e nei progetti degli architetti rinascimentali. Raffaello ne progetta uno destinato a diventare un capolavoro assoluto, quello di palazzo Pandolfini a Firenze. I balconi sono protagonisti nella pittura ottocentesca, tra Macchiaioli (come non ricordare Le ricamatrici di Adriano Cecioni, 1865-1866) e Impressionisti, come testimoniano Caillebotte, Manet... In Italia, durante le passioni e gli impeti risorgimentali, i balconi vengono addobbati con il tricolore. Nelle ultime settimane, insieme ai panni da stendere, sono ricomparse le bandiere, sventolate dai balconi al ritmo dell' inno. Scatti d' orgoglio patrio e bucati a parte, i balconi ora ritrovano anche, la loro antichissima origine di giardini pensili. La Coldiretti, infatti, rileva che c' è stato un boom di fiori e piante riapparsi in terrazza, ma anche di semi, piantine e fertilizzanti per allestire centinaia di orti domestici. Sei italiani su dieci hanno scoperto di avere il pollice verde (o almeno presumono di averlo) e si rifugiano tra gerani e basilico.
Da "leggo.it" il 16 aprile 2020. Felicità, servirebbe tanto in questi giorni. E allora ci ha pensato Al Bano Carrisi a portarne un po': il cantante si è recato non distante dal Policlinico di Bari e si è fermato fuori dalla struttura che ospita gli operatori intonando le parole e le note della sua canzone più famosa: Felicità. Un omaggio, un supporto morale, per tutti i pazienti ricoverati nella struttura attraverso un gesto rivolto al personale medico-sanitario che da settimane è alle prese con la gestione e le difficoltà derivate dall’emergenza sanitaria del coronavirus anche in Puglia. La musica ha interrotto, per qualche minuto, quella delicata routine a cui erano tutti abituati. Il filmato di quell’esibizione è stato pubblicato tra le Instagram Stories del Policlinico di Bari che ha voluto, poi, ringraziare il cantante di Cellino San Marco ricostruendo – in un breve video – quel suo omaggio ai pazienti e al personale medico-sanitario che lavora incessantemente all’interno della struttura pugliese. Al Bano si è fermato al di fuori dell’Hi Hotel, la struttura che da diverse settimane ospita gli operatori sanitari del Policlinico di Bari che – per evitare di diffondere il contagio (con infezione che si possono prendere all’interno del Covid Hospital nel quale lavorano) – non stanno tornando a casa dai loro cari e familiari. Per questo motivo le note di Felicità sono un piccolo omaggio per fare forza a loro che, ogni giorno, sono alle prese con la realtà che sembra essere molto meno felice.
Coronavirus, concerto di Andrea Bocelli nel Duomo di Milano deserto: "Una preghiera con milioni di voci". Il concerto del tenore, ascoltato da 2,7 milioni di spettatori in diretta su Youtube, si è concluso sulle note di Amazing Grace, l'unico brano cantato all'esterno. La Repubblica il 13 aprile 2020. Un abbraccio collettivo a tutte le grandi capitali del mondo in lockdown per il Coronavirus quello che arriva dal Duomo di Milano attraverso il canto di Andrea Bocelli. Il concerto del tenore, ascoltato sul finale da 2,7 milioni di spettatori in diretta su Youtube, si è concluso sulle note di Amazing Grace, l'unico brano cantato all'esterno, con alle spalle la solitaria e maestosa cattedrale. Il messaggio di speranza delle parole della canzone ("Attraverso molti pericoli, insidie e fatiche sono passato/ La Grazia mi ha condotto in salvo fino a qui/e la Grazia mi condurrà a casa") è accompagnato dalle immagini delle strade deserte di Parigi, Londra e New York, alcune delle capitali più colpite dal covid19. "Credo nella forza di pregare insieme e credo nella Pasqua cristiana, simbolo di una rinascita di cui tutti, credenti e non, abbiamo ora bisogno. La generosa, coraggiosa, propositiva Milano e l'Italia tutta saranno di nuovo, prestissimo, un modello vincente, motore di un Rinascimento che tutti auspichiamo", ha detto - in un messaggio tradotto anche in inglese - l'artista. La performance, promossa dalla città di Milano e dalla Veneranda Fabbrica del Duomo, è stata prodotta e curata da Sugar Music e Universal Music. Cinque i brani in scaletta: Panis Angelicus (César Franck) Ave Maria (Johann Sebastian Bach), Sancta Maria (Pietro Mascagni), Domine Deus (Gioacchino Rossini) e Amazing grace (John Newton). "Custodirò l'emozione di questa esperienza inedita e profonda, di questa Santa Pasqua che l'emergenza ha reso dolente, ma al contempo ancora più feconda, tra le memorie in assoluto più care". Queste le parole del cantante al termine del concerto. "Quella sensazione d'essere contemporaneamente solo, come lo siamo tutti, al cospetto dell'Altissimo - ha detto Bocelli -, eppure di esprimere la voce della preghiera di milioni di voci, mi ha profondamente colpito e commosso. L'amore è un dono. Farlo fluire è scopo primario della stessa vita. E con la vita, ancora una volta, mi trovo in debito. La mia gratitudine va a chi ha concepito questa opportunità, il Comune di Milano e il Duomo, ed a tutti coloro che hanno accolto l'invito e si sono uniti in un abbraccio planetario, raccogliendo quella benedizione del Cielo che ci restituisce coraggio, fiducia, ottimismo, nella certezza della fede".
Coronavirus, Bocelli solo davanti al Duomo di Milano deserto: canta Amazing Grace per le capitali chiuse. Repubblica Tv il 13 aprile 2020. E' un abbraccio collettivo a tutte le grandi capitali del mondo in lockdown per il coronavirus quello che arriva dal Duomo di Milano attraverso il canto di Andrea Bocelli. Il concerto del tenore, che si tenuto in un Duomo deserto, si è concluso all'esterno della cattedrale sulle note di "Amazing Grace". Il testo della canzone è un messaggio di speranza ("Attraverso molti pericoli, insidie e fatiche sono passato/ La Grazia mi ha condotto in salvo fino a qui/e la Grazia mi condurrà a casa") rivolto all'Italia e al mondo intero. L'ultima interpretazione è stata accompagnata dalle immagini delle strade deserte di Parigi, Londra e New York, alcune delle capitali più colpite dal covid19. "Credo nella forza di pregare insieme e credo nella Pasqua cristiana, simbolo di una rinascita di cui tutti, credenti e non, abbiamo ora bisogno. La generosa, coraggiosa, propositiva Milano e l'Italia tutta saranno di nuovo, prestissimo, un modello vincente, motore di un Rinascimento che tutti auspichiamo", ha detto in un messaggio tradotto anche in inglese l'artista italiano. La performance, promossa dalla città di Milano e dalla Veneranda Fabbrica del Duomo, è stata prodotta e curata da Sugar Music e Universal Music. Cinque i brani in scaletta: Panis Angelicus (César Franck) Ave Maria (Johann Sebastian Bach), Sancta Maria (Pietro Mascagni), Domine Deus (Gioacchino Rossini) e Amazing grace (John Newton).
La quarantena, i balconi e lo sfondo libreria. Roberto Marino il 13 aprile 2020 su Il Quotidiano del Sud. Colpa del balcone. Sempre. Povero Matteo Salvini, neanche sul suo poggiolo privato riesce a trovare pace. Lui era lì ad arringare gli italiani, con tanto di inquadratura studiata dal guru che lo ha indottrinato, quando un vicino gli ha urlato: «Matteo, sono tutte stronzate». Ci è rimasto male il Capitano del Carroccio che tra citofoni e palazzi non ne azzecca una. Cosa volete farci, è il primo contraddittorio autentico nell’era delle distanze. Il balcone è una fissa italiana. Ci sono passate le farse e le tragedie. Ha cominciato Romeo, poi un disastro continuo. Ne sono volati via di calendari tra una sciagura e l’altra. E ora, in questo periodo di clausura domiciliare, chi non ce l’ha si mangia le mani. Le agenzie di stampa rilanciano continue immagini di persone sul balcone: chi legge, chi sta al computer, chi guarda il vuoto della strada, chi suona, chi fa la calza, chi stira, chi si fa un selfie. Non è un posto che porta fortuna, il balcone, basta vedere quello che è capitato ai Cinque Stelle di recente. Con la quarantena, invece, gli italiani hanno rivisitato gli angoli di casa, anche quelli dimenticati e frequentati solo da cani e gatti domestici con l’hobby dell’esplorazione. Con il divieto di uscite, c’è stato un rifiorire di collegamenti con telefoni, ipad e computer. Abbiamo così scoperto che in tutte le abitazioni c’è una libreria. Da dove siano sbucate resta un mistero. Visto che il 70 per cento e più del Belpaese non sfiora neanche un libro all’anno; e che la percentuale di quelli che ne leggono uno ogni sei mesi non arriva a dieci. Invece tutti si fanno riprendere con dietro dei libri, pure quelli che l’ultima volta che hanno sfogliato qualcosa è stato per le istruzioni del cellulare. Ci tengono a far sapere che la cultura è entrata nelle loro case, anche se ci resta in quarantena perenne e non accompagna sempre i solerti proprietari degli scaffali. L’unica eccezione ai libri è stata la regina Elisabetta del Regno Unito di Inghilterra. Alle sue spalle, durante uno storico e sobrio discorso, oggetti di preziosa porcellana e scenario da tinello di eleganza rustica. Ma lei non ha bisogno di leggere romanzi. Ci pensano figli, nipoti e affini a rendere la vita piena di colpi di scena. Quello che le è capitato in famiglia in mezzo secolo è più intrigante e sconvolgente di un’intera biblioteca. Potrebbe consolarsi con i libri di evasione, ma il rango non le permette di perdere contatti con i doveri della realtà. Tanto, se non sono i parenti. c’è sempre un premier maldestro a farla stare con il fiato sospeso.
Ora d'aria in Francia, negozi per anziani in Slovacchia: tutte le quarantene in Europa. Guanti obbligatori in Polonia, mascherine un po' ovunque, autocertificazioni digitali o di carta o sull'onore. Ecco come i vari paesi stanno affrontando le misure di contenimento da coronavirus. Federica Bianchi l'8 aprile 2020 su L'Espresso.
E così il primato di Braveheart spetterà all'Austria: sarà lei la prima a tentare di riprendere una parte della vita quotidiana pre-Covid aprendo dopo le vacanze di Pasqua e gradualmente, nel giro di un paio di due mesi, la sua intera economia, scuole escluse, proprio quando la Svezia, l'unico Paese europeo senza nessuna misura di distanziamento sociale, ha deciso di fare marcia indietro e seguire le orme del resto d'Europa. Non tutti i cittadini europei ne usciranno allo stesso momento così come non tutti gli Europei sono entrati nel confino con le stesse modalità. Per noi la sola cosa certa di questa permanenza casalinga è che non esiste certezza. Se in Italia, in Spagna e in Francia, i Paesi più colpiti, senza autocertificazione non si lascia la propria abitazione e qualsiasi attività fisica all'aperto è ancora proibita, in Olanda e Belgio i cittadini sono incoraggiati a fare esercizio fisico nei tanti, vasti parchi cittadini. Ma attenzione: non tutto è semplice come sembra.
In Italia ci sono volute ben quattro versioni dell'auto dichiarazione cartacea da riempire prima di uscire di casa per arrivare alla versione definitiva, in una ricerca, per approssimazione infinita, di una quadra che permettesse di impedire al virus di propagarsi ma fosse pur sempre accettabile.
Così in Belgio le autorità hanno sì permesso l'accesso a parchi e boschi in questi giorni straordinari di primavera, dopo mesi di pioggia, ma, subito dopo hanno corretto il tiro: soltanto se raggiungibili a piedi o in bicicletta. L'auto è riservata agli spostamenti strettamente necessari, come andare in ospedale o al supermercato (i supermercati hanno dovuto smettere le consegne a domicilio per eccesso di richieste): dunque chi ce la fa a pedalare fino a un parco o a un bosco bene, gli altri, soprattutto i bimbi, a casa.
La Francia ha poi imposto un limite orario all'esercizio all'aperto: un'ora e solo nel raggio di un chilometro da casa, come da autocertificazione personale. La cosa valeva inizialmente anche per gli approvvigionamenti ma poi i francesi hanno protestato, lamentandosi delle file chilometriche di fronte ai supermercati, e ora la polizia è più tollerante con chi torna a casa con i sacchetti della spesa. Il modello francese è poi stato letteralmente copiato in Romania: un certificato sull'onore per uscire ma solo per ragioni vitali come la salute, il supermercato o l'aiuto a membri della famiglia in difficoltà. E quando, come in Francia, la distanza è passata da 500 metri a un chilometro è aumentato anche l'importo della multa: da 38 a 135 euro per arrivare a 200 se si è sorpresi per la seconda volta in due settimane. Se poi le regole non sono rispettate per quattro volte nel giro di un mese allora multa si eleva a 3.750 euro e sei mesi di carcere, eventualità più pratica che teorica visto che sono decine le persone già in attesa di passare davanti a un giudice. Contestualmente però 3.500 carcerati che avevano solo due mesi rimasti di pena da scontare sono stati liberati a patto di rimanere a casa.
In Russia, alle porte dell'Unione, in carcere rischia invece di andare chi si allontana più di 100 metri da casa propria. E visto che oltre Urali le preoccupazioni democratiche sono alquanto labili, il governo ha già fatto sapere che Mosca munirà ogni cittadino di uno speciale codice a barre legato al luogo di residenza per controllarne gli spostamenti. Misure di sicurezza temporanee, dicono.
Nessun modulo o applicazione in Germania invece, dove chi esce di casa per una buona ragione, incluso l'esercizio fisico, «basta che lo spieghi alla polizia», con la consapevolezza che i posti letto in unità intensiva, i più numerosi del Vecchio Continente, non sono mai stati un problema.
Italia e Spagna sono gli unici due Paesi che, con oltre 100mila contagiati registrati e migliaia di morti, hanno chiuso ogni produzione non essenziale ben oltre Pasqua. In Spagna restano aperte solo le farmacie, gli uffici postali e i supermercati, e le multe possono raggiungere i 30mila euro. Perfino i giornalisti sono sotto osservazione e a circolare sono pochi, tutti muniti di permesso speciale rilasciato dalla propria azienda. Non ovunque è obbligatorio portare al supermercato i guanti come in Polonia o la mascherina in Austria. Ma nella Repubblica Ceca, in Slovenia e in Slovacchia la mascherina bisogna sempre averla addosso quando si esce di casa. In Slovacchia però si può circolare liberamente. Sempre in Slovacchia gli over 65 hanno l'intera mattinata (9-12) a loro esclusivamente riservata all'interno dei supermercati, tempo ridotto invece a un'ora in Paesi come il Belgio.
In Inghilterra i moduli cartacei o virtuali non sono necessari e, sebbene tutti siano invitati a stare a casa, andare al lavoro è ancora un buon motivo per uscire e, anche se i ragazzi, come nel resto d'Europa, sono per lo più a casa, i lavoratori dei settori chiave possono continuare a inviarli a scuola in mancanza di alternative.
Anche in Croazia, dove i trasporti pubblici sono stati sospesi o rallentati, l'uscita dalle proprie abitazioni è libera ma in gruppi inferiori a 5 persone e il modulo è in forma elettronica, cosa che permette l'automatico rifiuto di uscita a chi deve restare in quarantena.
Il formato elettronico del permesso di uscita si trova anche in Grecia, che per una volta sembra avere seppellito la sua impossibile burocrazia e arretratezza informatica che, almeno prima del virus, la relegavano al 26esimo posto su 27 dell'Indice della Società digitale. Ad Atene basta riempire un modulo elettronicamente sul proprio cellulare per potere uscire di casa. Non solo. Con il lockdown il governo di Atene ha lanciato diverse piattaforme online che non avrebbero dovuto vedere la luce per mesi: adesso è possibile ottenere online la maggior parte dei certificati nazionali dallo stato di famiglia al quello di residenza, e poi i titoli universitari e qualsiasi dichiarazione sull'onore. Se c'è un aspetto della vita contemporanea a cui questa crisi ha fatto fare balzi da gigante questo è proprio il settore digitale. Perfino in Bulgaria, tra la sorpresa dei cittadini, quasi tutte le scuole pubbliche e private sono riuscite a portare le classi online in soli 5 giorni. «Qualcosa che da noi non non sarebbe mai stato possibile in una situazione normale», racconta Alex, pilota d'aereo e padre di due figli. Difficile adesso credere che i cittadini di mezza Europa siano disponibili a tornare indietro. Il virus potrebbe avere infettato definitivamente carta e biro.
Nonno si uccide: “Non posso vivere senza vedere mio nipote”. Redazione de Il Riformista il 9 Aprile 2020. Sono tutte nel bigliettino lasciato per i familiari le motivazioni del gesto estremo compiuto da un anziano di Savona, che dopo tanti giorni di quarantena ha deciso di togliersi la vita buttandosi dalla finestra di casa. “Non riesco a vedere il mio nipotino. Non ha più senso vivere così”, queste le parole utilizzate dall’anziano sul foglio trovato dalle forze dell’ordine, intervenute sul luogo della tragedia dopo la segnalazione dei vicini. Il suo gesto estremo, raccontato dal ‘Secolo XIX’, non è purtroppo isolato. Nei giorni scorsi altri due anziani di Savona si erano tolti la vita, moralmente e psicologicamente fiaccati dall’obbligo di restare chiusi a casa, lontani dagli affetti familiari o dagli amici con i quali scambiare quattro chiacchiere. Gli anziani sono infatti una delle categoria a maggior rischio non solo di infezione da Coronavirus, ma anche per le conseguenze del lockdown in corso in tutta Italia. Carlo Vittorio Valenti, direttore del Dipartimento di salute mentale e dipendenze dell’Asl 2 di Savona, fornisce una sua ricetta per fare fronte all’emergenza: “Non bisogna sentirsi soli, è una fase passeggera, che verrà superata”, spiega al quotidiano ligure. “È importante che le persone sappiano che può accadere di sentirsi demoralizzati in una situazione del genere – spiega Valenti – Ma è altrettanto importante cercare un aiuto, perché è superabile. La depressione è caratterizzata proprio dal fatto che la persona vede il tempo che si ferma senza più riuscire a guardare avanti. L’aiuto in questo caso rimette in moto il tempo e ristabilisce il giusto ordine delle cose. Oggi gli anziani non possono vedere figli e nipoti, ma potranno tornare a farlo. I centri di salute mentali sono sempre aperti, per le urgenze, per gli appuntamenti programmati, ma, se la situazione è grave, gli operatori possono anche andare a casa. La disperazione del momento può essere affrontata con un supporto telefonico e anche per un breve periodo, atto a spezzare la situazione depressiva”.
Coronavirus, anziano si suicida in quarantena: “Non vedo mio nipote”. Annalibera Di Martino il 09/04/2020 su Notizie.it. A Savona un anziano è morto suicida dopo essersi lanciato dalla finestra di casa a causa della quarantena da coronavirus che lo costringeva a vivere lontano da amici e parenti, in particolare il nipote. Prima di compiere il gesto fatale ha scritto un biglietto d’addio: “Non riesco a vedere il mio nipotino. Non ha più senso vivere così”. A Savona un uomo si è gettato dalla finestra di casa perché non ha retto l’isolamento della quarantena. Questo caso si aggiunge ad altri due episodi di suicidio da parte di anziani, sempre a Savona, soffocati dall’obbligo di rimanere a casa lontano da amici e parenti. Proprio i parenti, in particolare il nipotino, l’ultimo anziano si è riferito nel suo biglietto d’addio. “Non riesco a vedere il mio nipotino – ha scritto l’uomo-. Non ha più senso vivere così”. Sono tante le storie di allontanamento tra amici, parenti ed anche tra padri e figli, come papà Francesco che si è dovuto allontanare per l’isolamento dalla figlia down Federica.
Le parole degli esperti. In merito alla questione dell’isolamento e le conseguenze che può comportare il distanziamento sociale nelle persone anziane è intervenuto Carlo Vittorio Valenti, direttore del Dipartimento di salute mentale e dipendenze dell’ Asl 2 di Savona. “Non bisogna sentirsi soli, è una fase passeggera, che verrà superata”– scrive l’esperto-.”Può accadere di sentirsi demoralizzati in questa situazione. Gli anziani non possono vedere figli e nipoti, ma torneranno a farlo. I centri di salute mentale sono sempre aperti e se la situazione è grave, gli operatori possono anche andare a casa”.
Istat: tutti in casa, ma per il 40% dei ragazzi spazi esigui e un terzo delle famiglie non ha il computer. La reclusione forzata per contenere l'epidemia ha messo a dura prova sia gli spazi abitativi, sovraffollati per quasi la metà delle famiglie, che la disponibilità di strumenti per il lavoro e lo studio, non omogenea. Penalizzato soprattutto il Mezzogiorno. RUR: case italiane in media 81 metri quadri, più piccole di quelle giapponesi, spagnole, francesi e tedesche. Rosaria Amato il 6 Aprile 2020 su La Repubblica. L'obbligo di rimanere a casa ha fatto emergere nel giro di poche settimane tutti i problemi legati all'inadeguatezza di molte abitazioni, all'insufficienza delle competenze informatiche e degli strumenti per lavorare e studiare a distanza. Oltre un quarto degli italiani vive in condizioni di sovraffollamento abitativo, rileva l'Istat in un'indagine appena diffusa, la quota sale al 41,9% per i minori. Le case abitate dagli italiani, emerge da un'indagine del think tank RUR (al quale partecipano, tra gli altri, Cdp, Unipol, Federcasa, Intesa Sanpaolo e Tim) in media misurano 81 metri quadrati, meno dei 95 del Giappone e dei 97 della Spagna, o dei 109 della Germania e dei 112 della Francia. E dunque questo rende più difficile la convivenza forzata per 24 ore al giorno, soprattutto con l'obbligo di ricavare per tutti o parte dei componenti della famiglia spazi adeguati di studio e di lavoro. Secondo Eurostat, tra i grandi Paesi europei l'Italia vive in una condizione abitativa più disagiata con il 30,9% dei nuclei con una disponibilità di spazi residenziali inferiore agli spazi europei di riferimento. Al 30,9% italiano si contrappone l'8,2% della Francia, il 6,3% della Germania e il 5% della Spagna. "Gli italiani, seppur forzatamente, stanno riscoprendo la vita domestica.- osserva il presidente della RUR Giuseppe Roma - ed è inevitabile che emergano i pregi e i difetti della propria abitazione. Il modello abitativo tutto proiettato verso l'esterno ci ha fatto sottovalutare le prestazioni dell'immobile in cui viviamo e ora ne rileviamo i limiti. Di questo bisognerà tenerne conto anche nel gestire la sacrosanta regolamentazione del lockdown". Le condizioni di disagio abitativo possono anche arrivare, attesta l'Istat, a condizioni di grave deprivazione: il 5% degli italiani vive in abitazioni che presentano problemi strutturati o che non hanno il bagno o la doccia con l'acqua corrente o che hanno problemi di luminosità. Ma non si tratta solo degli spazi. Lavorare o seguire le lezioni scolastiche o universitarie in casa richiede un'adeguata attrezzatura, di cui la media delle famiglie non dispone. Il 33,8% delle famiglie, rileva l'Istat, non ha computer o tablet in casa, la quota scende al 14,3% però nelle famiglie con almeno un minore. Pur sempre una percentuale elevata. Inoltre solo per il 22,2% delle famiglie ogni componente ha a disposizione un pc o tablet: per gli altri vale la gestione comune, con tutti i problemi e la sovrapposizione di impegni del caso in questo periodo. Nel Mezzogiorno la quota delle famiglie senza computer sale al 41,6%, un dato che potrebbe ancora di più scavare un solco nel grado di apprendimento scolastico tra le varie aree del Paese. C'è anche una forte differenza a vantaggio dei grandi centri, mentre nelle piccole città è più alta la quota di chi non ha un computer. Tra l'altro non è detto che chi dispone di un computer sia in grado di usarlo. Nel 2019 tra gli adolescenti di 14-17 anni che hanno usato Internet negli ultimi tre mesi ben due su tre hanno competenze digitali basse mentre solo meno di tre su dieci si attesta su livelli alti.
DAGONEWS il 5 aprile 2020. Stare al sicuro a casa durante la pandemia è un lusso offerto ai ricchi: i lavoratori a basso reddito non hanno altra scelta che essere in giro e a lavorare. È quanto emerge dai dati sugli spostamenti di Cuebiq, analizzati dal New York Times. A circa 297 milioni di americani - circa il 90 percento della popolazione - è stato ordinato di rimanere a casa dopo che almeno 38 governatori hanno firmato dei decreti che impongono alle persone di rimanere a casa. Ma mentre i ricchi si sono rintanati nelle loro case o sono fuggiti nelle loro seconde case lontane dalle città, le persone più povere negli Stati Uniti continuano a muoversi e hanno un rischio maggiore di essere contagiati. Non a caso, ad esempio a New York, i quartieri che sono più in emergenza sono il Queens e il Bronx. In generale i dati mostrano che le persone di tutte le fasce di reddito si muovono meno di quanto facessero prima dell'epidemia, ma le persone più ricche stanno a casa molto di più, specialmente durante la settimana lavorativa. Anche le persone nei quartieri a basso reddito delle aree metropolitane hanno drasticamente ridotto i loro movimenti, ma c'è stato un nuovo picco di movimenti dopo il terzo fine settimana di marzo con l'inizio della settimana lavorativa. Nelle aree in cui la differenza tra i più ricchi e i più poveri è meno netta, entrambi i gruppi hanno continuato a muoversi. «La gente vuole parlare di questo virus come un agente patogeno che colpisce tutti indistintamente, ma in realtà non lo è - ha detto al Times il dottor Ashwin Vasan, medico e professore di sanità pubblica presso la Columbia University – Si sta insinuando nelle fessure della nostra società». Ad accentuare la disparità di movimento è anche il tipo di lavoro differente tra le classi povere e i ricchi. Molti dei lavori classificati come essenziali sono spesso ricoperti da persone delle classi inferiori. Tra di loro ci sono coloro che lavorano nei negozi di alimentari, i lavoratori delle case di cura, il personale dei magazzino e i fattorini. Se lasciano il loro lavoro non hanno alcun diritto e non possono accedere all’indennità di disoccupazione. Quindi questi lavoratori non hanno altra scelta se non quella di recarsi al lavoro, spesso su metropolitane affollate. Al contrario, molti lavori ad alto reddito stanno dietro una scrivania, non sono considerati essenziali e o lavorano da casa o possono accedere alla disoccupazione. Gli spostamenti sono più frequenti tra i poveri anche per andare al supermercato. Fare scorte è un lusso che si possono permettere i ricchi.
Eleonora Barbieri per “il Giornale” il 5 aprile 2020. È dalla metà del secolo scorso che Franco Ferrarotti, uno dei padri della sociologia italiana (nel 1961 fu il primo a ottenere una cattedra, alla Sapienza di Roma, dove è ancora Professore emerito), osserva e studia la società nel nostro Paese. E ora che sta per compiere 94 anni (dopodomani), occasione per la quale l'editore Marietti 1820 ha deciso di pubblicare le sue Opere, delle quali usciranno gli ultimi due volumi (di sei) proprio questo mese, la società sembra vivere uno stravolgimento inaspettato, causato dalla pandemia di Coronavirus, che ci ha costretti a rimanere chiusi nelle nostre case, a cambiare abitudini di vita, ad adattarci a forme nuove di studio e di lavoro e ad avere a che fare con nuove paure e nuove preoccupazioni per il futuro. «Io sono chiuso qui, nella mia casa di Roma, e passo il tempo studiando, scrivendo, lavorando. Per me non è cambiato molto, ma per molti, che devono andare a lavorare fuori di casa, è dura...».
Proprio a questo proposito, professore, la situazione in cui ci troviamo sta facendo esplodere le differenze sociali?
«In maniera tremenda. E le dirò di più: c'è questo monito del Governo, restate a casa, non uscite, che va assolutamente rispettato, ma... e chi non ce l'ha, la casa? E chi ce l' ha, ma è un piccolo appartamento, in affitto, dove bisogna vivere in due adulti con due figli, e tocca prenotarsi per andare in bagno?».
Quindi?
«Quindi bisogna restare a casa, ma serve una casa comoda. Se lo spazio non c' è, o se la casa è inadeguata?».
È l' unico modo per arginare il virus.
«Dobbiamo stare a casa ma, proprio il fatto di doverci stare, significa aggravare, e rendere evidenti sotto gli occhi di tutti, le disuguaglianze sociali».
La più evidente qual è?
«Quella che colpisce il ceto medio e medio-basso, che cominciava a stare bene, ma in gran parte ha delle abitazioni inadeguate».
Ci sono persone, magari genitori soli, con due o tre figli, che devono uscire per andare a lavorare. E intanto dovrebbero anche aiutare i figli con la scuola...
«Sperimentiamo le conseguenze della pandemia in termini di stratificazione sociale, una stratificazione resa insopportabile dalle condizioni in cui siamo costretti. Sono situazioni drammatiche. La novità è che, mentre fino a tre mesi fa usavamo come criterio della disuguaglianza il reddito disponibile e la sua sicurezza, oggi dobbiamo aggiungere una nuova dimensione, legata allo spazio vitale, il Lebensraum dei tedeschi, e che è diventato il segnale più netto».
E i soldi non contano?
«Una famiglia del ceto medio, o medio-basso, che stava bene, all' improvviso si ritrova chiusa in casa, con i figli che non vanno a scuola e, magari, qualche vecchio nonno: è un problema tremendo, e insolubile monetariamente. Non si tratta dei seicento o dei mille euro, non è questo il punto. Bisogna misurare fino a quando potremo sopportare una situazione del genere».
Molti sono chiusi in casa, in una situazione quasi insopportabile. Però chi può lavorare da casa è in una condizione di maggiore sicurezza rispetto a chi deve recarsi al lavoro, magari con i mezzi pubblici e a contatto con altre persone. Si crea un' ulteriore disuguaglianza?
«Laddove è possibile, in questo momento il telelavoro è un privilegio. Però la maggior parte dei lavoratori subordinati non può lavorare da casa, come i metalmeccanici, o chi lavora nell' agricoltura. Sembra quasi una vendetta della natura, o del destino, che il Presidente degli Stati Uniti debba ammettere che la raccolta delle derrate è in una situazione di grave crisi, perché mancano i messicani che vanno a lavorare in California... E così avviene al Sud, dove gli ortaggi vanno a male, e si stima una perdita del 30 per cento».
Il telelavoro è un'opportunità?
«In una situazione così grave e di emergenza, per chi può, e può farlo decentemente, il telelavoro è una soluzione. Ma attenzione, il lavoro non è solo lavoro, è anche l' ambiente di lavoro, i compagni e le compagne: è un fatto sociale, non solo tecnico-produttivo, e questo aspetto si perde».
L'ambiente di lavoro è così importante?
«L'ambiente di lavoro a volte è tremendo, con gli screzi, i pettegolezzi, gli amorazzi e tutto quello che chiunque abbia lavorato in fabbrica o in ufficio conosce, o il mobbing fra impiegati... Però è importante e ha una sua funzione sociale, che viene meno nel telelavoro. Il telelavoro è una forma di distanziamento sociale che testimonia il venir meno della insiemità della società: è asociale, se non addirittura antisociale».
Ma in questo momento...?
«È il male minore, perché siamo in una situazione drammatica. Però questo dramma, questo virus, fa emergere anche la fragilità e i limiti del nostro delirio di onnipotenza tecnica. Fino a pochi mesi fa si parlava di tornare sulla Luna, di andare su Marte, dei robot che ci avrebbero sostituiti sul lavoro, che ci avrebbero fatto da badanti. Erano vaneggiamenti...».
La tecnica però ci aiuta.
«La tecnica è un valore importante ma, appunto, tecnico: è una perfezione priva di scopo, non ci dice da dove veniamo, non ci dice dove siamo e non dice nulla su dove andremo. La tecnica va governata. Grazie a questa sciagura siamo usciti dall' illusione che con la tecnica si possa risolvere tutto: ci sono dei valori strumentali, come la tecnica, e ci sono valori umani, come la giustizia sociale, il riconoscimento del valore della persona, il senso di uguaglianza, che questa terribile situazione ci fa riscoprire nella loro universalità».
Secondo le stime, una famiglia su cinque non può far seguire le videolezioni ai figli. Anche sulla scuola si misura la discriminazione?
«Secondo me questo numero è anche troppo positivo. Le famiglie italiane non possono offrire ai figli questi strumenti, ad alcuni servirebbero almeno tre computer... Questa è un'altra dimensione che misura la disuguaglianza sociale. E comunque la telelezione non risolve il problema: non c'è surrogato del rapporto diretto, faccia a faccia, fra l' insegnante e i suoi studenti».
E dopo, quando l'emergenza sarà finita, che cosa succederà?
«O si penserà, o meglio ci si illuderà, di poter tornare al mondo com'era prima, oppure - spero - i gruppi di chi governa e di chi influenza l'opinione pubblica capiranno che dobbiamo uscire da un sistema in cui il profitto, che è necessario, come indice sicuro di gestione razionale di un' impresa, sia concepito solo in termini di contabilità. Dovremo considerare le condizioni minime indispensabili per l' equilibrio eco-sistemico della società».
Che significa?
«Produrre a misura d' uomo. Non pensare solo alla massimizzazione cieca e furiosa del profitto, che può rompere l'equilibrio della comunità, e di cui oggi paghiamo un prezzo duro: serve un nuovo concetto di sviluppo, ritmato sulle esigenze dell' uomo, che non sono illimitate e assolute. Come diceva il mio maestro Adriano Olivetti, bisogna industrializzare senza disumanizzare. Sa, ho sempre pensato che la globalizzazione fosse quella delle grandi multinazionali».
E invece?
«La vera globalizzazione la sta realizzando il virus: colpisce tutti in tutto il mondo, nessuno è escluso. Questa è una esperienza davvero globale, una sfida tremenda e se, dopo, torneremo al mondo com' era prima, sarà la fine».
Da ilmessaggero.it il 30 marzo 2020. Choc a Villaguattera di Rubano, nel Padovano, dove un uomo di 54 anni si è soffocato con un sacchetto di cellophane in testa dopo aver scoperto di essere positivo al Coronavirus. Il fatto è accaduto sabato mattina ma è stato reso noto oggi. A dare l'allarme è stata la famiglia del fratello che abita nella villetta in fianco a quella dove si è consumata la tragedia. Davanti a casa, prima di accedere, i militari hanno trovato due foglietti con su scritto «Chiamate il 118, non entrate perché è contaminato». I militari della stazione di Rubano sono entrati insieme ai sanitari con tutte le precauzioni e in casa e hanno trovato l'uomo, titolare di una piccola impresa della zona, ormai esanime. Il pubblico ministero di turno dopo un primo esame del cadavere, ha restituito la salma alla famiglia per le esequie. «Sono affranta, mi dispiace che come comunità non riusciamo a intercettare queste profonde sofferenze» ha detto il sindaco di Rubano Sabrina Doni.
Davide Turrini per ilfattoquotidiano.it il 31 marzo 2020. Matrimonio in crisi a causa del coronavirus? Ci pensa lo psicoterapeuta britannico Andrew G. Marshall a darvi alcuni consigli per mantenere il vostro rapporto di coppia nei giorni di quarantena forzata e condivisa. Marshall parte dal presupposto di alcuni dati veri registrati in Cina a fine febbraio. A Dazhou, nella provincia del Sichuan, nella Cina sudoccidentale, dalla fine di febbraio almeno 300 coppie hanno fissato un appuntamento con un consulente matrimoniale per divorziare. Un’altra città, Fuzhou, nella provincia del Fujian è stata così sopraffatta dalle richieste che hanno fissato un limite al numero di divorzi consentiti ogni giorno, cioè dieci. “Le cifre che provengono dalla Cina non sono rassicuranti – ha spiegato Marshall – i funzionari cinesi dicono che c’è stato un aumento significativo di separazioni nelle coppie perché “trascorrono troppo tempo insieme a casa”. Trentacinque anni di esperienza nel campo dei rapporti di coppia, una ventina di libri pubblicati sull’argomento, Marshall mette in fila alcuni consigli pratici per non far scoppiare la coppia ai tempi del Covid-19. Caso numero uno: lavorare in due a casa, modello smart working. Marshall traccia una via mediana tra chi alza confini invalicabili casalinghi (chiudersi in una stanza e riemergere giusto a pranzo e cena) e chi mescola doveri e chiacchiere in un caos babelico. “Ci vogliono confini flessibili. Magari mettersi d’accordo per una pausa caffè, nessuna interruzione verbale ma qualche messaggino oppure una mail”. Problema numero due: la quarantena si protrae ad libitum e il partner, come non dargli torto, viene colpito da un attacco isterico/apocalittico sul suo futuro professionale e sociale. Suggerimento di Marshall: se nel rapporto in questo momento sei il “vincitore” e l’altra/o la vittima “mettiti nei panni della vittima (…) ma soprattutto ascoltala: chiedile “dimmi di più”, “come si può fare diversamente”, “quindi quello che stai dicendo è (riassumendo il suo punto di vista)”. Terzo problema: di fronte ti trovi l’ottimista modello è solo un’influenza, oppure il pessimista moriremo tutti lasciati soli in una corsia d’ospedale. Suggerimento dello psicoterapeuta: “riprendere il mito di Icaro e Dedalo” ovvero va bene non andare troppo verso il sole facendo sciogliere le ali di cera, ma nemmeno andare troppo in basso rischiando di bagnarsi le piume delle ali rischiando di non volare egualmente più. “Nelle crisi diventiamo più simili a noi stessi, ma dovete immaginare le questioni controverse tra voi come ci fosse un’altalena (emotivo/razionale; pessimista/ottimista, ecc…)”. Ebbene, “proprio come su un’altalena se ti trovi in alto spingi un po’ verso il basso e di rimando il partner scenderà quasi pari a te”. Quarta questione: il Coronavirus modificherà parecchie cose rispetto alla società che conoscevamo nel passato. Marshall suggerisce che tendenzialmente il cervello umano non riesce a percepire le opportunità quando vive un pericolo, quindi invece di parlare di problemi meglio parlare di momenti in cui le cose hanno funzionato. Lo psicoterapeuta inglese suggerisce che questo metodo usato spesso nelle aziende porta a risultati stratosferici soprattutto nell’imparare nuovamente a dividersi i compiti casalinghi tra cui buttare la spesa, riordinare gli armadi, pulire per terra e, aggiungiamo noi, visto che a parte in Francia li abbiamo solo noi italiani, compilare i lasciapassare senza errori di riga, numero e in una lingua decente.
Coronavirus, 10 motivi per essere felici in quarantena e smetterla di lamentarci. Pinella Petronio il 30 marzo 2020 su notizie.it. Senza sottovalutare il dramma della pandemia di Coronavirus, ci sono almeno 10 buoni motivi per essere felici in quarantena e smetterla di lamentarci. L’appuntamento quotidiano con il Bollettino della Protezione Civile alle 18. Le mille teorie di scienziati e virologi che pensano di avere ciascuno la verità in tasca e che ci fanno sprofondare in uno stato confusionale da cui non riusciamo ad uscire. I complottisti. Le polemiche. Lo sciacallaggio politico. Il cinismo. L’ignoranza. Mascherina sì, mascherina no. Quelli che cantano dai balconi. Quelli che odiano chi canta dai balconi perché dicono sia mancanza di rispetto per le vittime di Coronavirus. Le catene su whatsapp. La paura per quello che c’è fuori. La preoccupazione per il lavoro congelato fino a data da destinarsi. Ma si può essere felici in una situazione del genere? Sì, possiamo esserlo. Possiamo esserlo un po’ ogni giorno, anche se siamo in quarantena da ormai tre settimane.
Essere vivi. Ogni mattina, quando apriamo gli occhi, facciamo un respiro profondo per verificare che i nostri polmoni funzionino ancora. Appurare che funzionano. Sentirsi grati a Dio per questo.
Trovare modi alternativi per festeggiare il compleanno di un amico che compie gli anni in quarantena. Organizzare una videochiamata con gli amici più stretti. Reperire i palloncini che abbiamo in casa da Capodanno del 1998. Vestirsi bene, mettersi un filo di rossetto, preparare un piccolo aperitivo. Stappare una bottiglia di bolle insieme a lui. Il party che aveva sognato ci sarà, come quel viaggio che aveva preventivato di fare per festeggiare il suo compleanno. Serve solo pazienza. Il tempo è tutto quello che in questo momento abbiamo.
Ascoltare i nostri idoli cantare al pianoforte in diretta Instagram le canzoni che ci hanno accompagnati per tutta la vita. Perché la musica è conforto, leggerezza, ricordo, riflessione e serenità. Perché la musica ci salva sempre.
Fare un houseparty con la nostra migliore amica. Chiacchierare con lei come fossimo sedute al tavolo del bar dove siamo solite pranzare. Giocare con la sua bimba, a casa dal nido, che ci sorride dallo schermo arricciando il naso e salutando con la manina.
Sentire tutta la nostra famiglia ed essere confortati dal sapere che stanno tutti bene.
Vedere crescere il nostro nipotino, anche se dallo schermo di un telefonino. Vederlo prima camminare incerto, poi sicuro e spedito, poi correre da una parte all’ altra della casa, mentre saluta case, libri, auto, viaggi, fogli di giornale, perché nel frattempo ha anche imparato a dire “Ciao ciao”. È incredibile quante cose imparano a fare nel giro di poche settimane.
Le piccole botteghe di quartiere, che si stanno adoperando per non farci mancare nulla in questi giorni di reclusione e di lunghe code al supermercato. Il momento esatto in cui suonano alla porta e ti recapitano frutta e verdura fresca, litri di vino (non è un bene di prima necessità, ma in questi giorni difficili un bicchiere di rosso è un vero conforto), uova fresche, pane e latte. Addentare laprima fragola di stagione. Esprimere un desiderio.
Aprire la finestra e rendersi conto che è primavera. Lo sa il sole diventato più caldo e lo sa l’albero nella piazza di fronte che si è riempito di foglie verdi su quei rami che prima erano spogli. Le lenzuola fresche di bucato. Anzi, ancora meglio. La combinazione lenzuola pulite, shampoo appena fatto e pigiama profumato di ammorbidente.
Prepararsi un piatto di spaghetti alle vongole. O uno di Gricia. O uno di pasta al forno. O un risotto. Insomma, coccolarsi con il cibo (e senza troppi sensi di colpa) può regalarci un momento distraordinaria felicità.
Questo non significa essere frivoli e superficiali, sottovalutare il dramma della pandemia o non avere il cuore a pezzi per chi non ce l’ha fatta. Questo significa imparare a vivere meglio, forse anche bene, in una situazione di temporanea cattività.
Alberto Mattioli per “la Stampa” il 30 marzo 2020. Dal Quirinale giurano che si è trattato di uno sbaglio vero, invece che di un geniale colpo di comunicazione. Fatto sta che il fuorionda dell' ultimo discorso alla Nazione di Sergio Mattarella, finito su tutti i social, l' ha reso ancora più simpatico di quanto non fosse già. Il Presidente che lamenta l' impossibilità di sistemare un candido boccolo ribelle perché «nemmeno io vado dal barbiere» non ha fatto solo il pieno di tweet e di rispettosi sorrisi. Fotografa anche un danno collaterale dell' epidemia: quello del popolo al mondo più attento all' aspetto e che riesce anche a curarlo di più, insomma modestamente noi italiani, impossibilitato a farsi bello. Come tante Manon lì a brontolare «Dispettosetto questo riccio!», ma senza un Figaro di pronto intervento. Le tragedie vere, ovvio, sono ben altre. Però questo virus sta infliggendo all' intera Italia anche la disfatta del look, la Caporetto dell'eleganza, l' Otto settembre dello chic. Infatti sul web, l' unica agorà rimasta aperta, è tutto uno sfogo e un lamento. Dopo tutta questa reclusione, finte bionde (o more, o rosse) sono ormai state smascherate da ricrescite impietose. La prima vittima della reclusione permanente è la loro permanente. Franano complicate architetture pilifere e arditi riporti, hipster isterici sono in crisi da astinenza dal barbiere di fiducia, e avere recluso con sé qualcuno in grado di maneggiare forbici e rasoio è altrettanto ambito che convivere con Bottura o Cracco (noi single, al solito, siamo spacciati). Il revival risorgimentale, fra Inni e Tricolori, non è solo sui balconi, ma nelle facce di chi li occupa: tutti zazzeruti come Garibaldi, baffuti e barbuti come Vittorio Emanuele II, talmente peloso che la Regina Vittoria ne fu scandalizzata. E non parliamo degli abiti. Con una vita sociale ridotta a "scendere" il pattume e a "pisciare" il cane (sic, e la Crusca si arrenda), c' è gente già curatissima che da settimane vive in pigiama e ciabatte quando proprio vuol mettersi in ghingheri indossa la tuta. Gli aperitivi su Skype svelano celebrate bellezze ed ex dandy spettinati, disordinati, sciatti (forse anche non lavatissimi? Chissà. Certo, in tinelli spesso deplorevoli). Ora, sarà certo giusto, come raccomandano tutti dal Papa in giù, fare della catastrofe un' occasione di palingenesi generale. Benissimo puntare sull' essere e non sull' apparire, concentrarsi sull' essenziale, diventare belli dentro invece che fuori. Ma, conoscendo gli italiani, scommetteremmo che non hanno soltanto voglia di uscire. Hanno soprattutto voglia di uscire per andare dal parrucchiere e dall' estetista, a fare shopping e in palestra. Memento mori, ma in ordine. Se Apocalisse dev'essere, che sia almeno elegante.
Massimiliano Parente per il Giornale il 29 marzo 2020. Insomma, è come se fossimo tutti agli arresti domiciliari, un' esperienza straniante per tutti. E io, tra una partita alla Playstation e una serie su Netflix, mi domandavo come passano vip, scrittori, intellettuali la loro quarantena. Per cui mi sono attaccato al telefono e ho chiesto a chi mi veniva in mente cosa faceva.
Il primo della mia lista è stato Silvan, con cui amo spesso chiacchierare. «L' esperienza più assurda è stata andare a fare la spesa, per la prima volta in vita mia. Avevo un cappello, gli occhiali scuri, la mascherina, l' impermeabile, sembravo l' uomo invisibile. Ci ho messo due ore, perché non trovavo niente». Grazie alla quarantena abbiamo scoperto un trucco che Silvan non sa fare: trovare un barattolo in un supermercato.
Invece Roberto D' Agostino non se la passa tanto male, anche perché dice che non è più un essere umano. «Sono un computer con due gambe e la panza, e pensa, sono passato da due a tre milioni di visitatori». Se le case editrici sono chiuse, e i giornali vivacchiano, Dagospia va alla grande.
Marisa Laurito mi risponde con la sua voce allegra e sento rumore di pentole, di mestoli, «Ma che fai cucini?». «Io cucino sempre, anche se ora non posso invitare nessuno.» Anche Enrica Bonaccorti si dedica alla casa ma differenza della Laurito «vorrei tanto imparare a cucinare», e così Barbara D' Urso, «ho già preso un chilo», fa. «Tranquilla», le dico, «mi piaci anche chubby».
Giampiero Mughini fa la vita di sempre: «sto chiuso in casa a leggere.
È il lusso della vita». Vittorio Feltri continua a lavorare senza problemi: «La mia vita non è cambiata. Mangio e dormo a casa mia, a Milano, e il resto della giornata come al solito lo trascorro a Libero. Mi manca un ristorante dove ogni tanto recarmi a cena per svago. Mi manca anche il Bar Basso dove al sabato e alla domenica mi facevo uno spritz con mia moglie. Per il resto, nessun problema. La mia vita come tutte le vite è una catena di banalità».
Tra i miei amici scrittori Barbara Alberti è passata dallo stare chiusa nella casa del Grande Fratello Vip a stare chiusa in casa sua, e osserva: «Non c' è più un millimetro di tv radio rete che sia esente dal virus, 10 per cento informazione, 90 per cento chiacchiere vane che provocano ansie intollerabili. Appena ascolto mi sento tutti i sintomi, e aspetto la morte. Ho l' orecchio destro a pezzi, perché la gente chiusa in casa si attacca al telefono».
Telefonino che tormenta anche Diego De Silva: «Vivo piantato al computer come un nerd fuoricorso. Ma il vero protagonista di questi domiciliari è il telefonino. Tu sei lì che aspetti con ansia il nuovo modello dell' autocertificazione, che proprio non vedi l' ora di sapere le novità, e ecco che ti arriva un video spiritosissimo. Allora lo apri, lo vedi fino in fondo e dici: Ah ah ah, com' è divertente questo video».
Piersandro Pallavicini, sublime scrittore e scienziato, mi dice: «Non sono abbastanza sereno per scrivere narrativa. Allora leggo e guardo Vita da strega e Omicidi in paradiso in tv». Idem, Giuseppe Culicchia legge molto e guarda serie tv, «poi un giorno sì e l' altro no mi infilo una tuta da palombaro e esco a fare la spesa».
Gipi, il fumettista più bravo d' Italia, non mi dice niente perché non vuole essere nominato nei miei articoli, si è già dovuto dissociare più volte da me neppure potessi contagiarlo peggio del Coronavirus, e mi sbatte giù il telefono, quindi lo rispetto e non lo nomino, Gipi.
Emilio Pappagallo, il direttore di Radio Rock, commenta che come me neppure prima usciva mai di casa, a parte per andare in radio, ma proprio adesso che non può farlo per decreto ha una gran voglia di uscire.
Sempre restando tra i protagonisti della radio, chiedo anche a Giuseppe Cruciani, che mi racconta la sua giornata. «Ho sempre odiato le folle, però mi mancano terribilmente. Vado in radio. Ritorno a casa. Incursioni compulsive su Netflix, Prime, Sky e altro per scegliere l' ennesima serie dopo averne viste dieci in quattro giorni e scegliere puntualmente quella sbagliata. Sprofondare nel divano. Alzarsi rincoglionito la notte, azzannare cioccolata fondente cento per cento, la più amara sul mercato, sonno tormentato. Speranze zero. Vaffanculo».
Infine, per quanto mi riguarda sto scrivendo un libro insieme al neuroscienziato Giorgio Vallortigara, che sarà pubblicato da La Nave di Teseo, e parlerà dell' esistenza e dell' essere umano. Perfetto scriverlo di questi tempi, abbiamo trovato anche un titolo molto rassicurante: Lettere dalla fine del mondo. Amen.
La mappa della nostra era glaciale: così il coronavirus ha congelato l’Italia. Dal blocco della Lombardia, tra le prime zone rosse del Paese insieme a Emilia Romagna e Veneto, fino al lockdown. Fermare il Paese per arginare la diffusione della pandemia. Nell'arco di un mese come sono cambiati gli spostamenti degli italiani? Ecco la mappa interattiva che mostra quanto è diminuita la mobilità della popolazione. Marco Belpoliti il 29 marzo 2020 su La Repubblica. Vista dallo spazio la Terra presenta diversi colori, ma quello dominante è il blu a causa dell’ossigenazione dell’atmosfera che la circonda. Il poeta Paul Eluard, ben prima che gli astronauti della NASA la fissassero in una serie di memorabili scatti, aveva scritto nel 1929 che “la Terra è blu come un’arancia”. Secondo il tempo atmosferico, coperta o no dalle formazioni stratiformi di nuvole biancastre, il nostro Pianeta appare da distante una sfera avvolta dai mari: blu e azzurro sui margini. Nella visione azimutale offerta da Teralytics, a partire dalla data del 23 febbraio una porzione minuscola del Pianeta, l’inconfondibile Stivale, isole comprese, passa in modo progressivo dal giallo punteggiato di rosso all’azzurro. A ben guardare la mappa degli spostamenti degli italiani si nota già a quella altezza la tendenza alla colorazione azzurra della Lombardia nelle aree attorno a Lodi e territori limitrofi, e in Veneto nella zona prossima alla costiera adriatica. Mentre il cursore della mappa interattiva avanza sciorinando una data dopo l’altra, l’azzurro pallido scivola sempre più verso sud, in Romagna e nelle Marche, come un’inarrestabile colata. Giorno dopo giorno tutto si tinge di azzurro, seppure tra macchie rosse – le zone montane – e il giallo del Centro Sud ancora molto attivo negli spostamenti. Il 10 marzo la Penisola è infine completamente azzurra e il blu diviene assai intenso dal 15 del medesimo mese. Sembra che un’era glaciale abbia di colpo investito l’Italia, segno d’un raffreddamento improvviso del clima: tutto si è fermato. Il blu è il colore della profondità, il colore preferito dalla stragrande maggioranza delle persone, contrapposto al rosso, che è invece il colore del calore, dell’azione, del movimento e della congestione. Nel corso della sua storia la Terra ha conosciuto diverse glaciazioni, l’ultima è la cosiddetta “piccola glaciazione” avvenuta tra la metà del XIV secolo e la metà del XIX. L’abbassamento improvviso della temperatura del Pianeta Blu portò a una serie d’inverni molto freddi nell’Europa e nell’America del Nord. Qualcosa di simile sembra avvenire in queste ultime settimane. L’Italia diviene blu marino, profondo come il fondo d’un oceano. La fossa delle Marianne dell’immobilità viaria è il Trentino – blu tendente al nero – e la Valle d’Aosta, le due regioni ai piedi delle montagne. Una macchia compatta scura è il segnale che la stasi è diventata dominante. L’Italia si è non solo virtualmente, ma anche realmente, ossigenata. Le strade sono deserte: statali, superstrade, autostrade e svincoli sono attraversati solo da camion, Tir e autoarticolati, e solo rare autovetture. Le città italiane somigliano sempre più alle fotografie di Gabriele Basilico: vuote e deserte, come se fossero state abbandonate dai loro abitanti fuggiti altrove. Nel simbolismo medievale il blu era un colore pacifico, il simbolismo contemporaneo, secondo Michel Pastoureau, ne fa un colore neutro. Nella mappa della mobilità congelata questa neutralità non s’evidenzia. Sembra invece che l’Italia sia stata ricoperta di colpo dalle acque, da cui era emersa molti milioni di anni fa per diventare il più bel posto del mondo: il Bel Paese.
L'impatto del coronavirus sulla mobilità degli italiani. Jaime D'Alessandro il 29 marzo 2020 su La Repubblica. Il movimento è la chiave di ogni epidemia, dice molto non solo di come si propaga ma anche delle nostre reazioni. Quel che state vedendo è un’elaborazione della Teralytics, azienda cofondata a Zurigo nel 2013 dal trentunenne Georg Polzer, sull’intensità degli spostamenti in Italia fra il 23 febbraio e il 25 marzo. Regioni che pian piano diventano azzurre e poi blu, con il crollo della mobilità, e altre dove invece parallelamente il tasso di spostamenti aumenta prima della chiusura definitiva delle attività nel Paese. “Abbiamo usato i dati delle sim telefoniche di 27 milioni di persone. Dati anonimi, ovviamente”, racconta Polzer. “Da sempre, il nostro lavoro consiste in questo: l’analisi di informazioni provenienti dagli operatori telefonici che la Teralytics è in grado di rendere omogenei e quindi trasformare in un tassello importante per le strategie di aziende coinvolte nel settore dei trasporti. Non è un lavoro semplice, serve un gruppo specializzato, per questo le telco si affidano a società come la nostra”. La compagnia svizzera, 60 dipendenti tutti attorno ai trent’anni e due sedi principali in Svizzera e Stati Uniti, compie queste analisi usando le informazioni prodotte da circa mezzo miliardo di persone dagli Stati Uniti a Singapore. E ora, con il Coronavirus, ha deciso di dare una mano “per spiegare a tutti quanto può esser pericoloso spostarsi durante una pandemia”, come spiega il confondatore. Prendete il 5 marzo, l’ultimo picco prima che l’Italia si tingesse gradualmente di blu. Nel Paese gli spostamenti erano in media già calati del cinque per cento. Ma si andava dal meno 33 di Lodi al più 14 di Matera, il più 37 di Cosenza, il più 10 di Perugia. Tre giorni dopo, quando Milano chiude e c’è un’ultima fuga verso il Sud, tutte le regioni sono ormai ferme con un meno 28 per cento sulla media della mobilità prima dell’emergenza sanitaria. Le ultime aree in positivo si registrano il 6: Terni in Umbria, Quartu e Sant’Elena in Sardegna, Avellino in Campania. Il 25 marzo l’Italia è una chiazza blu scuro, anche se con sfumature diverse, e si arriva a meno 71 per cento. “Ora stiamo proponendo un progetto basato su questo tipo di analisi al governo tedesco”, conclude Georg Polzer. “Quella che vediamo qui è una misurazione dell’intensità degli spostamenti, dunque non una ricostruzione di quanti ad esempio si sono mossi da un punto A ad un punto B”. Ma possono arrivare a quel dettaglio volendo, dando un quadro molto utile a chi cerca di arrestare il contagio limitando i danni.
La storia di Elsa, anziana che telefona a caso: “Le mie uniche amiche sono morte, mi fai compagnia?” Redazione de Il Riformista il 23 Marzo 2020. “Salve, sono Elsa e sono sola. Le mie due uniche amiche sono morte, vuole parlare un po’ con me?” Così esordisce al telefono una signora anziana chiusa nella sua casa di Bergamo da ormai ventisette giorni. Dopo la morte delle sue due uniche amiche con cui condivideva chiacchierate e qualche ora di svago, Elsa è rimasta da sola e l’unica compagnia che riceve è quella del servizio della spesa a domicilio. Come sappiamo le restrizioni dettate dal governo a seguito dell’emergenza coronavirus non permettono ravvicinamenti o contatti prolungati, per questo quando i volontari le consegnano la spesa lasciano le buste fuori dalla porta ed è l’unico momento in cui Elsa può avere la vicinanza di qualcuno. Così un giorno la signora Elsa prende il telefono e comincia a comporre numeri a caso pur di parlare con qualcuno e avere un po’ di compagnia. La storia, riportata da MilanoEvents, è stata raccontata da Franco, un uomo anche lui chiuso in casa da quasi quattro settimane con la sua famiglia che è stato ben lieto di passare un po’ di tempo a chiacchierare con Elsa. Infatti, l’anziana signora prima di Franco aveva parlato con altre persone che però, seppur in maniera gentile, l’hanno respinta non capendo forse lo stato di Elsa e la sua esigenza di sentirsi meno sola. Così al terzo tentativo è riuscita a rintracciare la bontà di Franco che le ha tenuto compagnia: “Buon pomeriggio, mi scusi, lei non mi conosce e il suo numero l’ho fatto a caso, prendendolo dall’elenco telefonico. Sono Elsa, di Bergamo, vivo sola e sono chiusa in casa da ventisette giorni, non ho nessuno. Il mio telefonino è un po’ vecchiotto come me, ma fa ancora il suo dovere. La spesa me la portano una volta a settimana alcuni volontari e me la lasciano fuori dalla porta con un buongiorno e se ne vanno, sono tanto cari – continua Elsa-. Le mie amiche purtroppo non ci sono più e avevo bisogno di ascoltare qualcuno, perciò mi son detta provo a fare qualche numero, i primi due mi hanno mandato a quel paese, ma in modo gentile. Mi può dire gentilmente con chi sto parlando e chi è che mi sta ascoltando, mi dica anche solo un buon buongiorno”. Così dopo una conversazione di mezz’ora in cui si sono raccontati un po’ di storie per conoscersi, Franco ha invitato Elsa a richiamarlo ogni volta che ne sentisse l’esigenza. La storia di Elsa è in realtà quella di molte persone anziane che in questi giorni si sentono sole e che, soprattutto, rischiano il pericolo di non poter ricorrere in un aiuto qualora incorressero in un malore o avessero bisogno di una mano. Per questo alcuni comuni, come quello di Bergamo, hanno aderito ad una campagna per suggerire di stare vicino alle persone sole. Lo stesso Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in risposta ad una lettera ricevuta dal presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier , ha posto l’accento sulla profonda importanza che la generazione più anziana ha per la società, soprattutto come guida per quella più giovane e che in questo momento drammatico sta subendo una decimazione. In questi giorni l’invito è dunque quello di stare più vicino alle persone sole con particolare attenzione per la popolazione anziana.
Coronavirus, convivenza «stretta» in appartamento? Le regole della psicologa (e l’importanza dell’ordine). Pubblicato martedì, 24 marzo 2020 su Corriere.it da Chiara Maffioletti. Una guida per vivere bene a casa. Quando l’impensabile diventa il quotidiano, cambiano anche i consigli di cui si ha bisogno. E così, se storicamente ci si prepara alla vita fuori dal nido, in queste lunghe giornate di convivenza prolungata è più che mai indispensabile riflettere su come stare al meglio dentro case che — per quanto grandi — sembrano quasi sempre piccolissime. Peggio, ovvio, se i metri quadrati da condividere sono pochi davvero, come per la maggior parte delle famiglie che abitano in città. La mappa dell’esistenza di molti si esaurisce in due o tre stanze che, vista l’emergenza, vanno ripensate per essere sfruttate al meglio. La psicologa e psicoterapeuta Silvia Vegetti Finzi non ha dubbi in proposito. «Partiamo dalla cucina — dice —. Anche in questi giorni è il cuore operativo della casa, ma può diventare tante cose diverse a seconda di chi la sfrutta. L’idea è che chi di solito ne ha il monopolio, provi il piacere della latitanza, lasciando cucinare chi di solito lo fa meno». In questo modo, frigo e fornelli «possono trasformarsi in un laboratorio. Vedo più spesso uomini per cui la cucina è un territorio di sperimentazione: si mettono al lavoro e nel mentre sembrano scienziati, creando sempre una certa suspense». In questo senso, l’idea è lasciar fare, «lasciar fare il più possibile senza interferire. Chi è solito stare in cucina deleghi agli altri il più possibile, ma sempre con la regola che chi fa poi pulisce anche». E se vale per gli adulti, c’è una nuova dimensione che questo spazio può avere anche per i bambini: «Per loro può diventare una sala giochi: lì è possibile coinvolgerli in ricette semplici, o riordinando la spesa o le posate: mettere in ordine le cose è sempre molto importante per tutti, perché è un’attività tranquillizzante e consente di riordinare anche i propri pensieri». Il salotto è un area in cui gli spazi «devono essere regolamentati strettamente: non vanno sovrapposti gli impegni. È chiaro che se una persona vuole guardare la tv, l’altra invece sta giocando e l’altra ancora sta facendo lezioni scolastiche da remoto, il tasso di litigio potenziale si alza a dismisura. Per evitare che accada bisogna stabilire tutto con orari precisi, come se fossimo in un convento medievale: del resto siamo una comunità che vive in clausura. Quindi, la soluzione è scandire il tempo con orari precisi in cui si fanno le diverse attività. In generale, il mio consiglio è di lasciare che il tempo dedicato al pranzo e alla cena veda tutti seduti attorno al tavolo, meglio se con la televisione spenta: solitamente non si riesce a parlare per la fretta delle nostre giornate, ora invece c’è la possibilità di fermarsi e lasciarsi andare alla condivisione». Quello della camera da letto è un capitolo a parte: «Se gli spazi vanno sfruttati più che mai, la camera da letto, specie quella matrimoniale, dovrebbe rimanere il più possibile vuota e silenziosa. Un luogo dove chi ha bisogno di quindici minuti di pausa possa ritirarsi senza timore di essere interrotto dal tran-tran. Insomma, uno spazio riservato». Se il salotto diventa campo giochi, sala ritrovo, area scuola, la camera matrimoniale dovrebbe restare il posto in cui si cerca e si trova silenzio. Diverso l’approccio con la cameretta dei bambini: «In questa situazione non vanno ossessionati con il rimettere in ordine ogni giorno, ma almeno una volta alla settimana un grande riordino con loro va fatto: serve per riflettere, è utilissimo. Aiutarli a scegliere che giochi non sono più adatti alla loro età è un modo per metterli in contatto con la loro evoluzione, con il loro diventare grandi. Vanno quindi incentivati a liberarsi dei giochi che non usano più: anche se si possono innescare dinamiche conflittuali è importante metterli di fronte alla conferma della loro crescita». Quindi, uno spazio molto delicato: il bagno. «Parola d’ordine: turni. E poi, come per la cucina, il bagno va lasciato come lo si era trovato. Suggerisco un po’ più di indulgenza con gli adolescenti: spesso per loro è un buon ritiro e visto che tra tutti gli adolescenti sono i più colpiti da questa reclusione serve con loro più tolleranza». Balconi e terrazzi, infine, «vanno valorizzati il più possibile, anche quelli condominiali. Per piccoli che siano vanno considerati, per prendere un poco di aria, o di sole. Meglio ancora se possono essere utilizzati per fare una qualche attività fisica, dallo stretching in su. In generale, quello che più aiuta in una condizione come quella che stiamo vivendo è la fantasia: il morale alto arriva il più delle volte da lì».
Coronavirus, quanto ancora usiamo i mezzi pubblici città per città. Panorama 20 marzo 2020. Sono i napoletani ad avere quasi smesso di usare autobus, metropolitane, tram e treni regionali. In Campania si sora il 90 per cento. La situazione in Italia A brevissima distanza seguono palermitani e trapanesi, dove la diminuzione in confronto a due mesi fa è dell'88,6 per cento. Più operosi rimangono i genovesi (-80,2 per cento) e i veneziani (-81,9 per cento). Mentre Roma e Milano si piazzano su una via di mezzo tra i due estremi: nella capitale il calo degli spostamenti è dell'84,3 per cento (e coincide quasi con Torino), all'ombra della Madunina è dell'83,4 per cento. A dirlo sono le rilevazioni a cura di Moovit, tra i leader mondiali nel trasporto pubblico, presente in 220 centri del Bel Paese. Qui sotto ci sono i graci città per città, che riettono anche le diverse modalità decise dal governo per fermare le attività e chiudere la stragrande maggioranza dei negozi. Prima avviate in alcune zone del Nord Italia, poi in tutto il Bel Paese. La considerazione complessiva che si può fare è che, specie negli ultimi giorni, non si va mai sotto la soglia dell'80 per cento nell'abbandono. Oppure, ribaltando la lettura, al massimo il 20 per cento dei cittadini continua a prendere i mezzi pubblici. Fino alla settimana scorsa non era così. In città come Roma il calo era davvero contenuto e una considerazione analoga si può fare per Palermo o Genova. Molto interessante l'andamento di Venezia, che ha avuto un picco per tutta l'ultima parte di febbraio, no a vedere le frequenze scemare lentamente. Molto dipende dal fatto che la laguna si è progressivamente svuotata di turisti. «Monitorando l'affluenza dei passeggeri a bordo dei mezzi pubblici si ha una fotografia completa della situazione in Italia» afferma Samuel Sed Piazza, country manager di Moovit in Italia. «Ciascun paese ha risposto all'emergenza Coronavirus con tempi e modalità differenti, tempi completamente sovrapponibili alle curve di utilizzo della nostra app da parte degli utenti. Al lavoro del nostro gruppo operazioni, si aggiunge un contributo straordinario dei volontari della community digitale che, dai territori, aggiornano costantemente l'app con tutte le modiche al servizio di trasporto pubblico in oltre 220 città italiane». Al di là degli andamenti, questi grafici ci dicono una cosa rassicurante. Ed è bene ribadirla: l'uso dei mezzi pubblici è crollato un po' ovunque. E diversi esperti hanno confermato che vagoni e vetture sono luoghi in cui il contagio si propaga facilmente. La speranza è che averli lasciati semivuoti abbia permesso di rispettare le distanze di sicurezza a bordo e dunque contribuire a far scendere la curva che ci interessa di più: quella dei contagi.
Stefania Piras per “il Messaggero” il 20 marzo 2020. Strade vuote? No, non completamente. Dalle rilevazioni della Polizia di Roma Capitale emerge che ci sono ancora persone e auto in giro. Sono tante, troppe, e non aiutano la politica del contenimento del Coronavirus. E un altro dato che spicca è questo: chi si sposta con l'automobile capita anche che faccia degli incidenti. E quando chiama i vigili per i rilievi non sa fornire una spiegazione valida sul perché si trovasse fuori casa. E infatti per un tamponamento avvenuto tre giorni fa, i due automobilisti coinvolti sono stati denunciati. Gli ultimi dati aggiornati parlano di incidenti dimezzati. Prendendo come riferimento l' arco temporale da lunedì 9 marzo (giorno in cui scatta il primo importante decreto di stop alla circolazione) al 15 marzo e mettendolo a confronto con i cinque giorni della settimana precedente sul territorio urbano di Roma, c' è stato un calo sensibile degli incidenti. Si sono più che dimezzati. Dal 9 al 15 marzo si sono verificati 173 sinistri, di cui un terzo con feriti. La settimana prima, dal 2 all' 8 marzo erano molti di più: 506. Prendendo una giornata tipo come mercoledì 4 marzo su tutto il territorio capitolino si sono registrati 118 interventi per incidenti stradali con feriti e senza. Mentre nella giornata di mercoledì 11 marzo ci sono stati 46 incidenti. Meno della metà. E tra questi pochi casi emergono spostamenti non necessari. Dal Comando della Polizia Municipale si attendono comunque una ulteriore riduzione degli incidenti in questi giorni. Si aspettano soprattutto di non trovare persone in strada senza motivo. É importante infatti rispettare tutti i limiti imposti per contenere il contagio. In tempi normali, senza restrizioni al traffico, rapportando i morti e i feriti alla popolazione, Roma si colloca al 4° posto nella classifica delle sette città più grandi per quel che riguarda i tassi mortalità (con 5,2 morti ogni 100mila abitanti) e al 5° posto per i feriti (544 feriti ogni 100mila abitanti). Gli utenti deboli sono pedoni e anziani. Nel 2018 a Roma sono stati registrati circa 1.720 incidenti circa in cui sono rimasti coinvolti anche dei pedoni. La metà dei decessi di pedoni è a carico di persone anziane, di età superiore ai 65 anni, mentre per i feriti un terzo era a bordo di veicoli (conducenti o accompagnati), con un' età compresa tra i 30 e i 44 anni. Comparando il tasso medio di mortalità della città nel suo complesso - che è pari a 5 morti ogni 100mila abitanti - si rileva che ben 8 dei 15 municipi hanno un tasso di incidentalità superiore al valore medio. Guida la graduatoria il IV municipio, con un tasso di mortalità di 8,5 morti ogni 100mila abitanti, il 70% in più della media generale. Numeri che nei prossimi report dovranno fare i conti con un marzo decisamente atipico per l' incidentalità ma anche per il traffico.
Coronavirus, ora che l’ozio è legge a noi italiani non piace più. Giampiero Casoni il 23/03/2020 su Notizie.it. È la forma che ci ha fatto amare l’ozio. Finché ce lo davamo noi lo rincorrevamo, oggi che ce lo danno altri ci pare più una regola da violare che non come un’opportunità da cogliere. Gli italiani e l’ozio hanno una lunga e collaudata amicizia e, a voler essere gentili, i due non si sono mai accapigliati più di tanto. Al di là dei regionalismi che vorrebbero il Bel Paese fratto in settori dove l’ozio diventa via via totem da venerare o aberrazione da combattere, stare in panciolle piace a tutti. Però noi italiani all’ozio ci dobbiamo arrivare autarchici e sornioni, morbidi diciamo. Se il fancazzismo ce lo impone una regola, o peggio una legge, allora cambia tutto, allora fare qualcosa ad ogni costo diventa una questione di principio. Anche se la cambiale da pagare è morire sfiatando l’anima in un lettino di terapia intensiva impestati da Covid 19, anche se la deroga potrebbe partorire la condanna a morte per chi ti sta vicino o incrocia la tua strada. E cassare il tutto con il più laconico dei “siamo fatti così” sa di schiaffo in faccia a quella storia di civiltà e autodeterminazione che noi italiani, in tempi di quiete sociale, siamo sempre pronti a tirar fuori come un pagliaccetto ammonitore per chiunque volesse metterci in discussione. Ma non abbiamo capito una cosa, neanche ora che la vite è stata stretta ancor più: che questi non sono i tempi gigioni della speculazione farlocca che evochiamo per far vedere, rigorosamente sui social, che le biblioteche le abbiamo inventate noi. Questi sono tempi dove la tragedia si è fatta polpa di ogni attimo, accucciata un bivio essenziale e scarno: o si sta a casa oppure si prende il virus, si scarrozza il virus, si attacca il virus e si innesca un meccanismo per cui qualcuno, con probabilità altissime, smette di vivere e scatena una tempesta di dolore e devastazione emotiva in qualcun altro e alla via così, in una mattanza frattale. È la matematica della sofferenza che proprio ci sfugge, anche quando quei numeri ci dicono che il cancellino sta in mano a noi e che la lavagna è dove viviamo, facciamo la spesa, compriamo medicine e mesti andiamo al lavoro. Ma noi no: fino ad uno sputo di ore fa noi si scivolava nel sintetico della tuta e si andava per ciclabili a fare jogging ad ansimare fiati spezzati in gola ad altri coglioni come noi, noi si organizzava la bisbocciata condominiale per sputacchiare particole di birra tiepida sui nasi di chi con noi aveva promosso quel convivio scemo, noi ci si intruppava in auto a bighellonare intorno all’isolato in cerca di uno spinello con quella battuta cretina di quel film cretinissimo pronta a spiegare tutto mentre ridevamo come ebeti: “Di qualcosa si dovrà pur morire”. E si badi bene, l’uso dell’imperfetto è imperfettissimo ché c’è ancora chi si cimenta. Si tratta di un esorcismo sociale che fa tanto figo e allontana l’immagine di tua madre che si strozza nel muco sotto una tendina di plastica perché tu volevi vivere quando buon senso e legge ti dicevano che dovevi sopravvivere. E la cosa grave è che il buon senso dovrebbe sempre giocare d’anticipo sulla regola e lasciarla indietro di due spanne, facendo in modo che la legge certifichi uno stato di fatto già acquisito per cultura sociale, non che determini una severa sterzata in abitudini altrimenti inviolabili e incasellate nella menata collutorio delle sacre libertà individuali. Pare sfuggire a molti che per avere delle libertà individuali serve che ci siano individui vivi che ne possano godere. E tutto questo, anche a fare la tara all’etica, con uno Stato che tutto sommato ci aveva chiesto di stare in casa a poltrire, ad ammazzarci di streaming, supplì e social, ad ingrassare assieme a quegli affetti di cui sentenziavamo grevi di sentire tanto la mancanza quando la vita era normale, quando dirlo faceva sciallo ma non faceva danno, perché avevi sempre una scappatoia per non praticare quello di cui pontificavi serio, hai visto mai nonno rompa un po’ troppo i cosiddetti. È la forma che ci fotte, quella forma che ci impedisce di capire che la statistica è la legge più maledetta di tutte, perché dice che se hai la testa nel frigo e il culo nel forno dovresti stare mediamente bene, e invece hai solo le testa ghiacciata e il culo in fiamme. È la forma che ci ha fatto amare l’ozio fin quando ce lo davamo noi ed oggi che ce lo danno altri ce lo fa vedere come una regola da violare e non come un’opportunità da cogliere. Perché quell’opportunità, a voler dare un peso alle parole oggi che moriamo di Covid, scavalca gagliarda l’immagine di noi che troneggiamo pigri sul divano mediamente certi che la conta finale delle bare non includerà noi o chi amiamo. Quell’opportunità, a voler correggere questo immane strabismo, si chiama vita.
La rivincita degli sdraiati. Serena Coppetti il 17 marzo 2020 su Il Giornale. Alza lo sguardo dal cellulare e mi pianta gli occhi addosso. Mi sento nell’angolo, con lo spazio che si stringe come dentro un bel golfino di cachemire appena uscito da un lavaggio sbagliato. “Ma-sai- quante-ore-di-utilizzo-mi-dà?”. L’adolescente in pigiama h24 sorride e scandisce le parole bene bene. Aspetta una risposta. Vorrei gridare no, che non lo voglio sapere, per favore per favore non me lo dire. Ma non grido. Più che altro per i vicini. E non dico neanche niente perchè tutti gli psicologi hanno detto e ripetuto di cercare di allentare le inevitabili tensioni da convivenza forzata facendo finta di non sentire. A volte. Questa è una di quelle. Quindi mi tappo le orecchie. Pure quello virtualmente, come tutto il resto di questi tempi. Perchè me lo dirà, eccome se me lo dirà, non vede l’ora. Come biasimarla d’altronde? È la sua rivincita. La loro rivincita. La rivincita degli sdraiati. Mi rivedo girare come una matta per casa e anche fuori via telefono. “Smetti di usare quel cellulare” “non puoi stare così tanto davanti alla playyyy” metti via il computer, tecnologia sempre tecnologia, basta, ti rimbambirai, ma esci no? non vedi che c’è il sole? vai a correre, una passeggiata che so porta fuori il cane almeno quello! Vabbè sai che c’è? Allora porti giù la spazzatura…Voci corali di genitori a qualunque latitudine d’un tratto zittite. C’è il virus. Il coronavirus che si è insinuato nelle nostre vite. E se anche siamo sani, o portatori sani o chi può dirlo, questo bastardo con la corona dietro si è portato anche una miriade di valletti. Niente di biologico per carità, per questa corte del re che si è un po’ impadronita di noi tutti. Si è intrufolata nelle nostre case, tra le nostre 4 mura di gente che rispetta le regole, che si è spartita la casa per le videochat, le videolezioni, lo smartwork, la smartschool, la ginnastica e ha ribaltato il ribaltabile. Gli sdraiati sono stanchi di sdraiarsi.Vogliono uscire. Portare fuori il cane. Almeno scendere per la spazzatura. Sono stufi del cellulare, di guardare la tv, del computer. Vogliono tornare a scuola. Cioè dico: vogliono-andare-a-scuola. Gli mancano persino i prof e non siamo alle elementari dove la maestra ti manca quasi come la mamma se non la vedi per due giorni. È la loro rivincita. Il cellulare è diventato l’àncora di salvataggio di un mondo capovolto dove ci si litiga il WiFi come i centimetri quadrati. Il cellulare ti porta fuori, ti fa vedere gli amici, la fidanzatina, ti fa chattare con i compagni mentre la prof parla parla parla parla. E il resoconto del tempo trascorso on line che diligentemente ti viene riportato non conta più un bel niente. Perché otto-due ci sono le lezioni eppoi il rientro al mercoledì dalle due alle quattro. Eppoi vuoi non distrarti un po’ alla play, dopo oddio sono all’ultima puntata di Elite, alle 18 aperivirus e houseparty… Ogni tanto azzardo… ehi ma non potremmo fare che so un bel gioco di società, riguardare i filmini di quando eravate piccoli? “Mamma” (mi incolla nell’angolo, sempre quello del golfino di cachemire, l’adolescente), “ma sei sempre al computer pure tu, no?”
Monica Serra per "lastampa.it" il 17 marzo 2020. Silvia, mamma single, ha due bimbe di 3 e mezzo e 5 anni. Otto ore al giorno di lavoro in smart-working «che così ha ben poco di smart», i genitori anziani lontani, barricati in casa per paura del virus e nessun compagno con cui dividere il peso di queste giornate. Marco è un manager in carriera. Dal suo ufficio, in cui trascorreva 12 ore al giorno, ha sempre amato moglie e figlia. Ma ora che è costretto a condividere con loro tutto, si sente oppresso e si chiude in macchina per evitare di ascoltarle, «perché urlano e parlano, parlano troppo». Luca, giovane avvocato, divide la sua casa a Milano con due coinquilini. Uno ha la febbre alta da giorni ma non vuole chiamare il 112 e lui è arrabbiato, ha paura e minaccia di denunciarlo.
L’allarme. L’altra faccia del coronavirus è questa: la “convivenza coatta” in case spesso troppo piccole per rispondere alle esigenze di tutti, una condizione straordinaria a cui nessuno era pronto. «È una condanna agli arresti domiciliari e abbiamo appena iniziato a scontare la pena», riflette il professor Fabio Sbattella, ordinario di Psicologia delle emergenze all’università Cattolica di Milano. «Tra le molte difese dell’essere umano c’è l’evitarsi. Allontanarsi per tornare vicini. La costrizione negli stessi spazi, un bilocale, un trilocale, può essere un modo per guardarsi in faccia e affrontare i problemi che sono ordinari in ogni famiglia, ma fa saltare le difese e molte situazioni rischiano di esplodere». Tant’è – spiega il docente che coordina l’associazione Esprì, Emergenze sociali e psicologiche di ricerca e intervento – che le ricerche fatte sulle famiglie post-terremoto, in Italia e in Albania, e sulle coabitazioni di blocco «dimostrano che dopo situazioni di questo tipo si registra un aumento di divorzi. E, a distanza di uno, tre anni un aumento di suicidi o atti di autolesionismo». Questo anche perché «ci sono tante famiglie che vivono già situazioni di disagio, di dipendenze da alcol o droga, di maltrattamenti, che questa condizione non può che aggravare. Cosa può significare per una ragazza che soffre di anoressia essere costretta a sedersi a tavola due volte al giorno con tutta la famiglia?».
I deboli. La convivenza coatta mette in crisi soprattutto le persone più fragili: chi è solo, i tossicodipendenti. «Ma i sintomi si manifestano anche in chi non ha un disturbo e si trova costretto a risolvere problemi legati alla sospensione della normalità», sottolinea Armando Toscano, psicologo e manager del terzo settore che in questi giorni di emergenza coordina due sportelli: uno di ascolto gratuito e l’altro di lezioni quotidiane di yoga. La situazione straordinaria che stiamo vivendo «genera un rapporto anomalo tra genitori e figli, tante preoccupazioni per gli anziani che non vivono in famiglia che si sentono isolati. E, non riuscendo a soccombere all’esigenza di socialità con Skype o Facebook come fanno i più giovani, finiscono per uscire più spesso e mettere a repentaglio la loro vita». Poi ci sono le preoccupazioni lavorative di tanti precari che devono barcamenarsi come meglio possono. E la questione della percezione e della gestione del tempo che si è dilatato. È un momento di prova importante per le coppie, di rivoluzione delle abitudini quotidiane. «L’invito a tutti è quello alla tolleranza e alla disponibilità», consiglia lo psicologo. «Bisogna cercare di creare una nuova struttura per la gestione del tempo: darsi degli appuntamenti quotidiani e onorarli per creare movimenti relazionali: momenti in cui si è insieme e momenti in cui si ha una propria intimità». E come si fa quando si condivide un piccolo bilocale? «Bisogna organizzarsi, tenere i ritmi». L’importante è darsi degli appuntamenti e rispettarli. «Il segreto è dedicarsi ai propri interessi chiedendo di non essere disturbato».
PIERA MATTEUCCI per repubblica.it il 19 marzo 2020. L'appuntamento quitidiano alle 18, affacciati a finestre e balconi, è ormai un rituale che in tanti aspettano contando i secondi. Gli aperitivi virtuali, organizzati in videochiamata ognuno dal divano di casa sua, cercano di attenuare la nostalgia per gli incontri abituali alla fine della giornata di lavoro. E poi le lezioni di fitness e di cucina seguite in gruppo sul web per stare in compagnia ai tempi del coronavirus, con video e foto che invadono la rete. Invece Beppe Fiorello ha postato una foto diversa, bacchettando chi ironizza sull'epidemia e richiamando al silenzio e al rispetto, in onore di chi ha perso la vita a causa del virus. "Camion militari per portare le bare dei morti e ancora si canta sui balconi, si fanno battutone spiritose su questa tragedia epocale, si fanno happening sui social. Dobbiamo fare tre giorni di lutto nazionale, rispetto per i morti e le loro famiglie, social sì ma senza fare festa", si legge in un tweet postato dall'attore, in cui si vedono mezzi militari impegnati a trasportare le salme delle vittime. Parole che hanno scatenato un acceso dibattito tra i fan dell'artista e non sono mancate le critiche. Per Gabri i canti dai balconi "sono come scongiuri collettivi, io penso, per scacciare l'angoscia, la claustrofobia, la tensione della convivenza o della solitudine forzata. Non sono certa che sia mancanza di rispetto". Dello stesso parere è Jacopo che si dichiara in totale disaccordo con Beppe Fiorello e difende la libertà di ognuno a reagire a proprio modo alla tragedia. C'è anche chi, come Elena, condivide la posizione di Fiorello, ma è preoccupata per le conseguenze che un clima fatto soprattutto di ansia e solitudine possa avere sui più giovani: "Pensiamo anche ai ragazzi, ai bambini, vedere speranza dalle finestre può conservare salute psichica. Non possono vivere solo nella paura che respirano intorno. E neppure gli anziani".
Domenico Quirico per “la Stampa” il 22 marzo 2020. Vedo appesi a balconi e finestre cartelli con la scritta perentoria «tutto andrà bene», addobbata spesso di soli sfavillanti e fiori variopinti; disegnati, mi sembra, dalla mano di bambini, un espediente per interrompere la noia delle giornate chiusi in casa. All' ora fissata scattano in città e paesi le note di canzoni, inni, bric a brac musicali in cui ognuno cerca di far rumore: come nei riti primitivi, per spaventare gli spiriti maligni della malattia e della morte. E nelle immagini televisive perfino anziani si affacciano alle finestre e mimano, penosamente, il rito; e penso ai giorni, neanche troppo lontani, in cui si rassicurava, con scientifico cinismo, ripetendo che, per uccidere, questo virus anagraficamente giudizioso sceglieva soltanto i vegliardi. Provo fastidio, sì, il fastidio che nasce da ciò che è inopportuno, da un annaspare impudico. E so di non essere il solo. Questi riti di riscossa collettiva che la tragedia ha innescato erano, forse, accettabili nei primi giorni, quando ci sfuggivano i contorni numerici del disastro, intendo non economico ma umano. Ebbene: lo ripeto, sommessamente, e credo non essere il solo. Quando vedo e ascolto tutto questo il dolore come un cane feroce salta fuori dal buio e mi azzanna. Adesso ci sono i morti, migliaia di morti, è terribile. No. Non è andato tutto bene. La malattia non è una galleria da attraversare in fretta, è una scienza difficile. È il cammino più diretto, più duro. Di per sé non rende certo migliori. Prima di uscir sul balcone a cantare «azzurro» o «volare» bisognerebbe pensare a luoghi come Bergamo. Lo fareste, lì? Avreste il coraggio di farlo, lì? Bisognerebbe pensare un attimo al volto dei morti. Dove viene cancellato via tutto, sorrisi tristezza malizia afflizione. Tutto è spazzato via. Voi state cantando e intanto altri cadaveri vengono portati via dagli ospedali che scoppiano, avviati verso cimiteri trasformati non più in luoghi di lutto ma in camere di distruzione. I morti ce li portiamo in noi. Basta chiudere gli occhi per sentirne il respiro sul collo. Una situazione che richiede coraggio determinazione volontà per spartire un destino impone di spartire soprattutto la semplicità di un esistere che ci leviga come un ciottolo di fiume. Cantare e fare disegnini non è un pensiero raccapricciante? Mi interrompo. E domando: la realtà della morte, individuale e collettiva, non impone il dovere della riflessione muta, la immensa difficile dignità del silenzio? È quella che incontri in tanti luoghi del mondo dove la tragedia non è eccezione ma quotidianità, quel tanto di indomito che entra nel sangue delle popolazioni abituate a strappare la vita dalle pietraie. Silenzio che è dignità, energia non fatalismo o rassegnazione. Già sento l' accusa. Ecco qua! Il Savonarola che predica la lugubre mestizia, il narcisismo paralizzante dello stracciarsi le vesti, il viaggiare lo scoramento. Niente affatto. Credo sia proprio il contrario. La pandemia è una minaccia da cui dobbiamo difenderci con tutte le forze perché la possibilità di uscirne deriva, anche, dal fortissimo impegno morale con cui la affrontiamo. Ma interrogarsi sulla morte, con dignità, in silenzio, non è un dovere culturale che questa vicenda ci impone?
Giuseppe Fantasia per huffingtonpost.it il 21 marzo 2020. “La musica? Per me - e non solo per me - ha un valore assoluto e importantissimo, ma in questo momento non ha nessun valore. Non è che in una situazione del genere mi metto ad ascoltarla così da potermi consolare per quello che accade”. Sentire una frase del genere fa sempre uno strano effetto, ma quando a dirtela a telefono dalla sua casa romana è uno dei più grandi compositori italiani di tutti i tempi - vincitore, tra gli innumerevoli premi e riconoscimenti, anche di un Oscar alla Carriera (nel 2007) e di un Oscar per la Migliore Colonna Sonora (per “The Hateful Eight” di Tarantino nel 2016) – beh, allora l’effetto non potrà che essere ovviamente più forte. “Sono chiuso a casa con mia moglie Maria e penso che questo isolamento necessario stabilito dal Governo sarà sufficiente ad arginare il male che in qualche maniera ci circonda”, spiega Ennio Morricone all’HuffPost. “Non compongo e non ascolto musica, non è questo il momento”, aggiunge. L’ultima volta che lo abbiamo incontrato è stato verso la fine di gennaio di quest’anno e lui era più emozionato che mai. Elegantissimo, aveva appena ricevuto in Senato un premio alla carriera e non riusciva a parlare. Uno come lui, così schivo e timido, a tratti diffidente, ma brusco solo in apparenza perché sempre gentile a suo modo, alle parole ha sempre preferito le note - la sua musica - quella con cui è riuscito a raccontare storie dal valore universale che dal grande cinema alla televisione, dalla direzione d’orchestra alla composizione hanno saputo incantare intere generazioni divenendo testimonianze viventi del genio e dell’eccellenza italiana nel mondo. Se “Per un pugno di dollari” del suo ex compagno di banco alle elementari ed amico fraterno Sergio Leone o “Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Petri e “Nuovo Cinema Paradiso” di Tornatore (con cui ha scritto “Ennio un maestro”, Harper Collins) sono diventati dei film cult, lo dobbiamo a lui che oggi, a 91 anni, ha realizzato musiche per più di 500 film e serie tv oltre che opere di musica contemporanea. È stanco ed emozionato anche questa volta, ma si tratta di emozioni ovviamente ben diverse per via dell’emergenza Coronavirus in corso.
Ha paura?
“Certo, come tutti. Nei giorni scorsi, mia moglie ed io siamo stati molto preoccupati per uno dei miei figli che non è stato bene, ma adesso sta meglio e ne siamo sollevati. Per il resto, però, siamo certamente preoccupati per quello che sta accadendo. Io lo sono molto”.
Che effetto avrà su tutti noi questa situazione che stiamo vivendo?
“In generale e indipendentemente dall’età che si ha, una pandemia simile ci porta a stare comunque più a casa, a riscoprire il nostro tempo e la calma, a intensificare gli affetti, a scoprire noi stessi”.
Qual è la sua regola?
“È una e soltanto: stare calmi. Per il resto io scrivo, leggo, guardo i notiziari, mi informo, ma bisogna stare calmi”.
Tempo fa ha dichiarato che il genere western è stato solo il 7% della sua produzione e che ha scritto anche per il Papa. Cosa ha pensato quando ha visto in tv o sui giornali Papa Francesco a passeggio al centro di Roma fino alla chiesa di San Marcello al Corso?
“Ha fatto bene. Bisogna pregare per noi italiani e per il resto del mondo: chi può farlo se non uno come lui?”.
Le piace Papa Francesco?
“Molto. Da sempre ho una grande fiducia e una grande simpatia per lui e mi piace quello che dice e che fa. Questo suo ultimo gesto dimostra ancora di più la sua grandezza”.
E di personaggi come il presidente americano Trump e il premier inglese Johnson, invece, cosa ne pensa?
“Penso che hanno fatto male – soprattutto il primo ministro inglese - a non prendere in mano la situazione sin da subito e seriamente avendo come esempio l’Italia e noi italiani. In ogni caso, anche altri Paesi europei sono in ritardo. È una situazione che non sappiamo dove ci porterà”.
In questi giorni moltissime persone hanno fatto e continuano a fare flashmob alle finestre con canti e balli: le piacciono?
“A me questo fatto che molti cantino dai balconi o tra di loro e che sventolino le bandiere, da un lato fa simpatia, dall’altro lo ritengo inopportuno”.
È comunque una reazione per continuare a vivere e a sperare, le risponderebbero i più.
“Certo, un po’ di leggerezza può aiutare, non c’è alcun dubbio, ma in questi giorni c’è stata una percentuale molto alta di morti e ci vorrebbe più rispetto. Mi chiedo cosa pensino tutte quelle persone in quei momenti: secondo me pensano solo a loro stesse”.
Cosa consiglia di fare, quindi?
“Gliel’ho già detto: bisogna stare calmi”.
Grazie.
“Sono io che la ringrazio e mi deve perdonare se la mia prosa in questa occasione non è stata poi così brillante”.
Tra concerti e gag sui social, ecco come vivono gli italiani in quarantena. Concerti dai balconi, flash mob e video ironici sui social network: così gli italiani sdrammatizzano l'isolamento per il coronavirus. Elena Barlozzari e Alessandra Benignetti, Mercoledì 18/03/2020 su Il Giornale. "La decisione giusta oggi, è quella di restare a casa. Il nostro futuro è nelle nostre mani. Ed è per questo che le misure fino ad ora adottate in Lombardia sono estese a tutto il territorio nazionale". Iniziava da qui, da queste parole, pronunciate dal premier Giuseppe Conte in diretta da Palazzo Chigi, una nuova stagione. Quella delle regole, della responsabilità, dei sacrifici. Quella dell'Italia "zona protetta" e del "restare a casa". È una limitazione senza precedenti. Libertà e diritti fondamentali vengono messi da parte in tutto il Paese. Uno sforzo collettivo che servirà, dicono, a fermare il coronavirus, ad evitare che il nostro sistema sanitario collassi. Sarà questione di settimane? Di mesi? Nessuno può dirlo con precisione. Si procede per tentativi, per ipotesi. Si vive sospesi nel presente. Rinchiusi, quasi rannicchiati, nell'unico spazio di libertà concesso: le nostre case. Si può uscire, sì, ma con parsimonia. Solo per lavoro, salute o necessità stringenti. Non ci si può più incontrare, ritrovare, assembrare. Ci ritroviamo tutto d'un tratto da soli. L'animale sociale è in gabbia. Ogni giorno è alla ricerca della chiave per evadere, per rendere l'isolamento meno pesante. Saremmo in grado di sopravvivere se non esistessero i social network? Non c'è una risposta. Ma possiamo affermare con sicurezza che mai prima d'ora ne abbiamo fatto un uso così virtuoso. Sono la nostra finestra sul mondo. Il nostro modo per dire "andrà tutto bene". Tre parole che nelle settimane dell'emergenza sono un mantra. Una mamma di Bologna le ha fatte diventare la parola d'ordine di una challenge che sta spopolando in rete. L'appello è stato raccolto da tutta Italia: da Bergamo a Catanzaro, da Como a Ragusa, passando per Modena e Roma. Intere famiglie si sono riunite in soggiorno ed hanno dipinto su carta e lenzuoli. Il risultato lo vediamo comparire sulle nostre bacheche, dalle facciate dei palazzi. Gli stessi palazzi che ogni giorno prendono vita, sempre alla stessa ora, con decine di persone che si affacciano per cantare l'Inno di Mameli, Azzurro, Ma il cielo è sempre più blu. O anche semplicemente per ringraziare con un applauso i veri eroi di questi giorni: medici e infermieri. È un appuntamento fisso. Non ci sono liste né privé. Tutti possono partecipare. Chiara Ferragni e Fedez ormai sono degli habitué, con tanto di consolle e casse che rimbombano tra i grattaceli di design della City Life milanese. Anche Giuliano Sangiorgi, frontman dei Negramaro, si è affacciato dal balcone della sua casa romana. Chitarra alla mano ha regalato al vicinato un brano scritto appositamente per l'occasione: "Io resto a casa". "Lunghe ore passate ad aspettare che qualcuno sappia dire qualcosa che faccia sperare, che questa maledetta storia sia sul punto di finire e insieme finalmente noi domani torneremo ad uscire", canta Sangiorgi. Nel frattempo, però, si può uscire anche con l'immaginazione, come testimoniano i tanti video apparsi sul web. Video ironici che raccontano di un Paese che non si è scoraggiato, che non rinuncia a sorridere. Scorrendo Facebook o Instagram, ad esempio, ci si può fare un'idea di come molte famiglie stiano trascorrendo questa quarantena. Tra giochi, scherzi e gag divertenti. Non c'è limite alla creatività. Gli appassionati di sport continuano ad allenarsi. Qualcuno ha scambiato il tragitto che va dal balcone alla cucina per una pista ciclabile, qualcun altro invece, pancia sullo skateboard, nuota lungo il corridoio. E per prendere una boccata d'aria? Niente paura, basta portare a passeggio un peluche. Si può anche invitare ad uscire il proprio partner senza infrangere le regole, organizzando una cena romantica in balcone. Continuando a navigare nella rete si trova di tutto. C’è chi si allena sui tetti dei palazzi e chi corre in bici sulle terrazze condominiali. Una coppia di anziani si è accomodata sul divano. Vestiti da mare sorseggiano un aperitivo davanti al televisore che trasmette immagini di spiagge tropicali e paesaggi incontaminati. La stessa idea è venuta ad una famiglia, che ha allestito uno stabilimento balneare in soggiorno. Sono immagini che ci strappano un sorriso. Dietro c’è il sacrificio di una comunità che fa la sua parte per sconfiggere questo nemico invisibile e riappropriarsi della normalità. Allora torneremo a confrontarci con le piccole difficoltà di tutti i giorni, con la consapevolezza di avere una marcia in più.
Francesco Persili per Dagospia il 17 marzo 2020. «Prima di cantare Azzurro, Il cielo è sempre più blu è giusto fare un minuto di raccoglimento per tutti i morti. Per alcuni andrà tutto bene, per altri è già andato tutto male». Enrico Mentana la tocca piano in diretta Instagram con Pardo nella versione social di ‘Tiki Taka’ (‘Tiki Kasa’) ai tempi della quarantena. «È una situazione paragonabile all’11 settembre. Ora come allora non sappiamo come andrà a finire. Siamo chiusi come quelli del Decamerone di Boccaccio nella Firenze della peste e non sappiamo se durerà 10 giorni o 60». Incertezze e speranza. Le misure di contenimento si spera che diano i primi risultati, le analisi scientifiche dei ricercatori sulla diffusione del coronavirus dicono che “la crescita esponenziale del contagio” pare essere finita. Nell’attesa di risultati concreti, si prova a pensare altro. Si ride con l’imitazione di Costanzo griffata Savino, Ciro Ferrara propone una versione voce e chitarra de “Il Mio canto libero e poi scherza su Maradona (“Non sono io che ho giocato con lui, è lui che ha giocato con me”). Il re dei bomber Immobile parla del gol più bello della stagione: «Quello al Milan, di testa, che non è il mio forte. E poi era il numero 100 con la maglia della Lazio». Gigi Datome in collegamento da Istanbul ricorda che il campionato turco di basket è l’unico che non si è ancora fermato. Potrebbero bloccarlo oggi. Intanto hanno chiuso i locali notturni. Siamo tutti sotto lo stesso cielo. La «bellezza indifesa» di Milano (copy Pardo) è quella di tante metropoli europee. Ma ci sono città che soffrono più di altre. «Mia moglie è di Bergamo, ho i miei suoceri là, non li vedo da un mese. Vedo troppa gente in giro, mi dà fastidio». Stefano Sorrentino, ex portiere del Chievo, racconta la sua nuova vita da attaccante in seconda categoria dove sta ritrovando lo spirito del calcio più autentico. «Un mondo nuovo. Sto assaporando un altro lato del pallone. Al primo allenamento con la mia nuova squadra il capitano mi ha dato il benvenuto allacciandomi gli scarpini. Ho avuto la fortuna di giocare fino a 40 anni in A, adesso è come tornare bambini, mi diverto». Bebe Vio teme per i Giochi Olimpici: «Farli o meno in questo momento non è la priorità per il Paese». Solidarietà e rispetto delle regole. Niente cassanate. Anche Fantantonio si allinea. «Se continuate a uscire, nel 2040 siamo ancora qui. Due settimane fa pensavo che questo virus fosse una cosa superficiale, invece c’è da prendersi paura». E quindi? «State a casa, vedete film e fate figli». Cassano si esalta parlando di Ilicic: «Se avesse incontrato Gasperini 10 anni fa, sarebbe diventato uno dei 5 calciatori più forti al mondo. Se fosse stato alla Juve al posto di Dybala tutto il mondo parlava di lui». Ma i se e i ma nel calcio non esistono. Anche "il Peter Pan" di Bari Vecchia poteva diventare il più forte di tutti. «Se non lo sono diventato, è colpa mia». Ma i calciatori con una marcia in più li sa riconoscere subito. «Luis Alberto? Giocatore fortissimo, grande merito a Inzaghi. Era un centrocampista estroso, ora è completo. Con Milinkovic e Immobile sta trascinando la Lazio». Il colpo del futuro? «Carrascal del River Plate, un Kakà di 20 anni»…
Monica Serra per “la Stampa” il 17 marzo 2020. Silvia, mamma single, ha due bimbe di 3 e mezzo e 5 anni. Otto ore al giorno di lavoro in smart-working «che così ha ben poco di smart», i genitori anziani lontani, barricati in casa per paura del virus e nessun compagno con cui dividere il peso di queste giornate. Marco è un manager in carriera. Dal suo ufficio, in cui trascorreva 12 ore al giorno, ha sempre amato moglie e figlia. Ma ora che è costretto a condividere con loro tutto, si sente oppresso e si chiude in macchina per evitare di ascoltarle, «perché urlano e parlano, parlano troppo». Luca, giovane avvocato, divide la sua casa a Milano con due coinquilini. Uno ha la febbre alta da giorni ma non vuole chiamare il 112 e lui è arrabbiato, ha paura e minaccia di denunciarlo. L' allarme L' altra faccia del coronavirus è questa: la "convivenza coatta" in case spesso troppo piccole per rispondere alle esigenze di tutti, una condizione straordinaria a cui nessuno era pronto. «È una condanna agli arresti domiciliari e abbiamo appena iniziato a scontare la pena», riflette il professor Fabio Sbattella, ordinario di Psicologia delle emergenze all' università Cattolica di Milano. «Tra le molte difese dell' essere umano c' è l' evitarsi. Allontanarsi per tornare vicini. La costrizione negli stessi spazi, un bilocale, un trilocale, può essere un modo per guardarsi in faccia e affrontare i problemi che sono ordinari in ogni famiglia, ma fa saltare le difese e molte situazioni rischiano di esplodere». Tant' è - spiega il docente che coordina l' associazione Esprì, Emergenze sociali e psicologiche di ricerca e intervento - che le ricerche fatte sulle famiglie post-terremoto, in Italia e in Albania, e sulle coabitazioni di blocco «dimostrano che dopo situazioni di questo tipo si registra un aumento di divorzi. E, a distanza di uno, tre anni un aumento di suicidi o atti di autolesionismo». Questo anche perché «ci sono tante famiglie che vivono già situazioni di disagio, di dipendenze da alcol o droga, di maltrattamenti, che questa condizione non può che aggravare. Cosa può significare per una ragazza che soffre di anoressia essere costretta a sedersi a tavola due volte al giorno con tutta la famiglia?». I deboli La convivenza coatta mette in crisi soprattutto le persone più fragili: chi è solo, i tossicodipendenti. «Ma i sintomi si manifestano anche in chi non ha un disturbo e si trova costretto a risolvere problemi legati alla sospensione della normalità», sottolinea Armando Toscano, psicologo e manager del terzo settore che in questi giorni di emergenza coordina due sportelli: uno di ascolto gratuito e l' altro di lezioni quotidiane di yoga. La situazione straordinaria che stiamo vivendo «genera un rapporto anomalo tra genitori e figli, tante preoccupazioni per gli anziani che non vivono in famiglia che si sentono isolati. E, non riuscendo a soccombere all' esigenza di socialità con Skype o Facebook come fanno i più giovani, finiscono per uscire più spesso e mettere a repentaglio la loro vita». Poi ci sono le preoccupazioni lavorative di tanti precari che devono barcamenarsi come meglio possono. E la questione della percezione e della gestione del tempo che si è dilatato. È un momento di prova importante per le coppie, di rivoluzione delle abitudini quotidiane. «L' invito a tutti è quello alla tolleranza e alla disponibilità», consiglia lo psicologo. «Bisogna cercare di creare una nuova struttura per la gestione del tempo: darsi degli appuntamenti quotidiani e onorarli per creare movimenti relazionali: momenti in cui si è insieme e momenti in cui si ha una propria intimità». E come si fa quando si condivide un piccolo bilocale? «Bisogna organizzarsi, tenere i ritmi». L' importante è darsi degli appuntamenti e rispettarli. «Il segreto è dedicarsi ai propri interessi chiedendo di non essere disturbato».
Ernesto Galli Della Loggia per il “Corriere della Sera” il 17 marzo 2020. Dove sono andati a finire - mi domando da giorni di fronte allo spettacolo dei tricolori esposti alle finestre, all' inno nazionale intonato da mille voci - dove sono andati a finire, che cosa hanno da dire quelli de «L'identità italiana non esiste»? quelli che si proclamavano orgogliosamente «Contro le radici»? (sono, alla lettera, i titoli di due libri in commercio)? quelli che fino a ieri proponevano di mettere al bando parole come nazione e nazionalità perché secondo loro contenenti «un potenziale violento pronto a giustificare aggressioni civili e guerre»? (come se nel corso della storia gli esseri umani per scannarsi non avessero utilizzato sempre di tutto, da Dio alla libertà, al socialismo). Dove sono gli intellettuali - in buona parte storici ahimè - che per anni sono andati sostenendo le idee di cui sopra? La verità è che l' attuale epidemia sta rivelando in modo esplosivo ciò che ogni persona non imbevuta di fantasticherie ideologiche ha sempre saputo. E cioè che quando arrivano i tempi in cui è questione di vita o di morte (mai espressione fu più appropriata) allora conta davvero chi parla la tua stessa lingua e condivide il tuo passato, chi ha familiarità con i tuoi luoghi e ne conosce il sapore e il senso, chi canta le tue stesse canzoni e usa le tue medesime imprecazioni. Che solo da quello puoi aspettarti (e anche esigere, non chiedere, esigere!) un aiuto generoso e immediato. Non si chiama sciovinismo. Si chiama nazione, collettività nazionale, sentimento di appartenenza ad essa, e insieme allo Stato che quella collettività tanto tempo fa si è data. Cose che possono restare a lungo nascoste ma che vengono poi fuori a un tratto, all' improvviso: quando è necessario trovare un posto letto con un respiratore, schierare un gruppo di soldati sulle strade, o magari mandare semplicemente un aereo a recuperare qualcuno all' altro capo del mondo e né Lufthansa né Ryanair rispondono al telefono.
Noi abbracciati al tricolore Italiani «brava gente»? Soprattutto gente seria. Pubblicato mercoledì, 18 marzo 2020 su Corriere.it da Paolo Di Stefano. Sarebbe confortante non dover aspettare la catastrofe per ritrovarci uniti sotto la stessa bandiera. Ma bisogna accontentarsi. Nei momenti drammatici (più ancora che nei momenti del trionfo sportivo), eccoci qua tutti a sventolare il tricolore dai balconi e dalle finestre, a cantare l’Inno di Mameli, probabilmente perché, come dice il proverbio (italiano), l’unione fa la forza, e Dio solo sa di quanta forza e pazienza ed equilibrio e fiducia abbiamo bisogno in questi giorni. Non essendo più d’attualità l’uomo forte, di cui sentivamo la nostalgia fino a ieri, eccoci uniti in quel noi collettivo che ignoriamo nella normalità. Lo sa bene il presidente della Repubblica, che, celebrando il 159° dell’Unità d’Italia, ha richiamato il Paese all’urgenza del sentirsi insieme parlando di una necessità stringente e invitando a una unità sostanziale. Celebrazione spogliata di cerimonie, ma scolpita in quei due aggettivi così severi, «stringente» e «sostanziale», che cancellano ogni intonazione ordinaria e ogni sia pur lontana venatura retorica dal suo appello. Fatto sta che nelle occasioni tragiche in cui sentiamo di colpo il bisogno di stringerci a coorte, affiora un sospetto ben fotografato in uno dei pensieri più efficaci sul cosiddetto carattere degli italiani, firmato da Piero Gobetti: «Senza conservatori e senza rivoluzionari, l’Italia è diventata la patria naturale del costume demagogico». Bisognerebbe proprio, impugnando le bandiere e cantando «Fratelli d’Italia» ma anche «Azzurro, il pomeriggio è troppo azzurro» nei giorni in cui il cielo italiano è davvero quasi beffardamente azzurro, liberarsi della demagogia che ci fa lacrimare di commozione nel ritrovarci solidali e vicini quando scatta l’emergenza nazionale: il terremoto, il crollo della diga, il coronavirus. Come se ogni volta, nei casi eccezionali, dovessimo ricordare al mondo quanto è vero quel detto leggermente umiliante che definisce gli italiani «brava gente». Siamo brava gente? Bene, ma siamo soprattutto gente seria. Qualcuno se n’è accorto in queste settimane, e ci ha presi a modello. Giusto esserne orgogliosi e se le bandiere servono a risvegliare quel minimo di fierezza (non tracotanza) che serve alle grandi imprese comuni, ben vengano. Se poi qualcuno ci ama (come a Sarajevo, il cui municipio si è acceso di tricolore), meglio. Se ci deride prima di copiarci (come la Francia), pazienza. L’importante è non dover mai dire, parafrasando D’Azeglio, che disfatta l’Italia si fanno gli italiani. Cioè che gli italiani ci sono solo nella catastrofe.
Le famiglie chiuse in casa per il coronavirus: spazi da condividere, tempo da reinventare e liti da gestire. Pubblicato venerdì, 13 marzo 2020 su Corriere.it da Chiara Maffioletti. Nunzia in casa non ci sapeva proprio stare. Anche se da qualche mese aveva smesso di lavorare, la sua giornata era piena di impegni e appuntamenti che la tenevano fuori. «Per questo ora i miei tre figli mi dicono che sto impazzendo: mi trovo completamente chiusa in casa con loro, che vivono ancora in famiglia, e cerco in ogni momento di tenermi occupata facendo qualcosa». Dolci, principalmente: «Da qualche giorno ormai li cucino in continuazione. Anche se questi tre sono dei giudici severissimi e mi dicono sempre che non sono buoni». Ma anche cucendo delle mascherine fai da te: «Mi sono armata di carta assorbente e garze e mi sono messa alla macchina da cucire. Le ho mostrate alle amiche via whatsapp, visto che ormai ci sentiamo così e soffriamo un po’ a non vederci. Diverse di loro me ne hanno già prenotate, le vogliono», spiega divertita. La vita di questa famiglia di Battipaglia non è diversa da quella di molte altre, in questi giorni. Tra gli sconvolgimenti più clamorosi che l’emergenza sanitaria ha portato con sé c’è che la convivenza protratta ci ha resi di colpo e più che mai simili. Costretti a condividere spazi e tempi in case che — per quanto grandi possano essere — da cinque giorni a chiunque sembrano infinitamente più piccole. A sembrare più grandi, a volte molto più grandi, sono però gli inquilini, l’uno per l’altro. «Le difficoltà sono tante — ammette la psicologa e psicoterapeuta Anna Oliverio Ferraris — e condividere per tante ore un territorio limitato non è semplice: il tasso di conflittualità si alza moltissimo». Lo sa anche Stefano che vive a Bologna con sua moglie e il loro bambino di due anni e mezzo: «Ci siamo trovati di colpo a dover rimodulare tutto. Io sono un area manager, faccio cioè un lavoro che normalmente mi fa stare moltissimo fuori casa. Ora sia io che mia moglie siamo sempre in casa. Lei si carica come una molla e ha bisogno di sfogarsi: adesso lo fa sempre con me e sembra non perdere occasione per litigare. Non sarà bello ma confesso che ogni tanto mi sento in gabbia». Tra le occasioni di risse in famiglia c’è il bisogno di privacy, la rivendicazione di spazi, il bisogno di fare le cose alla propria maniera. Riprende Oliverio Ferraris: «Serve molta pazienza e anche molta tolleranza per armonizzarsi. Non è nemmeno pensabile riversare tutto lo stress sul partner: consiglio lunghe telefonate anche con gli amici di sempre». A patto però che non siano fatte con un telefono o un computer che serve anche ad altri. La tenuta psicologica delle famiglie in quarantena dipende anche dai supporti tecnologici presenti in casa, che diventano più che mai indispensabili finestre a cui affacciarsi per una boccata di mondo esterno. Se il pc in case è uno e ci abitano in cinque le discussioni sono quasi garantite. Così come se c’è chi ha voglia di ascoltare la musica ad alto volume per rilassarsi e chi invece per farlo ha bisogno di fare yoga. «Le invasioni di campo sono i motivi di maggiore irritazione — riprende la psicologa —. E’ vero che ci sono per forza di cose più momenti di convivialità ma è indispensabile non starsi troppo addosso. Non è davvero il momento per essere noiosi e pedanti». Ma tra i tanti problemi pratici delle famiglie in questi giorni, ci sono anche quelli di chi vive da solo: le 24 ore di una giornata sembrano il più delle volte durare il doppio. «E’ così — ammette Luca dal suo appartamento di Milano —. Prima uscivo a pranzo e cena quasi tutti i giorni, vedevo i miei amici, andavo a salutare i miei genitori. Adesso sto a casa, lavoro da qui. Mi sono organizzato anche per fare palestra nel mio bilocale, in corridoio». Una scelta salutare secondo la dottoressa: «Tenersi in esercizio è fondamentale: il benessere fisico è strettamente collegato a quello psicologico. Anche se ci sono altre restrizioni cercare di organizzarsi per fare delle attività in casa è la scelta migliore». E per chi è tra gli irriducibili che si sforzano di trovare un lato positivo, Oliverio Ferraris ne offre uno: «Spesso quando le persone si trovano di fronte a situazioni tanto gravi iniziano a rivalutare i propri problemi personali. E chi li ingigantiva, immediatamente li fa rientrare nei ranghi, perché si attiva la solidarietà».
Domenico Di Sanzo per “il Giornale” il 14 marzo 2020. I politici ci tengono a farlo sapere. Anche loro, per quanto possibile, restano a casa per fermare il Coronavirus. E lo dicono a tutti con un post su Facebook, una fotografia su Instagram e durante i collegamenti televisivi con i talk show. Si esce il meno possibile, in Parlamento si fa strada l' idea del voto elettronico a distanza, e molti leader stanno trascorrendo più tempo con la famiglia. Come Carlo Calenda, ex ministro, fondatore del movimento Azione ed Europarlamentare. Impossibilitato già da giorni ad andare a Bruxelles, si sta dedicando alle incombenze paterne. Domenica sera su Facebook ha postato la foto di un tavolo affollato da un risiko e da un castello fatto con le costruzioni per bambini. Commento laconico, anche per allentare la tensione dei bollettini della Protezione Civile: «Sono solo le 17 e 30 del primo giorno di chiusura a casa. Tenere a freno le bestie è più duro che gestire una crisi aziendale...». Calenda, ancora lui, lunedì mattina ha suonato la campanella virtuale per le lezioni a casa dei due figli: «Ridateme Bruxelles», l' amara constatazione. E poi c' è la leader di Fratelli d' Italia Giorgia Meloni con il suo gatto Martino. Il micio ha fatto irruzione mercoledì durante un collegamento con la trasmissione di Rete 4 Fuori dal Coro. Risate in studio e un attimo di leggerezza quando il felino è passato sopra la scrivania della Meloni. A strapparci un sorriso in queste giornate complicate non poteva mancare la saga familiare di Alessandro Di Battista. L'ex deputato grillino, tornato da poco dall' ennesimo viaggio, ha annunciato così su Instagram l'arrivo di un nuovo bambino per lui e la compagna Sahra: «Anche una sera di qualche mese fa...siamo rimasti a casa... ». Mercoledì invece si è dedicato al primogenito Andrea, pubblicando una foto «armato» di forbice: «Si resta a casa e si impara a tagliare i capelli», ha scritto Dibba. Ma sta cambiando in toto la modalità di comunicazione sui social dei politici. Non più uffici con dietro bandiere, abiti e cravatte nell' armadio in attesa di tempi migliori. Lo sfondo dei video è la classica libreria, l' abbigliamento è casual. Così nel caso del leader di Italia Viva Matteo Renzi e degli azzurri Mariastella Gelmini e Maurizio Gasparri. Da un ambiente simile si è collegato ieri a L' Aria che Tira su La7 il renziano Luigi Marattin. Che, avvolto in un maglione con la zip e la maglietta della salute in bella vista, ha litigato con un medico dell' Ospedale di Pavia. Il segretario dem Nicola Zingaretti, in quarantena perché colpito dal virus, si tiene in contatto con il mondo attraverso i video che condivide sui social dalla sua camera. Stesso discorso per il governatore del Piemonte Alberto Cirio di Forza Italia. In assetto da guerra i presidenti di Lombardia e Veneto, i leghisti Attilio Fontana e Luca Zaia. Entrambi sempre in ufficio e al telefono dalla prima linea del fronte. Diverso lo stile del deputato Pd Matteo Orfini. Che non pubblica foto ma racconta la nuova quotidianità scrivendo sul suo profilo Facebook di aver fatto la carbonara per tirare su l' umore e consiglia film da vedere in tv.
Da "primocanale.it" il 14 marzo 2020. Fra le conseguenze del coronavirus ce n’è una che forse non di si aspettava: dopo il periodo di quarantena, ora in Cina è boom di divorzi. Secondo quanto riporta il quotidiano Global Times, le richieste di scioglimento dei matrimoni sono in forte crescita, al punto che a Xi’an e in altri distretti del Paese si registrano sportelli intasati di pratiche e di persone in attesa di separazione e divorzio. Il perché? Prima di tutto perché in ogni caso le persone che avevano già in mente di divorziare hanno dovuto far passare il periodo di chiusura degli uffici, che ora sono quindi particolarmente sotto pressione. Ma si avanza anche l’ipotesi che la convivenza forzata in casa per settimane abbia minato molti rapporti e molte famiglie. L’estrema esperienza della crisi da virus ha messo a dura prova le coppie, che non si erano mai trovate di fronte a qualcosa del genere, costrette alla "sopravvivere" fianco a fianco 24 ore su 24. La gestione familiare, gli spazi da condividere, l’organizzazione per lo smart working e per recuperare il cibo, le altre emergenze e le lunghe giornate nelle quattro mura domestiche hanno lavorato contro chi era forse già un po’ a rischio. Che ora, appena si può riaffacciare la testa fuori casa, decide di porre fine a una relazione. In Italia stiamo vivendo una situazione paragonabile a quella di chiusura che abbiamo visto in Cina: faremo anche noi questo tipo di conti più avanti?
Il Meme virale.
Ricapitoliamo:
Venerdì 13 ore 18 devo cantà l’inno d’Italia e contemporaneamente suonà uno strumento a caso.
Sabato 14 ore 12 devo annà sul balcone e fa un applauso.
Sabato ore 18 canta”Azzurro” e urla mortacci tua.
Domenica 15 alle 18 tocca a “Il cielo è sempre più blu”.
Nel frattempo disegno il lenzuolo con l’arcobaleno…
Aoh sinceramente me la immaginavo più tranquilla sta cazzo di quarantena.
Massimo Gramellini per il ''Corriere della Sera'' il 14 marzo 2020. Che cosa avrei pensato del mio dirimpettaio fino alla settimana scorsa, se si fosse affacciato in vestaglia alla ringhiera del suo terrazzino per cantare «All' alba vincerò», stonandola maledettamente? Lo ha appena fatto, e io ho persino aperto la finestra per applaudirlo, ma lui mi ha spiegato che gli applausi a medici e infermieri sono previsti per domani (cioè oggi). Il richiamo corre sulla Rete, con le stesse modalità che in autunno (cioè un secolo fa) propiziarono gli assembramenti di sardine, quando stiparsi in piazza non era ancora reato. Ma, se tenere isolato un italiano è possibile, tenerlo zitto no. Così è esplosa l' orgia canterina delle ringhiere, ultimo affaccio sul mondo. Ci stiamo riappropriando dei balconi. Evocarli, finora, faceva pensare al Mussolini di piazza Venezia, tuttalpiù a Di Maio che si sporge da quello di Palazzo Chigi per annunciare l' abolizione della povertà. Ma da qualche giorno il balcone è diventato l' unico modo per comunicare con gli altri corpi e presto potrebbe trasformarsi nel palcoscenico di uno sterminato villaggio turistico, con karaoke di massa scanditi da Fiorello via WhatsApp. Le scelte musicali privilegiano le canzoni in dialetto e l' inno di Mameli. C' è un rigurgito di patriottismo come non si vedeva dai Mondiali del 2006. Per dire: da un paio di minuti il tenore mio dirimpettaio ha cominciato a lamentarsi della Bce e intanto accarezza un vaso di gerani. Se Christine Lagarde dovesse passare qui sotto, declino ogni responsabilità.
Simonetta Sciandivasci per ''Il Foglio'' il 14 marzo 2020. E' sabato, il primo che trascorriamo ai domiciliari a fin di bene. Per strada non ci sono che servizi essenziali, qualche stronzo che rischia l' arresto, qualche irriducibile romantico che è sceso a comprare i giornali dove non ci sono le pagine degli spettacoli, sospesi, e nemmeno quelle con la programmazione dei cinema, chiusi - e voi pensate che non le guardi più nessuno, quelle pagine, perché tutti decidono cosa fare e dove andare su internet, e invece vi sbagliate, e quando riapriranno i bar ricordatevi di farci caso, a quanti clienti al banco leggono cosa c' è all' Admiral su Repubblica. Quando riaprirà tutto faremo caso a tutto, visto che ci sarà mancato tutto. Tutto, tranne la compagnia. Non c' è modo di star soli, in tre giorni di affollatissima clausura domestica abbiamo ricevuto più telefonate che in ventisei mattine di Natale, avviato conversazioni, accettato l' iscrizione a gruppi WhatsApp con persone a cui fino a due settimane fa sognavamo di avvelenare il gatto. Abbiamo pranzato o cenato su Skype, collegati con amici, ex, parenti, colleghi, flirtanti, dal nostro salotto, perché tutti ma proprio tutti, almeno una volta in questi tre giorni, abbiamo ricevuto un temibile invito a "uscire su Skype", e non abbiamo potuto dire di no, perché non abbiamo scuse, non possiamo più inventarci che dobbiamo andare a un compleanno, a un' altra cena, a un' altra festa, in montagna, al mare. Siamo a casa e tutti sanno che non possiamo essere altrove e allora si affannano a farci compagnia anche quando non ne vogliamo, del resto come al solito, ma con la differenza che sottrarci, adesso, è da stronzi, da orrendi isolazionisti incapaci di empatia, condivisione, altruismo. Ci siamo detti che ci saremmo fermati, avremmo riflettuto, avremmo riequilibrato sentimenti, umori, passioni, e invece non siamo rimasti zitti, sconnessi, isolati neanche per un minuto, tutta l' industria italiana dell' intrattenimento s' è affannata a far feste per coprire il silenzio come la signora Dalloway, e ci si è offerta, gratis e in tuta, dai salotti di casa propria, per farci sorridere, sperare, cantare, sì cantare. E allora abbiamo preso a cantare anche noi, affacciati alle finestre, a farci questa enorme serenata che ha un altissimo potenziale di stalking. A Roma è già pieno di poveri smartworker che ieri pomeriggio hanno dovuto lottare contro dj set improvvisati sui terrazzini da fuorisede fuori controllo, da genitori esasperati che si sono sfogati battendo sulle pentole per tenere il ritmo de "La canzone del Sole", intonata dai pensionati del sesto piano e dagli sconosciuti del primo, del secondo, del terzo. E' bella e insopportabile l' Italia che se la canta, e vedrete se entro poco le forze dell' ordine non dovranno intervenire per far abbassare i volumi, e meno male che non ci si può menare per ragioni sanitarie. Ieri sui telefoni dei romani circolava un invito ad affacciarsi alle diciotto per cantare l' Inno di Mameli, anche se il vero inno nazionale del nostro paese è "Volare", perché il verso che meglio descrive i nostri desideri e le nostre ambizioni è "volare oh oh cantare oh oh oh oh nel blu dipinto di blu", ed è da tanto tempo che non lo cantiamo tutti insieme. Il grado di civiltà di un popolo si capisce dallo stato delle carceri e dalla capacità che ha di cantare, unito e assorto, per raccogliersi, unirsi, temprarsi, sfogarsi, regalarsi, librarsi, stringersi forte ché nessuna notte è infinita, e però pure di contenersi, quindi facciamo che questo live di dilettanti duri mezz' ora oggi, mezz' ora domani, e poi basta, poi ci mettiamo buoni, calmi, ad ascoltare il silenzio, che ha molto da dirci.
Luca Bottura per ''La Repubblica'' il 14 marzo 2020. C' è qualcosa di nuovo nell' aria. Anzi, di antico. E non è, non solo, il virus. È una specie di esorcismo collettivo che ha del meraviglioso, e ci frammenta - unendole - in svariate comunità. Quelli che si danno appuntamento per suonare dalla finestra alle 16, quelli che cantano in balcone alle 18, il neomelodico che si esibisce per i vicini a Napoli, i canti goliardici a Siena, la macarena di gruppo sui terrazzini di Torino, i tenores sparati a tutto volume per le vie di Cagliari, lo studente di Bologna che improvvisa ballate sul davanzale, il tizio che intona Ancora di Eduardo De Crescenzo da un attico della Capitale, un altro che suona la taranta a Benevento, i flashmob virtuali, la voce di Rino Gaetano che invade il reparto pediatria nell' ospedale della sua Crotone, le canzoni in romanesco in una Trastevere deserta, Giuliano dei Negramaro che gorgheggia per strada, una banda che allieta una strada del Messinese senza uscire di casa, mia figlia che va in cortile suonando il violino ma solo 3' perché si vergogna, l' ex ministra Fedeli che si mette al piano e twitta, l' inno di Mameli modello Blues Brothers sparato ad Agropoli da un' auto dei vigili urbani "Fratelli d' Italia", ognuno dal suo balcone, ma insieme. Tutte evenienze che solo due o tre giorni fa, specie la ministra Fedeli, avremmo affrontato chiedendo di indire una riunione di condominio straordinaria per far zittire i rumori molesti. Invece Invece oggi, con la rotonda eccezione delle solite ninja turtles fasciste, che hanno impestato l' aria della Capitale con "Faccetta Nera", questa specie di coro dissonante, sorta di Berio popolare, trasversale, ci inchioda alla mitezza. Quasi tutti. Persino chi fino a due giorni fa impugnava la tastiera ad alzo zero. Certo: l' odiatore, il rancoroso, il misantropo attivo, ancora abitano le bacheche. E pure qualche strada, dacché chi strepita per le regole (altrui) di solito è il primo a violarle. Ma lentamente il clangore si spegne e lascia il posto a una specie di unità nazionale incidentale e dunque ancora più preziosa. Qualche giorno fa scrivevo che ci sarebbe servito un dopoguerra a guerra ancora in corso. Di essere popolo, non populisti. E, sembra incredibile, siamo lì. Come se uscire dalle auto dove, come nei social, crediamo di vedere senza essere visti come se il bagno di realtà di chi vede le cose con più nitore perché sta nell' occhio del ciclone come se quell' emergenza che molti di noi non hanno mai conosciuto, risparmiati dalla percezione della morte persino nel rituale annuale del 2 novembre, ormai sostituito da bambini che invitano - legittimamente - ad optare tra dolcetti e scherzetti, avesse creato un collante che ci rende, di nuovo, umani. Manca solo un simbolo. Ma come si diceva per le figurine: celo. Anzi: ce l' abbiamo. Addirittura due. Il primo contiene il secondo: "Noi fummo da sempre calpesti e derisi perché non siam popolo, perché siam divisi. Raccolgaci un' unica bandiera, una speme, di fonderci insieme già l' ora suonò". È la seconda strofa del Canto degli italiani, quella che non insegue i miti dell' antica Roma, né le vittorie che cedono la chioma all' italico guerriero, ma affronta il nostro problema di sempre. Di chi è in coro solo quando dice di esserne fuori. E poi c' è la bandiera. Lo so, lo so. Da quando il rettangolo tricolore e la marcetta di Mameli sono diventati preda dei sovranisti, abbiamo riscoperto la fatica dei nostri avi, per cui verde, bianco e rosso si apparentavano non a Cavour, ma a Mussolini. E per qualcuno è rimasto tutto così, se è vero (e lo è) che su Amazon si trovano a pochi euro cenci della Repubblica Sociale. Da appendere, non senza lo sguardo divertito della Storia. Però, proprio per questo, non sarebbe ora di riprendercela? Anzi: non sarebbe ora di esporla, di condividerla? Carlo Azeglio Ciampi e i festeggiamenti per i 150 anni di questo curioso Paese, sembravano averci regalato un' appartenenza non aggressiva. Avevano quantomeno smussato quella memoria a due facce che ci separa dal nostro unico mito fondante: la Resistenza. Che servì a ristabilire la Democrazia. Non il Soviet. In Italia. Non nell' Unione Sovietica. Poi, sono arrivati quelli che con il Tricolore volevano pulirsi le pudenda a spiegarci che gli anti-italiani saremmo noi. Ma stavolta è diverso. Persino l' inno che inonda le strade è meno stentoreo. È un canto, appunto. E per non sentirsi famigli di Casa Pound, che occupa memoria e palazzi alla stessa maniera, basta abbondare. Ci sta benissimo la bandiera europea, accanto. Per me è persino più rappresentativa. Perché pure quella è una speranza e una necessità, ora che stiamo scoprendo come i porti - e le frontiere - possano chiuderli a noi. Ma va bene quella della pace, del gay pride. Va bene Springsteen ma va bene anche Nek. Va bene un qualunque drappo rappresenti una passione quasi infantile, quando ancora non eravamo finiti sotto la polvere del cattivismo. E sapevamo risollevarci dalle macerie. In questi giorni continuo ad avere in testa L' anno che verrà , di Lucio Dalla. Parla di un conflitto che finisce, mediato dalla speranza. Quando la buriana sarà trascorsa, mi piace pensare che la nostra bandiera, che stava pure sui fazzoletti di chi ci liberò dai nazifascisti, e per le strade, il 25 aprile del '45, possa prendere il posto dei bandierini che normalmente cercano la dittatura cromatica su Twitter. Sognando di passare ai fatti. Sarebbe pur sempre una guarigione.
Carlo Moretti per ''la Repubblica'' il 16 marzo 2020. Per il flashmob dai balconi ai Navigli di Milano cantavano 'O surdato ' nnammurato , a Roma in zona piazza Bologna risuonava Nel blu dipinto di blu , in tante città hanno intonato l' Inno di Mameli o acceso un amplificatore per scatenarsi con chitarre e bassi elettrici. Renzo Arbore, che ha partecipato idealmente suonando nella sua casa di Roma due brani, non si stupisce.
Un popolo che canta, nonostante tutto.
«Ho girato il mondo ma credo che soltanto in Italia poteva venire un' idea come questa: suonare dai balconi, aprire le finestre e intonare una canzone durante la crisi del Coronavirus.
È ancora possibile perché in tante nostre città resiste l' anima dei quartieri, al Sud c' è il sentire condiviso del barrio: forse soltanto a Cuba ci potrebbero seguire su questa strada, ma credo proprio che nel mondo siamo i soli ad essere tanto musicali. Un flashmob positivo: io ho iniziato così, uno suonava la chitarra sul balcone vicino casa mia, io il clarinetto, un altro cantava, da porta a porta».
La musica ci soccorre nel momento dell' isolamento.
«Stiamo esorcizzando la malinconia e la tristezza, sperando di allietare chi sta lavorando al posto nostro negli ospedali e nelle filiere produttive essenziali. È un modo per manifestare solidarietà».
In Rete gira la "Luna Rossa" a lei cara trasformata in "Zona Rossa".
«L' hanno fatta quattro ragazzi del rione Sanità a Napoli cantando e suonando ognuno a casa sua. Hanno fatto una parodia ma è molto carina, per niente volgare, trattano una cosa drammatica con gusto e amore. Ho visto anche che a Napoli dai balconi cantano la canzone di Andrea Sannino Abbracciame , la musica in Italia ha un alto valore sociale oltre che culturale».
Continuano a chiamarla musica leggera.
«La musica popolare è sottovalutata e la canzone italiana dovrebbe diventare patrimonio dell' Unesco, lo dico seriamente. L' Italia ha prodotto e continua a produrre un patrimonio straordinario, siamo i più musicali nel mondo, è la più vivace e ricca del mondo per idee e fantasia. I francesi hanno fatto 100 canzoni belle e si sono fermati, gli spagnoli idem. Mina poi? La più grande voce bianca del mondo».
Cori e canti sui balconi: da Napoli a Milano la musica che unisce il Paese. Pubblicato venerdì, 13 marzo 2020 su Corriere.it da Giovanna Cavalli e Flavia Fiorentino. C’è la bimbetta che soffia forte nel clarinetto le note dell’inno nazionale, da sola sul balcone, anche se l’ha imparato a scuola solo quattro mesi fa e il vicinato alla fine applaude e la mamma si commuove. C’è la ragazza che dal terrazzino con le primule accarezza le corde dell’arpa, chi suona la tromba e chi il sassofono, chi canticchia e chi stona, ma va comunque bene, Giuliano Sangiorgi dei Negramaro che si affaccia con la chitarra al collo e non risparmia l’ugola e intona «Tanto l’aria s’ha da cagnà» di Pino Daniele («Ho cantato per la mia strada a Roma, ho ancora i brividi... è stato come un abbraccio... vi giuro piango ancora»). Fedez e Chiara Ferragni che schiudono la loro finestra milanese, influencer pure quella, con lei che si commuove («Io piango ogni volta che sento questo inno, troppo fiera di essere italiana, sempre»), le signore anziane dei Quartieri Spagnoli di Napoli che sventolano fazzoletti accanto agli stendini con i panni ad asciugare, il ragazzino che, in mancanza di meglio picchia forte sulla pentola con il mestolo di legno del ragù della nonna. È tutta l’Italia segregata in casa dal coronavirus che, nel primo venerdì di zona rossa integrale da Nord a Sud, isole comprese, alle diciotto o giù di lì, si ritrova unita anche se distante sulle note di un Inno di Mameli variegato e collettivo, che risuona da balcone a balcone, per rompere il silenzio e attutire la cupa malinconia di questi giorni amari del Covid-19, che almeno per cantare ci si può togliere la mascherina senza paura. E questo isolamento per qualche minuto sembra meno cattivo, più lieve da sopportare. Tutto era partito con un flashmob sonoro lanciato su Facebook dalla street band capitolina FanfaRoma e che in poche ore è diventato più che virale, moltiplicato in foto, post e video sui social: «Apriamo le finestre, usciamo in balcone e suoniamo insieme, anche se lontani...così il nostro Paese diventerà un gigantesco concerto gratuito», proponevano gli organizzatori, a cui si è unito il sindaco Virginia Raggi (dando appuntamento un’ora dopo prima di rettificare): «Cantiamo una canzone tutti insieme, facciamo sentire che siamo una comunità anche se non ci possiamo toccare». Così è stato. E se l’inno nazionale è stato il brano più gettonato, ognuno poi si è fatto da solo la sua playlist della speranza. A Fuorigrotta concerto per sirene, tamburelli e «caccavelle». Gran frastuono di pentole e coperchi (ma anche una cornamusa scaccia-tristezza) nell’insospettabile Torino. A Cagliari, Ave Maria in sardo dal balcone con la fisarmonica. A Milano ci hanno dato dentro con «O mia bela Madunina», arrangiamento a piacere.A Napoli, Portici e San Giorgio a Cremano si sono portati avanti cominciando giovedì sera con uno struggente «Abbracciame» del neomelodico Andrea Sannino che passava di balconcino in ballatoio. Così come a Lecce e Benevento, stregate da una mega-Tammurriata. A Bologna il presidente del Quartiere Navile, Daniele Ara, ha preso la chitarra e suonato dalla finestra «Il pescatore» di Fabrizio De André, accompagnato dalle figlie. Nella capitale, la prima nota ieri l’ha fatta vibrare un basso solista, dopo di che è partita tutta una chiassosa orchestra con spartito libero e l’immancabile vendittiana «Roma Capoccia», da San Paolo alla Garbatella, da San Giovanni a Trastevere. Famiglia allargata al completo, Alessia Marcuzzi-Simone Inzaghi, Francesco Facchinetti, bambini compresi, a cantare al cielo l’inno tricolore. Schierata virtualmente pure l’Aeronautica militare che su Twitter ha ripubblicato il volo acrobatico delle Frecce Tricolori: «Finestre aperte come i nostri cuori. Distanti, sì, ma uniti con la mente e con la voce#lItaliachiamò». A Roma è previsto un bis per oggi, di nuovo affacciati a cantare «Azzurro», e un tris per domenica con «Il cielo è sempre più blu». A Milano si replica questo pomeriggio, dalle 18 alle 19: l’idea è di gridare per 10 volte consecutive: «Milano tornerà». Un urlo per sentirsi ancora vivi, meno soli, più leggeri, perché bisogna crederci: alla fine, andrà davvero tutto bene.
Coronavirus, l'Italia sul balcone: canzoni contro la paura. Da Nord a Sud tutti alla finestra per cantare. Non solo lenzuoli e bandiere: in tempi di #iorestoacasa gli italiani intonano la ricetta per reagire all'emergenza che li ha messi in quarantena. Tutti assieme, ma ciascuno a casa propria. Gaia Scorza Barcellona il 13 marzo 2020 su La Repubblica. La musica come terapia contro la paura. L'Italia reagisce cantando all'emergenza coronavirus che blinda tutti in casa. L'appuntamento, a una ventina di giorni dai blocchi che hanno fatto del Paese una zona rossa unica, o quasi, non è più nei locali o nei parchi, ma sul balcone. Tutti affacciati dunque per intonare una canzone, ognuno per sé ma tutti assieme. E il risultato è una melodia, diversa per ogni quartiere e città, che attraversa le regioni da Nord a Sud, ora seguendo le note dell'Inno di Mameli, ora canticchiando "Napul'è" di Pino Daniele. Tra i tetti della capitale vibrano le parole di "Roma Capoccia" di Antonello Venditti, a Cagliari le strofe in sardo con la fisarmonica e "Ovunque tu sia". Ma non sono solo canzonette: a Milano spunta un'arpa dietro la balaustra in marmo. Le note di una viola si propagano da un altro balconcino, finito su Facebook: è quella di Danilo Rossi, prima viola della Scala. "Non molliamo, ce la faremo", recita lo striscione che gli fa da palcoscenico. E con lui sono in tanti a sperarlo. Gli inquilini della casa di ringhiera di via Canonica lo dicono con le parole di Jimmy Fontana: "Ed il giorno verrà" risuona per tutto il palazzo: "La notte insegue sempre il giorno... Ed il giorno verrà". No, non è una soap opera. E' la voglia di andare avanti, riempiendo gli spazi di questa attesa per stare meglio, tutti: sani e malati. Per questo i balconi d'Italia, oltre che rumorosi, ora sono anche più colorati: ai lenzuoli arcobaleno che già ieri si auguravano "andrà tutto bene", oggi si aggiungono le bandiere del tricolore esposte su finestre e ringhiere. Era dai Mondiali di calcio che non si vedeva tanto orgoglio patriottico che, vuoi o non vuoi, la paura dell'epidemia ha fatto rispuntare fuori insieme a un tripudio di cori e serenate. Li chiamano flash-mob ma hanno più l'aria di improvvisazioni. Uno via l'altro, i siparietti in balcone si moltiplicano anche sui social network con video che mostrano il rione napoletano acceso dal ritornello "Abbracciami più forte". A Torino sono sbucate anche le cornamuse. I concerti sono vietati? Fa niente, sembra rispondere l'Italia canterina. A Tusa, un piccolo borgo dei Nebrodi nel Messinese, la street band Fanfaroma ha lanciato l'idea suonando i brani affacciandosi alle finestre e ai balconi, suonando per un pubblico che ha ascoltato allungando la testa dietro la finestra. Ma c'è anche chi si è aggiunto suonando quel che trovava in casa, una jam session con pentole e cucchiai. Ad Agropoli, in provincia di Salerno, su proposta del sindaco un'auto della municipale ha girato per le strade diffondendo al megafono le note dell'inno italiano. Taranto già si è data appuntamento per domani, dopo le 18 sarà la volta di "Azzurro" e domenica si canterà affacciati "Il cielo è sempre più blu". Sax, clarinetto e tromba: qualsiasi strumento o brano musicale può aiutare a sentirsi meno isolati, non ancora soli. Dietro le inferriate milanesi da una tromba esce "O mia bela Madunina" e la città deserta ascolta in silenzio. Poi, uno scroscio di applausi: nascosti ma sentiti. C'è un'Italia rintanata che ha voglia e tempo di stare a sentire. "Ovunque tu sia" è l'iniziativa accolta con entusiasmo anche dalle chat wapp dei più giovani dell'orchestra romana di Santa Cecilia, oltre 400 strumentisti pronti ad alzare gli archi contro Covid-19. "Tutti gli abitanti potranno prendere il loro strumento ed iniziare a suonarlo dalla finestra o dal terrazzo. In pochi secondi l'Italia diventerà un gigantesco concerto gratuito", dicono. L'invito a suonare e cantare dopo il tramonto vale per tutti, capaci e meno capaci. Nella capitale tra le ringhiere è spuntata anche qualche celebrità: Giuliano Sangiorgi dei Negramaro ha cantato e suonato la chitarra. D'altronde l'invito è arrivato anche dalla sindaca di Roma, Virginia Raggi, in persona: "Affacciamoci alle finestre e salutiamoci, cantiamo una canzone, guardiamoci perché siamo una comunità". In tempi di #iorestoacasa va bene anche cantare dalla finestra, pur di non pensare all'emergenza.
Virus, una risata ti ucciderà. L’Italia in rete canta, ride e si commuove. Napoli capitale dell’ironia. Carlo Nicotera de Il Riformista il 13 Marzo 2020. Nella sterminata follia che prende tutti noi nello sciame del virus inafferrabile, il web-cielo della rete ha scoperto un popolo di angeli. Belli, romantici, eleganti o grevi e volgari, ma sempre, tutti, animati dal desiderio di esorcizzare il male oscuro, la paura, l’inafferrabile. La rete è aperta a tutti, e tutti possono entrare nell’universo comunicativo, ciascuno inventando la propria scaramanzia, il proprio portafortuna, la propria filastrocca scaccia- pensieri: infiniti, variegati, moderni giochi per sorridere della malaciorta che ci attocca. Ma a differenza del popolare scongiuro, ripreso da Peppino De Filippo, con il suo mitico Pappagone nella Tv ancora in bianco e nero degli anni ’60/’70… , …”aglio fravaglio, fattura ca nun quaglia, corna bicorne, cap’ e alice e cape d’aglio…” , oggi il gioco è più raffinato. C’è la tecnologia, ci sono le telecamerine, lo streaming, i selfie, e anche la condivisione. E – a Napoli soprattutto – un’ironia fantasmagorica viene ritrovata ed esercitata con una creatività che – speriamo – farà un baffo al Coronavirus, e che aiuta a vivere questi giorni grigi (anche se intorno scoppia la primavera) rendendo meno faticoso e ansiogeno lo stare chiusi in casa. Guardate i video raccolti dal Riformista e messi in rete, e domani se volete, andate a rivederli sulle pagine cartacee, cliccando sul QR-Code per goderveli sullo smartphone: una allegria irresistibile vi prenderà, e magari inizierete a canticchiare anche voi un jingle sorridente, una battuta sarcastica, le mosse di uno sketch autoironico che, almeno per un frammento di queste ore, ci consentirà di giocare con il Coronavirus e dirgli in faccia: “Ohohohoho!!! Coronavi’… lo sai che una risata ti seppellirà?…” Guardate per esempio gli Artisti Uniti. Solo giovani musicisti napoletani potevano pensare di collegarsi in rete, concordare una musica, buttare giù un testo semplicemente fantastico e metterlo in rete, aperto al mondo per cantare (ognuno autoripreso a casa propria – dobbiamo stare lontani, no? – ma con un montaggio che regala l’effetto del gruppo musicale) un pezzo che merita l’Hit parade: ZONA ROSSA, cantata ovviamente sulle note di Luna Rossa, il best seller della canzone napoletana, scritta nel 1950 da Vincenzo de Crescenzo e musicata da Antonio Vian. Ed eccola, meravigliosamente rivisitata per la clausura al tempo del Coronavirus … vaco ca’ mascherina abbandunaaaaatoooo… l’uocchie sott’ o cappiello annascunnuuuuuteeee!… mane int’a sacca so’ disinfettaaaaateeee… vaco cuntannd’ e strunze ca so’ asciuuuuuteee…! E a zona rossa me blooocaaa a mme… je ‘e dimanneee se ha vist’a teeee.. e mme risponnne se o vuo’ sapeeee.. ca’ nun po’ asci’ nisciuuuunooo…Collegatevi, ascoltatela e godetevela. Vi farà bene. Sarà un atto felice, apotropaico, lenitivo di ogni dolore fisico e mentale, perché vi farà sorridere. E questa è già una cura. Ecco, è solo un esempio, ma se andate a spulciare tra i video e gli audio che abbiamo raccolto per voi, troverete note e pensieri, immagini e musiche buoni per assecondare ogni vostro sentimento. Ma anche, e questa è la più potente delle emozioni, un ritrovato spirito di comunità. A differenza di quanto accade normalmente in rete, infatti, è praticamente impossibile trovare un post o un commento negativo a quanto inserito all’ascolto e alla condivisione del mondo. Prima ancora che le grandi istituzioni, dall’Europa ai governi del mondo, si prodigassero in impegni di aiuto, promesse di partecipazione, atti di solidarietà, la rete ha aperto le braccia alla braccia aperte della gente. Alla vera solidarietà, che è quella della comunione di spirito. L’Italia intera,intorno a queste ritrovate fanfaluche, carnevalesche e commoventi allo stesso tempo, ha ritrovatolo spirito dell’unità, della patria, della solidarietà, dell’orgoglio. Guardate per esempio i video diffusi con il montaggio di scene in cui l’italia si è mossa unita e forte: i terremoti, le alluvioni di Firenze e del Polesine, le epidemie, le carestie, il terrorismo, le aggressioni della mafia… foto-memento, per ricordare chi siamo e che ci siamo e che ce la faremo. Ce la faremo, ce la faremo. E vengono i brividi alla schiena, nonostante ogni disincanto, non solo perché sono immagini montate sulla musica di Nessun Dorma, la romanza della Turandot di Puccini, che con la voce di un Pavarotti (o un altro poco importa) ricorda a ognuno di noi che … “all’alba viiiinceròòò, vinceròòòòò, viiiiinceeeeeeeroooooooo!”… Ma anche perché ci ricordano la bellezza sublime, la ricchezza e la forza d’animo, ma anche l’ironia del nostro popolo. Scegliete tra quelle immagini quale vi assomiglia di più. Quale gioco vi solleva di più il cuore. Quale scena vi fa sentire più forte. E rigodetela, condividetela, trasmettetela… Vi volete incantare a sentire Farinetti, l’uomo di Eataly, che ci spiega che culo abbiamo avuto a nascere e vivere in questa penisola? E’ fantastico. Volete ripassarvi le immagini del Colosseo, di Venezia, delle nostre campagne, del golfo di Napoli e delle sue meraviglie? Fatelo, vi sentirete felici. Forse salvi. Volete commuovervi sul trionfale doppio tonneau delle Frecce Tricolori che si impennano sull’acuto pavarottiano del vinceròòòòò? Commuovetevi. Sarà liberatorio. O volete ascoltare la poesia dello sconosciuto signore napoletano che ci spiega come questo dramma ci aiuti a capire la bellezza del rallentare, la pace dei tempi allungati, la riscoperta dello stare a casa con le persone care a rivivere l’intimità autentica della famiglia? Ascoltatela più volte, e pensate che questa vicenda ci può aiutare a rinascere in modo migliore. Perché già siamo migliori. Ve lo prova il video di una sconosciuta che canta nella notte da un balcone insieme a decine di persone affacciate alle ringhiere del rione napoletano, da cui il mare non si vede, se non forse in lontananza. Ma quel che si vede e quel che si sente, è che la gente è unita e vuole scacciare la paura e l’indifferenza. Un canto nella notte, che non sarà di un coro, ma è intonato all’armonia della riscoperta del vivere, ascoltarsi, riconoscersi, sentirsi parte di una comunità. Che, tutta insieme, unita intorno a questo stupefacente caminetto nella antica cucina di casa, che per una volta è internet, è un’unica famiglia di italiani, nonni, nipoti, grandi, buoni e anche cattivi – sì, anche i cattivi, che poi così cattivi forse non sono mai – che cantano per dirsi e ricordarsi e promettersi, che ANDRA’ TUTTO BENE… Anche perché, amata Italia mia, ‘A LUNA ROSSA ME PARLA ‘E TE… e qua ci sono tutti quanti.
Da "Adda passà a nuttata" ad "Andrà tutto bene", magari! Marco Demarco de Il Riformista il 13 Marzo 2020. A Milano, ci racconta Gad Lerner, circola una battuta che è tutto uno stato d’animo: nella città desertificata dal virus e privata del suo potere simbolicamente più forte, quello relazionale, degli incontri, degli aperitivi e dei meeting societari, si dice che “è finita la Belle Époque”. Ed è una frase che in effetti non lascia fuori niente, perché quella evocata fu appunto l’epoca luminosa dei café chantant, dei grandi progetti urbani e delle prime originali forme della cultura di massa. A Napoli, dove scrivo io, la battuta più ricorrente è invece un’altra. E di sicuro è meno originale, forse anche perché qui, nonostante la movida dell’era De Magistris, la Belle Époque, che pure fu un’esplosione straordinaria di vitalità, di teatri, di riviste, di iniziative industriali e non solo di sciantose e di frivolezze varie, non ha lasciato tracce, se non in qualche bel libro. Nella Napoli del coronavirus, come in quella del colera, del terremoto e dell’emergenza rifiuti, si dice ancora “adda passà ‘a nuttata”. Ora è difficile – nel vivo della pandemia – valutare se abbiano ragione i milanesi, questa volta negli insoliti panni dei pessimisti rassegnati, o se convenga schierarsi con i napoletani del cliché, come sempre aperti al fatalismo e al sangennarismo. Sta di fatto che al punto in cui siamo, mentre la battuta milanese ha una sua oggettiva fondatezza, perché lo avvertiamo tutti che ci vorrà tempo per recuperare gli standard perduti, quella napoletana non ce l’ha. Noi, insomma, “adda passà ‘a nuttata” neanche possiamo dirlo. Non, almeno, nel senso in cui lo diceva l’autore di Napoli milionaria. Quella battuta Eduardo la pronunciò in pubblico, per la prima volta, la sera del 25 marzo del ‘45, al teatro San Carlo, e nel manoscritto originale la frase addirittura non c’era, per cui se la scriviamo così, e non alla maniera del Manzoni e del matrimonio che non s’ha da fare, è solo per analogia con quanto stampato in Questi fantasmi, nella pagina del monologo sul balconcino, quando si spiega che il caffè “adda passà” attraverso il filtro della macchinetta. Ortografia a parte, il punto è che Napoli milionaria viene scritta dopo venti anni di fascismo, dopo una guerra mondiale, dopo cento bombardamenti alleati e dopo giorni e giorni di rastrellamenti nazifascisti. Quando questo finisce, Eduardo non tira un sospiro di sollievo, non scrive inni alla gioia come Dove sta Zazà (“Era la festa di San Gennaro/ Quanta folla per la via… “) ma sorprende tutti alludendo a un futuro oscuro. Lo sbarco alleato gli suggerisce piuttosto l’immagine della notte, non quella dell’alba liberatoria. Ed è per questo che si è parlato di moralismo antiamericano di Eduardo, della sua preoccupazione per l’arrivo delle am-lire, del boogie woogie, del consumismo e del modernismo capitalista. Se noi non possiamo dire la frase di Eduardo, dunque, è proprio perché nel nostro caso la guerra non è ancora finita. Non siamo al dopo. All’euforia tra le macerie, ai cori partigiani nonostante le stragi subite, alle Tammurriate nere, alle tragedie private vissute come male minore, alle moltitudini “freneticamente passeggianti” di cui parla Fabrizia Ramondino a proposito della Napoli del terremoto o al felice riversarsi nelle piazze pedonalizzate dalla crisi petrolifera. Noi siamo ancora al durante. Siamo chiusi in casa. Iperisolati proprio quando credevamo che il nostro problema fosse la iperconnessione dei nostri figli, frettolosamente definiti “sdraiati” e temporaneamente rivalutati solo al tempo delle Sardine. Noi siamo ancora al durante, dunque. Non possiamo preoccuparci, come Eduardo, delle conseguenze dell’avvenuta liberazione: degli effetti disastrosi sull’economia europea, dei sovranismi sanitari, del welfare da ricostruire, delle differenze acuite, e – cosa decisamente più importante- della accresciuta potenza seduttiva del modello vincente che per ora è quello cinese, con tutto ciò che questo comporta sul fronte della concorrenza tra democrazie liberali e sistemi autoritari. A pensarci bene, la Cina di XI Jinping potrebbe diventare per noi quella che per Eduardo fu l’America di Truman. Ma il fatto è che noi siamo ancora al durante. In sostanza, siamo ancora nell’Italia dell’8 settembre, quando gli ordini risultavano vuoti o contraddittori, tutto era incerto, i soldati scappavano dal fronte e il Paese doveva ancora mettersi alle spalle il nazifascismo. Che poi oggi ci si voglia portare avanti con la speranza gridando “andrà tutto bene”, questo è un altro discorso. Così come altra cosa è sentir dire da intellettuali mai convinti della linearità della Storia che proprio questa, la Storia, ci insegna che la salvezza è vicina. Resta che molti di quelli che oggi si dicono ottimisti, ieri, con la piccola Greta, non lo erano affatto. Molto più credibile allora chi, in questo difficile durante, si limita ad affermare che la scienza può salvare il mondo. Attenzione. Può salvare. Non salverà. Perché molte sono le varianti.
Marta Bravi per “il Giornale” il 13 marzo 2020. Come reagiscono gli italiani all' epidemia, o meglio come e quanto questo influenza le loro vite soprattutto sotto il profilo psico-sociale? Se lo sono chiesto il team delle ricercatrici psicologhe dell' Università degli studi di Milano, il direttore della Clinica di neurologia dell' Università presso il polo ospedaliero del San Paolo (Asst Santi Carlo e Paolo) coordinate da Roberta Ferrucci del Centro di ricerca Aldo Ravelli dell' Università di Milano. Lo studio punta a valutare gli impatti psico-sociali dell' epidemia, i fattori che influenzano lo stato psicologico dei cittadini, dalle emozioni ai cambiamenti nel quotidiano. In una decina di giorni sono stati raccolti, con un sondaggio online, 10mila questionari compilati per circa il 70 per cento da donne e da una popolazione tra i di 7 e i 92 anni. Le misure per il contenimento dell' epidemia, fino ai decreti di domenica e di due giorni fa che hanno interessato per la prima volta l' Italia nel suo complesso hanno portato a una riduzione delle interazioni sociali, all' isolamento, all' aumento dell' ansia e della paura fino al dilagare del panico. «La ricerca - racconta Alberto Priori, direttore della Clinica di Neurologia - è nata un po' per caso dalle continue telefonate dei nostri pazienti, preoccupati per quanto stava accadendo. Da qui l' idea del sondaggio, che si inserisce nel filone della psicologia delle epidemie e degli eventi traumatici. Un' epidemia così l' Occidente non l' ha mai vissuta, soprattutto sotto il profilo mediatico e dei social che hanno contribuito a creare confusione e disinformazione. Il nostro lavoro vuole conoscere quanto sta accadendo nella popolazione per supportarla ed evitare che si sviluppino in futuro disordini da stress post traumatico». Così se la quasi totalità della popolazione ha risposto correttamente alle domande sulla conoscenza di base del virus, il dato stride con il comportamento irresponsabile di una fetta della popolazione. «Gli italiani presuppongono di conoscere il problema anche dal punto di vista medico, anche se basano le loro informazioni sui social, senza distinguere tra fonti. Questo è molto pericoloso - però spiega Priori - perché genera volumi di ansia, panico e false credenze». E di questo troviamo rispondenza dai dati: il disagio psicologico è risultato rilevante ed è caratterizzato da paura (85%), ansia (86%), rabbia (70%), tristezza (80%), aumentate di intensità da domenica. Cosa spaventa del Covid-19? Psicosi (86%), paura di ammalarsi (91%), di morire (67%), timore della quarantena (75%) e della crisi economica. E soprattutto, la paura è quella di perdere la libertà (88%). Aumenta sempre più i la paura del contagio, dovuta alla frequentazione di luoghi piccoli e affollati. Aumenta il bisogno di contatto fisico (57%) e telematico con amici e parenti (92%) e supporto psicologico (22%). La situazione attuale sta incidendo negativamente sul sonno (38%), alimentazione (35%), sessualità (40%), rapporto con gli altri (80%). Ed è proprio questo che rischia di rimanere come cicatrice una volta che l' emergenza sarà passata, sotto forme di idiosincrasie, fobie, manie.
Luisa Brambilla per "iodonna.it" il 13 marzo 2020. Le giornate sono trasformate dall’emergenza e occorre modificare anche la routine alimentare, per riportarla in armonia con la vita che stiamo facendo. Ci aiuta a farlo Barbara di Silvestre, dietista, che lavora a Codogno e ben conosce il peso della clausura imposta dal Coronavirus.
Ore vuote? Dedicale a te. In molte circostanze si usa il cibo per colmare una mancanza, che può essere di affetto, di prospettive, di socialità. Una dinamica più che mai attuale oggi, che si può, però, disattivare. il vuoto si può riempire con la determinazione a occuparsi davvero di se stesse, regalandosi il tempo che non si è mai avuto. E impostando buone abitudini: se come spesso si sente dire, servono 21 gg per costruire una nuova routine, si può cogliere l’occasione della forzata clausura per consolidare un progetto di benessere.
Rovesciare lo schema dei pasti. L’impossibilità a muoversi, eccezion fatta per chi possa dedicarsi a sedute di ginnastica casalinga, provoca il rallentamento del metabolismo e la perdita di massa muscolare magra. Per questo è saggio spostare al mattino, alla colazione, il pasto principale. In questo modo si ha davanti un’intera giornata per spendere le energie introdotte mangiando. Modifiche si possono apportare anche a pranzo e cena. Molti sono abituati a un pranzo snello, che si inserisce bene nella giornata lavorativa, e una cena più abbondante, quando finalmente ci si rilassa a casa o con gli amici. Ora conviene aggiungere casomai qualcosa al pranzo e impoverire la cena. In vista del riposo, infatti, è più sensato introdurre un carico minore di energie, che non saranno poi utilizzate nell’immediato, ma potranno solo accumularsi come scorte.
Candida Morvillo per pernientecandida.corriere.it il 13 marzo 2020 (post pubblicato prima che tutta l'Italia diventasse zona rossa). C’è stato l’attimo in cui ho realizzato che, per un mese, sarei stata sola. Sola in casa, sola fuori casa per quel poco che sarà ragionevole uscire. Sola, senza possibilità di raggiungere i miei fratelli e nipoti che sono in Regioni lontane né il mio compagno, che vive altrove. Lui non potrà raggiungermi, io non lo potrò raggiungere. Non è stato il momento peggiore. Il momento peggiore, nella lunga notte in cui aspettavamo l’annunciato decreto sul Coronavirus che divide l’Italia in Fascia 1 e Fascia 2, doveva ancora arrivare. L’attimo dopo, fai la ricognizione di chi è ancora a Milano, delle amiche che non sono già sfollate coi figli al mare o in montagna, di quelle che, come te, stanno resistendo già da due settimane nell’ingannevole formula di uno smart working che di smart ha poco, se poi non puoi andare al cinema né in palestra e se, comunque, per precauzione, eviti anche di uscire a cena. Da quando è spuntato il paziente uno, hai progressivamente ridotto i contatti. Hai rifiutato un invito a fare due passi al parco con degli amici. Hanno figli adolescenti e hai visto che i ragazzi se ne fregano del contagio e fanno lo stesso la movida, si baciano e si abbracciano come se il mondo non stesse per finire prima di cena o come se fosse già finito, allora, tanto vale. Hai rifiutato un invito in casa, «siamo in sette o otto», ti hanno detto, e tu ti sei vista seduta a venti centimetri da perfetti sconosciuti e ti sei chiesta: ma chi sono questi sette o otto? Ti sei chiesta che vita hanno fatto in questi ultimi giorni, e che ne sai se, come te, sono stati attenti, si sono lavati le mani, hanno tenuto la distanza di sicurezza nel temibile momento in cui, per strada, ci si assembra sulla soglia delle strisce pedonali in attesa che scatti il verde del semaforo. O se invece sono di quelli che alla cassa del supermercato s’incollano alla persona che hanno davanti, come se non leggessero i giornali, non vedessero i tg, non sapessero quanto è lungo un metro e che quel metro è la misura del contagio, è la distanza fra salute e malattia. Se sei solo a Milano ai tempi della «fascia uno», il momento peggiore è il terribile istante in cui realizzi che non ti fidi più degli altri. Stanotte, quello è stato l’istante in cui è precipitato un mondo. Sei uno dei 400mila single di Milano e non ti sei mai sentito solo. Dico «single» nell’accezione burocratica del termine: dei 745 mila nuclei familiari registrati all’anagrafe nel 2018, più di 400mila sono composti da una sola persona. Eravamo 400mila «persone sole», ma non eravamo soli. Avevamo tutta una rete di amicizie e conoscenti, cerchie strette e via via più larghe, quelli che «faccio una pasta al volo, vieni?» e quelli con cui un pranzo lo fissavi un mese prima. C’era tutta una grammatica della vicinanza che dava un senso allo scorrere del tempo e all’osmosi e al confronto di idee, opinioni, emozioni. C’era la certezza di quei dieci nomi e volti che erano «famiglia», essendo la famiglia vera lontana. Poi, viene una notte in cui passi in rassegna i visi con cui prendere un tè e ti dici «anche no». «Anche no». «Anche no»… Quanti sono quelli per cui rischieresti il contagio? Non voglio dirmelo. So che, se va bene, sono nella «fascia 1», all’interno della quale, però, vanno comunque evitati gli spostamenti, dice il decreto. Magari è un fratello bloccato in un’altra Provincia, in una Fascia 1, però lontana dalla mia. Nei prossimi giorni, volevamo incontrarci in un Sud che in origine chiamavamo «casa». Sarà per Pasqua, si spera. E mentre lo dici, ti rendi conto che «anche no». Non per lui, ma perché lo dicono tutti che al Sud non c’è percezione del rischio, che la gente vive come se il Covid-19 non li riguardasse. L’ha detto Walter Ricciardi, professore di Igiene, consigliere del ministro della Salute. Me lo confermano gli amici che ho giù. Pensi «anche no», perché nella Fascia 2 ci sono ospedali dove, in caso bisogno, preferiresti non trovarti, specie se, per appartenenza territoriale, potresti stare in uno «da Fascia 1». Se sei solo a Milano ai tempi della Fascia 1, la cosa peggiore non è farsi contagiare dal coronavirus, ma dalla diffidenza. Se non ti fidi più degli altri, crolla tutto il sistema di certezze su cui hai costruito le tue connessioni sociali. C’è stato il momento, nella notte fra il 7 e l’8 marzo 2020, in cui hai fatto una valigia per stare via a lungo. Almeno fino al 3 aprile. L’hai fatta in fretta, pensando di salire in macchina e lasciare la Lombardia prima che il decreto fosse firmato. Hai aperto la mappa d’Italia, hai cercato la prima provincia in Fascia 2 dove fermarsi in albergo a dormire, per poi proseguire, col sole, in fuga, verso le persone che ami davvero. Ti sei visto a Bologna, hai immaginato la diffidenza del portiere di notte mentre leggeva la tua carta d’identità. E da lì hai immaginato una catena di altre facce stranite perché vieni da Milano, la città delle peste, e Manzoni c’entra poco. Le amiche che sono sfollate da prima, quelle facce, mi raccontano, le hanno già viste, le incontrano tutti i giorni nei posti che pure sono i loro luoghi di origine o dove da anni vanno per vacanze o weekend. Io quelle facce non voglio incontrarle, non è giusto per loro. Non è giusto che io vada a cercarle, innescando in altri degli attimi d’ansia. Mentre lo pensavo, ho capito che non voglio vedere facce diffidenti, ma anche che non voglio avere una faccia sulla quale è dipinta la diffidenza. Starò il più possibile in casa, mi laverò le mani, le disinfetterò, uscirò se è necessario, starò almeno a un metro da chiunque, ma avrò fiducia che tutti gli altri, chiunque altro, stia facendo lo stesso. Sorriderò a ogni persona che incrocio, sarà come quando fai jogging e incroci un altro che corre e ci si fa un cenno, ci si saluta, siamo una confraternita, stiamo condividendo qualcosa. Stiamo facendo tutti del nostro meglio. Ho disfatto i bagagli. Ho dormito di sasso e poco. Ho lasciato entrare l’alba e ho fatto pace col fatto che il mio appartamento è ora il mio nuovo perimetro e che sarà vuoto e silenzioso per un po’. Poi, ho fatto e ricevuto tante telefonate, di Fascia 1 e di Fascia 2. In poche ore, ho perso il conto delle voci amiche, però il messaggio è stato univoco, è stato un coro di «sentiamoci», «sentiamoci», «sentiamoci ancora e ancora». Raccontiamoci come stiamo, che libri abbiamo letto, che musica abbiamo ascoltato, che film abbiamo visto. (…) Non perdiamoci, non isoliamoci. Videochiamiamoci. Cambia il modo, non la sostanza. Non sei sola, non sono solo, non siamo soli.
Cori e tricolore, l’Italia alla finestra applaude i medici. Pubblicato sabato, 14 marzo 2020 su Corriere.it da Giovanna Cavalli.Qualcuno ha piazzato un mega-altoparlante sul terrazzo condominiale e spara a palla le note di Azzurro, ma stavolta nessuno chiama l’amministratore, anzi i condomini fanno il coro. Si canta, come viene viene, non importa, con gli occhi rivolti al cielo, che sia grigio o che sia blu, in questo secondo pomeriggio di flashmob tricolore contro l’ansia plumbea da Coronavirus. Con tutta l’Italia che vorrebbe abbracciarsi, ora che non può più farlo, e allora si unisce in un lungo karaoke patriottico. E pazienza se quell’«allora io quasi quasi prendo il treno e vengo, vengo da te» è proprio quello che non si deve fare. In tuta, con il maglione da casa, in pigiamone, ché si sta tappati in casa e tanto vale mettersi comodi, appuntamento alle 18, gli inviti girano sui social, chi c’è c’è, e ci sono in tanti, immortalati dai video tremolanti che girano sui social. La casalinga fa un balletto solitario con le mollette dello stendino, i ragazzi si sbracciano sul tetto tra le antenne, chi è seduto al piano, chi si sporge con il violino dalla finestra, la nonna ha il braccio fasciato al collo, ma tiene il tempo come può, tre bambini di Bergamo gridano «Viva l’Italia» saltellando sul tappeto elastico, il trenino della Roma-Ostia riarrangia la hit di Conte-Celentano con la sirena , a Milano riecco Fedez e Chiara Ferragni, lui col cappuccio del felpone in testa, lei che saltella in cappottino rosso tres chic, con cassa high tech sul davanzale e inquadratura del telefonino sul gatto bianco e grigio dei vicini, che li fissa perplesso da dietro il vetro. «Oggi è Azzurro come la livrea della nostra volante», annota su Twitter l’agente Lisa della polizia, di pattuglia su una strada deserta. «Possono separarci una porta, un balcone,una strada, ma niente e nessuno potrà separare i nostri cuori» scrive ispirato il premier Giuseppe Conte postando un collage di immagini di noi ancora e per sempre Fratelli d’Italia. Ma il primo abbraccio della giornata è quello dedicato a tutti i medici e agli infermieri degli ospedali tartassati dal Covid-19. A mezzogiorno in punto parte il flashmob della gratitudine e dai terrazzi di ogni città, scatta l’applauso collettivo per questi nostri eroi quotidiani. A Torino, quartiere Venchiglia, gridano: «La gente come noi non molla mai!», alla Garbatella, dietro le grate, una signora ci infila pure l’inno della Roma e si sgola: «Teniamoci uniti!», a Napoli fanno un coro che manco al San Paolo per chi è impegnato in prima linea contro questo virus che ci toglie l’aria. A Milano, da una balconata di largo Gallarati Scotti, Gaia Galbiati, 14 anni, studentessa del liceo linguistico Manzoni, nelle voci bianche del Teatro alla Scala, intona uno struggente Inno di Mameli, da brividi. «Applaudire, cantare, suonare alla finestra ci fa stare bene, è uno sfogo, è la necessità della condivisione», spiega con la sua innocente saggezza. «Se ne usciremo, saremo tutti più grandi». Perché forse va proprio come racconta Paolo su Twitter. «Poco fa si cantava Azzurro dai balconi. Come nelle gite in pullman, da ragazzi: il prof dietro l’autista, l’amico che soffre l’auto e i casinisti in fondo. È come se fossimo tutti in viaggio. Ancora tante curve, ma vinceremo».
Coronavirus, chi è il trombettista che ha commosso tutti, suonando «O mia bela Madunina» dalla finestra. Pubblicato sabato, 14 marzo 2020 su Corriere.it da Matteo Cruccu. A Milano, Raffaele Kohler, anzi «il» Raffaele Kohler, lo conoscono tutti. O almeno tutti quelli che fino a poco tempo fa, preferivano la notte al giorno, prima che sulla notte calasse la scure imposta dal coronavirus. Perché ovunque risuonasse una tromba (in un club, in corso Vittorio Emanuele, nelle balere ritrovate, alla testa della manifestazioni) c’era lui: ora , ai tempi della clausura forzata, quella tromba ha imparato a conoscerla un Paese intero. Perché a suonare Mia Bela Madunina dietro un inferriata, nel video virale che ha commosso tutti ed è girato all’impazzata sui social e nelle homepage dei giornali, c’era sempre lui, «il» Raffaele. «Mi hanno detto di questo flashmob alle 12 e ho pensato subito di partecipare» racconta lui, 39 anni tra qualche giorno, un cognome che rivela trisnonni tedeschi, ma milanese fino alle midolla «La tromba ha un suono arcaico e nostalgico e riesce a unire sempre un pò tutti». E così è successo: dal suo appartamento al piano terra in via Fauché, vicino a Corso Sempione, ha iniziato a risuonare l’inno della città:«E la cosa che mi ha commosso subito è che pian piano si è unita la giapponese pianista del piano di fianco, poi l’anziana di quello di sopra, poi tutta la via. Una sorta di concerto polifonico in divenire». E Raffaele che prima del lockdown, aveva un concerto ogni sera e oggi aspetta che la buriana finisca per riprendere a lavorare, si è sentito meno solo: «Eravamo vicini anche se non ci potevamo vedere e da dietro quelle sbarre da cui suonavo mi sembrava di essere finalmente libero». Ancor più dopo che il video della sua esibizione (durata integralmente 45 minuti) è diventato, come si dice oggi, virale: «Sì, la valanga di messaggi degli amici che l’hanno vista ( e pure degli sconosciuti) è stata veramente un balsamo». Quale sarà la prima cosa che farà Raffaele una volta che l’emergenza finirà?: «Andrò a suonare in strada. Nella fase intermedia, quella in cui si poteva camminare e i locali erano chiusi, notavo che i milanesi, altrimenti distratti, si fermavano attenti, ansiosi di stare insieme. Ne avevano bisogno evidentemente, ne avranno bisogno».
Con il coronavirus ci riscopriamo più simili agli animali. È la nostra natura ma anche la nostra cultura. Pubblicato sabato, 14 marzo 2020 da Corriere.it. da Fabrizio Rondolino. In questo tempo sospeso, di fronte ad un pericolo sconosciuto e dai contorni ancora imprecisati, la nostra vita si è per dir così semplificata: non soltanto perché siamo costretti a fare molte meno cose di prima, ma anche, e soprattutto, perché i nostri comportamenti e le nostre reazioni sembrano rispondere più all’istinto – che è sempre semplice, immediato, diretto – che alla ragione. Ciò non significa che siamo irragionevoli – anzi, nella stragrande maggioranza dei casi ci stiamo dimostrando più responsabili di quanto noi stessi pensassimo – ma, semmai, che la nostra ragione è più efficace perché risponde prima di tutto ad un istinto primordiale: la sopravvivenza dell’individuo e della specie. In altre parole, siamo diventati un po’ più simili agli animali. Qualcuno è inorridito vedendo sulla rete e in televisione gli assalti ai supermercati, e qualcuno si è sentito superiore e ha guardato con fastidio agli eccessi della gente comune: la verità, però, è che ci siamo comportati come qualsiasi altro animale, assicurandoci la risorsa essenziale, l’unica a cui per nessun motivo possiamo rinunciare – il cibo. Se avessimo soltanto usato la ragione, avremmo facilmente concluso che non c’è in Italia nessun problema di approvvigionamento alimentare, e che non ci sarà neppure se – Dio non voglia – la situazione dovesse peggiorare di molto. L’istinto ha però suggerito un’altra soluzione, e la nostra mente semplificata dalla pandemia gli ha dato retta. In etologia si chiama «opportunismo»: ogni volta che un predatore incontra una preda, a meno che non abbia appena finito di mangiare, coglie l’opportunità dell’incontro per uccidere. E il motivo è semplice: nessuno può sapere quando si ripresenterà l’occasione. È questo per esempio il motivo per cui un gatto con la ciotola sempre piena di crocchette continua a cacciare lucertole che poi regolarmente abbandona per casa. Nelle condizioni profondamente mutate in cui ci troviamo, l’assalto al supermercato è l’equivalente della caccia alla lucertola di Sergio e Laura. Non voglio giustificare questo comportamento: ma neppure mi sento di condannarlo, perché ci appartiene profondamente. In questi primi giorni di clausura forzata, un po’ ovunque in Italia la gente ha improvvisato dai balconi di casa concerti e performance collettive, spesso anche intonando l’inno nazionale, che di solito riserviamo soltanto alle vittorie della Nazionale ai Mondiali. E anche in questo non è difficile scorgere il lavoro dell’istinto. Siamo animali profondamente, indelebilmente sociali. Nel nostro patrimonio genetico è inscritta una modalità molto precisa: possiamo vivere soltanto insieme agli altri, e all’interno di una struttura gerarchica ben definita. Non solo: i membri del branco hanno continuamente bisogno di confermarsi reciprocamente l’appartenenza alla stessa comunità. Per questo motivo i cani (come i lupi) si leccano il muso l’un l’altro, i gatti si annusano, gli scimpanzé si spulciano: ognuno di questi atti, ripetuti anche più volte nel corso della giornata, ribadisce l’esistenza di un legame collettivo e in questo modo anche lo rafforza. Affacciarsi alla finestra per cantare con il dirimpettaio l’inno nazionale è esattamente la stessa cosa. Non credo che la «natura» sia preferibile o superiore alla «cultura», anche perché è impossibile separare i due ambiti: la nostra cultura è precisamente la nostra natura, e viceversa, così come si sono organicamente evolute negli ultimi trentamila anni. Però mi sembra importante, e anche in una certa misura consolatorio, ricordarsi che alla radice dei nostri comportamenti, soprattutto in una condizione di difficoltà, ci sono motivazioni e reazioni condivise da tutti gli altri animali: e questo ci aiuta ad avere più rispetto per le altre creature, e una più matura consapevolezza di sé.
Dagli applausi ai medici ed agli infermieri dai balconi, emerge un' Italia unita: finalmente "Nazione". Antonello de Gennaro su Il Corriere del Giorno il 14 Marzo 2020. Un’iniziativa partita su Facebook dal gruppo “Applaudiamo L’Italia” che raccoglie oltre 350mila persone, ed è stata presentata come un atto di gratitudine ed incoraggiamento non solo ai professionisti della guerra al contagio ma anche allo sforzo di pazienza e resilienza dei sessanta milioni di cittadini che collaborano dalle retrovie. Le immagini degli italiani che applaudono e cantano stanno facendo il giro del mondo e forse ci aiuteranno più dei discorsi ufficiali a far percepire il sentimento di un Paese tutt’altro che rassegnato. Quei video dalle case di ringhiera, dagli attici in centro, dai “palazzoni” popolari a venti piani, dalle strade senza più auto, senza più traffico, senza più passanti, dicono una cosa precisa: stiamo giocando il nostro Mondiale, tutti insieme, e siamo determinati a vincerlo. A mezzogiorno di oggi un lungo applauso per medici e infermieri è scattato dalle finestre e dai balconi in molte città d’Italia . L’invito al flash-mob a distanza di sicurezza circolava sui social e sulle chat di quartiere, ma anche chi non lo aveva visto è stato richiamato ad affacciarsi sulla strada e a partecipare. Si sono moltiplicate in questi giorni le iniziative e le manifestazioni lampo rigorosamente senza uscire di casa, per affrontare insieme la paura, come già successo in Cina a Wuhan (epicentro mondiale del CoronaVirus) , dove gli abitanti nel bel mezzo dell’epidemia di Covid-19 si facevano forza l’un l’altro affacciandosi dalle finestre per urlare “Wuhan jiayou“, cioè “Forza Wuhan”. Molta gente si è affacciata dai balconi a mezzogiorno in punto in tutt’ Italia: c’è chi ha intonato l’inno di Mameli, chi ha sventolato il Tricolore e alla fine un lungo applauso per ringraziare tutte le persone, soprattutto medici e paramedici, impegnate in prima fila in questi giorni difficili per combattere la pandemia da coronavirus. E c’è stata gente che ha applaudito anche della strada, fermandosi a ringraziare quanti stanno lavorando negli ospedali. E’ un’emergenza sanitaria, ma ormai sembra un Mondiale di calcio, con i tricolori alle finestre, gli incitamenti e il corale applauso dai balconi. Alle ore 12 le terrazze , i balconi, le finestre si sono animate all’improvviso in Italia, pressochè ovunque, da Milano a Bari, passando per Roma. Battimani, fazzoletti sventolati, persino qualche megafono: “Forza“, “Daje“. “Siamo un grande Paese, ricordiamocelo”, si legge in uno dei tanti tweet. “Applauso all’Italia, agli Italiani ma soprattutto al personale sanitario”, si legge in un commento. E c’è anche chi accenna alla polemica: “Gli infermieri denigrati, umiliati derisi, non rispettati, usati come camerieri oggi vi salvano il culo”. Da nord a sud, il grido è unanime. “Un applauso per tutti quelli che stanno lavorando senza sosta per sconfiggere il coronavirus e per tutti gli italiani che stanno in casa”. Solo che questa volta il goal della vittoria non lo ha segnato un calciatore , gli italiani festeggiano una Nazionale diversa, composta dai medici, degli infermieri, dei biologi, di chiunque in camice bianco o con la più modesta divisa degli inservienti, dei cuochi, dei manutentori, tiene in piedi gli ospedali e lotta contro il virus. Voleva essere un flash mob ma è diventato qualcosa di diverso: una testimonianza collettiva di partecipazione, un’inattesa manifestazione di solidarietà che unito un Paese che fino a ieri era spaccato, separato tra Nord e Sud, poveri e ricchi, cittadini e stranieri, garantiti e precari. C’è uno stato d’animo che finora nessuno è riuscito a interpretare a pieno – a partire dalla politica, i giornalisti, gli opinionisti – costruito non solo dai sentimenti molto raccontati dello spavento e della diffidenza ma anche dalla voglia e dal desiderio di sentirsi finalmente nazionalisti, uniti in una prova senza precedenti che obbliga alla distanza fisica, all’isolamento personale. Quando a fare paura erano le bombe e il terrorismo, gli italiani reagirono scendendo in piazza con i grandi raduni per manifestare la volontà di non piegarsi, di andare avanti , di non aver paura facendosi forza gli uni con gli altro. Questa volta non si può. Però quella volontà esiste ancora più forte anche in questa emergenza avverte la voglia di farsi sentire, di manifestarlo pubblicamente: un desiderio così forte che trova modi per esprimersi anche senza regie organizzative o input calati dall’alto. E’ tutto spontaneo, è la creatività del nostro popolo, della nostra Nazione, mai come ora unita. Un’iniziativa partita su Facebook dal gruppo “Applaudiamo L’Italia” che raccoglie oltre 350mila persone, ed è stata presentata come un atto di gratitudine ed incoraggiamento non solo ai professionisti della guerra al contagio ma anche allo sforzo di pazienza e resilienza dei sessanta milioni di cittadini che collaborano dalle retrovie, a “tutto quello che ciascuno di noi sta facendo per questa nazione”. Ha funzionato. Gli oltre 350mila iscritti al gruppo (che crescono ogni minuto) e migliaia, forse decine di migliaia, di risposte ai tre diversi inviti lanciati negli ultimi due giorni: esporre la bandiera; cantare, suonare o metter su una canzone che rompesse il silenzio spettrale della quarantena; applaudire tutti insieme, alla stessa ora, le 12 di oggi. E così è stato. Le immagini dei video caricati dai partecipanti descrivano un Italia unita che sa resistere a tutte le sue problematiche. Un’iniziativa che ha visto una flautista esibirsi musicalmente in video per tutti dal suo appartamento un po’ bohemienne, l’arpista nella penombra di una sala da musica, una “classica” famiglia borghese italiana col padre al pianoforte e la figlia adolescente che sa cantare benissimo “Hallelujah” di Leonard Coen. Un flashmob che ha fatto vedere anche un signore che da un punto imprecisato di un mega-condominio fare suonare a palla “Il Triangolo” di Renato Zero ed un simpatico “matto” salito su un tetto di Monteverde, il quartiere più engagée di Roma, far riecheggiare a un milione di decibel l’inno nazionale . Gli applausi di mezzogiorno degli italiani si sono sentiti scroscianti persino nei quartieri residenziali più riservati delle metropoli italiane, di solito poco abituati ad unirsi alle manifestazioni, che si sono diffusi ed applicati nel web grazie a migliaia di dirette Facebook, consentite dalle videoriprese al cellulare: bambini dalle loro camerette, adolescenti truccate e pettinate di tutto punto, nonne in grembiule, e ci sono pure fischietti, pentole sbattute con i mestoli, sirene da stadio. E’ sostegno all’autostima, è orgoglio tricolore, è desiderio di dire a se stessi e al mondo che siamo un Paese differente, che non si piange addosso, che è capace di inventarsi cose speciali persino nella reclusione forzata casalinga della quarantena. Solo che dietro questo desiderio di manifestarsi solidali e patriottici dai balconi, questa volta, c’è qualcosa di più. Ed era ora.
Da giornaledivicenza.it il 15 marzo 2020. Si affaccia in terrazzo per cantare, come sta accadendo in tutta Italia, ma qualche vicino chiama i carabinieri che arrivano, la identificano e la fanno smettere. Ed ora rischia una sanzione. È successo l’altra sera in pieno centro storico a Schio. Marta Pavan, commerciante di via de Pinedo ma anche cantante professionista, aderisce all’invito di affacciarsi dalle proprie abitazioni per intonare una musica o un canto. Alle 19 piazza un amplificatore, prende il microfono e sciorina una fetta del suo vasto repertorio con in braccio il figlioletto che si diverte e fare pure i cori. Ma a qualcuno quella musica che è un invito a resistere in casa e a scacciare l’ombra del virus che incombe su tutta la nazione, non è piaciuto. Sono arrivati i carabinieri, le hanno chiesto i documenti e invitato a deporre il microfono. «Ho ricevuto tanti complimenti, mi hanno chiesto di rifarlo stasera (ieri per chi legge) ma ho detto di no, non voglio altre grane. E pensare che persino qualche vicino si è commosso, meravigliato per la mia voce che non aveva mai sentito. Sono occasioni per avvicinare la gente, non per dividerla».
Selvaggia Lucarelli per ''il Fatto Quotidiano'' il 15 marzo 2020. Sei cose con cui abbiamo a che fare tutti, in questi giorni.
La bulimia da quarantena. È marzo, ma noia e domiciliari forzati istigano a un consumo di cibo da vigilia di Natale. Ieri sera, a mezzanotte il mio fidanzato è uscito dalla cucina con la colomba pasquale e una cioccolata calda. Due giorni fa, con diciotto gradi e l' albero di pesco fiorito davanti casa, mangiavamo polenta con gli osei. Finito il coronavirus arriverà la pandemia successiva: il coronarie-virus.
Il supermercato. Le file fuori dai supermercati sono tra le cose più inquietanti e spettrali di questi giorni. Ieri sono passata davanti all' Esselunga, c' erano 4 persone con le mascherine e una tuta bianca in attesa di entrare dentro e sembrava l' ingresso del Ris nella villetta di Cogne. All' interno dei supermercati poi è ancora peggio. Ci si guarda tutti con una nota di feroce diffidenza, si sbirciano gli acquisti dell' altro, si teme che tutto presto finirà, che le navi ricolme di ananas verranno rimandate indietro e che le fabbriche di penne rigate verrano convertite in ospedali da campo. L' altro giorno il mio fidanzato è tornato col fertilizzante per oleandri, quando gli ho chiesto perché lo avesse comprato visto che non abbiamo né giardino né oleandri, mi ha risposto con aria scaltra: "Era l' ultimo dello scaffale, non si sa mai".
Le pulizie compulsive. Nei lunghi giorni di inerzia le pulizie domestiche sono diventate il principale passatempo degli italiani, con due varianti: quella di chi le ha sempre fatte con costanza e quindi è passato al livello successivo, quello della guerra allo sporco nascosto, e in questi giorni sta lucidando anche le grondaie del terrazzo e il circuito elettronico interno del telecomando. Poi c' è chi non le aveva mai fatte perché ci pensava la donna delle pulizie oppure perché in casa ora ci si dividono i compiti e tocca anche a chi non aveva mai preso una scopa in mano. Per esempio mio figlio di 15 anni che, in ordine sparso, è stato capace di fare le seguenti cose: asciugare i piatti con lo Swiffer. Pulire i fornelli col detersivo per i piatti. Spruzzare un po' di acqua sul bonsai con lo spruzzino dell' anticalcare. Far partire la lavatrice "scarpe" col programma "90 gradi", per cui ieri io sono andata al supermercato con le ciabatte giapponesi di legno comprate a Kyoto nel 2014. L' altro giorno gli ho chiesto di aspirare un po' di peli del cane in sala e l' ho trovato in sala, per terra, che passava il miniaspirapolvere da cucina sul dorso del cane, che non opponeva resistenza.
L' ipersensibilità. Si piange per tutto. Per gli inni nazionali alla finestra, per i fratelli che salutano dal balcone, per i nipotini che lasciano i bigliettini davanti alle porte degli zii, per i nonni che imparano a videochiamare pure se sai che prima di videochiamare te hanno fatto partire almeno sedici chiamate per l' Australia, per le immagini dagli ospedali, per i fidanzati lontani, per i figli all' estero. Io l' altra sera ho pianto perché a DiMartedì non partiva il grafico di Nando Pagnoncelli e non riuscivo a calmarmi.
Attenti al contagio. Siamo passati dal leccarci le dita dopo che avevamo stretto la mano a scaccolatori seriali a ritenere infetta ogni cosa. Ed è giusto, per carità, solo che la vita è diventata complicata. Quando torno dal supermercato il mio fidanzato mi costringe a una decontaminazione che neanche quelli tornati dal controllo del reattore 4 di Chernobyl. Prima devo togliere le scarpe e lasciarle sul pianerottolo, poi anche le calze perché non sia mai che sia una scarpa che respira e respira senza mascherina. Poi devo mettere la mascherina usa e getta in un' apposita busta, poi devo togliere la giacca e lui ci passa su un disinfettante spray. Poi io devo passarmi l' amuchina su mani e polsi prima di andare a lavarli. Allora io chiedo perché, visto che devo andare a lavarli, quindi lui mi dice che potrei infettare la maniglia del rubinetto. Poi finalmente provo a dargli un bacio e "prima fatti una doccia". Morale: se non passa la pandemia subirò una rapida mutazione in specie ermafrodita, come le meduse.
I flashmob alle finestre. Belli eh, per carità, però a me questa cosa che le terrazze siano diventate il palco di Italia' s got talent comincia a disturbare un po'. Cioè, uno non può aprire la finestra per far entrare un po' d' aria che qualcuno ti chiede di applaudire agli ospedali, di cantare per il Paese, di battere il cucchiaio sulle pentole, di esibire il tricolore, di scrivere "andrà tutto bene" su un lenzuolo, di appenderti alla ringhiera per il dorso dei piedi come i pipistrelli, di farti un piercing con le mollette della stesa e così via, tant' è che ormai anche a detta dei più stimati virologi, gli unici che sopravviveranno a questa pandemia, quelli che sono destinati a ripopolare il mondo non sono né i bambini né gli adolescenti, né gli immuni dalla malattia: sono quelli che non hanno un terrazzo.
Alessandro Rico per “la Verità” il 16 marzo 2020. Francesco Alberoni, 90 anni, sociologo ed ex vicepresidente della Rai, ha scritto saggi di grande importanza e successo, come Movimento e istituzione, Innamoramento e amore, Leader e masse. Ma forse, il libro che vorremmo rileggere ora è quello che ha il titolo più adatto a questo momento difficile: La speranza.
Professore, come sta? Di questi tempi, non è solo una domanda retorica...
«Sto bene. In prigione, come tutti...».
Fino al 7 marzo, locali della movida pieni. Dopo il dpmc sull' Italia zona protetta, vari episodi increscios: i due ventenni di Parma pizzicati mentre andavano a prendere un volo per Madrid, o i cinque napoletani fermati mentre erano in viaggio verso Zocca, per vedere la casa di Vasco Rossi. Perché i giovani hanno fatto tanta fatica a capire che dovevano rimanere a casa?
«Le cause sono due».
Quali?
«C' è stato sicuramente un problema a livello d' informazione».
Cioè?
«Ai giovani è stato detto che di coronavirus muoiono solo i vecchi».
Poi?
«Il secondo motivo è che i giovani si ribellano sempre».
I ragazzi scappati dal Nord verso il Sud non hanno pensato che potevano portare il virus ai nonni?
«Ciascuno, durante un' epidemia, pensa a sé stesso».
E ai propri cari no?
«Se ci sono relazioni molto forti. I giovani cresciuti con i nonni sicuramente si preoccupano. Ma molti non hanno rapporti con i nonni».
No?
«Nelle famiglie moderne, dove magari ci sono stati dei divorzi, non capisci mai bene che rapporti ci sono. Eppure...».
Eppure?
«In questa fase si sta ricomponendo la famiglia essenziale».
Dice?
«Ora si farebbe fatica a stare da soli».
Paradossalmente il virus sta ricementando i legami?
«Non ricrea gli amori rotti, ma diminuisce la libertà sessuale».
In che senso?
«C' era gente che si vantava di cambiare partner ogni settimana... Il virus ha placato molto i bollenti spiriti maschili e femminili».
Tornando agli anziani: non sarà che i ragazzi se ne sono infischiati anche perché li hanno martellati con la propaganda sui pensionati che rubano il futuro ai giovani?
«La nostra è una società che continua a invecchiare e in cui, peraltro, nessuno produce».
Nessuno?
«Gli anziani non producono perché sono in pensione. I giovani non producono perché sono disoccupati».
Triste ma vero.
«A parte la comicità di questa situazione, in ogni società che invecchia si mettono in moto sentimenti di rancore: il giovane sente di dipendere dall' anziano e la cosa gli dà fastidio».
Quelli che se la sono svignata dal Nord speravano che la movida continuasse altrove? Sono i profughi dell' aperitivo?
«Non sono un uomo adatto a fare battute. Ma un giudizio posso darlo».
Lo dia.
«Credo sia gente che non ha nulla da fare. Studiare non studiano. Divertire vogliono divertirsi. Non potevano fare l' happy hour sui Navigli, non potevano andare in cerca di partner con cui avere frenetiche orge amorose...».
Ah ah ah.
«Eh, allora sono andati altrove».
Come mai stare a casa annoia tanto i ragazzi?
«Guardi che si annoiano tutti».
Tutti?
«Dicono che le donne non si annoino, perché chiacchierano per ore al telefono con le amiche. Ma si stufano pure facilmente».
Dove vuole arrivare?
«Anche loro si annoiano a stare ferme in casa».
Ecco, parliamo di divertimento: secondo Blaise Pascal era un modo per non pensare alla gravità della nostra condizione umana. Ci atterrisce, stando in casa, dover riflettere su noi stessi?
«Dunque, la società della mondializzazione, del Web, dello smartphone, si fonda su tre elementi».
Ovvero?
«Primo, la continua distrazione. Non ti concentri mai su niente, passi continuamente da una cosa all' altra».
Ad esempio?
«Qualunque imbecille ti telefoni su Whatsapp, tu lasci tutto il resto, pure tua madre morente, per rispondere».
Poi?
«Il divertimento».
E il terzo elemento?
«Il consumo. Se scrivi "Socrate" su Google mica ti viene fuori il filosofo greco. Prima esce qualche negozio all' ultima moda. E questo dipende molto dall' influenza americana, perché sono loro che controllano questi mezzi. L' imperativo è vendere».
Quindi?
«Tolta questa pressione - cosa vendi adesso? - dovresti, sì, essere costretto a pensare. Magari a leggere un libro».
Già. Perché siamo così refrattari a leggere?
«Non è che siamo refrattari a leggere. È che siamo abituati a leggere i messaggini».
Non ci concentriamo?
«Leggiamo le frasi su Whatsapp, mica Delitto e castigo, dove si riflette sugli eterni dilemmi morali dell' umanità».
Lei ce l' ha, Whatsapp?
«Ho dovuto toglierlo tre volte. Mi arrivavano centinaia di messaggi al giorno, uno più cretino dell' altro».
La fatica che hanno fatto i giovani ad adeguarsi alle restrizioni può dipendere anche dalla sistematica demolizione dei concetti di ordine e autorità?
«Tutta la società ha fatto fatica, perché tutta la società, negli ultimi 30 anni, ha distrutto qualsiasi regola».
Cosa rimane allora?
«La morale del "fa' quello che ti pare", tanto nessuno ti può rimproverare».
Siamo ridotti così?
«Forse è rimasta l' idea del dovere verso i figli o gli amici».
Almeno questo...
«Sì, ma credo sia più una questione di sentimento che di etica. Il sistema etico è completamente scomparso».
Chi ha distrutto la morale? Il Sessantotto?
«No. La mondializzazione».
In che modo?
«Prenda Internet. La gente credeva di poter parlare con tutti, commerciare con tutti, avere rapporti amorosi con tutti».
E invece?
«S' è visto che chi comanda davvero sono Google e Facebook. Intanto, però, sul piano umano s' è persa l' idea del limite».
Ad esempio?
«Se mi stufo di mia moglie non c' è manco bisogno del divorzio».
C'è quello breve.
«Questo è l' atto ufficiale. Ma il divorzio è brevissimo: ti dico "vai a fare in c..." e basta».
Ma adesso che succede?
«Che con la ricomparsa del pericolo è ricomparso lo Stato. E, con lui, ordine e disciplina. La società è stata militarizzata. Una cosa che ai giovani, che non hanno fatto la leva, è ignota».
Circola una battuta: «Ai nostri nonni chiesero di andare in guerra, a noi di stare sul divano».
«È vero, tranne che per un particolare: ai nonni non lo "chiesero", lo "ordinarono"».
Ha visto che adesso proliferano i bigliettini con la scritta: «Andrà tutto bene»?
«Sì».
Anziché questa specie di psicanalisi collettiva, o anziché mettersi a cantare alla finestra, non daremmo più il senso di comunità esponendo il tricolore?
«Forse... Ho notato che adesso ci sono pure questi video dei Vip che invitano a non uscire».
(Sospira)Non le piacciono?
«Mi sembrano tutte delle stupidate sinceramente...».
Luigi de Magistris ha detto che se il virus fosse partito dalla Campania, avrebbero sparato ai napoletani. Vittorio Feltri ha tirato fuori l' epidemia di colera al Sud negli anni Settanta... Siamo un Paese unito o ci sono ancora rancori?
«I rancori ci sono, ma non mi paiono gravi. Non ho mai dato peso a queste cose».
Dal punto di vista della disciplina, i Paesi asiatici coinvolti nell' epidemia hanno un vantaggio rispetto a noi?
«La tradizione filosofica occidentale è quella greca: conosci te stesso, metti in dubbio la verità ufficiale. Quella asiatica è confuciana: ognuno occupi nella società il posto che gli è assegnato. E non rompa i coglioni».
Vinceranno loro la sfida con l' Occidente?
«Non è detto. Per vincere ci vuole anche la creatività. I cinesi possono pure darci i ventilatori e le mascherine, ma la scienza e la tecnologia con cui li realizzano gliel' abbiamo regalata noi».
Ah, certo...
«Comunque, ormai, è una dittatura pure quella che stanno esercitando ora in Italia».
O casomai è una rivincita dello Stato nazione?
«Lo Stato sembrava un' entità inesistente, buona solo a distribuire i benefici di cittadinanza, un colabrodo...».
Invece, nello stato d' eccezione, chi decide tornano a essere proprio le nazioni.
«E chi vuole che sia, se no?».
L' Europa?
«Se avessero creato uno Stato federale europeo quando potevano... Gli Stati si fanno dall' alto».
Qual è, insomma, la nostra debolezza ora?
«Che da noi si sono diffusi un lassismo, una sfiducia e un cinismo pericolosi».
Cosa possono provocare?
«Tutti i sistemi in cui c' è un rilassamento simile - in definitiva, allo scopo di giocare con il cellulare - sono destinati al collasso».
Quindi collasseremo?
«Forse no. Credo che quando tutto sarà finito, anche l' Occidente parecchie cose l' avrà imparate».
Canti e petardi: avete rotto i balconi. Cori sulle note di Ambra e lucine, da idea toccante a moda molesta. Alberto Milan, Lunedì 16/03/2020 su Il Giornale. Gli applausi a mezzogiorno per gli eroi in camice in trincea contro il virus riempivano il silenzio delle città e commuovevano. I concerti spontanei, gli anziani danzanti in balcone, i lenzuoli colorati dei bambini e il tenore che intona l'inno d'Italia a testimoniare un rinnovato senso di comunità in questo momento difficile ci hanno scaldato il cuore. Ma questa storia degli happening al davanzale sta un attimo prendendo la mano. E - come sempre - rischia di degenerare in una moda per esibizionisti emotivi e un po' superficiali. Ovunque, in tutta Italia, è un fiorire di iniziative sul solco dell'hashtag #andràtuttobene. Che può essere lodevole se rimane nell'alveo dell'incoraggiamento, ma che diventa idiota e pure fastidioso se assume i contorni della farsa e del disturbo della quiete pubblica. Che saremo anche in quarantena, ma non vuol dire che per questo ci si debba sfogare con i petardi. Sì, perché in queste sere è capitato anche questo, ovvero le salve di fuochi d'artificio come a Napoli a Capodanno. E i concerti dei condomini che urlano «Questo è l'ombelico del mondo» e perfino «T'appartengo» di Ambra, celeberrima hit del 1994 che fa accapponare la pelle più per il trash che per l'alta qualità sinfonica. Per finire con il flash-mob demenziale con cui alle 21 di ieri ci si è dati appuntamento per accendere le torce dei telefonini alla finestra: appartamenti al buio e tante lucine per farsi vedere dal satellite e far sapere (a chi? mah...) che «noi italiani siamo compatti e vivi». Che la situazione stesse sfuggendo di mano si capiva anche dagli squilibri dei politici. Per cui, a una sindaca di Roma che proponeva il canto dell'inno, l'opposizione rispondeva «noi canteremo Virginia tappa le buche». Eppure una parte di popolazione che resiste al contagio canterino e frangipalle c'è. E ha la sua capitale morale a Schio, nel Veneto già in difficoltà. Qui, quando una signora sentimentale è stata punta dalla voglia di gorgheggiare dalla finestra, i vicini hanno reagito nell'unica maniera razionale: hanno chiamato i carabinieri, che hanno identificato l'ugola d'oro e le hanno intimato di smettere. Che va bene la quarantena, ma da qui al 3 aprile così non reggiamo, rischiamo la strage prima.
· Ladri di Libertà: un popolo agli arresti domiciliari.
Piano piano ci rubano la libertà. Zuppa di Porro: rassegna stampa del 18 marzo 2020. “Troppi in giro, li puniremo” titola il Corriere della Sera. Pene più severe per chi viene beccato fuori casa. Cari italiani, invece di stare sui balconi, sarebbe meglio essere più allergici alle violazioni della nostra libertà.
Morire di Fame o di Virus? A proposito di arresti domiciliari. L'Italia non è tutta Milano e come tale non deve essere trattata. Perchè nei privilegi siamo diversi e nella disgrazia siamo uguali? Perchè non alleviare il peso di un'emergenza con raziocinio? Siamo reclusi in casa e liberi di muoverci in quell'ambiente chiuso per difenderci dal contagio. Se la nostra casa è immune in quanto nessuno esce e nessuno entra, perchè non considerare alla stessa stregua un luogo indenne ed incontaminato la casa allargata? Casa allargata come fortino inespugnabile può essere considerato il condominio, o il borgo isolato, o il quartiere, o il paese: nessuno entra; nessuno esce. Ma all'interno si è liberi di muoverci e lavorare.
Così i carabinieri controllano il Paese. Nella Capitale deserta, dopo le restrizioni prese dal governo per arrestare la corsa del virus che sta mettendo in ginocchio l'Italia, i carabinieri eseguono controlli a tappeto. Costanza Tosi, Mercoledì 25/03/2020 su Il Giornale. Piazza Venezia, a Roma, è semideserta. Il vento fa danzare le bandiere tricolore sull’Altare della Patria. Ora si contano i gradini della scalinata. Risaltano i dettagli di uno dei simboli patri italiani. La Capitale del Paese più colpito dal Coronavirus, oggi sembra il teatro che narra la storia d’Italia senza i suoi attori. Un teatro con il sipario chiuso. Protagonisti e comparse dietro le quinte. Ad attendere trepidanti di tornare in scena. Neanche i lavori stradali per la linea c della metropolitana, adesso, sono d’intralcio al traffico. Al centro della piazza due pattuglia dei carabinieri bloccano a intermittenza le vetture di passaggio. I controlli anti-Covid19 sono serrati. 24 ore su 24. Per non stare a casa la motivazione deve essere valida. Pena sanzione o, addirittura, la denuncia immediata. “Tutto il traffico veicolare viene spostato verso il militare selettore e noi andiamo a controllare tutte le persone che passano", ci spiega il Maggiore Fabio Valletta, comandante dei carabinieri della Compagnia di Roma Centro. Il ritmo delle auto ha l’impressione di essere rallentato. Stanco. Pensieroso. Disegno perfetto dello stato d’animo di chi è costretto a uscire, con le paura nel cuore e la speranza di tornare a viaggiare senza sentirsi estraneo nel proprio Paese. Spaesato. Come se il vuoto delle strade le rendesse diverse, quasi sconosciute. Si è confusi. Convinti di volerci adattare all’idea di dover dimenticare la propria libertà, ma incapaci di realizzare che è tutto vero. La prima auto si ferma al segno della paletta degli uomini in divisa. Al volante una donna. Sola. I militari iniziano a fare i controlli. “Non avevo il nuovo modulo di autocertificazione, ho consegnato quello vecchio e lì, avevo dichiarato i miei spostamenti per motivi di lavoro", ci racconta la signora abbassando la mascherina. I nuovi moduli sono entrati in vigore da poche ore. Stare al passo con le regole è diventato più difficile che mai. Nel regno della burocrazia, neanche chi è cresciuto a pane e fogli da compilare oggi, riesce più a mettersi in pari. “Forniamo noi dei nuovi moduli da compilare nel caso in cui, il conducente ne fosse momentaneamente sprovvisto e non è prevista una sanzione, al momento”. Sospiro di sollievo. La signora può tornare a casa da lavoro. I carabinieri indossano mascherina e guanti monouso. “Stiamo facendo uno sforzo logistico anche per equipaggiare i nostri uomini in maniera particolare laddove vi siano interventi in cui si rischia di ridurre la distanza sociale a meno di un metro”, siega Valletta. È questa la prima regola da rispettare. Tutti distanti. Di almeno un metro. Anche marito e moglie. Anche i coinquilini. Fuori dalle mura della propria casa dobbiamo rispettare la norma imposta dal governo. Ci si saluta da lontano. Con cenni del capo, movimenti delle braccia. I sorrisi sono sempre di meno e l’abbraccio di conforto non era mai riuscito a dimostrare la sua potenza come in questo momento. Si esce da soli per evitare il rischio di assembramenti e con lo scooter in due non si è in regola. Scatta la denuncia. La signora davanti a noi, scende dalla moto del marito. Si arrabbia. “Mi stava accompagnando a lavoro”, spiega ai militari. Ma purtroppo non è concesso. Dopo il centro storico il nostro viaggio alla scoperta della Capitale controllata prosegue in un’altra zona a rischio infrazioni. Villa Borghese. Chiusi i parchi e le aree verdi in tutta la città, salvo le zone in cui non vi è la possibilità di transennare l’intero perimetro. “In questo caso facciamo dei pattugliamenti dinamici per controllare le persone che eventualmente vi possano accedere", spiega il Maggiore. Magari per una passeggiata che, nel rispetto del nuovo decreto, è permessa solo nei pressi della propria abitazione. O magari per fare jogging. Le restrizioni arrivano anche per loro, gli amanti del fitness, finiti al centro delle proteste nelle ultime settimane. “Si può fare attività fisica esclusivamente in prossimità della propria abitazione e rispettando la distanza di sicurezza. Accertandosi di non creare assembramenti che aumentino i rischi di contagio”, continua il comandante. Quando entriamo nell’area verde più famosa di Roma è difficile scovare, tra le aiuole, qualche furbetto in passeggiata. Le pattuglie dei carabinieri ispezionano ogni singola zona e dove non arrivano gli uomini, dal basso ora, ci pensa il drone. “In aree come questa è molto complicato riuscire a censire tutte le persone che sono all'interno del parco. Stiamo sviluppando una serie di controlli più sofisticati. Sono iniziati dei servizi specifici con l’utilizzo di droni che, in collegamento con delle pattuglie che sono all’interno del parco, individuano dall’alto eventuali soggetti e lo comunicano via radio alla pattuglia che poi procederà al controllo sul posto”, ci spiegano i carabinieri. Uomini in prima linea che, ogni giorno, si trovano a dover combattere con i rischi di contagio del virus che sta mettendo in ginocchio l’intero pianeta. Un nemico, che non risparmia nessuno. Neanche i carabinieri.
UN POPOLO AGLI ARRESTI DOMICILIARI. Vincenzo Vitale su Opinione.it il 16 marzo 2020. In questi giorni, da quando cioè è in vigore il decreto governativo che impone di stare in casa per ragioni urgenti di pubblica igiene, permettendo di uscire solo per esigenze di lavoro, sanitarie o di primaria necessità, 60 milioni di italiani abbiamo sperimentato come si vive agli arresti domiciliari. La condizione di ciascuno di noi e di interi gruppi familiari, infatti, combacia in modo abbastanza preciso – e in via di puro fatto – con il regime degli arresti domiciliari previsto e disciplinato dalla legge processuale penale. Innanzitutto, non possiamo uscir di casa quando e come vogliamo. Possiamo farlo, come accade anche ai detenuti agli arresti domiciliari, solo per andare a lavorare, ma deve trattarsi di un’uscita che abbia come destinazione proprio il luogo di lavoro: di volta in volta, la fabbrica, lo studio professionale, la tabaccheria. E siamo sottoposti ad eventuali controlli polizia esattamente come accade per i detenuti in regime di arresti domiciliari: se la ci ferma, siamo tenuti a giustificare il nostro transito per via, dichiarando dove ci stiamo recando e perché. Successivamente, le nostre dichiarazioni, adeguatamente verbalizzate, potranno essere verificate e, se non veritiere, potranno dar luogo ad una denuncia ai sensi del Codice penale. In secondo luogo, potremo giustificarci affermando di doverci recare in ospedale o in farmacia, per un controllo urgente o per un farmaco di cui abbiamo bisogno: e anche qui le necessarie verifiche di polizia. Infine, potremo allegare la necessità di fare la spesa, acquistando i generi alimentari e quelli di primario sostentamento. E ciò esattamente come accade ai detenuti agli arresti domiciliari, ai quali il Tribunale accorda naturalmente alcune ore al giorno di libertà per procurarsi appunto il necessario per vivere. Ultimamente, è accaduto a Vittorio Cecchi Gori, al quale succede qualcosa di straordinario – in quanto mai accaduto a nessuno prima di lui – perché in nulla il suo obbligo di rimanere a casa agli arresti domiciliari – in forza di una sentenza definitiva – differisce, nei fatti, da quello che invece incombe sui suoi vicini di casa: agli arresti domiciliari lui, agli arresti domiciliari loro. Ma già dopo alcuni giorni ci siamo tutti stancati, benché tutti restiamo a casa forse per paura di un contagio, forse per paura di una denuncia in sede penale. Tuttavia, in Italia ci sono almeno due persone autenticamente felici di questa situazione e che penso stiano toccando il cielo con un dito: Piercamillo Davigo e Marco Travaglio. Entrambi – sia pure con sfumature diverse, più strettamente processuali il primo, più ovviamente giornalistiche il secondo – saranno entusiasti di vedere finalmente agli arresti domiciliari ben 60 milioni di italiani. Certo, non è proprio il massimo – e subito vedremo perché – ma bisogna ammettere che neppure nei più ambiziosi dei loro sogni avrebbero mai potuto immaginare un risultato così portentoso, in così breve tempo e praticamente senza particolari sforzi. Immaginiamo Davigo che, preda di una sorta di un inarrestabile orgasmo psicologico-giuridico, saltella per casa abbracciando i familiari e congratulandosi con loro per l’esito insperatamente raggiunto oppure telefona ad amici e conoscenti, magari per occultare dietro generiche domande sulla loro salute, inconfessabili verifiche sulla loro permanenza in casa. E immaginiamo Travaglio, esultante, in fremente attesa delle domande che Lilli Gruber gli rivolgerà nel corso del prossimo Otto e mezzo, al quale egli verrà immancabilmente invitato a partecipare, pronto a dichiarare la sua inattesa felicità, tanto intensa, quanto imprevedibile. Pensateci bene: 60 milioni di persone agli arresti domiciliari! E quando mai essi avrebbero potuto prefigurarsi questo enorme carcere ove detenere tutti questi sicuri colpevoli, milioni di colpevoli, inconsapevoli forse, ma comunque colpevoli di qualcosa! E che quasi nessuno di questi milioni di detenuti lo sappia con precisione, non importa. Se non sanno perché sono colpevoli, altri lo saprà per loro e comunque questi sono dettagli sui quali non vale la pena perder tempo. Infatti, come è noto, non è che uno deve andare in carcere perché riconosciuto colpevole di un illecito. No! Nella immaginazione di Davigo e di Travaglio, la cosa funziona al rovescio, come magistralmente Franz Kafka ha mostrato nelle sue più riuscite pagine: dal momento che sei in carcere, devi essere di certo colpevole. E tanto basti. Tuttavia, c’è un però; ed è un però, declinato in tre forme, che un poco guasta la gioia incommensurabile dei due. Infatti, essi sanno che questo stato di inattesa ed intensa beatitudine loro riservata, non potrà durare che qualche settimana, e che comunque è destinato per forza di cose ad estinguersi in un tempo relativamente breve. Certo, non che loro agognassero l’ergastolo, ma insomma, visto che si tratta di un vero dono del cielo, chissà se fosse possibile farlo durare almeno qualche annetto…e giù, forse, preghiere e giaculatorie per sensibilizzare il Padreterno allo scopo, in attesa di una insperata grazia. In secondo luogo, essi non amano tanto che la sanzione incomparabilmente più severa per i trasgressori del divieto di uscire di casa non sia dovuta alla legge, ma sia invece il contagio tanto temuto. Infatti, avrebbero preferito che la natura lasciasse campo al giudizio di un bel Tribunale che potesse dispensare meritate condanne. E invece no, non possono farci nulla: la natura non si piega ai Tribunali. Finora. Infine, particolare non trascurabile, Davigo e Travaglio sono loro medesimi agli arresti domiciliari, sottoposti agli stessi obblighi di tutti gli altri 60 milioni di italiani e questo sarebbe davvero un bel problema. Per tutti gli altri, forse, ma non per loro, che invece son ben disposti a sacrificarsi di persona in cambio dello spettacolo più sublime che si possa immaginare: aver reso l’intera Italia un enorme carcere per tutti gli italiani. Di fronte al brivido di questa goduria, cosa volete che sia restarsene a casa per qualche giorno… E non si adontino Davigo e Travaglio per questo “scherzo” di fantasia dal sapore vagamente letterario. Pensino, se occorre, al verso di Giovenale: in alcuni casi – e in questo fra quelli – “Difficile est saturam non scribere”.
Il virus e quella preoccupante rinuncia alle libertà degli italiani. Giancristiano Desiderio, 17 marzo 2020 su Nicola Porro.it. Queste che scrivo sono note a futura memoria. Al lettore di oggi appaiono sgradevoli e confido in un ipotetico lettore di domani. L’epidemia da Covid-19 ci ha riportato a toccare gli zoccoli duri della nostra esistenza: la morte e la libertà. Infatti, morte e libertà sono l’una il rovescio dell’altro: si è liberi quando non si ha paura della morte, non si è liberi quando per paura di morire ci si sottomette ad un padrone. La situazione-limite nella quale si trovano gli Italiani è molto simile a questa nota figura hegeliana. L’ultimo mio libro – Croce ed Einaudi Teoria e pratica del liberalismo – ruota intorno a questa domanda: lo Stato può entrare nella vita delle persone? Mai avrei immaginato che poco dopo l’uscita del libro mi sarei trovato faccia a faccia con questa domanda diventata realtà e mi sarei ritrovato recluso in casa come in galera o in una tomba dentro un Paese fermo come in una apparente calma cimiteriale. Eppure, è quel che accaduto. Con un particolare importante, però: non è solo lo Stato ad aver chiuso gli Italiani nelle case ma sono gli Italiani che hanno chiesto allo Stato, ossia al governo, di essere chiusi nelle loro abitazioni. La logica non è quella della “religione della libertà” bensì l’altra della “schiavitù volontaria” in cui per conservare la sicurezza relativa si baratta la libertà assoluta. È un calcolo molto miope. L’ingresso dello Stato nella vita delle persone non è sempre da rifiutare ma ha due limiti precisi: la giustificazione e il tempo. Luigi Einaudi, ad esempio, diceva che bisogna stare attenti a non giustificare l’intervento statale con nobilissimi valori perché in realtà si tratta solo di soddisfare bisogni pratici. In riferimento al nostro caso il bisogno pratico è ben visibile: l’assenza di posti letto negli ospedali. Allora, se questo è il fine, la sospensione delle libertà e degli elementari diritti – movimento, lavoro, proprietà – appare spropositata e anche controproducente perché invece di mantenere calma, razionalità, lucidità e risorse si incentiva il panico che produce fobie, irrazionalità, cecità, sentimentalismi, sospetti, delazioni nella immancabile logica del capro espiatorio. C’è poi la questione del tempo. Fondamentale. La sospensione della libertà, infatti, inizia sempre come qualcosa di temporaneo per poi diventare definitiva. La lezione che ci viene dalla storia italiana è proprio questa: è illusorio pensare di salvare la vita libera ricorrendo alla sospensione delle libertà costituzionali perché, invece, la vita libera e sicura ha la libertà sempre come mezzo e come fine. Quanto potrà durare la sospensione della libertà senza pagare un prezzo troppo alto in termini produttivi, fiscali, civili, internazionali? Arriverà un momento in cui gli Italiani dovranno uscire dalle loro case per necessità scoprendo che la necessità per la quale si erano reclusi nelle case era o illusoria o inferiore rispetto alla necessità di essere liberi per vivere. C’è, però, un’altra soluzione: la trasformazione del temporaneo in definitivo e della democrazia in dittatura. Si dirà: “Non accadrà perché siamo liberi”. Lo spero. Ma io mi limito a mettere in luce i pericoli reali e i prezzi da pagare che ci sono quando la vita è messa totalmente nelle mani dello Stato. C’è poi da considerare il caso inglese. Lì il governo ha fatto una scelta diversa: non ha fermato la vita civile e la vita economica pensando di contrastare il morbo in modo diverso, con scelte mirate e senza nascondere la dura realtà delle morti. Le reazioni che ci sono in Italia rispetto alla via inglese sono due: da un lato il rifiuto e dall’altro la rivendicazione della superiorità morale della scelta italiana. Ma mentre il rifiuto può essere, per le cose dette, limitatamente legittimo, la superiorità morale è gratuita giacché la superiorità morale, sempre che esista, è individuale e non ci sono popoli superiori e popoli inferiori. Il caso inglese, poi, è rivelatore per un altro motivo: mostra come morte, sicurezza e libertà siano tutte relazionate dialetticamente tra loro. Gli inglesi non rinunciano alla libertà per garantirsi sicurezza e immunizzarsi rispetto alla morte e mostrano che l’immunizzazione è impossibile e la sicurezza non esiste senza libertà. Certo, è una scelta dolorosa perché implica la morte. Ma anche nella scelta italiana c’è la morte, solo che non ce lo diciamo con chiarezza e cantiamo sui balconi. Gli inglesi hanno sconfitto Hitler e hanno sempre respinto logiche e culture totalitarie. La storia insegnerà pur qualcosa. La vita umana ha una sua natura tragica non superabile. L’epidemia ci mette davanti a scelte drammatiche e nessuno – nessuno – ha in mano la scelta giusta buona per tutti. Ma se questo è vero, allora, è evidente che non si può rinunciare alla libertà da cui dipendono proprio le scelte. Come non si sradica la tragicità, così non si eradicano i morbi. L’umanità non vivrà mai in una condizione edenica o di beatitudine: questo è il sogno dell’edonismo che è alla base delle forme totalitarie e immunitarie dell’esistenza. Quanti sono i morbi che abbiamo incontrato, facendo un calcolo limitato, dagli anni Settanta ad oggi? Hiv, epatite C, legionella, Marburg, Sars, Aviaria, Ebola, Bse, febbre di Lassa e i ritorni di colera, peste, ma l’elenco è incompleto. Dunque? La vita umana non è senza virus, non è senza infezioni. Il Coronavirus non è né il primo, né l’ultimo, né il peggiore: è solo il primo nell’epoca dei social e della comunicazione universale. Forse, il problema è proprio qui. Per sconfiggere virus e epidemie, che ritorneranno sempre, abbiamo bisogno di intelligenza scientifica e intelligenza politica. Ma l’intelligenza si sviluppa nella libertà e nella collaborazione degli uomini che con il necessario lavoro affrontano dignitosamente la tragedia che incarnano. Giancristiano Desiderio, 17 marzo 2020
· Non comprate le cazzate.
Giuseppe Scarpa per “il Messaggero” il 18 marzo 2020. Acquisti folli ai tempi del coronavirus. C'è chi si arma e chi compra pacchi di carta igienica, chi casse di acqua e chi prende un treno e scappa. Le reazioni dei popoli sono diverse a seconda della latitudine in cui si vive. E ognuno affronta la paura a modo proprio e riempie il carrello di conseguenza. Di sicuro il minimo comune denominatore è rappresentato dalla corsa alla spesa di gel sanificanti e mascherine. Ma se gli acquisti di questi due prodotti hanno senso per difendersi dal virus, perché mettersi in fila per comperare una pistola? Eppure negli Usa è così. Fucili, mitragliatrici e munizioni sono tra i prodotti più richiesti in questi giorni. Più del solito, visto che negli States, la domanda non manca mai. Tuttavia migliaia di armerie in America si sono inaspettatamente ritrovate con file anche di 100 persone fuori dalle porte. Tutte a rispettare il metro di distanza. Il risultato è stato quello degli scaffali svuotati da cartucce e pistole. Con i titolari dei negozi a ringraziare il panico da coronavirus per queste vendite straordinarie. Ovviamente sono fioccati commenti sui social di vario tipo da quelli spiritosi: «Cosa pensano di fare, sparare al virus?», a «Dovranno sfondare la porta di casa mia con una AK 47 per portarmi via i miei 90 rotoli di carta igienica!». E qui si apre un altro capitolo, relativo all'altro acquisto bizzarro. Di sicuro meno pericoloso delle armi: la carta igienica. In cima a questa speciale classifica c'è il Regno Unito. L'accaparramento del prezioso presidio igienico, come per le spese pazze delle armi, suscita ironia e domande. Da un punto di vista pratico sta provocando i primi problemi: il razionamento da parte delle principali catene della grande distribuzione. A raccontarla tutta questo fenomeno in Gran Bretagna non è del tutto nuovo. Visto che si tratta di un prodotto in maggior parte importato da Paesi dell'Unione, l'anno scorso era andata in scena la stessa corsa all'acquisto quando si temeva l'uscita traumatica dall'Ue. A dare una spiegazione a questo particolare comportamento è stato l'economista Justin Wolfers. Prima con un tweet e dopo in un'intervista alla Bbc. In sostanza l'acquisto è dettato dalla paura di non trovare più la toilet paper negli scaffali. La preoccupazione non è rivolta tanto al Covid-19 ma quanto ai comportamenti degli altri. In pratica si acquista carta igienica a dozzine perché si pensa che gli altri lo facciano terrorizzati dall'epidemia. Quindi, farai scorta per evitare di esserne l'unico privo. Un fenomeno simile che si verifica quando si corre agli sportelli bancari per prelevare i soldi. E dire che proprio in Svizzera ci sono state lunghe file ai market per acquistare l'ambito bene di prima necessità. Ma se per gli italiani è difficile riconoscersi nei comportamenti di inglesi e americani, di sicuro le reazioni dei cugini d'Oltralpe ci sono molto più familiari. Parigi come Milano, titolavano diversi giornali. E infatti la fuga dei parigini verso le seconde case, o degli studenti verso le rispettive famiglie, ha ricordato l'evasione dal capoluogo lombardo dell'otto marzo. Il giorno in cui era stato imposto il divieto di entrata e di uscita su tutta la Regione da parte del nostro governo. Una misura del tutto simile è stata presa in Francia. Ed ecco il risultato: prima delle 12.00, orario in cui entravano in vigore le misure decise da Emmanuel Macron in migliaia hanno abbandonato la capitale, i treni per Bordeaux affollati e tutti esauriti. La Gare Montparnasse, la stazione ferroviaria che serve l'Ovest del Paese, con un movimento di passeggeri paragonabile solo a quello delle vacanze natalizie o estive. Solo in pochi indossavano la mascherina, la distanza di sicurezza di almeno un metro non era rispettata da nessuno. E come per l'Italia adesso si pone un grande problema: Da Parigi il virus camminerà sulle gambe di molti francesi e raggiungerà anche le zone più sperdute del Paese. Infine l'effetto più classico è l'acquisto compulsivo. Le scene a cui si è assistito fino a qualche giorno fa nel nostro Paese, con gli scaffali dei supermercati vuoti, si stanno riproducendo anche a Nord delle Alpi. Scorte di casse d'acqua per settimane, pacchi di pasta andati a ruba, come il cibo in scatola. Il panico, assieme al Covid-19, si sta diffondendo in tutto il mondo.
Manila Alfano per “il Giornale” il 18 marzo 2020. La spesa on line è fuori discussione, anche solo provarci è un' impresa. Coda infinita, le stime più funeste raccontano di tempi biblici, aprile dice qualcuno. E allora non resta che infilarsi mascherina e guanti e affrontare la coda per entrare al supermercato. Corsie belle piene e felicemente assortite. E invece ecco quelle strisce bianche a circondare scaffali interi: «Vietata la vendita per questi articoli». Blocchi sui prodotti non alimentari o «di prima necessità». È la risposta di Esselunga, Carrefour, Eurospin, diversi punti vendita della grande distribuzione in base alle norme contenute nell' ultimo decreto del Governo che dispone la possibilità di vendere solo beni di prima necessità. Divieto di comprare biancheria, quaderni o pennarelli, articoli per il giardinaggio, shampoo, bagnoschiuma, pile, spray anti zanzare. Non si può toccare niente. Peccato perché a voler vedere le zanzare, causa i caldo di questi giorni, si sono già affacciate nei giardini dei condomini milanesi. «Limitazioni che non hanno molto senso - dicono dalla Federdistribuzione, la definizione dei prodotti necessari - e dunque consentiti, lascia spazio a diverse interpretazioni che creano confusione. Chi stabilisce che un detergente non sia necessario? Non solo. Il divieto riguarda il sabato e la domenica, quindi costringe i clienti a ripresentarsi in giorni feriali creando ulteriori code». Sui social diversi genitori raccontano di essere stati bloccati alle casse con quaderni o matite colorate, strumenti necessari ai loro figli per fare i compiti. Altri in coda si sono visti requisire cucchiai di legno per lo stesso motivo. Qualcuno parla di concorrenza sleale nei confronti di esercizi che sono invece costretti dal decreto alla chiusura forzata. Ma è ancora la Federdistribuzione che fa chiarezza sul tema: «Basterebbe essere fedeli al decreto dell' 11 marzo che regolamenta le aperture sulla base delle attività e non sulle merci da vendere. Non c' è infatti specificità sui prodotti». Un falso problema dunque che però ha generato non pochi problemi soprattutto alle famiglie già sottoposte a dura prova in questo momento. «Dobbiamo essere liberi di vendere tutto quello che è sui nostri scaffali perché non ci è possibile creare confini tra le diverse categorie di prodotti dentro i punti vendita», afferma l' amministratore delegato di Conad Francesco Pugliese sottolineando la difficoltà di «creare e gestire, aree interdette al pubblico per la vendita di prodotti non alimentari all' interno di supermercati e ipermercati, in quanto spesso non esistono vere e proprie aree riservate a quelle categorie merceologiche». Senza considerare che i limiti obbligherebbero i clienti ad uno spazio ristretto e quindi sarebbe difficile rispettare la distanza. Di diverso avviso i sindacati. «Chiediamo che nei supermercati sia consentito solo ed esclusivamente l' acquisto generi di prima necessità, impedendo alla clientela di girovagare nei negozi in cerca di generi assolutamente inutili. Basta, fare la spesa non è l' occasione per uscire di casa». Intanto Alessio Labio, responsabile Cgil Ccnl per il Terziario lancia l' allarme per i lavoratori del settore: «Rischi fortissimi: basta immedesimarsi in un addetto alle vendite di un supermercato per capire cosa significa». «Siamo allo sbaraglio»; «siamo allo sbando»; «siamo in balia dei clienti», dicono le commesse e i cassieri che si sentono dimenticati ma che si ritrovano ad alto rischio Covid 19 e a gran voce chiedono al Governo «tamponi immediati oltre a guanti e mascherine anche tute protettive».
Corrieri: “Non comprate le cazzate, anche noi abbiamo paura”. Le Iene News il 17 marzo 2020. Tantissimi lavoratori che consegnano pacchi comprati online ci hanno contattato chiedendo di essere ascoltati e lanciando un appello: “Consegniamo centinaia di pacchi ad altrettante persone, anche noi abbiamo paura di prendere o diffondere il virus: fermate la vendita online di prodotti superflui”. “Tra le varie consegne che devo fare oggi vedo trucchi, abbigliamento, magliette, scarpe, un robot da cucina. Chiedo alla gente di avere rispetto per chi lavora come noi e ordinare solo i beni di prima necessità”. È solo uno dei tantissimi messaggi che ci sono arrivati da parte di una categoria che non si è fermata con l’arrivo del coronavirus: i corrieri. Anzi, in questo periodo di quarantena il lavoro per loro è diventato più frenetico e più difficile che mai. “Dopo la quarantena abbiamo avuto un aumento del lavoro allucinante”, ci racconta Claudio, nome di fantasia, che consegna la merce a casa delle persone per una ditta del centro Italia. “Io solitamente faccio circa 100 consegne al giorno, ora sono arrivate a 190”. Ma la cosa che fa arrabbiare moltissimi dei corrieri che ci hanno contattato è la tipologia di merci che consegnano ogni giorno. “Io sono d’accordo nel consegnare merce di prima necessità”, ci dice Andrea, corriere nella zona della Brianza. “Ma in questo momento non concepisco le stupidate che la gente si compra su internet. Non ce l’ho con la mia ditta, ma con il decreto, che avrebbe dovuto salvaguardare chi non consegna beni di prima necessità”. “Limitare il commercio inutile ci aiuterebbe a stare meno a contatto con le persone”, spiega Andrea. “Potremmo dedicare due o tre persone ad azienda che a turno consegnano i beni, diminuendo così il contatto sia fra colleghi in azienda che con i clienti”. Certo, delle misure di sicurezza sono state prese: “Ci hanno dato la mascherina e una scatola di guanti”, ci spiega Claudio. “Ho la stessa mascherina che mi hanno dato una settimana fa, mentre andrebbe cambiata ogni quattro ore. Noi ovviamente cerchiamo di rispettare le distanze di sicurezza, anche se dobbiamo spesso far firmare i pacchi o prendere pagamenti in contanti e quindi è difficile”. “Dobbiamo fare pipì per strada perché tutti i bar sono chiusi”, racconta un altro corriere che chiede l'anonimato e che opera nel nord Italia. “E se ti beccano per strada in città che fai la pipì magari ti fanno anche la multa, ma dove la devo fare, sul furgone? E tutto questo per cosa? Per consegnare oggetti stupidi alla gente?”. “Anche io sono un compratore online”, dice Andrea. “Però in questo momento si dovrebbero limitare le vendite di alcuni prodotti, quelli non necessari, ovvero che non siano cibo o medicinali. Potremmo anche allargare i beni necessari agli elettrodomestici, ma in questo momento, in cui tutti devono stare in casa, cosa me la compro a fare la magliettina e l’abito da sera? Ok, la userò in futuro, ma allora non posso aspettare un attimo?”. Anche perché, ci raccontano i corrieri, i beni superflui rappresenterebbero la stragrande maggioranza delle merci che consegnano. “Su dieci cose che ho in furgone due saranno beni primari, e otto stupidaggini”, dice Andrea. Stessa cosa ci conferma Claudio: “Sto consegnando tantissimo abbigliamento. I beni di prima necessità saranno il 10% del totale. Nel mio furgone vedo roba da cucina, attrezzi da palestra, trucchi”. Che la vendita di prodotti online sia in crescita durante questa quarantena da coronavirus, al di là della tipologia di merce, lo dicono i numeri. Come emerge da un’analisi firmata Nielsen, l’impennata si è registrata l’ultima settimana di febbraio. I prodotti di largo consumo venduti online sono aumentati dell’81%, un aumento di 30 punti percentuali in più nell’ultima settimana di febbraio. “Anche noi corrieri abbiamo paura, anche noi possiamo contrarre o diffondere il virus”, dice Claudio. “Nessuno sta dicendo che non dobbiamo lavorare, chiediamo un momentaneo stop delle merci che non siano di prima necessità in questo momento in cui dobbiamo limitare i contatti il più possibile. Andare in giro a scambiare pacchi con 100 persone al giorno non ha senso se è per beni superflui”.
Quaderni, pile e shampoo "vietati". Nei supermercati è caos acquisti. Federdistribuzione: limitazioni senza senso, il decreto dice altro. Manila Alfano, Mercoledì 18/03/2020 su Il Giornale. La spesa on line è fuori discussione, anche solo provarci è un'impresa. Coda infinita, le stime più funeste raccontano di tempi biblici, aprile dice qualcuno. E allora non resta che infilarsi mascherina e guanti e affrontare la coda per entrare al supermercato. Corsie belle piene e felicemente assortite. E invece ecco quelle strisce bianche a circondare scaffali interi: «Vietata la vendita per questi articoli». Blocchi sui prodotti non alimentari o «di prima necessità». È la risposta di Esselunga, Carrefour, Eurospin, diversi punti vendita della grande distribuzione in base alle norme contenute nell'ultimo decreto del Governo che dispone la possibilità di vendere solo beni di prima necessità. Divieto di comprare biancheria, quaderni o pennarelli, articoli per il giardinaggio, shampoo, bagnoschiuma, pile, spray anti zanzare. Non si può toccare niente. Peccato perché a voler vedere le zanzare, causa i caldo di questi giorni, si sono già affacciate nei giardini dei condomini milanesi. «Limitazioni che non hanno molto senso - dicono dalla Federdistribuzione, la definizione dei prodotti necessari - e dunque consentiti, lascia spazio a diverse interpretazioni che creano confusione. Chi stabilisce che un detergente non sia necessario? Non solo. Il divieto riguarda il sabato e la domenica, quindi costringe i clienti a ripresentarsi in giorni feriali creando ulteriori code». Sui social diversi genitori raccontano di essere stati bloccati alle casse con quaderni o matite colorate, strumenti necessari ai loro figli per fare i compiti. Altri in coda si sono visti requisire cucchiai di legno per lo stesso motivo. Qualcuno parla di concorrenza sleale nei confronti di esercizi che sono invece costretti dal decreto alla chiusura forzata. Ma è ancora la Federdistribuzione che fa chiarezza sul tema: «Basterebbe essere fedeli al decreto dell'11 marzo che regolamenta le aperture sulla base delle attività e non sulle merci da vendere. Non c'è infatti specificità sui prodotti». Un falso problema dunque che però ha generato non pochi problemi soprattutto alle famiglie già sottoposte a dura prova in questo momento. «Dobbiamo essere liberi di vendere tutto quello che è sui nostri scaffali perché non ci è possibile creare confini tra le diverse categorie di prodotti dentro i punti vendita», afferma l'amministratore delegato di Conad Francesco Pugliese sottolineando la difficoltà di «creare e gestire, aree interdette al pubblico per la vendita di prodotti non alimentari all'interno di supermercati e ipermercati, in quanto spesso non esistono vere e proprie aree riservate a quelle categorie merceologiche». Senza considerare che i limiti obbligherebbero i clienti ad uno spazio ristretto e quindi sarebbe difficile rispettare la distanza. Di diverso avviso i sindacati. «Chiediamo che nei supermercati sia consentito solo ed esclusivamente l'acquisto generi di prima necessità, impedendo alla clientela di girovagare nei negozi in cerca di generi assolutamente inutili. Basta, fare la spesa non è l'occasione per uscire di casa». Intanto Alessio Labio, responsabile Cgil Ccnl per il Terziario lancia l'allarme per i lavoratori del settore: «Rischi fortissimi: basta immedesimarsi in un addetto alle vendite di un supermercato per capire cosa significa». «Siamo allo sbaraglio»; «siamo allo sbando»; «siamo in balia dei clienti», dicono le commesse e i cassieri che si sentono dimenticati ma che si ritrovano ad alto rischio Covid 19 e a gran voce chiedono al Governo «tamponi immediati oltre a guanti e mascherine anche tute protettive».
· Quarantena e disabilità.
Coronavirus, disabili dimenticati durante e dopo l’emergenza. Alice Imola il 28/05/2020 su Notizie.it. La crisi coronavirus deve diventare un'occasione per rivoluzionare le modalità di assistenza e sostegno alle persone disabili. I momenti di crisi rischiano spesso di creare spaccature nella società, di dividere la popolazione in categorie che di volta in volta divengono di serie A, con diritti prioritari, e altre di serie B, per le quali i diritti vengono dopo, secondo un’arbitrarietà dettata da principi che volta per volta passano in primo piano: economici, religiosi, etnici e così via. I diritti della persona anziana, i diritti delle persone disabili, i diritti delle donne, i diritti degli stranieri… Ciclicamente si urla allo scandalo per qualcuno che viene dimenticato, per qualcuno che “scompare”. E il Covid-19 in questo si è dimostrato un buon prestigiatore. Tra le varie categorie di “invisibili”, di gruppi di popolazione dimenticata in questo lungo periodo di lockdown, vi sono senz’altro le persone con deficit e le loro famiglie, persone di cui si è parlato molto poco. Nella crisi pendemica sono entrate a far parte di quei cittadini di serie B per cui i diritti potevano attendere e passare in secondo piano rispetto ad altre priorità.
Questo virus però, che può colpire tutti indistintamente, può essere colto anche come una sorta di test per misurare il grado di civiltà e la capacità di riconoscere il fatto che di fronte a lui siamo diventati tutti fragili, scoprendo così l’utilità di uscire da un approccio organizzato per categorie ad uno più umanizzato che prende sfumature personalizzate in relazione alle numerosi sfaccettature che l’umanità presenta. Allora sì, può acquisire valore il poter dire “siamo tutti sulla stessa barca”, remiamo dunque insieme.
Persone disabili, l’assistenzialismo non basta. Ancora prima di essere pensata come un cittadino alla pari degli altri di fronte ai diritti, la persona con deficit viene spesso vissuta nell’immaginario di molti come un peso di cui prendersi cura, da accudire e proteggere, da assistere. Ed è in questi ambiti che la maggior parte delle risorse vengono generalmente investite ed impiegate. Pensare alla persona con deficit in questo modo porta ad attivare azioni legate per lo più all’assistere, al curare e medicare, al controllare e gestire dei corpi che nel momento in cui, a causa del Covid-19, è stato vietato il contatto fisico e lo stare vicino, sono stati messi in attesa in uno spazio “sospeso”. Ma il disabile non è solo un corpo reso alle volte goffo, difficile da gestire o da voler “aggiustare”, “normalizzare”; è prima di tutto una persona come ogni altra e come tale ha diritto di essere vista e pensata, di vivere esperienze, coltivare interessi, sogni, relazioni, sviluppare una propria idea del mondo e delle cose, scoprirsi utile, scoprirsi e percepirsi parte di una dimensione sociale. A partire da questa analisi in questo periodo si sono potute mettere in luce alcune buone prassi già adottate da diverse realtà sul territorio nazionale che hanno saputo continuare a rispondere alle necessità di famiglie e persone con deficit nonostante il cambio radicale dell’organizzazione quotidiana; realtà che hanno come stile quello di intervenire non sul difetto, ma nel ricercare un adattamento reciproco tra le persona (qualsiasi sia la sua originalità) e la società in cui vive.
Non diagnosi, ma persone. Ogni disabile è portatore di una storia, fatta di situazioni, di ricordi, di sogni, emozioni e sentimenti che sottolineano un’esistenza, un’identità originale e complessa. Originalità e complessità che a volte rischiano di essere annullate da diagnosi, da definizioni e da itinerari tecnici e preorganizzati che riducono un’esistenza ricca di emozioni forti, dolci, aspre, alla descrizione, sia pur meticolosa, della patologia e alla fredda definizione di un programma riabilitativo. Alberto, Nadia, Lorenzo, Fabio e le loro famiglie rischiano di non essere visti nella loro realtà esistenziale, ma di essere identificati unicamente in base alla loro patologia e alle “mancanze” che, secondo una visione difettoligica, devono essere di volta in volta “colmate” prima di poter accedere al mondo di tutti. La chiusura dettata dall’emergenza pandemica ha messo in risalto la differenza tra proposte di servizi caratterizzati da una gestione assistenziale, che si realizza per lo più in determinati luoghi fisici dove le persone sono raggruppate per categorie (a seconda della gravità e della tipologia del deficit, dei livelli di autonomia), e proposte invece centrate sulla persona, che si modellano e prendono forma a seconda delle originalità di ciascuno e delle occasioni che la vita e la società di volta in volta mettono a disposizione.
Le prime hanno subìto necessariamente un arresto nel momento del lockdown, le secondo no, in quanto hanno continuato a sostenere i progetti individuali adattandosi alle esigenze originali del momento particolare e del contesto.
Le proposte di Fondazione CondiVivere. Sono sempre di più le associazioni, i professionisti, i ricercatori e soprattutto le famiglie che si battono per una società capace di proporre alternative alle soluzioni di tipo aggregativo e “ghettizzante” a favore di risposte in termini inclusivi, di cittadinanza attiva. La tragicità dell’evento COVID ha messo in evidenza ancora di più la fragilità delle “monoproposte” di molti Servizi che non sono in grado di fornire elasticità e dinamicità di cui necessita una progettazione personalizzata, nel rispetto delle originalità di ogni persona. Fondazione CondiVivere e il suo braccio operativo Coop Sì si può fare rappresentano, dal 2010, un esempio di risposta alternativa e personalizzata nel territorio milanese alle specificità di persone con deficit e delle loro famiglie, promuovendo la sperimentazione di percorsi di vita indipendente (dalla prima infanzia alla vita adulta). In questo periodo di lockdown si sono sapute riorganizzare per rispondere ai bisogni e proseguire nella dimensione progettuale. Dato che proseguire in presenza i progetti personalizzati era chiaramente impossibile, hanno cercato di farlo entrando virtualmente nelle case e quindi a distanza. Educatori, pedagogisti e psicologi si sono confrontati con le persone disabili e le loro famiglie, concordando una modalità di lavoro che quotidianamente andasse a sostenere e continuasse ad evolvere i progetti personalizzati, utilizzando le piattaforme digitali quale strumento per comunicare e rimanere in relazione, e la casa quale contesto in cui realizzare a distanza i progetti.
Mantenere le relazioni (anche a distanza). È stato fondamentale prima di tutto rivedere i ritmi giornalieri che erano stati stravolti, producendo inizialmente caos e disorientamento. Bisognava aiutare le famiglie a costruire, a volte inventare, una nuova e originale routine, in una chiarezza di azioni e di ruoli che risultava importante per non far perdere al proprio figlio consapevolezza, iniziative, abilità. Nello stesso tempo ci si è organizzati per fissare degli appuntamenti on line, per creare occasioni utili a mantenere la relazione, la vicinanza e il confronto. Il progetto ha acquisito così non un mero valore di assistenza o “sollievo”, ma un punto di riferimento per la famiglia e per la stessa persona con deficit, una sorta di filo del pensiero per organizzare e riuscire ad affrontare con qualità ,un vivere quotidiano stravolto dall’emergenza. [testimonianza di un educatore della Fondazione]
Un’occasione da non perdere. Per sostenere la complessità della natura umana, anche in caso di disabilità, si ha necessità di servizi e risposte flessibili, che possano essere multiaccessibili e adattabili in funzione dell’originalità della persona e delle occasioni/degli imprevisti che il vivere quotidiano propone, non viceversa.
Cogliamo dunque la crisi che stiamo attraversano quale nuova e potente occasione per riflettere sulla necessità di lavorare nella direzione di un’universalizzazione dei diritti. L’inclusione non può passare per l’omologazione o per la risposta ai bisogni dividendo la popolazione in categorie, ma deve fondarsi sul riconoscimento dell’Altro come Persona, nel rispetto e a supporto delle singole diversità intese come ricchezza di punti di vista, in una dimensione di continuo adattamento reciproco tra collettivo e individuale.
L'ira delle famiglie contro il governo: "Avete dimenticato i nostri figli disabili". I genitori di bimbi affetti da autismo scrivono a Conte e alla Azzolina: "Solo proclami e task force, nessuno ci ha ascoltato e così ci hanno abbandonato". Luca Sablone su Il Giornale. Venerdì 08/05/2020 su Il Giornale. "I nostri figli disabili sono stati abbandonati dal governo. Questo è inaccettabile". Il durissimo sfogo da parte di molte famiglie è comprensibile: già messi a dura prova dalla rigida quarantena nella fase 1 dell'emergenza Coronavirus, i genitori lamentano di essere stati lasciati soli dallo Stato. L'esecutivo avrebbe dovuto prestare più attenzione e affrontare il tema con maggiore pragmaticità, ma a volte neanche le parole sono state utilizzate. "Nel suo discorso non si è parlato della parola disabile", è l'accusa che viene rivolta al presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Un periodo davvero difficile per tutti, ma che lo è in misura più drastica per tutte quelle famiglie - e sono davvero tante - che hanno una persona con disabilità in casa da gestire: "Personalmente ritengo che si poteva e si doveva fare di più per garantire un maggior sollievo a famiglie che di fatto, al di là dei proclami, sono state lasciate in balia di se stesse". A parlare in esclusiva a ilGiornale.it è Andrea Buragina, padre di un ragazzo autistico, che ha inviato una lettera al premier per evidenziare i tanti disagi e gli innumerevoli aiuti mancati. Lo scorso autunno, quando si è passati dal Conte 1 al Conte bis, ci si è persi per strada il Ministero della Disabilità: all'epoca questo aveva alimentato più di una perplessità, ma i giallorossi avevano dato ampie garanzie in merito al fatto che non si sarebbe trattato di un disimpegno. "Certo, se guardiamo ora ai fatti e all'attenzione dedicata dal nostro presidente del Consiglio, che ricordo ha in capo le deleghe della disabilità, si tratta di una posizione difficile da sostenere", osserva il socio dell'Angsa Lombardia (Associazione nazionale genitori soggetti autistici). L'uomo, come indicato anche nella missiva che tra l'altro al momento non ha avuto alcuna risposta, è rimasto molto perplesso nell'osservare che il 20 aprile - in occasione dell'ultimo discorso fatto dall'avvocato ai cittadini italiani - non sia stata nemmeno pronunciata la parola "disabilità". Eppure in quell'occasione si è parlato di ripartenza "e per molti genitori di bambini e ragazzi autistici (ma non solo), in presenza di scuole ancora chiuse, è stato scioccante non avere certezza dell'estensione di quelle misure che erano state adottate nei due mesi precedenti, e che sono poi arrivate solo ad una settimana circa di distanza. Quello che mancano, sono ora i servizi ed è su questo che bisogna lavorare". I problemi di didattica che una chiusura così prolungata delle scuole può procurare sono purtroppo evidenti, specialmente nel caso di soggetti autistici che sono abituati alla loro routine e che necessitano di percorsi personalizzati: "Una personalizzazione che già a scuola è difficile assicurare per via del taglio progressivo delle ore di sostegno (non vi è di fatto mai un rapporto 1:1), cosa che rende sostanzialmente impossibile la sua implementazione a distanza". E come se non bastasse ad alcuni non è proprio possibile erogare delle lezioni in remoto: "Questi rimangono quindi in balia dei propri genitori, a cui ora nella cosiddetta fase 2 si chiede di ritornare a lavorare, mantenendo però le porte delle scuole chiuse e senza garantire loro misure alternative di sostegno". La richiesta è quella di lavorare sul sostegno domiciliare, come evidenziato anche dal presidente di Angsa Lombardia, Anna Curtarelli Bovi. Poche scuole, si riporta in una lettera inviata il 7 maggio al ministro dell'Istruzione Lucia Azzolina, si sono mosse in maniera proattiva suggerendo ai propri utenti un servizio di questo tipo: "Si tratta però di una soluzione che è già formalmente prevista nell'articolo 48 del decreto 'Cura Italia' del 17 marzo 2020 ma che di fatto è quasi impossibile implementare". E abbiamo già visto come ci sia la beffa pure sul bonus da 600 euro. Quella delle task force è stata una prerogativa del governo Conte: ne sono state fatte tante e tutte hanno visto coinvolgere un numero infinito di esperti. "Pochi (forse nessuno) mi risulta quelli dedicati alla disabilità", denuncia Andrea. Guardando alla ripresa della scuola che, stando alle ultime notizie, prevede una frequenza fisica solo parziale, avrebbe senso darne priorità agli alunni con disabilità: "Nel caso specifico di bambini e ragazzi autistici c'è infatti anche un tema di socialità/inclusività che solo la frequenza di persona garantirebbe". Anche questo punto è stato sollevato da Angsa Lombardia nella comunicazione inviata, confidando di essere preso nella dovuta considerazione. Passare delle parole, che spesso sono anche mancate, ai fatti: questo è l'auspicio. Più in generale si tratterebbe di fare ciò che la politica dovrebbe fare in questi casi: "Ascoltare le persone e le associazioni di riferimento trovando delle soluzioni a dei problemi che sono sotto gli occhi di tutti; spero anche sotto quelli di coloro che sono chiamati a prendere delle decisioni".
Come vivono le persone con sindrome di Down? Lo racconta questa indagine. Pubblicato sabato, 21 marzo 2020 su Corriere.it da Fausta Chiesa. Felici della propria vita, soddisfatti del lavoro, consapevoli della loro condizione e desiderosi di esprimere le opinioni politiche personali attraverso il voto. Benvenuti sul pianeta dei Down, una sindrome che – sulla base del sondaggio condotto dal Coordinamento Nazionale Associazioni delle persone con sindrome di Down – non è affatto di inferiorità. «Le opinioni e le aspirazioni delle persone con sindrome di Down – dichiara Antonella Falugiani, presidente dell’organizzazione di volontariato CoorDown - ci raccontano una realtà complessa che sfata false credenze e stereotipi». CoorDown ha intervistato oltre 2.500 persone, tra i 14 e i 65 anni, grazie a un’indagine in due fasi, prima in Italia con «Ora Parlo Io» e poi nel mondo con la ricerca internazionale «It’s My Say». In occasione della Giornata Mondiale sulla sindrome di Down, il 21 marzo, presenta in anteprima i risultati sui alcuni temi cruciali del sondaggio: felicità, lavoro, consapevolezza, diritto al voto. Che cosa pensano e che cosa vogliono le persone con sindrome di Down? Alla domanda se sono felici e che cosa rende piena la loro vita il 71% afferma che è felice. Con diverse risposte multiple a disposizione il campione intervistato rivela che il 91% dichiara che per la sua felicità sono importanti la famiglia e la presenza di amici. Per il 77% essere felice si associa alla possibilità di vivere un amore. Il 53% afferma che sono studio e lavoro i fattori determinanti della sua felicità. «Il benessere - emerge dall’indagine - dipende dall’inclusione nella società e dalla possibilità di esercitare i propri diritti: una scuola di qualità, l’opportunità di lavorare, il diritto di amare, la possibilità di vivere in autonomia, come chiunque altro. Parlare di felicità significa comprendere e affermare che tutti hanno diritto di essere felici e che la vita delle persone con sindrome di Down è una vita possibile, a volte difficile, ma anche felice e soddisfacente laddove venga riconosciuto per ciascuno il diritto di esserci e contare». Per le persone con sindrome di Down il lavoro è importante come per chiunque altro. Significa diventare indipendenti, avere un proprio reddito e decidere come spenderlo, poter organizzare la propria vita adulta, oltre che dimostrare le proprie competenze e costruire relazioni sociali. Tra quelli che lavorano, il 76% afferma che gli piace molto il proprio lavoro, il 64% sta molto bene con i colleghi, ma solo il 17% frequenta i colleghi fuori del lavoro. Tra quanti non lavorano: l’81% dichiara che vorrebbe molto lavorare. Tra le professioni che venivano proposte: il 30% vorrebbe lavorare nello spettacolo, il 28 % in un ristorante/bar, il 16% in un ufficio, il 12% nella moda, il 9% in una fattoria e un altro 9% in un magazzino o negozio. «Uno dei luoghi comuni più ricorrenti - si legge nell’indagine - è che le persone con sindrome di Down non sappiano di avere una disabilità intellettiva, invece il 71,7% degli intervistati è consapevole della sindrome di Down e addirittura il 39,6% sa che è una condizione genetica, il 24,2% la considera una caratteristica e solo il 6,9% pensa sia una malattia». Ma non solo: «La promozione della cultura della diversità parte dalle famiglie e nella propria comunità: le persone con sindrome di Down sono tanto più serene quanto le persone intorno a loro accettano le loro caratteristiche e ne parlano senza paure e reticenze». Le persone con sindrome di Down possono votare? «Sì - dice CoorDown - hanno diritto al voto. E l’83% afferma di votare alle elezioni. «È un numero decisamente alto - commentano da CoorDown - che ci restituisce l’immagine di cittadini consapevoli e responsabili. Un dato che va certamente contestualizzato ai canali attraverso cui è stato diffuso il questionario, le associazioni di categoria, dove si lavora affinché le persone con sindrome di Down siano informate e sostenute affinché sviluppino le loro capacità decisionali. Un dato che sottolinea altresì che le persone con sindrome di Down vogliono prendere le loro decisioni e essere parte attiva della società, che è proprio il tema di quest’anno della Giornata mondiale». «We decide» (noi decidiamo) è il tema della Giornata mondiale 2020 scelto per promuovere la piena partecipazione al processo decisionale delle persone con sindrome di Down su questioni che riguardano la loro vita. «Le persone che hanno partecipato all’indagine -conclude Antonella Falugiani - fanno parte di percorsi di inclusione messi in campo dalle associazioni in tutto il mondo e dimostrano quanto sia forte l’impatto sociale dei progetti realizzati fin dall’infanzia sul vissuto delle persone con sindrome di Down. Una spinta ulteriore per ricordare nella Giornata mondiale quanto sia importante rendere sempre più protagoniste le persone con sindrome di Down e tenere presenti i loro diritti e le loro esigenze. Soprattutto in questo momento di emergenza, dove i più fragili rischiano di essere lasciati indietro e scontare nuove diseguaglianze».
Coronavirus, l’urlo delle famiglie con disabili: «Ci state seppellendo vivi». La denuncia dei caregiver: «I nostri figli hanno bisogno di assistenza 24 ore su 24. Gli infermieri non vengono più nelle nostre case, non abbiamo aiuti. E il decreto del Governo ci considera cittadini di serie C». Simone Alliva il 18 marzo 2020 su L'Espresso. «Le famiglie dei disabili sono invisibili solo perché il governo ha deciso di non guardarle, non vuole». La denuncia arriva dai caregiver, cioè da quelle famiglie che si occupano di una persona disabile 24 ore su 24. È nelle testimonianze e nelle voci di coloro che in questi giorni di allarme da Coronavirus segnalano difficoltà ulteriori, emergenze all’emergenza. Elena Improta, mamma e caregiver di Mario, gravemente disabile, nonché presidente di Oltre lo sguardo onlus e tra le promotrici della community «2020 sorelle di cuore» spiega a L’Espresso dove si arena tutto. Per prima cosa «nella comunicazione». Sono i discorsi istituzionali «troppo generalisti» ad alimentare le paure: «Non si è mai parlato espressamente di disabili, solo di anziani e di fragilità. Sappiamo che di fronte agli ospedali intasati e con la scarsità di terapie intensive i medici dovranno fare una scelta: cioè salvare la persona più giovane che non ha patologie pregresse e questo ci preoccupa». Quello che manca, spiega, è un percorso preferenziale per l'assistenza medica delle persone con disabilità: «Ho paura che implicitamente stiano dicendo che i nostri figli saranno gli ultimi della lista e i primi che non avranno un letto in rianimazione. Siamo equiparati a pazienti di scarto e questo mi terrorizza». Loredana Fiorini è la presidente dell’associazione Onlus Hermes che si occupa di persone con disabilità complesse ed è anche un’infermiera, divisa in questi giorni tra l’ospedale e i bisogni di suo figlio Davide affetto da tetraparesi spastica: «Capisco il grande sacrificio che viene chiesto a chiunque. Eppure, le nostre famiglie non vengono neanche pensate» e spiega: «Siamo all’ultimo decreto e ci sentiamo dimenticati. Solo di recente hanno finalmente nominato le realtà che accolgono i ragazzi con disabilità, cioè i centri diurni. Vengono chiusi, va bene. Tanto noi già da marzo non mandavamo i nostri figli perché era impossibile mantenere le distanze, le precauzioni sanitarie». Le Onlus si sono organizzati con attività online per continuare le assistenze e dare un’ora di sollievo ai familiari in isolamento: «Ma per chi ha bisogno di assistenza infermieristica h24» spiega «è veramente un dramma. Chiaramente si è data priorità agli ospedali ma per tutte quelle persone ospedalizzate a domicilio ci sono grosse difficoltà. Non ci sono mascherine, guanti. Lo sappiamo e le cooperative che hanno a carico i servizi non distribuiscono i dispositivi agli operatori che a loro volta non effettuano la prestazione e le famiglie si trovano isolate da qualche giorno. Hanno deciso di sospendere il servizio».
«Dateci allora la sedazione profonda». La paura è la musica di questi giorni per chiunque ma per le moltissime famiglie caregiver con operatori e infermieri, ancora di più. Gli operatori spesso presi dal panico, se ne vanno e abbandonano famiglia. Come racconta Sara Bonanno, unica caregiver di Simone, un giovane ormai adulto con una gravissima disabilità, che richiede assistenza continua, 24 ore su 24: «Non ce l’ho con gli operatori. Non hanno un contratto che li obbliga a venire, sono tutti a partita iva e malpagati. Ma quelle come me vivono una situazione tragica». L’ultimo episodio risale a una settimana fa: «L’ultima infermiera si è presentata piena di angosce: per il coronavirus, per i genitori. Posso capirlo ma non mi era di nessun aiuto, l'ho rimproverata dicendole che stava esagerando, strillava e faceva agitare Simone. Lei se n'è andata un quarto d'ora dopo essere arrivata. Ora ho un'infermiera in meno». L’effetto dell’abbandono su una mamma caregiver sola può essere fatale. Sopporta il peso di una situazione pesantissima ed è sottoposta a una fatica straordinaria, sia fisica che emotiva: «Io stanotte l’ho passata in piedi perché mio figlio ha avuto due attacchi epilettici. Ho dormito un’ora solo quando è venuto l’infermiere. Ho sulle spalle di 36 ore di sveglia». Non certo una novità di questi tempi, racconta: «Il mio timore è che se un operatore si ammala io sono finita: comincio non rendermi più conto dei farmaci che ha dato al figlio, a dimenticare di accendere il respiratore. Stare da soli vuol dire cominciare a uccidere mio figlio. Nessuno è in grado di lavorare 36 ore di seguito». Sara commenta anche la proposta avanza dall’onorevole Mara Carfagna (Forza Italia), quella di un assegno di 500 euro a favore dei familiari che si prendono cura h24 dei propri cari disabili: «Che gli dice il cervello? Venissero a vedere come viviamo. Pensano di darci i soldi e che con questi risolviamo tutto. Gli operatori non ci sono o non vengono per paura di ammalarsi. Se lo Stato non vuole occuparsi di noi lo dica. Ci dia la sedazione profonda, sia a me che a mio figlio, lo dicano, ce ne andremo dignitosamente e senza soffrire così tanto». Quello di Sara riflette uno stato di disperazione simile a moltissime famiglie che attraversano questi giorni senza certezze e con fatica, eppure l’attenzione del governo e della politica non sembra risultare adeguata o almeno aderente alla loro quotidianità.
«Il Cura Italia? Ci considera cittadini di serie C». Nel decreto «Cura Italia» si legge all’articolo 47: «L’Azienda sanitaria locale, può, d’accordo con gli enti gestori dei centri diurni socio-sanitari e sanitari di cui al comma1, attivare interventi non differibili in favore delle persone con disabilità ad alta necessità di sostegno sanitario, ove la tipologia delle prestazioni e l’organizzazione delle strutture stesse consenta il rispetto delle previste misure di contenimento». Ed è quel «può» a non convincere le associazioni: «Il ‘può’ non esiste dovrebbe essere un dovere» dice Fiorini: «Però non è possibile per una mancanza di questi materiali. E allora non se ne parla proprio. A noi come familiari non sentirsi pensati fa male. Servirebbe un impegno: così come si sta attivando la Croce Rossa, la protezione civile per far fronte gli ospedali dovrebbe esserci obbligo forte anche per trasferire l’assistenza a domicilio. Un’assistenza adeguata. Attiviamo tutte le varie Croce Rossa e protezione civile.» Inoltre, non tutte le persone con disabilità frequentano i centri diurni. Come il figlio di Elena Improta che non risparmia mezzi termini: «Questo decreto ci considera cittadini di serie C. Assumiamo direttamente operatori cui non possiamo garantire le mascherine a norma né una nostra liberatoria li farebbe sentire meno preoccupati e quindi a uno a uno si stanno mettendo in malattia o in ferie. Questo decreto non risponde all’emergenza abbandono che ci sta seppellendo vivi». Timidi passi si stanno facendo a livello regionale come ammette Dino Barlaam Presidente FISH Lazio, la Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap: «Qui si sta lavorando a livello regionale e comunale. Il comune di Roma ha approvato un ordine del giorno sulle misure sociali però attendiamo atti concreti. Al di là di questioni di principio abbiamo bisogno di soluzioni e risposte. Ma le carenze ci sono è inutile negarlo. È impensabile ad esempio per chi non è autosufficiente venire lasciato solo al pronto soccorso. Abbiamo suggerito la possibilità di dare la possibilità della presenza di un familiare. I vuoti ci sono e speriamo che vengano colmati».
· Quarantena e Bambini.
Da "ilmessaggero.it" il 23 aprile 2020. Si aggirava nelle strade del quartiere Vasto, a Napoli, con una neonata in braccio nella speranza di affidarla ad estranei perché non in grado di accudirla per motivi di lavoro. L'allarmante segnalazione è arrivata agli agenti della Polizia municipale di Napoli dai cittadini preoccupati di quanto stava accadendo. Gli agenti dell'Unità operativa Tutela emergenze sociali e minori hanno rintracciato l'uomo notando il forte stato di disperazione suo e della neonata, che piangeva ininterrottamente. Ai sanitari del 118, allertati dalla Polizia locale, l'uomo, nonostante fosse in forte stato emotivo, ha raccontato che la madre della bambina, tossicodipendente, si era allontanata senza alcuna spiegazione da giorni, lasciandolo solo a prendersi cura della piccola e pertanto voleva affidare la figlia a qualcuno. Riscontrato che l'uomo non mostrava alcun ripensamento in merito all'abbandono della piccola di soli 2 mesi, gli agenti sono stati costretti ad avviare l'iter per la messa in tutela della neonata che è stata ricoverata e affidata alla Direzione sanitaria dell'ospedale Santobono in attesa delle decisioni della Procura per i Minorenni di Napoli. Dalle prime attività investigative gli agenti sono riusciti a risalire all'identità della madre, risultata irreperibile e per la quale è stata avviata una fase di ricerca. La Polizia locale infine, a garanzia della tutela della piccola, ha predisposto tutte le opportune attività di concerto con la Procura per i Minori, oltre ad aver allertato i servizi sociali competenti. «Voglio complimentarmi a nome di tutta l'Amministrazione con gli agenti di polizia locale intervenuti positivamente in una situazione così difficile e delicata», dichiara l'assessore comunale Alessandra Clemente. «La tempestività e professionalità dell'intervento - aggiunge - confermano ancora una volta il grande e quotidiano impegno a tutela dei più fragili del nostro Corpo di polizia. Grazie al lavoro fatto ora la piccola è al sicuro ed ha iniziato un percorso protetto».
Coronavirus, in aumento i casi di incidenti domestici che riguardano i bimbi. In questi giorni di quarantena sono in aumento i casi di incidenti domestici. Hanno come protagonisti i bambini di età inferiore ai quattro anni. Ecco i consigli del pediatra per prevenirli efficacemente. Mariangela Cutrone, Venerdì 27/03/2020 su Il Giornale. Come conseguenza della permanenza a casa a causa dell’emergenza sanitaria da Coronavirus sono in aumento gli incidenti domestici. In questi giorni si segnalano da vari ospedali un incremento di ustioni e piccoli incidenti che hanno come protagonisti i bambini. I luoghi più insidiosi sono il bagno e la cucina. Nel 75% dei casi la causa di essi sono i liquidi bollenti, il fuoco nel 15% dei casi, oggetti roventi nel 10%. Fortunatamente le ustioni gravi, quelle che richiedono un ricovero in ospedale sono poche. Sono quelle lievi le più frequenti. I più esposti alle ustioni sono nella maggior parte dei casi i bambini di età inferiore ai quattro anni. Ad essere più esposti a questo rischio sono i maschietti. Secondo il pediatra Italo Farnetani, per evitare i maggiori rischi di ustione e i piccoli incidenti, bisogna fare attenzione soprattutto a quando i bambini sono in cucina. Occorre tenere d’occhio il forno. Sono frequenti infatti i casi di bambini che si ustionano proprio toccando lo sportello esterno. Inoltre è importante vigilare sul piano di cottura. È opportuno utilizzare i fornelli posteriori e tenere i manici delle pentole rivolti verso l’interno. Naturalmente è bene utilizzare solo i piani di cottura che dispongono delle apposite manopole di sicurezza. Quando forno o fornelli sono accesi è importante che il bambino non resti in cucina da solo. Se rimane con noi non dobbiamo distrarsi ma tenerlo costantemente d’occhio. Il pediatra inoltre consiglia di non tenere mai i liquidi caldi accanto ai bordi dei ripiani. Massima attenzione la si deve prestare anche nei confronti dei rubinetti. È opportuno regolare la caldaia ad una temperatura non troppo calda, ossia non superiore ai 50° C. Attenzione poi a riporre coltelli, forchette e altri oggetti appuntiti in un cassetto lontano dalla portata dei bambini. Stessa accortezza per il ferro da stiro. Detersivi, sacchetti in plastica e eventualmente medicinali vanno posti in un armadietto chiuso a chiave e non accessibili ai bambini. Il pediatra Farnetani, per quanto riguarda il bagno (altra stanza pericolosa), ci raccomanda di non lasciare mai da solo i bambini dentro la vasca. Bisogna tenere lontani dalla vasca i vari elettrodomestici, soprattutto se attaccati alla spina. Si potrebbe verificare una folgorazione. Oggetti di ferro e appuntiti taglienti come rasoi, pinzette per le sopracciglia, forbici devono essere riposti in vani non accessibili. Massima attenzione anche ai posti in cui si conservano i cosmetici e i profumi. Infine, da non sottovalutare è il talco che può essere aspirato.
Da ilfattoquotidiano.it il 28 marzo 2020. I bambini in Italia sono pochi, 8 milioni, forse anche per questo i loro diritti “naturali” non sono mai stati una priorità. Era vero anche prima del Coronavirus, i bambini stavano all’aperto poco tempo, rinchiusi tra palestre, auto, scuole, case. A differenza degli altri paesi europei, l’Italia non è mai stata un paradiso per l’outdoor education. La reclusione si è spinta al massimo con l’emergenza sanitaria causata dal Coronavirus, tanto che i bambini si sono ritrovati con meno diritti dei cani. Parchi e giardini chiusi, giochi blindati, neppure una passeggiata è loro permessa. Fortunati solo i bambini che hanno case grandi, villette e ampi giardini, con evidente ingiustizia sociale. La tv e i videogiochi, le merendine e i junk food stanno diventando gli unici compagni di tantissimi bambini, 24 ore su 24, oltre al clima pesante e ansioso in casa. Nessuna deroga nemmeno per bambini iperattivi, psichiatrici, disabili… Leggo sui social testimonianze di bambini che si parlano e si passano giochi dai balconi (aumentando il rischio di incidenti mortali e cadute). Anche i pediatri sono preoccupati per il fatto che ai bambini non sia data alcuna possibilità di uscire; il giornale Uppa (un pediatra per amico) lancia un appello accorato: “Le misure che il governo ha emanato in queste ultime settimane non prendono in alcuna considerazione le necessità dei bambini… la situazione di isolamento prolungato in cui vivono rischia di provocare, e in alcuni casi sta già provocando, problematiche che compromettono la salute e il benessere dei più piccoli, tra cui alterazioni nel ritmo sonno/veglia, scorrette abitudini alimentari, abuso di tecnologie; i bambini, esposti a situazioni di stress prolungato, rischiano di pagare un prezzo altissimo sul piano della salute mentale”. Le famiglie fanno sempre più fatica, col passare dei giorni, nonostante tutta la buona volontà, a rispettare queste disposizioni durissime, e non per maleducazione o disinteresse, ma per preservare un po’ di umanità. Nessuno mette in dubbio la gravità della situazione, e il fatto che i bambini possano contagiare; però un’ora d’aria, senza alcun assembramento nel rispetto delle distanze di sicurezza e delle normative, potrebbe essere concessa. A Firenze 130 genitori hanno scritto al sindaco chiedendo proprio questo.
Ai bimbi in quarantena più pennarelli e mezz’ora d’aria. Le famiglie non devono sentirsi sole. A questi appelli si è aggiunta una lettera aperta al governo, scritta da genitori, insegnanti, educatori, psicologi, antropologi, artisti e associazioni, che ho sottoscritto anche io: “L’Oms, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, in tempi di Coronavirus consiglia: almeno mezz’ora d’attività fisica al giorno per gli adulti e un’ora per i bambini, passeggiate e giri in bicicletta a distanza di sicurezza. Lo stesso dicono scienziati farmacologi come Silvio Garattini, e medici-biologi come il presidente del comitato scientifico della Società Italiana di Medicina Ambientale Ernesto Burgio. Chiediamo a chi ci governa che ai bambini venga concessa una breve uscita al giorno, a piedi, di corsa, in bicicletta o sul monopattino, accompagnati da un genitore che garantisca il rispetto delle distanze di sicurezza, senza nessun assembramento o stazionamento in parchi-gioco o giardini. In questo modo non verrebbero a contatto con nessuno, se non con il genitore, ma potrebbero prendere un po’ di aria e sole e uscire per poco tempo da casa. A noi adulti viene chiesto senso di responsabilità per non accalcarci al supermercato o quando manteniamo le distanze mentre portiamo fuori il cane. Lo stesso senso di responsabilità verrebbe usato nel portare fuori i nostri figli a piedi o in bicicletta. Chiediamo pertanto urgentemente che venga accolta questa richiesta e che si ricominci a parlare e a occuparsi dei bambini nei decreti ministeriali, mentre attendiamo dalla ministra dell’Istruzione disposizioni sulla chiusura delle scuole e la didattica a distanza. Dobbiamo mantenere sano lo spirito e il corpo dei nostri bambini e ragazzi, per i lunghi mesi a venire.”
Ci siamo dimenticati dei bambini. Daniela Missaglia il 31 marzo 2020 su Panorama. In questa fase emergenziale, dopo plurimi decreti d'urgenza del governo, ci stiamo accorgendo che forse abbiamo trascurato una categoria: i bambini. La stragrande maggioranza di essi non mette un piede fuori dall'uscio di casa da un mese abbondante: e mica tutti abitano in una villa con giardino. E' paradossale che, in un'Italia dove si ha il permesso di portare a spasso il cane (più volte al dì) e farsi la corsetta (trasformando tutti in runner accaniti), dove il capofamiglia – piuttosto che evadere – compie un peregrinaggio quotidiano in farmacia, supermercato e tabaccaio (anche se non fuma), gli unici a cui è stata tolta ogni giustificazione sono i bambini. Tra i motivi indifferibili infatti non c'è il gioco all'aria aperta e questi sono gli unici che non possono in alcun modo aprire la porta di casa. Milioni di minori osservano dalla finestra i giardini, i parchi, i cortili, la strada, il sole primaverile che spunta inconsapevole e fanno domande cui noi adulti non sappiamo rispondere. Se n'è finalmente accorta il Ministro per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, che ha aperto alla possibilità di studiare misure a favore dei bambini parlando di diritto alla salute psicomotoria per queste generazioni e di soluzioni che contemperino il diritto ad uscire finalmente da casa con la salute pubblica. Quali ancora non si sanno ma è chiaro che la situazione comincia a diventare insopportabile e si debba pensare anche a loro. C'è un marcato indice di sofferenza soprattutto in sottocategorie specifiche come quelle dei minori autistici le cui madri hanno reso virale un messaggio sulle bacheche Facebook: "Se vedete una mamma e un bambino con qualche indumento blu o nastro blu che cammina all'esterno. Non urlare, non insultarli! O se vedi una macchina con un nastro blu, lo stesso. Sono mamme di bambini con autismo che sono usciti per cercare di calmare la loro ansia, per loro questo momento è molto difficile.". Benchè infatti qui le ragioni indifferibili siano giustificate da particolari motivi medico-sanitari, sono molti gli insulti quotidiani rivolti a questi genitori trovati con i gli all'esterno, come testimoniato alla stampa da Patrizia Cristiani, mamma di un bambino autistico di Torino, che ha proprio visto la degenerazione cagionata nel figlio da questa forzata quarantena, talvolta alleggerita da passeggiate provvidenziali costellate, però, da ingiurie proferite dai balconi o dalle auto di passaggio. Il Ministro dell'Istruzione Lucia Azzolina non fornisce messaggi rassicuranti sulla riapertura delle scuole e c'è chi fa terrorismo persino sulla possibilità che le lezioni ricomincino a settembre: non diamo credito a queste voci però è chiaro che una prospettiva temporale così lunga imponga di calibrare progetti per le giovani generazioni, progetti che non includano solo lo studio, ma pure quella parte ineliminabile strettamente connessa alla loro salute psico-fisica, ossia il gioco, anche all'aria aperta. Qualcuno, nei condomini, si è già organizzato in autogestione stabilendo i turni per poter permettere ai bambini – rigorosamente da soli - di scendere un'oretta in giardino a dare due calci al pallone o fare una corsetta, impossibile in casa. Vedremo come si evolverà la situazione e cosa partorirà il nostro Governo anche su questa tematica, di certo non centrale o determinante in un contesto emergenziale ben più grave, ma nemmeno archiviabile fra le varie ed eventuali.
I bambini scomparsi per decreto. La sofferenza dei più piccoli nei giorni del coronavirus. Pubblicato su wumingfoundation.com. [Pubblichiamo la testimonianza e le riflessioni di Rosa S., antropologa, documentarista, madre di un figlio che frequenta le scuole elementari, o meglio, le frequentava prima della chiusura. Rosa invita a prestare attenzione ai bambini reclusi in casa, ad ascoltarli e a non sottovalutare il trauma che stanno subendo. Il suo testo è accompagnato da una postilla di Wu Ming 4 sullo stesso tema. È il primo di una serie di post, con i quali intendiamo dare testimonianza delle ricadute dell’emergenza sulla vita quotidiana di soggetti deboli e non solo. Buona lettura. WM.]
Fino a quando si è potuto, andavo a fare due passi con mio figlio nel parco vicino a casa, di solito verso l’ora di pranzo. Non vedevamo nessuno per centinaia di metri. Mi sembrava importante che il bambino potesse avere almeno un’ora d’aria al giorno, per prendere un po’ di sole e tirare due calci a un pallone, o rivedere l’erba. Andare al parco, anche se solo con me e non con i suoi amici – quindi non il massimo del divertimento, lo capisco – mi sembrava fosse per lui l’unico momento per riagganciarsi alla sua “vecchia” normalità e sopportare meglio la quarantena. Per i bambini, ricordiamocelo, la vita è stata sconvolta già più di un mese fa, quando sono state chiuse le scuole, le palestre, le piscine, insomma tutte le attività della loro quotidianità. Il 21 marzo un nuovo decreto ha sancito altre misure straordinarie. Vengono citati i cani (come negli altri decreti): a loro è permesso essere accompagnati sotto casa dai loro padroni per fare una passeggiatina. E i bambini, per caso è permesso anche a loro? Non si sa. I bambini non si citano ormai da tempo, in nessun decreto. È come se fossero scomparsi, chiusi nelle loro case. Assicurando la possibilità di uscire soltanto a chi deve andare a lavorare o fare la spesa (uno alla volta), la si è negata a loro. I bambini sono segregati h24. Con il passare dei giorni e l’avvicinarsi dei 3 aprile loro attendono sempre più ansiosi il ritorno alla “normalità”, neanche fosse Natale. Ma ormai è chiaro anche alle pietre che le scuole non riapriranno né il 3 aprile né probabilmente il 3 maggio. Loro sono quelli con la vera fama di “untori”: non si ammalano, non hanno sintomi, ma sono vettori del virus, quindi bisogna evitare che si incontrino e lo diffondano. Cosa dobbiamo fare dunque noi genitori? Cominciamo a prepararli, senza avere nessuna indicazione dalle scuole o dal governo, o li lasciamo nella loro illusione e ingenuità? Da un mese non vedono più i loro compagni e le loro maestre, che prima frequentavano più della famiglia, 8 ore al giorno, per 5 giorni alla settimana. In tante scuole gli insegnanti si sono organizzati come hanno potuto. Nella classe di mio figlio (4a elementare) le maestre cercano di fare il possibile, ma purtroppo non sono attrezzate per fare videoconferenze e nessuno dal Ministero dell’Educazione si è premurato di insegnarglielo, nemmeno durante tutto questo intero mese di chiusura. Hanno solo a disposizione un sito istituzionale di proprio non immediata comprensione, a dire il vero. Un menu indica la possibilità di partecipare a delle aule virtuali: peccato che non ci si possa vedere con la videocamera né sentire con l’audio. Nelle aule virtuali c’è un live forum, in cui però si può solo chattare. Ora, già è difficile comunicare in una chat con adulti, figuriamoci con 25 bambini, in contemporanea. Eppure vengono fuori pensieri interessanti: chi si sorprende a supplicare le maestre di tornare a fare lezione, quando prima non voleva mai andare a scuola; chi esprime una nostalgia profonda; chi dice di non riuscire a dormire la notte, perché passano troppe ambulanze; chi dice che le giornate ora sono fatte di niente. Alcuni manifestano un cinismo che fa accapponare la pelle: tanto non serve a nulla, tanto moriremo tutti. Sentono le notizie al telegiornale e sciorinano nel dettaglio i numeri del bilancio di morti giornalieri e litigano sulla precisione delle loro fonti: «oggi ci sono stati 753 morti». «No, al TG5 hanno detto che sono stati 723», risponde l’altro. E poi una domanda: «Ma se si ammalano i nostri genitori, noi con chi stiamo?» A questa domanda nessuno risponde, come non si risponde ad altri bimbi che chiedono: «ma di cosa parliamo?». Ognuno procede per conto suo scrivendo sul proprio computer, nessuno riesce a sintonizzarsi con nessun altro, e la frustrazione sale. Problemi comuni delle chat, forse si potrebbe pensare a strumenti di comunicazione un po’ più efficienti. Chi si occupa delle paure di questi bambini? Chi si occupa di rispondere alle loro domande? Le loro vite procedono sospese, appese ad un balcone, in attesa di un futuro “ritorno” che appare sempre più lontano. I compiti mio figlio li fa svogliatamente, gli manca un riscontro. L’unico lavoro che ha fatto volentieri è un testo di italiano in cui doveva descrivere un amico. Ha scritto queste righe che ho deciso di pubblicare per far capire quanto sia importante sentire la loro voce, perché stanno vivendo un’esperienza inaudita che va – necessariamente – elaborata. Un’amica mi dice che sta facendo un diario visivo con i figli usando la tecnica del collage. Il primo lavoro fatto è talmente espressivo che non ha bisogno di commenti (vedi sotto). Però sta terminando fogli e colla, e nei supermercati non li vendono perché non sono beni essenziali. Ma non sono essenziali per chi? Per gli adulti forse. Ma nessuno ha pensato che sono oggetti fondamentali per i bambini? Quel che stanno provando ora, all’inizio della loro vita, li accompagnerà per gli anni a venire. Ci guardano e ci osservano, dipendono da noi e dalle nostre scelte. Noi forse, ancora così spiazzati – che abbiamo difficoltà ad accettare quel che accade, che tutto ci sembra sempre così surreale, la parola più usata sul web, «surreale» – ecco noi, forse, oggi, possiamo imparare qualcosa da loro. Quello che ci sta accadendo è più che reale e concreto e dobbiamo trovare delle soluzioni. Al più presto, e insieme a loro. Chiediamogli di scrivere e di raccontarci. Di aiutarci a capire, forse sono loro quelli più lucidi, ora.
TESTO SCELTO: ALE, IL MIO VICINO DI CASA
Stare a casa per evitare il Coronavirus, senza vedere nessuno, è veramente una noia. Per fortuna che c’è il mio vicino di casa: Ale. Ha un anno in meno di me, e abita esattamente nell’appartamento sotto il mio. Lui è più basso di me, è molto magro e forte, non mangia tanto perché si riempie di acqua, cioè si beve molti bicchieri d’acqua prima di mangiare. La sua caratteristica principale è che adora il calcio. Prima del Coronavirus si allenava tre volte a settimana e lo chiamavano il sabato o la domenica per fare i tornei, quindi lo vedevo poco. Ora lui, come me, deve stare a casa, ma ci vediamo dal balcone. Per scambiarci libri e giochi abbiamo questo metodo: ce li lasciamo davanti alla porta di casa e bussiamo e ce ne andiamo di corsa a parlare in balcone. In balcone facciamo questo gioco, sennò ci annoiamo a morte: uno di noi prende matita, gomma e foglio, l’altro dice cosa deve disegnare, facciamo a turno. Ci divertiamo molto a vedere i disegni dell’altro. Ale è molto simpatico e dal balcone mi racconta tante, forse anche troppe, notizie sentite o inventate. A volte lui va a giocare a calcio in cortile con suo papà e io faccio l’osservatore da su. Ho chiesto a mia madre se potevo fare l’osservatore da giù, che tanto stavo a un metro di distanza, ma lei ha detto che non si può, sennò ci fanno la multa. Però almeno ci possiamo parlare dal balcone, finché tutto non ritorna come prima.
Postilla di Wu Ming. Da quando è cominciata la clausura forzata, mio figlio minore, 7 anni, un tipo per sua fortuna normalmente sereno e positivo, ogni tanto viene da me, chiede di essere preso in braccio, e si fa un pianto di qualche minuto. Non c’è bisogno di dirsi granché. Restiamo lì per un po’. Poi, dopo qualche parola di conforto (magari gli tocca sorbirsi la solita citazione dal Signore degli Anelli), torna tranquillamente a fare i suoi compiti o a giocare con i giocattoli che ormai invadono ogni angolo della casa, o a vedere video e cartoni animati sul tablet. A volte disegna. Il soggetto è sempre lo stesso: scene d’assedio. All’ennesima fotografia giunta sulla chat genitoriale, con il/la compagno/a di classe in posa con sorriso stirato e cartello arcobaleno «Andrà tutto bene», lui ha proposto di farne una mentre si punta una pistola giocattolo alla tempia, con il cartello «Che due palle». Proposta ovviamente cassata per quieto vivere, anche se mi ha fatto piangere il cuore reprimere una reazione così spontanea, che avrebbe detto l’ovvio, quindi – in tempi di militarizzazione patriottarda dell’immaginario – l’indicibile. Mio figlio è un disfattista? Forse è soltanto uno che non capisce come potrebbe infettare chicchessia se gli venisse concessa un’ora d’aria come ai carcerati, a debita distanza da tutti. Perfino i cani stanno meglio di lui. L’Organizzazione Mondiale della Sanità in tempi di Coronavirus consiglia precisamente questo: mezz’ora d’attività fisica al giorno per gli adulti e un’ora per i bambini (non parla di cani), passeggiate e giri in bicicletta a distanza di sicurezza. Lo stesso dicono scienziati farmacologi come Silvio Garattini, e medici-biologi come il presidente del comitato scientifico della Società Italiana di Medicina Ambientale Ernesto Burgio. Perfino il governatore dello Stato di New York, uno dei più colpiti degli Stati Uniti, non ha proibito le attività all’aperto, le ha solo limitate, ponendo la condizione di evitare i contatti e mantenere rigidamente le distanze. Sempre nello Stato di New York, il Dipartimento di Conservazione Ambientale ha reso gratuito l’ingresso a tutti i parchi naturali, perché stare all’aria aperta durante la pandemia è salutare. Di fronte al diktat «RESTATE A CASA», al vietato mettere il naso fuori se non per andare in fabbrica o al supermercato, i bambini scompaiono. Li abbiamo segregati come massimi potenziali untori – ma soltanto dopo averli messi a casa da scuola, quindi affidati ai nonni per due settimane – e ce li siamo dimenticati. Anzi, li abbiamo costretti a girare video domestici per incitare tutti a chiudersi in lockdown, reclutandoli di fatto in una campagna propagandistica fai-da-te che contraddice i consigli della stessa OMS. Le conseguenze di tutto questo sulla loro psiche le sconteremo negli anni a venire. Ma saremo troppo impegnati ad affrontare la recessione più grave della storia e a fare i conti con il nuovo totalitarismo partorito dall’emergenza per preoccuparci ancora di loro. E magari nel frattempo si saranno fatti grandicelli e toccherà a uno psicologo scavare nel trauma. Intanto dalla Cina fanno sapere che chiudersi in casa ottiene il risultato di fare certamente infettare tutti i nuclei famigliari dei positivi, quindi in realtà estende il contagio. Dicono che, contrariamente allo stereotipo, il punto non è «sbarrare tutto», ma mettere in campo provvedimenti “attivi”, creare «corridoi sanitari» per lo screening dei positivi, ricoverare i contagiati in luoghi appositi. Per farlo servono tamponi, personale medico e spazi adeguati. Spazi che dovremmo rendere il più possibile confortevoli e degni, e che si potrebbero creare riaprendo gli ospedali chiusi negli ultimi anni, o requisendo le strutture sanitarie private, oppure requisendo temporaneamente gli alberghi, dato che sono tutti vuoti, come si sta iniziando a fare… adesso. Una cosa che certamente i cinesi non hanno fatto è mettere agli arresti domiciliari la popolazione dell’intero paese. In Italia continuiamo a ripetere il mantra che abbiamo il miglior sistema sanitario del mondo, ma – complice la peggiore classe dirigente del mondo – pare chiaro che qualcosa non ha funzionato. Eppure seguitiamo a trovare capri espiatori nei podisti, nei vecchietti a spasso solitari e nei papà o mamme che palleggiano in cortile con il proprio figlio. Tutto pur di non ammettere che la responsabilità di questa tragica inadeguatezza è di chi sta in alto, non di chi sta in basso. Di chi non ha agito per tempo. Di chi nel corso degli anni ha tagliato la sanità pubblica, messo il numero chiuso nelle facoltà di medicina, ridotto il personale medico, bloccato le assunzioni (e adesso i medici vengono ad aiutarci da Cuba e dobbiamo richiamare in servizio quelli già pensionati, in età a rischio). E anche di chi non è stato capace di contrastare tutto questo. Come dice Rosa, i bambini ci guardano, e forse riescono perfino a essere più lucidi di noi, se non altro nell’esprimere la propria frustrazione. Ma se esiste una qualche giustizia nella storia, un giorno ce la faranno pagare cara.
In appendice, segnaliamo questo testo di Andrea «Andy» Perego, soccorritore di pronto soccorso, perché non è la solita testimonianza di «mio cuggino», è molto bella e si conclude proprio con un invito, in questa fase, a imparare dai bambini.
Cronache dal pronto soccorso (o della cecità). «Chiunque abbia cercato di dare una cornice solida a tutto questo psicodramma sfuggente – si vedano i social network che sono la mangiatoia dove si è nutrito finora di allarmi, protagonismi, testimonianze farlocche e disinformazione -, chiunque abbia cercato di mantenere la calma puntando su un livello di analisi più approfondito è stato tacciato di irresponsabilità, scarso senso civico, ma ciò che è più scandaloso anche di scarsa solidarietà . Si riscopre solidale anche il paese dove il 50% degli investimenti pedonali si risolve in una omissione di soccorso, dove il vicino morto da solo lo si scopre solo quando la puzza si spande per la scala, solidale quel tanto che basta per dire agli altri cosa si deve fare e cosa non si deve fare, ma non abbastanza per provare a fare qualcosa d’altro che non sia cantare sul balcone. E qui vengo all’ultimo punto: ieri sera alla quarta volta che mettevo una tuta bianca con cappuccio tre paia di guanti maschera e occhiali per andare a capire se il 40enne che aveva chiamato il 118 presentava un quadro clinico compatibile col Covid19, riflettevo sulla necessità di rompere il meccanismo…»
Il coronavirus spiegato ai bambini: ecco come fare. Far capire ai più piccoli cosa sia e cosa comporta la pandemia da Covid-19 è cosa difficile, ma necessaria. Ecco qualche consiglio ai genitori. Fabio Franchini, Mercoledì 25/03/2020 su Il Giornale. Racconti, fumetti, cartoni animati, storie illustrate video ad hoc. Ecco come spiegare il coronavirus ai bambini, per far capire loro cosa sia, e cosa comporta, la pandemia da Covid-19. In queste settimane difficili per il Paese, alla prese con una grave emergenza sanitaria nazionale, è bene trovare il modo più giusto per raccontare ai più piccolo che cosa stia succedendo. I bimbi non vanno più a scuola, visto che gli istituti scolastici del Belpaese sono stati chiusi in ottemperanze alle misure di contenimento, e i diretti interessati – i genitori lo sanno bene – sono scatenati con le domande sul perché di tutto questo. Sul perché non possono più andare a scuola, sul perché non possono più andare al parco giochi…I bambini, ricordiamolo, non sono a maggior rischio di infezione (anzi, secondo gli ultimi studi la maggior parte dei casi interessa gli adulti), ma sono allo stesso tempo dei potenziali "untori". Motivo per i quali i fanciulli devono adottare le misure raccomandate per prevenire l'infezione, in particolare la frequente pulizia delle mani con acqua e sapone o disinfettante per le mani a base di alcool ed evitare il contatto con persone malate.
Consigli per spiegare il coronavirus ai bambini. Non esiste una ricetta particolare per far comprendere ai propri figli piccoli cosa sia la pandemia da coronavirus e perché siamo tenuti a rispettare le regole e le restrizioni adottate dalle autorità. Qualcuno, in questi giorni, è venuto incontro a quest'esigenza, realizzando delle brevi storie – racconti illustrati come, fumetti per esempio, ma anche video e cartoni - per agevolare le madri e i padri di tutt'Italia nel loro compito e nel dare rassicurazioni alle paure dei bimbi, quando ai propri genitori dicono "Mamma, papà…ho paura del coronavirus". Un genitore può scegliere lo strumento che più considera chiaro e consono. Quello che però è importante fare è parlare ai propri bimbi in modo tanto schietto quanto sereno, trovando il giusto mezzo tra preoccupazione e ottimismo, panico e superficialità. Insomma, equilibrio e tranquillità, però senza minimizzare e allo stesso modo anche senza fare troppo allarmismo. E non dimentichiamoci di infondere fiducia. Ricordiamoci infatti che è vero che i bambini attendono le spiegazioni degli adulti per comprendere il mondo, ma nelle loro teste si sono già fatti un'idea. Per cui, è bene per un genitore accertarsi – nel modo che crede più giusto – di accertarsi che il proprio figlioletto non si sia fatto un pensiero sbagliato o (troppo) confuso della situazione che stanno vivendo. Una volta fatto, viene più semplice far capire ai più piccoli l'importanza della prevenzione e fare così in modo che rispettino le raccomandazioni come il lavarsi spesso e bene le mani. E anche in questo caso, oltre ai vademecum redatti dal governo e da altre istituzioni (comprese quelle sanitarie) online – dal web ai social network, passando per YouTube – si possono trovare degli ottimi video-tutorial realizzati per essere visti propri dai bambini. Telefono azzurro, per esempio, ha lanciato un progetto per fare fronte alle difficoltà che i più piccoli stanno incontrando nel vivere una situazione di emergenza con la chiusura delle scuole e lo stravolgimento di tutte le loro attività quotidiane. Di seguito, invece, un filmato con alcuni consigli realizzato dalla onlus Save the Children.
«Anche i bambini devono fare la propria parte contro il coronavirus». Come spiegare l'emergenza ai figli? Da un lato i genitori devono rassicurarli, dire le cose con semplicità. Dall'altro responsabilizzarli, soprattutto gli adolescenti. Parla Massimo Ammaniti, tra i più importanti neuropsichiatri infantili. Emanuele Coen il 13 marzo 2020 su L'Espresso. Adulti e bambini, bambini e adulti. Adulti, bambini e nonni. Le famiglie, tutte le famiglie, obbligate a far fronte alle proprie paure, al panico. Un’intera nazione, la prima nel mondo, chiusa per emergenza coronavirus. In altre circostanze critiche, anche estreme, tuo padre, tua madre, tuo figlio, tua figlia possono aiutare. Oggi, oltre a dare una mano, rappresentano un potenziale vettore di contagio. E, soprattutto, hanno bisogno di sapere, essere rassicurati. Come spiegare a bambini e adolescenti questa situazione inedita senza minimizzare, ma evitando di scatenare terrore e angoscia? Massimo Ammaniti, neuropsichiatra infantile, indaga i meccanismi psicologici e le emozioni degli individui, con particolare attenzione ai più piccoli. Professore onorario di Psicopatologia dello Sviluppo alla Sapienza di Roma e psicoanalista dell’International Psychoanalytical Association, ha scritto con Paolo Conti “Il mestiere più difficile del mondo” (Solferino). Un compito difficile, o addirittura “impossibile” come scriveva Sigmund Freud, che adesso sembra ancora più complicato. Nelle ultime settimane, Ammaniti è in prima linea insieme a tanti suoi colleghi.
Professore, come reagiscono i suoi pazienti in questi giorni?
«Le persone che seguo vivono questa emergenza con grande ansia. In questo momento sentono bisogno di un sostegno, ancor più di prima. Alcuni sono costretti a restare in casa in una condizione non dico di clausura, ma di relativo isolamento. Tutto questo, ovviamente, crea ansia, tensione, allarme. I bambini non vanno a scuola, restano in casa, si rendono conto che la loro vita è cambiata in maniera sostanziale. Non vedono i compagni, in molti casi i genitori si preoccupano anche se li portano a fare una passeggiata al parco. Inoltre, i più piccoli non svolgono le loro normali attività, mentre finora avevano le giornate fitte di impegni tra scuola, sport, svago, festicciole. Adesso nulla, si tratta di una condizione nuova, inedita».
I genitori come possono affrontare una situazione così complessa?
«Devono spiegare ai figli con semplicità che esiste il pericolo di prendere una malattia, come un’influenza che si trasmette da uno all’altro. E spiegare loro che, se i bambini non corrono grandi rischi, il pericolo riguarda i genitori e soprattutto i nonni, per cui è stato deciso di non frequentarsi, per scongiurare la trasmissione della malattia».
Quali sono i limiti alla sincerità nella comunicazione con bambini e adolescenti?
«Sconsiglio di avventurarsi in spiegazioni sul funzionamento del virus, soprattutto con i più piccoli. Argomenti come la trasmissione tra le persone, la virulenza del contagio, rischiano di essere poco comprensibili per un bambino e trasformarsi in una fonte di ansia. Un’altra cosa da dire ai piccoli: per evitare di prendere questa malattia che fa venire tosse, febbre e mal di gola, è importante lavarsi le mani, perché si trasmette toccandosi l’uno con l’altro o stando vicini. È importante insegnare loro a lavare bene le mani, con una procedura corretta. Un altro aspetto rilevante riguarda la spiegazione sui soggetti a rischio: dire ai bambini che, anche se non corrono rischi per sé, possono essere pericolosi per i nonni e per chi è più avanti negli anni».
Qual è la principale paura che manifestano i più piccoli?
«Che ai genitori accada qualcosa. I bambini hanno la percezione che la propria sicurezza dipenda dai genitori e dal loro stato di salute, sono aspetti strettamente connessi. Si può far forte la paura, ad esempio, che i genitori possano morire. Gli interrogativi più ricorrenti: “Tu ti ammali e io rimango solo?”, “Con chi rimango se tu ti ammali?”».
È importante non solo dire le parole giuste, ma anche con un tono corretto.
«Naturalmente. Il genitore non deve salire in cattedra per fare una lezione sul coronavirus. Occorre illustrare i temi senza supponenza, con semplicità, per mitigare ansie e preoccupazioni. Magari il figlio non porrà subito delle domande ma lo farà in seguito. Il bambino può fare dei sogni, manifestare paure notturne. Il dialogo in famiglia si svilupperà anche nei giorni successivi, i genitori devono essere pronti a sostenerlo».
Le informazioni sull’emergenza non circolano solo in famiglia ma vengono rilanciate di continuo da telegiornali, radio, web, social. Come proteggere i minori da questo bombardamento?
«Bisogna fare a meno di mostrare i telegiornali ai bambini, se possibile. Sono terrorizzanti, spaventosi, con i dati sulla malattia, i bilanci, l’insistenza e il ritmo incalzante delle news. Inoltre, i genitori dovrebbero evitare di parlare al telefonino in maniera incontrollata di ciò che accade davanti ai bambini, che colgono tutto immediatamente, sono molto perspicaci e sensibili».
Negli ultimi anni la tecnologia è finita sul banco degli imputati per l’uso eccessivo da parte di bambini e adolescenti. Ora, però, potrebbe rivelarsi uno strumento utile per mantenere una socialità ridotta a zero o quasi.
«Certo, se i bambini si vedono meno possono giocare a distanza con i videogiochi, si tengono in contatto. Tuttavia, quando i bambini restano a casa bisogna organizzare loro la giornata, il che crea per i genitori una serie di problemi nella vita quotidiana che la tecnologia non può risolvere».
Del resto non è facile, si tratta di un’emergenza inedita.
«In passato sono esistite alcune forme di influenza ma non di questa entità. Per ritrovare un’emergenza così grave bisogna tornare indietro di un secolo, alla spagnola. Mentre dell’epidemia influenzale si conosce il decorso, in questo caso esiste un margine abbastanza ampio di incertezza. Non è paragonabile neanche alla paura per gli attentati terroristici, che non è mai entrata così profondamente nella vita delle famiglie. Oggi assistiamo a un cambiamento profondo dei ritmi e dell’organizzazione della vita quotidiana».
I genitori devono comunicare in maniera differenziata con bambini e adolescenti?
«Da un lato gli adolescenti sono più consapevoli, dall’altro possono essere più spavaldi, sfidare le regole, minimizzare il pericolo. Nella situazione attuale gli adolescenti possono rappresentare un pericolo».
La Federazione Italiana Medici Pediatri ha realizzato un opuscolo con un fumetto e sette regole sui corretti stili di vita e di igiene. È possibile esorcizzare il pericolo attraverso la fantasia?
«È una narrazione utile, li aiuta ad attenuare le paure attraverso le favole. I bambini già lo fanno naturalmente, occorre che i grandi stimolino questo tipo di narrazione. Quando diventeranno più grandi rielaboreranno questi temi anche in chiave fantastica».
Anche bambini e adolescenti hanno un ruolo nella prevenzione del contagio. Bisogna coinvolgerli?
«I genitori devono dire ai propri figli di contribuire, dare una mano, non con toni allarmati o allarmistici ma in modo responsabilizzante. C’è stata un’epoca, durante la Seconda guerra mondiale, in cui i bambini hanno fatto la propria parte. Oggi i bambini, in genere, sono iperprotetti, molto spesso figli unici, non sono abituati a sostenersi a vicenda. Stavolta, invece, anche i bambini devono fare la propria parte».
· Epidemia e Pelo.
Dagospia il 21 maggio 2020. Il New York Times dedica un articolo alla riapertura in Italia, con vox populi di ristoratori, negozianti e...parrucchieri. Questa passione per il “primping” (il farsi belli, agghindarsi) è spesso molto sentita in Italia, dove - tra lotte tra governo nazionale e regionale, preoccupazioni per una rinascente epidemia e timori di una catastrofe economica imminente - gli italiani hanno salutato l'apertura di lunedì come un'occasione per il Grande Abbellimento. L'Italia è una capitale dell'acconciatura, con 104.000 parrucchieri e decine di migliaia di altri saloni di bellezza per la cura delle unghie, la ricostruzione delle sopracciglia, la ceretta e il massaggio del corpo, secondo uno studio governativo dell'agenzia che rappresenta la Camera di Commercio. I Paesi europei con una popolazione simile a quella italiana hanno un comparto notevolmente inferiore: il Regno Unito ha meno della metà dei saloni di parrucchieri e di bellezza, e la Francia ha solo 85.700 saloni di parrucchieri, secondo i numeri ufficiali.
Dagonota il 4 maggio 2020 - Nelle scorse settimane c'era anche chi mormorava che dietro al ciuffo di Conte ci fosse Alessandro Scorsone, sommelier ufficiale di Palazzo Chigi, che entrò con il ruolo di barbiere… al secondo posto nella lista dei sospetti c'era la parrucchiera dell'Hotel Plaza, di proprietà del ''suocero'' di Conte, Cesare Paladino. Chi taglia i capelli a Conte? Alessandro Scorsone, noto come il sommelier di palazzo Chigi. E i maligni ricordano che li è entrato con il ruolo di barbiere...
Da "corriere.it" il 22 aprile 2020. Tra le restrizioni del lockdown, il governo federale tedesco ha annunciato come in altri Paesi la chiusura dei saloni di parrucchiere che però dovrebbero riaprire il 4 maggio. Una fortuna per il vice cancelliere e ministro delle finanze Olaf Scholz (Spd) che si è tagliato i capelli da solo, con effetti — per sua stessa ammissione — di scarso charme. Il leader dei Verdi tedeschi Robert Habeck — noto per la folta capigliatura portata lunga — ha lui stesso postato su Instagram il momento della sua rasatura spiegando di aver deciso di optare per il fai da te. Divertenti gli effetti del lockdown anche sulla capigliatura del Verde Winfried Kretschmann ...E del leader della CSU Markus Söder. Perfetta invece la cancelliera Angela Merkel che fa sempre buona figura con i capelli perfetti. A una domanda della Bildzeitung un portavoce ha confermato che “i capelli e il make-up della cancelliera sono curati da un’assistente”. Meglio non usare la parola parrucchiere perché in Germania i coiffeur restano con la serranda abbassata fino al 4 maggio. La prima ministra danese Mette Frederiksen ha optato per il gel nei capelli portati all’indietro. Perfetti nel look invece gli spagnoli con il leader dell’opposizione, il popolare Pablo Casado in teleconferenza con...Il suo rivale, il socialista Pedro Sanchez, da sempre molto attento al look tanto da essere soprannominato Pedro il bello. E non pare assolutamente fuori forma nemmeno il presidente francese Emmanuel Macron,accusato in passato di aver speso 26 mila euro nei primi giorni di presidenza solo per il make up.
Giuseppe Marino per “il Giornale” il 29 aprile 2020. Chi taglia i capelli a Giuseppe Conte? La domanda esplode sui social, rimbalza su Striscia la notizia e attira epiteti non ripetibili da parte di tanti barbieri costretti a tenere giù la saracinesca causa virus. Si studiano le immagini: il premier ha il solito ciuffetto ribelle ma anche la solita acconciatura impeccabile e, pare, la stessa lunghezza di due mesi fa, a inizio quarantena. Ma l' importante non è se il presidente del Consiglio abbia o meno un parrucchiere segreto o se a intervenire sia una mano amica dello staff di Palazzo Chigi o un congiunto più o meno stabile, per usare il linguaggio caro al premier. Il punto è quel che appare. Perché in politica contano i simboli. Non è casuale che il capelli-gate sia esploso proprio quando Conte ha rimandato a giugno la riapertura dei parrucchieri, sconfortando chi sogna il privilegio di un taglio e, soprattutto, i professionisti dell' estetica le cui attività muoiono di lockdown. L' avvocato del popolo doveva studiare meglio l' eco di una spettinatura eccellente, quella di Mattarella, rivendicata dal presidente della Repubblica in un fuorionda che sarà anche stato casuale, ma di sicuro è stato tanto efficace da restare tra i momenti visivamente indelebili di queste nostre prigioni. Condannare a morte lenta i parrucchieri esibendo un taglio perfetto è una sgrammaticatura in questa Repubblica dell' immagine, dove sotto la cenere covano gli istinti anti casta e populisti evocati dallo stesso Conte e dai suoi creatori. E non basta l' apocalisse del virus a far dimenticare che il premier si è presentato come «avvocato del popolo» e in Parlamento ha esibito un elogio del grillismo: «Se il populismo è ascoltare la gente, allora siamo populisti». Poi però è arrivato nelle stanze del potere con una coalizione che taglia 345 parlamentari ma nomina 450 esperti in task force non elette che bypassano la politica. Altro che democrazia diretta. E Conte dimentica il precedente: il M5s voleva chiudere la barberia di Montecitorio ma quando si seppe che invece Di Maio ne era diventato cliente fisso, parve chiaro che la mutazione genetica del grillismo era completa. È il tipo di boomerang capace di spettinare un futuro politico.
Dagospia il 29 aprile 2020. Da Radio Cusano Campus. Salvatore Castelluccio, parrucchiere napoletano che denunciò le estorsioni della Camorra, è intervenuto ai microfoni della trasmissione "Cosa succede in città" condotta da Emanuela Valente su Radio Cusano Campus. "Ho chiuso l'attività a Napoli e tuttora vivo sotto scorta, dopo 5 anni dalla mia denuncia -ha affermato Castelluccio-. Ho ricominciato l'attività a Sorrento. Non credevo che dovessimo aspettare giugno per la riapertura. A noi parrucchieri lo Stato ha dato 3 opzioni: indebitarci, fare la fame o suicidarci. Stare 3-4 mesi chiusi significa poi riaprire un negozio con i debiti. Noi ci siamo già attrezzati per riaprire. Non capisco che non riaprano i parrucchieri e circolino i mezzi pubblici con decine di persone, poi ci sono tutti i negozi di alimentari, i fruttivendoli dove ci sono le file e non si rispettano le distanze di sicurezza e non ci sono le mascherine. Io per 3 mesi d'affitto dovrei pagare 4mila euro e lo Stato ci manda per marzo 600 euro. Loro spendono tutti questi soldi, hanno preso questo scienziato Colao che fa le regole, ma secondo me non va bene perchè ci vuole un addetto del settore. Uno come Colao che ne sa dei parrucchieri, dei salumieri? Il problema è che Conte non è un imprenditore, ragiona in un altro modo, secondo me deve tornare a fare l'avvocato. Noi parrucchieri ci stiamo organizzando per fare una rivolta perchè non si può andare avanti così. Avevo fatto la richiesta per i 25mila euro, l'ho fatta bloccare dal commercialista perchè se io faccio questo prestito non so se lo posso pagare o meno e magari mi ritrovo pure come cattivo pagatore".
Dagospia il 30 aprile 2020. Caro Dago, se il divieto di approfittare dei parrucchieri e truccatori vale perfino per il Presidente della Repubblica, come è possibile che le giornaliste, le parlamentari, le conduttrici televisive, le invitate a talk show e dibattiti vari, non abbiano un capello fuori posto, né un millimetro di ricrescita e siano perfettamente truccate? Hanno per caso dei professionisti del settore che riescono a fare il lavoro a un metro di distanza o invece utilizzano dei robot adeguatamente programmati per svolgere queste mansioni? Se così fosse vorremmo approfittarne anche noi , comuni donne mortali che devono invece ingegnarsi per non apparire come Maga Magò o Crudelia Demon. Carla
DAGONEWS il 2 aprile 2020. Matterella, uno di noi. Il Presidente non è l’unico ad avere a che fare con il ciuffo ribelle da quando i barbieri sono chiusi per l’emergenza coronavirus. Una chiusura che cambierà le abitudini di milioni di persone in giro per il mondo , abituate ad affidarsi a un barbiere per barba e capelli. L'esperto di stile Aaron Marino ha rivelato come cambiano le abitudini maschili, ricordando che provare a dare una scorciatina non ha mai ucciso nessuno: «I giovani cercheranno di mantenere la routine anche a casa perché darà loro una parvenza di normalità. Ci saranno persone che tenteranno di tagliarsi i capelli e chi si affiderà a mogli e fidanzate. Ma si prevede già una tendenza per l’estate: la barba diventerà molto più popolare tra gli uomini così come i capelli lunghi. Per chi, invece, vuole mantenere il proprio taglio il consiglio è aggiustarli con le forbici ogni settimana o al massimo due. Se lasciate passare troppo tempo sistemarli sarà più difficile. In conclusione provate a sperimentare e tagliare. Se sbagliate al massimo ricresceranno!».
Rossella Burattino e Giancarla Ghisi per il “Corriere della Sera” il 3 aprile 2020. «Anche io non vado dal barbiere». Un piccolo «incidente» che si è trasformato in un successo mediatico. Il presidente della Repubblica si è scusato per il fuori onda «leggero» rispetto al discorso sull' emergenza sanitaria. Ma la spontaneità di Sergio Mattarella ha colpito gli italiani e sottolineato uno dei «problemi» che dopo il lockdown riguarda un po' tutti: non poter andare dal parrucchiere. Ricrescite a vista, tinte scolorite, tagli ingovernabili (soprattutto per gli uomini). Sui social non si parla d' altro. Uno degli argomenti topic su Instagram è #soscapelli e i tutorial sul tema conquistano visualizzazioni su Youtube. Colorazione fai da te, come tagliarsi la frangia o ricreare in casa la piega Dna, sono le ricerche più gettonate. C' è anche chi ha riesumato il casco anni Ottanta di mamma: «L' ho trovato in cantina - dice Daniela Polli, 41 anni, avvocato napoletano -. Ho i capelli crespi, non riesco a gestirli ed ero in imbarazzo nelle conference call. Con la tecnica "bigodini e retina" li domo ed è anche un modo per staccarmi dal computer e dal lavoro». «Parrucchieri e panettieri lavoreranno sempre, diceva mio nonno Franco che ha vissuto due guerre mondiali - racconta Monica Coppola, hair stylist -. I nostri saloni sono chiusi da un mese e già dopo la prima settimana sono arrivate migliaia di telefonate di persone "disperate". Sono allibita e trovo umiliante che ci siano colleghi che fanno servizio a domicilio e che si vendano su Internet i set per la colorazione. Non si può improvvisare, per un colore bisogna avere conoscenze di base sulla colometria, il tipo di capelli, la cute, le eventuali reazioni. Preoccupatevi della salute dei capelli con attenzioni che prima non avevate: lavateli ogni due giorni e spazzolateli tutte le sere». Chissà per quanto barbieri, parrucchieri e centri estetici saranno chiusi. «È l' ultimo dei miei problemi, con quello che succede pensiamo al parrucchiere? - chiede Mara Venier -. Io sono in diretta tv senza trucco e parrucco, chi se ne frega! Faccio lo shampoo a casa e vado in onda. Non saranno perfetti? Pazienza». «Ci sono state date delle indicazioni, è giusto rispettarle - ripete Lorena Bianchetti, conduttrice -. Io soffro di più a non vedere le persone con cui ho sempre lavorato. Mi mancano. Ma mi pettino e mi trucco da sola». Lo fanno tutti. Ed ecco mogli che accorciano i capelli ai mariti con il rasoio elettrico, padri che si cimentano con i figli. Tutto documentato sui social. Come i video postati dall' attrice Vittoria Belvedere: tutta la famiglia all' opera tra colpi di forbici e macchinette. «Vedo grossi problemi soprattutto per gli uomini - spiega il consulente d' immagine e make-up artist Pablo Ardizzone -. In un uomo qualche centimetro in più dopo un paio di settimane si vede, eccome. Forse questo ha portato Diletta Leotta a improvvisarsi parrucchiera e a condividere il disastro combinato sulla testa del fratello. Poi ci sono persone come la giornalista Giovanna Botteri che entra in scena con il capello selvaggio, di un colore ormai indescrivibile, ma ha un appeal pazzesco». L' attore Fabio Troiano, in isolamento a Roma, è autore di un monologo di successo sul restare a casa. «Ieri ho preso il rasoio e ho sfoltito i capelli - racconta -. Il mio amico-collega Dario Bandiera mi ha chiesto durante una diretta-social se fossi andato dal barbiere. Avrò fatto un buon lavoro».
Simona Pletto per “Libero quotidiano” il 22 aprile 2020. Non c' è Covid che tenga: tante donne non riescono proprio a rinunciare a una tinta di capelli, alla ricostruzione delle unghie o ceretta. Nonostante il lockdown, in ogni angolo del Paese sono centinaia le persone che ogni giorno richiedono in casa i servizi di estetiste e parrucchieri irregolari. Le associazioni di categoria hanno calcolato un giro di abusivi "pizzicati" e multati pari al 23% (su 130mila imprese di acconciatori e centri estetici in cui operano 263mila addetti), ma sono pronti a scommettere che il fenomeno sommerso ha percentuali molto più alte. «Si tratta di soggetti che si improvvisano parrucchieri ed estetisti», spiega Tiziana Angelozzi, responsabile nazionale Confartigianato Benessere, «ma non ne posseggono i requisiti e non rispettano le norme di sicurezza. In tempi di Covid, oltre a rappresentare una forma di concorrenza sleale nei confronti dei colleghi regolari, mettono a rischio la salute dei clienti. Le segnalazioni di colleghi riguardano sia i clienti che vanno nei centri che dovrebbero essere chiusi, sia di parrucchieri o estetiste che vanno a domicilio». Confartigianato ha calcolato che l' effetto combinato di mancati ricavi a causa della chiusura e abusivismo causerà alle imprese di acconciatura e di estetica una perdita economica di 1.078 milioni di euro nei mesi di marzo, aprile e maggio, pari al 18,1% del fatturato annuo. «Il problema esiste eccome, si parla di un regolare ogni cinque abusivi», lamenta Roberto Papa, segretario nazionale di Confestetica, che ha sede a Rimini e conta 19.463 titolare di centri. «Sono tanti quelli che lavorano irregolarmente e lo fanno perché è difficile controllarli. Per cogliere sul fatto un estetista occorre fare una violazione di domicilio cosa per la quale serve un ordine di un giudice. Speriamo solo di poter riaprire al più presto». Le segnalazioni piovono da tutta Italia. Migliaia i casi, come quello di un barbiere e del suo cliente multati due giorni fa in provincia di Como. I vigili si sono insospettiti nel vedere il cliente camminare in strada con i capelli freschi di taglio. Colpa del virus che ci vuole tutti in disordine o capelloni. «Quelli abusivi sono dei mascalzoni», va giù pesante il responsabile del "Collegio parrucchieri" di Roma, titolare di un negozio a due passi da Palazzo Chigi, e che tra i clienti ha senatori e deputati. «Ma anche chi accetta prestazioni al domicilio andrebbe multato». Il popolo delle lady che non vogliono rinunciare a farsi belle comunque aumenta e non teme neppure multe (il minimo della sanzione per chi si sposta per una prestazione estetica è di 533 euro ridotta a 280). I canali soliti del passaparola, sono stati superati da quelli social quali Facebook o Instagram. Qui si invitano ipotetiche clienti non solo a usufruire delle tradizionali prestazioni, ma persino ad allungare ciglia e capelli. «A me capitava ogni giorno di ricevere richieste da parte dei miei fedeli clienti», confida Massimiliano Festa, titolare insieme al padre di uno storico barbiere aperto a Firenze 52 anni fa, «ma ogni volta rispondevo no, non si può. Poi per aiutarli, perché noi parrucchieri e barbieri abbiamo anche una funzione sociale, mi sono inventato le videoconferenze, attraverso le quali spiego in diretta come fare a tagliare barba e capelli usando la macchinetta».
Marinella Venegoni per "lastampa.it" il 16 marzo 2020. Siamo in tempi tragici, e forse proprio per questo una debolezza si può confessare: alleggerisce un po’, se la si percepisce come vasta e partecipata come in effetti è. Seppur poco confessata. Perché è brutto (e non è nemmeno serio) lamentarsi di una mancanza frivola, con questa necessità imprescindibile di rimanere isolati che abbiamo ormai introiettato. Ma al cuor non si comanda, e fra le varie chiusure di questi giorni doverosamente segregati in un immaginario, contiamo, tinello marron, la più sgradita e scomoda per moltissime donne e non so quanti uomini, è quella dei parrucchieri. Se è lecito scherzare un po’, per arginare il pensiero continuo della sofferenza che ci sovrasta, parliamo oggi di capelli. I capelli fanno talmente parte della percezione di sè, e sono talmente simbolici del modo di essere di ciascuno, che si pensa di essere visibili agli occhi propri e altrui, soltanto quando essi sono "in ordine", cioè come piace a noi. Ci sono persone non professioniste geniali nel ramo, sanno fare tutto da sé, il taglio il colore la pettinatura, ma sono una minoranza. Tutti gli altri hanno bisogno dell’esperto, indipendentemente dalla classe sociale e dai soldi in tasca. Non sarà un caso che nei quartieri più popolosi e popolari si allinei una quantità impressionante di barbieri e parrucchiere/i; è semplicemente il segno che l’esigenza del capello "a posto" è interclassista, appartiene all’essenza delle persone. A molti sembra un esempio calzante quello di Giovanna Botteri, la gloriosa giornalista dei TG3 per anni corrispondente da New York, adesso in Cina, capelli difficili da domare, però da quando vive a Pechino sono anche diventati un po’ verdi, e non si capisce se sia la luce dello studio o soprattutto il suo hair stylist. Gruber? Ma non vedete che da quando è cominciata la quarantena medio-stretta anche lei non ha più in testa una piega così armaniana come il suo impeccabile vestire continua a denunciare? Avranno chiuso le porte anche i parrucchieri della 7? Con questa benedetta chiusura, dicevamo, un pezzo della nostra essenza va a farsi benedire. Non aiutano le frasette perfide che girano su Whatsapp: «Alla fine della quarantena sapremo quante bionde naturali esistono veramente», oppure quell’altra anche peggiore, con la foto di una signora con baffi evidenti e sopracciglia in libertà (hanno chiuso anche gli istituti di bellezza), e capelli scompigliatissimi con sotto la scritta: «le donne dopo il 3 aprile». Saremmo disposti a pagare la nostra mascherina e quella della shampista e anche del coiffeur, se fosse concesso o se solo se ne trovasse una: troppo spesso ormai ci si accorge che ce l’hanno in tanti ma a noi il farmacista dice solo e sempre «Non ne ho». Ci viene in mente una volta in più che nel governo ci sono troppo poche donne, e forse quella sera dell’emissione dell’editto, con Conte, non ce n’era nemmeno una al tavolo, perché avrebbe alzato il ditino e obiettato: «Il parrucchiere è un servizio essenziale». Le cose sarebbero andate forse diversamente, e non saremmo qui a pensare «Ho bisogno del taglio», «ho la crescita» e soprattutto, purtroppo: «non so farmi la messa in piega». Chissà come finiremo. Forse anche per questo si dice in giro che dopo questa quarantena non saremo più gli stessi.
· Epidemia e Violenza Domestica.
Violenza sulle donne: la pandemia silenziosa durante la quarantena. Le Iene News il 25 maggio 2020. Presa a pugni perché suonava il flauto: dietro a questo video si nascondono purtroppo altre migliaia di casi di violenza sulle donne, che sono triplicati nel mondo durante la convivenza forzata da quarantena. Per più di due mesi durante la quarantena c’era un solo posto che poteva proteggerci dal coronavirus: la nostra casa. Per tantissime, troppe donne quelle quattro mura non sono però un luogo sicuro. Sono le vittime dell’"epidemia silenziosa” della violenza sulle donne con casi sono triplicati secondo l’Onu ai tempi del Covid. "Ci sono state quasi duemila richieste in più di aiuto rispetto al mese di aprile, era un dato prevedibile, sapevamo che per tante, troppe, donne la casa è il luogo della violenza subita, taciuta, a volte anche non riconosciuta”, ci ha detto la ministra Bonetti. “Il governo ha erogato trenta milioni di euro da destinare ai centri antiviolenza, questi soldi vengono affidati alle Regioni che autonomamente decidono di ripartirli tra i vari centri, creando dei rallentamenti. Il nostro paese deve essere semplificato nelle procedure”. E il "caso Lombardia", ovvero la richiesta da parte di questa regione dei codici fiscali delle donne che si rivolgono ai centri di aiuto? “Credo che la situazione si potrebbe risolvere anche in conformità a questi principi internazionali, garantendo effettivamente un processo di anonimato, e su questo stiamo lavorando”. La ministra conclude così: “Io credo che l’Italia stia facendo di tutto, se sta facendo abbastanza? No, nel senso che non si fa mai abbastanza contro la violenza perché anche ci fosse una sola vittima di violenza, a quella vittima noi dobbiamo ulteriore impegno”.
Violenza sulle donne: l'inferno durante il lockdown. Le Iene News il 26 maggio 2020. Picchiata perché suonava il flauto, presa a calci e pugni per strada, strangolata dal fidanzato infermiere come lei. Veronica Ruggeri, che ha sentito anche la ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti, parte dai drammi di queste tre donne per parlarci dell’aumento, con dati mondiali triplicati, della violenza sulle donne durante la quarantena. Stiamo cominciando a uscire ma per più di due mesi durante la quarantena c’era un solo posto che poteva proteggerci dal coronavirus: la nostra casa. Per alcune persone quelle quattro mura non sono però un luogo sicuro. Sono le vittime dell’"epidemia silenziosa”, quelle della violenza sulle donne con un aumento in Italia del 74% delle richieste di aiuto durante la quarantena. In tutto il mondo, secondo l'Onu, i casi sono triplicati. In un video diventato tristemente virale nel nostro paese si vede una donna che suona il flauto sul balcone, esce un uomo, forse il marito, che la picchia dopo una lite. Un altro video da Bari mostra una donna presa violentemente a calci e pugni per strada dal fidanzato. Denunciare è ancora più difficile: come fai se sei costretto a vivere con chi ti maltratta? Anche per i centri per l’accoglienza ci sono stati poi problemi durante il Covid. Veronica Ruggeri ci racconta di una segnalazione arrivata da una donna: “Subisco di violenza psicologica e fisica da mio marito sotto l’effetto di alcol e droga, la mia paura è che prima o poi mi tolga la vita, aiutatemi. Vorrei spiegarvi tutto ma il mio telefono ce l’ha sempre lui”. Ci inventiamo allora un messaggio in codice quando risponde lei, poi capiamo che può parlare. Ci dice che “il problema è risolto, abbiamo avuto momenti particolari però ho cercato di risolvere tutto per il bambino”. La conversazione prosegue, ci assicura che nel caso chiederà di nuovo aiuto. La donna di Bari non aveva denunciato il fidanzato ma i carabinieri l’hanno individuato grazie al video e arrestato. Abbiamo parlato anche con la donna del flauto. Il marito è vicino, dice che quello che si vede nel video era la prova di una recita, botte comprese. Ci dice che quella scena l’hanno “provata in sala tantissime volte”. Si sente il marito dire: “Stai parlando con Le Iene?”. Lei ripete che “lui stava recitando per le prove”. Incontrarci? “Non so quanto mi posso muovere”. Qualcuno deve aiutarla. Perché durante questa quarantena molte donne sono morte per le violenze di compagni, fidanzati e mariti. L’ultima è Lorena, infermiera come il fidanzato di una vita che l’ha strangolata e uccisa perché pensava gli avesse trasmesso il virus. Tutto questo mentre da due anni le associazioni contro la violenza sulle donne non ricevono fondi dal governo, ora c'è un primo stanziamento. C’è anche un caso Lombardia, la regione chiede infatti che vengano forniti i codici fiscali delle donne che si rivolgono ai centri, quando in tutto il mondo si cerca di tutelarne al massimo l’anonimato. "Ci sono state quasi duemila richieste in più di aiuto rispetto al mese di aprile, era un dato prevedibile, sapevamo che per tante, troppe, donne la casa è il luogo della violenza subita, taciuta, a volte anche non riconosciuta”, ci ha detto la ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti. “Il governo ha erogato trenta milioni di euro da destinare ai centri antiviolenza, questi soldi vengono affidati alle Regioni che autonomamente decidono di ripartirli tra i vari centri, creando dei rallentamenti. Il nostro paese deve essere semplificato nelle procedure”. E il "caso Lombardia"? “Credo che la situazione si potrebbe risolvere anche in conformità a questi principi internazionali, garantendo effettivamente un processo di anonimato, e su questo stiamo lavorando”. Il ministro conclude così: “Io credo che l’Italia stia facendo di tutto, se sta facendo abbastanza? No, nel senso che non si fa mai abbastanza contro la violenza perché anche ci fosse una sola vittima di violenza, a quella vittima noi dobbiamo ulteriore impegno”.
Elvira Serra per il "Corriere della Sera" il 20 maggio 2020. Come dopo le vacanze. Solo che questa volta non c'erano paesaggi marini o montagne immacolate a rendere più tollerabili dentifrici spremuti male, calze abbandonate sul pavimento, telefonate sospette, presenze ingombranti. Ognuno ha dovuto fare i conti con un partner che aveva già smesso di amare, senza il sollievo di un tuffo al mare o di una passeggiata nel bosco. Silenzi carichi di rancore, egoismi intollerabili, pretesti ridicoli. Una moglie che non sapeva cucinare, un marito che non voleva cedere il suo computer: argomenti da derubricare con una risata; ma veramente? E invece sono diventati il cavallo di Troia per sfondare il muro della pazienza, di cui neppure all'Esselunga c'era più scorta. Così, come dopo le vacanze estive o di Natale, anche la fine di questo lunghissimo lockdown ha segnato un amaro incremento: quello delle separazioni. I matrimonialisti lo sapevano. Non hanno mai smesso di lavorare in quarantena forzata. Da remoto hanno ricevuto decine di messaggi scontenti, a volte definitivi. Annamaria Bernardini de Pace ha contato sessanta email da quando in Italia si è fermato tutto. E con la Fase 2 ha avviato dodici nuove pratiche di separazione. «Per queste coppie l' equilibrio si fondava sul non vedersi e sulla possibilità di incontrare l' amante. Venuti meno entrambi i presupposti, non hanno retto», racconta. E ricorda quanto è stato complicato fare certificazioni di «emergenza»: «Una mia cliente ha cacciato di casa il partner, che ha dovuto ripiegare sulla madre. Nella certificazione abbiamo scritto che aveva bisogno di assisterla perché stava male».
Gli uomini hanno dimostrato un talento ingenuo. «Un marito sperava di farla franca con la scusa della coda chilometrica al supermercato. In realtà vedeva l' amante, che peraltro era la dirimpettaia, e in fila mandava un' altra persona. Peccato che la moglie si sia insospettita e lo abbia seguito. Il risultato è che mi hanno chiamato all' una di notte e non capivo se urlasse di più lei o lui», dice Gian Ettore Gassani, presidente dell' Associazione matrimonialisti italiani. Tra oggi e domani lo attendono otto colloqui a Milano. Rispetto allo stesso periodo dell' anno scorso calcola un aumento del trenta per cento tra appuntamenti e incarichi. Aggiunge: «Sapevo che sarebbe andata a finire così perché è da settimane che faccio consulenza su Skype, telefono, WhatsApp. Nei tribunali, incrementi così importanti delle udienze per le separazioni si registrano solo a gennaio o febbraio, dopo le vacanze di Natale, e a settembre e ottobre, dopo quelle estive». Non è una tendenza italiana, siamo in linea con Inghilterra e Francia. Anche se ad aprire la pista era stata la Cina, dove a Xi' an a un certo punto gli uffici avevano dovuto mettere un tetto di 14 pratiche al giorno perché le richieste di divorzio erano diventate ingestibili. Qui da noi l' età media è di 44 anni per lei e 47 per lui, e i figli non bastano più a fare da collante. Lo ha osservato Valeria De Vellis, la legale che ha assistito Silvio Berlusconi nel divorzio da Veronica Lario. Ammette: «Di solito, se vedo che due coniugi hanno ancora qualcosa da dirsi, specialmente con dei figli, sono la prima a mandarli in terapia di coppia. Dei casi arrivati sulla mia scrivania in questi giorni, però, non c' è nessuno da salvare, sono situazioni ampiamente logorate, esplose durante l' isolamento». Tra pochi giorni, peraltro, sperimenterà un altro dei nuovi effetti della pandemia: un 'udienza presidenziale di separazione in video conferenza. «È un fatto assolutamente inedito perché si tratta dell' udienza più importante, quella in cui il giudice, prima di prendere i provvedimenti provvisori, fa il tentativo di conciliazione». Si può anche rischiare di interpretare male i segnali esacerbati dalla condizione estrema in cui ci ha fatto vivere il coronavirus. È anche con questo spirito che è stato lanciato lunedì il sito escapologiamatrimoniale.it , dove si propone un corso per maturare consapevolezza e offrire gli strumenti per affrontare, eventualmente, una separazione. Il responsabile, Vieri Piccioli, fiorentino, lo ha immaginato con un team di psicologi e avvocati. «È declinato sulla sensibilità delle donne, per aiutarle a liberarsi di una relazione che non le rende più felici, proprio come un escapologo si libera dalle catene». Il primo giorno, senza pubblicità, ha ricevuto dieci richieste di informazioni. A volte, davvero, non resta che ammettere la fine di una relazione. Ma c' è un' altra cosa da chiedersi, secondo la psicoterapeuta belga Esther Perel, protagonista di un intervento su Ted.com visualizzato da oltre quindici milioni di persone: «Il vostro primo matrimonio è finito. Vi piacerebbe ricostruirne un secondo insieme?».
Dagospia il 17 aprile 2020. Da I Lunatici Radio2. La criminologa Anna Vagli è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì notte dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino. A proposito di violenza sulle donne nel periodo di emergenza Covid-19: "I dati deporrebbero per un fenomeno in calo. Restare in casa, però, per alcune donne si traduce in una gabbia, in un carcere. Le costringe a restare 24 ore su 24 con i propri aguzzini e questo fa sì che le denunce per maltrattamento e violenza invece di aumentare siano diminuite. Questo perché le donne costrette a condividere h24 lo spazio con il proprio maltrattante non hanno possibilità di chiedere aiuto. Le misure di contenimento sono andate ad impattare in realtà che già erano complesse. Mancando la libertà, magari quando si accompagnano i figli a scuola o quando il marito va a lavoro, viene meno la possibilità di chiedere aiuto, di formulare una chiamata, una richiesta. E' stato riscontrato già a marzo dal procuratore aggiunto di Milano che le denunce di maltrattamenti e violenze erano diminuite, ma questo è un dato fittizio. Sono state semplicemente soffocate. Ci sono stati casi allucinanti, tentativi di richieste di aiuto di donne che chiamavano dalla doccia. Ora c'è una applicazione che consente alle donne che non possono concedersi nemmeno una telefonata di chiedere aiuto in modo anonimo e criptato. Una app che si affianca al numero gratuito 1522, sempre attivo, sette giorni su sette. La app consente alle donne di essere geolocalizzate dalle forze dell'ordine più vicine e permette alla donna che chiede aiuto di essere soccorsa. E' una app disponibile sia per Ios che per Android, si chiama You Pol". Ancora Anna Vagli: "Non dobbiamo pensare solo alla violenza e al maltrattamento fisico, ma anche alla violenza psicologica. Le donne che sono soggette a violenza, poi, spesso lo sono anche davanti ai figli. Figli che imparano uno schema relazionale malato che poi riproporranno in futuro. I centri antiviolenza ora sono chiusi, ma una delle remore è legata al fatto che per certe donne è difficile riuscire ad ammettere di avere un problema perché la violenza che subiscono prima di essere fisica è psicologica". Esiste anche un tipo di violenza che fanno le donne nei confronti degli uomini: "I meccanismi alla base della violenza sono sempre gli stessi. Sicuramente il numero delle vittime di violenza è minore soltanto a livello fisico. E' più facile fisicamente per un uomo aggredire una donna che il contrario. Infatti quando si parla di violenza sugli uomini si parla di una violenza di natura più psicologica. Anche se anche qui in alcuni casi poi si sfocia negli omicidi. Ho seguito il caso di un uomo ucciso dalla compagna a martellate durante il sonno. Però diciamo che per quanto riguarda la violenza perpetrata dagli uomini è più una violenza psicologica. E l'uomo ha ancora più remore della donna a denunciare perché fatica ad ammettere di essere vittima di abuso o di violenza".
Violenza di genere ai tempi del Coronavirus: la crisi è mondiale. E l'Italia non è messa meglio. Cina, Brasile, Spagna: il virus ha reso la casa un inferno per le donne costrette in casa con uomini violenti. E il nostro Paese non fa eccezione. Anzi, fatica a dare una riposta concreata alle donne in difficoltà. Federica Bianchi il 30 marzo 2020 su L'Espresso. Mani che sanguinano perché obbligate a lavarle troppo spesso. Allontanamento da ogni forma di contatto con parenti o amici. Paura di essere soffocate o accoltellate per una parola male interpretata in tempi di porte chiuse. Le donne sono la metà del cielo destinata a pagare maggiormente le conseguenze negative dell'epidemia che costringe vittime e carnefici alla convivenza forzata 24 ore su 24. Dalla Cina al Brasile, dall'Italia alla Spagna il virus ha reso la casa un inferno per chi la vita ha posto accanto a un uomo egoista e violento. E l'Italia non fa eccezione. Anzi, fatica a dare una riposta concreata alle donne in difficoltà. A differenza dei Centri per uomini maltrattanti , che purtroppo hanno chiuso in tempi di Covid-19, «noi avvocatesse, psicologhe, impiegate lavoriamo come matte da casa per aiutare le donne in difficoltà ma ci mancano le risorse», spiega Maria Rosaria De Luca del Telefono Rosa . Il problema chiave è la cronica mancanza di alloggi. Non ce n'erano abbastanza nemmeno prima dell'epidemia e l'emergenza non ha messo fretta a nessuno. La ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti ha promesso risorse e la sensibilizzazione dei comuni per la ricerca di edifici idonei ma al momento, dopo tre settimane di chiusura della nazione, tante belle parole e nessun risultato concreto. Fa eccezione la regione Umbria dove nelle ultime settimane 13 donne sono riuscite a trovare posto nei centri anti violenza dopo che i comuni avevano messo loro a disposizione immobili in cui passare i giorni di quarantena necessari insieme ai figli, racconta da Perugia Elena Bistocchi, responsabile di tre centri antiviolenza: «Adesso ci chiama solo chi è disperata ed ha bisogno immediato di un alloggio». Intanto in Europa è partita in Spagna, prima nelle Canarie, poi in Andalusia e Cantabria, e da oggi in gran parte del Paese, l'iniziativa “mascarilla 19” in aiuto delle donne sotto scacco. Coloro che riescono a raggiungere una farmacia, potranno chiedere una mascherina 19 per suonare l'allarme e far partire i soccorsi verso le mura domestiche. Si tratta di un linguaggio in codice legato alla più ampia campagna di sensibilizzazione dal titolo “Stiamo con te, la violenza di genere la fermiamo insieme” elaborata dal governo per non lasciare sole le donne vittime di violenza domestica, fornendo loro numeri di telefono, contatti, possibilità di alloggio esterno e, soprattutto, rendendo complici l'intera società e le sue coscienze. «Stiamo seguendo con interesse l'iniziativa spagnola», racconta Michela Cicculli, attivista romana dell'organizzazione Lucha Y Siesta a sostegno delle donne che vivono in situazioni di violenza: «Ma pensiamo che forse da noi sarebbe più opportuno utilizzare la rete dei supermercati dove tutte le donne si recano». L'idea è allo studio di diverse associazioni, coordinate dall’associazione nazionale Di.Re. ma si scontra con la mancanza di alloggi. «Ne stiamo discutendo con le ministre Bonetti e Lamorgese (Interni) che stanno sensibilizzando i comuni perché mettano a disposizione degli immobili. Ma ancora non c'è niente di concreto e siamo in emergenza». La ministra Bonetti ha annunciato al quotidiano Repubblica lo sblocco dei 30 milioni di euro stanziati per il 2019 e mai consegnati ma le associazioni che combattono la violenza contro le donne non hanno registrato nessun aiuto in entrata. «Questi fondi dovrebbero poter essere trasferiti direttamente dallo Stato ai centri antiviolenza, senza passare attraverso la strozzatura delle Regioni», si era inutilmente raccomandata già il 24 marzo la presidente di D.i.Re. Antonella Veltri. Intanto i 20 milioni del 2020 non sono stati neppure inviati alle regioni. In questo periodo, sebbene le denunce alla polizia siano diminuite, a crescere sono le richieste di aiuto via Whatsapp da parte di donne che, isolate, senza amici né famiglia, non sono più in grado di sopportare il compagno fuori controllo. Il telefono Rosa ha creato una app dedicata e invitato tutti ad aiutare chi non è in grado da sola a installarla. «Prima usavano il telefono ma adesso che non si può a causa della vicinanza con il compagno violento abbiamo escogitato questo mezzo per continuare a sostenere le donne che hanno bisogno, un numero in crescita». Di.re, notando il calo del 50 per cento delle chiamate di aiuto, per aiutare la ricerca di chi ha bisogno di aiuto ha fatto una mappatura città per città di tutti i centri antiviolenza e ora lavora soprattutto su app e Whatsupp. Bisogna essere creativi di questi tempi, «cercando magari di non rendere note al violento le modalità di comunicazione con le donne», sottolinea una portavoce di Di.Re nello spiegare come mai secondo loro la campagna della mascherina in Italia non potrebbe funzionare. Intanto è stata la Francia a copiare l'iniziativa spagnola e a rilanciarla, racconta l'associazione Nous Toutes che sottolinea come le donne che prima volevano dare ancora una chance al marito violento adesso siano rinchiuse con lui, alla sua mercé e disperatamente inviano richieste di aiuto via Whatsapp. La segretaria di Stato per le Pari opportunità, Marlène Schiappa, ha assicurato che a tutte le donne in difficoltà verrà offerto un alloggio sicuro, ricordando come l'evizione di un congiunto violento sia comunque possibile anche durante il periodo di confinamento in casa, dopo intervento della polizia. «L'inferno è ora moltiplicato per dieci perché non esiste più il tempo del lavoro», spiegano al canale televisivo RTBF le rappresentanti della la Delegazione dipartimentale della Costa d'Oro per i diritti delle donne e per l'uguaglianza: «Quello che prima era ancora sopportabile adesso è micidiale». Nel vicino Belgio la polizia ha voluto far sapere pubblicamente che in tre dei quartieri più multietnici del Paese, Saint Josse, Evere e Schaerbeek, la polizia ricomincerà a mettersi in contatto con tutte coloro che hanno esposto denuncia contro i maltrattanti «per non farle sentire sole durante queste settimane di confinamento». Ed è fissata per il 2 aprile in videoconferenza la riunione interministeriale per fare il punto sulle misure di prevenzione, informazione, sostegno e protezione delle vittime. Come per la pandemia anche per la violenza domestica la Cina era stata terreno di esempio e sperimentazione. Qui l'associazione “Lantianxia”, Sotto il cielo blu, nata sei anni fa in soccorso delle donne, ha recentemente fatto sapere che nel mese di febbraio i casi di violenza domestica sono triplicati rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso: «Abbiamo ricevuto anche più di dieci telefonate al giorno», ha raccontato Wan Fei, la fondatrice, al Settimanale del Sud: «Ansietà e depressione causate dalla situazione di grande pressione aumenta la possibilità di violenza domestica». Gli internauti non dimenticano la donna dello Shanxi, una delle poche storie trapelate, che si è buttata dal balcone del suo appartamento all'11esimo piano nella regione dello Shanxi (tutta la Cina è o è stata chiusa in casa, non solo la regione dell'Hubei), dopo avere sopportato per giorni le sevizie del marito.
Giulio De Santis per corriere.it il 10 aprile 2020. Costringe alla quarantena la compagna e madre dei loro due figli dopo il ritorno della donna da una trasferta a Napoli. Spostamento autorizzato dal medico per via delle condizioni di salute della madre della signora. Che da allora, 1° aprile, è costretta a vivere in un’altra abitazione (per la quale peraltro paga l’affitto). La donna, spiazzata dal comportamento del compagno, lo ha denunciato per sottrazione di minori. Protagonista della vicenda è una coppia, in crisi da tempo, che vive in un appartamento ai Parioli dove lo spazio non manca, essendo di circa 200 metri quadri. Secondo la signora il partner, 50 anni, professionista della Roma bene, ha approfittato delle misure anti-coronavirus adottate dal governo per cacciarla da casa. La regola che limita gli spostamenti impone in effetti che una persona, al ritorno da una trasferta anche autorizzata in un altro Comune, debba andare in quarantena. Il rientro nella casa familiare non costituisce un problema, ma a una condizione: chi resta deve essere d’accordo ad accogliere chi si è assentato. In questo caso l’uomo non ha dato il suo assenso. «Un genitore senza scrupolo si è insinuato nelle maglie dell’emergenza sottraendo a una mamma il diritto-dovere alla genitorialità», dice l’avvocato Federica Mondani, che ha assistito la donna nella denuncia. La vicenda ha inizio quando la madre della signora, residente a Napoli, esce dall’ospedale dopo un serio intervento. L’anziana ha bisogno di essere assistita, così la figlia si fa autorizzare la trasferta. Avvisa il compagno, nonché padre delle loro due figlie di 10 e 13 anni, e lui non pone alcun ostacolo. A Napoli lei resta qualche giorno. Durante il viaggio di ritorno però il partner l’avvisa di non rientrare a casa, dicendole che poiché proviene da un altro Comune deve stare quattordici giorni in quarantena. La signora pensa di essere presa in giro dal compagno, che le avrebbe teso una sorta di trappola. Prima invitandola ad andare a Napoli per stare accanto alla madre. Poi sbarrandole la porta di casa con la scusa dello spostamento fuori Comune. La signora va casa, ne nasce una lite, arriva la polizia che non può fare altro che invitare alla calma la coppia. Lei, però, è costretta ad andare via.
Genova, 37enne fa a pezzi cadavere della madre e lo mette in sacchi. Stando al racconto della donna, la madre si sarebbe uccisa a causa della depressione dovuta al lungo periodo di quarantena. Trovato il cadavere, la 37enne ha deciso di farlo a pezzi e mettere i resti in alcuni sacchi: si indaga per capire se si tratta di suicidio oppure omicidio. Federico Garau, Venerdì 24/04/2020 su Il Giornale. Orrore a Genova, dove una donna di 37 anni ha letteralmente fatto a pezzi il cadavere della madre per poi andare in un secondo momento a denunciare tutto alle autorità locali. Sul caso si sa ancora poco, e sono in corso le indagini degli uomini della questura, che nelle prossime ore cercheranno di ricostruire le esatte dinamiche della vicenda e verificare la veridicità del racconto della 37enne. È stata proprio quest'ultima, spiegano gli inquirenti, a denunciare spontaneamente quanto accaduto. Andata tre giorni fa a trovare la madre, residente in un appartamento al secondo piano del civico 5 di via Bertuccioni, zona Marassi, la 37enne Giulia Stanganini si sarebbe trovata di fronte ad una tragedia già compiuta. All'interno dell'abitazione, stando a quanto da lei riferito, si trovava infatti il corpo senza vita della madre, la 63enne Loredana Stupazzini (di professione bidella), morta dopo essersi impiccata ad una finestra. Sconcertante quanto fatto dalla 37enne una volta scoperto il corpo della madre. Invece di chiamare subito i soccorsi, ha infatti inspiegabilmente deciso di fare a pezzi i resti della donna per poi mettere le parti in alcuni sacchi neri della spazzatura, successivamente sistemati in bagno. È quindi vissuta nella casa per qualche giorno prima di prendere la decisione di raccontare tutto alle forze dell'ordine, e presentarsi questa mattina alla questura di Genova. Venuti a conoscenza dei fatti, i poliziotti si sono precipitati presso l'abitazione, così da verificare quanto affermato dalla Stanganini. Nell'appartamento hanno effettivamente trovato un sacco con i resti della 63enne. Sarebbe stata una mano la prima parte del corpo rinvenuta dagli uomini in divisa, che hanno pertanto provveduto a contattare immediatamente il magistrato di turno. Il cadavere, riferiscono gli investigatori, si trovava in forte stato di decomposizione. Interrogata dai poliziotti, la 37enne, sotto choc e poco lucida, ha saputo fornire poche informazioni. “Non era più lei...”, avrebbe continuato a ripetere, riferendosi al corpo senza vita della madre, come riportato da “TeleNord”. Secondo il racconto della figlia, Loredana Stupazzini si sarebbe suicidata perché logorata dal lungo periodo di quarantena, trascorsa da sola all'interno dell'appartamento. Una versione, questa, tutta da verificare. Stando ad un vicino di casa, infatti, la giovane, residente nel quartiere di San Fruttuoso, abitava da tempo con la madre. Un altro abitante di via Bertuccioni, invece, ha raccontato di aver udito spesso le due litigare. Al momento di certo si sa solo che la 37enne soffre di disturbi psichiatrici, emersi, secondo alcune fonti, dopo la prematura perdita di un figlio. Gli agenti stanno indagando per comprendere se sia realmente trattato di suicidio. Se il racconto della Stanganini sarà confermato, la donna sarà comunque accusata di occultamento di cadavere.
Donna fatta a pezzi a Bagheria, arrestata la nipote e due sicari. Una donna di 47 anni è stata mutilata ed uccisa nel Palermitano. Mandataria del delitto sarebbe stata la nipote coadiuvata da due sicari extracomunitari. Rosa Scognamiglio, Venerdì 24/04/2020 su Il Giornale. C'è una svolta nelle indagini dell'omicidio di Angela Maria Corona, la 47enne di Bagheria, in provincia di Parlermo, uccisa e fatta a pezzi lo scorso 14 aprile. Mandataria del delitto sarebbe stata la nipote della vittima, Maria Francesca Castronovo, di 39 anni, che avrebbe assoldato due extracomunitari affinché, dietro compenso economico (probabilmente 15mila euro), uccidessero la zia e si sbarazzassero del corpo. Si tratta di Guy Morel Diehi, ivoriano di 23 anni, e Toumani Soukouna, 28enne maliano, per i quali il gip del Tribunale di Termini Imerese ha disposto una misura di custodia cautelare in carcere con l'accusa di omicidio e occultamento di cadavere. Una morte atroce ed efferata quella che i tre indagati avrebbero riservato alla donna. Secondo quanto ricostruito dai Carabinieri della Compagnia di Bagheria, Angela sarebbe stata dapprima strangolata, poi mutilata e fatta a pezzi. Successivamente, i resti del suo corpo sarebbero stati raccolti in un sacco nero per l'immondizia e gettati giù da un dirupo lungo la strada provinciale 16 che collega Bagheria a Casteldaccia, in direzione Cimininna. Il cadavere della 47enne, addetta alle pulizie in uno studio professionale, è stato ritrovato tra le sterpaglie dai Militari dell'Arma lo scorso 16 aprile, dopo che il compagno ne aveva denuciato prontamente la scomparsa. Ancora da chiarire il movemente del delitto, forse una lite familiare sfociata nel sangue. La nipote della vittima, ad oggi sospettata di omicidio, si trova da giorni ricoverata al Centro Grandi Ustioni dell'ospedale di Palermo dopo aver riportato delle bruciature di secondo grado al corpo. Sembra che la zia, a seguito di una lite furibonda, le avrebbe lanciato addosso dell'acqua bollente sulle le gambe. Ma ai medici aveva raccontato di avere riportato le ustioni per l'incendio dalla sua auto, andata a fuoco mentre percorreva una strada vicino al cimitero di Bagheria, dove i carabinieri hanno poi ritrovato i resti di Angela Corona. Tuttavia, le indagini hanno svelato un disegno criminale ben più macabro e articolato. Stando a quanto riferisce Adnkronos, la 39enne avrebbe già confessato: "Sì. è vero, ho ucciso mia zia. Non ce la facevo più, mi trattava troppo male", avrebbe rivelato agli inquirenti. "L'attenta attività di indagine - si legge in una nota firmata dal Procuratore capo di Termini Imerese Ambrogio Cartosio - ha consentito in tempi rapidi di formare una solida piattaforma probatoria della quale il gip del Tribunale di Termini Imerese ha ritenuto sussistenti gravi indizi di colpevolezza a carico dei tre indagati". Secondo la ricostruzione degli investigatori, la nipote della vittima, Maria Francesca Castronovo "avrebbe assoldato due sicari - spiega il Procuratore -affinché, dietro corresponsione di un prezzo, l'aiutassero a uccidere la donna e occultarne il cadavere". Resta ancora da accertare la dinamica del delitto ma, al momento, non è possibile procedere all'autopsia sul cadavere in quanto parte dei resti del corpo della 47enne sarebbero ancora dispersi tra le campagne tra Bagheria e Cimininna.
Felice Cavallaro per corriere.it il 31 marzo 2020. Una ragazza di 27 anni è stata uccisa dal compagno a Furci Siculo, un paesino a venti minuti da Messina. Antonio De Pace, giovane infermiere calabrese al primo anno di Odontoiatria, ha strangolato la fidanzata, Lorena Quaranta, prossima alla laurea in Medicina.
La fuga da Favara. La ragazza era originaria di Favara, in provincia di Agrigento, e avrebbe lasciato il suo paese dopo la rottura di un precedente fidanzamento con un commerciante, decisa a proseguire gli studi ormai quasi al traguardo della laurea prevista per luglio. Aveva conosciuto l’infermiere iscritto all’università fra i corridoi del policlinico dove si esercitava per il tirocinio degli ultimi mesi. Un amore intenso, con qualche puntata in Calabria, a casa di Antonio, a Vibo Valentia. Poi la decisione di convivere. Cercando una casa a basso costo. Trovata fuori Messina. Sulla collinetta di Furci.
Invisibili per i vicini. Un appartamento con vista sulla costa calabrese nella palazzina di via delle Mimose dove adesso arrivano i carabinieri sotto gli occhi disperati delle vicine. Tutte incredule ricordando la coppia, l’allegria e la spensieratezza, quando il padre delle ragazze, a sua volta morto la settimana scorsa in ospedale, aveva affittato per l’inverno l’alloggio: «Mai un problema, silenziosi, educati. Ma anche se tutti giovani, non ci frequentavamo. Ci si incontrava raramente. Sono appartamenti su due livelli. Noi entriamo da un portoncino, loro da quello del piano di sopra...».
Le reazioni. I due ragazzi erano «sconosciuti» anche al sindaco di questo paesino adesso a lutto, Matteo Francilia: «Non erano registrati come residenti, ma è come se fosse morta una nostra figlia e questo vorrei dire ai genitori di Lorena, agli amici di Favara. La nostra comunità è da sempre in prima linea nel contrasto alla violenza di genere, abbiamo anche istituito un centro di ascolto. Chi si macchia di simili gesti deve marcire in galera». Secondo il rettore dell’università di Messina, Salvatore Cuzzocrea, la tragedia si lega alla «condizione emergenziale che stiamo vivendo», nella quale «esperti di settore avevano sottolineato il rischio che la convivenza forzata potesse acuire i conflitti familiari».
Tentato suicidio. Di certo c’è solo che Lorena si è spenta senza che nessuno l’abbia potuta aiutare. Nessuno avrebbe sentito niente. Il fidanzato, davanti al corpo senza vita della ragazza, con un coltello ha cominciato a tagliarsi le vene mentre chiamava i carabinieri che lo hanno salvato — e arrestato.
Chiara Rai per “il Messaggero” il 6 aprile 2020. Sono circa le sette del mattino e il fratello è già in cucina a preparare il caffè, i rumori si fanno sempre più fastidiosi, si alza, afferra un coltello tirapugni e lo affonda alla gola e al petto più volte fino a lasciarlo a terra esanime. Le grida disumane si sentono per l'intero palazzo, l'altro fratello, il terzo, chiama sotto shock il 112 ma ormai il delitto è consumato. Finisce con un omicidio la convivenza forzata di tre fratelli ai tempi del coronavirus, in un appartamento popolare in via Cagliari, nel centro di Ciampino. Quattro mura di casa troppo strette per un rapporto logoro tra due fratelli Antonio Corona, 48 anni e Sergio cinquantaseienne, entrambi già conosciuti alle forze dell'ordine per piccoli precedenti giudiziari di furto e ricettazione che risalgono a diversi anni fa. È Antonio Corona a finire in manette per omicidio volontario del fratello Sergio. Adesso si trova in carcere a Velletri. In casa sono quattro, tre fratelli e la madre disabile e costretta su una sedia a rotelle da accudire. Da quando il padre è venuto a mancare c'è spesso tensione e insofferenza per abitudini e caratteri diversi. A uno piace alzarsi presto al mattino e all'altro piace dormire fino a tardi. I militari sono già intervenuti in passato per calmare alcuni litigi. Lo sanno i vicini di casa che spesso hanno sentito Sergio e Antonio litigare ma senza dare eccessivamente in escandescenze. I fratelli sono disoccupati, la vittima prendeva addirittura il reddito di cittadinanza. Tiravano a campare con qualche lavoretto saltuario di muratura ogni tanto e si sostenevano grazie alla pensione della mamma che da quando è morto il marito non si è più ripresa, ha bisogno di attenzioni e grande vicinanza. Insomma è uno scorcio di vita di persone comuni che vivono nelle case popolari ciampinesi. Un quartiere fatto di finestre una di fronte all'altra, di scale e cortili condominiali con panni stesi e profumi di cucinato che si confondono tra loro. C'è vita e c'è fermento, soprattutto in questo momento dove ognuno è costretto a rimanere a casa, dalla mattina alla sera si è tutti vicini, si suona con le finestre aperte, si dice il rosario insieme ma a distanza e tutti sanno tutto delle famiglie residenti. Icarabinieri hanno chiesto all'omicida i motivi di questo efferato assassinio e la risposta è stata che il fratello faceva troppo rumore dalle sei di mattina, lo faceva spesso. Il sonno leggero e preso a fatica, la tensione data da un mese a stretto contatto ventiquattro ore su ventiquattro, tutti piccoli tasselli che pian piano hanno portato a un evento tragico e inatteso, successo proprio la domenica delle palme in un momento storico eccezionale. Antonio si rigira nel letto, sente dei rumori in cucina, si alza e inizia a litigare con Sergio. I due arrivano alle mani, si picchiano e il litigio diventa violento. Antonio afferra il coltello e uccide Sergio. I primi ad intervenire sono i carabinieri della tenenza di Ciampino e poi i militari del nucleo operativo di Castelgandolfo. La gente è in strada di fronte al civico 1 in via Cagliari. Arriva l'ambulanza ma ormai Sergio ha smesso di respirare ed è a terra in una pozza di sangue. Sul posto è intervenuto anche il magistrato della procura della Repubblica di Velletri Giuseppe Travaglini che ha disposto l'autopsia sul cadavere. La salma è stata portata dall'agenzia funebre San Giuseppe presso l'obitorio dell'Istituto di medicina legale di Tor Vergata a Roma. La madre è rimasta in una stanza con i vicini di casa a farle compagnia, sotto shock, tra lacrime e lamenti di chi si è reso conto che qualcosa di irrecuperabile è successo: «Figlio mio, figlio mio», ripeteva la donna. E nessuno, nelle prime ore, è riuscito a dirle la verità. Le hanno raccontato soltanto che il figlio era all'ospedale ferito. Poi la notizia è arrivata dopo, con tanti abbracci del figlio più piccolo che ha chiamato i soccorsi e ha capito subito che non avrebbe più rivisto Sergio. I commenti dei ciampinesi sui social si sono susseguiti per tutto il giorno: «Non si può morire così, il rumore della macchina del caffè dev'essere un piacere». «C'erano sicuramente altri problemi, capisco il momento difficile ma uccidere è un gesto estremo che deve celare dissapori accumulati negli anni e comunque non è giustificabile». Tanta la solidarietà della comunità ciampinese espressa a questa madre che in un giorno di festa, sebbene in piena emergenza pandemica, ha perso un figlio. Una tragedia che rimarrà per sempre dentro quelle quattro mura dove dovrà ritornare forzatamente una quotidianità. Difficile e amara, tra sacrifici e difficoltà di una famiglia che fatica a mettere in tavola il cibo e a trovare una occupazione. Al civico 1 di via Cagliari oggi si piange la morte di Sergio Corona.
Chiuse in casa col carnefice: femminicidi triplicati durante il lockdown. Le Iene News il 26 settembre 2020. Il dossier sulle attività criminali nel 2020 del ministero dell’Interno: negli 87 giorni di lockdown i femminicidi sono stati tre volte più numerosi del periodo senza restrizioni. Femminicidi triplicati durante il lockdown. Il dato terribile è contenuto nel report Dossier Viminale, presentato dal Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica presieduto dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese. Nei mesi di convivenza forzata tra le pareti domestiche c’è stato in media un femminicidio ogni due giorni. La relazione analizza il periodo che va dal 9 marzo al 3 giugno, contando 58 omicidi in ambito affettivo-familiare di cui 44 hanno avuto per vittima una donna. Un dato che va di pari passo con l’aumento dei reati in generale, nonostante la “reclusione” forzata a casa: +41% per le rapine, +13% per i furti, gli omicidi in generale che sono passati da 0,6 al giorno a 1,2. Ma sono i delitti contro le donne, come abbiamo detto, a preoccupare maggiormente. Oltre il 53% degli omicidi avviene In generale in ambito familiare e di questi quasi il 70% ha per vittima una donna. Vi abbiamo raccontato proprio di uno di questi tragici episodi, il femminicidio avvenuto alle porte di Milano, a Trucazzano. La vittima, Alessandra Cità, aveva 47 anni e faceva l’autista dell’Atm, da due settimane era stata costretta a convivere per la quarantena con il compagno che voleva lasciare. L’uomo, che si è poi presentato nella caserma di Cassano d'Adda, ha confessato di averla uccisa sparandole alla testa con il fucile regolarmente detenuto in casa. E’ diventato purtroppo un simbolo della violenza sulle donne durante la quarantena anche un video che vi abbiamo mostrato. Nelle immagini, condivise sui social, si vede una donna che suona il flauto dal terrazzo e viene bruscamente interrotta e aggredita da un uomo con cui vive. Su questa storia ha indagato poi in onda la nostra Veronica Ruggeri con il servizio che potete vedere cliccando qui). Purtroppo virali, durante il lockdown sono diventate anche le immagini di altre violenze subite da una donna da parte del suo convivente. E infine, pochi giorni fa, dopo aver parlato di questo allarme nelle interviste con la psichiatra Nicoletta Gosio e con lo psicoanalista Maurizio Montanari, vi abbiamo raccontato la tragedia di Maria Paola Gaglione, la 20enne morta dopo uno scontro in motorino con il fratello, che l’avrebbe speronata perché contrario alla sua relazione con un ragazzo trans. Continuando a denunciare le violenze di genere che purtroppo continuano anche dopo la quarantena.
Messina, strangola la compagna e chiama carabinieri: "Venite, l'ho uccisa". La vittima è una studentessa di Medicina originaria di Agrigento. L'uomo, un suo collega, ha tentato il suicidio. Il rettore dell'università: "Dramma della convivenza forzata". Salvo Palazzolo il 31 marzo 2020 su La Repubblica. "Venite, l'ho uccisa". Ha strangolato la compagna e poi ha avvertito i carabinieri. L'ennesimo femminicidio, il diciannovesimo dall'inizio dell'anno, si è consumato questa mattina a Furci Siculo, in provincia di Messina, in un condominio nella zona nord del paese. La vittima è Lorena Quaranta, 27 anni, originaria di Favara (Agrigento), studentessa di Medicina all’Università di Messina. L'assassino è Antonio De Pace, di un anno più grande, originario di Vibo Valentia, infermiere e studente di Odontoiatria: ha tentato di suicidarsi, tagliandosi le vene, ma è stato salvato salvato dai carabinieri. La prima ricostruzione degli investigatori dice che l'uomo avrebbe soffocato la compagna al termine di una violenta lite. La piccola comunità di Furci Siculo è sotto choc. “E’ un dramma nel dramma – dice il sindaco Matteo Francilia - Stamattina ci siamo svegliati con la notizia di questa tragedia. Siamo sconvolti, da sempre siamo in prima linea nel contrasto alla violenza di genere, abbiamo anche istituito un centro di ascolto. Chi si macchia di simili gesti deve marcire in galera”. Per il rettore dell'università di Messina, Salvatore Cuzzocrea, è una tragedia che si lega alla "condizione emergenziale che stiamo vivendo, nella quale esperti di settore avevano sottolineato il rischio che la convivenza forzata potesse acuire i conflitti familiari". Era una studentessa appassionata, Lorena. Il suo ultimo post, tre giorni fa. “Inaccettabile” aveva scritto, postando un articolo che raccontava dei medici uccisi dal Coronavirus. Lei aveva lanciato il suo appello: “Ora più che mai bisogna dimostrare responsabilità e amore per la vita. Abbiate rispetto di voi stessi, delle vostre famiglie e del vostro Paese. E ricordatevi di coloro che sono quotidianamente in corsia per curare i nostri malati. Rimaniamo uniti, ognuno nella propria casa. Evitiamo che il prossimo malato possa essere un nostro caro o noi stessi”. Sperava di diventare un medico in prima linea: nella copertina del suo profilo social aveva messo una sua foto con mascherina e cuffia, in corsia. Con una frase di commento: “Il mio posto”. A Capodanno, invece, una foto gioiosa con il compagno: “Amo la gente un po’ folle - scriveva - gli abbracci improvvisi. I gesti spontanei, i sorrisi gratuiti... Chi ti regala attenzione, chi si ubriaca di emozioni. E ti contagia di gioia. Amo ogni secondo e ogni anno vissuto insieme a te. Buon 2020”. Sul profilo Facebook di Antonio De Pace è un fiume di insulti. Ma cosa è accaduto stamattina? Dopo essere stato medicato, l’assassino si è chiuso in un lungo silenzio, poi invece ha detto di voler essere interrogato. Ha confessato il delitto, ma non spiega cosa è accaduto. Dopo una serie di frasi confuse pronunciate dall’assassino, i magistrati hanno interrotto l’interrogatorio. Ora, De Pace è in stato fermo, disposto dalla procura di Messina diretta da Maurizio de Lucia.
Il delitto di Lorena, “Mi ha trasmesso il Coronavirus e l’ho uccisa”. Ma i tamponi sono negativi. La confessione dell'infermiere arrestato smentita dagli accertamenti. Ancora giallo sul femminicidio di Furci Siculo. Salvo Palazzolo La Repubblica l'1 aprile 2020. “Mi aveva trasmesso il Coronavirus e l’ho uccisa”. Questo ha detto durante l’interrogatorio Antonio De Pace, l’uomo che ieri ha strangolato la sua compagna, Lorena Quaranta, a Furci Siculo (Messina). Ma chi indaga le ritiene parole deliranti. E questa mattina è arrivata la conferma, dai tamponi fatti: “Sono negativi”, conferma il procuratore di Messina Maurizio de Lucia. E' ancora giallo sulla drammatica notte che ha portato all'uccisione della giovane ventisettenne iscritta all'ultimo anno di Medicina. Con Antonio De Pace, infermiere originario di Vibo Valentia, era fidanzata da tre anni. In apparenza, una storia tranquilla, felice, come testimoniano le fotografie pubblicate dalla coppia su Facebook. Un vero rompicapo per chi indaga, oggi i carabinieri della Compagnia di Taormina stanno proseguendo le audizioni di amici e parenti della vittima. Al vaglio degli investigatori ci sono anche i telefonini di Antonio De Pace e Lorena Quaranta. Domani è prevista la convalida del fermo davanti al giudice delle indagini preliminari, e dunque una nuova audizione di Antonio De Pace, che è assistito dagli avvocati Bruno Ganino e Ilaria Intelisano. Intanto, i genitori di Lorena, originari della provincia di Agrigento, sono arrivati a Messina. Dopo essere stati fermati più volte lungo il percorso, per le restrizioni dell'emergenza Coronavirus. Il sindaco di Favara, Anna Alba, ha chiesto all'arcivescovo che venga celebrato comunque un funerale, nonostante i divieti del momento imposti dalle autorità: "Anche solo con la presenza degli stretti familiari. Non potere salutare Lorena per l'ultima volta, sarebbe un secondo enorme dramma". Il rettore dell’università di Messina, Salvatore Cuzzocrea, si impegna perché la laurea a cui Lorena teneva tanto venga conferita alla memoria: "Mi sono adoperato con gli uffici per istruire il percorso per arrivare all’approvazione del Senato Accademico – dice – Ma mi riservo di discutere con la famiglia di Lorena modi e tempi. Questi sono giorni di grandissimo dolore".
Andrea Rifatto per sikilynews.it l'1 aprile 2020. Un gesto assurdo, una motivazione ancora più assurda. Antonio De Pace ha ucciso la fidanzata Lorena Quaranta perché accusava la giovane di avergli trasmesso il Coronavirus. Almeno questo ha detto durante il lungo interrogatorio di ieri nella caserma dei carabinieri di S. Teresa di Riva, dove è rimasto per 12 ore durante le quali è stato sentito dal sostituto procuratore Roberto Conte della Procura della Repubblica di Messina, ammettendo le proprie colpe ma mostrandosi a tratti confuso. Poi è stato posto in stato di fermo per omicidio volontario, prima di essere condotto direttamente in cella nel carcere di Messina Gazzi senza passare dal fotosegnalamento, perchè le fasciature alle mani effettuate in ospedale non hanno consentito di prelevargli le impronte digitali. Il litigio tra i due è scoppiato nel cuore della notte tra lunedì e ieri, poco prima delle 4: De Pace ha prima ferito con un coltello Lorena e poi l’ha uccisa strangolandola a mani nude, lasciando il corpo privo di vita a terra sul pavimento dell’appartamento al primo piano della villetta di via Delle Mimose 12. Subito dopo ha tentato per ore di togliersi la vita, usando una lama per tagliarsi le vene e la gola, ma senza riuscire nel suo intento e procurandosi ferite non gravi. Intorno alle 8 ha chiamato il 112: “Venite, l’ho ammazzata”. Un delitto d’impeto, dunque, innescato da un presunto contagio che ha fatto scattare nel 27enne di Dasà, piccolo centro di poco più di mille abitanti in provincia di Vibo Valentia, la furia omicida, legata probabilmente anche alla convivenza forzata in casa per l’emergenza Covid-19. Il movente passionale era stato escluso sin da subito dagli inquirenti, che hanno scavato sulla vita dei due giovani, follemente innamorati da tre anni. E la follia ieri ha giocato un brutto scherzo. Il corpo di Lorena Quaranta, che aveva compiuto 27 anni lo scorso 4 marzo, è all’obitorio in attesa dell’esame autoptico. I genitori della studentessa di Medicina si sono messi in viaggio da Favara e nel pomeriggio di ieri hanno raggiunto Furci Siculo, arrivando davanti l’abitazione dove la figlia conviveva con il fidanzato da poco più di sei mesi, sconvolti e senza risposte. Nessuno dei due giovani risulta tra i positivi al virus in provincia di Messina e per fugare ogni dubbio ieri su entrambi è stato eseguito il tampone per il Covid-19: oggi dovrebbe arrivare l'esito. "Sulla violenza di genere non dobbiamo abbassare la guardia, neppure per un attimo - ha detto ieri il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede - tra i fronti aperti dall’emergenza che stiamo vivendo occorre prestare grande attenzione alla protezione delle donne e dei minori esposti al rischio di subire violenze, come ha giustamente sottolineato la Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio. Le statistiche e la cronaca ci dicono che molti dei casi di violenza di genere si consumano proprio all’interno delle mura domestiche. Le restrizioni cui tutti siamo sottoposti – a partire dall’isolamento in casa - per fronteggiare il Coronavirus possono aumentare il rischio di reati violenti contro le donne e i loro figli e costituire un ostacolo alla denuncia delle vittime. Per questo, sposo in pieno l’iniziativa del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, per tenere acceso un faro sul problema invitando tutti coloro che sono vittime di maltrattamenti a denunciare, chiamando i numeri di emergenza e utilizzando l'applicazione YouPol della Polizia di Stato". “Siamo sconvolti dalla morte di Lorena, nostra collega e amica – hanno scritto i compagni di corso della Facoltà di Medicina – una donna dolce e gentile che condivideva con noi i sogni e i sacrifici di chi si prepara a diventare un medico, perché il valore più alto che conosce è la Vita. Si sarebbe laureata quest'anno con una tesi in Pediatria e l'amore che stava dedicando in questi mesi ai bambini del reparto era lo stesso che dedicava al prossimo, sempre col sorriso e la gioia negli occhi. La sua vita è stata portata via con un gesto terribile, infame e codardo che ha stroncato il suo futuro, un percorso che si apprestava a concludere e che tanto avrebbe dato alla nostra società, in termini professionali e umani. Dall'anno scorso abbiamo in aula un ‘Posto Occupato’ che rappresenta ogni vittima di femminicidio che non ha potuto inseguire i suoi sogni, ma non avremmo mai pensato di trovarci davvero con un posto vuoto, in aula e nel cuore: quello di Lorena”. “Favara oggi si è svegliata fra le lacrime – ha detto il sindaco Anna Alba – ho appreso stamani la tragica notizia della prematura scomparsa della nostra concittadina Lorena, per mano di un gesto vile, ignobile. Favara vive la tragedia nella tragedia. La nostra comunità si stringe al dolore della famiglia Quaranta. Abbiamo deciso insieme al sindaco di Furci Siculo di indire insieme il lutto cittadino per il giorno dei funerali”. Ieri davanti l’abitazione del delitto è giunta anche l’avvocato Cettina La Torre, presidente del Centro antiviolenza “Al tuo fianco” di Furci: “Il nostro Centro è vicino alla famiglia della giovane Lorena, in questo momento di grande dolore. Una tragedia immane che ha sconvolto tutto il circondario jonico - ha detto - da tempo il centro, che ha sede proprio a Furci, a pochi metri dal luogo dove la ragazza viveva, ha sollecitato le donne vittime di violenza, a non abbassare la guardia, soprattutto in momenti come questi. La convivenza forzata ha determinato una diminuzione delle chiamate, ma certamente non degli episodi di violenza, ai quali, purtroppo, sono costretti ad assistere anche I minori. Continuiamo ad esortare le donne a chiedere aiuto. I centri antiviolenza sono attivi e disponibili, in rete con la Procura e le Forze dell'Ordine, per coordinare gli interventi di protezione immediata. A seguito della denuncia, i soggetti maltrattanti vengono repentinamente allontanati dalla casa familiare. Non sottovalutate I minimi campanelli d'allarme - ha ribadito rivolgendosi alle donne – chiedete aiuto, aiutateci ad aiutarvi”.
Coronavirus, accoltella la moglie dopo una lite per la convivenza forzata: arrestato a Milano. L'uomo era già stato fermato subito dopo l'aggressione in casa, adesso l'arresto per tentato omicidio. E' piantonato in ospedale perché risultato positivo al Covid-19. La Repubblica l'1 aprile 2020. Ha accoltellato la moglie alla gola davanti ai tre figli, di cui uno minorenne, durante la quarantena in casa imposta dalle regole per contenere il diffondersi dell'epidemia Covid-19. E' successo lo scorso 23 marzo in un appartamento in via Lorenteggio a Milano, ma l'ordine di custodia è stato eseguito solo ieri, martedì 31 marzo: la polizia ha arrestato un 48enne di origine domenicana, già noto per diversi reati. La donna è stata accoltellata alla gola e alla carotide al termine di una lite, nata a causa della permanenza prolungata tra le mura domestiche per le limitazioni alla mobilità. La donna, gravemente ferita, è stata subito trasportata all'ospedale Niguarda dove si trova tuttora ricoverata con prognosi di 40 giorni. L'uomo, che si era procurato delle lesioni, è stato medicato prima al Policlinico dove è risultato positivo al coronavirus e quindi ricoverato fino a ieri. Poi è stato trasferito all'ospedale San Paolo, nel reparto riservato ai detenuti dove, in attesa degli esiti legati al suo stato di salute, è vigilato da personale delle forze dell'ordine perché accusato di tentato omicidio. In caso di successiva negatività al tampone, sarà trasferito nel carcere di San Vittore.
Marco Bardesono per “Libero quotidiano” il 30 marzo 2020. Settanta euro la settimana da bruciare in cartocci di vino di pessima qualità. Era la fine che faceva la paghetta che un uomo di 61 anni, Giuseppe Giovanni Ocleppo, otteneva dall' anziana mamma. Nonostante la sua età, l' uomo aveva scelto la situazione più comoda, come spesso accade in molte famiglie, dove bamboccioni, adulti e vaccinati, preferiscono rimanere in casa, piuttosto che farsi una vita tutta loro. Non che Ocleppo non ci avesse provato, si era sposato, ma tre anni fa la moglie se n' è andata. In quello stesso periodo Ocleppo aveva anche perso il lavoro: era stato licenziato da una ditta di Ivrea e, per tirare avanti, aveva chiesto aiuto alla mamma vedova che lo aveva preso a vivere con sé, come un figlio adolescente. La donna non gli aveva mai fatto mancare, ogni sabato mattina, i settanta euro messi da parte dalla pensione di reversibilità del marito defunto, un ex operaio della Olivetti. Ocleppo non ha mai cercato un nuovo lavoro, trovando più comodo farsi mantenere da mammà, ma lasciandosi andare. «Sono stati tre anni d' inferno per quella donna», hanno riferito i vicini di casa ai carabinieri, «le violenze e le botte che quell' uomo prima riservava alla moglie, le ha poi indirizzate verso la povera madre». L' anziana aveva cercato di ribellarsi e, qualche tempo fa, aveva presentato una denuncia, poi ritirata, contro il figlio. Alla vittima era stato suggerito di recarsi presso un centro anti violenza, «ma i figli sono i figli», hanno aggiunto i vicini di casa, «e la signora non se l' è sentita di abbandonare Giuseppe». Sabato pomeriggio, poco dopo l' ora di pranzo, non avendo ancora ricevuto il denaro, l' uomo ha affrontato la madre a muso duro chiedendo i settanta euro, «altrimenti ti spacco la faccia», avrebbe detto alterato alla donna. Lei avrebbe tentato di far ragionare l' uomo: «Ma cosa te ne fai di questi soldi», avrebbe ribattuto, «non puoi uscire di casa, i bar sono tutti chiusi e in strada non c' è un' anima viva». Non era neppure un no. Ma tanto è bastato perché l' uomo si avventasse contro l' anziana e la colpisse ripetutamente al volto e sulla schiena. Terminate le botte, una nuova richiesta: «Dammi subito i soldi oppure stai certa che io ti ammazzo e dopo prendo tutto quello che hai». Malconcia e dolorante, l' anziana madre ha messo in atto uno stratagemma: fingendo di acconsentire alla richiesta, si è recata nella sua stanza da letto dicendo che lì avrebbe preso il denaro. Così ha fatto, ma con il suo telefono ha anche chiamato i carabinieri. Sono bastate poche parole, non c' è stato bisogno di spiegare, il piantone della stazione dell' Arma di Ivrea ha inviato immediatamente una pattuglia. L' uomo è stato bloccato mentre stava ricevendo il denaro. Le manette sono scattate subito e Ocleppo è stato portato nel carcere; dovrà rispondere delle accuse di maltrattamenti in famiglia, lesioni ed estorsione. Rimarrà dentro per un po', «ma quando uscirà», è il dubbio dei vicini, «dove andrà ad abitare, se non da quella vecchietta? Tutto comincerà come prima».
Ventenne uccide la madre e la decapita con un coltello. È accaduto questa notte alla periferia Sud di Roma. I carabinieri hanno fermato un ragazzo affetto da problemi psichici. Sequestrato il coltello. Michele Di Lollo, Domenica 22/03/2020 su Il Giornale. Periferia sud di Roma. Un drammatico omicidio si è consumato a colpi di coltello in via James Joyce al quartiere Laurentino. Un giovane di vent’anni, affetto da problemi psichici, ha ucciso la madre accoltellandola numerose volte al collo all’interno della loro abitazione al culmine di un litigio, arrivando a decapitarla. La tragedia è avvenuta nella notte appena trascorsa. Sul posto i carabinieri della compagnia Eur e le ambulanze. "Abbiamo sentito delle urla nella notte e delle persone piangere", hanno raccontato alcuni vicini alle forze dell'ordine. L’allarme è scattato dopo la mezzanotte al terzo piano di uno dei moderni caseggiati non distante dai "Ponti". La vittima aveva 46 anni e si era trasferita da poco a Roma da Palestrina. Il giovane è stato portato in caserma e arrestato. Come detto, avrebbe problemi psichici. Adesso è a Regina Coeli con l’accusa di omicidio. Sono in corso ulteriori accertamenti da parte dei carabinieri. In casa c’era anche la sorella più piccola di 15 anni che è, comunque, riuscita a fuggire e a mettersi in salvo trovando riparo in casa dei vicini. È stata portata in ospedale in stato di choc. Non c’era il padre, la coppia di genitori si stava separando e, forse, all’origine della lite c’era proprio una discussione su questo. Quando i carabinieri sono arrivati, il ragazzo ha aperto la porta dell’abitazione ancora sporco di sangue. Il corpo della mamma era in salone. Sequestrato il coltello da cucina usato dal ragazzo. Negli ultimi giorni a Roma le chiamate al 112 per liti in famiglia e condominiali sono in aumento e costituiscono gran parte degli interventi al di là dei controlli sulle misure di contenimento per il coronavirus. Poco tempo fa un altro fatto di cronaca nera aveva colpito lo stesso quadrante della città. L’ha uccisa a coltellate poi le ha tagliato la testa con una mannaia. E quando nella villetta dell’Eur dove è avvenuto l’omicidio sono arrivati i poliziotti, il killer ha tentato la fuga brandendo contro di loro l’arma insanguinata. Gli agenti hanno sparato. Un uomo, un italiano di 35 anni, è morto poco dopo in ospedale. Ancora da accertare le cause che lo hanno portato a massacrare una domestica ucraina di 38 anni. Tra le ipotesi c’è quella che la donna avesse cercato di sottrarsi a un tentativo di violenza sessuale. Gli investigatori non escludono che ci fosse una relazione tra i due. L’assassino, residente al quartiere Ostiense, indossava dei pantaloni mimetici, una t-shirt verde, un cinturone di corda stile militare, anfibi e aveva nascosto il volto dietro una maschera da giardiniere. Secondo gli uomini della squadra mobile della capitale, il 35enne dopo aver ucciso la donna voleva farla a pezzi e nascondere il cadavere. Ma è stato bloccato in tempo. Ed è finito in carcere.
Brindisi, uccide la madre dopo un litigio con un coltello a serramanico: arrestato un 23enne. L'omicidio è accaduto all'1:30 di notte, in un'abitazione di San Vito dei Normanni. La donna è stata colpita cinque volte al torace. I carabinieri hanno trovato il figlio della vittima fuori dal portone del palazzo, con l'arma appoggiata su un muretto poco distante. Il Fatto Quotidiano il 19 marzo 2020. Una lite in piena notte, poi cinque coltellate al petto: la scorsa notte un 23enne di San Vito dei Normanni, in provincia di Brindisi, ha ucciso la madre con un coltello a serramanico. A dare l’allarme i vicini, che hanno chiamato il 112 dopo aver sentito gridare. I carabinieri hanno trovato il giovane, Andrea Asciano, vicino al portone d’ingresso del palazzo: l’arma era stata lasciata su un muretto a secco lì vicino. Dovrà rispondere dell’accusa di omicidio aggravato. Andrea Asciano viveva con la madre, Rossella Cavaliere, di 51 anni, e la sorella di 29 anni. Secondo una prima ricostruzione, i due avrebbero litigato per futili motivi. Poi, intorno all’1:30 di notte, il 23enne si è alzato dal letto, ha preso il coltello a serramanico che teneva in camera e ha raggiunto la madre nel corridoio, dove l’ha colpita cinque volte al torace prima di scappare. Sul corpo della donna è stata disposta l’autopsia. Le indagini dovranno capire la dinamica familiare ed eventuali altri episodi di violenza: non risultano altre richieste di intervento, nemmeno precedenti, al 112.
Ex vigile urbano stermina la famiglia e si uccide. L'omicida, 66 anni, ha ucciso la moglie e il figlio scaricando il caricatore: poi si è ammazzato. Massimiliano Rambaldi il 13 marzo 2020 su La Stampa. Dramma famigliare a Beinasco, in via Roma numero 12, dove questa mattina, venerdì 13 marzo, sono stati trovati i cadaveri di tre persone. Sono quelli di una coppia, marito e moglie e del loro figlio. Secondo una prima ricostruzione lui, Franco Necco, 66 anni, ex vigile urbano, ha chiamato i carabinieri dicendo: «Ho ucciso mia moglie e mio figlio». Ha usato una pistola, la stessa arma che poi ha rivolto verso di sé sparandosi e uccidendosi prima dell’arrivo dei militari. La moglie Bruna de Maria, ex dipendente comunale di Beinasco, sarebbe stata la prima a cadere sotto i colpi di arma da fuoco. Poi è toccato al figlio della coppia. La moglie è una ex dipendente comunale di Beinasco andata in pensione da dieci giorni. Lui ex vigile di Beinasco conosciutissimo, il figlio Simone ventinovenne (nella foto in basso) era disoccupato. Nessuna avvisaglia di problematiche famigliari particolari. L’omicida, ieri, aveva incrociato un vicino di casa e con lui aveva parlato della situazione del coronavirus e scherzandoci anche su: «Vedrai che andrà tutto bene». Il figlio dell’omicida era stato candidato come consigliere comunale a Beinasco in quota Lega, lo scorso anno, sarebbe dovuto entrare in Consiglio a fine mese. All’origine del dramma c’era la preoccupazione di un padre nei confronti del figlio. Franco Necco temeva che Simone, disoccupato, non avrebbe trovato lavoro e che sarebbe rimasto in forti difficoltà finanziarie una volta che sia lui, sia la moglie, fossero morti. E’ stato lo stesso Necco, sul pc di casa lasciato aperto, a spiegare il suo gesto. Anche la dinamica è più chiara: Bruna de Maria stava dormendo nella stessa stanza del figlio quando l’ex vigile urbano, armato di due pistole, ha premuto il grilletto scaricando entrambi i caricatori sui due. Poi, prima di uccidersi, ha inviato alcuni messaggi agli amici di Simone e ha chiamato i carabinieri.
Sesto, non lo fanno uscire di casa: 17enne accoltella padre e fratello. Il ragazzino voleva vedere la fidanzata. E' accusato di tentato duplice omicidio. Laura Lana su Il Giorno. Sesto San Giovanni (Milano), 8 marzo 2020 - Ha accoltellato fratello e padre adottivo perché si sentiva trattenuto in casa. È successo ieri, sabato 7 marzo, alle 17.30. La pattuglia dei carabinieri della stazione di Sesto è intervenuta, unitamente a personale 118, in via Cesare battisti, dove era stato segnalato un accoltellamento. All'interno dell'abitazione è stato trovato un giovane, classe 2003. Era nella sua camera, poiché trattenuto in casa dai genitori adottivi. Prima aveva accoltellato all'addome con un coltello da cucina il fratello, classe 2005, e, successivamente, all'intervento del padre, aveva preso un ulteriore coltello per continuare l'aggressione anche nei confronti il del genitore. L'uomo ha riportato. un profondo taglio alla gola. Le vittime trasportate all'ospedale Niguarda non sono in pericolo vita e tuttora sono in osservazione. Il minore è stato tradotto presso il cap di Torino e ora dovrà rispondere dell'accusa di tentato duplice omicidio.
Enza Cusmai per “il Giornale” il 21 marzo 2020. C' è chi lavora tutto il giorno nell'auto pur di non avere a che fare con la famiglia, chi lancia piatti verso il coniuge, chi si attacca al telefono antiviolenza per chiedere aiuto. C' è chi non lascia vedere i figli all' ex in quarantena e chi non versa più gli alimenti perché non ha liquidi. Dentro i condomini avvolti da un silenzio surreale ci sono già brutte storie da raccontare. E tante richiese di aiuto. Ai carabinieri ma anche al commercialista o al legale. A cominciare dal quelle economiche. «Dopo il 112 quello dell' avvocato è il numero più gettonato in questi giorni» ammette amaramente l' avvocato Gian Ettore Gassani, presidente dell' Associazione avvocati matrimonialisti. «Ho appena parlato con un commerciante che non è in condizione di versare l' assegno a moglie e figli questo mese. Dove li prendo 1.500 euro che ho il negozio chiuso?». Senza soldi «Un' altra cliente, senza lavoro con due figli, mi chiama leggendomi un sms dell' ex in cui è scritto: cara, questo mese non ti posso pagare l' assegno». Spiega il legale. «E più passano le settimane e peggio sarà. In Italia i separati sono circa 3 milioni». Un fondo per la famiglia «Il problema è enorme aggiunge Gassani - perché se è vero che ci sono tanti ricchi, è anche vero che il piccolo artigiano e il commerciante possono essere in difficoltà, visto che da separati raddoppiano le spese. Così come il sostegno per il posto di lavoro è importante, lo è anche la famiglia se a chi ha bisogno degli alimenti per figli e casa, non arriva più un euro». Ecco dunque la richiesta. «Come Ami ho chiesto al governo di adottare misure ad hoc. Andrebbe cioè alimentato il fondo di garanzia (che già esiste) per assicurare la sopravvivenza di tante famiglie e soprattutto di tanti figli. Per il momento, però, la questione degli assegni di mantenimento per coniuge e figli non è stata nemmeno presa in considerazione dai decreti». Case polveriera Ma c' è di peggio. Manuela Libralon, mediatore familiare, racconta: «Le case stanno assumendo l' aspetto di mini-polveriere. Ci sono rischi altissimi, di depressione, di aumento di violenza fisica. Le persone che si incrociavano un' ora a cena, adesso devono stare gomito a gomito per 24 ore. Ed è molto pericoloso».
L' esperta racconta le ultime telefonate: «In una famiglia la moglie che stava per lasciare il marito, subisce insulti, continui attacchi d' ira, lanci di oggetti, il tutto davanti ai figli. E lei si sente in prigione. Ci sono donne picchiate da mariti irascibili che si sentono in gabbia. E la presenza dei minori non fa che aumentare la tensione».
Le sentenze in sospeso Convivenza forzata anche per chi aveva già deciso di lasciarsi. Ogni anno ci sono 54mila divorzi e 90mila separazioni.
«Le cause di separazione fissate fino al 15 aprile saranno rinviate, non si sa a quando aggiunge Gassani - Questi rinvii costringeranno le coppie in attesa della prima udienza a stare sotto lo stesso tetto per chissà quanto tempo. Una tragedia».
Figli contesi. E poi ci sono i figli da dividersi. I turni di cura dei due coniugi separati sono garantiti anche in questi tempi.
«Ovviamente le modalità di esercizio del diritto di visita dovranno coniugarsi con le disposizioni generali: evitare gli spostamenti con mezzi pubblici, evitare di mettere in contatto i minori con situazioni potenzialmente a rischio. Ma il nodo cruciale riguarda gli spostamenti. «Quando il padre vive in altra regione o città lontana si domanda Gassani - Prenderà tutte le precauzioni per gli spostamenti?
Nessuno si è posto questo problema».
Vittoria Golinelli per leggo.it il 16 marzo 2020. Da quando è esplosa l'emergenza coronavirus, le denunce per codice rosso, ossia per violenza domestica, stalking o maltrattamenti in famiglia, arrivano con il contagocce nelle procure di mezza Italia. Difficile denunciare una violenza domestica quando tutti sono obbligati a stare sotto lo stesso tetto. A Milano i casi segnalati sono passati da 50 al giorno a sette o otto, ma sono tutti molto gravi. Stesso trend anche in procura a Lodi, da cui dipendono il territorio di Codogno e i primi Comuni lombardi ad essere diventati zona rossa. In flessione anche le denunce a Como e Lecco e nei centri più colpiti dal coronavirus. Firenze, Torino, Trieste, ad esempio. E lo stesso vale per Genova. Ma da quando l'intera Italia è diventata zona protetta, il crollo delle denunce si sta uniformando in tutto il territorio nazionale. «Negli ultimi giorni racconta il procuratore capo di Genova Francesco Cozzi - abbiamo registrato diversi casi con protagonisti che affrontano situazioni borderline dal punto di vista psichico e che vivono con forte tensione la convivenza forzata in famiglia». Ed è anche più complesso intervenire. «Applicare il divieto di dimora per l'aggressore in tempi di emergenza covid non è facile». Quanto agli arresti, visto il sovraffollamento delle carceri, in questi giorni vengono disposti solo «in casi estremi». «L'unica soluzione percorribile aggiunge Cozzi - resta l'intervento da parte dei servizi di salute mentale della Asl, ma non sempre è sufficiente». Senza contare che per le vittime, obbligate a una convivenza forzata con chi le maltratta, è più difficile e rischioso denunciare. Una riprova è il calo vertiginoso delle telefonate arrivate negli ultimi giorni al numero di emergenza 1522 istituito dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri per le donne che hanno bisogno d'aiuto. Un servizio che ActionAid e la rete dei centri antiviolenza Di.Re chiedono di virare sui canali social e sul web. «Gli operatori che lavorano in prima linea su tutto il territorio nazionale racconta Isabella Orfano di ActionAid raccontano che stiamo assistendo all'effetto week end». Quella particolare situazione che si verifica proprio nei fine settimana o durante le vacanze, quando un marito e padre violento ha più tempo per infierire sui propri cari, che non riescono nemmeno a denunciare. «Stando più a contatto con chi li maltratta aggiunge Orfano le donne non riescono a trovare un momento per telefonare e denunciare». E adesso, con l'obbligo di restare tutti a casa, il week end di botte e maltrattamenti rischia di durare per intere settimane intere.
Flavia Amabile per “la Stampa” il 18 marzo 2020. Restate a casa, lì siete al sicuro, ripete da settimane il governo nel tentativo di fermare il coronavirus. È vero, ma non del tutto. Per alcune donne significa convivere in modo totale con un marito o un compagno violento. Significa subire minacce, insulti, violenze, senza più avere nemmeno la possibilità di allontanarsi per lavoro o anche solo per andare a prendere i figli a scuola. È l' allarme lanciato da D.i.Re, la rete di oltre 80 centri antiviolenza presenti in tutta Italia. Nasce da un' anomalia apparentemente contraddittoria: le richieste di aiuto delle donne sono in forte calo. Stanno diminuendo le violenze? Secondo le responsabili dei centri sta accadendo l' opposto. Mariangela Zanni, del Centro Veneto Progetti Donna di Padova, da circa un mese zona rossa con movimenti quasi annullati: «Gestiamo 5 centri nella provincia di Padova. Abbiamo dovuto limitare le attività dal 23 febbraio ma abbiamo sempre lasciato aperti i canali telefonici. C' è stato un calo drastico delle chiamate. In genere riceviamo 3 nuove richieste di aiuto al giorno. Ora abbiamo ricevuto tre richieste in due settimane». Una situazione molto simile si sta verificando a Bergamo, uno degli epicentri dei contagi. Sara Modora, coordinatrice del centro Aiuto Donna della città: «Siamo chiuse da due settimane, da allora sono arrivate sette telefonate, una cifra ridicola rispetto a quello che è il nostro flusso abituale». Lo stesso accade nelle altre regioni italiane da quando è scattato il coprifuoco. Antonella Veltri, presidente della rete D.i.re: «I segnali che ci arrivano da tutti i centri mostrano una riduzione delle richieste: questo ci preoccupa molto. Quando si crea una situazione di convivenza forzata si assiste invece a un sensibile aumento delle violenze. Le limitazioni imposte per combattere il contagio da coronavirus, però, impediscono alle donne di muoversi e di trovare il modo di chiamare e chiedere aiuto, gli uomini che le maltrattano sono sempre a casa, il controllo su di loro è continuo». C' è molta paura. Si teme quello che si deve subire dentro casa ma anche i pericoli creati dal virus fuori casa, soprattutto quando si ha la responsabilità di un figlio. Sara Modora: «Proprio in queste ore stiamo cercando di gestire nel migliore dei modi la difficile situazione di una donna che ha deciso di andare via con la figlia di 9 anni. Il dilemma era scegliere tra una casa dove sa di poter proteggere la figlia dal virus ma non se stessa dalle violenze e una soluzione all' esterno dove lei non subirebbe più maltrattamenti, ma la figlia potrebbe essere esposta a contagi». In tante scelgono di proteggere i figli e questo apparirà evidente fra qualche tempo, secondo Veltri. «Quando questa dimensione claustrofobica della convivenza a casa finirà, temo che assisteremo a una grossa impennata delle richieste di aiuto ai centri antiviolenza. Bisogna trovare il modo di aiutare in questo periodo le donne a sottrarsi almeno per un po' di tempo alla convivenza». Antonella Veltri consiglia di «mandare il marito a fare la spesa per trovare il modo di telefonare o andare da sole al supermercato e approfittare per fare una telefonata». A Padova si stanno organizzando per ricevere le richieste senza lasciare tracce telefoniche. Mariangela Zanni: «Abbiamo creato un modello che crea un contatto con le donne, lasciano solo una mail e scelgono come essere chiamate in sicurezza». La rete D.i.re ha scritto alla ministra delle Pari Opportunità Elena Bonetti per chiedere gli strumenti necessari per far fronte all' emergenza.
Da leggo.it il 24 marzo 2020. «Sto seguendo mio marito per beccarlo con l'amante». Questa la giustificazione addotta da una donna di 60 anni, che si stava spostando, ancora in pigiama, quando è stata fermata dalla polizia per i controlli delle violazioni del Dpcm per l'emergenza coronavirus. È accaduto ieri mattina sulla via Nettunense. La donna, residente ad Aprilia (Latina), aveva visto il marito uscire di casa e, sospettando che si stesse per incontrare con l'amante, ha deciso di seguirlo per ottenere una prova fotografica dell'infedeltà. Senza neanche vestirsi, la donna si è precipitata fuori dalla propria abitazione, convinta che il marito si stesse recando nel vicino comune di Anzio (Roma). Una volta fermata dalla polizia, la donna ha provato a giustificarsi adducendo la sospetta infedeltà. La motivazione, però, non ha convinto gli agenti, che non hanno ravvisato la necessità: la 60enne è stata denunciata e costretta a tornare a casa.
Bari, anziano si mette in fila al market per 4 volte: «Stavo prendendo aria, a casa c'è mia moglie». Un 80enne è stato notato dalle forze dell'ordine che stavano pattugliando la zona del mercato di Santa Scolastica. Luca Natile il 28 Marzo 2020 su La Gazzetta del Mezzogiorno. Quanto è dura la vita in casa quando fuori c’è la pandemia. #ioconmiamoglienonresisto. Piccolo manuale di sopravvivenza per salvarsi dallo stress del coprifuoco dopo sessantanni di matrimonio. Regola numero uno, offrirsi di uscire di casa per andare a fare la spesa. Regola numero due, approfittare della «comprovata esigenza» per attaccar bottone, salutare gli amici e menarla un po’ per le lunghe. Regola numero tre, quando si rincasa avere pronta una scusa. Lui, 80 anni, capelli bianchi, qualche acciacco legato all’età, ma nulla di serio, è uscito di casa promettendo che sarebbe tornato presto. «Vado alla panetteria che è vicina al mercato coperto di Santa Scolastica - ha detto - lì hanno tutto quello che ci serve». Nella lista della spesa pane, pasta, latte, una confezione di uova, tonno in scatola, dei taralli e due etti di prosciutto. Si è chiuso la porta alle spalle, ha preso l’ascensore e giunto al piano terra ha attraversato l’androne. Ha aperto il portone e una folata di aria fresca lo ha investito. Si è guardato intorno e tutta quella desolazione lo ha rattristato un po’. Poca gente ma davanti al panificio c’era la fila. Ha atteso pazientemente il suo turno ma quando è giunto per lui il momento di entrare si è girato ed è tornato in fondo alla fila. La scena si è ripetuta almeno per tre volte. Alla quarta fila il nonnetto si è trovato difronte gli agenti della Squadra Volanti che stavano pattugliando l’area mercatale di Picone e che si erano accorti di quel signore dai capelli bianchi che la stava tirando troppo per le lunghe, dando voce a chi ogni volta si ritrovava a far la fila con lui fuori dal negozio. «Ne approfitto per stare un po’ in compagnia, voi non sapete cosa vuol dire stare tutta la giornata in casa solo con mia moglie»
Coronavirus, fugge da Lodi a Messina fingendosi un clochard: "Non sopporto più mia moglie". Beccato e rispedito a casa. Libero Quotidiano il 17 marzo 2020. Storie di ordinaria disperazione da coronavirus. Storie di persone alla frutta e che sbagliano, uscendo di casa e mettendo a rischio la salute degli altri. In questo caso la vicenda è incredibile. Si parla di un cittadino di Lodi, che nella notte tra il 16 e il 17 marzo ha raggiunto Messina fingendosi un clochard. Ma è stato fermato dalle forze dell'ordine, alle quali ha spiegato: "Sono qui perché non ne posso più di mia moglie. Continuavamo a litigare". Questa la sconcertante spiegazione fornita alla Guardia Forestale, che lo ha fermato nei pressi degli approdi privati a Messina. Il tizio era appena sbarcato dal traghetto, fingendosi un senza tetto, tanto che si era messa in moto la macchina dei servizi sociali. Ma le autorità hanno avviato gli accertamenti e, dopo una serie di controlli incrociati, è emersa la verità: l'uomo era in fuga dal Lodigiano, uno dei maggiori focolai del Covid-19, e dalla moglie. Denunciato, è stato rispedito a casa.
Da "leggo.it" il 23 marzo 2020. Si trovano le scuse più singolari per giustificare le uscite nonostante le disposizioni del Decreto. "Non sopporto più mia moglie e sono venuto al mare per rilassarmi", la scusa che trovato un uomo di Galatina in Puglia fermato a Lido Conchiglie dai carabinieri, in evidente crisi di convivenza casalinga forzata causa quarantena per la pandemia di coronavirus. In totale sono 105 le persone denunciate dai carabinieri del Comando provinciale di Lecce durante i controlli effettuati nel capoluogo e in provincia ieri (ma per la compagnia di Tricase il bilancio si riferisce al 20 marzo) perché non hanno rispettato il decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri che limita la possibilità di uscire per strada ed emanato nel tentativo di arginare la diffusione del Covid-19. Tutte circolavano in assenza di una valida motivazione dettata da stato di necessità. In tutto sono oltre 480 le persone controllate. Inoltre, a Corsano, i militari hanno eseguito un provvedimento di sospensione per 30 giorni di una attività commerciale emesso dalla Prefettura di Lecce a carico di un ristorante per mancato rispetto dell'orario di chiusura.
· Epidemia e Porno.
Barbara Costa per Dagospia il 19 giugno 2020. Girate le scopate a distanza, a due in ogni posizione che non sia però faccia a faccia, e meglio girare all’aperto, specie le scene a tre e più, e meglio farle con la mascherina, ma potete andare oltre quella chirurgica, ci sono quelle sadomaso che coprono il viso intero. Sì ai porno-assolo di masturbazione, che problema c’è a filmare il sesso aperto di una tipa nuda che si tocca e mugola. Sì alle stimolazioni peniche e vaginali, specie con mani e piedi, e sì a orgasmi reciproci, ma guai a respirarsi addosso! Siate ancora più creativi, infilatevi e infilate i sex-toys che vi pare, dove e quanto vi pare, igienizzati prima e dopo l’uso. A tutto il settore fetish: porni, con schiaffi e conformi gesti di violenza simulata, e porni in latex, in bondage, con corde, catene, fruste. Sì ai porno coi macchinari di tortura, ma niente sputi in bocca. Per i lavori fetish e non: no all’uso della saliva. Si raccomanda tutti sui set di indossare le mascherine dove impossibile rispettare la distanza, e che le troupe siano ridotte all’essenziale. Vai con le fellatio in glory hole, ma pollice verso anche per i 69? Signori, si riapre, con paura e nella più severa osservanza delle disposizioni governative, che possono variare da contea a contea. Si riapre in California, riapre Hollywood, ma in più contee e in più stati sono sparsi gli studios del porno americano, il quale guarda in faccia a questa verità: il Covid c’è, e senza un vaccino bisogna adattarsi e conviverci. Se non si vuole morire di porno- inedia, si deve lavorare, stando attenti, riducendo un contagio il cui rischio non può essere impedito. Niente sarà più come prima, nemmeno nel porno americano che, da quando ha fermato i set il 15 marzo, si è riunito in videoconferenza due volte a settimana, e ora ha rilasciato 32 pagine di linee guida che dicono questo: il Covid si trasmette né con lo sperma né con le secrezioni vaginali né con lo squirting; anche se sono state trovate tracce di Covid nello sperma di uomini affetti da Coronavirus, non ci sono prove che ci si contagi con i rapporti sessuali. Il Covid si trasmette a contatto di respiro, saliva, muco, quindi a attenta distanza si può pornare orale, si può prendere uno o più peni in bocca, si può affondare con cautela la lingua nella vagina, ma chi si prova a baciare, è un criminale! Si può venire con lo sperma in faccia, sul corpo, nella vagina e nell’ano, ma che i visi dei performer non vengano a contatto. Stesso discorso per lo squirting e lo sfrego tra vagine (sia benedetto lo scissoring!). È però comprovato che il Covid sia nelle feci: no a rimming e no a scat. Attori, registi, maestranze vanno sottoposte a termoscanner e a tamponi: questi si possono fare mediante PASS (il sistema di monitoraggio e tracciamento dei test che i performer già fanno per le malattie sessualmente trasmissibili) da ripetere a giorni e a frequenza stabiliti. Però: a oggi, pur con tamponi e nel massimo rispetto del distanziamento sociale, NON è possibile scongiurare il rischio Covid. È quello che preoccupa i produttori, che temono di fare da cavia a possibili focolai sui set. Per lo stesso motivo, Hollywood mette le mani avanti: ha riaperto i set, ma saranno attivi, e al 20 per cento, da luglio. Tra le grandi star di Hollywood - e tra quelle porno - si medita un anno sabbatico, almeno chi a soldi se lo può permettere. Tra le pornostar, c’è chi pensa di restare ancora a pornare da casa, in tutta sicurezza, su OnlyFans e sui propri siti. E niente sarà più come prima nemmeno sul fronte del razzismo nel porno: le proteste dei neri per le strade, rimbalzate di social in social, costringono a duri esami di coscienza: dal 2021 non ci saranno più Oscar a premio di porno girati tra corpi di diverse etnie. Le attuali giurie son decadute: se ne formeranno altre, con la presenza di attori, registi, produttori, di ogni etnia e religione, non più solo bianca e WASP. E fosse finita qui: i maggiori agenti porno hanno rilasciato un comunicato in cui si auto-smerdano. Ti dico, pesci grossi come Mark Spiegler di "Spiegler Girls"; Robert Moran e Bud Lee (due capoccia!) di "101Modeling"; John Steven di "Matrix Models"; Nina Elle di "Society 15"; Sandra McCarthy di "OC Modeling". Questi uomini e donne riconoscono di essere stati complici di “un razzismo sistemico che ha afflitto questo settore per troppo tempo: interrompiamo la pratica di versare tassi di scena basati sulla etnia e sulla religione di una persona”. Mutamenti in vista pure per il rough-porn, il porno duro, quello (finto) violento: vanno ripensate le regole, a cominciare dalle safeword, le chiavi di consenso verbale e gestuale che, mentre si gira, interrompono la scena appena il dominato sente di non reggere più la sevizia che aveva accettato e firmato di farsi fare.
Barbara Costa per Dagospia il 23 aprile 2020. “Caro Joe Buck, che hai da fare? Niente, visto che le partite sono sospese. Ti andrebbe di mantenerti in esercizio lavorando per noi, facendo la telecronaca delle nostre ragazze che in cam si spogliano e si toccano e mugolano per arrapare i nostri clienti?”. Sembra uno scherzo, e invece sono stralci della lettera vera che il capo di "ImLive.com", uno dei più grandi siti di cam-girl e cam-trans (più di 80 mila bellezze, per un’utenza di milioni e milioni di membri vispi sparsi nel mondo) ha inviato a Joe Buck, celebre telecronista sportivo americano. Vuole ingaggiarlo affinché aiuti ad "accendere" gli utenti di "ImLive" ipo e non vedenti, che reclamano di non ricevere appagante servizio per i loro bisogni onanistici. Non so nulla della risposta di Mr. Buck, e però vorrei avvertirlo che il mondo del sesso via cam è in piena rivolta. Le cam-girl professioniste sono in guerra aperta contro le pornostar, le spogliarelliste, e le prostitute che, a causa del coronavirus, si sono ritrovate senza la possibilità di lavorare, e si sono in massa riversate sui siti di sex-cam, aprendo profili, fregando clienti, ma quel che è peggio saturando il mercato. "Newsweek" ha indagato, interpellando cam-veterane incazzate nere, donne e trans che hanno impiegato anni a crearsi un nome e una clientela fissa, e che ora non ci vogliono stare a competere con "colleghe" incapaci, improvvisate, che squalificano una professione che niente ha a che vedere con il pornare sui set, spogliarsi e ballare nei locali, battere in strada o a casa propria. Sono soprattutto i clienti a essere diversi, a cercare nelle cam-girl un sesso diverso, giochi e impulsi specifici, da creare in chiave visiva-psicologica. E tra le cam-girl riciclatesi tali, c’è chi ammette la sua imbranataggine: si scopre che fare sesso in cam è difficile, più stancante che stare a gambe/ano aperti sui set porno, e molte confessano di non aver pazienza coi clienti virtuali, specie con quelli che per "venire" chiedono di essere coperti di insulti, o quelli che vogliono che le ragazze in cam usino sex-toys strambi, sex-toys che esse non hanno, o non sanno usare, in pose che le vedono maldestre, affatto seducenti, pose che fanno ammosciare, scappare i clienti. Tra le richieste più complicate: il cunnilingus e l’anilingus via cam, dove la cam-girl deve mettersi con la vagina o con l’ano belli aperti davanti alla telecamera e gemere di piacere mentre la lingua vera del cliente, al di là dello schermo, finge di leccare. Altra richiesta insostenibile: le chiacchiere. Pare che i tempi assurdi che stiamo vivendo portino molti clienti di cam-girl a non volere dalle ragazze show sessuali, né che si spoglino, ma solo che parlino con loro, stiano lì pazienti ad ascoltare le loro paure, angosce, delusioni coniugali. Ma le cam-girl, in primis le nuove arrivate, non ci stanno, va bene che il tassametro gira anche se il cliente è lì solo per sfogarsi, ma insomma, che tedio, che palle, mica siamo la voce amica, e mica è solo lui ad avere la vita sconvolta, rivoluzionata dal coronavirus! Infatti alcune cam-girl protestano, pure loro sono depresse, anche loro hanno problemi di soldi, famiglie da mantenere, ma mica possono permettersi di disperarsi! Non si disperano ma tra vecchie e nuove si fanno i dispetti, truffe, e ci sono cam-girl che chiamano gli avvocati perché denunciano che le nuove gli copiano i nomi d’arte, o ne usano di simili, e non lo possono fare, è violazione di diritto di denominazione, o qualcosa del genere, comunque un reato. Insomma, pare che il mondo sex-cam, già iper-competitivo di suo, stia divenendo un inferno, le ragazze si litigano i clienti migliori, ovvio i più danarosi, e le veterane hanno mano facile a fregare le nuove, che non sono abituate alle 40 (minimo) ore settimanali di sesso virtuale che bisogna fare se vuoi guadagnare. Tra le nuove, molte rinunciano, aspettano che riapra il porno, che a sc*pare e farsi sc*pare sui set si guadagna di più, con meno fatica, e qualche vero orgasmo lì sì che è garantito!
Da ilgiornaledivicenza.it il 18 aprile 2020. Marica Chanelle, 22 anni, di Schio, è la prima firmataria di una lettera aperta inviata al premier Giuseppe Conte per il riconoscimento della "funzione sociale" di chi lavora nel mondo del porno, rifacendosi all'articolo 42 della Costituzione italiana. Dopo la sua ci sono le firme di Amandha Fox, Luana Borgia, Alessia Rubini, Lisa Amane, Lolita Ruiz e Marikah Bentley. «Siamo un gruppo di attrici legate al mondo dell'adult entertainment, tutte unite dall'amore per l'Italia. E ci troviamo a dover trascorrere questo periodo di quarantena in attesa di notizie positive», è la premessa. Si fa riferimento alle campagne social lanciate dalle attrici come #iorestoacasa e così via, al fatto che quella del porno è un'industria che va tutelata come altre e che in questo momento è ferma. «La pornografia è un tema che suscita particolare interesse nella popolazione - continua la lettera - ma nello stesso tempo tanta preoccupazione da parte di voi politici... Eppure i nostri personaggi stanno assurgendo al ruolo di crocerossine virtuali, in quanto foto, video e film presenti sui social sono iniezioni di adrenalina nelle menti dei fans». Il suo manager Mimmo Pavese spiega: «La nostra è un'industria di cui fanno uso quotidiano migliaia di persone. A Vicenza ci sono locali come Boys, Kiss Kiss e Nuovo blu che sono fra i migliori d'Italia e sono fermi. Non lavorano le ragazze ma anche baristi, dj ed altri collaboratori. Perché non abbiamo diritto agli ammortizzatori sociali come gli altri? Parlo dei 600 euro come di altre forme di assistenza economica e non solo. Una come Marica aveva contratti firmati per numerose esibizioni, tutte saltate, sia in Italia che all'estero. E poi c'è l'indotto». «È vero - spiega la bionda scledense -. Un mese fa dovevo partire per Los Angeles dove avrei girato dei film per una casa di produzione italiana, la Pinco, ma il blocco dei voli mi ha stoppata. E comunque tutte le produzioni sono ferme a causa dell'emergenza sanitaria. Ora sono chiusa in casa, qui a Schio, e lavoro sui siti». Marica, che ha ultimato le scuole superiori a Thiene, ha 50 mila followers su twitter, 30 mila su Instagram e 15 mila amici su facebook. «Il resto del tempo lo occupo cucinando, facendo le pulizie ed ascoltando Elvis Presley, lo adoro». Ma la giovane come sta? «Io? Ho una salute di ferro, il mio sistema immunitario è potente». E chiude la telefonata con una risata.
Barbara Costa per Dagospia il 10 aprile 2020. Non è vero che il porno è fermo! È fermo sui set, lì non si tornerà a pornare non solo finché le autorità non diranno che si potranno rialzare i peni e riaprire le gambe, ma anche non prima che tutti i performer siano stati testati e ritestati e risultati negativi. E però, il porno è duro, non si arrende, e quelli di "Adult Time" stanno per lanciare una nuova porno serie, "Super Horny Fun Time", dove attrici le più lascive e inarrivabili si esibiranno in pornate soliste sporcaccione, e tu mi dirai, vabbè, ma dove sta la differenza tra quelle che già trovo, in rete, e che ogni volta che le clicco mi fanno capire che aspettano solo me, che me la danno solo a me, perché è proprio me, la mia "bestia" che aspettano, che le fa strillare di piacere, bestia che infatti mi diventa durissima, e che mi fa sentire vivo in questi tempi tetri? La differenza sta che con le pornostar di "Adult Time" potrai interagire dal vivo, la serie è live, e tu potrai parlare e porno-divertirti come se fossero lì, accanto a te. Non cam-girl, né riciclatesi tali, ma pornostar vere! Allena il tuo inglese, ché stanno ultimando i provini. Il coronavirus ha fatto diventare generosa Kendra James, diva porno mistress, che lavorando in remoto ha deciso che se tu dal suo sito scarichi due clip pornosi, puoi vincerne uno. E mica uno qualsiasi, nossignore, puoi vincere un video dove puoi essere tu a decidere cosa farle e farti fare, come vestirla e svestirla, e come "metterla". Kendra specifica che lei è a completa disposizione del vincitore, e che è "aperta" a soddisfare tali perverse richieste: la forma di dominazione che sogni; giochi di ruolo, maltrattamenti virtuali compresi; adorazione del piede, delle natiche, dei suoi calzini e collant, anche usati e puzzolenti; travestimento da tua eroina dei fumetti preferita. Sbrigati, se vinci lo saprai entro aprile, e il tuo premio porno lo riceverai entro il 15 maggio. Il porno non si arrende, e anche le mignotte e i mignotti rimasti senza clienti e senza entrate, trovano virtuali soluzioni. Mentre Victoria Hartmann, a capo dell’"Erotic Heritage Museum" di Las Vegas, ha chiuso e non riesce a capire se pure il suo museo può usufruire degli aiuti sparpagliati tra le 880 pagine del Cares Act firmato da Trump, e però è contenta che la quarantena ha messo K.O. le proteste delle associazioni anti-porno e anti-sesso (non possono scendere in strada a protestare, tiè!), con le mignotte e i mignotti si potrà scopare, sì, ma, anche qui, solo online. E come? "Red Light Center" è la piattaforma che fa per loro (e dei loro clienti): mette a disposizione esperienze mign*ttesche in 3d ultra realistiche, in bordelli virtuali identici a quelli veri. Con queste professioniste/i del sesso puoi virtualmente farci quello che ti pare, e come, e per il tempo che vuoi (il prezzo va concordato preventivamente) e alcune/i te lo fanno virtuale e pure fetish. Ma tu lo sapevi che in India dal 2018 è vietato l’accesso al porno sul web? Io no, mi era sfuggito, e però senti: anche lì devono stare in quarantena, se la violano li bastonano (lì hanno sanzioni esagerate) e tra le nuove misure decise dal governo pare ci sia anche la fine della censura sui siti porno. È un fatto: da quando gli indiani sono in quarantena, possono digitare "Pornhub.org" ed entrarci, senza problemi, e gustarsi i video che vogliono. Pure "xHamster" lo conferma: da metà marzo, registra un aumento di accessi dall’India del 20%.
P.S. "Pornhub" amplia la donazione di mascherine a medici, infermieri, personale sanitario anche fuori lo stato di New York. A esso si unisce "Youporn" con uno stanziamento base pari a 100 mila dollari. E che i quaranternati non si lamentino: Pornhub, Youporn e gli altri principali canali porno limitano o annullano la visione in HD per non intralciare traffici di rete ben più basilari di una sega.
Alessandro Di Stefano per thenexttech.startupitalia.eu il 30 marzo 2020. Il noto sito hard Pornhub continua a dare il proprio contributo contro il coronavirus. Nessun refuso: da oggi in tutto il mondo è possibile accedere a tutti i contenuti Premium per togliersi dalla testa qualsiasi desiderio di uscire di casa. “Fai la tua parte per appiattire la curva”, si legge su una pagina dedicata di Pornhub che, per l’occasione, ha addirittura modificato homepage e il proprio logo in Stayhomehub. Poche settimane fa, quando l’Italia sembrava l’unico paese in Europa a essere colpito dalla pandemia, il sito che macina più o meno 100 miliardi di visualizzazioni in un anno aveva deciso di regalare la versione Premium a tutti gli abitanti della Penisola. Ora che l’emergenza riguarda tutto il mondo il dono è per tutti e sarà valido fino al 23 aprile. Una volta atterrati sulla pagina dedicata di Pornhub non resta che scegliere tra le due opzioni, a seconda che uno debba uscire tutti i giorni per andare a lavorare in aziende ritenute essenziali, oppure che non possa fare altro che attendere la fine dell’isolamento. L’unica condizione per chi deve uscire di casa per fare il proprio (encomiabile) dovere è quella di promettere di lavarsi regolarmente le mani e di mantenere le distanze dalle altre persone. In un momento così difficile per il mondo, l’autodisciplina e il senso di responsabilità che impone a tutti di restare a casa diventa anche un’occasione per sdrammatizzare e aspettare tempi migliori. Il contributo di Pornhub – piccante, certo, ma comunque apprezzabile nell’intenzione – è l’ennesimo che tante altre aziende stanno dando per costringere le persone a passare bene – il come è a vostra discrezione – il tempo tra le mura domestiche.
Simona Berterame per fanpage.it il 19 marzo 2020. Tutti i settori stanno risentendo della crisi ai tempi del coronavirus, non fa eccezione il sesso a pagamento online. Come tutti i settori, anche quello del sesso a pagamento risente dell’epidemia attualmente in corso. Un sito specializzato in recensioni "particolari", Escort Advisor, ha compilato un quadro dell’amore (mercenario) al tempo del Coronavirus. I dati vengono raccolti ed elaborati attraverso il proprio motore di ricerca, che ogni giorno indicizza tutti gli annunci pubblicitari pubblicati sulle principali bacheche per escort. A partire dall’8 marzo, quando è stata emanata la prima versione del Dpcm, si è registrato un drastico calo pari al -32%. Una media di 8.500 annunci al giorno, fino ad arrivare un minimo di 6.500 registrato il 13 marzo scorso, il più basso toccato dal settore negli ultimi anni. La regione più colpita dal calo di presenze è la Sardegna (-56%), seguita da Lombardia (-51%), Trentino Alto Adige (-44%), Veneto (-42%), Toscana (-42%), Puglia (-40%), Campania (-40%), Lazio (-37%), Emilia Romagna (-36%), Piemonte (-34%). Le recensioni, invece, hanno subito un calo minore rispetto agli annunci. Basilicata (-35%), Veneto (-30%), Lombardia -28%, Trentino (-26%), Friuli (-24%), Lazio (-24%), Campania (-21%) sono le regioni in cui le recensioni sono diminuite maggiormente, mentre più blanda la situazione in Emilia Romagna (-12%), Puglia (-10%), Sardegna (-8%), Calabria (-8%), Toscana (-6%), Piemonte (-3%). La Liguria, invece, inverte la tendenza in positivo: +12% Le sex worker di tutta Italia hanno dovuto quindi modificare il loro lavoro, come racconta Francesca, escort di Milano: "Appena ho capito della gravita della situazione non ho esitato a avvisare i miei clienti attraverso il mio profilo che non avrei ricevuto piu nessuno fino al passare del blocco totale che stiamo vivendo. Io resto a casa (e pure voi dovreste!). Cosi io e molte delle mie colleghe abbiamo deciso di sospendere l’attivita come tutti per seguire la legge e non favorire la diffusione del virus. La cosa particolare e che alcuni dei miei clienti mi hanno contattata anche solo per cercare compagnia al telefono. Ora mi sto attivando per fare delle chat e delle videochiamate erotiche: alcuni mi chiedono di vedermi mentre mi “prendo cura di me”, mentre mi spoglio, altri vogliono davvero solo parlare perché da soli, altri ancora chiedono foto. Mi ha fatto molto ridere quello che mi ha chiamato con la doccia accesa bisbigliando…era chiuso in bagno e fingeva di lavarsi per non farsi beccare dalla moglie!".
Maurizio Di Fazio per “il Fatto quotidiano” il 30 marzo 2020. Viviamo giorni strani, si sa. E #dobbiamostareacasa, tempio supremo e sconsacrato di ogni forma d' amore. Ma come ne usciranno, quando l' incubo finirà, le coppie sposate/conviventi e quelle ognuno nel proprio tetto, gli amanti clandestini e gli "amici con benefit", i single per scelta e quelli obtorto collo? Il sesso in Italia, ai tempi del Coronavirus, è un' entità bizzarra e geneticamente modificata, e stanno freschi i sessuologi a pontificare sull' importanza del farlo veramente "perché così si producono endorfine e aumentano le difese immunitarie". Scommettendo sul picco della libido tra un bollettino della Protezione civile e l' altro, nel bel mezzo di una quarantena e in un pigiama party permanente. In questa indistinta e infinita domenica, senza il beneficio di un lunedì. E allora poco sex reale, largo a quello virtuale. Tutti in Rete spassionatamente, sullo smartphone o davanti a un pc. E poi, assicura chi la sa lunga, "l' unico contatto sicuro, oggi come oggi, è quello con se stessi". Un "ansiolitico naturale". Ecco quindi la trovata magnanima di Pornhub , il portale a luci rosse tra le 45 pagine più visitate al mondo. La piattaforma ha infatti regalato agli italiani un mese gratis alla sua formula Premium. Con tanto di messaggio ad hoc: "Forza Italia, we love you". Basta registrare un account dal nostro perimetro nazionale, senza gli estremi della nostra carta di credito, per poter prendere visione di tutti i suoi contenuti hard, compresi quelli ad alta definizione, fino a inizio aprile. E chissà non ci scappi, anche qui, una proroga. A migliaia i connazionali che hanno approfittato dell' offerta, ma già a metà marzo, quando non era ancora attiva, nel Belpaese il ricorso al paradiso voyeuristico aveva conosciuto un incremento del 13,8 per cento, con un raddoppio dell' utenza alle 2 di notte, l' orario di massimo share. Diavolo di un Pornhub che ha aperto un solco, in cui si è infilata subito la giapponese Soft on Demand , che ha elargito 200 filmati senza veli e nemmeno il problema di capire la lingua. Moto di riprovazione, invece, per xHamster , la terza potenza globale in materia, che aveva sì concesso un abbonamento premium in comodato d' uso, ma solo ai residenti della zona rossa originaria, lombardi e veneti. E sui siti di incontri occasionali, c' è vita nelle app di dating? Come se la passano i Grindr , Lovoo , Badoo , OkCupid e, va da sé, Tinder ? Scaricata 340 milioni di volte, 5,9 milioni di abbonati nel 2019, su quest' ultima ci si limita a tenere viva una parvenza di fiamma per quando sarà tutto terminato, tra un sì e un no di circostanza. È saltato in blocco il cerimoniale, a cominciare dall' aperitivo di conoscenza: i bar sono interdetti, e comunque non si potrebbe andare oltre con la regola del metro di distanza. Su Once , però (più di 1,2 milioni di affiliati in Italia, 480 mila donne) si è verificato un aumento delle attività del 40 per cento: già a fine febbraio le connessioni erano lievitate del 30. Mettiamola così: ci si organizza per l' estate. Non resta perciò che la passione fredda da remoto, da accendere con parole licenziose e lo scambio di immagini hot: il classico sexting da praticare in collegamento dalle rispettive abitazioni grazie a Messenger , Skype , House Party , WhatsApp , Zoom o Telegram . Stando bene attenti al cyberbullismo e al revenge porn. Persino il mondo di sotto del sadomaso si adegua, con le Mistress che non potendo più frustare e umiliare i loro schiavi dal vivo ripiegano sulla dominazione online. Per non dire del mercato delle escort, ormai ai minimi termini. Sulle prime avevano cercato di attrezzarsi come potevano, loro espertissime di smart working, magari con un termoscanner e una bella mascherina alla Eyes Wide Shut. Poi sono arrivati i decreti e la domanda è crollata. Anche l' offerta: "La media di annunci quotidiani è di solito di 12.500, e il 13 marzo erano calati a 6.500", sottolinea Escort Advisor , il primo sito di recensioni "dedicate" in Europa. Racconta Francesca, una professionista milanese del settore: "Adesso faccio chat e videochiamate erotiche. Mi ha fatto molto ridere quello che mi ha contattata con la doccia accesa, bisbigliando era chiuso in bagno e fingeva di lavarsi per non farsi beccare dalla moglie".
Dagospia l'11 maggio 2020. Comunicato Stampa. Con la Fase 2 anche il settore del sesso a pagamento inizia a rimettersi in moto, ma con una tendenza inaspettata. Escort Advisor, il sito di recensioni di escort più visitato in Europa con oltre 2 milioni di utenti mensili solo in Italia, ha condotto un sondaggio anonimo tra i propri utenti per capire quali saranno i comportamenti degli amanti del sesso a pagamento. Al momento la domanda dei clienti, supera nettamente l’offerta delle escort, che rimangono ancora caute. Dal sondaggio tra i clienti emergono comportamenti che possono indicare l’evoluzione del settore nel post coronavirus. Il 38% dei partecipanti ha dichiarato che porrà più attenzione dopo questa crisi a foto credibili e veritiere, mentre il 30% alle informazioni di altri clienti sulle professioniste, utilizzando ad esempio le recensioni. Il 48% porrà meno attenzione al prezzo, preferendo la sicurezza e la qualità. Infatti, il 58%, nel tornare agli incontri, è preoccupato dalla garanzia di salute della ragazza, ma risolve questo problema attraverso le informazioni degli altri clienti e la professionalità della sex worker. Il 44% dichiara che tornerà a visitare le escort non appena sarà possibile uscire in libertà e questo si evidenzia dai dati rilevati la scorsa settimana, dal 4 maggio, inizio della Fase 2. Rispetto al periodo precedente della Fase 1, dal 4 all’8 maggio, si è registrato un incremento delle ricerche giornaliere su Google del tema "escort+città" (es. "escort Milano", "escort Roma", ecc ecc) del +58%. Un dato interessante anche l'aumento della ricerca su Google della parola chiave "recensioni escort" che ha registrato un +46%. Le visite giornaliere al sito Escort Advisor hanno subito un rialzo del +27%. Anche il numero delle recensioni scritte sul sito dal 4 maggio, con la ripresa degli incontri, sono tornate ad aumentare rispetto al periodo di lockdown con un'impennata del +93%. “L’assalto” dei clienti alle escort lo racconta bene Annalisa, escort di Roma: La paura a tornare a lavorare c'è, ma si può in sicurezza se anche i clienti ragionano. Ho avuto addirittura più richieste di rapporti non protetti e di baci in bocca, nonostante tutto quello che si è passato in questi mesi. Ovviamente non li ricevevo prima a queste condizioni e se me lo chiedono non li accontento. Mi sono attrezzata con tutte le precauzioni: mascherine, guanti e un macchinario per sanificare l'aria dell'appartamento in cui ricevo. Dovremo cambiare il modo di lavorare, ma ci possiamo convivere, anche perchè chi non sta bene non viene a trovarci...Ho ricevuto solo lunedì quasi 100 telefonate e in due giorni ho guadagnato quasi 3000 euro, ma ho ricevuto solo i clienti che conosco, di cui mi fido e so dove sono stati. La crescita del numero di annunci di sex workers presenti su tutti i siti dedicati online sta invece aumentando lentamente. Meno del 30% delle escort che normalmente sono attive durante questo periodo dell'anno su tutti i siti di settore sono tornate in attività la scorsa settimana. Nella fase centrale del lockdown di metà aprile, il livello degli annunci presenti su tutti i siti dedicati era sceso del -94%, mentre nella prima settimana di maggio si è arrivati al -72%. Camilla, escort di Roma, racconta: Non ricevo e faccio ancora solo videochat. I nuovi clienti prevalentemente chiamano per avere informazioni, quelli affezionati invece mi mandano messaggi per sapere come sto. Questo si è intensificato dal 4 maggio. Molti iniziano a non fidarsi più delle videochat perchè hanno paura delle truffe pagando in anticipo, ma anche noi non siamo tranquille a farci pagare dopo. La cosa che più mi preoccupa è che il 70% dei clienti nuovi che chiamano chiedono tutti di fare cose scoperte, senza preservativo e addirittura volendo baciare in bocca. Gli uomini sono impazziti. I clienti seri non vengono invece, hanno ancora paura.
Dagospia. “Dopo il coronavirus la ricerca di siti porno e camgirl cresce in Brasile”. Traduzione dell’articolo di Felipe Branco Cruz per Veja il 22 marzo 2020. Da tre anni nel mercato delle camgirl, Clara, 22 anni, di Campinas (SP), ha già messo in pratica innumerevoli fantasie dei suoi clienti. Ma nessuno di loro era del tipo di due richieste insolite che aveva sentito negli ultimi giorni: la cosa più feticista richiesta dagli uomini era vederla lavarsi le mani e strofinare l'alcool con il gel. "Sono stato sorpresa perché nulla di tutto ciò mi era mai successo prima." "Un cliente alle prime armi ha già iniziato a trasmettere il video dicendo:" Prima di tutto, ci sfregheremo l'alcool nelle nostre mani ", ha ricordato Clara. “Il secondo cliente, anche lui nuovo sulla piattaforma, mi ha detto che il suo momento feticista doveva essere sentire il rumore delle sue mani mentre si lavave. Così, ho portato la macchina fotografica in bagno e mi sono lavata le mani mentre lui ha lavato le sue dall'altra parte ”. Clara è assunta dalla piattaforma brasiliana Câmara Hot e ha notato un aumento dei suoi clienti nell'ultima settimana. Dice che guadagna, in media, da 200 reais a 250 reais. Questa settimana, con la quarantena, la fatturazione è salita a 500 reais. "Il numero di accessi è raddoppiato." La modella ha anche affermato che è emerso un feticcio che era stato ampiamente dimenticato: il costume da infermiera. "C'è stato un enorme aumento della domanda di persone che mi chiedono di vestirmi da infermiera, indossare un camice da laboratorio, legarmi i capelli e indossare maschere chirurgiche". La quarantena per prevenire il contagio da parte del coronavirus è già una realtà in diversi paesi, tra cui il Brasile - dove la misura ha iniziato ad essere adottata all'inizio di questa settimana, causando effetti devastanti sull'economia. Un'area meno ovvia, tuttavia, sta vivendo un boom nelle sue attività: l'industria cinematografica pornografica e gli spettacoli di camgirl privati, le ragazze che fanno spogliarello virtuale. I servizi sessuali virtuali stanno ricevendo un nuovo pubblico durante la quarantena, formato da giovani che in precedenza avevano un'alternativa al divertimento in bar, club e club. Ora, costretti a rimanere in casa, apparentemente hanno trovato nelle camgirl un'alternativa. Il sito per adulti PornHub ha recentemente riferito di avere avuto un aumento medio del pubblico del 5,7% dall'inizio dell'epidemia. In Italia, dove la situazione è più grave, l'incremento è stato del 57% il 18 marzo. In Brasile, con l'inizio della quarantena, quel numero è salito del 13,1% martedì scorso, 17. l dottore in comunicazione e semiotica presso PUC-SP Priscila Magossi, ideatore del progetto New Camming Perspective (volto ad aiutare le donne nella professione), pensa che sia ancora troppo presto per dire se c'è stato un aumento della domanda per il lavoro dei modelli. Ma crede che ci sarà una domanda maggiore, grazie alla partecipazione di un pubblico maschile più giovane. Il motivo è che il pubblico medio è composto da uomini sposati e, in quarantena, queste persone sono a casa con le loro donne. "Tutti faranno parte della famiglia, quindi non potranno nemmeno accedere ai siti, poiché la maggior parte sono sposati", ha analizzato. La limitazione dei ragazzi sposati può spiegare un fatto curioso. Il produttore cinematografico per adulti Brasileirin ha notato un anticipo da martedì: secondo Clayton Nunes, CEO della società di produzione, il numero di abbonamenti è aumentato del 70% rispetto alla settimana precedente. Ma questa crescita non ha comportato, almeno all'inizio, un aumento del pubblico. Il ricercatore Priscila ritiene che le camgirl brasiliane guadagneranno più denaro perché la maggior parte di loro lavora per piattaforme straniere che pagano in dollari - attualmente quotate sopra 5 reais. Poiché la quarantena è globale, l'aumento dei clienti è anche mondiale. "In termini operativi, questo è un momento molto strategico per questo mercato di investire nel marketing e incoraggiare i nuovi clienti a conoscere il settore, soprattutto se l'offerta non è focalizzata solo sul sesso online, ma sulla connessione e l'interattività tra modello / utente". Il sito web brasiliano Camera Hot, che conta circa 800 camgirl, ha rivelato che nel periodo dal 1 al 19 marzo si è registrato un aumento di quasi 300 mila visitatori rispetto allo stesso periodo del mese scorso. Anche il numero di nuovi utenti è aumentato, con circa 1.000 al giorno, con un aumento di quasi il 30% rispetto al mese precedente. Anche i ricavi dei modelli registrati sulla piattaforma sono aumentati del 25% e prevedono di battere il record delle vendite per marzo. Di questo importo, il 60% proviene da utenti abituali che trascorrono più tempo online e spendono più crediti. Sempre secondo il sito web, c'è stato anche un aumento del numero di camgirl registrate, con circa 20 donne al giorno, un aumento del 50% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Inoltre, è aumentato anche il numero di modelli online. Prima erano offline perché dovevano svolgere altri lavori, andare al college e allenarsi in palestra, tutte le attività sospese in quarantena. La camgirl Juliana Villegas ha visto un aumento della domanda, soprattutto da parte di studenti universitari. Per lei, la ragione è la mancanza di intrattenimento causata dalla quarantena. La scorsa settimana ha guadagnato 2000 reais e in passato, dopo la quarantena, ha già guadagnato 3.500 reais. "Sta pagando. È una grande opportunità per noi camgirl per ottenere maggiore visibilità ”. La modella Domme Crystal ha notato un aumento dei suoi clienti già da lunedì 16, ma non ha ancora calcolato quanto significasse in profitto. "Non ho ancora avuto un'idea di quanto siano aumentate le entrate, ma vale davvero la pena in periodi di pandemia e disoccupazione. Che mi piaccia o no, il mio lavoro non mi permette di avere un contatto fisico, quindi sento di essere fortunata a rimanerci senza esporsi al virus ”. La brasiliana Katherine, che vive in Italia, ha affermato di non notare un aumento dei brasiliani tra i suoi clienti, ma degli stranieri, in particolare dei giovani italiani. "Almeno il 90% dei clienti mi parla di coronavirus, principalmente perché vivo in Italia e voglio sapere come sto.
Barbara Costa per Dagospia il 23 marzo 2020. Il porno è fermo, la California è in quarantena, e le pornostar hanno una sola cosa in mente: non perdere la testa! Non perdere la concentrazione, per continuare a farlo il porno. E in che modo? Le case di produzione non lavorano, è vero, hanno sospeso tutti i film in corso, ma ci sono pornostar che non si arrendono, mettono il corpo in sicurezza ma non in stand-by. Non si fermano perché non si ferma il web, e pornano sì ma da sole, a casa loro, e si mettono nude, davanti a una telecamera, e il sesso se lo fanno da sé, per te, e ti postano le performance, oppure si "trasformano" in cam-girl o, se già sono cam-girl, aumentano il lavoro, fanno lo straordinario, e gli spettatori non mancano. Ovvio, si sta a casa, a proteggere se stessi e gli altri, e a intontirsi di seghe, e va bene sfogarsi coi video porno, ma una porno-cam-girl è pure meglio, si paga online, in anonimato, quindi, ricarica la carta e svuotala, insieme ai tuoi "gioielli". Dava Foxx, Aria Khaide, la milf curvy Dee Siren sono tra le pornostar che ti danno appuntamento dal vivo, in cam, sui loro siti e altre, nuove, e calde, le trovi ogni giorno su siti come "Flirt4Free", che apre i suoi spazi cam pure a ballerine e alle performer di strip-club rimaste coi vestiti addosso e senza voyeur allupati, causa chiusura locali. Il porno non si arrende, è sospeso ma non rimane a guardare, è oltre perché già pensa al domani, al post-coronavirus: quelli di "Alt Erotic", famosi e alternativi produttori porno (in questi giorni pazzi registrano il loro record di visualizzazioni, più di 3 milioni ora che scrivo) stanno per lanciare un nuovo sito, dove vogliono metterci nuove star, cioè nuovi talenti che stanno cercando e… non è che potresti essere tu? Chiunque voglia provarci, non ha che da esibirsi a casa, in cam, in movenze sconce, e denudarsi, toccarsi, orgasmare, e spedire il video. Vanno bene show casalinghi softcore, ma pure hardcore (è gradito l’uso e l’"abuso" di sex-toys). Guarda che non è uno scherzo, quelli di "Alt Erotic" sono tra i migliori, quest’anno si sono portati a casa 3 Oscar Porno, e se ti scelgono, passato 'sto casino, avrai di che pornare! Se invece sei una cam-girl, e vuoi dare una seria porno-mano, non hai che da contattare Kavita Ilona Nayar, dottoranda alla Massachusetts University, che sta cercando cam-girl di tutto il mondo per una sua inchiesta sul fenomeno. Kavita dice che le interviste in remoto che fa le paga: sono spiccioli, ma tant’è, in questi giorni, che cavolo hai di meglio da fare? I pornostar di professione stanno a casa, hanno i loro grattacapi, che, vedi un po’, sono gli stessi della gente "normale": ai porno attori inattivi causa coronavirus spettano o no i 1000 dollari a testa promessi da Trump? Gli attori porno sono a tutti gli effetti liberi professionisti, e anche loro hanno mutui, bollette, affitti, rate da pagare. Hanno famiglie. Come ce l’hanno tutte le brave mignotte e i bravi mignotti regolari. I bordelli sono chiusi, ma dove la prostituzione è legale, è un lavoro come un altro, sì o no? "Hustler Production" ha chiuso set, negozi, casinò: Larry Flynt promette che stipendierà i suoi dipendenti mandati a casa, senza decurtazioni: Flynt è una luce in mezzo al buio. Un’eccezione di generosità, un mix di buon senso e buon cuore (e immensa disponibilità economica). Steven Grooby, CEO di "Grooby.com", il più grande sito di porno trans, viene incontro ai golosi di trans: streaming e abbonamento al ribasso, anche del 50%, ed è gratis l’accesso al suo archivio di trans prelibatezze (41mila video!). Ma c’è pure chi, nel porno, con il coronavirus, non smette di lavorare e le sue giornate non sono cambiate: sono gli impiegati del porno che non fanno porno bensì lo governano, lo gestiscono, ne fanno marketing, lo fanno andare avanti: queste persone non hanno mai avuto un ufficio, lavorano in remoto da sempre, e per loro è cambiato niente, se non il fatto che, per l’e-commerce, avvisano ritardi di consegna. Alcuni imprenditori di sex-toys paventano un calo della produzione nei prossimi 3 mesi, perché quasi tutto il materiale è made in China. Hanno i magazzini pieni di scorte e, calcolando che non tutte le fabbriche cinesi si sono fermate per il coronavirus, sperano in contraccolpi non eccessivi. E con le scuole chiuse, gli attori porno si affannano tra figli da far studiare e svagare, come la gran parte di voi (io figli non ne ho). Al tempo stesso puliscono casa (colf out!), si mantengono in forma tra le pareti domestiche (le palestre sono chiuse). I più benestanti hanno ville con piscina, e stanno in panciolle al sole aspettando che passi la nuttata. E tutti quanti si annoiano: nella doverosa, essenziale quarantena passano il tempo cucinando, con Netflix, scopando il partner se ce l’hanno e non gli dà troppo sui nervi. Ma quante volte ve l’ho scritto che il mondo del porno è buono e stronzo come qualsiasi altro settore lavorativo, e che chi ci lavora, è buono e stronzo come qualsiasi vostro collega?
Barbara Costa per Dagospia il 16 marzo 2020. Ferma tutto! Almeno in Europa, l’hanno capito, che è una guerra, siamo in guerra, e non c’è niente da scherzare, e le case di produzione di porno europeo sono ferme o si stanno fermando. Rocco Siffredi è fermo da due mesi, Valentina Nappi si posta in quarantena (e lo annuncia mostrando i piedini su Instagram mandando in delirio i suoi fan feticisti già pornograficamente in astinenza), Malena posta catene di solidarietà a favore di medici e infermieri, e quel mattacchione di Max Felicitas fa video in cui ci "insegna" come fare una vagina finta, di plastica, funzionante, per davvero, ci puoi infilare il pene e scopartela, in quarantena farti e goderti tutte le seghe che vuoi, e questo giocattolino del sesso secondo lui te lo fai col fiato e con poche mosse: ti serve solo un guanto di plastica! Negli Stati Uniti, la Free Speech Coalition (FSC), l’associazione che riunisce i boss di film per adulti, ha chiesto la chiusura – su base volontaria – di tutti i lavori porno in corso fino al 31 marzo. Larry Flynt, porno-padrone di Hustler, ha già chiuso casinò e produzioni. E in California, a San Fernando Valley, Los Angeles, dove si gira la maggior parte del porno americano che vedi gratis in rete grazie all’iniziativa di Pornhub, che dà video a sbafo a noi tappati in casa – a fare il nostro dovere! – che faranno? Si fermeranno, sì o no? Ti assicuro che il mondo del porno è in allarme, è nervoso, è in allerta: prima del comunicato FSC, per paura del coronavirus, non si era fermato, ma aveva limitato le produzioni. Non è che lì sono incauti, o sprovveduti, è che lì la scelta – come ribadisce anche la FSC – è affidata alla decisione individuale. Continuare a girare, lo dico subito, per me è la cosa più pazza, suicida che si possa fare, ma io ragiono da italiana, e in America è diverso, la questione si fa complessa, complicata. Leggo sul The Daily Beast interviste ad alcuni tra i maggiori boss del porno, tra cui Bree Mills, capo di Adult Time: dicono che sono in allarme ma fino a un certo punto, perché il porno ha già affrontato gravissimi problemi di salute pubblica, ha già fatto quarantene, controlli a tappeto, deciso la sua serrata totale. Insomma, sa come muoversi, e ancora meglio di quando fu costretto a fermarsi nel 2013, per dei casi di sifilide, o nel 2004, davanti a due casi di HIV, che decretarono lo stop, e la messa in quarantena di tutti, attori, maestranze, chiunque, ma anche il controllo più a tappeto messo in azione, perché il porno ha una capacità di reazione sì testata, il porno sa cosa e come fare, e quelle volte in passato, quelle serrate di 30 giorni, l’hanno fatto rinascere come e meglio di prima. Allora non ricominciarono a pornare fino a che tutti non furono iper-testati e risultati puliti. Test che non erano avanzati come quelli di cui si serve il porno oggi. E però, negli USA c’è quest’altro, enorme problema: i controlli, il tampone, chi li paga? Gli attori porno sono liberi professionisti, non tutti e non tutti allo stesso livello sono entrati in regime di "nuova sanità" tramite stipulazione di assicurazioni private come pasticciosamente decretato da Obama e modificato da Trump. Gli attori non hanno aiuti se smettono di lavorare, non ci sono ammortizzatori, né sostegni statali, o salvataggi governativi di alcun tipo, a meno che non vengano approntati in questo eccezionale periodo di emergenza. E come loro i registi, chiunque lavori nel porno. Un attore porno è il suo corpo, deve fare esclusivo affidamento su di esso e su se stesso: così non è infrequente che si presenti sul set col raffreddore. Che fare se invece di una semplice, conosciuta influenza, sta coronavizzato? Fermate tutto, e va pur detto che se il mondo fosse un set porno, non saremmo davvero sotto minaccia di virus, e questo perché i set porno sono igienizzati, sterilizzati come una sala operatoria. Fonti interne al mondo del porno americano assicurano che, causa coronavirus, i set sono ancora più controllati e disinfettati, ma può bastare? Ormai lo sappiamo tutti, che questo virus maledetto si trasmette con le goccioline di muco e saliva, come si può su un set stare a pornare sicuri? Eppure c’è chi in America si è già fermato, lo ha deciso di suo, e queste sono le star che non hanno problemi economici: certo, rinunciano a entrate notevoli, ma non necessarie alla loro sopravvivenza come per tanta parte dei loro colleghi. Superstar come Tasha Reign, che è ferma per modo di dire, nel senso che ha "spostato" il suo corpo nudo e bollente sui suoi canali social; ci sono altre sue colleghe che hanno deciso di porno-esibirsi solo via cam; altre che sparano porno, ma solista, cioè da sole, a toccarsi, leccarsi, masturbarsi a più non posso, in clip personalizzate, presenti soltanto sui loro siti. Fermarsi, lavorare esclusivamente da sé e per sé, significa rinunciare a tanti soldi. Soldi che sono già sfumati per tutte le fiere, convention, show del porno che sono stati rimandati a data da destinarsi. E ci sono case di produzioni americane che hanno vietato spostamenti di attori in Europa, ma pure da uno stato americano all’altro, concentrato le scene da girare in pochi set, e set più piccoli, e poche scene, e non scene di orge e ammucchiate varie, set su cui si presentano a pornare attori sempre gli stessi e che abitano nelle vicinanze. Servirà? Basterà? Io dico di no, io dico fermate tutto. Ci rifaremo.
· Quarantena e sesso.
DAGONEWS il 16 maggio 2020. I bambini non vanno a scuola e sono sempre a casa o il tuo coinquilino è nella stanza accanto e voi non riuscite mai a trovare un attimo per dedicarvi alla vostra intimità. La pandemia sta mettendo a dura prova le coppie che in molti casi si sentono privati dell’unico piacere della vita. Ma non bisogna rinunciare al sesso, solo inventarsi dei modi per godere sfuggendo alla sguardo indiscreto di pargoli e coinquilini. Seguite i consigli della sexperta Tracey Cox che svela i posti migliori della casa per trombare in santa pace.
Camera da letto. Se avete bambini che possono piombare in stanza in qualsiasi momento bisogna trovare una posizione che possa facilmente essere interrotta. Il sesso a cucchiaio è scontato, lo avrete fatto decine di volte. Provate questo: la donna si sdraia sullo stomaco con le gambe chiuse e fa penetrare il compagno da dietro. Stimola il clitoride con le dita. È facile raggiungere l’orgasmo in questa posizione per entrambi. E se dovesse entrare qualcuno lui può sempre rotolare via con facilità.
Aiutati con l’armadio. Aperta un’anta la donna può piegarsi in avanti e far penetrare il compagno da dietro. L’anta consentirà di non essere visti in caso di irruzioni improvvise.
Sul divano. Accendi la tv e prendi una coperta. Fai sedere il tuo compagno e siedi su di lui lasciandoti penetrare da dietro. Funziona meglio se indossi una gonna o un vestito senza mutande. Bilanciati con gambe e tenete entrambi i piedi sul pavimento.
In bagno. Apri la doccia per dissimulare e siediti sul lavandino e allarga le cosce e lascia che il tuo lui ti penetri, tenendoti per i fianchi. Puoi anche utilizzare un vibratore per stimolare il clitoride.
In doccia. Il bagno è spesso l'unica stanza della casa che ha una serratura: lui può fingere di radersi mentre potete fare una bagno o una doccia insieme. Se la donna sta in piedi può piegarsi in avanti, poggiare una gamba sul bordo della vasca e può poggiarsi contro il muro. Lui entrerà da dietro.
Se non avete problemi di privacy potete sempre sperimentare posizioni nuove. Si può provare il “missionario al contrario”. O qualcuno stranezza che stimoli la fantasia.
Fabio Di Todaro per "lastampa.it" l'8 maggio 2020. In molti, nelle ultime settimane, si sono posti una domanda. «È possibile che il lockdown permetta all’Italia di registrare un aumento delle nascite all’inizio del 2021?». Una supposizione nata dalla presa di coscienza che negli ultimi due mesi le coppie stabili, in molti casi impossibilitate ad andare al lavoro e a muoversi al di fuori delle mura domestiche, abbiano avuto tutto il tempo per dedicarsi all’intimità. E, se desiderata, alla ricerca di una gravidanza. Ma se per avere piena contezza di quale potrà essere l’effetto della quarantena sulla natalità occorrerà attendere l’inizio del nuovo anno, le prime informazioni che giungono dalla comunità scientifica non lasciano supporre un boom di neonati determinato dal coronavirus. Anzi.
Il coronavirus non farà aumentare le nascite. Il lockdown non ha fatto crescere il desiderio dei giovani italiani di diventare mamme e papà. Lo testimoniano i dati di una ricerca condotta da un gruppo di ginecologi (Maria Elisabetta Coccia ed Elisabetta Micelli) e urologi (Marco Carini, Alessandro Natali, Gianmartin Cito, Andrea Cocci, Andrea Minervini e Giorgio Ivan Russo) delle Università di Firenze e Catania. Dal lavoro, pubblicato sul «Journal of Psychosomatic Obstetrics and Gynecology» con in calce anche la firma di una sessuologa (Gaia Polloni), si evince che oltre 8 italiani su 10 che prima della pandemia non erano alla ricerca di un figlio, non si sono lasciati «tentare» dal periodo di isolamento. Lo studio, realizzato tra il 23 e il 29 marzo, è consistito nell’intervistare un campione di oltre 1.400 connazionali (18-46 anni) con una relazione stabile da oltre un anno. Obbiettivo: valutare l’impatto della pandemia sul desiderio di genitorialità. L’ipotesi di uno possibile incremento non ha trovato conferma nei dati e smonta la speranza che la lunga reclusione forzata abbia rappresentato il prodromo di un aumento delle nascite. Oltre a questo, c'è un'ulteriore informazione che fa riflettere. Più di un terzo di coloro che stavano pianificando l’allargamento della famiglia prima dell'arrivo del coronavirus, ha dichiarato di voler ripensarci: soprattutto in considerazione delle possibili difficoltà economiche susseguenti alla crisi sanitaria e per timore del contagio nel corso della gravidanza.
La quarantena «pesa» sul benessere psicologico. «L’impatto della quarantena sulla salute mentale delle coppie rischia di essere molto preoccupante - afferma Elisabetta Micelli, ginecologa del Centro di procreazione medicalmente assistita dell'azienda ospedaliero-universitaria Careggi di Firenze -. Prima della pandemia, la maggior parte degli intervistati viveva in una situazione di benessere psicologico, ridottosi progressivamente con l'acuirsi dell'emergenza». Un’involuzione che, secondo i ricercatori, ha condizionato il pensiero in merito alla possibilità che uomini e donne hanno avuto per provare a mettere al mondo un bambino. A fronte di queste informazioni, dal lavoro si evince però anche qualche timido segnale in direzione opposta. «L’11.5 per cento degli intervistati ha maturato l’idea di diventare mamma o papà nel corso della quarantena», dichiara Gianmartin Cito, urologo anch'egli dell’azienda ospedaliera toscana. Un desiderio rilevato perlopiù tra le donne che, stando a quanto riferito, erano soprattutto alla ricerca di «una svolta per la propria vita», oltre che di «positività», in un periodo di per sé complesso. Detto ciò, soltanto il 4.3 per cento di loro ha cercato effettivamente di rimanere incinta in questo periodo.
Quale orizzonte per l’Italia? Commentando i risultati dello studio, «non è noto se questi comporteranno una sostanziale modifica del tasso di natalità nel prossimo futuro», affermano gli autori all'unisono. Quel che si può dire, però, è che le premesse non paiono incoraggianti e sembrano confermare le preoccupazioni esternate ieri dal ministro della Famiglia Elena Bonetti e dalla Società Italiana di Psichiatria, che segnala «un forte aumento della richiesta di aiuto da parte della popolazione» e ricorda come «senza salute mentale non possa esserci una ripresa completa». Un passaggio che appare necessario anche se si vuole vedere crescere il numero di neonati del nostro Paese, che nel 2018 è stato con quello con il tasso di natalità più basso (7.3 per mille) dell’Unione Europea.
Valeria Randone per "lastampa.it" il 7 maggio 2020. Un danno si impossessa del corpo. Lentamente ma in maniera pervasiva colonizza anche la mente. Prosegue e non si arresta: da acuto diventa cronico. Invade le abitudini e i rituali quotidiani. Diventa la sgradevole presenza al risveglio, il compagno di banco di tutte le giornate, senza mai assentarsi, nemmeno durante i giorni rossi, rimbocca le coperte con la sua sintomatologia prima di andare a letto. Stiamo parlando delle malattie croniche. Quelle malattie che non guariscono, che si attenuano ma poi ritornano e che obbligano chi le ospita a imparare a convivere con loro e con le loro cure. La qualità di vita di chi ha una malattia cronica viene disturbata sino ad essere del tutto compromessa, in funzione del grado di gravità e stadio della malattia e dell’impatto dei farmaci. Senza mai tralasciare l’organo compromesso, con il suo simbolismo e funzionalità.
Il dolore danneggia anche la sessualità: ambito estremamente delicato, facilmente esposto all’erosione da dolore cronico. Malessere fisico e sesso sono l’uno il contraltare dell’altro. Quando c’è il primo è complesso che ci sia il secondo, e viceversa. Quando una coppia si attarda tra le lenzuola sarebbe opportuno che nessuno dei due stesse male.
Piacere e dolore. Il rapporto tra piacere e dolore è complesso e controverso. C’è chi sostiene che la sessualità aiutata a stare bene, e chi invece ritiene che stando male non si può fare l’amore. Il rilascio di endorfine in fase post-orgasmica dovrebbe rappresentare un balsamo per le ferite del corpo e del cuore, e funzionare come un antidolorifico a lento rilascio: stemperare il dolore e migliorare l’umore. Esiste però un “prima” di cui siamo obbligati ad occuparci. Per giungere alla fase conclusiva del rapporto sessuale bisogna partire da lontano, da molto lontano. Il partner ammalato, colui che convive con un dolore cronico e con possibili limitazioni dei movimenti, come nel caso dell’artrosi o artrite reumatoide, non ha uno spazio mentale consono alla dimensione del piacere.
Il partner ammalato stenta a prendere l’iniziativa, a pensarsi sessuato e seduttivo, in realtà, avrebbe soltanto voglia di non stare male. Di non assumere quella bustina, di non dover fare quella puntura o doversi recare in ospedale per gli abituali controlli, di non dover assumere quella posizione antalgica e quella pozione magica per non sentire tropo dolore. Nella scala di priorità la sessualità fatta di scambio e di gioco, e non di obbligo domestico, sembra essersi trasferita alla fine della lista.
“In salute e in malattia”, siamo davvero certi che sia così? Avrò cura di te. Cosa fare? Quando una malattia cronica si impossessa di un membro della coppia, lo trascina in un vortice di sofferenza e disagio, soprattutto senza fine. Scompagina ogni equilibrio di quella coppia e ha una ricaduta sulla sfera della sessualità. Un partner ammalato, talvolta, per paura di smarrire il coniuge e per paura di poter essere tradito, si concede. Lo fa per dovere, non per piacere. Lo fa con il calendario alla mano: valuta quanti giorni sono trascorsi e si concede.
Il rapporto sessuale si svuota di significato, della sua indispensabile dimensione ludica e di scambio, di reciprocità e di desiderio.
La paura del protrarsi della malattia prende il sopravvento su tutto, e il desiderio sessuale si estingue, con ovvie ricadute a cascata sulla funzionalità della risposta sessuale. Se uno dei due protagonisti della coppia sta male, ha un dolore cronico da malattia cronica che impenna come un cavallo imbizzarrito durante le stagioni difficili della vita, quando cambia il tempo, quando lo stress prende il sopravvento sul quotidiano e sulle emozioni residue, l’altro dovrebbe cercare di supportarlo, non soltanto di sopportarlo.
La sessualità, soprattutto in questi casi, parte da lontano, dalla dolcezza e dalla cura. Dalle attenzioni e dallo spazio per l’altro. Il dialogo, in situazioni difficili e dolorose, diventa la strada maestra da poter imboccare per evitare un clima di litigiosità e un possibile processo separativo.
Un corpo ammalato, immagine corporea e sessualità. L’immagine corporea di un partner ammalato cambia e fluttua in funzione della malattia e dell’organo (o organi) compromessi: sono presenti segni visibili e invalidanti, altri invisibili e profondi, altri ancora che dal corpo si spostano alla psiche o viceversa (come nel caso di depressione cronica). Le reazioni emotive e le risorse psichiche cambiano da persona a persona, dalla capacità o incapacità adattiva nei confronti della malattia, dalle strategie di coping - per coping si intende l’insieme dei meccanismi di adattamento messi in atto dal paziente per far fronte alle nuove emergenze da malattia -, dalla sua accettazione o meno dei sintomi. Dalla qualità del rapporto di coppia, dalla rete di supporto familiare o sociale, dal supporto psicologico. Il legame con il partner cambia per contenuti e significati. Prende il sopravvento il bisogno di attenzione e di tenerezza, il bisogno di conferme rispetto alla nuova immagine corporea, tra mutilazioni e riparazioni, il bisogno di sensualità piuttosto che di sessualità. Il nuovo corpo ferito dalla convivenza con la malattia viene risarcito da uno sguardo empatico, amorevole e contenitivo del compagno di vita. Le cicatrici, visibili o invisibili, del corpo e dell’anima, che hanno contribuito a creare un’immagine corporea frammentata, possono essere rese meno drammatiche grazie a un legame empatico e profondo con il partner; nei casi più severi da aiuti psicologici mirati.
Come riaccendere il desiderio. Le malattie croniche, qualunque esse siano, per evitare che diventino un terremoto per la stabilità di coppia, hanno bisogno dell’aiuto di entrambi i partner: quello ammalato e quello sano. È utile che il partner sano provi ad avere con il partner ammalato un approccio meno esigente e più affettuoso, in modo da consentire un recupero graduale del desiderio sessuale profanato dalla presenza del dolore. E che il partner ammalato glielo consenta.
Un altro elemento di fondamentale importanza è il dialogo. La negazione della malattia e delle angosce ad essa associate, unitamente alla rimozione di quanto accaduto, sono due potenti meccanismi di difesa della psiche, che in questi casi andrebbero analizzati e raggirati. Un dialogo autentico, affettuoso e rassicurante aiuta il partner ammalato a sentirsi a suo agio tra le braccia, anche mentali, del coniuge; a spostare lo sguardo dai segni della malattia alla possibilità di emozionarsi, di desiderare e di essere ancora desiderato.
Anche il partner sano, però, è a rischio di burn out e di conseguente usura emotiva. Quando il ruolo di caregiver - di chi si prende cura - si protrae nel tempo, anche il partner accudente può andare in contro al rischio di usura emozionale e psico-fisica. Dovrà, quindi, compatibilmente con tutto, ritagliarsi uno spazio per sé: senza sensi di colpa o un eccessivo senso del dovere. Un iper accudimento all’interno della coppia porta con sé il rischio di un depauperamento del desiderio sessuale e dell’erotismo. Quindi, la cura fisica e psichica di chi sta cronicamente male dovrebbe essere suddivisa, ove possibile, tra il partner e le altre figure di riferimento. Alcune patologie psichiche o psichiatriche croniche, silenti e invalidanti, oltre a quelle meramente organiche, diventano un tarlo usurante per il paziente e la sua la coppia. Averne cura e rispetto equivale a non imboccare i vicoli bui della sofferenza, della solitudine e della crisi di coppia. Anche chi vive intrappolato dentro la gabbia di una malattia cronica può guardare fuori ed evitare di vivere in una condizione cronica di anestesia emozionale e sensoriale.
Stefania Piras per "ilmessaggero.it" il 4 maggio 2020. Coronavirus Attività motoria sì, no, ma il sesso? Sì o no? Le coppie che hanno un'intimità e che hanno osservato insieme la quarantena possono lasciarsi andare ma con cautela (standard igienici più alti del normale). Anche quelle che non sono state confinate insieme possono ma con molta più prudenza e con le protezioni che si userebbero se non si conosce il partner, quindi con il preservativo. Niente sesso selvaggio, dice il direttore dell'Istituto andaluso di Sessuologia Francisco Cabello. E non crediate che siano posizioni o pratiche strane.ù Il sessuologo di Màlaga dice che bisogna limitare i baci francesi, con la lingua, ed evitare il faccia a faccia. Solo baci stampati sulle labbra. Perché il contatto umano deve comunque proteggersi dalle goccioline di saliva che potrebbero essere contagiose. Capito perché il bacio appassionato non si può? Perché nella saliva, e in alcuni casi anche nei liquidi biologici (è stato riscontrato nei testicoli e nei liquidi femminili), potrebbe esserci un'alta concentrazione di virus. Motivo per il quale esclude il sesso orale e quello anale, per esempio. Cabello in un colloquio con il quotidiano La Vanguardia stila un decalogo dei comportamenti che si possono tenere e quelli proibiti. E diciamo che sono molti di più i secondi. E per chi lavora in prima linea negli ospedali, tutto il giorno a contatto con il virus? Come può rilassarsi nell'intimità? La risposta del dottor Cabello è diretta: «Raccontatevi fantasie erotiche, datevi al sesso online oppure all'autoerotismo, se siete vicini mantenete però la distanza». Grandissima attenzione, infine, quando si decide di consumare un rapporto con una persona nuova. «Può essere pericoloso, soprattutto per i giovani che sono più incoscienti da questo punto di vista», ricorda Cabello. «L'ideale sarebbe sapere se quella persona ha già eseguito un test per essere certi», dice Cabello. E anche così la certezza, ricordate, non è mai matematica visto che i test non danno risposte esatte al 100%. Il test può dare esito negativo o positivo ma potremmo essere in presenza di falsi negativi e viceversa. In sintesi: i rischi maggiori sono nella saliva e nelle persone nuove che non si conoscono quando si decide di fare sesso. Dunque, si potrebbe aspettare quindici giorni dopo aver deciso di andare più in là del bacio e vedere se appaioni sintomi. Poi, lasciarsi andare sperando di non essere incappati in un asintomatico. Tempi duri, insomma, per i contatti ravvicinati e il corpo in libertà.
Da nonelaradio.it il 2 maggio 2020. Coronavirus, «Si può fare sesso?» e «La mascherina serve a evitare il contagio durante il rapporto?». Sono alcune delle domande, oltre 1.000, arrivate agli esperti della Società italiana di andrologia (Sia).0 «Già moltissimi italiani si sono rivolti a noi per chiedere aiuto e consigli: la maggior parte ci chiede se e con chi si può fare sesso e se la mascherina serva a evitare il contagio – spiega Alessandro Palmieri, presidente Sia. Sebbene il contagio non avvenga sessualmente, il rapporto implica, ovviamente, una vicinanza fisica che amplifica la possibilità di contagio perché il coronavirus si trasmette con azioni connesse al rapporto sessuale, come baci e respiri preliminari. Il rischio nell’attività sessuale è dunque simile a quello del contagio entrando in contatto con le persone – chiarisce il presidente – e il partner più sicuro è chi condivide l’isolamento forzato, a meno che non ci sia un comprovato o un alto sospetto di contagio, e non serve la mascherina». «Via libera ai rapporti sessuali se non si è Covid positivi – continua Palmieri – ma bisogna astenersi se uno dei due ha contratto il virus o se ha lievi sintomi e una condizione clinica che potrebbe portare a un’infezione più grave, come malattie polmonari o cardiache, ipertensione, diabete, tumori o un sistema immunitario compromesso. Se uno dei due partner ha contratto Sars-CoV-2, inoltre, è bene aspettare la certezza di non contagiare prima di riprendere l’attività sessuale. L’attuale situazione crea ansia e preoccupazione per la propria salute e quella dei propri cari, emozioni che non sono affatto amiche di una sessualità soddisfacente. Il consiglio è quello di rilassarsi magari riscoprendo l’intimità con il proprio partner».
Da ilriformista.it il 2 maggio 2020. Voleva essere un tentativo di battuta, ne è uscita una dichiarazione da censura totale. Protagonista è Fabio Tuiach, consigliere comunale di Trieste non nuovo a sparate deliranti. Eletto con la Lega e poi passato a Forza Nuova e quindi come indipendente, venne allontanato dal Carroccio dopo aver detto che “il femminicidio non esiste” e che è una “invenzione della sinistra”. Nei giorni scorsi l’ultima, incredibile, provocazione. L’ex pugile su Facebook in un post ha scritto che proporrà una “mozione per multare le moglie con il mal di testa”. Il riferimento è alla prime parte della sua dichiarazione, in cui Tuiach ‘ironizza’ sul lockdown: “Comunque – scrive il consigliere – da questa dura situazione così stressante credo che si salveranno quelli che reciteranno il rosario avendo un benessere spirituale, ma anche quelli che avranno una sana attività sessuale”. Per questo Tuiach propone multe per le donne che rifiutano di fare sesso con i propri mariti/compagni. Come denunciato da Anna Rita Leonardi, attivista di Italia Viva che ha un blog sul Riformista, Tuiach “vorrebbe di fatto legalizzare lo stupro coniugale. Ecco, gentaglia come lui non solo non dovrebbe sedere nelle nostre istituzioni democratiche, ma non dovrebbe nemmeno essere definito un essere umano”. “Fabio #Tuiach, consigliere comunale cattonazista di Trieste, eletto con la Lega, poi passato a FN ed oggi al gruppo misto, vuole istituire il “reato di rifiuto di rapporto sessuale da parte della moglie”.
Vorrebbe, di fatto, legalizzare lo stupro coniugale. Tuiach era diventato già tristemente noto per aver definito Maometto “un pedofilo”. Lo scorso novembre, durante una discussione del consiglio comunale di Trieste sul voto al conferimento della cittadinanza onoraria a Liliana Segre, era quindi intervenuto spiegando di volersi astenere perché da cattolico si era sentito offeso fatto che la senatrice a vita Segre avesse ricordato che Gesù era ebreo e che fu ucciso dagli ebrei.
Dagospia il 2 maggio 2020. Da “Radio Cusano Campus”. La sessuologa Rosamaria Spina è intervenuta ai microfoni del programma di Andrea Lupoli, "Genetica Oggi", in onda su Radio Cusano Campus, riguardo il tema del sesso nella fase due. "Il sexting che molte coppie in questo periodo hanno fatto è stato un modo per anticipare quello che desidereranno mettere in atto con la fase 2 Il sexting infatti dopo tempo può risultare noioso se non c'è modo di mettere in pratica quello che ci si scrive o che ci si scambia con foto e video -ha affermato Spina-. Per tutte le coppie è stato un sacrificio non da poco questo lungo periodo costretti in casa. Qualcosa che, fra i tanti disagi, ha portato anche ad una vera e propria astinenza sessuale forzata, che sappiamo bene che a livello psicologico ha i suoi effetti fortemente negativi perché non è una scelta ma un obbligo imposto." "Recuperare una sessualità attiva, dopo uno stop di oltre 50 giorni, non è cosa immediata. E' facile lasciarsi andare troppo alla foga e non essere all'altezza della situazione rischiando la defaillance sia da un punto di vista fisico, con una mancata erezione o una eiaculazione precoce, si da un punto di vista di desiderio." "Potremmo quindi aspettarci, nella fase due, un'impennata delle eiaculazioni precoci e delle disfunzioni erettili. Non facciamone un dramma e accettiamo di recuperare lentamente la propria sessualità e la propria intimità perduta". "Nella fase 2 si potranno incontrare i parenti come cugine e zie (o cugini e zii) figure che rappresentano il sogno erotico di molti nipoti o di molti cugini. E' una cosa più comune di quello che si pensa e spesso causa un disagio anche molto forte a livello psicologico perché chi ha questa fantasia erotica spesso pensa poi di essere malato. Non è così, la fantasia è una fantasia e non ha nulla di sbagliato e può essere coltivata in libertà. Oggi poi le zie non sono più quelle di un tempo ma sono particolarmente attraenti e curate e nell'immaginario erotico suscitano una grande attrazione". "Nella fase 2 si potrebbe creare questo tipo di desiderio nei confronti di zie o cugine, passare però all'atto concreto, l'incesto, in Italia è illegale. L'azione poi è un desiderio che ha bisogno anche della disponibilità dell'altra persona, una zia in questo caso, consenziente cosa che rende questo tipo di fantasia difficilmente realizzabile." "Per i cugini il discorso è diverso perché un po' la storia della sessuologia ci ricorda come fra cugini ci possano essere delle vicinanze sessuali. Questo perché il rapporto con i pari serve per un scoperta del proprio corpo e anche un po' delle proprie pulsioni. Spesso è la prima forma che viene messa in atto di scoperta di se e della propria sessualità. Con il tempo si tende a rimuoverla e i familiari tendono ad evitare ci siano contatti di questo tipo. I contatti fisici fra cugini, non sempre penetrativi, sono molto più frequenti di quanto si pensi. In questa fase poi potrebbero essercene ancora di più di questi contatti, con una esplorazione corporea delle zone erogene e delle zone erogene del proprio parente appunto. Non solo sessuale ma esplorativo, quasi una sorta di educazione sessuale fra cugini." "Alcuni miei pazienti in terapia mi riportano di situazioni di questo tipo con un forte senso di colpa successivo. Pazienti che avevano avuto contatti fisici fra cugini e cugine, delle volte anche dello stesso sesso, e di una età simile. Il gioco del dottore è un gioco di esplorazione che molto spesso viene messo in pratica fra cugini in occasioni di ritrovo."
Come cambierà il sesso nella Fase 2? Il parere della sessuologa. Sheila Khan il 2 maggio 2020 su Notizie.it. Sesso e Fase 2: cosa succederà? La sessuologa Rosamaria Spina spiega cosa aspettarsi e come comportarsi nella sfera privata. Dal lunedì 4 maggio sarà possibile andare a trovare i propri congiunti. In un primo momento questa terminologia ha destato polemiche, perché sembravano rientrare solo i parenti. Il Governo ha poi specificato che con il termine congiunto si indicano anche gli affetti stabili. Quindi sarà possibile per le coppie rimaste separate durante la quarantena rivedersi. Come cambierà il sesso nella Fase 2? Risponde la sessuologa Rosamaria Spina. La sessuologa Rosamaria Spina, in un intervento a Radio Cusano Campus, è intervenuta per parlare del tema del sesso durante e dopo la quarantena. Per molte coppie infatti il lockdown ha significato vivere distanti ed essere costretti a un’astinenza sessuale forzata. “Per tutte le coppie è stato un sacrificio non da poco questo lungo periodo costretti in casa. Qualcosa che, fra i tanti disagi, ha portato anche ad una vera e propria astinenza sessuale forzata, che sappiamo bene che a livello psicologico ha i suoi effetti fortemente negativi perché non è una scelta ma un obbligo imposto”, ha detto la sessuologa. La Dott.ssa Rosamaria Spina rassicura sul fatto che recuperare una sessualità attiva dopo 50 e più giorni di stop non è scontato. Per questo saranno possibili defaillances a livello fisico (con eiaculazioni precoci o disfunzioni erettili), che a livello di desiderio. Ma non bisogna farne un dramma: è importante recuperare la propria sfera sessuale, ognuno con i propri tempi. Il dialogo con il proprio partner è fondamentale in questa fase, perché consente di esprimere disagi o desideri che possono interferire con la vita di coppia.
Mauro Cosmai, Psicoanalista-Sessuologo. per “Libero quotidiano” il 14 aprile 2020. Uomini e donne, senza distinzioni, stanno diventando sempre più gelosi o sospettosi non tanto per amanti in carne e ossa quanto per un sesso virtuale messo generosamente a disposizione dalle nuove tecnologie. Sembrano ormai preistoria i tempi in cui i cinema che proiettavano pellicole erotiche e pornografiche erano affollati, e lontanissimi anche i tempi in cui si affittavano o acquistavano i film "proibiti" dopo aver visionato le lunghe teorie di titoli che si snodavano sugli scaffali dei sexy-shop, che peraltro resistono ancora grazie ad abbigliamento e oggettistica sempre in tema. Oggi di conseguenza non c' è più bisogno di postarsi e spostarsi fisicamente, di entrare furtivi in taluni negozi evitando gli sguardi degli altri e guadagnando l' uscita appena possibile. Oggi si può fare tutto a domicilio, rifugiandosi nel proprio angolo e cercando di eludere la comparsa inaspettata del partner che sbuca all' improvviso cogliendo sul fatto il fedifrago virtuale. La sessualità, essenzialmente mentale, abbisogna di continui stimoli, per cui si spiega come pur perdurando l' amore fra due persone l' attrazione sessuale tenda nel tempo a sbiadirsi, a scomparire, pur non causando necessariamente separazioni. Il sesso a portata di mano non è più, a questo punto, il sempre bistrattato e incompreso autoerotismo (la masturbazione) bensì un piccolo schermo, defilato e complice, che riesce però a materializzare in ben altro modo le fantasie sessuali più recondite, quelle che un tempo si inseguivano sulle riviste, nei libri proibiti, nelle fotografie osé e quant' altro poteva permettere ogni epoca. È chiaro che la facile proposta di partner sempre più avvenenti può indurre a riflettere sulle oggettive qualità del proprio partner, ma in questi casi gioca la quantità più che la qualità. Il bombardamento è massiccio, le offerte innumerevoli, le immagini sempre più provocanti e la coazione a ripetere incontrollabile mentre le scenate di gelosia del partner tradito elettronicamente possono essere altrettanto violente rispetto a quelle legate a una situazione de facto, vale a dire carnale e non cellulare. Malgrado le epoche puritane si siano succedute regolarmente, il sesso degli angeli, locuzione che stava a indicare qualcosa di indefinibile, imperscrutabile o meglio ancora un argomento fatuo e improduttivo, è diventato ora il sesso degli angoli.
Rob Fee per “Playboy” il 13 aprile 2020. Il settore del “dating” è cambiato molto e rapidamente negli ultimi anni. Il modo in cui ci conosciamo e comunichiamo è stato completamente stravolto da internet e le differenze rispetto al passato sono facili da rintracciare. Prima incontravo una donna e le chiedevo di uscire insieme nel weekend, ora scelgo fra 4000 profili e spero che un paio di donne verranno a letto con me il fine settimana. Prima ti chiedevano: «Hai incontrato la tua fidanzata in ufficio? Al bar? In palestra?», oggi la domanda è : «Su quale app hai trovato la fidanzata?». Prima, se pensavo che la fosse seria, le davo le chiavi del mio appartamento, oggi basta aggiornare lo status su Facebook. Prima si diceva: «Non vedo l’ora di rivederti dopo il lavoro», ora: «Ci sextiamo mentre stiamo al lavoro e poi usciamo, giusto per farci una foto da mettere su Instagram». Un tempo dicevo: «Evito quel posto perché ci va anche la mia ex e non mi interessa vederla». Attualmente: «Vivo in un inferno, con la mia ex che non fa che ritwittarmi». Una volta uno usciva, andava in un locale, si sedeva e si guardava intorno. Ora uno va in un locale, si siede accanto a una donna ma intanto ne cerca un’altra su internet. Una volta si scrivevano lettere d’amore, ora ti arrivano foto nude su Snapchat. Se rompevi con la tua fidanzata, le restituivi i regali. Se rompi con la tua fidanzata, ti toglie l’amicizia sui social.
Simonetta Sciandivasci per linkiesta.it il 12 aprile 2020. Pandemia non bussa, lei entra sicura, mentre tu sei là che tentenni all’italiana tra una separazione e un divorzio, una convivenza e un matrimonio, una disdetta e un rogito, un flirt e un sert, un prologo e un epilogo, un preliminare e un verbale, e allora devi smettere subito di vagheggiare, e scegliere. Lo abbiamo fatto tutte, tutti: tra il nove marzo e le 48 ore successive, abbiamo deciso cosa fare, se trasferirci dal fidanzato, preferirgli mamma e papà, lasciarlo, dirgli prendiamoci una pausa, no scusa, una quarantena, rendiamo il coronavirus un’occasione per capire se davvero ci amiamo. Non tutti i conviventi sono rimasti insieme, alcuni si sono separati ad quarantenam, dicendosi con molta franchezza che, insieme, in un monolocale, 24 ore al giorno, si sarebbero fatti la guerra dei Roses al terzo giorno. Alcune hanno approfittato dell’incertezza dell’altro per dirgli ma come ti permetti di avere dei dubbi sulla persona con cui rinchiuderti, invece di essere contento di passare del tempo con me, di vedere la (eventuale) fine del mondo dal nostro balcone mentre ti preparo un risotto, e se ne sono liberate (meditavano di farlo da mesi). Neanche tutti gli sposati con figli sono rimasti insieme, e sempre per lucida ammissione di incompatibilità, quindi le mamme sono rimaste a casa con i bambini e i padri se la sono svignata nelle seconde case, o in appartamenti spagnoli, o da già stremati genitori, illusi di potersi concedere una vacanza da nipoti, figli, parenti tutti, e magari essere persino liberi, specie se vedovi. I coniugati che hanno scelto di quarantenarsi separatamente, tuttavia, sono per lo più stranieri, ché noi italiani al tetto coniugale ci teniamo, in salute e in pandemia, come Tsa Tsa Gabor teniamo sempre la casa. Le decisioni domiciliari hanno accelerato quel decorso ospedaliero che spesso chiamiamo relazione, trascinandola a un punto cruciale: la convivenza. Nel mondo di prima non convivevamo davvero, i matrimoni erano dormitori, e quasi tutte le altre forme di stare insieme erano scudi. Ora è diverso. Si sta appiccicati, talvolta i più appiccicati sono quelli che non vivono nella stessa casa, e succede per la stessa ragione per cui siamo più indaffarati di quando avevamo una vita normale: non riusciamo ad accogliere il cambiamento, vogliamo mantenerci in contatto, vogliamo coprire le distanze, collegarci, irretirci, unirci, sentirci, parlarci, dirci vicini, rassicurarci, dimostrarci che ci siamo, ci saremo sempre. Ne sta risultando una Guernica che, se ancora non si vede, già si sente in tutti i cortili interni, su tutti i balconi, tra tutte le terrazze, i pozzi luce, i garage: le urla dei quarantenati che si amano sovrastano persino il bombardamento acustico dei dodicenni che studiano flauto. Caroline Kruse, terapista di coppia, ha detto al Figaro che la distanza da reclusi può diventare un’occasione per rafforzare il rapporto o metterlo alla prova definitiva (ma dai?) e ha consigliato a tutti di ricavarsi i propri spazi (vale sempre, incredibile, pure quando tutta l’umanità è murata viva) e, soprattutto, di creare una routine (stabilire quante volte sentirsi; mandarsi foto magari anche osé, ché tanto nel mondo post Covid saremo tutti più buoni e il revenge porn sarà una guerra punica; chiedersi sempre amore come stai; evitare il più possibile di lagnarsi e di appaltare all’altro i propri guai e trasmettergli le proprie ansie). Si vede che Kruse è francese, ha questo approccio lasco e rispettoso da Piccolo Principe, del tutto impraticabile su suolo italico. Al fidanzato quarantenato che è andato a isolarsi a Bolzano o a Bitonto dai genitori, infatti, è impossibile chiedere il contenimento del disagio: chiama su Skype a tutte le ore, ti appare così malvestito da sembrarti malnutrito, ti chiede se secondo te ce la faremo, e in quanto tempo ne verremo fuori, e come, e se ti va di scommettere sulla data in cui passeremo alla fase 2 (gli manca il fantacalcio, cerca di capire); chiama soprattutto a pranzo, ti fa vedere sua madre in bigodini e vestaglia che gira il sugo, a volte a cucinare è lui, e non ha alcun pudore nel mostrartisi in grembiule, con una fascia di pile in testa. Tu, ragazza italiana col fidanzato quarantenato a distanza, hai comunque una consolazione: non devi andarci a letto. I quarantenati in coppia pare facciano molto sesso, ieri il Financial Times scriveva che in Germania e Inghilterra non si sono mai venduti tanti completini sexy, sex toys e preservativi come nelle ultime settimane. Gli italiani, invece, si fanno ancora beccare a fare l’amore nei parcheggi, nelle ambulanze, negli ascensori con le amanti, alcuni provano a trasgredire i divieti ma le volanti li fermano e si ritrovano davanti uomini soli, istigati al sesso da neo fidanzate molto calorose e insistenti, che più per farsi portare un Grom in vaschetta che altro hanno detto loro dai, raggiungimi, mi manchi troppo, noi siamo giovani, non ci ammaliamo, al massimo siamo portatori sani, ti aspetto, e visto che ci sei portami il gelato. Qualche giorno fa una non nota pop star tiburtina ha intimato al suo filarino di andare da lei, il poveretto s’è incamminato, è stato fermato dai carabinieri, ha detto che stava andando a donare il sangue (lei gli aveva consigliato di farlo) e quelli hanno capito il trucco e lo hanno rispedito a casa. «Se domani ti chiamano e ti chiedono di me, per favore, puoi dire che sono andato a Ostia a fare un’iniezione a un mio lontano parente diabetico?», s’è sentita chiedere una scrittrice romana da un ex, uno che frequentava in un’altra vita e che, come tutti gli ex che abbiamo frequentato in un’altra vita, stanno tornando a bussare al nostro WhatsApp come se questa fosse l’ultima notte al mondo e noi fossimo quindi tenute ad accettare che ci dicano quanto siamo state importanti, quanto vorrebbero parlare con noi, quanto avrebbero bisogno che gli pariamo le chiappe in caso chissà quale forza dell’ordine indaghi sui loro traffici illeciti a Ostia. Gli adulteri americani sono i più interessanti, loro ti chiedono video soft porno in cui urli il loro nome, seguito da ruolo professionale (se tenutari di azienda, specificare l’azienda), mentre fai a te stessa quello che loro non possono farti perché sono quarantenati con le rispettive mogli che amano e non intendono tradire (e te lo dicevano anche prima, nel pre covid, quando ti infilavano le mani dappertutto e però né ti baciavano né ti portavano a letto perché quello sarebbe stato tradimento). Quelli che prima del Covid stavano cominciando una relazione, poveri cuori, sono completamente smarriti, non sanno più di cosa parlare, non sanno cosa dirsi, hanno dato fondo ai ricordi delle due cene insieme, delle rispettive vite, dei passati traumi e dimenticabili amori, non hanno la confidenza per videochiamarsi, si chiamano e basta, e purtroppo si trovano nella spiacevole situazione di doversi dire quanti nuovi contagi ci sono, e hai letto oggi il Corriere, ma hai visto poi Piazza Pulita, o di pianificare il futuro. Quando tutto questo finirà andremo a cena, andremo al mare, a Londra, a sciare, a scopare, a cantare, a bere, fino a rendersi conto che non ricordano più molto l’uno dell’altra, e così prima l’uno e poi l’altra prendono a teledistanziarsi, che è persino peggio del distanziarsi, persino peggio di quelli che ti lasciano con un WhatsApp in cui ti scrivono che questa quarantena li ha illuminati, hanno capito che non sono pronti, che a 47 anni hanno ancora tutta la vita davanti, non se la sentono di stare con te, che sei meravigliosa ma piombata nella loro giovane vita troppo presto, appena dopo l’università, e quindi ciao, amore, ciao amore, ciao amore, ciao. Saremo migliori, saremo peggiori, saremo chissà. Per adesso eccoci qua, a distaccarci da quelli a cui siamo più legati, a capire che siamo fatti di neve e chiunque voglia scaldarci vuole farci morire, oppure a capire che siamo fatti di fuoco, e abbiamo ancora molti incendi da appiccare, e quindi via, usciamo nella notte con la certificazione finta, andiamo a Ostia, che c’importa del mondo.
Coronavirus, la quarantena spegne la passione: meno rapporti intimi. Alberto Pastori l'11/04/2020 su Notizie.it. La quarantena forzata cambia le abitudini degli italiani, anche a letto: diverse coppie rinunciano ad avere rapporti intimi. Il periodo di quarantena e le costrizioni imposte dal Governo per contrastare il coronavirus stanno inevitabilmente modificando le abitudini di milioni di italiani. Non solo per quanto riguarda sport, lavoro e rapporti familiari ma anche per ciò che accade tra le lenzuola. Questa convivenza forzata è stata esplorata in un sondaggio, il quale si è preposto di entrare nell’intimità delle coppie e capire come sia cambiato il loro rapporto. Il test è stato condotto da MioDottore, una piattaforma specializzata nella prenotazione online di visite mediche, su un campione di 1302 persone. Ebbene, il 31% degli intervistati (in pratica 1 su 3) ha detto di prevedere pochi momenti intimi durante questo periodo lockdown. La causa della diminuzione della passione fra i partner non sarebbe da attribuire ad un improvviso crollo dell’intesa fra i due: alcuni lo fanno coscientemente. Il 5% delle coppie, infatti, avrebbe deciso di ridurre i rapporti intimi di proposito. Ma non la pensano tutti così: la focosa passione a tratti sopita si è risvegliata per il 15% dei rispondenti, che approfitta della clausura per trascorrere molto più tempo tra le braccia dell’amante. Dal sondaggio però, emergono anche altri dati molto interessati. Durante questo periodo di lockdown, un quinto degli italiani (20%) litiga più spesso con il compagno di vita oppure ne scopre i lati negativi (fortunatamente una percentuale piuttosto bassa, circa il 2%). La maggior parte delle persone che hanno partecipato al sondaggio, il 78%, ha invece dichiarato che in casa regnano pace e tranquillità. E ben il 25% ha detto di aver riapprezzato la vicinanza con l’altro e gli aspetti positivi di una vita di coppia. L’Amore ha trionfato ancora una volta.
Azzurra Barbuto per “Libero quotidiano” il 10 aprile 2020. Non conosce crisi il mercato del sesso, anzi il lockdown mondiale sembra giovare agli affari di quanti trafficano nel settore più piccante dell' industria. L' isolamento forzato non solo non ha spento il desiderio sessuale di uomini e donne di tutto il globo, bensì lo ha addirittura portato alle stelle. Ricercare e dedicarsi al piacere sfrenato è diventato un modo per esorcizzare la paura di malattia e morte, uno strumento di evasione da una quotidianità asfittica che si svolge tutta nell' angusto recinto domestico nonché una maniera per vivere la socialità senza correre il rischio di beccarsi il Covid-19. Credevamo che i beni più richiesti fossero i dispositivi di protezione individuale, ossia le mascherine, invece sono i vibratori. I primi ci proteggono dal contagio, i secondi dalla noia mortale, donando non di rado maggiori soddisfazioni di un amante, quantunque abile. Risulta dunque che il più grande rivenditore di sex-toys del Nord Europa, "Sinful", abbia duplicato il suo business in Danimarca. Anche la catena britannica di lingerie sexy e accessori "Ann Summers" ha assistito ad una crescita del fatturato del 27 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, mentre la berlinese "Dindo King" ha avuto un incremento dell' 87 per cento della domanda di strumenti per autoerotismo. Per non parlare dell' azienda tedesca "Eis.de", rivenditrice online di giocattoli sessuali, che ha registrato addirittura il 3000 per cento in più nella vendita dei costumi da infermiera ed il 300 per cento in più in quella di aiutini per maschi desiderosi di potenziare il proprio vigore sotto le lenzuola. Sembra che i tedeschi adorino giocare al dottore, sebbene in questo periodo possa apparire di cattivo gusto. Pure i siti porno sono stati coinvolti dalla generale esplosione della libido e sono affollati più che mai di naviganti che, avendo a disposizione tanto tempo libero (e nessuna chance di uscire dal proprio appartamento), lo utilizzano nel modo più divertente possibile. Tuttavia, il godimento non è solamente solitario. Le coppie coniugate e non che stanno trascorrendo insieme la quarantena hanno fatto incetta di preservativi e lubrificanti. Del resto, non si può mica stare davanti alla tv tutto il santo giorno. La maggiore azienda produttrice di condom in Germania, Ritex, ha raddoppiato le vendite il mese scorso. A dare consigli a chiunque, da solo o in compagnia, intenda movimentare la fase di segregazione, rendendola un pizzico pepata, ci pensa l' attrice di Hollywood Gwyneth Paltrow, 47 anni, la quale di recente ha messo in commercio una candela all' aroma della sua vagina, andata esaurita in poche ore. Il premio Oscar stavolta ha proposto una lista di vibratori di ultima generazione. Ce n' è per tutti i gusti, da quello a forma di coniglio (che costa 149 dollari) a quello ultra-silenzioso per non disturbare eventuali familiari che nella stanza accanto riposano (199 dollari). La star in persona ne garantisce l' efficacia. Se non c' è speranza di risvegliare l' intimità di coppia e il tentativo di recuperare un minimo di intesa con il proprio compagno assomiglia ad una sorta di accanimento terapeutico che rende la quarantena ancora più stressante, meglio lasciare perdere, dirottando sui siti di incontri più rinomati, dove andare a caccia di avventure in totale discrezione. Già intorno al 10 marzo il portale "Incontri-extraconiugali.com", che vanta oramai oltre un milione di utenti, tutti smaniosi di scappatelle, ha registrato una crescita del 20% degli iscritti. Secondo le stime di "Incontri-ExtraConiugali.com", non solo siamo il popolo disposto a spendere più soldi per vivere flirt al di fuori del matrimonio, ma altresì siamo il Paese più fedifrago in Europa con il 60 per cento di uomini e donne sessualmente attivi in cerca di un partner per tradire, seguono Spagna (54 per cento), Francia (49), Regno Unito (41) e Germania (35 per cento). Anche "Gleeden", altro famoso sito di incontri extraconiugali, ha notato una triplicazione delle iscrizioni da quando è stato istituito il lockdown. Il boom di nuovi iscritti è avvenuto in particolare in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, regioni dove l' isolamento è in vigore già dal 4 marzo scorso. Intanto ci si conosce, si chiacchiera, ci si confida, si fa sesso virtuale, scongiurando il pericolo di essere infettati. Per vedersi di persona occorrerà aspettare l' interruzione delle misure restrittive. Gli utenti del portale trascorrono più ore in chat, circa tre al giorno, contro le due dei mesi precedenti, si scambiano una maggiore quantità di foto, soprattutto hot, e aggiornano più spesso i propri profili privati al fine di renderli accattivanti. In questo modo essi riescono a sopravvivere alla convivenza obbligata con il lui o la lei che hanno sposato e che di solito è nella stanza accanto, probabilmente impegnato/a nella medesima attività ludica. Una coabitazione che, non lasciando libere le vie di uscita abituali, non fa altro che nuocere alla coppia, allontanando i coniugi, i quali qualche volta giungono a non sopportarsi più. E questo fenomeno spiega l' esplosione dei divorzi in Cina dopo due mesi di quarantena. Insomma, il matrimonio funziona a condizione che non si permanga sempre attaccati, ovvero a patto che si stia insieme al massimo 8-10 ore su 24, preferibilmente quelle in cui si dorme. Altrimenti tanto vale restare single.
DAGONEWS il 22 aprile 2020. I pub sono chiusi. Non ci si può spostare e si è costretti a stare con il proprio partner 24 ore al giorno per sette giorni alla settimana. Una buona notizia per la vita sessuale, direte. In realtà non è per tutti così. Come sottolinea la sexperta Tracey Cox molte coppie si sentono stressate dalla situazione che il mondo sta vivendo e non riescono a fare sesso con il partner. Ecco come riuscire a risvegliare la passione senza trasformare questa quarantena nel periodo di astinenza più lungo della nostra vita.
Assicuratevi che le faccende siano divise in modo equo. Fate un elenco di tutto ciò che deve essere fatto in casa e assicuratevi che siano divise equamente. Se è la donna a fare tutto in casa, il rancore verso un uomo in pantofole sul divano aumenta. Una circostanza che non aiuta il sesso.
Ricreate dei confini. L'amore ama la routine, l'intimità e la sicurezza. La lussuria ha bisogno di mistero, pericolo, eccitazione. È abbastanza difficile mantenere vivo l'interesse quando vedete il vostro partner che lavora accanto a voi nella stessa stanza. Se potete provate a lavorare in stanze diverse. Se la grandezza della casa non lo consente, mettete delle cuffie per isolarvi. Quando state insieme, fate qualcosa invece di sedervi a guardare la tv in maniera annoiata.
Create una playlist di canzoni che vi mettano di buon umore. Le canzoni che ci collegano fortemente alla nostra adolescenza spesso funzionano bene. Ci ricordano quando il sesso era proibito e gli ormoni si scatenavano.
Fate il primo passo. Se vi sentite apatici, fate affidamento su trigger erotici. Potete leggere un libro hot o guardare film erotico o porno. Se non ti va di fare sesso con il vostro partner, mavi piace l'idea di guardare il porno, masturbatevi: è un ottimo modo per ricordarvi quanto può farvi sentire bene il sesso. Ed elimina stress.
Fate il vostro porno. Quando vi ricapiterà di avere così tanto tempo da dedicare alla creazione del vostro video personale?
Ordinate sex toys. Le vendite di giocattoli sessuali sono aumentate durante la pandemia. Ma non solo tra i single. I giocattoli sessuali sono un modo economico e senza sforzo per aggiungere novità a una vita sessuale stanca. Andate online insieme e sfogliate le categorie per trovare alcuni giocattoli che non avete mai provato prima.
Provate a eccitarvi “a distanza”. Provate a videochiamarvi da una stanza all’altra e masturbatevi a distanza. Aggiungerà pepe alla vostra storia. È anche un modo geniale di mostrare esattamente quale tecnica funziona meglio per portarvi all'orgasmo.
Fate un seminario sul sesso. Ci sono molti corsi online e podcast sul sesso. Se preferite leggere piuttosto che ascoltare, ordinate online alcuni romanzi erotici o manuali sessuali istruttivi.
Non solo battezzate ogni stanza della casa, ma ogni mobile. La panca della cucina. Il tavolo della sala da pranzo. La lavatrice. Le scale. Fatelo contro un muro, nel giardino, davanti a uno specchio, sotto la doccia.
Provate una cosa nuova al giorno o alla settimana. Scegliete una posizione al giorno e provatela. Provate un gioco di ruolo. Giocate a strip poker. Bendatevi gli occhi. Giocate con i sensi.
Fate sesso in diversi momenti della giornata. Potreste scoprire che le pulsioni sessuali apparentemente incompatibili dipendono semplicemente dal momento della giornata in cui l'altro è più propenso a farlo. Quando altro potete fare sesso regolarmente nel pomeriggio?
Se i bambini sono a casa, programmate il “tempo degli adulti” quando sono andati a letto. Ora è il momento di insegnare loro che mamma e papà hanno bisogno di tempo per loro. Se non pensate di riuscire a cavartela con il sesso completo, fate dei preliminari. Fate un gioco per ingannare i bambini in modo da poter rendere il momento più piccante.
Fate uno sforzo con il vostro aspetto. Anche se si è in casa e non si può andare da un barbiere e da un parrucchiere, non è il momento di lasciarsi andare. Curatevi e, al posto di stare sul divano, fate esercizio fisico insieme.
Scegliete anche una versione light del sesso. Il sesso non deve seguire la solita formula dei preliminari, rapporti sessuali e orgasmo. Se non siete dell'umore giusto, potrestie essere pronti a stimolare la mano o la bocca del vostro partner.
Restate sensuale anche se non vi interessa esserlo. Se siete troppo stanchi o stressati per fare sesso, fatevi un massaggio a vicenda. Fate un bagno insieme. Dormite nudi.
Fate un elenco di cose per quando il lockdown sarà terminato. Fate un elenco delle cinque cose che vi piacciono sul sesso con il vostro partner e cinque cose che vorreste cambiare.
Se la pressione di fare sesso lo rende ancora meno allettante, parlatene. Essere onesti. Se siete troppo preoccupati o stressati per sentirvi eccitati, fatelo sapere al vostro partner. Dite loro che vorreste fare una pausa dal sesso temporaneamente. Affrontate i problemi a testa alta.
Se la vostra vita sessuale è completamente morta a causa del lockdown, è probabile che non fosse in gran forma anche prima. In questo caso, utilizzate il momento per parlarne. Fate una chiacchierata per eliminare la tensione, fissate un appuntamento con un consulente per quando il lockdown sarà terminato.
Valentina Arcovio per “il Messaggero” il 9 aprile 2020. Baciarsi ai tempi dell'emergenza Covid-19 è probabilmente la cosa più pericolosa che si possa fare. E in tempi di quarantena è probabilmente la cosa che più manca, specialmente a chi è lontano dai propri affetti. Quindi, mai come quest'anno, la Giornata internazionale del bacio, che si celebra ufficialmente lunedì prossimo, ci vedrà probabilmente molto nostalgici. Tecnicamente sarà il giorno in cui si ricorda il bacio più lungo della storia, scambiato da una coppia thailandese per la bellezza di 58 ore 35 minuti e 58 secondi. Ma è anche l'occasione di pensare a quando finalmente potremo baciarci di nuovo senza rischi, magari in vista di un'altra giornata storica dedicata al bacio, quella che si celebra il 6 luglio. E possiamo festeggiarlo ripensando a quanto i baci ci facciano stare bene. Mentalmente e fisicamente. La scienza, infatti, ha dimostrato che i baci hanno degli insospettabili effetti benefici per la nostra salute. Numerosi studi suggeriscono, ad esempio, che baciare fa aumentare il battito cardiaco, migliorando la circolazione sanguigna. Non solo. L'adrenalina che si sprigiona con un bacio fa pompare più sangue al cuore, diminuendo la pressione sanguigna e il colesterolo cattivo. E ancora: uno studio della Northwestern University Feinberg School of Medicine ha suggerito che il bacio contrasta la produzione di ormoni glucocorticoidi, come il cortisolo, chiamato anche ormone dello stress, e favorisce il rilascio di endorfine e dopamina, sostanze euforizzanti naturali che allontanano la depressione. Baciarsi rinforza anche le difese naturali dell'organismo. Uno studio condotto presso l'Ospedale Satou di Osaka ha scoperto che mezz'ora di baci provoca un netto miglioramento della funzionalità immunitaria e riduce i livelli di IgE, cioè degli anticorpi associati alle reazioni allergiche. Il bacio è ottimo anche per la salute orale. Sivan Frankel, medico specializzato in odontoiatria estetica e generale al Dental Parlor di New York, ha specificato che l'aumento della produzione di saliva generato dai baci è un vero vantaggio per la salute orale: il bacio, stimolando le ghiandole salivari, consente un aumento di saliva che, a sua volta, tampona l'acidità dell'ambiente orale, causa di carie. Mentre, secondo l'Academy of General Dentistry americana l'aumento della produzione di saliva generato da un bacio favorisce la rimozione dei residui di cibi e dei batteri responsabili della carie. Il bacio può essere anche un'ottima palestra per rimanere giovani e addirittura dimagrire. Si stima che quando baciamo alleniamo fino a 30 muscoli facciali e attiviamo l'irrorazione sanguigna. Questo significa che la pelle del nostro viso si mantiene morbida, resistente e giovane. In pratica, ha lo stesso effetto dei famosi auto-massaggi facciali antirughe. Ma l'atto di baciare consente anche di bruciare calorie. Non solo per il movimento che si fa, ma anche per le emozioni che suscita. I baci, infatti, possono accelerare il battito cardiaco fino a 140 pulsazioni al minuto, contro le 70 normali. Sintomi positivi che possono avere un effetto snellente.
DAGONEWS il 9 aprile 2020. Prima della quarantena, la vita sessuale di Denise e di suo marito si era arenata: «Non abbiamo fatto sesso per quasi due anni. Ma qualcosa è cambiato il 20 marzo. Abbiamo avuto una delle migliori notti in camera da letto della nostra vita». Mentre molte coppie fanno i conti con il sopportarsi durante la quarantena, negli Usa c’è un 13% di persone che ammette di fare sesso più frequentemente nelle ultime settimane. Denise e suo marito hanno un lavoro che non li porta a dormire insieme spesso. Lui esce alle 23 e quando rientra a casa, lei si prepara per andare a lavoro. Una routine che ha distrutto la loro intimità. Fino a qualche giorno fa quando la quarantena li ha costretti a casa. «Una notte, abbiamo iniziato a sorseggiare un cocktail e ci siamo eccitati. In breve tempo siamo finiti a letto e abbiamo fatto sesso come all’inizio – ha continuato Denise – Ci siamo giurati di farlo più spesso». Andrew Rodgers e Ashley Thournout non avevano problemi sessuali prima della quarantena, ma vivono una relazione poliamorosa. Con loro prima del lockdown c’era una terza donna con la quale uscivano a turno, ma adesso hanno scoperto che senza distrazioni esterne la loro eccitazione è alle stelle. «Abbiamo molto più tempo per noi. Prima lo facevano due tre volte a settimana. Adesso due tre volte al giorno. Usiamo i nostri sex toys e abbiamo una stanza adibita al piacere. È fantastico riscoprirci». Non ci sono voluti giocattoli o lingerie particolare per convincere Ariana ad apprezzare un periodo in casa con suo marito: «Gli orari in cui lo possiamo fare sono limitati. A causa del lavoro. Adesso lo facciamo quando ci pare, non ci sono limiti di tempo». E non è solo chi una partner a godere del tempo in casa. I single raccontano di lunghe chiacchierate erotiche al telefono e di messaggi hot anche con estranei incontrati sulle app.
Dagospia l'8 aprile 2020. Da “Radio Cusano Campus”. La sessuologa Rosamaria Spina è intervenuta nel corso del programma Genetica Oggi condotto da Andrea Lupoli su Radio Cusano Campus, riguardo il tema del sesso nel periodo del coronavirus. "La passione in questo periodo -ha detto la Spina- andrebbe riaccesa con una vita sessuale più attiva. La sessualità in un periodo come questo è uno degli aspetti da valorizzare. C'è sicuramente bisogno di comunicare meglio, imparando ad ascoltarsi e capirsi di più. Il tempo dei giochi erotici c'è sempre ma c'è anche bisogno di comunicare meglio con il proprio partner per capire cosa vuole nel quotidiano. In un momento come questo degli oggetti per dei giochi erotici si possono trovare anche in casa: basta una cravatta, un foulard, una collana di perle, vere o finte che siano, e poi si libera la fantasia." "L'astinenza dal sesso di questi mesi, per chi è solo recluso in casa, potrebbe portare, quando si tornerà alla normalità, ad un aumento generale della ricerca di attività sessuale con la soddisfazione dei bisogni sessuali. In questo periodo è aumentato molto il sesso virtuale e l'autoerotismo. Una grande ricerca di materiale pornografico e di sesso online, anche se ovviamente la virtualità sessuale la fa da padrona da molto tempo." "In questo periodo di 'reclusione' non c'è solo violenza fisica, picchiando la donna, ma anche sessuale. L'uomo infatti che è abituato a cercare sesso altrove con prostitute ed escort, in questo periodo non potendolo fare arriva a pretendere rapporti sessuali con la propria compagna che se non consenziente si traduce in un vero e proprio stupro." "Fino ad oggi non è stato dimostrato che il Coronavirus sia trasmesso sessualmente, in questo caso però mi sento di consigliare l'uso del preservativo anche nelle coppie che normalmente non lo usano, anche se non ci sono evidenze che lo sperma veicoli l'infezione."
Da liberoquotidiano.it l'8 aprile 2020. La quarantena? Sembra non esistere per le escort che lavorano online. L'allarme è stato lanciato da Striscia la Notizia, che nell'edizione in onda su Canale 5 martedì 7 aprile ha dedicato un servizio a questo tema pruriginoso (e pericoloso). Ad occuparsene l'inviata Chiara Squaglia, che ha messo in evidenza come su diversi siti di appuntamenti a luci rosse continuano ad apparire annunci che propongono incontri sessuali, il tutto in barba ai divieti del governo di uscire di casa. Non solo annunci, però: il servizio del tg satirico di Antonio Ricci mostra anche come passare dalle parole ai fatti, correndo il rischio-multa, sia tutt'altro che impossibile. Eppure, le escort continuano ad agire in libertà.
Daniela Mastromattei per “Libero quotidiano” il 6 aprile 2020. Il caos regna sovrano. Mentre sindaci e governatori cercano di tenere le porte chiuse, Conte apre i portoni ai bambini accompagnati dai genitori. Siamo passati dagli aperitivi al Nord, dove oggi le mascherine sono obbligatorie, alle folle di senza cervello al Sud. È bastato che la ministra dell' Interno Lamorgese concedesse un' ora di aria ai più piccoli perché i vicoli napoletani si ripopolassero imprudentemente. Nessuno ascolta il preoccupato (e pittoresco) governatore campano De Luca quando minaccia di mandare i poliziotti col lanciafiamme da chi organizza ritrovi o feste di laurea. Intanto notizie (e non) si rincorrono insieme a una insopportabile retorica dal retrogusto amaro: «Ne usciremo migliori». Se ne usciremo. La paura è che il peggio sia da venire. Appena si allenta la presa, la gente si riversa nelle piazze, incurante della lezione della peste manzoniana e dell' influenza spagnola, le cui seconde ondate, dovute a un prematuro ritorno alla normalità, uccisero il doppio delle prime. Dobbiamo stare a casa. Non c' è tempo per gli esperimenti, quelli lasciamoli fare ai virologi nei laboratori affinché trovino in fretta cure e vaccino per sconfiggere il coronavirus. Noi restiamo blindati in due locali o in ville col parco, lo so che è diverso, ma il Covid-19 non fa differenze tra ricchi e poveri. Gli esperti dicono che, oltre all' economia, entreranno in crisi i matrimoni e aumenteranno i divorzi. La convivenza 24 su 24 ore è tosta, non siamo abituati. Le coppie scoppieranno, soprattutto quelle che scricchiolavano già prima della pandemia, spiega a Libero la psicoterapeuta Mioli Chiung, direttrice dello Studio di Psicologia Salem, «si accorgeranno di vivere una situazione sentimentale non più soddisfacente, noiosa, logora, affaticata dagli anni e quindi decideranno di lasciarsi, per loro potrebbe essere una sorta di rinascita».
LE SORPRESE. Dunque, le unioni già sulla via del tramonto non avranno scampo. Il coronavirus mette a dura prova i fragili castelli che si sono costruiti nel tempo, oltre a ricordare la vulnerabilità della vita (perderla è un attimo) e per questo potrebbe condurre verso nuove e coraggiose sfide emotive e di lavoro. Ne è convinta la Chiung che sottolinea «coloro che hanno l' amante stanno vivendo un inferno perché devono portare a spasso il cane o chiudersi in bagno per poter inviare messaggini per poi silenziare il telefono o bloccare le chiamate in arrivo pur di non essere scoperti». Anche qui, risvolti a sorpresa. «La convivenza forzata potrebbe rendere le persone più consapevoli e spingerle verso decisioni che erano state solo rinviate, come quella di lasciare moglie o marito per poter vivere finalmente in santa pace l' amore proibito». Ma vediamo invece chi potrebbe rinsaldare il matrimonio facendo tesoro del tempo ritrovato. Non è vero che quando ci sono la salute e l' amore... c' è tutto. La passione non basta, è la relazione ad alimentare l' amore, e non viceversa. Dunque «ripartiamo dal dialogo, la comunicazione nella coppia è fondamentale», l' invito della psicoterapeuta. Prima ci si vedeva solo a cena e la mancanza di argomenti sembrava normale. Oggi quei silenzi potrebbero risultare insopportabili, così come l' entrare in sintonia con l' irritabilità dell' altro. Servono le conversazioni piacevoli, ma anche le discussioni purché non diventino l' occasione per ritornare sui problemi del passato.
I RICORDI. La giornata va condivisa con il partner, guardando insieme vecchie foto, ripercorrendo i ricordi e facendo progetti a lungo termine. Molto utile far nascere un interesse comune, la ginnastica sul teppetino in salotto, lo yoga, il bricolage o il giardinaggio; accudire le piante o piantare dei semi nei vasi sul balcone, tutte attività che fanno star bene e creano sintonia. «Bisogna ridare nuova vita agli angoli della casa, tutti insieme, coinvolgendo pure i bambini ai quali con una gara a premi può essere chiesto di riordinare la loro camera. Dividersi i compiti è utile ma anche piacevole, per esempio durante il pranzo fare in modo che uno cucini e l' altro prepari la tavola, è un modo per godere insieme dei risultati, anche quando sono minimi. Se lei deve fare tutto da sola e rincorrere pure i calzini di lui, il quale se ne sta beatamente seduto in poltrona a guardare la tv, non c' è storia. Entrambi potrebbero occuparsi dei rispettivi armadi e scambiarsi consigli e suggerimenti. E nei giorni successivi passare alla libreria. La Chiung si spinge oltre: «Azzardate, ridipingete insieme le pareti delle stanze, può essere divertente cambiare l' arredamento di casa spostando mobili e acquistando on line una lampada moderna. Buttate via ciò che è inutile o che non vi piace più. Il nostro cervello ha bisogno di vedere ordine e pulizia per ritrovare la stabilità emotiva. Qualche novità nell' ambiente in cui si vive può risvegliare la coppia annoiata».
IL CORTEGGIAMENTO. Di solito il week end si preferisce passarlo fuori. In casa c' è sempre tanto da fare. Non buttatevi pigramente sul divano. Magari sì a fine giornata per coccolarsi e riscoprire un po' di romaticismo. Fanno bene le attenzioni e le gentilezze inaspettate, come lui che porta la colazione a letto o che legge una poesia ad alta voce. Corteggiatevi, guardatevi negli occhi, tornate alle piccole cortesie da luna di miele. «Ovviamente sì all' intimità sessuale purché non sia un puro esercizio fisico... chissà quanti bambini nasceranno dalla quarantena», aggiunge la direttrice dello Studio Salem. Ultimi consigli: è fondamentale prendersi e lasciare qualche momento di solitudine all' altro, telefonate agli amici comprese. Vero che bisogna stare in casa ma nessuno vieta (anzi) di vestire con cura, mettersi un filo di trucco se lo si desidera, guardarsi allo specchio e sentirsi soddisfatte del nostro aspetto. Gli uomini dovrebbero seguire il nostro esempio: barba rasata, jens o pantaloni sportivi e golfino, magari in cachemire. Ma niente tuta, per carità.
Giovanni Terzi per “Libero quotidiano” il 4 aprile 2020. «Visto e considerato l' attuale gravità e per rispetto in assoluto a ogni uno di voi cliente, in questo periodo fino al 3 aprile, non prendo nessun appuntamento e non ricevo per questioni di sicurezza mia e vostra. Voglio strettamente rispettare il decreto dato dal presidente del consiglio e proseguo a casa nei prossimi 15 giorni. Auguro sinceramente che la normalità torni e che riprenderemo la nostra vita in mano, tutti sani e con forza per ricominciare. Ci vediamo quando tornerà la normalità. Abbraccio a tutti». Non è un messaggio letto sulla vetrina di un negozio nelle nostre città, e nemmeno un messaggio di un' attività, quelle classiche, aperte al pubblico: è stato scritto sulla bacheca di una escort. Il suo nome è Lara, abita a Bergamo è brasiliana e la si può trovare su internet . È una delle tante donne che vendono il proprio corpo per sopravvivere, ma la sua vita è davvero piena di rivoluzioni e sfortuna. «Fare la escort non è una scelta facile. Io da questo mondo voglio uscire il più in fretta possibile». Queste le sue prime parole. Lara racconta la sua vita fatta di violenze, sia psicologiche che fisiche e di soprusi ma adesso è stanca. Vuole abbandonare quel mondo che non le è mai corrisposto e che ha frequentato per necessità.
Lara ho letto il tuo messaggio su internet in cui dici che non lavori più in questo periodo di Coronavirus, perché?
«Perché è giusto così. Hanno detto in tutti i modi di stare a casa, di non muoverci e io rispetto queste regole. Abito a Bergamo che è in emergenza come nessun altra città; tutti dobbiamo stare fermi e a casa. Ne va della nostra salute».
Credo che in questo momento ci sarebbero, volendo, molti clienti, magari annoiati e desiderosi di fuggire?
«Non lo so questo, certo ricevo tanti messaggi di persone che mi richiedono di incontrarmi, ma io continuo a dire di no».
Tipo?
«Magari ci sono persone che vorrebbero delle mie foto intime, magari video o telefonate erotiche».
E lei?
«Io no, assolutamente. Però conosco tante mie "colleghe" che scrivono di non volere avere rapporti occasionali in questo momento, ma in realtà ricevono a casa».
E lei, nemmeno telefonate hot?
«No per rispetto. Fare la escort non è facile e io non mi sento più di andare avanti, ma è difficile uscirne».
In che senso non è facile?
«Tanta droga tra chi viene da me! Io non mi sono mai drogata e vedere certe scene fa male. Si sopporta per un po', ma poi non si riesce più. Frequento persone, imprenditori importanti, e mi creda c' è tanta miseria. Invece tra le persone umili c' è più verità!»
Mi faccia un esempio...
«Un calciatore straniero, brasiliano, che gioca nel Milan. Eravamo in un locale dove ha pippato tutta la notte poi siamo andati via assieme ma non abbiamo fatto nulla. Provo tristezza perché a chi fa uso di quelle schifezze non diventa nemmeno duro! E poi adesso sono innamorata di Antonio».
Antonio chi è?
«È il mio fidanzato ormai da tre anni. Un uomo meraviglioso, non ricco ma pieno di sentimenti buoni».
Ed è geloso?
«Non dice nulla ma io devo smettere e sento che lo devo fare. Per me lui ha lasciato la moglie e la famiglia e si merita una donna solo per lui».
Ma ha scelto lei questo "lavoro"?
«La mia storia è piena di violenza e mi creda la cosa triste è che non sono stati solo uomini ma anche donne ad approfittarsi di me».
Racconti...
«A nove anni l'uomo che viveva con mia mamma e consideravo come un padre mi ha violentata. Sono andata a vivere da mia zia in Brasile ma poi mi hanno obbligato a tornare in famiglia. Appena tornata, dopo nove mesi, l'uomo di mia mamma mi ha nuovamente stuprata e lo ha fatto in modo così violento da farmi uscire un pezzo di intestino; avevo 11 anni. Non lo dimenticherò mai. Se ci penso ancora mi batte il cuore e sento un dolore profondo».
Non ha reagito?
«Dopo qualche anno ho iniziato a lavorare in Brasile come cameriera fin quando una signora mi disse che potevo andare in Italia dove una donna aveva bisogno di una badante».
E lei partì?
«Si certo era un miraggio. Così arrivai a Malpensa. Lì c'era una certa Sonia che mi portò su un furgone con i vetri scuri verso Ponte San Pietro in provincia di Bergamo, ma era una pappona, cattiva e perversa. Mi portò in un appartamento con due ragazze rumene e mi fece prostituire».
E lei denunciò?
«Si ma non mi credettero. È difficile per una bella ragazza alta un metro e ottanta e con un fisico come il mio oltre che straniera farsi credere. Ti guardano con diffidenza e non ti credono».
Ma a lei basterebbe sposare Antonio, il suo fidanzato, per diventare regolare. Perché non lo fa?
«Io lo amo davvero e non per bisogno. Ho sofferto, subito ingiustizie mi hanno derubato; adesso voglio solo una vita meravigliosamente normale».
Dagospia il 4 aprile 2020. Da “la Zanzara - Radio 24”. “Ho dovuto chiudere il mio club, ma le coppie scambiste sono nel pallone. Mi sembra di essere il telefono amico. Mi chiamano continuamente perché non sanno come fare, vogliono consigli, è gente abituata a fare orge, coppie col marito che guarda e improvvisamente si ritrovano in casa”. A La Zanzara su Radio 24 l’ex pornostar Jessica Rizzo, che adesso gestisce un locale per coppie a Roma, parla del mondo dello scambismo e del sesso trasgressivo investito dall’emergenza coronavirus. “Ci sono coppie voyeur – dice - e loro giustamente cosa si inventano? Possono usare internet e le videochiamate, ma non è la stessa cosa. Poi nessuno vuole correre il rischio di lasciare tracce. Stanno tutti nel pallone, stanno impazzendo. A una coppia esibizionista con lui cuckold ho suggerito di fare il gioco della finestra. La moglie fa lo strip tease sulla finestra con la tenda semi aperta ed il marito poi si eccita al pensiero che gli altri la stanno guardando”. Come fanno le coppie di scambisti ad incontrarsi ora?: “Solo con internet, oppure devono avere un po’ di fantasia. Io capisco che andare sempre con la moglie dopo venti, trent’anni, oppure eccitarsi nel vedere la moglie che fa le orge con tanti uomini e poi trovarsi da soli...infatti dicono che non si tromba più. Questo mi dicono. Mi dicono che purtroppo stanno in astinenza, perché con i propri compagni o compagne e si eccitano con determinate fantasie e adesso non possono. Consiglio anche di fare il gioco della telefonata separata. Il marito in una stanza, la moglie nell’altra, e lei si mette in contatto con altri uomini col volume alto. Ma non sempre si può fare per la presenza dei figli. Sono favorite dunque le coppie senza prole”. “A volte – racconta ancora - faccio la regista al telefono. Per esempio c’era una coppia che aveva molta paura e volevano mantenere la distanza di sicurezza. Guarda, gli ho detto, se vuoi mantenere la distanza puoi fare solo il gioco del pissing. Insomma, bisogna inventarsi dei giochi diversi. Poi c’è la coppia bisex. Ho detto a lui di vestirsi da donna e la donna da uomo. Così c’è uno scambio di ruoli. Ho tante chiamate tutti i giorni e mi dicono che si stanno annoiando e non sanno cosa fare”.
DAGONEWS il 5 aprile 2020. La maggior parte delle coppie segue un percorso standard. Ha un matrimonio, dei figli, vive insieme. Ma non tutti seguono le “regole” o un modello tradizionale. E non sempre è sbagliato. Tracey Cox porta tre esempi di relazioni che funzionano nonostante queste persone abbiano deciso di oltrepassare il recinto.
Vivere separatamente, ma essere una coppia. Ci sono coppie che vivono separatamente per scelta. Molte volte, viene fatto come ultimo tentativo di mantenere viva una relazione, ma può funzionare e ha dei vantaggi.
Se il sesso non è disponibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7, si desidera di più, vedi l’altra persone nel suo aspetto migliore e non paludato nella quotidianità. Alcune coppie sono completamente compatibili su alcuni punti chiave, ma si scontrano su cose banali che rendono il vivere insieme un inferno. Non è facile farlo funzionare ed è difficile se ci sono bambini. Per la maggior parte, vivere separatamente è solo un pit stop prima di separarsi. Ma per altri, è un compromesso praticabile e un modello di relazione alternativo che si adatta perfettamente a loro.
Lasciargli provare le sue perversioni al di fuori della coppia. Ci sono casi in cui si scopre che il proprio compagno/a ha delle perversioni che non condividiamo. Per far funzionare la coppia, una strada, per quanto difficile, può essere quella di lasciar fare il proprio partner. Per alcune persone le perversioni fanno parte del godimento. Privarsene può creare delle crepe nella relazione. Se si è abbastanza forti si può decidere di permettere al partner di avere delle ore da concedersi per sé permettendogli di pagare qualcuno che possa soddisfarlo. Ma parte la soluzione facile. È davvero così possibile? Questo dipende dalla capacità di ognuno di saper gestire situazioni così al limite.
“Ho fatto un agguato a mio marito e alla sua work wife”. Sul posto di lavoro non è così difficile creare un rapporto speciale con una collega. Una donna ha raccontato di aver capito che il marito aveva una work wife dal modo in cui lui prima parlava di lei in continuazione per poi smettere: «Volevo solo cacciarlo di casa, ma non avevano avuto alcun rapporto sessuale. E allora ho pensato che avrei dovuto prendere la palla al balzo e fare qualcosa. Mi sono presentata al bar dove di solito andavano a bere dopo il lavoro e mi sono seduta al tavolo con loro. Sono stata amorevole con entrambi, permettendo a lui di vedere le differenze. Alla fine lui si è scusato ed è tutto rientrato». Confrontarsi con un potenziale amante di un partner è qualcosa che i nostri nonni avrebbero fatto. Oggi lo consideriamo umiliante, ma la verità è che molte "amicizie" lavorative sfuggono facilmente al controllo senza che nessuna delle due persone pensi alle reali conseguenze di ciò che potrebbe accadere se quel rapporto si trasformasse in una relazione. Orchestrare un incontro casuale reinserisce quella fantasia nel mondo reale. E l’effetto normalmente è deflagrante.
Smart love: l'amore ai tempi del coronavirus. Il mercato della "sexual wellnes" pensa sempre di più al suo pubblico femminile. E durante la quarantena le vendite di sex toys crescono del 94%. Mariella Baroli il 4 aprile 2020 su Panorama. Il benessere sessuale è diventato un argomento di discussione tra le donne di ogni età. C'è chi dice che il motivo di questa nuova apertura sia da imputare alla politica conservativa di Donald Trump, mentre c'è chi identica nel movimento #Metoo la vera ragione di questo cambiamento sociale. Anche quando si parla di intrattenimento, il successo dell'attrice Gwyneth Paltrow e del suo portale «Goop» - oggi diventato anche una serie su Netflix - e l'incredibile popolarità del podcast «Call her daddy» dove due giovani ragazze parlano liberamente di sesso e relazioni mostrano come l'universo femminile senta il bisogno di abbracciare la propria sessualità senza vergogna. Secondo una ricerca presentata da Arizton Advisory & Intelligence, il mercato del benessere sessuale raggiungerà un fatturato complessivo di 39 miliardi di dollari entro il 2024. Pepemio, azienda leader del commercio di sex toys in Italia, ha altresì evidenziato come in un solo anno gli acquisti sul sito da parte di donne siano cresciuti del 5%.
I vibratori sono diventati un prodotto «mainstream» e sono sempre più spesso venduti fuori dai tradizionali sex shop. L'azienda americana Smile Makers sostiene che «il piacere sessuale ha un impatto sulla nostra salute mentale e fisica» e proprio per questo motivo «i vibratori dovrebbero essere venduti in negozi e su portali dedicati al benessere della persona». Per questo motivo Sm ha scelto, sin dal principio, di vendere i suoi prodotti in realtà conosciute (in Italia i suoi prodotti sono acquistabili sul sito di Madame Miranda tra trattamenti di bellezza e creme). «Il nostro obiettivo è mandare un segnale forte che il sesso è una parte naturale della vita» ci ha raccontato Cecile Gasnault, capo marketing di Smile Makers. Il loro approccio ai vibratori è completamente nuovo, a partire dal design: «Lavorando con un team di sessuologi abbiamo creato diverse forme capaci di offrire diversi tipi di stimolazione». I nomi dei prodotti si rifanno ad alcune delle fantasie più comuni - il milionario, il pompiere, il surfista, l'istruttore di tennis - e insieme ai colori pastello scelti rendono l'approccio al prodotto meno imbarazzante. L'italianissima (Y) ha invece una missione ben precisa: chiudere il «pleasure gap» tra uomini e donne, dando al pubblico femminile il potere di scoprire e prendere in mano il proprio piacere sessuale. Al centro del progetto ci sono cinque vibratori dall'estetica contemporanea, fuori dai canoni spesso associati al settore. La vendita di sex toys è aumentata a livello globale negli ultimi mesi, in concomitanza con l'obbligo di quarantena nella maggior parte dei paesi del mondo. Secondo il Financial Times, il marchio berlinese Dildo King ha aumentato le vendite del 94%. Le aziende giapponesi dedicate al «fuzoku» (intrattenimento sessuale) hanno invece dichiarato che le disponibilità di prodotti sono molto basse e invitano i clienti a fare i loro acquisti il prima possibile. Dal canto suo, Lelo - azienda leader nella produzione di sex toys - ha lanciato il progetto «Smart love». Gli esperti consigliano infatti di fare una pausa di 15 minuti ogni due ore di smart working, e Lelo suggerisce di dedicare questo tempo all'amore. «Smart love» significa prendersi una pausa per il proprio benessere, per riscoprire amore per se stessi (o per il proprio partner) e sperimentare. Se siete interessati a conoscervi meglio ed esplorare la vostra sessualità, D2c Labs ha creato un'app chiamata Lover con una serie di consigli, guide e informazioni utili. Una volta effettuato il download - completamente gratuito - dovrete inserire alcune informazioni personali (sesso, età e orientamento sessuale) per creare il vostro account. Una volta creato il vostro profilo vi sarà proposto un test in cui dovrete «votare» quando o meno siete d'accordo con una serie di affermazioni che vi permetterà di evidenziare che tipo di amante siete. Lover propone poi una serie di obiettivi da raggiungere (soli o con il vostro partner) e una serie di scenari che possono ispirarvi. Più utilizzerete l'applicazione più questa riuscirà a capire cosa vi interessa e cosa cercate. Per finire, se siete in una relazione, il sito weshouldtryit.com presenta un questionario per voi e il vostro partner con diverse fantasie da esplorare insieme. Ognuno dei membri della coppia dovrà selezionare gli scenari che lo interessano e alla ne riceverete una mail dove sono raccolte soltanto le idee a cui ambo le parti sono interessate.
Elisabetta Ambrosi per il “Fatto quotidiano” l'1 aprile 2020. Esiste una categorie di dipendenti ai quali, ai tempi del Coronavirus, è stata negata ogni opportunità, a differenza di tabagisti e malati di psicofarmaci: è il folto popolo bisex degli adulteri, ai quali nessuno decreto ha consentito visite, nonostante su di essi si regga l' economia sentimentale del Paese. Il primo problema del traditore (o traditrice) seriale è l' impossibilità di nascondersi nella claustrofobia della casa. Dunque niente incontri reali, ma neanche virtuali, a meno che non si sfrutti la fila per la spesa, in quel caso benedetta, oppure la macchina ferma, dove pare la gente ormai si rifugi per avere un po' di intimità telefonica col proprio amante o il proprio psy. Diciamolo: la quarantena è l' incubo di chi l' equilibrio familiare l' aveva costruito su più persone e il trionfo sadico dei fedelissimi, almeno di quelli che per sopravvivere non utilizzavano altri surrogati, come il lavoro, oppure il running forsennato (scopertosi come il vero vizio nazionale). Ai tempi del Coronavirus, gli amanti stanno peggio delle povere badanti: perché mentre le famiglie sono corse a regolarizzare le seconde, legalizzare l' amore in nero non si può. Così l' adultero, costretto a smilzi messaggi dallo sgabuzzino, ha di fronte a lui due strade: o il mesto rifugio nel porno virtuale, che a poco serve visto che il vero tradimento è sentimentale, o l' accettazione realistica dell' economia di guerra, che può tradursi in astinenza totale o nel recupero del recuperabile, come Pinocchio con le bucce della pera in tempi di fame. Per arrivare magari ad avere l' intuizione risolutiva: forse sto bene così, addio triangolo e grazie quarantena. La stessa intuizione, però, potrebbe arrivare anche al singolo/a avviluppato in una relazione con lo sposato da sempre. Non lo posso sentire? Quasi quasi faccio senza. Pure dopo il Coronavirus, anzi soprattutto.
Simona Bertuzzi per “Libero quotidiano” il 3 aprile 2020. Lui non c' è e manca da morire. I suoi occhi, il suo profumo, il suo modo ondulato e impertinente di ondeggiare i fianchi quando cammina. Ci fossero parole per spiegare le mani che corrono sulla pelle increspata e soffocano il desiderio in un sospiro lento... ma lui è lontano, un maledetto morbo ha deciso di dividere gli amori e gli amanti in case frettolose e vuote. Due chilometri e mille esistenze più in là, una donna sposata passa in rassegna la sua vita frenetica nel salotto di sempre. L' attendono 15 ore di rituali freddi e consunti. Colazione, videoconferenza, quel minimo di faccende domestiche per non finire sommersi dalla polvere. I figli studiano e reclamano attenzioni. Il marito si chiude nel suo guscio e nel suo mondo di pratiche e scadenze. Le lenzuola sono diventate un velo di cotone leggero sotto cui infilare la stanchezza del giorno. La camera da letto, il confessionale in cui disperdere preoccupazioni e pensieri col buio della notte. Le pareti non rimbombano di sospiri caldi ma solo di capricci arruffati e urla sgangherate. Un pensiero, o forse un lampo del cuore, per quel giovane perfetto e maldestro conosciuto una vita fa in ufficio, e la maledetta voglia di incontrarlo e amarlo ancora. Due storie diverse di amori diversi. E quando tutto sembra perduto, sovviene un pensiero: se la soluzione fosse il sesso a distanza? Anzi, se il sesso a distanza fosse meglio di quello consumato in una camera d' hotel? Un sussurro. Una chiamata. La foto di un seno o di una gonna maliziosa mescolata a un frettoloso messaggio assetato d' amore. Il video peccaminoso assaporato col caffè del mattino come un dolcetto consolatorio.
SCAMBIO DI PAROLE. Qualcuno lo chiama Sexting, termine che deriva dalla commistione di Sex più texting e indica lo scambio di parole e messaggi con contenuti erotici tramite smartphone, pc o tablet. Qualche altro preferisce non definirlo temendo che possa essere identificato con quella pratica in voga tra i ragazzini e pericolosissima di mandarsi video e foto osè che possono finire nella rete di internet e diventare oggetto di dileggio o devastanti ricatti. No, non è di quello che parliamo. Ma dell' abitudine, ormai consolidata fra gli adulti, di fare l' amore a distanza. Senza rischio di violare le restrizioni di periodi come questi. O incasinare la vita coniugale con incontri e fuitine che potrebbero avere un impatto devastante. Un gioco semplice, insomma, da consumare in qualunque stanza della casa e in qualunque momento della giornata. Basta essere dell' umore giusto. Secondo Paola Zucchi, psicoterapeuta e sessuologa del Centro Medico Sant' Agostino di Milano «il fatto di vivere in una realtà così tecnologica consente di sperimentare diverse modalità di approccio sessuale». Ci sono i messaggi, i video e le telefonate. «Si può usare uno solo di questi canali o tutti contemporaneamente», dice, «e magari la distanza rende più spontanea e semplice la condivisione di una fantasia». Una pratica molto in voga al momento «consiste nel leggersi testi erotici al telefono o condividere filmati piccanti». Altra possibilità è «giocare con i sensi, la vista, l' udito e anche il tatto, poiché esistono applicazioni che consentono ai due partner di modulare i sex toys a proprio piacimento». Secondo l' American Psychological Association, negli Usa 8 persone su 10 inviano e ricevono messaggi sessuali. Al 75% è capitato all' interno di una relazione stabile, mentre al 43% in un rapporto occasionale. In Italia i numeri non si discostano molto. Otto su 10 fanno sesso via sms o whatsapp e ricorrono alla tecnologia per variare le loro relazioni, il 52% sono uomini, per lo più sposati e sui 30/40 anni. Il 48% donne, con una relazione stabile e un' età media di 30 anni. Ma le statistiche lasciano il tempo che trovano. «Se parliamo di sexting lo immagino più riferito ai giovani che agli adulti» - conferma la Zucchi - «ma poiché i mezzi a disposizione sono tanti è possibile che anche amanti più attempati lo sperimentino, l' importante è farlo senza forzare la propria tipologia di coppia». Anche la dottoressa Mio Lì Chiung, psicoterapeuta e direttrice dello studio di psicologia Salem, conferma che è un fenomeno generazionale. «Il sesso a distanza è praticato dalle giovanissime - e per fortuna l' informazione sta producendo risultati e la maggior parte delle ragazze interagisce solo con qualcuno che conosce - e dalle donne della fascia di età dai 35 ai 50 anni. Che però lo usano nei rapporti occasionali. Si iscrivono alle app di incontri, scelgono il partner che più le affascina e con lui fanno sesso con webcam prima ancora di conoscerlo». Naturalmente anche nel sesso a distanza niente è semplice come sembra. Perché la donna tra un sospiro e l' altro infila sentimenti e aspettative romantiche che l' uomo non ha. E l' uomo, anche il meno imbranato, finisce prima o poi per mandare la foto del suo sesso in erezione insieme al buongiorno del mattino, rischiando di risultare indigesto. «In tutte le relazioni serve il buonsenso», dice la Chiung. «Come non baceresti una donna alla prima uscita se dall' altra parte non noti un segnale incoraggiante, così non puoi lanciarti in un rapporto sessuale a distanza se l' altro è tiepido».
I CONSIGLI Chi non è pratico della materia comunque stia tranquillo. Qualcuno ha stilato le regole di comportamento anche per il sesso a distanza. Per esempio non bisogna avere fretta mai, perché l' amante, anche il più appassionato, ha bisogno di sentirsi a suo agio e non si lascia andare a un amplesso virtuale in assenza dell' atmosfera giusta. Molti consigliano di cominciare con una chiacchierata romantica via chat, poi azzardare una cena a lume di candela e infine spingersi in un letto. Seconda regola, occorre trovare il partner che navighi sulla stessa lunghezza d' onda, inondare il collega di scrivania o il marito indaffarato di messaggi ammiccanti rischia di sembrare sgradevole, ai confini con la molestia. Terza regola, bisogna essere precisi anche nel vortice della passione perché se il messaggio arriva alla vecchia zia o al marito incanutito e stanco anziché al giovane amante scoppia il disastro. Anche l' ortografia ha la sua parte: immaginate di sedurre la nuova fiamma con un messaggino zeppo di h e congiuntivi buttati a casaccio. Sembrerete degli asini patentati e tutta la poesia finirà. Quinta e ultima regola. Non fate sesso a distanza se siete personcine piene di inibizioni: finirete per odiarvi e cadere in uno stato d' ansia più sfinente e malevolo della quarantena da Covid-19.
Addio corna-virus: tutti diventati fedeli per forza. Con chi parlavi al telefono?». «Nessuno... Hanno sbagliato numero». Nelle case iper-disinfettate e iper-sature dell’era pandemica, c’è un ospite inatteso: l’infedeltà. Enrica Simonetti su La Gazzetta del Mezzogiorno il 03 Aprile 2020. Con chi parlavi al telefono?». «Nessuno... Hanno sbagliato numero». Nelle case iper-disinfettate e iper-sature dell’era pandemica, c’è un ospite inatteso: l’infedeltà. Sdoganata ormai in ogni famiglia la «chattitonite» cronica, la malattia che ormai tiene uniti i singoli rinchiusi e che è passata da sinonimo di solitudine a sinonimo di socialità, un nuovo nemico si affaccia all’orizzonte dei rapporti amorosi e cioè il dubbio che ogni partner si pone, con il sospetto di trame oscure e di amorazzi da ufficio consumati nelle (ex) lunghe ore di assenza dell’altro. Tempi duri per il partner infedele. Ha voglia il premier Conte a ipotizzare il controllo sugli italiani: il vero controllore ora è dentro casa e le coppie, già così minate (o beneficiate?) dalla convivenza H24, si trovano a volte a fare i conti con questo desiderio di vigilanza la cui forza supera quella di ogni sindaco Decaro intento a fustigare i fuggiaschi. Un problema che, nel mare di drammi che stiamo vivendo, è certamente l’ultimo. Ma, forse, il parlarne ci distoglie dai tempi complicati in cui ci siamo infilati. Come si sta propagando il virus dell’infedeltà? Dove finiscono gli istinti a flirtare dei più incalliti domatori e donatori di passioni vietate? Qualche statistico buontempone ha previsto che dopo la clausura in Italia ci saranno più nascite e più divorzi, previsione sulla quale non è detto che le cifre alla fine abbiano curve certe. Sì, perché l’Emma Bovary che manda i suoi baci-selfie mentre il marito va a buttare l’immondizia non sembra così passionale come un tempo e pure il Casanova più determinato sarà forse a corto di appuntamenti possibili. Shakespeare si affidava al destino e diceva che “così vuole il fato, che per un solo uomo che è fedele, un milione fallisca, distruggendo promessa su promessa”. E in questi tempi distruttivi in cui è cambiato il concetto di vicinanza, e in cui la parola “distanza” è invece sintomo di sicurezza, che fine faranno le ricerche di nuovi fantasiosi lidi verso cui spiaggiare il naturale bisogno d’amore? Il vicino di casa che si rifugia a parlare al telefono sul balcone–zona rossa rischia di far ascoltare a tutti il suo discorso amoroso. E anche lei, col cellulare che sa di alcol denaturato, flirta a tempi ristretti. In casa circolano libri riaperti dopo un lungo sonno e la figlia che adora i classici ricorda a tutti che Cesare amava i tradimenti e odiava i traditori. Non si mandano fiori, non si beve un caffè in centro, vietate le belle passeggiate al sole con l’ora legale che invoglierebbe, lo smart working è un impegno per le pupille che alla fine saranno stanche anche di guardare monitor e di inoltrare video. Sarebbe in difficoltà di questi tempi anche il grande George Gershwin, che oltre a regalarci una musica eterna, era un aitante tombeur de femmes e pare che un giorno disse: “Perché mai dovrei dormire con una sola donna, quando posso avere tutte quelle che voglio?”. Oggi, tutte quelle che vuole dovrebbero avere mascherina e autocertificazione. E poi ci sono i viaggiatori. I professionisti del tradimento che si fa negli “spostamenti” dovuti al lavoro, con il telefono spento per le ore di aereo (e chi va a controllare) o per le riunioni in corso. Ora che tutto avviene su Skype, ora che lo studio è chiuso, ora che il problema è invece il sito intasato per ottenere i 600 euro di benefit, chi ci pensa più alle svolazzate emozionanti? E poi, dal salotto di casa, quel finto “Ah, buonasera dottore” detto all’amante che ansima all’altro capo del telefono sa tanto di Adriano Celentano e Claudia Mori d’antan. Tra i doni inaspettati delle convivenze pandemiche, chissà, potrebbe esserci anche quello di una ritrovata consapevolezza. Il dare un senso ai gesti e agli incontri, separando il falso dal vero, l’intimità dall’esteriorità. Le eterne fragilità umane potrebbero convogliarsi verso altre mete, nascondendo gli arciuomini, le arcidonne, le arcicoppie che magari non scoppieranno più, trovando certezze nei gesti e nella cura che si era perduta con la lontananza, con quel metro di distanza che oggi ci chiedono e che invece praticavamo incosapevolmente con chi meritava più vicinanza. Ma forse questo è solo un sogno passeggero, una ventata che poi alla fine si spegnerà, perché tornerà tutto come prima. E andrà-tutto-bene.
Ps: Maya, il mio cane, costretta a brevi passeggiate di 200 metri, non perde la speranza di rincontrare il suo amico, un bracco dal pelo fulgido che correva sul lungomare, occhieggiando e annusando romanticamente verso di lei. Fedeltà.
Maria Elena Barnabi per "cosmopolitan.com" il 31 marzo 2020. C'è un mercato in costante crescita, e probabilmente l'epidemia del coronavirus che stiamo vivendo in questo periodo lo farà impennare ancora di più: stiamo parlando del business dei sex toys, che secondo la più recente analisi crescerà dai 28 ai 52 miliardi di dollari entro il 2026. Accanto ai potentissimi brand nati da un cervello maschile che dominano il mercato (Lelo, Doc Johnson, Tenga), ce ne sono tanti altri, alcuni di nicchia, altri con numeri competitivi, interamente ideati e sviluppati da donne imprenditrici: creative, ingegneri, ricercatrici, esperte di sesso, designer. Ed è di loro che vogliamo parlarti, a cominciare da quella che negli ultimi mesi ha scardinato il mondo dell'hi tech: Lora Haddock DiCarlo* che con il suo sex toy/robot rivoluzionario Osé (dentro la vagina si muove avanti e indietro sfregando la zona del punto g, mentre esternamente succhia il clitoride), aveva dapprima vinto il premio per l’innovazione nella sezione “robotica e droni” al Ces di Las Vegas, la fiera hi-tech più importante del mondo, salvo poi essere giudicato immorale quindi indegno del premio. «Ho scoperto il Sacro Graal dell’orgasmo misto (clitorideo e del punto g, insieme, ndr) quando studiavo medicina all’università. Mi sono detta: “Come faccio a ricrearlo?”. Sul mercato non c’era un vibratore così, che sfruttava appieno la fisiologia della vagina. Ho fatto ricerca, ho intervistato migliaia di donne, ho lasciato l’università e con ingegneri donne del laboratorio di robotica dell’università dell’Oregon abbiamo creato Osé, il sex toy che dà orgasmi misti». Ci sono state molte polemiche, l’award è stato poi riabilitato e Osé ha fatto 3 milioni di dollari in 5 settimane. Quest’anno a gennaio, Lora e i prodotti della sua start up Lora DiCarlo sono tornati in pompa magna al Ces, insieme a tante altre donne produttrici di sex toys. Insomma qualcosa è cambiato nel mercato dei giocattoli e degli accessori erotici, e quel qualcosa sono le donne, che da clienti sono sempre più imprenditrici. Ecco quelle che devi assolutamente conoscere.
*In questi giorni Lora DiCarlo ha dichiarato su Instagram di essersi ammalata piuttosto seriamente di Coronavirus, ma è sulla via della guarigione. Daje Lora!
Elsa Viegas, 43 anni, e Marta Aguiar, 40, sono le fondatrici di Bijoux Indiscrets, brand spagnolo cheap & chic di accessori e gioielli erotici presente in 42 Paesi. Elsa: «Quando abbiamo iniziato noi, nel 2006, i sex toys erano o bruttissimi o molto cari. C’era un vuoto, e noi lo abbiamo riempito con oggetti di design e accessori raffinati ma dai prezzi ragionevoli». «È stato difficile: erano i nostri risparmi e le banche storcevano il naso quando sentivano la parola “sesso” (ora fatturano intorno ai 3 miloni di euro, ndr). Ma ce l’abbiamo fatta. Il nostro segreto? Spingere le donne a esplorare il proprio corpo e la propria mente. E rompere i tabù, come con la nostra biblioteca virtuale di orgasmi orgasmsoundlibrary.com». Una donna che ti ispira? «Madonna: come lei crediamo nella libertà sessuale e amiamo lavorare con persone brillanti».
Alicia Sinclair, 39 anni, americana, è la fondatrice di Cotr (Children of the revolution), che racchiude tre marchi: B-Vibe (sex toys anali), Le Wand (per lei) e la sex machine The Cowgirl. «Ho passato anni nel mercato dei sex toys prima di aprire la “mia cosa” nel 2015. Quello che ho voluto fare è proporre sex toys efficaci e insieme fare educazione sessuale con una campagna di marketing molto esplicita, con guide chiare ed esaustive, soprattutto sul sesso anale, molto stigmatizzato». «Le donne ancora oggi sono guardate con sospetto se abbracciano la loro sessualità: io ci metto la faccia, faccio educazione sessuale, sono l’ambasciatrice dei miei brand. Spero che serva, e che spinga le persone ad avere la vita sessuale che ciascuno di noi merita».? Una donna che ti ispira? «Quelle del mitico negozio Babeland: su donne, piacere e inclusività la pensiamo allo stesso modo».
Lea-Sophie Cramer, 32 anni, fondatrice di Amorelie, uno dei più grandi produttori e venditori online europei di sex toys e accessori (nel 2017 faceva 65 milioni di euro), è una “ragazza prodigio”: a soli 23 anni era già vicepresidente di Groupon, nel 2013 ha fondato Amorelie e nel 2016 era nella prestigiosa lista Forbes 30 Under 30. Ora si è presa un anno di pausa. «Tutto è iniziato con il grande hype di 50 sfumature. Ho capito che vendere online, in modo massiccio e ragionato, oggetti divertenti e raffinati, in un contesto “normalizzante” sarebbe stato vincente. La differenza tra noi e gli altri? Noi ci siamo concentrati sulla coppia: il nostro scopo è aiutare le persone a rinforzare il loro legame. E funziona anche sul lavoro: nelle aziende in cui uomini e donne cooperano, la redditivà aumenta del 19%!». Una donna che ti ispira? «Sara Blakely la vulcanica fondatrice di Spanx».
Polly Rodriguez, 33 anni, è ceo e fondatrice di Unbound, brand di Manhattan che ha un magazine e crea sex toys supertecnologici, accessori e lubrificanti. «A vent’anni mi colpì il cancro e andai in menopausa precoce. Un’infermiera mi consigliò di usare un vibratore per ritrovare la mia libido. Entrai in un negozio: che tristezza, che volgarità». «C’erano mille brand cool per la sessualità dei maschi (Playboy, Viagra), perché non ce n’era uno per le donne, fatto da donne? Con la mia socia nel 2014 ho creato Unbound, con lo scopo di portare il benessere sessuale nella vita di tutti i giorni: per i primi tre anni abbiamo lavorato di notte e l’ufficio era il nostro appartamento. Ora siamo in dieci e produciamo i nostri sex toys. Il mio preferito: l’anello con vibratore Palma». Una donna che ti ispira? «Le mie nonne, imprenditrici e lavoratrici quando non era facile esserlo per una donna».
Manon Vallée ha 65 anni ed è la fondatrice e la vicepresidente di Shunga Erotic Art, storico brand canadese di gel, lubrificanti e cosmetici erotici. «Trovare un libro di Shunga, cioè di stampe erotiche giapponesi, per me e il mio compagno fu il punto di inizio. È nato tutto lì, nel 2000. A volte bisogna essere capaci di far fruttare le ispirazioni. Abbiamo creato dei prodotti che promuovono il benessere sessuale, come il gel clitorideo o per il punto g, e il mio compito è girare nei negozi e nei distributori di tutto il mondo (siamo in 70 Paesi!) per insegnare come usarli a chi li vende. Adoro aprire le menti. Oggi mia figlia Kim lavora con me: è una giovane donna molto professionale. Non vedo l’ora di vederla realizzare le sue idee». Una donna che ti ispira? «Mia madre e la sua tenacia. E Lise Watier, la business woman del Quebec che negli Anni 70 ha lanciato i cosmetici con il suo nome».
Alexandra Fine, 31 anni, e Janet Lieberman, 34 anni, sono le fondatrici di Dame Products, il brand di Brooklyn che con il crowfunding ha raccolto 600mila dollari in 45 giorni. Alex è una psicologa della Columbia University, Janet un ingegnere laureata al prestigioso Mit.
Janet: «Subito dopo la laurea mi sono messa a lavorare su qualunque prodotto elettronico, dalle palette alle stampanti, e mi sono resa conto che i sex toys avevano standard bassissimi di qualità rispetto al resto. Ho capito che potevo cambiare le cose e ho incontrato Alex. Abbiamo creato Eva, lo stimolatore clitorideo da usare senza mani durante il rapporto. Volevamo ridurre il “pleasure gap” tra uomo e donna: il 70% delle donne ha bisogno della stimolazione clitoridea per raggiungere l’orgasmo durante il sesso». Una donna che ti ispira? «Limor Fried, giovane ingegnere elettronico che ha fondato la start up di successo Adafruit».
Ti Chang ha 40 anni, è americana ed è industrial designer e cofondatrice di Crave, che fa gioielli-vibratori di design venduti nei negozi più di tendenza del mondo. È appena tornata dal Ces di Las Vegas ed è carica a pallettoni. «Perché una caffettiera dovrebbe avere un design più curato di un sex toy? E come fa un uomo a produrre un vibratore, senza sapere che effetto ti dà? Nel 2014 abbiamo lanciato la nostra collana Vesper, e da allora è un continuo successo: le donne amano indossare un gioiello che è anche una forte dichiarazione di indipendenza e del fatto che abbracciano apertamente la loro sessualità. Avere il controllo del proprio piacere rende le persone più felici: ecco perché non dovrebbe esserci spazio per la vergogna, né per la gogna». Una donna che ti ispira? «Betony Vernon, la designer che per prima creò i gioielli erotici agli inizi degli Anni 90».
Éva Goicochea, 37 anni,è fondatrice di Maude, brand newyorkese essenziale e di design che produce condom, lubrificanti, candele e un unico sex toy molto minimale. Lanciato nel 2018, nel 2019 in un anno ha fatto circa 2 milioni di dollari in vendite e le previsioni sono di raddoppiare nel 2020. Il loro punto forte? L’essere gender free e puntare tutto sul naturale. «Se guardi il mercato dei sex toys, per anni è stato dominato dai maschi, mentre ora va molto la comunicazione verso le donne. Il che va benissimo, ma io ho voluto creare un brand no gender: il piacere non ha sesso, e chi l’ha detto che noi donne non possiamo fare prodotti per tutti gli umani?». Una donna che ti ispira? «Eileen Fisher, che ha ideato il suo brand fashion sostenibile da zero. Una volta ha detto: “Il lavoro che ti dà soddisfazione non ha a che fare con i soldi, ma con la vera passione: è lei che ti fa trovare un modo per crescere”».
E in Italia? Secondo le stime degli addetti ai lavori, il mercato dei sex toys in Italia si aggirerebbe intorno ai 30 milioni di euro, di cui 8 online. È un mercato in crescita, dove negli ultimi anni le donne stanno emergendo, non tanto come produttori (in verità non ci sono grandi brand italiani che fanno sex toys), ma nella vendita. Il nome più famoso è senza dubbio quello di Norma Rossetti, 36enne alla guida di MySecretCase, che in pochi anni è riuscita a creare un sito cliccatissimo e women friendly.
Realtà più piccole ma molto attive sul territorio con corsi, serate e incontri sono il Vizia Shop della 43enne Viviana Poli a Rimini, Zou Zou Store di Roma di Tiziana Russo, 51 anni. Menzione a parte per Frida Affer , 33 anni che a Milano ha aperto Wovo Store, shop supercool con un canale YouTube.
Sesso al tempo del coronavirus, tra speed dating e sex toy. Come in ogni aspetto della quotidianità, tutto passa ormai dalle videochat: le app corrono ai ripari e lanciano nuove funzionalità visive o vocali. Mentre la teledildonica è ormai dietro l’angolo. Simone Cosimi il 27 Marzo 2020 su La Repubblica. Come si fa il dating, e tutto il resto, in tempi di quarantena? Come tutti gli altri aspetti della quotidianità in cattività casalinga: con una scorpacciata di video. Dopo una prima, comprensibile fase di assoluto disorientamento – dopo tutto, quei servizi servono a far incontrare fisicamente le persone – e di necessari inviti a 'fare virtualmente, per il momento' (questo l’appello di Whitney Wolfe Herd, fondatrice di Bumble), le piattaforme del settore hanno iniziato a proporre delle alternative. I numeri, d’altronde, erano e continuano a essere piuttosto complicati e i titoli in borsa al ribasso (un’azione del colosso Match costava oltre 92 dollari a metà gennaio, oggi 63 dopo una lunga altalena). Raccontava l’Agi che per esempio per Tinder, l’app regina controllata proprio dal gruppo statunitense, dopo un ottimo inizio del 2020 ha ovviamente registrato una flessione a marzo, sia come download dell’app che come fatturato. Un’altra idea la danno le classifiche dei download su iOS e Android del sito di analisi App Annie: ai primi posti fioccano quasi esclusivamente programmi per le videoconferenze un po’ il tutti i mercati, da Zoom a Google Hangouts Meet fino a Houseparty, Google Classroom o Microsoft Team, farcite ad altre di cucina. In Italia, in particolare, al 26 marzo la classifica delle applicazioni gratuite per iPhone diceva Disney+ (lo streaming di Topolino che è appena partito), Zoom, Hangouts Meet, Houseparty, Skype, Tik Tok, Classroom, Jeetsi Meet, Teams. E poi qualcosa per allenarsi, giochi, video in streaming e documenti. Fine. Non ce n’è una di dating fra le prime cinquanta, mentre Tinder rimane alla settima piazza fra quelle che incassano di più. In quella chart spuntano anche Badoo, Lovoo e la storica Meetic. Come fare? Allineandosi all’obbligo dei tempi: tutto a distanza. Anche le potenziali relazioni. Una soluzione, come racconta Mit Tech Review, è stata quella di Coffee Meets Bagel. Il cofondatore, Dawoon Kang, ha pensato di proporre agli utenti dei videoincontri da 10 a 15 partecipanti moderati da un rappresentante del gruppo. Chi sia interessato a qualcuno incontrato nel meeting, come si comprenderà impostato un po’ in chiave speed date digitale, può scrivere all’incaricato della piattaforma e, se le cose sembrano girare, questi li metterà in contatto. Meglio di niente. Il punto è ovviamente che le regole (e il galateo) si stanno ribaltando. Se chiamare o concedersi a una videocall, prima del “lockdown”, sembrava eccessivo per cui si procedeva fondamentalmente per chat e semmai scambio di foto spesso poco credibili, in preparazione di un eventuale incontro dal vivo, adesso è tutto il contrario. E per certi versi perfino più immediato. Once, per esempio, l’app che propone un solo contatto ogni 24 ore, ha sviluppato una nuova funzione live-video per permettere ai propri utenti di continuare a interagire e conoscersi in sicurezza. La nuova funzione sarà disponibile gratuitamente a partire dalla prossima settimana. In pratica, se il match viene ricambiato ed entrambi gli aspiranti partner prestano il loro consenso, sarà possibile avviare la funzione per continuare la conversazione via video-chat. E tanti saluti alla cena, all’aperitivo o alla serata in un locale. Tutto dal salotto, o da qualsiasi stanza preferiate. A fiutare subito la situazione – e ad accelerare il lancio delle funzionalità di videoincontri - era stata già all’inizio di febbraio JWed, un’altra dating app rivolta ai single ebrei. Poi è arrivata appunto Bumble, con feature video e vocali che consentono alle persone di conoscersi quanto più possibile senza, ovviamente, vedersi di persona. Secondo molti addetti ai lavori, al netto dell’emergenza più immediata, queste saranno le formule obbligate del nuovo dating per le prossime settimane e forse mesi. Per cui di soluzioni, più o meno raffinate, ne arriveranno molte altre. “All’inizio, le persone pensano di non apparire molto bene – ha spiegato Kang – ma alla fine ci provano, specie quando realizzano che non potranno incontrare nessuno dal vivo per un bel po’ di tempo. E una volta che ci provano, sono portati a ripetere”. Insomma, alla fine ci si abitua a tutto. Non solo il complicato cambiamento di pelle del dating. Ai sex toy, e a tutte le soluzioni tecnologiche in qualche maniera fai-da-te, sembra stia andando molto bene. Justin Lehmiller dello storico Kinsey Institute, fondato nel 1947 dal pioniere della sessuologia Alfred Kinsey, lega ovviamente alla quarantena l’interesse per dispositivi, giocattoli e servizi di ogni genere. E non ha dubbi sul rapido cambiamento delle abitudini: dai sex toy ai party a sfondo erotico sulle piattaforme pensate per altri usi come la stessa Zoom, si sta aprendo – o intensificando – un ambito ancora in gran parte da esplorare. In Italia, nella prima settimana di marzo, gli ordini per il sex toy tedesco best seller, Womanizer (molti ne sono stati anche distribuiti gratuitamente con il sito Bellesa) sono cresciuti del 60%, in Francia del 40% e a Hong Kong di oltre il 70. Nel complesso, secondo i calcoli di MySecretCas, primo shop online italiano per dispositivi di questo tipo, l’acquisto di sex toy è salito del 50% da parte delle coppie e dei single, proprio nei giorni seguenti la chiusura del paese e le restrizioni alla circolazione per contrastare il coronavirus. “Crediamo che l’obbligo a restare chiusi fra le mura domestiche abbia spinto tutta la penisola a trovare strategie per godersi la quarantena, sia da soli sia in coppia – ha spiegato Norma Rossetti, fondatrice di MySecretCase - in questi giorni stiamo continuando a tenere aperte le comunicazioni con le nostre migliaia di utenti, tramite i canali social Instagram e Facebook, attraverso messaggi e chat di sostegno reciproco: quello che percepiamo è che, oltre alle sacrosante campagne di solidarietà e al bombardamento intenso di informazioni, c’è un forte desiderio di stare insieme, connettersi, fare l’amore, scoprirsi”. How to, favole erotiche, consulenze (MySecretCase le tiene ogni martedì e giovedì sul proprio profilo Instagram, con l’aiuto di sessuologi e altri esperti) completano l’offerta online. Un’altra piattaforma come Lelo ha invece suggerito i sex toy più adeguati e popolari: Soraya 2, il preservativo supersottile a trama esagonale Hex o il F1 Developer’s Kit Red. Dal momento che molti di questi gadget sono prodotti in Cina, anche la supply chain del sesso formato giocattolo ha rischiato di incagliarsi. Lo ha confermato Polly Rodriguez del sito Unbound Babes, che ha visto esplodere gli ordini del 30 e 40% nelle prime due settimane di marzo. Proprio nel periodo più debole dell’anno. Secondo Lehmiller dietro questo boom si nasconde anche il mutamento della struttura demografica a cui abbiamo assistito, almeno in certe società, negli ultimi decenni. Più nuclei famigliari composti da un’unica persona: “Ci sono tante persone che non vivono né col partner né con un marito o una moglie”. Anche se i sex toy non sono certo solo per loro, anzi. Per questo, sempre di più, si tenderà a sperimentare da soli o in coppia: “Vedremo un aumento nei sex toy a controllo remoto grazie ai quali le persone possono coinvolgersi con le persone a distanza” ha aggiunto l’esperto. Come con lo smart working, insomma, anche la rivoluzione sex tech – la “teledildonica” ma non solo – dovrà mettere il turbo e offrirci soluzioni sempre più particolari nel pieno della pandemia globale.
Giordano Tedoldi per “Libero quotidiano” il 24 marzo 2020. Non senza qualche sbadiglio, già abbiamo preso atto di molti articoli che, parafrasando un celebre romanzo di Gabriel Garcia Márquez, sviscerano l' amore al tempo del Coronavirus. Ma non si occupavano, evidentemente, dell' amore clandestino, fedifrago, adulterino, proibito e illecito che in tempi di quarantena globale rischia l' ecatombe in virtù della forzata separazione degli amanti e della simultanea coatta e virtuosa congiunzione dei coniugi. Immaginiamo quale quantità di stratagemmi e loschissimi sotterfugi stiano mettendo in opera gli adulteri per non spezzare il labile filo della loro passione. Di certi molti messaggini in chat di "app" russe insondabili pure agli ex esperti del KGB con allegate foto tra l' apocalittico e il pecoreccio presto godute e cancellate, mail cifrate e allusive oppure estesamente descrittive con i dettagli noiosissimi delle giornate trascorse accanto al marito o alla moglie o ai figli o ai suoceri e il resto della tribù, e queste davvero possono essere il colpo di grazia per qualunque amore, anche il più indiavolato. E la speranza, dell' amante rispetto al marito o alla moglie, che lui o lei, costretto alla fedeltà per interminabili settimane, non ci prenda gusto e, finita l' emergenza (come tutti ci auguriamo, in amore o non), animato da nobili pensieri di redenzione, non dichiari finita quella relazione di certo immorale che però divertiva tanto.
LA FIACCOLA. Già, come tenere accesa la fiaccola dell' amore proditorio?Appuntamenti nel primo pomeriggio in fremente coda distanziata al supermercato? E una volta dentro, sguardi eloquenti, nonostante le mascherine, a un metro e mezzo di distanza e conversazioni in sordina da due reparti differenti? Appuntamenti galanti tenendo al guinzaglio cani stremati da minzioni e defecazioni e passeggiate così lunghe e reiterate che stramazzerebbero Zanna Bianca? Telefonate stile "Buonasera dottore" nelle due versioni storiche, Alberto Lupo e Raimondo Vianello - e Sandra Mondaini: «Guarda tu se questo cretino per incontrarsi con l' amante deve sorbirsi tutte le sere la canzone di Claudia Mori» - oppure fugaci sbaciucchiamenti "smart" in videoconferenza? E le rassicurazioni all' inevitabile «ma non è che ti stai innamorando di nuovo di tua moglie?» oppure il veleno del «come sta tua moglie? Mi sembra che ti prendi più cura di lei che di me» o anche la sublime ipocrisia del «forse, in una situazione come questa, è meglio che non ci vediamo più, lei ha bisogno di te» al quale segue l' intramontabile: «ma no, che c' entra».
LA NATURA UMANA. Già, perché per quanto catastrofica la situazione sia (e lo è più di quanto chiunque si aspettasse), alligna nella natura umana una stolida tendenza, finché le riesce, ad andare avanti come se niente fosse e a trovare persino eccitante e avventuroso che si debbano fare i salti mortali per vedere l' amante (o magari anche farsene uno per alleviare la quarantena, ché mica si può sopravvivere ascoltando i consigli degli "intellettuali", cioè chiunque, che sui social dilagano incontinenti con elenchi folcloristici di libri e film e musiche, piuttosto ci spariamo) o perlomeno tenere alto il suo interesse, intrattenerlo, fare manutenzione degli affetti anche quelli inconfessabili. Del resto, non si può credere che il quadro di famiglie ricomposte e unite e sottomesse alla convivenza profilattica sia tutta la realtà, e che dietro questa immagine edificante non covi il più perturbante e maleodorante brulicare di altri amori non dichiarati e magari anche multipli e rigorosamente non necessari. Già, l' amore non necessario, di questi tempi, può essere una boccata d' ossigeno. Ma di nuovo, come fare? Ora che s' annunciano ulteriori strette sulla preziosa libertà di varcare la soglia di casa, in tempi in cui già il passeggiare in strada per non acquisire una prematura invalidità degli arti inferiori è difficile senza essere apostrofato "untore!" da qualche quarantenato molto engagé alla finestra (mai che si facessero i casi loro, ma che fanno affacciati? Non dovevano leggere La peste di Camus, come da suggerimento dei sapienti?) e in cui, grazie alla inequivoca ambiguità delle disposizioni governative, non si capisce se si può fare ginnastica o no al parco, e con chi, con l' amante o col cane addestrato (e se le due cose coincidono?).
PIÙ ASETTICI.La situazione, intanto che si cerca di non impazzire chiusi in casa con i "propri cari", intanto che si fa di necessità virtù, è che l' amore al tempo del Coronavirus rischia di essere una gran delusione, anche quello eccitante per eccellenza, cioè quello in cui c' è un "passeggero segreto" non visto e non sospettato. Purtroppo, qui il rischio è che il "passeggero segreto" non sia né quello di Joseph Conrad, né il corpo bramato dell' amante, ma lo scolorito virus. Diventeremo tutti più asettici e puritani e rigidi e spietatamente moralistici, più di quanto già eravamo grazie allo sguardo in cagnesco del movimento #MeToo, che in tempi non sospetti ci aveva perentoriamente distanziati di abbondanti metri e mezzi, quando il rischio era la molestia, prima che subentrasse il contagio? Continueremo a toglierci libertà e a conculcare passioni e impulsi e carnalità (nonostante tutto il cianciare nella pubblicistica accigliata, femminista e non solo, di "corpi", sempre più astratti, generici e meramente verbali) anche a emergenza finita (che Dio voglia) credendo che sia la strada verso più diritti, più eguaglianza, più rispetto e più identificazione con il migliore dei mondi possibili del Dottor Pangloss? C' è già molta gente entusiasta e dissennata (anche poeti famosi) che dice con voce soave avvolta da melodie new-age che il virus è un bene, che ci dovevamo calmare, che eravamo troppo superbi, e in un Paese come il nostro, dove la predica colpevolizzante nonché rigorosamente sprovvista di appoggio scientifico è il genere letterario di maggiore successo, non c' è proprio da stare allegri. L' amore, forse, non ci salverà. Ma lo sapevamo già.
Da repubblica.it il 22 marzo 2020. Un manifesto hot crea discussioni e polemiche a Borgosesia, nel Vercellese: in città, in uno spazio per affissioni di proprietà comunale gestito da un'agenzia, è apparso un maxi cartellone pubblicitario che, utilizzando grafiche stilizzate, elenca i comportamenti - incluso il sesso - da tenere nei giorni della reclusione imposta dalle misure per il contenimento dell'infezione da coronavirus. Tra le icone grafiche, ne compare una piuttosto esplicita che suggerisce un modo per impiegare il tempo in casa in coppia. Il manifesto hot ha suscitato, come sempre accade in questi casi, sia ironia e ilarità che riprovazione e polemica. Tra i 'censori' anche il sindaco leghista Paolo Tiramani, che ha dichiarato: "Siamo in un periodo estremamente critico, in cui quotidianamente ci si raffronta con problematiche importanti, non pensavo di dover preoccuparmi anche dell'imbecillità di certi individui". "Ammoniamo pubblicamente - ha aggiunto il sindaco - l'agenzia responsabile delle affissioni ed esigiamo che, nel rispetto del contratto, eserciti un controllo sui contenuti delle pubblicità che affigge negli spazi pubblici: non saranno più tollerate pubblicità indecorose come quella del cartello, del quale peraltro ho già ordinato la rimozione immediata".
Sesso ai tempi del coronavirus: cosa si può fare e cosa no. Pubblicato mercoledì, 25 marzo 2020 su Corriere.it da Greta Sclaunich. Cosa si può fare ma soprattutto cosa non si può fare nell’intimità durante l’emergenza che stiamo vivendo? Se lo chiedono in molti: abbiamo girato le domande più comuni a due esperti, la sessuologa Roberta Rossi, presidente della Federazione italiana di sessuologia scientifica (Fiss), e Vieri Boncinelli, psicoterapeuta della crisi e presidente del comitato scientifico della Fiss, per capire meglio come dobbiamo comportarci. Giovedì 26 marzo alle ore 11 saranno in collegamento sul sito del Corriere per rispondere alle domande dei lettori. Se uno dei due è positivo: bisogna rispettare sempre la distanza di sicurezza e quindi non si può fare nulla, nemmeno dormire insieme (qui tutte le altre regole da seguire).
Il virus Covid-19 infatti si trasmette principalmente per via aerea e fino alla distanza di quasi due metri;
Se uno dei due è a rischio o presenta sintomi: bisogna rispettare tutte le cautele del caso, compreso il dormire separati, e restare sempre a distanza. Chi è a rischio, perché magari ha un lavoro che lo porta a stare a diretto contatto con il pubblico, appena torna a casa deve cambiare tutto l’abbigliamento, lavarsi con cura e poi indossare indumenti puliti;
Se nessuno dei due è positivo, a rischio e non presenta sintomi: ci si può accarezzare e dormire insieme, ma sarebbe meglio evitare di baciarsi e di avere rapporti orali e penetrativi. Il contagio può avvenire infatti non solo per via aerea ma anche per contatto diretto con muco e saliva: non è stata riscontrata la sua presenza nei liquidi seminali o vaginali delle persone infette (nelle feci, invece, sì) ma siccome di questo virus sappiamo ancora poco il consiglio resta quello di essere più prudenti possibile.
Per chi è in coppia ma non vive con il partner: non lo può incontrare perché il movimento fuori dalla propria abitazione è giustificato solo per comprovate esigenze lavorative, assoluta urgenza, situazione di necessità, motivi di salute e nessuna di queste motivazioni include un appuntamento con il partner (qui il nuovo modulo aggiornato);
Per chi è single: come sopra. Ma non significa che non possa conoscere persone nuove: la tecnologia, in questo, può aiutare sia le coppie distanti che chi cerca nuovi partner. Potrebbe essere l’occasione giusta per rivalutare il sexting, anche se occorre sempre usare prudenza perché resta un rischio sia per la privacy che per la dipendenza da pornografia.
Nell’autoerotismo occorre qualche cautela in più: lavarsi sempre le mani, se poi si è stati fuori farsi la doccia e cambiarsi appena si torna a casa. Se si usano sextoy questi vanno sempre disinfettati con prodotti appositi prima di utilizzarli.
Melania Rizzoli per “Libero Quotidiano” il 23 marzo 2020. Da tre settimane è tutto sospeso. La socialità, l'affettività ed anche la sessualità. Mai come in questo periodo ricevo centinaia di domande su modalità di comportamenti comuni, per evitare di essere contagiati dal Coronavirus, da amici, conoscenti e finanche sconosciuti, i quali mi chiamano a tutte le ore, ansiosi, spaventati e preoccupati, chiedendomi consigli medici con voce strozzata e concitata spesso al limite dell'isteria, fino a quando finalmente il tono si placa, si fa basso, vira verso un'aria confidente, quasi confessionale, lievemente imbarazzata, apparentemente scherzosa, e si arriva sottovoce al punto fondamentale, il vero morivo della telefonata: "con il sesso come si fa perdio? Tra i cento che parlano in tv, non c'è uno scienziato che abbia affrontato l'argomento, che lo abbia spiegato, o che ci abbia informato!". Nei momenti di grandi crisi come quella che stiamo tutti vivendo, dove tutto viene rallentato, fermato, rimandato e proibito, l'istinto alla sessualità equivale a quello della vita, ed emerge con forza nel tentativo di conservare almeno quella benefica gratificazione personale durante l'assedio del virus dal quale siamo circondati e siamo prigionieri, insorge per sentirsi vivi, per scuotere la pausa nera nella quale siamo precipitati, e riempire il vuoto insopportabile che si è fatto spazio silenziosamente nelle nostre anime e nei nostri cuori. Però c'è un però. Perché il sesso al tempo del Corona può essere molto pericoloso. Sebbene non ci siano prove che il Covid19 sia presente nel liquido spermatico e nelle secrezioni vaginali (dove non è stato ancora testato), esso è stato ritrovato nelle feci dei pazienti positivi al test Tampone (trasmissione oro-fecale), oltre che naturalmente in tutte le secrezioni delle vie aeree superiori, muco nasale e saliva compresi. Durante un rapporto sessuale, a partire dal bacio, è molto difficile evitare di entrare in contatto con tali secrezioni, che peraltro vengono emesse in maggiori quantità, per cui, anche se il contagio non è dimostrato che possa avvenire sessualmente, è altamente sconsigliato avere rapporti con partner occasionali o con i quali non si convive, poiché potrebbero essere in contatto con altre persone veicolo di trasmissione del virus. E se non vi è dubbio che la trasmissibile del Coronavirus avviene attraverso l' atto del baciarsi e la prossimità corporea con una persona inconsapevolmente infetta, nelle norme restrittive attualmente in atto fino al 5aprile non sono state trascritte, tra le forme di contagio oggetto di divieto, tutti i rapporti sessuali tra persone che non vivono nelle stessa abitazione o tra sconosciuti. Il discorso cambia con un partner convivente, che condivide gli stessi ambienti nel periodo di quarantena e che vive a stretto contatto, perché in questo caso i rapporti sessuali non sono sconsigliati, calcolando che nelle unioni stabili di convivenza comune c'è lo stesso rischio di contagio che si condivide per qualunque altra malattia a trasmissione sessuale, a meno che non ci sia un comprovato sospetto di trasgressione di uno dei due componenti con persone estranee al nucleo familiare. Inoltre, anche se all'interno di una coppia che abita sotto lo stesso tetto uno dei due risultasse positivo al Tampone, la persona ancora non infetta, sesso o non sesso, condivide di fatto lo stesso rischio di contrarre l'infezione ogni momento ed ogni giorno della vita quotidiana insieme al partner positivo, poiché è la vicinanza estrema, dentro o fuori dal letto, ad essere potenzialmente contagiosa, come per esempio attraverso un semplice abbraccio o una stretta di mano. Certamente la pandemia che stiamo affrontando ha stravolto tutte le relazioni, ma è la nostra sfera sentimentale e sessuale quella che risente maggiormente dell' isolamento sociale, una condizione sconosciuta, che impaurisce e disorienta, e che paradossalmente favorisce, in chi ha forte l'istinto alla vita, l' aumento del desiderio di abbracciare, di baciare e di fare l'amore, tutte cose che, come quelle che prima ci sembravano scontate e a portata di mano, una volta perdute o proibite, diventano immediatamente vitali ed irrinunciabili. È anche vero che in queste settimane in cui fioriscono sentimenti di abbandono, di tristezza e di sconforto, dovuti alle separazioni forzate, si sta però riscoprendo l' importanza della funzione mentale della sublimazione, per cui sono cresciute in maniera esponenziale le manifestazioni di affetto espresso verbalmente, come pure l' intenso scambio di regali virtuali che vengono inviati attraverso foto, disegni, poesie, lettere, e-mail, post o storie Instagram spedite in privato, e tutto ciò contribuisce il qualche modo a riscoprire e valorizzare un'esperienza poetica e sentimentale dimenticata, finalizzata a recuperare frammenti d'amore considerati banali e d'altri tempi, oggi rivalorizzati per esorcizzare e tentare di abbattere la violenza emotiva e la tempesta della tragedia che ci circonda. È anche vero però, che niente potrà mai sostituire quello che accade nell'incontro d'amore tra due corpi, poiché mancano almeno tre elementi sensoriali fondamentali, il tatto, il calore e il profumo dell'altro, oltre alla ricchezza emotiva che si attiva e si scatena durante quella vicinanza intima ed estrema, una condizione eccezionale che mette in moto emozioni impossibili da replicare in solitudine. Alla ridotta possibilità di occasioni sessuali, e all'improvviso cambiamento e riadattamento dell intimità di questa fase, supplisce la comunicazione a distanza, come è stato registrato in questi giorni su molti siti dedicati, dove la possibilità del sexting e di giochi piccanti in remoto continuano a tenere alta la tensione erotica , soprattutto nelle coppie che vedono limitata la possibilità di frequentarsi, così come nei nuovi incontri online che si trovano a rinviare a data da destinarsi l'eventuale conoscenza tête-a-tête. In un periodo di maggiore permanenza a casa non mancano scambi di opinioni in rete sulla forma di contatto considerato più "sicuro", a zero rischio contagio, ovvero quello con se stessi, anzi, mai come in questo momento l'auto erotismo appare al popolo della tastiera un occasione per valorizzarlo come momento piacevole a cui dedicarsi, e come risorsa ed effetto ansiolitico contro la tensione psicologica al tempo del coronavirus. Le preoccupazioni e l' ansia non sono mai state mai state amiche di una buona sessualità, ed infatti sono molti in questo periodo quelli che accusano, al contrario della maggioranza, il calo dell' appetito sessuale, se non l' azzeramento completo della libido, essendo stata di fatto accantonata e cancellata dalla loro menti in favore di altre priorità, spesso anche con un inconfessato sospiro di sollievo nei confronti della castità inaspettata e piovuta dal cielo. Il virus inoltre, ha modificato lentamente la regia amorosa di molte vite, facendole sprofondare in un clima di diffidenza e di controllo, di ansia che diventa fobia, di paura che diventa angoscia, al punto che anche un solo gesto, quello che una volta comunicava più di mille parole, come un abbraccio, un bacio o un saluto caloroso, viene respinto con sospetto, facendo galleggiare una moltitudine di soggetti in una carestia sensoriale imposta che disorienta e annienta, che fa sembrare asfittico qualunque desiderio sessuale, come fosse uno scambio rischioso e velenoso, che potrebbe addirittura condurre a morte. Le pesanti ricadute depressive e i danni provocati dalla sospensione dell' affettività e della sessualità sono ancora incalcolabili, ma quello che è certo è che tornerà il tempo dell'amore, e irromperà anche in modo violento, perché la ribellione alla sofferenza della privazione prevarrà sul triste destino di ogni paura ed ogni timore, quando il nostro corpo inizierà a reagire al declino, a reclamare una buona dose di sensi benefici e salutari per tornare a vivere la vita a pieno ritmo. Incluso quello indispensabile, irrinunciabile e vitale dell' amore.
Un'escort: “Basta diffondere il coronavirus, usiamo le webcam!”. Le Iene News il 25 marzo 2020. Un’escort italo-brasiliana ci scrive per parlarci dei contagi nel mondo della prostituzione: “Troppe donne e transessuali continuano a svolgere la loro attività a casa”. Un cliente: “Ditemi come si fa ad avere un rapporto sessuale a più di un metro di distanza!" “Sono una escort italo brasiliana e sono indignata perché la prostituzione sta contribuendo a diffondere il coronavirus”. M. ci scrive molto preoccupata per i contagi nel mondo della prostituzione, che non si è fermato nemmeno di fronte alla pandemia: “I siti che organizzano il mercato restano aperti per fare soldi, i clienti non riescono ad aprire gli occhi di fronte alla situazione terrificante che viviamo tutti e le escort, pur conoscendo bene i pericoli, aprono la loro casa spesso per pochi spiccioli”. Non tutti trasgrediscono i divieti del distanziamento sociale, obbligatori pure nel sesso tra sconosciuti, racconta M.: “C’è chi ha smesso di ricevere personalmente i clienti e ha iniziato a fare spettacoli via webcam. Ho scelto questa professione. Ma lascio qui il mio disgusto e disagio contro troppe persone senza etica e buon senso. Chiedo alle autorità di prestare maggiore attenzione a questo, perché sembra che il buon senso della cittadinanza in questo settore manchi!”. L’indignazione e il problema di M. sono confermati da un’altra segnalazione che ci è arrivata via email. Questa volta a scrivere è un cliente: “Il mercato delle escort non si ferma. Un sito per esempio ne offre 150 escort attive solo su Milano. Di norma sono più di 250. Questo è già un dato positivo, perché vuol dire che molte hanno sospeso l'attività. Ma sono ancora tante!”. Facendo un giro su quel sito si scopre che sono scese a 80, circa la metà di quelle segnalate quattro giorni fa. Sembra che almeno altre prostitute si rendano conto dei rischi. Anche il nostro segnalatore denuncia i pericoli del sesso con le prostitute al tempo del coronavirus: “Ditemi come si fa ad avere un rapporto sessuale a più di un metro di distanza!”.
Coronavirus, le prostitute di Roma misurano la febbre ai clienti. Riccardo Castrichini il 25/03/2020 su Notizie.it. Le prostitute di Roma misurano la febbre ai clienti per non fermarsi del tutto in questo periodo di emergenza coronavirus. A Roma anche le prostitute si adeguano all’emergenza coronavirus e molte di loro avrebbero iniziato a ricevere i clienti con il termoscanner, il sistema automatico di rilevazione della febbre. Un modo per mandare avanti il settore dei rapporti a pagamento, illegale e sommerso, ma innegabilmente presente all’interno delle nostre città. Oltre alla misurazione della febbre, come riferito da Il Tempo, ci sarebbero escort che lavorerebbero solo in smart working, offrendo un servizio via webcam con tanto di annuncio sul sito d’incontri con scritto #iorestoacasa. Una trovata senza dubbio ingegnosa, ma che non starebbe dando i frutti sperati visto che alla paura del contagio si aggiungerebbe ora anche la questione logistica legata a non poter muoversi di casa per effettuare spostamenti non autorizzati. Il settore dei rapporti a pagamento prova dunque ad andare avanti, ma ha grandi difficoltà. Non si tradisce più in Italia, e in generale più in Europa. Dover segnalare tutti i propri contatti degli ultimi giorni in caso di contagio al Covid-19 metterebbe qualsiasi traditore, o traditrice, nella difficile situazione di dover vuotare il sacco. La crisi nel mondo della prostituzione viene confermata anche da Lory, ragazza di 31 anni che da anni lavora nel mercato del sesso di alto livello: “Praticamente ho smesso di lavorare. Se prima facevo più di 5 incontri al giorno adesso se va bene vedo una persona”. Per tutelarsi e tranquillizzare anche la clientela, Lory ha deciso di prendere dei provvedimenti: “All’ingresso ci sarà il controllo della temperatura con termoscanner. Misuro la febbre ai clienti. Ognuna fa come può. Se la prostituzione non viene legalizzata non ci sono regole per la tutela della salute. Spetta alla responsabilità dei singoli”. Di pari passo con il mercato della prostituzione, c’è un altro grande settore invisibile al PIL che resta fermo: quello degli stupefacenti. I pusher, a Roma come in altre città, hanno dovuto chiudere bottega e sono in via d’estinzione come le prostitute che abitualmente popolano i marciapiedi di molti quartieri. Nella Capitale la tristemente celebre via Salaria è praticamente vuota da settimane. Anche le prostitute e gli spacciatori hanno subito una brusca battuta d’arresto per colpa del coronavirus, segnale che l’emergenza ha cambiato drasticamente lo stile di vita di molti, sostituendo alla ricerca del piacere e dello sballo quella di una mascherina o un detergente in più per potersi proteggere dal nemico invisibile.
Da leggo.it il 20 marzo 2020. Tra le oltre 43mila denunce scattate in questi giorni, per la violazione delle norme imposte per fronteggiare l'emergenza coronavirus in tutta Italia, non mancano quelle a carico di prostitute e dei loro clienti. In un caso, una prostituta, fermata in strada due volte a poche ore di distanza, ha cercato di giustificarsi così con le forze dell'ordine: «Sto lavorando anch'io». L'episodio è avvenuto qualche giorno fa sulla strada statale 16, nei pressi di Cervia (Ravenna). La donna, di origine romena, è stata identificata due volte dai carabinieri in meno di 24 ore. Ai militari, la giovane prostituta ha spiegato di essere in strada per necessità e di esercitare l'attività di meretrice come unica fonte di sostentamento.
Michele Focarete per liberoquotidiano.it il 19 marzo 2020. Cinzia è bellissima. Ha 28 anni e un passato da indossatrice. Capelli e occhi nerissimi che tradiscono le sue origini siciliane e un fisico da fare invidia a Naomi Campbell. Abbandonato il mondo delle passarelle, si guadagna da vivere facendo la escort. Appuntamenti in hotel di lusso e tariffa fissa a 500 euro, nemmeno un centesimo di sconto. Se la contatti al telefono e non sei nella sua lista di aficionados, scatta in automatico la risposta: «Grazie del tuo messaggio. Tutti i messaggi non registrati non vengono visualizzati. È gradita la chiamata dalle 9 alle 12.30 e dalle 14 alle 19. Non sono gradite telefonate notturne. Se vuoi comunicare per WhatsApp necessita di una ricarica su PayPal di un minimo di 15 euro iniziali». Per noi fa un'eccezione e ci confida che il lavoro è in pratica fermo ma per suo volere. «Ogni giorno mi contattano», dice con un pizzico di orgoglio, «ma io rispetto le normative anti-epidemia e dico loro di avere pazienza, che poi sarà ancora più bello. Ricevo solo qualche cliente di lunga data, di cui mi fido ciecamente, ma evito i baci profondi e gli verso sulle mani litri di disinfettante». Stavolta, per la prima volta, anche il mestiere più antico del mondo accusa la crisi. Il Coronavirus non ha risparmiato neppure l'universo della prostituzione che pareva invincibile. Le lucciole di strada sono praticamente scomparse, così pure i viados. La necessità di evitare contatti fisici e di mantenersi ad una distanza di almeno un metro influisce non poco su qualunque rapporto sociale, da quelli più consolidati a quelli occasionali. Resistono, ma neppure tanto, le escort. Anche se sono già apparsi dei messaggi nel sito web di una delle più note agenzie di escort che opera a Milano, Roma, Firenze e Bologna, che avvisano la loro spettabile clientela: «Cari amici, facendo seguito all'apparizione del nuovo contagio, smetteremo di pubblicizzare escort sul nostro sito e ci uniremo allo sforzo di contenere questa epidemia». Stiamo parlando di una professione, quella della escort, borderline per la legge, ma prospera. Esercitata con prezzi medio-alti in appartamenti elegantemente compiacenti o stanze d'albergo da quattro stelle in su, dove il controllo alla reception è soft. Nell'opulenta Milano le escort sono tante e non totalmente sparite: in altri siti che raccolgono annunci, se ne trovano ancora, anche se in numero molto inferiore alla media. L'effetto del contagio fa paura e non ha confini. La circostanza è stata avvertita anche nel Canton Ticino, in Svizzera, dove alcuni locali hanno il permesso di ospitare escort. I gestori ammettono un drastico calo d'affari per via della "sparizione" dei clienti milanesi e lombardi. Claudinha, 26 anni, brasiliana di Recife, dal corpo palestrato e decolté esplosivo, ha solo ridotto il lavoro: tre, quattro clienti al giorno a 300 euro più regalino obbligatorio. «Nonostante la crisi, con le dovute precauzioni si può anche lavorare. Ai mei clienti ho preteso di lavarsi in maniera accurata e con l'utilizzo di disinfettanti. Mi devono poi giurare che non hanno sintomi influenzali. Nella mia camera comunque ho una generosa dose di Primagel plus e Amuchina. Alcune mie amiche di altre regioni non si sono fermate come me, ma nelle loro inserzioni specificano che non ricevono clienti provenienti dalla Lombardia». E, proprio in Lombardia, il sito dedicato alle professioniste del piacere ha registrato un calo del 16,58% di utenti e una diminuzione delle inserzioniste del 29%. «Quando diminuisce la domanda» continua Claudinha, «il lavoro scende. È come la droga: ce n'è tanta e per tutti i gusti, perché c'è un sacco di gente che la richiede». Invece Efe Bal, la escort transgender di origine turca più pagata d'Italia, lancia un ultimatum al governo: «Fra 3 giorni riprendo la mia attività. Ho il telefonino pieno di messaggi di clienti che sfiderebbero anche la peste pur di stare con me. Io non posso fermarmi anche perché lo Stato non pensa alla nostra categoria. Gli ultimi decreti ci ignorano. Ma io devo pagare l'affitto e devo fare la spesa, quindi non posso andare in bancarotta. In questi giorni ho mangiato tanto aglio e cipolla. Finito l'effetto dell'alito cattivo riapro bottega. Piano piano, con qualche precauzione in più e magari selezionando meglio i clienti. Ma visto che le scuole e i luoghi di lavoro sono chiusi e di conseguenza figli e compagne restano a casa, ci sarà già una naturale selezione degli amanti del sesso a pagamento che non hanno problemi a raggiungere le alcove del piacere».
Lettera a Natalia Aspesi – il Venerdì – Repubblica il 17 marzo 2020. Nello "stupidario" collettivo proposto dai tuttologi che mi sono stufato di ascoltare, non ho sentito alcuno fare un cenno qualsiasi sull'Amore ai tempi del Coronavirus. Considero l' amore uno stato d' animo indefinito che ci pervade a volte immotivatamente, cui in mancanza di giustificazioni razionali si attribuisce la generica definizione di "Amore". Poi in realtà esiste e si pratica, mi auguro per tanti interessati: molto. Non ho sentito prescrizioni, letto decreti, suggerimenti o consigli su come dovrebbero comportarsi tanti interessati all' argomento dal punto di vista pratico. In fondo ci hanno detto del metro di distanza da tenere, di lavarsi le mani, di non toccarsi occhi, bocca, viso (le orecchie no, in fondo sono riceventi, non dovrebbero trasmettere nulla, quindi nemmeno il Virus). Ma un seno? Un bel sederino? Si potrebbe carezzare senza correre alcun rischio? Per quanto consigliato un bacio non si potrebbe dare, o forse sì, in fondo sono due bocche diverse quelle in gioco. Le prescrizioni precedenti forse si riferiscono esclusivamente a un "fai-da-te", come una specie di peccatuccio solitario. Anche i luoghi dovrebbero essere importanti. Il divano o il letto dove si mettono in pratica i desideri saranno consentiti? Non mi permetto di citare tavoli, docce, lavatrici ed altri accessori adattati all' uso, ma che richiederebbero una fede provata alla trasgressione e non sono per tutti. I fidanzati e gli irregolari senza dimora praticabile potranno usare i sedili dell' auto? Nessuno ha voluto toccare questi argomenti. Hanno chiuso le Chiese forse in automatico si intenderanno sospesi anche i peccatucci? Magari lei dall' alto delle sue conoscenze potrebbe avere qualche valido argomento per illuminare tanti. Io personalmente non ne ho bisogno, sono stato un praticante a suo tempo, sono rimasto legato solo a piacevoli ricordi. Sono un altruista, immagino che saranno in tanti nelle angosce e nelle ambasce che in mancanza di istruzioni si sacrificheranno. Magari invano. Serafino Costantini – Ascoli Piceno
RISPONDE NATALIA ASPESI. Forse siamo troppo tristi o spaventati, per il virus certo, ma io credo soprattutto perché di colpo la nostra quotidianità, le nostre abitudini, persino i nostri affetti, addirittura i nostri cattivi umori, sono stati messi in "quarantena". Ho ricevuto un certo numero di lettere su quello che è diventato "l'argomento", in televisione anche i più sciocchi, anzi soprattutto i più sciocchi e irresponsabili non si occupano d' altro. Ne ho scelte tre, e spero di non doverne parlare più in questa sede. Gentile Serafino penso che almeno sino ad ora non si sia ancora sfiorato il tema dell'amore nel senso di sesso, perché proprio l' amore per gli altri e per sé stessi obbliga ad amarsi a distanza, serenamente, in attesa di uscire da questa pausa nera della nostra vita, dal vuoto che racchiude ognuno di noi in un nostro spazio che esclude gli altri. Diciamo che il solo amore che dobbiamo augurarci è quello del tutto disinteressato, molto generoso, di chi per professione si prende cura di noi, ci tocca, ci assiste, ci cura, quasi sempre ci guarisce. Questo assedio che ci obbliga a temere gli altri, soprattutto i più cari, ci fa anche capire come tutte le nostre certezze siano fragili; come anche noi facciamo parte dello stesso mondo, l' umanità dolente che respingiamo indifferenti vittima di guerre, carestie, persecuzioni, disastri naturali. La ringrazio comunque della sua lettera, che ci fa sorridere. Niente baci dunque, l' amore ai tempi del coronavirus ritorna casto e forse più eccitante, sguardi, telefonate, mail, immagini su instagram. Ho chiesto ad alcune coppie di amici il loro parere: e tutti mi hanno risposto senza esitare, castità assoluta, anche senza rimpianto. Qualcuno persino con un sospiro di sollievo.
· Epidemia e dipendenza.
Coronavirus, spente slot e videolotterie. Allarme per i forzati del gioco d'azzardo. In aumento le telefonate ai centri di ascolto di ludopatici in "astinenza" e dei loro familiari dopo lo stop a un mondo che rende 14 miliardi di entrate fiscali l'anno allo Stato. Boom del gioco online che però non è alla portata di tutti. Per gli psicoterapeuti le restrizioni possono essere un'opportunità per ridurre le patologie. Ettore Livini il 6 aprile 2020 su La Repubblica. “L’oggetto del desiderio” - come lo chiama Simone Feder, fondatore del movimento “No slot” - è spento. Niente luci di mille colori delle videolotterie né gettoni che piovono nella cassettiera delle vincite. L’emergenza sanitaria ha battuto quella finanziaria. Lo Stato – causa coronavirus - ha fermato quel gioco d’azzardo che gli regala ogni anno 14,2 miliardi di entrate fiscali, sconvolgendo dalla sera alla mattina la vita di 1,5 milioni di italiani a rischio (o già malati) di ludopatia e quella delle loro famiglie. Il megafono di questa crisi sociale chiusa come una matrioska dentro quella del Covid sono le help-line telefoniche del terzo settore. “C’è già un aumento della domanda di aiuto per casi di aggressività causati dalla sofferenza prodotta dall’impossibilità di giocare – dice Leopoldo Grosso, psicoterapeuta e presidente onorario del gruppo Abele -. Un problema accentuato ora dalla convivenza forzata con familiari cui spesso si è nascosta la dipendenza all’azzardo”. “E’ una situazione difficile per chi ha fragilità di questo genere – conferma Michele, operatore (sono anonimi per scelta) del servizio telefonico SostieniMi gestito dal Comune di Milano -. Ci aspettiamo nelle prossime settimane sollecitazioni importanti da persone vittime di defaillance sulla tenuta psichica”. I “clienti” potenziali sono tantissimi: nel 2019 gli italiani hanno speso per lotto, slot-machine, Gratta & Vinci (l’unica forma d’azzardo ancora disponibile in tabaccheria) 110 miliardi di euro, 1.833 a testa, neonati compresi. Un passatempo occasionale per tanti, una mania border-line per il milione di persone catalogate dal Cnr “a rischio moderato”, un droga per le 400mila vittime – secondo il Cnr – di “gioco problematico”. Cosa sta facendo ora e i bar e le sale di Bingo e videolotterie sono chiuse? “Molti risolvono il problema passando dal gioco fisico a quello online – dice Paolo Jarre, direttore del dipartimento Patologia delle dipendenze della Asl 3 di Torino -. Sul web il denaro dura più a lungo perchè le vincite sono il 95% della somma spesa contro il 75% di slot & C. c’è gente – ora che c’è tanto tempo a disposizione – che sta 20 ore su 24 davanti allo schermo”. “Una delle persone che ci ha chiamato in questi giorni era drogata da anni di macchinette e non sapeva più che fare – racconta Michel –. Poi ha visto il figlio che faceva lezione online, gli ha chiesto aiuto per imparare a usare il pc, ha googlato “slot machine” e ora ci ha detto che non tornerà più indietro”. Mentre qualcun altro, dice Grosso, “batte la strada dell’illegalità e delle sale clandestine”, con la polizia che in effetti ne ha già chiuse diverse in tutta Italia. “Questo momento così particolare – aggiunge però il presidente del gruppo Abele – può essere anche un’opportunità. ”Dicono che quando spegni le macchinette si passa subito ai giochi on line. Ma non è del tutto vero” sostiene Sabrina Molinaro, responsabile di epidemiologia e ricerca sui servizi sanitari del Cnr. La prova? I risultati sul campo dell’esperimento della Regione Piemonte, che nel 2016 ha reso più complesso il gioco d’azzardo riducendo gli orari d’apertura e allontanandolo dalle aree sensibili. Risultato: il “gioco problematico” in Piemonte è all’1,54% contro il 3,3% dell’Italia. “Noi stiamo continuando le terapie di gruppo con i nostri pazienti in disintossicazione in modo virtuale – dice Feder -. E i partecipanti sostengono che la chiusura è in effetti un’occasione da sfruttare”. “A beneficiare di più dello stop al gioco sono i ludopatici lievi della categoria “condizionati dall’offerta” – spiega Jarre - quelli che giocavano perché al bar del caffè c’era una slot accesa. E un vantaggio c’è anche per chi è in trattamento”. Terapie lunghe almeno un anno “con molti rischi di ricadute e con una percentuale di successo al 35%”, racconta Grosso. Condizionate oltretutto, e in era di pandemia è un guaio, dalla variabile economica: “Molti dei pazienti sono commercianti o lavoratori indebitatissimi, che hanno studiato piani di ammortamento con le banche nell’ambito della terapia – conclude Feder –. Gente che oggi non incassa più una lira ed è devastata dal timore che una rata non pagata blocchi il loro percorso di riscatto”. Un problema in più che il mondo del credito potrebbe aiutare a risolvere.
Cristina Porta per “la Stampa” il 28 maggio 2020. Il coronavirus ha fatto alzare anche il prezzo della droga, soprattutto nelle piccole zone di spaccio come la Valle d' Aosta. Durante il confinamento, essendo molto più difficile spostarsi liberamente a causa delle restrizioni e dei continui controlli, la vita per gli assuntori di sostanze stupefacenti, soprattutto di eroina e cocaina, è diventata più difficile. La domanda era tanta, l' offerta poca, i rischi più alti, e come da legge di mercato, il prezzo al grammo è lievitato. A fare emergere il fenomeno è stata l' inchiesta della Guardia di Finanza del Gruppo Aosta che ha smantellato un'organizzazione dedita allo spaccio. L' operazione «FeuDora» si è conclusa con l' arresto di dieci persone, nove delle quali, nonostante i precedenti per spaccio e detenzione di stupefacenti, ricevevano il reddito di cittadinanza. Spacciare in provincia può avere i suoi vantaggi se si è organizzati e si riesce a fare arrivare la droga direttamente dalla Calabria. Proprio come faceva Giuseppe Nirta, 68 anni, calabrese di San Luca ma residente ad Aosta. Nirta, ritenuto dagli investigatori il capo dell' organizzazione criminale, era riuscito ad avere il monopolio del mercato dello spaccio in Valle d' Aosta. Così durante il lockdown, un grammo di «black catrame nero» (un tipo di eroina di bassissima qualità) costava intorno ai 60 euro, mentre un grammo di cocaina costava 120 euro. Prezzi decisamente al di sopra della media rispetto alle grandi piazze di spaccio come Torino e Milano. Durante la pandemia Nirta, già condannato per traffico internazionale di sostanze stupefacenti, aveva capito di poterci guadagnare di più. Parlando con i suoi uomini sottolinea come «adesso essendoci la cosa, il virus, dobbiamo alzare il prezzo». Giuseppe Zavaglia, un altro degli arrestati, gli risponde: «Sì, sì, infatti già da oggi 70/80, non di meno perché è inutile. Guarda è da stamattina alle 7 e mezza che hanno cominciato a chiamare». Nelle intercettazioni emerge anche come i consumatori di Aosta siano chiaramente in difficoltà. Zavaglia continua: «Non c' è niente in giro. Sono tutti affamati». Nirta cerca di sfruttare la situazione a suo vantaggio e incoraggia anche Giuseppe Ficara - considerato dagli investigatori il suo collaboratore più stretto e finito pure lui im carcere - ad alzare il prezzo: «Se sono senza e non possono andare a prenderla perché li fermano, alzi il prezzo». Ficara gli risponde: «La sto già facendo a 70». Nel corso delle indagini, i militari hanno calcolato che il giro di spaccio fruttava circa 70 mila euro al mese. «e ninostate queste cifre avevano chiesto e ottenuto il reddito di cittadinanza», commentano i finanzieri. Il comandante della Guardia di Finanza di Aosta, il generale Raffaele Ditroia sottolinea come «l' organizzazione, ben radicata sul territorio valdostano, era in grado di rifornirsi direttamente dalla Calabria. Quello che fa riflettere, è come in Valle d' Aosta nonostante il numero esiguo dei residenti, vi sia una discreta piazza di spaccio».
Coronavirus, genitori in quarantena scoprono che i figli si drogano. Veronica Caliandro il 05/04/2020 su Notizie.it. In questi giorni in cui si è costretti a restare a casa per via dell’emergenza coronavirus sono tanti i drammi famigliari che vengono a galla, con molti genitori che si sono accorti che i loro figli sono tossicodipendenti. A causa dell’emergenza coronavirus bisogna restare a casa e proprio in questi giorni di isolamento sociale sono aumentate le richieste di aiuto da parte di genitori che si sono accorti che i loro figli sono tossicodipendenti. Nel corso di un’intervista rilasciata all’Adnkronos, Federica Rossi Gasparrini, presidente di Federcasalinghe, , ha spiegato che questi problemi sono diffusi in particolar modo nelle grandi città. “Il mio Roberto (15 anni) sta malissimo. È cattivo e si fa del male. Non capisco. Mio marito teme che abbia qualche dipendenza da sostanze stupefacenti e non ne vuole parlare con nessuno. Siamo disperati e chiusi in casa, non sappiamo cosa fare. Roberto sta male. Aiutateci. Ci basterebbe un numero di telefono di fiducia di chi sa cosa dobbiamo fare”, ha affermato una mamma di Torino. Mentre una donna di Messina, chiamando l’associazione ha detto: “Aiutatemi! Il mio ragazzo, 21 anni si droga!! Ma in modo pesante!!! Deve uscire ogni due giorni. Ho scoperto una realtà: Lo spaccio continua. Mario mi chiede i soldi, anzi li pretende; prima li riceveva da una piccola attività, e mi ha detto: mamma non ne posso fare a meno, devi aiutarmi. Ho paura che diventi violento, cosa devo fare? Aiutatemi con urgenza!”. Vere e proprie richieste di aiuto da parte di genitori che in questi giorni in cui sono a casa hanno scoperto dei veri e propri drammi famigliari. Federica Rossi Gasparrini, sul sito dell’Associazione donne.it, ha preannunciato l’avvio di un servizio di supporto dal punto di vista psicologico: “A scrivere sono madri che in un disperato senso di impotenza arrivano a dire: Avrebbero dovuto consentire che uscissero per andarsi a procurare la droga. Si chiedono se e come ricorrere ai Ser.D. (Servizio pubblico per le dipendenze patologiche del Sistema Sanitario Nazionale) per la somministrazione di metadone. Sono disorientate, soprattutto quando si tratta di minori…Ma talvolta li lasciano andare..”. Per poi concludere: “Sono drammi legati alla povertà: di donne che scrivono e spesso non possono parlare perché vivono in case piccole, hanno paura di essere ascoltate e subire poi violenza; di situazioni dolorose, destabilizzanti per il nucleo familiare ma in cui intravediamo spesso la forza di volontà e di andare avanti”.
M. D. R. per “il Messaggero” il 16 marzo 2020. La dipendenza dalla cocaina le ha giocato un brutto scherzo stavolta. E' uscita di casa violando le prescrizioni del governo, certa di non essere stanata. Quando i carabinieri della compagnia Montesacro, ieri sera, in via di Tor Cervara, l'hanno fermata non ha saputo rispondere, ha cominciato a balbettare, aveva ancora in mano la dose di coca, altro che uscita per andare al supermercato o farmacia. La donna, romana di 52 anni è stata denunciata, mentre il pusher è riuscito a scappare. Una pattuglia d'investigatori, nel perlustrare la zona, ha notato acquirente e spacciatore in strada e, così, quando si sono avvicinati per controllarli, l'uomo si è dileguato mentre la donna è stata bloccata: stretta in un pugno aveva ancora la dose di cocaina, avvolta nella plastica. La polvere bianca è stata analizzata ed è risultata essere cocaina tagliata. Così è stata segnalata al Prefetto come assuntrice di droga. Sarà monitorata per riottenere la patente di guida. Poi è stata denunciata anche per avere contravvenuto le norme sul virus e l'allontanamento da casa. I carabinieri stanno lavorando per individuare lo spacciatore e così risalire la filiera dello smercio di droga. Gli investigatori hanno notato che la cocaina sequestrata è stata molto tagliata. Sono stati usare additivi chimici per ridurre la quantità pura di cocaina e spacciare così dosi di scarsissima qualità che potrebbero essere anche letali per chi le consuma.
Coronavirus e tossicodipendenze: “Se siete in astinenza i SerD sono aperti, venite a curarvi”. Francesco Collina su it.mashable.com 1l 14 marzo 2020. I beni di prima necessità, in periodo di emergenza da coronavirus, sono garantiti. E lo sono anche le sostanze lecite che creano dipendenza quali alcol e nicotina. I tabaccai rimarranno aperti, ha subito precisato il governo, e nonostante ciò non sono mancate le file davanti ai tabaccai nella notte in cui il primo ministro Giuseppe Conte ha dichiarato la chiusura totale di ogni esercizio commerciale tranne quelli che fornivano beni di prima necessità. “La situazione paradossale di questa normativa è che le persone che hanno una dipendenza da sostanze lecite, come il tabacco e alcol, possono spostarsi per comprarle, ma questa deroga non è prevista per le droghe illegali. Chi ne è dipendente rischia di venir denunciato per non poter autocertificare le ragioni del suo spostamento. Queste persone - aggiunge Riccardo Gatti, Direttore del dipartimento interaziendale area dipendenze della ASST Santi Paolo e Carlo di Milano - stanno però molto male quando sono in astinenza”. Si è creato così una situazione controproducente per cui spacciatori e consumatori si trovano ad essere più esposti durante questa ‘quarantena’. Se escono di casa rischiano di contrarre l’infezione virale, se rimangono in casa soffrono per l’astinenza. Infrangere il divieto ad uscire aumenta la possibilità di essere colti in flagranza di reato o di essere trovati in possesso di droga. "C’è chi prova a fare la scorta per i giorni in cui dovrà rimanere chiuso in casa ma questa eventualità aumenta il rischio per il consumatore che avrà maggiori difficoltà a giustificare il possesso della sostanza per uso personale”. Quello che a prima vista sembra un grattacapo che riguarda solo i tossicodipendenti può, a una lettura più attenta, diventare un problema per tutta la comunità di cittadini. “Può sembrare un problema paradossale ma non possiamo far finta di niente, è necessario fare dei ragionamenti e applicare le norme con raziocinio. Il tossicodipendente - continua Gatti - farà di tutto per trovare la droga perché non riesce a stare senza e continuerà ad uscire per cercarla aumentando le possibilità di contagiare o di essere contagiato dal coronavirus. Quello che ci tengo a dire è che i servizi di cura delle tossicodipendenze, come i Ser.D, continuano a funzionare pur adottando le norme di prevenzione della trasmissione del virus.” “L’indicazione che posso dare è che se queste persone vogliono iniziare a farsi curare possono farlo, i servizi dipendenze sono aperti e, pur con delle limitazioni necessarie per prevenire la diffusione dell’infezione, continuano a funzionare. Se invece pensate di rischiare andando al parco per acquistare hashish o cannabis, beh, c’è una ragione in più per evitare di farlo. Uscire di casa è pericoloso per l’emergenza del covid-19. State a casa, non starete così male senza. Potrebbe essere una buona occasione per ripensare al vostro stile di vita”.
· La Quarantena.
L’alternativa al lockdown. Federico Giuliani su Inside Over il 13 ottobre 2020. Che il lockdown non fosse la panacea a tutti i mali provocati dalla pandemia di Covid-19 era apparso evidente fin da subito. Quando la scorsa primavera, nel bel mezzo della prima ondata di coronavirus, vari governi scelsero di attuare la quarantena – in più varianti: chi più soft e chi più stringente – molti osservatori pensarono, ingenuamente, che bastasse chiudere in casa i cittadini per abbattere la curva epidemiologica. Certo, limitando all’osso le interazioni sociali, abbassando la saracinesca delle attività commerciali considerate non rilevanti, sospendendo l’attività scolastica e svuotando i mezzi pubblici, è chiaro che i contagi tendono a diminuire. Il problema è che trasportare nel mondo reale una “teoria da laboratorio” non produce gli effetti desiderati. Il mondo reale non è un esperimento. I politici devono infatti tener conto di molteplici variabili, non solo di contagi e decessi collegati al Covid. Appare impensabile concentrare tutti gli sforzi sul contenimento del Sars-CoV-2, perché oltre al virus ci sono altri aspetti critici da considerare. Quali? Due su tutti. L’economia di una nazione che, se sottoposta a sfiancanti lockdown, rischia il collasso, e la tenuta psico-sociale della popolazione, già profondamente scalfita dalla pandemia e ulteriormente messa a dura prova da eventuali quarantene. Detto altrimenti: ridurre a zero i contagi quotidiani è senza di dubbio importante, ma lo è altrettanto evitare l’implosione del motore economico di uno Stato e rassicurare i cittadini.
L'(in)utilità del lockdown. Al netto delle considerazioni politiche e sociali, c’è chi è andato oltre cercando di rispondere a una domanda tecnica: la serrata nazionale, laddove è stato attuata, è servita davvero? Il Wall Street Journal, non più tardi di un mese fa, bocciava senza se e senza ma il lockdown, definendolo un “esperimento fallito“. Il quotidiano, prendendo in esame il contesto statunitense, sosteneva che il blocco economico, con la chiusura di ristoranti e altri luoghi di aggregazione, non sarebbe riuscito a contenere la diffusione del Covid. La conseguente riapertura, proseguiva il Wsj, avrebbe inoltre provocato una seconda ondata di infezioni. In effetti, se escludiamo le settimane estive, alla fine è andata proprio così. Il lockdown ha mitigato l’emergenza sanitaria in una fase critica (che non è poco) ma non è stato in grado – e mai lo sarà – di estinguere la pandemia. Riproporre una chiusura su scala nazionale adesso, in qualsiasi Paese, apparirebbe una scelta rischiosa se non dannosa per l’economia.
L’alternativa: proteggere le persone più vulnerabili. È interessante leggere uno studio dell’Università di Edimburgo in riferimento al lockdown effettuato dal Regno Unito in primavera. Ebbene, secondo il report, il “blocco nazionale” sarebbe utile solo e soltanto per risolvere una crisi immediata, ma non per fornire una soluzione a lungo termine. Non solo: prendendo in esame quanto accaduto in Uk, i ricercatori hanno affermato che la scelta di Londra potrebbe aver reso il Paese più vulnerabile e, addirittura, aver determinato nel lungo periodo un numero di morti maggiori per Covid. Sky News ha citato le parole di Graeme Ackland, professore presso la School of Physics and Astronomy dell’Università di Edimburgo che ha condotto il suddetto studio: “Nel breve termine la chiusura delle scuole ha contribuito a ridurre la gravità della prima ondata. Ma la decisione ci ha resi più vulnerabili alle successive ondate di infezione”. I risultati di questo studio sottolineano come interventi tempestivi abbiano ridotto il picco della domanda di posti letto in terapia intensiva ma, allo stesso tempo, hanno anche prolungato la durata dell’epidemia. Il motivo è semplice: una volta terminate le chiusure ci sarà ancora un’ampia percentuale di popolazione suscettibile al contagio e un numero altrettanto consistente ancora infettato dal coronavirus. “Questo porta quindi a una seconda ondata di infezioni che può provocare più morti”, hanno scritto ancora i ricercatori. Gli autori dello studio hanno quindi affermato che il bilancio finale delle vittime di Covid-19 dipende in gran parte dall’età delle persone infette e non dal numero complessivo di casi. Da questo punto di vista un’alternativa migliore rispetto al lockdown potrebbe essere questa: proteggere gli anziani e le persone vulnerabili, consentendo al tempo stesso ai giovani di tornare alla normalità.
Autoconfinamento e turni per la spesa. Così i cinesi di Prato combattono il Coronavirus. Il Dubbio l'8 marzo 2020. L’efficiente organizzazione della Chinatown pratese, tra precauzioni e solidarietà. La Chinatown pratese non si è fatta intimorire al Coronavirus. Anzi, si è organizzata, rimanendo fedele a quel luogo comune che vuole gli orientali iper organizzati ed efficienti. E così, in una palazzina di via Pistoiese, a Prato, la comunità cinese ha deciso di fronteggiare il virus dandosi regole ben precise, senza rinunciare alla solidarietà: autoisolamento e spesa a turno per tutto il palazzo. A raccontarlo è “Il Tirreno”, che spiega la storia di una comunità che fino a poco tempo fa era tenuta sotto controllo dall’Asl Toscana Centro: a fine gennaio erano 2500 i cinesi rientrati a Prato dopo il Capodanno in Cina. Così erano scattate le misure di sicurezza, temendo un contagio di massa. Invece a presentare i sintomi, nella cittadina toscana, sono state solo due persone, venute in contatto con i focolai italiani. «Gli immigrati hanno una condizione di partenza più vantaggiosa della nostra sotto il profilo della salute – ricorda al Tirreno Renzo Berti, responsabile del dipartimento prevenzione dell’Asl Toscana Centro – Sono più giovani, tendenzialmente più sani e quindi meno esposti all’attacco del virus. Per quanto riguarda la comunità cinese di Prato, inoltre, è composta da persone provenienti dallo Zhejiang dove si è registrato solo un decesso a fronte di 1.205 casi accertati». Ma non solo: i cinesi rientrati a Prato avevano fatto la quarantena in Cina, grazie alle misure rigorose adottate dal governo dello Zhejiang. Ma nonostante ciò, la comunità cinese di Prato ha voluto essere ancora più prudente. Così ha fatto scorta di cibo, optando per un’ulteriore quarantena anche in Italia. E dopo la quarantena, è stata la volta dell’autoisolamento volontario, per evitare di entrare in contatto con i casi italiani. In questa situazione, però, ciò che non è mancata è stata la collaborazione: a turno, un membro della famiglia va a fare la spesa per le altre persone in isolamento. A ciò si associa una cura maniacale per l’igiene. Scarpe e vestiti, al rientro, rimangono fuori casa, i contatti con il mondo esterno sono risicati e sostituiti con le videochiamate, si prega con guanti e mascherine, mentre ristoranti, bar e attività sono rimasti chiusi. Prima del 4 marzo, erano 364 i nuclei familiari in autoquarantena, per un totale di 1300 persone. Ma il numero aumenta e in molti stanno perfino pensando di rientrare in Cina, dove la situazione è ormai sotto controllo.
TE LA DO IO LA QUARANTENA. Filippo Santelli per “la Repubblica” il 3 marzo 2020. Santelli, corrispondente da Pechino, è stato tra i primi giornalisti occidentali ad andare a Wuhan dopo lo scoppio dell' epidemia. «Stop. Controllo temperatura». Il muro costruito dall' Italia sulla strada del coronavirus è un cartello e tre telecamere a infrarossi, puntate sui passeggeri che sbarcano a Fiumicino. Sono atterrato anche io, soggetto a rischio: torno dalla Cina, il luogo dove tutto è iniziato, 80 mila contagi e 2.912 decessi. Dopo due giorni di viaggio, via Mosca, sono pronto ai controlli, alle domande, alla quarantena. Ma passato indenne sotto i sensori termici, estratto il passaporto italiano, i due addetti del ministero della Salute con pettorine fosforescenti, gialla e arancione, mi invitano a procedere verso la dogana. Tutto qui? Potrei avere il virus, ma non avere ancora sintomi. Quasi in colpa, mi rivelo: «Vengo dalla Cina». Si girano: «Da dove?». «Pechino». Si guardano: «Che facciamo, prendiamo i dati?», chiede uno all' altro. «Sì va, prendiamoli». E va bene che ormai il virus è in Italia, da parecchio, che il nostro Paese registra più nuovi casi dello Hubei, che il problema è interno, non più importato. Però dopo i proclami sui controlli agli aeroporti mi aspettavo qualcosa in più. Forse il problema è stata quella decisione frettolosa, presa dal governo a gennaio sull' onda emotiva dei primi due turisti cinesi positivi: bloccare i voli dalla Cina. Ora i viaggiatori diretti in Italia fanno scalo a Mosca o Dubai, così quando arrivano a Malpensa o Fiumicino la loro provenienza originaria è indistinguibile. Ma non c' è neppure un avvertimento, almeno un invito per chi viene dalla Cina (o dall' Iran, o dalla Corea, altri focolai) a dichiararsi. «Dobbiamo affidarci al buon senso delle persone», spiegano i dipendenti del ministero. Spero che anche i miei compagni di viaggio ne abbiano avuto: in tanti possono essere partiti da Pechino. Fornisco le generalità, il numero di volo e di sedile, i dettagli su dove starò in Italia. Ho un posto dove fare la quarantena, ma gli addetti non mi chiedono nulla in merito. Allungano un foglietto in italiano, inglese e mandarino, «consigli per i viaggiatori di ritorno dalle aree a rischio», senza dubbio sarà tutto spiegato lì. Sbagliato di nuovo. Non parla di isolamento, solo di cosa fare se spuntassero febbre o tosse: indossare la mascherina, lavarsi le mani e chiamare il 1500. In assenza di sintomi, nulla da segnalare. A questo punto la tentazione di fare lo gnorri è troppa: posso andare al ristorante? Risposta: «Lei può andare dove vuole». Ringrazio e procedo al controllo passaporti, con un gran caos in testa. Come è possibile? Ero rimasto alla quarantena obbligatoria, annunciata dal ministro della Salute Speranza il 20 febbraio, quando si ipotizzava, a torto, che il paziente uno di Codogno fosse stato contagiato da un amico di ritorno dalla Cina. Altra mossa fuori tempo, forse nemmeno necessaria per le persone senza sintomi. Ma da qui a permettermi di andare al ristorante troppo bello per essere vero. Non è vero infatti, scopro sul sito del ministero della Salute. Ordinanza del 20 febbraio: quarantena fiduciaria per chi torna dalle aree a rischio. L' avrei fatta comunque, la farò. Spero solo che anche i miei compagni di viaggio abbiano controllato.
Simone Pierini per leggo.it il 4 marzo 2020. «Bloccati a Delhi. Non ci fanno partire per l’Oman, dove avevamo stop over, perché abbiamo il passaporto italiano». È quanto denuncia su Facebook Filomena Campus, una cittadina italiana residente a Londra che è stata fermata in India per la nazionalità del suo passaporto. «Inutile spiegare che viviamo a Londra da anni - spiega la donna - Il passaporto italiano non è più accettato. Punto. Non cambiano o rimborsano i voli, dobbiamo arrangiarci e tornare a Londra a nostre spese». Filomena Campus ha sfogato la sua rabbia contro la compagnia aerea, la Oman Air, che l'avrebbe respinta senza spiegazioni, rimborsi e senza alcun supporto. «Il trattamento di Oman Air è stato orribile - si legge - li sconsiglio vivamente. Ci hanno lasciato a piedi senza spiegazioni, senza un bicchiere d’acqua, cancellando biglietti pagati cari senza porsi alcun problema. Inaccettabile e vergognoso. Get me out of here!». Secondo quanto resto noto dal ministro della sanità indiano Harsh Vardhan in India sono 16 i turisti italiani contagiati dal coronavirus. Fanno parte di un gruppo di 25 turisti italiani che era arrivato in India lo scorso 21 febbraio, prima dell'introduzione delle nuove restrizioni. Anche l'autista che li accompagnava si è ammalato. In India sono risultate positive al test per il coronavirus in tutto 28 persone, 25 solo oggi. I primi tre che si erano ammalati sono guariti. L'ambasciata d'Italia a New Delhi, in stretto raccordo con l'Unità di Crisi della Farnesina, segue con la massima attenzione la situazione dei connazionali posti in isolamento sanitario in India, ed è in contatto con gli interessati e le autorità locali per fornire ogni possibile assistenza. Lo si apprende da fonti della Farnesina.
Chiara Jommi Selleri per leggo.it. «Le scuole resteranno chiuse per due giorni perché ci sono studenti di origine italiana». È quel che ha deciso Chris Drew, preside di tre istituti privati inglesi - la Khalsa Secondary Academy di Stoke Poges, la Atam Academy di Redbridge e la Khalsa Secondary Academy di Stoke Poges - per paura del diffondersi del Coronavirus. «È necessaria una sanificazione profonda», ha scritto in una lettera ai genitori degli alunni. La reazione dell’ambasciata italiana a Londra è stata immediata. «L’origine delle persone non c’entra nulla con i rischi di contagio», si legge nella nota di risposta. «Tanto più che nessuno degli alunni ha viaggiato nelle zone a rischio». I tre istituti sono stati infine riaperti.
La quarantena non è razzista (neppure per noi). Alessandro Sallusti, Mercoledì 04/03/2020 su Il Giornale. Molti Paesi, europei e no, stanno impedendo, limitando o regolamentando l'ingresso di cittadini italiani nel loro territorio e l'elenco si ingrossa giorno dopo giorno. Non nego che la cosa anche a me faccia una certa impressione, tanto per usare un eufemismo. Siamo offesi, indignati e nutriamo un vago senso di disprezzo per chi ha messo in campo simili misure. Tutto vero, ma c'è un però. L'Italia è stata infatti il primo Paese europeo a vietare i voli diretti da e per la Cina e a suggerire la quarantena volontaria ai cittadini cinesi da noi residenti, probabilmente entrati in contatto con connazionali che con varie triangolazioni erano riusciti a tornare da noi. Anzi, una delle accuse mosse un po' da tutti al governo è stata proprio quella di aver permesso l'ingresso non controllato anche ai suddetti «triangolatori». La coerenza suggerisce quindi di abbandonare facili giudizi. Se come io credo noi non siamo stati razzisti con i cinesi facendo valere il diritto di tutela della salute pubblica non possiamo certo ora accusare di razzismo quei Paesi tra i quali anche alcuni amici come Israele o nostre mete turistiche abituali tipo Seychelles e Mauritius che si comportano allo stesso modo con noi. La differenza è che il nostro governo ha fatto le cose ovviamente all'italiana: vietato ma non troppo, quarantena sì ma volontaria. E le conseguenze le paghiamo oggi. Semmai, quello che sta succedendo è la prova che tentare di arginare la possibile contaminazione portata dalla comunità cinese non era una pratica razzista, ma di buon senso. A meno di non ammettere che oggi siamo auto-razzisti con chiunque abbia a che fare con Codogno (che se fa un passo lo arrestiamo) o con le altre zone rosse. A meno di non ammettere che improvvisamente mezzo mondo (se non tutto) sia diventato razzista nei confronti degli italiani, che notoriamente sono una delle popolazioni più accettate e benvolute del globo. Vale quindi la vecchia regola degli opposti. Più pericolosi dei sovranisti ci sono solo gli antisovranisti a prescindere, dei razzisti gli antirazzisti della domenica. Il mondo non ha paura né dei cinesi né degli italiani, ma di morire di Coronavirus. E bene fa a tutelarsi.
Paolo Crepet: "Ho più di 65 anni, per il governo dovrei stare chiuso in gabinetto". Lo psichiatra, intervistato su Radio Cusano Campus, analizza i rapporti umani e la gestione del panico al tempo del coronavirus: "Un Paese serio non fa 17 conferenze stampa al giorno, questo è vomitevole". Alessandro Zoppo, Mercoledì 04/03/2020 su Il Giornale. Media e politica hanno creato caos e panico: lo psichiatra Paolo Crepet non ha dubbi. Intervistato su Radio Cusano Campus da Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti, lo psicoterapeuta analizza l’Italia preda del panico da coronavirus, e racconta come la paura del contagio abbia cambiato le abitudini degli italiani e i rapporti umani. "Secondo il governo – dice Crepet ai microfoni del programma L’Italia s’è desta – dovrei essere chiuso nel gabinetto e mi dovrebbero passare la minestrina da sotto la porta perché ho più di 65 anni. Questo si chiama panico. È evidente che tutto questo ha un senso per chi è sintomatico, per chi non è sintomatico vuol dire paralizzare la nazione. Che facciamo? Andiamo col metro sui mezzi pubblici per stare a distanza di sicurezza? Allora chiudiamo tutto, se il presidente Conte ha un tesoretto tale per cui a giugno rifonde le centinaia di migliaia di miliardi di danno, ce lo dica". Il coraggio, diceva Oriana Fallaci, è fatto di paura. Ma il coraggioso, sembra aggiungere Crepet, non è una persona sconsiderata. "Un Paese serio – tuona lo psicoterapeuta – non fa 17 conferenze stampa al giorno. Questo è vomitevole. Che ogni segretario piuttosto che sottosegretario si permetta di fare la sua conferenza stampa come se fossimo diventati tutti virologi, dopo che abbiamo combattuto una battaglia per far fare i vaccini ai nostri bambini. Un Paese serio ha un’autorità sanitaria suprema che fa ogni giorno il bollettino: questo signore deve essere l’unico a parlare, tutti gli altri devono stare zitti". Crepet testimonia la sua storia personale: il sociologo vive a Roma, nel quartiere Trastevere, cuore pulsante della movida capitolina. Rivela di essere andato tranquillamente al cinema, al ristorante e al museo, senza vedere quello che mostra la televisione. "Una trasmissione Rai in cui ero ospite – puntualizza – ha fatto vedere un ristorante dove non ci sono neanche i coperti né un cameriere. L’immagine che dai è quella della peste veneziana. Questo è falso, è comunicazione falsa. Tu non puoi rappresentare solo quello". Il saggista teme che questa cattiva comunicazione possa causare un effetto a catena dal quale sarà davvero difficile uscire. "Abbiamo cancellato Vinitaly – sostiene – ma perché lo facciamo? Perché adesso la mostra di Raffaello alle Scuderie del Quirinale verrà posticipata? Dove ci sono i focolai bisogna chiudere, ma solo lì. Perché i giornalisti scrivono due casi a Roma quando sono due casi a Pomezia? Pomezia è un paesotto circoscrivibile, Roma è una metropoli impossibile da circoscrivere e avrebbe una devastazione mondiale". Crepet sottolinea che è necessario fare una differenza tra le bufale e la verità e tra i tanti, ammonisce anche un suo caro amico: Vittorio Sgarbi. "Meglio che parli di Michelangelo – conclude il professore – e lasci stare i virus. Quando dice che a Codogno non c’è il virus fa dei danni, perché il virus a Codogno c’è. Quando ci saranno anticorpi a Codogno, saranno sani e salvi. E questo accadrà perché i tempi non sono infiniti".
Dagospia il 4 marzo 2020. Da radiocusanocampus.it. Lo psichiatra Paolo Crepet è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta”, condotta dal direttore Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano. Sulle restrizioni dovute all’emergenza Coronavirus. “Io dovrei essere chiuso nel gabinetto secondo il governo e mi dovrebbero passare la minestrina da sotto la porta perché ho più di 65 anni. Questo si chiama panico, istruzioni per accrescere il panico. E’ evidente che tutto questo ha un senso per chi è sintomatico, per chi non è sintomatico vuol dire paralizzare la nazione. Che facciamo? Andiamo col metro sui mezzi pubblici per stare a distanza di sicurezza. Allora chiudiamo tutto, se il presidente Conte ha un tesoretto tale per cui a giugno rifonde le centinaia di migliaia di miliardi di danno, ce lo dica. Io abito a Trastevere a Roma, quartiere pieno di locali. Io sono andato a pranzi, a cene, al cinema, non ho visto quello che fanno vedere le tv. Una trasmissione Rai in cui ero ospite ha fatto vedere un ristorante dove non ci sono neanche i coperti, non c’è neanche un cameriere. L’immagine che dai è quella della peste veneziana. Questo è falso, è comunicazione falsa. Tu non puoi rappresentare solo quello. Io ieri sera sono andato a mangiare in un ristorante greco ed era mezzo pieno, considerando che era un giorno in mezzo alla settimana. Sabato a quello stesso ristorante mi hanno cacciato via perché era pieno. Questo è l’effetto a catena da cui non si sa come uscire. Abbiamo cancellato Vinitaly, perché lo facciamo? Perché adesso la mostra di Raffaello alle scuderie del quirinale verrà post posta? Dove ci sono i focolai bisogna chiudere, ma solo lì. I giornalisti perchè scrivono: due casi a Roma quando sono due casi a Pomezia? Pomezia è un paesotto circoscrivibile, Roma è una metropoli impossibile da circoscrivere e avrebbe una devastazione mondiale”. Sui rapporti umani dopo il Coronavirus. “Nessuno sa cosa accadrà dopo perché gli effetti del panico durano molto di più del virus. Quando ci fu il problema dei polli, non mangiammo polli ben oltre la data della fine dell’epidemia. Per non parlare della mucca pazza. Bisogna cercare di fare una differenza tra le bufale e la verità. Ho sentito il mio amico Sgarbi… Meglio che parli di Michelangelo e lasci stare i virus. Quando dice che a Codogno non c’è il virus fa dei danni, perché il virus a Codogno c’è. Quando ci saranno anticorpi a Codogno, saranno sani e salvi. E questo accadrà perché i tempi non sono infiniti”. Sulla gestione dell’emergenza da parte della politica. “Un Paese serio non fa 17 conferenze stampa al giorno. Questo è vomitevole. Che ogni segretario piuttosto che sottosegretario si permetta di fare la sua conferenza stampa come se fossimo diventati tutti virologi, dopo che abbiamo combattuto una battaglia per far fare i vaccini ai nostri bambini. Un Paese serio ha un’autorità sanitaria suprema che fa ogni giorno il bollettino, questo signore deve essere l’unico a parlare, tutti gli altri devono stare zitti. Qui ognuno dice la sua, anche sul numero dei morti… Andiamoci piano perché ancora non sono state fatte le autopsie”.
Alessio Caprodossi per leggo.it il 4 marzo 2020. Altro che quarantena. Altro che attenzione ai contatti pubblici. In Italia, con l’esplosione dell’emergenza Coronavirus, in tanti hanno approfittato del tempo libero ottenuto con l’improvvisa chiusura degli uffici e delle università per cercare incontri e appuntamenti piccanti. Insomma, dalla zona rossa alla zona a luci rosse il passo è stato breve. Anzi brevissimo, perché basta un clic per dare una sbirciata alle applicazioni di dating, alla ricerca della giusta compagnia. La conferma arriva proprio da una delle app dedicate agli incontri amorosi, che nel corso dell’ultimo settimana ha registrato un’impennata di contatti: «Dallo scorso lunedì abbiamo riscontrato un aumento del traffico giornaliero di circa il 30% nell’area del Nord Italia», spiega in una nota Once, dating app con nove milioni di utilizzatori che ogni giorno gestisce cinque milioni di chat. «L’aumento degli utenti attivi nell’arco delle singole giornate è stato progressivo, con ricerche nel complesso equamente distribuite tra uomini e donne», specificano dal quartier generale svizzero dell’app. Così, proprio con i pochi clic che fanno scattare il feeling e il probabile incontro, si rischia di capovolgere il senso dell’isolamento tra le mura domestiche mirato a frenare la propagazione del virus. Ma anche chi ha rispettato l’invito a limitare al minimo le uscite ha avuto un’accelerazione delle pulsioni sessuali, riservando le attenzioni ai siti pornografici. Tra questi c’è chi ha cavalcato il momento propizio per ingraziarsi gli utenti e altre piattaforme molto popolari che, pur volendo restare nell’anonimato, hanno confermato a Leggo il trend in ascesa durante i giorni scorsi. Con l’intento di rallegrare l’obbligata presenza casalinga dei residenti nelle zone più colpite dalla diffusione del virus, il sito XHamster ha deciso di regalare l’accesso alla sezione premium (che costa 9,99 euro al mese, con l’abbonamento annuale che costa invece 60 euro) agli abitanti di Lombardia e Veneto e ai cittadini degli altri principali focolai mondiali dai quali è partita la diffusione di Covid-19 (Teheran, capitale dell’Iran, Daegu in Sud Corea, Adeje nelle Isole Canarie e Wuhan, città cinese dove il virus è nato). Una scelta di marketing senza dubbio ben orchestrata, come sintetizza l’unica raccomandazione rivolta agli utenti: “Restate nelle vostre camere da letto, che in questo momento è il posto più sicuro”.
Chiara Jommi Selleri per leggo.it il 4 marzo 2020. La libido vince sulla paura. Parola dei «Tinder addicted» come Maria Elena, cantante e musicista romana di 25 anni, che sfida il virus a colpi di incontri con sconosciuti. Utilizza Tinder, l’app di dating più diffusa in Italia, da quando ne aveva diciannove (5,9 milioni di abbonati solo nel 2019, in larga parte giovani dai 18 ai 25 anni) e non ha smesso di farlo neanche in piena emergenza Coronavirus. Anzi.
Gente in quarantena, uffici chiusi e lei va a caccia di sconosciuti?
«Direi che è il periodo migliore. C’è meno concorrenza! (strizza l’occhio, n.d.r.)».
Prego?
«Secondo me è stupido fermare la propria vita perché si è in preda al panico. Anche la propria vita sessuale. Io non ho paura e anzi ne approfitto. D’altronde posso essere contagiata anche entrando in un supermercato o prendendo un caffè al bar. No?».
Anche la comunità Tinder la pensa come lei?
«Non lo so, mi pare che “circolino” meno persone».
Come fa a saperlo?
«L’App funziona tramite match: ogni volta che mi piace qualcuno invio un like. Se il mio like è ricambiato, allora si crea il match e posso iniziare a chattare con l’altra persona. Ultimamente me ne arrivano di meno. Io, invece, lo uso più di prima».
Insomma, il virus non ha contagiato la App?
«Qualcuno ne parla. Mi è capitato un ragazzo svedese che si trova a Roma per l’Erasmus: voleva sapere in che città fossi stata ultimamente, i miei spostamenti. Ma fare domande è una pratica piuttosto diffusa su Tinder perché si incontrano persone nuove».
E con i cinesi come la mettete?
«I cinesi? I “nuovi cinesi” siamo noi italiani!».
Non ha paura neanche di fronte a un picco dei contagi?
«Continuerò a uscire con chi voglio, facendo attenzione».
In che modo?
«Almeno nella fase di conoscenza iniziale non mi avvicinerò troppo fisicamente. E porterò con me, come sempre, un flaconcino di amuchina. Ma poi... ».
Lo strano caso della quarantena che non dura quaranta giorni. Stefano Bartezzaghi il 29 febbraio 2020 su La Repubblica. Sono stati proprio i veneziani, per la loro antica consuetudine a trattare i rischi sanitari connessi al cospicuo import-export marittimo. Se oggi parliamo di una “settimana di quarantena”, o più, è perché Venezia dominava i mari e di conseguenza la terminologia connessa. Altrimenti le settimane sarebbero di “quarantina”, parola di cui “quarantena” è appunto la variante veneziana. Con la E o con la I i conti comunque non tornano. Sentir dire “settimana di quarantena” dovrebbe suonare strano, come “settimana di cinque giorni” o “banconota da dodici euro”. Del resto i Righeira cantavano “l’estate sta finendo” ed era giugno. E del resto, ma in altro campo, Novi Ligure è in Piemonte. È vero che una volta quello di quaranta giorni era effettivamente considerato il periodo standard per scongiurare il rischio di malattie. La misura di tempo (la quarantina/quarantena di giorni) ha dato nome al periodo, la cui lunghezza è poi stata adattata agli effettivi tempi di incubazione di ogni malattia. Il nome però è rimasto. Ma perché i giorni erano quaranta? Si può scommettere che la quarantena sia collegata alla Quaresima (essa stessa per caso cominciata proprio in questi giorni). Anche il nome della Quaresima infatti ha un’origine prossima (viene dal latino “quarantesimo”; sottinteso: giorno prima della Pasqua). Quaranta sono i giorni passati da Gesù nel deserto, fra stenti e tentazioni, e più in generale quaranta è un numero che veniva usato per indicare un periodo congruo e compiuto. Fra i numeri ce ne sono alcuni “privilegiati”, su cui si rapprendono significati simbolici e il quaranta è uno di questi. Chi peraltro ha mai contato i ladroni di Alì Babà? Quindi dalla Giudea a Venezia e da Venezia a oggi, le quarantine sono diventate di nome “quarantene” e di fatto durate variabili, speriamo non eccessive ma comunque sufficienti. Sette giorni da passare segregati o non potendo lavorare in attesa di sapere se si è sani possono in effetti sembrare benissimo quaranta. L’aritmetica non sarà un’opinione ma può certo ispirare più di un sentimento.
· La Quarantena ed i morti in casa.
Coronavirus: muore in casa, ma non ci sono le pompe funebri. Marco Alborghetti il 22/03/2020 su Notizie.it. Un 75enne di Quarto è morto in casa, ma dopo aver accertato la positività al coronavirus, le pompe funebri non hanno potuto trasportarlo al cimitero. Un 75enne di Quarto (Napoli) è morto in casa, ma dopo aver accertato la positività al coronavirus con il tampone, le pompe funebri non hanno potuto trasportarlo al cimitero. A Quarto, piccolo paese della provincia di Pozzuoli (Napoli), giovedì 19 marzo è morto Pasquale Esposito, 75enne affetto da diabete, e deceduto per cause non relative al coronavirus. Terminata l’autopsia però il tampone effettutao venerdì 20 marzo ha confermato la positiva al covid-19 dell’uomo, ed è qui che sono iniziati i problemi per il figlio. Come da protocollo, per i deceduti positivi al virus, devono essere attuate misure sanitarie specifiche prima del trasporto al cimitero da parte delle pompe funebri, misure che però quest’ultime non hanno potuto applicare per “mancanza di strumenti per venire a casa a deporre il corpo di mio padre nella casa“, come racconta il figlio Luigi in un’intervista rilasciata al Corriere del Mezzogiorno.
Positiva anche la famiglia. Come da disposizioni sanitarie, anche il resto della famiglia è dovuta sottoporsi ai tamponi. Oltre all’uomo deceduto, sono risultate positive la mogli e la sorella di Luigi. Proprio quest’ultima aveva presentato per prima i sintomi, dopo che a fine febbraio era stata in uno studio dentistico in cui anche il dentista era risultato positivo al covid-19. Luigi, il fratello della ragazza, ancora non ha effettuato il tampone, visto che lui ora si trova a Milano e sta cercando disperatamente di risolvere questa situazione da oltre 800 chilometri di ditanza da Quarto.
Bergamo, morto per coronavirus: 36 ore in salotto in una bara non refrigerata. Libero Quotidiano il 16 marzo 2020. Una storia che dà la cifra dell'orrore che stanno vivendo Bergamo e la sua provincia in questi giorni, in cui il coronavirus sta mietendo vittime a decine, senza tregua, senza pietà. La storia, rilanciata da Il Giorno, riguarda il fine settimana della famiglia Marchesi di Torre de' Roveri. Un incubo. Già, perché da venerdì sera papà era morto per Covid-19. Sirio era senza vita, in una bara non refrigerata, nel salotto di casa: la moglie Judit e la figlia Asia a vegliarlo. Soltanto dopo 36 ore il sindaco del paesino di 2.500 anime, fregandosene della burocrazia, ha dato l'ok alle pompe funebri a chiudere la bara e a portarla al cimitero, pur senza la dichiarazione di morte. Una storia, dolorosa e straziante, che spiega come a Bergamo e dintorni la situazione sia completamente fuori controllo. La dichiarazione di morte, probabilmente, arriverà oggi, lunedì 16 marzo. Il punto è che i medici di base che devono fare l'ispezione del cadavere e constatare il decesso sono travolti dalle chiamate e privi di protezioni. Dunque capita anche che un cadavere possa rimanere 36 ore al centro di un salotto, davanti agli occhi dei suoi cari.
Coronavirus, donna in quarantena con marito morto in casa. Una donna di Borghetto Santo Spirito costretta a stare in quarantena con il marito deceduto per probabile coronavirus. La salma non è stata ancora rimossa dalla casa coniugale. Rosa Scognamiglio, Martedì 10/03/2020 su Il Giornale. Costretta a stare in quarantena con il marito morto per sospetto contagio da coronavirus. Sono ore drammatiche quelle che sta vivendo una cittadina di Borghetto Santo Spirito, in provincia di Savona, in regime di isolamento domiciliare con il compagno deceduto: la salma non è ancora rimossa dall'appartamento coniugale. Una vicenda tanto triste quanto intricata quella che ha travolto una coppia savonese in queste ore. L'uomo, del quale non sono state divulgate le generalità per ragioni di privacy, è deceduto nella giornata di lunedì 9 marzo a causa di un improvviso malore, ma non è escluso che possa esser stato vittima del contagio epidemiologico. Stando a quanto riferisce il quotidiano La Stampa, infatti, il borghettino deceduto avrebbe presentato i sintomi dell'infezione da Covid-19 prima di trapassare. Per questo motivo, sua moglie sarebbe costretta a stare in quarantena nell'attesa dell'esito relativo al tampone faringeo. A fronte del sospetto di contagio, la salma non sarebbe stata ancora recuperata dall'appartamento. Sul caso è intervenuto il sindaco di Borghetto Santo Spirito, Giancarlo Canepa, che ha promesso un intervento repentino rivolgendo un messaggio di sincero cordoglio alla famiglia. "Umanamente sono molto vicino alla famiglia. - ha detto Canepa questa mattima - Mi sto attivando con l'Asl2 per risolvere al più presto questa situazione. Trattandosi di un probabile caso positivo, non si è produti procedere alla rimozione della salma, che si trova tutt'ora nell'alloggio". I primi casi di positività al Coronavirus nella tranquilla cittadina savonese sono stati registrati circa 2 giorni fa, quattro per l'esattezza, di cui 3 ricoverati in ospedale e 1 in regime di isolamento domiciliare. "Per dovere di trasparenza – ha detto il sindaco rivolgendosi ai cittadini - vi informo che sono confermati alcuni casi di positività al Covid 19 di persone residenti nel nostro territorio. I primi tamponi eseguiti non sono mai da considerarsi definitivi, infatti alcuni si sono poi rivelati negativi, quindi la prudenza e la cautela nella divulgazione di notizie non confermate è una regola imprescindibile. Tutti i protocolli sanitari previsti sono stati attivati dall’ASL". "Ho disposto l’apertura del COC dalle 8 alle 20. - ha aggiunto Canepa -La Protezione Civile svolgerà compiti di divulgazione delle regole da seguire come da DPCM sia alla cittadinanza che alle varie attività commerciali. Inoltre si occuperà di assistere eventuali necessità delle persone in quarantena obbligatoria che non possono uscire dai propri domicili".
Coronavirus a Napoli, prima vittima in città: è la donna lasciata morta in casa per 24 ore in piazza Carlo III. Melina Chiapparino su Il Mattino Lunedì 9 Marzo 2020. È risultata positiva al Coronavirus la donna morta in casa nella zona di piazza Carlo III per la quale i familiari avevano lanciato un appello, non avendo potuto trasferire la salma al cimitero in attesa del responso del test. Ed è la prima vittima nella città di Napoli. Nelle ultime 24 ore, il videomessaggio di un 43enne aveva scatenato solidarietà e preoccupazione sui social. Luca Franzese, ieri, aveva diffuso le immagini di ciò che stava accadendo nella propria abitazione, in seguito al decesso della sorella Teresa avvenuto il pomeriggio del 7 marzo scorso. «Le istituzioni devono aiutarci siamo da 24 ore chiusi in casa con mia sorella morta» diceva nel video dove chiedeva indicazioni su come comportarsi dal momento che insieme a lui, erano presenti in casa i genitori anziani, un’altra sorella con il marito e le sue due figlie, tra cui una 15enne. Tutto è cominciato quando la 47enne napoletana che soffriva di epilessia, si era sentita male fino a perdere conoscenza, per cui i parenti avevano chiamato il 118. I sanitari erano intervenuti, provando a rianimare la donna ma nonostante i tentativi di salvarla, Teresa è deceduta e durante le operazioni di assistenza, è emersa la possibilità che potesse essere stata affetta da Coronavirus. A quel punto, l’equipe del 118 che, non aveva in quel momento addosso i dispositivi di sicurezza è dovuta tornare successivamente con le bardature previste per l’assistenza ai casi sospetti ed il kit per effettuare il tampone sulla donna. Dopo il tampone, i sette familiari si sono autoisolati fino al giorno successivo, durante il quale Luca ha diffuso il video divenuto virale nel quale dichiarava: «nessuno fornisce indicazioni su cosa fare e anche le pompe funebri ovviamente non vengono fino all'esito del tampone». Nel frattempo, anche i tre sanitari dell’Asl intervenuti nell’abitazione, in piazza Carlo III, sono stati sottoposti all’autoisolamento. Ieri sera, dopo il tam tam sui social del videomessaggio del fratello della donna, i carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia Stella sono giunti sul posto, in seguito all’allerta di un vicino di casa dei familiari in isolamento. Prima dell’arrivo dei militari, c’era stata un’altra chiamata alle forze dell’ordine, da parte di un familiare della donna deceduta, residente fuori Napoli che si era messo in contatto con la polizia municipale, chiedendo aiuto sul da farsi. La sezione della polizia municipale di turno sul territorio, comandata da Antonio Muriano, aveva contattato Luca Franzese, cercando di tranquillizzare l’uomo e indicandogli alcune compagnie funebri che sarebbero state disposte almeno al ricevimento della salma. Ma, i familiari non erano ancora a conoscenza dell’esito del tampone, per cui, nessuna azione è stata intrapresa fino al responso giunto in tarda serata. L’esito del tampone da Coronavirus è risultato positivo. I militari del Nucleo operativo, dunque, intervenuti con i dispositivi di protezione e su disposizione dell’autorità giudiziaria interpellata, hanno affidato la salma ai familiari per il prelievo tramite un’agenzia funebre dotata dei dispositivi di protezione e hanno anche, ordinato la quarantena ad una persona che si era recata in casa dei familiari per girare un video trasmesso tramite facebook. «Stiamo aspettando l’agenzia funebre che sta ultimando le procedure burocratiche per prelevare mia sorella- ha dichiarato Luca Franzese- ci hanno comunicato che faranno il tampone anche a noi che siamo stati con lei in casa, la mia azione è stata spinta solo dalla preoccupazione di non sapere cosa fare. Ci siamo messi subito in isolamento per coscienza e invito tutti i napoletani a fare la massima attenzione sulle misure di prevenzione da adottare».
La storia dell’uomo rimasto per un giorno intero in casa con la sorella morta “per Coronavirus”. Giovanni Drogo il 9 Marzo 2020 su nextquotidiano.it. «Le istituzioni devono aiutarci siamo da ventiquattr’ore ore chiusi in casa con mia sorella morta». Questo l’appello di Luca Franzese, fratello di Teresa, una donna napoletana deceduta ieri nella sua abitazione. In un toccante video pubblicato su Facebook Franzese si vede costretto a rivolgere un appello via social: «ieri è deceduta mia sorella, probabilmente per il virus del Covid-19. Sto aspettando risposte dalle istituzioni da ieri sera, nessuno si è fatto avanti», dice l’uomo. Il video è stato pubblicato alle 19:50 di ieri, 8 marzo, l’uomo spiega che la sorella è morta da quasi un giorno ma nessuno ha saputo dare indicazioni riguardo cosa fare. Inoltre le pompe funebri hanno fatto sapere che non sarebbero intervenute fino a che non fosse stato eseguito il tampone per il coronavirus. Cosa che però, al momento in cui Franzese ha pubblicato l’appello su Facebook, non era ancora stata fatta. Nell’appartamento, scrive il Mattino, oltre alla donna deceduta si trovano al momento sette persone: i due genitori anziani e un’altra sorella con il marito e due figli. Oltre allo strazio e al dolore della perdita della sorella, che soffriva di epilessia e nei giorni precedenti aveva manifestato sintomi influenzali compatibili con Covid-19, anche il senso di abbandono da parte delle istituzioni. Stando al racconto dopo che la donna si era sentita male, nel pomeriggio, un’equipe del 118 sarebbe arrivata a casa ma non aveva potuto far altro che constatarne il decesso (intorno alle 20:20). A quel punto è stato chiesto di effettuare il tampone per il coronavirus però l’equipaggio del 118 – che non è autorizzato al trasporto delle salme – è dovuto andare a prenderlo perché ne era sprovvisto, tornando solo in tarda sera per eseguire il test. La preoccupazione di Franzese è che – avendo eseguito le prime manovre di rianimazione sulla sorella, compresa la respirazione bocca a bocca – anche lui possa essere stato esposto al coronavirus. Non gli è stato fatto il test, così come non è stato fatto ai suoi famigliari. In più il corpo della donna è rimasto in casa, in mancanza di disposizioni da parte delle autorità sanitarie. Che la donna fosse o meno affetta da Covid-19 a quel punto è un dato marginale, stupisce invece la mancanza di protocolli per la gestione dei decessi “sospetti” avvenuti fuori dalle mura dell’ospedale. Questo a tutela non solo dei parenti e dei famigliari ma anche di tutti gli operatori. In un successivo video – pubblicato alle 1:20 del mattino del 9 marzo – Franzese compare con addosso una mascherina (non del tipo ffp2 o del tipo chirurgico) per spiegare che «mia sorella è risultata positiva al coronavirus» e annunciare che «resteremo in casa, sto lontano dalla mia famiglia ma lo faccio per il bene di tutti». Stando ai bollettini ufficiali in Campania le persone decedute per il coronavirus Covid-19 sono due: la prima vittima è stato un cardiopatico di 46 anni residente nel casertano. Ieri invece è deceduta una donna di 80 anni ricoverata presso l’ospedale di Caserta. È naturalmente possibile che il caso della sorella di Franzese non sia ancora stato conteggiato perché non ancora vagliato dall’Istituto Superiore di Sanità. Come precisa la Protezione Civile spetta infatti all’ISS confermare l’effettiva causa del decesso di tutti i casi segnalati.
Coronavirus, morta in casa per 24 ore, il fratello: “Mi sarebbero bastate delle scuse”. Le Iene News l'11 marzo 2020. È diventata virale la triste vicenda di Luca Franzese e di sua sorella Teresa, morta la sera del 7 marzo. Ci vorranno più di 24 ore perché qualcuno vada a prendere il corpo della ragazza, che soffriva di epilessia ed era risultata positiva al coronavirus. Abbiamo parlato con il fratello Luca. “Il cadavere di mia sorella è rimasto nel letto per più di 24 ore, nessuno ci diceva cosa dovevamo fare”. È un grido che si è fatto sentire quello di Luca Franzese, di Napoli, che nella sera di sabato 7 marzo ha perso la sorella Teresa. “Ieri è deceduta mia sorella, sto aspettando risposte dalle istituzioni da ieri sera, nessuno si è fatto avanti. Io ho mia sorella nel letto, morta, non so cosa devo fare. Non posso darle l’onoranza che merita perché le istituzioni mi hanno abbandonato. Ho contattato chiunque ma nessuno mi ha saputo dare una risposta”, dice Luca in un video diventato virale che ha pubblicato l’8 marzo verso le 19, dopo un giorno intero dalla morte di Teresa, e che in tantissimi ci hanno segnalato. La sorella di Luca, ci racconta il ragazzo, soffriva di epilessia ed era quindi un soggetto a rischio. “Da una settimana mia sorella stava male, non riusciva ad alzarsi dal letto. Il nostro medico curante ci ha detto che non poteva venire a visitarla e il 7 sera mia sorella era in uno stato semicomatoso. Dopo vari tentativi riusciamo a chiamare il 118, che arriva dopo 40 minuti. Nel frattempo io le facevo il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca per tenerla in vita. Ma non è servito e quella sera, dopo l’arrivo del 118, mia sorella è morta”, ci spiega al telefono. Luca ci racconta di aver insistito molto per far fare alla sorella il tampone per verificare se fosse positiva o meno al coronavirus. “Avevo un sospetto perché mia sorella era epilettica però era sempre stata bene, prendeva le medicine”. Verso mezzanotte della stessa sera, racconta Luca, a Teresa viene fatto il tampone. Ma è solo l’inizio delle difficoltà che Luca e la sua famiglia hanno dovuto affrontare. “Quelli del 118 mi dicono che per un paio d’ore non dobbiamo avvicinarci al cadavere. Io chiedo informazioni su come fare con la salma, ma non sanno dirmi nulla”. Già il 7 sera, racconta Luca, lui cerca di contattare una ditta di onoranze funebri, ma gli viene detto che non sanno quali disposizioni devono seguire. “Il comune di Napoli l’8 mi ha dato il nome di una ditta di onoranze funebri, ma quando ho chiamato si sono rifiutati di venire e mi hanno detto che non erano attrezzati”, dice Luca. Intanto, sua sorella è sempre nel letto e la notte dell’8 arriva anche il risultato del tampone: Teresa è positiva. “Il cadavere era ancora in casa mia e io mi sono messo in auto quarantena con tutta la mia famiglia. Alla fine se ne è occupata una ditta che ho contattato io e che è venuta a prendere mia sorella la mattina del 9”. In una nota stampa, Efi Campania – l’associazione Eccellenza funeraria italiana – si è espressa così sulla vicenda: “In merito al triste caso di cronaca che in queste ore vede coinvolta la famiglia Franzese, i delegati campani di Efi intendono sottolineare che già risulta loro un conferimento di incarico a un’impresa funebre per le operazioni riguardanti la sorella di Luca Franzese. Al momento, risulta ai nostri delegati che il problema del mancato espletamento delle procedure sia di natura amministrativa: certo, non riguarda la volontà da parte degli operatori del settore di svolgere il loro lavoro e adempiere al loro delicato compito. Alla famiglia Franzese le nostre più sentite e sincere condoglianze e la nostra vicinanza in questi momenti difficilissimi”. “Io non ho sentito nessuno”, ribadisce Franzese. “Non capisco come sia possibile che io sia stato lasciato solo in questa situazione. Mi sarebbero bastate delle scuse, mi sarebbe andato bene anche che il sindaco di Napoli mi dicesse che non era in grado di gestire la cosa, ma non che adesso tutti cercano di pararsi mentre il direttore dell’ASL Napoli 1 dice che mia sorella è morta ‘con Covid-19 e non per Covid-19’. Ma io mi chiedo come fa a saperlo? Sul corpo non è stata fatta nessuna autopsia!”. E proprio su questo Franzese si è espresso ieri sui social, citando l’articolo di Open dove è riportata l’informazione, che il direttore dell’Asl avrebbe dato all’assessore alla salute Francesca Menna: “Chiederò un confronto diretto con il direttore del Asl che ha dichiarato che mia sorella è morta per epilessia con attacchi repentini!”, dice Franzese nel post. “Mi dovrà dire se lui è Gandalf, un mago. Come fa a stabilire ciò senza un’autopsia? È un veggente? Se il cadavere di mia sorella dalla stanza da letto è finito direttamente nella bara? Sempre più vergognosi”. Intanto tutta la famiglia Franzese è stata sottoposta al tampone: “Io, i miei genitori e mia nipote piccola siamo risultati negativi”, ci dice Luca. “Ma mia nipote di 20 anni e mio cognato sono positivi. Stiamo rispettando tutte le norme di isolamento, ma siamo tutti nella stessa casa”.
· Coronavirus, sanzioni pesanti per chi sgarra.
Coronavirus, sanzioni pesanti per chi sgarra. Controlli ai prefetti anche con Forze di polizia e forze armate. E si rischia l’arresto fino a tre mesi e l’ammenda fino a 206 euro. Silvana Saturno su Italia Oggi il 7 marzo 2020. Dall’obbligo di non lasciare la Lombardia (e le altre province “a rischio”) senza (seri) motivi, fino a quello di non muoversi dalla propria abitazione per chi sia risultato positivo al virus o sia stato posto in quarantena. Per chi non rispetterà gli obblighi potrà scattare l’arresto fino a 3 mesi e l’ammenda fino a 206 euro, come prevede l’art. 650 del codice penale (inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità) e salvo che il fatto commesso costituisca più grave reato. A prevederlo è l’art. 4, comma 2, del dpcm 8/3/2020 per il contenimento del Covid-19, in vigore dall’8 marzo e fino al 3 aprile 2020. Saranno i Prefetti territorialmente competenti, informato il ministro dell’interno, che dovranno assicurare il rispetto dei divieti di spostamento dalla regione Lombardia e dalle altre 14 province (Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso, Venezia), nonché l’esecuzione delle restanti misure per la tutela della salute pubblica da parte delle amministrazioni competenti. Il decreto firmato da Giuseppe Conte, peraltro, lascia salva la possibilità di “spostamenti”, in entrata e in uscita dai territori indicati, nonché all’interno dei medesimi territori per:
- comprovate esigenze lavorative
- Situazioni di necessità
- Motivi di salute
- Rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza.
Non è chiaro al momento, malgrado le norme siano già in vigore e gli spostamenti non motivati debbano essere già essere vietati e monitorati, cosa si intenda per ciascuna di queste “motivazioni autorizzanti” (a parte l’ultima, sul rientro a casa) avanzabili al momento del controllo. E non sono chiare le modalità con le quali si potranno far valere tali motivazioni. Su tali aspetti sono indispensabili e si attendono, dunque, ulteriori chiarimenti/indicazioni. In questa situazione di limbo, è facile pensare che gli spostamenti, già iniziati, verso il resto d’Italia, nella serata del 7 marzo sulla scia di anticipazioni di stampa del dpcm di “chiusura” in parola, possano proseguire senza controlli adeguati. L’art. 4 del dpcm, sul monitoraggio delle misure, prevede infine che il Prefetto, ove occorra, per l’esecuzione delle misure stesse, si avvalga delle Forze di Polizia, con il concorso del Corpo nazionale dei vigili del Fuoco, nonché delle Forze armate, sentiti i competenti comandi territoriali, dandone comunicazione al Presidente della regione e della provincia autonoma interessata.
Coronavirus, quarantena (contumacia): cos'è e cosa si rischia. Il Governo ha previsto la misura, con sorveglianza attiva, specificandone le ipotesi di applicabilità, al fine di contenere la diffusione dell’epidemia da Covid-19. Laura Biarella, Professionista – Avvocato. Pubblicato su Altalex il 26/02/2020. L’Ordinanza del Ministero della Salute del 21 febbraio 2020 e il D.L. 23 febbraio 2020, n. 6 al fine di contenere la diffusione dell’epidemia da Coronavirus (Covid-19) hanno previsto, specificando le ipotesi di applicabilità, la misura della quarantena con sorveglianza attiva.
Cos'è la quarantena. Viene definita come “Periodo di isolamento (originariamente di 40 giorni) al quale vengono sottoposti persone, animali e cose ritenuti portatori di agenti infettivi. La sua durata differisce fra le varie malattie, in rapporto al relativo periodo d’incubazione” (enciclopedia Treccani). Altrimenti detta “contumacia” (vocabolario Treccani), intorno al 1350 è originata dall'isolamento di 40 giorni di navi e persone prima di entrare nella laguna della Repubblica di Venezia, misura messa in atto a scopo preventivo contro la peste nera.
Quantificazione della quarantena per il Covid-19. Il periodo è stato fissato in due settimane (14 giorni), così parametrandolo al periodo di incubazione. Sul portale web dell’OMS si apprende infatti che tale è l'intervallo di tempo tra l'infezione e l'insorgenza dei sintomi clinici della malattia. Le stime attuali suggeriscono che il periodo di incubazione, del virus in questione, varia tra 1 e 12,5 giorni, con una media stimata di 5-6 giorni. Tali stime saranno adeguate man mano che saranno disponibili maggiori dati. Dalla stessa fonte si apprende che, in base alle informazioni disponibili su ulteriori malattie causate da coronavirus (inclusi MERS e SARS), è stato stimato che il periodo di incubazione di 2019-nCoV potrebbe durare fino a 14 giorni. L'OMS raccomanda che il follow-up dei contatti dei casi confermati sia di 14 giorni.
L’Ordinanza del Ministero della Salute del 21 febbraio 2020. Recante “Ulteriori misure profilattiche contro la diffusione della malattia infettiva COVID-19”, ha validità 90 giorni decorrenti dal 21 febbraio, e all’articolo 1 prevede due obblighi:
le Autorità sanitarie territorialmente competenti devono applicare la misura della quarantena con sorveglianza attiva, per giorni quattordici, agli individui che abbiano avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva COVID-19; gli individui che, negli ultimi quattordici giorni (rispetto al 21 febbraio), hanno fatto ingresso in Italia dopo aver soggiornato nelle aree della Cina interessate dall'epidemia, come identificate dall'OMS, devono comunicare tale circostanza al Dipartimento di prevenzione dell'azienda sanitaria territorialmente competente.
La permanenza domiciliare fiduciaria. Acquisita la comunicazione di aver soggiornato in Cina, l'Autorità sanitaria territorialmente competente deve provvedere all'adozione della misura della permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva ovvero, in presenza di condizioni ostative, di misure alternative di efficacia equivalente.
Il d.l. 23 febbraio 2020, n. 06. Stante il propagarsi dell’epidemia da coronavirus, il Governo, domenica 23 febbraio 2020, ha emanato un decreto legge, così prevedendo “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19”, che contempla diversi divieti per le persone comunque presenti nelle zone rosse, o comuni focolaio (identificati 10 in Lombardia e 1 in Veneto), tra cui il divieto di allontanamento dal comune o dall'area interessata. Tali soggetti non sono stati messi in quarantena, non essendo stato vietato di uscire da casa, e neppure di raggiungere gli ulteriori comuni ricompresi nella zona rossa, tuttavia è stato consigliato di limitare il più possibile i luoghi pubblici e di rimanere in ambienti domestici, mettendo in atto i consigli di igiene dettati sia dal Ministero della Salute che dall'Organizzazione Mondiale della Sanità.
La quarantena per chi ha avuto contatti stretti coi casi confermati. Il decreto legge 23 febbraio, n. 6 (articolo 1, lettera h) ha limitato l’applicazione della misura della quarantena con sorveglianza attiva, confermando quanto già prescritto dall’Ordinanza del Ministero della Salute di due giorno prima, agli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva.
Le sanzioni. L’art. 3 del d.l. n. 6 del 23 febbraio 2020, al comma IV statuisce che “Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell'articolo 650 del codice penale”. La sanzione, per l’inosservanza di un provvedimento dato dall'Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d'ordinepubblico o d'igiene, è:
l'arresto fino a tre mesi,
l'ammenda fino a 206,00 euro.
Nonostante l’Ordinanza del 21 febbraio non richiami esplicitamente l’art. 650 c.p., questo deve ritenersi comunque operante, stante la natura di “provvedimento dato dall'Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d'ordinepubblico o d'igiene”.
Art. 650 c.p. Inosservanza dei provvedimenti dell'autorità. "Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o d'igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a euro 206".
Emergenza Coronavirus: “chi fugge dalla quarantena ed è consapevole di avere il virus rischia fino all’ergastolo”. Coronavirus, parla l’avv. Bocciolini: “tutti quelli che violano il contenuto del decreto legge rischiano non solo il 650 del codice penale ma tutto ciò che è colposamente legato alle conseguenze dirette del loro comportamento”. Danilo Loria il 6 Marzo 2020 su strettoweb.com. L’avvocato Daniele Bocciolini è intervenuto ai microfoni di Matteo Torrioli su Radio Cusano Campus per parlare delle conseguenze legali di chi vìola la quarantena e le disposizioni sul coronavirus. Il Decreto Legge. “C’è un reato ben preciso. Abbiamo un Decreto Legge che contiene queste misure urgenti. Chi vìola le disposizioni e quindi le misure di contenimento per arginare questa emergenza rischia di incorrere nel reato del 650 del codice penale. Questo prevede l’arresto fino a tre mesi e la multa fino a 216 euro. è un reato previsto dal codice penale e il decreto lo richiama espressamente. Chi deve stare in quarantena deve stare in casa. Per i comuni in zona rossa c’è l’obbligo di soggiorno all’interno del Comune e non ci si può avvicinare a quelle città in zona rossa”. Violazione quarantena e zona rossa. “Ricevo chiamate di proprietari di locali, discoteche, ristoranti che mi chiedono cosa fare. Non solo si rischia il 650. Se un “cretino” che ha avuto contatti diretti con persone infette dal coronavirus e vìola la zona rossa, se entra poi in un pronto soccorso e contamina tutti coloro lì presenti, nei confronti di questo soggetto può incorrere nel reato di lesioni colpose o reati più gravi. Tutti quelli che violano il contenuto del decreto legge rischiano non solo il 650 ma rischiano tutto ciò che è colposamente legato alle conseguenze dirette del loro comportamento”. Se una persona in quarantena perché affetto da coronavirus esce di casa cosa rischia a livello penale? “Basta il dolo eventuale. Se io non comunico che sono contagiato o infetto sono consapevole di poter contagiare qualcuno, accetto il rischio anche dell’evento mortale del soggetto che vado a contagiare. Il reato è ben previsto ed è quello di epidemia e rischia fino all’ergastolo. Parliamo di untore consapevole. Coloro non sanno di avere il coronavirus o altre sindromi ma che hanno avuto contatti diretti con persone che poi si è scoperto stare male devono comunicare questo all’azienda sanitaria locale, fare il tampone e mettersi in quarantena. Se invece queste persone continuano ad andare in giro, in palestra, in questo caso la mia colpa diventa responsabilità colposa come le lesioni colpose se si attacca il virus ad altri soggetti. Si rischiano comunque pene molto alte come l’omicidio colposo o l’epidemia colposa”.
Coronavirus, 18 persone denunciate per aver cercato di scappare dalla Zona Rossa. Hanno tentato di eludere i controlli e scappare dalla zona rossa: oppure hanno cercato di entrarci in modo da raggiungere parenti in quarantena. Sono i casi scoperti dalle forze dell’ordine che controllano i confini dei Comuni isolati a causa dell’emergenza coronavirus, e che sono stati denunciati alla magistratura lodigiana. Annalisa Girardi l'1 marzo 2020 su FanPage.it. Sono 18 le persone denunciate per aver tentato di eludere i controlli e scappare dalla zona rossa o per aver cercato di entrare in modo da raggiungere parenti in quarantena. Sono i casi scoperti dalle forze dell'ordine che controllano i confini dei Comuni isolati a causa dell'emergenza coronavirus. I media locali confermano che dall'inizio della scorsa settimana i i carabinieri hanno identificato e denunciato alla magistratura lodigiana complessivamente diciotto persone, che avrebbero cercato di violare le misure di quarantena dei Comuni focolaio. Saranno tutti denunciati per violazione dell'ordine dell'autorità, cioè il decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri dello scorso 23 febbraio. Il primo caso riguardava un uomo di 55 anni di Castiglione d'Adda che, avendo ottenuto un permesso speciale per un esame clinico fuori provincia, non era più tornato a casa. "L’impegno dei carabinieri proseguirà senza sosta, operando con il massimo impegno nell'arco delle 24 ore, per contenere il diffondersi del virus, cercando di reprimere il comportamento scorretto di quei pochi irresponsabili, purtroppo presenti", ha comunicato in una nota il comando lodigiano dei carabinieri, che sta schierando 150 militari solo nella Bassa.
Il modello italiano che sorprende l’Europa. Pubblicato martedì, 17 marzo 2020 su Corriere.it da Massimo Franco. Parlare di «modello italiano» nel contrasto al coronavirus può apparire esagerato, o prematuro. Ma probabilmente, nella rivendicazione del premier Giuseppe Conte si avverte l’eco delle ironie che all’estero hanno accompagnato la scelta del governo di chiudere il Paese; e una punta di soddisfazione per il modo in cui la popolazione reagisce, pur tra passeggiate e fughe sciagurate in treno da Nord a Sud. È un fatto che gran parte delle nazioni europee stanno imitando per necessità le scelte italiane, rinunciando a una sorta di arroganza occidentale iniziale rispetto al contagio. Perfino negli Usa, dove il caso italiano viene declinato rozzamente nei dibattiti elettorali come esempio da non imitare, si è costretti a fare i conti con una situazione che non consente la sottovalutazione pericolosa di questi giorni. Che il modello evocato da Conte possa estendersi anche alla strategia economica, appare più azzardato: prima o poi la politica espansiva del governo, avallata dalla Commissione europea, si troverà a dover pagare un conto elevato. Ma al momento questa incognita è destinata a passare in secondo piano. La priorità è battere la pandemia e fare in modo in parallelo che il sistema economico non si blocchi e non si perdano posti di lavoro. Quando ieri Conte, dopo l’approvazione che prevede 25 miliardi di euro in aiuti a famiglie, medici e imprese, definisce il decreto «Cura Italia», magari pecca di enfasi. In parallelo, però, riflette la necessità di rassicurare un Paese che si sta sacrificando; e in cambio chiede di essere informato, aiutato e rassicurato. Con un filo di ironia Giorgia Meloni, presidente di FdI, parla di «cerotto Italia» e di «misure insufficienti per rimetterla in piedi». E si prepara, insieme con Lega e FI, a «migliorarle in Parlamento». Ma nessuno ritiene che basteranno. Lo stesso Conte ammette che è «una prima risposta» e ringrazia «le forze politiche, comprese le opposizioni, per il prezioso contributo». E prepara altri«ingenti investimenti». È la conferma di un simulacro di coesione nazionale che cerca di manifestarsi tra gli scarti della Lega e di Iv; meno delle regioni. La stessa Meloni e il leghista Matteo Salvini si compiacciono che il governo «ci abbia ascoltato». La polemica, più che con Conte, è con un’Europa accusata di fare poco; e con la presidente della Bce, Christine Lagarde, per le sue parole sullo spread: sono apparse come minimo imprudenti, e tali da far nascere la diffidenza verso il successore di Mario Draghi. Ma anche questa polemica non può che essere diplomatizzata, almeno fino a quando la curva dell’epidemia non mostrerà segni di discesa: con un’attenzione particolare all’evoluzione nei prossimi giorni a Sud.
Da repubblica.it il 17 marzo 2020. Plauso dell'Oms alle misure prese in Italia con il virus: "L'Italia è uno dei Paesi più colpiti, ed è ora la piattaforma di know how in Europa. Quello che stiamo imparando in Italia servirà anche all'Europa e a tutto il mondo. Dobbiamo lavorare mano nella mano, imparando ogni giorno, in ogni settore". A dirlo Hans Kluge, direttore per l'Europa dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) in una conferenza stampa. "Ho incontrato nelle scorse settimane le autorità italiane - ha aggiunto - e vorrei ribadire ancora una volta il mio apprezzamento al ministro della Salute Roberto Speranza per la trasparenza nel condividere i dati". Dorit Nitzan, coordinatrice per le Emergenze sanitarie dell'Oms Europa, ha poi fatto notare che "l'Italia ha una popolazione con più anziani di altri Paesi, ad esempio la Corea del Sud ha più giovani e più donne. E' un elemento che fa molta differenza e anche per questo dobbiamo sempre guardare alle situazioni singole, paese per paese". E mentre arrivano i commenti positivi dell'Oms continua ad esserci gente che ignora le disposizioni tanto apprezzate dall'Organizzazione mondiale della sanità. C'è stato infatti un nuovo aumento del numero delle persone controllate e denunciate per "inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità" durante i controlli sul rispetto delle misure di contenimento del contagio da coronavirus. Nella sola giornata di ieri, secondo l'ultimo report diffuso dal Viminale, sono state 7.890, il 13,5% in più rispetto alle 6.951 del 15 marzo. Sempre ieri, le persone complessivamente controllate in tutta Italia sono state 172.720, quelle denunciate per "falsa attestazione o dichiarazione a pubblico ufficiale" o "false dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri" 229.
Punizioni più severe per chi esce. Chi viola la quarantena rischia una denuncia per «procurata epidemia».
Pubblicato martedì, 17 marzo 2020 su Corriere.it da Fiorenza Sarzanini. La decisione arriva in mattinata, quando si capisce che il numero dei contagiati da coronavirus continua ad aumentare, così come quello dei denunciati per violazione del divieto di uscire a chi non ha «comprovate necessità». E allora la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese dà indicazione al capo della polizia Franco Gabrielli e ai prefetti di tutta Italia per una nuova stretta sui controlli di chi viene sorpreso in strada e non può giustificarsi. Ma, soprattutto, fa cambiare il modulo dell’autocertificazione con l’inserimento di una «voce» in cui la persona fermata deve dichiarare di «non essere in quarantena». Se mente può essere denunciata per procurata epidemia che prevede fino a 12 di carcere. Per tutta la giornata si moltiplicano gli appelli — dal governatore della Lombardia Attilio Fontana al sindaco di Milano Sala, dal capo della protezione civile Angelo Borrelli, al nuovo commissario agli acquisti Domenico Arcuri — per convincere i cittadini a «restare a casa». Il rischio è fin troppo chiaro: rimanere in questa situazione di «isolamento» ancora per settimane o — peggio — costringere il governo a prendere misure ancora più drastiche. Il modulo che da lunedì è sul sito del ministero dell’Interno e si deve esibire al momento dei controlli (si può scaricare su Corriere.it, senza paywall) contiene tre punti. Nel primo si dichiara di «essere a conoscenza delle misure di contenimento del contagio», nel secondo si certifica di «non essere sottoposto alla misura della quarantena e di non essere risultato positivo al virus Covid-19», nel terzo infine di «essere a conoscenza delle sanzioni previste». E cioè una denuncia per violazione dell’articolo 650 del codice penale che prevede l’arresto fino a tre mesi e una sanzione fino a 206 euro, sempre che non scatti la contestazione più grave relativa ai reati contro la salute pubblica. Molti si sono chiesti se rischiano la sanzione dichiarando di essere «negativi» pur non avendo fatto il tampone, e così è stato chiarito che l’autocertificazione riguarda esclusivamente chi ha effettuato il test. Naturalmente chi non ha possibilità di stampare il modulo lo può ricopiare oppure fotografare con lo smartphone mostrandolo al momento della verifica in strada. Dall’11 marzo scorso — giorno dell’entrata in vigore del decreto che impone di non uscire — sono state controllate un milione e 250 mila persone e più di 415 mila negozi. Sono oltre 35mila i denunciati: soltanto ieri 7.890, il 13,5% in più rispetto al giorno precedente. Alto anche il numero di commercianti che hanno deciso di alzare le serrande nonostante il decreto abbia indicato in maniera chiara quali negozi possano rimanere aperti: 1.319 i titolari denunciati con una progressione che anche in questo caso sale con il trascorrere dei giorni. Da giorni vengono pubblicate video e foto di persone a spasso, tanto che l’assessore al Welfare della Lombardia Giulio Gallera avvisa via Facebook: «Vi controlliamo attraverso le celle telefoniche, non uscite di casa è assolutamente importante perché questa battaglia la vinciamo noi». Il governatore della Campania Vincenzo De Luca invoca la presenza dell’esercito per i controlli. Di certo c’è che l’invito formulato nelle prime ore di applicazione del decreto da Lamorgese a poliziotti e carabinieri affinché fossero comprensivi con i cittadini, adesso si è trasformato in una richiesta di applicare linea dura e dunque il massimo delle sanzioni. Nel decreto firmato dal premier Giuseppe Conte non si vieta di passeggiare o portare a spasso il cane, ma il governo ha chiarito — e Borrelli lo ha detto esplicitamente — che gli spostamenti devono essere «nella propria zona e per un tempo limitato, massimo in due, mantenendo invece la distanza di sicurezza rispetto agli altri». E dunque evitando in ogni caso gli assembramenti davanti ai negozi. Proprio per evitare che i cittadini stiano in giro numerosi, molti sindaci hanno deciso di chiudere i parchi, ma anche questa misura non appare sufficiente. E così — se nei prossimi giorni le denunce continueranno a crescere — non è escluso che si arrivi a una stretta più decisa. «Siamo pronti a nuove scelte coraggiose per fermare il virus», aveva detto tre giorni fa Lamorgese. Una linea condivisa con il premier che potrebbe essere attuata per sconfiggere il Covid-19.
Coronavirus, il Viminale: «Multe dure, quasi 8mila denunce. È la settimana cruciale, state a casa». Pubblicato martedì, 17 marzo 2020 su Corriere.it da Fiorenza Sarzanini. La linea del Viminale si trasforma in una stretta: «È la settimana cruciale, rimanete a casa». Per questo la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha diramato nuove direttive affinché i controlli siano serrati, con un'attenzione particolare a chi esce nonostante sia in quarantena. I dati aggiornati al 16 marzo parlano di 172.720 persone controllate e 7.890 denunciate per inosservanza di un provvedimento dell’autorità mentre 229 sono state denunciate per false dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri. Sono invece 97.551 gli esercizi commerciali contro che hanno subito verifiche con 217 e 22 quelli per i quali è stata sospesa l’attività. Il bollettino della protezione civile sui contagiati ha mostrato il 16 marzo una lieve flessione nel numero dei contagiati e questo conforta sull’utilità delle misure previste dal decreto che impone di non uscire e soprattutto di rimanere a distanza di almeno un metro dalle altre persone. Ma questo convince anche chi ha la responsabilità di effettuare i controlli di rinnovare l’appello a tutti i cittadini a non uscire, rimanere a casa, rispettare i divieti. «È l’unico modo per provare a uscire dall’emergenza», spiegano al Viminale e alla Protezione Civile che monitora la situazione in tutte le Regioni. Per questo è stato stampato un nuovo modulo per l’autocertificazione che contiene anche una parte relativa alla quarantena perché i dati dimostrano che moltissimi non rispettano i 14 giorni di isolamento totale pur essendo soggetti a rischio.
Marisa Marraffino per ilsole24ore.com l'11 marzo 2020. Con l’emergenza sanitaria non si scherza, neppure dal punto di vista penale. Le pene per chi viola le regole sono severe e non ammettono attenuanti.
Chi dichiara il falso nell’autocertificazione. Attestare falsamente di doversi spostare per motivi di salute, per esigenze lavorative o per altri stati di necessità integra il reato di falsa attestazione a un pubblico ufficiale: la pena va da uno a sei anni di reclusione. È previsto l’arresto facoltativo in flagranza e la procedibilità è d’ufficio. Ciò significa che chiunque può segnalare i casi di cui venga a conoscenza e far scattare così automaticamente il procedimento penale. I pubblici ufficiali hanno l’obbligo di denunciare i reati procedibili d’ufficio di cui vengano a conoscenza. Se non lo fanno rischiano l’imputazione per il reato di omessa denuncia, punito dall’articolo 361 del Codice penale. Sono pubblici ufficiali, oltre alle forze di polizia e armate anche i vigili del fuoco e urbani, i magistrati nell'esercizio delle loro funzioni, i notai ma anche i medici ospedalieri. Tutti possono segnalare i casi sospetti e far attivare le verifiche. A questo reato si aggiunge anche la fattispecie di cui all’articolo 650 del Codice penale che punisce con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 206 euro chi viola i provvedimenti che vietano di spostarsi senza motivo.
Chi sospetta di avere il coronavirus e non si mette in quarantena. Chi ha febbre, tosse e altri sintomi associati al Covid-19 e non si mette in quarantena rischia, oltre all’imputazione per violazione dei provvedimenti dell’autorità, un processo per lesioni o tentate lesioni volontarie. Se dovesse infettare persone anziane o comunque soggetti a rischio causandone la morte, l’imputazione potrebbe trasformarsi in omicidio doloso pena la reclusione non inferiore a 21 anni. Infatti in questo modo si accetta il rischio di contagiare altre persone, causandone lesioni o, nei casi più gravi, la morte. La condotta è punita a titolo di dolo eventuale. La stessa pena si applica a chi ha avuto contatti con persone positive al coronavirus e continua ad avere rapporti sociali o a lavorare con altre persone senza prendere precauzioni o avvisarle. Non avvertire amici e conoscenti con i quali si hanno avuto contatti negli ultimi giorni, causando il rischio concreto che contagino altre persone, potrebbe costare la stessa imputazione a titolo di dolo eventuale o quantomeno di colpa cosciente. Il reato di lesioni superiori a quaranta giorni di malattia è procedibile d’ufficio ed è punito con la reclusione da tre a sette anni.
Chi è positivo e non lo dice a nessuno. Chi sa di aver contratto il coronavirus e non lo dice a nessuno, uscendo di casa fa sì che la sua condotta risulti connotata dal dolo diretto. Le imputazioni, oltre a quella di violazione dell'ordine dell’autorità, sono molto più gravi. Vanno dal tentativo di lesioni e/o di omicidio volontario se si viene a contatto con soggetti fragili o a rischio fino all'omicidio volontario se ne deriva la morte. La legge è chiara, ma anche la giurisprudenza. A queste ipotesi si applicano gli stessi principi dei casi delle persone sieropositive che sanno di esserlo e non avvisano il partner né adottano precauzioni per evitare il contagio.
Accuse di lesioni e multe: ecco cosa si rischia «Fuori senza motivo», 161 denunciati. Pubblicato mercoledì, 11 marzo 2020 su Corriere.it da Valentina Santarpia. Violare le disposizioni del governo sulla limitazione degli spostamenti e dei contatti per l’emergenza coronavirus è un reato penale. Risulta evidente dall’ordinanza del ministero dell’Interno ma anche da una serie di elementi che i legali, come l’avvocato Marisa Marraffino sul Sole24 Ore, mettono in risalto. Senza voler «aggiungere terrorismo a terrorismo», come giustamente sottolinea al Corriere l’avvocato Franco Coppi, chi in questi giorni pensa di potersi continuare a comportare con leggerezza, farebbe bene a ricredersi. Alcuni fan partiti da Napoli per Zocca in pellegrinaggio sotto casa di Vasco Rossi, tanto per fare un esempio, sono stati fermati dai carabinieri e denunciati perché non hanno rispettato il divieto di spostarsi. Ma vediamo quali sono le diverse ipotesi di reato che si potrebbero venire a configurare per i cittadini. Innanzitutto, è il Viminale, con la sua ordinanza, a fare riferimento a due articoli del Codice penale, il 650 e il 452. Il 650 parla dell’inosservanza di provvedimento di un’autorità: pena prevista arresto fino a tre mesi o ammenda fino a 206 euro. L’ipotesi più grave è quella del 452: delitti colposi contro la salute pubblica, che persegue tutte le condotte idonee a produrre un pericolo per la salute pubblica. In questo caso c’è l’arresto dai sei mesi ai tre anni. Ma ci sono molti altri reati correlati. Se si compila una autodichiarazione sostenendo di doversi spostare per motivi di salute, per esigenze lavorative o altre condizioni di necessità, e invece queste condizioni non sussistono, si configura il reato di falsa attestazione ad un pubblico ufficiale. È previsto l’arresto in flagranza e la procedibilità d’ufficio. I pubblici ufficiali che non denunciano rischiano il reato di omessa denuncia, articolo 361 del codice penale. Ovviamente, come sottolineato anche dal premier Conte, «non è che non si possa uscire fuori casa per la spesa», spiega Coppi. Chi ha febbre oltre i 37.5 gradi, tosse, raffreddore e altri sintomi associati al coronavirus deve mettersi in autoisolamento e segnalarlo al medico curante o alla Asl. Se non lo fa, rischia, oltre al procedimento per violazione dei provvedimenti dell’autorità, un processo per lesioni o tentate lesioni volontarie, punibile da tre a sette anni. Se infatti dovesse contagiare persone malate o immunodepresse fino a provocarne la morte, il reato si potrebbe trasformare in omicidio doloso, pena la reclusione fino a 21 anni. La stessa cosa si verifica se chi sospetta di essere malato continua ad avere relazioni sociali senza prendere precauzioni. Naturalmente «bisogna vedere qual è il grado di consapevolezza del proprio stato di malato- sottolinea Coppi- bisogna che il soggetto non abbia adottato alcuna cautela per evitare il contagio, e che quindi consapevolmente non abbia adottato soluzioni per evitare il contagio». Chi sa di aver contratto il coronavirus e non lo comunica, uscendo di casa, oltre ad essere accusato di violazione dell’ordine dell’autorità, può essere accusato di tentativo di lesioni e arrivare fino all’omicidio volontario se viene a contatto con soggetti fragili a rischio. È la stessa situazione che si verifica (e si è verificata) nel caso di soggetti sieropositivi che hanno rapporti sessuali non protetti e non avvisano il partner né prendono precauzioni. «Ma non dimentichiamo che alla base di qualsiasi illecito penale deve essere dimostrato che il soggetto ha agito con negligenza, imprudenza, e bisogna capire se poteva o doveva evitare un contatto. Certo, se io sono contagiato, lo so, e poi cerco contatti con altre persone non curandomi della possibilità di trasmettere il contagio, allora si configura il reato di lesioni colpose, ma i passaggi sono diversi», spiega Coppi. «Il dolo implica la volontà di creare il contagio, o comunque l’accettazione dell’evento contagio: se parliamo di dolo parliamo del fatto che il soggetto accetta che l’evento si verifichi. Ci potrà essere pure qualche matto, ma non credo che si possa con tanta facilità affermare che uno che se ne vada in giro con l’intenzione di contagiare. Preferisco pensare a un contagio che passi piuttosto che a migliaia di procedimenti penali», conclude Coppi.
Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera” il 24 marzo 2020. Multe e sequestro delle auto o delle moto per chi non rispetta i divieti, droni per monitorare gli spostamenti dei cittadini. Nella lotta contro il contagio da coronavirus il governo vara norme più incisive per impedire alle persone di andare in giro «senza comprovati motivi». E lo fa con un decreto che potrebbe essere approvato già oggi dal consiglio dei ministri. Un provvedimento ritenuto necessario visto che i controlli effettuati in tutta Italia portano ogni giorno a migliaia di denunce, ma soprattutto dimostrano che il rischio di essere scoperti non rappresenta affatto un deterrente. Appare infatti assai difficile che, quando l' emergenza sarà finita, nei tribunali possano essere istruiti processi per la violazione dell' articolo 650 del codice penale e inflitte sanzioni da 206 euro. In Lombardia le multe sono già state previste con un' ordinanza del governatore Attilio Fontana. E dal governo è stato chiarito che le ordinanze regionali possono essere emesse «se non entrano in conflitto con quanto previsto dai decreti del presidente». Per monitorare chi è stato contagiato si pensa di utilizzare un' applicazione che i cittadini risultati positivi al tampone del Covid-19 dovrebbero scaricare sul proprio smartphone in modo da consentire alle autorità di verificare attraverso le reti telefoniche e wi-fi se siano entrati in contatto con altre persone che a loro volta sarebbero sottoposte a controllo. Le autorità assicurano che non ci sarebbe una «profilazione» - come invece sarebbe accaduto in Cina e Corea - ma su questo dovrà intervenire il garante della privacy che ha già elencato le modifiche necessarie all' attuale normativa. Su questo il presidente dell' Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro è rassicurante: «La app servirà non solo per tracciare, ma anche per assistere e coniugherà i valori di democrazia e libertà con il distanziamento sociale». Ieri, con un' ordinanza emanata dall' Enac, sono ufficialmente entrati in funzione i droni per il «monitoraggio degli spostamenti dei cittadini». Nel documento è specificato che «le operazioni condotte con sistemi aeromobili a pilotaggio remoto con mezzi aerei di massa operativa al decollo inferiore a 25 kg, nella disponibilità dei Comandi di polizia locale, potranno essere condotte in deroga ai requisiti di registrazione e di identificazione». E si sottolinea che si potranno effettuare i controlli «anche su aree urbane dove vi è scarsa popolazione esposta al rischio di impatto». Per questo «fino al 3 aprile 2020 si possono usare i droni nelle aree prospicienti tutti gli aeroporti civili e identificate come "aree rosse", ad una quota massima di 15 metri». La multa potrà arrivare fino a 2.000 forse 3.000 euro, il mezzo potrà essere sequestrato o sottoposto a fermo amministrativo. Sono questi i dettagli da mettere a punto, ma sulla necessità di imporre una stretta per fermare chi va in giro non c' è alcun dubbio. Del resto i numeri del Viminale non sono affatto confortanti: dall' 11 al 22 marzo sono stati controllati circa 2 milioni di cittadini e denunciati oltre 92mila. E questo nonostante ci siano migliaia di persone già contagiate e altre migliaia vittime del coronavirus. Anche per questo il Viminale ha emesso ieri un nuovo modulo per l' autocertificazione in cui bisogna specificare l' indirizzo da cui si parte e quello dove si arriva oltre a giustificare lo spostamento.
C.Man. per “il Messaggero” il 24 marzo 2020. È stato fissato per le 14 di oggi il Consiglio dei ministri nel quale verrà deciso in che modo inasprire le pene per tutti coloro che violano le norme imposte dal decreto del presidente del Consiglio. La decisione è stata presa non soltanto perché continua a esserci troppa gente in giro, ma anche perché, da più parti, il governo è stato sollecitato a intervenire in maniera energica. Quale il modo migliore per convincere gli italiani a stare a casa? Certamente cominciando con il bloccargli l'auto, ovvero con il fermo amministrativo o la confisca del mezzo sul quale sta viaggiando, ma anche con multe molto salate da pagare, da un minimo di 500 euro a un massimo di 3000. Già in diverse regioni d'Italia il disubbidiente si è visto contestare il pagamento di una bella cifra: a cominciare dalla Lombardia, dove un'ordinanza del governatore prevede fino a 5000 euro di multa per chi non rispetti le distanze di sicurezza tra una persona e l'altra, o stia per strada senza giustificazione. E poi ci sono le procure, quella di Parma e di Lodi, che stanno offrendo la loro interpretazione giuridica riguardo alle violazioni previste dal dpcm. Quindi, il Consiglio dei ministri potrebbe decidere di intervenire con un nuovo decreto. Le possibilità sono due: una rilettura dell'articolo 650 del codice penale (Inottemperanza di un provvedimento dell'autorità) nella parte dove prevede un'ammenda di poco più di 200 euro. Oppure un decreto che stabilisce per il periodo dell'emergenza, nuove contestazioni che possono andare dalla multa alla confisca o al fermo amministrativo del mezzo di trasporto. Anche perché senza un intervento di questo genere, difficilmente chi ha violato le regole, si ritroverà sotto processo e condannato. Lo aveva spiegato nei giorni scorsi anche il capo della polizia Franco Gabrielli, il quale aveva sollecitato pene più severe. E lo stesso ha fatto il procuratore capo di Lodi, Domenico Chiaro, che ha valutato di ipotizzare la violazione del testo unico delle leggi sanitarie del 1934 che prevedono la pena detentiva o il sequestro preventivo dei veicoli. Il Cdm di oggi vedrà impegnati, soprattutto, Viminale e ministero della Giustizia, e troverà l'appoggio anche delle forze di maggioranza. Mentre la procura di Parma si è già mossa riguardo alla possibilità di far sequestrare l'auto come misura aggiuntiva rispetto alla denuncia penale per inosservanza a ordini delle autorità. Il procuratore capo Alfonso D'Avino ha firmato una direttiva il 16 marzo scorso con la quale interpreta le nuove norme. Ha anche inviato una circolare alle forze dell'ordine stabilendo che venga disposto il sequestro preventivo del veicolo per chi è in strada fuori dal suo Comune senza «comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute». Il sequestro poggia sull'idea giurisprudenziale avallata dalla Cassazione, secondo cui la misura del sequestro preventivo è atto ad evitare che un reato possa ripetersi, e nel caso in questione l'autoveicolo è necessario per compiere il reato di spostarsi al di fuori del proprio comune. La procura dispone anche che il veicolo sequestrato non venga affidato a un deposito incaricato, bensì in custodia allo stesso conducente. Che ovviamente non potrà utilizzarlo: in caso di controllo e di accertata mancanza del veicolo, scatterebbe una denuncia per sottrazione di cose sottoposte a sequestro (reclusione da sei mesi a tre anni e multa da 51 a 516 euro, che diventano reclusione da tre mesi a due anni e multa da 30 a 309 euro se il reato è commesso dal proprietario).
Ecco le regole del Viminale per aziende e spostamenti: multe e sanzioni da 500 a 4 mila euro. Il Corriere del Giorno il 24 Marzo 2020. Trasmessa ai prefetti la circolare del capo di gabinetto della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese . Arriva in Consiglio dei ministri un nuovo decreto sulle sanzioni. Matteo Piantedosi, il capo di gabinetto della ministra Luciana Lamorgese, attraverso una circolare inviata ai Prefetti ha indicato le direttive di applicazione del decreto varato dal premier Giuseppe Conte sabato 21 marzo sulle attività all’ aperto e gli spostamenti. Nel Consiglio dei ministri in corso verrà esaminato il decreto che limita gli spostamenti dei cittadini per “evitare il contagio da coronavirus” e prevede una sanzione amministrativa da euro 500 a euro 4.000 per chi non rispetta i divieti. Per i negozi che non rispettano la chiusura è prevista “la chiusura provvisoria dell’attività o dell’esercizio per una durata non superiore a 5 giorni”. Il decreto legge non elimina le norme sin qui adottate con i precedenti D.P.C.M. a firma del premier Conte, ma le include in un documento unico. Pertanto i divieti in vigore restano validi. Un’ importante novità introdotta riguarda le Regioni, che nelle settimane scorse hanno agito ed operato in ordine confuso contribuendo ad aumentare il caos. Da quanto riportato nella versione ancora provvisoria dell’articolo 3, i presidenti delle Regioni possono “introdurre o sospendere l’applicazione di una o più misure in relazione a specifiche situazioni di aggravamento ovvero di attenuazione del rischio sanitario” firmando ordinanze valide per sette giorni . Anche i Sindaci,hanno facoltà di introdurre o sospendere alcune misure, a certe condizioni, chiaramente sempre e soltanto in relazione all’evoluzione dell’epidemia. Il Viminale cioè il Ministero dell’ Interno nella circolare scrive: “Il provvedimento sospende tutte le attività produttive, industriali e commerciali, fatta eccezione per quelle essenziali indicate nell’allegato”. In relazione alle attività commerciali, continuano ad essere valide le previsioni recate dal D.P.C.M. 11 marzo 2020 nonché dall’ordinanza del Ministro della Salute del 20 marzo 2020. Le attività produttive sospese possono continuare a svolgersi a condizione che siano organizzate secondo modalità a distanza o lavoro agile. Le attività professionali non sono sospese ma restano ferme le raccomandazioni indicate all’art. 1, punto 7, del citato d.P.C.M. 11 marzo 2020. Per quanto riguarda l’attività delle Pubbliche Amministrazioni “è confermata la validità delle previsioni di cui all’art. 87 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, in materia di lavoro agile, che, fino alla cessazione dello stato di emergenza, rappresenta la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa“. Tra le attività produttive consentite rientrano: “ – i servizi di pubblica utilità nonché i servizi essenziali di cui alla legge 12 giugno 1990, n. 146. Resta, peraltro, confermata la sospensione dell’apertura al pubblico di musei e altri istituti e luoghi di cultura, e quella dei servizi di istruzione, ove non siano erogati a distanza o con modalità da remoto (art. 1, comma 1, lett. d); – le attività funzionali ad assicurare la continuità delle filiere nei settori di cui al cennato allegato 1, nonché dei servizi di pubblica utilità ed essenziali sopra indicati (art. 1, comma 1, lett. d); – la produzione, il trasporto, la commercializzazione e consegna di farmaci. tecnologia sanitaria e dispositivi medico-chirurgici nonché di prodotti agricoli e alimentari (art. 1, comma 1, lett. f); – ogni attività comunque funzionale a fronteggiare l’emergenza (art. 1, comma 1, lett. f). – le attività degli impianti a ciclo produttivo continuo dalla cui interruzione derivi un grave pregiudizio all’impianto stesso o un pericolo di incidenti (art. 1, comma 1, lett. g). Va, tuttavia, precisato che, in relazione alle attività di cui all’art. 1, comma 1, lett. d) del D.P.C.M. in parola, l’operatore economico è tenuto a comunicare al Prefetto della provincia ove è ubicata l’attività produttiva la continuità delle filiere delle attività di cui all’allegato 1, indicando specificamente le imprese e le amministrazioni beneficiarie dei prodotti e servizi attinenti alle attività consentite”. “Allo stesso modo, i soggetti esercenti le attività di cui all’art. 1, comma 1, lett. g), sono tenuti a comunicare preventivamente al Prefetto competente per territorio la ricorrenza delle condizioni previste dalla norma per la prosecuzione dell’attività, fermo restando che tale comunicazione non è dovuta qualora si tratti di attività finalizzata ad assicurare l’erogazione di un servizio pubblico essenziale. In entrambe le descritte ipotesi, spetta al Prefetto una valutazione in merito alla sussistenza delle condizioni attestate dagli interessati, all’esito della quale potrà disporre la sospensione dell’attività laddove non ravvisi l’effettiva ricorrenza delle condizioni medesime” conclude il documento.
FRANCESCO GRIGNETTI per lastampa.it il 27 marzo 2020. Con il decreto appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale, si passa dalla sanzione penale a quella amministrativa. Chi è sorpreso a violare le prescrizioni anti-contagio, scatta una multa che va da 400 a 3000 euro; sanzioni aumentate di un terzo se «mediante l'utilizzo di un veicolo». Ma che cosa accade per tutti quelli che sono stati denunciati finora? Dai dati ultimi del ministero dell’Interno, sono ben 115.138 i denunciati (a fronte di 2.675.113 controlli). Ebbene, anche per le vecchie denunce si passa alla sanzione amministrativa. I «furbetti» della passeggiatina dovranno pagare una multa di 200 euro, metà della sanzione minima. E’ quanto prevede l’articolo 4 del decreto. «Le disposizioni del presente articolo che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma in tali casi le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni degli articoli 101 e 102 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507». Restano in vigore, invece, le gravi sanzioni penali per chi fosse positivo al tampone e abbia violato coscientemente la quarantena. Il reato è serio: procurata epidemia colposa. Si rischia da 3 a 12 anni di carcere. E intanto si rispolvera e ammoderna anche un antico decreto del 1934, n. 1265, Testo unico delle leggi sanitarie. «Chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l'invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell'uomo». Le sanzioni qui s’inaspriscono. Si passa da una possibilità di «arresto fino a sei mesi e con l'ammenda da lire 40.000 a lire 800.000» a un «arresto da 3 mesi a 18 mesi e con l'ammenda da euro 500 ad euro 5.000». Se il fatto è commesso da persona che esercita una professione o un'arte sanitaria la pena è aumentata.
Valentina Errante per ilmessaggero.it il 27 marzo 2020. Dall’inizio dell’epidemia da Coronavirus si parla di sanzioni per chi esce di casa senza un giustificato motivo. Rispetto alle norme precedenti, con il nuovo decreto legge introdotto dal Governo ci sono parecchie novità: multe più salate e nuovi reati per gli infetti che violano la quarantena. Ma cosa cambia in concreto? Lo spiega l’avvocato Alessandro Gentiloni Silveri, penalista romano.
Avvocato, cosa cambia dal punto di vista legale?
«Il Governo, agendo su diversi aspetti, ha fatto un’opera di riorganizzazione e consolidamento di un’articolata serie di regole che erano state dettate dall’inizio dell’epidemia, e che scontavano in certi casi un’inevitabile confusione. Inoltre, il decreto-legge ha innovato la disciplina da diversi punti di vista. La novità di immediato impatto pratico per i cittadini è una nuova sanzione amministrativa, che è della stessa categoria di quelle per divieto di sosta o eccesso di velocità, per chi non rispetta le disposizioni di contenimento del virus. Prima di questo decreto-legge, il fatto costituiva invece un reato, e chi lo commetteva veniva sottoposto ad un procedimento penale e, se condannato, diveniva tecnicamente un pregiudicato. Rimangono in vigore altre sanzioni penali, comunque».
Cosa si rischia uscendo di casa?
«Il Governo ha introdotto un nuovo illecito amministrativo, punito con il pagamento di una somma da 400 a 3.000 euro, che viene incrementata di un terzo se il fatto è commesso con l’uso di un veicolo. Si devono rispettare tutte le regole introdotte dal Governo per arginare l’epidemia. Per esempio, chi lascia il proprio domicilio senza le valide giustificazioni previste dalla legge dovrà pagare la sanzione. In caso di recidiva, cioè se si viene trovati più volte a non rispettare i divieti, l’importo viene raddoppiato. Attenzione anche a chi possiede attività commerciali e imprenditoriali, perché non osservare l’obbligo di tenere chiuso può aggiungere alla multa anche la chiusura obbligata per un periodo da 5 a 30 giorni».
Cosa succede a chi aveva già subito una denuncia penale nei giorni precedenti?
«Il decreto-legge dispone che chi ha violato le misure prima della sua entrata in vigore, ed era quindi sottoposto ad un procedimento penale, risponde adesso con la semplice multa, per di più ridotta della metà. I Giudici che stanno procedendo devono trasmettere i fascicoli all’Autorità amministrativa competente. Nell’improbabile caso che qualcuno sia stato già condannato in via definitiva, la condanna viene revocata e non ne resta alcuna traccia nel casellario giudiziale».
In quali casi è consentito oggi uscire dal domicilio?
«In attesa di ulteriori modifiche che il Governo potrà adottare, continuano oggi a valere le regole che abbiamo imparato a conoscere. Si può uscire per motivi di salute. Attenzione, però, perché non tutte le esigenze mediche legittimano l’uscita da casa: gli interventi di medicina estetica o i trattamenti legati al benessere, anche se svolti da medici, sono esclusi. Anche le comprovate esigenze lavorative consentono ai cittadini di muoversi, ma vanno interpretate tenendo presenti le altre limitazioni imposte al settore produttivo. Questo significa che non potrà invocarle chi operi per un’azienda che il Governo ha chiuso. L’esigenza lavorativa deve essere oggettiva e documentabile, con l’esclusione degli adempimenti rinviabili o che si possono gestire senza allontanarsi da casa. Infine, si può lasciare il proprio domicilio in situazioni di necessità. È questo lo strumento che permette di soddisfare esigenze basilari, ma non è semplice stabilire cosa è autorizzato e cosa no. Per le nostre leggi, infatti, lo "stato di necessità" riguarda situazioni critiche, di «pericolo attuale di un danno grave alla persona». Casi che non giustificherebbero la possibilità di andare dal tabaccaio a comprare le sigarette, o di esercitare attività fisica all’aperto».
Allora perché queste attività sono ancora consentite?
«Sembra che il Governo abbia in mente “necessità” diverse, legate, nell’ipotesi più plausibile, al bisogno di soddisfare bisogni primari, riconosciuti dalla nostra Costituzione. Anche in questa prospettiva, non mancano i problemi. Per tornare al fumo di sigaretta, non se ne vede l’aggancio ad un valore fondante del nostro ordinamento, anzi è un’attività pericolosa per la salute. Ma potrebbe essere stata considerata necessaria per garantire la tranquillità pubblica, anche se legalmente si fatica a trovare una giustificazione. E’ invece vietato uscire solamente per tenere compagnia ad un anziano il quale, anche se è da solo, stia bene e sia ben organizzato. Mentre invece è consentito raggiungerlo per prestare assistenza o per esempio per portargli la spesa».
È possibile spostarsi da un Comune all’altro?
«In via generale no. Il nuovo decreto prevede la possibilità di adottare specifici provvedimenti di divieto di ingresso o di uscita da territori comunali, regionali, o l’intero Paese, con la chiusura delle frontiere. Si può andare in un altro Comune nei casi che abbiamo descritto: per acquistare generi alimentari o raggiungere un medico che si trova in un Comune vicino. Lo spostamento è autorizzato anche in caso di assoluta urgenza. Legalmente, non è molto chiaro: il termine "urgente" sembra qui piuttosto significare “ineluttabile", situazioni in cui per la persona non ci siano alternative rispetto a quella di abbandonare il Comune di domicilio. Per esempio se l'eventuale perdita del lavoro abbia comportato il venir meno anche dell’alloggio, o di alternative possibilità di sostentamento».
Cosa succede se una persona che si trova in quarantena, perché è positiva al virus, esce di casa?
«La situazione si aggraverebbe molto, perché scatterebbero sanzioni penali. Il decreto ha introdotto un nuovo reato punito con l’arresto da 3 a 18 mesi e con l’ammenda da 500 ad 5.000 euro. Il Governo aveva annunciato pene molto più aspre, da 1 a 5 anni di carcere, ma poi ha optato per questa soluzione. Dunque, il soggetto sano che viola senza motivo le regole è sottoposto ad una semplice multa, mentre i positivi obbligati ad osservare la quarantena stretta, si renderebbero responsabili di un reato. La Magistratura potrebbe usare in questi casi una procedura snella e veloce che si chiama decreto penale di condanna: la persona infetta che esce di casa potrebbe vedersi recapitare in tempi brevi una condanna penale al pagamento di una somma anche rilevante. Rimangono comunque alcune perplessità: il regime di quarantena stretta non è ben definito a livello normativo e inoltre, per regola generale, tutte le limitazioni della libertà personale dei cittadini, anche per sacrosante ragioni di salute pubblica, devono essere previste nel dettaglio dalla legge e disposte da un Giudice, anche successivamente all’ordine stesso, come avviene nella procedura dei trattamenti sanitari obbligatori».
E se il soggetto in quarantena, uscendo, infettasse altre persone?
«Il nuovo reato di “violazione della quarantena” scatta per il semplice fatto che si esce di casa, anche se l’untore non infetta nessuno. Se invece il contagio si diffonde a causa sua, scatta la punizione per altri reati, anche gravi. Si va dalle lesioni personali, dolose o colpose, fino, teoricamente, all'omicidio. I dati clinici indicano infatti che la malattia da Covid-19 può anche mettere in pericolo la vita della vittima, o durare più di quaranta giorni. Non si può purtroppo escludere neanche la morte del contagiato».
Come si potrà dimostrare che il contagio degli ulteriori infettati derivi proprio da quell’untore?
«Si tratta di una prova certamente difficile da ottenere, soprattutto in città o dove c’è un’alta densità di popolazione. Ma non si può nemmeno escludere che la dimostrazione sia possibile. Si pensi a contesti rurali molto isolati, oppure ad un’isola, dove a posteriori si dimostri che l’unico vettore di contagio può essere stato rappresentato dal nostro ipotetico untore. Si pensi, ancora, ad una famiglia che abbia rispettato con scrupolo l’obbligo di isolamento, e si veda arrivare in casa un parente infetto: le successive infezioni difficilmente potranno avere un’altra origine».
È possibile addebitare al contagiato che non rispetti le misure di contenimento anche lo sviluppo di un’epidemia?
«Il reato di epidemia è punito sia nella forma volontaria che in quella colposa. Le pene, soprattutto nel primo caso, sono estremamente aspre. I giudici, nelle poche volte in cui se ne sono occupati hanno chiarito che l’epidemia è un reato difficile da dimostrare. Per prima cosa, l’epidemia non dovrebbe essere già in corso i quei luoghi. Inoltre, l’incriminazione richiede una significativa diffusione della malattia dal punto di vista del numero di persone contagiate. L’epidemia colposa, però, non si può escludere a priori. Pensiamo ad un soggetto contagiato che, violando i divieti, si rechi in una zona delimitata, che in precedenza era immune dal virus, e trasmetta il Covid-19 a molte persone, che a loro volta lo trasmettano a terzi. In questo caso il decreto prevede la contestazione del reato di epidemia colposa».
Dichiarare il falso nel modulo di autodichiarazione è un reato?
«Sì, ma solo in certi casi, anche se l’atteggiamento dell’Autorità sarà giustamente molto rigoroso. In via generale, è punito penalmente chi dichiari o attesti falsamente «l’identità, lo stato o altre qualità personali». Quindi può scattare la sanzione penale solamente se si mente su questi argomenti. Per esempio dichiarando falsamente di svolgere una determinata attività lavorativa, come quella di medico o di magistrato, per legittimare lo spostamento da un luogo ad un altro. Oppure dichiarando, sempre falsamente, di essere affetti da patologie che richiedono frequenti controlli sanitari. Se invece la dichiarazione non veritiera non riguardi la sfera dell’identità, dello stato, né di altre qualità personali, la sanzione penale potrebbe essere dubbia. Per esempio nel caso in cui un soggetto dichiari falsamente che lo spostamento sia dettato dalla necessità di portare dei medicinali urgenti presso l’abitazione del proprio partner, mentre invece lo scopo è solamente quello di andarlo a trovare».
Rispetto ai reati di falso, l’essere o meno assoggettato a quarantena cambia qualcosa?
«Sì, perché il modulo di autocertificazione richiede di attestare anche di non essere sottoposto alla misura della quarantena. Chi esce in tale condizione, quindi, rende un’autocertificazione falsa, commettendo per questo solo motivo un reato aggiuntivo a quello di violazione della quarantena. Le due sanzioni si sommano».
Coronavirus, il procuratore Patronaggio: "Depenalizzare le sanzioni è stato un errore, ci voleva più coraggio". Il pm di Agrigento, critico con le misure adottate dal governo, apre il dibattito: occorreva prevedere l'arresto in flagranza di reato per chi mette a rischio la salute pubblica e il sequestro dei mezzi. Alessandra Ziniti su La Repubblica il 27 marzo 2020. Le sanzioni per chi viola le limitazioni agli spostamenti stabilite dal governo non sono sufficienti. Ci voleva più coraggio e consentire, come il nostro ordinamento giudiziario già prevede per reati ben meno gravi, la possibilità dell'arresto in flagranza di reato per chi viola gli obblighi della quarantena ed è dunque accusato di delitto colposo contro la salute pubblica. E' l'analisi del procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio che, da Repubblica, apre un dibattito sull'adeguatezza delle sanzioni decise nel decreto legge del 25 marzo. "A fronte del susseguirsi di decreti e circolari in tema di contenimento dell'epidemia da Covid-19, una vera e propria sovrapposizione di "grida manzoniane" - dice Patronaggio - il cittadino, ma anche l'operatore professionalmente più qualificato, si trovano sempre più spesso disorientati. "In ultimo, il DPCM del 25 marzo, che ha depenalizzato, di fatto, l'inosservanza al divieto di uscire da casa, induce grandi perplessità. Se è vero, come è vero, che in un sistema giuridico la sanzione penale è quelle più grave e maggiormente afflittiva (si pensi, senza alcuna condivisione, che in Cina i contravventori al divieto di uscire di casa venivano arrestati e deportati in luoghi lontani dai centri abitati), non si comprende come a fronte di un fenomeno così grave e diffuso, si sia scelta la strada della sanzione amministrativa, non prevedendo, fra le altre cose, il sequestro dell'automezzo del contravventore". "Il legislatore - è l'analisi del procuratore di Agrigento - avrà pensato, nella sua discrezionalità, che qui non si vuole mettere in discussione alcuna ma che non può andare esente da ragionate e misurate critiche, che la sanzione amministrativa pecuniaria di importo elevato fosse un deterrente maggiore della sanzione penale prevista dall'art. 650 c.p., o a maggior veduta, dall'art. 260 del T.U. delle Leggi Sanitarie. Invero, in tale ragionamento vi è una errore di prospettiva, non essendosi riflettuto sulla circostanza che "quello che è uscito dalla porta ritornerà dalla finestra": si pensi infatti che non solo le Prefetture, organo deputato alla inflizione della sanzione amministrativa, saranno ingolfate ma lo sarà inevitabilmente (e probabilmente inutilmente) anche il sistema giustizia perché numerosissimi saranno i ricorsi al giudice di pace avverso la sanzione amministrativa erogata". Sequestro di auto e moto e arresto in flagranza, secondo il magistrato, sarebbero stati invece opportuni. "Non avere previsto il sequestro del mezzo da affidare in custodia allo stesso contravventore - sostiene il magistrato - è stato un errore di valutazione, se solo si pensi che la violazione del sequestro amministrativo sfocerebbe inevitabilmente nel reato di cui all'art. 334 c.p. . La strada da percorrere era forse quella coraggiosa, e forse impopolare, della introduzione di una nuova fattispecie penale, punita con la pena della reclusione (si sarebbe così alzato il livello della prescrizione incombente fin dal loro nascere sui previsti reati contravvenzionali ) con la possibilità di arresto facoltativo da parte della polizia giudiziaria, da scontare agli arresti domiciliari (art. 381 c.p.p.). Le garanzie per il cittadino-indagato sarebbero state affidate alla stessa polizia giudiziaria, in prima battuta, e al P.M. in fase immediatamente successiva, che avrebbero valutato la gravità della infrazione in relazione alla pericolosità dell'indagato desunta dalla sua personalità e dalle circostanze del fatto, ordinandone l'immediata liberazione in tutti i casi di errata o infedele applicazione della norma". "Il ricorso all'arresto facoltativo in flagranza di reato, da scontare agli arresti domiciliari (del resto oggi tutti i cittadini ligi alla legge lo sono di fatto), non deve scandalizzare se solo si rifletta sul fatto che appare ben più grave mettere in pericolo la salute dei propri concittadini che rubare al supermercato, truffare qualcuno attraverso una falsa inserzione pubblicitaria o appropriarsi dei beni di un socio - osserva il procuratore di Agrigento - E' possibile che dietro le scelte del legislatore vi sia una latente sfiducia nella magistratura inquirente e una complessiva inaffidabilità del sistema repressivo penale, dove sempre più spesso le pene inflitte non vengono espiate dando luogo a quella elusione della effettività della sanzione penale di cui si è molto discusso nel corso di questa legislatura. La magistratura e la società tutta, devono prendere spunto da questa grave vicenda emergenziale per affrontare un nodo irrisolto della odierna vita politico-sociale: il sistema giustizia è in grado di affrontare gravi problemi di sicurezza nazionale? Ieri l'altro il terrorismo e la mafia, e ancora ieri la corruzione ed oggi il contenimento dell'epidemia, ovvero si deve continuare a procedere senza progettualità e senza convergenze di energie e di saperi, lasciando il contrasto a gravi fenomeni criminali a politiche talvolta incerte e contraddittorie? Arrestare l'epidemia è un obbligo che oggi non può essere eluso: ognuno con i suoi strumenti e i suoi mezzi, con estrema fermezza ma sempre nel rispetto delle garanzie e delle libertà democratiche".
Coronavirus, ecco la verità sulle multe. La "stangata" promessa dal governo ammonta a un massimo di 280 euro per chi paga la multa entro 5 giorni dalla notifica. E sparisce il penale. Federico Giuliani, Venerdì 27/03/2020 su Il Giornale. Altro che multe di migliaia di euro, i furbetti che violano le misure di contenimento attuate dal governo per limitare la diffusione di Covid-19 vanno incontro a una “stangata” massima di 280 euro. Come spiega nel dettaglio Il Corriere della Sera, il rigore annunciato dalle autorità rischia di essere un fuoco di paglia, almeno a giudicare dai fatti. Già, perché le nuove disposizioni, dal punto di vista delle sanzioni, non stravolgono proprio un bel niente. L'unica differenza rispetto al recente passato è che da ora in poi scatterà una sanzione amministrativa leggermente più alta al posto di una contravvenzione penale più bassa. Spieghiamo meglio. Fino a pochi giorni fa le 110mila persone uscite di casa senza che vi fossero validi motivi violavano la norma del decreto legge del 26 febbraio che richiamava l'articolo 650 del codice penale. In concreto, queste persone rischiavano una contravvenzione, pena fino a 3 mesi oppure un ammenda fino a 206 euro, tra l'altro estinguibile oblando la metà (quindi 103 euro).
Le nuove disposizioni. Per il futuro il governo ha annunciato una stangata. Ma è davvero così? Il testo del nuovo decreto legge n. 19 del 25 marzo non punisce più l'osservanza sul piano penale ma con una sanzione amministrativa compresa tra i 400 e i 3mila euro. Questa sanzione viene aumentata fino a un terzo se commessa con un veicolo e raddoppiata in caso di recidiva. C'è tuttavia un particolare non da poco che riguarda i soggetti che decidono di saldare la suddetta stangata entro 60 giorni dalla notifica. In tal caso, costoro pagheranno solo il minimo previsto di 400 euro, scontato di un ulteriore 30% qualora il pagamento dovesse avvenire entro 5 giorni. Calcolatrice alla mano fanno 280 euro. Appena 80 euro in più rispetto a pochi giorni fa. L'esercito dei 110mila denunciati, quindi, non rischiano più nulla sul piano penale e dovranno pagare “solo” una sanzione amministrativa dal valore di 200 euro. Se le Procure possono tirare un sospiro di sollievo, le Prefetture si mettono le mani dei capelli, pronte come sono a essere travolte da una marea di denunce per irrogare la sanzione. E non è finita qui, perché le persone potrebbero anche contestare il tutto tentando un ricorso. La sanzione amministrativa dei 280 euro (se pagata entro 5 giorni) vale anche per chi, tornato dall'estero o avendo avuto contatti con casi certi di malattia, viola la quarantena volontaria. I positivi al virus che violano il divieto di allontanarsi da casa devono fare i conti con l'arresto da 3 a 18 mesi, con ammenda da 500 a 5mila euro. L'ultimo caso riguarda il caso di un positivo che, violando la quarantena, contagi una o più persone: qui scatta il reato di epidemia colposa e, quindi, una reclusione compresa tra 1 e 5 anni.
Coronavirus, le sanzioni non bastano: la nostra vita vale solo 4mila euro? Giuseppe Gaetano il 25/03/2020 su Notizie.it. Con l'ultimo decreto il Governo ha di fatto depenalizzato chi viola le restrizione necessarie per combattere il Coronavirus, mantenendo soltanto la sanzione amministrativa. Non c’è più la denuncia penale per chi esce di casa senza motivo. Con il quinto decreto varato da Conte in meno di due mesi la sanzione per chi viola le restrizioni al movimento imposte dal Coronavirus diventa solo amministrativa. Sebbene innalzata da 206 euro a una cifra variabile tra 500 e 3mila euro, aumentabile fino a un terzo se si è colti in flagrante a bordo di un veicolo (che non verrà sequestrato). Dunque, massimo 4mila euro: questo è il prezzo per violare norme di emergenza sanitaria ormai internazionali. Tanto costa e vale il rispetto di disposizioni che possono fare la differenza tra la vita e la morte di una popolazione e di un territorio. A qualcuno sembra un inasprimento, perché la cifra può fare in effetti la differenza nel budget di molte famiglie, ma la versione precedente prevedeva, in linea teorica, anche l’arresto fino a tre mesi. E contemplava anche l’ipotesi, ancor più grave, di violazione dell’articolo 452: delitti colposi contro la salute pubblica, che estendeva l’arresto fino a tre anni se si andava in giro con i sintomi del Covid. Converrete che rispetto a una “nota” sulla fedina penale (anche se oggi ha conseguenze pratiche solo nei concorsi pubblici), una multa equivalente a un’infrazione stradale è una sanzione qualitativamente e concettualmente molto differente: non si commette più un “reato”, ma un banale illecito conciliabile con un bonifico. E’ vero che la nuova versione minaccia pure da 1 a 5 anni di carcere, ma solo chi è in quarantena obbligatoria perché ha fatto un tampone Asl che certifichi con scientifica evidenza la positività al Coronavirus. E per essergli stato fatto un tampone – secondo quanto attualmente prevede lo pseudo protocollo del ministero della Salute – deve avere tosse, affanno, febbre alta, dolori articolari. Deve essere insomma più di là che di qua: condizioni-limite in cui anche chi vorrebbe non ce la farebbe fisicamente a mettere il naso fuori dalla porta. Non è difficile, dunque, capire come si è arrivati a questa svalutazione di un comportamento sostanzialmente criminale. Dall’11 al 23 marzo le forze dell’ordine hanno fermato – a caselli, stazioni, aeroporti e fermate dei mezzi pubblici – quasi 2 milioni e mezzo di persone: un dispendio incredibile di risorse di polizia, carabinieri ed esercito che potrebbe esser d’aiuto altrimenti nei luoghi del contagio. Oltre 100mila i denunciati in neanche due settimane, di cui si è riuscito a verificare nell’immediato le false dichiarazioni, e lasciati comunque a piede libero. Quale giudice li manderebbe in galera in questo momento, magari senza tampone, nelle carceri iperaffollate e ribollenti di rabbia? Era letteralmente impossibile perseguire una massa di potenziali indagati che, nonostante i divieti, cresce alla media di 10mila al giorno. Troppi. Di quanti, del restante 95% dei controllati, si sarebbe poi effettivamente verificato che non l’avesse fatta franca al posto di blocco? Una mole di lavoro mai vista tutta insieme per procure e tribunali di tutta Italia che – già oberati da un arretrato cronico (la riforma al vaglio del governo prima dell’epidemia riguardava proprio i tempi della prescrizione) – sono chiusi dal 7 marzo e non riapriranno prima del 31 maggio. Una valanga di pratiche e procedimenti giudiziari inimmaginabile da smaltire, una volta tornati alla “normalità”. Come accertare, del resto, che l’asintomatico fermato mesi prima fosse un portatore sano o avesse il virus in incubazione? Il premier si è di nuovo scontrato con l’impraticabilità di fatto delle sue disposizioni: a spingerlo a rivedere ancora il “Decretone” è stata la medesima consapevolezza del colabrodo rappresentato dalla nostra giustizia che ha spinto tanta gente a uscire, incurante degli appelli lanciati perfino da molti VIPO, da Piero Angelo a Piero Pelù. Cittadini che hanno contravvenuto alle regole che gli altri stanno osservando a costo di enormi sacrifici, economici e psicologici, personali e dei propri cari, prolungando con la loro scellerata condotta l’agonia a casa del resto della comunità. Chi giocava a calcetto nell’anconetano, chi organizzava un festino nel salernitano, chi partecipava a un torneo di scopone al bar nel bolognese, chi a una battuta di pesca nel torinese. Alcuni sono stranieri, che non hanno percepito la pericolosità dell’epidemia per la scarsa conoscenza della lingua italiana o perché provenienti da prove più estreme, come bombe e torture. Altri sono senza fissa dimora, che ancora passano le giornate nelle strade desolate delle periferie, per la difficoltà di trovargli un ricovero sicuro. Molti altri ancora sono italiani, giovani e anziani, non necessariamente residenti in aree di degrado ed emarginazione del nostro paese o con scarso accesso ai mezzi di informazione, ma semplicemente egoisti e insensibili al quotidiano bollettino di guerra della Protezione civile, alla sorte propria e altrui, che vanno in giro facendosi scudo con le sfuggenti nozioni di “situazione di necessità” e di “beni essenziali”. Possibile che d’ora in poi se la riescano a cavare così a buon mercato? Lo Stato ha valutato che in questo momento i soldi siano un deterrente maggiore per gli italiani, considerando che la stragrande maggioranza di loro è già ai “domiciliari”, e ha scelto quindi di passare all’incasso.
IL NUOVO MODULO DI AUTOCERTIFICAZIONE. Il ministero dell’Interno ha predisposto un modulo che occorre per giustificare il movimento fuori dalla propria abitazione. Vale per tutto il territorio nazionale: se non lo si può scaricare occorre copiare il testo su un foglietto o , se lo si dimentica e si viene fermati dalle forze dell’ordine, si può fare una dichiarazione verbale, che sarà poi verificata. La decisione di adottare un nuovo modulo di autocertificazione è stata adottata per evitare che le persone fermate possano dire di non essere informate dei divieti, come invece molti cittadini controllati in questi giorni hanno tentato di fare. Per questo al primo punto del nuovo modulo la persona deve autocertificare “di essere a conoscenza delle misure di contenimento del contagio”. Ma soprattutto, dopo il decreto che vieta gli spostamenti se non sono “per comprovate esigenze lavorative, assoluta urgenza e situazioni di necessità” si deve inserire anche l’indirizzo di partenza e quello di destinazione. Il Viminale ha precisato anche che: “Rientra negli spostamenti per comprovate esigenze lavorative il tragitto anche pendolare effettuato dal lavoratore dal proprio luogo di residenza, dimora e abitazione al luogo di lavoro. Rientrano nelle esigenze di assoluta urgenza i casi in cui l’interessato si rechi presso aeroporto, porti e stazioni per trasferire i propri congiunti alla propria abitazione“.
· Autodichiarazione: La lotta burocratica al coronavirus.
Lo Stato non ha fiducia nei suoi cittadini. Gli impone l’autocertificazione burocratica per farli assumere le responsabilità penali in caso di falsità, quando basterebbe, secondo buon senso, che il cittadino dichiarasse la causa della sua mobilità oralmente al controllo. Si punisca l’assembramento se questo è il principio delle limitazioni.
Salvini: "Eliminare autocertificazione, basta burocrazia". Sul tema dell’autocertificazione, il leader della Lega Matteo Salvini ha elogiato i governatori Zaia e Fedriga che hanno dato "respiro ai loro cittadini". Gabriele Laganà, Venerdì 01/05/2020 su Il Giornale. Dal 4 maggio ci sarà un piccolo passo in avanti sulla strada, ancora molto lunga, di un ritorno alla normale quotidianità interrotta bruscamente dall’emergenza coronavirus a fine febbraio. Anche se molti non notano la differenza, visto che le limitazioni saranno ancora tante, sta per prendere avvio la "fase 2". Eppure, anche dalla prossima settimana, i cittadini che vorranno spostarsi dovranno essere muniti di autocertificazione. Una imposizione che non piace a Matteo Salvini. "Ci sono imprese alla fame e questi partoriscono il sesto modulo per l'autocertificazione. In 50 giorni sono stati ritirati 11 milioni di autocertificazioni. Abbiamo disboscato l'Amazzonia, basta con la burocrazia", ha dichiarato ieri il leader della Lega in una diretta con Reteveneta diffusa anche su Facebook. "Hanno fatto bene Zaia e Fedriga, con buon senso, a dare respiro ai loro cittadini", ha aggiunto Salvini. Come si sa, tra l’altro, il modello dell’autocertificazione, per un motivo o per un altro, è cambiato diverse volte nel corso degli ultimi due mesi. E questo ha provocato disorientamento tra i cittadini. Così come una certa confusione è stata determinata dai vari Dpcm e dalle ordinanze regionali emesse. La contrarietà a nuove autocertificazioni per uscire da casa anche nella "fase 2" Salvini lo ha ribadito anche nel corso di una intervista rilasciata sempre ieri a Telelombardia. Il leader della Lega ha promesso che il partito da lui guidato chiederà al governo l'eliminazione di questo documento. "Gli italiani in questi 50 giorni – ha spiegato l’ex ministro - hanno dimostrato di meritare fiducia. Solo il 3% delle persone fermate ai controlli è stata sanzionata”. Per Salvini, infatti, è giunta l’ora di "eliminare la burocrazia e liberare le forze dell'ordine da questo impegno perché possano tornare al loro lavoro ordinario". Forse un qualcosa su questo tema si sta muovendo. Sull’autocertificazione, il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri, in un'intervista al Corriere della Sera. Ha sostenuto di non sapere se sia stato un errore l’introduzione di questo documento. "Io forse non l'avrei messa, ma capisco la logica. C'è sempre qualche furbo. Ma se guardiamo questi due mesi, il 95% degli italiani ha rispettato le regole. Non serve mettere un cartello sui ponti del Tevere: non buttatevi di sotto altrimenti morite. Lo sappiamo. Almeno dal 18 maggio io abolirei l'autocertificazione".
Coronavirus, viceministro alla Sanità: "Abolire autocertificazione". Sileri ha specificato che in Italia il 95% della popolazione ha rispettato le regole e che dal 18 di maggio ritiene opportuno abolire l'autocertificazione. Nicola De Angelis, Venerdì 01/05/2020 su Il Giornale. È il viceministro Pierpaolo Sileri a parlare in merito all'autocertificazione utilizzata in Italia da quando sono state adottate dal governo le misure per il contenimento del coronavirus. Medico, reduce dalla malattia e guarito ritiene necessario abolire l'autocertificazione "Almeno dal prossimo 18 di maggio". Lo ha detto durante un'intervista al Corriere della Sera in cui ha espressamente ribadito il concetto secondo cui: "Il 95% degli italiani ha rispettato le regole. Non dobbiamo mettere un cartello sui ponti di Roma per far capire alle persone che se ci si buttano muoiono". Il viceministro chiede dunque al governo di riporre maggiore fiducia negli italiani: "Poco fa, votando al Senato la seduta si è tenuta con alcuni laptop legati ad una corda. Questo perché forse qualcuno ha pensato che qualche laptop potesse sparire. Io ho questo difetto, mi fido troppo degli italiani". L'autocertificazione, secondo Sileri, è stata una misura che molto probabilmente lui non avrebbe mai adottato ribadendo il concetto che la gente non tende a suicidarsi generalmente: "Negli ultimi due mesi, se si analizzano i dati, il 95% degli italiani ha rispettato le regole". Successivamente ha spiegato cosa si intenda per "Amico vero", spiegando che molto spesso si tende a giocare con queste parole: "C'è chi è vedovo, oppure è comunque da solo e non può affidare i propri bambini alle cure dei nonni o di qualche parente. Ecco, in momenti come questi c'è bisogno di un amico". L'intervista del Corriere si è successivamente spostata sull'efficacia comunicativa di Conte in questi momenti difficili: "Conte non ha sbagliato. Molto spesso l'informazione arrivava confusa dagli stessi scienziati. Ciò è normale, addirittura le linee guida dell'Oms sono state errate inizialmente. Era un virus di cui si conosceva davvero poco. Io avrei fatto parlare direttamente l'Istituto Superiore della Sanità". Sileri ha inoltre speso una parola, citando Berlusconi e criticando l'operato della Lega: "Berlusconi ha detto una cosa giusta. In un periodo di crisi come questa ci si deve stringere intorno al premier. Non capisco la Lega che fà occupazione". "Sicuramente", continua Sileri, "Il nostro sistema sanitario aveva carenze anche prima del coronavirus. Io avrei criticato la nostra organizzazione sanitaria già da prima. Infatti, è troppo ospedale-centrica. Carenza di medici e infermieri, liste d'attesa lunghissime". Le critiche arrivate dall'estero, dice Sileri, non devono essere prese troppo seriamente. Tutti hanno sbagliato nella gestione del virus: "Ma sono sempre abituati a criticarci". L'estate il viceministro Sileri, paziente malato di coronavirus e successivamente guarito, se la immagina in campagna: "Per poter proteggere la mia famiglia". Ribadisce, nonostante sia guarito e di aver sviluppato gli anticorpi, di non sentirsi assolutamente immune.
Autocertificazione Coronavirus, come faccio a portarla con me se non ho una stampante a casa? Pubblicato lunedì, 16 marzo 2020 su Corriere.it da Michela Rovelli. La norma introdotta dal governo la sera di lunedì 9 marzo impone a tutti gli italiani di evitare qualsiasi spostamento. Tutto il Paese è diventato “zona rossa”, tutti devono limitare le uscite: una mossa, la più estrema finora, per cercare di arginare l’epidemia di coronavius che finora ha contagiato oltre 24mila persone (dati aggiornati alle 18.00 del 15 marzo). Restare in casa, dunque, a meno che non ci siano improrogabili esigenze lavorative o gravi esigenze familiari o sanitarie. È possibile uscire anche per altre ragioni, come la necessità di andare a fare la spesa o in farmacia (qui la guida per sapere cosa si può fare e cosa no). Da martedì 10 marzo è necessario avere con sé un modulo, un’autocertificazione, che testimoni il motivo per cui non ci troviamo nella nostra abitazione. O bisogna fare una dichiarazione verbale nel momento in cui ci fermano. Bisogna scaricare il Pdf dal sito del Viminale (o potete trovarlo anche qui), compilarlo e poi portare con sé - per ogni spostamento, lo ripetiamo, anche quelli a piedi - la pagina numero 3. Da esibire in caso di controllo. Chi viola i divieti può avere pesanti conseguenze: si rischia un’ammenda fino a 206 euro e l’arresto fino a tre mesi e una denuncia per reati dolori contro la salute pubblica. Le domande, ad alcuni, sono sorte spontanee. E se non si ha una stampante a casa? Se ci si dimentica il modulo? Qui trovate le risposte. Se non vi è possibile scaricare e stampare il modulo dell’autocertificazione, potete in alternativa copiare a mano il testo, compilarlo e firmarlo. La dichiarazione sarà comunque valida. Da ricordare che l’autocertificazione prevede la segnalazione di impegni a cadenza fissa: ogni giorno si dovrà dunque avere con sé un documento nuovo e aggiornato. Se ci si è dimenticati di portare l’autocertificazione con sé, è possibile - in caso di controlli - fare una dichiarazione verbale alle forze dell’ordine. Queste trascriveranno ciò che abbiamo detto e potranno fare verifiche sulla veridicità della nostra dichiarazione. Si, è possibile mostrare l’autocertificazione anche sullo schermo dei propri dispositivi mobili. Ma essendo un Pdf da compilare, è comunque necessario stamparlo e poi ricaricarlo sul proprio telefono. A meno che non si abbia sul proprio computer un programma specifico che permette di firmare i documenti in Pdf, come Adobe Acrobat Pro DC. Per compilarlo invece è sufficiente la Suite di Microsoft Office, che permette di trasferire il Pdf in formato Word. Ma sono disponibili anche molti strumenti online. Un programmatore trentenne di Cagliari, Cristian Pibia, ha creato una web app gratuita con cui è possibile mostrare l’autocertificazione alle forze dell’ordine in caso di fermo in modo semplice ed ecologico, visto che elimina la necessità di stampare il Pdf. «È tutto gratis, bastano davvero pochi clic. Ho realizzato il servizio in poche ore, pensando ai tanti che non hanno un computer o una stampante a casa», ha raccontato qui al Corriere. All’interno c’è anche una sezione dedicata alle forze dell’ordine perché possano essere agevolati nella registrazione delle motivazioni per cui i cittadini sono in movimento. Grazie a un codice a barre, potranno acquisire sui loro dispositivi l’autocertificazione.
Autocertificazione, il nuovo modulo del ministero dell’Interno. Pubblicato martedì, 17 marzo 2020 su Corriere.it da Fiorenza Sarzanini. Il Viminale detta una nuova direttiva per gli spostamenti per evitare che anche le persone in quarantena escano, così come è accaduto in questi giorni nonostante i divieti. E dunque cambia anche il modulo dell’autocertificazione (lo si può scaricare qui, è gratis e fuori dal paywall). Contiene «una nuova voce con la quale l’interessato deve autodichiarare di non trovarsi nelle condizioni previste dall’art. 1, comma 1, lett oc) del D.P.C.M. 8 marzo 2020 che - come è noto - reca un divieto assoluto di mobilità dalla propria abitazione o dimora per i soggetti sottoposti alla misura della quarantena ovvero risultati positivi al virus “COVID-19”». Secondo la disposizione del ministro Luciana Lamorgese «Il nuovo modello prevede anche che l’operatore di polizia controfirmi l’autodichiarazione, attestando che essa viene resa in sua presenza e previa identificazione del dichiarante. In tal modo il cittadino viene esonerato dall’onere di allegare all’autodichiarazione una fotocopia del proprio documento di identità».
Coronavirus, Viminale: Nuova autocertificazione, voce che esclude positivi. (LaPresse il 17 marzo 2020) - E' online il nuovo modello da utilizzare per le autodichiarazioni che contiene una nuova voce con la quale l'interessato deve autodichiarare di non trovarsi nelle condizioni previste dall'art. 1, comma 1, lett oc) del D.P.C.M. 8 marzo 2020 che - come è noto - reca un divieto assoluto di mobilità dalla propria abitazione o dimora per i soggetti sottoposti alla misura della quarantena ovvero risultati positivi al virus "COVID-19". Lo rende noto il Viminale. Il nuovo modello prevede anche che l'operatore di polizia controfirmi l'autodichiarazione, attestando che essa viene resa in sua presenza e previa identificazione del dichiarante. In tal modo il cittadino viene esonerato dall'onere di allegare all'autodichiarazione una fotocopia del proprio documento di identità.
Coronavirus, cambia ancora il modulo per l’autodichiarazione. Redazione de Il Riformista il 24 Marzo 2020. Cambia ancora il modulo per le autocertificazioni, necessario per gli spostamenti urgenti. Il documento è stato rivisto in modo restrittivo in virtù delle nuove misure del governo Conte sugli spostamenti fuori dalla proprio abitazione e verso altri comuni. Nel post della Polizia di Stato viene spiegato che “ci si può quindi muovere soltanto per i seguenti motivi: comprovate esigenze lavorative, esigenze di assoluta urgenza e motivi di salute”. Il nuovo decreto del presidente del Consiglio, dunque, “abolisce la previsione, contenuta, nell’art. 1, comma 1, lett. a) del Dpcm 8 marzo 2020, che assicurava il rientro tout court nel luogo di domicilio, abitazione o residenza. Tale rientro è consentito solo nel caso in cui lo spostamento all’esterno è connesso ai motivi sopra elencati. Ad esempio, rientra negli spostamenti per comprovate esigenze lavorative, il tragitto (anche pendolare) effettuato dal lavoratore dal proprio luogo di residenza, dimora e abitazione al luogo di lavoro. Rientrano nelle esigenze di assoluta urgenza, anche i casi in cui l’interessato si rechi presso grandi infrastrutture del sistema dei trasporti (aeroporti, porti e stazione ferroviari) per trasferire propri congiunti alla propria abitazione”.
Alessandra Ziniti per “la Repubblica” il 27 marzo 2020.
Perché è stato nuovamente cambiato il modulo? L'ultimo decreto legge sulle misure anticontagio entrato in vigore il 25 marzo ha apportato diversi correttivi a cominciare dalle sanzioni previste per chi viola le disposizioni. E il modulo di autocertificazione che cittadini e forze dell' ordine preposte ai controlli devono firmare deve tenerne conto. Adesso si chiede al cittadino di dichiarare di essere a conoscenza delle nuove sanzioni previste che sono amministrative e non penali, come era in precedenza.
Cosa succede a chi è stato denunciato prima del 25 marzo? Le sanzioni penali che erano previste verranno commutate in sanzioni amministrative, multe da 400 a 3000 euro che verranno affidate alle prefetture. Nessuno può essere punito per un fatto che non è più previsto dalla legge come reato e, visto che il nuovo decreto ha valore retroattivo, molti procuratori hanno deciso di archiviare tutte le denunce per la violazione del divieto di spostamento precedentemente arrivate e trasmettere poi gli atti alla prefettura per l' emissione della multa. Dunque chi è stato denunciato tra l' 11 e il 25 marzo non sarà più soggetto a procedimento penale ma si vedrà arrivare una multa più onerosa (da 400 a 3.000 euro) rispetto ai 206 euro previsti dall' articolo 650 del codice penale.
Cosa cambia invece per chi ha violato la quarantena? Nulla, anche il nuovo decreto prevede la sanzione penale per chi ha violato la quarantena obbligatoria e dunque continuerà il procedimento penale che prevede la condanna da uno a cinque anni di carcere per delitto colposo contro la salute pubblica.
Chi è sottoposto a quarantena deve scriverlo nel modulo? Sì, è il primo punto della nuova certificazione. Il cittadino che si sposta deve certificare di non essere sottoposto a quarantena o di non essere risultato positivo al Covid-19 nel caso gli sia stato effettuato un tampone, casi per i quali c' è l' obbligo assoluto di non uscire da casa, a meno che lo spostamento sia autorizzato dall' autorità sanitaria.
I cittadini devono anche dichiarare dove stanno andando? Sì, adesso si deve precisare l' indirizzo da cui è iniziato lo spostamento e la destinazione oltre naturalmente alla motivazione che lo giustifica.
È richiesta anche la conoscenza di eventuali ordinanze locali? Sì, questa è una delle novità dell' autocertificazione. Chi si muove da una regione a un' altra deve dichiarare di essere a conoscenza di eventuali ulteriori limitazioni alla circolazione disposte dai rispettivi governatori e che lo spostamento rientra in uno dei casi consentiti, indicando nel dettaglio quale. Ad esempio, se ci si muove in direzione di una regione che ha chiuso il suo territorio a chiunque tranne che a chi entra per motivi di lavoro o di urgenza o di necessità bisogna dichiarare di rientrare in questa casistica.
Quali sono da ritenersi situazioni di urgenza? L' autocertificazione distingue tra motivi di assoluta urgenza a cui si può fare ricorso per trasferimenti da dove ci si trova a un Comune diverso (vietati fino al 3 aprile) alle situazioni di necessità che giustificano invece gli spostamenti all' interno dello stesso Comune, quelli quotidiani, come portare fuori il cane, o quelli di breve distanza come la spesa.
Esiste un' interpretazione certa delle situazioni di necessità? Proprio a causa delle diverse valutazioni fatte al momento dei controlli dalle forze dell' ordine, nel nuovo modulo di autocertificazione sono state previste alcune fattispecie per le quali lo spostamento è considerato di necessità in modo da non lasciare spazio a interpretazioni diverse.
È previsto che un genitore separato vada dai figli? Sì, chi deve spostarsi per questa ragione può farlo e deve indicare nel modulo "obblighi di affidamento di minori".
È previsto anche il rientro dall' estero? Assolutamente sì, qualsiasi italiano che si trovi fuori dal Paese ha diritto a rientrare nella sua città, dovunque si trovi. Deve specificarlo nel modulo.
Anche l' assistenza ad un' altra persona è una necessità? Sì, è prevista e va dichiarata l' assistenza ad un disabile o ad un congiunto o ad altra persona che ha bisogno di aiuto.
Si può uscire da casa per andare a denunciare un reato? Sempre. Proprio a fronte dell' ipotesi che molte vittime di violenza o di altri reati non li denuncino, l' autocertificazione precisa che spostarsi da casa per questo motivo è da ritenersi una situazione di necessità.
Coronavirus, arriva l’autocertificazione digitale: merito di un 30enne di Cagliari. Cristina Migliaccio per tpi.it il 17 marzo 2020. Il Governo ha stabilito che, per ogni spostamento dalla propria abitazione, il cittadino dovrà essere munito di autocertificazione. In tanti, però, hanno espresso la difficoltà di poter stampare il documento da compilare e portare con sé. Così, per far fronte alla necessità ai tempi del Coronavirus, un giovane programmatore sardo, di Cagliari, ha deciso di realizzare una semplice app per compilare il modulo e portarlo con sé sullo smartphone. Cristian Pibia è il giovane 30enne che ha realizzato quest’app, scaricata già da 15mila persone in un solo giorno. Uscire di casa ai tempi del Coronavirus è permesso soltanto con l’apposita autocertificazione, ma in tanti non dispongono di una stampante in casa, quindi come ovviare al problema? Scaricando l’app inventata da Cristian Pibia, programmatore di un call center di Cagliari: quest’app permette di compilare il modulo poi da scaricare in versione PDF sul proprio smartphone. “È tutto gratis, bastano davvero pochi clic. Ho realizzato il servizio in poche ore, pensando ai tanti che non hanno un computer o una stampante a casa”, ha spiegato Pibia a Il Corriere. “L’ho creata in meno di 10 ore di lavoro, dopo che ho visto le difficoltà dei cittadini a compilare e stamparsi i moduli. La web app nasce dall’idea di dare a tutti la possibilità con facilità e gratuitamente di creare i moduli per gli spostamenti dovuti al Covid-19”.
Coronavirus, l’autocertificazione digitale e la modalità riservata alle forze dell’ordine. L’ideatore dell’app garantisce che i dati saranno protetti dalla legge sulla privacy e non saranno dunque divulgati. Ma basterà quest’app alle forze dell’ordine? Pare proprio di sì. Cristian Pibia ha poi aggiornato l’app, inserendo una modalità riservata proprio alle forze dell’ordine, affinché possano acquisire e registrare con più facilità le autocertificazioni di chi è in movimento. “In ogni certificato che il cittadino produrrà tramite la app sarà presente in basso a destra un “bar code” che servirà alle forze dell’ordine per controllare, acquisire e validare il certificato stesso. Quando il pubblico ufficiale entrerà nella app tramite il suo smartphone troverà un pulsantino in cui potrà indicare nome e cognome, corpo di appartenenza (vigili, polizia, carabinieri, Forestale, Gdf, etc) e città in cui è operativo”. Qui trovate il link ufficiale dove scaricare l’app per l’autocertificazione digitale.
Naturalmente quando la tecnologia più avanzata è al servizio del cittadino, i servitori dello Stato non sono aggiornati e per gli effetti non accettano la dichiarazione in app.
Dagospia il 19 marzo 2020. ERA TROPPO BELLO PER ESSERE VERO! LA POLIZIA PRECISA: L’AUTOCERTIFICAZIONE PER MUOVERSI DEVE ESSERE CARTACEA. QUINDI LA WEB-APP INVENTATA DAL 30ENNE DI CAGLIARI NON SERVE A NIENTE, PERCHÉ NON È RICONOSCIUTA – E CHI NON PUÒ STAMPARLA? PUÒ TRASCRIVERLA A MANO (SIC!) OPPURE SPERARE CHE GLI AGENTI ABBIANO UNA COPIA.
autocertificazione per spostamenti in casi necessità deve essere cartacea. Applicazioni smartphone NON la sostituiscono. Poliziapostale: ricorrere a servizi online non ufficiali mette a rischio i propri dati sensibili. Coronavirus: disposizioni per autocertificazione cartacea. Risposta alla notizia riportata da alcuni organi di informazione in merito alle applicazioni per smartphone che sostituirebbero la autocertificazione cartacea per coloro che escono da casa. autodichiarazione per muoversi in casi necessità deve essere cartacea. Il modulo deve essere firmato da cittadino e operatore. Gli agenti hanno a disposizione copie per chi non può stamparlo. Oppure scaricalo al link.
Coronavirus, forse queste autodichiarazioni si potevano gestire meglio. Andrea Lisi, Esperto in diritto dell'informatica, Anorc Professioni su startmag.it. Se da un lato lo stato di allerta nazionale stimola il ricorso a strumenti digitali di lavoro e intrattenimento, tramite la (ri)scoperta di smart working, e-learning, streaming, shopping online (…), dall’altro manca la prontezza di gestire l’emergenza con un reale cambiamento attraverso soluzioni poco burocratiche e magari totalmente digitali. Mi riferisco alle autodichiarazioni cartacee da scaricare dal sito del Ministero dell’interno per poter giustificare un proprio spostamento da casa. Ma andiamo con ordine. Perché è importante parlarne. L’Italia è zona rossa. Lo “stare a casa” è imperativo per contrastare l’avanzata del Covid-19. Tuttavia, per quelle poche persone che avessero necessità, il Ministero dell’Interno ha appunto reso disponibile un modulo di autodichiarazione, documento necessario per spostarsi anche all’interno del comune di residenza. Nel documento occorre “dichiarare” (non comprovare, attenzione!) la motivazione dello spostamento. Quindi si dovrebbe: scaricare il documento, compilarlo e firmarlo, esibirlo in caso di richiesta e attendere l’eventuale controfirma dall’operatore di polizia, al momento del controllo. In caso di mancata autodichiarazione o di motivazione insufficiente scatterebbe la denuncia per il reato previsto dall’art. 650 c.p. che prevede l’arresto fino a tre mesi. Almeno così sembrerebbe da una lettura veloce della questione.
Il “contagio” burocratico… L’autodichiarazione è stata introdotta dal Dpr 445/2000, originariamente pensata proprio per eliminare la (troppa) carta “certificata”, ma ecco che oggi arriva il governo che in una situazione di emergenza ci costringe a stampare moduli e riempirci le tasche di carta pronta all’uso. Da giurista direi che questo modus operandi è una follia. Tutto si è ulteriormente distorto a causa sia di articoli frettolosi di organi di stampa che spiegano che occorre obbligatoriamente stampare il modulo e portarlo con sé e sia dei vari post sui social. Abbiamo in realtà burocraticamente confuso le “autocertificazioni” con le dichiarazioni rese avanti a una Forza di polizia di controllo, che andrebbero semplicemente verbalizzate a loro cura, considerate le funzioni di pubblico ufficiale. In breve: l’atto di autodichiarazione (o meglio dichiarazione sostitutiva) nella sua redazione e sottoscrizione è un “atto personale” della cui rispondenza a vero si fa carico il dichiarante, sul quale ricade ogni responsabilità civile e penale. Coronavirus: ci si potrà spostare dalle zone arancioni per rischio contagio da coronavirus solo per motivi di lavoro, salute e per far ritorno al proprio domicilio. Serve un’autocertificazione. Fatti e dibattito. Divieto di entrata ed uscita dalle zone arancioni, ma non assoluto. È concesso spostarsi per lavoro o per motivi di comprovata necessità. E per farlo basterà firmare un’autodichiarazione, come spiega una direttiva emessa dal Ministero dell’Interno guidato da Luciana Lamorgese. Modalità antiquate?, si chiedono alcuni esperti sui social. Tutti i dettagli.
I MOTIVI PER CUI E’ CONCESSO SPOSTARSI. “Evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo (ndr, Regione Lombardia e altre 14 province: Modena, Parma, Piacenza, Reggio dell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia) nonchè all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute. È consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza”, spiega il decreto 8 marzo sulle misure contro il Coronavirus. Non potranno spostarsi per alcuna ragione, invece, le persone in isolamento oppure risultate positive al Coronavirus.
LA DIRETTIVA DEL MINISTERO DEGLI INTERNI. A spiegazione del decreto per le misure di contenimento del Coronavirus, domenica sera, la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha emesso una direttiva per gli spostamenti delle “persone fisiche” delle zone isolate.
AUTOCERTIFICAZIONE. Gli spostamenti delle persone dovranno essere giustificati “mediante autodichiarazione, che potrà essere resa anche seduta stante attraverso la compilazione di moduli forniti dalle forze di polizia”, si legge nella direttiva.
I MODELLI. Dopo la pubblicazione della direttiva, sono circolati in rete i primi modelli di autocertificazione. La regione Veneto, per esempio, ne ha pubblicato un modulo in cui si giustifica lo spostamento per le esigenze lavorative (PDF) e uno per motivi di salute (PDF).
IL DIBATTITO SUI SOCIAL. Modalità, quella dei moduli da compilare, sembrata un po’ antiquata ad esperti e professori.
“Geniale, e tipico italiano. Freneranno gli spostamenti usando la potentissima arma della burocrazia: potrai salire sul treno senza problemi. Basterà compilare un modulo, perdendo un paio di minuti. Per salire in 200, qualche ora di attesa e di ritardo. Meglio dell’esercito”, ha scritto Marco Cantamessa, professore del Politecnico di Torino.
Storia di un’autocertificazione per contenere l’avanzata dell’epidemia. Alfonso Celotto, Professore ordinario di diritto costituzionale nella Facoltà di Giurisprudenza nell’Università degli studi Roma Tre, 26 Febbraio 2020 su La Stampa. Stamattina volevo entrare, anzi accedere, a un ufficio pubblico del centro di Roma. Oltre al passi, al tornello, al controllo con il metaldetector, al modulo sulla gestione dei dati personali, mi è stato fatta compilare una ulteriore autocertificazione. Ho dichiarato, sotto la mia responsabilità, cito a memoria:
di non aver soggiornato in Cina negli ultimi 20 giorni
di non essere stato in comuni italiani “attenzionati” (attenzionare è uno di quei vocaboli sublimi che solo il burocratese sa usare )
di non aver avuto contatti con persone provenienti dalla Cina o da zone infette, che avessero sintomi come tosse e/o febbre
di non avere il dubbio di avere una temperatura corporea attuale superiore a 37 gradi Celsius.
Ovviamente alla mia minima rimostranza sul fatto che non conoscessi la mia attuale temperatura in gradi Celsius, ma forse solo in gradi Fahrenheit, l’inflessibile addetto alla vigilanza mi ha gelato: «Se non firma non entra, dottò». Così ho firmato. Ponendo in essere una misura burocratica di contenimento del virus. Perché la burocrazia combatte i virus con i moduli e le autocertificazioni. Come sappiamo, alla burocrazia non importa che io abbia vaccinato i miei figli. Basta che io compili la autocertificazione di averlo fatto, in quanto esercente la patria potestà. E di esempi se ne potrebbero fare tanti. Campiamoci. Il mio ente pubblico di stamattina ha pienamente ragione a farmi compilare un modulo contro il coronavirus. Del resto, con tutto l’allarmismo che c’è in giro, con tutte le circolari, direttive e istruzioni, il mio Ente che può fare? Essendo uno di quei tanti enti che produce solo carte e moduli, non ha certo le competenze e i mezzi per controllare dal punto di vista sanitario tutti quelli che entrano. E quindi si limita a togliersi le responsabilità, facendole assumere a me stesso che firmo. Questo è uno dei grandi problemi della nostra burocrazia. Aver perso di vista l’obiettivo del servizio ai cittadini e limitarsi troppo spesso alle soluzione formali, cioè a “tenere le carte” a posto. Come accade per i pensionati all’estero che per ricevere il loro assegno mensile debbono trasmettere al competente ufficio adeguata certificazione di esistenza in vita. Forse ci ammaleremo tutti di un virus cattivo, cattivo come quello di Stephen King ne L’ombra dello scorpione, ma almeno ci ammaleremo con le carte apposto. Firmate, protocollate e debitamente archiviate. Come il mio modulo di stamattina.
Da corriere.it il 28 Aprile 2020. Quando arriverà il nuovo modulo per l’autocertificazione? La risposta, due giorni dopo il varo del nuovo decreto, è: ancora non si sa. Di certo, però, si sa che fino al 4 maggio — data di entrata in vigore delle nuove disposizioni — il modulo resterà quello attualmente a disposizione. Che dal 4 maggio, e per almeno altre due settimane, l’autocertificazione servirà ancora. E che si amplieranno le motivazioni accettate per giustificare il movimento fuori dalla propria abitazione. Alle tre motivazioni che consentono, oggi, gli spostamenti («comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o motivi di salute») se ne aggiungerà infatti una quarta: l’incontro con i congiunti. Su chi siano, esattamente, i «congiunti» — o meglio: chi si possa considerare nella categoria dei propri congiunti — c’è, al momento, qualche incertezza, che sarà fugata — secondo quanto dichiarato da fonti del governo — da una pagina di risposte alle domande più comuni, in arrivo nelle prossime ore. Ma l’interpretazione accreditata nel corso della giornata del 27 aprile da fonti di governo comprende «parenti e affini, coniugi, conviventi, ma anche fidanzati e affetti stabili». Entrano dunque nella definizione non solo «parenti e affini» (con “affini” si intendono suoceri, nuore, generi, con cui il legame viene meno in caso di scioglimento del matrimonio), ma anche «fidanzamenti e affetti» purché «stabili» (non è chiaro, ad ora, il criterio che sarà stabilito per definirli tali).
· Cosa si può e cosa non si può fare.
Coronavirus, oltre 2mila malati in più, 1045 i guariti. Autocertificazione anche se si esce a piedi. Borrelli: "Dati appaiono elevati, ma sono nel trend dei giorni scorsi". La Lombardia vuole chiudere uffici, fermare bus e metro. La Repubblica l'11 marzo 2020. Sono 10.590 i malati complessivi di Covid19, quelli ricoverati con sintomi 5.838 e 3.724 sono in isolamento domiciliare, mentre i guariti sono in tutto 1045, dei quali 41 oggi. Nel bollettino quotidiano il commissario per l'emergenza Coronavirus, Angelo Borrelli, ha poi precisato che il numero di malati è aumentato di 2.076 unità rispetto a ieri, mentre il numero complessivo dei contagiati - comprese le vittime e i guariti - ha raggiunto i 12.462. Le vittime sono complessivamente 827: rispetto a ieri sono 196 in più, ma questo numero, ha precisato il capo della Protezione civile Borrelli, potrà essere confermato solo dopo che l'Istituto Superiore di Sanità avrà stabilito la causa effettiva del decesso. Borrelli è stato poi lapidario sulle regole da osservare per evitare il contagio: "Il consiglio è sempre lo stesso, uscire per lo stretto necessario e indispensabile e anche chi esce a piedi deve portare l'autocertificazione". Nel giorno in cui l'Oms ha dichiarato quella di coronavirus una pandemia, Borrelli ha sottolineato "Avevamo detto che i dati della Lombardia erano parziali e oggi abbiamo numeri che fanno sì che i dati possano apparire come un numero elevato, ma in realtà la crescita odierna è nel trend dei giorni scorsi", in pratica, tra i contagi 600 sono malati di cui ieri non erano disponibili i dati. E sempre a proposito della decisione dell'Oms, il direttore del Dipartimento malattie infettive dell'Iss, Giovanni Rezza, ha commentato: "Noi quello che dovevamo fare lo stiamo facendo, lo stato di pandemia non ci cambia molto. È un invito agli stati membri ad intervenire in maniera molto ma molto più restrittiva" di quanto fatto finora. I 12462 casi complessivi sono così suddivisi: 7280 Lombardia, 1739 Emilia Romagna, 1023 Veneto, 501, Piemonte, 479 Marche. E ancora: 320 Toscana, 194 Liguria, 154 Campania, 150 Lazio, 126 Friuli Venezia Giulia, 77 Puglia e provincia Trento, 75 provincia Bolzano, 83 Sicilia, 46 Umbria, 38 Abruzzo, 37 Sardegna, 20 Valle d'Aosta, 19 Calabria, 16 Molise e 8 Basilicata. I malati in terapia intensiva sono 1.028, rispetto a ieri 151 in più. Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento di malattie infettive dell'Iss, ha poi detto che "guardando l'intero genoma del virus, si vedono solo piccole mutazioni. A differenza di quanto è stato scritto, non è diventato più aggressivo".
Le misure di contenimento. Intanto le misure per contenere il contagio del coronavirus sono state strette con l'Italia dichiarata "zona protetta", ma sembra non bastare. La Lombardia vuole passare a uno step successivo: chiudere uffici e fermare bus e metro. L'idea è di lasciare aperti solo i negozi di alimentari e le farmacie, chiudere bar e ristornati e fermare la produzione. E Conte ci sta pensando: "Spiegatemi i dettagli". In proposito Borrelli ha dichiarato che la chiusura generalizzata è da valutare, ma che al momento non ci sono decisioni in proposito perché non sono cambiate le indicazioni del comitato scientifico. E sempre a proposito dell'impiego dell'esercito per far rispettare le misure decise ha detto: "Io credo ci debba essere un rispetto delle cautele e prescrizioni di tipo volontario. Un controllo c'è, ma voglio ricordare che ci deve essere un comportamento responsabile da parte di ognuno di noi". Ipotesi su cui è d'accordo anche il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, che il 9 marzo era stato tra i primi a chiedere la chiusura della Lombardia e ora in un tweet avverte di non farsi "trarre in inganno" dal dato dei pazienti ricoverati in terapia intensiva : "Sembra che la crescita stia solo rallentando e invece è solo perché non ci sono più posti (se ne aggiungono pochi con grande fatica). I pazienti che non possono essere trattati vengono lasciati morire". E mentre Milano si prepara al blocco totale delle attività, il modello Lombardia potrebbe essere esteso a tutta l'Italia. In Campania la Regione chiude negozi di barbiere, parrucchiere, centri estetici. In Emilia chiusi anche mercati, gelaterie e piadinerie. Il Piemonte intanto è pronto a chiudere. Lo ha detto il governatore Alberto Cirio: "Se il governo deciderà che la Lombardia farà questo passo - ha detto - credo che anche il Piemonte dovrà in qualche modo essere compreso".
Chiara Campo per “il Giornale” il 12 marzo 2020. In un altro momento sarebbe anche scattato un moto di solidarietà nei confronti delle due lavoratrici accerchiate da un gruppo di milanesi infuriati. Non ai tempi del Coronavirus, quando cercare il posteggio regolarissimo oltre che l' ultimo dei pensieri, per chi fa un acquisto alla velocità della luce per evitare i famosi assembramenti o per chi si trova in emergenza, può risultare pure impossibile. I posteggi scarseggiano sempre e tanta gente oggi lavora a casa in smart working, non sposta la macchina per giorni. Ha fatto il giro del web ieri il video in cui dei cittadini imbufaliti si avvicinano a una coppia di ausiliarie della sosta intende a sanzionare auto che - senza ombra di dubbio - non creano un grave intralcio alla circolazione. «Ci manda il sindaco, noi prendiamo ordini» si giustificano di fronte a chi protesta perchè «Beppe Sala dice a tutti di stare a casa e voi invece potete andare in giro a dare le multe, pure senza mascherina, siete degli eroi». Non è una bella pubblicità per il sindaco del centrosinistra che a un anno dal voto ha già inanellato una serie di scivoloni dall' inizio dell' emergenza virus: dal no alla quarantena per gli studenti in arrivo dalla Cina, chiesta dai governatori leghisti del nord quando ancora l' epidemia non aveva varcato i confini europei, allo spot «Milano non si ferma» e le foto con gli spritz rilanciate quando la Regione Lombardia pregava di rimanere a casa e non sottovalutare i rischi. Circolava un altro video ieri, pubblicato da Affaritaliani.it, dove una coppia di ausiliari ripresa di nascosto confessava invece di disubbidire agli ordini. In questi giorni di emergenza hanno deciso di non dare multe perchè la notte vogliono «dormire tranquilli, con la coscienza pulita. Prima di fare questo lavoro siamo dei cittadini». Il centrodestra chiede un atto di buonsenso. Il deputato e capogruppo milanese della Lega Alessandro Morelli fa notare che «mentre con grande coraggio la politica nazionale sta valutando la chiusura totale di Regioni e dell' intero Paese, a Milano polizia locale e ausiliari della sosta sono proiettati a fare multe in un momento in cui, a meno di soste pericolose, i parcheggi sono l' ultimo dei problemi. Il Comune utilizzi gli operatori solo per i casi di grave intralcio o interruzione di pubblico servizio». Anche il consigliere comunale di Forza Italia Alessandro De Chirico si definisce «sbalordito» e domanda come sia possibile che mentre i milanesi «sono terrorizzati dal Coronavirus, vigili e ausiliari sono in giro a fare multe? È davvero incredibile come questa amministrazione sia lontana anni luce dai milanesi. La deputata Fi Federica Zanella insieme al sottosegretario regionale Alan Rizzi e 11 consiglieri municipali azzurri di Milano ha indirizzato a Sala un appello: «Forse non ha capito che l' esigenza della città oggi è la sopravvivenza. Ogni multa per divieto di sosta va sospesa immediatamente». Gli sforzi di vigili e ausiliari «siano rivolti alle vere esigenze della città, piuttosto verifichino le condizioni di salute degli anziani». Sala come aveva già anticipato ha firmato ieri un' ordinanza che concede la sosta gratuita a operatori sanitari e forze dell' ordine. E in vista della serrata di negozi e riduzione dei mezzi ha disposto lo stop di Area B e C, le telecamere antismog, come il centrodestra chiedeva da inizio emergenza. È sfuggito per lunghi minuti ai controlli invece un paziente positivo al Coronavirus, scappato dal Policlinico. Il 53enne è uscito dall' ospedale ed è andato verso corso di Porta Romana. Dove è stato fermato dai carabinieri e riportato in tutta fretta in reparto.
Coronavirus, i carabinieri fanno tornare a casa le persone: ma si può passeggiare? Le Iene News il 12 marzo 2020. Dopo Napoli, anche a Bari le forze dell’ordine sono intervenute per far tornare a casa alcune persone che stavano sedute in un parco. Ma si può uscire di casa? E se sì, per quale motivo? Ecco le risposte.
Dopo Napoli, anche Bari: i carabinieri hanno ripreso delle persone sedute all’aperto, su una panchina. Nel video che potete vedere qui sopra si sentono gli agenti dire alla gente per strada: “Siamo in emergenza sanitaria, non dovete stare qua”. Ma davvero è proibito uscire di casa? In realtà no: nell’ultimo decreto del governo, che stabilisce la chiusura di molte attività non essenziali fino al 25 marzo, non è espressamente proibito uscire di casa. Si può quindi passeggiare per strada, o andare a fare una corsa al parco, anche se è caldamente sconsigliato lasciare casa senza una valida ragione come andare al supermercato o in farmacia. Quindi se volete uscire per una passeggiata è legalmente consentito farlo, anche se sarebbe decisamente meglio rimanere a casa. Nel decreto si legge anche che “lo sport e le attività motorie svolte negli spazi aperti sono ammessi nel rispetto della distanza interpersonale di un metro. In ogni caso bisogna evitare assembramenti”. Quindi niente resse, niente gruppetti di persone, rispettare la distanza di almeno un metro. Anche se, lo ripetiamo, sarebbe meglio rimanere a casa. Fatelo per voi e anche per chi vi vuole bene.
Vi abbiamo mostrato anche uno scontro verbale fra un poliziotto e un passante in strada a Napoli. L'agente gli ha intimato di andare a casa per seguire l'ordinanza del governo "Italia zona protetta".
CORONAVIRUS, NON C'È IL DIVIETO DI PASSEGGIATA. MA UN INVITO A NON USCIRE. Corrado Zunino per repubblica.it. Non c'è il divieto di passeggiata. Ad oggi, non è previsto in nessuno dei decreti firmati dal ministero della Salute o dal governo, compreso l'ultimo licenziato ieri sera a tarda ora e valido da questa mattina fino al 25 marzo. Chi esce da casa per prendere aria e allentare la tensione, per raggiungere il tabaccaio e acquistare le sigarette, per consentire al cane di fare i bisogni, non è passibile di sanzione. Lo confermano fonti del Viminale che stanno interpretando in queste ore il Dpcm "11 marzo". La stessa Protezione civile, interpellata, ha spiegato che non esiste un "divieto di passeggiata", ma un forte invito a restare a casa. Nel sito della Presidenza del Consiglio si trova una pagina con "le domande più frequenti". Bene, alla voce "spostamenti", la numero uno, si legge: "Si deve evitare di uscire di casa". Si deve evitare, ma non è vietato. Anche nel vademecum del ministero dell'interno, articolato in 12 punti, si esplicita: "Non si può uscire di casa se non per validi motivi". E i validi motivi sono quattro: lavoro, necessità (spesa o farmacia), salute e rientro al proprio domicilio. Tuttavia, al punto 10 si dice in maniera chiara che non esiste, per esempio, un divieto di fare ginnastica all'aperto: "Lo sport e le attività motorie svolte negli spazi aperti sono ammessi nel rispetto della distanza interpersonale di un metro. In ogni caso bisogna evitare assembramenti". Ecco, sarebbe un controsenso autorizzare una corsa - che comporta sudorazione - e vietare una passeggiata. E ancora, anche con l'ultimo decreto, il più restrittivo della serie, tabacchi, ferramenta e altri artigiani restano aperti e, quindi, anche in questo caso sarebbe contraddittorio mantenere in attività questi negozi per non consentire, poi, di raggiungerli. In tutti questi casi bisogna portare sempre con sé l'autocertificazione che indica lo spostamento che si sta effettuando: da quale luogo provengo a quale luogo sono diretto. Deve averla con sé anche chi va a piedi. Se una persona ne è sprovvista, tutte le forze di polizia hanno il foglio da consegnare all'interessato, che lo compilerà sul posto.
Da ilsole24ore.com il 20 marzo 2020. Rc auto, ma anche sfratti, contributi per le colf, rinnovo dei documenti di identità. Il decreto legge “Cura Italia” per fronteggiare l’emergenza coronavirus rinvia tutta una serie di scadenze per le famiglie. Il provvedimento, entrato in vigore il 18 marzo, si accinge a iniziare dal Senato l'iter di conversione in legge. Ecco le novità per alcuni adempimenti.
Un mese in più per pagare la Rc auto. Le polizze RcAuto saranno valide per un mese dopo la scadenza, anziché gli attuali 15 giorni. Fino al 31 luglio, si legge nella norma, il termine entro cui “l'impresa di assicurazione è tenuta a mantenere operante la garanzia prestata con il contratto assicurativo fino all'effetto della nuova polizza, è prorogato di ulteriori quindici giorni”.
Più tempo per pagare le multe in misura ridotta. In via eccezionale, e fino al 31 maggio 2020, si stabilisce che la sanzione ridotta del 30% per violazioni del codice della strada si potrà pagare entro 30 giorni dalla contestazione o notificazione (e non entro 5 giorni).
Gestione affitti: sospesi tutti gli sfratti fino al 30 giugno. Il decreto “Cura Italia” prevede che siano sospesi tutti gli sfratti fino al 30 giugno. La norma sospende “l'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo”.
Il 31 maggio pagamento dei contributi colf e badanti. Più tempo per le famiglie per pagare i contributi previdenziali e assistenziali e i premi per l'assicurazione obbligatoria del personale domestico, colf e badanti, che slittano al 31 maggio 2020.
Slittano al 31 maggio gli adempimenti fiscali. Tutti gli adempimenti fiscali con scadenza tra l' 8 marzo 2020 e il 31 maggio 2020 sono spostati al 31 maggio.
Tariffe Tari a fine giugno. Slitta a fine giugno anche il termine per l'approvazione delle tariffe Tari.
Più tempo per laurearsi. Spesso nelle famiglie vivono ragazze e ragazzi che studiano. Nel decreto “Cura Italia” viene prorogata al 15 giugno l'ultima sessione di laurea dell'anno accademico 2018/2019. E vengono prorogati tutti i termini connessi all'adempimento di scadenze didattiche e amministrative funzionali allo svolgimento dell'esame di laurea.
Documenti di identità validi fino al 31 agosto. È prorogata al 31 agosto la validità dei documenti di identità. Ma la proroga non vale per l'espatrio. I documenti valgono solo in Italia e non all'estero.
Passeggiate, sport all’aperto, certificati e seconde case: ecco le regole del governo. Pubblicato venerdì, 13 marzo 2020 su Corriere.it da Fiorenza Sarzanini.
1 - Il modulo compilato anche se si va a piedi. Ne serve uno per tragitto. Il modulo per l’autocertificazione è scaricabile dal sito del ministero dell’Interno. È disponibile anche sul sito del Corriere della Sera (scarica il pdf). . L’autocertificazione deve essere sempre compilata anche per gli spostamenti a piedi. Se si tratta di spostamenti fissi (ad esempio per andare al lavoro o per l’assistenza a un familiare malato) si può utilizzare sempre lo stesso modulo indicando le cadenze. Se invece si tratta di spostamenti diversi, bisogna compilarne uno ogni volta che si esce. Se al momento del controllo non si è in possesso del modulo si può giustificare verbalmente lo spostamento.
2 - Sì alla boccata d’aria Ma restando vicino a casa e da soli (o distanti). È uno dei punti più controversi del decreto perché il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha chiesto ai cittadini di rimanere a casa ma non ha vietato in maniera esplicita le passeggiate. E dunque per tutto il giorno ieri si sono rincorse le interpretazioni e alla fine è stato spiegato che le passeggiate «sono consentite purché circoscritte alla propria zona e comunque per una durata di tempo limitata». Se si è in due bisogna mantenere una distanza di almeno un metro. Una modalità simile a quella concessa a chi ha necessità di portare a spasso il proprio cane o comunque deve raggiungere un negozio per fare la spesa oppure andare in farmacia o ancora andare a piedi a portare assistenza a un familiare. Anche chi va a piedi deve portare con sé il modulo di autocertificazione e giustificare lo spostamento in caso di controllo delle forze dell’ordine.
3 - Per l’attività fisica evitare assembramenti. Chiusi alcuni parchi. È l’altro punto controverso del decreto perché non c’è un espresso divieto ma il governo ha raccomandato di non uscire e così per tutto il giorno si sono rincorse le interpretazioni. Il sottosegretario alla Salute Sandra Zampa ha twittato: «Per chiarezza in tema di coronavirus e comportamenti: lo sport e le attività motorie svolte negli spazi aperti sono ammessi nel rispetto della distanza interpersonale di un metro. In ogni caso bisogna evitare assembramenti». Poco dopo sul sito della presidenza del Consiglio si è deciso di fornire una linea precisa: «Parchi e giardini pubblici possono restare aperti per garantire lo svolgimento di sport ed attività motorie all’aperto, a patto che non in gruppo e che si rispetti la distanza interpersonale di un metro». Ieri però alcune amministrazioni locali hanno deciso di vietare l’accesso ad alcuni parchi.
4 - Documenti in scadenza, il governo prevede una proroga della durata. Migliaia di cittadini hanno alcuni documenti in scadenza, in particolare la patente. Il decreto firmato dal presidente del Consiglio dispone la chiusura delle agenzie di pratiche e in ogni caso anche gli uffici dell’Automobile club d’Italia sono chiusi tanto che sul sito è comparso un messaggio per informare che «dal 16 marzo 2020 sarà attivo un servizio di assistenza destinato ai cittadini privati, finalizzato a rispondere alle richieste di informazioni sul funzionamento degli Uffici Pra del territorio nazionale e sull’espletamento delle formalità Pra in questo periodo di emergenza sanitaria». In ogni caso fonti del governo hanno già fatto sapere che tutti i documenti in scadenza saranno prorogati fino alla durata dei divieti imposti dal decreto. Si è deciso invece disporre il rinvio per il pagamento delle cartelle esattoriali in scadenza.
5 - Solo se c’è un’emergenza si può andare nella seconda abitazione. Molte persone erano nelle seconde case, in campagna o in montagna, quando è stato firmato il decreto. Si può rimanere in quelle abitazioni se non si ha necessità di rientrare presso il domicilio principale senza fornire alcuna comunicazione alle autorità. Le regole da seguire sono sempre le stesse e dunque se si esce da casa bisogna avere il modulo di autocertificazione e comunicare il motivo dello spostamento. Quando invece si decide di rientrare presso l’abitazione principale non ci sono limitazioni perché il provvedimento del governo contiene un articolo che recita: «Chiunque ha diritto a rientrare presso il proprio domicilio, abitazione o residenza». Eventuali spostamenti successivi sono consentiti soltanto per motivi di grave emergenza come una perdita di gas o di acqua, un crollo o altre situazioni di rischio che necessitano interventi di riparazione.
6 - Necessarie precauzioni per assistere i familiari. Ospedali, visite limitate Andare ad assistere i familiari anziani oppure portare loro la spesa o i farmaci è uno dei motivi che giustificano gli spostamenti. L’importante è mantenere la distanza di un metro e utilizzare i dispositivi di protezione come guanti e mascherine. Ci sono limitazioni molto stringenti anche per andare a trovare i parenti che si trovano ricoverati. E infatti nel decreto è specificato che l’accesso di parenti e visitatori a ospedali, hospice, strutture residenziali per anziani, pronto soccorso è «limitato ai soli casi indicati dalla direzione sanitaria della struttura», che è «tenuta ad adottare le misure necessarie a prevenire possibili trasmissioni di infezione». In particolare viene raccomandato di non entrare nelle sale di attesa dei pronto soccorso a meno che il parente non sia autosufficiente proprio perché si tratta di luoghi maggiormente a rischio contagio.
7 - In macchina massimo in due. Per gli spostamenti in auto bisogna essere massimo in due ed è preferibile sedere uno davanti e uno dietro. Niente cene tra amici o tra parenti né incontri tra bambini. Non si può partecipare alle cene con amici e familiari che non siano conviventi, sono vietate le feste e gli eventi. In caso di incontro bisogna mantenere la distanza di sicurezza ed è opportuno indossare i dispositivi di protezione come guanti e mascherine. Il decreto vieta gli assembramenti, una disposizione che era stata decisa quando ancora era consentita l’apertura di bar e ristoranti ed è stata rinnovata anche adesso che i locali pubblici sono stati chiusi. Serve infatti a evitare che le persone si riuniscano anche all’aperto e che i contatti siano tanto ravvicinati da non consentire il rispetto di quelle misure che sono state suggerite dal comitato tecnico-scientifico per evitare il contagio. Gli esperti sconsigliano anche gli incontri tra bambini che certamente non sono in grado di rispettare le limitazioni e dunque potrebbero trasmettersi il virus.
Tutti gli spostamenti consentiti: ecco cosa si può fare e cosa è vietato. Passeggiate, attività motoria, uscita in macchina, utilizzo della moto, autocertificazione, giornali, sigarette e animali: i chiarimenti del governo. Luca Sablone, Lunedì 16/03/2020 su Il Giornale. Sugli spostamenti consentiti ai tempi del Coronavirus continuano a esserci molti dubbi da parte dei cittadini: in molti si chiedono se possono uscire in compagnia del proprio cane, se possono praticare attività sportive all'aperto, se possono recarsi in edicola per acquistare un giornale, se è possibile uscire in macchina, in moto e in bicicletta. Per fare chiarezza una volta per tutte, il governo sul proprio sito istituzionale ha reso note le cosiddette Frequently asked questions (Faq) al fine di sciogliere definitivamente le ombre sui movimenti regolamentati dal decreto legge adottato l'11 marzo. Di seguito sono dunque riportate le precisazioni dell'esecutivo a partire dalle passeggiate fino ad arrivare agli animali domestici, passando per giornali e sigarette.
Le passeggiate. Il concetto base è stato ribadito nuovamente: si può uscire dalla propria abitazione "solo per andare al lavoro, per motivi di salute o per necessità ovvero per svolgere attività sportiva o motoria all’aperto". Le passeggiate sono pertanto consentite solamente se "strettamente necessarie a realizzare uno spostamento giustificato da uno dei motivi appena indicati". Ad esempio sono regolari le uscite per fare la spesa, per comprare un periodico, per andare in farmacia e per acquistare beni necessari per la vita quotidiana. Inoltre è stato chiarito che è giustificata "ogni uscita dal domicilio per l’attività sportiva o motoria all’aperto". In caso di eventuali controlli, la giustificazione di tutti gli spostamenti ammessi "può essere fornita nelle forme e con le modalità dell’autocertificazione, ove l’agente operante ne faccia richiesta". Comunque per ogni scenario è valido il divieto generale di assembramento e quindi l'obbligo di rispettare la distanza di sicurezza minima di 1 metro tra le persone.
Attività motoria. L'attività motoria è consentita purché non in gruppo. Non è necessario avere con sé l'autodichiarazione in quanto si tratta di un caso espressamente previsto "dai decreti come consentito, quindi non è necessaria alcuna autodichiarazione". Le autorità di pubblica sicurezza potrebbero comunque richiedere di dichiarare la motivazione dello spostamento: qualora si dovesse fornire una dichiarazione falsa o mendace, si potrebbe incorrere nelle sanzioni previste. L'accesso individuale a parchi e giardini pubblici è consentito per praticare sport e attività motorie; è vietato invece entrarvi in gruppo o per fare qualsiasi altro tipo di attività. Restano preclusi tutti gli sport di squadra che possano implicare contatti ravvicinati tra i giocatori. In caso di violazione si può incorrere nelle sanzioni previste: nei casi di ripetute violazioni del generale divieto di assembramento "può essere disposta la chiusura temporanea del parco, del giardino o dell'area pubblica ove la popolazione tenda ad assembrarsi".
Macchina e moto. Gli spostamenti in auto sono consentiti anche per più passeggeri solo se si rispetta la distanza minima di un metro; invece - proprio perché tale criterio non è rispettabile - non è possibile andare in due in moto. L'utilizzo della bicicletta è ammissibile per raggiungere la sede di lavoro, il luogo di residenza, i negozi di prima necessità e per svolgere attività motoria, mantenendo sempre la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro.
Giornali e sigarette. Si può uscire di casa per comprare un giornale o delle sigarette? Sì, poiché l'acquisto "dei quotidiani e dei periodici è ritenuto una necessità, quindi anche gli spostamenti da e per le edicole, che li vendono". I tabaccai sono aperti, così come le erboristerie assimilate a negozi di prodotti per la cura personale.
Gli animali. Si può uscire con il proprio animale da compagnia per le sue esigenze fisiologiche, ma senza assembramenti e mantenendo la distanza di almeno un metro da altre persone. Gli animali domestici si possono portare dal veterinario per esigenze urgenti: "I controlli di routine devono essere rinviati. Visite veterinarie necessarie e non procrastinabili possono avvenire solo su prenotazione degli appuntamenti e comunque garantendo la turnazione dei clienti con un rapporto uno a uno, così da evitare il contatto ravvicinato e la presenza di clienti in attesa nei locali". Il professionista e il personale addetto dovranno comunque indossare idonei dispositivi di protezione individuale.
Coronavirus, posso portare fuori il cane? Divieti e deroghe per chi ha un animale in casa. Pubblicato giovedì, 12 marzo 2020 su Corriere.it da Paolo D’Amico. Quarantena per tutti, anche per gli animali domestici. Ma niente paura: i servizi essenziali sono garantiti, così come lo sono per le persone. Il messaggio dei medici veterinari, in due parole, è: «rinviate tutto ciò che è rinviabile», dalle vaccinazioni alla toelettatura. Ambulatori aperti ma solo per le urgenze. E prima di muoversi da casa per una eventuale emergenza chiamate al telefono il vostro medico veterinario. La raccomandazione dell’ordine dei medici veterinari nazionale, Fnovi – che in una circolare ha invitato tutti i veterinari a limitare «l’attività professionale alle situazioni di emergenza e improcrastinabilità rinviando vaccinazioni, visite di routine, diagnostica e chirurgia non urgenti» -, è di lasciarsi prendere dal panico, perché «non c’è alcuna evidenza che gli animali domestici possano trasmettere il virus». Ma, aggiunge Carla Bernasconi, vicepresidente Fnovi, «abbiate con loro le stesse attenzioni che avete per i vostri cari». Tradotto: da evitare due comportamenti molto comuni, come condividere con loro il vostro cibo e scambiarsi effusioni «sbaciucchiandoli». Sarà utile, inoltre, adottare una semplice precauzione: al rientro dalle brevi uscite giornaliere per le necessità fisiologiche, «con un fazzoletto bagnato di acqua e alcol pulite il loro manto». Pur con mille attenzioni può capitare che l’animale sia accarezzato da qualcuno positivo al virus che può depositarsi sul pelo esattamente come su qualsiasi superficie trasformandolo in un vettore inconsapevole. Dunque lavarsi bene le mani con acqua e sapone prima e dopo averlo toccato. Questo è un piccolo decalogo di comportamento. Posso portare fuori il cane? La risposta è sì. L’uscita, breve, dell’animale domestico per esigenze fisiologiche è contemplato dal decreto ministeriale. In generale, ci si può spostare con gli animali facendo l’autodichiarazione, se l’esigenza è determinata da situazioni di necessità. Sono quindi permesse, in quanto necessità fisiologiche, le normali “passeggiate” con il cane per lo sgambamento e i suoi bisogni fisiologici. Anche da un Comune all’altro, se occorre, sono consentiti gli spostamenti per indifferibili necessità mediche dell’animale, ovviamente munendosi di autocertificazione e (meglio ancora) di certificato veterinario . Restano valide per gli animali le regole di comportamento precauzionali adottate tra esseri umani. Limitarsi a passeggiate e brevi sgambate, evitando di lasciarlo correre per ore dove vuole e anche le aree verdi dove non sia possibile mantenere la distanza di un metro tra persone prescritta dalla norma. Per le aree cani, le amministrazioni comunali stanno adottando misure in queste ore. Da Milano anticipano che nelle aree cani si potrà entrare uno/due alla volta, nei parchi già obbligatorio in base ai regolamenti tenere il cane al guinzaglio. Chi per raggiungere l’area verde o l’area cani dovrà utilizzare l’auto porti con sé l’autocertificazione. Sono aperti i negozi che vendono cibo per animali, resta valida la misura dettata per i supermercati: ingressi contingentati e distanze tra le persone. «I punti vendita che commercializzano alimenti e beni per animali d’affezione sono considerati “di prima necessità” e quindi rimangono aperti, come avevamo chiesto» sottolinea l’on. Michela Vittoria Brambilla, presidente dell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali e della Lega italiana per la Difesa degli animali e dell’ambiente, che fornisce altri chiarimenti sul decreto. «La vita e la salute degli animali – ricorda l’ex ministro - sono beni tutelati dal codice penale». Oltre ai negozi di alimentari e ai supermercati, così come ferramenta in zone agricole, che dispongono di cibo per animali di varie specie, sono aperti/devono essere aperti anche quelli specializzati, presso i quali si trovano anche linee di alimentazione necessarie ad animali che soffrono di specifiche patologie. Ovviamente, per recarsi presso questi negozi, è necessaria l’autodichiarazione da compilare, per la quale la Lav ha approntato un fac simile sullo stato di necessità per animali, regola che è valida per qualsiasi tipo di spostamento necessario, e sempre con assunzione di responsabilità della persona. Aperte farmacie e le parafarmacie dove si possono trovare prodotti per animali come gli ambulatori veterinari dei liberi professionisti (la decisione è in capo al singolo titolare), mentre devono continuare ad essere esercitati i servizi veterinari pubblici, con le specifiche di cui alla Circolare del Ministero della Salute del 2 marzo scorso.
La Lav ha attivato un front desk di emergenza sulle ripercussioni dei provvedimenti per contrastare il Coronavirus e il necessario accudimento degli animali, obbligo morale e giuridico anche in situazioni estreme come questa che sta vivendo l’Italia. In base allo stesso principio di necessità, i volontari autorizzati che prestano la loro opera in un canile o in un gattile per alimentare o assistere gli animali, possono, con l’autocertificazione, proseguire nella loro attività. Basterà l’autocertificazione anche per occuparsi dei cani di quartiere o delle colonie feline. E’ invece sospesa, perché differibile, la gestione di percorsi adottivi. Comprese le operazioni di affido degli animali da parte dei canili sanitari e dei rifugi, salvo esigenze inderogabili. Sono aperti, in quanto servizi di pubblica utilità- ma l’attività è limitata alle sole urgenze-emergenze. Il resto, vaccinazioni, visite periodiche e controlli, esami diagnostici, anche interventi chirurgici se differibili, saranno rinviati e riprogrammati. Le vaccinazioni di routine si possono rinviare senza problemi per qualche settimana. Prima di recarvi in ambulatorio, telefonate al vostro veterinario. I contatti per chi è a casa in isolamento sono da limitare a 360 gradi. Doppiamente vietato condividere il cibo con il proprio animale, cane o gatto. Non accarezzatelo, ed evitate contatti più ravvicinati, come ha raccomandato l’Istituto superiore di sanità. Se un animale ha bisogno di cure D’accordo con il vostro veterinario di fiducia recatevi nello studio, muniti di mascherina e guanti in lattice. Adottate ogni precauzione come quando siete al supermercato o in farmacia. I proprietari in quarantena e loro familiari possono tenere con sé i loro animali da compagnia, cani, gatti e altri animali e provvedere alle cure di eventuali pets che rimangono in casa, nel caso in cui i loro proprietari abbiano familiari o amici ospedalizzati da accudire, contattando il proprio veterinario in caso di domande o dubbi. Non bisogna mai maneggiare animali domestici o altri animali quando si è malati. Non fa eccezione il CoV-2019. Accorgimento supplementare: indossare una mascherina se il contatto con gli animali è necessario, ad esempio se si è gli unici a prendersene cura. La raccomandazione è di avvisare il medico veterinario, prima di portarlo direttamente in ambulatorio, di informarlo del contatto dell’animale con persona contagiata e di attenersi alle indicazioni della struttura veterinaria. Ricordando che il virus si sta diffondendo da persona a persona. Ad oggi non ci sono prove chi i cani e i gatti possano essere infettati dal CoV-2019. Poiché diversi tipi di coronavirus possono causare malattie negli animali, fino a quando non ne sapremo di più sul nuovo CoV-2019, nelle aree dove il virus è attivo, bisognerebbe evitare il contatto con gli animali e indossare una mascherina se si interagisce con gli animali o se ne prende cura.
Divieti da coronavirus, domande e risposte: ecco cosa si può fare e cosa no. Passeggiate senza motivo non sono consentite, ma se si fa attività motoria si può uscire senza autocertificazione. In auto solo i familiari, in moto da soli. Vietato raggiungere le seconde case. Alessandra Ziniti il 15 marzo 2020 su La Repubblica.
Passeggiate no e attività sportive sì? Come regolarsi? A fronte di interpretazioni contrastanti, il Viminale risponde così per chiarire una delle questioni più controverse: "Le passeggiate sono ammesse solo se strettamente necessarie a realizzare uno spostamento giustificato". Dunque, se volete passeggiare, fatelo per andare a fare la spesa o in farmacia o se andate al lavoro o dal medico. Ma anche - "è giustificata ogni uscita dal domicilio per l'attività sportiva o motoria all'aperto".
Sport all'aperto: occorre l'autocertificazione? No - è la risposta del ministero - l'attività motoria all'aperto è espressamente prevista dai decreti come consentita, quindi non è necessaria alcuna autodichiarazione. Se vi fermano però, potranno chiedervi il motivo dello spostamento. Viene chiarito che "a parchi e giardini ( dove le amministrazioni locali li hanno lasciati aperti) è consentito l'accesso individuale". Quindi niente sport in compagnia.
Bicicletta sì o no? E dove? Nonostante in molte città siano stati sanzionati diversi ciclisti, il Viminale conferma che si può utilizzare la bicicletta per tutti gli spostamenti consentiti, dunque per andare al lavoro, per tornare a casa, per fare la spesa. E si può anche uscire in bicicletta come attività sportiva, su strada o su piste ciclabili, purché sia garantita la distanza di un metro da chiunque. E dunque non in gruppo.
In macchina e in moto In quanti si può stare? In auto nessuna limitazione se si va con i familiari conviventi. Se invece si è con altre persone è obbligatorio rispettare la distanza di un metro tra i passeggeri, quindi - a meno che non si abbia un Suv di grandi dimensioni - praticamente oltre al guidatore un'altra persona nel sedile posteriore opposto. In motocicletta invece, vista l'impossibilità di tenere le distanze, bisogna andare da soli.
Animali domestici: come accudirli? Naturalmente è permesso portarli fuori per le necessità fisiologiche ma vicino casa. Consentito anche portarli dal veterinario ma solo per urgenze con visite prenotate ed entrando in ambulatorio da soli. I veterinari dovranno indossare guanti e mascherine.I negozi che vendono cibo e prodotti per animali sono aperti e accessibili per tutte le necessità.
Giornali e sigarette: si può andare? Assolutamente sì. Il Viminale lo dice espressamente: "L'acquisto dei quotidiani e dei periodici è ritenuto una necessità, quindi anche gli spostamenti da e per le edicole, che li vendono". Tabaccai e negozi di sigarette elettroniche sono aperti come rivendite di prodotti per fumatori. E sono rimaste aperte anche le erboristerie assimilate a negozi di prodotti per la cura personale.
Seconde case e alberghi: è possibile andare? Andare in una casa di vacanze non è considerato uno spostamento giustificato. Si può andare solo presso l'abitazione in cui si è residenti o domiciliati. Alberghi, bed and breakfast sono aperti anche se gli spostamenti per turismo non sono previsti e possono continuare l'attività di bar e ristorante solo per i clienti garantendo le distanze di sicurezza.
Studi privati e professionali: sono regolarmente aperti? Non è prevista alcuna sospensione delle attività per gli studi privati. Resta comunque la raccomandazione di favorire lo smart working o di diradare le presenze dei dipendenti con ferie e congedi. In ogni caso è previsto l'obbligo di mantenere la distanza di un metro tra i presenti.
Servizi sociali e associazioni di volontari: le attività sono ferme? No. Consultori, Sert, centri diurni per indigenti e senzatetto, centri antiviolenza e di mediazione familiare proseguono la loro attività. Sono interrotte solo quelle ludiche e ricreative. Anche le associazioni di volontari che distribuiscono pasti e servizi continuano a farlo. Sono servizi per la persona, così come il lavoro di colf, badanti e babysitter.
Officine meccaniche e artigiani: continuano a lavorare? Si, officine, carrozzerie, gommisti e rivenditori di pezzi di ricambio sono considerate attività indispensabili e quindi consentite. Anche gli artigiani, idraulici, elettricisti, falegnami, imprese edili sono regolarmente al lavoro per garantire le riparazioni urgenti alle abitazioni: non si fermano.
Le misure: dai cantieri allo sport, il giro di vite. Pubblicato domenica, 22 marzo 2020 su Corriere.it da Fiorenza Sarzanini. Chiusura delle attività produttive in tutta Italia ad eccezione di quelle ritenute «essenziali». Le nuove restrizioni decide dal governo per fermare il contagio da coronavirus entrano subito in vigore e avranno efficacia sino al 3 aprile. Il provvedimento è stato anticipato da un’ordinanza del governatore della Lombardia Attilio Fontana che prevede restrizioni più rigide in alcuni settori e fissa anche una multa da 5 mila euro per chi non rispetta il divieto di stare in strada al massimo in due persone. Gli effetti delle misure prese dal governatore lombardo avranno effetto fino al 15 aprile.
Restano aperti i supermarket. Il governo sospende in tutta Italia le attività produttive «non essenziali» dunque ad eccezione di «ipermercati, supermercati, discount alimentari, i minimercati e gli altri esercizi non specializzati di alimentari che potranno vendere anche prodotti di prima necessità (ad esempio materiale di cancelleria, abbigliamento intimo, giocattoli, eccetera)».
Per i medicinali nessuna limitazione. In tutta Italia sono «consentite le attività che erogano servizi essenziali e di pubblica utilità» in particolare «la produzione, il trasporto e la commercializzazione e consegna anche a domicilio di farmaci, tecnologia sanitaria e dispositivi medico-chirurgici, nonché le attività che possono essere svolte in modalità domiciliare ovvero a distanza o telelavoro». Aperti anche banche e uffici postali.
Alt a slot machine, lotto e scommesse. È stata decisa in tutta Italia «la sospensione con effetto immediato» del «gioco operato con dispositivi elettronici del tipo “slot machines” situati all’interno degli esercizi di rivendita», del Superenalotto, Superstar, Sivincetutto Superenalotto, Lotto tradizionale e Eurojackpot». La stessa disposizione riguarda «la modalità di raccolta online». Stop anche alle scommesse.
Per garantire la distanza si entra uno alla volta. In tutta Italia «restano aperte le edicole e i tabaccai e deve essere garantita la distanza di sicurezza interpersonale di un metro». In Lombardia è stato previsto «l’obbligo di limitare l’accesso all’interno dei locali ad un solo componente del nucleo familiare, salvo comprovati motivi di assistenza ad altre persone».
Nuovi limiti per la corsa e per il giro con il cane. In tutta Italia «sono vietati lo sport e le attività motorie svolte all’aperto, anche singolarmente, se non nei pressi delle proprie abitazioni». In Lombardia «nel caso di uscita con l’animale di compagnia, la persona è obbligata a rimanere nelle immediate vicinanze della residenza o domicilio e comunque a distanza non superiore a 200 metri, con obbligo di documentazione agli organi di controllo del luogo di residenza o domicilio».
Luoghi pubblici. Assembramenti vietati. Mai più di due persone. In Lombardia «sono vietati gli assembramenti di più di 2 persone nei luoghi pubblici». Deve «comunque essere garantita la distanza di sicurezza dalle altre persone. La polizia e altri organi di esecuzione autorizzati provvedono a far rispettare tale disposizione nello spazio pubblico. Ai contravventori sarà comminata un’ammenda amministrativa di euro 5.000».
Assembramenti vietati. Mai più di due persone. In Lombardia «sono vietati gli assembramenti di più di 2 persone nei luoghi pubblici». Deve «comunque essere garantita la distanza di sicurezza dalle altre persone. La polizia e altri organi di esecuzione autorizzati provvedono a far rispettare tale disposizione nello spazio pubblico. Ai contravventori sarà comminata un’ammenda amministrativa di euro 5.000».
Niente mercati scoperti (anche frutta e verdura). In Lombardia sono sospesi tutti i mercati settimanali scoperti cittadini, sia per il settore merceologico alimentare che non alimentare. Sono chiusi i distributori automatici cosiddetti «h24» che distribuiscono bevande e alimenti confezionati».
Ferme le attività degli studi professionali. In Lombardia «sono chiuse le attività degli studi professionali salvo quelle relative ai servizi indifferibili ed urgenti o sottoposti a termini di scadenza». È stata anche decisa «la sospensione presso le rispettive sedi e uffici decentrati dell’attività delle amministrazioni pubbliche, nonché dei soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative».
Si lavora a opere urgenti e presidi sanitari. In Lombardia è stato «disposto il fermo delle attività nei cantieri, previa concessione del termine per la messa in sicurezza, fatti salvi quelli relativi alla realizzazione e manutenzione di strutture sanitarie e di protezione civile, alla manutenzione della rete stradale, autostradale, ferroviaria, del trasporto pubblico locale, nonché quelli relativi alla realizzazione, manutenzione e funzionamento degli altri servizi essenziali o per motivi di urgenza».
Strutture ricettive, 72 ore per lasciarle. In Lombardia «sono chiuse tutte le strutture ricettive e sospesa l’accoglienza degli ospiti. Per gli ospiti già presenti nella struttura l’ospitalità non può protrarsi oltre le 72 ore successive all’entrata in vigore dell’ordinanza». Il provvedimento «si applica anche ai residence, agli alloggi agrituristici e alle locazioni brevi per finalità turistiche». Sono escluse «le strutture dedicate al pernottamento dei medici o all’isolamento di pazienti».
La temperatura presa in coda alla cassa. In Lombardia «si raccomanda di provvedere alla rilevazione sistematica della temperatura corporea anche ai clienti presso i supermercati e le farmacie, oltre che ai dipendenti dei luoghi di lavoro, se aperti, e a tutti coloro che vengono intercettati dall’azione di verifica del rispetto dei divieti dalle Forze dell’Ordine e dalla Polizia Locale».
Coronavirus, quel comma nel decreto che apre una voragine nell'obbligo di chiusura. Basta una comunicazione al prefetto in cui si dichiara di far parte, anche indirettamente, di una filiera essenziale. E non ci sono sanzioni per chi fa autocertificazioni infondate. Alessandro Gilioli il 23 marzo 2020 su L'Espresso. Perché i sindacati stanno dando tanta battaglia sul testo del decreto emesso dal governo domenica pomeriggio dal governo Conte, quello relativo alla chiusura delle aziende, al punto da minacciare uno sciopero generale? Il problema non sta soltanto nel pur ampio elenco delle attività consentite dal codice Ateco, ma anche in poche righe dell'articolo 1 comma d: «Restano aperte le attività che sono funzionali ad assicurare la continuità delle filiere di cui all'allegato 1 previa comunicazione al Prefetto della provincia dove è ubicata l'attività produttiva, nella quale sono indicate specificamente le imprese e le amministrazioni beneficiarie dei prodotti e servizi attinenti alle attività consentite. Il Prefetto può sospendere le predette attività qualora ritenga non sussistano le condizioni di cui al periodo precedente. Fino all'adozione dei provvedimenti di sospensione delle attività, essa è legittimamente esercitata sulla base della comunicazione resa». Fuori dal linguaggio legale, questo comma apre una voragine che rischia di vanificare in buona parte i limiti posti dal Codice Ateco, cioè l'elenco delle attività consentite. In poche parole, infatti, qualsiasi azienda può autocertificare, con una semplice comunicazione al prefetto, di far parte della filiera che viene utile a una delle attività del Codice Ateco. Questo anche se, poniamo caso, la sua produzione è al 99 per cento per altri clienti e solo all'1 per cento per una delle aziende del Codice Ateco (o anche per un'altra azienda non Ateco ma fornitrice a sua volta di un'azienda Ateco, e così via indirettamente per una catena potenzialmente lunga). Inoltre, nei casi di imprenditori poco etici che privilegino la propria produzione alla salute comune, si lascia aperto uno spazio anche ai bugiardi: non è infatti prevista alcuna sanzione per chi fa autocertificazioni infondate, anzi si specifica che ha operato «legittimamente» finché il prefetto non prende in considerazione la sua autocertificazione e ne stabilisce la non fondatezza. Al momento, ovviamente, non si sa quanto le 103 prefetture italiane siano strutturate per valutare le autocertificazioni che da questa mattina stanno piovendo sui loro computer. Cioè se nelle prefetture hanno abbastanza personale per leggerle tutte e poi controllare la loro fondatezza. In ogni caso siamo sostanzialmente in regime di silenzio-assenso: finché la prefettura non risponde, sono moltissime le aziende che possono legalmente aggirare "l'obbligo" di chiusura. Questo appunto apre una possibile voragine. I lavoratori che apprendono questa mattina che la loro azienda è aperta sono quindi costretti comunque a uscire di casa e prendere mezzi pubblici per raggiungerla. Mezzi pubblici nei quali spesso non è possibile garantire il distanziamento di un metro indispensabile per combattere efficacemente l'epidemia. E questo, naturalmente, sempre ammesso che nei posti di lavoro invece questo distanziamento sia sempre possibile.
A Roma bandita la mozzarella. Gi. Ros. per “il Fatto Quotidiano” il 22 marzo 2020. Addio pizza margherita. Ma pure la prosciutto e funghi, quella con le patate o ai fiori di zucca, che a Roma è un must. Dopo i decreti del governo, i vigili romani si sono sentiti in dovere di procedere a un' ulteriore stretta. E così, in un' ordinanza, si è imposto ai panifici di sfornare solo pizza bianca e al pomodoro. Vietato tutto il resto, a partire dalla mozzarella. "È lecita - si legge - la preparazione di vari tipi di pane e grissini, e la preparazione di pizza e focacce tipiche sia bianche (con olio e rosmarino) sia rosse (con olio e pomodoro) e di pasticceria secca. Non si deve considerare compresa la pizza condita e farcita diversamente". I fornai romani, a malincuore, si sono adattati. "Vogliamo evitare polemiche, ma siamo a dir poco perplessi", dice Paolo Matteucci, responsabile di Roscioli, famoso forno della Capitale. Il motivo sarebbe quello di non fare concorrenza sleale a pizzerie e pasticcerie, che però sono chiuse. Il divieto, nel suo dadaismo, ricorda quello sulla vendita di quadernoni e pennarelli nei supermercati. Dall' ordinanza dei pizzardoni romani sembra essersi però salvata la pizza (bianca) con la mortazza. E questo consola lo spirito in codesti difficili giorni.
Pizza Margherita pericolosa per il coronavirus, ma solo a Roma. Umberto Rapetto per infosec.news il 22 marzo 2020. Nel ribollire complottista, un raggio di sole. La giunta capitolina sembra aver trovato ispirazione in un vecchio film di Mel Brooks. A Roma, infatti, un inatteso provvedimento svela che la cinefilia abbia consentito un salto di qualità nel contrasto al coronavirus. Chi ha visto “Balle spaziali” (parodia della ben più celebre serie “Guerre Stellari” o “Star Wars” che dir si voglia) non può averne dimenticato i personaggi, dalla Principessa Vespa al Presidente Scrocco, dal comandante militare Lord Casco a Stella Solitaria e al Colonnello Nunziatella (la scelta del cui nome ha sempre incuriosito i nostri connazionali che hanno frequentato la Scuola Militare di Napoli…). Non sono stati certo loro ad aver spinto il Comando della Polizia di Roma Capitale a redigere la circolare “urgente” numero 2020/0000047, avente protocollo RH/2020/0062944 del del 13/03/2020 (per gli appassionati di “fact checking”, quelli che vogliono verificare che non si tratti di “fake news”, il testo è disponibile qui sul sito di Confcommercio) e riguardante le iniziative volte a contrastare il diffondersi della micidiale epidemia di COVID-19. L’innesco del provvedimento è stato individuato dai più profondi conoscitori di quella “pellicola”, ovvero dagli spettatori più attenti cui non è sfuggito che il taglieggiatore delle galassie attorno al Pianeta Druida è il ripugnante gangster “Pizza Margherita”. Tra i vertici dei vigili urbani qualcuno ha ricordato l’imprescindibile dettaglio e – temendo per le sorti universali – ha deciso di porre dei vincoli ferrei alla attività di panificazione che rientra tra quelle consentite nel delicato periodo di emergenza. Il provvedimento dei “pizzardoni” (manco a farlo apposta questo è il nomignolo che storicamente etichetta i vigili urbani di Roma, come a Milano si parla di “ghisa”) ribadisce la liceità “oltre alla preparazione di vari tipi di pane e grissini, anche la preparazione di pizza e focacce tipiche di panificazione sia bianche (semplici o condite con olio e rosmarino) sia rosse (condite al pomodoro ed olio) e di pasticceria secca”. Ma, attenzione, perché la frase successiva riserva una incredibile sorpresa: “Non si deve considerare compresa la pizza condita e farcita diversamente”. E’ bastata poco più di una riga per mettere fuori legge la pizza margherita, quella piccante con il salamino (colpevole questa di bruciori e pruriti per i troppo golosi), la “vegetariana” con tante verdure e ogni altra interpretazione del piatto napoletano protetto dall’UNESCO, ma messo al bando dal Campidoglio. Impressiona – e non poco – quel “condita e farcita diversamente” perché potrebbe essere criminale anche il solo aver aggiunto un pizzico di origano o un minuscolo spicchio di aglio oppure una singola oliva. L’unica eccezione fatta è per il rosmarino, però – si badi bene – testualmente previsto in abbinamento con l’olio sulla pizza bianca… Non è dato sapere se la pizza comprata antecedentemente alla circolare della Polizia di Roma Capitale rientri nel divieto, se faccia fede la data di scadenza per quella surgelata, se quei bricconi che ne sono entrati in possesso (magari accampando una certo discutibile buona fede) possono cavarsela con una semplice “autodichiarazione”, se il trancio “quattro stagioni” costituisca un vero e proprio corpo di reato e se l’averne comprato un pezzo per l’anziana vicina di casa configuri la fattispecie di ricettazione (anche per via della “ricetta” tradizionale…) al momento del rimborso della somma anticipata in panetteria…
Sì, l’avvocato non chiude. Ma non deve neppure rischiare la salute. Stefano Bigolaro, Consigliere Unione nazionale avvocati amministrativisti, su Il Dubbio il 22 Marzo 2020. Il decreto appena firmato da Conte e Speranza esclude, certo, gli studi legali dalla sospensione delle attività produttive. Il Dl “Cura Italia”, però, ha opportunamente sospeso non solo tutti i termini processuali e sostanziali, ma anche i termini dei procedimenti amministrativi. Vuol dire che anche noi difensori attivi in tale settore non dovremo mettere a repentaglio l’incolumità di alcuno pur di rispettare scadenze non urgenti. È una tempesta perfetta, è stato detto. In alcune Regioni è cominciata prima e ha colpito più duramente, ma i confini amministrativi non tengono. Gli effetti sono quelli di una guerra. Quel che è peggio, al momento non se ne vede la fine: anche per l’estensione, diventata ormai globale. Dal (minuscolo) punto di vista del singolo avvocato, è sì importante poter continuare l’attività di studio: ciò che al momento è consentito dalle disposizioni del Dpcm 22.3.2020 (che espressamente escludono le attività legali dalla sospensione delle attività produttive e commerciali). Ma è anche importante non dover fronteggiare compiti divenuti impossibili. Non vedersi cioè costretti – in un momento del genere – a compiere adempimenti processuali che possono essere rinviati e che non si è ora in grado di compiere. Le scadenze processuali impongono infatti un’attività che non è incorporea: produrre atti, memorie e documenti presuppone rapporti con i clienti, con gli uffici pubblici, con i colleghi e i collaboratori, con le segretarie di studio, con altri professionisti. Una tale attività è divenuta praticamente impossibile per il necessario “coprifuoco” di queste settimane. E il suo svolgimento implica comunque una grave responsabilità sociale (pur se – come detto – non si pone di per sè in contrasto con il DPCM 22.3.2020). Né il “telelavoro”, divenuto improvvisamente l’unico strumento possibile, sembra consentire ora all’avvocato di svolgere pienamente la sua funzione e di fornire una difesa effettiva, in una realtà che non è quella virtuale. A parte poi il rischio che tutto venga vanificato da un banale errore di connessione… (come spesso succede). Restano dunque da presidiare le urgenze: su quelle, nei modi possibili, va assicurata la tutela. Ma, tolte quelle, è fondamentale – anche nella giustizia amministrativa – sospendere i termini e poter rinviare adempimenti e udienze. Garantire la funzione della giustizia, ma per quanto sia indispensabile e compatibile con la situazione emergenziale in atto. E, naturalmente, è necessario che si tenga conto di quali drammatiche conseguenze economiche tutto ciò sta producendo. In un momento del genere, poi, tutto dovrebbe essere reso il più semplice e chiaro possibile per le poche attività processuali che davvero devono essere compiute ora. Ma così non è, ad esempio, a leggere la disciplina posta in tema di giustizia amministrativa dall’art. 84 del decreto legge 18. Disciplina quanto mai complessa (tant’è che ha reso subito necessaria una direttiva esplicativa del presidente del Consiglio di Stato). Si è creato quasi un rito nuovo, pur se provvisorio, che in altri momenti sarebbe stato interessante approfondire. Non ora. Ora importa che – al di fuori delle vere urgenze – nessuno sia costretto al rispetto di termini rinviabili e che non sia nelle condizioni di rispettare; e ciò fino al 15 aprile prossimo (o meglio, fino a quando la situazione non cambierà). Anche perché c’è una realtà corrispondente che intanto frena e si ferma: quella delle pubbliche amministrazioni. Vanno di pari passo, l’attività amministrativa e il processo amministrativo. La sospensione feriale dei termini processuali è cosa ben nota (anche se, disposta ora, del tutto eccezionale). Ma la novità è che vengono sospesi, fino (almeno) al prossimo 15 aprile, anche i termini dei procedimenti amministrativi. E’ l’art. 103 del decreto legge 18. Una novità assoluta, che riguarda sia le amministrazioni che i privati: in questo periodo, e fino al 15 aprile, i termini non scadono (“a latere”, c’è nel d.l. una sorta di invito alle amministrazioni a fare del proprio meglio per svolgere comunque le loro funzioni). E’ una disciplina – beninteso – che non esclude il potere di provvedere. Ma che si salda alle difficoltà concrete che incontrano oggi le amministrazioni: costrette a far fronte a una calamità, fatte di persone la cui incolumità va protetta, e non sempre in condizione di riconvertirsi al “telelavoro” in tempi immediati. Forse, in alcuni casi, potrebbero essere i privati ad attivarsi, ad esempio con il meccanismo della Scia; ma comunque a proprio rischio, potendo ora non esserci, dall’altra parte, un soggetto pubblico in grado di esercitare quei poteri di verifica e di intervento che sono alla base del sistema. La situazione generale, inoltre, è in continua evoluzione; e quindi è opportuna una disciplina derogatoria assai ampia e in grado di adattarsi agli sviluppi dell’emergenza sanitaria. La sospensione, e in certi casi la paralisi, dell’attività amministrativa rende infine inutile preoccuparsi che si crei un accumulo nella giustizia amministrativa tra ciò che oggi viene rinviato e ciò che ci sarà domani: domani, probabilmente, l’attività amministrativa sarà così scarsa da non generare un contenzioso significativo. La situazione è totalmente nuova, e mutevole essa stessa. E, come diceva Montale, la storia non è maestra di niente che ci riguardi. La realtà non va interpretata con schemi mentali che sono stati improvvisamente superati. Serve la capacità di vederla per com’è ora e per come cambia di giorno in giorno.
Alessandra Ziniti per “la Repubblica” il 26 marzo 2020.
Fino a quando in Italia non ci si potrà spostare?
Le forti limitazioni alla mobilità, che adesso prevedono anche il divieto di spostamento da dove ci si trova a un altro Comune - se non per motivi di lavoro, di salute o necessità - resteranno in vigore per altri nove giorni. Ieri la ministra dei Trasporti Paola De Micheli ha firmato la proroga fino al 3 aprile. Poi si valuterà secondo l'evolversi dell'epidemia. Intanto i cittadini italiani dovranno ancora orientarsi tra le norme nazionali e quelle locali, talvolta più restrittive, anche queste confermate fino al 3 aprile. Ieri la Campania ha prorogato l'obbligo di non uscire da casa fino al 14 aprile.
Gli aerei funzionano ancora? I treni sono stati ridotti?
In seguito alle ulteriori limitazioni che vietano lo spostamento da un Comune all'altro - anche per tornare alla propria residenza - aerei, treni e traghetti sono stati ulteriormente ridotti. Ieri il ministero dei Trasporti ha disposto nuovi tagli a Frecce e Intercity, otto corse al giorno, una sola in andata e ritorno sulla direttrice Torino-Napoli. Nelle città con due stazioni, i treni fermano ad una sola per facilitare i controlli delle forze dell'ordine.
Con le auto private ci si può spostare liberamente?
No, anche gli spostamenti in auto, naturalmente, sono vietati se non con le stesse eccezioni. È possibile trovare lunghi incolonnamenti in autostrada causati dai controlli a tappeto delle forze dell'ordine. Calabria e Sicilia hanno chiuso le porte a arriva dal resto d'Italia.
Taxi e car sharing funzionano come sempre?
I taxi sono disponibili anche se i Comuni hanno ridotto il numero delle macchine presenti. Mai più di due clienti e solo sul sedile posteriore. Possono essere fermati per i controlli ma naturalmente a dover giustificare la legittimità dello spostamento saranno i clienti. I tassisti non dovranno chiedere alcuna autorizzazione.
Gli alberghi e i bed and breakfast sono aperti?
Sì, ovunque tranne in Lombardia. Anche in questo caso non spetta ai titolari degli alberghi chiedere alcuna giustificazione ai clienti considerato che restano consentiti gli spostamenti per lavoro o per motivi di salute o per assistere una persona.
Esistono zone d'Italia in cui non si può andare?
Sì, e sono sempre di più, dalla Valle d'Aosta alla Sicilia. Sono aree dichiarate zone rosse da Regioni e Comuni in cui vige il divieto assoluto di entrare e uscire come è stato per Codogno e Vo'.
Le frontiere italiane sono ancora aperte?
Sì, anche se la maggior parte delle compagnie aeree ha sospeso i voli si può entrare e uscire dal Paese con l'autocertificazione per motivi di lavoro, di salute o di necessità. Chi arriva deve rimanere in quarantena per 14 giorni a meno che non si fermi, per motivi di lavoro, e per non più di 72 ore.
È consentito agli italiani all'estero far ritorno a casa?
Chi è stato sorpreso fuori dall'Italia dal decreto, che sia turista, studente o lavoratore, è autorizzato a tornare a casa se il suo impegno all'estero è terminato anche se regioni come la Sicilia stanno cercando di chiudere le porte anche a loro. La Farnesina sta sollecitando diverse compagnie aeree a organizzare voli straordinari per consentire il ritorno in patria di migliaia di persone.
I pendolari che lavorano in un altro Comune come fanno?
Se nel Comune di lavoro non si dispone di un'abitazione o di un luogo dove poter dormire è consentito spostarsi anche quotidianamente per far ritorno a casa propria anche se in un Comune diverso.
È possibile andare a fare la spesa in un altro Comune?
Di norma è previsto che ci si rifornisca di generi alimentari nel supermercato più vicino a casa ma se questo ricade nel territorio di un Comune contiguo lo spostamento è autorizzato.
È consentito spostarsi per andare a trovare i figli?
Sì, se si è genitori separati è consentito uno spostamento di necessità. Se invece si lavora in un posto diverso da quello in cui risiede la famiglia, in questo momento non è consentito tornare a casa per vedere i figli.
Da repubblica.it il 28 marzo 2020. Da oggi entrano in vigore disposizioni severe per chi fa ingresso in Italia tramite trasporto di linea aereo, marittimo, ferroviario o terrestre e misure organizzative, tra le quali l'obbligo per le compagnie di fornire mascherine ai passeggeri e per l'equipaggio di utilizzare i dispositivi di protezione. L'ordinanza firmata dalla ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli e dal ministro della Salute Roberto Speranza prevede anche la misurazione della temperatura ai viaggiatori in arrivo, anche se asintomatici. Chiunque arriva nel territorio nazionale dovrà consegnare all'imbarco una dichiarazione che, in modo chiaro e dettagliato, specifichi i motivi del viaggio, l'indirizzo completo dell'abitazione o della dimora in Italia dove sarà svolto il periodo di sorveglianza sanitaria e l'isolamento fiduciario, il mezzo privato o proprio che verrà utilizzato per raggiungerla e un recapito telefonico anche mobile presso cui ricevere le comunicazioni.
Coronavirus, sì alle passeggiate figli-genitore: “Non creano assembramento”. Le Iene News il 31 marzo 2020. Il Viminale apre alle passeggiate coi bambini purché accompagnati da un solo genitore nei pressi della loro abitazione. Nei giorni scorsi i ministeri della Salute e della Famiglia e Pari opportunità hanno chiesto attenzione in vista della proroga dei divieti. Passeggiare con i propri figli nei pressi di casa è consentito. Il Viminale specifica in una nota che sarà possibile portare i figli di età compresa tra i 0 e i 18 anni all’aria aperta. Nei giorni scorsi i ministeri della Salute e della Famiglia e Pari opportunità hanno chiesto "l'opportunità di riservare particolare attenzione all'attività motoria in sicurezza dei bambini alla luce della proroga delle misure restrittive per contenere la diffusione del coronavirus in Italia". Ormai è prevedibile che le misure restrittive introdotte con il decreto #iorestoacasa verranno prorogate da venerdì 3 aprile per almeno altre due settimane fino a sabato 18. “Nella riunione del comitato tecnico scientifico è emersa la valutazione di prorogare tutte le misure di contenimento almeno fino a Pasqua. Il governo si muoverà in questa direzione”, ha affermato il ministro della Salute, Roberto Speranza. Le prime ad aprire potrebbero essere le aziende legate alle filiere alimentari e farmaceutiche purché osservino le distanze minime tra gli operai. Intanto oggi il Viminale in una nota inviata ai prefetti apre alla possibilità di portare i bambini a passeggio: “I figli minori possono fare una passeggiata con uno dei genitori nei pressi della propria abitazione perché si tratta di un’attività motoria e non di uno sport all’aperto”, si legge nella circolare a firma del capo di gabinetto Matteo Piantedosi. Una specifica che chiarisce meglio le questioni su spostamenti e assembramenti. La semplice camminata “può essere ricondotta alle attività motorie all’aperto, purché in prossimità della propria abitazione” e “non va intesa come equivalente al jogging”. Così facendo il divieto di assembramento non può ritenersi violato dalla presenza in spazi all’aperto di persone ospitate nella medesima struttura di accoglienza (case-famiglia), ma chi arriva dall’esterno “è tenuto al rispetto della distanza e all’uso dei dispositivi di protezione, guanti e mascherine”. In queste non sono comprese le attività ludiche come l’utilizzo di giochi nei parchi che potrebbero creare assembramenti.
Coronavirus, Viminale: sì a passeggiata con figlio, disabile o anziano. L'ira dei governatori. Consentita, oltre allo jogging a anche la camminata nei pressi di casa, da soli. Gallera e De Luca: "Abbassare la guardia è un messaggio irresponsabile". Il Viminale: "Solo dettagli interpretativi, uscire da casa deve essere sempre motivato". Alessandra Ziniti il 31 marzo 2020 su La Repubblica. Che un genitore porti il figlio minore con sé a prendere una boccata d'aria camminando nei pressi della propria abitazione va bene, ma nessun giro in bici o con il monopattino, escluso tirare due calci con la palla. Insomma passeggiata sì e basta, ma nulla che sia gioco o altre attività sportive. Nulla cambia invece per gli adulti ai quali resta sempre consentito fare jogging da soli nei pressi di casa o, per chi preferisce - chiarisce oggi il Viminale - anche una semplice camminata. Insomma, correre o camminare sono da intendersi entrambi come "attività motoria" consentita. Il ministero dell'Interno risponde con uno spiraglio di apertura alle pressanti richieste di chiarimento sulle uscite consentite per i bambini ma lo fa con una circolare ai prefetti (pubblicata sul sito del Viminale) che chiarisce bene i limiti per evitare che nei prossimi giorni, con le belle giornate e dopo tanti giorni costretti in casa, si riversino in strada migliaia di genitori con i bambini. E però la circolare provoca le dure reazioni di alcuni amministratori locali, dal presidente della Campania De Luca all'assessore regionale della Lombardia Gallera che accusano il ministero dell'Interno di "irresponsabilità". Ma dal Viminale precisano: "Nessuna apertura, solo dettagli interpretativi di un quadro normativo vigente. Uscire da casa deve sempre essere motivato". E dunque - si legge - "E' da intendersi consentito, ad un solo genitore, camminare con i propri figli minori in quanto tale attività può essere ricondotta alle attività motorie all'aperto, purché in prossimità della propria abitazione". E naturalmente, trattandosi di bambini che abitano nella stessa casa, non è prevista la distanza minima di un metro. La nuova circolare dà ulteriori "chiarimenti" sui divieti di assembramento e spostamenti a causa dell'emergenza coronavirus. Precisando che l'attività motoria consentita non è solo quella prettamente sportiva, come lo jogging, ma anche una camminata per chi non può o non vuole correre è da annoverarsi come attività motoria.
Passeggiate e jogging: cosa è permesso. "L'attività motoria generalmente consentita - precisa il testo - non va intesa come equivalente all'attività sportiva (jogging)". Possibile quindi, per chi non può o non vuole correre, a cominciare dagli anziani, camminare "in prossimità della propria abitazione" ma resta "non consentito svolgere attività ludica o ricreativa all'aperto ed accedere ai parchi, alle ville, alle aree gioco e ai giardini pubblici". Ma non solo. Il ministero dell'Interno dà il via libera anche ad alcuni movimenti che riguardano anziani e disabili. Chiarendo ad esempio che, se in una struttura in cui coabitano persone come in una casa famiglia, esiste uno spazio all'aperto è consentito portarvi gli ospiti fermo restando però che le persone che vi accedono dall'esterno ( dai familiari agli operatori ai fornitori) dovranno rispettare le distanze interpersonali e utilizzare mascherine e guanti. Sì anche alle passeggiate sempre nei pressi della propria abitazione di anziani e disabili accompagnati da persone che ne curano l'assistenza. Questo tipo di uscita - si legge nella circolare firmata dal capo di gabinetto Matteo Piantedosi - "è riconducibile a motivazioni di necessità o salute". E viene chiarito che, così come il decreto del pre, insomma. Per evitare interpretazioni troppo restrittive che nei giorni scorsi hanno portato a sanzioni anche di genitori che passeggiavano attorno a casa con i figli, la circolare dispone che "queste indicazioni vengano estese alle forze di Polizia quotidianamente impegnate nella ricerca di un giusto equilibrio tra l'attenta vigilanza sulla corretta osservanza delle misure e la ragionevole verifica dei singoli casi". Aperture che non sono state prese bene perché ritenute pericolose proprio nel momento in cui i contagi stanno rallentando. "Non è questo il momento di abbassare la guardia. La circolare diffusa dal ministero dell'Interno rischia di creare un effetto psicologico devastante vanificando gli sforzi e i sacrifici compiuti finora", afferma l'assessore al Welfare della Regione Lombardia, Giulio Gallera che aggiunge: "Il provvedimento ministeriale potrebbe essere inteso come un segnale di allentamento delle misure di contenimento assunte finora. Misure rigide, importanti, che hanno però consentito di contenere la curva dei contagi del coronavirus. La luce in fondo al tunnel rischia di allontanarsi o di spegnersi del tutto nel momento in cui vengono trasmessi messaggi ambigui: l'indicazione utile per tutti deve essere quella di rimanere a casa, ancora per qualche settimana. Solo così riusciremo a sconfiggere questo nemico subdolo e invisibile". Ribadisce il divieto assoluto di passeggiate e jogging in Campania il governatore De Luca: " Considero gravissimo il messaggio proveniente dal ministero dell'interno, relativo alla possibilità di fare jogging e di passeggiare sotto casa. Si trasmette irresponsabilmente l'idea che l'epidemia è ormai alle nostre spalle. Si ignora tra l'altro, che vi sono realtà del paese dove sta arrivando solo ora l'ondata più forte di contagio. Si rischia, per una settimana di rilassamento anticipato, di provocare una impennata del contagio".
Gli appelli per i bambini. La nuova circolare arriva dopo numerosi appelli a concedere di uscire ai bambini, seppure con limitazioni. In un comunicato congiunto dei ministeri della Salute e della Famiglia e Pari opportunità si cita infatti "l'opportunità di riservare particolare attenzione all'attività motoria in sicurezza dei bambini alla luce della proroga delle misure restrittive per contenere la diffusione del coronavirus in Italia". In quest'ottica l'obiettivo "è consentire a tutti i soggetti in età evolutiva, ossia i minorenni con un età compresa nella fascia d'età 0-18 anni, di poter svolgere attività motorie e ludiche all'aria aperta, ma sempre accompagnati da un familiare, nel rispetto del distanziamento sociale, con un rapporto adulto/minore di 1:1, a meno che non si tratti di fratelli o minori conviventi nella stessa abitazione. In questo caso il rapporto adulto/minore potrà essere 1:n (n = numero fratelli o conviventi)".
· L’Emergenza non è uguale per tutti.
Obblighi e divieti non sono per tutti, ci sono vite che valgono di meno. Lea Melandri de Il Riformista il 25 Marzo 2020. Quando sono gli eventi a caderci addosso con tutta la loro imponderabilità, a spogliarci inaspettatamente delle nostre abitudini e a farci temere per la nostra vita, è inevitabile che siano le emozioni a prendere il sopravvento sull’oggettività dei nostri giudizi, a sovvertire gerarchie di valori, a decidere che cosa è necessario e cosa non lo è. È capitato spesso in questi giorni di assistere a contrapposizioni e alternative anche là dove non sussistono, amplificate, come spesso capita, dalla suscettibilità che è propria della comunicazione sui social. Si può dire che hanno contribuito a questo anche le ordinanze e gli inviti insistenti di governanti, sindaci, presidenti di regione, giornalisti, medici e ricercatori. Il conflitto dai toni più aspri non poteva che essere quello che ha visto collocati su sponde opposte il comportamento dei singoli e l’interesse della popolazione nel suo insieme, una inimicizia storica tra privato e pubblico, individuo e collettivo, che, in condizioni di pericolo comune, assume una particolare evidenza. Contro gli sportivi e i cittadini che non hanno voluto rinunciare alla loro passeggiata, con o senza cane, o all’incontro con amici, sia pure per strade o in parchi quasi deserti, i divieti venuti dalle autorità istituzionali e, per un altro verso, le ire di quanti hanno rispettato la buona regola di “restare a casa”, hanno finito per fondersi in un unico coro di insulti e minacce agli “ untori”, agli “irresponsabili”, facendone una sorta di “capro espiatorio”, come già ci avevano abituato le politiche salviniane. Eppure sarebbe bastato un ragionamento elementare sulla libertà e i suoi limiti per evitare animosi schieramenti: la possibilità che ha il singolo di correre e passeggiare alla distanza necessaria per evitare il contagio è garantita solo dal fatto che altri stanno in casa. Scoprire che siamo dipendenti gli uni dagli altri, non solo nel bisogno e nella vulnerabilità ma anche nei desideri, mette a dura prova la centralità che ha sempre avuto l’interesse personale, prima ancora che il neoliberismo facesse dell’ io “l’imprenditore di se stesso”. Viene allo scoperto, in altre parole, la rimozione che l’individuo fa del sociale, analoga a quella opposta del sociale nei suoi confronti. Irresponsabilità, cattiva educazione, familismo italico? L’occasione per affrontarlo potrebbe essere l’eredità positiva che il coronavirus lascia al futuro. Per ora è la reazione, comprensibile anche se viscerale, di una parte della popolazione, in mancanza di regolamenti più chiari da chi ci governa. Altro motivo di prevedibili contrapposizioni, in questo più giustificate, è il rilievo che ha preso la questione delle uscite sportive rispetto al duplice ricatto che ha continuato a tenere finora i lavoratori nelle fabbriche: la paura del contagio per sé e la propria famiglia e la perdita di una entrata economica indispensabile. La lentezza con cui il governo è arrivato finalmente a chiedere la chiusura delle attività produttive non essenziali per la sopravvivenza, ha messo allo scoperto ciò che già sappiamo ma che dimentichiamo in fretta, e cioè che ci sono vite che contano meno di altre, che le persone, in una società fondata sul profitto, vengono dopo le cose, che dietro l’ “interesse sociale” si nasconde spesso il privilegio di pochi. Infine, anche se di minor conto, non è mancata la protesta per quei pochi segnali di conforto e solidarietà che passano a ore fisse del giorno da finestre aperte tra casa e casa – cenni di saluto, applausi, qualche nota musicale – sentiti da alcuni come offensivi per chi vive in questo momento la drammaticità di tanti lutti. Ora, è proprio la scoperta che ad accomunarci è la morte, sia come limite naturale di ogni vivente che come pericolo che arriva inaspettato in un passaggio della nostra storia, a farci riflettere su quanto abbiamo trascurato finora il piacere di fermare anche per pochi minuti, lo sguardo sul “vicino” che ci è passato accanto per anni e che non abbiamo mai visto, perché lo abbiamo considerato “un estraneo”.
Alessandro Barbano per corrieredellosport.it il 25 marzo 2020. Si sprecano in questi giorni interviste a calciatori e vip, pronti a giurare che il virus ci ha cambiato e che da questa tragedia usciremo «homines novi», cioè migliori. Poi arriva in soccorso la beata ingenuità delle loro fidanzate a provare il contrario. E a dimostrarci che, anche di fronte all’emergenza, l’Italia resta un Paese duale, dove chi può si aggiusta e chi non può si arrangia. La prima fidanzata, a cui dobbiamo uno spicchio di questa amara verità, è Oriana Sabatini, compagna di Dybala, che in un video su Instagram qualche giorno fa rivela: «Io, Paulo e un’altra persona che vive a casa con noi abbiamo fatto il test per vedere se avevamo il coronavirus: sono arrivati i risultati e siamo tutti positivi». La circostanza non sfugge a Selvaggia Lucarelli, che in un tweet si chiede perché «in Lombardia non stiano facendo tamponi a gente moribonda» e a casa Dybala, invece, i tamponi arrivano a richiesta. Esiste, si chiede la collega, una corsia preferenziale per i vip? La risposta è evidentemente sì. Nella notte più buia della sua storia repubblicana l’Italia si conferma il Paese dei due tamponi e delle due misure. Se sei una dei due milioni di colf e badanti immigrate che puliscono le nostre case e assistono i nostri anziani, e in queste settimane di paura e di clausura hai perso il lavoro, non puoi farci nulla. Il governo nel suo decreto Cura Italia si è ricordato di tutti, tranne che di te. Fai parte di quella che Luca Ricolfi, nel suo bel libro «La società signorile di massa», chiama l’infrastruttura paraschiavistica, su cui si regge una comunità che lavora poco e consuma molto. Se invece sei la ragazza del più bravo, ancorché non più famoso campione juventino, le cose vanno diversamente. Ti ammali con lui, ma puoi curarti in fretta. Certo, alla silenziosa Georgina è andata meglio. La mattina successiva a Juve-Inter si è imbarcata su un volo privato con il suo Cristiano, e non è tornata più. Era il nove marzo, e CR7 quel giorno era di riposo. Il dieci ha chiesto un permesso e l’undici ha fatto sapere che ne stava comodo in Portogallo. Se poi, tra una preghiera e l’altra al capezzale della madre malata, gli capita di esibire su Instagram il torace da Hulk mentre prende il sole nella sua mega piscina, nessuno deve adontarsi. Lo fa certamente per mandare un messaggio di speranza ai suoi adoranti tifosi, chiusi in casa con la mascherina. Ma tenete a mente le date qui citate. Perché è sulle date che la terza fidanzata si confonde. La terza fidanzata è Michela Persico: al sito Tpi, che la intervista, dice che il suo Rugani, primo calciatore della serie A positivo al coronavirus, si sente male con un po’ di febbre sabato sette, tanto da restare a dormire per precauzione nel residence della Continassa. Dice anche che il giorno dopo, l’otto, la Juve gli fa il tampone e il nove giunge il verdetto. Apriti cielo: vorrebbe dire che Rugani è stato portato con la febbre in panchina per Juve-Inter. La società smentisce e la ragazza si corregge, ma correggendosi sbaglia ancora: dice che il tampone risale a martedì dieci. Vorrebbe dire che il difensore si è sentito male in allenamento lunedì nove, giorno di riposo. Tanto più che la Juve esibisce una foto in cui Rugani si allena, che sarebbe stata scattata proprio martedì: il tampone, giura il club, è stato fatto solo mercoledì undici, e il giorno stesso è stata annunciata la positività. Per fortunata che sia, una fidanzata confusa non gode di maggiore credibilità di una società che ha vinto gli ultimi otto scudetti. E il caso finisce qui. Resta il fatto che, nel giorno in cui il governo annuncia multe salate per chi viola i divieti, sui social impazzano le foto degli juventini fuggiti a casa, prima che scadessero i 14 giorni di isolamento previsti dalla legge. Ce n’è una di Douglas Costa che dà una spiegazione persuasiva dei «gravi e comprovati» motivi che giustificano l’abbandono del proprio domicilio: ritrae lui a torso nudo in piscina, e in primo piano la sua procace fidanzata con un costume leopardato. Sopra c’è scritto: «Meu amor, @nathaliafelix». Anche in questo caso l’Italia si conferma un Paese a due tamponi e due misure. Perché, dopo la positività di Rugani, i campioni juventini sono stati posti tutti in «isolamento volontario domiciliare», sotto la sorveglianza sanitaria dei medici sociali, come precisa il Direttore del Dipartimento di Prevenzione dell’Asl di Torino, Roberto Testi, in un’intervista alla Gazzetta dello Sport. Senonché, o Testi non conosce la legge, che dispone invece all’articolo 1 del decreto del 21 febbraio la «quarantena obbligatoria» - dice proprio così: obbligatoria - per chiunque sia stato a diretto contatto con persone positive a Covid 19, oppure alla Asl di Torino e in casa Juve le leggi non valgono. In un caso e nell’altro le leggi non servono più: gli juventini sono tutti a casa. Felici e contenti. E noi rischiamo per portare il cane a far la pipì.
Continua il viavai dei migranti. FdI: "Multe alle cooperative". Nel VI Municipio continua il viavai dei migranti ospitati nelle strutture di accoglienza. Fratelli d'Italia chiede "multe alle cooperative" e "controlli mirati". Elena Barlozzari, Giovedì 26/03/2020 su Il Giornale. "Non è cambiato nulla, gli ospiti dello Sprar continuano a fare come gli pare". Riccardo è sconfortato, si sfoga per telefono, non riesce a trattenere la rabbia. "La gente è stanca, questa disparità di trattamento rischia di scatenare una guerra tra poveri", ci dice. Lui è uno dei residenti del VI Municipio, alla periferia est della Capitale, che nelle scorse settimane hanno denunciato il viavai di migranti da alcune strutture di accoglienza presenti sul territorio. Prima dallo Sprar di via di Tor Vergata, poi da quello di via della Riserva Naturale. In entrambi i casi le scene erano le stesse. Ed i cittadini le avevano documentate con fotografie e video. Immagini che hanno fatto il giro dei social network, lasciando davvero poco spazio alle congetture. L'emergenza coronavirus è arrivata anche a Roma, la città è praticamente deserta, eppure gli stranieri si allontanano indisturbati dai centri di accoglienza. Si muovono in gruppo, senza rispettare la distanza interpersonale e senza mascherine. Il caso era presto salito agli onori della cronaca, aveva fatto parlare i giornali per qualche giorno. Dopodiché si sono spenti i riflettori, ma il problema non è stato risolto. Una vera beffa per quei romani che da settimane se ne stanno chiusi in casa, e per chi ha abbassato la saracinesca e adesso rischia il baratro. Ma anche uno schiaffo all'intero Paese, che lotta senza quartiere contro un nemico terribile come il Covid-19. "Anche oggi - prosegue Riccardo - gli ospiti del centro di via della Riserva Naturale erano a spasso". "Quel posto è un porto di mare, li vediamo andare e venire a tutte le ore del giorno e della notte, il cancello è sempre aperto e non c'è nessun tipo di vigilanza, neppure ora che spostamenti e assembramenti sono vietati". "Passano le giornate nel parchetto vicino al centro, cucinano, bivaccano e nessuno gli dice niente", denuncia Riccardo. Sulla questione è intervenuto anche Nicola Franco, consigliere di Fratelli d'Italia in VI Municipio. "Sul nostro territorio insistono i due terzi degli Sprar romani, stiamo parlando di una ventina di strutture che ospitano circa duemila persone", spiega il consigliere. "Se non si mette un freno ai continui spostamenti - avverte allarmato - rischiamo un picco di contagi, il quartiere è in subbuglio e ogni giorno arrivano nuove segnalazioni". "Abbiamo provato a chiedere chiarimenti alle cooperative che gestiscono i centri, ma è stato un buco nell'acqua - annota con amarezza - dicono che non possono sequestrarli". Una risposta pilatesca per l'esponente di centrodestra. "Il governo ha inasprito le sanzioni per chi aggira le misure restrittive, bene, propongo che a pagarle siano le cooperative". Il fenomeno è stato anche oggetto di un'interrogazione parlamentare presentata dal vicepresidente della Camera Fabio Rampelli. "La scorsa settima ho scritto al premier Conte e ai ministri Lamorgese e Speranza - racconta il deputato - ma ancora non ho ottenuto risposta". "Domani stesso chiamerò il questore per chiedere controlli mirati e soprattutto che vengano presi provvedimenti contro chi gestisce gli Sprar in una maniera così scriteriata, in ballo c'è la salute pubblica", chiarisce. Il sospetto, aggiunge Rampelli, è che "all'interno dei centri non venga fatta nessuna attività di informazione, se gli ospiti fossero messi a conoscenza dei rischi che corrono, probabilmente, ci penserebbero due volte prima di uscire".
Pietro Senaldi: "Gli immigrati possono evitare la quarantena da coronavirus". Pietro Senaldi su Libero Quotidiano il 18 marzo 2020. La pandemia alza muri che sembravano anacronistici e ne abbatte altri che ormai parevano indistruttibili. L' Unione Europea ha cancellato Schengen in ventiquattr' ore e ripristinato i confini tra gli Stati membri, certificando che di fatto non si è mai costituita politicamente. Ha anche alzato le frontiere esterne e impedito a chiunque l' accesso, dimostrando che l' immigrazione dall' Africa si può fermare e che i diritti umanitari non sono assoluti ma variano secondo interessi e contingenze. I muri crollati invece sono quelli eretti dal pensiero progressista, che ambiva a essere unico ma si è fracassato contro la realtà: l' Unione europea non è buona, l' austerità è soltanto una moda, gli immigrati non sono risorse e per integrarli non basta la nostra volontà.
Raduni illegali - La prova si ha girando nelle strade delle nostre città, dove tutti camminiamo distanziati, in ossequioso rispetto del divieto di assembramento. Ci facciamo i complimenti a vicenda per quanto siamo inaspettatamente diligenti. I trasgressori sono una sparuta minoranza, ci diciamo confortati, anche se in quattro giorni le autorità ne hanno pizzicati più di quanti non ne abbia contagiati il virus in un mese. La prima cifra tuttavia, più grande, ci tranquillizza, mentre quella più piccola ha generato una vera e propria psicosi di massa. Misteri insondabili dell' animo umano. C' è un' eccezione però alla diligenza italica che neppure il buonista con gli occhi più foderati di prosciutto di tutti può evitare di vedere. In barba a qualsiasi divieto, gli immigrati formano capannelli nelle strade delle nostre città che sembrano comitati d' accoglienza al virus. Ieri a Milano c' è stato perfino un duello rusticano tra bande rivali, con i più scrupolosi che si menavano dotati di mascherina. Eppure non sembrano immuni, visto che nei centri d' accoglienza il morbo sta dilagando. Lo scandalo però non sta qui; anche gli italiani vìolano le norme. Non sono pochi i casi di genitori multati perché al parco i loro bambini erano troppo vicini rispetto alle indicazioni delle autorità. La norma prevede ammende a partire da 206 euro fino a sei mesi di reclusione. Il punto è che mentre i vigili al parco requisiscono il pallone agli allievi delle elementari, nessuno si preoccupa di disperdere gli assembramenti di extracomunitari, come se essi fossero al di sopra delle leggi. Gli immigrati girano indisturbati per le strade senza che nessuno li fermi, come se le autorità dessero per scontato che sono tutti dotati di autocertificazione che li autorizza agli spostamenti per ragioni di lavoro o di necessità.
Rispetto delle norme - Non che si voglia approfittare della situazione per multare i profughi; solo che, se le autorità non pretendono anche da essi il rispetto delle norme che devono mettere in salvo tutti, significa che allo Stato del destino dei non italiani importa poco o nulla. Consentire loro di vìolare norme di salute pubblica equivale a trattarli da cittadini di serie B e certifica il fatto che non solo non li riteniamo integrati ma di fatto neppure parte della nostra comunità, sociale e giuridica. Poiché comunque tutti siamo sempre a Sud di qualcuno, ieri è arrivata anche la notizia che il presidente dell' Alto Adige ha ordinato a tutti i non residenti di lasciare la provincia; anche a quelli che sono a Bolzano da prima del diffondersi del virus. Raus. Zelanti collaboratori dell' amministratore hanno già provveduto a segnalare le dimore dei non residenti; con dei cartelli, beninteso, e non con delle stelle di Davide. Pure in Val d' Aosta chi ha la seconda casa è stato invitato a togliere il disturbo. Anche qui, il governo guarda e tace. Occhio però, perché se le Regioni possono cacciare italiani non residenti soltanto in base al loro domicilio significa che l' Italia non esiste più e il coronavirus, oltre a disgregare l' Unione europea, ucciderà anche il Bel Paese.
Collasso sanitario - Conte e compagni si sveglino. Bolzanini e valdostani adducono come giustificazione l' intenzione di preservare il loro sistema sanitario da un eventuale collasso. Ma allora, in base allo stesso ragionamento la Lombardia, i cui ospedali al collasso già ci sono, potrebbe invitare tutti i non residenti ad abbandonare il territorio. Con due conseguenze: risolverebbe la propria crisi sanitaria e farebbe esplodere il corona nel Paese in un attimo.
· Gli Irresponsabili: gente del “Cazzo”.
Non ho nulla più da chiedere a questa vita che essa avrebbe dovuto o potuto concedermi secondo i miei meriti. Ma un popolo di coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato, istruito, informato, curato, cresciuto ed educato da coglioni. Ed è per questo che un popolo di coglioni avrà un Parlamento di coglioni che sfornerà “Leggi del Cazzo”, che non meritano di essere rispettate. Chi ci ha rincoglionito? I media e la discultura in mano alle religioni; alle ideologie; all’economie. Perché "like" e ossessione del politicamente corretto ci allontanano dal reale. In quest'epoca di post-verità un'idea è forte quanto più ha voce autonoma. Se la libertà significa qualcosa allora ho il diritto di dire alla gente quello che non vuole sentire.
Massimo Gramellini per il “Corriere della Sera” il 12 novembre 2020. Se qualcuno avesse dei dubbi sulla rapidità sconvolgente con cui in un anno è cambiato il nostro modo di guardare il mondo, basterebbe pensare alla parabola delle Sardine. Ricordate? Era il 14 novembre, un giovedì come oggi. A Bologna quattro ragazzi si appellarono alla Rete per raccogliere in piazza Maggiore seimila persone «strette come sardine». Il loro obiettivo era superare la capienza del Palasport cittadino (5750 posti) dove quella sera si sarebbe tenuto il comizio di un politico che all' epoca finiva spesso in prima pagina, mi pare si chiamasse Matteo Salvini. Furono in diecimila a pigiarsi, e lo spettacolo democratico dell' andare in piazza, che adesso è punito come assembramento, venne celebrato come partecipazione. Le Sardine divennero un marchio, la sinistra si innamorò della novità (le capita spesso) e, di piazza in piazza, sotto Natale si arrivò a Roma con il Global Sardina Day, nientemeno. Gomito a gomito e fiato su fiato, quando le mascherine erano ancora considerate una bizzarria da orientali. Mai movimento di massa è stato così rapidamente osannato e ancor più rapidamente trasformato in un movimento di reduci. Appena il portavoce delle Sardine, mi pare si chiamasse Mattia Santori, ha osato richiamarle in piazza a distanza di sicurezza per festeggiare l' anniversario, è stato sommerso di critiche come un sovranista qualsiasi. Addio Sardine, siamo diventati pesci solitari che nuotano in una bolla, nell' attesa di un vaccino o di un ristoro.
Fabrizio Caccia per il “Corriere della Sera” il 14 dicembre 2020. Se non un liberi tutti, poco ci manca. Comunque, una domenica da pazzi, da Nord a Sud, documentata da mille foto e filmati. A Roma, causa lo struscio selvaggio e gli assembramenti di persone, i vigili urbani ieri pomeriggio hanno dovuto addirittura chiudere temporaneamente l' area di Fontana di Trevi e pure due fermate della metropolitana nel cuore del centro storico: «Spagna» e «Flaminio». Ma ovunque è andata così. L' Italia vira al giallo: ormai sono rimaste in arancione solo Campania, Toscana, Valle d' Aosta, Alto Adige ed Abruzzo, eppure anche in queste regioni, complice il bel tempo, grazie ai negozi aperti lo shopping di Natale l' ha fatta da padrone. Da ieri sono tornate gialle pure la Lombardia, il Piemonte, la Calabria e la Basilicata. Risultato? Secondo la Coldiretti hanno riaperto in un giorno (fino alle 18) circa 94 mila tra bar, ristoranti, pizzerie e agriturismi. Eppoi via anche l' obbligo di autocertificazione e il divieto di spostarsi al di fuori del proprio Comune: perciò grandi abbracci, alla stazione di Milano Centrale, tra tutti quelli che hanno potuto ricongiungersi. E ancora: lunghe code ai negozi di corso Buenos Aires e file per l' aperitivo in Galleria Vittorio Emanuele II, a due passi dal Duomo. Tutto esaurito anche nei ristoranti di Bergamo Alta, segnalata folla sulle Mura e sulla Corsarola. E stesse scene in Piemonte: a Torino tavolini sold out ai piedi della Mole, ingorghi di auto e soprattutto di persone in via Garibaldi, come sotto i portici di via Roma e di via Po. Da Nord a Sud: una baraonda. Tanto che il sindaco di Polignano a Mare (Bari), Domenico Vitto, ha rivolto un messaggio accorato ai suoi concittadini: «Molti degli ultimi contagi sono avvenuti a pranzo la domenica. Non dobbiamo fornire al virus occasioni d' oro». Il Codacons, davanti alle immagini dello shopping selvaggio di Napoli e Roma, ha ammonito i sindaci: «Istituite il numero chiuso in certe strade o il vostro Comune dovrà rispondere di concorso in epidemia colposa». Pure nell' arancione Toscana, ieri, migliaia di persone in strada a Pistoia per prendere d' assalto i mercatini di Natale. «Era naturale aspettarselo - ha commentato il sindaco, Alessandro Tomasi - Da una parte c' è la voglia di vivere queste festività in modo più sereno. Dall' altra c' è una necessità estrema per l' economia...». Fiumi di persone hanno riempito anche la zona T pedonalizzata del centro di Bologna: «Molta gente e però molte mascherine», la chiosa del sindaco, Virginio Merola, tuttavia preoccupato. Tra una settimana, ha annunciato, si verificherà se sarà necessario «stringere di più la situazione». E così a Padova, dopo il pienone di ieri, mercoledì è previsto un vertice con il prefetto, Renato Franceschelli, per studiare eventuali nuove chiusure. A Roma, davanti alle immagini di un mostruoso struscio in via del Corso, è arrivato il disperato appello ai cittadini dell' assessore regionale alla Sanità, Alessio D' Amato: «Per favore evitate assembramenti, altrimenti la terza ondata del Covid sarà inevitabile. Lo shopping non deve vanificare gli sforzi fatti. Va mantenuta una linea di rigore». E chi lo sente? Di Fontana di Trevi abbiamo già detto, ma ieri nella Capitale ha riaperto pure lo storico mercato di Porta Portese: bancarelle prese d' assalto. E a Napoli, ancora arancione come l' intera Campania, in tanti se ne andavano a spasso senza mascherina e sono fioccate le multe della polizia municipale, in galleria Umberto, per il mancato distanziamento dei clienti nei negozi. Ma il sindaco, Luigi De Magistris, alla fine è insorto: «Se nel Dpcm c' è scritto che in zona arancione le persone possono uscire, allora queste escono. A me comunque non risultano assembramenti e, anche se si dovessero sviluppare, subito interverrebbero le forze dell' ordine». In allarme il governatore Vincenzo De Luca: «Se vogliamo godere del Natale quest' anno apriremo a gennaio le porte delle terapie intensive e quelle dei cimiteri».
Alessandro Giuli per “Libero quotidiano” il 12 novembre 2020. Come una seconda ondata virale, sabato prossimo le Sardine torneranno sul luogo del delitto antisalvinista in Piazza Maggiore a Bologna. Lì dove un anno fa sfidarono il capo della Lega alla vigilia delle elezioni che avrebbero riconfermato Stefano Bonaccini alla guida dell' Emilia-Romagna. Il motivo di questo nuovo sciamare del banco è poco comprensibile: «Percepiamo che c' è grande sofferenza, vediamo la rabbia nelle strade e la delusione di tante parti della nostra società» e quindi «ci siamo chiesti come essere utili», ha detto la sardina in chief Mattia Santori in una diretta Facebook. Per poi precisare così la modalità del rendersi utili: siccome i pesciolini goscisti credono di essere lontani anni luce dai no-mask e da coloro che con candida ferocia definiscono «negazionisti», hanno deciso di radunarsi per «lanciare un nuovo esperimento» che, in un clima da imminente lockdown pandemico, si pretende Covid-free. Nome in codice: «6.000 caratteri»; svolgimento: «Se non possiamo stare insieme fisicamente non dobbiamo accontentarci di stare insieme digitalmente», sicché chiunque abbia «una storia da condividere, una paura, una perplessità, una speranza per il futuro, un racconto individuale, un racconto politico, una richiesta alla politica, il racconto di un lavoro che non c' è più o appena trovato» è chiamato a scriverci su una letterina da 6.000 battute e dimostrare in tal modo che si può «uscire dagli schermi e dalla bolla che ci porta a pensare che siamo da soli». Secondo le Sardine questo è «il gesto più semplice del mondo», cioè «prendere un foglio, una penna, una busta», vergare in esergo "caro amico ti scrivo", espettorare i propri pensierini e poi trasmetterli alla banda di Santori che s' incaricherà di portare il messaggio nella grande piazza bolognese e consegnarlo al primo che capita...«rispettando ovviamente tutte le distanze e quello che sappiamo non dobbiamo fare». L' evento, rigorosamente analogico dato che non è previsto l' uso di caselle postali digitali, viene corredato dal consueto palinsesto di dolciastre banalità: «La comunità è l' antidoto. Costituisce l' alternativa più credibile all' odio, al conflitto sociale. Ecco perché l' urgenza di continuare a "fare banco", ora più che mai. Ricucire dove altri vorrebbero cogliere l' occasione per strappare, una volta di più. 6.000 caratteri sono due fogli di carta. Due fogli di carta sono mille parole. Mille parole sono un pensiero da condividere, una rabbia da sfogare, una speranza per il futuro. Sono una lettera da regalare a una comunità che si ritrova attraverso le parole». Ma proprio qui, nel bel mezzo delle più fumose banalità, casca l' asino di mare. Perché lo pseudo filantropo Santori e il suo banco di veri censori ittici - a suo tempo hanno invocato «un organo di polizia che garantisca un livello di sostenibilità democratica all' interno dei social network» - s' illudono di poter «rispettare il distanziamento e le norme sanitarie» mentre in realtà si predispongono a diventare uno straordinario veicolo di infezione. Immaginatevi la scena: centinaia di fogli imbustati, maneggiati a casa da altrettanti anonimi potenziali contagiati asintomatici, che prendono a circolare di mano in mano nella piazza più grande di Bologna con destinazione ignota e alla faccia del famigerato Rt0. Roba da zona rossa immediata, stando ai canoni della Giunta di virologi riunita nel Comitato tecnico scientifico. A meno d' immaginare la più plateale sanificazione di massa, come un rituale bagno collettivo nell' amuchina, ci troviamo di fronte a un focolaio annunciato. E a goderne non è certo il virus dell' intelligenza critica contrabbandato dai pescetti emiliani. Altro che 6.000 caratteri, dunque, piuttosto lo si chiami «6.000 sfumature di Covid-19» propagate col ditino alzato dagli ambiziosi ragazzotti che predicano il verbo della neutralità pacifista mentre invadono con spregio del ridicolo ogni aspetto della vita pubblica e privata degli italiani. Da ultimo - e non è nemmeno la cosa più discutibile - l' operazione di fiancheggiamento nei confronti di Gino Strada affinché diventi il prescelto di Giuseppe Conte per commissariare la sanità calabrese (o forse qualcosa di più). Da sabato prossimo, peggio di una Sardina bolognese ci sarà soltanto la Sardina untrice alla cinese.
Bologna, le sardine tornano in piazza e scatenano la rabbia del M5S: «Siete irresponsabili». Bianca Conte mercoledì 11 Novembre 2020 su Il Secolo d'Italia. Sardine e M5S: si consuma lo scontro. Le sardine tornano in piazza. Destando perplessità in tutti. Scatenando la rabbia dei grillini in prima linea. Tornano, lì dove tutto è cominciato: sul Crescentone di Piazza Maggiore. L’occasione è a dir poco auto-celebrativa: i pesci “rossi”, infatti, hanno deciso di festeggiare il primo compleanno del Movimento. Insomma, la squadra ittica, in parte esautorata dal dialogo politico. In parte vittima di autogol e boomerang inferti dagli stessi giovani leader al comando, prova a battere un colpo. E quale occasione migliore per dimostrare la loro esistenza in vita se non la prima ricorrenza di quel flash mob, nato solo in chiave anti-leghista, prima. Non a caso organizzato in concomitanza con il comizio del leader della Lega, Matteo Salvini, al Pala Dozza, per lanciare la candidatura di Lucia Borgonzoni a governatore dell’Emilia-Romagna. E meramente cavalcato, poi, contro tutto il centrodestra unito, una volta acclarate “contaminazioni” e sospetti “pilotaggi” partiti dalle cabine di regia della sinistra. Dunque, in barba a epidemia da Covid e divieti di assembramento, le sardine tornano a farsi vive. Decise a sguazzare nel mare del disorientamento dovuto alla paura sanitaria. E chissà, magari pronte a continuare a dare man forte al governo Conte che annaspa nelle criticità e ormai con l’acqua alla gola. Non a caso, il loro leader in pectore, Mattia Santori, annuncia il ritorno in piazza in pompa magna con una diretta Facebook. In cui il gruppetto di amici e sodali dei dem, proclama caritatevole: «In questo periodo di emergenza Covid percepiamo che c’è grande sofferenza. Vediamo la rabbia nelle strade e la delusione di tante parti della nostra società. E quindi ci siamo chiesti come essere utili». Quanta generosità… Uno slancio sospetto, quello delle sardine, che non è passato inosservato. Specie agli antagonisti che con loro si contendono il dominio sulla piazza: il M5S. La cui capogruppo grillina in Regione Emilia-Romagna, Silvia Piccinini, sull’evento in programma sabato a Bologna, ha infatti dichiarato: «In un momento così delicato come quello che stiamo vivendo. E davanti alla prospettiva concreta di nuove chiusure per cercare di limitare l’avanzata dei contagi, la festa di compleanno delle sardine in piazza Maggiore è da considerarsi assolutamente fuori luogo. Si tratta di un gesto da irresponsabili. Non ci sono altre parole per definirla».
L’invito a fare un passo indietro. E d’altro canto, in giorni in cui tutti contestano le piazze e i lungomari delle nostre città prese d’assalto da migliaia di persone alle prese con shopping e passeggiate. Mentre gli ospedali del belpaese sono al collasso, organizzare una mobilitazione come se nulla fosse è quanto meno distopico. Se non irriverente nei confronti della paura. Delle sofferenze. Dei divieti e dei sacrifici dei più. Dati di fato che, come ribadito anche dalla pentastellata Piccinini, dovrebbero indurre le sardine a fare un passo indietro. Ma dubitiamo che ciò possa accadere.
Marco Pasqua per il Messaggero il 2 novembre 2020. (...) L' irresponsabile voglia di far festa, in un momento in cui gli assembramenti sono vietati perché ad alto rischio contagio, ha avuto la meglio, da Milano a Roma, con eventi organizzati negli hotel, in club sportivi o ville private, preannunciati anche pochi giorni prima sui social. In alcuni casi, le forze dell' ordine sono intervenute e hanno messo fine ai party semi-clandestini che, violavano alcune delle norme anti-contagio contenute nel Dpcm. Ma in altri, si è cenato, ballato e bevuto, rigorosamente senza neanche l' impiego delle mascherine. I casi più eclatanti sono stati registrati nella capitale. A Fiumicino, ad esempio, nell' Hotel Isola Sacra che sul suo sito sottolinea che «la salute dei suoi ospiti è di primaria importanza» - è stata organizzata una cena per Halloween, con il trucco della stanza prenotata: chiunque alloggi in albergo, infatti, può servirsi al suo ristorante. Peccato che i commensali non indossassero la mascherina quando come documentano i video pubblicati sui social hanno iniziato a ballare fino a tarda notte, senza che qualcuno ponesse fine agli assembramenti. Un altro hotel, invece, è stato visitato dai vigili urbani che hanno potuto riscontrare diverse irregolarità. Al Mozart, dietro piazza del Popolo, infatti, le 80 persone presenti erano sedute a tavoli non distanziati tra loro (anche se tutte avevano a loro carico una stanza regolarmente prenotata e pagata). Oltre alle sanzioni previste, il titolare è stato diffidato e ha provveduto a riposizionare i tavoli e a far rispettare la distanza tra gli avventori. Poco dopo il Raccordo Anulare, nella zona della Nomentana, la polizia ha invece interrotto una party totalmente abusivo, all' interno del circolo Green Club. Nel locale era stato organizzato un evento in maschera con tanto di sala da ballo e privè con circa 60 persone, la maggior parte delle quali senza mascherina. Il locale, tra l' altro, non aveva neanche i permessi per l' attività di intrattenimento e spettacolo. Nell' adiacente sala ristorante, inoltre, gli agenti hanno trovato una festa di compleanno con 15 persone. Per tutti sono scattate sanzioni dai 400 ai 1000 euro. Sul fronte delle feste negli appartamenti, invece, i carabinieri, sempre a Roma, allertati dai vicini di casa, hanno scovato, sulla via Cassia, 26 persone, appartenenti a nuclei familiari diversi, che avevano dato vita ad un party in maschera. E nell' area di sosta sull' autostrada Roma-Fiumicino, un gruppo di ragazzi ha dato vita ad un mini-raduno notturno. «I party clandestini sono il modo migliore per far galoppare il virus aveva osservato l' altro giorno D' Amato sono uno schiaffo in faccia ai malati e operatori sanitari». Parole che, però, sembrano non aver impedito ad un altro gruppo di persone, a Milano, nel cuore di Chinatown, di festeggiare in casa. Venti i denunciati, tutti giovanissimi,alcuni dei quali stranieri: anche in questo caso, sono stati i vicini di casa a rivolgersi al 112. «Chi ha organizzato questi eventi pericolosi per la salute fa notare Antonio Flamini, presidente del Silb Roma, il sindacato dei locali da ballo sono persone senza scrupoli. L' abusivismo danneggia il nostro settore e, per questo, la nostra task force, a livello nazionale, segnala situazioni rischiose, come queste». (...) Numerose le polemiche sui social, relative alle feste per la sera del 31. In un caso, Selvaggia Lucarelli, oltre a condividere il video-post di un noto Pr romano su una delle feste in hotel, aveva anche contattato gli organizzatori di un altro party, a Milano: «Eccovi servita la tristezza», aveva scritto. Il Codacons, intanto, ha chiesto «l' arresto dei responsabili dei party»: «Nei loro confronti devono scattare indagini penali per la fattispecie di epidemia colposa».
Alessandra Paolini per “la Repubblica - Edizione Roma” il 2 novembre 2020. La febbre da lockdown in arrivo non si misura con il termoscanner all' ingresso dei locali. Ma è stata alta, altissima, fin dalle prime ore di un week end vissuto a Roma con la mente alle mosse di Palazzo Chigi. E allo " scherzetto" in preparazione per chi non ha nessuna voglia di rinunciare alla voglia di girare, vedere gente, fare cose. Così, i veri ultimi scampoli di libertà molti romani se li sono presi ieri mattina sulle spiagge: disciplinatamente distanziati, ma con l' occhio attento prima al lettino e poi allo spaghettino alle telline, alla fritturina, alla pezzogna al forno e al carpaccio di spigola. Con tanto vino prima del caffé, dell' ammazza caffè e del sorbetto. In una Roma impaurita e confusa dalla paura di finire presto confinata come a primavera, chi può è scappato al mare, da Anzio a Santa Marinella passando per Ostia, Fregene e Maccarese. Ed è stato tutto un sold out in quasi tutti i ristoranti. «Oggi è l' ultimo giorno di attività - raccontano alla Plaja a Maccarese - riapriremo a marzo, se Dio vuole». Poco più in là davanti ai tavoli, accanto agli ombrelloni chiusi, i bambini giocano a palla sulla sabbia, qualcuno prende il sole sul lettino, e i più temprati vanno addirittura in mare col kitesurf. Persino il maneggio accanto agli stabilimenti, in questa prima domenica di novembre, ha fatto affari d' oro, e mentre il sole scende sull' orizzonte cavallerizzi più o meno probabili si godono le brezze del mare sulla sella. «Abbiamo approfittato del bel tempo » - racconta più in là una coppia che " ninna" nel passeggino il piccolo Mario. «Ha solo un mese e abbiamo pensato di fargli prendere una boccata d' aria, magari chissà, dalla prossima settimana si sta di nuovo tutti tra quattro mura... ». Ma ieri, all' ora di pranzo, non erano pieni solo i locali affacciati sul mare. Folla anche nei tanti locali cittadini con dehors. Ovunque, molti si sono attovagliati per l' aperipranzo all' ora in cui una volta sui tavolini c' erano ancora i cappuccini e le brioches. La gente non balla ma ballicchia, in vista del Dpcm prossimo venturo. Quello precedente ha fatto scattare la chiusura alle 6 del pomeriggio, e allora tanto vale godersi quello che c' è. In attesa di rivedere ancora una volta il premier Conte alla tv, i ristoratori romani si sono buttati nella" acchiappa cliente" ad oltranza. Rimodulando orari, tempistiche e menu. "A mezzogiorno si mangia", scrivono sui messaggini inviati a pioggia su Whatsapp. Neanche fosse nonna, che a mezzogiorno chiamava per pranzo raccomandando anche lei " Ma lavati le mani... perché la pasta si scuoce". Da Achilli, in via Settembrini in Prati, "laKdeejay" ha messo su il suo dj set già a metà mattinata, orario decisamente inusuale per una delle regine notturne dei romani che fanno le ore piccole tra chiacchiere e mojito. Anche da Camponeschi, lo storico ristorante di piazza Farnese, il wine bar è andato a oltranza - e continuerà dal martedì per tutta la settimana: si beve dalle 10 alle 18. Al San Lorenzo, cucina di pesce d' eccellenza in via dei Chiavari, si scodella fino alle 15. Ma in questo week end a cavallo tra ottobre e novembre, in un anno da dimenticare, chi non è andato a pranzo fuori, si è rifatto andando in giro per mercatini. A cominciare da quello grande di Porta Portese per finire a quelli più piccoli, con gli stand già pieni di oggetti per il Natale. Perché non si sa mai che l' albero si faccia in quarantena. (...)
Italiani, brava gente che si inventa mille modi per aggirare il DPCM. Notizie.it l'1/11/2020. Da popolo di santi, poeti e navigatori siamo diventati un popolo di Cenerentole che hanno trovato il modo per imbucarsi al ballo del principe. La reception dell’albergo come salvagente da abboffo, l’autogrill come pista da ballo per cantare Meu amigo Charlie Brown. E poi la Repubblica di San Marino come una piccola Amsterdam dove sguinciare non le donnine nude in vetrina o i postacci dove tirare cannabis, ma dove buttarsi a capofitto in un menu pantagruelico. Menu rigorosamente in linea con l’orario a cui tutti i cristiani cedono alle lusinghe della gola, cioè dopo le 20.30. E che dire della sgambata per funghi che misteriosamente si conclude con una braciata? In un convivio barbaro cioè dove per miracolo i porcini diventano contorno di una bistecca monstre? Roba apparecchiata da improbabili tavernieri serali che altro non sono che raccoglitori di castagne che fanno B&B dei loro tinelli? L’elenco delle soluzioni che gli italiani stanno tirando fuori per aggirare l’ultimo (in ordine di tempo) Dpcm di Giuseppe Conte è più di una mera enunciazione di furberie. È un dato che dà la cifra nettissima di due cose: da un lato conferma la proverbiale fantasia di un popolo che non è mai caduto nei tranelli dell’ortodossia normativa. Dall’altro sottolinea a trattini multipli atteggiamento e temperatura di gente ancora persa fra paura di Covid e terrore di non vivere più secondo un’indole godereccia che qui da noi, per fortuna, non è mai stata accessoria. Anche a fare la tara al giudizio etico su questi atteggiamenti il dato resta sfolgorante in tutta la sua valenza a metà fra sociologia e folklore etnico. Il gruppo di 15 persone che in Puglia ha festeggiato un compleanno in un autogrill della A14 è di fatto una succursale pop della Scuola di Atene. E quelli che a Macerata e dintorni affittano una stanza di albergo solo per avere un ristorante a disposizione dopo le 18.00 o approfittano dell’invito-provocazione degli albergatori a prendere camera fittizia solo per sbranare una costata non sono da meno. Noi popolo di paraculetti fiscali abbiamo nella vulgata dei "tipi tricolore" lo spallone? Roba vecchia. Ormai a San Marino ci si va per addentare piadine, non per someggiare capitali. Hai insegna della taverna in Veneto e locale in Trentino? È fatta e panza mia fatti capanna ad orario ortodosso perché in Trentino si abboffa fino alle 22. Pernacchione d’ordinanza al Dpcm (ultimo in ordine di tempo) e grazie mille alla sciura Dal Molin della Taverna Clara per i suoi bolliti che non dovremo mangiare all’ora in cui di solito in Calabria finiscono di digerire il pranzo. E più ci si addentra nelle attività totemiche dello stivale più l’inventiva diventa bizantinismo sopraffino. Un esempio? Se il calcio in Italia è il fede per eccellenza, il calcetto serale con gli amici di quella fede è il Dogma. Ma il Dpcm (ultimo in ordine di tempo) ha tarpato le ali alla più parte delle attività sportive da contatto. Ora, in un paese ligio e rassegnato qui dovrebbe scattare l’ostacolo insormontabile, il Maze Runner Definitivo, l’alt teutonico che frena ogni fregola da stop e tiro al volo con annessa sboronata sotto la doccia dove gli amici si misurano pancetta e priapismo. E invece no. Basta un certificato di sana a robusta costituzione, l’iscrizione ad un club dilettantistico, qualche spiccolo sciolto et voilà, ragazzi si gioca e chi perde paga da bere, magari nello spogliatoio e con la sciampagna comprata al market prima che il campanile batta i sei rintocchi. Insomma, da popolo di santi, poeti e navigatori a popolo di Cenerentole sguaiate ma sottili che hanno trovato il modo per imbucarsi al ballo del principe il passo è stato breve. Diciamocelo con un minimo di sincerità: da questo bailamme assoluto dove soluzioni fai da te e serietà assoluta del contesto diventano un unico blob è difficile tirar fuori una morale, un puntello etico che, in perfetto stile italiano, ci faccia schierare. A voler fare le pulci alla faccenda quelle enunciate sono tutte soluzioni che aggirano l’ultimo (in ordine di tempo) Dpcm. Che cioè non violano la norma, ma semplicemente si intrufolano nelle pieghe di un legiferato che porta addosso la croce della rutilanza emergenziale. E che quindi lascia varchi aperti. E a un italiano fategli vedere un varco nelle cose che gli hai detto di non fare e lo avrai fatto felice come al Bernabeu nell’82. Perché noi saremo stati anche gli inventori del Diritto, ma come tutti gli inventori non solo conosciamo l’ingranaggio, ma anche lo stecco infido che l’ingranaggio lo inceppa.
Lucia Galli per “Il Giornale” il 25 ottobre 2020. Primo giorno di scuola di sci. Maschera e mascherina, casco, crema, voglia e pazienza: c'era tutto quello che serviva, peccato che ci fosse anche una lunga coda, ieri a Cervinia, per la tradizionale apertura autunnale degli impianti da sci. La voglia di neve, dopo un inverno congelato a febbraio, ha richiamato oltre duemila persone. Che in fila per tre, col resto di due e più, hanno formato una colonna che ha fatto, prima, impazzire i social e poi impensierire l'intero settore degli sport invernali. La stradina che collega gli immensi parcheggi era colma: qualche steward si inerpicava su e giù a chiedere di mantenere le distanze. Gli altri traghettavano all'interno e alle casse una anche automatica una decina di persone alla volta, dopo aver provato loro la febbre, consegnando la mascherina a chi non la portasse. «Giornaliero, stagionale?», spiegazioni di rito e via attraverso i tornelli, poi ancora qualche ingorgo sui primi impianti e, infine lei, la neve. Bianca e libera, perché una volta in quota, di assembramento - va detto -, nemmeno l'ombra. Trenta euro per stare sul versante italiano, 63 per sconfinare oltre quota 3mila sul ghiacciaio di Plateau Rosà. Fra le 10 e le 11 la ressa era scomparsa, ma il dubbio che qualcosa sia andato storto resta: «Tutte le casse erano aperte, abbiamo fatto allungare la coda all'esterno proprio per non ingolfare gli interni -, spiega Matteo Zanetti neo presidente della società impianti -. Accettiamo le osservazioni costruttive e siamo contenti che Cervinia, che da sempre inaugura prima degli altri, possa fare da apripista, mettendo in luce le criticità». Che ieri non sono mancate: la vendita degli stagionali ha un iter più complesso e anche chi aveva prenotato via web doveva, come primo giorno, validare il voucher in cassa. Tutte procedure da snellire, incentivando la consegna del ticket in albergo o comunque l'acquisto on line, ormai possibile, anche grazie a circuiti prepagati o carta di credito. «Le code, però, si formeranno comunque - spiega Valeria Ghezzi, presidente di Anef - Associazione nazionale esercenti funiviari, che rappresenta il 90% delle imprese di settore - proprio per evitare di fa sostare la gente al chiuso». Anef sta limando un protocollo che molte Regioni hanno già sottoscritto: fra i punti cardine, sanificazione delle seggiovie, finestrini aperti su ovovie e funivie, accessi contingentati, divieto di «svestirsi» a bordo, togliendo casco e guanti, divieto di parlare al cellulare in quei pochi minuti di viaggio. Modulabile anche la velocità degli impianti, a seconda dell'afflusso: «A pieno ritmo - spiega Zanetti - smaltisci le code a valle; più lento, fluidifichi eventuali code sulle piste». L'imperativo è uno: meglio sbagliare ora che a dicembre, quando (al netto di nuovi lockdown) partirà ovunque la piena stagione. La preoccupazione, dato il confronto con la folla quotidiana che usa metrò o mezzi locali, è quella di non venire più additati come «untori», come avvenne in primavera. «Lo sci si fa all'aperto e imbacuccati», sottolinea Ghezzi che però lancia un messaggio: «Io capisco atleti e sci club, per cui la neve è equiparabile ad un lavoro, ma forse, se il nostro Governo ci chiede di evitare il superfluo, potremmo tutti aspettare a sciare». Rinunciare oggi, «per avere una vera stagione da dicembre, quando i numeri dello sci diventano davvero fondamentali». «Per almeno 60mila lavoratori e l'economia di tutte le alpi». E non solo per la passione di qualche curva, ancora fuori stagione.
Giovanni Ruggiero per open.online il 21 ottobre 2020. Gli agenti della polizia municipale e i carabinieri sono arrivati in piazza Attias dopo una segnalazione su un gruppo di ragazzi che giocava con un pallone e che non indossava la mascherina. All’arrivo delle auto delle forze dell’ordine è partita l’aggressione di almeno 50 ragazzi. È scoppiata una surreale rivolta nella centrale piazza Attias a Livorno, quando ieri 20 ottobre nel tardo pomeriggio sono arrivati alcuni agenti della polizia municipale e tre pattuglie dei carabinieri, dopo una segnalazione di un assembramento e una serie di violazioni delle regole anti-Covid. Nella piazza c’erano diversi ragazzi che giocavano con un pallone e non indossavano la mascherina. Quando hanno visto arrivare vigili e carabinieri, il gruppo di circa 50 ragazzi si è avvicinato in massa alle auto delle forze dell’ordine. Sono partiti quindi insulti agli agenti e poi calci e pugni contro le auto, con lancio di pietre e bastoni, come mostrano le immagini diffuse su Facebook dal consigliere comunale della Lega, Alessandro Perini. Come riporta Livorno today, due ragazzi sono stati portati in caserma dai carabinieri, un 17enne è stato denunciato per oltraggio, aggressione e danneggiamenti. Dalle immagini riprese dalle telecamere di sicurezza della piazza, i carabinieri potrebbero ora identificare gli altri che hanno partecipato all’aggressione.
Giammarco Oberto per leggo.it il 13 Ottobre 2020. Matrimoni che diventano focolai, serate danzanti nei bar, feste di compleanno che finiscono in isolamento fiduciario. Rave party fino all'alba, non uno con la mascherina. Cronaca di un'Italia che entra ad ampie falcate nella seconda ondata di Covid ma che non sa rinunciare alle feste. Dove spesso c'è un imbucato: l'ospite positivo che manda tutti in quarantena.
IL MATRIMONIO. Una festa di matrimonio tenutasi all'inizio della scorsa settimana ha fatto esplodere un focolaio di contagi a Monte di Procida, nel Napoletano. C'erano 200 invitati, i positivi sono già 13, in poche ore. Il sindaco Giuseppe Pugliese ha chiuso fino a domani scuole, parchi pubblici e privati, sale giochi e scommesse, circoli per anziani.
IL COMPLEANNO. La mamma aveva febbre e tosse ma ha deciso lo stesso di organizzare la festa di compleanno per il figlio, anzi, addirittura spezzandola in due per invitare solo 30 persone per volta. Succede a Ladispoli, sul litorale romano. Risultato: lei è positiva e rischia una denuncia penale, i suoi ospiti - 60 persone - sono state costrette all'autoisolamento e a sottoporsi a loro volta ai test.
IL RAVE. Hanno ballato accalcati tutta la notte, tutti senza mascherina, in un capannone abbandonato. L'arrivo all'alba dei carabinieri ha guastato il rave party di 300 giovani a Settimo Torinese. Tutti sono stati identificati. Altri 50 hanno scelto Pino, sulla collina di Torino, per il rave illegale. E anche lì sono arrivate le divise.
IL PESTAGGIO. Savona, l'equipaggio di una Volante ferma sabato sera un uomo che non indossa la mascherina. Lo invitano a farlo, quello reagisce aggredendo i due agenti, che lo ammanettano. In un attimo sono circondati da altre sei o sette persone minacciose: hanno dovuto sparare due colpi di pistola in aria come deterrente. Il fermato si dilegua con le manette ai polsi.
Niccolò Carratelli per “la Stampa” il 13 Ottobre 2020. «Non fate foto o video, mettete i telefonini in tasca». L' annuncio ormai è un classico nelle discoteche italiane in cui, in teoria, non si può ballare. Quelle che restano aperte, perché hanno eliminato la pista e si sono trasformate in bar, dove bere cocktail e ascoltare musica, seduti al proprio tavolo. Ma quando, sempre a tarda notte, la voglia di muoversi e di avvicinarsi prende il sopravvento, la preoccupazione principale dei gestori è evitare che ci siano prove del ballo fuorilegge. Perché è già successo che le stories su Instagram, la dirette Facebook o i semplici video celebrativi postati - spesso con tanto di geolocalizzazione - dai presenti abbiano fatto scattare la visita della polizia municipale, il verbale, la multa e, in alcuni casi, la chiusura. A fine settembre è toccato a due locali di Milano, il Sio cafè in zona Bicocca e l' Arizona 2000 in viale Monza, dove gli agenti hanno accertato che decine di clienti ballavano ammassati e senza mascherina. Più o meno quello che si è verificato sabato scorso in un club di via Padova, sempre a Milano: «L' invito parlava di dj set e spettacolo di drag queen - racconta Marco, che l' altra sera era lì - ma all' una e mezza hanno spostato i tavoli e la gente ha cominciato a ballare. I ragazzi della sicurezza chiedevano solo di indossare la mascherina, inutilmente. E controllavano che nessuno facesse video con lo smartphone». Episodi ricorrenti, come ha denunciato anche Monica Forte, consigliera regionale lombarda del M5S. Ha pubblicato una clip eloquente, ricavata da alcune stories su Instagram, relative all' ultimo «fine settimana nei locali della zona Sud Ovest di Milano». A parte correre ai ripari cercando di impedire foto e video, i proprietari delle discoteche assicurano di fare il possibile per evitare assembramenti: «Abbiamo un servizio di addetti al controllo di distanziamento sociale, utilizzo della mascherina e rispetto delle ordinanze anti-Covid - spiega Roberto Cominardi, patron della mitica Old Fashion - ma se non c' è da parte del fruitore finale la consapevolezza, è una battaglia persa». Cominardi è anche presidente provinciale del Silb, l' associazione delle imprese di ballo e spettacolo, e giura che «da noi non facciamo ballare, non è previsto, ma se bisogna chiedere ai bodyguard di impedire alle persone di alzarsi in piedi, non penso che un' azione del genere sia legittima». Insomma, se i clienti danno il via alle danze non autorizzate, la colpa è loro. La vicesindaco e assessora alla Sicurezza del Comune di Milano, Anna Scavuzzo, la vede altrimenti: «Situazioni abusive come quelle scoperte dai nostri agenti non sono tollerabili - dice a La Stampa - Chi non rispetta le regole è potenzialmente lesivo della salute di tutti e in più fa concorrenza sleale». Chi viene beccato rischia una multa da 400 euro, nel caso dei gestori anche la chiusura dei locali, che di solito però è quasi indolore: 5 giorni, quindi si può riaprire in tempo per il week end successivo. Così se la sono cavata i due bar di Napoli, beccati la scorsa settimana in totale assenza delle disposizioni anti-Covid. È andata anche meglio all' Otel di Firenze, solo 24 ore di sospensione dell' attività e 400 euro di multa. Poi ci sono le discoteche davvero improvvisate. Quelle a cui si riferiva l' ultima circolare del Viminale, raccomandando ai prefetti controlli e sanzioni ai locali che offrono «attività danzanti». Come la tavola calda di Anzola Emilia, in provincia di Bologna, trasformata abusivamente in sala da ballo durante l' estate, capace di stipare dentro fino a 200 persone. È stata chiusa due volte, la prima per due settimane, la seconda un mese. O come il ristorante di Albano Sant' Alessandro, in provincia di Bergamo, dove i carabinieri sono intervenuti sabato dopo una segnalazione. Hanno trovato musica ad alto volume e decine di ragazzi danzanti. Niente distanze né mascherine. Davanti ai militari, i gestori hanno dichiarato di aver organizzato una festa privata. Peccato ci fosse stata la prevendita dei biglietti e ci fossero i buttafuori all' ingresso, proprio come in discoteca.
Gli "sbadati" delle mascherine che non danno il buon esempio. Un governo di sbadati: Di Maio allo spettacolo di Scanzi, Arcuri in giro a rilasciare le interviste e Conte al ristorante. Tutti senza mascherina. Eppure sono i primi a imporre sacrifici e multe. Andrea Indini, Domenica 11/10/2020 su Il Giornale. Piccole disattenzioni, nulla di più. Ci incappano tutti, anche chi dovrebbe maggiormente dare il buon esempio. L'ultimo caso è quello tirato fuori dal Tempo. Il premier Giuseppe Conte si è fatto immortalare al ristorante "Benito al Bosco" di Velletri, dove è andato a cenare insieme alla compagna Olivia Paladino: uno scatto senza mascherina e, ovviamente, senza il benché minimo "distanziamento sociale" con il titolare Benito Morelli e altre quattro persone che compaiono nella fotografia dello scandalo. Palazzo Chigi ha provato a cavillare sulla data dello scatto. Risalirebbe al 17 settembre e non a qualche giorno fa, come si era inizialmente supposto. Ma poco importa: perché, vero è che le restrizioni si sono fatte più dure solo negli ultimi giorni, ma sono mesi che è obbligatorio indossare la mascherina quando ci si alza da tavola. Conte non è certo il primo che inciampa nelle sue stesse regole. Qualche giorno fa era toccato, nientepopodimeno, a mister Mascherina. Mentre in Italia veniva introdotto l'obbligo di indossare la mascherina anche all'aperto, a prescindere dagli assembramenti e dalla distanza interpersonale, il commissario straordinario per l'emergenza Covid, Domenico Arcuri, ha trasgredito alle regole che lui stesso ha contribuito a stilare insieme a Conte. Parlando con alcuni giornalisti, a margine di un evento a Villasimius, in provincia di Cagliari, aveva la mascherina che non gli copriva il naso ma soltanto la bocca. Un errore che commettono in molti. Tanto che anche recentemente, quando si è trovato a dover decidere le regole di ingaggio per la riapertura delle scuole, il Comitato tecnico scientifico ha ribadito l'importanza di protegere "naso-bocca" durante tutti gli spostamenti, in particolar modo quando "potrebbe non essere garantito il distanziamento". Per chi dovesse ancora nutrire dubbi sulle modalità con cui va indossata, sul sito del dicastero della Salute l'Istituto superiore di sanità spiega che bisogna "posizionare correttamente la mascherina facendo aderire il ferretto superiore al naso e portandola sotto il mento". Un regola che, al di là degli iniziali strafalcioni degli stessi uffici diretti dal ministro Roberto Speranza, dovrebbe essere chiara ormai dalla scorsa primavera. Eppure in molti la infrangono. E si beccano multe salatissime(si arriva fino ai mille euro). Ovviamente, nessuno a Villasimius ha redarguito il supercommissario, ma i social non lo hanno perdonato e ne è scoppiata un'accesa polemica. "L'uomo che acquista le mascherine - hanno fatto notare in molti - non le sa mettere...". Nella stessa "svista" di Conte era incappato lo scorso agosto anche Luigi Di Maio. Anche lui era scivolato su una fotografia postata sui social network. "Una bella serata in compagnia di Andrea Scanzi e tanti altri amici a San Gavino in Sardegna - aveva scritto su Facebook - ho avuto il piacere di assistere al suo spettacolo come sempre geniale e diretto, ve lo consiglio. Buona serata a tutti". Né il ministro degli Esteri né il giornalista del Fatto Quotidiano né le altre quattro persone immortalate nello scatto postato avevano, però, la mascherina. In più i sei si abbracciavano amabilmente davanti all'obiettivo del cellulare. "Tutti senza mascherina - avevano commentato molti utenti - complimenti poi fate le multe a uno che la toglie per bere. Bravi!". Lo stesso tenore di commenti è piovuto addosso a Conte anche quando da Palazzo Chigi hanno cercato di spiegare che la foto-ricordo è stata scattata a metà settembre, giorni prima della più recente recrudescenza dei contagi. Ma poco importa. Perché dei sette in posa solo due signore erano con la mascherina. Tutti gli altri se ne erano bellamente infischiati delle regole. Esattamente come se ne era infischiato papa Francesco all'udienza generale di mercoledì scorso. In quell'occasione il Santo Padre aveva addirittura stretto e baciato mani di monsignori e fedeli che si trovavano nell'Aula Paolo VI. Insofferenza alle regole o semplice distrazione? Può essere di tutto. A chi non è capitato nemmeno una volta di uscire di corsa di casa e dimenticarsi di avere con sé la mascherina? Il punto è che la distrazione è sempre dietro l'angolo. Ed è giusto richiamare l'importanza di indossare la mascherina quando non si può garantire il distanziamento. Chi deve dare l'esempio per primo, però, deve ricordarsi di farlo sempre, anche quando non si trova a un evento istituzionale o lontano dai riflettori. Altrimenti c'è il rischio che passi il messaggio sbagliato. E non sarebbe la prima volta da parte di Conte & Co.
I doveri della libertà. Mauro Magatti su Il Quotidiano del Sud l'11 ottobre 2020. Nei mesi dell’emergenza abbiamo riscoperto una verità elementare eppure oggi così ostica: si è liberi solo gli uni rispetto agli altri. Il contagio ci insegna proprio questo: col mio comportamento io posso infettare altre persone, così come altri possono fare lo stesso con me. La libertà comporta dei diritti. Nessun “bene collettivo” può e deve prevaricare lo spazio della libertà personale. Al tempo stesso, però, la libertà comporta dei doveri. Questo aspetto – censurato da molti anni – forse oggi ci risulta più comprensibile. Un dovere che non si riduce all’obbedienza a regole o procedure esterne. Ma che comporta la consapevolezza che le nostre decisioni hanno sempre conseguenze su chi ci sta intorno. Non esiste una libertà “a prescindere”. Non dunque, “la mia libertà comincia dove finisce la tua”, ma “la tua libertà dipende dalla mia, e viceversa”. on è questione di immunità e non interferenza, bensì di reciprocità e legame. Immunità è negazione del munus (dono e insieme ufficio), sottrazione alle obbligazioni reciproche; è invece nel riconoscimento del legame che si esercita la libertà. La cosa straordinaria di questo periodo è che le persone hanno scoperto di possedere già questo codice. Non l’hanno dovuto imparare. Lo hanno semplicemente riconosciuto e messo all’opera. Certo, c’è stato chi ha cercato di approfittare della situazione. Chi ha fatto il contrario. Ma la stragrande maggioranza dei cittadini ha compreso la gravità della situazione, adottando comportamenti di attenzione per sé e per gli altri. Facendo proprie da un giorno all’altro, e in modo tutto sommato consenziente, regole che stravolgevano la quotidianità. Non si può fare tutto. Non si può fare tutto quello che si vorrebbe fare. O meglio, come afferma Paul Ricoeur proprio questo è il paradosso della libertà responsabile: “tutto posso, ma qui mi fermo”. Quello che va maturato è che questa non è la condizione straordinaria di un particolare momento, quello epidemico. Piuttosto, è la struttura costitutiva della vita sociale, interconnessi in una “danza” di reciprocità che solo l’ideologia del tempo ci impedisce di vedere. Ma che ora lo squarcio causati dal coronavirus ci permette finalmente di riconoscere.
Coronavirus, un'amara verità: "Chi lo prende viene considerato uno che se l'è andata a cercare". Iuri Maria Prado Libero Quotidiano l'11 ottobre 2020. Era stato detto immediatamente e non ci voleva un genio per capirlo: l'app Immuni andava anche bene, ma si sarebbe rivelata inutile o addirittura dannosa senza la preordinazione di un piano efficace per eseguire e processare i tamponi. Lo schema del modello italiano è stato invece questo: chiedi ai cittadini di scaricare l'app, e magari gli dici che se non lo fanno contravvengono a un "imperativo morale", dopo di che li tombi in casa e buonanotte. Perché di questo si tratta: non di un modo per individuare i bisognosi di accertamenti e di cure, ma di un lockdown personalizzato tramite app. E, proprio come nel caso del coprifuoco dei mesi scorsi, l'inefficienza pubblica si rivolta in delitto degli irresponsabili: il telefonino ti notifica che il virus ha lambito la tua cerchia, dunque chiuditi in casa e non azzardarti a mettere fuori il naso. Pace se mandi all'altro mondo la moglie o il nonnetto (i "congiunti" rappresentano curiosamente una categoria sacrificabile), tutti senza tampone esattamente come te anche se hai assolto all'imperativo morale. È dall'inverno scorso che va avanti in questo modo, con l'infettato che passa per quello che dopotutto se l'è cercata e con l'insorgere delle curve dei contagi addebitato a tutto tranne che alla inadeguata gestione pubblica della crisi. E così di volta in volta è colpa del runner, dello spritz, del funerale con il cugino di troppo, del barbecue all'Idroscalo, degli ottanta centimetri anziché cento mentre sei in fila al supermarket, della mancanza di mascherina che è un optional quando il governo non può garantirne la fornitura e diventa presidio irrinunciabile, con multona per chi sgarra, quando finalmente si riesce nell'impresa di assicurarne la disponibilità (diciamolo tra parentesi: il governo a gennaio era "prontissimo", ma mica gli si poteva chiedere di fare quel che per esempio han fatto i tedeschi, cioè stoccare in quantità le mascherine, queste diavolerie che solo in modo del tutto imprevedibile sarebbero state necessarie nel caso di una malattia che, guarda un po', si prende respirando senza protezioni).
FATTI VOSTRI. E nel recital dello scaricabarile di governo la puntata ora in programmazione è appunto quella dell'app che risolverebbe tutto se questi stronzi di cittadini la scaricassero anziché fregarsene degli ammonimenti di sua eccellenza Giuseppe Conte. Importa, come dicevamo sopra, che da mesi fosse segnalata l'esigenza di approntare e rendere effettivo l'unico piano che avrebbe garantito efficacia all'uso dell'app? Macché: non importa nulla. E come le mascherine non c'erano per colpa delle imprese che pretendevano di non venderle sottocosto; come la roba per la scuola non c'era per colpa dei falegnami precettati nei bandi fantascientifici che chiedevano di produrre e consegnare ieri i banchi ordinati domani; come inevitabilmente militarizzavi il Paese quando non c'era nessuno in giro per poi lasciarlo sguarnito di qualsiasi controllo mentre altrettanto inevitabilmente ammassavi sulle spiagge venti milioni di italiani; così ora ti lagni se non tutti scaricano l'app e attribuisci la seconda ondata alla carenza di download. Cioè l'operazione che ti garantisce di sapere che se lo smartphone fa drin vuol dire che devi arrangiarti. Dovrebbero implementarla così, questa app, con un messaggino veritiero quando rileva che sei a rischio: "Mo' so' cazzi tui".
Lorenzo De Cicco per ilmessaggero.it l'11 ottobre 2020. Quando si è presentata al drive-in della Asl Roma 4, i medici erano increduli: «Signora, ma lei ha invitato 60 persone alla festa di compleanno di suo figlio nonostante avesse chiaramente i sintomi del Covid?». Risposta: «No, le feste erano due». Trenta invitati ciascuna. Sessanta in totale, tutti finiti in quarantena da ieri mattina, tra le proteste contro la mamma febbricitante e quelle contro gli incolpevoli sanitari, che hanno solo fatto scattare le procedure, disponendo l’isolamento fiduciario e l’obbligo di tampone per tutti i presenti. Non è la prima volta che una festa tra studenti si trasforma in un focolaio, ma finora a organizzare i party, spesso senza troppi scrupoli per mascherine e distanziamenti, erano stati liceali e universitari. Stavolta invece, davanti ai camici bianchi allibiti, si è presentata una mamma: «Sono stata io a mandare gli inviti». Anche se, ha raccontato, aveva già un po’ di tosse e qualche linea di febbre. I sintomi del coronavirus. Eppure, nonostante le avvisaglie, non ha voluto rinunciare al doppio raduno con decine di bambini (e genitori), per festeggiare il compleanno del figlio, 8 anni appena compiuti, seconda elementare di Ladispoli. Il party ormai era organizzato, si è difesa la mamma infetta, quindi perché rimandare tutto per qualche sbuffo di tosse e la temperatura un po’ alta? E così in 30 si sono presentati alla prima festicciola. E altrettanti alla seconda. Il giorno dopo la signora è andata alla Asl ed è arrivato il risultato: positiva al Covid-19. L’azienda sanitaria a quel punto ha dovuto avviare il tracciamento e contattare tutti i partecipanti, ai quali, come prevede la prassi, è stato detto di restare in quarantena fino all’esito del tampone. C’è chi ha contestato il comportamento dell’incauta mamma, altri ancora, a sorpresa, se la sono presa con i medici del contact tracing che li avvisavano dell’isolamento. Una pioggia di insulti contro il personale della Asl, tanto che una giovane dottoressa addetta alle chiamate, appena assunta proprio per l’emergenza Covid, è scoppiata a piangere, raccontano i colleghi. «A Roma e provincia centinaia di studenti sono stati trovati positivi ma nella maggior parte dei casi il contagio è avvenuto fuori dall’istituto», spiega Simona Ursino, dirigente dell’Asl Roma 4. «Feste e raduni affollati, in questa fase, sono da evitare il più possibile». A maggior ragione per chi già mostra i sintomi del Covid.
Da leggo.it il 2 giugno 2020. Aveva paura di perdere il lavoro: per questo un 21enne di Bari, positivo al coronavirus ma asintomatico, è andato a lavorare in un ristorante nel quartiere Libertà. Scoperto, si è giustificato con il suo timore di perdere l'impiego, di cui aveva evidentemente bisogno: il giovane è stato denunciato per violazione degli obblighi di quarantena e il suo caso è ora all'attenzione del sostituto procuratore Marcello Quercia. Secondo quanto riferito dall'edizione locale di Repubblica, il giovane è risultato positivo il 29 maggio, e per questo era in quarantena con altri nove familiari con cui vive nella stessa abitazione, in un seminterrato. Domenica scorsa i finanzieri si sono recati a casa sua per controllare che tutti rispettassero la quarantena ma all'appello mancava solo il 21enne. Dopo alcune ricerche, lunedì mattina lo hanno trovato sul posto di lavoro: secondo le prime indagini, né il datore di lavoro né i suoi colleghi erano a conoscenza della sua positività al virus e nessuno di loro ha manifestato sintomi. Il giovane non avrebbe avuto contatti con clienti. La Asl, che ha effettuato i tamponi ai suoi colleghi e al datore di lavoro, potrebbe ora disporre la temporanea chiusura del locale.
Coronavirus, fa il tampone poi vola da Reggio a Cagliari senza aspettare l’esito: «Positivo». Isolati in quaranta. Il Corriere della Sera il 25/5/2020. Ha accusato malori a Reggio Emilia, dove vive e dove lavora in un’azienda che si occupa di manutenzione di apparecchi nel settore alimentare. Temendo un contagio da Covid (come in effetti poi è stato) si è fatto fare un tampone. Ma anziché prendere la precauzione di isolarsi in autoquarantena, martedì 19 si è imbarcato in aereo per Cagliari — per motivi di lavoro — dove ha alloggiato in albergo. Conclusione: giovedì 21 l’Ausl reggiana ha chiamato l’uomo per confermargli la positività. Inevitabile per le autorità sanitarie dell’isola — il cui governatore Solinas solo pochi giorni fa ha parlato di «vacanze unicamente con la patente sanitaria», chiedendo «cautela» ai turisti in arrivo — disporre la quarantena per una quarantina di persone venute in contatto con il sessantaquattrenne reggiano piuttosto avventato nella sua condotta. Una vicenda raccontata dall’Unione Sarda e dal Resto del Carlino.
Ricoverato in ospedale. Il dipendente dell’azienda emiliana sarebbe venuto a contatto con sole due persone all’interno dell’hotel in cui era ospite, e altre dieci nello stabilimento dell’azienda in cui era andato a fare manutenzione. Ma verosimilmente saranno messi in quarantena anche i passeggeri a bordo dell’aereo che lo ha portato nell’isola. Unione e Carlino raccontano pure che per l’avventato reggiano è emerso un secondo problema. I sintomi avrebbero previsto un isolamento domiciliare, ma nessuno nell’albergo era disposto a correre il rischio di ospitarlo; pertanto — almeno fino al doppio tampone negativo — rimarrà al Santissima Trinità di Cagliari, pur non avendo un quadro clinico che richieda il ricovero.
«Aveva senz’altro già il virus in incubazione». «Aveva senz’altro già il virus in incubazione, prima di partire» ha ribadito il direttore del presidio ospedaliero Unico di Area del Santissima Trinità, Sergio Marracini. «Le sue condizioni, comunque, sono stabili e non è in terapia intensiva. Per adesso, è sotto controllo». La leggerezza con cui il 64enne di Reggio ha deciso di raggiungere Cagliari ha avuto una grossa eco in Sardegna. Anche perché il governatore Christian Solinas aveva appena chiesto ai visitatori dell’isola «una cautela in più per garantire a tutti una vacanza degna di tale nome». Questo perché — ha ripetuto più volte Solinas in questi giorni — «la Sardegna è la regione con la più bassa diffusione, presto saremo completamente Covid free» ed ecco perché sarebbe utile, a suo dire, «un passaporto sanitario». Un’idea che «non è una cosa isolata, ma c’è nelle Canarie e nelle Baleari. Darebbe affidabilità e sicurezza a chi arriva in Sardegna. È un documento che verrà controllato all’imbarco come la carta d’identità o il passaporto».
Due fidanzati si baciano per strada: multati. Antonino Paviglianiti il 14/05/2020 su Notizie.it. Succede a Torino dove una coppia di fidanzati è stata multata per essersi scambiata qualche bacio di troppo in strada. Fidanzati multati per un bacio in piazza. Ai tempi del Coronavirus succede anche questo: una coppia di fidanzati, a Torino, è stata sanzionata a causa della violazione delle prescrizioni governative. La coppia, che durante la quarantena si baciava in strada, è stata denunciata alla Procura con l’accusa di inosservanza dei divieti. Per loro, adesso, la segnalazione si è trasformata in sanzione pecuniaria: i fidanzati dovranno pagare una multa. La denuncia era arrivata da un residente che, dal proprio appartamento, li aveva notati e aveva chiamato la polizia. All’arrivo della pattuglia la coppia si era giustificata: siamo fidanzati. Ma in pieno lockdown questa è stata una vera e propria violazione. Il caso dei fidanzati che si baciano per strada ha coinvolto anche il procuratore aggiunto di Torino Paolo Borgna che ha sottolineato come l’esistenza di uno “stato di eccezione” ai tempi del lockdown era “prima di tutto nelle nostre teste”. Tant’è che sul caso, Borgna aveva evidenziato: “Al punto che due ragazzi di diciotto anni che alle due di notte si baciano in piedi sul marciapiede di una via deserta vengono denunciati da un solerte cittadino, che si affaccia alla finestra e chiama la volante della polizia”. Del resto, anche il pm piemontese evidenzia come sia corretto segnalare, ma senza eccesso di zelo. Intanto, solo nel capoluogo piemontese, sono circa 2.200 a Torino le denunce per violazione delle disposizioni anti Coronavirus trasformate da procedimento penale a violazione amministrativa. I relativi fascicoli sono gestiti dalla prefettura del capoluogo piemontese. E chissà quante ancora ne arriveranno…
Patù, 5 ragazzini senza mascherina multati dai cc, l'ira del parroco: «Vergogna. La loro multa la pago io». Don Biagio contro l'Arma: «Come si fa a sottrarre denaro a famiglie che non ne hanno?» La Gazzetta del Mezzogiorno il 13 Maggio 2020. Finisce in un post al vetriolo su Facebook la riflessione-denuncia di un parroco salentino, don Biagio Errico, della Parrocchia di San Michele Arcangelo di Patù, su quanto accaduto a cinque ragazzini multati dai carabinieri mentre erano seduti su una panchina senza indossare la mascherina. Nel post prima pubblicato sulla propria pagina Facebook e poi rimosso, il parroco parla di «abuso di potere» e di «giovani, senza alcuna possibilità di difendersi, sottoposti all’umiliazione di un carabiniere che sotto la divisa non ha nulla di sensato, di umano e (lo spero per lui) di cristiano». Un post che, frase dopo frase, assume i toni di un vero e proprio j'accuse. «Come fai ad attribuire una multa imbarazzante a dei ragazzi che non hanno mai spacciato, rubato o commesso reati molto più grandi del semplice indossare la mascherina? Come fai a sottrarre centinaia e migliaia di euro a delle famiglie che già fanno fatica ad andare avanti in questo periodo?». Il post termina con un appello a coloro che vengono definiti «maestri del nulla». «Andate a controllare le parti più oscure del paese, - dice il parroco- dove c'è lo spaccio della droga, l’abuso di alcool e di gioco d’azzardo anziché rubare alla povera gente che si sforza ogni giorno di rispettare una legge che neppure voi capite. Vergogna! E che questo peccato ricada sulla coscienza di tutti». «Domani andrò a pagare io la multa di 1.400 euro per questi cinque ragazzi. Sono tutti della parrocchia, non spacciano, non si drogano, li avevo chiamati io per darmi una mano in chiesa». Commenta così il suo post don Biagio Errico, il parroco di san Michele Arcangelo a Patù. «Avevano finito di aiutarmi - aggiunge -. Appena sono usciti dalla chiesa c'erano i carabinieri che li hanno subito multati».
Raffaella Scuderi per "repubblica.it" l'8 maggio 2020. Beccato. Fermato senza mascherina. Fuori casa senza motivo o in compagnia di amici. Una violazione del lockdown che in alcuni casi può costare fin troppo cara. In certi Paesi la polizia è arrivata a infliggere punizioni che prevedono l'umiliazione e il dolore, pur di far rispettare il lockdown, spesso con il plauso dei governi. Saltelli a stella al grido "devo stare a casa", squat, flessioni e posizioni yoga improvvisate sono le penitenze più assurde di cui si trova traccia in video e foto diventati virali in Rete, tra risate e applausi. Ma c'è poco da ridere. Nei casi peggiori le autorità sono ricorse a percosse e manganellate, fino a uccidere. È il caso di un tredicenne in Kenya, ucciso a forza di botte. Il ragazzo stava cercando di prendere l'ultimo traghetto disponibile per tornare a casa e rispettare le regole. Non è sopravvissuto alle manganellate. Il capo della polizia di Likoni, a Mombasa, si è dimesso, il presidente Uhuru Kenyatta si è scusato. Ma lui non c'è più. La clausura a cui ci costringe il coronavirus da quasi due mesi ha messo in mano alla polizia il potere assoluto di far osservare le misure restrittive. Con pochi occhi in giro a testimoniare. Ma in Rete sono emersi comunque, i modi creativi in alcuni casi, sadici in altri, con cui le forze dell'ordine fanno rispettare le regole. I Paesi che si sono distinti per violazione dei diritti umani sono India, Filippine, Paraguay, El Salvador, Kenya. In un carcere del Salvador centinaia di detenuti, la cui foto è diventata virale, sono stati costretti a terra in celle comuni, seminudi, ammanettati e tutti ammassati, in attesa che le guardie perquisissero le celle. Una ritorsione, disumana, per l'escalation di omicidi ad opera delle gang. La foto è stata postata con orgoglio dal presidente salvadoregno, Nayib Bukele, il 25 aprile. Ma è dall'India di Narendra Modi che arrivano video e immagini delle punizioni tra le più bizzarre e cattive. Nello Stato dell'Uttar Pradesh un gruppo di migranti indiani è stato fatto accucciare per terra, al lato della strada, e su di loro gli agenti hanno iniziato a spruzzare un getto di disinfettante a base di ipoclorito di sodio. Se il disinfettante funziona sulle superfici, si sa che non fa bene sul corpo umano. Alla fine della "disinfestazione" gli operai erano coperti da una polvere bianca, che può causare danni alla pelle, agli occhi e ai polmoni, secondo quanto poi riferito da Indian Express. Nel Tamil Nadu, sempre in India, gli agenti si sono inventati un'ambulanza con a bordo una persona malata di coronavirus, su cui hanno fatto a salire a forza dei ragazzi sorpresi a violare il lockdown. Il filmato descrive bene il panico, la disperazione di questi giovani, che imbarcati sulla vettura, cercavano disperatamente di scappare urlando e piangendo. In sottofondo, le risate divertite di chi assisteva alla scena. In Punjab, le persone sorprese a infrangere le regole di quarantena sono state costrette a fare squat, piegamenti sulle gambe accovacciati, per strada cantando: “Siamo nemici della società. Non possiamo stare a casa". E a Pune si sono esibiti in complesse posizioni di yoga per almeno un'ora tra le risate dei poliziotti che impartivano ordini. "Non lascerò più casa, agente", implora un ragazzo lasciato senza scarpe davanti a un capannello di agenti con il manganello in mano, mentre fa squat. L'umiliante punizione è stata ripresa in un filmato che è circolato ovunque. Il ministro degli Interni paraguayano ha lodato l'intraprendenza della polizia. Le forze dell'ordine malgasce invece hanno costretto i violatori a pulire le strade della città e a raccogliere i rifiuti. Erano stati sorpresi in strada senza le mascherine, obbligatorie in Madagascar. Trovati 500 cittadini a viso nudo, 25 dei quali sono stati puniti con la pulizia pubblica. Gabbie per i cani sono state usate dalla polizia filippina per insegnare la lezione dell'osservanza della legge. Vivere in 20 metri quadrati con sei persone non rende la vita facile a milioni di persone. Quelli che sono stati sorpresi a violare le ordinanze governative erano usciti, a Manila, per prendere un po' d'aria. Si sono trovati a trascorrere ore intrappolati in uno spazio ancora più angusto e umiliante di quello della loro vita quotidiana.
Giovanni Favia: “Multato perché senza mascherina nel mio ristorante chiuso”. Matteo Gamba su Le Iene News l'8 maggio 2020. La rabbia dell’ex esponente di punta bolognese dei Cinque Stelle poi espulso di fatto: “Mi sono ritrovato per la prima volta in due mesi con i miei dipendenti per decidere il futuro nel mio locale, ancora chiuso. Eravamo tutti ben a distanza, solo io non avevo la mascherina per farmi capire bene: mi hanno dato una multa di 400 euro. Devono annullarla e chiedermi scusa”. “Mi hanno fatto una multa di 400 euro perché a locale chiuso parlavo con i miei dipendenti per la prima volta in due mesi solo io senza mascherina per farmi capire bene, mentre tutti eravamo ad abbondante distanza di sicurezza". Giovanni Favia, ex consigliere regionale dei Cinque stelle in Emilia-Romagna e poi espulso di fatto dal Movimento nel 2012, ci dà al telefono la sua versione di quanto accaduto ieri, 7 maggio, nel suo ristorante nel capoluogo emiliano, dopo averne parlato anche su Facebook. “Eravamo otto in tutto, ci siamo ritrovati attorno a mezzogiorno dopo due mesi. Chi ingrassato, chi col barbone, chi diventato pelato. È stato bello rivedersi, anche se lo scopo era quello di parlare del futuro non roseo che ci attende e dell’immediato presente. Eravamo nel nostro salone di 170 metri quadri: le distanze di sicurezza erano rispettate davvero in abbondanza”, ci dice Favia. “Dovevo anche consegnare le buste paga da firmare per i primi otto giorni di marzo, dopo quelle la cassa integrazione a questi lavoratori non è ancora arrivata e sono senza stipendio da due mesi. Dovevamo decidere soprattutto se ripartire o meno. Tutto era secondo la legge: potevamo ritrovarci lì per la manutenzione che abbiamo fatto e anche per riaprire nel caso per il servizio da asporto. Loro avevano tutti la mascherina, io no, da distanza, per farmi capire meglio. La serranda era mezza chiusa e davanti c’era un mucchio di sacchi neri. Era chiaro che eravamo chiusi”.
Perché ti hanno fatto la multa?
“Perché ero senza mascherina in un locale aperto al pubblico. Ho spiegato che eravamo chiusi, mi hanno detto che con la serranda a metà poteva entrare qualcuno… Un locale non aperto al pubblico non è impenetrabile, se qualcuno provava a entrare gli avremmo spiegato che eravamo chiusi. Sono esterrefatto. Non farò ricorso per quei 400 euro: voglio che mi annullino questa multa e che mi chiedano scusa! Tra l’altro è una multa strana”.
Perché è “strana”?
“Siamo arrivati alle 12, potevano vederci dall’esterno solo dalle 13.30 quando abbiamo mangiato un po’ di salame durante una pausa, sempre a distanza. Già alle 14 sono arrivati a farmi la multa. Qualcuno deve averci segnalato, non so chi”.
Alla fine avete deciso di riaprire?
“Per ora no, c’è il rischio penale se qualcuno prende il virus dentro al ristorante poi non c’è più il mercato, le fiere, gli universitari, il turismo e soprattutto la convivialità. Noi non vendiamo solo cibo ma anche un’esperienza. Se riapriamo, perdiamo altri soldi”.
Quanto ha perso finora?
“Almeno 70mila euro in due mesi e tra tutte le mie attività 300mila di mancati incassi. Io potrei anche resistere, alla fine ma sono fortunato e sono un’eccezione. Ma le piccole e medie imprese italiane, a partire per esempio dai piccoli bar, come fanno? Il governo cosa non sta facendo nulla, non so se sono in malafede o incapaci. Siamo stati l’unico paese del G7 in cui non ci sono stati veri aiuti economici diretti. Qui passiamo dalla recessione alla depressione economica: tutti i miei colleghi sono sfiduciati e hanno già annullato anche gli investimenti per l’anno prossimo. Stiamo morendo e loro dormono. E arrivano pure le multe! Non vi dico la paura, lo sconforto e la rabbia che ho visto negli occhi dei miei dipendenti. Questo è il messaggio dello Stato”.
"Virus? A noi ci protegge l'alcol". Parla il ragazzo del focolaio di Vo'. Nicky Sinigaglia intervistato a sorpresa il giorno del primo contagio in Veneto. Il video diventò virale. Il suo racconto: "Sono un tipo molto spontaneo". Giuseppe De Lorenzo, Sabato 09/05/2020 su Il Giornale. Quando ancora il coronavirus era solo un nemico lontano e invisibile, alcuni ragazzi se ne stanno seduti al bar a bere un goccio tra amici. Tutto scorre da manuale. È un venerdì sera come gli altri. All'improvviso però il Veneto scopre che prima vittima italiana del Covid-19 è Adriano Trevisan, pensionato di Vo' col vezzo delle carte. Una giornalista si fionda sul posto, pizzica quei ragazzi seduti ai tavolini all'aperto e scaglia una domanda in diretta: "Siete preoccupati?". Uno dei presenti, cuffia in testa e sigaretta in mano, risponde d'istinto: "Ma no, no, no: noi abbiamo l'alcol che ci protegge". Video subito virale e risate in tutta Italia. Lui è Nicky Sinigaglia, 24 anni tra pochi giorni, tipico accento veneto, buona parlantina e un sorriso goliardico che trapela pure attraverso il telefono: "Quel giorno era anche il compleanno della mia cara mamma, per quello che le può interessare".
Nicky, cosa si ricorda di quella sera?
"Fino a qualche minuto prima di quel fatidico video per noi il problema era in Cina. Non qui tra noi. La giornalista ci ha spiazzati. E io ho dato una risposta impreparata".
Ma era una domanda seria.
"Lì per lì non avevo capito la gravità della situazione, come nessun altro. Poi abbiamo visto che nel giro di un'ora si sono svuotati bar, pizzerie e anche la piazza. Il paese deserto in meno di un'ora, una cosa impressionante. Nei giorni a seguire abbiamo iniziato a preoccuparci".
Come le è venuto di rispondere in quel modo?
"Sono un tipo molto spontaneo. Ma non so da dove mi sia venuta, forse perché noi veneti veniamo additati sul discorso dell'alcol..."
E a lei piace bere?
"Sì, le dico la verità. Ma non per ubriacarmi: mi piace il buon bicchiere di vino, uno spritz, la birra. Noi veneti in fondo siamo conosciuti anche per questo. E poi qui sui Colli Eugenei abbiamo più cantine che case. Il buon bicchiere di vino fa parte della nostra vita".
Cosa è successo dopo la pubblicazione di quel video?
"La gente mi chiamava e mi scriveva. Arrivavano cento richieste di amicizia su Facebook ogni ora".
Qualcuno l'ha offesa?
"Molti hanno capito che era stata una risposta buttata lì. Ma qualcuno mi ha insultato, dicendo 'guarda 'sto ignorante, 'sto imbecille, 'sto ubriacone'".
E in paese?
"Lo stesso. C'è sempre quel 2-3% che ti viene contro. Ma la maggior parte delle persone voleva farsi una foto con me. Tanti mi hanno chiamato eroe".
Addirittura.
"Non so dirle il perché".
Durante la settimana che lavoro fa?
"Sono un levabolli, una specie di carrozziere. Raddrizziamo le ammaccature delle auto, senza usare stucco o vernici ma solo con leve e ventose apposite".
Cosa le manca di più adesso?
"Proprio quel momento al bar. Per noi è una sorta di traguardo settimanale: alla fine dei nostri doveri, vogliamo concederci quello spritz e raccontarci la settimana tra amici. Noi veneti preferiamo far così che scriverci messaggi tutti i giorni o mettere una foto su Facebook".
Come è stata la vita in quelle due settimane di zona rossa a Vo’?
"Non è bello quando ti trovi ai confini del paese i militari, mascherina al volto e mitra in mano. Ma ho un ricordo positivo. Avevamo molta più libertà in quei 15 giorni che dopo col lockdown. Non erano vietati gli assembramenti e ci trovavamo a giocare a calcetto al pomeriggio: gente di 40 anni che giocava con ragazzi di 15. Bello, anche se in una brutta situazione".
È vero che quando hanno tolto la zona rossa eravate meno contenti di quando l’hanno istituita?
"Beh… in parte sì. Perché a Vo' tutti avevamo già fatto i tamponi. Alcuni clienti mi vedevano come un infetto, ma io gli dicevo: 'Ragazzi guardate che è il contrario, perché io di test ne ho già fatti due e sono risultato negativo ad entrambi, voi invece…'. Quando hanno riaperto il paese, abbiamo iniziato ad avere paura della gente intorno non controllata. Il nostro era un piccolo limbo, un guscio. Quasi quasi si stava meglio in quarantena".
Vi siete mai chiesti come sia arrivato il virus a Vo’?
"Sì, sono state fatte ipotesi e teorie".
Quali?
"Forse l'ha portato qualcuno da fuori. La Locanda al Sole (uno dei due bar focolaio, ndr) offre anche gli alloggi. E si ferma molta gente. È possibile che persone abituate a viaggiare, magari anche in Cina, abbiano alloggiato qui in zona diffondendo il contagio. Ma le possibilità sono infinite".
Però alla fine Vo’ non ha pagato un prezzo alto: tre vittime e pochi contagi. Merito del Modello Veneto?
"Ora non so dirle se abbiamo solo avuto una botta di cu.., ma a a quanto pare qui a Vo', porca miseria, siamo quelli che stanno meglio".
Anche stavolta il Veneto ha fatto di testa sua. Tamponi, chiusure, riaperture. Ha avuto ragione Zaia?
"Non sono un grande esperto di politica, ma sembra che le scelte abbiano dato i loro frutti. Quindi mi sento di dire, da veneto patriota, ben venga che Zaia abbia preso certe decisioni andando controcorrente".
È orgoglioso in quanto veneto o perché leghista?
"Non mi ritengo di nessun partito. Secondo me ha fatto la mossa giusta. Ha avuto i coglioni per prendere quelle decisioni”.
Fortuna o bravura?
"Una linea molto sottile. La stessa che divide il ‘buono’ dal ‘coglione’. Secondo me 50-50".
Tutti i residenti di Vo' sono stati sottoposti a tre tamponi. All'ultimo giro sono stati fatti pure i test genetici per capire perché molti non si sono infettati. Magari scoprono che è proprio l’alcol il segreto di Vo'...
(ride) "Devo dirle la verità, andando a letto qualche sera ci ho pensato. Mi sono detto: vai a sapere te se nella cavolata che ho detto salta fuori che sotto sotto avevo ragione. (ride) Posso garantire che in Veneto, il bicchiere di vino a tavola c’è sempre. Come i russi che bevono la vodka, noi abbiamo il vino che ci caratterizza. C'è poco da fare".
Qual è la prima cosa che farà alla fine del lockdown?
"Conosce già la risposta. Uno spritz".
Ernesto De Franceschi per leggo.it il 7 maggio 2020. Fase 2, tana libera tutti. Si potrebbe parafrasare così la situazione alla Darsena di Milano. Da ieri all'ora dell'aperitivo, complice anche un clima quasi estivo, centinaia di giovani affollano la zona dei Navigli nel cuore di Milano alla faccia del divieto di assembramento che comunque impone la fase 2. Molti residenti della zona hanno denunciato la cosa: i lettori di Leggo ci hanno inviato alcune foto che parlano da sole. Ieri, attorno alle 19 in Darsena c'erano gruppetti di giovani che non rispettavano il distanziamento sociale imposto e molti erano senza mascherina. "Abbiamo chiamato più volte vigili e forze dell'ordine - denunciano i residenti della zona dei Navigli che hanno immortalato la scena con foto e video - senza che nessuno intervenisse. Se la situazione continua ad essere questa, tra 10 giorni siamo ancora tutti in lockdown". Tra loro anche tanti giovani e coppie di fidanzati con i piedi quasi a mollo sull'acqua della Darsena. Dalle foto non si vede nessun tipo di controllo o sorveglianza. Nè di polizia locale, tanto meno di altre forze dell'ordine.
Maurizio Giannattasio per Corriere.it l'8 maggio 2020. «Non permetterò che quattro scalmanati senza mascherina, seduti uno vicino all’altro, mettano in discussione tutto. Sono pronto a chiudere i Navigli e a bloccare l’asporto». Le foto e i video delle persone assiepate ieri sui Navigli davanti a bar e locali non hanno provocato solo le proteste di molti, in Rete, ma hanno fatto letteralmente infuriare, anzi «incazzare» il sindaco Beppe Sala, ossia la persona che può — con un’ordinanza — richiudere quello che è stato aperto. E venerdì Sala nel suo consueto video-messaggio alla città ha lanciato un ultimatum: «Io non sono un politico da metafore, sono un politico da atti. E il mio non è un penultimatum ma un ultimatum. O le cose cambiano oggi o io domani prenderò provvedimenti: chiudo i Navigli o piuttosto chiudo l’asporto. E poi lo spiegate voi ai baristi perché il sindaco non gli permette di vendere le loro bevande». Sala bolla come «vergognose» le immagini di ieri. «Noi siano non solo in crisi dal punto di vista sanitario e abbiamo visto quanto la pandemia ha toccato la nostra città, ma siamo in una profondissima crisi economica-sociale. Milano ha bisogno di tornare a lavorare». Il sindaco scandisce il verbo «la-vo-ra-re». «Non è un vezzo riaprire ma è una necessità. Io sto e starò sempre dalla parte di quelle famiglie che fanno fatica ad arrivare a fine mese. Sto dalla parte di chi va a lavorare e non a divertirsi». Da parte sua, il Comune oggi potenzierà i controlli sui Naviglio con la polizia locale. «Ma lo ripeto — conclude Sala —. Non stiamo giocando a guardie e ladri, non è un gioco, non possiamo permettercelo in una città con un milione e 400mila abitanti e 1700 chilometri di strada. Usiamo la testa tutti anche perché senza testa c’è solo l’1 per cento dei milanesi e non permetterò che l’1 per cento metta in difficoltà il restante 99 per cento».
Da liberoquotidiano.it l'8 maggio 2020. Beppe Sala è furibondo. "Quando c'è da ringraziare i milanesi per il loro comportamento virtuoso io sono sempre il primo a farlo, ma ci sono momenti in cui c'è da incazzato e questo è uno di quei momenti: le immagini di ieri lungo i Navigli sono vergognose". Nel video-messaggio pubblicato su Facebook il sindaco di Milano, dopo aver visto i video e le foto su Darsena e Navigli pieni di gente senza protezioni, sbotta e minaccia: "Non sono un politico da metafore, ma da atti: o le cose cambiano oggi, non domani, oggi, non è un penultimatum è un ultimatum, o io domani prenderò provvedimenti: chiudo i Navigli, chiudo l'asporto. E poi lo spiegate voi ai baristi perché il sindaco non gli permette di vendere". E conclude: "Non permetterò che quattro scalmanati senza mascherina, uno vicino all'altro mettano in discussione tutto ciò. Potevamo essere inconsapevoli, non pienamente consapevoli, due o tre mesi fa, e anche io lo sono stato, ma adesso no, dopo tutto quello che abbiamo visto".
Da liberoquotidiano.it l'8 maggio 2020. La Fase 2 è iniziata nel peggiore dei modi. Ha fatto scalpore la folla di gente che nella giornata di giovedì 7 maggio si è riversata sui Navigli, a Milano. Qui non solo assembramenti, ma anche persone che delle regole hanno dimostrato di infischiarsene. Una notizia che ha mandato Bruno Vespa su tutte le furie: "Sono stato sempre favorevole alle riaperture - cinguetta il conduttore di Porta a Porta, tra i primi a chiedere di riprendere le attività economiche al più presto possibile -. Ma l’affollamento di giovani irresponsabili anche senza mascherina sui Navigli a Milano fa venir voglia di richiudere tutto buttando la chiave". Non è un caso infatti che il capoluogo lombardo, con l'allentamento delle restrizioni, sia sul punto di temere un nuovo picco di contagi, tanto da costringere il sindaco Giuseppe Sala a dichiarare un ultimatum: "O si cambia o chiudo tutto".
Capuozzo smaschera il governo: la verità sulla folla ai Navigli. Le parole del giornalista in un post sulla pagina personale di Facebook: eccessivo il clamore mediatico suscitato dalle persone assembrate lungo i Navigli: "Ecco gettato l'osso da mordicchiare a un'opinione pubblica nervosa". Federico Garau, Sabato 09/05/2020 su Il Giornale. "Ecco gettato l'osso da mordicchiare a un'opinione pubblica nervosa. La folla sui Navigli, ripresa da teleobbiettivi", questo l'incipit di un post su Facebook del giornalista Toni Capuozzo che sottolinea con disappunto l'eccessivo clamore mediatico generato dalle immagini della folla sui navigli di Milano a pochi giorni dalla prima "riapertura" del Paese. Immagini che hanno fatto il giro del web e provocato numerose ed a volte rabbiose reazioni, non solo da parte degli internauti italiani, ma anche nel mondo della politica. Tra i primi ad insorgere dinanzi a quelle foto ed ai filmati ripresi da alcuni passanti il sindaco di Milano Beppe Sala: "Quando c'è da ringraziare i milanesi per il comportamento virtuoso sono il primo a farlo e mi piace anche. Però ci sono i momenti in cui c'è da incazzarsi e questo è uno di quei momenti. Le immagini di ieri lungo i Navigli sono vergognose", aveva sbottato il sindaco, promettendo ripercussioni in caso di nuovi episodi di non rispetto del buon senso nella prima fase di riapertura. "Questo è un ultimatum", aveva minacciato Sala, "O cambiamo oggi o io domani prenderò provvedimenti, chiudo i Navigli piuttosto che chiudo l'asporto e poi lo spiegate voi ai baristi perché il sindaco non gli permette di vendere". Al primo cittadino aveva fatto eco anche Anna Scavuzzo, vicesindaco con delega alla sicurezza: "Abbiamo bisogno di capire che le esagerazioni non portano a nulla di buono. E siccome la lezione la abbiamo imparata con l'esperienza, i Navigli che pullulano di persone tutte vicine vicine e senza mascherina, bevendo e scherzando come fossimo nella fase 8... anche no", si era lamentata. Toni Capuozzo invece si scaglia contro l'eccessivo peso dato alla vicenda, come se da essa dovesse dipendere l'intero destino del Paese, a causa di ciò che è stato definito come non rispetto delle accortezze da mantenere anche nella cosiddetta Fase 2 da parte di quella folla di persone. "È colpa loro: se ritorna il contagio, se non ci sono mascherine a 50 cents, se l'app Immuni non solo è indiscreta ma non si è proprio vista, se come fecero ai tempi della fuga al sud, annunciano il decreto "torna in cella mafioso" in anticipo, se le banche non danno i prestiti, se fare i tamponi è per pochi", ironizza il giornalista. "Quando ero un giovane giornalista mi insegnarono che fa notizia il postino che morde il cane, non il contrario, che è cosa scontata", spiega ancora Capuozzo. "Non sono poche centinaia di astinenti da aperitivo a fare notizia, ma milioni di italiani, anche in zone salve, che sorprendentemente rispettano le regole", conclude. "Sono molte di più le persone che le regole non le rispettano nonostante ci sia qualcuno costretto a farlo loro notare ogni minuto", dice una donna replicando al post. "Questo perché molti di loro non hanno capito e non hanno toccato con mano la difficile realtà che stiamo vivendo e vivono in maniera superficiale e menefreghista una situazione che invece è molto seria". Una realtà che il giornalista non nega: "Ne sono convinto. Ma da lì a pensare che tutto dipenda da qualche centinaio di persone incaute, ne passa...", replica Capuozzo. "Giustissimo", commenta un'altra utente. "Ma trovo veramente irritante vedere queste persone che se ne fregano delle regole ed io, con un bambino di 10 anni, chiuso in casa da mesi, in Sicilia, a 10 minuti dal mare, che rispetto le regole e non vado in spiaggia con lui a passeggio, a prendere il sole e fare il bagno...Francamente non è giusto". "Ma avete perfettamente ragione", ribadisce ancora lo scrittore. "Il fatto è che milioni di persone rispettano le regole, anche quando non sono razionali. Questa è la notizia, non qualche centinaio di evasi", conclude con amarezza.
Dagospia il 9 maggio 2020. Cecilia Strada: È colpa della birra sui Navigli? No, è responsabilità di chi governa le politiche della Regione. A questi ultimi, ai responsabili del disastro, fa sicuramente molto piacere potersi nascondere dietro le foto dei Navigli. Cerchiamo di non farci distrarre. Ciò detto, noi milanesi evitiamo di ricominciare a comportarci da stronzi irresponsabili, per favore, perché qui butta maluccio e se non ci proteggiamo da soli non ci protegge nessuno.
Francesco Borgonovo per ''la Verità'' il 9 maggio 2020. Beppe Sala, il sindaco di Milano, ieri si è molto arrabbiato con i suoi concittadini, che egli con tutta evidenza considera alla stregua di sudditi. A fargli perdere la trebisonda sono state alcune immagini scattate giovedì sui Navigli milanesi, e subito riprese da tutti i media. Nelle foto si vedono assembramenti, ragazzi con la mascherina calata che bevono birra, persone che passeggiano tranquille senza tenere la dovuta distanza dagli altri passanti. Guardando queste scene, Beppe Sala si è - parole sue - «incazzato». «Quando c' è da ringraziare i milanesi per il loro comportamento virtuoso io sono sempre il primo a farlo e mi piace anche. Però ci sono dei momenti in cui c' è da incazzarsi e questo è uno di quelli: le immagini di ieri lungo i Navigli sono vergognose», ha detto. Il sindaco, su tutte le furie, ha pubblicato un video piuttosto sapido: «Io non sono un politico da metafore, sono un politico da atti», ha tuonato davanti alla camera. «O le cose cambiano oggi, non domani, è un ultimatum, o io domani come al solito sarò qui a Palazzo Marino e prenderò provvedimenti, chiudo i Navigli e chiudo l' asporto». Poi, dopo la sfuriata, è arrivato il paternalismo: «Io starò sempre dalla parte di quelle famiglie che fanno fatica ad arrivare a fine mese, sto dalla parte di quelli che vanno a lavorare e non a divertirsi, per portare a casa per le loro famiglie quanto necessario», ha detto Sala. «Non permetterò che quattro scalmanati senza mascherina, uno vicino all' altro, mettano in discussione tutto ciò. Potevamo essere inconsapevoli, non pienamente consapevoli due mesi fa e anche io lo sono stato, ma ora no, dopo tutto quello che abbiamo visto». Tutto chiaro: il sindaco è molto «incazzato» con gli «scalmanati» che hanno intasato in Navigli. E se i milanesi non metteranno subito la testa a posto, il buon Beppe richiuderà la città a doppia mandata e ingoierà la chiave assieme a uno spritz. Ora, è innegabile che, in giro per strada - a Milano come altrove - ci siano persone che hanno preso alla leggera la ripartenza. Si vedono nasoni che sbucano da mascherine mal indossate, signori distinti che urlano al telefonino con la protezione calata, ci sono persino giovani e meno giovani che hanno confuso l' asporto di cibi e bevande con un picnic. Tuttavia, prima di strigliare i cittadini come fossero bambini dispettosi, qualunque politico dovrebbe farsi un esame di coscienza. Intanto, Sala il censore dovrebbe ricordarsi di quando invitava tutti, a emergenza già scoppiata, a godersi struscio e aperitivi. Era piuttosto scalmanato pure lui, in quei giorni, non trovate? L' attuale incazzatura di Beppe, poi, si basa su valutazioni spannometriche che non si addicono all' amministratore della capitale morale. Alcune delle immagini circolate sui media, infatti, forzano un poco la realtà, più che rappresentarla fedelmente. La prospettiva è tutto. Basta cambiare inquadratura e la folla stipata in pochi metri quadrati si svela per quello che è: un serpentone di persone senz' altro consistente, ma meno sconcertante di quanto appaia a un primo sguardo. Addentrarsi troppo nelle analisi tecniche, in ogni caso, è superfluo. Il tono scomposto di Sala non ha giustificazioni nemmeno se si dà per scontato che qualcuno irrispettoso delle norme di sicurezza effettivamente ci sia stato. Il punto è che il caro sindaco, al massimo, dovrebbe prendersela con sé stesso, e non sculacciare i milanesi come bambocci riottosi. Troppo facile - e pure decisamente irritante - scaricare sulla cittadinanza le responsabilità di una cattiva amministrazione. Ora il sindaco dice: «Manderò più vigili». Ma davvero? E perché non ci ha pensato prima? Quali siano i luoghi a rischio assembramento di Milano è noto da mesi, ma non ci risulta che il primo cittadino abbia predisposto controlli adeguati. Niente droni o carri armati: bastavano due ghisa. Lo spiega con chiarezza alla Verità Antonio Barbato, ex capo della polizia locale meneghina. «Si poteva fare un piano di intervento per i luoghi in cui si è concentrata la gente», dice. «Era tutto prevedibile. Si doveva organizzare una serie di controlli lì e in altre zone. Bastava che una pattuglia passasse ricordando con l' altoparlante ai cittadini di tenere le mascherine, e controllando che non ci fossero venditori abusivi di cibi e bevande». Secondo Barbato, le condizioni per attrezzarsi c' erano tutte. «A Milano ci sono 3.000 vigili. Ma mi risulta che molti siano ancora in smart working», sospira. Insomma, Beppe Sala infierisce sui milanesi, ma che cosa ha fatto per evitare assembramenti? E dire che, quando c' è stato da multare i ristoratori scesi in strada per protestare (in perfetto ordine, per altro), gli agenti disponibili c' erano. Possibile che giovedì non si trovasse un agente da spedire sul Naviglio a controllare che tutto filasse liscio? Si vede il sindaco aveva la testa altrove: forse pensava a come impedire ai cittadini di usare l' auto (in assenza di mezzi pubblici, per di più) o a come eliminare i parcheggi per far posto ai tavolini dei bar. Gli stessi bar a cui si servono gli «scalmanati» contro cui ha inveito. Sala è incazzato con i milanesi? Ottimo: il sentimento è reciproco.
Gianni Santucci per il Corriere della Sera il 17 maggio 2020. «Ma lei non ha sentito parlare di distanze da rispettare?». La sciura s'inalbera di primo mattino davanti al banco dei formaggi. Il cliente successivo le sta addosso. «Non è colpa mia», si giustifica lui. E con lo sguardo indica la blanda calca alle sue spalle. Ore 10, ieri mattina, viale Papiniano, storico mercato scoperto di Milano: l'assembramento è la riedizione (nel settore alimentare) dell' aperitivo/bivacco sui Navigli della scorsa settimana, che tante polemiche ha provocato fino all' ira funesta («c' è da incazzarsi, immagini vergognose») del sindaco Beppe Sala. Nove giorni dopo, analoga scena in differente location . E al fotografo che ha ritratto la massa sciamante tra gli alberi e i banchi si potranno fare le pulci su che tipo di obiettivo abbia usato, da che distanza abbia scattato, se abbia «schiacciato» con un tele le persone amplificando l' effetto vicinanza. Di fatto, però, le immagini non mentono (anche perché sostenute da verifiche di persona). E infatti, all' uscita, la signora che ha bisticciato dal formaggiaio commenta incredula: «E queste sarebbero le regole anti contagio? Ma per piacere...». In fase 2 il Comune di Milano (titolare dei controlli con la Polizia locale) sta sperimentando l' apertura di 26 mercati. E in una nota spiega che andrà avanti con le stesse regole. Varchi obbligatori di entrata e uscita («che limiteranno al massimo l' incrocio delle persone»); presidio di «personale dedicato che, oltre al regolare l'afflusso, potrà rilevare la temperatura dei cittadini»; definizione della «capienza massima» (due persone per ogni banco). Ecco, queste regole, funzionano? S ì e no. Il Comune assicura di non aver avuto segnalazione di criticità da «Papiniano» e che in tutti gli altri mercati la situazione è stata regolare. Ma per approfondire il tema bisogna ascoltare le parole di Giacomo Errico, vulcanico presidente degli ambulanti di Confcommercio: «Perché nessuno va a vedere cosa succede nelle corsie dei grandi supermercati? Noi siamo sempre dimenticati, ma lavoriamo all' aperto, quindi ci fotografano, ci filmano. Attiriamo tutte le critiche». D' accordo, ma ieri le distanze erano rispettate? «C' è un problema di regole, che non hanno senso. Al mercato di viale Papiniano ci sono 60 banchi, vuol dire che oggi entrano 120 persone, e solo 2 operatori per banco a servire. Se tutti vanno a comprare polli, pesce e formaggi, come succede, i clienti restano in coda. Bisognerebbe rispettare le distanza, non la capienza. Abbiamo chiesto i vigili, ci hanno detto che non ce n' erano abbastanza. E ci siamo organizzati con vigilanza nostra e Covid-manager (un responsabile del rispetto delle regole, ndr ). Può essere capitato un assembramento? Sì, certo, magari per poco. Ma nasce dall' insensatezza organizzativa che ci hanno imposto. Volete un altro esempio?». Prego. «Qualche giorno fa in un altro mercato, in via Trechi, per 6 banchi c' erano fuori 2 macchine dei vigili e 4 ispettori del Comune. A far cosa? Perché la vigilanza spettava comunque a noi. Perché i controllori non vanno a far rispettare la distanza tra persone, unico criterio efficace?».
Coronavirus, il lungomare di Bari come i Navigli: pieno di gente, alcuni senza mascherina. E Decaro chiama i carabinieri.
E c'è chi con il caldo di maggio si fa anche il bagno in mare. Il sindaco: «Il virus non se n'è andato, sta qui - ha aggiunto - e ci difendiamo se manteniamo la distanze e ci mettiamo la mascherina. Graziana Capurso l'8 Maggio 2020 su La Gazzetta del Mezzogiorno. Basta un po' di caldo e la città di Bari si popola di persone: alla faccia del Coronavirus. Il lungomare oggi è pieno di gente che cammina, fa sport e (addirittura) c'è chi è stato immortalato mentre si fa il bagno in acqua. Come mostrano le immagini, siamo solo al quinto giorno dall'uscita del lockdown e il capoluogo pugliese tenta di sfidare gli assembramenti sui Navigli a Milano, che hanno destato scalpore in queste ore. Coronavirus Puglia, solo 11 contagi su quasi 2mila tamponi: 2 i decessi. Fase 2: dal 18 maggio riaprono 10mila attività. In barba a tutte le cautele suggerite dal sindaco Antonio Decaro e dalle istituzioni. Alcuni non rispettano nemmeno il distanziamento sociale e si godono questo caldo pomeriggio di maggio, seduti alle panchine del centro, perfino senza mascherina.
LE PAROLE DI DECARO - Nel giorno di San Nicola, nonostante siano stati sospesi tutti gli eventi legati al patrono della città, nel centro e sul Lungomare di Bari si sono riversate tantissime persone, complice la bella giornata, creando assembramenti. «Io - ha detto il sindaco Antonio Decaro poco fa in una diretta Facebook - ho dovuto mandare i carabinieri in alcune piazze della città a fare delle sanzioni, non possiamo stare tutti insieme, seduti sulle panchine, dobbiamo utilizzare la mascherina come fosse una cintura di sicurezza o un casco che prima non usava nessuno». «Il virus non se n'è andato, sta qui - ha aggiunto - e ci difendiamo se manteniamo la distanze e ci mettiamo la mascherina. Se dobbiamo uscire tutti i giorni e a tutte le ore, la città non riesce nelle aree a disposizione a contenere 320mila persone». «Per evitare i contagi - ha concluso - ho ancora parchi e piazzette chiuse. Sto per aprire alcuni parchi ma non ci si potrà assembrare, non possiamo più stare tutti insieme. Dimostrate di meritare la fiducia».
Irene De Arcangelis per repubblica.it il 7 maggio 2020. «Continuava a ripetere: “Fammi fare quello che voglio o ti uccido. Stai ferma e non urlare”. Non era un uomo, era una bestia quello che per quarantacinque minuti mi è stato addosso. Era il doppio di me e tutto il suo peso era sulla mia schiena. Si arrabbiava, perché avevo i jeans troppo stretti e non riusciva a levarmeli. Quarantacinque minuti in cui ho capito che la mia paura più forte era quella di morire...». Francesca (nome di fantasia), 48 anni, vittima di una violenza sessuale avvenuta in pieno giorno e nel centro della città. Corso Arnaldo Lucci, parcheggio della Metropark (pieno di telecamere) nel primo pomeriggio di domenica della scorsa settimana. Lo stupratore è poi stato arrestato dalla polizia.
Paura di morire, ha detto, Francesca...
«Sì, perché l’orrore di essere violentata è stato superato dalla mancanza del respiro. Quell’uomo mi stava addosso e stringeva da dietro il braccio intorno al collo. Soffocavo».
Può raccontarci come è andata?
«Sono infermiera in una struttura pubblica. Lavoro in un reparto di Psichiatria dove ci stiamo occupando dei “reduci” del Covid. Escono traumatizzati dalla malattia e noi li seguiamo con affetto e attenzione. Domenica, dopo il lavoro, stavo tornando a casa, ad Avellino, e dopo aver preso la metropolitana ero arrivata alla Metropark in anticipo. L’autobus per Avellino, a causa della riduzione delle corse per l’emergenza Covid, sarebbe partito un’ora dopo. Alle due e mezza del pomeriggio non c’era anima viva, così mi sono seduta su una panchina ad aspettare».
Cosa è successo dopo?
«All’improvviso quest’uomo grande e grosso (un cittadino senegalese irregolare in Italia, accerterà poi la polizia, ndr) ha scavalcato una recinzione ed è venuto verso di me. Ho subito avuto paura, aveva l’aria minacciosa. Mi ha afferrato un braccio. Io ho subito pensato a una rapina: così, per salvarmi, gli ho dato la borsa. “Prendi tutto, ci sono i soldi”, ho detto. La risposta mi ha raggelato. Ha detto: “Non voglio i tuoi soldi, quelli ce li ho”. Poi mi ha strattonato e scaraventato per terra. Ho visto il mio cellulare volare via, mi ha strappato il giubbino di dosso. Ho capito che per me era finita».
E cosa ha fatto?
«Mi sono accovacciata a terra per proteggermi, ma lui mi ha preso alle spalle. Con tutto il suo peso si è messo sulla mia schiena provocandomi un dolore immenso. Non saprei dire se era più forte quello fisico o quello mentale. Mi infilava le mani dappertutto e si arrabbiava perché io mi difendevo. Diceva cose assurde, come in una litania: “Ti uccido, ti devo purificare, di tolgo il fuoco che hai dentro. Devi spogliarti di tutto, vestirti e pettinarti come dico io”. Io sentivo ma non respiravo con quella mano sulla bocca. Ad ogni istante pensavo: tra poco arriva l’autobus, tra poco compare qualcuno. Resisti Francesca, resisti, tu sei più forte di lui. Ce la devi fare, devi vincere…».
Quanto è durato questo incubo reale?
«Quarantacinque minuti, una eternità. Poi è passata una donna, avrà avuto quarant’anni. Ha visto tutto. Io sono riuscita a gridare: “Aiutami, chiama la polizia, i carabinieri, ti prego”. Ma lei si è allontanata, è scomparsa. Non ha fatto nulla. Altro che solidarietà tra donne. A volte le donne, tra loro, sanno essere cattive e indifferenti. Non ho avuto le allucinazioni, è stata ripresa dalle telecamere e la polizia sta cercando di identificarla».
Dunque l’incubo è andato avanti senza nessuno che la aiutasse.
«Nessuno. La città era deserta. In quarantacinque minuti non si è vista nessuna auto delle forze dell’ordine. La città non può essere abbandonata a se stessa. Le telecamere hanno ripreso tutta la violenza, ma nessuno stava guardando quei filmati in diretta, altrimenti sarebbe subito intervenuto. Usano i droni per trovare le persone che vanno sulla spiaggia nonostante l’emergenza Covid. Perché non li usano per prevenire queste e altre aggressioni?».
Eppure è riuscita a difendersi.
«Ho pensato di essere più forte io. Ho mentito per salvarmi. Gli ho detto di non farmi male perché ero incinta, gli ho detto che non riuscivo a respirare e che avevo bisogno di acqua, e poi gli ho detto che se arrivava qualcuno sarebbe stato arrestato. Ma lui continuava a cercare di strapparmi i jeans. La mia schiena era a pezzi, il collo pieno di lividi. Diceva: “Se urli ti uccido” e poi mi levava la mano dalla bocca nel tentativo di girarmi e mettermi con la schiena a terra. Mi sono aggrappata a un cassonetto dei rifiuti per impedirglielo. Fino a quando non è arrivato l’autobus…».
E cosa è successo?
«L’autista ha visto cosa stava succedendo, è sceso e ha cominciato a urlare. Intanto però è arrivato l’Esercito. Tre militari lo hanno circondato e a quel punto io sono riuscita ad alzarmi e mi sono rifugiata sull’autobus. Poi è arrivata anche la polizia, quattro volanti per bloccare quell’essere immondo. Non mi hanno lasciato più. Mi hanno portato in ospedale, per reazione mi è salita la febbre, tale è stato lo choc. La polizia ha avvertito mio marito. Hanno visto i filmati, alcuni poliziotti non ce l’hanno fatta a guardare fino alla fine per la rabbia e il disgusto. Ma voglio dire grazie alla dirigente delle volanti (il vice questore Francesca Fava, ndr), che ha capito cosa ho vissuto».
Come sta ora, Francesca?
«Male. Non sono tornata a lavorare, ho dovuto vivere il dolore di mia figlia che si sente ferita come donna e come figlia. E quello di mio marito che si sente in colpa e impotente per non avermi potuto proteggere. Sono traumi che travolgono tutta la famiglia. Ma la cosa che mi fa più male è la paura che ho avuto della morte e che ora mi impedisce di sorridere. Sul mio lavoro è importante. Aiutiamo tante persone che non riescono a riappacificarsi con la vita dopo un trauma. Ora è il Covid, ma ho seguito tante donne che hanno subìto violenza. E tutto si basa sulla comunicazione. Ora mi sembra di non poter trasmettere più, a chi ne ha bisogno, l’interesse per la vita. Anche con un sorriso. Invece posso solo vivere il mio dolore».
Napoli, infermiera anti-Covid violentata, il dolore del marito: "Non mi perdonerò mai di averla lasciata sola". "Perchè quel giorno ho rispettato i divieti e non sono andato a prenderla?" Irene De Arcangelis l'8 maggio 2020 su La Repubblica. "Quando sono corso in ospedale da mia moglie e l'ho vista seduta subito dopo l'aggressione ho visto il dolore, il dolore e ancora il dolore, solo dolore. Sono stato travolto completamente". Dice la parola "moglie" e scoppia a piangere. Smette subito, ma poi si commuove di nuovo. Vive lo stesso stupro, la stessa inaudita violenza ma dall'altra parte, quella del marito che non ha potuto far nulla per proteggere la sua compagna di una vita, nulla per impedire che potesse avvenire. Dalla parte del marito che non c'era fisicamente quando tutto è successo, che ha dovuto saperlo con una telefonata tra i singhiozzi e la voce di un poliziotto nel frastuono sullo sfondo del traffico e delle sirene. Facce diverse dello stesso dramma, quello della violenza sessuale subita dieci giorni fa da una infermiera professionale impegnata nella lotta al Covid che, mentre tornava a casa dopo il turno di lavoro nella controra, è stata brutalmente aggredita da un cittadino senegalese irregolare nel parcheggio della Metropark di corso Arnaldo Lucci.
Dottor Lino, anche lei, come sua moglie Francesca, ha vissuto e vive tuttora un incubo reale...
"Quel pomeriggio ero a casa, stavo aspettando il rientro di mia moglie. Sa, quando ha dei turni che finiscono la sera tardi o la domenica nella controra vado a prenderla per portarla a casa, ad Avellino. Ma con l'emergenza Covid non potevo usare l'auto e così ci siamo arrangiati con i mezzi pubblici che hanno le corse ridotte. Non ero preoccupato, conosco bene la zona del parcheggio Metropark e anche io prendo spesso gli autobus. Di solito c'è sempre gente per il gran movimento di autobus che partono per molte località della regione e anche di altre zone d'Italia. Immaginarsi l'intero parcheggio completamente deserto e senza neanche dei custodi o degli addetti non era possibile. A un certo punto ha squillato il telefono. Cosa farebbe se sentisse dall'altra parte sua moglie che singhiozza, le parole "sono stata aggredita", poi ancora di seguito "sto andando in ospedale" e, quindi, un poliziotto che mi chiede di raggiungerli in ospedale, al Cardarelli? Non ricordo neanche come sono arrivato all'ospedale Cardarelli, a Napoli... ma quando mi sono mosso non avevo ancora capito cosa era successo, non fino in fondo".
Che scena si è trovato di fronte quando è arrivato al Cardarelli?
"Sono subito entrato al triage dell'ospedale Cardarelli perché sono un medico. E ho visto mia moglie seduta su una sedia. Non mi rendevo conto di niente. Ma senza sapere ho cominciato a piangere perché ho visto il volto spento di mia moglie. Spento, buio. Non c'era più la sua luce di sempre, il suo bel sorriso. Era assente. C'era ma non c'era e io volevo sapere ma non volevo sentire... Ero lì come intontito. Si va in tilt... Fino a quando non sono riuscito a portarla a casa non ho realizzato l'accaduto".
E una volta a casa?
"Lei a casa mi ha raccontato tutto quello che le era accaduto, nei dettagli. Ero terrorizzato mentre la ascoltavo. Mi sono scosso quando mi ha detto che per liberarsi si era aggrappata al cassonetto dei rifiuti. Mia moglie aggrappata a un cassonetto dei rifiuti senza difesa... da quel momento è cominciato il mio vero incubo, la domanda ricorrente che non mi lascia più".
Quale?
"Quarantacinque minuti, il tempo della violenza subita da mia moglie con quell'uomo che le stava addosso sulla schiena e cercava di strapparle i vestiti di dosso con il braccio stretto al collo rischiando di soffocarla. Quarantacinque minuti...Cosa stavo facendo io in quei quarantacinque minuti? Stavo seduto sul divano in quei quarantacinque minuti? La donna della mia vita stava lottando con le unghie e con i denti per salvarsi in quei quarantacinque minuti ed io, io perché non ero lì? Perché qualcuno dal cielo non mi ha detto di andare a prenderla senza pensare ai divieti, di andare e basta? E mi chiedo anche: perché nessuno stava guardando quelle telecamere in quei quarantacinque minuti? Perché nessuno ha protetto mia moglie al posto mio? Allora le telecamere in diretta nelle centrali operative delle forze dell'ordine sono soltanto roba da polizieschi americani? Nessuno le osserva quelle telecamere?".
Lei adesso è come divorato dal senso di colpa.
"Senso di colpa, frustrazione, senso di impotenza, quello che vuole ma è così... E poi la rabbia di cui non è facile liberarsi. Come uomo, come marito e come medico. È stato quando ho provato tutte queste cose assieme, queste travolgenti sensazioni che ho cominciato a piangere e adesso, lo confesso, non riesco più a fermarmi. Certo, non avrei voluto farmi vedere da lei quando sono scoppiato in lacrime, perché so bene che non è una immagine che poteva aiutarla a superare, tutt'altro...Ma non ce l'ho fatta, e ho pianto. Cerco ancora, ogni giorno, una spiegazione, un modo per metabolizzare l'accaduto ma non ci riesco. Cerco disperatamente un modo per rivedere il sorriso sul volto di mia moglie, cerco di farla ridere, ma intanto ogni giorno sale la rabbia e il dolore si acuisce. Vorrei aiutarla ma sono ridotto come lei. Il mio cuore è andato in pezzi e mi sembra di non servire più. A nulla. Vorrei portarla a fare una passeggiata, vorrei portarla al mare e dimenticare tutto. Vorrei che tutto diventasse un brutto ricordo chiuso in un armadio".
Se potesse incontrare l'uomo che ha aggredito sua moglie, cosa gli direbbe?
"Non sarei in grado di fargli del male. Sono contro la violenza e sono un medico. Cosa gli direi? Credo che non gli direi proprio nulla. Per cominciare perché non credo che un personaggio del genere si sia pentito per quello che ha fatto. E non credo che riuscirebbe a capire quello che sento. No, non gli direi nulla e non vorrei incontrarlo. Ma certo, un uomo del genere non va perdonato, non è possibile perdonarlo...".
Lei ha pianto raccontando quanto è successo, è ancora molto provato.
"Sì, ho pianto. E non me ne vergogno. Mia moglie mi appartiene e quindi mi carico di tutto il suo dolore. Siamo una cosa sola e dobbiamo attraversare un lungo tunnel nella speranza di arrivare alla luce della normalità che ora ci sembra perduta. Sono fermo a quei quarantacinque minuti. Quei maledetti quarantacinque interminabili minuti quando tutto è accaduto".
Il marito dell’infermiera violentata a Napoli: “Un incubo”. Francesco Ferrigno l'08/05/2020 su Notizie.it. Lino, di professione medico, ha ripercorso il pomeriggio durante il quale la moglie infermiera è stata violentata a Napoli.
“Mi carico di tutto il suo dolore”. “Ero terrorizzato mentre la ascoltavo, è cominciato il mio incubo”: così il marito dell’infermiera violentata a Napoli in pieno giorno. Il terribile episodio è avvenuto domenica 3 maggio intorno alle 15. La donna attualmente impegnata in progetti per l’assistenza ai malati di coronavirus è stata presa di mira da un immigrato irregolare del Senegal. L’aggressore è stato poi arrestato dalle autorità ma la violenza sarebbe durata almeno 45 minuti e si sarebbe consumata su una panchina nei pressi del Metropark in corso Arnaldo Lucci. Il marito dell’infermiera Francesca (nome di fantasia) si chiama Lino, è un medico fisiatra, vivono con la figlia ad Avellino, e ora non riesce a darsi pace.
Infermiera violentata a Napoli: il racconto. “Quel pomeriggio ero a casa, stavo aspettando il rientro di mia moglie. – ha raccontato l’uomo in un’intervista rilasciata a Repubblica – Con l’emergenza Covid non potevo usare l’auto e così ci siamo arrangiati con i mezzi pubblici che hanno le corse ridotte. Non ero preoccupato, conosco bene la zona. Di solito c’è sempre gente per il gran movimento di autobus. A un certo punto ha squillato il telefono”. Dall’altro capo del telefono c’era Francesca che singhiozzava: “Sono stata aggredita, sto andando all’ospedale Cardarelli”.
“Ho visto il volto spento”. Lino ha quindi raccontato di essere entrato al triage dell’ospedale Cardarelli. “Ho visto mia moglie seduta su una sedia. – ha detto il medico – Non mi rendevo conto di niente. Ma senza sapere ho cominciato a piangere perché ho visto il volto spento di mia moglie. Spento, buio. Non c’era più la sua luce di sempre, il suo bel sorriso. Era assente”. Una volta a casa la donna ha descritto l’incubo al marito: 45 minuti di aggressione con la donna che cercava di resistere al violentatore aggrappata ad un cassonetto dei rifiuti.
Quarantacinque minuti. “Cosa stavo facendo io in quei quarantacinque minuti? – si è chiesto Lino – Stavo seduto sul divano in quei quarantacinque minuti? La donna della mia vita stava lottando con le unghie e con i denti per salvarsi in quei quarantacinque minuti ed io, io perché non ero lì? Perché qualcuno dal cielo non mi ha detto di andare a prenderla senza pensare ai divieti, di andare e basta? E mi chiedo anche: perché nessuno stava guardando quelle telecamere in quei quarantacinque minuti? Perché nessuno ha protetto mia moglie al posto mio?”. Il medico ha pianto distrutto dal dolore, ha affermato di non essere in grado né di perdonare né se incontrasse l’aggressore di essere in grado di fargli del male essendo contro la violenza. Sta cercando di riportare il sorriso sul volto della moglie, ma la sofferenza della coppia si acuisce sempre di più. “Mi carico di tutto il suo dolore. – ha concluso il marito dell’infermiera violentata a Napoli – Siamo una cosa sola e dobbiamo attraversare un lungo tunnel nella speranza di arrivare alla luce della normalità che ora ci sembra perduta. Sono fermo a quei quarantacinque minuti”.
Da "corriere.it" il 6 maggio 2020. Momenti di tensione mercoledì mattina all'Arco della Pace, a Milano: durante un flash mob dei ristoratori che denunciavano la pesante crisi economica per la chiusura delle loro attività e la poca chiarezza sulla riaperture da parte del governo, la polizia è intervenuta prima identificando e poi denunciando i manifestanti. A quel punto la rabbia è esplosa.
Torino, barista porta caffè ai poliziotti di guardia alla coda al Banco dei pegni: multato dai vigili. La coda davanti al Banco dei pegni a Torino. Verbale da 400 euro. La polizia municipale: "Non vale la consegna a domicilio, gli agenti non abitano lì". Lui: "Assurdo, farò ricorso". Carlotta Rocci su La Repubblica il 6 maggio 2020. La consegna di tre caffé all'ingresso del Monte dei Pegni è costata una multa da 400 euro al titolare del bar bistrot napoletano Tuocc & Fuje di via Monte di Pietà 23 che si è visto consegnare il verbale dalla polizia municipale questa mattina. Per i vigili la sua consegna equivale ad un'attività da asporto che a Torino è vietata fino al 9 maggio. "Al momento del controllo si accertava che venivano venduti numerosi caffé per asporto, attività vietata nel comune di Torino", si legge nel verbale. Secondo la municipale, infatti, il barista avrebbe potuto consegnare il caffé ordinato dal direttore del banco dei pegni soltanto al direttore e non ai due poliziotti. "Se ne avessi portato soltanto uno al direttore sarebbe stata una consegna a domicilio perché lui lavora a quel preciso indirizzo", spiega il barista Giuseppe Viscardi. Lo stesso, però, non vale per gli agenti che si trovavano in strada per assicurare che la gente in coda mantenesse le distanze di sicurezza". Il direttore sì, ma i poliziotti no. "Sono uscito dal bar e ho portato i tre caffé che mi erano stati ordinati dal direttore che evidentemente aveva deciso di offrirne uno agli agenti - racconta ancora - quando sono tornato nel bar sono stato seguito da due vigilesse in borghese che mi hanno multato". La beffa è doppia perché il commerciante ha deciso di aprire soltanto il 4 maggio: "Avrei potuto organizzarmi per le consegne a domicilio da molto prima - dice - ma visto che la mia clientela è fatta soprattutto dagli impiegati degli uffici, ho deciso di aspettare che riaprissero almeno in parte". E aggiunge: "Di sicuro farò ricorso contro questa multa assurda che affonda il coltello nella piaga in una situazione già drammatica. Siamo chiusi da mesi e stiamo cercando in qualche modo di rialzare la testa rispettando tutte le regole". Ma i vigili non sono d'accordo. "La consegna è stata fatta in strada appena fuori dal locale - precisano dalla polizia municipale -Se i caffé fossero stati portati all'interno del monte dei pegni sarebbe stata un'attività di delivery permessa. In questo modo, invece, risulta un servizi di asporto che non è ancora consentito a Torino".
Da ladige.it il 5 maggio 2020. Il 4 maggio era dietro l'angolo. Ma ancora troppo lontano di fronte al loro bisogno di rivedersi. Così due fidanzati della Valle del Chiese, sabato avevano deciso di incontrarsi. Non solo: per poter trascorrere del tempo assieme avevano anche di spostarsi in auto. Per non incorrere in controlli, lei aveva deciso di nascondersi nel bagagliaio di lui. Peccato però che i due siano incappati in un posto di controllo dei carabinieri della stazione di Storo, lungo la Provinciale 69. A tradire la giovane coppia è stato il nervosismo di lui, che non ha saputo fornire con disinvoltura una credibile motivazione per giustificare il suo spostamento.
Emilio Orlando per leggo.it il 6 maggio 2020. Un gruppo della polizia municipale si "trasforma" in un centro estetico abusivo durante l’epidemia di Covid -19. Infatti, un agente in servizio presso il Pics - il pronto intervento del centro storico - ha portato la compagna dentro gli uffici per far fare un vero e proprio servizio di manicure a due vigilesse. Il tutto sarebbe avvenuto durante l’orario di servizio lo scorso 6 aprile, quando i centri estetici erano chiusi proprio per le restrizioni imposte dal governo italiano. Epidemia colposa, abuso delle funzioni, omissione d’atti d’ufficio, esercizio abusivo della professione di estetista, evasione fiscale: ecco la lista dei reati ipotizzati. Sono questi i risultati emersi da un’indagine interna della polizia locale che ha avviato un’inchiesta sull’accaduto. La donna, manicure a domicilio, secondo quanto è emerso sarebbe entrata negli uffici del Pics insieme al compagno e sarebbe stata pagata dalle vigilasse 15 euro. Tre le persone indagate dagli stessi caschi bianchi: le due vigilesse e il marito dell'"estetista". Dal comando generale della polizia municipale non rilasciano dichiarazioni.
Gabriele Laganà per "ilgiornale.it" il 6 maggio 2020. Scene di pura follia ieri pomeriggio a Torino. A meno di 24 ore dalla fine del lockdown, un folto gruppo di immigrati si è affrontato in strada a causa, probabilmente, di una bicicletta. La violenza è avvenuta tra i quartieri Aurora e Barriera di Milano, all'incrocio tra corso Giulio Cesare e corso Novara, proprio davanti al negozio di giocattoli Toys Center. Qui le due opposte fazioni, senegalesi da una parte e marocchini dall’altra, si sono fronteggiate senza esclusione di colpi. La discussione, nata per il furto di una bicicletta, ha fatto radunare in strada un centinaio di persone, molte delle quali non indossavano neppure le mascherine protettive. La situazione è sfuggita di mano in pochi attimi. Tra i contendenti sono volati pugni e calci: addirittura c'è chi ha utilizzato un bidone della spazzatura come ariete e chi ha scagliato una bici contro un avversario. Sul posto sono intervenute una decina di volanti della polizia per sedare la lite e riportare la calma. Molti dei protagonisti della maxi rissa sarebbero riusciti a dileguarsi alla vista delle forze dell’ordine. Ma questo è solo il secondo grave episodio di violenza avvenuto ieri nella stessa zona di Torino. Poche ore prima, infatti, nella medesima strada era scoppiata una lite tra quattro persone di età compresa tra i 23 e i 34 anni, due di origini romene, un giovane del Mali e un senegalese. Tutte le persone coinvolte erano ubriache. Per bloccare i violenti sono arrivate cinque gazzelle dell'Arma dei carabinieri che, non senza fatica, hanno fermato gli immigrati. Prima di essere condotti in carcere, tre di loro sono stati portati in ospedale per medicare le ferite riportate nella colluttazione. Durante la perquisizione personale, nelle tasche dei 4 stranieri sono state rinvenute alcune dosi di cocaina, marijuana e hashish. Ma vi è di più. Queste due sconcertanti azione di violenza sono avvenute nella strada teatro, due domenica fa, di una protesta scoppiata dopo l’arresto di un ladro. In quella occasione un gruppo di anarchici era intervenuto invitando i residenti alla ribellione contro le forze dell'ordine e le norme anti-coronavirus. "Siamo ancora in Fase1 ma oggi pomeriggio si è scatenata una rissa in corso Giulio Cesare all'altezza di via Bra con prolungamento verso Corso Novara per non ben precisati motivi. Sono intervenute una decina di volanti della Polizia di Stato. Ma è inqualificabile che in Aurora possano succedere queste situazioni. Ed è la terza volta che succede negli ultimi 15 giorni. Chiediamo dei presidi fissi delle Forze dell'Ordine nei punti nevralgici del Quartiere", ha scritto nella sua pagina Facebook Luca Deri, presidente della circoscrizione 7. "La situazione sta degenerando ogni giorno di più... #tolleranzazero..e basta! I buonisti vengano a vivere in quelle zone se hanno da difendere il non rispetto della legge. Chiederò alla sindaca ed al prefetto di insediare un presidio fisso proprio in corso Giulio Cesare angolo corso Novara poiché troppi episodi accadono sempre lì", gli ha fatto eco Raffaele Petrarulo, capogruppo della lista civica "Sicurezza, legalità" nel consiglio comunale di Torino.
I medici albanesi in Italia? Per loro scattano le multe. Stavano festeggiando la fine della missione agli Spedali Civili di Brescia con birre e musica in una stanza del loro albergo: dieci medici albanesi multati e denunciati dalla polizia. Ma la decisione di sanzionarli fa discutere. Cristina Verdi, Giovedì 30/04/2020 su Il Giornale. Sono arrivati a Brescia esattamente un mese fa, nel pieno dell’emergenza Covid, per prestare servizio agli Spedali civili. L’arrivo in Italia dei medici albanesi non era passato inosservato. La "piccola" Albania correva in soccorso dell’Italia perché, aveva detto il premier Edi Rama, "non saremo ricchi, ma neppure privi di memoria". "Non dimentichiamo chi ci ha aiutato", è la sintesi del suo discorso che in pochi minuti è rimbalzato su tv e quotidiani del Bel Paese. Ora però a far discutere è la partenza del team di specialisti che ha prestato servizio nella città lombarda. Dieci tra medici e infermieri albanesi sono stati denunciati a poche ore dal loro ritorno in patria. Il motivo? Per festeggiare la fine della missione in Italia hanno organizzato un party a base di alcol e musica a tutto volume in una delle stanze dell’albergo che li ospitava. Niente di male, un brindisi con birra in bottiglia e qualche canzone, se non fosse che nel nostro Paese sono ancora in vigore le restrizioni per contenere l’epidemia di coronavirus. La stessa epidemia contro la quale hanno combattuto, spalla a spalla con i colleghi italiani, anche loro, i medici arrivati da Tirana. Il movimento è stato notato dal portiere del Regal Hotel, che si trova proprio di fronte al nosocomio bresciano, il quale, d'accordo con il proprietario, Luca Andriani, ha deciso di avvertire le forze dell’ordine. Secondo l'imprenditore, intervistato da Repubblica, medici ed infermieri, quasi tutti trentenni, non erano nuovi a questo tipo di eventi, anzi. In più di un'occasione il gruppo sarebbe stato richiamato all'ordine per i bagordi e gli schiamazzi. La direzione dell'albergo parla di "chiazze di vomito" lasciate nelle camere, urla dai balconi e tentativi di accedere alla piscina dell'hotel, chiusa proprio a causa dell'emergenza sanitaria. Tanto che dal Regal avevano chiamato anche in ospedale per segnalare gli eccessi del gruppo. Quando ieri sera i poliziotti sono arrivati sul posto ad interrompere il festino qualcuno dei partecipanti ha reagito male, protestando e prendendosela con gli agenti, che nel frattempo provvedevano a multare gli animatori del party abusivo. La leggerezza della squadra di specialisti, infatti, è costata cara ad almeno nove persone, alle quali sono state elevate sanzioni per importi fino a 500 euro a causa dell’inosservanza delle misure restrittive. Due medici, invece, sono stati denunciati per resistenza ed oltraggio. Sulla vicenda la questura ha aperto un’inchiesta. Ma il caso fa discutere. A chiedere di fare chiarezza è il consigliere comunale di Fratelli d’Italia, Giampaolo Natali: "Non entro nel merito dell'intervento di polizia ma queste persone sono arrivate in Italia su mandato del loro premier per aiutarci in uno dei momenti più bui con gli ospedali piegati dal Covid". Per il politico, insomma, la reazione nei confronti dei medici ed infermieri del team albanese sarebbe stata esagerata: "Adesso torneranno in Albania con una denuncia per oltraggio e nove multe da 500 euro". "Vogliamo capire cosa sia successo la scorsa notte in albergo e se ci sono responsabilità di chi ha eseguito l'intervento", incalza l’esponente bresciano del partito di Giorgia Meloni, che ora preme affinché "il caso venga discusso in parlamento".
Brunella Bolloli per “Libero quotidiano” il 3 maggio 2020. Però, anche noi, che cattivoni. Che ingrati. Se l'avesse saputo prima, forse Edi Rama, il premier albanese, avrebbe usato meno pathos nelle sue parole strappalacrime indirizzate «agli amici italiani». Frasi che hanno toccato il cuore specie quando ha detto: «L' Albania non dimentica. Noi non siamo ricchi ma neanche privi di memoria, dimostriamo all' Italia che l' Albania non abbandona mai l' amico in difficoltà». Era il 29 marzo e il primo ministro di Tirana ha accompagnato così, con questo aulico discorso, la missione di trenta medici e infermieri spediti qui per aiutare i colleghi italiani alle prese con l' emergenza Covid. Ad attendere «la piccola armata in tenuta bianca» sbarcata all' aeroporto di Fiumicino, un festante Luigi Di Maio a rivendicare il successo di questa armonia tra i due Paesi perché, ha dichiarato il ministro degli Esteri grillino, «la solidarietà che l' Albania dimostra è un valore comune che ha fatto nascere l' Unione europea». Per cui tutti contenti, foto di rito e ringraziamenti. Ma l' intento nobile del premier Rama non si è concretizzato come sperava. Il team inviato nella Lombardia martoriata dal virus deve avere preso la trasferta un po' sottogamba, più come una vacanza all' estero che come una delicata missione nelle zone focolaio dell' epidemia. A Brescia, dove la trentina di sanitari albanesi doveva supportare il personale degli Spedali Riuniti, oberati di casi gravissimi, pazienti intubati e gente più di là che di qua, si vocifera di scarso impegno in corsia: la truppa partita da Tirana si guardava in giro spaesata, più simile ad una comitiva della domenica che a medici in prima linea in rianimazione. Due del gruppo si sono messi quasi subito in malattia: proprio loro che erano venuti per guarire gli altri, hanno avuto bisogno di assistenza. Che si siano presi il Covid o qualche altra infezione non è chiaro, fatto sta che sono stati costretti a rimanere chiusi nell' hotel di Brescia, ubicato di fronte all' ospedale. Si vocifera che almeno un paio di altri si siano presentati alticci in almeno un' occasione, ma è il finale della missione ad essere stato disastroso: in 9, assiepati in una stanza, a bere birra, cantare, e fare baldoria come una scolaresca quando la prof dorme. Purtroppo per loro, però, il portiere notturno dell' albergo era sveglissimo e i vicini di camera - altri medici e familiari di pazienti ricoverati - hanno sentito tutto e preteso silenzio. Non riuscendo a ottenerlo con le buone, è stata chiamata la polizia la quale non era tenuta a sapere del toccante messaggio di Edi Rama né delle relazioni diplomatiche tra Roma e Tirana. Le forze dell' ordine, di fronte ai rigidi decreti di Conte, si sono limitate ad applicare la legge, quella che vieta gli assembramenti e sanziona chi festeggia in barba al virus. Morale: 400 euro di multa a 9 tra medici e infermieri albanesi pizzicati in camera a brindare. Per 2 di loro è pure scattata una denuncia per oltraggio a pubblico ufficiale perché si sono ribellati urlando al poliziotto: «Ci multate perché siamo albanesi. Siete razzisti». Il giorno successivo, come se niente fosse, il saluto con le autorità lombarde fuori dal nosocomio bresciano. La storia doveva rimanere sotto silenzio per non guastare i rapporti tra Italia e Albania e perché è meglio avere qualcuno che aiuta piuttosto che niente, invece è uscita. A quel punto il clan di festaioli ha scritto una lettera di scuse in cui ha espresso «rammarico» per l' accaduto. «Nell' albergo in cui eravamo alloggiati ci siamo un po' lasciati andare all' esternazione della nostra soddisfazione per l' opera compiuta e per avuto i risultati negativi del doppio tampone che non impedirà di continuare il nostro lavoro senza renderci conto di avere recato disturbo». L'amicizia è salva.
Rissa in strada a Torino: decine di persone presenti senza mascherina. Laura Pellegrini il 04/05/2020 su Notizie.it. Caos nel capoluogo piemontese nel pomeriggio di domenica 3 maggio, a poche ore dall’inizio della fase 2. In pieno lockdown decine di persone sono scese in strada senza mascherina in seguito a una rissa scoppiata tra corso Giulio Cesare e corso Novara, davanti al negozio di giocattoli Toys Center di Torino. Dopo l’intervento delle volanti della polizia sono stati effettuati tre arresti: in manette un 23enne e un 28enne ghanesi, oltre a un 17enne marocchino. Luca Deri, presidente della circoscrizione ha denunciato quanto accaduto nel pomeriggio di domenica 3 maggio. A Torino è scoppiata una rissa in strada tra alcuni ragazzi per una bicicletta e decine di persone si sono riversate sul posto senza mascherina. Da quanto si apprende, infatti, un marocchino e un ghanese stavano litigando, ma all’arrivo della polizia la situazione è tornata alla normalità. Nel frattempo, però, si era creato un assembramento di persone curiose e molti erano senza dispositivi di protezione individuale, nonostante l’emergenza in corso. “È inqualificabile che in Aurora possano succedere queste situazioni – denuncia Deri -. Ed è la terza volta che succede negli ultimi 15 giorni. Chiediamo dei presidi fissi delle forze dell’ordine nei punti nevralgici del quartiere”. Gli fa eco anche Raffaele Petrarulo, capogruppo della Lista civica e sicurezza in consiglio comunale: “La situazione sta degenerando ogni giorno di più… Tolleranza zero, basta! I buonisti vengano a vivere in quelle zone se hanno da difendere il non rispetto della legge. Chiederò alla sindaca ed al prefetto di insediare un presidio fisso proprio in corso Giulio Cesare angolo corso Novara poiché troppi episodi accadono sempre lì“.
Da ilmessaggero.it il 4 maggio 2020. Barbecue amaro per Albino Ruberti, il capo di gabinetto di Zingaretti in Regione. Si è allontanato da casa per andare a pranzo fuori il Primo maggio al Pigneto a Roma. Neanche il tempo di digerire, però, che subito è arrivata la sanzione di 400 euro per aver violato le norme di contenimento del coronavirus. Ruberti è stato fermato da una pattuglia di poliziotti lontano dal proprio domicilio. Lo riporta il Messaggero oggi in edicola in un pezzo a firma di Marco Carta. Come si legge sul Messaggero, all'arrivo degli agenti Ruberti si è autodenunciato e avrebbe dichiarato: «Stavo partecipando a un pranzo di lavoro in un'abitazione privata. Chiaramente lunedì pagherò la multa». La sanzione per aver violato le norme di contenimento del coronavirus è di 400 euro. Ad allertare la polizia sarebbe stata la segnalazione di un cittadino che avrebbe notato sul balcone del vicino un viavai di persone sconosciute. Tra queste anche Albino Ruberti, che festeggiava il Primo maggio nonostante il decreto-legge di fine marzo, che consente gli spostamenti da casa solo per comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità.
Marco Travaglio al supermercato senza mascherina né guanti: Dagospia imbarazza il direttore. Libero Quotidiano il 4 maggio 2020. Una foto, pubblicata da Dagospia, imbarazza Marco Travaglio, il "gran fustigatore", il direttore del Fatto Quotidiano con il vizio dell'insulto nei confronti di tutti quelli che non la pensano come lui. Già, proprio Marco Manetta, emblema assoluto del giustizialismo, viene sorpreso mentre delle regole contro il coronavirus se ne frega. L'immagine pubblicata da Dago (e che potete vedere cliccando qui) lo mostra infatti al supermercato senza mascherina sul volto e senza guanti. Come detto, in barba ad ogni regole. Ma non solo. Dago propone anche un'immagine di Rocco Casalino a passeggio per le strade di Roma, con bermuda e cagnolino: una foto curiosa e scattata in via Condotti, pieno centro della capitale. Un look decisamente poco istituzionale... Ma come si è ridotto? Travaglio per difendere Conte ora elogia Berlusconi: dopo anni di odio e insulti, il direttore si copre di ridicolo
Da liberoquotidiano.it il 7 maggio 2020. Distanziamento sociale e norme di sicurezza, ma non per tutti. Molti politici, da Giuseppe Conte in giù, nelle settimane dell'emergenza coronavirus sono incappati in qualche gaffe. Ora, tocca al ministro Roberto Speranza, contro il quale si scatena Striscia la Notizia in un servizio trasmesso nella puntata del tg satirico su Canale 5. Già, perché in un'intervista concessa al Tg1 direttamente dal finestrino della macchina, il ministro della Salute si mostra mentre non rispetta le disposizioni del suo stesso governo. Al suo fianco un autista, nessuno dei due indossa alcun dispositivo di protezione, mascherine in primis. E anche la distanza dal giornalista che lo interpella lascia qualche dubbio. La sintesi di Striscia la Notizia? "Se questa non è una figura di merda...".
Ministri di gaffe e di governo mentre multano gli italiani. Francesco Storace domenica 3 maggio 2020 su Il Secolo d'Italia. Abbiamo ministri che si possono permettere di tutto, comprese gaffe e soprattutto violazioni delle norme imposte agli italiani, ma non li multa nessuno. Sono intoccabili, non si scusano mai, sono la classe dirigente dell’Italia. Ormai sappiamo tutto delle risatine di Zingaretti all’arrivo del coronavirus, spacciato come una banale influenza (e ancora non fa mea culpa) o i medici cinesi come emblema del primo maggio. Mounsier gaffeur è lui, il capo del Pd. Lo segue a ruota il capo reale del Cinquestelle che ora fingono di aver sostituito con Crimi. Ma Di Maio tenterà di scavalcare Zingaretti. Durante la crisi pandemica ne ha infilate tre una dopo l’altra: il coronavairus, beccandosi gli sberleffi anche dagli asili. La mala figura ad Agorà quando la povera Serena Bortone gli suggeriva di evitare l’assembramento di operai alle sue spalle e lui a far notare che stava lontano da loro. Ma la più grande – per uno che si è nutrito a pane e Casaleggio – è stata quella sulla App Immuni, che per il ministro degli Esteri serve a farti avvisare se stai vicino ad uno positivo. Una sirena, insomma. A costoro aggiungiamo la mascherina di Boccia indossata con scarsa grazia alla protezione civile e l’ora d’aria destinata dal ministro Lamorgese ai bambini, prontamente ritirata. Ma come meravigliarsi delle gaffe a ripetizione dei ministri se quello che dovrebbe essere più impegnato di tutti sul fronte della lotta al coronavirus è il primo a violare le regole che pretende di far osservare agli italiani, pena salatissime multe. L’immagine del ministro Speranza immortalato mentre parla al Tg1 – dicono dalle parti della Protezione civile – senza mascherina e a fianco del conducente mette davvero tristezza. Perché da l’idea delle regole che valgono solo per i sudditi. Mentre lorsignori si autoesentano dal dovere. Infine lui, il conducator, il premier del popolo, quello che non deve chiedere mai. E soprattutto non si giustifica delle tante che ne combina perché è sempre colpa di qualcun altro. Non abbiamo dimenticato quel tutto pronto di Giuseppe Conte a fine gennaio dalla Gruber, a rassicurare i cittadini mentre stava per abbattersi la pandemia sul nostro paese. Ha tranquillizzato i parrucchieri e i barbieri con un’altra delle sue “aprirete il primo giugno”, che poi è lunedì. Risultato: gli faranno barba e capelli. Ma a modo loro. Si è anche esibito sui congiunti, il presidente del Consiglio, e deve essere una sua specialità accanirsi con la specie. Chissà se Delrio ricorda quando gli rinfaccio quel “congiunto” pronunciato alla Camera riferito a Piersanti Mattarella, fratello del presidente della Repubblica e trucidato dalla mafia. Sua eccellenza il premier si è esibito anche in una serie di assembramenti niente male nei giorni scorsi al nord, buon ultimo quello al Ponte di Genova, dove si è fatto immortalare in mezzo a un gruppone di operai che evidentemente erano tutti a prova di virus…Ecco chi ci governa, una serie di personaggi pittoreschi in cerca ossessiva di visibilità personale. Non gliene frega nulla di dare l’esempio al popolo. Gli statisti li dovremo aspettare ancora per un po’.Costoro non pagherebbero neanche le multe…
Myrta Merlino, paparazzi scatenati: come la sorprendono al supermercato. Libero Quotidiano il 6 maggio 2020. Bisogna premettere che in tv, nella sua Aria che tira che conduce su La7, Myrta Merlino lo aveva confessato. Nei giorni di lockdown, incontrava il suo Marco Tardelli con un espediente: incrociandosi al supermercato. Già, perché i due non hanno trascorso i giorni tappati in casa insieme. E una conferma fotografica a quanto rivelato dalla conduttrice arriva su Oggi, che pubblica un servizio con molte immagini che documentano un incontro tra la Merlino e Tardelli in un supermercato di Roma, appunto. Insomma, un "trucchetto" di due innamorati, della conduttrice e del campione del mondo. La Merlino, comunque, aveva specificato che gli incontri avvenivano "tenendo le distanze di sicurezza, per strada". O al supermercato...
Conte inaugura il ponte di Genova in mezzo alla folla, Myrta Merlino furiosa. Da liberoquotidiano.it il 28 aprile 2020. Come possiamo fidarci di Giuseppe Conte? Come possiamo dargli retta? Quanto accaduto a Genova è infatti inspiegabile, incredibile, grottesco. Siamo al varo dell'ultima campata del nuovo ponte, ricostruito dopo la tragedia del Ponte Morandi. E per l'occasione c'è anche Giuseppe Conte. E il premier, caschetto in testa e pettorina gialla, tiene l'ultimo discorso. Senza mascherina. Ma non è tanto questo il punto. Già, perché alle sue spalle c'è un clamoroso assembramento, persone l'una vicina all'altra, in barba al distanziamento sociale e a tutte le precauzioni sui cui il presunto avvocato del popolo continua ad insistere. In barba alle precauzioni con cui ha di fatto giustificato il prolungamento del lockdown nella Fase 2, che sembra in tutto e per tutto la Fase 1. Va detto che Conte non era il solo politico di rango presente all'evento: c'erano anche Giovanni Toti e Marco Bucci. Però, quello che ci sta mettendo la faccia a livello nazionale è lui, è Conte. E ci si chiede come possa aver tenuto un discorso in un contesto simile, contravvenendo alle stesse regole che sta imponendo a tutti gli italiani in favor di telecamera. Impossibile, infatti, non accorgersi di quanto accadeva alle sue spalle. Sui social, infatti, è esplosa la protesta, con un diluvio di commenti ironici e taglienti contro il premier. Ma in che mani siamo?
Cesare Zapperi per corriere.it il 25 aprile 2020. Aveva 37,7 di temperatura, ma è entrato nell’Aula della Camera comunque. «C’era il voto. Sono andato a fare il mio dovere». Giuseppe Basini, deputato leghista, astrofisico che porta con baldanza i suoi 73 anni, venerdì quando un’operatrice all’ingresso di Montecitorio gli ha provato la febbre non si è fermato. O meglio, ha scambiato poche battute con la donna, equivocando una frase.
«Mi ha provato la temperatura senza dirmi che cosa aveva rilevato. Quello l’ho appreso dopo dalle agenzie e dai giornali. Lì per lì mi ha solo detto: ha preso un po’ di sole?»
Quindi non si è preoccupato?
«Ma no, perché avrei dovuto. Ho risposto che avevo fatto un po’ di giardinaggio, ma stavo bene».
Nient’altro?
«Poi ha aggiunto: se vuole aspettiamo un attimo. Neanche in quella circostanza mi ha detto che avevo la febbre. Ho pensato che vedendomi un po’ affannato volesse tranquillizzarmi. Ma io dovevo entrare in Aula per votare».
E così ha tirato dritto.
«Esatto. Del resto, nessuno mi ha detto nulla né mi ha fermato. Lo ripeto, che mi era stato rilevato 37,7 di temperatura l’ho saputo solo dopo».
L’operatrice avrebbe dovuto fermarla.
«Se avevo la febbre lo doveva fare. Forse ha avuto un eccesso di cortesia e non ci siamo capiti. Ma non voglio gettarle la croce addosso. Non è successo nulla di male».
Tornato a casa, si è misurato la febbre?
«Certo, e non l’avevo. Anche stamattina l’ho provata: 36,2. Sto bene, in queste settimane non ho mai avuto nessun problema».
In Aula l’hanno rimproverata perché è intervenuto senza indossare la mascherina.
«Mi sono scusato, non l’ho fatto apposta. È che parlare con la mascherina non è così facile».
Claudio Bozza per il “Corriere della Sera” il 25 aprile 2020. Uno a fianco all' altro, persino con momenti di assembramento. Alla Camera il distanziamento di un metro, regola minima per contenere il contagio, è stato ignorato più volte. Molti deputati, seppur protetti da mascherina, hanno discusso faccia a faccia, mentre altri si sono accalcati per votare. Ed è saltato l' accordo tra i partiti, che finora avevano limitato le presenze. Ma a generare panico in Aula ci ha pensato Giuseppe Basini, astrofisico e deputato leghista, che è entrato a Montecitorio nonostante avesse 37,7 di temperatura corporea. Dopo la lettura del termoscanner ha tirato dritto. I commessi lo hanno inseguito: «A me nessuno ha detto che avevo la febbre - dice Basini -. Mi avevano chiesto se avevo preso un po' di sole, e io ho risposto che avevo fatto giardinaggio». La notizia si è diffusa subito generando apprensione tra parlamentari e funzionari. Poi Basini è stato ripreso due volte dalla vicepresidente Spadoni, perché parlava nell' emiciclo privo di mascherina.
Alessandro Trocino per il “Corriere della Sera” il 30 aprile 2020. Un deputato lo chiama «l'unico grande assembramento autorizzato in Italia». E in effetti Montecitorio ospita raduni di centinaia di deputati, da oggi ulteriormente distanziati in Aula, e muniti di mascherina obbligatoria, ma circolanti liberamente in Transatlantico. Non è dunque sorprendente il timore che si è riacceso alla notizia che un altro deputato è stato trovato positivo al test del coronavirus. Si tratta di Diego Binelli, leghista di Trento, asintomatico. Dopo una rapida ricerca, sono stati rintracciati altri sette deputati leghisti, che si sono messi in quarantena. Nell' elenco dei positivi alla Camera, poi guariti, figurano Cirielli, Ascani, Lotti, Pedrazzini, Sileri e Gribaudo. A fare uscire la notizia del settimo contagiato è stato il deputato Alberto Gusmeroli, che ha scritto sui social di aver cominciato la quarantena per essere entrato in contatto con un deputato risultato positivo. Nessuna comunicazione è stata data, anche per questioni di privacy. Mentre il Senato, per un certo periodo, aveva messo una postazione all' ingresso per effettuare test, alla Camera questo non è avvenuto. Come risultato, nelle «assemblee congiunte» spesso i senatori disertano perché diffidano dei loro colleghi. Alla Camera c' è l' obbligo di indossare sempre la mascherina, tranne che al tavolo dei nove, il predellino dei relatori dei provvedimenti. All' ingresso viene misurata la temperatura. Ma proprio pochi giorni fa un altro leghista, Giuseppe Basini, è entrato impunemente nonostante avesse 37.7. I commessi, del resto, non possono impedire l' accesso ai parlamentari. Da oggi i deputati, massimo 509, saranno ancora più distanziati e si allargheranno fino alla «piccionaia», le file superiori, riservate al pubblico e alla stampa (che quindi non può più vedere l' Aula dal vivo). Il questore 5 Stelle Francesco D' Uva chiede «sanzioni severe per chi non rispetta le norme». E la conferenza dei capigruppo ha esteso l' articolo 60 del regolamento della Camera (quello che interviene in caso di ingiurie e intemperanze) anche al mancato rispetto delle regole di sicurezza. Le sedute da oggi dureranno massimo tre ore. Ma tutto questo non basta a molti parlamentari che chiedono il voto a distanza. Alessandro Fusacchia (+Europa) e il dem Emanuele Fiano hanno espresso preoccupazione per i contagi, ribadendo la richiesta di adottare il voto telematico. Il dem Stefano Ceccanti è tra i 67 firmatari della lettera indirizzata al presidente Roberto Fico, con molte accuse contro la gestione del Parlamento: «Si potrebbe votare nella Sala del Mappamondo o nell' Auletta dei gruppi». In realtà, nei prossimi giorni si dovrebbe votare anche in questi spazi e comunque il Parlamento in parte già lavora a distanza. Ieri in Commissione cultura molti deputati erano collegati. Tanto che il leghista Daniele Belotti è sbottato: «Basta, non potete vestirvi in modo così indecente, sembra che siate in pigiama». Il presidente Roberto Fico non è certo entusiasta del voto a distanza, anzi. Commenta Ceccanti: «Ci deve mettere la faccia, si assuma la responsabilità. Non serve la retorica del Parlamento se poi non lo si fa funzionare». In realtà molti gruppi sono perplessi all' idea, a cominciare dall' opposizione. Anche il gentlement agreement che prevedeva la presenza del 75% dei deputati di un gruppo è saltato. Fratelli d' Italia si è presentata in blocco, in segno di sprezzo del pericolo. Il Pd è diviso. Molti del M5S sono contrari al voto a distanza. Un paradosso per i paladini della democrazia diretta, ma anche l' esito ideologico della retorica del parlamentare-casta che non si vuole considerare privilegiato rispetto a chi sta al fronte.
Da leggo.it il 25 aprile 2020. Neanche il lockdown e il coronavirus hanno messo un freno alla passione di una coppia umbra, sorpresa a fare sesso in auto nonostante le restrizioni. I vigili urbani che stavano effettuando i controlli hanno trovato i due amanti in atteggiamenti inequivocabili in una macchina in sosta nella zona di Colle della Trinità, a ovest di Perugia. Alla vista dei due agenti gli amanti si sono rivestiti in fretta e hanno fornito i documenti. La coppia avrebbe violato la quarantena perché clandestina. Subito è scattata la multa. Alla guida dell’auto c'era un quarantenne della provincia di Perugia a cui l'auto era intestata. «Altrimenti la contravvenzione sarebbe stata recapitata alla moglie inconsapevole», sottolinea il Corriere dell'Umbria che riporta la notizia. La storia si colloca tra le più singolari in questi due mesi di isolamento. In molti sono usciti di casa per le motivazioni più assurde.
Dà da mangiare ai gatti randagi: 70enne multata. Le Iene News il 30 aprile 2020. Elena qualche giorno fa nel ravennate ha ricevuto una multa di 280 euro per essere scesa di casa a dare da mangiare ad alcuni gatti randagi di cui si occupa. “Avevo la mascherina, credo sia mio diritto aiutare quei poverini”, ci dice in video e lancia un appello: “Non ho i soldi della multa, qualcuno mi può aiutare?” Multata per aver dato da mangiare ad alcuni gatti randagi. E la signora Elena non ci sta a questo effetto collaterale delle misure per la quarantena da coronavirus. “Saranno state le 8 e mezza di mattina, per strada in paese non c’era nessuno”. Nel video che ci ha mandato e che vedete qui sopra ci racconta la sua versione di quello che è successo qualche giorno fa in provincia di Ravenna in cui abita. “Ero lungo la pista ciclabile, per dare da mangiare ad alcuni gattini di cui mi occupo da tempo. Dietro di me all’improvviso sono arrivati i carabinieri e mi hanno fatto un verbale, dandomi una multa da 280 euro. Avevo la mascherina e credo sia una cosa giusta dare da mangiare a quei poveri gattini, penso sia un mio diritto”. “Non mi vergogno a dire che quei soldi per pagare la multa non li avrei... Se qualcuno potesse aiutarmi...”. Noi de Le Iene vi abbiamo più volte raccontato, in queste settimane, di multe un po' particolari. A partire da quella fatta al panettiere siciliano che sfornava panini da dare in beneficenza. Vi abbiamo poi parlato anche dell’assurda storia della multa di 400 euro all’ottantenne sordo, che stava andando in farmacia, sanzionato per essersi fermato a guardare gli annunci mortuari per strada. Con Filippo Roma, infine, nel servizio di martedì scorso che potete rivedere qui, abbiamo affrontato la storia di un’altra multa, questa volta fatta a Roma. Una multa di 530 euro (o erano 1.060?) a una mamma e a sua figlia, che stava andando in auto a una visita medica. Una multa che porta anche un elemento di “mistero”, perché a quanto pare, della sanzione elevata alla figlia e di cui la donna si ricorda perfettamente, non ci sarebbe più alcuna traccia.
Troppe multe agli avvocati che vanno in studio. Nardo scrive al prefetto. Giovanni M. Jacobazzi su Il Dubbio il 23 aprile 2020. “Gli avvocati si recano in studio solo quando devono prendere un fascicolo da studiare o eseguire attività che non riescono ad a compiere da casa”. «Gli avvocati milanesi fin da subito si sono messi in smart- working, accogliendo le indicazioni per il contenimento del Covid- 19 valevoli per tutti i cittadini. Io per primo lavoro da casa e cerco di dare il buon esempio», dichiara Vinicio Nardo, presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, a proposito delle multe comminate ad alcuni legali milanesi dopo essere stati fermati dalle forze di polizia mentre si recavano presso i propri studi. «Ho ricevuto – sottolinea Nardo – nei giorni scorsi alcune segnalazioni da parte di colleghi che sono stati sanzionati in quanto, a dire degli agenti, non avevano giustificati motivi per spostarsi. Gli avvocati si recano in studio solo quando devono prendere un fascicolo da studiare o eseguire attività che non riescono ad a compiere da casa», ricorda Nardo. Ultimamente è stata prevista anche la possibilità di ricevere i clienti. «Il servizio giustizia è essenziale e non si può fermare», sottolinea il presidente degli avvocati milanesi, evidenziando che i problemi interpretativi sono stati dovuti all’accavallarsi in questi mesi dei provvedimenti del governo, i cd Dpcm, con le ordinanze della Regione Lombardia. All’inizio sembrava infatti che anche gli studi legali dovessero rimanere chiusi. «Come Consiglio dell’Ordine di Milano abbiamo inviato al prefetto del capoluogo lombardo una richiesta di precisazioni», aggiunge Nardo, precisando che per quanto attiene alle indicazioni da apporre sul modulo dell’autocertificazione «vige sempre il segreto professionale: ci sono obblighi di riservatezza e non è opportuno esplicitare il dettaglio delle attività da compiere in studio». La richiesta degli avvocati alle forze di polizia è quindi di una uniformità di comportamenti. «In alcuni realtà del Paese è sufficiente mostrare il tesserino di appartenenza all’Ordine», fa notare Nardo. Il prefetto di Sondrio è stato fra i primi ad intervenire sul punto con una circolare esplicativa. «Cum grano salis», è la frase con cui si conclude la nota prefettizia e che sintetizza quale dovrebbe essere l’approccio da parte di tutti in questo delicato momento. «Non si deve scivolare nell’autoritarismo: l’avvocato non deve avere il timore che recarsi presso il proprio studio possa essere causa di una multa. Alcuni comportamenti di esponenti delle forze di polizia stanno suscitando più di una perplessità», il commento di Nardo, rimasto colpito «dalla visione di un filmato, divenuto virale in rete e diffuso dagli stessi agenti accertatori, in cui si dileggiava la persona sanzionata durante un controllo, mostrando anche i suoi dati sensibili indicati nel verbale». E a proposito di “eccessi”, è di domenica scorsa l’irruzione di un carabiniere in una chiesa di Soncino ( CR) per interrompere la celebrazione eucaristica. Il filmato ha suscitando una valanga di commenti negativi.
Coronavirus, “mio padre, 80enne e sordo, multato mentre andava in farmacia”. Le Iene News il 26 aprile 2020. E’ successo a Lenola, nel Lazio. Noi di Iene.it abbiamo parlato con il figlio dell’80enne multato: “Mio padre è amareggiato. Andava in farmacia e l’hanno multato di 400€”. Il motivo? Si sarebbe fermato troppo a lungo davanti agli annunci mortuari. Ecco che cosa ci ha raccontato. “E’ una cosa incredibile, la prendo con ironia ma c’è molta rabbia”. A parlare con Iene.it è il figlio di Salvatore, un uomo di 80 anni e sordo da quando ne aveva 15, multato mentre si recava in farmacia a Lenola, in provincia di Latina. Una storia che sembra avere dell’incredibile, e che abbiamo cercato di ricostruire parlandone con il figlio Michele. “Mio padre è sordo da quando aveva 15 anni”, ci racconta. “Ha avuto una meningite, all’epoca è sopravvissuto per miracolo. Però ha perso l’udito e oggi ha anche difficoltà a parlare. Come se non bastasse, con l’età ha ormai perso parte della vista”. Una situazione insomma di grave invalidità, come è stato anche accertato dai medici. “Il 30 marzo mio padre è uscito di casa per andare in farmacia”, ci racconta Michele. “A 60 metri da casa si è fermato a leggere gli annunci mortuari affissi nella bacheca comunale. Si è accorto di una presenza alle sue spalle ed erano i carabinieri, che gli intimavano di mostrare i documenti. Mio padre ha capito con la logica, ma i militari avevano le mascherine: lui è sordo, come faceva a capire cosa dicevano?”, racconta. “Lui ha dato i documenti e spiegato la sua condizione d’invalidità e dove stava andando”. Tutto risolto con un equivoco? Macché. Passano pochi giorni e a casa arriva una sanzione da 400€. “Ci hanno notificato la multa e ci hanno spiegato che è rimasto per venti minuti davanti agli annunci mortuari”, racconta ancora il figlio. “Ma io mi chiedo, sono rimasti a guardarlo per venti minuti senza fare niente?”. Eh già, perché parliamo di un uomo con una grave disabilità fisica. “Bastava accompagnarlo, oppure invitarlo a tornare a casa”. E invece, ecco una bella multa. “E la cosa ancora più strana è che nel verbale della multa c’è scritto che mio padre ha riferito di essere uscito per andare in farmacia”, ci dice Michele. E, vale la pena ricordarlo, andare in farmacia è consentito dalle misure anti coronavirus. Adesso quella multa verrà impugnata, nel tentativo di farla rimuovere. “Mio padre è amareggiato, anche perché viviamo con la sua pensione: io attualmente sono senza lavoro ed è una bella mazzata”, ci spiega Michele. Che ci tiene anche a precisare una cosa: “Io ho il massimo rispetto dei carabinieri, fanno un servizio fondamentale. In questo caso però hanno sbagliato, potevano comportarsi in maniera diversa”. Effettivamente, anche ammettendo che il signor Salvatore si fosse fermato troppo a lungo davanti agli annunci mortuari, non sarebbe stato sufficiente invitarlo a tornare a casa? Parliamo pur sempre di un 80enne invalido. “C’è chi ha detto che mio padre è abituato a stare in giro, che fosse già stato richiamato. Ma non è vero”. Far rispettare le norme è fondamentale perché il lockdown sia davvero efficace. Ma una multa di 400€ a un 80enne invalido era davvero necessaria?
Roberto Lodigiani per lastampa.it il 17 aprile 2020. Gli agenti della polizia locale dell’Unione Bassa Sesia l’hanno fermato nel territorio del Comune di Arborio: per giustificare lo spostamento in auto, il sacerdote ha presentato un’autocertificazione corredata da una «bolla» firmata dall’arcivescovo di Vercelli Marco Arnolfo. Il motivo indifferibile che ha giustificato lo spostamento urgente ha lasciato impietriti gli agenti: il prete stava recandosi a un esorcismo, per scacciare una presunta presenza demoniaca. «L’autocertificazione che il sacerdote ha presentato - spiega il comandate della polizia locale Pierangelo Daglia - era inoppugnabile, corredata dalle credenziali firmate dall’arcivescovo. E’ stato quindi lasciato passare senza la verbalizzazione della contravvenzione». Sono stati invece multati con 400 euro a testa i due coniugi partiti con un furgone da Carrara: «Hanno raggiunto Arborio - spiega il comandate Daglia - perché a loro dire c’era l’unica farmacia in grado di fornire una particolare tipologia di medicinale. La giustificazione non è stata ritenuta credibile e i due coniugi sono stati quindi sanzionati».
Corrado Formigli su Facebook il 20 aprile 2020: Questa fotografia è stata scattata alle ore 15 di oggi, sabato 18 aprile 2020, sulle sponde dell'Isar, nel cuore di Monaco di Baviera. È un'immagine che si presta a una serie di osservazioni. Innanzitutto notiamo che non ci sono anziani, i più fragili e vulnerabili. Le persone si raggruppano per nuclei familiari, per il resto si distanziano quel che serve. In sintesi, i cittadini si regolano sulla base del proprio senso di responsabilità, senza autocertificazioni cartacee. La presenza della polizia è molto discreta. Com’è possibile? È noto che la Germania ha saputo gestire il contagio piuttosto bene. I contagiati ufficiali oggi sono oltre 142 mila, i morti complessivi circa 4300. L'età media dei malati è molto più bassa che in Italia, secondo gli esperti per via della peculiarità della società tedesca dove i ragazzi vanno a vivere da soli presto e frequentano poco gli anziani (e dove il contatto fisico è molto meno accentuato che da noi). Inoltre, l'alto numero di tamponi eseguiti tempestivamente ha permesso di mappare rapidamente il territorio e isolare i contagiati con più efficacia. Per fare tanti tamponi, la Germania si è avvantaggiata di un piano pandemico ben organizzato e di ottime scorte di reagenti chimici, quegli stessi reagenti di cui l'Italia si trova drammaticamente a corto. Stesso discorso vale per i Dpi, i dispositivi di protezione, distribuiti efficacemente al personale sanitario, e per i respiratori, abbondanti in Germania dove ci sono alcuni dei più importanti produttori al mondo di ventilatori polmonari. A tutto questo aggiungiamo che la Germania aveva prima del contagio cinque volte i posti di terapia intensiva dell'Italia (con una volta e mezzo degli abitanti), numero ulteriormente aumentato durante l'epidemia. Insomma, i tedeschi non si sono mai lontanamente trovati con le terapie intensive esaurite come purtroppo è accaduto in Lombardia. Le aziende tedesche non sono mai state chiuse e i parchi sono sempre stati tenuti a disposizione dei cittadini pur nel rispetto delle regole di distanziamento. Ora, senza ombra di polemica, prima di sputare sui tedeschi additandoli come i "nipotini di Hitler" (come ha fatto uno sciagurato senatore della Repubblica che neppure è degno di essere nominato) e attribuire l'esplosione del contagio e il numero dei morti in Lombardia alla “sfiga” magari studiamo un po' meglio chi è stato più bravo di noi. Perché l'Italia sarà anche stata sfortunata. Ma la mancanza di Dpi, la scarsità di terapie intensive, la mancanza di scorte di reagenti chimici, il poco personale sanitario, l'insufficiente coordinamento fra Stato e Regioni, la mancanza di produttori nazionali di materiale sanitario cruciale in caso di epidemie, l’indebolimento dei presidi sanitari territoriali, ecco: quella non è sfiga. È il segno di un Paese preso enormemente alla sprovvista dal Covid 19 e che dovrà umilmente imparare molte cose da chi ha fatto meglio di noi. Se non altro, per rispetto delle 23 mila vittime di questo disastro.
Da lastampa.it il 20 aprile 2020. "Allora mi hanno appena fermato qui in piazza a Turbigo, posto di blocco dei carabinieri. Ho detto che avevo appena finito un turno di venti ore in ospedale. Mi hanno fatto il saluto militare e mi hanno detto "grazie per quello che fa". E pensare che ho pure bevuto". Questo il racconto di un uomo, accompagnato da una risata sarcastica e postato sui social. I carabinieri, infatti, lo avevano fermato per un controllo e lo avevano lasciato andare in buonafede dopo che si era qualificato come sanitario. Non ha però fatto i conti con i social e così, dopo aver postato il filmato, è stato trovato dalle forze dell'ordine, sanzionato e denunciato.
Dagospia il il 21 aprile 2020. Da “la Zanzara – Radio24”. “Lei è Cruciani? Allora ascolti, glielo dico in breve perché da due giorni ho il telefono che sta esplodendo. Lei ha il mio numero. Ascolti questo, poi attaccherò. Se volete altre informazioni, mi pagate cash, soldi”. Perché? E butta giù il telefono. Così M.L., operaio di Turbigo, provincia di Milano, a La Zanzara su Radio 24. L’uomo nei giorni scorsi aveva realizzato un video in cui raccontava di essere stato fermato dalle forze dell’ordine e di aver finto di essere un infermiere che aveva appena finito il turno (nel video racconta che i carabinieri lo avevano ringraziato e fatto passare, e di essere anche un po’ ubriaco). Nella seconda telefonata realizzata da Cruciani e Parenzo dice: “Io voglio essere pagato. Vieni a casa mia che parliamo a voce. Non racconto le cose gratis. Soldi. Quanto voglio? Lo decidiamo a voce. E facciamo l’intervista. Anche con le telecamere”. Quanto vuoi?: “Sai che lavoro faccio io? Il piastrellista. In Svizzera. Guadagno cinquemila euro al mese, non è questione di soldi. Ma adesso lo faccio per soldi. Se vuoi capire cosa è scattato, perché ho detto quelle cose voglio i soldi. Sono stato denunciato su tutti i giornali, adesso mi pagate per avere un’intervista. Sono stato condannato su tutti i social senza motivo, anche se il video non l’ho diffuso io. Lei lo sa che mi ha chiamato la D’Urso? Quanto ha offerto la D’Urso? Io non dico quanto mi ha offerto la D’Urso”. Possiamo offrire cinquecento euro: “Ma per chi mi avete preso, per l’operaio della Fiat? Abito in una casa di tre piani da 250 metri quadri. Ho bisogno dei suoi soldi. Facciamo così. Visto che sono finito alla gogna mediatica, voglio essere pagato. Posso sfruttare la mia situazione?”. Cosa puoi offrire, quali rivelazioni?: “Lei adesso cerca di farmi innamorare di lei. Lei pensa che io mi innamoro di lei, le racconto la storia della mia vita, e poi lei mi dice arrivederci”. La storia della tua vita vale poco, cinque euro. E poi hai preso pe il culo gli infermieri, cosa gravissima: “Ho già chiesto scusa, l’ho fatto sul mio profilo Facebook. E chiedo scusa anche alle forze dell’ordine…ma voglio i soldi per raccontare”. E butta ancora giù.
Da ilgazzettino.it il 21 aprile 2020. Un uomo di 66 anni è stato controllato e sanzionati dai finanzieri della Compagnia di Este perché nonostante fosse beneficiario di pensione di invalidità, percepita per oltre tredici anni in quanto riconosciuto cieco civile «assoluto» sulla base di una condizione sanitaria non veritiera, si spostava, in piena autonomia e senza "comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza o di motivi di salute", per le vie del paese, senza bastone né occhiali, passeggiando insieme al suo cane di piccola taglia ed attraversando, con sicurezza, le strade cittadine, utilizzando le strisce pedonali, talvolta, peraltro, sbiadite. Il pensionato era già da tempo finito sotto la lente delle Fiamme Gialle atestine, le quali nell'ambito di indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Rovigo, avevano avviato una serie di attività per accertare la veridicità del suo handicap. Nel corso delle indagini, in più occasioni, era stato seguito, pedinato e ripreso da immagini video, mentre percorreva, in sella alla sua bicicletta, una pista ciclabile di oltre 15 km, costeggiando corsi d'acqua ed attraversando strade trafficate, atteggiamenti, questi ultimi, difficili se non impossibili per un non vedente. Ed ancora, poco prima di sottoporsi ad una visita medica oculistica, era stato visto aggirarsi, con disinvoltura e senza ausilio alcuno, all'interno dell'Ospedale di Monselice, non lasciando sospettare a nessuno la sua presunta grave infermità. A seguito di tali riscontri, il finto cieco «assoluto» è stato denunciato per truffa aggravata ai danni dello Stato ed il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Rovigo, su richiesta del Pubblico Ministero, ha disposto il sequestro per equivalente di beni per un controvalore di circa 350.000 euro, pari alle somme indebitamente percepite dall'Inps, a titolo di pensione di invalidità e di indennità di accompagnamento, in danno non solo del sistema previdenziale dello Stato ma anche a tutela delle c.d. categorie legittimamente protette che, soprattutto nell'attuale situazione socio-sanitaria, risultano essere ancora più esposte.
Marco De Risi per il Messaggero l'1 maggio 2020. Botte da orbi dopo la cena proibita a Pietralata. Una zuffa fra tre persone che stavano mangiando e due vicini che si erano stancati di sentire grida, rumori e risate provenire dalla parete. Ecco che così è nata la sfida, finita in modo violento, in strada. I cinque si sono affrontati in una rissa dove sono volati calci e pugni. Ad un certo punto, sono arrivati i carabinieri che hanno denunciato il gruppo. I militari, però, hanno anche sanzionato coloro che stavano cenando.
LA RICOSTRUZIONE. Si è trattato di una riunione fra commercianti e non fra parenti. Quindi una situazione illegale sotto il profilo delle norme antivirus. Le persone, quindi, non si sarebbero dovute riunire come stessero ad una festa. Il motivo della cena, a quanto pare, era legato alla riapertura di alcuni bar. È probabile che i commercianti erano così contenti per l'imminente riapertura, ipotizzano gli investigatori, che non hanno tenuto conto che quello che stavano facendo li poneva a rischio covid. I militari hanno anche chiesto ai negozianti cosa avevano combinato in casa: così si è saputo che era stata organizzata una cena abbondante ed è stato innaffiato il cibo con vino a tal punto che qualche partecipante si è ubriacato.
L'ALLARME. «Noi stavamo a casa nostra - ha raccontato agli investigatori uno dei vicini, denunciato per rissa -. Erano passate le 11 di sera e abbiamo sentito un rumore irreale di questi tempi. Sembrava una festa a tutto tondo. Sentivamo grida, risate ed altri rumori. Non potevamo prendere sonno. Così abbiamo protestato». Sembra che i primi reclami dei vicini non siano stati sufficienti. Loro protestavano ma i festeggiamenti non si fermavano: grida, urla e rispostacce. Una situazione che col passare dei minuti si è fatta incandescente. Qualcuno ha bussato più volte alla porta dove si stava svolgendo la riunione. Sono volati insulsi, spintoni a tal punto che cinque persone si sono date appuntamento in strada. Sotto i palazzi, si è verificato una sorta di duello: tre persone contro due si sono iniziate a picchiare. C'era chi si proteggeva dietro le auto parcheggiate e chi tirava i capelli all'avversario per non farlo reagire. Fra i rissosi, c'è stata anche una donna. Sono stati altri residenti a chiamare i carabinieri, quando hanno visto quello che stava accadendo. «Ho sentito dei rumori - racconta una vicina - e mi sono sporta dal balcone. Ho visto una scena assurda. C'erano altri vicini di casa che se le stavano dando di santa ragione. Non me la sono sentita d'intervenire ed ho chiamato le forze dell'ordine. Non credevo ai miei occhi». E c'è chi aggiunge: «Se le sono date di santa ragione. Ma è ingiustificabile quello che è accaduto, poteva succedere di tutto. Anche perché qualcuno sembrava completamente ubriaco. Impossibile fermarli erano fuori controllo». I carabinieri sono arrivati dopo pochi minuti ed hanno fatto in tempo a bloccare le persone che si stavano picchiando, impedendo così che si potessero fare ancora del male. È stata chiamata anche un'ambulanza. Il personale ha medicato sul posto i cinque per ferite lievi: ecchimosi al volto, al torace, alla testa. Poi, è scattata la denuncia da parte dei militari.
"Il musicista non è un valido lavoro". E il cantante viene multato. Dimitri Reale, batterista e voce della band lanciata da "Italia's Got Talent", è stato multato dai carabinieri: "I video sul telefono non sono bastati a convincerli". Alessandro Zoppo, Venerdì 01/05/2020 su Il Giornale. Le persone che violano le misure di contenimento attuate dal governo Conte per limitare l'epidemia di Coronavirus sono soggette a multe salatissime. Le stangate inflitte dalle forze dell'ordine arrivano fino ad un massimo di 280 euro. In Romagna in particolare i controlli sono serrati. Lo sa bene Dimitri Reali, il batterista e cantante dei Ponzio Pilates, il gruppo-rivelazione dell'ultima edizione di Italia's Got Talent con il brano Vongole. Il drummer della band di Igea Marina è stato multato dai Carabinieri perché ha violato l'isolamento domestico per recuperare i suoi strumenti. L'episodio è stato ricostruito dal musicista romagnolo sui social. Reali ha postato una foto della multa per spiegare cosa gli è successo. "Mi hanno multato – racconta – perché il musicista non è "un valido lavoro", ma mi son rifiutato di pagare la multa". La vicenda fa discutere in questo particolare momento storico: i lavoratori dello spettacolo sono tra i più colpiti dalla crisi perché hanno poche tutele (il Ministro dei beni culturali e del turismo Dario Franceschini ha parlato di 20 milioni di euro stanziati fuori dall'ambito del Fus) e nessuna data ufficiale di ripartenza per la Fase 2.
I Ponzio Pilates: "Non capiscono la nostra situazione". "Questo succedeva ieri: sono stato multato – rivela Reali – perché la mia reale necessità di reperire i miei strumenti musicali per rimanere in esercizio e fare delle dirette live su Twich non corrisponde ad una vera necessità, in quanto il musicista lo si può fare per hobby. Questo quanto mi ha detto il carabiniere che ha deciso di multarmi, che sicuramente non capisce la situazione in cui noi musicisti e artisti ci troviamo a vivere oggi: una stagione intera di concerti saltati a piedi pari e nessuna certezza di poter continuare il nostro lavoro, chissà per quanto tempo, e che devo almeno potermi allenare". Il componente dei Ponzio Pilates aggiunge che ogni suo tentativo di dimostrare che quello di musicista è il suo lavoro si è rivelato vano. "Purtroppo per me – racconta – non potevo stampare documenti migliori, e le foto dei live e l'articolo della partecipazione ad Italia's Got Talent, i video sul telefono non sono bastati per convincere il carabiniere che faccio questo per vivere, suono con le mie band. Non sono mai stato così arrabbiato in vita mia e credo che nella mia situazione ci siano tante persone, la grande maggioranza della categoria degli artisti italiani". "Con questo post – conclude Dimitri – vorrei raggiungere tutti quelli si sono trovati nella mia stessa situazione, per far fronte comunque. Con questo post chiedo a tutti quelli che ne sanno qualcosa in più di aiutarmi, di aiutarci, perché so per certo che tanti altri sono nella mia stessa situazione. Mi vergogno di vivere in un paese dove le forze dell'ordine possano affermare che quello dell'artista non è un lavoro riconosciuto. Se c'è un momento in cui le cose devono cambiare, penso proprio sia questo".
Barletta, in centinaia alla processione con sindaco e vescovo: è finita la quarantena? Le Iene News il 02 maggio 2020. Centinaia di persone ieri si sono riversate per le strade di Barletta per assistere alla tradizionale processione del primo maggio. Si sono così creati assembramenti nella città pugliese. A Barletta è finita la quarantena senza neppure passare alla fase 2? La domanda sorge spontanea guardando le immagini della processione di ieri. Nonostante i divieti di assembramento e gli obblighi di distanziamento sociale in tutta Italia, ieri circa un centinaio di cittadini si è riversato per le strade per omaggiare la Madonna dello Sterpeto, la santa patrona della città pugliese. Come se non bastasse, alla processione del primo maggio, che è una tradizione per Barletta, c’erano anche il vescovo e il sindaco, che è bene ricordarlo è il responsabile numero uno della salute dei suoi cittadini. L’assembramento di fedeli sembra sia sfuggito di mano proprio all’arrivo dell’icona davanti alla cattedrale. Ora il sindaco Cosimo Cannito è finito al centro della polemica. Non ha fatto neppure in tempo ad archiviare l'imbarazzo per il consiglio comunale in videochat che è presto diventata hot con tanto di proposte hot, gemiti e proposte piccanti (qui il video). “Basta! L'ospedale di Barletta oggi conta, tra mille sforzi, zero operatori ammalati, uno sforzo immane merito dei lavoratori. Ecco però cosa è accaduto in città un delirio che il Papa stesso li fulminerebbe tutti”, si sfoga su Instagram Danny Sivo, uno degli operatori sanitari della città. “Poi non lamentatevi, qui i miracoli non se ne fanno. Sono indignato per tanta ignoranza e superstizione”. Passano poche ore dalla processione e a Barletta si crea un altro assembramento, questa volta al mercato. Tra i banchi sono state rispettate le distanze di 3 metri, ma non tra i clienti. Si vedono decine di persone una vicina all'altra tra le bancarelle di alimentari (le uniche autorizzate per il momento).
Barletta, tutti in piazza per la processione della Madonna. Assembramento «protetto» dai vigili. Manifestazione davanti alla Cattedrale alla presenza di sindaco, vigili e agenti di Polizia. Nicola Pepe l'1 Maggio 2020 su La Gazzetta del Mezzogiorno. Rischia di diventare un caso la processione del quadro della Madonna dello Sterpeto, patrona di Barletta. Il Primo maggio, come da tradizione, l'icona ha attraversato la città per raggiungere la Cattedrale. Una ricorrenza, caratterizzata dalle nuove disposizioni di sicurezza per il Coronavirus, puntualmente disapplicate per giunta alla presenze delle Forze di Polizia. Ma, come documenta il filmato girato dall'emittente Canale 91 che ha trasmesso la diretta dell'evento, in realtà l'icona - trasportata a bordo di un mezzo - ha attraversato le vie del centro salutata comunque da centinaia di persone che erano sul marciapiede. Circostanza, questa, già di per sè sufficiente per interrogarsi sul perchè ci fossero tante persone in giro pur essendo vietato dal vigente Dpcm. Il carro che trasportava il quadro della Madonna è stato scortato da pattuglie della Polizia locale (oltre a diversi agenti della Polizia di stato impegnati nel servizio d'ordine) attraversando in prossimità della Cattedrale due ali di folla che attendeva da tempo il passaggio del quadro. Dulcis in fundo, l'arrivo davanti alla Cattedrale dove ad attendere c'erano il sindaco di Barletta, Cosimo Cannito e il vescovo: qui il quadro è stato accerchiato da decine di fedeli: chi a mani nude, chi con o senza mascherina, ha voluto salutare la Madonna. Tutto ciò, ribadiamo, è avvenuto alla presenza delle Forze dell'ordine che avrebbero dovuto far rispettare le regole. Ma tutto si è svolto regolarmente. Tuttavia il sindaco, ha postato sulla sua pagina Fb le immagini che lo ritraggono all'interno della Cattedrale in «solitudine» dimenticando quanto accaduto fuori.
Folla alla processione, parla il sindaco di Barletta: «Non accadrà più». Così Cosimo Cannito: «Abbiamo fatto tutti grandi sacrifici e non ci possiamo permettere il lusso di vanificarli». La Gazzetta del Mezzogiorno il 2 Maggio 2020. «Quello che è accaduto ieri mi rincresce molto, non doveva e non dovrà più succedere. Abbiamo fatto tutti grandi sacrifici e non ci possiamo permettere il lusso di vanificarli. Capisco bene il disappunto dei tanti che hanno scritto e commentato le immagini dell’esterno della cattedrale». Così il sindaco di Barletta Cosimo Cannito in una nota, riferendosi alle immagini che stanno facendo il giro del web, sull'assembramento di persone in occasione della processione della Madonna dello Sterpeto ieri, 1 maggio. «Non avremmo mai potuto immaginarlo, anche perché gli organizzatori dell’evento, dopo avere fatto appello alla comunità dei fedeli, chiedendo loro di rispettare le prescrizioni del governo e di restare a casa, come riportato anche dalle testate giornalistiche locali, avevano garantito che tutto sarebbe avvenuto senza assembramenti, predisponendo anche una diretta tv per impedirli e non facendo accompagnare la sacra Icona dalla consueta processione di fedeli. Ma non è servito a nulla. Più di ogni cosa, però, voglio esprimere la mia stima e il mio profondo ringraziamento alla stragrande maggioranza dei barlettani, perché sono rimasti a casa a seguire la traslazione della Madonna in tv, con grande senso di responsabilità e spirito di sacrificio. Quanti si sono precipitati per strada sono responsabili delle loro azioni, nessuno li ha invitati, incoraggiati o autorizzati a farlo. Sono stati degli incoscienti e nessuna devozione giustifica il loro comportamento. Continuo, pertanto, a chiedere l’aiuto e la collaborazione di tutti, vi esorto a mettere da parte le divisioni, i facili giudizi e ad andare avanti cercando di proteggere la nostra città, come abbiamo fatto finora».
Enrico Galletti per corriere.it il 20 aprile 2020. La messa è cominciata puntuale, come tutte le domeniche. Don Lino Viola ha celebrato nella sua chiesa, quella di San Pietro Apostolo a Gallignano, frazione di Soncino, in provincia di Cremona. Ad assistere alla messa c’erano una quindicina di fedeli, troppi per le misure restrittive che impediscono di svolgere funzioni pubbliche partecipate, tanto che in molti, in questo periodo si sono organizzati con le dirette streaming. Appena il parroco ha cominciato a celebrare, in paese si sono diffuse le voci e in Chiesa sono arrivati due carabinieri. Uno di loro si è diretto verso l’altare tentando di interrompere la funzione. Don Lino, però, ha continuato. «Scusate, io sto celebrando la messa – dice ai carabinieri, come si sente in un video registrato da un fedele e pubblicato in rete –, rispondo dopo, ora non sono disponibile». La funzione, ormai quasi terminata, prosegue. Adesso al celebrante e ai fedeli che sedevano ai banchi arriverà probabilmente una multa da pagare. Don Lino Viola, però, non ci sta. «Sono offeso nella mia dignità – spiega al Corriere della Sera –. Ho ottant’anni, celebro da più di cinquanta e non sono mai stato trattato così: già durante l’omelia ho visto i carabinieri entrare, mi hanno interrotto al momento della consacrazione senza alcun rispetto. Il decreto ministeriale non proibisce le celebrazioni, basta che non ci sia affollamento. Eravamo in quattordici, distanziati, con mascherine e guanti: otto tra cantori, lettori e collaboratori e sei fedeli: due famiglie e un’altra signora, tutti che hanno avuto dei lutti nei giorni scorsi. Celebravo la messa anche in ricordo dei loro cari. L’ho fatto anche a Pasqua…». Se arriverà una multa? «La parrocchia la pagherà – continua don Lino -, anche se non ho violato nessuna regola. I modi sono stati sbagliati: i carabinieri avrebbero dovuto lasciarmi finire la funzione e poi ne avremmo parlato. Invece mi hanno fatto chiamare persino dalla domestica. Stiamo dando i numeri. Come si permettono? La mia Chiesa è aperta tutti i giorni. Sono nel giusto, e domenica prossima tornerò a celebrare».
Parroco dice messa e arriva la polizia: "Non pagate le multe". Una ventina le persone sorprese a partecipare alla funzione. Il prete ha anche minacciato di ricorrere ai giudici. Sulla questione è intervenuto il vescovo. Valentina Dardari, Lunedì 20/04/2020 su Il Giornale. Un altro parroco che in barba ai divieti ha deciso comunque di dire la messa domenicale a porte aperte, con il conseguente arrivo finale delle forze dell’ordine. Non è la prima volta che si verifica un fatto del genere. Altri sacerdoti hanno trasgredito alle regole nelle scorse settimane, da Nord a Sud, come per esempio, giusto per citarne qualcuno, a Pavia, Rovigo, Salerno, con relative conseguenze.
Il parroco ha esortato a non pagare le multe. Oltre alla funzione, trasmessa in streaming ma alla quale hanno partecipato dal vivo una ventina di fedeli, il sacerdote ha anche esortato a non pagare “le multe della polizia. Non abbiate paura: l'impedimento di venire a messa è anticostituzionale ed è qualcosa di oppressivo. Andremo dai giudici”, ha tuonato il prete rivoluzionario. A parlare in questo modo è stato don Pietro Cesena, parroco della chiesa dei Santi Angeli Custodi di Piacenza, nel quartiere di Borgotrebbia. In piena emergenza da coronavirus una delle norme da seguire è proprio il divieto di celebrare le funzioni religiose a porte aperte, in modo da evitare possibili contagi tra i partecipanti. Al termine della celebrazione sono arrivati gli agenti in borghese della questura di Piacenza che hanno raccolto elementi necessari a successivi accertamenti. I cittadini presenti all’interno della chiesa erano circa una ventina e, da quanto sembra, le distanze di sicurezza tra i vari soggetti sarebbero state rispettate. Per il momento non sarebbe stato preso alcun provvedimento, né verso don Pietro, né verso i suoi parrocchiani.
La lettera del vescovo. In serata, sulla questione è dovuto intervenire anche il vescovo, monsignor Gianni Ambrosio, che con una lettera indirizzata al clero piacentino, ha invitato a "osservare le misure di sicurezza che la Conferenza Episcopale Italiana ha comunicato e più volte ribadito". Monsignor Ambrosio ha anche aggiunto di rendersi conto che quanto avvenuto è nato da un desiderio di bene e di amore per l'Eucarestia e per i cittadini sofferenti ma, proprio per questo motivo, si deve ricercare il bene di tutti. Nella lettera il vescovo ha anche affermato: "Ritengo doveroso ricordare a tutti la necessità di osservare le misure di sicurezza che la Conferenza Episcopale Italiana ha comunicato e più volte ribadito, sempre in stretto contatto con il ministero dell'Interno e con la Segreteria di Stato della Città del Vaticano. Si possono discutere, certo, ma sono da osservare ovunque, soprattutto poi in quei luoghi, come qui a Piacenza, ove abbiamo una tremenda responsabilità, perché il numero dei contagi e dei defunti è impressionante. Ricordo pure che la non osservanza di queste misure comporta una contestazione da parte delle forze dell'ordine, come purtroppo accaduto oggi". Si è infine augurato che entro pochi giorni venga data la possibilità di una parziale partecipazione alle celebrazioni, fino a quel momento ha chiesto un comportamento responsabile da parte di tutti.
Il prete multato per la messa, ora digiuna per protesta. Il Dubbio il 27 aprile 2020. Don Lino Viola, parroco di Gallignano di Soncino ha celebrato la funzione in chiesa attacca le forze dell’ordine “sacrileghe”. Dopo essere stato multato dai Carabinieri per aver detto messa con i fedeli, don Lino Viola, parroco di Gallignano di Soncino (Cremona), sia ieri che oggi ha celebrato la funzione in chiesa puntando ancora il dito contro le forze dell’ordine. “A nome dell’intera comunità presente e di quella che vive nelle nostre case, riparare all’irruzione immotivata e sacrilega in chiesa delle forze dell’ordine”, ha detto don Viola annunciando per giovedì il digiuno della parrocchia. Così il cibo che non verrà consumato sarà portato in chiesa e donato alla Caritas. Intanto i Vescovi continuano la loro battaglia dopo che il governo ha deciso di prorogare il divieto di celebrare messa: “Nessuna corsia preferenziale, nessun privilegio per la Chiesa. Ma la rivendicazione di una parità di trattamento per una comunità fatta da cittadini dotati di responsabilità. Responsabili quando salgono sull’autobus per andare al lavoro e far ripartire l’economia, responsabili quando si recano in Chiesa per partecipare alla Messa e ricevere la Comunione”, spiega il direttore di Tv2000, la tv dei Vescovi, Vincenzo Morgante, in un editoriale trasmesso all’interno del Tg200e. “Sono stati numerosi, e giunti da più parti, – ha proseguito Morgante – gli attestati di apprezzamento per l’impegno della Chiesa durante la pandemia da Coronavirus a servizio dei poveri, degli anziani, dei senzatetto, degli emarginati, degli ultimi. Nei centri di ascolto delle Caritas sul territorio le richieste di aiuto sono più che raddoppiate: cibo, vestiti, pc e tablet per gli studenti bisognosi, alloggi. La Cei ha destinato centinaia di milioni di euro per interventi di sostegno sul territorio, a partire dalle strade.
Da baritoday.it il 18 aprile 2020. Sesso orale in via Celentano, nel centro di Bari: la scena è stata immortalata in un video diventato virale in poco tempo. I due amanti sono stati notati da un cittadino che ha ripreso l'episodio: Per rispettare il bon-ton ai tempi dell'epidemia di coronavirus, evidentemente hanno indossato le mascherine, riuscendo a farla franca rispetto ai controlli delle Forze dell'Ordine per il rispetto dei divieti imposti dal Dpcm.
Da leggo.it il 18 aprile 2020. Sapeva di essere positivo al coronavirus ma viola lo stesso le restrizioni. Un medico ora rischia il carcere dopo essersi fatto male mentre andava in giro con il suo cane pur essendo positivo al covid. Il dottore non ha mai manifestato alcun sintomo, ma doveva restare in casa per evitare di contagiare altre persone. Probabilmente avrebbe continuato a girare indisturbato se non fosse rimasto vittima di un incidente. Mentre era a spasso con il cane è scivolato in un fossato in zona Le Bocchette, in provincia di Lucca, ed è rimasto ferito a tal punto da non riuscire più a muoversi e ha dovuto chiamare i soccorsi. Considerata la sua professione era consapevole del rischio che avrebbe fatto correre ai colleghi e ha avvertito tutti di proteggersi il più possibile visto che era positivo. Secondo quanto riporta Il Tirreno, il paziente è stato trasportato in sicurezza al pronto soccorso dell'ospedale Versilia, il medico è stato trasferito poi all'Opa di Massa dove è stato ricoverato a causa di una serie di fratture riportate nella caduta. Il caso è stato segnalato alle forze dell'ordine e ora rischia fino a 5 anni di carcere.
Coronavirus, la denuncia choc: "Festa illegale a Milano, in centro". Gabriele Parpiglia su Instagram ha denunciato un party clandestino in centro a Milano avvenuto poche ore fa tra alcol, balli e musica, contrario a qualunque norma di contenimento del contagio da coronavirus. Francesca Galici, Domenica 19/04/2020 su Il Giornale. Sessanta milioni di italiani aspettano il 4 maggio come fine ultimo del periodo di lockdown da coronavirus. Non un vero e proprio ritorno alla normalità, ovviamente, ma un grande passo avanti verso la riconquista della libertà. In realtà la verità non è esattamente questa e se da un lato è vero che si inizia a pensare a come far ripartire il Paese dopo quasi due mesi di blocco pressoché totale, dall'altra sussiste l'esigenza di proteggere i cittadini ed evitare una nuova ondata di contagi, soprattutto per preservare le strutture ospedaliere e impedire una nuova crisi sanitaria. Quel che è certo è che il 4 maggio e per un tempo non ancora determinato saranno vietati gli assembramenti. Non è ancora tempo per feste e riunioni ma qualcuno sembra sentirsi al di sopra della legge e, contrariamente a qualsiasi regola sul buon senso, ha deciso di dare una festa in centro a Milano. Gabriele Parpiglia suo suo profilo social ha deciso di denunciare il fatto, in attesa di un riscontro dalle forze di polizia. "Ore 22.31, inizio festa clandestina a Milano, in centro", inizia così il post di Gabriele Parpiglia, che ha voluto condividere sul suo profilo una serie di storie tratte dal profilo di Camila Roratt, che nel frattempo ha deciso di rendere privato il suo account. Una decisione tardiva, però, perchè ormai le immagini da lei stessa registrate, pubbliche fino a qualche ore fa, stanno facendo il giro della rete. Nel suo profilo, il giornalista ha menzionato la Polizia di Stato, Beppe Sala e l'assessore al welfare della Regione Lombardia, Giulio Gallera, affinché avviino un'indagine per accertare quanto accaduto in zona Arco della Pace. In realtà, come si evince scorrendo le immagini pubblicate da Parpiglia, c'è poco da verificare e da, eventualmente, giustificare. Nell'appartamento di una zona centrale di Milano, una delle aree che peraltro è stata maggiormente colpita dall'epidemia di coronavirus e dove ancora si registrano numeri importanti, un gruppo di amici ha deciso di festeggiare qualcosa a suon di musica e di alcol. Una festa come tante se ne facevano tutti i giorni nella metropoli lombarda, dove però da fine febbraio si è fermato tutto. Si vedono ragazzi che bevono alcolici direttamente dalla bottiglia, che ballano l'uno vicino all'altro, che fumano e che quasi deridono il decreto sul distanziamento sociale. L'accento della ragazza è straniero, probabilmente brasiliano a giudicare da alcuni indizi presenti nei video dove, per altro, non manca una frase che dà il senso di quanto successo: "22.31, Arco della Pace. Festa illegale, serata clandestina." Gabriele Parpiglia si chiede retoricamente quanti reati possano esserci in questi video e ringrazia, ironicamente, questi ragazzi a nome di tutte le famiglie che da quasi due mesi non lavorano e non escono dalle loro case nel pieno rispetto della legge ma, soprattutto, della salute collettiva. "Non si potranno nascondere da nessuna scusa. I vicini saranno i primi testimoni di ciò che è successo stanotte. Spero che quando la ragazza prenderà coscienza, insieme con chi ha festeggiato, abbiano il coraggio e non la paura di autodenunciare", conclude il Parpiglia, in attesa di ulteriori sviluppi. Numerosi i commenti di personaggi noti, indignati per quanto accaduto, speranzosi che vengano presi provvedimenti in merito.
Da leggo.it il 12 maggio 2020. Nuovo focolaio in Molise per "colpa" di un funerale della comunità rom? C'è attesa in Molise per sapere quali saranno le decisioni dell'Unità di crisi regionale. Dovrà valutare il nuovo scenario relativo al cluster tra gli appartenenti alla comunità Rom di Campobasso che in poco più di due giorni ha fatto registrare 60 contagiati da Covid-19. Il focolaio sarebbe legato alla partecipazione, il 30 aprile scorso, a un rito funebre. Intanto il direttore generale dell'Azienda sanitaria regionale (Asrem) Oreste Florenzano, non esclude la possibilità di nuovi casi nella comunità. I risultati dei nuovi tamponi si conosceranno in giornata. Un binario doppio per i decisori regionali, anche in vista della possibilità di aperture differenziate dal 18 maggio nelle regioni dove il virus è stato meno aggressivo. E il Molise, fino a pochi giorni fa, era tra queste. "Chi non ha rispettato le regole e chi non ha controllato si assume le proprie responsabilità. Quanto accaduto è di una gravità inaudita, troppe persone non hanno rispettato le regole e troppe erano quelle che avrebbero dovuto controllare”. "Noi Rom Abruzzesi del Molise siamo più italiani di tanti cittadini molisani e certamente questo virus non l'abbiamo portato noi in Italia". Così, in una nota stampa, l'Opera nomadi del Molise interviene sulla vicenda del cluster di Campobasso con 60 contagiati da Covid-19 nella comunità di Campobasso. "In queste ore - si legge nel documento - è scoppiata una scandalistica campagna di allarme verso le Comunità Rom che vivono in Molise da 600 anni, integrate nel tessuto urbano di cinque città e cittadine della nostra regione, fra cui i due capoluoghi di provincia. Nella confusione generale, sono state scritte molte imprecisioni, anche sulla Comunità Rom di Isernia, che non è legata, se non casualmente e molto raramente per via dell'antica comune origine, con quella di Campobasso, dove la grande emozione per il decesso di un anziano ha fatto commettere un serio errore alle famiglie Rom di quella città". Poi, il racconto di un episodio che si sarebbe verificato a Isernia dove "a un nostro giovane è stato impedito di entrare in un supermercato". Da qui, un appello al sindaco e al procuratore della Repubblica a "intervenire per questa ingiustizia". Infine, un 'richiamo' ai giornalisti: "non confondete le questioni e imparate a scrivere bene le notizie, perché potreste così invitare oggettivamente la gente all'odio e verso noi Rom ce ne è già abbastanza".
Contagiano tutto il palazzo dopo il funerale: ora i rom chiedono scusa alla città. La giustificazione: "È stato un disguido, eravamo in pieno panico e disorientati". Ma i residenti sono furiosi: "I rom sono presuntuosi e fanno ciò che vogliono". Luca Sablone, Mercoledì 20/05/2020 su Il Giornale. Un intero quartiere ha seriamente rischiato di tornare nuovamente in lockdown per un gesto di inciviltà e mancanza di coscienza messo in atto da una famiglia rom, che ha partecipato all'ormai noto funerale di Campobasso. Gli spostamenti tra le Regioni anche allora erano vietati, ma i rischi del Coronavirus non sono riusciti a fermare coloro che si sono messi in viaggio per raggiungere il Molise. Come se non bastasse, al termine delle esequie, si è formata una fila di macchine che ha seguito il feretro fino al cimitero. I trasgressori sono poi tornati a Vasto, in provincia di Chieti, e avrebbero continuato a girare tranquillamente nei supermercati e nei luoghi pubblici. Risultato? Un intero palazzo infettato. Si tratta di un edificio in cui vive un gruppo di famiglie di etnia rom. Nella mattinata di domenica 17 maggio si è verificata un'impennata di ben 14 nuovi positivi nel medesimo condominio, situato al quartiere San Paolo. L'annuncio era arrivato dal sindaco Francesco Menna, che aveva chiesto di istituire la zona rossa per evitare di vanificare gli sforzi fatti, ma la Regione Abruzzo e il prefetto "hanno risposto che per il momento basta monitorare il tutto con le sole forze dell'ordine". Infatti via De Gasperi sarà circoscritta e controllata h24; del possibile insediamento della zona rossa si discuterà solamente dopo aver visionato i dati dei prossimi giorni. Comprensibile la durissima reazione dei residenti, che non hanno trattenuto la loro rabbia: "Perché questa gente può fare quel che caspita gli pare e piace? Noi siamo stati due mesi chiusi dentro casa. Perché questi rom usciti fuori Regione non sono stati controllati da nessuno?".
"È stato un disguido". A distanza di qualche ora sono arrivate le scuse da parte della comunità rom di Vasto: "Chiediamo scusa al nostro quartiere di questo disguido e di quanto accaduto". Il tutto accompagnato da un invito a placare l'odio razziale che a loro giudizio si sarebbe venuto a creare sui social nei confronti della famiglia: "Ci dispiace per le offese ricevute e per chi istiga all'odio razziale". Il loro auspicio è che possano terminare il prima possibile "i commenti offensivi che aumentano la tensione". A queste parole hanno fatto eco le dichiarazioni di Carmine Bevilacqua, in arte Mino Vastano: "Capisco la vostra rabbia e le vostre paure, ma come potevo fermare mia moglie per non farla andare al funerale del padre, lei che ha già perso la madre?". Il genero del rom morto a Campobasso, contattato da Il Centro, ha provato a fornire una giustificazione: "Eravamo in pieno panico e disorientati. Siamo addolorati, non potevamo aspettarci una cosa simile". Ma le scuse non sono bastate a tranquillizzare gli abitanti del quartiere, che su Facebook hanno denunciato a più riprese quella che definiscono una vera e propria ingiustizia. In molti non credono alla scusa del disguido: "Lacrime di coccodrillo"; "Ah, ecco. È stato un disguido, allora va bene". La situazione preoccupa e non poco il primo cittadino, che ora ha chiesto ai propri cittadini la massima collaborazione "affinché il virus sia circoscritto, aiutando le famiglie coinvolte". E ha ribadito che sicuramente in seguito arriverà il momento delle responsabilità e delle sanzioni del caso, ma per il momento bisogna vivere la situazione con serenità: "Una minima sobillazione popolare potrebbe creare difficoltà ingestibili". Tuttavia nel frattempo non mancano le forte accuse: "I rom spesso si mostrano troppo presuntuosi con gli altri". C'è anche chi guida le polemiche precisando che la questione del razzismo è fuori luogo: chiunque si fosse comportato irresponsabilmente, tanto da aprire un focolaio pericoloso di Coronavirus, avrebbe ricevuto lo stesso trattamento. "Questi le regole non sanno neanche cosa sono, hanno fatto sempre il comodo loro e non solo in questa quarantena", scrive un utente.
Morto Carmine Sommese, primo sindaco napoletano ucciso dal coronavirus. Redazione de Il Riformista il 17 Aprile 2020. Non ce l’ha fatta il sindaco di Saviano, comune in provincia di Napoli, Carmine Sommese. L’ex consigliere regionale della Campania e primario di Chirurgia all’ospedale di Nola è deceduto nelle scorse ore al Moscati di Avellino dopo essere risultato positivo al coronavirus lo scorso 19 marzo. Aveva 66 anni. Il 20 marzo scorso l’ultimo messaggio sulla propria pagina Facebook: “Ringrazio tutti per la solidarietà e l’umana vicinanza, dai cittadini ai colleghi medici e sindaci dell’area, oltre a tutti i dipendenti del Comune. Sto bene e inizio oggi la terapia. Come già riportato nel messaggio di ieri, invito ancora tutti coloro che nelle ultime settimane hanno avuto contatti con me ad avvertire il proprio medico curante al manifestarsi di eventuali sintomi comuni da coronavirus (febbre oltre 37,5, tosse, difficoltà respiratorie), rispettando rigorosamente e con senso di responsabilità il divieto di uscire di casa e tutte le misure adottate per la prevenzione e il controllo della diffusione del Covid19″. Tantissimi i messaggi di cordoglio che in questi minuti si stanno susseguendo sui social. Commovente il ricordo del nipote: “Oggi per l’ennesima volta mi ritrovo a bagnare il mio viso di lacrime per te zio unico, pilastro per me dopo la morte di papà e anche tu sei volato in cielo senza nemmeno poterti salutare per l’ultima volta. Ti voglio bene zio Carmine Sommese, già mi mancavi e ora mi mancherai per sempre. Ed ora come farò senza di te? A chi posso chiamare per potermi confidare, non dovevi andare via zio, questo brutto male ha portato via anche te”. A ricordare Sommese anche il primo cittadino di Quarto (Napoli) Antonio Sabino: “Si è spento il collega Carmine Sommese, sindaco di Saviano, colpito da Coronavirus. Esprimo la mia più totale solidarietà e tutta la mia vicinanza, a nome di tutta la comunità quartese, alla famiglia e a tutti i suoi cari”.
Folla in strada per il sindaco morto di coronavirus: Saviano diventa zona rossa. Le Iene News il 19 aprile 2020. Lo ha deciso la regione Campania, dopo che ieri le immagini che vi abbiamo mostrato ieri della folla radunata per l’ultimo saluto al sindaco sono diventati virali provocando indignazione in tutta Italia. La procura di Nola ha intanto aperto un’indagine su quanto accaduto. Saviano diventa zona rossa. Lo ha deciso la regione Campania, dopo che ieri centinaia di cittadini si sono riversati in strada per salutare il passaggio del feretro del sindaco morto di coronavirus. Palloncini, banda che suona e un assembramento che ha suscitato indignazione in tuta Italia per l’evidente violazione delle norme di contenimento del Covid-19. Così la regione ha deciso di intervenire: è proibito entrare o uscire dal comune, sono sospese le attività degli uffici pubblici tranne quelle essenziali, sono chiuse tutte le strade secondarie. Inoltre l’Asl 3 di Napoli sottoporrà a monitoraggio sanitario tutte le persone che si sono unite a quel corteo improvvisato. La decisione della regione arriva dopo le parole di condanna del governatore Vincenzo De Luca: “Sono state violate evidentemente e in maniera grave disposizioni di legge”. A suscitare l’indignazione di molti è stata anche la presenza a quella manifestazione improvvisata del vicesindaco di Saviano: “Considerare molto grave l'accaduto, con particolare riguardo alla presenza del vicesindaco con la fascia tricolore”, ha detto il Prefetto di Napoli, che poi ha aggiunto: “In un frangente così eccezionale come quello dell'epidemia in atto, migliaia di cittadini italiani, in queste settimane, non hanno potuto celebrare i funerali dei propri cari”. Inoltre, secondo numerose segnalazioni, sembra che a quel corteo fossero presenti anche rappresentati delle forze dell'ordine che però non sarebbero intervenuti per impedire l'assembramento. Le nuove misure disposte dalla Campania, che rendono ancora più stringenti le restrizioni per il contrasto al coronavirus, saranno in vigore almeno fino al 25 aprile.
Folla a Saviano per il sindaco morto di coronavirus. E la quarantena? Le Iene News il 18 aprile 2020. Il sindaco di Saviano, in provincia di Napoli, è morto per il coronavirus. Una folla di almeno 200 persone si è radunata in strada al passaggio del feretro, tra applausi e lanci di palloncini. La legge per il contenimento del COVID-19 però lo vieta . Un vero e proprio assembramento per salutare il sindaco di Saviano, un comune in provincia di Napoli, morto a causa del coronavirus. Feretro in processione tra due ali di folla. Un saluto commosso, con la gente che applaude il sindaco scomparso. Ma c’è un problema: per legge questa cosa durante l’emergenza Covid-19 non si può fare. Ma andiamo con ordine. Saviano è un piccolo comune in provincia di Napoli. Ieri il sindaco, Carmine Sommese, ha perso la vita a causa del coronavirus. Il primo cittadino era anche chirurgo, ed è uno dei molti, troppi medici a essere morto nella lotta alla pandemia. Nessun funerale né cerimonia pubblica: secondo quanto riportano le testate locali il feretro è stato trasportato dall’ospedale verso il cimitero di Saviano. Nel tragitto però, come si vede nel video qui sopra, molte persone, almeno 200, si sono radunate per un ultimo saluto improvvisato al sindaco, in violazione delle normative che impediscono questo tipo di assembramento. Non è chiaro dalle immagini se fossero presenti o meno agenti delle forze dell'ordine. Ad attendere il passaggio del feretro anche persone con palloncini tricolori. Francesco Barbato, ex deputato e sindaco del vicino paese di Camposano ha scritto su Facebook: “Quello che è successo stamattina a Saviano è a dir poco assurdo: il modo peggiore per dare l’ultimo saluto a una persona che ha lottato fino all’ultimo contro questo maledetto Covid. Chiediamo un intervento immediato del governatore De Luca”.
Da napoli.repubblica.it il 18 aprile 2020. Folla a Saviano, nel Napoletano, lungo strada che porta al municipio, per un rito funebre. Almeno 200 persone, palloncini, e musica ai funerali del sindaco del centro nel Nolano, Carmine Sommese, 66 anni, ex consigliere regionale e primario nell'ospedale di Nola, deceduto ieri per coronavirus. Sulla vicenda indaga la Procura di Nola. Politico locale di spicco e sindaco più volte, dal 2012 ad oggi ininterrottamente, professionista garbato e molto disponibile, Sommese era molto apprezzato nella sua città, e la gente ha voluto comunque tributargli un omaggio, scendendo in strada al passaggio del carro funebre. Il vicesindaco, Carmine Addeo, si è anche tolto la fascia tricolore per farla indossare alla moglie di Sommese. Il carro funebre è stato accolto da un lungo applauso delle persone assiepate senza rispetto delle distanze di sicurezza, ripreso dalle immagini di molti cellulari, video che dimostrano l'esistenza di un assembramento, nonostante il divieto delle norme anticontagio per il Covid-19. La procura di Nola indaga su quanto accaduto. La folla ha accompagnato il passaggio del feretro lungo la strada che porta al cimitero e che passa davanti alla piazza in cui ha sede il municipio. Il vicesindaco, Carmine Addeo, si è anche tolto la fascia tricolore e l'ha fatta indossare alla moglie di Sommese, uomo molto amato per il suo impegno e disponibilità di medico. Molti i filmati in rete che saranno acquisiti per ricostruire eventuali responsabilità e per individuare, denunciare e sanzionare chi ha violato le disposizioni governative anticontagio. Secondo quanto si è appreso, il feretro è partito dall'ospedale di Avellino, dove il sindaco è deceduto dopo aver lottato contro il Covid 19, per raggiungere il camposanto del paese alle porte di Nola. I carabinieri avevano disposto presidi lungo le vie di accesso della città, con ben 7 pattuglie in auto. Poco prima dell'ingresso in paese, l'addetto della società di pompe funebri che ha gestito il trasporto della salma ha contattato i militari dell'Arma per chiedere di essere accompagnato, e lo ha raggiunto in auto il comandante della stazione locale, che poi si è trovato con la vettura nella piazza antistante l'edificio del Comune tra la folla, e ha chiamato subito le altre pattuglie perchè convergessero in zona. Subito dopo il passaggio del feretro la folla si è dispersa. Il Prefetto di Napoli, Marco Valentini, in una nota dice di "considerare molto grave l'accaduto, con particolare riguardo alla alla presenza del vice sindaco con la fascia tricolore, mentre, in un frangente così eccezionale come quello dell'epidemia in atto, migliaia di cittadini italiani, in queste settimane, non hanno potuto celebrare i funerali dei propri cari per non generare, in ottemperanza alle disposizioni vigenti, una situazione di pericolo per la salute pubblica". Il Prefetto di Napoli - si sottolinea nella nota - si è riservato di valutare quanto accaduto alla luce delle normative vigenti mentre il locale comando dei Carabinieri sta procedendo agli adempimenti di propria competenza.
Folla ai funerali, Saviano diventa zona rossa. De Luca: "Decisione inevitabile". Ordinanza della Regione Campania: divieto di allontanamento dei cittadini e di ingresso. La Repubblica il 19 aprile 2020. Il comune del napoletano di Saviano diventa zona rossa. La decisione della Regione Campania è legata a quanto accaduto l'altro giorno, con almeno 200 persone accalcate in strada nel comune vesuviano pur di dare un ultimo saluto a Carmine Sommese, il sindaco e medico rimasto vittima del coronavirus. Il presidente della giunta campana, Vincenzo De Luca, aveva già preannunciato "l'adozione di misure coerenti con quando accaduto per garantire la sicurezza sanitaria della comunità e della zona". E le misure sono puntualmente arrivate. Con una ordinanza, la numero 35, De Luca ha infatti disposto "il divieto di allontanamento dal territorio comunale da parte di tutti gli individui ivi presenti; il divieto di accesso nel territorio comunale; la sospensione delle attività degli uffici pubblici, fatta salva l'erogazione dei servizi essenziali e di pubblica utilità". "La messa in quarantena per il Comune di Saviano, è stata una decisione inevitabile per impedire il sorgere di un focolaio di contagio a tutela della salute dei cittadini di Saviano, di quella dei Comuni vicini, e di un intero territorio densamente abitato": così il presidente De Luca commenta l'ordinanza. "E' stato anche un atto di rispetto per la figura di un grande medico e della sua famiglia, che avrebbe per primo sollecitato comportamenti responsabili. E' una decisione che rende merito al sacrificio compiuto da tanti cittadini che hanno rispettato le regole. E' una decisione che ripristina la dignità e onora l'impegno civile di tutta la nostra comunità".
Dopo il lutto il governatore De Luca aveva disposto la Zona Rossa. Saviano, 12 positivi in 3 famiglie dopo i funerali del sindaco morto di Covid. Redazione su Il Riformista il 10 Maggio 2020. Saranno seguiti dalle Usca, le Unità Speciali di Continuità Assistenziale, i 12 positivi al coronavirus registrati a Saviano, comune nel napoletano. Secondo quanto riporta il Mattino, alcuni focolai sarebbero esplosi in tre famiglie in seguito ai funerali del 18 aprile del primo cittadino Carmine Sommese, morto proprio per le conseguenze del Covid-19. Alla cerimonia, nonostante il divieto di assembramento imposto da governo e provincia aveva partecipato una folla numerosa. Il giorno dopo il governatore campano Vincenzo De Luca aveva disposto la Zona Rossa. “Sono 12 i casi di pazienti del distretto 49 già risultati positivi al tampone che da domani dovranno essere seguiti a domicilio fino alla avvenuta guarigione – scrive il Mattino – Questa, se tutto va bene, arriva nell’arco di un mese. I pazienti hanno per ora pochi sintomi e segni di malattia sfumati e per alcuni il contagio decorre in maniera asintomatica. I casi – in isolamento già da alcuni giorni – sono tutti concentrati in due o tre nuclei familiari che abitano nella stessa zona, in particolare alcuni civici di via Crocelle e via Abate”. I focolai presso alcune famiglie sarebbero scoppiati tutti nella zona, a una ventina di giorni dal lutto. Contestualmente al monitoraggio delle Usca, i medici di famiglia seguiranno i contagiati e i dipartimenti di Prevenzione dell’Asl Napoli 3 Sud verificheranno e proveranno a rintracciare i contatti dei positivi nelle ultime settimane.
Da ilfattoquotidiano.it il 2 maggio 2020. “Mi arrivano voci di persone che vogliono organizzare feste di laurea. Mandiamo i Carabinieri con il lanciafiamme se la fate”. Queste parole del governatore della Campania Vincenzo De Luca, pronunciate su Facebook in piena emergenza coronavirus lo scorso 23 marzo, hanno fatto il giro del mondo. Tanto che il laboratorio “Le ceramiche artigianali” di Napoli aveva pensato di realizzare una bomboniera con il governatore e il lanciafiamme e di metterla nella vetrina del suo negozio. E alla fine qualcuno l’ha scelta davvero come bomboniera di laurea. “Era nata come caricatura ironica, mai avrei immaginato che mi chiedessero di farla davvero come bomboniera”.
Da repubblica.it il 14 maggio 2020. “Noi dobbiamo combattere gli imbecilli doppi. L'imbecille normale non porta la mascherina e poi c’è l’imbecille doppio, quello che la porta appesa al collo ed è imbecille due volte: perchè si prende il fastidio e non si prende la tutela sanitaria”. In occasione dell’inaugurazione del nuovo reparto di terapia intensiva del Covid Hospital di Boscotrecase, il governatore della Campania Vincenzo De Luca si scaglia contro chi non rispetta l’uso della mascherina e confessa di avere "i brividi" per i dati attesi dopo l'apertura del 4 maggio. De Luca chiede poi alle forze dell’ordine di assicurare un maggiore controllo del territorio. “Le forze dell'ordine non si possono girare dall'altra parte - evidenzia il governatore - Dal 18 maggio riapriremo tutto. Chiedo alla polizia municipale di controllare in ogni città, perché la mascherina in Campania è obbligatoria”.
De Luca e i runner: "Cinghialoni della mia età senza mascherina tra i bambini, da arrestare a vista". La Repubblica tv l'1 maggio 2020. "Se vediamo nelle pubblicità belle ragazze toniche che corrono con i vestiti aderenti sono cose che ti consolano, ma ho visto vecchi cinghialoni della mia età che correvano senza mascherine, con la tuta alla caviglia, una seconda alla zuava, i pantaloncini sopra, che facevano footing in mezzo ai bambini. Andrebbero arrestati a vista per oltraggio al pudore". Lo ha detto il preisdente della Regione Campania Vincenzo De Luca nel corso di una diretta Facebook. "Abbiamo consentito l'attività motoria individuale compatibile con l'uso delle mascherine, non la corsa. Capisco che è una limitazione - ha aggiunto De Luca - ma ho visto gente fare footing in mezzo alle famiglie, e questo non è possibile. E' tanto grande il sacrificio di aspettare due settimane e vedere cosa succede? Intanto è consentita la passeggiata, fatela veloce ma con le mascherine. In futuro sarà opportuno individuare aree dedicate, parchi urbani o isole pedonali, per consentire anche la corsa senza mascherina. Ma - ha concluso De Luca - immaginare gente che va sputacchiando goccioline di saliva mentre ci sono bambini o anziani che passeggiano è intollerabile. Chi non indossa la mascherina è una bestia".
"Andrebbero arrestati". De Luca e “i vecchi cinghialoni che fanno footing con tuta alla zuava”. Redazione su Il Riformista l'1 Maggio 2020. “A fare footing non ci vanno le belle ragazze, quelle della pubblicità, ma anche dei vecchi cinghialoni con tute alla zuava che andrebbero arrestati per oltraggio al pudore”. Sono le parole di Vincenzo De Luca, presidente della regione Campania, nel corso di una diretta su Facebook dove ha fatto il punto della situazione sull’emergenza coronavirus. Dopo le polemiche dei giorni scorsi per l‘eccessivo assembramento sul lungomare di Napoli per svolgere attività motoria, il Governatore torna sull’argomento con una battuta: “Non dovete immaginare – dice nella diretta Fb di oggi – che vadano a fare footing le belle ragazze toniche della pubblicità, con fuseaux aderenti, che riconciliano con la natura, no. Ma io ho trovato che andavano a correre senza mascherina dei vecchi cinghialoni della mia età con una tuta che arrivava alla caviglia, con una seconda tuta alla zuava, e con un altro terzo pantaloncino sopra. Andrebbero arrestati per oltraggio al pudore”. De Luca nei giorni scorsi ha rivisto l’ordinanza consentendo solamente le passeggiate e vietando di fare jogging perché sono stati registrati numerosi casi di persone senza mascherina. “Basta una gocciolina di sudore per infettare altre persone. Non si può correre senza mascherina dove si trovano bambini e famiglie” ha spiegato De Luca.
Per il quotidiano spagnolo il governatore è "la voce del Sud". Vincenzo De Luca spopola in Spagna: “Carismatico, è il baluardo del lockdown”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 22 Aprile 2020. “Vincenzo De Luca, governatore della regione Campania si è trasformato nelle ultime settimane nella voce orgogliosa del Sud”. E a scriverlo non è un giornale meridionalista, sudista o neo-borbonico, ma il più influente quotidiano spagnolo, El País. La fama del presidente della Regione Campania, che già in patria spopolava attraverso numerosi meme e montaggi video sui social – è stato ideato perfino un videogioco ispirato alla sua uscita sui “lanciafiamme” da usare contro gli assembramenti di studenti – supera i confini dell’Italia. La descrizione del governatore affianca un articolo di Daniel Verdú , storico corrispondente ed esperto di affari italiani per il quotidiano spagnolo. Verdú descrive la spaccatura, o anche l'”iperbole”, un “cambio di paradigma”, l'”inversione di ruoli”, che l’emergenza coronavirus ha decretato tra il Sud e il Nord Italia. Le immagini degli studenti e dei lavoratori che scappano da Milano sono quelle di “un esodo al contrario”, ha scritto il giornalista. E le regioni del Nord, maggiormente colpite dal contagio, tutte in mano al centrodestra, hanno mostrato delle falle nei loro sistemi sanitari e quindi l’emergenza potrebbe trasformarsi anche in crisi politica per alcuni partiti; soprattutto per la Lega di Matteo Salvini. Al Sud invece i numeri sono diversi, molto più bassi. Vincenzo De Luca, insieme con i governatori Vito Bardi e Iole Santelli della Basilicata e della Calabria è stato tra i primi e più strenui promotori del lockdown. “Presidente da giugno 2015 – si legge – è stato sindaco di Salerno per quattro mandati. Carismatico, dalla retorica esagerata ed estremamente ironica, è stato uno dei baluardi della chiusura del Paese; si è opposto in maniera furibonda all’idea della Lombardia di aprire prima delle altre regioni”. L’approfondimento cita il caso di Saviano: della zona rossa creata immediatamente dopo i funerali, molto partecipati, del sindaco Carmine Sommese morto proprio per aver contratto il coronavirus. E poi passa allo scontro a distanza, poi rientrato negli studi di Porta a Porta, con il collega Fontana sulla cosiddetta Fase 2 e sulla riapertura. “I produttori di tweet sono stati per due mesi in crisi di astinenza”, cita ancora El Paìs facendo riferimento a Salvini. E in chiusura ricorda i dati molto bassi, rispetto a quelli del nord, della Campania. “Tuttavia, il numero di test effettuati – chiosa l’articolo – mostra anche cifre estremamente ridotte”.
La scelta di un laureando napoletano. De Luca e il suo lanciafiamme diventano una bomboniera di laurea. Redazione su Il Riformista il 2 Maggio 2020. Il primo prototipo della bomboniera di laurea di De Luca, modello lanciafiamme, lo avevano prodotto quasi per scherzo dopo l’uscita del governatore campano sul divieto per le feste di laurea: “Vi mando i carabinieri, ma con il lanciafiamme“. Evidentemente, però, quell’idea è piaciuta davvero a un laureando in Scienze motorie che, in vista della fine del suo percorso universitario, ha commissionato al laboratorio di Cercola le riproduzioni in ceramica del presidente campano con in mano un corno e una pergamena che ricorda il monito: “Ordinanza: le feste di laurea in Campania, no!“. Gli stessi artigiani sono rimasti stupiti della richiesta: “Era nata come una caricatura ironica, mai avrei immaginato che invece mi chiedessero di farla davvero come bomboniera: la vita è una sorpresa!”.
La trovata. Lanciafiamme contro i laureandi: un videogioco riprende la frase di De Luca. Redazione su Il Riformista il 31 Marzo 2020. “Ho sentito che ci sono persone che vogliono organizzare feste di laurea. Se le fate, manderemo i Carabinieri con i lanciafiamme”. Lo diceva il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca durante una delle sue dirette per riferire sull’emergenza coronavirus. Quella frase – che provocatoriamente invitava a evitare gli assembramenti, per ridurre le opportunità di contagio – è diventata in poco tempo virale, come tante altre scandite dal governatore. Talmente virale che De Luca è finito anche sui social della top-model Naomi Campbell. E alla fine, ispirato proprio dai lanciafiamme, è arrivato addirittura un videogioco a riprendere l’uscita del politico. L’idea è stata di Lucaro089. E per giocare basta accedere a questo link dal quale comparirà una schermata da videogioco anni ’90. Il gioco è stato battezzato Laureati Invaders – Edizione Covid-19 Incendia i neo laureati e salva la Campania. Naturalmente al centro si trova una riproduzione del governatore che fronteggia due file di studenti, una fila di ragazzi e una fila di ragazze. Lo sfondo della schermata è quello dell’Università di Fisciano. De Luca usa il lanciafiamme, gli studenti lanciano il virus. In caso di sconfitta la schermata riporta la scritta: “La Campania è infetta” e un’altra frase del governatore: “C’è un buco nero fra le vostre orecchie con una tale forza di gravità che rende impossibile l’uscita anche del pensiero … sta arrivando il collasso”. Mentre in caso di vittoria compare la scritta: “La Campania è salva”, e un meme che ritrae De Luca come il tenente colonnello William “Bill” Kilgore del film capolavoro di Francis Ford Coppola Apocalypse Now.
Il governatore contro chi aggira i divieti. De Luca, i lanciafiamme e l’attacco ai giovani: “Voi ai baretti, i vostri genitori in ospedale”. Redazione su Il Riformista il 20 Marzo 2020. “Volevano essere lieti e se ne sono andati lietamente negli ospedali e hanno mandato in ospedale lietamente le loro mamme, i loro papà, i loro nonni. Possiamo decidere di vivere allegramente, ma il risultato dopo dieci giorni è questo: se ne vanno all’ospedale“. Non fa sconti a nessuno il presidente della Regione Campania che, in diretta sulla sua pagina Facebook, fa il punto sulle misure prese, e quelle richieste, per arginare la diffusione del Coronavirus. “Voi ricordate quello che è successo una decina di giorni fa? – continua il governatore -. Noi avevamo già avviato la chiusura dei locali, e c’erano i giovani che facevano la movida, allegri, ammucchiati. Magari dopo aver bevuto dallo stesso bicchiere? Tutti allegri, all’insegna del “chi vuol esser lieto sia, del doman non v’è certezza”. Il riferimento del presidente De Luca è al primo weekend de mese quando, nonostante fossero state emanate le prime disposizioni su locali e distanziamento tra clienti le strade della movida napoletana si riempirono lo stesso di giovani. Nel suo j’accuse il governatore ricorda anche quei giovani, studenti fuorisede, che dopo il primo decreto del governo, hanno deciso di prendere d’assalto i treni verso casa, incuranti del pericolo contagio. “Non hanno avuto il senso di responsabilità di mettersi in auto isolamento e ora stanno producendo i primi effetti. Stiamo arrivando al picco dei contagi”, attacca De Luca. Sempre rivolto ai giovani, il presidente De Luca mette in guardia gli studenti che, in periodo di lauree, stavano pensando di festeggiare il traguardo incuranti dei divieti.”C’e’ una stagione nella quale avremo centinaia di ragazzi che si laureano. Mi arrivano notizie che qualcuno vorrebbe preparare una festa di laurea“, dice il governatore. E aggiunge: “Mandiamo i carabinieri, ma mandiamoli con il lanciafiamme“. Infine, il governatore aggiunge una postilla anche per coloro che ieri, fedeli alla tradizioni, hanno acquistato da ambulanti in strada le zeppole di san Giuseppe. “C’è stata la festa del papà – dice De Luca – e abbiamo avuto a Napoli dei buontemponi che vendevano per strada le zeppole di san Giuseppe, che portavano in omaggio al papà. La zeppola condita con una bella crema al coronavirus. Una bestialità totale”.
De Luca 'star' sui social. De Luca conquista Naomi Campbell, la supermodella pazza per i video del governatore sul Coronavirus. Redazione su Il Riformista il 24 Marzo 2020. Vincenzo De Luca fa breccia nel cuore di Naomi Campbell. La supermodella inglese, inserita dalla rivista People tra le 50 donne più belle del mondo, ha pubblicato sul suo seguitissimo profilo Instagram con oltre 8 milioni di followers un video con gli appelli di vari governatori e sindaci italiani nei confronti dei loro concittadini, per invitarli al rispetto delle regole ed evitare così il contagio da Coronavirus.
Un gesto per informare inglesi e americani sui rischi che si corrono nel prendere sottogamba l’emergenza Covid-19. Ad aprire il video della modella, da sempre legata all’Italia per aver sfilato per Armani e Versace, oltre ad essere stata compagna dell’imprenditore Flavio Briatore, c’è il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca. Il governatore ‘sfila’ con i sottotitoli mentre invita gli studenti a non dare feste di laurea, minacciando di far intervenire i carabiniere “col lanciafiamme”.
Da tgcom24.mediaset.it il 2 maggio 2020. "Voglio insistere su una cosa: dobbiamo essere rigorosi sull'obbligo di indossare mascherine fuori casa e se è possibile rispettare il distanziamento sociale". Lo chiede ai cittadini il governatore della Campania, Vincenzo De Luca. "E' indispensabile - ha ribadito - e noi saremo rigorosissimi. Chi non la indossa è una bestia perché non ha rispetto per anziani e famiglie". De Luca ha anche annunciato che, successivamente, le mascherine saranno disponibili anche nei supermercati come nelle farmacie. "Noi - ha detto ancora - le abbiamo prodotte, acquistate e consegnate a 2,5 milioni di famiglie", e per questo "deve corrispondere un atteggiamento di responsabilità". La Regione Campania "ha prodotto 4,5 milioni mascherine e ne ha messo in produzione un altro milione e 250mila per i bambini: è una iniziativa unica in Italia per dare una mano anche ai più piccoli", ha sottolineato. Il governatore ha quindi messo in evidenza che "i sindaci hanno il potere e il dovere di far rispettare l'ordinanza della Regione Campania che impone l'obbligo delle mascherine: vale per le forze dell'ordine ma anche per i sindaci. Tantissimi sindaci hanno collaborato e segnalato situazioni di emergenza, altri se ne infischiano e non è possibile. Quindi organizziamo i servizi di pattugliamento delle polizie municipali: noi interverremo con le forze dell'ordine". Per De Luca, comunque, "la fase 2 in Campania è già cominciata, anche se non molti a livello nazionale se ne sono accorti". E anche per questo "nei prossimi giorni sarà consentita anche nei laboratori privati l'effettuazione dei test sierologici per rivelare se un soggetto è entrato in contatto con una persona contagiata".
Marco Ciriello per mexicanjournalist.wordpress.com il 2 maggio 2020. Che cosa ne sarebbe stato di Vincenzo De Luca senza la pandemia? Avrebbe dovuto lottare, e molto, per convincere il Pd a ricandidarlo, il Movimento Cinque Stelle non lo avrebbe appoggiato e si sarebbe aperta una sperimentazione politica, invece, con la pandemia il governatore della Campania si è ritrovato con un potere enorme – essendo anche commissario della Sanità: quindi controllore e controllato – e con il silenzio totale dell’opposizione in consiglio regionale e anche fuori: dove il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, ha scelto di insorgere per le pastiere, e poi timidamente per le librerie, insomma, poca cosa per uno che diceva di puntare ad essere l’avversario di De Luca. Dalla qualità della polemica si capisce anche il contesto nel quale si muove l’ex sindaco di Salerno. Ormai candidato unico e vincitore in pectore. Nel giro di poco un grigio funzionario del partito comunista, dopo aver amministrato con modi staliniani, si è trovato alla ribalta, imponendo un linguaggio repressivo che ha sposato la paura della gente, facendosi paladino dello stare a casa, inasprendo le direttive del presidente del consiglio, imponendo un coprifuoco che a Napoli non si vedeva dai tempi della seconda guerra mondiale – con molte più slabbrature – e giustificandolo con dirette tele-social che tenevano insieme l’avanspettacolo, il peronismo e il folklore, tanto da finire nelle tivù di Giappone e Usa. De Luca ha una oratoria da comizio anni Sessanta, i suoi consigli letterari ne denunciano la provenienza classica – qualche settimana fa caldeggiava la lettura di Ignazio Silone, che non leggono più nemmeno le professoresse d’italiano, ora tutte ferrantiane – il suo respiro è da endecasillabo e il suo tono da sindacalista assediato che spiega il mondo ai contadini, indica la strada, e promette terra e lavoro, trattandoli come bambini. Adesso, nelle dirette, la gente lo segue sui social come i piccoli siciliani guardavano e si abbeveravano alle parole dell’avvocatone durante l’arringa di “Divorzio all’italiana”. Nel mondo di Conte e Di Maio che hanno un respiro da Twitter, con frasi brevi e con un linguaggio limitatissimo, De Luca, svetta per sicurezza di toni, costruzione della frase lunga e per come fa risuonare il suo italiano da preside, farraginoso nelle orecchie di chi legge ma coltissimo per chi ascolta solo i tweet o gli slogan. De Luca è un artigiano dell’oratoria, uno che sa mischiare il dialetto con Cicerone, una sorta di Lotito che non sbaglia citazioni ed ha, però, il riflesso di quello che è abituato a comandare e, soprattutto, ad andare, perché dice di sapere cosa c’è all’orizzonte, tanto che quando Fanpage coinvolge il figlio in una ipotesi di reato – una fiction web-giudiziaria – tira dritto, anche se il mondo intorno sembrava stesse cascando, perché in De Luca convivono ripetute visioni steno-monicelliane e quindi una vasta gamma di reazioni con corredo di albagia, tirannia e colpi di scena; ignora il cinema di oggi, ma controlla bene la tivù, perché viene da anni di dirette molto provinciali, di una televisione condominiale dove giocava a fare il Fidel Castro di Salerno: ore di monologhi che divenivano sottofondo del quotidiano notturno, trasformandolo in una voce di famiglia: un po’ da ascoltare e un po’ da prendere in giro, insomma, oscillava tra santo patrono e cazzaro da bar. Per anni si è esercitato tiranneggiando la sua città con un centralismo poco democratico e molto efficiente da sindaco-padrone-prefetto che gli permetteva di controllare in modo maniacale – dalla spazzatura alla prostituzione – Salerno, e poi di giocarsi quel modello come biglietto da visita per la guida della regione Campania. Ma, come era già accaduto ad Antonio Bassolino, il salto da città a regione non era andato bene: la gestione di un territorio vasto e non uniforme, con fortini di potere differente, gli stava dando torto, senza la pandemia nessuno si sarebbe ricordato della sua amministrazione se non per la capacità di far scomparire tutti gli altri membri della giunta e del consiglio, in un accentramento d’immagine e onnipresenza di stampo sudamericano. Ma De Luca è molto più complicato, è di fatto un politico raro perché coacervo: in lui convivono le uscite alla Razzi ma ad un livello più alto, non si troveranno errori nella coniugazione dei verbi o nell’articolazione dei pensieri ma delle scivolate – più o meno volute – di provincialismo, un po’ sagra e un po’ sezione di partito del Pci – piene di ironia, a dispetto della narrazione – un po’ venditore di piazza, con il latinorum da liceo classico, un pizzico di Dante e quindi della sua visione con contrappasso e tanto Totò, anche se frainteso altrimenti non avrebbe fatto il politico a vita, ma acquisito al punto giusto per prendersi gioco degli avversari riducendoli a spalle e vessandoli senza schiacciarli; poi c’è la vena stalinista – ampiamente mostrata negli anni da sindaco – che lo porta al decisionismo in questi mesi pandemici, il piglio da guerriero di Sparta dietro la scrivania, e, infine, il Perón con le cozze; si vede che ha avuto modelli a sinistra, che è passato per tante discussioni che l’hanno portato all’accentramento decisionale, che ha letto Gramsci ma che ha lasciato a metà Carlo Levi, che ha trascurato Rossi-Doria (Manlio) e che non sa niente di Danilo Dolci e Sciascia, ma conosce l’ostinazione divittoriana, e i ragazzini del Pd – forse – direbbero che non sa di Alessandro Leogrande; vorrebbe essere la voce del Sud ma manca di un linguaggio contemporaneo, ragiona senza la portata del Mediterraneo – non sa proprio chi sia Predrag Matvejevic – e quindi oscilla tra la candidatura a un David di Donatello e quella a ministro degli Interni. Vanta diverse imitazioni, tutte al ribasso come ha capito Carlo Verdone, non puoi imitare un personaggio così, una iperbole a catena, senza uscirne ridicolizzato, che è quello che è accaduto a Crozza, divenuto megafono: la gente vedeva l’imitazione, cercava l’originale e poi rimaneva sintonizzata con la versione integrale e gli inaspettati comizi tra Sud e Magia e il Bagaglino. Il preside(nte) De Luca è diventato meme, videogioco, icona e pagliaccio, per il mondo dei ragazzi del liceo che tiene in casa e vorrebbe prendere col lanciafiamme, lui urla e loro lo paraculano, lui ordina e loro vanno di meme, lui impone e non consente in nome di una Sanità che prima ha trascurato e ora dice di aver reso efficiente e loro lo mettono in una canzone e video di Frankie hi-nrg come prima era stato il vecchio brontolone dei Muppet. Tutto brodo. La somma è un demone politico che si è mangiato avversari e dibattito, un cannibale che si è annesso buona parte dei media e la maggioranza dell’opinione pubblica: che lo vede come il conductor perfetto, l’uomo forte nel tempo debole, e lui, conscio del ruolo e della forza che cresce in modo trasversale, accelera: alla gente di sinistra propugna una sanità efficiente – che è una bugia da Potëmkin – e un credo nella scienza che li inorgoglisce e illude; a quella di destra mostra un controllo del territorio ducesco con una piramide di efficienza che comincia e finisce nella sua stanza; ma questo verrà raccontato dopo, intanto tutti a casa che nel pomeriggio c’è il discorso del presidente, con la Campania che rassomiglia all’Iran di Khomeini: propaganda e orgoglio.
Fabrizio Roncone per il “Corriere della Sera” il 3 maggio 2020. Capito: proprio uno schifo di sabato sera, ormai in astinenza da calcio e senza più Homeland , senza più nemmeno un bel Vincenzo De Luca via WhatsApp (del resto, la sua mitologica diretta Facebook, da cui vengono estratte le clip, va in onda il venerdì). Fa niente, puoi sempre riguardarti la chicca arrivata ieri. Ma era forte pure quella dell' altra settimana e se persino Naomi Campbell le colleziona e sta lì su Instagram ad aspettare Big Enzo - «Ascolta America, ascolta!» - la faccenda, tanto banale, forse non è. Labbra sottili e tremolanti, un ghigno tra il perfido e il beffardo, la voce del governatore della Campania è una cantilena: «Uscirò con una mazza in mano, mi nasconderò dietro ai muri e comparirò non appena vedo qualcuno che si aggira senza un motivo urgente: una botta in testa e lo lascio stecchito a terra» (ma detta da lui, è ben più strepitosa). Così bieco e intimidatorio, eccessivo e visionario, così sempre dentro un situazionismo magnetico da risultare alla fine grottesco, comico, e però spesso anche piuttosto condivisibile. È una linea sottile: ragioniamo su quello che dice, o su come lo dice? Spazzando via l'ipocrisia: De Luca è certamente uno dei personaggi di questa nostra tragica stagione perché non solo ci ha fatto sorridere, ma perché è stato tra i primi a intuire che stavamo finendo dentro una brutta storia. A Maria Teresa Meli, il 21 marzo scorso, riferendosi all' azione del premier Giuseppe Conte, dice: «Comunicazione confusa. Ci vuole più decisione, non ordinanze vaghe che generano equivoci». Con De Luca, gli equivoci sono impossibili. «Mi arrivano notizie che qualcuno starebbe organizzando feste di laurea Beh, sappiate che manderò i carabinieri, ma con il lanciafiamme». «Ripresa della movida? Ma siamo scemi?». Ragionevole quando annuncia che il Napoli potrebbe ricominciare ad allenarsi, e quando - il 27 aprile - consente ai runner di tornare a correre. Ma poi li vede tra la gente. E allora: «Ho visto vecchi cinghialoni della mia età, senza mascherina, correre tra la folla indossando delle tute alla zuava Andrebbero tutti arrestati subito per oltraggio al pudore». Mediaticamente ha spazzato via il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris (pervenuto solo a Pasqua, per la celebre battaglia - persa - delle pastiere: che avrebbe voluto fossero consegnate a domicilio). In realtà, sulla scena apocalittica del coronavirus, De Luca si muove a suo agio: la Campania come fosse un Granducato, mischiando il dialetto a Cicerone, pitonesco, geniale artigiano dell' oratoria studiata da grigio dirigente comunista e poi affinata negli anni che lo portarono a prendersi Salerno, sindaco con effetti speciali, i manganelli ai vigili urbani e fontane d' acqua nelle piazze, alimentando così soprannomi - Fidel, Sceriffo, O' Faraone - e leggende: come quella di conoscere uno per uno i suoi elettori (tantissimi) o di essere, in fondo, «solo un liberale gobettiano» (pur avendo un asse dinastico da autentico satrapo: un figlio, Vincenzo, deputato del Pd, e l' altro, Roberto, assessore fino a due anni fa). Allora, prenda nota: qui, in Campania, finora, siamo riusciti ad evitare una possibile ecatombe».
Continui.
«Regione complicata, con densità abitativa pazzesca. La mia ossessione è stata: dobbiamo sopravvivere al virus. Così, per dire, non ho aspettato Conte e sono stato il primo a chiudere i locali della cosiddetta baldoria. Però siamo anche i primi ad essere partiti con la fase 2: c' è già un piano socio-economico della Regione che prevede lo stanziamento di 900 milioni di euro destinati a bonus per le imprese e a contributi per le famiglie».
La comunicazione.
«Cosa?».
Mi interessa il suo modo di comunicare.
«Intanto, mestiere. Molto. Anni di comizi, di politica, insegnano una cosa: in certi momenti, devi parlare chiaro. Devi essere comprensibile. E se devo aiutarmi con un filo di ironia, per arrivare meglio, non mi tiro indietro. Lei cosa pensa di Paolo VI?».
Che è stato un Papa sottovalutato.
«Bravo! Lui diceva: "La gravità è lo scudo degli sciocchi".
Insomma, non è che se parli complicato diventi più autorevole, ecco».
Naomi Campbell è pazza di lei.
«Guardi, se quelle cose, la signora Naomi, me le avesse dette quaranta anni fa... adesso, però, ne colgo solo l' aspetto poetico».
Il Pd, inizialmente scettico, sarà costretto a ricandidarlo in carrozza. Su Twitter, per tenersi pronto, De Luca è andato giù duro con Matteo Salvini.
«... Caro Denis, dai un' occhiata anche tu... ho la sensazione che tra poco dovremo chiamare gli infermieri» (Denis: cioè Verdini, il suocero di Salvini. Sembrano storie inventate e invece è sempre tutto vero).
De Luca a Fazio: “Anche lei nonostante l’aspetto da fratacchione avrà affetti sparsi per l’Italia”. Redazione de Il Riformista il 3 Maggio 2020. Da Naomi Campbell a "Fazio fratacchione" passando per le parole di Vittorio Feltri sulla presunta inferiorità dei meridionali. E’ un Vincenzo De Luca in grande spolvero durante la trasmissione “Che Tempo Che Fa” condotta da Fabio Fazio su Rai 2. Intervenuto insieme alla presidente della regione Calabria Jole Santelli, il Governatore campano risponde a tono a una battuta di Fazio sugli elogi ricevuto dall’ex modella Naomi Campbell per il rigore dimostrato durante questa emergenza coronavirus (“Dai Fazio non cominciamo a sfottere”), poi si ‘vendica’ dando del fratacchione al conduttore televisivo in merito al discusso tema dei congiunti. I congiunti secondo De Luca: “Io sono favorevole agli affetti in generale, stabili e non stabili. E sicuramente anche lei, Fazio, nonostante l’aspetto da fratacchione avrà degli affetti sparsi per l’Italia”.
Giada Oricchio per iltempo.it il 4 maggio 2020. Botta e risposta tra il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, e Fabio Fazio, conduttore di "Che Tempo che Fa", l’approfondimento domenicale di Rai2. De Luca, governatore-sceriffo della Campania, è diventato popolare sul web per le sue dichiarazioni decisamente colorite. A “Che Tempo che Fa”, Fabio Fazio gli ha chiesto un parere sull’autodichiarazione per gli affetti stabili e De Luca con aria sardonica: “L’ho trovata una definizione leopardiana, molto poetica” e Fazio: “Scusi se glielo dico ma questa è un'affermazione poco romantica, io penso che negli affetti, stabili o non stabili, debba prevalere il sostantivo cioè affetti e non l'aggettivo”. De Luca ha sospirato, ci ha pensato un po' e ha piazzato una risposta epica: “Assolutamente, io sono favorevole a tutti gli affetti, sono convinto che anche lei, nonostante la sua immagine da #fratacchione, abbia molti affetti stabili in giro per l'Italia”. Il conduttore non si è perso d’animo: “Guardi, molti no, ne ho tre, mia moglie e due figli che domani raggiungerò, li vedrò dopo due mesi facendo le orazioni naturalmente”. La trovata di De Luca “fratacchione” ha divertito i social che hanno espresso apprezzamento per l’ex sindaco di Salerno. Tra i tanti tweet anche quello di Fiorello: “Credo di amare De Luca”. Da Naomi Campbell a Fazio fratacchione passando per le parole di Vittorio Feltri sulla presunta inferiorità dei meridionali. E’ un Vincenzo De Luca in grande spolvero durante la trasmissione “Che Tempo Che Fa” condotta da Fabio Fazio su Rai 2. Intervenuto insieme alla presidente della regione Calabria Jole Santelli, il Governatore campano risponde a tono a una battuta di Fazio sugli elogi ricevuto dall’ex modella Naomi Campbell per il rigore dimostrato durante questa emergenza coronavirus (“Dai Fazio non cominciamo a sfottere”), poi si ‘vendica’ dando del fratacchione al conduttore televisivo in merito al discusso tema dei congiunti. I congiunti secondo De Luca: “E’ un po’ come ritornare agli affetti leopardiani. Io sono favorevole agli affetti in generale, stabili e non stabili. E sicuramente anche lei, Fazio, nonostante l’aspetto da fratacchione avrà degli affetti sparsi per l’Italia”. In precedenza il presidente campano ha chiarito: “Siamo impegnati nella Regione con la maggiore densità abitativa d’Italia, in Costiera addirittura d’Europa. E’ l’unica regione nella quale non si può sbagliare. Sbagliare in questa regione significa provocare una ecatombe”. Sull’obbligatorietà delle mascherine, De Luca spiega: “Abbiamo distribuito 4 milioni di mascherine gratuite. E’ doveroso dunque pretendere che siano indossate. Entro giovedì distribuiremo 2 mascherine gratuitamente per ogni bambino per la fascia dai 4 ai 16 anni della regione.” Da lunedì 4 maggio sono attesi migliaia di rientri in Campania: “Noi faremo un lavoro di prevenzione. Non ci possiamo permettere di avere l’arrivo nella nostra regione di persone che hanno un contagio. Faremo un lavoro di prevenzione alle stazioni, ai caselli autostradali, alle società di noleggio. Faremo 10mila test rapidi. Dovremo fare un lavoro molto attento. Domani arrivano due treni carichi da Torino. Non vogliamo fare nessuna distinzione nord-sud, questa è solo prevenzione”. Chiosa finale, con l’ennesima battuta, sulle polemiche nord–sud: “In questi giorni ho sentito cose intollerabili nei confronti dei meridionali. E’ incredibile che ancora oggi dobbiamo sentir dire a delle persone ‘che i meridionali sono inferiori’, che poi dipende da cosa si misura…”.
Che Tempo Che Fa, Vincenzo De Luca e Fabio Fazio "fratacchione"? Cosa significa, esattamente, quella parola. Libero Quotidiano il 4 maggio 2020. "Fratacchione", questo l'appellativo che Vincenzo De Luca, governatore senza peli sulla lingua della Campania, ha affibbiato a Fabio Fazio in diretta a Che Tempo Che Fa. Nella puntata di domenica 3 maggio si parla di Fase 2 e della tanto controversa questione degli "affetti stabili". "Anche io - spiega De Luca - sono favorevole agli affetti stabili e sono convinto che anche lei nonostante la sua immagine da fratacchione abbia molti affetti stabili in giro per l’Italia". Ma in tanti si sono chiesti cosa significa nel dettaglio la parola "fratacchione”. Nel vocabolario italiano il termine viene utilizzato per indicare un frate alto e grosso, massiccio e tarchiato; in altre occasioni, può invece identificare un frate “buono in apparenza, ma in realtà traffichino”. E chissà quale dei due significati De Luca ha voluto affibbiare al conduttore Rai.
Fratacchiò, la canzone di Mimmo Dany che ha ispirato De Luca? Redazione de Il Riformista il 3 Maggio 2020. Di seguito pubblichiamo il testo della canzone del cantante Mimmo Dany “Fratacchiò”. Parcheggiata fore ‘o bar do Rione ce stà, chillu grande machinone e tutte quante a guardà. 23 carburature mai chi sà chi sarrà?! E’ arrivato George Clooney o D’Alessio sarrà. Mò s’arapre chella porta, tu hai capito chi è?! E’ ‘o cumpagno mio Giggino, ca è cresciuto cu mmè. Stà ‘a 3 anne appriesso a chella ca nun ne vò sapè. Spende nu banco ‘e denare sulo pè se fà vedè. Frà, frate a mmè, frate a ttè?! Frate a chi?! Fratacchiò! Tu sì ‘o spasso, sì ‘o surgente ‘e stu Riò. Maccarò. Maccarò! Frà, frate a mmè, frate a ttè?! Frate a chi?! Fratacchiò! Cchiù ‘o bellillo annanze e arete Inte ‘o Jeeppò. Sarchiapò. Sarchiapò! Chella rossa te fa fesso, quando passa te faje russo, sti denare ca te fumme. Spiennatelle nzieme a mmè!!! Frà, frate a mmè, frate a ttè?! Frate a chi?! Fratacchiò! Pruvelò… Pruvelò! E t’e mise ‘a giacca stretta e ‘a cravatta ‘e papà, Nu ricchino pè ogni recchia pare ‘o frate rò ca… Chiste è ‘o quarto appuntamento ca nun se fà vedè. Te porto io inte a nu Privè, pave tu pure pè mmè… Frà, frate a mmè, frate a ttè?! Frate a chi?! Fratacchiò! Tu sì ‘o spasso, sì ‘o surgente ‘e stu Riò. Maccarò. Maccarò! Frà, frate a mmè, frate a ttè?! Frate a chi?! Fratacchiò. Cchiù ‘o bellillo annanze e arete Inte ‘o Jeeppò. Sarchiapò. Sarchiapò! Chella rossa te fa fesso, quando passa te faje russo, sti denare ca te fumme. Spiennatelle nzieme a mmè!!! Frà, frate a mmè, frate a ttè?! Frate a chi?! Fratacchiò! Pruvelò… Pruvelò!
Fratacchione, cosa vuol dire il termine con cui De Luca ha chiamato Fazio. Redazione de Il Riformista il 4 Maggio 2020. “E’ un po’ come ritornare agli affetti leopardiani. Io sono favorevole agli affetti in generale, stabili e non stabili. E sicuramente anche lei, Fazio, nonostante l’aspetto da fratacchione avrà degli affetti sparsi per l’Italia”. Intervenuto durante la trasmissione ‘Che tempo che fa’, il Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca non si è smentito. Ormai famoso in tutta Italia per il suo modo di esprimere i concetti in maniera chiara e senza giri di parole, anche Fabio Fazio non è stato risparmiato. Il termine utilizzato dal governatore però non è una parola usuale, molto spesso è utilizzata dai napoletani con un significato colorito rispetto alla sua etimologia da dizionario. Per il vocabolario della lingua italiana il termine “fratacchione” indica un frate alto e grosso, massiccio e tarchiato. Ma in altre occasioni, può invece identificare un frate “buono in apparenza ma in realtà traffichino, furbacchiotto”. La seconda interpretazione sembra quella più avvalorata per rispecchiare l’intento del governatore De Luca nel descrivere così Fabio Fazio. L’intenzione del presidente campano, infatti, era quella di rispondere a tono a una battuta di Fazio sugli elogi ricevuto dall’ex modella Naomi Campbell per il rigore dimostrato durante questa emergenza coronavirus (“Dai Fazio non cominciamo a sfottere”), poi si ‘vendica’ dando del fratacchione al conduttore televisivo in merito al discusso tema dei congiunti.
L’INTERVENTO – Durante il suo intervento in diretta, Vincenzo De Luca ha chiarito: “Siamo impegnati nella Regione con la maggiore densità abitativa d’Italia, in Costiera addirittura d’Europa. E’ l’unica regione nella quale non si può sbagliare. Sbagliare in questa regione significa provocare una ecatombe”. Sull’obbligatorietà delle mascherine, ha spiegato: “Abbiamo distribuito 4 milioni di mascherine gratuite. E’ doveroso dunque pretendere che siano indossate. Entro giovedì distribuiremo 2 mascherine gratuitamente per ogni bambino per la fascia dai 4 ai 16 anni della regione.”
Da lunedì 4 maggio sono attesi migliaia di rientri in Campania: “Noi faremo un lavoro di prevenzione. Non ci possiamo permettere di avere l’arrivo nella nostra regione di persone che hanno un contagio. Faremo un lavoro di prevenzione alle stazioni, ai caselli autostradali, alle società di noleggio. Faremo 10mila test rapidi. Dovremo fare un lavoro molto attento. Domani arrivano due treni carichi da Torino. Non vogliamo fare nessuna distinzione nord-sud, questa è solo prevenzione”. Chiosa finale, con l’ennesima battuta, sulle polemiche nord–sud: “In questi giorni ho sentito cose intollerabili nei confronti dei meridionali. E’ incredibile che ancora oggi dobbiamo sentir dire a delle persone "che i meridionali sono inferiori", che poi dipende da cosa si misura…”.
Meridionali inferiori, De Luca ridimensiona Feltri: “Dipende da quello che si misura”. Redazione de Il Riformista il 4 Maggio 2020. Da Naomi Campbell a "Fazio fratacchione" passando per le parole di Vittorio Feltri sulla presunta inferiorità dei meridionali. E’ un Vincenzo De Luca in grande spolvero durante la trasmissione “Che Tempo Che Fa” condotta da Fabio Fazio su Rai 2. Chiosa finale sulle polemiche nord-sud: “In questi giorni ho sentito cose intollerabili nei confronti dei meridionali. E’ incredibile che ancora oggi dobbiamo sentir dire a delle persone "che i meridionali sono inferiori", che poi dipende da cosa si misura…”.
Sosta a pagamento in quarantena, piovono multe ad Acerra: la protesta è virale. Le Iene News il 17 aprile 2020. Un cittadino di Acerra in provincia di Napoli mostra una lunga fila di auto multate per non aver pagato la sosta, nonostante il momento di quarantena che obbliga le persone a rimanere in casa. L’uomo chiede ai vigili come si deve comportare e la risposta diventa virale. Piovono multe ad Acerra e la protesta diventa virale. Questa volta però le sanzioni fatte dai vigili della provincia di Napoli non c’entrano con i divieti per contenere il coronavirus, ma con la sosta a pagamento. La questione è stata denunciata nel video virale registrato da un residente, che potete vedere qui sopra. “Guardate, i verbali sulle auto ai tempi del COVID-19”, dice il cittadino di Acerra mostrando le auto con una multa sul tergicristallo. Il motivo? Sembrerebbe proprio il mancato pagamento della sosta. “Come ci dobbiamo comportare che non possiamo uscire da casa a mettere i grattini”, chiede il cittadino a un agente della polizia municipale. “Dovete parcheggiare nei vostri posti”, risponde il vigile mentre stava compilando l’ennesimo verbale. Ma il cittadino fa notare che non tutti hanno un parcheggio privato o un garage dove lasciare l’auto. “E allora deve fare il grattino…”, risponde l’agente. “Quindi devo farlo per tutta la giornata perché rimango a casa. Non ho nessuna agevolazione in quanto residente?!”, gli fa notare il cittadino che intanto registra tutto. “Non lo deve chiedere a me”, replica l’agente che a questo punto sembra irritarsi dalle domande sempre più pressanti. “Vi rendete conto di quello che state facendo? Fate verbali a chi non può uscire di casa. Assurdo!”, fa notare il residente. E intanto si vedono una, due, cinque, sei auto multate. Forse nelle autodichiarazione di Acerra c’è una voce in più per uscire di casa: il pagamento della sosta. In molte città italiane come Milano, Torino, Palermo è stata sospesa sia la sosta a pagamento che la zone a traffico limitato. A Napoli invece le strisce blu sono gratis solo per le categorie che lavorano in prima linea all’emergenza sanitaria. Medici, infermieri, farmacisti possono parcheggiare gratuitamente previa comunicazione della targa.
Alessandro Ferro per ilgiornale.it il 18 aprile 2020. Stavano portando in auto la loro figlia di 8 anni da Grosseto a Pisa per una visita di controllo della piccola dopo un trapianto di midollo osseo, quando una pattuglia della polizia stradale li ha fermati e multati di 533 euro per aver contravvenuto alle misure di contenimento per l'emergenza sanitaria del Coronavirus.
"Ricorreremo in giudizio". La famiglia toscana, che si stava recando all'ospedale Santa Chiara di Pisa, ha interpellato il proprio legale per far ricorso. L'estate scorsa, la bambina aveva subìto un trapianto di midollo osseo dovuto ad una leucenia mieloide acuta. "Ricorreremo in giudizio - ha dichiarato l'avvocato Simone Falconi, legale della famiglia che ha portato alla luce la vicenda - non c'erano i requisiti per elevare questo verbale e perciò presenterò ricorso nelle sedi giudiziarie competenti. Parlerò anche coi questori di Grosseto e Livorno e col prefetto di Grosseto per metterli al corrente della situazione".
"Lontani da casa e troppi in auto..." Non ci sarebbe neanche bisogno di specificarlo, ma una visita medica di controllo dopo un trapianto di midollo osseo non ha bisogno di giustificazioni perché, ovviamente, rientra tra i "comprovati motivi" per uscire da casa. Per gli agenti, però, il motivo del viaggio, evidentemente, non è stato sufficiente a giustificare lo spostamento. Secondo quanto riferito e come si legge su Repubblica, l'auto era guidata dal padre ed è stata fermata nei pressi di Romito, sull'Aurelia a pochi chilometri da Livorno: a bordo c'erano la mamma, la piccola e il fratellino. Al controllo, una pattuglia ha contestato il viaggio e li ha multati: lontani da casa e troppi in auto. "La madre non se la sentiva di guidare perché è neopatentata - racconta il padre in un filmato su Facebook che ha avuto già migliaia di visualizzazioni - e la bimba vuole la mamma quando entra nel reparto di ospedale. Ecco perché eravamo tutti insieme. Ho spiegato questo alle forze di polizia che mi hanno fermato ma non c'è stato nulla da fare, hanno multato lo stesso". Il padre ha voluto precisare che "siamo tutti negativi al Coronavirus, viviamo insieme e tutti siamo stati sottoposti a tampone proprio per la patologia di mia figlia".
Oltre alla beffa, il danno. Non deve essere stato facile ricevere una sanzione di quella somma specialmente per un padre che, a causa del Covid, si trova senza lavoro e deve mantenere una famiglia con due figli. "Sono in cassa integrazione - racconta ancora il padre - e questo mese ho riscosso 590 euro, quasi quanto la multa. Quello che ci è accaduto ha dell'incredibile. Siamo stati trattati peggio dei ladri". La vicenda della bambina è già nota in Maremma dall'estate 2019, quando si era attivata una catena di solidarietà per sostenere la famiglia nelle cure. La piccola, curata al reparto di ematologia oncologica di Pisa dove ha avuto un trapianto di midollo osseo, sta svolgendo la convalescenza per guarire definitivamente e le visite di controllo fanno parte del percorso che deve seguire.
Sanzione annullata in deroga. Ogni tanto, però, la giustizia trionfa: questa mattina, con un lungo post su Facebook in cui ha ringraziato tutta la gente che è stata vicina alla famiglia, il padre ha comunicato di aver ricevuto "le scuse sentite di tutto il corpo di polizia di stato" e che "LA SANZIONE È STATA ANNULLATA IN DEROGA", ha scritto in stampatello (immaginando la felicità) ed ha ringraziato le forze dell'ordine che "come tutti, possono sbagliare", riponendo "piena fiducia nella Polizia di Stato".
Le scuse della polizia stradale. Ecco che, quindi, alla fine arrivarono le scuse: il padre della bambina, comunicandolo su Facebook, ha riferito che di essere stato contattato da Cinzia Ricciardi, capo del dipartimento toscano della polizia stradale, che ha portato alla famiglia le scuse sentite da parte di tutta la polizia e dal capo del commissariato di Piombino Walter Delfino. Gli agenti avevano aumentato la sanzione fino a 533 euro ravvisando l'eccessivo numero di persone a bordo dell'auto (padre, madre e i due figli) contestando il fatto che un solo genitore, e non entrambi, avrebbe dovuto accompagnare la piccola alla visita all'ospedale Cisanello di Pisa. Nel post, l'uomo spiega anche che i rappresentanti della polizia che lo hanno contattato per scusarsi hanno anche annunciato interventi per ritirare la sanzione. "C'è stato solo un errore di valutazione degli agenti che ci hanno fermato: sono uomini e donne, come tutti possono sbagliare, con questo ripongo piena fiducia nella Polizia si Stato - si legge nel post -Grazie a Dio, stiamo aspettando conferma scritta dell'annullamento". Tecnicamente, non si dovrebbe trattare di annullamento ma di revoca della multa a fronte di una istanza che il padre della bambina dovrà comunque presentare.
Fulvio Fiano e Alessandro Fulloni per corriere.it il 18 aprile 2020. Finita l'emergenza ne vedremo delle belle. Parliamo di contravvenzioni per l'inosservanza dei divieti stabiliti dal decreto Covid. Tante multe giuste, certo. Ma nel mezzo stanno fioccando una serie di vicende che come minimo potrebbero riservare un bello strascico giudiziario. Multe capziose, a volte autorità inflessibili. O cittadini informatissimi e pronti a tutto. Proprio a quest'ultima categoria appartiene il protagonista della storia che arriva da Roma. Quarantacinque minuti a un posto di blocco per convincere i vigili della fondatezza dei motivi del suo spostamento, dieci minuti al telefono con un dirigente della municipale in ufficio per dibattere sull’applicazione di uno dei tanti decreti e ordinanze che catalogano le necessità e le urgenze per poter circolare, per poi sentirsi dire, quasi fosse un favore o una concessione, che «per questa volta» può andare a casa senza contravvenzione. Ma Gianluca M., 48 anni, quella multa ha invece insistito per farsela fare, certo di avere ragione. Ora farà ricorso contro i 503 euro che gli sono stati inflitti dal verbale e, prove alla mano, denuncerà la polizia locale di Roma per danni morali e abuso di potere. Succede alla vigilia di Pasqua quando l’uomo, afflitto da due certificate patologie che lo obbligano a un regime alimentare ferreo nelle sue implicazioni mediche, parte da Torre Gaia, periferia Est della Capitale, e si reca al banco che vende i prodotti di una azienda agricola biodinamica al mercato Esquilino di piazza Vittorio, dove si rifornisce di solito avendo la certezza che non si tratta di prodotti biologici di quelli comunemente in commercio (a lui vietati) e dove, altra tutela per lui importante, trova la spesa già pronta evitando contatti con altre persone in fila. Sulla autocertificazione debitamente compilata indica gli indirizzi e il motivo del suo percorso. Al ritorno viene fermato all’altezza di piazza Cantù e comincia una lunga disputa con gli agenti della municipale (due vigilesse): «Ho letto tutte le singole parti che riguardano la mia situazione specifica negli oltre 50 documenti emessi a livello locale e nazionale. Ho spiegato agli agenti perché potevo uscire dal mio quartiere e perché quel particolare negozio di alimentari non è per me un vezzo ma una necessità. Ma chi mi ha fermato non era interessato, solo infastidito da questo impegno supplementare per capire se andavo multato o no. Avevo con me le certificazioni mediche ma non le hanno volute guardare. Mi hanno fatto parlare con un dirigente ma anche da parte sua c’è stato un atteggiamento da chi concede una grazia anziché applicare le leggi e poi la reazione stizzita quando ho chiesto di multarmi. Capisco la confusione normativa e lo stress, ma questo è un abuso che oggi voglio denunciare. Ho passato ore e giorni difficili dopo questo episodio e ho il terrore di dover tornare a fare la spesa di cui ho bisogno». A Torino invece due giorni fa un rider che presta servizio per Glovo ha ricevuto una multa di 4 mila euro dai vigili urbani. Marwen, che vive a Carignano, periferia Sud del capoluogo, ha raccontando la sua disavventura sull’edizione di Torino de La Stampa. Ha spiegato che l’app che ha in uso cancella per privacy i dati della consegna appena fatta, quindi non ha potuto dimostrare che era in giro per lavoro. «Nonostante avessi il borsone della società, hanno contestato il fatto che fossi fuori dal Comune di residenza, su un mezzo privato e senza un apparente motivo» ha detto. «Se mi toccherà pagare probabilmente non riuscirò a recuperare la somma neanche con un anno di lavoro».
L’infettivologa e il farmacista. Qualche giorno fa Anna D’Angelillo, medico in formazione specialistica presso il reparto di malattie infettive del Policlinico Gemelli, quotidianamente impegnata nell’assistenza ai pazienti affetti da Covid-19, era stata sanzionata per 533 euro dalla Polizia. Ironia della sorte, poco prima, avendo l’auto in panne, era stata aiutata a ripartire da una pattuglia della Guardia di Finanza. Una vicenda raccontata sulla pagina Facebook di Flavia Perina, ex direttrice del Secolo d’Italia ex parlamentare di Futuro e Libertà, che sta raccogliendo le multe più bizzarre. Tra questi il racconto di una donna fatta alla Voce di Genova: «L’8 di aprile abbiamo avuto la necessità di acquistare detergenti, guanti, mascherine e amuchina, presso l’Ipersoap di via Merano (Genova) perché il supermercato più vicino da giorni ne era sprovvisto. Prima di uscire mio marito ha telefonato al comando della Polizia municipale: ha detto il luogo dove abitiamo, dove volevamo andare, se potevamo andarci con lo scooter. La persona che ha risposto, ci ha comunicato che era uno spostamento consentito. Siamo arrivati in via Merano e siamo stati fermati da una pattuglia della Polizia locale. Secondo l’agente che ci ha elevato la sanzione, eravamo fuorilegge. Nel verbale, è scritto che non abbiamo rispettato l’ordinanza riguardante la limitazione di zona e circoscrizione. Risultato: 533,33 euro di sanzione per me, altri 533,33 euro di sanzione per mio marito Maurizio. Oltre mille euro. Mille e più euro per essere andati a far la spesa sotto casa». Stradario alla mano, osserva il redattore, tra l’abitazione della coppia e l’Ipersoap ci sono 800 metri, ma poiché cambia il Municipio lo spostamento è stato considerato illegale. O ancora il caso del farmacista di Cernusco sul Naviglio ricostruito sulla cronaca di Milano del Corriere della Sera. Nicola Baboni, dopo un controllo, è stato multato perché non aveva i guanti per i clienti. Lui ha chiarito: «Non si trovano, non è colpa mia». Ha anche aggiunto:«Il primo ordine online che sono riuscito a fare me lo consegneranno venerdì. I vigili l’hanno pure riscritto nel verbale. Io non pago, farò ogni ricorso possibile».
Camillo Langone per “il Giornale” il 15 aprile 2020. Scusate, sto male, non respiro, ma non per colpa del maledetto virus, bensì dell' asfissiante conformismo statalista intorno al virus: ubbidite al governo e senza discussioni, soltanto così salverete vita e portafoglio (dico portafoglio perché l' unico rischio di chi corre o pedala da solo sono le multe). Vorrei che anche in Italia esistesse una figura come Lord Jonathan Sumption, il vecchio giudice della Suprema Corte che ai microfoni della BBC ha posto queste domande: «La situazione è grave, ma è abbastanza grave da giustificare l' imprigionamento collettivo, la demolizione della nostra economia? Abbastanza grave da oberare le future generazioni di debiti, da infliggere depressione, infarti, suicidi a milioni di persone non particolarmente vulnerabili al virus?». Possibile che nella patria di Dante, Alfieri, Foscolo, Pellico, Guareschi non si trovino scrittori a cui la libertà sia più cara della sicurezza? Gli odierni letterati (ho esagerato: gli odierni narratori) sembra che sui social sappiano scrivere soltanto «io-resto-a-casa». Ma restateci voi a casa, amebe che non siete altro: non esistono più giovani ribelli, fieri vegliardi, artisti maledetti o, più semplicemente, intellettuali dissidenti? Tutti accodati dietro l'«andrà-tutto-bene», lo slogan puerile, per non dire scemo, divenuto perfino il titolo di un' antologia con Carrisi, Gramellini, Vitali? Per respirare meglio mi metto a cercare compagni di libertà. Subito mi rivolgo a Giovanni Gasparro, il campione della nuova arte sacra, che immagino soffra come me la proibizione della messa: «La Settimana Santa senza potere neanche sostare davanti al tabernacolo è stata una dura prova. La salvezza eterna è merce inutile per governanti in pieno delirio igienista con la silente complicità di vescovi mondanizzati». Bene, il primo dissidente l' ho trovato. Poi cerco Costanza Miriano, che ha scritto Obbedire è meglio (Sonzogno) però nel senso di obbedienza a Dio, non a Cesare né tantomeno a Conte: «Le Messe con i fedeli non sarebbero state da sospendere, mai, da nessuna parte, come non si è mai smesso di mangiare. Ho visto gli indisciplinatissimi romani, allergici a ogni tipo di regola, mettersi in fila davanti ai supermercati manco fossero inglesi. Figuriamoci se non lo avrebbero fatto i fedeli». A proposito di Messe, prima di Pasqua è apparso su Tempi un appello molto rispettoso (anche troppo rispettoso, per i miei gusti neo-punk) di Davide Rondoni, con l' obiettivo di avere pubbliche celebrazioni pasquali. Niente da fare, l' appello è stato rilanciato da Salvini mandando su tutte le furie i preti immigrazionisti, che forse non sono così numerosi, ma essendo molto rumorosi sembrano una legione. Si è capito che loro riaprirebbero non prima di Natale, pur di fare dispetto alla Lega. Anche a Rondoni faccio le domande di Lord Sumption: «La narrazione di questa vicenda è lacunosa e fuorviante, basti pensare l' assurdità scientifica dei bollettini quotidiani della Protezione civile e le omissioni cinesi, e rappresenta uno stadio in più di quanto già Foucault e altri hanno inteso come il prevalere della biopolitica rispetto alla politica tradizionale. Si tratta di una specie di guerra combattuta attraverso la gestione del bene Salute come criterio dominante. Occorrerà battersi nel prossimo futuro contro ogni tentativo di statalismo assoluto». Ecco, la dilagante pandemia statalista. Dunque interpello il liberista Novello Papafava e faccio bene perché il catalogo Liberilibri non delude mai: «In poche settimane, in nome della Salute, si sono vinte tutte le resistenze di individui e famiglie all' avanzata dello statalismo. Né destra né sinistra, solo un unico grande potere terapeutico che più fallisce nel guarire più acquisisce potere. Aveva ragione Chesterton a dire che una volta abolito Dio è il governo che diventa Dio». Aurelio Picca mi risponde da Velletri criticando l' abuso di Tricolore, la retorica dell' inno nazionale, i preti che si sono «ritirati come lumache», la gente che andrà al mare con le mascherine e sarà il peggiore degli orrori ossia «un orrore disciplinato». Roberto Dal Bosco dei meccanismi mentali dei nostri carcerieri dovrebbe saperne qualcosa, visto che in tempi non sospetti diede alle stampe Incubo a 5 Stelle: Grillo, Casaleggio e la cultura della morte (Fede&Cultura). Da Vicenza profetizza che «queste restrizioni non se ne andranno, importeremo i metodi e financo i software dalla Cina, il vero untore, che scopriamo avere una serqua immensa di maggiordomi in Italia, e saremo controllati sempre. Sul Corriere della sera, di cui ho appena disdetto l' abbonamento per ciò che è diventato, un imprenditore, intervistato in ginocchio, parla tranquillamente di braccialetti da distribuire alla popolazione. Come i carcerati». E si capisce che Francesco Giubilei, da Roma, invita a «non sottovalutare l' aspetto delle libertà personali tutelato dalla nostra Costituzione». Ora ricordo che proprio grazie a un suo libro scoprii l' esistenza di Albert Jay Nock, il libertario americano che negli Anni Trenta disse qualcosa di utilissimo oggi: «Se tu dai allo Stato il potere di fare qualcosa per te, tu gli concedi anche il potere di fare qualcosa contro di te». L' editore Gino Giometti mi risponde da Macerata lamentando «l' assoluta mancanza di nerbo mostrata dal popolo italiano» nei confronti di leggi liberticide: «Si è messa un' intera popolazione agli arresti domiciliari senza preoccuparsi se magari qualcuno non se lo potesse permettere, si è mentito spudoratamente sulla durata reale della detenzione (in realtà prevedibilissima visto che ci si ispirava al modello cinese) senza che nessuno fiatasse». Infine Riccardo Manzotti, professore di Filosofia teoretica alla Iulm (sarà un caso che l' unico filosofo in grado di darmi un po' di ossigeno intellettuale insegni in un' università privata?). Ho letto un suo formidabile intervento su leoni.blog: «Stare a casa è diventato subito un gesto scaramantico, che si fa per motivi tra la superstizione e l' appartenenza alla comunità. Nessuno si interroga sui meccanismi di trasmissione del virus. Sono demandati agli esperti, come in passato era demandato ai preti di interpretare le sacre scritture e agli intellettuali di sinistra di fare l' analisi del momento storico». Lo contatto per sapere come vive personalmente questo periodo di oppressione: «Dover sottostare a diktat completamente irrazionali in un clima moralistico dove si è trasformato un atto opportunistico, come lo stare in casa a non far nulla, in un' azione eroica, mi è intollerabile. Più che i miasmi dei virus mi danno fastidio i miasmi dell' ipocrisia». A chi lo dice.
Da ilmessaggero.it il 12 aprile 2020. «Vanno a fare la gita fuori porta per Pasqua»: un video diffuso sui social mostra una fila di auto incolonnate sul Grande Raccordo Anulare. Le immagini sono dell'11 aprile e la fila sarebbe in realtà dovuta ai controlli sulle uscite dalla Capitale.
Alessandro Previati per lastampa.it il 14 aprile 2020. Prende una multa di 300 euro per inosservanza dei divieti e perde le staffe. Protagonista un 40enne canavesano, che domenica ha «sfidato» i carabinieri della compagnia di Ivrea. Prima si è presentato dai militari di Cuorgnè, inveendo contro di loro e lanciando il verbale della multa appena incassata nel cortile della caserma (il tutto immortalato dalle telecamere di videosorveglianza). Poi, tornando a casa, ad un posto di blocco vicino a Castellamonte, ha suonato il clacson all'indirizzo dei carabinieri, già impegnati a controllare un'altra vettura, ha abbassato il finestrino e dopo averli insultati gli ha anche fatto il dito medio.
La seconda pattuglia. Peccato che non si sia accorto di un'altra pattuglia poco più avanti, nell'altro senso di marcia, impegnata in un secondo posto di blocco. Il soggetto è stato quindi fermato e, adesso, oltre a dover pagare la multa, dovrà rispondere di vilipendio e oltraggio a pubblico ufficiale. Una Pasqua da dimenticare: in un'ora ha incassato una salatissima sanzione e due denunce.
Fa jogging sulla spiaggia, si cala i pantaloni e mostra le natiche ai vigili. Laura Pellegrini il 13/04/2020 su Notizie.it. Un uomo viene sorpreso a fare jogging sulla spiaggia e di fronte ai vigili cala i pantaloni e mostra le natiche: è stato bloccato e denunciato. Non è bastata la sanzione per la violazione delle norme anti contagio: un ragazzo di 25 anni di Pescara si è beccato anche una denuncia. Infatti, nel pomeriggio di domenica 12 aprile è stato sorpreso a fare jogging sulla spiaggia, ma nonostante questo ha proseguito la corsa e ha calato i pantaloni mostrando le natiche ai vigili. Il sindaco di Pescara, inoltre, aveva disposto il divieto assoluto di accedere alla battigia. Per questo è scattata sia la sanzione amministrativa sia la denuncia. Non molto tempo prima un altro runner si era destreggiato negli allenamenti sulla spiaggia di Pescara e, beccato dalle forze dell’ordine, aveva tentato la fuga via mare. I vigili lo avevano inseguito e bloccato, sanzionandolo con una multa da 4 mila euro. Di nuovo, nel pomeriggio della domenica di Pasqua, un ragazzo fa jogging sulla spiaggia nonostante i divieti. I vigli lo bloccano e gli notificano la multa per violazione del Dpcm del premier. Non solo. Il ragazzo di 25 anni riprende la sua corsa e viene ulteriormente inseguito dai vigili. Infine è stato bloccato dagli agenti della squadra Volante, che hanno collaborato con la Polizia Municipale. Nel mentre, però, il giovane ha abbassato i pantaloni e ha mostrato le natiche agli agenti. Perciò, oltre alla sanzione amministrativa al giovane è toccata anche una denuncia. Accompagnato in Questura, è stato scoperto che il giovane era già noto alle forze dell’ordine.
Filippo Facci per ''Libero Quotidiano'' il 12 aprile 2020. Io da martedì uscirò liberamente e sfacciatamente per le strade del mio Paese, e lo farò in spregio a un governo indegno e cialtrone che si illude di poter giocare a tempo indeterminato con le mie libertà individuali e con il mio diritto di parola e di espressione. Voglio chiarire una cosa: io non ho il coronavirus, non chiedetemi come lo so, ma lo so. Io continuerò a mettere guanti e mascherine e rispetterò le distanze come tutti i cittadini devono fare, e come dovranno fare ancora per molto tempo. Ma non mi farò mettere «app» sul telefono che equivalgono al braccialetto dei carcerati o alla dittatura cinese, non mi farò spiare da un drone, anzi, se ne vedrò uno lo abbatterò con la fionda. Io non ho affollato e non affollerò autostrade e raccordi come gli idioti ufficialmente ligi alle regole che si sono spostati per Pasqua e Pasquetta ma col giustificativo il tasca, magari perché devono andare proprio in quella farmacia di Sabaudia o in quell' ipermercato di Courmayeur. Io continuerò a rispettare le forze dell' ordine per cui ho una deferenza quasi maniacale, patirò le conseguenze delle mie azioni quali che siano, ripeto, quali che siano: ma non canterò canzoni al balcone come un esibizionista deficiente e non appenderò bandiere in genere buone per quando la nazionale vince mezza partita, anzi, appenderò una gigantografia della nota dell' Agicom del 19 marzo in cui si intima di «contrastare la diffusione in rete sui social media di informazioni relative al coronavirus false o non corrette, o comunque diffuse da fonti non scientificamente accreditate». Che è la ciliegina finale sulla dittatura: quali sarebbero le «fonti scientificamente accreditate»? Ma se non ci capiscono un cazzo neanche al governo: è tutto in mano a cosiddetti esperti del tutto privi di una guida politica, magari ecco, una fonte accreditata dovrebbe essere il belga Gunter Pauli, l' amico di Grillo che è diventato consulente del Giuseppe Conte e che ha dichiarato che grazie al coronavirus la terra torna finalmente a respirare. Abbiamo giornali che fanno disinformazione ogni giorno - è un fatto - ma che devono avere il diritto di farla, se credono; abbiamo un governo che procede a decreti legge che poi partoriscono infiniti altri decreti amministrativi poi corretti e ricorretti (col Parlamento che ogni volta sta a guardare, in attesa di votare ciò che poi potrebbe anche non votare, invalidando tutto) e abbiamo pure i medici che non possono parlare alla stampa senza l' autorizzazione delle autorità sanitarie: in sostanza può parlare solo il governo, magari insultando l' opposizione e prendendo pure dei granchi colossali come l' altro giorno. E non facciamo polemiche, mi raccomando, sennò siamo degli irresponsabili: l' unica voce che dovremmo ascoltare, insomma, è quella di un avvocato digiuno di politica, mai eletto, e di un ex concorrente del Grande Fratello. Beh, col cazzo. Io martedì esco, venitemi a prendere. Le leggi e le regole (soprattutto la Costituzione) le conosco meglio di voi, e lo so bene che un periodo di emergenza può giustificare la limitazione della libertà personale proporzionata al pericolo in corso: ma qui non lo è, non lo è più, perché qui il pericolo non sono io. Cioè: non sono io se prendo la macchina a vado a farmi un giro in montagna dove rischio di incontrare al massimo una capra; il pericolo siete e vi siete rivelati voi, inetti e incompetenti, partiti col «siamo prontissimi» e «abbraccia un cinese» e aperitivi contro la paura per poi ritardare su tutto, fare ridicole gare Consip che hanno fatto perdere tempo decisivo, emesso decreti al rallentatore che hanno fatto partire per il Sud mezza Italia, dato il tempo agli stati confinanti di non venderci più neanche una mascherina, fatto zone rosa, poi rosso annacquato, mandato i militari in val Seriana salvo dirottarli altrove - facendo nascere il focolaio peggiore del mondo, se non lo sapete - e dando la colpa alla Lombardia come se avrebbe potuto fare una grande zona rossa da sola, senza un esercito. I colpevoli siete voi, un governo che ha rinchiuso i bambini ma liberato i cani, fatto inseguire i runner dalla polizia, e tutto questo senza un piano chiaro, un' idea seria di via d' uscita, selezionando le aziende «fondamentali» con criteri tutti vostri, facendoci deridere dal mondo intero nonché prendere come esempio negativo. Bene: il tempo è scaduto. Se il mio Stato si chiamasse Lombardia, continuerei a obbedire come ho sempre fatto, perché è gente seria o farei il mio dovere civico anche se fossi in disaccordo, perché loro - loro sì - hanno fronteggiato uno tsunami da soli. Ma da questo governo non accetto (più) la privazione dei miei diritti fondamentali a tempo indeterminato - non meno importanti del diritto alla salute, sappiatelo - come in altri stati non accade: perché alzi la mano chi ha capito se e come finirà il lockdown, che peraltro - di questo neppure ho parlato - sta economicamente ammazzando il Paese e chi non ha da mangiare, non ha risparmi, e ora non ha più neppure le libertà fondamentali. Io sono stato d' accordo e ho rispettato tutte le misure di contenimento, prendendomela pure con chi sgarrava. Non ho bar dove andare, non faccio vita sociale, praticamente vivevo già in quarantena. Ma sarò io a deciderlo, e lo farò: ma da martedì esco. E se mi ammalerò, se schiatterò, sarò libero di andarlo a fare in una spiaggia vuota, guardando il mare, non Netflix.
Coronavirus, Filippo Facci viola la quarantena: "La mia giornata di libertà". Il giornalista contro le regole anticoronavirus e il premier Conte: "Sono in montagna. Non mi faccio togliere i diritti civili da questo governo". Giorgia Baroncini, Martedì 14/04/2020 su Il Giornale. "Io da martedì uscirò liberamente e sfacciatamente per le strade del mio Paese, e lo farò in spregio a un governo indegno e cialtrone che si illude di poter giocare a tempo indeterminato con le mie libertà individuali e con il mio diritto di parola e di espressione". Inizia così l'editoriale di Filippo Facci pubblicato sul quotidiano Libero nella domenica di Pasqua. In aperta ribellione contro le regole anticoronavirus, che impediscono di uscire se non per motivi di lavoro o di salute e limitano le passeggiate all'aria aperta, Facci ha spiegato di sentirsi preso in giro dalle decisioni del governo Conte. E così il tanto atteso martedì è arrivato e il giornalista è stato raggiunto dall'AdnKronos. "Sto fuori casa - ha raccontato -: da buon 'alpino' sto in montagna, sul Resegone. Sono appena arrivato su, non in cima naturalmente ma più in basso, dopo un paio d'ore di camminata; e ora mi preparo a ridiscendere, senza aver incontrato nessuno, neanche la famosa 'capretta' del mio articolo di domenica; e dunque senza aver contagiato nessuno né essere stato contagiato da alcuno, rispettando responsabilmente la vita mia e quella degli altri, che nessuna passeggiata in montagna, al parco o al mare potrà mai mettere a repentaglio". Facci si è scagliato ancora contro il governo che, a suo dire, gioca con la libertà dei cittadini. "La mia libertà individuale - ha continuato -, beh quella sì che è messa a repentaglio dalle continue marce in avanti e indietro di questo governo". Il giornalista ha quindi raccontato la sua fuga dalla città. "Ho preso la tangenziale, direzione Lecco, fino ai piani d'Erna, sotto il Resegone, attorno agli 800 metri d'altitudine e a piedi sarò arrivato in un paio d'ore fin verso i 1.300-1.400 metri. Il tutto, senza Gps e senza la minima intenzione di chiamare il Soccorso Alpino in caso di difficoltà: me la caverò da solo, come sempre. Ma se non mi faccio mettere l'app di localizzazione dal Cai, figuriamoci se me la faccio mettere dal premier Conte". Lo aveva già annunciato nel suo editoriale: "Non mi farò mettere app sul telefono che equivalgono al braccialetto dei carcerati o alla dittatura cinese". Poi ha aggiunto: "Non mi faccio togliere i diritti civili da questo Governo, obbedisco solo alla Regione Lombardia, sto diventando secessionista". Prima di partire per la montagna, Facci ha spiegato di essere "andato a prendere con la macchina la mia colf per portarla al mio appartamento e poi alla fine riportarla a casa sua, per evitarle di prendere i mezzi pubblici che lei giustamente ritiene pericolosi; a trovare il mio figlio più piccolo; a fare la spesa al supermercato con annessa inevitabile fila; a scambiare due chiacchiere con il mio portiere, che non vedevo da diverso tempo perché ha appena terminato il periodo di quarantena dopo essere stato contagiato dal coronavirus". Il tutto senza "nessun controllo. Anzi, dirò di più: in giro c'erano molte più persone del solito, c'era quasi traffico rispetto alle strade deserte dei giorni passati. Sembrava quasi che avessero letto tutti il mio articolo di domenica e avessero deciso di attuare la mia stessa forma di protesta, ma questa è solo una battuta, ovviamente".
Filippo Facci per “Libero quotidiano” il 15 aprile 2020. Ieri è stato il mio primo giorno di annunciata «evasione» e riappropriazione delle mie libertà civili, ma assomigliava sin troppo a qualsiasi altro giorno di gennaio, all' inizio: i parcheggi attorno a casa erano vuoti come non vedevo da tempo, il traffico era scorrevole ma comunque era traffico - non solo furgoncini bianchi e autobus - e mai sono stato fermato e controllato, così come mai è accaduto dall' inizio della segregazione. Sembrava, insomma, un giorno di vecchio conio, come se i casi fossero stati due: o tutti avevano improbabilmente letto il mio articolo (quello in cui annunciavo che sarei uscito liberamente in spregio a un governo delegittimato e cialtrone) oppure non so, da ieri, forse, è come se fosse scattato qualcosa di diverso nella gente. Comunque ce n' era in giro molta di più. Almeno qui, in questa zona. Era mattina molto presto, avevo guanti e mascherina (non ho il coronavirus, ne sono certo) e in auto sono passato a prendere la mia colf come ho fatto quasi tutti i giorni, perché dei mezzi pubblici non c' è da fidarsi. Guanti a mascherina anche lei, poltrona posteriore. Due volte a settimana sono sempre e regolarmente andato a prendere e riportare anche i miei figli piccoli, che non vivono con me. Credo di aver sempre rispettato tutte le regole. Ho portato a casa la colf e poi sono andato con una mia amica in un vicino cash&carry a fare un po' di spesa: non c' è mai fila e quindi basta entrare distanziati di qualche metro, per poi ritrovarsi «in più di un esponente per famiglia». Poi fuori, e dopo lo scarico-spesa ecco la partenza per gli stracazzi miei, violando ogni regola e però, secondo me, nessuna. Tangenziale, svincolo per la Valassina, direzione Lecco, sino al piazzale della funivia (chiusa) per i Piani d' Erna, una sessantina di chilometri, un' ora comoda per arrivare. Qui partiva la camminata verso il mitico Resegone partendo da circa 800 metri. Lungo il tragitto, ancora invernale perché più si sale e più la primavera si attarda, ho incontrato le stesse persone che ho sempre incontrato lungo quel sentiero nei giorni feriali: nessuna. Oppure vabbeh, qualche sciroccato di quelli che corrono in salita, nel primo tratto: ma ieri neanche quelli. La mascherina l' avevo tolta, i guanti li avevo sostituiti con altri con un po' di grip. Fatica boia, perché non sono più allenato. Ecco i Piani d' Erna dopo un' ora e mezza o due, non so, non avevo l' orologio e non ho guardato sul telefono. Ecco, l' orologio, il telefono: spieghiamo bene. Mi diletto di alpinismo anche serio, o quasi, e per scelta personalissima non porto mai con me un gps per tracciare il percorso, o per poter indicare le coordinate in cui mi trovassi se avessi un incidente. Non ho neppure una delle app di geolocalizzazione per farsi ritrovare in caso di emergenza. Criticabile sinché volete: ma è una scelta di vita, un modo di misurarmi con me stesso e basta, come altre volte mi è pericolosamente capitato. Perché lo dico? Solo perché nessuno possa dire, per esempio, che in caso d' incidente io sottrarrei risorse alla sanità pubblica, tipo un elicottero, un' ambulanza. E questa, se volete, è una grezza metafora di quello che voglio dire: io rispetto le regole, soprattutto se il non farlo rischiasse di danneggiare altri; quindi continuerò a mettere guanti e mascherine e rispetterò le distanze come tutti i cittadini devono fare, e come dovranno fare per molto tempo. Ma non mi farò mettere una «app» sul telefono da questo governo di cialtroni incapaci, governo che è responsabile - lui sì - dell' inanità politica e dei ritardi che hanno portato a migliaia di morti nel nostro Paese. Figuratevi se allo stesso modo mi farò spiare da un drone: vivo in Occidente, imperniato sui diritti del singolo individuo: i governi imperniati sul diritti della collettività mi pare abbiano un altro nome. Quindi, ripeto, rispetterò le regole serie che non ne violano altre, non affollerò autostrade per Pasqua e Pasquetta con in tasca dei giustificativi idioti, patirò le conseguenze delle mie azioni, mentre voi fate il cazzo che volete: ma io non mi farò (più) limitare le libertà personali da un governo sempre in ritardo su tutto, inetto con le sue burocrazie, le sue gare Consip, i suoi clientelismi, incapace di fare un decreto anziché tremila, incapace di fermare treni di untori, incapace di fare delle zone rosse vere là dove servono, salvo incolpare altri di non averle fatte (come se le regioni disponessero dell' Esercito) e insomma, non mi farò ingabbiare in aeternum da chi giochicchia con la Costituzione e non ne è neppure degno, e permette, per dire, a milioni di cani di passeggiare coi loro padroni ma poi non lascia che un uomo possa restare in auto mezz' ora in più per poter camminare e scalare in solitudine una montagna. Il tempo è scaduto: il Paese, le Regioni, il genoma italico dell' arrangiarsi hanno già fatto da soli: il governo è zavorra, incolto e buffonesco, illiberale come la noticella Agcom del 19 marzo che intima di «contrastare la diffusione in rete di informazioni false o non corrette, diffuse da fonti non scientificamente accreditate». Ma accreditate da chi? Oppure quell' editto tipo sovietico che vieta ai medici di parlare con la stampa senza «l' autorizzazione delle autorità sanitarie»: ma che autorità? Quali? Se esiste un governo che in un periodo di vera emergenza possa limitare le mie libertà personali, beh, non è più questo, hanno scherzato col fuoco, ora basta. Stanno giocando a tempo indeterminato coi nostri diritti fondamentali - che non è solo il diritto alla salute - senza che aver dimostrato la tempra, la legittimità e soprattutto l' intelligenza per poterlo fare: e se è vero che siamo storicamente un gregge, vorrà dire che cominceremo a contarci tra pecore nere. Capisco, a qualcuno forse importerà anche solo svacanzare a Pasqua, altri penseranno che io stia dipingendo di neo-qualunquismo una trascurabile voglia di una passeggiata in montagna: forse è anche un po' così. Ma, per il resto, con soavità, non si sta comprendendo che il perdurare dello stato di emergenza e la normativa sul Coronavirus stanno mandando a farsi fottere la nostra Carta costituzionale. Si sta affermando un pensiero unico secondo il quale le cose possano stare in un certo modo e basta («polemizzare è follia») e sta risultando che il diritto alla salute sia il primo e assoluto diritto della persona, mentre ogni altro diritto, comprese la libertà personale ed economica, debbano cedere il passo. Ebbene, non c' è scritto niente del genere, nella Costituzione. Non ha mai osato sostenerlo nessun costituzionalista. Mai. Il primo diritto costituzionale è proprio quello della libertà personale (l' articolo 13, nella famosa Parte Prima) mentre il diritto alla salute lo ritrovi all' articolo 32. Forza, amici più preparati, trovatemi un solo testo dove si dica che l' articolo 13 possa cedere all' articolo 32, peraltro con proroghe e riproroghe. Ora si parla del 3 maggio. Sicuri? E chi decide, i medici? Gli esperti? La politica, in pratica, si sta solo attenendo alle indicazioni di specialisti che per loro stessa ammissione non ci capiscono un cazzo, e ogni giorno ne sparano una diversa. È questo il punto vero, non la passeggiata in montagna: ogni decisione dovrebbe spettare alla politica, ma qui non c' è più una politica, non ci sono più i politici, soprattutto non è un governo quella cosa che chiamiamo governo. Lo stato di emergenza non è lo stato di guerra. Se anche lo fosse, dovrebbe essere deliberato dal Parlamento e dichiarato dal Presidente della Repubblica, non da un decretino legge fatto da un governicchio. Sono tutte cose che i nostri giuristi, un giorno, non tarderanno a rilevare con solennità. Forse spaventati, ora, minimizzano o ne fanno discussione privata. È il loro modo. Il mio, molto più modestamente, è un altro: io esco. Continuerò a farlo. Per tre ragioni: perché mi piace la montagna, perché ho studiato e perché preferisco che a requisirmi la libertà piuttosto sia un carabiniere, non Giuseppe Conte. Vengano a prendermi. Sono qui.
Vittorio Feltri per “Libero quotidiano” il 14 aprile 2020. Non facciamoci illusioni. Le aziende italiane, grandi o piccole che siano, riprenderanno l'attività molto lentamente. Esiste un piano del governo, elaborato da una speciale commissione di presunti esperti e che oggi Libero è in grado di anticipare, il quale indica settore per settore il programma di apertura. Dal più minuscolo negozio alle più mastodontiche fabbriche, forniamo al lettore una sorta di calendario della ripresa. Che sarà fiacca e tribolata, poiché domina il terrore di un secondo assalto del virus. Dopo due mesi di paralisi industriale e commerciale, continueremo a soffrire: leggete la tabella inserita nel nostro servizio e vi renderete conto del torpore con cui arriveremo alla liberazione dai blocchi imposti dal dilagare del virus. Eravamo tutti convinti che a fine aprile gli italiani avrebbero riconquistato la possibilità di girare in lungo e in largo nelle città, finalmente senza l' incubo di essere infettati. Balle. Divieti e limitazioni seguiteranno a renderci la quotidianità complicata. Non ci sarà affatto dai primi di maggio una specie di "scarcerazione" collettiva, tutt' altro: la nostra vita rimarrà vincolata ed ostacolata da mille proibizioni, tutte quelle elencate nell' articolo firmato da Azzurra Barbuto, venuta in possesso del documento dell' esecutivo in cui sono precisati i perimetri angusti entro i quali dovremo esercitare la nostra autonomia. Alcuni esempi: 18 aprile, le aziende agricole e industriali avranno via libera; il 4 maggio, sì alla circolazione ma con obbligo di mascherine e distanza di sicurezza; 18 maggio, avanti con i bar e i ristoranti a condizione che si osservino le distanze tra clienti; 25 maggio, parrucchieri e barbieri senza costrizioni che non siano le solite relative alle misure di sicurezza. Quanto al calcio, avanti con le partite, tuttavia a porte chiuse. Tutto il resto sarà lecito dal marzo 2021. Mi pare ce ne sia abbastanza per spararsi alla nuca, meno doloroso del Covid. L' importante è sapere di che morte dobbiamo morire, visto che campare sarà arduo. Intanto consoliamoci col fatto che altri Paesi stanno peggio di noi, compresi quelli che si danno tante arie e registrano un numero di vittime superiore a quelle contate da noi. Spagnoli, tedeschi e inglesi, per citare alcuni popoli, hanno ben poco per cui stare allegri. Noi non siamo gli unici ad aver sottovalutato la violenza del morbo, e confidiamo di essere i primi a tirarci fuori dall' emergenza. Speriamo.
Basta paternali: così Milano sta affogando in un sacrificio che rischia di essere senza senso. I numeri parlano chiaro: il motore economico del Paese si è fermato, ma i risultati non arrivano. È inutile dare la colpa ai soliti "marchesi del Grillo": la politica dia risposte, invece che farci la morale. Lorenzo Zacchetti il 14 Aprile 2020 su TPI. Quarantena a Milano: un sacrificio che rischia di essere senza senso. C’è troppa gente in giro? Parliamone. Tra le persone fermate dalla forza pubblica nel giorno di Pasquetta, c’era anche il presidente del Consiglio regionale della Lombardia, Alessandro Fermi. “Ieri mattina mi sono recato a piedi a casa di mio fratello Riccardo, che abita in un’area boschiva di Albavilla a 500 metri dalla mia abitazione”, ha commentato l’esponente di Forza Italia. Fermi ha aggiunto “dovevo consegnargli un medicinale di cui aveva necessità e occorrenza e di cui io, a differenza sua, avevo disponibilità in casa. Durante il tragitto di rientro sono stato fermato nei pressi del mio domicilio da due agenti della Guardia di finanza a cui ho prontamente fornito la versione dei fatti”. Il Corriere della Sera attribuisce a Fermi anche un altro commento: “Non si può? Ci vuole un po’ di buon senso nelle norme”, mentre per Ansa “dopo il chiarimento Alessandro Fermi ha compilato l’autocertificazione” e “secondo quanto emerge, non sarebbe stato sanzionato”. La scorsa settimana l’eurodeputata della Lega Francesca Donato ha manifestato la sua contrarietà al Mes girando in auto sul lungomare di Mondello a Palermo e strombazzando con il clacson. Un atto annunciato in anticipo e documentato in diretta sui social, fino all’interruzione dovuta all’inevitabile arrivo della polizia. Una volta ripresa la trasmissione, Donato ha detto: “Ho spiegato il significato di quello che ho fatto e (i poliziotti) hanno chiaramente stabilito che, in quanto Eurodeputato, l’esercizio di una funzione politica è nell’interesse del Paese. E comunque, in assenza di comportamenti lesivi dell’ordine pubblico o di altri interessi importanti, non ero passibile di multa. Quindi non ho ricevuto nessuna multa, sono andata via senza avere nessun verbale”. Terzo caso, decisamente il più eclatante. Sara Cunial, deputata approdata al Gruppo Misto dopo essere stata espulsa dal Movimento 5 Stelle, è stata fermata dalla polizia municipale di Roma mentre si recava al mare. Un gesto che la parlamentare avrebbe tentato di far considerare “nell’esercizio delle proprie funzioni”, in quanto membro delle Commissioni numero XIII (Agricoltura) e VIII (Ambiente, territorio e lavori pubblici). La sua versione non ha però convinto gli agenti. L’Onorevole Cunial ha quindi affidato le sue ragioni a un post su Facebook, corredato da una bella foto di un castello di sabbia, nel quale annuncia che denuncerà le “autorità che si sono guardate bene dal multarmi, ma che non hanno perso tempo a divulgare i miei dati sensibili alla stampa. Un fatto gravissimo che non mancherò di denunciare a chi di dovere”. Cunial ha discusso dei fatti anche con Concetto Vecchio di “Repubblica”, il quale, conoscendo le sue storiche posizioni No Vax, le ha chiesto: “Se ci sarà un vaccino contro il Covid-19 lei si vaccinerà?”. “Perché dovrei?”, è stata la replica dell’onorevole, alla quale il collega ha ovviamente ribattuto: “Per evitare di ammalarsi…”. “Quanti vaccinati non si sono ammalati?” è stata la risposta dell’ex grillina. Fine dell’intervista. Aldilà della parentesi sui vaccini, che effettivamente meritava un inciso, i singoli casi rilevano lo stretto necessario. Le regole hanno senso se producono effetti, quindi la domanda da porsi non è se uno abbia o meno il diritto di uscire, ma se il sacrificio di non farlo sia veramente utile nella battaglia contro il Coronavirus. Con questa convinzione ho sostenuto l’opportunità di usare l’esercito per sorvegliare il lockdown e non ho esultato per le autorizzazioni concesse ai runner e alle passeggiate coi bambini: cose bellissime e certamente utili, ma altrettanto certamente rischiose. Non posso quindi essere accusato di pregiudizio ideologico, però la quotidiana litania sulla “troppa gente in giro” mi ha francamente stufato. Ha perfettamente ragione il Sindaco di Milano quando dice che non può essere questo il problema: se delle persone fermate solamente il 5 per cento viene multato, perché gli altri sono in regola, o le norme in vigore non sono adeguate o la causa del problema va cercata altrove. È inaccettabile che, dopo un mese e mezzo di penitenza, le autorità regionali lombarde invece vengano ancora qui a dare la colpa ai cittadini, scaricando la colpa di una situazione che è evidentemente fuori controllo. Siano Attilio Fontana e Giulio Gallera, piuttosto, a darci conto di quanto sta succedendo. Da dove vengono i nuovi casi che purtroppo si continuano a registrare? Sono forse atleti indisciplinati e genitori scriteriati? Sono invece lavoratori di quelle aziende che hanno già riaperto? Non tocco in questa sede i dolenti tasti dei casi non diagnosticati e delle vittime nelle case di riposo, per il solo motivo che ne stiamo già trattando altrove e credo che continueremo a lungo. Almeno fino a quando sarà necessario. Mi interessa anche poco prendermela con i troppi marchesi del Grillo che si sentono al di sopra delle regole. Personalmente, oltre a quella del giornalista, in tasca ho anche la tessera di amministratore locale, svolgendo attività politica: ebbene sì, appartengo a due categorie che possono anche uscire di casa. Però non lo faccio, anche se in effetti ho parenti che avrebbero bisogno di una mano e soprattutto una pazienza non infinita, che comincia a soffrire questa lunghissima emergenza sanitaria. Magari non al punto di assumere “comportamenti lesivi dell’ordine pubblico o di altri interessi importanti”, ma mi pesa. E se non me ne approfitto non è certo per virtù e nemmeno per timore delle multe: il fatto è che a me e al 95 per cento dei lombardi è molto chiaro che da questo sacrificio dipende la salute nostra, della nostra famiglia e della nostra comunità. A maggior ragione, quello che non può starci più bene è la verità chiaramente espressa degli ultimi dati di Milano e della regione, totalmente negativi. Quindi, per favore, risparmiateci le paternali e dateci le risposte che vogliamo. Nulla è più frustrante della mancanza di senso.
Basta paternalismo: Zaia ricorda a tutti che non siamo popolo ma cittadini. Davide Varì su Il Dubbio il 14 aprile 2020. In Veneto – la regione che ha gestito meglio l’emergenza sanitaria – si potrà tornare a fare un po’ di sport senza rischiare il linciaggio o le maximulte. Si potrà fare la famigerata corsetta, quella che ha scatenato i “delatori dei balconi di mezza Italia”, e sarà concesso accendere un barbecue – in famiglia e con tutte le attenzioni del caso. Poi si potrà anche tornare a passeggiare, far spesa nei mercati all’aperto e, perché no, fare due chiacchiere con gli amici di “un tempo”. Certo, si dovrà rispettare la distanza minima di sicurezza indossando mascherine e guanti, ma si potrà uscire senza rischiare la multa o il linciaggio pubblico. Insomma, la decisione del governatore del Veneto Luca Zaia – peraltro di gran lunga il migliore nel gestire la crisi Coronavirus – di allentare la morsa del lockdown alleggerendo la stretta repressiva e l’ossessione del controllo, è la prima vera buona notizia che arriva dopo giorni cupi. La sensazione, del tutto inedita, è quella di trovarsi finalmente di fronte a un politico che tratta i cittadini come “Cittadini” e non come figli da proteggere. Dopo mesi di paternalismo asfissiante da parte del governo – compreso quello dal sapore macchiettistico ma non per questo meno rischioso del governatore campano Vincenzo De Luca – c’è un politico che decide di ristabilire, per quel che è possibile e con tutte le precauzioni del caso, il patto democratico che regola i rapporti tra governanti e governati. Perché dietro ogni paternalismo, anche quello più soft e animato dalle buone intenzioni, c’è sempre una buona dose di autoritarismo che può avvelenare la struttura democratica di un paese. E non è infatti un caso che tutte le forme di “paternalismo politico” si muovano nel recinto del populismo: è il governante -padre che sa cosa è bene e cosa è male per il popolo. “L’implementazione del paternalismo è alla base di una nuova forma di dispotismo”, hanno scritto sul Sole24 due storici delle dottrine politiche come Flavio Felice e Maurizio Serio. “E’ il peggior dispotismo che si possa immaginare, che si presenta con il volto mite e rassicurante della democrazia, senza per questo conoscere alcun limite se non quello imposto dalle esigenze funzionali del potere: la propria sopravvivenza mediante l’occupazione di tutti i possibili spazi”, spiegano i due citando Kant. Insomma, in ogni paternalismo c’è una sempre una dose di autoritarismo che toglie potere e responsabilità ai cittadini. E ora, dopo settimane in cui abbiamo affidato le nostre libertà ai politici-buoni padri di famiglia, c’è un governatore che prova a riconsegnare ai cittadini quel potere e quelle libertà, che sveste i panni del padre del popolo e torna a considerarlo come una comunità di cittadini liberi e responsabili.
Da ilgazzettino.it il 15 aprile 2020. Medico infila la fidanzata nel bagagliaio dell'auto per eludere i controlli da Coronavirus e portarla alla festa di compleanno del figlio, poi condivide il video sui social. L'episodio è al vaglio dell'ordine dei Medici. «In casi come questo il primo passo è verificare se il professionista in questione sia iscritto all'Ordine dei Medici Verona e, in caso affermativo, convocarlo per un chiarimento, a seguito del quale il Presidente porta l'episodio all'attenzione del Consiglio per stabilire se ha o meno una rilevanza disciplinare». Lo ha detto il presidente dell'Ordine dei Medici di Verona, Carlo Rugiu, commentando un episodio diffuso sui social da un medico veronese, chirurgo estetico, che sul proprio profilo Instagram aveva pubblicato un video in cui mostrava la compagna uscire dal bagagliaio dell'auto. Questo per eludere i controlli delle forze dell'ordine, mentre la trasportava dalla sua abitazione alla casa del figlio, che festeggiava il compleanno. Il medico successivamente ha bloccato il suo profilo Instagram, che fino a ieri era pubblico. «Non c'è dubbio - ha aggiunto Rugiu - che in questo momento fatti del genere gettano ombra su una categoria professionale che si sta impegnando con abnegazione e senso del dovere, spendendosi oltre ogni limite, e talvolta in carenza di adeguate protezioni, per far fronte all'emergenza Covid-19». Anche la Clinica dove il professionista lavora ha preso le distanze dal comportamento del medico. In una nota la direzione ha precisato che questi non è un dipendente della Clinica, «ma un libero professionista e che, come altri, utilizza le sale operatorie della struttura al bisogno ed in forma privata».
Selvaggia Lucarelli per tpi.it il 15 aprile 2020. “Ma l’hai visto il dottor Baschirotto che nasconde la fidanzata nel bagagliaio per aggirare i controlli?”. A Verona e dintorni la voce circolava da ieri su tutte le chat di concittadini, pazienti e conoscenti. Il dottor Baschirotto, infatti, è chirurgo plastico piuttosto conosciuto a Verona e sulla sua pagina pubblica Instagram è seguito da 3.614 persone (sarebbe meglio dire “era”, visto che appena gli ho chiesto spiegazioni ha cancellato il profilo). Su quel profilo, ieri, giorno di Pasquetta, durante la quarantena da emergenza Coronavirus, il medico ha postato dei video nelle sue storie da lasciare basiti: lui che arriva in auto nella villa in campagna in cui lo aspettano il figlio, l’ex moglie e altre persone. Si filma mentre apre il bagagliaio. Bagagliaio da cui esce la sua fidanzata, nascosta per aggirare i controlli di questi giorni. “Guarda a cosa siamo costretti!”, ride il dottore. Ride anche lei ed esclama “Auguriiii, questa va su YouTube!”. È il compleanno del figlio del chirurgo. Segue video con la torta e il figlio che esclama “Non cambia un cazzo la quarantena, non cambia niente!”. A questo il medico aggiunge anche foto di gruppo: in una la sua ex moglie e la sua fidanzata posano abbracciate in giardino, vestite solo di un cuscino. Hashtag: #quarantinepillowchallenge. Contatto il medico Baschirotto su Instagram per chiedergli se gli sembra il caso di esibire un simile comportamento, vista anche la sua professione. Appena visualizzata la mia domanda mi blocca e poi cancella il suo profilo Instagram. Gli telefono il giorno dopo.
“Ho pubblicato una cosa che mi sembrava simpatica. Io sono separato e ho una nuova compagna. Ero a un chilometro e 300 metri da quella casa dove sono andato a fare gli auguri a mio figlio che non vedo da un mese. Visto che c’era anche la mia compagna che gli voleva fare gli auguri non volevamo rischiare di prendere una multa. Quindi lei ha detto: mi metto nel portabagagli, facciamo questa cavolata e buonanotte al secchio”.
Ma lei è un medico, dovrebbe a maggior ragione dare il buon esempio.
“Il rischio è stato appunto valutato da me, sono persone sempre state in quarantena, non ho esposto la popolazione a un rischio per festeggiare il compleanno di mio figlio”.
Quindi chiunque può fare le sue valutazioni, infilarsi in un portabagagli e andare a un compleanno?
“No, dico che non volevo fare il furbo, punto sulla ragionevolezza nell’applicare una determinata cosa. È successo tutto all’interno del nucleo familiare!”.
Guardi che i nuclei familiari non hanno concessioni in più.
“Io sono un medico e faccio le mie valutazioni”.
Perché ha esibito un atteggiamento simile su Instagram?
“Tutti quelli che mi seguono l’hanno trovato divertente. Ho solo 3.000 follower poi”.
Mica pochi. La conoscono tutti a Verona.
“Qualche delatore voleva danneggiarmi”.
Se un cittadino segnala un altro cittadino che non rispetta delle regole che preservano la salute della comunità non è un delatore.
“Eccome. Questa si chiama delazione!”.
Ha fatto tutto lei.
“Ci vuole elasticità per capire le cose. Comunque io a lei non devo spiegare niente, sono troppo gentile anche a rispondere”.
Volevo solo sentire la sua campana.
“Lei mi rompe i coglioni e vedo che rompe i coglioni anche ad altri ragazzi che si prendono gioco delle forze dell’ordine. La mia era un cosa simpatica e comica”.
Comica, ok. Scusi ma perché poi c’era tutta quella gente in quella villa?
“Vivono lì”.
Quindi, per chiudere, trova che tutto questo fosse divertente?
“Ho pensato che la cosa fosse divertente vista da fuori, forse avrò sbagliato a pubblicare, ma i commenti dei miei follower erano tutti divertiti. Lei che cazzo vuole?”.
Ma guardi che ha messo lei tutto sui social per mostrarsi. Mi spiace solo che sia un medico, perché ha qualche responsabilità in più.
“Lei è ridicola. Impegni il suo tempo a fare qualcos’altro nella vita. Magari trombi un pochino di più. Le manca quello. O è un problema di scarsa qualità o di scarsa quantità. Ma vada a fare in culo!”.
Insomma, nel bagagliaio del medico Baschirotto c’è finita anche l’educazione. La Clinica San Francesco di Verona ha voluto prendere le distanze in maniera netta dal comportamento del dottor Baschirotto: la nota.
Striscia la Notizia, l'elogio di Matteo Salvini al suo inviato: "Onore a Brumotti aggredito dai pusher di Padova". Libero Quotidiano il 7 aprile 2020. Matteo Salvini scende in campo contro lo spaccio di droga che continua ad essere perpetrato in alcune città italiane, nonostante l'emergenza coronavirus. Nello specifico l'ex ministro degli Interni, nella pagina Facebook Lega - Salvini Premier, elogia il lavoro di Vittorio Brumotti inviato "spericolato" di Striscia la notizia. “Il Coronavirus è per voi, noi siamo forti è puliti”...! Padova, la quarantena non ferma lo spaccio di droga. Onore a Brumotti, aggredito dai pusher, per averlo documentato e per aver dato voce a cittadini esasperati". Il post pubblicato sul noto social con le immagini del servizio di Brumotti alla "caccia" dei pusher padovani, trasmesso dal tg satirico di Canale 5.
Striscia La Notizia, paura per Vittorio Brumotti aggredito e insultato dai pusher della stazione centrale di Milano. Libero Quotidiano il 14 aprile 2020. Vittorio Brumotti aggredito ancora. È successo durante un servizio di Striscia la notizia, che andrà in onda questa sera, martedì 14 aprile. Il tutto è accaduto quando Brumotti, impegnato a documentare lo spaccio di droga nei pressi della stazione centrale di Milano, è stato aggredito da alcuni pusher. “Ha immortalato – si legge nel comunicato – decine di spacciatori che continuano a vendere droga e, in barba a tutte le limitazioni, girano senza mascherina, si riuniscono, si abbracciano e si baciano”. Questo ha innervosito gli spacciatori che hanno iniziato a insultare e aggredire Brumotti lanciandogli dei sassi mettendo a rischio la sua incolumità.
Striscia la notizia, calci e insulti a Vittorio Brumotti dai pusher di Torino. Vittorio Brumotti nuovamente aggredito dai pusher durante la registrazione di un servizio a Torino: gli spacciatori lo insultano e lo colpiscono al Parco Sempione. Francesca Galici, Lunedì 20/04/2020 su Il Giornale. Con l'Italia chiusa nel lockdown, lo spaccio non va in vacanza. Se da un lato le famiglie e la maggior parte degli italiani da quasi due mesi vivono chiusi nelle loro case in attesa di tempi migliori, i pusher continuano imperterriti nella loro attività, come documentato in un nuovo servizio da Vittorio Brumotti. L'inviato di Striscia la notizia, cha da ormai diverse settimane lavora in solitudine, ha documenato l'attività di spaccio a Torino, diventando vittima di una nuova aggressione violenta. Equipaggiato con diverse telecamere per avere angoli di ripresa alternativi per documentare al meglio il suo reportage, Vittorio Brumotti ha deciso di recarsi a Torino. Solo sette giorni fa, l'inviato del telegiornale satirico di Antonio Ricci aveva effettuato un servizio di denuncia sulle piazze dello spaccio di Milano, in particolare dalla Stazione Centrale cittadina, dove erano riunite numerose persone che, presumibilmente, si stavano dedicando all'attività di vendita della droga. Nella città sabauda, Vittorio Brumotti ha deciso di documentare la situazione del Parco Sempione, una delle principali aree verdi di Torino. Questa è una delle storiche piazze di spaccio del capoluogo piemontese e pare che nonostante il lockdown non sia cambiato nulla. Dal parco mancano i bambini, mancano le famiglie e gli sportivi. Mancano gli anziani, per i quali il parco è sempre stato il luogo preferito per le passeggiate e qualche momento di evasione dalle quattro mura domestiche. Non mancano i pusher, loro no, in un numero che non sembra essere diverso rispetto a quanto si vede solitamente nel Parco Sempione di Torino. Ma se ci sono gli spacciatori, ci sono anche i clienti, che si alternano in un lungo e ininterrotto via vai. "È tutto il giorno così? Spacciano continuamente?", si chiede Vittorio Brumotti nel servizio che andrà in onda durante la puntata di questa sera. "Sì, non è cambiato niente. Sono più attrezzati delle forze dell'ordine", ha detto sconsolato un abitante del quartiere, giustamente affacciato dal suo balcone. Intercettato e individuato dagli spacciatori, che non ne hanno gradito la presenza, Vittorio Brumotti è stato aggredito dai pusher. Gli insulti sono solo la minima parte dell'aggressione all'inviato di Striscia la notizia, che a un certo punto è stato raggiunto da uno degli spacciatori che lo ha colpito con un calcio, nonostante nel frattempo fosse arrivata anche una volante della polizia per verificare la situazione. Il lavoro di Vittorio Brumotti continua incessantemente in questo lockdown, per smascherare le pieghe incoerenti di uno stop che, evidentemente, non è per tutti.
Vittorio Brumotti aggredito a Milano e ricoverato in ospedale. Pusher inferociti colpiscono Vittorio Brumotti durante le riprese di un servizio: l'inviato trasportato in ambulanza in ospedale, dove è stato ricoverato. Francesca Galici, Sabato 23/05/2020 su Il Giornale. Ennesima aggressione per Vittorio Brumotti, che questa volta se l'è vista davvero brutta durante la realizzazione di un servizio in zona Porta Venezia, a Milano. A raccontare l'accaduto è il Corriere della Sera, che ha intercettato l'inviato di Striscia prima che venisse trasportato in ambulanza all'ospedale Niguarda. Come ormai consuetudine, Vittorio Brumotti stava documentando lo spaccio in città in sella alla sua bicicletta. Da diverse settimane l'inviato lavora in solitaria, senza la fedele troupe che lo accompagna di volta in volta. Una decisione necessaria per limitare gli spostamenti di persone in piena emergenza coronavirus. Il campione sulle due ruote viaggia armato di telecamere indossabili e di giubbotto antiprotiettile, un dispositivo di protezione che pochi mesi fa gli ha letteralmente salvato la vita durante un'aggressione. In quell'occasione, Vittorio Brumotti e il suo operatore erano stati raggiunti da una coltellata, per fortuna senza gravi conseguenze. L'inviato era stato colpito all'altezza del cuore ma fortunatamente c'era il giubbino a fargli da scudo. Più sfortunato il cameraman, colpito alla gamba e quindi ferito ma non in maniera grave. Stavolta Vittorio Brumotti si trovava in una delle zone più centrali di Milano, Porta Venezia, fulcro della movida milanese notturna universitaria. L'aggressione è avvenuta nei pressi dei giardini pubblici della zona, frequentati dalle famiglie. Sembra che Brumotti stesse registrando le immagini in un orario pomeridiano, in un momento in cui quella zona c'è un elevato movimento di giovanissimi e di bambini. Come consuetudine, l'inviato ha iniziato a riprendere e disturbare i pusher, quando è stato raggiunto da un colpo di bastone. Fortunatamente, sia per questioni di sicurezza che per motivi tecnici, Vittorio Brumotti indossa sempre il casco nel corso delle sue interviste. Il Corriere della Sera non specifica dove sia stato colpito l'inviato ma nelle immagini correlate nella gallery pubblicata si nota l'inviato disteso per terra in compagnia dei sanitari accorsi per i primi soccorsi. Vittorio Brumotti è stato medicato sul posto e poi trasportato in ambulanza all'ospedale Niguarda di Milano, dove è stato ricoverato in codice verde. Non sono state rese note le condizioni di salute dell'inviato. Non è chiaro se Vittorio Brumotti sia riuscito a riprendere lo spaccio o se sia stato aggredito prima, perché riconosciuto dai pusher, che ormai è conosciuto per i suoi servizi sul commercio di droga. Le immagini dell'aggressione verranno probabilmente trasmesse la prossima settimana nel corso di Striscia di Notizia, in attesa di conoscere le sue condizioni di salute attuale. In serata è intervenuto Matteo Salvini, che con un tweet ha espresso la sua solidarietà all'inviato di Striscia la notizia: "Ho mandato un messaggio all’amico @brumottistar , aggredito più volte a Milano da spacciatori di droga e di morte, difesi dai balordi dei centri sociali. Forza Vittorio!"
Multa per aver fatto sesso, provvedimento disciplinare al poliziotto che ha ripreso. Le Iene News il 14 aprile 2020. È stato individuato e verrà sottoposto a provvedimento disciplinare l’agente della Polizia che ha filmato il verbale di un 35enne sorpreso a fare sesso, nonostante i divieti anti coronavirus. In quel video virale si vedono dati sensibili che però non appartengono al multato e ora spiega il danno subìto. “Quel video è finito dappertutto, ma io non c’entro niente con la multa e il rapporto sessuale. È un danno enorme per me e per la mia famiglia”. Sono le parole del titolare di una concessionaria di Cuneo. In queste ore il suo nome è rimbalzato nei telefoni di centinaia di migliaia di persone in tutta Italia. Come rende noto il Corriere, lui risponde a quel nome e cognome (e pure indirizzo) che si legge chiaramente nel verbale staccato da un agente del commissariato della Questura di Torino. A Iene.it parla l'uomo multato e racconta l'incubo che sta vivendo. In tantissimi ci avete segnalato il video e soprattutto come si vedessero tutti i dati sensibili: “Un gesto irresponsabile, inopportuno, privo di senso”, lo ha definito Michele che ha scritto a Iene.it. “Spero che agli autori vengano applicate le previste e dovute sanzioni disciplinari”. Infatti, l’agente che ha ripreso per 30 secondi il verbale è stato individuato e sarà sottoposto a provvedimento disciplinare. Nel video che potete vedere qui sopra (a cui ovviamente abbiamo oscurato i dati sensibili), si sente il poliziotto che legge la dichiarazione del multato. "Sono andato a consumare un rapporto sessuale in corso Grosseto da una mia amica. Quanto gli è costato? 533 euro, neanche un’escort", ironizza il poliziotto mostrando il verbale. Ora si scopre un altro particolare. “Guardando il video senza troppa attenzione sembra che io sia la persona multata, ma su quella macchina non ci sono mai salito” , sostiene l’autonoleggiatore al Corriere. “Io sono in quarantena, non esco di casa da settimane, con questa storia non c’entro proprio niente”. In base a quanto racconta, l’auto finita al centro del controllo sarebbe stata a noleggio. “Si tratta di una vettura di mia proprietà che ho noleggiato a un mio cliente e i miei dati, come da prassi, vengono trascritti sul verbale come “obbligato in solido”. Che cosa abbia fatto quella persona non lo so e non lo voglio sapere”. In tanti ci avete fatto notare che il video è stato fatto da uno dei poliziotti in pattuglia. “È gravissimo. Io ero a casa con mia moglie e non ho particolari problemi a dimostrarlo. Ho ricevuto quel video 40 volte, pensavo a uno scherzo”, continua il noleggiatore d’auto. “Ma quando questa emergenza finirà e tornerò ad accompagnare a scuola mia figlia come mi guarderanno gli altri genitori?”.
“Io, multato per aver fatto sesso, ora ricevo minacce di morte. Denuncio i tre agenti” Le Iene News il 14 aprile 2020. A Iene.it parla il 46enne di Torino che la mattina di Pasqua è stato multato. Il video della multa con i suoi dati personali è diventato virale e ora riceve anche minacce di morte. “Sono turbato. Da due giorni non sto dormendo. Ho ricevuto anche messaggi di morte”. Parla a Iene.it il multato della provincia di Torino. È lui che ci ha contattati per raccontare la sua versione dei fatti dopo aver ricevuto quella multa che ha fatto il giro d’Italia. “Non ho fatto neanche in tempo ad arrivare a casa che già mi chiamavano per quel filmato”, sostiene il 46enne. Nel video che potete vedere qui sopra (a cui ovviamente abbiamo oscurato i dati sensibili), si sente il poliziotto che legge la dichiarazione del multato. "Sono andato a consumare un rapporto sessuale in corso Grosseto da una mia amica. Quanto gli è costato? 533 euro, neanche un’escort", ironizza il poliziotto mostrando il verbale. Nel filmato però si leggono chiaramente anche nomi, cognomi e indirizzi delle persone coinvolte: un noleggiatore d’auto ignaro di tutto e la persona multata. “Il tempo di tornare a casa da Torino ad Alba e c’erano già i miei amici che mi scrivevano per chiedermi della multa e del sesso. Non capivo come facevano a sapere di questa storia”, racconta. “Mi hanno detto che tutta Italia aveva quel video di cui io non sapevo l’esistenza”. Insieme a noi prova a ricostruire come sarebbe andato il controllo. È la mattina di Pasqua, lui è in viaggio su un’auto a noleggio. È da solo, la pattuglia lo ferma e inizia il controllo. “Gli agenti mi hanno chiesto per quale motivo fossi in giro e io ho detto subito la verità: ero andato a consumare un rapporto sessuale da una mia amica. Volevo pagare quella multa e fine”, racconta il 46enne. Invece è successo altro. “Mi hanno fatto stare seduto in auto, mi hanno vietato di usare il cellulare per una chiamata. Invece loro hanno fatto quel video a mia insaputa. Si sono presi gioco di me”, sostiene. Nel filmato mostrano il verbale e ironizzano nei suoi confronti perché ha dichiarato di essere andato a fare sesso. “Ma soprattutto si vede il mio nome e dove abito”. In pochi minuti l’hanno messo online finendo nel cellulare di migliaia di persone. “Stiamo scherzando? Non ci credevo nemmeno. Poi ho visto i dati anagrafici ed è stato l’inizio dell’incubo”, racconta. “C’è chi mi ha scritto per esprimermi solidarietà, chi mi offre assistenza legale. Ma c’è anche chi mi ha mandato minacce di morte”. Una versione che è confermata anche dal suo legale. “Vaglieremo la provenienza di questi messaggi”, spiega a Iene.it l’avvocato Paola Coppa. “Ma soprattutto stiamo valutando di agire per ipotesi di diffamazione, violazione della privacy e abuso d’ufficio nei confronti dei tre agenti. E valuteremo anche di agire contro il corpo di polizia”. In base al racconto del multato sembra che poche ore fa sia stato contattato dal commissariato: “Mi hanno detto che gli agenti avranno provvedimenti disciplinari”, sostiene il 46enne che ora vuole dire basta anche alle tante inesattezze che circolano sul suo conto. “C’è chi dice che ho l’amante, chi famiglia. Tutto falso. Non è vero niente, sono cose allucinanti e non vedo l’ora che finisca questo incubo”.
Da repubblica.it il 21 aprile 2020. Da un po' di tempo aveva preso l'abitudine di "affacciarsi alla finestra e masturbarsi in direzione dell'appartamento" di una vicina di casa, una giovane infermiera "impegnata, tra l'altro, in prima linea nell'emergenza coronavirus". E visto che non la smetteva, alla fine la ragazza si è rivolta ai carabinieri della stazione Bologna Indipendenza, che hanno denunciato l'uomo, un indiano, per atti osceni. La vicenda, fanno sapere i militari, è avvenuta in un condominio del centro. La vittima, quando tornava a casa "dopo un estenuante turno di lavoro, invece di rilassarsi era costretta ad assistere allo spettacolo serale del vicino, che dopo essersi masturbato la salutava sorridendo, mandandole anche dei bacini con le mani". Alla vista dei carabinieri che si sono presentati davanti al portone di casa, l'uomo "ha ammesso le sue responsabilità alla presenza della moglie", che evidentemente era al corrente di quanto faceva il marito. Infatti, concludono i militari, "dopo avergli dato del cretino, la donna l'ha rimproverato dicendogli "ti avevo detto di smetterla, ma tu non mi hai ascoltata".
Coronavirus: “A pranzo dalla suocera perché senza cucina: multati di mille euro”. Le Iene News il 20 aprile 2020. Un uomo e una donna stavano ristrutturando casa quando il coronavirus ha fermato i lavori. I due hanno così cercato di andare a pranzo dai suoceri dopo due settimane ininterrotte a mangiare solo panini: il risultato? “Ci hanno fatto mille euro di multa”. “Poco prima dell’inizio dell’epidemia di coronavirus io e mia moglie avevamo deciso di ristrutturare casa e così abbiamo fatto partire i lavori, iniziando dalla cucina”. Inizia così la sfortunata storia di Marco e Laura (nomi fantasia, la foto è una immagine generica Ansa di controlli), due cinquantenni della provincia di Trapani che ci hanno contattato per raccontarci la loro vicenda. La scena sembra essere quella classica che molti di noi hanno sperimentato in occasione di ristrutturazioni: piano cottura, mobili e pannelli smontati, ponteggio utilizzato per ritinteggiare le pareti, insomma una cucina del tutto inutilizzabile per preparare le pietanze e per mangiarle. “Poi scoppia l’epidemia e ovviamente non siamo più in grado di completare i lavori, perché chi dovrebbe venderci il materiale chiude bottega. Per oltre 15 giorni io e mia moglie andiamo avanti a nutrirci di panini, sia a pranzo che a cena”. Una domenica, però, sfiniti da quel tipo di alimentazione, i due decidono di concedersi un pranzo dai suoceri dell’uomo. “Ci ferma la polizia”, racconta l’uomo. “Voglio precisare che eravamo già arrivati, eravamo parcheggiati proprio davanti a casa dei genitori di mia moglie. Io ero seduto al posto di guida e lei dietro, come prescrive la legge, entrambi con la mascherina indossata. Spieghiamo all’agente il problema, ma non vuole sentire ragioni e ci fa una multa di oltre 1.000 euro, due sanzioni da 533 euro l’una!” Ma non sarebbe finita qui, almeno stando al suo racconto: “Dopo che diversi vicini si affacciano dalle finestre, chiedendo agli agenti di lasciar stare con la contravvenzione, ci chiedono di seguirli in Questura e lì ci tengono per quasi due ore, neanche fossimo pericolosi narcotrafficanti”. I due avrebbero cercato di spiegare la loro particolare situazione, ma invano: “Ho chiesto loro di vedere le foto della nostra cucina, addirittura supplicandoli di venire a casa per verificare quanto raccontavamo, ma non c’è stato verso. Ci hanno detto che non sono tenuti a farlo, e che avremmo potuto fare ricorso entro il 29 aprile. Ma ora che anche tribunali e giudici di pace sono fermi per l’emergenza coronavirus, come lo faccio questo ricorso? Il giorno dopo sono andato dai vigili urbani, e anche a loro ho chiesto di visionare le foto della cucina, e di fare una relazione sul caso: si sono rifiutati, spiegando che non era loro competenza. Oltre mille euro di multa, solo per essere andati a mangiare!”. La moglie dell'uomo aggiunge: ”Sappiamo che non è un motivo di estrema urgenza per uscire, ma mangiare per due settimane panini non è possibile. Ci siamo organizzati che io vado a piedi da mia madre e lui dai suoi. Qualche giorno fa ci hanno fermato i vigili, consigliandoci almeno di camminare separati...”.
Rider multato durante una consegna a domicilio: "Ho attraversato un parco chiuso”. Le Iene News il 19 aprile 2020. A Iene.it Andrea Bellotti racconta la sua disavventura. Lui è un rider che ha ricevuto una multa per aver attraversato un parco chiuso alla periferia di Milano. “Per noi lavorare non è mai stato così difficile come negli ultimi dieci giorni, ci sentiamo dimenticati”, racconta “Mi hanno multato perché stavo attraversando un parco, non per divertimento ma perché portavo beni di prima necessità. Noi rider ci sentiamo dimenticati anche in questa emergenza di coronavirus”. Lui è Andrea Bellotti, 24 anni, di Milano. Con la sua bicicletta percorre le strade di Milano e provincia, giorno e notte, per garantire le consegne a domicilio. Anche in queste settimane di quarantena, quando gran parte delle attività, i rider hanno continuato a portare il cibo direttamente a casa. Nonostante le paure e le difficoltà del momento, cerca di portare a casa lo stipendio: “600 euro quando va bene, ma ora è tutto più complesso”, dice a Iene.it. Qualche giorno fa però una sua consegna è stata interrotta da un controllo della polizia locale. È l’ora di cena. Andrea è in sella alla sua bicicletta. In spalla ha la sua borsa con dentro pizze e birra. Da Milano deve consegnare tutto a Bresso. Il suo itinerario taglia all’interno del parco Nord, un polmone verde di oltre 600 ettari. “Non c’era alcun cartello che me lo vietasse. Una pattuglia mi ferma e mi sanziona”, spiega il rider. Gli contestano l’ingresso al parco chiuso. Durante il controllo lui registra il video che potete vedere qui sopra, e la situazione gli sfugge di mano. Lo denunciano anche per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, oltre che per aver diffuso il video diventato virale. Oltre al danno della multa da 533 euro, c’è anche la beffa per Andrea. Nel comune di Bresso, dove è stato multato, vige un’ordinanza che “vieta l’utilizzo delle piste ciclabili e dell’uso delle biciclette fatto salvo per motivi di lavoro o approvvigionamento di generi alimentari”. A questa però si aggiunge un altro atto emesso dall’ente Parco Nord che gestisce l’area dove il rider è stato fermato. “È fatto divieto attraversare il parco per spostamenti di alcun genere”. “Ora deciderà il giudice se avevo ragione o meno. Attraversavo quel parco per motivi strettamente lavorativi e per consegnare beni di prima necessità”, dice Andrea. Nei giorni scorsi ha pagato la multa di 533 euro. “Grazie alle donazioni di un centinaio di rider, altrimenti non sarei riuscito. Con quei soldi ci devo vivere”. Da sempre noi di Iene.it seguiamo le difficoltà con cui deve combattere ogni giorno questa categoria. Una consegna fa guadagnare ad Andrea dai 3 ai 5 euro. “Questo lavoro non conosce festa o giorno di riposo. Più si consegna, più si guadagna”, spiega Andrea. “Da 10 giorni percepiamo una pressione mai vista prima. E gli incassi sono calati del 30%, ma non perché i clienti non ordinano più. Senza lavoro tante persone si sono iscritte alle app di consegna: aumentano i rider, diminuiscono le consegne per ciascuno”. Anche il Codacons si è interessato al caso di Andrea: "I cittadini milanesi sono, già in condizioni normali, quelli di gran lunga più vessati in tutta Italia. Persistere in un momento terribile come questo è quantomeno vergognoso, per di più utilizzando uno strumento con poteri dubbi", spiega Marco Donzelli, presidente dell'Associazione Codacons. "Le multe hanno ormai perso il loro scopo di insegnamento e di educazioni civica dei cittadini e sono diventati un mero pretesto per far cassa a loro spese. Pertanto diffidiamo il Comune di Bresso a interrompere immediatamente una simile attività". Proprio in queste ore è in corso il dilemma parchi aperti o parchi chiusi a partire dal 4 maggio. Le aree verdi delle nostre città, infatti, sembra torneranno fruibili anche per lo sport. Solo se individuale e mantenendo le distanze di sicurezza.
Da nextquotidiano.it il 14 aprile 2020. Dopo l’inseguimento della Guardia di Finanza nei confronti di alcune persone in spiaggia a Venezia documentato dall’inviata embedded di Pomeriggio 5 da Barbara D’Urso, anche Agorà su Raitre contribuisce a spiegarci che la situazione è disperata ma non seria con questo meraviglioso servizio che racconta la caccia all’uomo nei confronti di una pericolosa persona con calzoncini azzurri, magliettina verde e cappellino bianco che “sta correndo, sta scappando” nel parco. La parte più bella del servizio e il sarcastico commento musicale con “La cavalcata delle valchirie” del compositore tedesco Richard Wagner che, come ricordava Woody Allen, fa venire subito voglia di invadere la Polonia. O di rivedere Apocalypse Now. Ma il punto è che ormai la caccia all’untore scatenata dal governo da una parte e dalla Regione Lombardia dall’altra nei confronti dei cattivoni che vanno sempre in giro a Milano o dei runner che si arrischiano a fare una corsetta in altre città sembra la migliore strategia di distrazione di massa dalla situazione dell’emergenza Coronavirus che in Lombardia peggiora nell’inazione della Giunta e rimane ancora lontana da una soluzione di continuità nel resto d’Italia. Le amministrazioni a tutti i livelli additano così un nemico comune – anche a costo di far girare bufale come le code sulla Pontina in realtà create dai posti di blocco della stessa polizia – per distrarre dai maghi risultati ottenuti a livello territoriale come in Europa. Un giochino che per adesso fa gridare al panem et circenses, ma presto stuferà tutti. Forse la citazione più corretta sarebbe stata questa.
Il "Truman show" del Coronavirus, la gogna mediatica della tv a caccia di pedoni. Carmine Di Niro de Il Riformista il 14 Aprile 2020. Mentre l’Italia sta affrontando la sua crisi più importante dal dopoguerra, con migliaia di morti e contagiati per l’epidemia di Coronavirus, la televisione italiana riesce a dare il peggio di sé. Per capirlo basta ‘citofonare’ a programmi come “Pomeriggio 5”, lo show condotto da Barbara D’Urso su Canale5, o ad “Agorà” su Rai3. Entrambi tra lunedì pomeriggio e questa mattina hanno mandato in onda servizi simili di caccia alle streghe, ovvero i cittadini che non rispettano le misure restrittive imposte dal governo con il lockdown. Così da una parte c’è Mediaset che fa salire una sua inviata su un elicottero della Guardia di Finanza, che si è prestata a rendere un servizio da gogna mediatica sull’inseguimento di una persona colpevole di passeggiare da sola sulla spiaggia. Sulla terza rete pubblica invece questa mattina, con in sottofondo la "Cavalcata della valchirie”, è stato invece ripreso l’inseguimento di un cittadino che stava correndo da solo in un parco. “Barbara D’Urso che dà la caccia ai runner in diretta televisiva insieme ai droni della Finanza: anche in Corea del Nord sarebbe considerato di cattivo gusto, ma a noi, evidentemente, piace toccare il fondo. E scavare”, ha commentato lo scrittore Sandro Dazieri. Ma una riflessione va fatta anche sull’uso della tv pubblica e delle forze di sicurezza pubblica, come la Guardia di Finanza, entrambe pagate con i soldi dei contribuenti italiani, che si prestano a realizzare uno dei momenti più bassi non solo della televisione, ma dello stato di diritto.
Coronavirus, a Pomeriggio 5 inseguimenti in diretta di un pedone sulla spiaggia, è polemica. Durante la trasmissione di Barbara D'Urso di ieri la giornalista sull'elicottero della Guardia di Finanza ha filmato la "caccia" al trasgressore sulla spiaggia di Venezia. E questa mattina servizio simile, montato sulle cavalcata delle Valchirie di Apocalypse Now, anche ad Agorà su Raitre. La Repubblica il 14 aprile 2020. Ve lo ricordate il film con Jake Gyllenhaal Lo sciacallo, che raccontava l'abitudine di filmare incidenti e inseguimenti da parte della tv americana? In quel caso poi il suo personaggio per cinismo e opportunismo si faceva prendere la mano e arrivava a fabbricare la notizia, ma negli Stati Uniti è qualcosa di piuttosto consueto vedere nelle varie televisioni via cavo la polizia inseguire un ricercato, volare in elicottero sopra un'automobile in fuga, in rigorosa diretta. Per la tv italiana si tratta di una frontiera nuova. "Ecco Barbara, Barbara! L'uomo ha aumentato il passo e sta scappando, lo stiamo inseguendo! Si sta allontanando tra le case e lo stiamo inseguendo! Andrea, inquadra!". È un film poliziesco? No. È Barbara D'Urso con #pomeriggio5. Incredibile. Ieri, durante Pomeriggio 5 la trasmissione quotidiana di Barbara D'Urso, è andato in onda un servizio in diretta dall'elicottero della Guardia di Finanza che faceva controlli sulla spiaggia di Venezia il giorno di Pasquetta. Il tono della giornalista sull'elicottero e il linguaggio utilizzato ha fatto un po' ricordare lo stile di quelle trasmissioni tv americane e ha innescato la polemica sui social e anche alcune riflessioni. Come quella di Silvia che su Twitter scrive: "Dai droni alla caccia all'uomo con l'elicottero in diretta TV su #Pomeriggio5 il passo è brevissimo. Alcuni rimarranno impassibili davanti a tali immagini, molti altri ne saranno compiaciuti, in pochi si renderanno conto che stiamo entrando in un tunnel senza fine e senza luce". Non si tratta del primo eccesso della trasmissione da inizio quarantena. Molte critiche infatti avevano già travolto la conduttrice il 30 marzo quando, con Matteo Salvini, aveva recitato la preghiera Eterno riposo per i morti da coronavirus, nel corso del programma Live non è la D'Urso su Canale 5. Ma la trasmissione di Canale 5 non è la sola, questa mattina servizio simile, ma non in diretta, anche ad Agorà su Raitre, dove le immagini della guardia di finanza che rincorre con il drone un uomo che fa jogging sono state montate sulla musica della Cavalcata delle Valchirie, colonna sonora indimenticabile di Apocalypse Now nella sequenza del bombardamento col napalm in Vietnam.
Romina Marceca per “la Repubblica” il 16 aprile 2020. Ha un sorriso beffardo alla vista della mascherina sul volto dell' interlocutrice. «È inutile, ormai il coronavirus è stato sconfitto», sostiene, poggiato al cancello della sua villa a Passo di Rigano, territorio ad alta densità mafiosa. Domenico Finazzo, ex imprenditore, 62 anni, è il ribelle che a Palermo ha deciso di violare le prescrizioni anti-contagio. È un recordman delle sanzioni: in cinque giorni ne ha collezionate cinque da 300 e passa euro l' una. C' è un motivo. Domenico Finazzo, viso abbronzato, dice: «Non voglio rinunciare al mare e al sole».
Perché non condivide le prescrizioni dettate dal governo?
«È tutta un' esagerazione. Non aderisco a prescrizioni assurde.
Pago ma non mi piego a queste regole ».
Non ha paura del contagio e di finire in una rianimazione?
«Io? Mi ha guardato bene? Sto benissimo, sono immune a quel morbo. Il virus non mi attacca. Sono un uomo libero e voglio continuare a fare ciò che voglio. Quando guardo il mare mi rilasso».
Lo sa che oltre 21mila italiani sono stati uccisi dal virus? Anche questa è un' esagerazione?
«Grande rispetto per le vittime e anche per la legge. Infatti, io pagherò quanto devo. Non mi sono mai ribellato alle forze dell' ordine. Ho sempre detto di scrivere, tanto sarei tornato comunque al mare il giorno dopo. Sono sereno, non voglio offendere nessuno col mio atteggiamento. Semplicemente la penso diversamente».
Per mandarla via dalla spiaggia di Mondello è dovuto intervenire anche un elicottero.
«È vero. Ero disteso al sole. A un certo punto poco sopra alla mia testa ho visto un elicottero dei carabinieri. Sono stato costretto ad andare via avvolto nel mio telo da mare per difendermi dal vortice di sabbia provocato dalle eliche dell' elicottero».
In strada, poi, ha trovato la polizia.
«Sì. Mi hanno consegnato la terza sanzione, già mi avevano trovato sulla stessa spiaggia nei due giorni precedenti. Quello è il mio punto preferito da vent' anni. La quarta l' ho presa il giorno successivo e la quinta mentre ero in auto, sempre per andare al mare».
Ma si rende conto che dovrà pagare oltre 1.500 euro per una tintarella che poteva prendere ai bordi della piscina della sua villa?
«Vivo di rendita, posso permettermelo. Ero titolare di un supermercato che poi ho chiuso. La piscina, il cemento, sono un' altra cosa. A me piace la sabbia e il mare».
Domani andrà di nuovo a mare?
«Deciderò appena sveglio. Il sole guida le mie scelte». Guarda verso il cielo e rientra a casa a passo lento.
Storia di Donatella, che per un giudice non può essere infermiera e madre e di altri presunti untori. Giulio Cavalli de Il Riformista il 16 Aprile 2020. Una storia significativa arriva dalla zona di Roma: Donatella ha 39 anni, è madre di due gemelli di dieci anni e lavora come infermiera nel blocco operatorio del nosocomio riunito di Anzio, in provincia di Roma. Un presidio che non ha nulla a che vedere con la pandemia (i casi sospetti finiscono nel vicino ospedale di Castelli Romani) e che non si differenzia per pericolosità da altri luoghi di lavoro. Nei giorni scorsi però un giudice ha stabilito che i suoi figli, in affidamento congiunto presso l’abitazione della madre, devono trasferirsi dal padre perché «esposti – si legge nell’ordinanza – al rischio di contagio epidemico da coronavirus Covid19, a causa della attività infermieristica esercitata presso il Presidio Ospedaliero di Anzio e Nettuno». Sia chiaro: parliamo di quelli stessi infermieri che vengono celebrati con fastidiosa retorica ad ogni pie’ sospinto dalla narrazione generale, quelli che sono eroi eppure dovrebbero accontentarsi evidentemente della solidarietà pelosa. Donatella non può essere infermiera e mamma, secondo il giudice, e così si è ritrovata a scrivere una lettera disperata al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. A Giugliano, in Campania, un medico che smonta il 24 marzo dal turno di guardia medica sta tornando a casa e viene fermato da una pattuglia: non credono che sia un medico e lui non ha documenti. Chiede agli agenti di salire in casa per recuperare tutto e dimostrare la sua condizione, è lì a due passi, ma viene sanzionato e messo in isolamento per 15 giorni: perde 5 turni di lavoro. I media locali titolano: “Runner che si professa medico viene multato”. I giornali hanno raccontato anche la vicenda della dottoressa Anna D’Angelillo, medico in formazione specialistica presso il reparto malattie infettive del Policlinico Gemelli dove si occupa di pazienti Covid. Decide di sfruttare il suo unico giorno di riposo per rimettere in moto la sua auto che non ripartiva, degli uomini della Guardia di Finanza la aiutano a collegare i cavi della batteria e 150 metri dopo viene fermata e multata dalla Polizia: 533 euro di multa da scalare dal suo stipendio da dottoressa in prima linea, come recitano tutti. 533 euro da scalare dal suo stipendio di sacrifici. Dura la vita degli eroi in periodo di lockdown ma dura la vita anche del buonsenso: tutti presi dalla caccia all’untore si assiste a un pericoloso strabordamento dell’attività di controllo che si trasforma addirittura in una caccia all’uomo e apre scenari inquietanti che passano in sordina. Ci sono gli elicotteri che si alzano in volo a Palermo, zona Sperone, per sventare una pericolosissima grigliata sul tetto (e per rendere tutto ancora più goffo quelli rispondono sparando fuochi d’artificio), ci sono gli agenti delle forze dell’ordine che si improvvisano maratoneti per inseguire corridori sul lungomare, ci sono addirittura gli elicotteri della Guardia di Finanza che ospitano i giornalisti di Barbara D’Urso per offrire alla pancia dei telespettatori un inseguimento in stile Oj Simpson di un povero sventurato che ha la sfortuna di essere in spiaggia in quel momento e che viene raccontato come un pericoloso malfattore. La sindaca di Roma Virginia Raggi, tutta fiera, ci ha tenuto a farci sapere che il giorno di Pasquetta hanno scovato un pericoloso runner sull’Appia antica che avrebbe «tentato la fuga» (come se fosse la telecronaca di un film poliziesco di quart’ordine) ed «è stato individuato grazia a un drone». La quarantena nazionale ha svegliato i più bassi istinti, che erano già sveglissimi, di chi ha bisogno di mirare un colpevole qualsiasi su cui vomitare tutta la frustrazione dello stare in casa. Una deriva pericolosa perché demanda agli agenti di polizia anche la valutazione di ciò che è necessario o no: così ci ritroviamo con poliziotti che controllano scontrini e sacchetti della spesa, passeggiate con il cane che si trasformano in inseguimenti, improvvisati delatori che si appostano sui balconi come cecchini e una narrazione generale che sembra non riuscire a staccarsi dai irregolari e non sanno rivolgere lo sguardo ai temi che dovrebbero essere più scottanti in questo momento. L’organizzazione della riapertura del Paese sembra interessare molto meno della grigliata in giardino, la mancanza di tamponi e di tracciamenti dei contagiati è diventato un argomento riservato ai tecnici che annoia l’opinione pubblica. La burocratizzazione dei sentimenti, delle relazioni e dei bisogni personali sembra essersi perfettamente compiuta: la paura usata come narcotizzante generale sta funzionando perfettamente!
Nel Senese: sparisce e la mamma chiama i carabinieri, ma lui era andato a trovare la fidanzata. I militari applicano la sanzione prevista dalla violazione del decreto coronavirus: 800 euro di multa. La Repubblica il 14 aprile 2020. Non è rientrato a casa ed è rimasto a dormire dalla fidanzata, che non vedeva da settimane. Ma la mamma, preoccupata dal fatto che il figlio non era tornato, ha chiamato i carabinieri. E dopo averlo rintracciato, i militari lo hanno multato perché il giovane era uscito senza un motivo valido e violando, di fatto, le restrizioni imposte dall’emergenza coronavirus. E’ successo ieri in un comune della Valdichiana, in provincia di Siena. Al ragazzo la visita alla fidanzata è costata una multa da 800 euro. Ma questa non è stata l’unica sanzione inflitta nel giorno di Pasquetta. 274 le persone fermate dai carabinieri in tutta la provincia di Siena: di queste 27 non hanno saputo fornire motivazioni credibili sul fatto di trovarsi fuori dalle loro abitazioni. Controlli nel weekend anche in Valdera, dove la Guardia di Finanza ha scoperto e sanzionato un pensionato, che era andato in un Comune diverso da quello di residenza per acquistare del vino. Alla domanda dei militari su quale fosse la necessità dell'uscita di casa, l'anziano ha risposto tranquillamente che era andato ad acquistare delle bottiglie in una cantina nel comune limitrofo a quello dove abita. Così è scattata la multa.
Stefania Piras per ilmessaggero.it il 14 aprile 2020. Aiutata dalla Guardia di Finanza a rimettere in moto un'auto con la batteria scarica e multata 150 metri dopo dalla Polizia. É successo a un medico della Capitale che ha voluto rendere pubblico l'accaduto scrivendo alla sindaca Virginia Raggi. La sanzione è di 533 euro. Giorni infernali, turni infiniti e situazioni al limite. Cosa fa una dottoressa di Malattie Infettive quando riesce ad avere un giorno libero? Può tentare di rimediare i cavi per rianimare la sua automobile che non si accende più, per esempio. E così ha fatto Anna D'Angelillo, giovane medico in formazione specialistica presso il reparto di malattie infettive del Policlinico Gemelli «quotidianamente impegnata nell'assistenza ai pazienti affetti da Covid-19», sottolinea la dottoressa nella lettera alla sindaca. «Accortami che la macchina non partiva ho pensato di approfittare di un giorno non lavorativo per recuperare dei cavi da un mio collega e far ripartire la macchina. Sono stata aiutata dalla guardia di finanza per mettere in moto l'auto - racconta D'Agelillo - per poi essere multata 150 metri dopo dalla polizia nonostante abbia cercato più volte di chiarire la situazione». In questi giorni infatti capita di incappare in un posto di blocco delle forze dell'ordine che controllano autocertificazioni e relativi spostamenti. E fanno anche multe. Chi viene pizzicato fuori senza un valido motivo becca la sanzione. Non è chiaro se il medico l'avesse con sè oppure no. Fatto sta che alcuni esponenti delle forze dell'ordine probabilmente non gliela hanno chiesta e l'hanno aiutata a rimettere in funzione l'automobile che magari serve al medico per recarsi anche al lavoro, e altre forze dell'ordine che hanno notato semplicemente una persona alla guida l'hanno fermata e multata senza avere prove reali che fosse una situazione di difficoltà per la dottoressa hanno deciso di sanzionarla. Molto sconfortata la dottoressa fa poi capire che farà ricorso perché non ritiene di meritare la sanzione. E scrive con amarezza: «Questi 533 euro li scaleró dalla mia busta paga, già ridicola di fronte agli straordinari, ai rischi e e ai sacrifici di questi mesi». Chissà se le risponderà Virginia Raggi e come andrà a finire. D'Angelillo scrive che «andrà tutto bene» e che percorrerà le vie legali. «Per me era importante sapere di non essere sola, e vi ringrazio tutti, ma adesso la mia battaglia proseguirà per opportune vie legali e confido che la giustizia, nonostante i suoi giustizieri, faccia il suo corso. Andrà tutto bene», scrive.
Enrico Chillè per leggo.it il 14 aprile 2020. Siamo ancora in piena emergenza coronavirus, con la fase 2 che tarda ad arrivare. Per molti italiani, però, rinunciare al pranzo coi parenti o a qualche scampagnata tra Pasqua e Pasquetta era qualcosa di inaccettabile. E c'è chi ha deciso di ricorrere alla tecnologia per evitare i posti di blocco ed eludere i controlli delle forze dell'ordine sulle principali strade di tutto il paese. Lo dimostrano chiaramente i tanti gruppi creati su Telegram, che hanno proprio lo scopo di segnalare ogni eventuale posto di blocco, nei centri urbani e sulle strade di collegamento. Ogni utente può iscriversi e controllare le segnalazioni degli altri, per poter così decidere di prendere altre direzioni ed eludere i controlli per evitare multe salate o denunce per violazione dei Dpcm emanati per fronteggiare l'emergenza coronavirus. A segnalare la presenza di questi gruppi Telegram è, tra gli altri, Alex Orlowsky, regista ed esperto informatico. Per verificare l'esistenza di questo stratagemma per eludere i controlli è sufficiente accedere all'app di messaggistica istantanea e inserire, nel campo della ricerca, "posti di blocco": ci si accorgerà, in breve tempo, che ne esistono centinaia per diversi comuni, province e regioni. Accedendo ai singoli gruppi, è possibile anche scoprire che la maggior parte di essi sono stati creati nella seconda metà di marzo, quindi lo scopo sembra proprio essere quello di evitare i controlli istituiti per l'emergenza coronavirus. Come se non bastasse, i gruppi più numerosi sono quelli della Lombardia, la regione più martoriata dalla diffusione del contagio: a Milano gli utenti iscritti sono tantissimi (e lo dimostrano anche i dati allarmanti sull'incremento degli spostamenti), ma non mancano segnalazioni capillari di posti di blocco anche nella provincia di Bergamo, che dall'inizio dell'emergenza ha pagato un prezzo altissimo in termini di vite umane. Oltre 270mila controlli e quasi 14mila sanzionati a Pasqua, nell'ambito del monitoraggio sul rispetto delle misure di contenimento del Coronavirus. In particolare, secondo i dati diffusi dal Viminale, domenica scorsa sono state 213.565 le persone e 60.435 le attività sottoposte a controllo e 13.756 i cittadini e 121 i negozianti sanzionati. Per 100 è scattata invece la denuncia per false dichiarazioni e per 19 positivi al virus quella per violazione della quarantena. Infine sono stati 16 i negozi chiusi e 31 quelli per i quali è stata disposta la sospensione provvisoria dell'attività.
Dagospia il 14 aprile 2020. L'IMPERDIBILE E DEPRIMENTE RUBRICA ''MULTE'' DI FLAVIA PERINA, LE SANZIONI PIÙ FOLLI DA NORD A SUD.
Un giovane studente di percussioni del Conservatorio raggiunge il suo studio, vicino a casa, dove può esercitarsi (esami da sostenere quest'anno) e dove può collegarsi per lezioni on line. Lo studio è al secondo piano di una scuola di musica comunale, tutto è in regola perché lo studente possiede le chiavi ed ha autorizzazione all'accesso e responsabilità di custodia del luogo (ricordo che i percussionisti hanno bisogno di uno studio attrezzato con diversi strumenti, nemmeno i professionisti solitamente ne possiedono uno completo a casa). Arrivano le forze dell'ordine, salgono al secondo piano, lo accompagnano fuori. "Che facevi lì?" "Studiavo" "Ma dove abiti?" "Lì" (indica). Viene misurata la distanza con telemetro, 260 metri. Violato il decreto, multa salata. "E se lo rifai ancora, processo penale!". (Fonte:Massimo Coco, insegnante Conservatorio Cherubini - Firenze).
Va bene uscire di casa per fare la spesa, ma a patto di acquistare almeno otto prodotti. Il Comune di Erba ha introdotto il nuovo limite, contenuto in un'ordinanza firmata dal sindaco Veronica Airoldi, per mettere un freno alle passeggiate con la scusa di comprare il dentifricio o il sale che era finito in casa. Adesso i vigili di fronte alla giustificazione che si è usciti per fare la spesa potranno controllare la borsa e nel caso all'interno vi siano meno di otto prodotti scatteranno sanzioni che variano da un minimo di 400 a un massimo di 3mila euro. (Fonte: Il Giorno - Como)
"L’8 di aprile abbiamo avuto la necessità di acquistare detergenti, guanti, mascherine e amuchina, presso l’Ipersoap di via Merano (Genova) perché il supermercato più vicino da giorni ne era sprovvisto. Prima di uscire mio marito ha telefonato al comando della Polizia municipale: ha detto il luogo dove abitiamo, dove volevamo andare, se potevamo andarci con lo scooter. La persona che ha risposto, ci ha comunicato che era uno spostamento consentito. Siamo arrivati in via Merano e siamo stati fermati da una pattuglia della Polizia locale. Secondo l’agente che ci ha elevato la sanzione, eravamo fuorilegge. Nel verbale, è scritto che non abbiamo rispettato l'"ordinanza riguardante la limitazione di zona e circoscrizione”. Risultato: 533,33 euro di sanzione per me, altri 533,33 euro di sanzione per mio marito Maurizio. Oltre mille euro. Mille e più euro per essere andati a far la spesa sotto casa". Stradario alla mano, tra l'abitazione della coppia e l’Ipersoap ci sono 800 metri, ma poichè cambia il Municipio lo spostamento è stato considerato illegale. (Fonte: La Voce di Genova)
La signora Roberta deve andare in farmacia, quella dove va sempre. Ella abita proprio al limite di Pescia Fiorentina e la farmacia più vicina, a 5 km da casa, è la Farmacia Mazzoni di Pescia Romana. Va, fa i suoi acquisti, torna, viene sorpresa sulla piazza del paese dai carabinieri che la multano (euro 280) per aver attraversato il confine comunale: ella, dicono, per rispettare l'ordinanza avrebbe dovuto recarsi alla farmacia di Capalbio Scalo situata a 15 km di distanza. (Fonte: Roberta Filippini, in allegato verbale).
Il dipendente Ipercoop Roberto Savio di Cesena, 59 anni, alle 18.30 del 4 aprile tornava dal lavoro in bicicletta, ancora in divisa Ipercoop, percorrendo la ciclabile che porta a casa sua in via Bellaria. Fu fermato in quanto la ciclabile attraversa il Parco Novello, e il parco è vietato. Opinò: è la strada più corta, il parco non è transennato, pensavo si potesse. Fu comunque multato per euro 400. (Fonte: Corriere Romagna).
"Dottoressa buongiorno, alla rubrica multe può aggiungere la mia. Sono un medico di Giugliano (Campania) che frequenta il corso di formazione specifica in medicina generale. Il 24 marzo mattina smonto da un turno di guardia medica. Abito in aperta campagna dove nel raggio di 2 km non esiste nessuna abitazione se non la mia. Passa una volante, quella mattina sono senza documenti, non credono al fatto che io sia medico, oltre al verbale mi viene dato addirittura l'isolamento obbligatorio per 15 giorni. Risultato: perdo 5 turni di guardia medica e il pomeriggio non posso coprire un collega di medicina generale che si era ammalato. Oltre ai turni di guardia medica quindi devo trovare pure un sostituto per il collega malato, perdendo ovviamente anche i soldi della sostituzione. La notizia viene fatta filtrare sui media col titolo: Runner che si professa medico viene multato". (Fonte: segnalazione del multato, Giuseppe Capuano).
Emilio Orlando per leggo.it il 13 aprile 2020. Ha provato a giustificarsi facendo appello al suo lavoro da Parlamentare, ma non c'è stato nulla da fare. Dopo il deputato di Forza Italia Valentino Valentini, sorpreso dalla polizia locale a correre in una villa di Roma, quando era già vietato, oggi è toccato alla deputata del gruppo misto Sara Cunial essere "beccata" dalla polizia municipale di Roma mentre trasgrediva le norme emanate dal governo in merito al lockdown a cui è sottoposto tutto il paese. «Sto girando per motivi di lavoro in quanto deputata», è stata la sua giustificazione, che però non è apparsa credibile. Per aver violato la normativa emanata con i vari Dpcm dal presidente del consiglio Giuseppe Conte, gli agenti della polizia municipale di Roma hanno multato la deputata del gruppo misto ex movimento 5 stelle Sara Cunial. L'onorevole Cunial, che è stata espulsa dal Movimento 5 Stelle, e conosciuta da molti per le sue battaglie no vax, è stata sottoposta ad un controlla da parte della polizia municipale lungo la via del Mare in direzione Ostia. A nulla sono valse le giustificazioni della deputata, visto che anche il Parlamento è chiuso oggi; pertanto sono venute a mancare le ragioni indifferibili che l'avrebbero in qualche modo costretta a spostarsi proprio il giorno di Paquetta. Lo scorso 22 marzo, come aveva documentato Leggo, i vigili del comandante Antonio Di Maggio, avevano già sanzionato un altro deputato: Valentino Valentini di Forza italia. Valentini era stato sorpreso dalle forze dell'ordine a fare jogging dentro Villa Borgese, con tanto con tanto di tuta sportiva della Camera dei deputati. Valentino Valentini, confessò candidatamente, proprio nei giorni in cui sui giornali si discuteva moltissimo del divieto di attività sportiva all'aperto, di «Non sapere che fosse vietato correre».
(ANSA il 13 aprile 2020) - LODI, 13 APR - Era positivo da qualche giorno al coronavirus e lo sapeva. Nonostante questo ha organizzato, ieri pomeriggio a Lodi, una festa in casa sua invitando 5 amici. Loro si sono presentati e la festa è andata avanti fino a quando un vicino di casa ha capito che qualcosa non andava e ha chiamato la polizia. Intervenuti sul posto, gli agenti non hanno potuto che constatare quanto avvenuto e denunciare per violazione del testo unico delle leggi sanitarie, per non aver osservato l'ordine teso a impedire la diffusione di una malattia infettiva l'uomo e gli amici, tutti tra i 17 e i 24 anni. Questi ultimi hanno dichiarato agli agenti di sapere che l'organizzatore della festa era positivo. Per tutti, infine, le autorità sanitarie, hanno imposto la quarantena.
Alessandro Trocino per il “Corriere della Sera” il 15 aprile 2020. Prima lancia uno slogan lievemente sopra le righe, con tanto di maiuscole: «La Verità non si può multare». Poi spiega che cambia spesso casa «per motivi di sicurezza» e che, in fondo, anche Ostia fa parte del Comune di Roma. Sono le spiegazioni date da Sara Cunial, deputata già 5 Stelle, che è stata fermata a Pasquetta mentre andava verso Ostia. Notizia ad alto rischio di indignazione. Ma che contiene una questione che va oltre il caso della Cunial. Perché pone in dubbio il diritto costituzionale dei parlamentari nello svolgere il loro lavoro, che rischia di andare in conflitto con i divieti imposti per la quarantena. Che a oggi valgono per tutti, politici compresi. La Cunial, imprenditrice agricola veneta, nega di essere stata multata. «Sono arrivata in anticipo a Roma per esercitare il mio diritto a fare opposizione. Questa settimana si voterà l' ennesimo decreto infame, sulle Olimpiadi. Sono venuta per votare contro questo scempio e contro questo manipolo di corrotti». La Cunial era nota nel Movimento per le posizioni no vax. Definì l' obbligo vaccinale, in epoca pre-coronavirus, «un genocidio». Anche ora spiega che non prenderebbe un eventuale vaccino contro il virus. E, del resto, spiega - in totale contrasto con i dati noti - «le vaccinazioni anti-influenzali hanno aumentato del 36 per cento le possibilità di essere infettati». In seguito, si è distinta per la battaglia in difesa degli ulivi. Casus belli che portò alla sua espulsione, fu un discorso in Aula in cui spiegò che il Movimento stava facendo «uno scempio per conto delle agromafie». Troppo anche per i 5 Stelle, che pure un tempo erano dalla stessa parte della barricata, sia sui vaccini che sulla xylella. Ora spiega che i governanti «stanno facendo di questo Paese un laboratorio di cavie per 5G». Ma il caso-Cunial solleva una questione più ampia. Due senatrici M5S, Barbara Floridia e Grazia D' Angelo, erano state fermate mentre stavano andando a Roma, provocando l' ira della presidente del Senato Elisabetta Casellati: «Trovo inaccettabile che due senatrici siano state oggetto di segnalazioni dalle Questure di Messina e Roma, nonostante avessero dimostrato di essere nell' esercizio delle loro funzioni». Non solo. La presidente aveva sollecitato un intervento del governo, telefonando anche al premier Conte. Ma l' atteso lasciapassare per i politici non è arrivato.
Coronavirus, vola in parapendio a Pasqua: multato. Cecilia Lidya Casadei il 14/04/2020 su Notizie.it. Nel weekend di Pasqua il trend della multa per violazione delle direttive anti Coronavirus aumenta. Stavolta è toccata ad un uomo in parapendio. Un uomo ha preso la multa perché volava in parapendio, nonostante i divieti sull’emergenza Coronavirus. Lo sportivo si trovava in volo nella zona dell’area verde di Colle Prenestino, Roma, mentre si esercitava. Abituati ad individuare trasgressori coi “piedi per terra”, i vigili non potevano aspettarsi di notarne uno in cielo. È accaduto durante il weekend di Pasqua, momento in cui i controlli si sono fatti più numerosi proprio per via della festività. Mentre l’uomo si stava esercitando con il parapendio, alcuni vigili della Polizia Locale l’hanno notato durante una ronda e quindi fermato. Anche se si trovava da solo e in mezzo al nulla, si tratta in ogni caso di una violazione delle norme anti Coronavirus. Nei parchi della sola Roma, sono state fermate tante altre persone intente a fare attività sportiva: solo nella mattina di domenica 13 aprile 2020 si registrano 103 violazioni e 6mila verifiche. Diverse le auto fermate ai posti di blocco della Polizia, molte delle quali dirette al mare o in campagna, in uscita dalla Capitale senza un valido motivo. Le giustificazioni variano dal “Stiamo raggiungendo i parenti per Pasqua” al “Stiamo andando al supermercato“, peccato che molte persone si trovassero sulle strade principali che portano al litorale romano. Centinaia d’italiani hanno provato a dirigersi verso le seconde case, ciò che fa rabbia è che probabilmente qualcuno ce l’ha fatta. Tra le località più ambite, il centro e la Versilia: sindaci di tutta Italia si sono indignati per questi comportamenti sconsiderati, potenziando i controlli.
Parroco celebra la veglia in chiesa, poi il blitz dei carabinieri. Una quarantina i presenti identificati dai carabinieri. Credeva di aver rispettato le norme e non voleva violare la legge. Valentina Dardari, Lunedì 13/04/2020 su Il Giornale. Nel Salernitano un parroco ha voluto celebrare comunque la veglia pasquale nella sua chiesa. Nonostante le norme vigenti per evitare il contagio da coronavirus. In un post su Facebook ha poi cercato di chiedere scusa e di difendersi asserendo che non aveva capito le indicazioni. Aveva quindi agito pensando di essere nel giusto e conforme alle regole. E invece no, tanto che sono arrivati i carabinieri e hanno identificato le persone, circa una quarantina, che stavano presenziando alla celebrazione. Questi soggetti si beccheranno adesso una sanzione e dovranno restarsene in quarantena a casa loro.
Le scuse del parroco via social. Il parroco, don Giovanni de Riggi, si è scusato sulla pagina Facebook della parrocchia Santa Maria delle Vergini di Scafati, comune in provincia di Salerno. "Nessuna volontà di violare la legge, fino ad oggi abbiamo sempre osservato con rispetto e puntualità, le indicazioni del Governo e della nostra Diocesi. Purtroppo da una mia lettura della circolare del Ministero dell'interno del 27 marzo, Direzione centrale per gli Affari dei Culti, avevo dedotto di poter celebrare nel rispetto di quanto in esso indicato” ha scritto il sacerdote. L’uomo di Chiesa ha inoltre spiegato che la celebrazione era a porte chiuse e che vi erano poche persone, quelle previste, con i loro familiari. Secondo don Giovanni poi, le distanze di sicurezza erano state rispettate. Senza assembramenti quindi. In fondo, sempre secondo il prete, la celebrazione era per pochi intimi, quaranta appunto, e non era pubblica. Si è infine detto pronto ad assumersi le sue responsabilità e le decisioni che le autorità decideranno di prendere nei suoi confronti.
Duri i commenti su Facebook. I commenti seguiti al suo post sono stati di vario genere. Alcuni fedeli lo hanno perdonato dimostrandogli solidarietà e affetto. Ma altri, la maggior parte, lo hanno attaccato per il suo gesto sconsiderevole e inadeguato in un momento simile di emergenza e pericolo per la salute umana. Qualcuno si è anche sentito offeso perché non era rientrato nella cerchia dei pochi intimi del parroco, che hanno potuto assistere alla veglia, e che sono stati poi denunciati, tra l’altro. C’è poi chi ha chiesto quali fossero i requisiti necessari per rientrare nel gruppetto di eletti, come se il punto focale fosse quello. Tantissimi coloro che hanno ricordato che la Legge è uguale per tutti e hanno rivendicato il fatto di essere chiusi tra le quattro mura domestiche da settimane.
Il sindaco condanna il gesto. Il sindaco, Cristoforo Salvati, ha spiegato, sempre tramite social, che “va censurato e condannato categoricamente il comportando di tutti coloro che hanno violato le disposizioni in vigore, creando un assembramento che non può essere giustificato a nessun livello, anche se motivato da esigenze di tipo spirituali e religiose”. Tutti coloro che sono stati identificati dai militari verranno sanzionati e posti a una quarantena di 14 giorni. Impossibile "ammettere comportamenti irresponsabili che rischiano di vanificare tutto quanto è stato fatto fino a questo momento" ha sottolineato il primo cittadino.
San Marco in Lamis,100 persone davanti a chiesa per via Crucis Venerdì Santo: Procura apre inchiesta. Il decreto vieta assembramenti e manifestazioni pubbliche, e soprattutto uscite non necessarie. La Gazzetta del Mezzogiorno l'11 Aprile 2020. Un assembramento in piena pandemia davanti alla chiesa dell'Addolorata, per la via Crucis del Venerdì Santo. È accaduto ieri sera a San Marco in Lamis, nel Foggiano. Cento persone circa si sono riunite davanti alla chiesa: avevano le mascherine, pare siano state rispettate le distanze di sicurezza, ma come riportato (e ribadito) dal decreto, sono vietate manifestazioni pubbliche e assembramenti, e bisogna uscire solo per necessità. È emerso che il sindaco Merla si sia reso conto della situazione e si sia assunto la responsabilità di non aver interrotto il momento di preghiera. San Marco in Lamis, va ricordato, è inoltre il paese del primo focolaio da Coronavirus, la 'Codogno pugliese', il paese in cui oltre dieci persone si contagiarono a un funerale. Resta comunque la gravità dell'accaduto, con la speranza che non ci siano ripercussioni sul numero dei contagi nella zona, e soprattutto viene ancora una volta constatata la difficoltà nel seguire poche semplici regole che potrebbero servire a tutto il Paese per uscire al più presto dalla situazione di lockdown. La Procura di Foggia ha aperto una inchiesta su San Marco in Lamis. Le forze dell’ordine acquisiranno i video. Ecco il messaggio inviato questa notte dal sindaco: «In merito a quanto successo stasera nella mia città mi assumo la colpa di non aver avuto il coraggio di dire a don Matteo di interrompere il momento di preghiera. Non me la sono sentita, ma mi rendo conto, col senno di poi, di aver sbagliato. Ma avrei voluto interromperlo. Questa è la mia colpa e me la prendo. Scusate tutti».
LE SCUSE - «E' stato complicato, avrei dovuto interrompere quel momento di preghiera. Lo so, ho commesso un errore». Così il sindaco di San Marco in Lamis, Michele Merla, parla dell’assembramento del Venerdì Santo sul sagrato, precisando di aver «accettato l’invito a partecipare alle celebrazioni religiose di don Matteo Ferro specificando che non dovessero prender parte i fedeli - sottolinea -. Poi, quando abbiamo iniziato a pregare, le persone che abitavano in zona sono scese in strada. Lo hanno fatto in maniera composta, anche rispettando, in un certo qual modo le distanze di sicurezza. A quel punto avrei dovuto interrompere il rito religioso ma non l’ho fatto, e mi assumo le responsabilità. Già nella serata di ieri - ammette il sindaco - sono stato contattato dal prefetto di Foggia, Raffaele Grassi e dal presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, ai quali ho spiegato le mie ragioni».
ARCURI: FATTA SEGNALAZIONE - «Abbiamo fatto la segnalazione a chi dovevamo perché non ci aspettavamo di dover ancora spiegare che queste forme di assembramento producono danni assai irreversibili». Così il commissario straordinario per l'emergenza, Domenico Arcuri, ha risposto ad una domanda su quanto accaduto ieri sera in un paese del Foggiano, dove un centinaio di persone si sono ritrovate in strade per una manifestazione religiosa del Venerdì Santo.
LE PAROLE DEL VESCOVO DI FOGGIA - «Mi meraviglia quanto avvenuto Venerdì Santo sul sagrato della chiesa di Maria Santissima Addolorata di San Marco in Lamis (Foggia), dove un momento di preghiera silenziosa, e programmato per essere teletrasmesso, si è trasformato in manifestazione con partecipazione di popolo». Così e il vescovo della diocesi di Foggia Bovino, monsignor Vincenzo Pelvi, parla dell’assembramento creatosi ieri nel comune foggiano durante le celebrazioni religiose. «È un atto grave - afferma il vescovo - perché da parte dei presenti è venuto meno il buonsenso e la prudenza nel contribuire alla tutela della salute ed evitare un ulteriore diffusione del contagio. Ribadisco - precisa Pelvi - ancora ai parroci di attenersi categoricamente alle indicazioni già ricevute evitando di mettere a rischio cittadini e fedeli che stanno in casa rinunciando alle celebrazioni religiose della Pasqua».
PREFETTO: VERIFICHE - «Sono state avviate attività di verifica per accertare le responsabilità sull'episodio e per l'applicazione delle conseguenti sanzioni». Lo comunica il prefetto di Foggia Raffaele Grassi che ha chiesto al sindaco di San Marco in Lamis (Foggia) Michele Merla un dettagliato rapporto. La vicenda - si apprende - è stata oggetto di un coordinamento tecnico della Forze di polizia che si è tenuto stamattina , nel corso del quale il prefetto ha «fortemente stigmatizzato l’accaduto, chiedendo la massima attenzione da parte di tutti gli Enti e organismi preposti al contenimento del virus Covid 19 affinché non si ripetano analoghi fatti». Un’auto dei carabinieri lambisce, senza fermarsi, la piazza di San Marco in Lamis (Foggia) dove ieri sera era in corso un momento di preghiera per il venerdì Santo alla presenza di un centinaio di fedeli. È una delle tante immagini circolate nelle ore immediatamente successive la commemorazione religiosa che si è svolta alla presenza del primo cittadino Michele Merla e del parroco, che nulla hanno fatto per evitare l’assembramento. Dai video diffusi dai cittadini si vede chiaramente una pattuglia dell’Arma che percorre la strada che costeggia il sagrato della chiesa Maria Santissima Addolorata, assiepata di gente, senza fermarsi per effettuare i controlli e impedire che la gente l’affollasse. A quanto si apprende, sull'operato dell’equipaggio della pattuglia sono in corso accertamenti.
Modena, infermiera minaccia i vigili dopo la multa e viene denunciata. La donna, una volta scoperta la multa per un semplice divieto di sosta, ha telefonato ai carabinieri - sperando forse di trovare comprensione - e ha detto ai militari: "Spero che i loro genitori non capitino mai sotto le mie grinfie". I militari l'hanno denunciata alla Procura della Repubblica per minacce aggravate. Sempre nel modenese una lavoratrice del Cup, sorpresa a fare un pic-nic coi familiari all'interno di un parco, ha minacciato i militari. Salvatore Di Stefano, Domenica 12/04/2020 su Il Giornale. Una banalissima multa per divieto di sosta, probabilmente il più comune dei motivi, è costata molto cara ad un'infermiera di Modena, denunciata dai carabinieri per minacce aggravate. Secondo quanto riportato dal quotidiano locale "Il Resto del Carlino" la donna, dopo aver scoperto la sanzione in un comune facente parte delle terre del Sorbara - un ente locale sovracomunale in provincia di Modena - anzichè limitarsi a pagare quanto dovuto per via della sua infrazione ha deciso di telefonare ai carabinieri della stazione locale, convinta evidentemente di raccogliere solidarietà da parte dei militari: "Mi hanno fatto una multa e allora sapete cosa faccio? Non andrò a fare la notte in ospedale. Spero che i loro genitori non capitino mai sotto le mie grinfie" ha sentenziato l'infermiera al telefono. Dall'altro capo della cornetta i carabinieri, dopo un attimo di comprensibile sorpresa, hanno immediatamente identificato il soggetto e lo hanno denunciato presso la Procura della Repubblica di Modena. Spostandoci verso l'Unione delle Terre d'argine, un ente locale autonomo anch'esso in provincia di Modena, una dipendente del Cup - Centro Unico di Prenotazioni - è stata sorpresa dai carabinieri locali mentre era intenta a farsi un pic-nic in piena regola all'interno di un parco in compagnia dell'ex marito e dei figli della coppia, oltre che dell'attuale compagno, in barba a tutte le norme atte a contenere la pandemia da coronavirus violentemente in corso nel nostro Paese. Una volta elevata la multa la signora ha rivolto anche lei minacce ai militari "sfruttando" la sua attività lavorativa: "Ci fate la multa? La prossima volta che venite al CUP dell’ospedale dove lavoro vi farò fare quattro ore di fila” - ha sentenziato la donna. Le nostre forze dell'ordine proseguono senza sosta il loro impegno per far sì che tutti i cittadini rispettino le varie norme emanate dal governo Conte in materia di sicurezza per ridurre al minimo possibile il rischio di contagio: impresa sempre più ostica specialmente in queste giornate festive con sole e caldo in tutta la nostra Penisola. Centinaia infatti sono gli italiani che, nella sola giornata di ieri, sono stati colti in flagrante specialmente nel tentativo di raggiungere le seconde case, in luoghi di villeggiatura, dove poter trascorrere queste anomale vacanze pasquali. Le scuse adoperate sono sempre fantasiose e stravaganti ma questi comportamenti mettono a repentaglio la sicurezza della stragrande maggioranza di connazionali che seguono e rispettano per filo e per segno le indicazioni fornite coi vari Dpcm.
Francesco Malfetano per “il Messaggero” il 4 aprile 2020. Dopo le celle telefoniche è l' ora dei Big Data. Da ieri Google ha deciso di scendere ufficialmente in campo contro il Covid-19 e di mettere a disposizione delle autorità sanitarie di 131 Paesi nel mondo i dati, aggregati e anonimi, estratti dalla geolocalizzazione dei nostri smartphone.
I DATI. Così dal primo rapporto si scopre che considerando la seconda metà di febbraio e il mese di marzo (fino a domenica 29), quindi per un periodo che inizia prima dell' identificazione dei focolai nel Nord Italia e dell' imposizione delle misure restrittive, in Italia l' affluenza a farmacie e alimentari è diminuita dell' 85%.
CONTROLLI. Del 94% quella in bar e ristoranti, del 90% l' attività in parchi e giardini e dell' 87% l' affluenza nelle stazioni dei trasporti pubblici. Non solo, dai big data di Google si evince anche come un italiano su tre frequenti ancora il proprio posto di lavoro e come, l' unico dato in crescita, riguardi la residenzialità (più 24%). Vale a dire la presenza, più o meno costante, dei cittadini nelle proprie case. Un' informazione che se da un lato sintetizza l' efficacia con cui i singoli paesi stanno eseguendo il lockdown dall' altro evidenzia l' approssimazione della rilevazione. Non è infatti noto se le informazioni comprendano, e probabilmente non lo fanno, gli spostamenti nei pressi dell' abitazione per cui mancherebbero del tutto i furbetti della passeggiata con il cane. Allo stesso modo, va sottolineato come la fotografia scattata da Google sia relativa alla situazione italiana fino al 29 marzo e cioè, prima dell' allentamento denunciato dalle autorità vissuto negli ultimi giorni. In pratica si dovrebbe fare di meglio, tant' è che il risultato italiano è battuto da Israele (+30%) nonostante sia avanti rispetto al +15% del Regno Unito o al +12% degli Stati Uniti. Proprio negli Usa peraltro questo genere di dati gps, stavolta forniti da Facebook, sono utilizzati da università e governo per verificare l' adozione delle misure di distanziamento sociale.
LE REGIONI. La stessa Google ha precisato come il report sia stato fornito su richiesta delle autorità sanitarie che hanno ritenuto «questo tipo di dati aggregati e anonimizzati» utili per prendere decisioni nella lotta Covid-19. Per questo, nelle aree più difficili, il rapporto analizza anche le singole regioni. In Italia ad esempio i dati della Lombardia sono in linea con la media mentre quelli del Lazio si discostano per farmacie e alimentari: i laziali li frequentano più del resto della Penisola, tant' è che il calo registrato è meno incisivo del 9%. Non solo è anche evidente come prima dell' 8 marzo in Calabria e in Liguria, parchi e giardini pubblici fossero molto frequentati a differenza di quanto accadeva in altre regioni. Un' immagine significativa se si ripensa alle polemiche del periodo. I dati sembrano confermare quanto evidenziato da ricerche precedenti. Il tutto, a detta di Big G, senza violare la privacy degli utenti. Mountain View ha spiegato che la cronologia delle posizioni utilizzata per raccogliere le informazioni è disattivata come impostazione predefinita e che quindi deve essere autorizzata da ogni utente. Gli utilizzatori del servizio inoltre possono eliminare i dati raccolti, facendo di fatto perdere le proprie tracce.
Fiorenza Sarzanini per corriere.it il 3 aprile 2020. C’è una nuova impennata di multe per violazione dei divieti imposti per contenere il contagio da coronavirus. Nonostante gli appelli a rimanere in casa, i controlli effettuati sulle strade con posti di blocco per le auto e verifiche di chi si muove a piedi, il numero dei denunciati continua ad aumentare. Sono migliaia le persone che escono senza avere valido motivo. Cala il dato sui contagiati che violano la quarantena, ma sale quello di chi viene sorpreso lontano da casa e non può giustificarlo. Giovedì 2 aprile su 246.829 controllati, 7.659 sono stati multati, 85 denunciati per falsa dichiarazione e 24 per epidemia colposa. Alto anche il bilancio dell’1 aprile 2020: 246.365 controlli, 7.080 multe, 113 denunce per falso, 19 per epidemia. In due giorni sono 14.739 a spasso senza avere esigenze di lavoro o familiari. In appena 8 giorni sono stati 43.558 i multati e 354 denunciati per epidemia.
Il nuovo blocco. Una situazione che ancora una volta convince sulla necessità di mantenere i divieti in prossimità delle festività pasquali e poi dei ponti del 25 aprile e del 1 maggio. Il timore è fin troppo evidente: con le riaperture sia pur parziali, la gente tornerebbe in strada senza rispettare la distanza interpersonale e la cautela di indossare la mascherina quando ci sono altre persone.
Manuela Pelati per roma.corriere.it il 3 aprile 2020. «Entrano con cappello occhiali e mascherina, non ci sentiamo sicuri, ieri qui vicino ci sono state due rapine». I fratelli Di Nello che gestiscono da 50 anni il Bar Tabacchi in Lungotevere de’ Mellini, 5 a due passi da piazza Cavour, hanno tirato giù la saracinesca. Il negozio da oggi alle 13 rimarrà chiuso. «Non riapriremo prima della fine del decreto del governo che stabilisce dopo Pasqua». Le strade deserte per l’emergenza coronavirus stanno spaventando molti commercianti. A pochi metri dalla pasticceria Ruschena e sulla strada per il ponte Cavour che conduce a via Tomacelli e via del Corso, nel pieno centro della capitale e nella zona del turismo e dello shopping dove solitamente c’è un flusso continuo visitatori, lavoratori e residenti, il bar è chiuso dall’11 marzo (giorno delle restrizioni previste dal Dpcm del premier Giuseppe Conte). Ma la zona del tabaccaio all’interno del negozio è rimasta aperta (separata dall’altra da transenne), sempre secondo le disposizioni. «Le persone che vengono sono per la maggior parte residenti che oltre a comprare le sigarette, devono pagare bollette e ricariche» racconta uno dei due fratelli Di Nello. Le poste infatti sono chiuse per evitare assembramenti. «Ci sono molti poveri che entrano e chiedono qualcosa da mangiare — dice scuotendo la testa l’esercente — sono moltissime le persone che vivevano di elemosina da queste parti». Proseguendo sul Lungotevere dopo cento metri c’è piazza dei Tribunali e poi Castel Sant’Angelo e San Pietro. «Finora abbiamo dato quel che potevamo, un pacchetto di caramelle e una cioccolata, ma dopo aver sentito delle rapine, adesso abbiamo paura». Fuori dal tabaccaio stamattina le persone facevano la fila con mascherina e guanti. «Non lavoro da un mese — il racconto di un cuoco — sono in cassa integrazione, perché per fortuna ho un contratto, ma quando arriverà il sussidio?». E poi: «Chissà se poi riprenderemo a lavorare o ci licenzieranno». Una volante dei carabinieri passa lentamente abbassando il finestrino. «Salve, tutto a posto» gli dice uno dei fratelli Di Lello. I militari proseguono sulla strada. «Da ieri fanno le ronde, ma se appena girano l’angolo arriva qualcuno con una pistola io che faccio?» dice sconsolato il negoziante.
Da "ilfattoquotidiano.it" il 10 aprile 2020. Un uomo si è incontrato in segreto con l’amante positiva al coronavirus e così facendo non solo ha violato le norme imposte dai decreti governativi ma ha anche contagiato suo figlio di 13 anni. È quanto avvenuto a Rovigo come racconta il direttore generale dell’Ulss locale Antonio Fernando Compostella in un’intervista al Gazzettino. “Un caso positivo di alcuni giorni fa per il quale il Servizio igiene ha mappato i contatti, ma non sono state date tutte le informazioni: una parte dei contatti che la persona aveva avuto non erano stati riferiti”, ha spiegato Compostella. “Il completamento della mappa l’abbiamo avuto raccogliendo informazioni sulla famiglia del ragazzino che ci hanno permesso di metterle assieme con quelle che avevamo già e di capire che qualcuno non si è comportato in modo responsabile, dimenticando o omettendo, altri contatti che aveva avuto. Ci vuole responsabilità, non deve esserci alcuna ritrosia”, ha concluso. In Veneto al momento sono oltre 10mila le persone positive al coronavirus.
Da corriere.it il 13 aprile 2020. La voglia di una grigliata di carne per le festività pasquali è più forte dei divieti e così nella città presidiata dalle forze dell’ordine per impedire il consueto esodo verso parchi e località di villeggiatura, alcune famiglie palermitane hanno trovato uno stratagemma allestendo barbecue e tavoli sui tetti dei palazzi dove abitano. È accaduto nel quartiere di edilizia popolare dello Sperone, alla periferia nord orientale della capoluogo siciliano. Le immagini della grigliata sui tetti, accompagnate dalla colonna sonora delle canzoni neomelodiche che si sentono in sottofondo, immortalano decine di persone impegnate ad arrostire la carne o sedute attorno ai tavoli mentre mangiano e bevono. Il video, che sta spopolando sui social, documenta un comportamento irresponsabile sia perché non vengono mantenute le distanze di sicurezza previste dalla misure anti contagio sia perché si tratta del lastrico solare degli edifici, privo di qualsivoglia ringhiera o barriera di protezione.
Salvo Palazzolo per repubblica.it il 14 aprile 2020. "Il giorno di Pasqua, ci stavamo divertendo ad arrostire un po’ di carne, eravamo delle famiglie sul tetto condominiale messe a gruppi distaccati, ogni famiglia per conto suo, ed è venuta la polizia". Il signor Giuseppe Spagnolo, 60 anni, ex dipendente dell’Azienda del gas di Palermo, pensione d’invalidità, moglie e quattro figli a carico, è il protagonista del video della maxigrigliata sui tetti dello Sperone bloccata dalla polizia. Non sembra affatto pentito: "Le famiglie erano a distanza". E dice: "Ora, mi stanno maltrattando sui social da tutto il mondo".
Coronavirus, il pensionato di Palermo che faceva grigliate sui tetti ora ha un agente: "1.500 euro per una intervista". A Pasqua ha fatto una diretta social su un palazzo del quartiere Sperone mentre con altre famiglie aveva organizzato un pranzo all'aperto e costretto all'intervento della polizia. La Repubblica il 16 aprile 2020. Il pensionato Giuseppe Spagnolo che a Pasqua guidava le grigliate sui tetti delle case popolari dello Sperone, dopo essere diventato un personaggio social con un'intervista a Repubblica, ha iniziato a ricevere decine di richieste da parte di molti programmi televisivi, e ha pensato di ingaggiare un agente. Ora, chiede 1.500 euro a intervista. “Con me da oggi non si può più parlare. Lei con me non deve parlare, se vuole le do un numero. Non le posso rispondere, da oggi. Manco un secondo, ho dato i miei diritti di immagine e non posso parlare più con nessuno. Ho un agente, Toba Service, se vuole il numero…”, ha detto ieri a La Zanzara su Radio24. "Ma scusi lei fa una grigliata sui tetti e poi si prende un agente?" ha risposto il conduttore Parenzo. “Allora metto giù, lo volete il numero del mio agente o no?”, ha insistito il pensionato protagonista di una diretta sui social il giorno di Pasqua mentre diverse famiglie erano sui tetti a mangiare, pranzo interrotto dall'arrivo della polizia, che ha fatto scattare multe per l'assembramento vietato dalle norme anti Covid. Ora, Spagnolo ha come agente la Toba Service: “Sono Parenzo, le passo l’amministratore del Sole 24 Ore, Giuseppe Cruciani. Cercavamo il dottor Spagnolo”. “Sì – hanno risposto dalla società – è un nostro contrattualizzato. E’ visibile? Video?”. “No, radio, dieci minuti”. “Gratis non si può fare perché dobbiamo anche recuperare i soldi della multa di questo signore, poverino. Le posso fare 1500 euro più Iva”. “Possiamo chiudere a 800 più Iva, otto minuti”, ha chiesto ancora Parenzo. “Mille, più Iva e fattura”, è stata la risposta della Toba. “Chiudiamo a 900”, ha detto l'altro conduttore.
Dagospia il 15 aprile 2020. Da “la Zanzara – Radio24”. Inizia con una telefonata a Giuseppe Spagnolo, il pensionato palermitano che a Pasquetta ha organizzato insieme ad altre persone un barbecue in terrazzo e poi ha detto: “Eravamo convinti di non fare nulla di male”. Dice Spagnolo a La Zanzara su Radio 24: “Con me da oggi non si può più parlare. Lei con me non deve parlare, se vuole le do un numero. Non le posso rispondere, da oggi. Manco un secondo, ho dato i miei diritti di immagine e non posso parlare più con nessuno. Ho un agente, Toba Service, se vuole il numero…”. Mi dia il numero, certo, dice Parenzo. Ma scusi lei fa una grigliata sui tetti e poi si prende un agente?: “Allora metto giù, lo volete il numero o no?”. Poi la telefonata con Toba Service: “Sono Parenzo, le passo l’amministratore del Sole 24 Ore, Giuseppe Cruciani. Cercavamo il dottor Spagnolo”. “Sì –rispondono – è un nostro contrattualizzato. E’ visibile? Video?”. “No, radio, dieci minuti”. “Gratis non si può fare perché dobbiamo anche recuperare i soldi della multa di questo signore, poverino. Le posso fare 1500 euro più Iva”. “Possiamo chiudere a 800 più Iva, otto minuti”, risponde Parenzo. “Mille, più Iva e fattura”, dicono ancora quelli di Toba. “Chiudiamo a 900”, interviene Cruciani. “Abbiamo un accordo allora, ecco la mail dove mandare i dati per la fattura, gli orari, il contatto telefonico”.
Rosaria Talarico per tpi.it il 12 aprile 2020. Meglio chiusi in un monolocale di trenta metri quadri vista tangenziale o in uno chalet con parco circondati dalle Dolomiti? C’è quarantena e quarantena… Le seconde case (più o meno lussuose, per i fortunati che le hanno) sono state prese d’assalto immediatamente dopo il primo decreto che limitava la libertà di movimento degli italiani. Tanto da rendere necessario in quelli successivi, compreso l’ultimo, una prescrizione specifica: è espressamente vietato raggiungere le case di villeggiatura al mare o in montagna, a meno che non ci siano gli ormai noti comprovati motivi di urgenza e necessità. A Cortina d’Ampezzo, famosissimo luogo di villeggiatura di potenti e presunti tali, è in atto per questo da giorni una rivolta che corre sui social, ma non solo. Complice un numero di contagi consistente rispetto al numero di abitanti, circa 80 su 5800 abitanti. Nonostante residenti e frequentatori abituali abbiano patrimoni ben al di sopra della media nazionale, Cortina come tutti i paesi dove ci si conosce tutti, non fa eccezione. Il pettegolezzo quindi si diffonde veloce come il Coronavirus sulle chat di Whatsapp e nelle telefonate, ma anche nei negozi più in vista della “perla delle Dolomiti”. Un ampezzano doc frequentatore della cerchia più esclusiva non trattiene l’indignazione: “Trovo sconcertante fare festini o continuare come nulla fosse con i tornei di burraco e di bridge, mentre l’Italia vive una situazione come questa… Com’è successo qui ai primi di marzo a epidemia ormai esplosa, ordinando casse di champagne e salmone in quantità. O andare a fare gite al lago di Pianozes come alcune signore molto danarose di Mantova, poi multate”. La sanzione però non arriverebbe per tutti: “C’è stato un calo dei reati dato che tutti sono in casa? Allora perché i carabinieri non controllano le case dei non residenti improvvisamente aperte e gli arrivi dei Suv notturni? Perché qui ci sono i cosiddetti potenti! I vigili urbani facevano multe per divieto di sosta, invece di controllare la distanza nel mercato, almeno finché poi per fortuna lo hanno chiuso”. Stesso discorso per quella che è chiamata “la passeggiata” che corre lungo il tracciato della ex ferrovia, alla fine chiusa anch’essa con un’ordinanza del sindaco. Si oscilla tra la voglia di raccontare e indignarsi pubblicamente e il riserbo più calcolatore che considera i “foresti”, specie se vip, una golosa parte del proprio fatturato. Da tutelare al meglio. “L’animo ampezzano è sensibile alle sirene del denaro” racconta a TPI una signora ben introdotta nel giro dei cortinesi che contano. “Qui tutto si è sviluppato grazie ai soldi. Io sono nata a Cortina, ma vissuta in un’epoca in cui il dio denaro c’era e non si mostrava. Adesso è un’altra cosa. Mi dispiace soprattutto perché ci sono andati di mezzo gli ampezzani, i vacanzieri provenienti dalle zone rosse ci hanno impestato. Tra i primissimi casi di Covid a Cortina c’è il titolare di una nota agenzia immobiliare e di un negozio di scarpe, professioni a contatto con pubblico e con i turisti”. È proprio così? Mentre tutta Italia impasta farina e lievito di birra, a Cortina si ordinano baffe di salmone e casse di champagne? Ovviamente non al discount, ma alla storica “Cooperativa”, fondata nel 1893 per aiutare contadini e pastori e adesso trasformatasi, a dispetto delle origini frugali, in un lussuoso centro commerciale con 4mila metri quadri di superficie di vendita. La responsabile, contattata al telefono da TPI, è gentile e disponibile nel cercare di fare luce sull’enigma: “La spesa alimentare ovviamente ha avuto un aumento del volume di vendite. Dopo il lockdown c’è stato un assalto non tanto al negozio, ma per le richieste di spesa a domicilio. La prima settimana è stata difficile da gestire e adattarci a una situazione nuova in emergenza. Una mole di acquisti importante con più carrelli per singolo ordine, una cosa straordinaria. Poi è andata a equilibrarsi. Noi stessi consigliamo di non fare richieste quotidiane”. Ma lo champagne? “Non conosco nel dettaglio gli acquisti per singolo ordine. Ai miei colleghi sarà capitato, non a me personalmente. Ma siamo a Cortina comunque, i nostri ospiti sono abituati a un tenore di vita particolare e noi siamo abituati a vendere anche champagne”. Non si sbilancia neanche sugli arrivi in massa di non residenti: “L’ho sentito dire, ma non ho visto personalmente, dato che sto tutto il giorno al negozio e poi a casa”. Certo la sobrietà non è imposta per decreto, ma un po’ di buon senso aiuterebbe tutti. Si legge nei commenti su Facebook nel popolare gruppo amici di Cortina “il problema è che le persone nelle seconde case (anche se con residenza, ma di fatto seconde case in quanto non ci abitano prevalentemente tutto l’anno) mantengono lo spirito vacanziero, tipico in tutti i periodi dell’anno in cui vengono, a cui sembra che tutto sia concesso” si indigna Valentina. A cui risponde Fabrizio: “Il sistema montagna è un sistema fragile, in primis sotto il profilo sanitario. Con lo spostamento in massa dalle città alle seconde case, in questo momento di assoluta emergenza si rischia di metterlo in crisi più del necessario. È possibile che qualcuno il virus se lo sia portato appresso e a farne le spese sarà soprattutto il tessuto locale, quello dei residenti. Quindi non si tratta solo di decreti, ma di consapevolezza e di un po’ di rispetto”. Messaggi rivolti a padovani, lombardi, bresciani, trevigiani, bergamaschi, bolognesi e milanesi andati a respirare aria buona di montagna. Ma anche a super manager e noti banchieri le cui case sono state in fretta e furia riaperte e pulite da allarmate cameriere del posto. “Da quando è scoppiato il caso di Codogno, ho iniziato il mio personale countdown di isolamento, visto che in una profumeria ero stata con un truccatore di Milano davanti alla faccia. Mentre i cortinesi sono controllati a vista e non puoi uscire se sei in quarantena per Covid nemmeno a prendere la legna negli spazi condominiali comuni, chi non segnala di avere sintomi o non indica tutti i nomi dei suoi contatti agisce in modo sconsiderato. Chiunque può venire a respirare aria buona, purché stia chiuso in casa. Invece i medici hanno inviato una lettera per segnalare che i casi reali di Covid sono molto superiori a quelli dichiarati”. L’omertà trionfa e il senso civico scarseggia? Nei commenti c’è chi si schermisce dicendo di non essere un infame e chi rintuzza: “È sanità pubblica, non infamia”. Ed è lì il punto. Non si denunciano magari amici di cui si sa che abbiano sintomi influenzali. “Tutti lo sanno e nessuno parla del fatto che c’è chi è uscito con la febbre per non fare la quarantena e non farla fare ai propri amici. La bella gente di Cortina nega l’evidenza. Ho parlato con la segreteria del sindaco senza risultato. Non lo dicono perché hanno il terrore, poi la gente li guarda male, c’è una forma di ignoranza”. Omertà in salsa cortinese? Andrea Colucci è medico di base a Cortina e per rispondere alle tante domande dei pazienti ha inviato loro un’email con spiegazioni sui sintomi, le modalità per fare il tampone e segnalare soprattutto che i numeri reali di casi Covid19 sono molto superiori a quelli dichiarati. “Un’osservazione sul posto che ha trovato poi conferma con gli studi epidemiologici” racconta a TPI. “È pieno di gente che sta benissimo con Coronavirus per fortuna e non intasa gli ospedali, ma dall’altro lato non avendo sintomi vanno in giro e la diffondono. Una volta il medico era ambito, adesso nessuno mi invita più da nessuna parte” ironizza Colucci “quando arrivo alla cassa del supermercato si fa il vuoto. Comunque la stragrande maggioranza delle persone è responsabile, il macellaio dice che l’80 per cento delle persone che vede non sono di Cortina, ma è un fenomeno che poteva essere significativo quando sono arrivati. Adesso l’importanza è che stiano in casa a non fare guai”. Sulla stessa linea un altro dottore di Cortina Luca Piccolomini: “Fino al 7 marzo nei rifugi e sulla funivia sembrava Riccione, un sacco di bambini, alberghi e ristoranti pieni e nessuno rispettava le distanze. In presenza dei sintomi bisogna avere più senso civico, stiamo un po’ attenti”. Uno dei medici di base è in quarantena per avere avuto Covid19. Alla Aulss 1 Dolomiti di Belluno, che è competente come territorio, invitano a usare il numero aziendale dedicato 0437514343: “Il numero è attivo tutti i giorni per chi ha sintomi o dubbi. I casi vanno segnalati con nome e cognome, altrimenti noi non lo sappiamo. Per i comportamenti non adeguati poi ci sono polizia e carabinieri. Perché c’è un risvolto anche legale non da poco”.
Quei furbetti della gita "immuni" a ogni divieto. Multe e scuse folli: "Per me la tintarella è un salvavita". Runner fermato 7 volte di seguito. Nino Materi, Domenica 12/04/2020 su Il Giornale. Un video-burla ieri è diventato virale alla faccia del coronavirus. Una clip di pochi secondi: un drone ronza in cielo per controllare i furbetti della gita pasquale; il drone avvista un'auto in tangenziale; il drone si posizione sulla vettura; il drone lancia un razzo che disintegra la macchina fuorilegge. La scenetta è estrema, ma rende bene il montante clima sociale di insofferenza verso un lockdown diventato sfibrante. Da come si sono comportati ieri gli italiani (fortunatamente una minoranza) si capisce infatti che, per far rispettare le regole, l'unica tattica possibile sia ormai sparare sugli «evasi». Destinati ad aumentare. E per i quali consigli, leggi, sanzioni si riveleranno - alla lunga - armi inefficaci. Hai voglia a spiegare che i rispettare i divieti è nell'«interesse di tutti». Quelli ti risponderanno sempre: «Ma tutti chi? Io ho la seconda casa, me la sono fatta con tanti sacrifici. E a Pasqua ci vado costi quel che costi. Mica sarò proprio io o la mia famiglia a beccarsi il contagio...». E così ieri (ma la storia si ripeterà di certo anche oggi e domani), da Nord a Sud, sono state centinaia le persone colte il flagranza di «menefregatura». Facile il «ragionamento», tipicamente italian style: «Io ci provo a fare la scampagnata... se poi mi scoprono, una scusa si trova sempre...o, nel peggiore dei casi, pagherò la multa». Poi - al limite - «chiederò pure scusa», come ha fatto il runner sulla spiaggia inseguito dal carabiniere (pareva una scenetta fake, invece era comicamente vera). Matura per Zelig anche la coppia di sposi che si è inventata di avere un «parente gravemente malato da assistere» pur di trascorrere l'anniversario di nozze nella loro nido d'amore sul Lago di Como. E che dire dell'ingegnere di Riccione fermato e multato 7 (sette!) volte in pochi giorni? Ma lui niente, imperterrito: «Spiacente, non resisto senza correre...». Stessa inoppugnabile motivazione per la signora di Monza sorpresa dai vigili in riva al mare a Santa Margherita Ligure: «Avete ragione, ma per me il sole equivale a un farmaco salvavita...». Insomma, tintarella batte rischio-infezione 25 gradi (la temperatura di ieri in Liguria) a 19 (il numero maledetto del covid). Poi ci sono quelli, che uno pensa: a questi la multa gliel'hanno fatta non tanto perché sono fuggiti di casa, ma perché sembrano scappati da un manicomio. Come nel caso della comitiva che in Piemonte ha postato sui social il proprio fumante barbecue con annessa sbevazzata di birra. Risultato: le forze dell'ordine, avvertite da invidiosi delatori, si sono fiondati sul luogo del bagordo stangando gli esibizionisti della salamella. Niente carne ma solo verdure invece per i 20 palermitani multati mentre, in comitiva, facevano acquisti in un capannone adibito abusivamente a mercato ortofrutticolo. Ma ieri ai contravventori del profano si sono aggiunti perfino i trasgressori del sacro. È accaduto a San Marco in Lamis (Foggia) dove i carabinieri sono dovuti intervenire per «disperdere un assembramento durante le preghiere del venerdì santo». Recita il verbale dei militari: «Almeno un centinaio di persone assisteva davanti al sagrato della chiesa di Maria Santissima Addolorata alla preghiera alla Vergine, recitata da don Matteo, senza rispettare le misure anti-contagio che vietano di uscire di casa in assenza di necessità e, come ben noto a tutti, proibiscono gli assembramenti».
Il sindaco ha subito chiesto scusa al prefetto, mentre don Matteo pare invece si sia rivolto al «collega» Terence Hill per farsi perdonare dal vescovo.
Da palermotoday.it l'11 aprile 2020. il primo giorno di questo flashmob che voglio organizzare ogni giorno alle 12 contro il governo per un tradimento del Parlamento e della volontà dei cittadini". L'europarlamentare leghista Francesca Donato, presidente del progetto Eurexit, documenta con un video la sua iniziativa di protesta contro l'accordo raggiunto dall'Eurogruppo. "E' mezzogiorno e inizio a suonare il clacson contro questa vergogna assoluta, non ci sto a stare zitta mentre svendono il mio paese", dice, documentando con un video la protesta inscenata a Mondello. L'iniziativa, però, attira anche l'attenzione di una pattuglia della polizia e il video si interrompe quando si avvicina un agente. "Buongiorno signora, ha finito di suonare?", chiede l'agente. "Mi hanno chiesto il motivo del perché suonassi il clacson - racconta all'AdnKronos la leghista - mi hanno fatto compilare l'autocertificazione, si sono consultati, anche con la Digos, e poi hanno ritenuto che l'attività politica di un parlamentare sia un motivo legittimo per uscire, quindi nessuna contravvenzione, né verbale". L'iniziativa doveva essere condivisa con i cittadini: "Chiedo ai cittadini di non esporsi alle multe, cercheremo di fare una protesta sonora, ma senza uscire di casa, faremo ancora rumore dalle finestre e dai balconi, gridando Conte dimettiti e Gualtieri dimettiti". Per la presidente di Eurexit "siamo di fronte al tradimento della Costituzione e della democrazia parlamentare, ora lo scenario Grecia è di fronte a noi, andremo in default e i nostri titoli di stato, con il Mes, diventeranno spazzatura il giorno dopo".
Da ilmessaggero.it l'11 aprile 2020. Lui, lei, la passione e, chissà, magari anche la lunga attesa in fila per la spesa di Pasqua che ha fatto scattare la scintilla. Fatto sta che una coppia è stata sorpresa a fare sesso in macchina accanto ad un ipermercato di Taranto. Per i due amanti focosi è scattata la denuncia per aver violato le prescrizioni di sicurezza dettate dall'emergenza coronavirus. E' successo ieri, durante i controlli da parte dei carabinieri, che in queste ore si stanno infittendo proprio a ridosso dei grandi punti vendita di generi alimentari, sempre più presi d'assalto dalle persone in previsione della Pasqua e della Pasquetta. Un controllo di routine, per monitorare le distanze di sicurezza e l'ordine, quando i militari hanno visto la macchina parcheggiata e intuito la situazione. La coppia «temeraria» è stata colta in flagrante mentre faceva sesso in auto alle spalle di un centro commerciale di Taranto. I due sono stati denunciati dai carabinieri per violazione del Dpcm sull'emergenza Coronavirus. La sanzione è fioccata anche ad un giovane, fermato per un controllo in tarda serata a bordo della propria auto. La scusa usata per giustificare la violazione della quarantena è stata «devo portare la spesa a casa della mia fidanzata». Ma non gli è bastato esibire una busta contenente generi alimentari. Le reti viarie principali e secondarie di tutta la provincia sono capillarmente presidiate dai carabinieri e dalle altre forze di polizia anche con posti di blocco che consentono un filtraggio del flusso di veicoli, anche per dissuadere quanti intendono raggiungere le località costiere o le seconde case. I carabinieri in questi giorni stanno inoltre contribuendo alla distribuzione dei buoni-spesa a famiglie bisognose. I servizi sono stati potenziati per il week end pasquale.
Da udinetoday.it l'11 aprile 2020. Ubriaco alla guida un carro funebre dopo aver trascorso una serata in compagnia di amici. Nei guai il titolare di una ditta di onoranze funebri, un suo dipendente e altre due persone in preda ai fumi dell’alcol, sorpresi giovedì dalla Guardia di Finanza di Lignano a zigzagare per le strade della Bassa friulana a bordo del mezzo. Gli agenti, impegnati nei controlli previsti per il contenimento da Covid 19, hanno notato come il carro funebre viaggiasse invadendo, a tratti, la corsia opposta di marcia. A quel punto è scattato un inseguimento tra le strade di Muzzana e successivamente il blocco del mezzo. Gli uomini delle Fiamme Gialle hanno così verificato lo stato di ubriachezza del conducente e hanno chiesto l’intervento dei carabinieri che, giunti sul posto, hanno sottoposto il guidatore all’alcol test. Il tasso era di 2.2 grammi al litro, ben oltre il consentito. Il guidatore, nonché titolare dell'azienda, è stato denunciato per ubriachezza e falsa attestazione. Tutti e quattro sono stati sanzionati per non aver rispettato le misure anti Covid 19.
Multa e denuncia per il “soggetto internazionale” che non ha fornito l'autocertificazione. Le Iene News l'11 aprile 2020. Sarebbero stati multati e denunciati i quattro fermati dai carabinieri nei giorni scorsi vicino al Lago di Garda: lo riporta la Gazzetta di Mantova. Il video del controllo è diventato virale in rete per l’incredibile risposta del conducente ai militari: “La certificazione è prevista per persone fisiche, non per il sottoscritto che è un soggetto di diritto internazionale”. Ve lo ricordate il “soggetto internazionale e diplomatico”, quello che “non mi serve l’autocertificazione”? Quello che non indossa la mascherina perché sarebbe “lesiva della mia persona”? Ecco, sembra che adesso per lui ci saranno dei grossi guai. Secondo quanto riporta la Gazzetta di Mantova, infatti, sia lui che i 3 passeggeri sarebbero stati multati e denunciati: resistenza per aver ostacolato i controlli e violazione della privacy dei militari ripresi senza il loro consenso. Non sarebbe nemmeno l'unico “soggetto internazionale” beccato a non rispettare le misure di contenimento per il coronavirus: un ciclista si è beccato ben tre multe. Vi abbiamo raccontato questa assurda vicenda pochi giorni fa: i militari hanno fermato una macchina a Monzambano, in provincia di Mantova vicino al Lago di Garda. Come si vede nel video, i carabinieri dopo aver fermato l’auto hanno chiesto informazioni ai quattro e lì è iniziato un dialogo surreale: “Dove state andando?”. “A fare una passeggiata”, risponde l’uomo. “Mi può dare i documenti?”, chiedono i militari. “No! Glieli mostro solo, si prenda i dati”. E poi, alla richiesta dell’autocertificazione, l’incredibile risposta: “Se la legga, non gliela do in mano perché sono atti privati. La certificazione è prevista per persone fisiche, non per il sottoscritto che è un soggetto di diritto internazionale. Siamo tutti dei diplomatici”. “La mascherina ce l’ha?”, chiedono sconfortati i carabinieri. “No! Credo che sarebbe lesiva della mia persona”. Chissà se anche la denuncia sarà lesiva del suo status internazionale.
Sfogo al supermercato: “Se mio figlio si ammala vengo con il mitra”. Le Iene News l'11 aprile 2020. Palermo, un addetto di un supermercato si è sfogato con la folla in fila per la spesa. “Non venite qui tutti i giorni a fare spese da 6 euro. Rischiamo per colpa vostra di contrarre sta ca**o di malattia”. “Non siamo i burattini di nessuno”. L'addetto di un supermercato di Palermo si è sfogato con la folla in fila in attesa di entrare a fare la spesa. “C’è gente che viene ogni giorno, anche due volte al giorno e non va bene. Rischiamo per colpa vostra di contrarre questa cazzo di malattia. Se contraggo il virus mio figlio si ammala vengo con il mitra. Guardate questi scontrini: 6 euro, 7 euro, 4 euro”. Alla fine del video parte anche l’applauso. Quello siciliano però non è il primo caso di supermercati usati come “scusa per fare una passeggiata”. Qualche giorno fa il gestore di un supermercato di Roma ci aveva contattato per segnalare un’anomali simile (leggi qui l'articolo). “C’è chi spende poco più di 6 euro. Chi neanche 4, chi invece si ferma addirittura a 79 centesimi. Non vengono per una necessità, ma per avere l’alibi dello scontrino per poter uscire da casa”.
Coronavirus, in fila per la mini spesa al supermercato: “Solo per l'alibi dello scontrino”. Le Iene News il 20 marzo 2020. Da quando sono scattate le norme per evitare i contagi da coronavirus è iniziato un nuovo fenomeno, quello delle “mini spese”. Ce ne parla a Iene.it il gestore di un supermercato di Roma. Ci dimostra come in una mattinata abbia fatto oltre 80 scontrini inferiori ai 10 euro. C’è chi spende poco più di 6 euro. Chi neanche 4, chi invece si ferma addirittura a 79 centesimi. Sono i totali degli scontrini dei “furbetti della spesa”. A farcelo notare è Marcello Cappelli che a Roma gestisce un supermercato con 40 dipendenti. Succede anche questo pur di non rispettare i divieti imposti dal governo per evitare i contagi da coronavirus, come potete vedere nel video qui sopra. “Ormai vedo entrare anche 3 o 4 volte al giorno le stesse persone. Fanno la fila, entrano e acquistano pochi prodotti da pochissimi euro per poi andarsene”, spiega Marcello a Iene.it. “Non vengono per una necessità, ma per avere l’alibi dello scontrino per poter uscire da casa”. Da quando tutta Italia è diventata zona rossa, anche Marcello è corso ai ripari: i clienti aspettano il loro turno in coda fuori a distanza di sicurezza. E nel supermercato si entra a piccoli gruppi e mai a coppie. “C’è chi si presenta con la moglie o il marito, chi addirittura arriva con la famiglia. Qui la gente ancora non ha capito la situazione”, dice Marcello. Ma è solo l’inizio di questa nuova moda. La gita al supermercato sta diventando il miglior passatempo in questo periodo in cui gli italiani dovrebbero uscire dalle loro case solo per “comprovate esigenze lavorative o per l’acquisto dei beni di prima necessità”, come dice il decreto. E di fatti un segnalatore ci ha spiegato che, fermato a un posto di blocco dopo essere uscito dal supermercato, le forze dell'ordine non si sono accontate di vedere la spesa, ma hanno chiesto anche lo scontrino. "E mi hanno spiegato di tenerlo sempre con me, per eventuali futuri controlli". “Il paradosso si vede alle casse. Stacchiamo scontrini da pochi euro, somme che non giustificano una spesa settimanale”, spiega Marcello che fa molto di più. Ci manda anche la schermata dei resoconti di cassa per dimostrarci quello che dice. In una sola mattinata sono stati staccati oltre 80 scontrini inferiori ai 10 euro. Uno addirittura da appena 79 centesimi. “In questo momento non si va al supermercato per spendere così poco, perché se si esce da casa per spendere 79 centesimi è solo per avere un alibi”, dice il titolare del supermercato. “Noi non ce la facciamo più. I miei ragazzi stanno facendo più di quanto dovremmo a livello di orario e carico di lavoro”. Il comune di Roma ha emesso un’ordinanza che impone nuovi orari di apertura. “La domenica dobbiamo chiudere entro le 15, ma io resterei chiuso tutto il giorno per evitare troppi assembramenti”, spiega Marcello, che oltre a essere titolare del supermercato è anche padre. “Ho 60 anni e sono spaventato da questa situazione, soprattutto quando torno a casa. Per questo ci vorrebbe l’esercito anche per le strade di Roma. Troppa gente sta sottovalutando la situazione”. Intanto dal Campidoglio fanno sapere che per tutto il fine settimana ci saranno posti di controllo per verificare chi si sposta e soprattutto per quali motivi.
Isabella Maselli per l'ANSA il 12 aprile 2020. Ha percorso quasi 100 chilometri da Bisceglie a Monopoli per sottoporsi ad un intervento di chirurgia plastica che le è costato la vita. Un arresto cardiaco subito dopo la somministrazione dell'anestesia locale, che sarà l'autopsia disposta dalla Procura di Bari a spiegare, ha ucciso la 37enne Alessia Ferrante, influencer pugliese. Sulla sua morte il pm Gaetano De Bari ha aperto un'inchiesta per omicidio colposo e delegato i primi accertamenti urgenti ai carabinieri. Il titolare del poliambulatorio privato dove la donna si stava per sottoporre all'intervento, il chirurgo plastico di Monopoli Francesco Reho, è stato sentito a sommarie informazioni subito dopo il fatto. E' stato lui a chiamare i soccorsi e ora è indagato. La sede del centro medico è stata sottoposta a sequestro e il magistrato conferirà nei prossimi giorni l'incarico per l'autopsia ad un medico legale e ad uno specialista in chirurgia plastica. "Siamo a disposizione degli inquirenti e collaboreremo, come abbiamo già fatto. Il dottor Reho è estremamente dispiaciuto e affranto per l'accaduto" ha dichiarato l'avvocato Gregorio Baldassarre, difensore del chirurgo, precisando che "i carabinieri non hanno dovuto procedere a sequestro con sigilli perché è stato il dottor Reho a mettere la struttura a disposizione per i necessari accertamenti". L'inchiesta si svilupperà su un doppio binario. Oltre ad accertare le cause del decesso ed eventuali responsabilità, il pm vuole vederci chiaro sul tipo di intervento al quale la donna si doveva sottoporre, se cioè fosse compatibile con le attività sanitarie urgenti non sospese per via dell'emergenza sanitaria coronavirus. La domanda alla quale l'indagine dovrà rispondere è se quel poliambulatorio poteva essere aperto e se poteva effettuare quel particolare intervento di asportazione di tessuto adiposo. Stando a quanto ricostruito fino a questo momento dagli investigatori, la donna, ieri pomeriggio, era arrivata nel poliambulatorio per sottoporsi ad un piccolo intervento di liposuzione in anestesia locale. Non era la prima volta che Alessia si sottoponeva a chirurgia plastica. Negli ultimi anni ne aveva fatti diversi, l'ultimo dei quali ad ottobre 2019 nella struttura del dottor Reho. Da allora aveva anche iniziato a collaborare come promoter dell'attività dell'ambulatorio. Ieri qualcosa è andato storto. Alessia Ferrante ha avuto un arresto cardiaco e i tentativi di rianimazione fatti dagli operatori sanitari del 118 chiamati dal medico non sono serviti a salvarla. Da Bisceglie, città di residenza della vittima e della sua famiglia, con il padre, Renzo Ferrante, che è un ex calciatore e dirigente sportivo della squadra giovanile del Bisceglie calcio, si sono levate numerose attestazioni di vicinanza per la scomparsa della 37enne. "Il dolore che ha colpito la famiglia Ferrante lascia tutti noi dell'Unione Calcio sgomenti e addolorati" ha scritto sulla pagina Facebook l'Asd Unione Calcio Bisceglie. Le ha fatto eco la As Bisceglie calcio. "A Renzo - hanno dichiarato - , bandiera storica del calcio biscegliese e dirigente responsabile del nostro settore giovanile, va il nostro più grande abbraccio".
Bari, l'influencer muore per intervento di chirurgia plastica. Il decesso è avvenuto in provincia, a Monopoli. La donna aveva 37 anni ed era figlia di un ex calciatore di serie A. Le amiche la ricordano su Instagram. La procura ha aperto un'inchiesta. Emanuela Carucci, Sabato 11/04/2020 su Il Giornale. Aveva deciso di sottoporsi ad un intervento di chirurgia plastica, Alessia Ferrante, un'influencer di 37 anni di Bari. Si trattava di un intervento di liposuzione alle cosce. La donna, però, è morta, ieri pomeriggio sotto i ferri in un ambulatorio privato di Monopoli. Ora, sul suo decesso, la procura della Repubblica di Bari ha aperto un'inchiesta e nel registro degli indagati sarebbe finito il medico che la stava operando. La 37enne era un'influencer nota nel campo della medicina estetica e del laser. La donna, secondo una prima ricostruzione dei carabinieri che stanno portando avanti le indagini, avrebbe perso i sensi e sarebbe andata in arresto cardiaco subito dopo la somministrazione dell'anestesia. Solo l'autopsia, però, potrà chiarire le cause della morte. A chiamare i soccorsi sarebbe stato proprio il titolare dello studio medico. Quando sono arrivati i sanitari del 118, però, non c'è stato nulla da fare. Il personale sanitario ha tentato inutilmente di rianimare la donna, come si legge sul giornale on line "Leggo". Il pm di turno, Gaetano de Bari, ha ordinato il sequestro della struttura e nelle prossime ore disporrà l'autopsia. Alessia Ferrante, oltre ad essere conosciuta in tutta Italia come modella, era anche figlia di Lorenzo Ferrante, ex calciatore di serie A, nelle squadre di Bisceglie e di Avellino, e oggi responsabile del settore giovanile del club pugliese. "Mio padre mi ha dato il regalo più grande che qualcuno potesse dare ad un'altra persona, mi ha insegnato a credere in me." scrisse la donna in un post su Instagram il 27 novembre scorso. La frase era stata pubblicata insieme ad una foto che la ritraeva da bambina accanto all'ex centrocampista. L'influencer, sul social network, aveva 107mila follower. Le amiche la ricordano sui social con alcuni post. "Nessuno muore sulla terra finché vive nel cuore di chi resta. Ciao Alessia. Non ci credo ancora" scrive Francesca. E, ancora, "Ieri sera abbiamo riso e chiacchierato come due cretine in videochiamata e poi vengo a sapere che sei volata lassù, no Ale" scrive Guendalina, un'altra sua amica. Infine "Che risveglio brutto - scrive Alessandra, continuando - Quante risate mi hai fatto fare, troppo carismatica e simpatica, non è giusto, manchi già". La società "Bisceglie Calcio", come si legge sul giornale on line "Tutto calcio Puglia", "porge le più sentite condoglianze a mister Renzo Ferrante, per la perdita improvvisa della cara figlia Alessia. A Renzo, bandiera storica del calcio biscegliese e dirigente responsabile del nostro settore giovanile, va il nostro più grande abbraccio".
Monopoli, muore a 37 anni durante intervento di chirurgia plastica: Procura apre inchiesta. La donna, un'influencer, è andata in arresto cardiaco subito dopo l'anestesia. È accaduto in un poliambulatorio privato. la Gazzetta del Mezzogiorno l'11 Aprile 2020. La Procura di Bari ha aperto un’inchiesta sulla morte di una 37enne di Bisceglie, Alessia Ferrante, ieri pomeriggio durante un intervento di chirurgia plastica in un poliambulatorio privato di Monopoli. La donna, una influencer, sarebbe andata in arresto cardiaco subito dopo la somministrazione dell’anestesia. È stato il titolare dello studio medico a chiamare i soccorsi. Quando l’ambulanza è arrivata gli addetti del 118 hanno tentato invano manovre rianimatorie. Il pm di turno, Gaetano de Bari, ha ordinato il sequestro della struttura e nelle prossime ore disporrà l'autopsia. Il titolare del poliambulatorio di Monopoli dove ieri è morta la 37enne Alessia Ferrante, il chirurgo plastico Francesco Reho, è formalmente indagato per omicidio colposo. Il professionista è già stato sentito dai Carabinieri, fornendo la sua ricostruzione dell’accaduto. Stando a quanto accertato finora, la donna si sarebbe dovuta sottoporre, in anestesia locale, ad un intervento di asportazione di tessuto adiposo dalle gambe. Immediatamente dopo la somministrazione del farmaco anestetico, la 37enne ha avvertito un malore. In passato si era sottoposta a diversi altri interventi di chirurgia plastica in altri studi medici, mentre l’ultimo, risalente all’ottobre 2019, era stato eseguito nello stesso poliambulatorio del dottor Reho. La Procura di Bari disporrà accertamenti per capire se l’intervento di asportazione di tessuto adiposo al quale si sarebbe dovuta sottoporre la influencer 37enne di Bisceglie, deceduta ieri in un poliambulatorio di Monopoli, era un intervento sanitario urgente non rinviabile per via dell’emergenza coronavirus in corso che ha sospeso diverse attività mediche. Lo si apprende da fonti giudiziarie. Sul caso indagano i carabinieri, coordinati dal pm Gaetano de Bari, che valuterà anche eventuali irregolarità nell’attività della struttura legate all’attuale emergenza Covid-19.
L'AVVOCATO DEL MEDICO - «Siamo a disposizione degli inquirenti e collaboreremo, come abbiamo già fatto. Il dottor Reho è estremamente dispiaciuto e affranto per l’accaduto». Lo dichiara l’avvocato Gregorio Baldassarre, difensore del chirurgo plastico di Monopoli, Francesco Reho, indagato per omicidio colposo nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Bari sul decesso della 37enne di Bisceglie Alessia Ferrante. Il medico - sottolinea il difensore - era in procinto di eseguire sulla donna un piccolo intervento di asportazione di tessuto adiposo quando, subito dopo l’anestesia, la paziente ha avuto un arresto cardiaco ed è morta. Il medico è stato sentito ieri dai carabinieri prima di essere iscritto nel registro degli indagati. «Gli investigatori - precisa l’avvocato - non hanno dovuto procedere a sequestro con sigilli perché è stato il dottor Reho a mettere la struttura a disposizione per i necessari accertamenti. Il professionista - aggiunge il legale - è particolarmente dispiaciuto perché con la donna c'era un anche un rapporto di collaborazione professionale, in quanto lei era una promoter delle attività dell’ambulatorio».
IL CORDOGLIO DEL CALCIO BISCEGLIESE - «Il dolore che ha colpito la famiglia Ferrante lascia tutti noi dell’Unione Calcio sgomenti e addolorati. Ci stringiamo in un abbraccio all’amico fraterno Renzo ed alla sua famiglia per la prematura ed improvvisa scomparsa della adorata figlia Alessia». Il messaggio di cordoglio è scritto sulla pagina Facebook dell’Asd Unione Calcio Bisceglie e fa riferimento al decesso della influencer 37enne di Bisceglie morta ieri durante un intervento di chirurgia estetica in un poliambulatorio privato di Monopoli, su cui indaga la Procura di Bari. Il padre della vittima, Renzo Ferrante, è un ex calciatore biscegliese e attuale dirigente e allenatore delle giovanili dell’Unione calcio Bisceglie. Sui social anche «l'associazione sportiva Bisceglie Calcio porge le più sentite condoglianze a mister Renzo Ferrante, per la perdita improvvisa della cara figlia Alessia. A Renzo - si legge nel messaggio -, bandiera storica del calcio biscegliese e dirigente responsabile del nostro settore giovanile, va il nostro più grande abbraccio».
Sette multe in pochi giorni: "Avevo bisogno di prendere aria". L'uomo dei record è un ingegnere di 62 anni residente in Romagna: è stato multato per ben 7 volte nel giro di pochi giorni. La spiegazione è sempre la stessa: "Avevo bisogno di prendere aria, non ce la faccio a stare troppo tempo chiuso in casa". Alessandro Ferro, Sabato 11/04/2020 su Il Giornale. Lo stress da quarantena si fa sentire più o meno in tutti noi, alzi la mano chi afferma il contrario. A tutto, però, c'è un limite: un 62enne ingegnere di Riccione è stato fermato sette volte nel giro di pochi giorni per non aver rispettato le misure anti-Covid. Ovviamente, ricevendo altrettante multe, sette.
Fermato sette volte. Se ci fosse un albo dei guinness per la categoria, sarebbe certamente da record nazionale. In ordine cronologico, l'ultimo stop all'uomo è giunto un paio di giorni fa quando i carabinieri lo hanno intercettato al varco tra due comuni della provincia di Rimini, Coriano e Montescudo, in Valconca.
"Devo prendere aria". Il 62enne ingegnere residente a Riccione ma originario di Bologna, secondo quanto riportato dal quotidiano locale Chiamacittà, vagava serenamente in sella alla sua bicicletta, a godersi l'aria di primavera giunta ormai anche in Romagna quando è stato fermato dai militari, per la settima volta. Nel momento di fornire una spiegazione al perché si trovasse in giro lontano da casa, l'uomo avrebbe replicato dicendo di avere bisogno di "prendere aria" e di non riuscire a stare chiuso in casa. Il cittadino, non solo non si è inventato scuse particolari, ma ha replicato con sincerità. "Ho bisogno di prendere aria, chiuso in casa per troppo tempo non ci posso stare”, sottolineando come non gli importi nulla delle multe e che impegnerà una parte dei suoi risparmi per pagarle.
Due stop in un giorno. Tra uscite in auto, a piedi o in bici, la multa sulle strade della Valconca, come detto, è stata la settima ma c'è anche un record nel record: in una sola giornata, la scorsa domenica, era stato sorpreso per ben due volte, una a Riccione e l'altra in auto a Cattolica. Nonostante la recidività dell'uomo, non è stato l'unico ad incappare nei severi controlli romagnoli: una coppietta di fidanzatini è stata sorpresa ad amoreggiare in auto dalla Polizia municipale di Rimini. In questo caso, oltre alla multa, è arrivata pure una denuncia per atti osceni in luogo pubblico.
Operazione "Pasqua sicura". In Romagna i controlli sono serratissimi: come riporta Blitzquotidiano, è già partita l’operazione "Pasqua sicura" dei carabinieri di Rimini con servizi straordinari di controllo sulle strade e nei centri turistici di Rimini, Riccione, Cattolica, Bellaria Igea Marina e Santarcangelo di Romagna. Saranno impiegate 85 pattuglie al giorno con rinforzi dei carabinieri di Bologna lungo il litorale. In particolare, sono previsti posti di controllo e posti di blocco sulla via Adriatica, la via Emilia e le principali strade consolari e strade minori. Grazie al pattugliamento svolto anche con l’elicottero dell’Elinucleo di Forlì-Cesena, nelle ultime ore sono state controllate 241 persone, 12 esercizi commerciali e 45 persone sono state multate.
Coronavirus: “Camminavo con il mio cane: mi sono trovato picchiato e multato”. Le Iene News il 10 aprile 2020. “Mi hanno messo le mani addosso, mi sono difeso: mi hanno picchiato lasciandomi a terra sanguinante”. Luciano Sortino ci ha contattato per darci la sua versione di una colluttazione con i carabinieri dopo un controllo sui divieti in quarantena a Stiva (Lucca). L’Arma: “È stato lui ad aggredire i militari”. “Stavo portando a spasso il canino, al massimo a 600 metri da casa, non davo noia a nessuno, non potevo contagiare nessuno”. Luciano Sortino, 53 anni, ci ha contattato per raccontarci la sua versione di quanto è accaduto ieri pomeriggio, giovedì 9 aprile, a Stiva, una frazione di 5.000 abitanti di Massarosa in provincia di Lucca (la foto sopra è un'immagine generica di controlli). “Mi hanno fermato i carabinieri, mi hanno detto che non avevo la mascherina ed ero troppo lontano da casa”, sostiene al telefono con Iene.it. “Ho detto di non stare nemmeno a scrivere il mio nome tanto sono disoccupato e 280 euro di multa non li posso pagare. Mi hanno messo le mani addosso. ‘Guardi che le mani addosso non me le potete mettere’, ho reagito. Hanno cominciato a spintonarmi, io mi sono difeso con un calcio. Mi hanno buttato a terra, picchiato sulla fronte e sul volto, davanti a testimoni, sanguinavo in faccia, mi hanno portato per un’ora e mezzo in caserma”. “Sono andato al pronto soccorso e mi hanno dato 5 giorni di prognosi”, conclude Luciano Sortino. “Ora voglio denunciarli. Tra l’altro, dopo che mi hanno licenziato da un calzaturificio, io i 280 euro per la multa non ce li ho proprio”. Marco Cesari ci ha detto al telefono di essere stato testimone dell'accaduto: "L'hanno scaraventato in terra, con le ginocchia sulla testa e l'hanno picchiato". “Il soggetto si era rifiutato di dare i documenti ed è stato lui a colpire con un calcio e con un pugno”, fanno sapere i carabinieri. “Smentiamo assolutamente che sia stato colpito per primo. È stato solo bloccato a terra e portato in caserma”.
Torre del Greco, urla contro i carabinieri: "Vi denuncio". Le Iene News il 7 aprile 2020. Il video è stato pubblicato sui social e il protagonista riprende e urla contro i carabinieri che gli stanno facendo un verbale. “Mi stai finendo di infangare, questa è l’Italia”. Un altro video di urla e insulti contro i carabinieri sta girando online. Siamo a Torre del Greco, nel video pubblicato sui social si sente l’uomo che sta riprendendo che inveisce contro gli agenti intenti a fargli il verbale. “Non ho soldi per mangiare e loro mi stanno facendo 300 euro di multa”, urla l’uomo. “Io ho assicurazione, patente, tutto e mi stai facendo il verbale!”. L’uomo continua a urlare e a dire che i carabinieri gli stanno facendo un verbale senza motivo. Il carabiniere risponde: “Lei aveva il casco e non era allacciato”. “Mi state lasciando senza niente”, urla l’uomo. “C’è un problema che sta uccidendo le persone e si mettono a fare le multe. Sono andato a fare la spesa per mio figlio di due anni, mi hanno fermato e mi stanno prendendo la moto”. E chiede addirittura ai carabinieri di fornire i documenti: “Mi servono i vostri documenti che vi voglio denunciare”.
Da leggo.it il 6 aprile 2020. Coronavirus, grigliata abusiva in un condominio oggi a Padova con la partecipazione di 12 ragazzi, tutti denunciati per violazione delle norme anti assembramento. A scoprirla è stata la polizia di Padova intervenuta con diverse pattuglie su segnalazione di vicini di casa. Tutto è cominciato quando sulla linea del 113 è arrivata la segnalazione di un cittadino che denunciava una festa in atto nel condominio di via Trieste al numero civico 6. Sono state subito allertate una squadra del Reparto mobile, diverse pattuglie della Volante e un equipaggio della Digos. All'arrivo, la Polizia ha trovato una dozzina di ragazzi intenti a consumare una grigliata con accompagnamento di musica a pieno volume. Tutti sono stati sanzionati per violazione delle disposizioni governative anti Covid 19. I non residenti in loco, infine, sono stati allontanati e inviati alle rispettive abitazioni.
Da leggo.it. il 6 aprile 2020. Sei giovani che nella serata di sabato si erano ritrovati a casa di uno di loro, in un appartamento alla periferia di Pavia, per trascorrere qualche ora all'insegna di alcol e divertimento, si sono visti infliggere una multa complessiva di 2.400 euro (400 euro a testa). La festa che avevano organizzato non è infatti consentita dal decreto del governo (che vieta gli assembramenti anche tra le mura domestiche) per il contenimento del coronavirus. A darne notizia è oggi il quotidiano «La Provincia pavese». I sei amici hanno iniziato a bere e a fare schiamazzi. Le loro urla hanno infastidito i vicini, che a quel punto hanno avvisato la polizia. Un equipaggio della Volante è arrivato subito sul posto: per i sei ragazzi è scattata la sanzione.
Coronavirus, esce a fare la spesa 11 volte: 280 euro di multa. Annalibera Di Martino il 07/04/2020 su Notizie.it. Una donna a Grado è uscita 11 volte durante il giorno per fare la spesa. I vigili l'hanno fermata e sanzionata per violazioni del decreto. Una donna a Grado in piena emergenza coronavirus è uscita 11 volte per fare la spesa. Per lei è subito scattata una multa di 280 euro. Continuano le sanzioni per tutti coloro che ancora non rispettano le regole: restrizioni sempre più severe dal Viminale. La polizia locale a Grado ha sanzionato una donna con una multa di 280 euro per essersi recata 11 volte nello stesso giorno a fare la spesa. La vicenda verificatasi nel friulano, sembra avere dell’incredibile, ma è solo una delle tante storie che sempre di più, in tempi di coronavirus si sentono in giro per l’Italia.
La donna, un’anziana del posto, era stata notata dai vigili più volte nella stessa giornata. Con il pretesto di acquistare beni alimentari di prima necessità si era recata al supermercato ben undici volte. I vigili, inizialmente dopo averla incontrata un paio di volte le hanno chiesto gentilmente di restare a casa. Niente da fare: la donna è stata incrociata l’undicesima volta e si è preceduto a sanzionarla. Controlli a tappeto per la polizia locale lungo le strade del paesino turistico, davanti a tutti i supermercati. Il caso di Grado non è il primo di violazioni delle disposizioni del decreto del governo. In tutta Italia sono tantissimi i casi e soltanto nei primi giorni di aprile sono state fatte 15 mila multe per violazione di quarantena. Dal Viminale sui social hanno fatto sapere che “dall’11 marzo al 2 aprile 2020 sono state infatti controllate complessivamente 4.375.624 persone e 1.946.991 esercizi commerciali”. In due giorni si è arrivati a 15 mila sanzionamenti: 7.080 il 1 aprile ed il 7.659 il 2 aprile.
Ersilio Mattioni per ilfattoquotidiano.it il 5 aprile 2020. La briscola è sacra, anche ai tempi del coronavirus. Tanto da sfidare una pandemia, un decreto del Governo e un’ordinanza del sindaco. Succede a Castano Primo, comune dell’hinterland milanese a pochi passi dall’aeroporto di Malpensa, dove un gruppo di pensionati si imbosca in campagna per giocare a carte, dopo aver ideato perfino un piano. Non sono gli unici, nella zona a nord di Milano, a violare il divieto di uscire di casa “senza una valida ragione”. Si contano anche innumerevoli fughe d’amore, tutte finite male. Ma il caso degli anziani giocatori di briscola ha fatto il giro della provincia, anche perché i sei pensionati – di età compresa tra i 65 e i 75 anni, quindi tra le persone più a rischio – avevano messo a punto una vera e propria strategia in quattro mosse. Intanto, hanno eluso la sorveglianza dei familiari con scuse credibili: dalle visite mediche alle code per fare la spesa. Poi, hanno evitato di farsi notare dagli agenti della Polizia locale, che controllano i movimenti in paese. Per questo ognuno raggiungeva il luogo convenuto, a piedi oppure in bicicletta, usando un percorso diverso. Inoltre, per non incontrare nessuno, gli anziani si sono radunati lungo l’alzaia del Canale Villoresi in una specie di anfratto, scelto proprio perché al riparo da occhi indiscreti. Da ultimo, un dettaglio non trascurabile: la logistica, che consisteva in un tavolo e sei sedie. Allestimento trasportato all’alba per non correre rischi. Un piano perfetto. Guastato però dalla passione per il gioco, che spesso porta ad alzare la voce e imprecare, soprattutto quando il tuo socio sbaglia a giocare una briscola o non butta il carico al momento giusto. Così un cittadino, insospettito, prima è andato a verificare e poi ha informato i vigili, che pochi minuti più tardi hanno colto i pensionati nella più classica flagranza di reato, gomito a gomito e senza neppure le mascherine. Gli agenti hanno chiuso un occhio: niente denuncia e neppure una multa, solo una ramanzina. Amaro il commento del sindaco di Castano Primo, Giuseppe Pignatiello, ancora oggi basito: “Con una pandemia globale e con misure restrittive che in Italia non si vedevano dalla Seconda guerra mondiale, con tutti sigillati in casa, secondo voi è normale che io debba mandare la Polizia locale a chiudere un ritrovo lungo il canale, perché un gruppo di cittadini va a giocare a carte?” Decisamente più raffazzonate le numerose fughe d’amore. Due, in particolare. La prima riguarda un 25enne di Vittuone che ha sconfinato nella vicina Cornaredo per andare a trovare la fidanzata. Un pomeriggio di effusioni che sarebbe finito senza conseguenze, se il ragazzo fosse tornato dritto a casa, invece di concedersi un giretto in centro, sorseggiando una birra e fumando una sigaretta. Notato dai Carabinieri, ha confessato senza accampare scuse. Ma questo non gli è bastato per evitare una denuncia. Una sorte simile è toccata un 17enne di Corbetta, che ha atteso la mezzanotte per montare in sella al suo scooter e dirigersi ad Abbiategrasso, dove lo attendeva la sua ragazza. L’adolescente aveva studiato il tracciato per evitare le strade principali, di norma più controllate. Così era passato attraverso paesini e frazioni. Ce l’aveva quasi fatta. Le Forze dell’ordine lo hanno fermato a pochi passi dalla meta, cioè dall’abitazione della sua amata. Nessuna denuncia, ma una telefonata ai genitori. Che, arrabbiatissimi, sono venuti a riprendersi il figlio, sequestrandogli seduta stante le chiavi della moto.
Da roma.corriere.it il 3 aprile 2020. La fila già di prima mattina per il rifornimento di frutta e verdura. Poi la coda si ingrossa, diventa fitta fino ad assumere i connotati di assembramento nonostante i divieti imposti per evitare la diffusione del coronavirus. Così alcuni residenti di Trastevere chiamano il municipio I perché lì, a piazza San Cosimato, il mercato rionale ha riaperto i battenti e c’è la calca. Quindi scatta il blitz dei vigili urbani, attivati dal Campidoglio per ripristinare l’ordine. La scena risale a lunedì scorso ma già qualche giorno prima c’era stato un caso simile, distanze di sicurezza azzerate, al mercato Trionfale. Questo perché da quelli in via Niccolini e piazza San Giovanni di Dio, a Monteverde Vecchio, al mercato Vespri Siciliani, nei pressi di piazza Bologna, fino a Ostia e, come detto, Trionfale e San Cosimato, seppure seguendo precise prescrizioni, i banchi di frutta e verdura tornano ad occupare le piazze andando oltre il divieto fissato dal Dpcm dell’11 marzo, quello che di fatto ha blindato in casa gli italiani e chiuso le attività di vendita al dettaglio, generi alimentari a parte ma mercati all’aperto compresi. Il provvedimento è necessario, però manda in sofferenza l’intero settore del commercio: oggi, infatti, la Regione Lazio presenta un pacchetto di misure anti-crisi che, probabilmente, toccherà il tema degli affitti dei negozi. I problemi a Roma sui mercati rionali, però, sono pure tema sociale: i municipi temono la desertificazione e spingono per riaprirli, mentre il Campidoglio tende a tenere tutto chiuso il più possibile. Così, a seguito di una nota urgente diramata dalla Polizia locale di Roma Capitale lo scorso 13 marzo, ovvero due giorni di riflessione dopo il Dpcm, scatta il compromesso che porta le piazze a veder balenare una nuova possibilità per far tornare a battere il cuore commerciale dei quartieri: «Sarà sottoposta a valutazione la possibilità per gli operatori di presentare un progetto volto ad assicurare lo svolgimento dell’attività mercatale nel rispetto delle condizioni di sicurezza previste dalla normativa». In pratica, gli operatori elaborano un progetto «che includa una recinzione ed un presidio adeguato a contingentare gli accessi e a mantenere la distanza di sicurezza» e, se viene approvato dal municipio competente, incassano il nullaosta per tornare in piazza a vendere frutta e verdura. Tutto fila finché le prescrizioni non saltano, come lunedì scorso a piazza San Cosimato e come talvolta succede nelle altre zone della città, tanto che ormai i vigili sono costretti a fare le sentinelle. «Il primo controllo deve essere municipale: alcuni municipi come il VII e il X controllano tutti i mercati, ma altri, tipo il municipio I, li vedo disattenti e a volte dobbiamo essere noi a intervenire», dice il presidente della commissione capitolina Commercio, Andrea Coia.
Dagospia l'1 aprile 2020.Riceviamo e pubblichiamo: Sono il padre di un passeggero rientrato da Londra il 26 marzo u.s. con il volo AZ209. Al controllo passaporti, prima delle corsie dedicate al passaggio di polizia, una massa di gente accalcata cercava il modulo di autocertificazione distribuito dalla Polizia: nessuna distanza di sicurezza e alcuni agenti non indossavano la mascherina o i guanti. Era presente 1 SOLO addetto del ministero della salute con un termoscanner manuale ma ho visto prendere la temperatura ad una sola persona. Stimo fossimo almeno 300 visto che il tempo di attesa di quasi un’ora ha fatto in modo che 3 voli da Londra si sovrapponessero. Considerando che ogni giorno arrivano circa 700 persone da Londra, sommando gli altri 82 voli che Alitalia svolge giornalmente e tutti transitano per il T3, quante persone entrano nel nostro paese e non vengono controllate? Non è stato possibile girare alcun video poiché i poliziotti hanno espressamente vietato le riprese pena il sequestro del dispositivo. Questo mi fa capire che qualcuno è cosciente della irregolarità ma vuole tacere tutto. Io invece vorrei denunciare la cosa ma non so come veicolarla per timore venga insabbiato tutto, consapevole che è proprio il Ministero della Salute che è inadempiente: sappiate che fino a che il T1 era funzionante erano stati inseriti i termoscanner a soffitto con un operatore (protezione civile) per ogni corsia di uscita dopo i tornelli. TUTTI i passeggeri venivano controllati: adesso che anche gli altri paesi sono diventati “untori”, come ci consideravano poco tempo fa a noi italiani, noi non li controlliamo tutti? La cosa non può passare sotto tono sono alla ricerca di un efficace mezzo per denunciare questo vergognoso accaduto che ritengo si ripeta quotidianamente.
PS. Ieri sera, per il volo proveniente da MADRID l’Alitalia ha dovuto mandare i propri medici per tutelare i controlli altrimenti carenti.
Da repubblica.it il 6 aprile 2020. Una famiglia di piemontesi, arrivata nella tarda serata di ieri nella seconda casa di Ospedaletti (Imperia), è stata allontanata dai vicini e sul caso sono in corso accertamenti da parte dei carabinieri della stazione del posto. Secondo quanto ricostruito, i turisti sarebbero arrivati sul tardi, forse per evitare di dare troppo nell'occhio. Evidentemente però non sono stati così accorti da non farsi sentire. A quel punto i vicini, sapendo che l'abitazione era una seconda casa, sono usciti per protestare, convincendo i piemontesi a andarsene: "Così ci contagiate, tornate a casa vostra". Dell'episodio sono stati avvisati questa mattina i militari che stanno ricostruendo la vicenda. Fin dal venerdì sera le forze dell'ordine hanno allestito posti di blocco ad hoc proprio per sorvegliare le strade verso la Riviera e la montagna. "Facciamo particolare attenzione al weekend su tutti i fronti - spiega la questura di Torino - dai parchi alle arterie stradali e autostradali, i controlli messi in campo sono più intensi anche alla luce delle ordinanze adottate dalla Regione. Non abbassiamo la guardia". In Liguria in molti casi, come ad Imperia, sono stati i residenti a denunciare l'arrivo dei turisti, mentre a Sauze d'Oulx il sindaco Mauro Meneguzzi ha invocato persino l'arrivo dell'esercito. Il primo cittadino ha inviato ieri una richiesta formale al prefetto di Torino Claudio Palomba e al governatore del Piemonte Alberto Cirio: "Siamo il Comune dell'Alta Valle di Susa con il maggior numero di positività al Covid-19 e quasi 40 persone sono in quarantena obbligatoria domiciliare - ha scritto Meneguzzi - Comprendo la voglia di scappare dai centri urbani e rifugiarsi nella seconda casa in montagna, ma ciò non è accettabile. Tutti gli sforzi del nostro Comune, dove da quattro giorni non si rilevano nuove positività, non può essere vanificato dall'arrivo di persone esterne". Ma visto il numero esiguo di uomini della polizia locale per presidiare 24 ore al giorno tutti gli accessi al paese, "l'unico sistema sarebbe l'affiancamento dell'esercito alle forze di polizia locali", per intercettare i trasgressori e multarli, a soprattutto farli tornare da dove vengono.
Positiva al coronavirus affitta l'ambulanza e da Bergamo va in ospedale a Siena con la sorella. Una delle due è domiciliata nella città Toscana. Hanno perso entrambi i genitori per il virus. La Repubblica il 3 aprile 2020. Affittano un'ambulanza con autista, come fosse un taxi, per farsi portare da Bergamo a Siena e farsi curare. Due sorelle lombarde hanno assistito i due genitori poi morti di coronavirus alcuni giorni fa a Bergamo. Una delle due è risultata positiva al tampone. Incurante della cosa, assieme alla sorella che è domiciliata a Siena, ma che ha soggiornato negli ultimi tempi a Bergamo, si è messa in viaggio. L'Azienda ospedaliero-universitaria senese adesso ha dato mandato al proprio ufficio legale di sporgere denuncia nei confronti delle due donne che, raggiunta la Toscana, si sono presentate al pronto soccorso del policlinico Santa Maria alle Scotte per essere assistite. "È una storia che ci ha lasciati increduli - spiega Valtere Giovannini, direttore generale dell'Aou Senese - Non solo per come è avvenuta ma anche perché non è accettabile che una persona positiva al coronavirus, insieme a sua sorella, sia riuscita ad affittare un'ambulanza privata con autista e a farsi portare in un'altra regione senza alcun lasciapassare sanitario e soprattutto senza la certezza di un trasporto sanitario protetto". "Le signore hanno annunciato la loro venuta, contestualmente alla notizia di positività certa di una delle due, quando erano a pochi chilometri dall'ingresso del pronto soccorso delle Scotte, contattando il 118 che ha immediatamente avvisato i colleghi del pronto soccorso senese, dove sono state prese tutte le precauzioni del caso. La sorella positiva al Covid è stata subito ricoverata mentre l'altra è stata immediatamente sottoposta agli accertamenti ed è stata ricoverata anche lei in via precauzionale. "La signora - prosegue Giovannini - ha riferito di aver deciso di venire a farsi curare a Siena dove risiede la sorella, a seguito della scomparsa dei genitori. Comprendiamo la drammaticità della situazione ma non si può mettere a rischio la salute degli altri. Se ci avessero informato preventivamente o per il tramite del nostro Sindaco, avremmo organizzato, se possibile nell'attuale quadro normativo, un trasporto sanitario protetto. Sia la Toscana che la città di Siena hanno una grande tradizione di accoglienza e ospitalità ma in questo modo riteniamo che ci sia stata una violazione dell'ordine e della salute pubblica". "Chi bussa al nostro ospedale trova sempre cura e accoglienza ma, in questo caso, troverà anche una denuncia perché è inconcepibile che queste persone abbiano affittato un'ambulanza privata, percorrendo indisturbate oltre 400 chilometri. Abbiamo subito provveduto ad informare Procura della Repubblica, Prefettura, Questura, Sindaco di Siena e Regione Toscana - conclude Valtere Giovannini - per tutte le opportune verifiche del caso e per evitare che accadano cose del genere. Abbiamo fatto di tutto e continueremo a fare di tutto per mettere in sicurezza la città e il nostro ospedale e simili accadimenti non possono e non devono verificarsi".
Pietro Senaldi per “Libero quotidiano” il 3 aprile 2020. Tentativi di suicidio di massa sono in corso a Napoli e Palermo. Le foto che ci arrivano dai due capoluoghi meridionali sono spaventose. Complice ancora una volta la comunicazione contraddittoria del governo, gli abitanti delle due città sono tornati in strada come nulla fosse. È bastato che la ministra dell' Interno Lamorgese concedesse un' ora d' aria a bambini e anziani perché i vicoli partenopei si ripopolassero e perché riaprisse il mercato all' aperto di Ballarò. La retromarcia innescata da Conte, benché stavolta avvenuta a orari decorosi e non in piena notte, non è servita a svuotare le strade. Se l' Italia non ha (ancora) superato i 20-30mila morti per Covi-19 è solo perché il virus non ha sfondato al Sud. Ma questo, a vedere certe immagini, è un miracolo di San Gennaro e Santa Rosalia e non è il risultato di un comportamento responsabile della cittadinanza. Visto da Milano, il governatore campano De Luca può sembrare pittoresco quando minaccia di mandare i poliziotti con il lanciafiamme da chi organizza ritrovi o feste di laurea, così come aveva fatto discutere lo scontro del presidente siciliano Musumeci e del sindaco di Messina, anch' egli di nome De Luca, con il Viminale, accusato dai due amministratori di non aver presidiato adeguatamente lo Stretto.
PRESA ALLENTATA Però le foto che arrivano dal Mezzogiorno fanno capire che la battaglia dei due governatori per contenere le loro popolazioni è sovrumana. Come del resto quella del presidente pugliese Emiliano, nella cui terra il Covi-19 è stato portato dagli immigrati di ritorno, partiti in massa dal nord sui treni del contagio, quando Palazzo Chigi lasciò filtrare, con ore d' anticipo, il contenuto del decreto che vietava gli spostamenti lungo il Paese. La paura è che il peggio sia da venire. Appena si allenta la presa il Meridione si riversa in strada, incurante della lezione della peste manzoniana e dell' influenza spagnola, le cui seconde ondate, seguite a un tentativo di ritorno alla vita normale, ammazzarono il doppio di persone delle prime. Tra pochi giorni si entra nella settimana della Pasqua, che in molte aree del Mezzogiorno è sentita quanto, se non più, del Natale. Sono otto giorni di riti religiosi, tradizioni sociali, abitudini alimentari. Il giovedì santo a Napoli è il giorno dello struscio. Le pasticcerie della città sono chiuse ma i telefoni sono attivi e non c' è chi non abbia prenotato la sua immancabile pastiera per il giorno di Pasqua. Il governatore De Luca ha chiuso le pizzerie d' asporto, aperte in molte altre Regioni, ma questo non è significato una chiusura dei forni, che sono ancora attivi e consegnano clandestinamente. Alla Margherita non si rinuncia, e non solo nei quartieri popolari. C' è poi l' allarme processioni. All' inizio di marzo a Sala Consilina, Comune dell' entroterra salernitano, una funzione religiosa, dove tutti bevettero dallo stesso calice, provocò una strage di anziani. Il territorio meridionale, ricco di Comuni che si sono riempiti con la pandemia grazie agli immigrati di ritorno in fuga dal Nord infetto, appare fuori controllo.
La preoccupazione delle autorità per le celebrazioni della Settimana Santa è massima.
In Puglia la situazione sembra migliore, perché la Regione ha giocato d' anticipo. Il governatore Emiliano ha chiuso le scuole due giorni prima dell' ordinanza del governo, sfidando l' esecutivo, che aveva impugnato l' analoga decisione delle Marche, ora quarta quanto a contagi, malgrado abbia solo un milione e mezzo di abitanti. Il sindaco di Bari, De Caro, poi ha girato il lungomare per giorni, rimandando a casa personalmente i cittadini, che non riuscivano a rinunciare all' inverata abitudine di sedersi sulle panchine a prendere il sole. A oggi, quasi tutti i duemila e passa malati pugliesi sono stati contagiati a causa della fuga in massa del 7 marzo da Nord, quando 30mila persone, stipate sui treni o in auto, arrivarono in un fine settimana.
Prima, il governatore era riuscito a imporre la quarantena ai molti studenti rientrati dopo la chiusura delle università del Nord, a fine febbraio.
COCKTAIL LETALE La buona notizia che il Sud, in due mesi di pandemia, ha registrato poco più di trecento vittime, sulle 14mila complessiva, accompagnata all' approssimarsi della Pasqua e alla confusione del governo nella gestione dei primi dati positivi sullo sviluppo dell' epidemia, con un allentamento poi rimangiato in poche ore, rischia di creare cocktail letale in grado di aprire le porte al virus anche nel Mezzogiorno. Specie se, ancora una volta, l' esecutivo lascerà a loro stessi i governatori meridionali, quando non gli metterà i bastoni tra le ruote, come ha fatto in Lombardia e Veneto. riproduzione riservata Nelle due fotografie ai lati, le strade di Napoli piene di gente (però con indosso la mascherina protettiva...).
L'allarme del sindaco Bucci: "In una settimana i movimenti dei genovesi sono aumentati del 20%". E annuncia una nuova stretta sui controlli e sulle sanzioni. Michela Bompani su La Repubblica l'8 aprile 2020. "In una settimana i genovesi hanno ricominciato a uscire: il 20% in più. Questo è inaccettabile, l'emergenza non è finita": il sindaco di Genova, Marco Bucci, rivela un dato allarmante, proprio nel momento in cui la curva dei contagi è prossima alla discesa e la pressione sugli ospedali sta cominciando ad alleggerirsi. "Abbiamo rilevato i movimenti dei genovesi martedì 31 marzo e poi martedì 7 aprile - dice il sindaco - e abbiamo riscontrato un aumento del 20% di movimento". Il dato è preoccupante perchè alla vigilia di un "ponte" pasquale dove l'allerta è massima proprio per scongiurare una resa dei genovesi alle rigide disposizioni imposte alla popolazione per l'emergenza coronavirus: "Bisogna stare a casa, è necessario adesso così come prima - Bucci non sa più come ripeterlo - se vogliamo tornare a uscire in tempi ragionevolmente brevi, dobbiamo stare ora a casa". E comunque il sindaco, che domani parteciperà a un vertice con il presidente della Regione, Giovanni Toti, e tutti i sindaci dei capoluoghi liguri, è pronto ad assumerte misure ancora più rigorose: "Intensificheremo i controlli, invierà ancora più uomini nelle strade, questa partita si vince se si gioca bene e con il 20% in più di persone per strada si rischia di tornare indietro".
Chiara Severgnini per corriere.it il 3 aprile 2020. Una foto di via Sestri, a Genova, piena di gente che passeggia: anziani, bambini, adulti con e senza mascherine. E poi un’altra foto, scattata in un ospedale ligure, con un malato attaccato agli ormai noti caschi per l’ossigeno, circondato da medici. Il presidente della regione Liguria Giovanni Toti le ha scelte per lanciare un messaggio ai suoi concittadini su Instagram. «Queste sono le immagini di via Sestri a Genova questa mattina. Così proprio non ci siamo. Vorrei chiedere a questi sconsiderati cittadini se davvero ognuno di loro ha un buon motivo per essere lì. Fare la spesa, andare a comprare un giornale non può essere il pretesto per fare quattro passi al sole. È un comportamento irresponsabile, da idioti». «Non vorrei che le piccole buone notizie di queste ore fossero fraintese», aggiunge il governatore ligure, «nei nostri ospedali si continua a morire. E ci sono medici, infermieri e sanitari che lavorano da settimane senza sosta, mettendo a rischio la propria salute. Prima di uscire e infrangere le regole guardatevi allo specchio e pensate a loro». Toti fa riferimento ai dati degli ultimi giorni, che indicano un rallentamento dell’epidemia, ma che, come ripetono da giorno Protezione Civile, autorità sanitarie ed istituzioni, non autorizzano certo ad allentare la tensione e concedersi pericolosi strappi alla regola. Anzi. «Se iniziassimo ad allentare le misure ora, tutti gli sforzi sarebbero vani, quindi pagheremmo un prezzo altissimo. Invito tutti a continuare a rispettare le misure», ha detto ieri il presidente del Consiglio Conte. Nel suo post, il governatore della Liguria promette: «saremo inflessibili, ne va della salute di tutti». «Ho già chiesto al sindaco di Genova Bucci e agli altri sindaci liguri di fare controlli a tappeto e multe salate a tutti quelli che non rispettano le norme», aggiunge Toti, «nei nostri ospedali ci sono persone ammalate che gioiscono di essere estubate, avendo comunque un casco per la ventilazione in testa, ve ne rendete conto? Vogliamo andare avanti così? Per uscire in sicurezza domani, dobbiamo rigorosamente stare a casa oggi. Non so più come dirlo!».
C. Man. per “il Messaggero” l'1 aprile 2020. Hanno violato la quarantena inventando ogni possibile scusa. Avevano il virus ancora in corpo, ma questo non li ha fermati: fuori con il cane, a fare la spesa, o a passeggio, anche se avevano lasciato l'ospedale da poco. In cinque giorni ben 272 persone hanno continuato a circolare per le strade, nonostante avessero l'obbligo di rimanere in casa perché affetti da Covid-19. Gli ultimi 15 solo nella giornata del 30 marzo. E ora tutti i denunciati per la violazione dell'articolo 260 rischiano il processo per epidemia colposa. I controlli scattati dopo l'entrata in vigore del nuovo decreto che prevede multe da 400 a 3.000 euro per chi viola il divieto di spostamento e la denuncia per chi esce dall'isolamento pur sapendo di essere malato, hanno fatto scoprire che sono a decine le persone sorprese fuori dalle proprie abitazioni. E a giudicare dai controlli effettuati tra il 26 e il 30 marzo, in molti sembrano inconsapevoli del fatto che ora rischiano fino a 5 anni di carcere. Ieri il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese ha spiegato che «dal 10 al 20 marzo sono stati effettuati tre milioni di controlli, anche se le sanzioni sono state circa 22 mila in dieci giorni, rispetto alle 116 mila del primo periodo». «Non dobbiamo pensare che tutto finirà, ci vuole un po' di tempo - è intervenuta la ministra - occorre avere molta cautela, andiamo incontro a Pasqua e si deve capire che questo è il momento più delicato, in cui porre più attenzione ai propri comportamenti». Per questo è importante «uscire di casa solo per necessità, per andare al lavoro, o per motivi di salute». Sono 222 mila circa i controlli effettuati nelle ultime 24 ore e i sanzionati sono stati oltre 6.300, più 94 denunciati per aver fornito false generalità o aver detto cose non vere. Polizia, carabinieri e vigili urbani continuano a raccogliere giustificazioni tra le più strane. Tra i casi più eclatanti quello denunciato da un'infermiera pediatrica di Bari che dopo aver assistito una partoriente è stata costretta ad andare in quarantena con la famiglia, figli piccoli compresi. Il 7 marzo una donna si è presentata in ospedale ma non ha detto di essere arrivata pochi giorni prima da Parma. Ha partorito e subito dopo è finita in isolamento perché affetta da Covid-19. È stata denunciata, ma sono anche finiti in quarantena tutti coloro che erano entrati in contatto con lei. Il 20 marzo l'accusa di epidemia colposa era stata contestata a un 76enne di Codogno contagiato che dopo essere stato dimesso dall'ospedale, invece di rimanere in quarantena obbligatoria è andato a passeggiare in un paese poco distante. Un caso analogo è successo a Lanuvio, dove i carabinieri hanno sorpreso a passeggiare con il cane un positivo al virus. E l'elenco potrebbe continuare. Lamorgese, comunque, ritiene che «gli italiani si siano comportati in maniera veramente esemplare». «Hanno fatto notevolissimi sacrifici - sottolinea - come non uscire di casa, ma hanno compreso che era questo l'unico modo per rispondere a una situazione difficile che ha coinvolto tutto il Paese».
Da bologna.repubblica.it l'1 aprile 2020. Le loro provocazioni erotiche stavano già facendo il giro del web e dei social in Romagna da qualche giorno. E alla fine la polizia non ha dovuto faticare molto per beccarli e denunciarli. Un uomo e due donne si divertivano ad aggirare i divieti per il contenimento del coronavirus (e a quanto pare non solo quello) facendo sesso a tre in luoghi pubblici all'aperto per poi pubblicare on line le loro avventure. Si firmavano Dollscult Satanic Family e dietro la sigla c'erano un 38enne cesenate residente a Rimini, una 32enne della provincia di Frosinone e una 31enne palermitana, entrambe domiciliata nell'abitazione dell'uomo. Sulla loro pagina web c'erano circa 90 video hard amatoriali, conditi da commenti irripetibili. In uno di questi il trio a luci rosse si era ripreso nell'auto parcheggiata davanti al comando della Municipale di Rimini in via della Gazzella e corredava le evoluzioni sessuali con insulti vari in inglese alle forze dell'ordine: "È così che passiamo la quarantena. Sbirri di merda!". In un altro video, girato sempre a Rimini in via della Martora, dicono: "Non solo non ce ne frega un cazzo se ci saranno milioni di morti, ma anzi ci godiamo pure. Del vostro genere umano del cazzo non ce ne frega nulla, dovete crepare uno per uno stronzi di merda". Nelle immagini, oltre a fare sesso sul cofano della vettura, una delle ragazze scavalca la recinzione che protegge l'autostrada e, sulla corsia di emergenza, mostra il seno ai guidatori di passaggio. Stessa prodezza a Bellaria, sulla statale 16 nel tratto a quattro corsie: sesso estremo sul cofano, con le auto che sfrecciano a pochi centimetri. I filmati XXX venivano girati anche nei supermercati e all'Ikea, tra gli scaffali e i mobili. Non è stato difficile individuarli: l'auto ripresa dalle varie telecamere era intestata all'uomo e attraverso la targa la polizia è risalita subito al protagonista. I tre hanno confessato e collaborato con i poliziotti fornendo il materiale video pubblicato in rete. E, riferiscono gli agenti, "si sono rammaricati delle probabili conseguenze negative non ponderate nelle loro azioni". Analizzando i vari video, la polizia risalirà a data e ora del filmato per poi "applicare anche le sanzioni previste per le violazioni alle prescrizioni di limitazione della circolazione". Nel frattempo i tre giovani sono stati denunciati per atti osceni in luogo pubblico, oltraggio a pubblico ufficiale e diffamazione a mezzo stampa.
Coronavirus, 11mila denunciati. A Pozzuoli addirittura una festa in strada con 50 persone. Le Iene il 30 marzo 2020. Sono oltre 11mila le persone denunciate in Italia nell'ultimo fine settimana per non aver rispettato i divieti negli spostamenti per contenere i contagi e tra questi ci sono anche 50 positivi al coronavirus. A Pozzuoli, in provincia di Napoli, è stata organizzata perfino questa festa per strada. Il video è diventato virale e ora in 50 rischiano una multa. Oltre 11mila persone denunciate nell'ultimo fine settimana per non aver rispettato i divieti negli spostamenti imposti dal governo per contenere i contagi. Quasi 5mila sono quelli fermati sabato e ben 6.600 quelli sanzionati domenica, ci sono anche 80 positivi al coronavirus che anziché stare in quarantena andavano a spasso. A questi si aggiungono quasi 300 negozi sanzionati perché aperti nonostante per legge dovessero rimanere chiusi. Tra questi c’è anche un bar in provincia di Venezia che serviva spritz e alcolici nel retrobottega, ma anche chi tentava di scassinare un’auto o chi si è tuffato in mare con tanto di bicicletta per sfuggire ai controlli. Il caso più clamoroso è avvenuto a Pozzuoli (Napoli) dove è stata organizzata una festa condominiale con oltre 50 persone per strada, come potete vedere qui sopra. Siamo in via Napoli nel rione popolare Marocchini di Pozzuoli: adulti e bambini ballano e cantano in strada. I cori da stadio fanno da cornice a una vera e propria festa che è stata anche filmata. Le immagini sono diventate virali sui social e non sono passate inosservate neppure alle forze dell’ordine che stanno indagando.
“È scandaloso quello che è successo, sono dei balordi, irresponsabili e senza alcun senso civico”, commenta con rabbia il sindaco Vincenzo Figliolia. “Pensavano di essere lontano dagli occhi e quindi di poter fare tutto. Anche di aggirare i controlli. Sono dei folli! Hanno messo a rischio la salute loro e di tutti gli altri”. Ora una cinquantina di persone rischiano per questo una sanzione da 400 a 3.000 euro.
Nel rione del party abusivo: "Dobbiamo sfogarci altrimenti ammazziamo e facciamo rapine". Gli abitanti del rione "marocchini" di Pozzuoli, dove domenica scorsa è andata in scena una festa con balli e canti, ora sfidano i carabinieri: "Siamo disperati, ci dobbiamo sfogare altrimenti facciamo rapine e ammazziamo la gente". Cristina Verdi, Martedì 31/03/2020 su Il Giornale. "Siamo disperati, siamo disperati, non possiamo mangiare, in qualche modo ci dobbiamo sfogare, altrimenti dobbiamo andare a fare le rapine o ad ammazzare la gente". È stata accolta così, con queste parole urlate da un balcone di via Napoli, la pattuglia dei carabinieri che ha fatto irruzione nel rione "marocchini" di Pozzuoli per identificare il 51enne che domenica si è improvvisato show-man, animando una festa spontanea organizzata tra i palazzi del quartiere popolare. L’uomo era stato immortalato in un video, diventato virale sui social network, mentre ballava e cantava assieme ad altri residenti. Donne, uomini, ragazzi, bambini, anziani, tutti incuranti delle restrizioni imposte dal governo per contenere l’emergenza sanitaria in corso. Da ieri, su espressa richiesta del sindaco, i carabinieri stanno passando al setaccio le immagini per risalire a nomi e cognomi dei partecipanti al party abusivo che ora rischiano di essere sanzionati. Ma quando sono arrivati nel rione i militari, come mostra un secondo filmato pubblicato sulla pagina Facebook Pozzuoli Informa, sono stati accolti dallo sfogo dei residenti. "Siamo disperati, siamo disperati a morte", ha urlato dal balcone delle case popolari uno di loro, forse proprio lo stesso animatore della festa, organizzata violando l’isolamento disposto dalle autorità per contenere la diffusione del coronavirus. Il comizio improvvisato è stato accolto tra gli applausi degli altri inquilini affacciati alle finestre. L’uomo, secondo la cronaca del Mattino, avrebbe precedenti per "furto, ricettazione e contrabbando". Tutto sarebbe partito da un concerto "neomelodico", con tanto di microfono e altoparlanti, organizzato sul suo balcone. Uno dei tanti che si sono visti in queste settimane di quarantena in diverse città italiane. La situazione però è degenerata, con gli abitanti del rione che hanno iniziato ad acclamarlo e ben presto, smartphone alla mano si sono riversati tutti nei vicoli alle spalle del lungomare, per cantare e ballare. La folla è rientrata nei palazzi soltanto dopo l’arrivo delle forze dell’ordine allertate da alcuni residenti. Gli agenti, riporta il quotidiano di Napoli, sono stati "accolti con fischi e insulti". Sull’episodio è intervenuto il sindaco, Vincenzo Figliolia, che ha definito "scandaloso quello che è successo"."Dei balordi, irresponsabili e senza alcun senso civico hanno pensato di radunarsi e fare festa tra i palazzi di un rione", ha scritto in un post pubblicato sui social network invocando controlli e sanzioni. "Non ce la facevamo più a stare in casa, ora speriamo che non ci denuncino", ha detto al Mattino uno dei ragazzini sceso in strada domenica per ballare e tenere il ritmo con le mani. Un’atmosfera festosa che stride con il dolore della famiglia dell’autista quarantacinquenne volontario del 118 in servizio all’ospedale Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli, che il giorno prima dei festeggiamenti nel rione è morto, soffocato dal coronavirus.
Da bresciatoday.it il 31 marzo 2020. Su segnalazione di un cittadino giunta al 112, i carabinieri hanno effettuato un controllo in un’abitazione di Gavardo, dove erano state viste entrare quattro persone giunte a bordo delle loro automobili. Arrivati sul posto, i militari si sono resi conto che le 6 persone, tutte riunite in sala da pranzo, stavano festeggiando il compleanno di un 22enne. I 4 giovani, due uomini e due donne, presenti nell’appartamento sono stati fatti rientrare presso le rispettive abitazioni, ma non prima di essere identificati e denunciati, unitamente al 68enne padrone di casa e a suo figlio di 22 anni, per la grave violazione alla normativa che vieta gli spostamenti a causa della pandemia del Coronavirus.
Coronavirus, sono senza mascherine: rissa tra clienti al supermercato. Le Iene News l'1 aprile 2020. Rissa in un supermercato di Casoria in provincia di Napoli. Un gruppo di giovani è stato ripreso da un cliente perché senza mascherine. Hanno reagito con calci e pugni, tra le urla delle altre persone impaurite. Il video della lite è diventato virale. “Vi dovete mettere la mascherina”, poi sberle, calci e pugni. La gente che urla impaurita e scappa dalla rissa. È successo in un supermercato di Casoria, un comune del napoletano. La scena viene ripresa da una persona in coda, il video che potete vedere qui sopra è presto diventato virale. Tutto è durato una manciata di minuti. In un supermercato si vede una lunga coda di clienti alla cassa. A un certo punto un gruppo di giovani tenta di superare alcune persone che aspettano. Un cliente fa notare che non è il loro turno e soprattutto sono senza protezioni. “Vi dovete mettere la mascherina, altrimenti chiamo i carabinieri”, si sente chiaramente nel video. A questo punto il gruppo reagisce. La situazione sfugge di mano. Volano sberle e calci. I clienti in coda urlano spaventati e c’è chi tenta di scappare. La tensione sale a ogni istante. Alcuni clienti cercano di riportare la calma. La rissa però sarebbe finita solo all’esterno del supermercato una volta arrivati i carabinieri. È un’altra testimonianza della tensione che si respira in queste giornate con limitazioni e divieti in cui i supermercati sono le pochissime attività aperte. Una situazione che proseguirà almeno fino a metà aprile, come annunciato dal ministro della Salute Roberto Speranza (leggi qui l’articolo). Proprio ieri qui su Iene.it vi abbiamo mostrato la video-lite tra un cliente multato fuori da un supermercato per non aver osservato i divieti e un sindaco (leggi qui la notizia).
Il bimbo carcerato. Claudio Rizza su Il Dubbio l'1 aprile 2020. Ok alle passeggiate con i bambini. Ma c’è gente che già protesta, come se fosse stata data via libera agli untori…Allora, mettiamola così: prima del blocco totalissimo, oltre a portare il cane a spasso, se non il maialino, vi facevate pure la corsetta jogging, tutti fichi in tuta, mentre gli altri, bimbi, ragazzi, mogli e vecchietti stavano carcerati a casa. Poi vi hanno tolto lo sport che, lo sanno tutti, alla lunga fa pure male. E adesso che si può uscire, brevemente, per fare un giretto attorno al palazzo portando la mondezza, adesso vi hanno permesso di fare uscire il pupo. Poveretto, da quando hanno chiuso le scuole non ha visto la luce del sole. Perché, sappiatelo, c’è gente che vive in 60 metri quadri, non ha balconi né terrazzi e nemmeno un giardino condominiale. I figli sono i veri carcerati. E c’è adesso chi si lamenta di questo permesso concesso ai bambini di uscire con mamma o con papà, uno alla volta. Non si può andare al parco, non si può socializzare, è tutto uguale. Ma è una passeggiatina in sicurezza, con la mondezza in mano. Quella che per i carcerati chiamano l’ora d’aria. Beh, che ci sia gente che già protesta, come se fosse stata data via libera agli untori, è veramente sorprendente. Ma anche avvilente.
Salvatore Messina per “la Repubblica” l'1 aprile 2020. Ricapitolando: si può portare a spasso il figlio ma senza l' altro genitore, mentre si può fare jogging col cane vicino casa. Possibile comprare sigarette ma non vino, a meno di non andarci in bici portandosi dietro un genitore anziano residente in altro comune ma senza cani.
Silvia Truzzi per “il Fatto quotidiano” l'1 aprile 2020. Ci avete fatto caso? Non si fa che parlare di "furbetti". Ora declinati come "furbetti della passeggiata" incarnano perfettamente il sentimento anti-italiano che inspiegabilmente si è radicato così bene proprio in Italia (non bastasse quello che alberga altrove). Si sente ripetere con malcelata soddisfazione, che ora i furbetti della passeggiata sono diminuiti, perché spaventati dalle multe. Ecco, parliamone un momento di queste multe. Due giorni fa a Vigliano, nel Biellese, un uomo è stato fermato e sanzionato perché controllando il contenuto della busta della spesa i carabinieri hanno trovato "tre bottiglie di vino e un pacco di pasta", che non sono stati considerati una "necessità". Il malcapitato si è spostato in bicicletta e questa circostanza è stata considerata un' aggravante: la bici lo avrebbe esposto al rischio di incidenti, ipotesi nella quale avrebbe rischiato di andare ad aumentare il numero dei pazienti del pronto soccorso. Totale: 102 euro di multa. In un paesino del Trevigiano sono stati fermati tre bambini (con cagnolino al guinzaglio) autorizzati dai genitori a una passeggiata fino alla casetta dell' acqua. Scrive il Messaggero che il tragitto, secondo Google maps, è di trecento metri e praticamente tutta la strada si vede dalla finestra della casa. Il padre ha spiegato che da tre settimane i bambini, che abitano in un piccolo appartamento con lui e la moglie, erano chiusi in casa. "Durante la settimana i compiti dettano il ritmo della giornata e per il resto del tempo ci si ingegna come si può per far passare loro il tempo ma una casa di metratura limitata non aiuta", ha spiegato il padre. Morale? 400 euro. A Firenze, venerdì scorso, un altro papà è stato fermato con il figlio di quattro anni a 150 metri dalla loro abitazione. L' uomo ha verbalizzato le sue obiezioni: era uscito da dieci minuti, abita a cento metri dal luogo in cui è stato fermato, e questo è consentito. Gli hanno detto di fare ricorso. E comunque, 400 euro pure a lui. A Taurianova, in provincia di Reggio Calabria un signore fermato ha dichiarato di essere diretto in edicola a prendere il giornale e al supermercato. L' agente gli ha risposto: "Il giornale è superfluo. Vada al supermercato e torni a casa". Obiezione: se le edicole sono aperte, perché il giornale è superfluo? Se i supermercati sono aperti, perché non siamo liberi di acquistare ciò che vogliamo? Il Dipartimento di Pubblica sicurezza, a proposito del caso edicola, ha chiarito: "Nonostante sia disponibile anche l' informazione online il giornale è un bene di prima necessità. Da parte di chi ha fatto il controllo c' è stato un eccesso di zelo". Eccesso di zelo che prospera grazie alla confusione: finora in materia di Covid sono stati emanati 7 decreti legge, otto Dpcm, 19 ordinanze della Protezione civile, più altre dei ministeri, a non contare quelle di Regioni e Comuni. Non è facile orientarsi, ma se il buonsenso viene richiesto ai cittadini, vieppiù va preteso da chi deve fare rispettare regole eccezionali. Dobbiamo qui occupare qualche riga per ribadire (ormai non si può più dire nulla senza rendere omaggio all' ovvio) che la regola è restare a casa, l' unico modo per arginare il contagio e vedere la luce in fondo a un tunnel costato la vita a tante persone. Primum vivere, non ci sono dubbi. Ma qui non si vuol fare della filosofia, quanto una piccola riflessione sulla limitazione delle nostre libertà costituzionali che sono compresse a tempo. Non sono state eliminate. Non evocheremo lo Stato di polizia (né lo Stato etico, di cui puzza tanto la vicenda della multa al vino). Ci limitiamo a ricordare quanti anni ci sono voluti per smaltire le leggi speciali. Guai a invocare l' esercito: si sa dove si inizia, non dove si finisce.
Esce per andare dal medico: 533 euro di multa. Le Iene News il 31 marzo 2020. Un uomo di Mazara del Vallo è stato multato dalla Guardia di Finanza nel tragitto da casa sua verso lo studio del medico di famiglia: “Mi serviva la ricetta per comprare la medicine per mia moglie”. Aumentano le restrizioni, aumentano i controlli e aumentano le multe. Maurizio ci ha contattato perché ha preso 533 euro di multa dalla Guardia di Finanza per “essersi spostato senza comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o urgenza, né comprovati motivi di salute”, così recita il verbale (foto generica di un controllo dell'Ansa). L’uomo ci ha spiegato il motivo per il quale era uscito di casa: “Dovevo andare dal medico a farmi fare la ricetta per l’acquisto di un farmaco per mia moglie asmatica. Avevo chiesto al medico di inviarmi la ricetta in formato elettronico, ma mi ha risposto che non era possibile”. Poco dopo essere partito con l’auto per questa commissione Maurizio è stato fermato e multato. “Credo che la mia motivazione fosse valida”. E per validare le sue parole ci mostra la certificazione medica, dove si legge “N.B. nello stato attuale non c’erano altre modalità di consegna della ricetta” e lo scontrino della farmacia, dove Maurizio ha poi acquistato il farmaco. Il medicinale era necessario alla moglie “per combattere l’allergia”, ci spiega Maurizio. “Ho chiesto telefonicamente la ricetta al medico venerdì 27, poi ho aspettato l’intero weekend per capire se potesse inviarmela in qualche modo. Lunedì, quando ho saputo che l’unico modo per averla era andare fisicamente nel suo studio, mi sono preso il rischio e sono uscito. Senza quel farmaco mia moglie fa veramente fatica a respirare”. Abbiamo chiesto al comando della Guardia di Finanza di Mazara del Vallo di fornirci la loro versione. “Gli operanti della pattuglia hanno ritenuto di sanzionare il comportamento dell’uomo. Esiste comunque la possibilità di fare ricorso”. Maurizio ora dovrà decidere se affrontare il ricorso o pagare la sanzione in forma ridotta entro 30 giorni. “Ho fiducia e onoro la Guardia di Finanza, ma chiedo al signor comandante di fare in modo che cose del genere non accadano più”. Dall’11 fino al 30 marzo sono stati controllati circa 3 milioni e mezzo di italiani di cui 137mila sono stati sanzionati. Le supermulte introdotte dal governo a partire dal 26 marzo hanno dimezzato il numero delle sanzioni.
Da ilmessaggero.it l'1 aprile 2020. «Non conta l’importo della spesa, si può acquistare anche solo un po’ pane, della carne, o dell’acqua, ma tre bottiglie di vino non possono certo essere considerate una necessità». Per questo un uomo di Vigliano, nel Biellese, è stato multato dai carabinieri per 102,50 euro: non avrebbe rispettato, secondo i militari, quanto disposto dal decreto della Presidenza del consiglio dei ministri per fronteggiare l'emergenza coronavirus. Secondo i carabinieri il comportamento dell'uomo, che si è spostato in bici per tornare a casa con tre bottiglie di vino, non solo lo avrebbe messo a rischio incidenti, e quindi in quel caso andando ad aumentare il numero di pazienti al pronto soccorso, ma soprattutto non avrebbe rispettato il principio di spostarsi solo per motivi validi o per necessità: tali non sono state considerate, dai militari, quelle tre bottiglie di vino.
Massimiliano Parente per “il Giornale” l'1 aprile 2020. Non si può uscire di casa, lo sappiamo, se non per fare la spesa e comprare generi di prima necessità, solo che il concetto di prima necessità è un tantino soggettivo. Insomma, viviamo in una società capitalistica e moderna, stiamo lottando contro un virus cinese, ma mica siamo cinesi che ci danno una ciotola di riso e tutto ok. Insomma, non vorrei che, una volta entrati in un supermercato, ci fosse un addetto per stabilire cosa è necessità e cosa no. Non lo dico per dire, sta già succedendo. Un signore è stato multato perché al supermercato ha comprato solo bottiglie di vino, e la cosa non è reputata una prima necessità. Prego? Già affrontare la quarantena è difficile, poi ci vogliono togliere pure gli alcolici? È il motivo per cui l' Unione Sovietica è riuscita a tenere i russi lì fermi per decenni: non avevano niente, ma almeno avevano la vodka. Tra l' altro, in quale modo sarebbe stata reputata una spesa di necessità? Se questo poveretto avesse comprato una cassa di vino e un omogenizzato andava bene? Sembra come quando da ragazzi compravamo una rivista porno insieme al Corriere della Sera, per giustificarci di fronte all' edicolante. Che poi se gli alcolici non sono una necessità, perché le sigarette sì? Calma, calma, lo sto dicendo per fare un esempio, non vorrei mettere in testa idee malsane a Conte e magari domani fa chiudere anche i tabaccai, per non impazzire mi toccherebbe uscire con una ruspa e sfondarne uno, e allora altro che multa. Comunque i criteri di necessità messi così sono vaghi, prefigurano una specie di moralismo alimentare. Perché compri la panna? Sarà mica una necessità, i tortellini mangiali senza. Il sale? Fa male, mangia sciapo, non è una necessità. Oppure, altro caso, altro moralismo: una coppia è stata multata per essere uscita a comprare preservativi. Ditemi voi se non era una necessità. A meno che non ci vogliano anche imporre di fare bambini per decreto legge. Va bene che Natalia Aspesi ha scritto in un articolo su Repubblica che lei ha fatto un sondaggio tra tutti i suoi amici chiedendo come fanno con il sesso e tutti hanno risposto che praticano la castità. Ma se gli amici di Natalia Aspesi sono coetanei di Natalia Aspesi mi stupirebbe il contrario, e anche lì non avrebbero certo bisogno di preservativi. In generale, vino e preservativi a parte, che sono assolutamente indispensabili per affrontare la quarantena, sul concetto di necessità andrebbe sempre tenuto presente il celebre aforisma di Oscar Wilde: «Posso fare a meno del necessario ma non del superfluo». Altrimenti è come se ci chiudessero Netflix per farci vedere solo i telegiornali Rai di prima necessità. Che tra l' altro sono inutili visto che Conte trasmette su Facebook.
Coronavirus, multato al supermercato: la video-lite con il sindaco è virale. Le Iene News il 31 marzo 2020. È botta e risposta a suon di video tra Pasquale Sirianni e Marco Ballarini: il primo è un piccolo imprenditore di Pero, il secondo è il sindaco di Corbetta. Tra i due c’è una multa presa fuori dal supermercato perché Sirianni non avrebbe rispettato le norme che limitano gli spostamenti. Il botta e risposta a suon di video su Facebook tra Pasquale Sirianni e Marco Ballarini è diventato virale. E subito c’è chi si è schierato con il piccolo imprenditore di Pero e chi con il sindaco di Corbetta, come potete vedere nel video qui sopra. Siamo in provincia di Milano e al centro di questa vicenda c’è una multa presa fuori da un supermercato. Per capire bene che cosa ha portato ai continui botta e risposta su Facebook bisogna fare un passo indietro di qualche giorno. È venerdì sera, Pasquale chiude la sua officina per tornare a casa. Lui è un piccolo imprenditore che in questi giorni nonostante i divieti può continuare a lavorare. Dalla sua officina di Pero alla sua casa a Casorezzo ci sono 23 chilometri. Anche questo spostamento è consentito proprio per le “comprovate esigenze lavorative” previste nel decreto #iorestoacasa che limita gli spostamenti per contenere i contagi da coronavirus. Durante questo tragitto però Pasquale fa una deviazione. Dopo una manciata di chilometri si ferma a Corbetta nei pressi di un supermercato. Vuole fare la spesa, necessità ovviamente consentita dal governo. “Mi sono messo in coda e ho atteso il mio turno”, racconta nel suo primo video-denuncia. Con lui ci sono altri clienti: tutti a distanza di sicurezza e tutti muniti di mascherina e guanti per poter entrare nel supermercato. “A un certo punto arrivano le pattuglie della polizia locale di Corbetta e chiedono i documenti ai primi cinque della fila in cui c’ero anch’io”, spiega Pasquale. Gli agenti chiedono le autocertificazioni per verificare che tutti siano autorizzati. “È il panico, una ragazza si è anche sentita male”, sostiene Pasquale. A questo punto in base al suo racconto la situazione prende una piega imprevista: “Una vigilessa mi dice che non potevo fare la spesa. Le rispondo che arrivando da Pero per comodità mi sono fermato in quel supermercato. Ho chiesto di poter compilare un’autocertificazione così se avessi dichiarato il falso, mi avrebbero potuto sanzionare. Invece loro mi hanno fatto subito una multa di 300 euro”. È la sanzione minima prevista nel caso di persone sorprese fuori dal loro comune o al di fuori dei percorsi casa-lavoro che sono consentiti. E infatti sul verbale viene scritto che Pasquale era stato “trovato al di fuori del proprio comune durante uno spostamento senza motivazione”. La discussione continua: “A questo punto gli ho dovuto dire che ho una figlia disabile in carrozzina a casa e una moglie con una patologia molto grave. Mi ha dato molto fastidio doverlo dire”, continua Pasquale nel suo video di denuncia. Il controllo finisce, la multa viene fatta e Pasquale fa la spesa. Poi torna a casa e fa il suo video indirizzato al sindaco di Corbetta. “Ho qui lo scontrino di 228 euro di spesa, non la noce di cocco. Io sarei molto grato se il sindaco mi ascoltasse con davanti la vigilessa”, dice nel suo messaggio che finisce su Facebook e in un attimo fa il giro d’Italia. Dopo poche ore arriva il secondo capitolo di questa vicenda: la risposta video del sindaco. Ovviamente su Facebook. “Perché da Pero a Casorezzo, ti sei dovuto fermare proprio a Corbetta? Abbiamo inasprito i controlli per gente come te”, ha detto Marco Ballarini. “Hai preferito fare un bel video e mandarlo in pasto al popolo di Facebook giocando con i sentimenti delle persone. Mi spiace che quando sei stato multato ti sei messo a urlare che hai una figlia disabile e una moglie malata di tumore. Ma da Pero a Casorezzo ci sono centinaia di supermercati”. Ed è vero, il decreto consente di fare la spesa nel supermercato più vicino alla propria abitazione oppure lungo il tragitto tra casa e il lavoro. Nel caso di Pasquale però c’è stata una deviazione di una manciata di chilometri. A questo punto l’imprenditore prende il telefono e registra un altro filmato: “Marco, ma che stiamo scherzando? Cos’è questo video che hai messo? Non ti sto dicendo che ho torto o ragione. Non voglio contestare la multa, ma far valere i miei diritti”. Ed è lo stesso che dice al telefono a Iene.it. “Quella multa non la pagherò, farò ricorso. Quello che non mi va giù sono stati i modi dei vigili. Neanche hanno guardato la documentazione. Mi sono sentito umiliato”. Intanto Pasquale non si aspettava tutta quella valanga di commenti ricevuti in poche ore. “C’è chi si è offerto di darmi aiuto legale e chi mi ha scritto di non buttarla in caciara in questo momento. Io chiedo solo buon senso…”.
Mauro Evangelisti per “il Messaggero” il 30 marzo 2020. Sta funzionando il lockdown a Roma? Ci sono troppe automobili ancora in giro? Seguendo i dati elaborati sulla base degli spostamenti degli smartphone, le tracce delle cellule telefoniche alle quali si collegano le sim, viene da rispondere: sì, ci sono ancora troppi spostamenti a Roma. In sintesi: rispetto ai giorni precedenti all'inizio delle misure di contenimento, c'è una riduzione di due terzi. Due terzi dei romani restano a casa. Sembra un buon risultato, ma significa che c'è un 30-35 per cento di spostamenti lunghi (quindi non all'interno del proprio quartiere per fare la spesa) che sta continuando. La prima verifica da fare ovviamente è su quanti siano giustificati da comprovati motivi di lavoro. È un dato sovrapponibile a quello che, con lo stesso sistema legato allo studio dei cellulari (ovviamente in forma anonima e con il totale rispetto della privacy) è stato fatto anche a Milano: anche lì la percentuale di chi non si ferma è sempre tra il 30 e il 40 per cento. Dice l'assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D'Amato, che ha fatto preparare questo studio: «Non va bene, ci sono ancora troppe persone in giro, per strada. Il nostro tasso di crescita del numero dei contagiati è attorno all'8 per cento, tutto sommato meno alto di quanto temevamo. Ma non possiamo mollare proprio ora, le incognite sono numerose. State a casa. Ripeto: state a casa». L'analisi degli spostamenti è stata eseguita prendendo in considerazione la settimana dal 20 al 27 marzo e confrontandola con l'ultima settimana di febbraio, quando ancora a Roma e nel Lazio non c'erano limitazioni alla mobilità. Alla Regione Lazio sono stati raccolti i dati di un significativo campione di cellulari. Bene, nell'arco di un'intera settimana si registrano gli spostamenti lunghi a Roma (sul raccordo e all'interno del raccordo) di circa 500 mila utenze, se proiettato su tutte le compagnie telefoniche si arriva a circa 1,5 milioni. In una settimana normale, a febbraio, gli spostamenti erano stati a Roma, per tutte le compagnie, circa 4,5 milioni. Significa dunque che la riduzione è stata del 66 per cento, detta in altri termini la mobilità è ancora del 33-34 per cento, una percentuale considerata troppo alta e non giustificata dai soli automobilisti che si muovono per le consegne e per ragioni di salute o lavorative. Discorso differente è quello invece che riguarda gli spostamenti più limitati, all'interno di aree ristrette (in sintesi circa 800 metri): rispetto a una settimana normale la riduzione è solo del 28 per cento, ma in questo caso siamo in un territorio più limitato, legato ad esempio a chi va a fare la spesa o a portare fuori il cane. Ma a preoccupare maggiormente è la prima statistica, quella degli spostamenti su tratti più lunghi e dunque per più tempo, perché ci si attendeva una diminuzione maggiormente significativa. Se proiettiamo poi gli stessi numeri su base giornaliera, si può ipotizzare che a Roma nell'arco di 24 ore continuino ad esserci 200mila spostamenti, una mole ancora troppo consistente. Questi dati, su cui stanno lavorando gli uffici della Regione Lazio per comprendere quanto stia funzionando il lockdown, sono tutto sommato sovrapponibili anche con altri già raccolti da altre fonti: ad esempio, per quanto riguarda le automobili per strada, si stima che vi siano 4 spostamenti su 10, soprattutto in periferia, nonostante i controlli molto efficaci della Polizia locale di Roma. Per quanto riguarda il sistema autostradale, rispetto a un periodo normale, l'afflusso verso la Capitale è diminuito del 75 per cento. Resta un dato ancora più importante che deve determinare tutti i nostri comportamenti: a Roma e provincia i casi positivi al Covid-19 sono già 1.652, su tutto il Lazio 2.706, di cui 133 in terapia intensiva.
Da tuttomercatoweb.com il 9 aprile 2020. Nelle scorse ore Parigi ha aggiornato le proprie regole di confinement. In particolare alcune norme riguardano lo sport all’aperto che sarà assolutamente vietato dalle ore 10 alle 19. Possibile invece muoversi, correre e svolgere attività motorie all’alba, per massimo un’ora al giorno e comunque in un raggio di 1 chilometro dalla propria abitazione.
Cesare Monetti per corrieredellosport.it il 9 aprile 2020. Durante i normali controlli per favorire il rispetto dell’ordinanza emessa per arginare la diffusione del coronavirus a Brescia così come in altre città sono stati diversi a finire in manette. Dallo spacciatore di droga che lavorava attraverso il cancello a tante altre infrazioni, tra queste anche quella di un runner. Le forze dell’ordine avevano individuato tre amici che correvano insieme, due sono risuciti a fuggire mentre il terzo è stato raggiunto dalla volante. L’intervento sarebbe terminato con una sanzione se non fosse che il runner 24enne ha aggredito i poliziotti, finendo in manette, subito poi rilasciato perchè incensurato.
Sindaco positivo al coronavirus: era stato a una festa anche se aveva la febbre. Laura Pellegrini il 31/03/2020 su notizie.it. Aveva preso parte a una festa con una cinquantina di invitati il sindaco del casertano risultato positivo al coronavirus: il racconto dell'assessore. Un sindaco del casertano è risultato positivo al coronavirus dopo aver partecipato a una festa con 56 invitati: anche la moglie e il figlio avrebbero fatto il tampone. Da quanto ha riferito l’assessore del Comune a TPI, inoltre, il primo cittadino avrebbe avuto anche qualche linea di febbre in quell’occasione. L’episodio si è verificato a Francolise, un comune con poco più di 5 mila abitanti: il primo cittadino Gaetano Tessitore sarebbe anche medico e anestesista. Una festa per la promessa di matrimonio del figlio avvenuta il 7 marzo scorso potrebbe essere la causa scatenante l’epidemia di contagi. Infatti, il primo cittadino di Francolise, il sindaco Gaetano Tessitore, avrebbe preso parte all’evento insieme alla moglie e al figlio: tutti sarebbero poi risultati positivi al tampone. Anche il fotografo, positivo al Covid-19, potrebbe essere stato contagiato in quell’occasione. Molti avrebbero fatto nascere una serie di polemiche contro il sindaco per la sua mancanza di responsabilità nei confronti dell’emergenza. L’episodio non è stato smentito dal Consigliere Comunale Saturnino Di Benedetto: “Da notizie apprese sembrerebbe che il sindaco si sia messo in malattia già nei primi giorni di marzo, salvo però uscire di casa e presenziare prima il matrimonio civile e dopo la promessa al ristorante”, ha detto a TPI. “È quello che si sta raccontando in questi giorni – di cui non c’è piena certezza – fatto sta che comunque le persone che vi hanno partecipato sono state messe in quarantena“. Infine anche l’assessore Rosaria Lanna avrebbe confermato i fatti accaduti: “Sì, è andato alla festa, ma era convinto di avere una semplice influenza, non si aspettava certo di avere il Covid-19. Inoltre, il 7 non erano ancora stati adottati i divieti e il ristorante ha rispettato la regolamentazione dei posti a sedere”. noltre, l’assessore ha chiarito che qualche giorno prima, il sindaco “non se l’è sentita di andare al lavoro con 37,2 di febbre”.
Coronavirus, multe fino a 250 euro per chi è senza mascherina. Alessandra Tropiano il 31/03/2020 su notizie.it. Mascherina anti-coronavirus obbligatoria a Trino (Vc): mdai 25 ai 250 euro per chi non la indossa. Il dibattito sull’indossare o meno la mascherina è sempre al centro dell’attenzione. Il governo non obbliga tutti i cittadini ad indossare la mascherina per uscire di casa, anche se ormai per la maggior parte delle persone è un accessorio fondamentale. In provincia di Vercelli c’è però chi ha regolarizzato l’uso della mascherina anti-coronavirus, condannando a multe salate chi viola l’ordinanza. Il sindaco di Trino, centro nel Vercellese, è stato chiaro: la mascherina è obbligatoria per chi esce di casa. Scattano le multe, quindi, per chi gira in paese senza indossare la mascherina, che vanno dai 25 ai 250 euro. L’ordinanza firmata da Daniele Pane prevede una sanzione per chi si sposta dall’abitazione senza portare con sé il dispositivo di protezione che è obbligatorio indossare quando si viene a contatto con altri o quando si entra in esercizi commerciali o uffici pubblici. Ovviamente chi lavora in questi negozi dovrà indossarla, così come i clienti. Il sindaco chiuderà un occhio su chi è senza mascherina perché arriva da “comuni dove non vi è stata distribuzione”. In questo caso, però, la persona “dovrà utilizzare altre protezioni (sciarpe, foulard, etc…) da collocare su naso e bocca in modo idoneo ad assorbire la diffusione di goccioline salivari provocate da tosse, starnuto o dal parlare”.
Obbligatorio il tragitto più breve. Oltre all’obbligo di mascherine, per i cittadini di Trino il sindaco ha stabilito anche delle regole precise sui tragitti. L’obbligo è quello di percorrere il percorso più breve per raggiungere il lavoro, l’attività commerciale o l’ufficio pubblico. Vietati invece “tutti i percorsi diversi”, così da limitare il più possibile la permanenza fuori dall’abitazione. Pena, anche in questo caso, una sanzione.
Da ilmattino.it il 30 marzo 2020. Controlli anti-Coronavirus a Salerno: un cittadino non si ferma a un posto di blocco dei carabinieri, da lì parte un inseguimento fino all’incidente avvenuto nei pressi dell’uscita di via San Leonardo. Il conducente ha perso il controllo dell’auto impattando sul guardrail. L’uomo è stato bloccato dai Carabinieri, nell’impatto una delle ruote dell’auto si è completamente distrutta. Dopo lo scontro l’auto ha preso fuoco, fondamentale l’intervento tempestivo dei Vigili del Fuoco della centrale di Salerno arrivati sul posto.
Colluttazione con i carabinieri a Salerno: aperte due indagini. Le Iene il 30 marzo 2020. Ieri vi abbiamo mostrato queste immagini di una parte del fermo concitato di un uomo di Salerno, bloccato dai carabinieri dopo che aveva forzato un posto di blocco, schiantandosi con l’auto in una folle e pericolosissima corsa e aggredendo poi i militari. Ora sarebbero state aperte due indagini, una della Procura di Salerno e una disciplinare dell’Arma. La procura di Salerno avrebbe aperto un’inchiesta sul caso della colluttazione avvenuta durante il fermo concitato di un uomo di cui vi mostriamo le immagini qui sopra. Anche l’Arma avrebbe aperto un’indagine disciplinare. La dinamica ricostruita dalle testate locali e nazionali sarebbe questa: un 50enne, che sarebbe affetto da problemi psichici, avrebbe forzato un posto di blocco dei carabinieri a Salerno rischiando di investire un militare. Alla guida di un’auto priva di pneumatici sarebbe fuggito poi ad alta velocità in una folle e pericolosissima corsa per essere poi rintracciato dalle forze dell'ordine dopo essersi schiantato contro un guard rail. La macchina ha preso fuoco. Visto il pericolo, i militari avrebbero fatto allontanare l’uomo. È da qui che partirebbero le immagini che ci avete mandato e che mostrano solo una parte di quanto avvenuto. Il 50enne è seduto dall’altro lato della strada e vicino a lui ci sono tre carabinieri. Uno di questi sembra lo inviti a mantenere la calma. Lui però appare ancora in stato di grandissima agitazione e a un certo punto aggredisce uno dei militari. Qui inizia la colluttazione e lo scontro va avanti fino a che l’uomo non viene fermato. Due militari sarebbero rimasti contusi e il 50enne sarebbe poi stato ricoverato in psichiatria. Oltre all’inchiesta aperta dalla procura di Salerno sul caso, ce ne sarebbe anche una disciplinare dell’Arma “per le opportune verifiche sul rispetto delle procedure da parte dei militari intervenuti e sul comportamento tenuto nel complesso", come recita la nota diffusa dal comando provinciale che sottolinea anche come il video, acquisito e messo a disposizione dei magistrati, mostra "solo parte dell'intervento" avvenuto al culmine di momenti estremamente concitati.
Salerno, video shock: uomo picchiato da 5 carabinieri. Tenta di investire con l'auto la pattuglia, viene bloccato e aggredisce i militari. Poi viene pestato a calci e manganellate. Aperta un'inchiesta. Dario Del Porto il 30 marzo 2020 su La Repubblica. Cominciamo dalla fine: c'è in uomo a terra, rannicchiato su se stesso, circondato da cinque carabinieri. Lo stanno pestando con violenza. Non lo prendono solo a manganellate, ma anche a calci. Una, due, più volte. Lo colpiscono al tronco e anche alla testa. Anche quando l'uomo è ridotto all'impotenza, continuano a picchiarlo per una manciata di interminabili secondi. Sul marciapiede di fronte, un'auto brucia avvolta dalle fiamme. Da una finestra affacciata sulla strada, un cellulare riprende la scena consumata venerdì pomeriggio in via San Leonardo a Salerno. Il video finisce nella rete e apre un caso sul quale adesso sono state aperte due inchieste, quella penale della Procura diretta dal procuratore Giuseppe Borrelli e quella disciplinare, aperta dai carabinieri per "le opportune verifiche sul rispetto delle procedure da parte dei militari intervenuti e sul comportamento tenuto nel complesso", come recita la nota diffusa dal comando provinciale guidato dal colonnello Gianluca Trombetti. Segno che l'Arma per prima intende fare chiarezza su quanto accaduto e per questo ha acquisito i video e li ha messi a disposizione dei magistrati. Al tempo stesso però il comando avverte che quell'immagine, oggettivamente inaccettabile, rappresenta "solo parte dell'intervento" avvenuto al culmine di momenti estremamente concitati. Facciamo un passo indietro, dunque. Un uomo di cinquant'anni, indicato ora come "affetto da disturbi comportamentali già noti ai suoi familiari", sale a bordo di un'auto priva di pneumatici, si mette in moto e comincia a correre. Viene avvisata la centrale operativa, comincia un inseguimento. Una pattuglia del nucleo operativo e radiomobile dei carabinieri prova a fermare la vettura ma quando uno dei militari intima l'alt, il conducente "tenta di investirlo, così riuscendo a guadagnare la fuga". La corsa si arresta poco dopo, contro un guard rail. Le scintille provocate dai cerchioni sull'asfalto innescano l'incendio della vettura. Quello che accade dopo è in parte riassunto nei video. Il conducente, uscito dalla macchina, appare in forte stato di agitazione. Aggredisce una prima volta due carabinieri, scaraventandoli a terra. Inizia una colluttazione. Si avvicina anche un passante per provare a calmare l'uomo. La situazione sembra tornare alla normalità, ma è un'illusione. Poco dopo, il cinquantenne dà nuovamente in escandescenze, tre carabinieri per bloccarlo lo gettano sull'asfalto e cominciano a colpirlo con il manganello. L'uomo cerca di alzarsi, a uno dei militari vola persino il bastone. Nel frattempo, il cinquantenne viene preso anche a calci. Poco dopo arriva una pattuglia di rinforzo. I carabinieri diventano cinque e i colpi si moltiplicano, fino ad apparire come un pestaggio. Quando tutto finisce, l'uomo viene infine fatto salire su un'auto di servizio e condotto all'ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona, dove viene anche sottoposto a tampone per verificare un'eventuale positività al Covid-19, che sarà poi esclusa. Viene denunciato a piede libero per i reati di resistenza, violenza e lesioni a pubblico ufficiale ma non arrestato anche in considerazione delle sue condizioni psichiche: attualmente è ricoverato nel reparto di psichiatria del presidio sanitario. Ma i video aprono un secondo capitolo della vicenda, quello che dovrà valutare la condotta dei carabinieri. Negli ambienti dell'Arma c'è grande amarezza per l'episodio, accaduto in un delicatissimo momento nel quale le forze dell'ordine sono sottoposte alle ulteriori tensioni che l'emergenza coronavirus ha aggiunto a quelle già connaturate al lavoro sulla strada. Chi conosce i protagonisti dell'operazione, li indica come colleghi esperti e con una lunga esperienza alle spalle in ruoli anche impegnativi. D'altra parte però l'immagine di un uomo a terra, pestato e preso a calci anche quando non era più in grado di reagire, non può passare inosservata. All'Arma e alla Procura, ora, spetta il compito di rispondere agli interrogativi aperti da quei filmati.
Da corriere.it il 31 marzo 2020. Una giovane di Acerra rientrata dalla Lombardia è risultata positiva al Covid-19. La notizia è stata data dallo stesso sindaco del comune campano che ha accusato la giovane di essere irresponsabile e di non avere una coscienza civica. Alcuni cittadini, dopo aver appreso la notizia, hanno creato un blocco stradale per le vie della città. La ragazza si è difesa su Facebook dicendo che querelerà il sindaco essendosi lei «comportata in modo corretto, tutelando voi e me stessa».
Coronavirus, 50 positivi violano la quarantena. Gallera: “Così si rischia il baratro”. Laura Pellegrini il 30/03/2020 su Notizie.it. 50 pazienti positivi al coronavirus violano la quarantena e scatenano l'ira di Gallera: "Non potremmo allentare l’attenzione per molti mesi". Giulio Gallera, assessore al Welfare della Regione Lombardia, commenta un comportamento pericoloso: cinquanta pazienti positivi al coronavirus violano la quarantena. Sono molte le violazioni ai decreti ministeriali e i comportamenti irresponsabili che metterebbero a rischio tutti i cittadini. A tale riguardo serve una stretta: “Non potremmo allentare l’attenzione per molti mesi”, ha detto Gallera a Mattino 5. “È pazzesco stiamo facendo grandi sforzi tutti. Questa è una battaglia che o la vinciamo tutti insieme, nessuno escluso, oppure rischiamo di trovarci ogni momento di nuovo di fronte al baratro“. Sono parole molto dure quelle di Gallera, che ha commentato un comportamento irresponsabile: cinquanta positivi al coronavirus violano la quarantena. Ricordando l’importanza del rispetto delle norme di contenimento, Gallera volge lo sguardo anche al dopo: “Quando saremo riusciti a spegnerlo – ha detto infatti -, il rischio che i contagi ricomincino è altissimo”. Intervenuto a Mattino 5, l’assessore lombardo ribadisce: “Abbiamo bisogno oggi di continuare a stare in casa per evitare che il virus trovi un altro corpo da infettare”. Non esistono eccezioni, ricorda ancora Gallera, “nessuno può chiamarsi fuori, ognuno di noi deve far parte di questa battaglia“.
Da lastampa.it il 24 marzo 2020. Il New York Times, nella newsletter in cui raccoglie per i suoi lettori tutte le principali notizie di giornata, segnala il video di un utente di Twitter che ha messo insieme gli sfoghi più duri dei sindaci italiani nei confronti dei cittadini indisciplinati. Nonostante ferree regole impongano l'isolamento, per contrastare la diffusione del nuovo coronavirus nel nostro Paese, molti italiani infatti continuano a uscire di casa per futili motivi. I rimproveri di sindaci e governatori sono stati messi insieme da un italiano residente (e attualmente bloccato) a Londra che scrive su Twitter con il nickname Protectheflames.
I protagonisti sono:
Vincenzo De Luca, governatore della Campania
Cateno De Luca, sindaco di Messina
Antonio Decaro, sindaco di Bari
Massimiliano Presciutti, sindaco di Gualdo Tadino
Antonio Tutolo, sindaco di Lucera
Giuseppe Falcomatà, sindaco di Reggio Calabria
Da corrieredellosport.it il 28 marzo 2020. A Padova Piazza delle Erbe presa d'assalto per il mercato. Nonostante l'emergenza coronavirus, tante persone sono uscite di casa per acquistare prodotti.
Il coronavirus e la nostra irresistibile voglia di fare i delatori su Facebook. Gruppi dedicati alle segnalazioni di persone che non stanno in casa, improvvisati vigilantes che stazionano in balcone solo per scattare foto da mettere sui social, tentativi di vendette fai-da-te. Cronache digitali della quarantena. Mauro Munafò il 31 marzo 2020 su L'Espresso. «Con la scusa del cane sta lì da stamattina», tuona Giorgio sotto la foto di un signore anziano, con mascherina e un labrador al guinzaglio. La foto l’ha scattata lui e poi l’ha postata sul gruppo Facebook di circa 300 persone “Segnalazioni per coronavirus”: uno dei tanti nati negli ultimi giorni sul social network per raccogliere scatti e denunce su persone che non starebbero rispettando gli inviti a restare a casa. Giorgio, che sul suo profilo afferma di vivere a Rio de Janeiro ma scatta foto da Casoria nel napoletano, è uno dei tanti “vigili da balcone” che da un paio di settimane, complici le poche attività da svolgere in casa, hanno deciso di dedicarsi a immortalare h24 i comportamenti dei vicini e dirimpettai a uso e consumo degli utenti sui social. Un operaio che ripara un’insegna, una fila (a distanza di sicurezza) davanti a un negozio, gli immancabili runner: nessuno tra coloro che passa per la via davanti casa di Giorgio viene risparmiato dallo scatto della sua fotocamera. Il sottobosco di pagine e gruppi del genere su Facebook è ampio e il loro numero in aumento. Quando diventano troppo grandi, allora anche i moderatori del social network si accorgono della loro esistenza e intervengono. “Segnalazioni coronavirus a piede libero”, altro gruppo dedicato esclusivamente alla delazione, dopo aver superato i millecinquecento utenti ed essere finito sui giornali online, è stato chiuso perché a quanto pare “viola gli standard di comunità”. Ma è come svuotare l’oceano con un secchiello: non c’è angolo dei social, dai profili privati alle pagine pubbliche, dai commenti ai post dei giornali locali ai messaggi a quelle dei politici, che sia immune alla ronda dei vigili da balcone. Il termometro della situazione lo fornisce meglio di chiunque altro la pagina “Roma fa schifo”. Nata come blog nel 2009 per denunciare il degrado nella Capitale, è cresciuta grazie alle foto e ai video che immortalano i comportamenti incivili dei cittadini, accompagnati da commenti spesso al limite dell’hate speech. Da quando è iniziata l’emergenza Covid-19, le foto condivise con i suoi duecentomila follower hanno tutte un unico soggetto: i romani che non stanno in casa. Con casi eclatanti, come le folle che riempono i parchi per la corsetta della mattina e post dall’allarmismo decisamente non altrettanto giustificato. Uno scatto con due persone e un cane in piazza Navona (12mila metri quadrati di estensione ndr) e il commento: «E che non li porti i cuccioli a giocà?». O una madre con due figli in bicicletta apostrofati con «Aoh ma che nun ze ponno portà i pupi a fa un giro in bici? Machecazzovoi fattelicazzitua». Tutti salutati da decine di commenti feroci degli utenti, che augurano ai protagonisti degli scatti ogni tipo di male possibile, dal contrarre il coronavirus in sù. Ma la mutazione di Roma fa Schifo si vede in tutte le pagine simili: dove ieri si mandava la foto del cassonetto strapieno, oggi si manda quella del concittadino che è andato due volte in un giorno dal tabaccaio. L’ansia da controllo dei social va avanti così: si identifica una categoria colpevole della pandemia e la si carica di tutti i mali. Moderni capri espiatori, questa sorte è toccata fino a oggi ai runner (ma non potete dentro casa?), ai proprietari di cani (ma quante volte deve farla?), a chi va a fare la spesa (non ci eri già andato ieri?). Una narrazione dell’untore che si costruisce su più livelli e viene rafforzata anche dalla pagine che fanno ironia con “meme” sulle categorie appena citate, accrescendo la percezione della loro centralità. La legittima preoccupazione di chi teme il contagio viene così incanalata ad arte tra una foto di denuncia, un appello a non uscire di casa e una vignetta divertente. Facile che poi dalla preoccupazione si passi alla rabbia e alla psicosi, come ha scoperto a sue spese una farmacista di Salerno di ritorno dal lavoro, accolta da una secchiata d’acqua da un vigile da balcone diventato vigilantes a distanza, che l’ha voluta punire perché ancora in giro per strada. E ora potrà vantarsene su Facebook.
I telefonini non sono armi: basta con la gogna dai balconi. Rosanna Scopelliti su Il Dubbio il 5 aprile 2020. I video che “denunciano” le presunte violazioni della quarantena imperversano in rete, un attacco alla privacy e anche alla verità. Una famiglia gioca a palla nel proprio giardino. Un vicino si prende la briga di filmare la casa, i ragazzini che giocano e i loro genitori. A voi darebbe fastidio? A me molto. Ma c’è dell’altro. Il video viene reso pubblico, diffuso e spammato ovunque. Social, gruppi whatsapp e via dicendo. Basta? Ovviamente no. L’autore del video inventa di sana pianta una storiella per cui a giocare a palla non sono i cinque membri della famiglia, ma solo i tre ragazzi e altri amici che, in barba alla quarantena, e solo perché amici dei figli dell’illustre proprietario della villetta, hanno potuto raggiungere la casa del loro amico. Come? Qui la fantasia (o malafede) supera davvero se stessa… L’autore del video si lancia nella bestialità del secolo e sentenzia che i ragazzi vengono prelevati ogni mattina dalla scorta del padrone di casa e portati lì per trascorrere una giornata con gli amici. Come siamo con l’asticella del fastidio? Io sono arrivata all’orticaria. Ma voglio approfondire. Cosa emerge da questo video? Una famiglia violata nella propria intimità? Non solo. La superficialità di chi pur di avere un momento di gloria in queste monotone giornate di quarantena gioca a chi la spara più grossa e attacca il bersaglio più facile perché più esposto? Anche. Tuttavia quello che leggo in questo video, oltre alla chiara volontà di criminalizzare delle persone spiate all’interno della loro proprietà, è un concentrato di invidia sociale, istigazione all’odio, frustrazione e cattiveria gratuita. E questo mi spaventa. Perché se ci si sente in diritto di pubblicare e condividere falsità, se prima di rilanciare non ci si informa e si gira il messaggio perché tanto quella famiglia col giardino e che si diverte a me sta sulle scatole, o perché a me il proprietario di quella villetta sta antipatico… e via dicendo, vuol dire che la crisi che sta vivendo il nostro Paese è molto profonda perchè magari il virus lo sconfiggeremo, l’economia sapremo farla ripartire, ma l’umanità quella no. Se vincono odio e invidia siamo condannati. Tutti. Ah. Per inciso. La famiglia che stamattina si è svegliata sbattuta sui social è quella del senatore Matteo Renzi. Leader di Italia Viva. Ma sarebbe potuto succedere a chiunque. Il fatto che lo abbiano fatto con lui, con una persona esposta, è ancora più grave. Sapete perché? Innanzitutto perché glia avversari (che mai sono nemici) e coloro che la pensano diversamente vanno contestati con idee e proposte, ma soprattutto perchè se fare politica, se scegliere di occuparsi del Paese costa questo prezzo a livello personale, affettivo, familiare, saranno sempre meno le persone che sceglieranno di impegnarsi nella cosa pubblica. E questo è altrettanto pericoloso.
Coronavirus, pubblica su internet un video dei controlli e gli sparano. Le Iene News il 5 aprile 2020. E’ successo a Reggio Calabria: un parente della persona ripresa nel filmato e un amico hanno prima cercato di farsi dare 2mila euro e poi hanno sparato all’autore del video. Ora sono stati arrestati con l’accusa di tentato omicidio ed estorsione. Lui pubblica in rete un video dei carabinieri che controllano il rispetto delle normative anti coronavirus, e i parenti dell’uomo controllato lo gambizzano. E’ successo a Reggio Calabria: i due responsabili della sparatoria sono stati arrestati con l’accusa di tentato omicidio ed estorsione. Secondo le prime ricostruzioni le cose sarebbero andate così: un uomo di 45 anni, originario di Scilla, ha pubblicato in rete un breve filmato che mostra i carabinieri impegnati nei controlli per il contenimento dell’epidemia di coronavirus. In quel filmato però appare anche un parente di Domenico Nasone, dipendente pubblico attualmente in malattia. E questo sembra aver scatenato la furia di Nasone. L’uomo, insieme a un amico, è andato a casa dell’autore del video e ha tentato di estorcergli 2mila euro come “risarcimento” per il presunto torto subito. Poi i due hanno sparato quattro colpi di pistola alle gambe del malcapitato. Ora sono stati arrestati.
Francesco Creazzo per “la Stampa” il 6 aprile 2020. Il vicino passeggia per strada violando il lockdown, lui lo riprende col cellulare mentre viene fermato dalle forze dell' ordine e posta il video su Facebook. Qualche giorno dopo viene gambizzato dal nipote del "passeggiatore" che aveva sfidato i divieti imposti dalla pandemia. Questo è quanto accaduto la sera dello scorso 3 aprile a Scilla, cinquemila anime in provincia di Reggio Calabria con vista sullo stretto di Messina. Lo sparatore sarebbe Domenico Nasone, scillese d' origine ma residente nel capoluogo, che, secondo la ricostruzione dei carabinieri non avrebbe gradito la "pubblicità" concessa al suo parente - che secondo i militari dell' Arma porta un cognome «importante» - e avrebbe fatto scattare la vendetta: la sera del 3 aprile, assieme a un complice, avrebbe violato anche lui le restrizioni alla circolazione previste dai decreti anti-coronavirus e sarebbe partito per Scilla, a poco più di 20 km di distanza, per fare «giustizia». Duemila euro per riparare il torto Avrebbe bussato a casa dell' autore del video che ha aperto la porta e, minacciandolo, avrebbe preteso il pagamento di 2000 euro a «riparazione» del torto subito dal parente. Al rifiuto dell' uomo, Nasone avrebbe esploso 4 colpi di pistola contro il malcapitato internauta, colpendolo con un proiettile alle gambe. L' uomo ferito è stato immediatamente trasportato al pronto soccorso e le sue condizioni sono ottime: il proiettile gli ha attraversato tutta la gamba in un punto non attraversato da arterie e l' uomo ha già fatto ritorno a casa. Al termine della ritorsione, i due complici si sarebbero allontanati a piedi e, recuperata l' automobile, avrebbero fatto ritorno a Reggio. Un blitz punitivo fulmineo, durato poco più di mezz' ora nonostante la distanza tra il capoluogo di provincia e la cittadina sullo Stretto di Messina. I Carabinieri hanno rintracciato i due presunti autori in poco più di ventiquattro ore: sabato pomeriggio, dopo essersi visti braccare dai militari dell' Arma, uno dei due indagati si è presentato alla stazione Carabinieri di Scilla, mentre l' altro è stato rintracciato sempre nella cittadina della Costa Viola. I due dovranno rispondere di tentato omicidio, estorsione e porto abusivo di arma da fuoco.
In venti alla messa, arrivano i carabinieri. Raffaello Binelli su L'Arno-Il Giornale il 6 aprile 2020. Da alcune settimane le messe sono sospese. I sacerdoti le celebrano e alcuni di loro le trasmettono in streaming, per permettere ai fedeli di seguirle da casa, se non vogliono farlo con quelle mandate in onda in tv. Ieri, domenica delle Palme (che prevede la benedizione dei rametti di ulivo), in una chiesa di Livorno si sono ritrovate venti persone. Un po’ troppe, visto che quelle autorizzate dovevano essere solo sette, compresi i due sacerdoti, l’organista e l’operatore che faceva le riprese per la diretta Facebook. Le altre si sono intrufolate perché la porta della chiesa era aperta. Una persona che passava davanti all’edificio sacro si è reso conto dell’anomalia e ha chiamato il 112. In breve tempo sono intervenute le forze dell’ordine, interrompendo la celebrazione e identificando tutti i presenti. Come si legge sul Tirreno è accaduto nella chiesa di Santa Maria del Soccorso, la più grande di Livorno. Il vice parroco, don Alessandro Merlino, spiega che aveva lasciato le porte aperte per garantire una via di fuga alle persone autorizzate: “Non mi ritengo responsabile di chi è entrato senza averne diritto. È una questione che riguarda le forze dell’ordine e le coscienze delle persone. Io ho spiegato a tutti che gli autorizzati erano solo sette”. Ora rischia di essere denunciato per violazione dell’articolo 650 del codice penale, come previsto dalle vigenti normative varate dal Governo in piena emergenza coronavirus. Oppure verrà solamente sanzionato per non aver impedito l’accesso in chiesa, in ottemperanza al decreto. Il sacerdote assicura comunque che le persone erano tutte a debita distanza, di 4-5 metri, anche perché la chiesa è molto grande. Cosa rischiano, invece, le tredici persone non autorizzate trovate all’interno della chiesa in violazione delle disposizioni varate dal Governo? Una multa di 400 euro.
Sindaco-sceriffo controlla spesa e scontrini davanti al supermercato. Orlando Sacchelli su L'Arno-Il Giornale il 6 aprile 2020. Il sindaco di Fucecchio (Firenze), Alessio Spinelli, sabato è andato davanti un supermercato per controllare la spesa dei cittadini. Ad alcuni di loro, in fila, ha chiesto perché non avessero il carrello, e li ha invitati ad andare al supermercato solo una volta a settimana, per evitare continui spostamenti. Ha detto poi di voler controllare gli scontrini per verificare l’entità della spesa fatta dai clienti, sostenendo che non sia ammissibili, in questa fase di emergenza, fare una spesa solo di pochi euro, dovendo in questo modo recarsi quasi tutti i giorni al supermercato. Il video che ritraeva il sindaco intento a svolgere questi controlli è girato nelle chat dei cittadini della zona e sui social network. Alcuni non l’hanno presa bene, accusando il sindaco di aver violato la legge sulla privacy. Il sindaco, tra l’altro, non ha alcun potere di controllare la spesa e gli scontrini fiscali. Un cliente in fila anticipa la “possibile) ramanzina del sindaco e dice a voce alta: “Io non ho le monete per prendere il carrello, quindi non mi guardare…”. Il sindaco gli risponde con sarcasmo: “Quindi la roba (la porta, ndr) tutta a mano?”. Il cittadino replica: “Entro, scambio i soldi e prendo il carrello”. Spinelli insiste: “Voi non avete idea di quante persone ci sono in rianimazione”. La replica del cliente in coda: “Forse non ci siamo capiti, non ho le monete per prendere il carrello”. Ma il sindaco, scuotendo la testa, ribadisce: “Forse non ci siamo proprio capiti”. Dopo aver fatto qualche passo, lungo la coda del supermercato, a un certo punto esclama: “Ora si guarda il valore dello scontrino quando uno esce, così si cerca di capire chi va denunciato, perché io mi sono un po’ rotto le scatole…”. Signor sindaco, denunciato per cosa? Per aver fatto una spesa di pochi euro? Comprendiamo l’apprensione e la buona volontà, però dovrebbe spiegare in quale decreto abbia letto che bisogna fare la spesa superando un certo valore. Il buon senso, che giustamente chiede ai propri cittadini, forse dovrebbe mostrarlo anche lei, prima di tutto mantenendo la calma.
Stiben Mesa Paniagua per milanotoday.it l'8 aprile 2020. “Se vedete qualche vostro vicino, insultatelo, tirategli un secchio d'acqua. Fate qualcosa. Ma chi se ne frega. Tanto in questo momento di follia, la follia è quasi concessa". Ad incitare i cittadini a reagire così, riferendosi al fatto di poter uscire di casa o meno in questi giorni di 'quarantena' anti coronavirus, è precisamente la prima cittadina: Linda Colombo. La giovane sindaco di Bareggio, comune di poco più di 17mila anime dell'hinterland milanese, ha dato il meglio - o peggio - di sé durante un diretta su Facebook per commentare il via libera arrivato dal Viminale alla ormai famosa 'ora d'aria' per un genitore e un bambino alla volta nei pressi della propria abitazione. Circolare contestata apertamente da Regione Lombardia e da molti sindaci in Italia. Colombo, eletta nel 2018 con la Lega, ha dato l'impressione di aver perso totalmente la pazienza. Durante la sua diretta si è lasciata andare a un linguaggio assai colorito. Tanto che, come succede in questi casi, anche i commenti degli ascoltatori sono abbastanza divisi tra coloro che hanno apprezzato il suo sfogo da bar e coloro che le hanno fatto notare che le parole, i modi e i concetti usati fossero del tutto fuori luogo, considerando il ruolo istituzionale che ricopre. Nonché la sensibilità dei cittadini all'ascolto. "Oggi faccio una diretta un po' così, all'ultimo minuto, perché sono molto molto incazzata", il suo esordio nella lunga diretta. "A seguito di questa schifezza - ha proseguito - di questo foglio di carta che finirà nella mia spazzatura (riferendosi alla circolare del Governo che aveva in mano, nrd) in cui si permette a un genitore con un bambino di uscire nelle vicinanze di casa: io chiedo che al ministero mi dicano che cazzo vuol dire questa cosa? Allora, per me questa è spazzatura".
Sulle orme del sindaco di Messina e del Governatore De Luca. Il suo modo di affrontare l'argomento ha subito fatto venire in mente le immagini di Cateno De Luca, sindaco di Messina, e quelle del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, che nei giorni scorsi avevano dato tanto materiale agli ideatori di meme. "Io - ha detto Linda Colombo - non permetterò a nessuno dei cittadini di Bareggio di uscire di casa. Al costo che vi sigillo". Per sostenere la sua tesi, la prima cittadina si è appellata alla drammaticità dell'emergenza: "Ogni mattina, quando entro in comune, devo vedere un elenco di persone contagiate. Non fidatevi del telegiornale, dove vi dicono che i vecchi stanno male. Loro sono i primi, i più sensibili ma a Bareggio abbiamo persone contagiate di 20, 30 e 40 anni". E poi, sempre riferendosi alla circolare sui bambini, ha sottolineato: "Ma quale genitore rischia di portare il figlio in giro, mettendo a rischio la sua vita, per fare due passi? È vero, la convivenza 24 ore su 24 è faticosa ma non uscite. Fate - il suo suggerimento - su e giù dalle scale e le passeggiate sul balcone".
Il sindaco vuole fare le multa di persona. Linda Colombo, di professione architetto, ha minacciato di inasprire i controlli spiegando di star facendo perfino delle verifiche tecniche per capire se lei stessa può scendere in strada a multare la gente. "Noi siamo uno dei comuni che evita di sanzionare, perché noi pensiamo alla buona fede delle persone, all'intelligenza, ma purtroppo con alcune persone non basta perché capiscono solo quando gli tocchi il portafogli. Da oggi polizia locale e carabinieri fermeranno chiunque. Anzi - la sua promessa - sto verificando se anche noi come ufficiali dello Stato possiamo fare le multe. Così esco anch'io e multo tutti perché mi sono rotta le balle. Anche il vice sindaco è in giro incazzato nero. Stiamo tranquilli e state a casa. Stiamo cadendo nel ridicolo". Il punto più pericoloso del suo lungo discorso, evidentemente, è arrivato quando ha incitato i suoi concittadini alla follia pur di fermare e segnalare coloro che sono fuori, come se la gente comune fosse incaricata di far rispettare le norme. Come se si potesse capire da uno sguardo superficiale per quale motivo una persona si trova in strada. "Fate qualcosa. Ma chi se ne frega. Tanto in questo momento di follia, la follia è quasi concessa", parole pronunciate dopo aver suggerito di insultarli e bagnarli con l'acqua. Parole davvero rischiose che fanno a botte con il "buon senso", che la stessa prima cittadina richiama più in là. "Cazzo! Ma il raziocinio. Mi fate dire le parolacce e io non le dico mai. Io sono allibita. Credo che stamattina insulterò un po' di persone che mi incontrano. Non mi salutate". La giovane leghista, insomma, mercoledì mattina era un fiume in piena che ha rotto gli argini. Il rischio di parlare da soli davanti alla telecamera, un rischio che forse un primo cittadino non dovrebbe permettersi. Soprattutto se in un momento delicato per tutti come questo.
Coronavirus Latina, positivo esce di casa: denunciato dai vicini. Riccardo Castrichini il 10/04/2020 su La Notizia.it. Denunciato un positivo al coronavirus che usciva di casa, l'uomo. ha opposto resistenza alle autorità. Un uomo positivo al coronavirus usciva frequentemente di casa, violando dunque l’obbligo di isolamento domiciliare. La denuncia dell’atteggiamento irresponsabile è arrivata dai suoi vicini che hanno riportato tutto alle autorità locali che sono prontamente intervenute. É accaduto a Latina, in un palazzo di via Galvaligi, dove i Carabinieri e il personale del 118 si sono recati nella serata di ieri, 9 aprile, per trasportare l’uomo all’Ospedale Santa Maria Goretti. Il positivo al Covid-19 ha posto però resistenza barricandosi in casa e rifiutando con asprezza di essere prelevato. Solo dopo diverse ore è stato reso possibile lo spostamento grazie ad un carabiniere che lo ha convinto a desistere. Sul posto erano stati chiamati anche i Vigili del fuoco, pronti ad irrompere nell’abitazione, dunque le alternative per l’uomo erano davvero molto poche. L’uomo è stato dunque trasportato nell’ospedale della città pontina, dove tra l’altro è ricoverata anche la moglie, sempre per coronavirus. Un atteggiamento di grande irresponsabilità che, qualora venisse confermato dagli inquirenti, costerà molto all’uomo che potrebbe essere accusato di epidemia colposa con conseguente pena detentiva. La notizia, diffusasi velocemente nella provincia laziale, terrorizza i molti abitanti della zona che ora chiedono di far chiarezza sul comportamento e in particolare sugli spostamenti effettuati dall’uomo nel corso delle ultime settimane.
“Multati mentre eravamo sulla panchina di fronte al tabacchi dove lavoriamo”. Le Iene News il 5 aprile 2020. Antonella e Massimo Licitra hanno una tabaccheria nel centro di Ragusa: “Eravamo seduti sulla panchina di fronte alla tabaccheria, che era aperta ma senza clienti. Ci hanno fatto 400 euro di multa”. “Eravamo seduti a pochissimi metri dalla nostra attività e ci hanno fatto una multa da 400 euro”. Massimo Licitra e sua moglie Antonella hanno una tabaccheria nel centro di Ragusa. “Ieri verso le 12 mentre la tabaccheria era aperta vado a sedermi sulla panchina di fronte. Praticamente la tabaccheria è al civico 170 e io mi trovavo al 171”, racconta Massimo. “Mentre mi fumo una sigaretta si avvicina mia moglie, che lavora anche lei in tabaccheria, e si siede. Nel corso non c’era anima viva, eravamo solo noi seduti su una panchina. Ormai abbiamo pochissimi clienti, quindi nell’attesa del prossimo cliente, che ovviamente da lì vedo entrare, ci siamo seduti. Arriva un carabiniere e ci chiede cosa stiamo facendo. Noi diciamo che siamo i titolari dell'attività di fronte, ma il carabiniere ci dice che lì non possiamo stare”. “A quel punto io e mio marito facciamo per rientrare in tabaccheria”, ci racconta Antonella al telefono. “Ma il carabiniere ci chiede i documenti e capiamo che sta facendo il verbale”. Il decreto ministeriale, infatti, per limitare il contagio da coronavirus ha imposto il divieto di attività ludiche all’aperto e mantiene la possibilità di fare attività motoria all’aperto (come una passeggiata) in solitaria e solo nei pressi della propria abitazione, rispettando in ogni caso le distanze di sicurezza. “Io e mio marito spieghiamo che non immaginavamo di non poterci nemmeno sedere lì e che non l’avremmo più fatto. Ma niente da fare, ci ha fatto una multa da 400 euro per assembramento. Ma quale assembramento? Il corso era deserto, io e mio marito viviamo insieme e lavoriamo insieme, eravamo solo seduti su una panchina di fronte alla nostra tabaccheria”. Abbiamo chiesto a Antonella di indicarci su Google Maps la panchina su cui erano seduti. Nella foto qui sotto vedete il Tabaccaio e, circondata in rosso, la panchina su cui si sarebbero seduti marito e moglie.
Coronavirus, pizze solo a domicilio: “Io, multato: come le consegno ai camionisti?” Le Iene News il 4 aprile 2020. Le pizzerie possono rimanere aperte anche durante l’emergenza coronavirus ma solo consegnando a domicilio. Gianni De Cicco è stato multato per aver consegnato le pizze sul marciapiede fuori dal suo negozio di Ronco Scrivia, in provincia di Genova, ritrovo per molti autotrasportatori. “Tengo il negozio aperto come protesta. Pagherò la multa e chiedo: ai camionisti come la consegno la pizza?”. Gianni De Cicco è un pizzaiolo di Ronco Scrivia, in provincia di Genova. La sua è categoria può continuare a lavorare, le regole per evitare i contagi da coronavirus lo obbligano però alla consegna a domicilio. Dal suo negozio non possono più passare clienti, può prendere le ordinazioni al telefono, preparare la pizza e consegnarla rigorosamente a casa. Tutto questo per evitare assembramenti dentro e fuori il locale. Qualche giorno fa fuori dalla sua pizzeria è scattato un controllo. “Mi hanno multato per aver consegnato le pizze sul marciapiede”, dice a Iene.it Gianni, che ci ha anche mandato il video che potete vedere qui sopra. La Guardia di Finanza l’ha fermato mentre consegnava la pizza all’esterno del suo locale. Il controllo è finito con una sanzione da 400 euro. “Pagherò la multa perché è giusto così, anche se prima degli ultimi decreti mi consigliavano proprio di fare così per evitare assembramenti. Ma io come faccio a consegnare la pizza ai camionisti? Il camion non può essere riconosciuto come domicilio. E loro come fanno?”, si chiede il pizzaiolo. Dall’inizio dell’emergenza Gianni si è visto crollare il fatturato dell’80%. “A mezzogiorno tengo aperto ma non per un guadagno. Con quei 60 euro ci faccio poco, lo faccio come servizio a chi deve comunque lavorare come i camionisti che passano sulla Milano-Serravalle. Anche perché gli autogrill sono chiusi e loro non saprebbero dove mangiare”, dice. Dopo la multa tiene aperto ma senza lavorare: “Protesto così perché altro non posso fare. Avere qui qualcuno solo per le consegne a mezzogiorno non mi conviene”, spiega il pizzaiolo con tre figli a casa che lo aspettano. “Intanto dicono che sono bloccati i pagamenti ma a me continuano ad arrivare le bollette e dovrò anche pagare l’affitto”.
Il fascino discreto della cronaca dei trasgressori nell'Italia in quarantena. Davide Piacenza il 13 marzo 2020 su Wired. Col decreto di chiusura del paese, i quotidiani d'Italia riportano le storie di chi sgarra in articoli che sembrano verbali di polizia: anziani al bar di provincia o a “comprare il pesce fresco”, “meretrici a piedi”, nonsense e infedeltà, in una grande commedia nazionale. Mille campanili, e sentirli tutti: da quando il governo ha diffuso la sua extrema ratio per combattere il coronavirus, il decreto con cui chiude l’Italia cercando di limitare i contagi da Covid-19, i giornali del paese non hanno potuto che accodarsi alla storica decisione, spiegando – l’abbiamo fatto anche noi di Wired – in cosa si può incorrere uscendo di casa senza una valida giustificazione autocertificata. Che i trasgressori sarebbero comparsi, tuttavia, era fisiologico: chiunque abbia lasciato anche temporaneamente la propria abitazione in queste ore si è accorto di indomiti cittadini allo stato brado, talvolta sfacciatamente e pericolosamente intenti a violare ogni divieto. Quel che non sapevamo, però, è che le loro storie sarebbero state così belle da leggere: sfogliando un qualunque quotidiano del 12 marzo si poteva assistere a sfilze di casi appena usciti da verbali di pubblici ufficiali redatti in ogni angolo del paese, spesso pieni zeppi di dettagli assurdi o esilaranti, e quasi sempre affascinanti nel loro entrare – discretamente e inconsapevolmente – nella storia patria. Sui quotidiani nazionali – resi per l’occasione un unico, grande giornale locale a cielo aperto – sono apparse descrizioni minuziose di scene di socialità rubata, indolenza di provincia, imperturbabile scorrere del tempo, piccoli paesini inossidabili e fieri. E così mentre si legge del severo ma giusto “sindaco di comune campano” che “vieta di giocare a carte”, a Catania c’è chi è andato al mare (“non tutti a distanza di sicurezza”, nota però con una punta di delazione Repubblica). Ma se si sgarra, si va incontro alla scure dello stato: “Giocano a beach volley, denunciati a Rimini” (Corriere della Sera). La terza età in particolare, essendo più a rischio, è oggetto di attenzioni ulteriori, forse non apprezzate: “Anziano seduto su una panchina e pesantemente richiamato dalla polizia a Napoli”, si scorge ancora sul Corriere. E che dire della storia di quella “persona” che in Veneto “ha dichiarato che si era recata ad acquistare del terreno per il proprio giardino”? La sua vicenda banale e straordinaria non meritava forse anch’essa i suoi 15 minuti di celebrità warholiana? Non vogliamo dedicare almeno una sceneggiatura all’uomo il quale “ha detto che aveva lasciato il Friuli per incontrarsi con una donna nei pressi di un campo sportivo”? Sarà mica il nostro Una giornata particolare, ambientato nel 2020? In questi asettici trafiletti si scorge in controluce un’Italia spaesata, rurale, forse ancora una volta incapace di comprendere – o accettare – gli arzigogoli legislativi dello stato; un’Italia di bar di provincia, di anziani che giocano a carte, di infedeltà piccolo-borghesi, sani valori dello sport e antichi mestieri (Repubblica ci fa sapere che fra le 37 persone denunciate a Bologna per aver violato il decreto ci sono “una meretrice a piedi e 10 giocatori di basket dilettanti, di età compresa fra i 19 e i 44 anni, italiani e stranieri, sorpresi a giocare a basket nel giardino Graziella Fava di via Milazzo”), a metà tra una fotografia sbiadita di Luigi Ghirri e Amarcord di Fellini, dove nulla cambia davvero, nemmeno in tempi di pandemia globale. Cinque ragazzi di Napoli evidentemente hanno pensato che “vedere la casa di Vasco Rossi a Zocca”, nel modenese – coprendo i poco meno di 600 chilometri che la separano dal capoluogo partenopeo – rientrasse a pieno titolo nelle “situazioni di necessità” specificate dal presidente del consiglio come eccezioni alla regola; un signore si è recato a Fiumicino da Ostia per “comprare il pesce fresco”; il Messaggero riporta di un “insaziabile cercatore di carne” (“nel senso di schiave del sesso”, precisa il quotidiano subito dopo) “fermato in piena notte a Torino”. A Osimo, provincia di Ancona, un 72enne ha contattato i carabinieri per il furto del suo furgone: si è però scoperto – dicono le colonne del Corriere Adriatico – “che si era invece dimenticato l’area di sosta dove lo aveva lasciato ed era giunto a Senigallia per farsi un giro in bicicletta fino a Pesaro”, e lo si immagina pedalare felice guardando il mare, alla faccia di tutti i patogeni del mondo. E ancora – non si riesce a smettere – nella zona nord di Siena una segnalazione di risate provenienti da un ristorante ha attivato la pubblica autorità, che una volta arrivata sul posto si è trovata davanti la seguente scena fantozziana (e d’altronde, cos’è più arcitaliano di Fantozzi?): “Dopo aver bussato con insistenza, il titolare dell’esercizio, che aveva spento le luci in modo da non destare sospetti sulla chiusura dell’esercizio, ha aperto”; una coppia, ancora a Fiumicino, ha semplicemente detto ai poliziotti “volevamo fare l’amore in spiaggia” (ma da Trieste in giù ora si può solo stare in casa); a Vitinia invece, scrive Leggo, “3 giovani romani avevano imbrattato le pareti della stazione metropolitana con della vernice spray, realizzando le scritte Covid-19”; a Mantova la polizia locale “ha fermato un uomo che, cartello in mano, manifestava la propria opposizione al decreto di Conte”, dice la Gazzetta di Mantova. E così via. Intendiamoci, la violazione del provvedimento non è mica uno scherzo: si rischiano fino a 3 mesi di reclusione e 206 euro di ammenda. Ma evidentemente ci sono italiani per cui la libertà non ha prezzo. E non sono neanche pochi: 2.162, per l’esattezza, secondo il Viminale. Ed è solo il primo giorno! Innumerevoli, fra loro, “si trovavano in auto senza motivo”, o “non hanno saputo fornire una legittima giustificazione” all’uscita a riveder le stelle, recitano queste cronache. Che siano colpevoli di avventatezza o di attentato alla salute pubblica, i nostri, non è dato sapere. Sappiamo solo cosa ne hanno scritto i giornali. Tornando a Repubblica e a Bologna e all’inderogabile partitina a carte: “A Castenaso i carabinieri hanno sorpreso 8 persone, fra i 36 e i 77 anni (due titolari del locale, un barista e cinque pensionati), mentre giocavano a scopone scientifico”. Non sarà la partita a scacchi con la Morte de Il settimo sigillo, ma Max von Sydow – scomparso pochi giorni fa, non a caso – una risata da lassù se l’è fatta di sicuro.
Giulio Pasqui per "ilfattoquotidiano.it" il 26 marzo 2020. Quando l’influencer americana Ava Louise aveva lanciato la #CoronavirusChallenge, quella che consisteva nel riprendersi intenti a leccare i sedili del water, non credevamo che qualcuno arrivasse ad emularla sul serio. Invece è successo. Un ragazzo, che su Twitter si faceva chiamare @gayshawnmendes (proprio come il cantante), ha pubblicato un video dove, tutto fiero, lecca i servizi igienici di un bagno pubblico con la didascalia: “RT per diffondere la prevenzione per il Coronavirus :)”. La clip in poche ore ha raggiunto oltre 5 milioni di visualizzazioni e migliaia di commenti (quasi tutti giustamente indignati e risentiti). Il risultato? Il giorno dopo Larz, questo il suo nome, pubblica un’altra foto. Stavolta è seduto su quello che sembra essere il letto di un ospedale. “Sono risultato positivo al Coronavirus”, è la scritta, accompagnata da un’emoticon triste. Non è chiaro se si tratti dell’ennesima provocazione per far parlare di sé (com’è probabile che sia) o se realmente questo ragazzo incivile abbia contratto il virus Covid-19. Tant’è, Twitter ha deciso di sospendere il suo account e regalargli l’oblio. E pensare che il ragazzo sembra essere pure recivido. Già a luglio Larz era stato fermato dalla polizia per aver mangiato il gelato da una vaschetta del supermercato, salvo poi rimetterla nel congelatore del market, come se niente fosse, tutto a favore di camera. Anche quella volta aveva guadagnato milioni di visualizzazioni e l’odio dei social.
Sofia Unica per leggo.it il 24 marzo 2020. Per loro la preghiera di gruppo era un bisogno primario, al pari di uscire a fare la spesa. Così venti fedeli, ferventi credenti, hanno chiesto al parroco che venisse almeno celebrata l'adorazione eucaristica mantenendo però le distanze di sicurezza. L'ingresso in chiesa dei parrocchiani da una porta laterale non è sfuggito ad alcuni abitanti di Rocca di Priora, un piccolo comune dei castelli romani ad una ventina di chilometri dalla Capitale, che hanno chiamato i carabinieri. Il blitz è scattato immediatamente e per i presenti è scattata la segnalazione alla procura di Velletri per aver violato il decreto presidenziale per il contenimento del Coronavirus, che vieta anche le cerimonie religiose, nonostante permetta ai credenti di entrare in chiesa per un breve momento di raccoglimento. I contravventori sono tutti di età comprese fra i 65 e gli 80 anni. Il fatto è accaduto domenica sera nella parrocchia di San Giuseppe Artigiano di via Tuscolana. Gli investigatori ed i magistrati stanno valutando se procedere penalmente anche nei confronti di don Carmine Petrilli, parroco della chiesa. «Non ho celebrato una messa ma soltanto una preghiera con alcuni fedeli - commenta don Carmine. E' vero che le regole vanno rispettate da me e da gli altri, però anche la preghiera è un bisogno che aiuta le persone a vivere in maniera più positiva. Chi era presente quando sono arrivati i carabinieri osservava le prescrizioni, mantenendosi a distanza di sicurezza. Inoltre - continua il parroco - non c'è stata la comunione e la costruzione che ospita la chiesa che è molto grande e c'erano al massimo venti persone». Nella struttura, di forma ottagonale dedicata al Santo protettore dei falegnami c'era anche il sacrestano. Ora anche quest'ultimo rischia di essere denunciato per avere contravvenuto al decreto #iorestoacasa. A far scattare la spiata al 112 sono state le macchine parcheggiate dietro la sacrestia, cosa che ha insospettito i residenti che da dietro le loro finestre avevano visto il via vai di gente entrare.
Sofia Unica per leggo.it il 25 marzo 2020. Lo hanno scambiato per un rapinatore, era invece un tecnico della Tim, intervenuto per un guasto alla linea internet. I condomini stanchi dei furti, delle rapine al sonnifero e delle truffe agli anziani door to door che nella zona sono molto frequenti ed insospettiti da quell'operaio, con la maglia rossa, la mascherina e la borsa degli attrezzi in mano, hanno chiamato i carabinieri. Sul posto sono intervenute quattro pattuglie che dopo averlo fermato per un controllo lo hanno identificato e chiarito l'equivoco. La pattuglia lo ha fermato sulle scale di un elegante condominio in via cortina d'Ampezzo dove abitano vip ed attori. Una scena surreale, da film comico si e vissuta l'altro pomeriggio a casa del giornalista televisivo Giampiero Galeazzi. Erano giorni che il telefono ed il collegamento alle rete del Bisteccone della televisione italiana non funzionava ed andava a rilento. Il cronista sportivo, comparso per l'ultima volta in televisione a maggio dello scorso anno intervistato da Mara Venier a Domenica In, costretto su una sedia a rotelle per una grave forma di diabete, ha provato a risolvere il problema tramite il call center della societa telefonica senza pero riuscire a risolvere il guasto. L'operatore dopo vari tentativi di ripristinare il servizio da remoto ha concordato con la moglie di Galeazzi l'appuntamento con un tecnico specializzato che da li a poco sarebbe andato di persona a risolvere le noie tecniche. Cosi e stato ma dopo aver citofonato al campanello di Giampiero Galeazzi, qualche vicino che era dietro le finestre ha pensato bene di chiamare il 112 perche quell'uomo, secondo il telefonista si aggirava con fare e con piglio sospetto. Le autoradio sono state subito fatte convergere in via Cortina d'Ampezzo, dove mentre scendeva le scale hanno visto uscire l'operaio che aveva terminato la riparazione. Quest'ultimo si e subito qualificato ed ha spiegato le ragioni per cui si trovava nel cortile dell'abitazione esibendo agli investigatori il tesserino di riconoscimento, la lettera d'incarico della Tim per l'intervento e la richiesta fatta proprio dalla Giampiero Galeazzi, che nel frattempo poteva di nuovo navigare su internet perche la rottura era stata puntualmente riparata dall'incaricato Tim.
L'iniziativa controversa. Roma apre la “caccia all’untore”, la Raggi vuole cittadini-spioni per segnalare gli assembramenti. Redazione de Il Riformista il 27 Marzo 2020. Una Stasi ‘in salsa romana’, la delazione ai tempi del Coronavirus. È la controversa iniziativa del Comune di Roma che sul proprio sito ha lanciato un sistema di segnalazione per consentire ai suoi cittadini di notificare alle forze dell’ordine assembramenti di persone, vietati dalle recenti disposizioni del governo. “Ci sono assembramenti di persone che ritieni in contrasto con le regole dell’emergenza sanitaria? Puoi segnalarli direttamente all’Autorità competente con il SUS (Sistema Unico di Segnalazione) attivo sul portale istituzionale di Roma Capitale. È semplice, segui le istruzioni”, si legge nel tweet del comune Capitolino guidato dalla grillina Virginia Raggi, che spiega con una grafica come effettuare le segnalazioni. Ci sono assembramenti di persone che ritieni in contrasto con le regole dell’emergenza sanitaria ? Puoi segnalarli direttamente all’Autorità competente con il SUS (Sistema Unico di Segnalazione) attivo sul portale istituzionale di Roma Capitale. E’ semplice, segui le istruzioni. Dei rischi su privacy e tenuta democratica con la diffusione di un sistema simile di “caccia all’untore” ne è ben conscio Christian Raimo, scrittore e assessore del Terzo Municipio di Roma. “Per fortuna che a Roma non funziona un ca..o – commenta Raimo – e il tempo che uno segnala un assembramento siamo arrivati a maggio, ma è una delle cose peggiori che ho visto in questi giorni, che capisco siano difficili per tutti”.
Paese di santi, eroi e delatori….Il Dubbio il 23 marzo 2020. Migliaia di denunce arrivano da cittadini solerti a dar colpa al vicino di casa. La nuova Italia affacciata al balcone sembra avere due facce: il cittadino solidale che si improvvisa cantante, il cittadino responsabile a caccia del trasgressore passante. Entrambi alle prese con un paese smarrito, annoiato, terrorizzato. Quando potremo tornare alla normalità? Dietro le stime ancora incerte di scienza e politica, si solleva la voce del web: quando ognuno farà la sua parte. In altri termini, quando tutti rispetteranno le regole di distanziamento sociale stabilite da decreti e ordinanze, che se non lo capite con le buone allora con le cattive. Nel dibattito corrente tra strategia della persuasione o della repressione, la crescente richiesta di controllo sociale si fa strada attraverso il buco della serratura del cittadino vigilante: dal vicino che, orologio alla mano, monitora i padroni a spasso con il cane, alla moglie che denuncia il marito per una scappatella al supermercato. Nel flusso di notizie più o meno curiose sulle numerose violazioni registrate, abbiamo sentito di tutto. Appuntamenti proibiti tra le interminabili file per la spesa, cene e festicciole finite nel mirino dei condomini. Ha fatto il giro del web il video di un mercato pieno di gente alla Pignesecca, quartiere di Napoli con una densità popolare da fare invidia alle capitali più affollate del mondo. E sempre dalla Campania, Salerno, arriva la testimonianza di una farmacista travolta da secchi d’acqua mentre rientrava da lavoro. Lungo tutto lo stivale si è fatta strada la caccia all’untore in tuta e sneakers, prima che l’ultima stretta sulle attività all’aperto archiviasse il caso del runner ostinato. A fronte delle restrizioni sempre più stringenti, si moltiplicano i controlli e le denunce delle forze dell’ordine, presto con il supporto dei droni pronti a prendere il volo sulle nostre strade desolate. Secondo i dati forniti dal Viminale, dall’11 al 22 marzo sono 92.367 le persone denunciate ex articolo 650 del codice penale, in applicazione delle misure di contenimento del contagio, e 2.155 per falsa dichiarazione Quante segnalazioni venissero da cittadini solerti non è dato sapere. Di certo la mobilitazione di sindaci e amministratori non ha precedenti: «Tolleranza zero per chi non rispetta le disposizioni del Governo. Grazie ad agenti per fondamentale lavoro in queste giornate delicate. #RestateACasa», scrive in un tweet Virginia Raggi. La sindaca di Roma è stata protagonista nei giorni scorsi di un vero e proprio blitz in diretta tv. In collegamento con il programma pomeridiano di Barbara D’Urso, un folto gruppo di atleti colti in flagrante in un parco della capitale dalle telecamere Mediaset è stato sparigliato a colpi di indignazione. «Non bisogna abbassare la guardia, non bisogna mollare. Ora è il momento di stare uniti e seguire le regole. Noi proseguiremo con i controlli per evitare il più possibile che qualcuno trasgredisca le norme e metta a rischio la salute di tutti gli altri cittadini», ha ammonito ancora la sindaca partita nel fine settimana alla volta dei punti nevralgici di Roma per controllare di persona. Pugno duro anche da parte del primo cittadino di Maiori, piccolo comune della penisola sorrentina: «Occorre una forte collaborazione da parte di tutti i cittadini – scrive su Fb il sindaco Antonio Capone – nel segnalare ai vigili urbani l’arrivo a Maiori di persone, provenienti da altri paesi/città, in condomini/abitazioni per gli accertamenti nei termini di legge e per limitare al massimo gli spostamenti. Non abbiate timore di farlo: la segnalazione resterà anonima ma tutelerete tutta la cittadinanza. Siate le sentinelle a difesa di Maiori e dei maioresi».
Da italpress.com il 25 marzo 2020. Cosa ci fa un uomo nudo in una strada di Palermo in piena emergenza coronavirus? Palermo, una strada deserta del centro, in piena emergenza coronavirus. E all'improvviso un uomo nudo, completamente nudo. Dove sta andando.
(LaPresse) 20 marzo 2020 - Scene di ordinaria follia in una Roma che ha ormai poco di normale. Sotto il sole capitolino, le strade vuote. Poche le automobili nel centro normalmente paralizzato dal traffico, pochissimi i passanti. Sul ponte di Corso Vittorio sbuca però un uomo completamente nudo mentre tranquillo si avvia a piedi verso il centro con alle spalle Via della Conciliazione e il lungotevere di Castel Sant'Angelo. Le immagini girate da un incredulo automobilista e postate in rete stanno facendo il giro del web.
Coronavirus, prende il sole in topless al parco e insulta i carabinieri. Asia Angaroni il 28/04/2020 su Notizie.it. Nonostante le restrizioni imposte per il coronavirus, una 34enne prende il sole in topless al parco. Poi insulta i carabinieri: "Fascisti e cornuti". C’è chi pur di uscire di casa ha portato a passeggio il pappagallo e chi, nel Modenese, ha voluto far prendere una boccata d’aria al proprio criceto, rigorosamente chiuso nella sua gabbietta. È evidente che le rigide restrizioni adottate a inizi marzo e il prolungato lockdown comincino a pesare. Gli italiani risentono sempre più della chiusura e dell’isolamento forzato. Hanno stravolto la propria routine e il proprio stile di vita, modificando abitudini e usanze. Ora si vorrebbe tornare il più possibile alla normalità. Complice il bel tempo e le temperature gradevoli, c’è chi non rinuncia alla tintarella. È il caso di due donne che hanno preso il sole nude sul balcone, suscitando la curiosità del vicinato. Nonostante i divieti imposti alla luce dell’emergenza coronavirus, anche una trentaquattrenne della provincia di Bologna prende il sole in topless al parco. Per lei 300 euro di multa. Eppure, forse non pienamente consapevole dell’errore commesso, non ha accettato la sanzione e ha insultato i carabinieri. I carabinieri di Marzabotto (Bologna), hanno colto in flagrante la trentaquattrenne, la quale, con assoluta tranquillità, si stava godendo un po’ di relax all’aria aperta. La donna, infatti, in topless stava prendendo il sole nel parco di Monte Sole, uno dei luoghi della memoria della Seconda guerra mondiale. Per lei una multa da 300 euro. Poi ha inveito contro i carabinieri: “Fascisti e cornuti”. L’episodio risale al pomeriggio di venerdì 24 aprile durante i controlli effettuati dai carabinieri nelle aree verdi isolate. Avvistata la pattuglia, la donna si è rapidamente rivestita. Alle forze dell’ordine, tuttavia, la sua presenza non è passata inosservata e non hanno tardato a farle notare l’errore commesso.
Prendere il sole al parco, infatti, non rientra nelle esigenze di primaria importanza. Nonostante fosse sola, non è stato rispettato un divieto governativo. A quel punto la donna ha perso la pazienza, insultandoli. Per questo motivo, oltre alla multa, la trentaquattrenne è stata denunciata per oltraggio a pubblico ufficiale. Dal 4 maggio, invece, sarà possibile anche prendere il sole al parco.
Da ilfattoquotidiano.it il 21 aprile 2020. Una donna è uscita in strada praticamente nuda e si è sdraiata sul cofano di una gazzella dei carabinieri. È quanto successo nel tardo pomeriggio del 18 aprile in via Trebbia a Borgotrebbia, in provincia di Piacenza: la scena è stata immortalata dai residenti che hanno assistito attoniti dalle finestre di casa. E poi l’hanno condivisa sui social. La donna, in evidente stato confusionale e forse sotto l’effetto di alcol o droghe, è stata vista camminare scalza e nuda per diversi metri finché ha visto l’auto dei carabinieri e vi si è sdraiata sopra. I militari hanno chiamato il 118 e la donna, dopo aver aggredito sia i carabinieri che gli operatori sanitari accorsi, è stata portata via in ambulanza per accertamenti. La sua posizione è al vaglio.
Massimo Stefanini per lanazione.it il 21 aprile 2020. Ragazze nude sul balcone a prendere il sole e quartiere in subbuglio, soprattutto le mogli dei condomini del palazzo di fronte le quali, indignate, hanno praticamente costretto i mariti ad avvertire i carabinieri. I militari sono intervenuti per riportare l’ordine. E’ accaduto anche questo, al tempo del Coronavirus, nel centro di Altopascio, in via Divisione Alpina Julia, una traversa della Romea. Da casa non si può uscire, o perlomeno non per andare dove si vuole ma solo per comprovate necessità, le misure del contenimento del contagio impongono libertà limitate e il meteo non aiuta, nel senso che la primavera è scoppiata, le temperature sono gradevoli. Così succede che ai piani più elevati dell’immobile, un paio di signorine, hanno pensato di portarsi avanti con la tintarella. A un tratto devono aver pensato che non le avrebbero viste a quell’altezza, quindi tanto valeva togliersi anche il bikini, per una abbronzatura integrale. Forse non considerando che in questo periodo le persone, spesso, si trovano alle finestre. Qualcuno, trasalendo ha osservato la scena senza fare i conti però con la consorte. Si sono levate proteste e le donne dello stabile di fronte hanno chiamato il 112. Sul posto è arrivata una pattuglia, ma le nudiste erano sparite. Così è stata riportata la tranquillità, anche se non sono stati adottati provvedimenti.
Da leggo.it il 15 aprile 2020. Erano le 9.30 quando il responsabile della Protezione civile, Antonio Netto, mentre si stava recando in Municipio, ha visto casualmente una donna correre nuda a Posmon, Montebelluna, all’altezza dell’incrocio tra via Valbella e la Schiavonesca-Marosticana. Immediatamente Netto è intervenuto per fermare la donna ed ha allertato le forze dell’ordine che si sono recate sul posto ed hanno condotto la giovane – residente a Montebelluna – all’ospedale San Valentino per gli accertamenti del caso. Interviene il sindaco, Marzio Favero: “La notizia del giorno non è affatto quella che una giovane donna in evidente stato confusionale abbia fatto una corsa nuda in una via della città, bensì che dei cittadini invece di soccorrerla o di chiamare il Pronto soccorso o la Protezione civile abbiano ritenuto divertente filmarla e fotografarla per postare immediatamente le immagini e i filmati su facebook e whatsapp con una totale mancanza di rispetto non solo per la ragazza ma anche per la propria dignità di persone. Dopo un mese di reclusione in casa, vi sono cittadini e cittadine che stanno crollando di fronte allo stress psicologico. Probabilmente la giovane donna oggetto di attenzione avrà accumulato stress su stress ma non sta a noi cercare di ricostruire le cause del suo comportamento alterato né di giudicarla però è una vergogna che di fronte al dramma di una donna, molti cittadini e cittadine abbiano ceduto alla pruderie e al voyeurismo. Evidentemente non hanno perso un secondo per domandarsi se avrebbero gradito che ad essere oggetto di una pubblicità simile potesse essere una persona a loro congiunta o amica. Per costoro è venuto meno qualsiasi rispetto umano o cristiano. E che dire dell’ineffabile incoscienza di quel signore che nel filmare col cellulare la corsa della donna nemmeno si è reso conto che si stava autodenunciando per guida di auto con utilizzo improprio dello smartphone. Comportamento in grado di mettere a repentaglio la sicurezza sua e di altri cittadini presenti sul luogo. […]”.
Milano, uomo totalmente nudo in giro per Corso Buenos Aires: "Mi hanno rubato tutto". Da milanotoday.it il 9 aprile 2020. Una collanina al collo e nient'altro. Nulla, assolutamente nulla. Folle siparietto a luci rosse giovedì mattina a Milano, dove un uomo ha pensato bene di passeggiare totalmente nudo per il centro città deserto a causa della quarantena imposta dall'emergenza Coronavirus. Lo "show" è andato in scena alle 13 in corso Buenos, a due passi da piazzale Lima. L'uomo, che secondo quanto riferito da una testimone continuava a urlare "mi hanno rubato tutto", si è intrattenuto per qualche secondo a guardare la vetrina di un negozio che vende occhiali ed è poi stato avvicinato da una pattuglia della polizia locale. I ghisa gli hanno offerto un telo bianco per coprirsi ma lui l'ha rifiutato, prima di essere bloccato dagli agenti della polizia di Stato, intervenuti pochi attimi dopo. I poliziotti, che erano di passaggio in zona ed erano stati allertati da alcuni passanti, hanno immobilizzato l'uomo a terra e lo hanno poi accompagnato in ospedale per essere sottoposto a una visita psichiatrica.
Milano, uomo cammina completamente nudo per strada. Arriva la volante. Le Iene News il 09 aprile 2020. Una scena a dir poco surreale ha animato oggi la deserta strada di corso Buenos Aires a Milano: un uomo completamente nudo passeggiava tra le vetrine. In questi giorni di isolamento, tra strade deserte e negozi chiusi, la vita all’aperto non è molto movimentata. Ma oggi a Milano in quelle strade deserte si è presentata una scena a dir poco surreale. Un uomo passeggiava nudo per corso Buenos Aires a Milano ed è stato fermato dalla polizia intorno alle 13. “Mi hanno rubato tutto”, avrebbe ripetuto l’uomo secondo una testimone che si trovava sul posto. Prima che fosse fermato da una pattuglia di polizia locale, sembra che l’uomo si intrattenesse a guardare le vetrine nel corso. L’uomo è stato immobilizzato a terra dagli agenti, che lo hanno portato in ospedale per una visita psichiatrica. Attualmente, l’uomo si troverebbe ricoverato presso il reparto psichiatrico della struttura ospedaliera dove viene tenuto sotto osservazione da parte dei medici.
Lorenzo De Cicco per “il Messaggero” il 24 marzo 2020. Prove di fuga verso la villetta al mare, da Santa Marinella a Torvaianica o ancora più giù, sul litorale pontino. Seconde case trasformate in buen retiro da Covid-19, dove trascorrere queste settimane d'isolamento o almeno uno scampolo di quarantena. Ma a sbarrare la strada a chi si è improvvidamente messo in macchina negli ultimi giorni, in barba ai divieti del governo che consentono solo gli spostamenti davvero «di necessità», sono state le pattuglie di polizia, carabinieri, vigili urbani e guardia di finanza. Un battaglione di quasi 3mila uomini dispiegato fra Roma e l'hinterland per far sì che tutti rispettino le prescrizioni necessarie ad arginare il contagio. Solo tra sabato e domenica sono stati realizzati oltre 50mila controlli tra auto, scooter e i (pochi) cittadini a passeggio: 23.500 controlli sabato e altri 30mila domenica. Non tutti avevano le carte in regola per circolare: in sole 48 ore quasi 1.400 romani (730 domenica, 650 sabato) sono stati denunciati per aver violato l'articolo 650 del codice penale, quello annotato in grassetto sui moduli dell'autocertificazione diffusi dal Viminale e che punisce l'«inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità». Pena prevista: generalmente una multa da 206 euro, ma si può arrivare fino all'arresto per tre mesi. Le verifiche non sono durate solo lo spazio di un weekend: anche ieri gli agenti ai blocchi stradali hanno fermato migliaia di auto, in particolare sulle grandi arterie che portano fuori città. Perché è questa l'infrazione più riscontrata, racconta chi si sta occupando delle verifiche: si tenta di andare via da Roma, molto spesso per raggiungere la casetta al mare o in campagna. Dalla Trionfale alla Palmiro Togliatti, chi era in macchina o in sella al motorino ha dovuto accodarsi e aspettare di arrivare davanti alla pattuglia delle forze dell'ordine per mostrare i documenti e l'autocertificazione. Su input del prefetto Gerarda Pantalone, i controlli da una settimana si sono fatti più stringenti. Chi è di pattuglia incrocia i dati degli automobilisti, verifica l'indirizzo di residenza e fa di calcolo: quanti chilometri dista dal posto di blocco? La spesa si può fare, certo, ma solo sotto casa. Così come andare in farmacia: tutto consentito, ci mancherebbe, ma non vale come giustificazione se ci si trova a 10 chilometri dall'appartamento dove si risiede, magari col serbatoio pieno e un paio di valigie piazzate strategicamente nel bagagliaio. Nelle autocertificazioni più o meno scrivono tutti la stessa cosa: vado a fare provviste, vado in farmacia, vado al lavoro (anche se adesso, dopo l'ultimo decreto del governo, i margini si sono fatti ancora più stretti). Poi tocca dimostrare che è effettivamente così. Non tutti ci riescono, come il cliente di uno spacciatore fermato ieri dai Carabinieri, denunciato perché scoperto sulla Portuense, in compagnia del pusher, «senza motivo». Oltre ai check sugli spostamenti, la Prefettura da ieri sta passando al setaccio le richieste delle attività che vogliono restare operative. Un centinaio di imprese hanno già spedito il modulo a Palazzo Valentini e il prefetto, nei prossimi giorni, firmerà un decreto che dichiarerà quali attività possono considerarsi «strategiche» per l'economia cittadina e quindi restare aperte anche in questi giorni difficili di coronavirus.
Da ilgazzettino.it il 24 marzo 2020. Funerali vietati per decreto e permessi solo con i parenti più stretti (con distanze di sicurezza), ma nella parrocchia veronese di S. Lucia Extra, sabato è accaduto qualcosa di diverso: alle 16 è stato celebrato il rito funebre per un defunto appartenente a una famiglia sinti veronese. Ad accompagnare il feretro almeno 100 persone, in barba alle normative per evitare il contagio da Coronavirus. Sono quindi partite le denunce contro i partecipanti e gli impresari delle onoranze funebri, oltre che al parroco don Franco Dal Dosso.
Distrugge l'auto della vicina a sprangate mentre lei lo filma. Le Iene News il 24 marzo 2020. A Montesilvano, in provincia di Pescara, un uomo ha distrutto l’auto della vicina che lo ha filmato mentre lo faceva. Il video con i vicini da incubo in tempo di quarantena è diventato virale. Ma il coronavirus c’entra poco, piuttosto ci sono annosi problemi condominiali. “Altroché la quarantena, quando finirà ci vorrà l’esercito per te per uscire”. Volano minacce, parolacce e badilate a Montesilvano, in provincia di Pescara. Un uomo ha distrutto a sprangate la macchina della vicina. Ma nonostante faccia riferimento all’emergenza coronavirus in corso in tutta Italia, i divieti per contenere il COVID-19 c’entrano poco. O forse c’entra una situazione che si trascina da anni e che gli ultimi giorni di isolamento a casa hanno esasperato ancora di più. Nel video diventato virale si vede un uomo in pantaloncini e a torso nudo che prende a sprangate un’auto parcheggiata dietro a un albero. Il tutto è stato immortalato dalla proprietaria del veicolo che ha assistito alla scena dalla finestra di casa sua. “Fate venire i campioni”, dice l’uomo agitando una spranga in aria. Dalle parole passa ai fatti. Si sentono pezzi di carrozzeria schizzare via e urla sempre più forti. La donna dalla sua finestra è terrorizzata e inizia a chiedere scusa. A quel punto urla: “Oddio, l’ha distrutta”. E un uomo accanto a lei, che verosimilmente è il marito, le conferma: “Ormai la macchina è andata”. Tra quelle martellate continuano a volare minacce e insulti: “Poi vengo dentro casa”. A quel punto lei lo supplica: “Scusami, scusami”, piangendo a dirotto. “Deve chiederlo lui, quel figlio di puttana”, dice riferendosi forse al marito della donna. “Questo episodio sarebbe stato meglio che non fosse avvenuto, ma è una situazione degenerata per questioni condominiali”, spiega a Iene.it l’avvocato Vito Morena, che difende l’uomo che ha preso a sprangate l’auto. “Per le restrizioni in corso nel nostro Paese non ho ancora potuto parlare con il mio assistito e quindi non posso rilasciare dichiarazioni complete. Quasi sicuramente la vicenda andrà per vie processuali e lì accerteremo che cosa è successo”. Da quanto ricostruito nelle ultime ore, il titolare dell’auto (il marito della donna che ha realizzato il video) avrebbe ripreso i figli dell’uomo. “Forse in questi giorni a casa hanno fatto qualche rumore di troppo. Il papà ha reagito in questo modo, che non doveva esserci”, spiega l’avvocato. E quella situazione è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso dopo anni di problemi di vicinato.
Da leggo.it il 24 marzo 2020. Una scena da film. Un uomo, a Montesilvano, in Abruzzo, si allenava nel giardino del condominio quando una donna, una vicina di casa, lo ha ripreso, invitandolo a interrompere gli allenamenti e a rientrare a casa. L'uomo non ha preso bene il rimprovero e - evidentemente in preda alla rabbia - ha iniziato a prendere a martellate la macchina della donna che, dalla finestra, ha assistito inerme alla distruzione della sua vettura. L'uomo, nonostante le preghiere della donna in finestra, non ha fermato la sua furia, arrivando a minacciare la donna, che, piangendo, lo implorava di fermarsi.
Nicola Pinna per lastampa.it il 23 marzo 2020. Ha cercato di bloccare un uomo che stava tentando di allontanarsi dalla zona rossa e per questo un agricoltore di 69 anni sarebbe stato aggredito e ucciso a colpi di mazza. L’assurdo omicidio è avvenuto a Fondi, la cittadina del Lazio che nei giorni scorsi è diventata area ad alto rischio contagio. Al delitto ha assistito praticamente in diretta, anche se collegato al telefono, il figlio dell’anziano che stava consigliando al padre di non mettersi nei guai e di lasciar perdere quell’uomo che aveva deciso di attraversare la campagna per «evadere» dall’area sottoposta ai vincoli sanitari. Emilio Maggiacomo, un contadino che stava lavorando nella sua vigna nella zona di San Raffaele, al confine con il vicino Comune di Itri, ha notato l’arrivo di un’auto sospetta. Una Lancia che di solito non passava mai da quelle parti. Per questo si è insospettito e ha cercato di capire chi fosse il conducente. Al volante c’era un ragazzo di origine pachistana che da tempo abita e lavora a Fondi: la sua idea, dalle prime informazioni raccolte dai carabinieri del Reparto operativo del comando provinciale di Latina, era quella di andar via dalla zona rossa attraversando una stradina di campagna. Un percorso solitamente deserto, in modo da evitare tutti i posti di blocco delle forze dell’ordine. Il 69enne però l’ha fermato subito e gli ha chiesto dove stesse andando. Gli avrebbe detto di tornare indietro e che altrimenti avrebbe chiamato i carabinieri. Nello stesso momento ha chiamato il figlio per raccontare la situazione e quando ha visto l’anziano con il telefono in mano il giovane pachistano ha perso la testa. Ha aggredito Emilio Maggiacomo e lo ha massacrato con un arnese, forse una mazza. Lo ha malmenato senza pietà per poi darsi alla fuga. La telefonata si è interrotta improvvisamente e il figlio del contadino ha capito subito che fosse successo qualcosa. È corso verso la vigna e ha trovato il padre a terra, già privo di vita. Il giovane responsabile dell’omicidio pare sia già stato rintracciato e fermato dai carabinieri, che ora lo stanno interrogando.
Coronavirus, i sindaci: "Silenziare le serene delle ambulanze per non turbare i cittadini". Libero Quotidiano il 22 marzo 2020. Silenziare le ambulanze, che a Bergamo e Brescia, ma anche a Milano sono la colonna sonora dell'emergenza coronavirus in questi giorni di strade (quasi) vuote e quarantena. La frequenza delle sirene che risuonano soprattutto dal tramonto all'alba indica quanto si sta sta allargando il contagio. Ma soprattutto, è il giudizio di alcuni sindaci, inquietano i "cittadini sani". Il presidente dell'Anci Antonio Decaro si è fatto portavoce della loro istanza, per silenziare le sirene delle ambulanze laddove non ci sia espressa necessità per l'intralcio della circolazione. "Oggi gli italiani hanno bisogno anche di serenità - è la motivazione di Decaro, sindaco di Bari in prima linea per far rispettare la quarantena dai suoi concittadini -. Se non serve, perché le condizioni della strada lo consentono, quelle sirene si possono anche spegnere".
Il sindaco di Bari cazzia il multato: “Se paghi prima hai lo sconto”. Le Iene News il 7 aprile 2020. A Bari oltre alle multe per chi non rispetta i divieti del coronavirus, c’è anche il cazziatone del sindaco Antonio Decaro, come è capitato a un pensionato. Il video del battibecco è diventato virale. “Stavo andando a mangiare da mia figlia”. Così un pensionato di Bari si è giustificato a un posto di controllo. Solo nelle ultime 24 ore sono oltre 10mila le persone sanzionate in Italia per non aver rispettato i divieti imposti per arginare l’epidemia del coronavirus. Questa volta però tra gli agenti c’era anche il sindaco di Bari. E così il multato è stato cazziato da Antonio Decaro, tutto filmato in un video diffuso dallo stesso primo cittadino che sta facendo il giro d’Italia. “Ti stiamo facendo la multa per il suo bene”, dice Decaro. Ma il pensionato spiega che stava andando dalla figlia a mangiare. “Non puoi andare da lei. Se esci prendi il virus, ti ammali e puoi morire. Oppure se ce l’hai tu, vai da tua figlia. Lei ha figli? Perché devi andare a creare problemi a lei e ai tuoi nipoti? Devi stare a casa”. Il sindaco gli ricorda anche la possibilità della spesa a domicilio. Uno dei tanti servizi che i vari comuni hanno attivato per aiutare le persone più anziane in queste settimane difficili dove anche solo un semplice acquisto può esporle a grandi rischi per la loro salute. “Perché secondo lei io non ho voglia di andare a mangiare dai miei genitori? Loro abitano a 20 metri da me. Eppure, non ci vediamo”, aggiunge Decaro. Ma il battibecco tra l’anziano e il sindaco continua anche dopo il controllo. “Ti sei preso una multa di 533 euro. Se la paghi subito hai lo sconto. Pagala subito perché hai sbagliato. L’hai presa per il tuo bene, devi stare a casa”, dice Decaro.
Il cazziatone finisce con un avvertimento: “Se scopro che vai da tua figlia ti faccio seguire. E poi faccio sequestrare te e la tua automobile”.
Antonio Decaro sceriffo contro il Coronavirus: serve davvero? Natale Cassano il 21/03/2020 su Notizie.it. Antonio Decaro, Sindaco di Bari, è diventato famoso per le sue sortite contro chi non rispetta l'isolamento contro il Coronavirus. Serve davvero quest'atteggiamento da "sceriffo"? «Dovete uscire da qui, mettete a rischio voi e gli altri. Andate a casa». È diventato virale in pochissimo tempo il video del blitz di Antonio Decaro, sindaco di Bari, in uno dei parchi cittadini, dove diversi residenti erano intenti a leggere e prendere il sole in compagnia, in barba ai provvedimenti del Governo per contrastare la diffusione del Covid-19. Eppure nel capoluogo pugliese – come in altri comuni italiani (da meridionale, non posso e non voglio perpetrare lo stereotipo di un Sud irrispettoso delle regole) – sono tanti i comportamenti non rispettosi del divieto di assembramento che questa epidemia impone. Comportamenti che Decaro sta condannando con forza. Mettendoci la faccia e identificandosi con la figura dello “sceriffo”, sull’esempio di altri governatori italiani, in primis il presidente della Regione Campania (quello del “Se state organizzando feste di laurea, vi mando i carabinieri con i lanciafiamme“).
Serve davvero un Sindaco sceriffo? Il menefreghismo di pochi rischia di avere un impatto devastante su tutti. Come il gruppo di persone di mezz’età che annunciava al mondo come “a noi il Coronavirus non ci tocca”, mentre il video li vedeva intenti a giocare a carte sotto i portici del capoluogo. C’è bisogno di una figura forte che si arroghi il dovere di bacchettare chi si sente intoccabile. Perché siamo pronti a puntare il dito contro gli altri senza accorgerci che siamo i primi a sbagliare, finché qualcuno non ce lo fa notare. È lo stesso Decaro a spiegarlo con un esempio calzante, durante una delle dirette dal suo ufficio nel palazzo comunale: «Camminavo ieri e c’era gente che mi diceva “Bravo sindaco, fai bene a mandarli a casa”. E io gli ho risposto “E tu c sta a fasc do?”» (“E tu che fai qui?”, in dialetto barese, ndr).” È questa la grande capacità di Decaro, come di molti governatori che hanno scelto la linea dura contro chi non rispetta i provvedimenti restrittivi del Coronavirus.
Saper parlare a tutti talvolta con effetti comici insperati. Linea dura che diventa anche virale: il video del suo ultimo “blitz” (in un ipermercato cittadino dove si erano creati grossi assembramenti di persone a causa di un buono sconto) ha superato le 5000 condivisioni, con migliaia di commenti entusiasti da tutta Italia. Inevitabili le parodie che si moltiplicano in rete: provate a cercare “Decaro Walker Texas Ranger” sui social e capirete. Un successo che lo ha portato persino oltreoceano, grazie alla forza di TikTok, social network in voga in Cina tanto quanto tra i giovani italiani. I video sottotitolati in cinese dei suoi blitz sono rimbalzati dalla rete alla televisione, mandati in onda su emittenti cinesi e citati in quelle spagnole, come Lasexta. E lunedì 23 marzo il primo cittadino barese sarà anche protagonista di un’intervista sul Wall Street Journal.
Dagospia il 19 marzo 2020. Dal profilo Twitter di Fabio Sabatini, professore di Economia e Direttore dello European Phd in Socio-Economic and Statistical Studies alla Sapienza di Roma. Troppa gente al supermercato? Governo progetta di ridurne l'orario di apertura. Risultato: più gente al supermercato, file più lunghe, maggior tempo in strada, interazioni moltiplicate, stress alle stelle, negozi online congestionati e accessibili solo a chi naviga con fibra. Sarebbe un errore grossolano, che aumenterebbe i rischi per le categorie più vulnerabili - che avrebbero maggiore probabilità di trovarsi in coda con i più giovani (che possono fare la spesa in ore meno frequentate) e finirebbe per moltiplicare le occasioni di contagio. Inoltre: chi deve recarsi comunque al lavoro e chi deve lavorare in smart working non può permettersi di affrontare lunghe code in ore diurne. Per loro la chiusura causerebbe non solo disagi sproporzionati, ma anche un calo della produttività con tutto ciò che ne consegue.
Da leggo.it il 21 marzo 2020. Caccia all'uomo nella Val Brembana, nella provincia di Bergamo, fra le più colpite dall'emergenza coronavirus. Lo cercano i carabinieri, i vigili del fuoco e i volontari del soccosro alpino, tutti con le migliori intenzioni perché l'evaso è un uomo positivo al virus: è scappato alle 4 di questa mattina dall'ospedale di San Giovanni Bianco, paese della Valle Brembana. Le forze dell'ordine che lo stanno cercando in tutta la valle, sanno anche perché il paziente è fuggito mettendo a rischio la sua salute e quella di coloro che entreranno in contatto con lui: ieri aveva perso il padre, morto per Covid-19.
Coronavirus, in fila per la mini spesa al supermercato: “Solo per l'alibi dello scontrino”. Le Iene News il 20 marzo 2020. Da quando sono scattate le norme per evitare i contagi da coronavirus è iniziato un nuovo fenomeno, quello delle “mini spese”. Ce ne parla a Iene.it il gestore di un supermercato di Roma. Ci dimostra come in una mattinata abbia fatto oltre 80 scontrini inferiori ai 10 euro. C’è chi spende poco più di 6 euro. Chi neanche 4, chi invece si ferma addirittura a 79 centesimi. Sono i totali degli scontrini dei “furbetti della spesa”. A farcelo notare è Marcello Cappelli che a Roma gestisce un supermercato con 40 dipendenti. Succede anche questo pur di non rispettare i divieti imposti dal governo per evitare i contagi da coronavirus, come potete vedere nel video qui sopra. “Ormai vedo entrare anche 3 o 4 volte al giorno le stesse persone. Fanno la fila, entrano e acquistano pochi prodotti da pochissimi euro per poi andarsene”, spiega Marcello a Iene.it. “Non vengono per una necessità, ma per avere l’alibi dello scontrino per poter uscire da casa”. Da quando tutta Italia è diventata zona rossa, anche Marcello è corso ai ripari: i clienti aspettano il loro turno in coda fuori a distanza di sicurezza. E nel supermercato si entra a piccoli gruppi e mai a coppie. “C’è chi si presenta con la moglie o il marito, chi addirittura arriva con la famiglia. Qui la gente ancora non ha capito la situazione”, dice Marcello. Ma è solo l’inizio di questa nuova moda. La gita al supermercato sta diventando il miglior passatempo in questo periodo in cui gli italiani dovrebbero uscire dalle loro case solo per “comprovate esigenze lavorative o per l’acquisto dei beni di prima necessità”, come dice il decreto. E di fatti un segnalatore ci ha spiegato che, fermato a un posto di blocco dopo essere uscito dal supermercato, le forze dell'ordine non si sono accontentate di vedere la spesa, ma hanno chiesto anche lo scontrino. "E mi hanno spiegato di tenerlo sempre con me, per eventuali futuri controlli". “Il paradosso si vede alle casse. Stacchiamo scontrini da pochi euro, somme che non giustificano una spesa settimanale”, spiega Marcello che fa molto di più. Ci manda anche la schermata dei resoconti di cassa per dimostrarci quello che dice. In una sola mattinata sono stati staccati oltre 80 scontrini inferiori ai 10 euro. Uno addirittura da appena 79 centesimi. “In questo momento non si va al supermercato per spendere così poco, perché se si esce da casa per spendere 79 centesimi è solo per avere un alibi”, dice il titolare del supermercato. “Noi non ce la facciamo più. I miei ragazzi stanno facendo più di quanto dovremmo a livello di orario e carico di lavoro”. Il comune di Roma ha emesso un’ordinanza che impone nuovi orari di apertura. “La domenica dobbiamo chiudere entro le 15, ma io resterei chiuso tutto il giorno per evitare troppi assembramenti”, spiega Marcello, che oltre a essere titolare del supermercato è anche padre. “Ho 60 anni e sono spaventato da questa situazione, soprattutto quando torno a casa. Per questo ci vorrebbe l’esercito anche per le strade di Roma. Troppa gente sta sottovalutando la situazione”. Intanto dal Campidoglio fanno sapere che per tutto il fine settimana ci saranno posti di controllo per verificare chi si sposta e soprattutto per quali motivi.
Sport all'aperto, lite durante l'allenamento: “Andate a casa”. Le Iene News il 20 marzo 2020. Quello dello sport all’aperto è un tema dibattuto in questi giorni, in cui molte regioni chiedono misure più restrittive al governo, includendo il divieto di praticare attività fisica all’aperto per evitare assembramenti. E intanto scoppiano anche le liti per strada. Tre ragazze si allenano all’aperto e un uomo si avvicina e sembra dire loro di tornare a casa. Inizia una discussione, in cui una delle ragazze urla all’uomo di stare a un metro di distanza e dice di non avere i documenti con sé perché era uscita ad allenarsi. Il tema dell’attività fisica all’aperto in questi giorni difficili fa molto discutere, sia sui social che, come si vede nel video qui sopra, per le strade. Fare sport all’aperto è ancora consentito dal decreto del governo, ma questa possibilità potrebbe avere vita breve. Sono tante le persone che, con la chiusura di palestre e parchi per evitare gli assembramenti, si sono riversate nelle strade per fare sport, che sia una corsa o altri esercizi. A Milano nei giorni scorsi sono state segnalate più volte sui social le troppe persone trovate fuori a fare sport. Una denuncia che è arrivata anche da Chiara Ferragni che in una storia ha pubblicato una foto in cui si vedono molte persone correre intorno a Parco Sempione, chiuso per l’ordinanza. "Ma ragazzi che problemi avete? Andare a correre in un momento di emergenza sanitaria e quarantena?”, ha commentato l’influencer e imprenditrice. Molte regioni hanno chiesto la chiusura di altre attività commerciali e il divieto di sport all’aperto al governo di Giuseppe Conte, che in un’intervista al Corriere della Sera ha detto: “Una cosa è fare attività sportiva, un’altra è trasformare i luoghi pubblici in punti di assembramento, cosa inammissibile”. Nella serata di venerdì 20 marzo è arrivata l'ordinanza del ministero della Salute che inasprisce le misure già adottate per il contenimento del contagio. Resta consentito svolgere "attività motoria nei pressi della propria abitazione", purché si svolga "individualmente" e rispettando la "distanza di almeno un metro da ogni altra persona". Cambiano invece le cose per quanto riguarda i parchi: ora su tutto il territorio nazionale è vietato "l'accesso del pubblico ai parchi, alle ville, alle aree gioco e ai giardini pubblici". Finora, come si vede nel video qui sopra che è precedente all'ordinanza e che sembra svolgersi proprio in una di queste aree, il divieto era stato adottato da singoli comuni o regioni in ordine sparso.
Dagospia il 19 marzo 2020. Riceviamo e pubblichiamo: Caro Dago, molto suggestivo il video e le foto di Napoli "deserta". Ho ripercorso strade che non mi vedono dal 5 di marzo, quando ho deciso la mia quarantena anticipata. Ma ti assicuro che non è come sembra, il video è girato in zone turistiche e/o senza negozi essenziali aperti. Le foto, si capisce dalla luce, sono al tramonto. Qui la mattina è tutto un fiorire di uscite "per necessità". Perché, mi dicono, come si fa? Le poste, la banca, la spesa, la farmacia... una fregola da ipertiroidei. Abito in centro, zona residenziale, i ricchi sono emigrati nelle seconde case. Gli altri sono qui e si arrangiano come possono. Nel mio condominio c'è chi esce ogni giorno, con l'auto o a piedi. Io esco solo per buttare l'umido due volte a settimana. La differenziata si accumula nel mio corridoio, plastica, carta, vetro...Non prendo più l'ascensore, esco con la mascherina e butto il sacchetto. Stop. Incontro una abitante del mio palazzo, insegnante! che mi dice (senza mascherina e con me che mi allontano a due metri di distanza) che lei se la sta prendendo molto serenamente, va al super più volte la settimana. Ho visto il figlio che tornava da una partita a tennis, la figlia che usciva di sera, senza mascherina e senza cane...A proposito di cani. Vedo passare cani mai visti prima nel quartiere. Chissà quanti chilometri si sono fatti assieme ai loro proprietari. E poi auto, moto, ciclisti, corridori...Fa bene De Luca che vuole l'esercito, c'è una massa di incoscienti incivili da rabbrividire. Ci devono tracciare tutti dalle celle telefoniche se no sarà un'ecatombe. Qui non siamo attrezzati ed io sono in ansia per il picco che ci aspetta, grazie agli incoscienti di cui sopra ed ai caproni che sono andati a beneficiare di upgrade al nord e sono ridiscesi a cercare salute al sud. Andrea
Da leggo.it il 20 marzo 2020. Fino a che punto arriva la stupidità sui social, ai tempi del coronavirus e dell'emergenza sanitaria che stiamo vivendo? Tra chi ignora le disposizioni del decreto e continua ad andare in giro, spunta invece chi va in un supermercato con la mascherina, la toglie e sputa sulla frutta. Il tutto per pubblicare il video delle proprie gesta sul suo profilo Instagram, con tanto di scritta «Infettiamo». Il genio del giorno arriva dalla provincia di Caserta e le immagini, dopo aver fatto il giro dei social, sono state postate su Facebook dal consigliere regionale della Campania Francesco Emilio Borrelli. «Neanche l'emergenza sanitaria da Coronavirus sembra fermare la stupidità di alcuni individui che amano mettersi in mostra sui social con atti scellerati», scrive Borrelli su Facebook a corredo del video. «L'imbecillità sta raggiungendo limiti mai neanche pensati prima, il cattivo utilizzo dei social e la mania di voler essere protagonisti sta aiutando in tal senso». «L'idiota che compie questo gesto, - spiega Borrelli - che vediamo nel video, sputa sulla frutta con il sorriso stampato sul volto, crede forse di essere divertente invece è un incosciente ed un criminale, in un momento come questo cospargere saliva e liquidi corporei è estremamente pericoloso, farlo volontariamente equivale ad attentare alla vita altrui. Abbiamo segnalato il video alle autorità in modo che questo individuo possa essere denunciato e punito in maniera severa».
IDENTIFICATO E DENUNCIATO. La Polizia di Stato ha identificato e denunciato l'autore del video, diventato virale: è un 25enne casertano, a cui gli investigatori contestano il reato di procurato allarme e inosservanza ai provvedimenti dell'autorità. La denuncia è giunta dopo alcune segnalazioni, raccolte nel tardo pomeriggio di ieri dagli investigatori della Squadra Mobile. Il giovane è stato raggiunto nella sua abitazione stamattina dagli agenti della sezione «Falchi» della Squadra Mobile che lo hanno accompagnato in Questura, a Caserta, dove è stato denunciato. «È stata una ragazzata», si è giustificato il 25enne davanti agli agenti della Squadra Mobile che l'avevano identificato. Il giovane, disoccupato, vive con la madre. Brevissima è stata l'indagine della Sezione Falchi che dopo averlo identificato se lo sono andati a prelevare nella sua abitazione. Lì è stato subito sottoposto a tampone per verificare la sua eventuale positività al Coronavirus. Il suo telefono cellulare smartphone è stato sequestrato.
Positiva al virus, litiga al market e tossisce in faccia alla cassiera. In un supermercato di Mestre una cassiera è stata vittima di una disavventura che, in tempo di coronavirus, potrebbe avere dei risvolti preoccupanti. Franco Grande, Venerdì 20/03/2020 Il Giornale. In un supermercato di Mestre una cassiera è stata vittima di una disavventura che, in tempo di coronavirus, potrebbe avere dei risvolti preoccupanti. Mercoledì scorso, verso le 19.30, due clienti presenti nel locale, una volta arrivate in cassa, hanno innescato una lite con la dipendente del negozio che aveva chiesto loro di rispettare la distanza minima di sicurezza di un metro. Stando al racconto rilasciato al Corriere del Veneto dalla sindacalista Cinzia Gatto, delegata Filcams, pare che la cassiera fosse priva di mascherina "perché l’azienda non ce le aveva ancora fornite". Ebbene, di fronte a tale richiesta, le due clienti"le hanno tossito addosso di proposito" e, in pochi istanti, è nato un diverbio che solo un altro cliente è riuscito a fermare consentendo ai vigilantes del supermercato di intervenire. Solo "a quel punto è arrivata la polizia che ha preso le loro generalità", spiega Gatto che, ora, è preoccupato per la sorte della sfortunata cassiera. "Lunedì - racconta la sindacalista - la collega ha ricevuto la chiamata da parte della questura nella quale le hanno comunicato che una di quelle due clienti era risultata positiva al tampone per il Coronavirus". La cliente maleducata, infatti, era stata sottoposta al test con cui le era stato diagnosticato il contagio da Covid-19, il cui esito è stato immediatamente comunicato alla questura dalle autorità sanitarie."Ora per la collega è stato disposto l’isolamento fiduciario e nel frattempo è stata sottoposta a tampone il cui esito dovrebbe arrivare in queste ore", ha aggiunto Gatto. La cassiera, nei prossimi giorni, potrebbe denunciare la donna che le ha tossito in faccia di proposito, ma, fintanto che questo non succede, non le si può imputare alcun tipo di reato. "Ma quello non è l’unico episodio grave che si sta verificando in questi giorni di emergenza", avverte la sindacalista che è stata lei stessa vittima di un'aggresione verbale da parte di un cliente"perché i colleghi all’ingresso avevano fatto entrare lui ma non la moglie". "Si è sporto arrivandomi a pochi centimetri dal viso e fortunatamente io indossavo la mascherina, ma lui no", ha raccontato la sindacalista che si lamenta per gli insulti che la sua categoria riceve quotidianamemte " solo perché chiediamo di indossare i guanti per scegliere la frutta" oppure "chiediamo di rispettare le distanze di sicurezza o perché cerchiamo di spiegare a intere famiglie intente a entrare che può farlo solo uno di loro".
Torino, auto nel posto disabili. E 8 rom fanno la spesa. Poi strappano il verbale. All'arrivo dei carabinieri, chiamati da un diversamente abile che aveva trovato il parcheggio a lui riservato occupato, il capo famiglia ha iniziato ad inveire contro i militari, strappando con disprezzo il verbale redatto dalle forze dell'ordine. Salvatore Di Stefano, Sabato 21/03/2020 Il Giornale. Mentre proseguono incessanti gli inviti a restare in casa per contrastare la diffusione della pandemia da coronavirus - che ormai da diverse settimane sta mettendo letteralmente in ginocchio il nostro Paese -, il numero di tutti quelli che agiscono in barba alle norme continua a restare elevatissimo. A Moncalieri, comune della città metropolitana di Torino, gli otto componenti una famiglia rom (marito, moglie, i cinque figli ed un'anziano) si erano recati tutti insieme appassionatamente a fare la spesa, parcheggiando la propria auto, una Bmw, in uno di quei parcheggi riservati ai disabili. Secondo quanto riportato dal quotidiano locale Torino Sud è stato un diversamente abile a chiamare le forze dell'ordine, denunciando di aver trovato un posto a lui riservato occupato da una vettura sprovvista del tagliando necessario. Si sono così presentati in Piazza Caduti - luogo della segnalazione - i carabinieri, i quali hanno atteso che la numerosa famiglia tornasse dalla spesa per denunciare i rom delle inosservanze del decreto anticoronavirus e consegnare nelle mani del guidatore del mezzo il verbale. Qui è accaduto che il capofamiglia, anzichè assumersi le proprie responsabilità, abbia pensato bene di inveire contro i militari, arrivando persino a strappare il verbale che i carabinieri gli avevano appena consegnato. Da successivi controlli è emerso che tutto il nucleo familiare era una vecchia conoscenza delle forze dell'ordine, poichè risultavano già denunce disparate nei loro confronti. Si ricorda che è consentita una sola persona per nucleo familiare che possa andare a fare la spesa, questo onde evitare gli affollamenti nei supermercati. Un familiare può eventualmente accompagnare l'altro in macchina ma non può accedere al supermercato e comunque in caso di controlli si potrebbe rischiare un verbale, dato che per la spesa è consentita una sola persona a famiglia. La categoria dei rom era già finita nell'occhio del ciclone appena pochi giorni fa, quando in esclusiva per i lettori de il Giornale.it erano stati intervistati alcuni abitanti di Roma Capitale, i quali denunciavano situazioni scabrose, chiedendosi come mai per tutti i cittadini sono richieste le autocertificazioni per giustificare qualunque tipo di spostamento, mentre i rom continuano imperterriti a rovistare nei cassonetti, anche interi nuclei familiari. Qualche cittadino esausto ha anche avanzato l'ipotesi che "nonostante l'emergenza sanitaria le istituzioni continuino a chiudere un occhio", proponendo anche di "togliere i secchioni e rafforzare il porta a porta, perché altrimenti non c'è modo di uscirne".
Da napoli.fanpage.it il 20 marzo 2020. Salerno, località Pastena. Si tratta della zona del porticciolo , col lungomare e gli scogli. Una parte della città in cui col bel tempo è bello passeggiare o perché no, prendere il sole. Purtroppo di questi tempi non è possibile. C'è un decreto del governo e c'è una ordinanza della regione Campania che impongono quel che tutti stanno ripetendo in continuazione: «stare a casa» e uscire solo per acquisto di alimentari o lavoro le cui esigenze rendono impossibile operare da casa. Sono le norme per rallentare il contagio da Coronavirus, la pandemia sta mietendo vittime in tutta Italia e sta mettendo in ginocchio l'Europa intera. Tuttavia a qualcuno non interessa, per qualcuno è forse un grande gioco. E così a Pastena un gruppetto di ragazzi si è piazzato sugli scogli per prendere il sole. Ignorando probabilmente che gli sforzi delle forze dell'ordine in questi giorni sono soprattutto tesi al controllo di chi esce senza motivo. Risultato? Una scena alla Apocalypse Now: un elicottero della polizia, in volo di perlustrazione lungo la costa, individuato il gruppetto di giovani si è abbassato in maniera inusuale sul mare, alzando anche un po' d'acqua. Dal megafono è stato chiesto ai giovani di andare via. E loro, piuttosto spaventati, hanno prontamente eseguito.
Da ilmessaggero.it il 20 marzo 2020. Coronavirus, festa privata organizzata di sera sulla terrazza del condominio a Treviso, ma arrivano i vigili e tutti i partecipanti sono stati denunciati. Tutti i partecipanti al party serale sono stati denunciati per violazione del decreto che vieta gli assembramenti. A rendere noto il fatto un infuriato sindaco, Mario Conte, che con un post Facebook ha espresso tutto il proprio disappunto: «Ditemi, parlo per niente? Sto lanciando appelli per il muro o per me stesso?», ha scritto Conte, proseguendo: «Ecco cos’è successo ieri sera a Treviso: la Polizia Locale ha scoperto un festino privato con tanto di musica a palla. I partecipanti sono stati identificati e poi deunnciati per violazione del decreto che vieta gli assembramenti. La scusa? Un flashmob! Ma ci prendiamo in giro?». «Lo abbiamo detto in tutte le lingue: bisogna stare a casa, stare a casa, stare a casa!!! Ma con il proprio nucleo familiare, non in 15/20! E lo dico anche per tutti quelli che in questi giorni stanno andando dal macellaio a prendere chili e chili di carne per grigliate e scampagnate. Chissà cosa ne pensano i medici che si stanno dannando l’anima per curare i pazienti in terapia intensiva o a Malattie Infettive. Chissà cosa ne pensano i familiari di chi, purtroppo, ha perso la vita. Chissà cosa ne pensano tutti coloro che devono sacrificare la propria attività. No, signori, così non si fa. Queste sono le cose che mi fanno - perdonatemi il termine - incazzare. I controlli procederanno a tappeto, su tutto il territorio comunale, sia con posti di blocco sia con operatori in borghese. La battaglia è dura, serve aiuto, ma qualcuno sembra non averlo ancora capito!!!»
Da lettera43.it il 20 marzo 2020. Li chiamano Coronaparty e sono l’ultima moda in Germania, fra i giovanissimi. In un Paese in cui il virus ormai dilaga – i casi ufficiali sono oltre 8.200 e il sistema sanitario tocca i propri limiti – c’è chi non ha ancora capito. Un po’ come in Italia, prima dei decreti che hanno costretto la gente a restare in casa. Scuole chiuse? Tutti nei parchi, a festeggiare. Discoteche, locali notturni blindati? Si ripiega nelle abitazioni private o anche in piena notte all’aria aperta, fra litri di birra e musica. Un fenomeno diffuso, che riguarda Berlino come le città nel Sud, della Baviera. Intervistati su questa condotta, i ragazzi dimostrano di non aver compreso la gravità della situazione: «Non siamo nella fascia a rischio e abbiamo sempre con noi il disinfettante», risponde una di loro in un video postato su Twitter. E poi, dice, non «coccolerò» nessuno a fine serata. Insomma, un esercito d’inconsapevoli. Per fermare i Coronaparty, a tutela di tutti, arriva spesso la polizia, che fino a inizio settimana ha sciolto diversi assembramenti «con le buone», invitando tutti ad andare a casa. «Comportamenti del tutto irresponsabili», è la denuncia bipartisan di molti politici. L’indignazione è esplosa sul web. La Germania che richiama i medici dalle pensioni e costruisce ospedali negli hotel per raddoppiare i posti letto di terapia intensiva mal sopporta l’incoscienza dei giovanissimi. «Gli farei pagare fino a 5 mila euro di multa», commenta qualcuno su Twitter. «Per ogni Coronaparty andrebbero fatte scorrere le immagini che arrivano dall’Italia. Grazie a voi, presto così anche da noi». Lars Schaade, del Robert Koch Institut, in conferenza stampa a Berlino ha commentato: «Non ha senso chiudere le discoteche se poi si fanno le feste a casa. Lo dico perché adesso si organizzano i cosiddetti Coronaparty. Per favore non fatelo».
"Vado ad assicurare l'auto". I milanesi campioni di scuse. I controlli sono saliti a 80mila, ma c'è chi esce sei volte al giorno per fare la spesa e chi evade dai domiciliari. Paola Fucilieri, Venerdì 20/03/2020 su Il Giornale. Quelli che accampano scuse così raffazzonate da apparire addirittura simpatiche. Ad esempio un gruppo di cinque amici sui 40 anni, fermati venerdì scorso dalla polizia perché erano allegramente a bordo di un'unica vettura, in barba alle prescrizioni del decreto governativo che, per evitare di essere contagiati dal Coronavirus, dispone di tenere una distanza minima di un metro gli uni dagli altri ed evitare le occasioni di socializzazione. «Siamo stati all'autolavaggio e adesso stiamo andando a fare l'assicurazione» hanno spiegato serissimi, indicando la carrozzeria lucida della macchina, agli agenti che chiedevano loro cosa ci facessero in giro e tutti in compagnia. Quindi il poliziotto ha fatto notare che, quasi sicuramente, avrebbero trovato l'ufficio chiuso. «Anzi, sapete cosa si fa? Vi accompagno - ha insistito a quel punto, divertito - così, dopo aver denunciato voi, toccherà a loro». In questi giorni di isolamento domiciliare forzato le scuse per uscire di casa e andarsene in giro nonostante i divieti, sono le più svariate. E chi, magari inventandosi qualcosa di stravagante, riesce a evitare i controlli, spesso ci tiene anche a raccontarlo su Facebook, magari postando video che testimonino l'«impresa». Il Centro di monitoraggio permanente della prefettura fino a mercoledì pomeriggio segnala il controllo di 6.035 persone e 5.441 tra bar, negozi e attività commerciali di ogni genere che, aggiunti a quelli dei giorni precedenti, ieri hanno sfiorato quota 80mila controlli (per l'esattezza 78.494); le 371 denunce vanno a «rimpolpare» il dato totale di ieri e arrivano a 2mila429. Inoltre, per la prima volta dallo scoppio del contagio e con un provvedimento finora unico in Italia, proprio per il mancato rispetto delle regole imposte dal decreto governativo il prefetto Renato Saccone ha adottato 10 provvedimenti di chiusura immediata per la durata di cinque giorni di 4 pizzerie, 2 kebab, 2 rosticcerie (a questi otto è stato vietata anche la consegna a domicilio, ndr) di un panificio e di un minimarket. Sanzionato anche il titolare di un market cinese di scarpe che invece sconterà il periodo di chiusura successivamente. Durante le verifiche di questi giorni a zonzo senza motivo per Milano sono stati sorpresi diversi pregiudicati agli arresti domiciliari. Tra questi un 26enne arrestato mercoledì mattina dagli agenti del commissariato Greco-Turro mentre se ne stava tranquillamente seduto a prendere il sole su una panchina ai giardini di via delle Tofane, lungo il Naviglio della Martesana. Con lui c'erano anche un ragazzo di 19 anni e una 17enne, rimasti indifferenti anche davanti all'intervento dei poliziotti che chiedevano perché si trovavano lì. I due ragazzi hanno anche ironizzato sulla presenza della polizia che li ha denunciati entrambi. Scoprendo così che il 19enne, nel novembre 2018 aveva rapinato un anziano ed era finito in carcere. Il commissariato Lambrate ha svolto diversi servizi mirati, durante i quali sono stati controllati e denunciati numerosi giovani (12 tra lunedì e mercoledì) che di solito bivaccano ubriachi in piazza Bottini, davanti alla stazione ferroviaria. Tra loro quattro uomini accusati di spaccio e altri cinque che - sentendo violata la loro «intimità» dalle verifiche contro il contagio - hanno reagito con rabbia contro gli agenti e adesso sono accusati di resistenza, violenza e minacce.
Salvo Toscano per il “Corriere della Sera” il 25 marzo 2020. Era entrato in tabaccheria e aveva chiesto i gratta e vinci. Ma gli è stato opposto un diniego, anche perché in questo momento i giochi sono sospesi per le restrizioni legate all' emergenza Covid-19. A quel punto Giuseppe Bucalo, pensionato di 79 anni, ha tirato fuori una pistola e si è messo a sparare. Ha ferito una donna, l' anziana madre della titolare, e infine ha esploso un colpo contro se stesso togliendosi la vita. Così la polizia ha ricostruito quanto avvenuto ieri mattina in una tabaccheria in zona Provinciale, a Messina. Fonti di stampa locale riportano che l' uomo avrebbe chiesto per sé tutti i tagliandi disponibili nell' esercizio. Il pensionato, secondo i primi racconti dei testimoni, sarebbe apparso in stato confusionale al suo ingresso nella rivendita di tabacchi. Si è scoperto poco dopo che prima di uscire di casa aveva avuto una accesa lite con la moglie: alla base, a quanto si apprende, ci sarebbero stati problemi di ludopatia del pensionato. A seguito della sparatoria le la donna è rimasta ferita all' addome e ora è ricoverata al Policlinico. Altre persone presenti in quel momento all' interno della tabaccheria si sono buttate per terra per evitare i colpi. Sul caso indagano gli agenti della questura di Messina, coordinati dalla Procura della città dello Stretto.
MAURIZIO CROSETTI per La Repubblica il 19 marzo 2020. La mia ragazza mi ha cacciato di casa. Voglio vedere dove abita Vasco. Sto andando a giocare la schedina. Se non faccio due passi non prendo sonno. Si è appena rotto lo smartphone. Il pane in questo paese è più buono! Dal virus delle scuse non esiste immunità di gregge: siamo tutti così creativi, così fantasiosi, a volte appena un po' patetici. L'immane tragedia è anche un film di Alberto Sordi. Poliziotti, vigili urbani e pattuglie stanno ascoltando un poema di balle, migliaia sono gli italiani a zonzo senza motivo (veramente, il motivo sarebbe l'andare a zonzo), ma prontissimi a trovarlo nel momento dell'autocertificazione. Il repertorio dei motivi inesistenti è un genere narrativo dei più originali in questi giorni tragici e, come talvolta accade nei frangenti estremi, anche comici. Che dire dei tre palermitani che, fermati in automobile dai vigili, hanno cercato l'identica scusa? Farsi una corsa nel parco della Favorita. Peccato che il primo avesse un bambino di un anno sul seggiolino, il secondo portasse la cravatta e il terzo fosse seduto accanto all'anziana madre. Notevole, sempre in Sicilia, il tabaccaio che ha pensato bene di mettere in negozio una macchinetta del caffè. "Non si può? Il bar qui vicino è chiuso...", ha cercato di difendersi. Non hanno invece avuto bisogno di scuse i quattro catanesi sorpresi in un sexy shop: aperto, il negozio, e loro lì dentro senza una valida ragione (forse). "Sto portando il gel antibatterico alla mia ragazza", ha detto un giovane e aitante torinese alle forze dell'ordine. "Sapete, la sua farmacia l'ha finito". Nulla in confronto all'automobilista lombardo bloccato a Tortona, una ventina di chilometri oltre il confine regionale: costui ha fatto mettere a verbale che stava dirigendosi in un ipermercato del Tortonese per non perdere i punti della tessera. Si chiama "dichiarazione mendace" e può costare 206 euro di multa, una denuncia e la detenzione da uno a sei anni, e lì diventerebbe un po' difficile trovare scuse per l'ora d'aria. Forse non ci riuscirebbe neppure il geniale pensionato di Novafeltria (Rimini) che ha fatto ricorso a un must della categoria: "Ero incuriosito di vedere come procedono i lavori del cantiere del ponte tra Pennabilli e Sant'Agata". Nello stesso comune, due uomini hanno cercato di spiegare ai vigili che stavano andando al patronato per sbrigare alcune pratiche fiscali, patronato ovviamente chiuso come tre quarti d'Italia. La creatività emiliano romagnola ha trovato un grande interprete nel ragazzo che a Zocca, provincia di Modena, ha detto che voleva vedere dove abita Vasco Rossi. Ma tra i poliziotti c'è chi dice no. Tra i trasgressori che vagano in cerca di libertà, non pochi anziani. "Sto andando al cimitero", ma il cimitero è chiuso. "Stiamo andando a comprare il pane nell'altro comune perché lì lo fanno più buono!", hanno detto due vecchietti di Zogno (Bergamo), mentre una signora di Treviso ha risposto piccata alla pattuglia: "Ma non vedete come sono conciata? Ho assoluto bisogno di una messa in piega!". Mai tanto spudorata, la signora, quanto il tizio di Alessandria che ha detto "sto solo prendendo un caffè", peccato si trovasse dalle parti di Chivasso, più o meno a una novantina di chilometri da casa. Menzione d'onore al milanese che ha spiegato, candido: "Sto andando a giocare la schedina". Ieri, con il calcio fermo chissà fino a quando. L'amore è sempre un buon motivo, oppure una scusa piuttosto gettonata (a volte sono sinonimi). "Sto andando dalla mia fidanzata" ha raccontato un ragazzo siciliano ai poliziotti, non sapendo che la notizia sarebbe stata controllata dai validi colleghi di Montalbano: ebbene, è saltato fuori che i due non stanno insieme da oltre un anno. Pene d'amore inventate, o forse era l'amore ad esserlo, anche per il girovago di Recco (Genova) che ha confessato di essere stato cacciato di casa in piena notte dalla sua donna. Notte che porta poco consiglio ai liguri, se un uomo di 54 anni sorpreso in piazza De Ferrari, il cuore di Genova, ha saputo soltanto dire: "Sono uscito questo pomeriggio in cerca di uno smartphone, il mio si è guastato e non posso stare senza". Peccato fossero le tre di notte. Disarmante, sempre a Genova, la scusa di un altro camminatore notturno: "Se non faccio due passi prima di dormire, non riesco a prendere sonno". Va detto che non pochi liguri, in questi giorni di sole primaverile e nemici mortali nell'aria tiepida, sono stati traditi dall'abbigliamento (stivaloni da pescatore) o dall'oggettistica (canne da pesca). A quel punto, difficile mentire: per quanto prelibato, un branzino (in dialetto ligure, "luassu") non può essere considerato un bene di prima necessità.
Salvatore Dama per “Libero quotidiano” il 19 marzo 2020. Le regole di contenimento? C' è una fetta, manco piccola, di italiani che se ne fotte. Fa come se nulla fosse. Passando in rassegna i comportamenti sanzionati negli ultimi giorni, c' è un po' di tutto. È un catalogo di ignoranza, strafottenza, furbizia, indisciplina. Tanti, ai controlli, dichiarano sinceramente di non sopportare più la convivenza così ravvicinata in famiglia. Altri non riescono a rinunciare alla socialità. Altri ancora abbandonano il domicilio spinti da bisogni basici. Il sesso. Mercenario o clandestino. O la droga. I tossici abitudinari, quelli che si fanno di fumo, erba e coca, stanno impazzendo tra quattro mura. Quella che segue è una galleria di episodi di cronaca. C' è da piangere. Ma anche un po' da ridere.
Ad Anacapri sette ragazzi stavano facendo una partita di calcetto. Numero dispari oltretutto. Denunciati. A Rimini una coppia è stata sorpresa in un parcheggio che trombava.
A Torino due tizi si sono spacciati per fattorini.
A Torre Annunziata è stato organizzato un funerale: nei guai il prete e l' agenzia di pompe funebri.
A Firenze tre peruviani si sono trovati ai giardinetti per tagliarsi i capelli a vicenda. Una barberia diffusa.
A Bologna, in un appartamento di viale Filopanti, era in corso una festa di universitari italiani e stranieri. Tutti denunciati.
Un tizio a Montefiore Conca si è giustificato dicendo che era in giro a cercare asparagi.
A Catania quattro ragazzi hanno spiegato agli agenti che erano usciti di casa in cerca di hashish.
Macerata: «Devo comprare le scatolette al gatto». Una ragazza è stata trovata a 40 km da casa. Denunciata.
Ad Arcore un ragazzo intercettato in strada si è giustificato: «Non resisto più a casa con la mia famiglia». Un' altra coppia clandestina è stata beccata mentre amoreggiava in macchina in zona Mecenate, a Milano.
Napoli: picnic con sedie e tavolini: "Avevamo bisogno di prendere aria". Denuncia per dodici.
Ischia: camminava con le buste del supermercato in mano. Dallo scontrino è venuto fuori che aveva fatto la spesa due ore prima.
Monza: «Sto andando a trovare mia zia, ma non mi ricordo dove abita». Denunciato pure lui.
Potenza: «Guardatemi, sono a Codogno!». Un fesso si è fatto un video per strada, in Basilicata, e lo ha caricato su Facebook. È stato individuato dalla polizia postale e denunciato.
Trento: una pattuglia ha fermato degli uomini che sgozzavano una pecora in mezzo alla strada.
Busto Arsizio. Cimitero. Due ventenni giravano con il cellulare in mano tra le tombe: «Siamo caccia di Pokemon».
A Napoli due parcheggiatori abusivi sono stati bloccati in un centro commerciale mentre prendevano monetine dagli automobilisti. Denuncia.
A Roma una cenetta romantica tra lui (74nne italiano) e lei (25enne romena) è stata interrotta dalle forze dell' ordine che hanno fatto irruzione in un' osteria di Prima Porta.
A Viareggio anziani inconsapevoli in giro in bici cadevano dal pero: «Quale virus?».
Ancora nella Capitale: in cinque beccati all' Infernetto con cappuccio e cornetto in mano.
Rometta: «Devo assistere i miei parenti anziani», aveva scritto sull' autocertificazione: ma gli hanno trovato 32 grammi di hashish in macchina.
A Patti, in Sicilia, le salsicce di maiale erano quasi cotte quando i carabinieri hanno interrotto il barbecue allestito da quattro ragazzi in strada.
A Palermo hanno organizzato un festino dentro al canile municipale. Ripreso e pubblicato su Facebook.
Piacenza: «Andiamo a fare la spesa», c' era scritto sull' autocertificazione. E in effetti al supermercato ci sono andati. Ma nel parcheggio: dove il pusher li stava aspettando con un grammo di droga. Denunciati i primi, arrestato il secondo.
A Cassino un barbecue condominiale con trenta persone finisce in rissa. E alla fine i denunciati hanno menato i vicini che avevano fatto la spia.
Canicattì: un uomo si è appartato con una prostituta. Poi ha chiamato la polizia perché lei gli aveva fregato il portafogli. Denunciati entrambi.
A Caserta un matto ha sputato sulla frutta in un supermercato e ha postato il video su Instagram con la didascalia «Infettiamo!». Beccato, denunciato e smartphone sotto sequestro.
E poi ci sono le violazioni degli esercenti. A Frattamaggiore dei geni avevano messo in commercio coppe di reggiseni spacciandole per mascherine. Denuncia per loro e materiale sequestrato.
Lorenzo De Cicco per “il Messaggero” il 19 marzo 2020. «Sfido chiunque di voi a trovarmi un morto di coronavirus, non ce n'è uno! E allora sto a casa per cosa? Me ne frego. Ci sto male a vedere tutte ste pecore», dice Gianluca S. mentre si filma in auto in diretta Facebook, hashtag #ioesco e subito dopo #coronavirus. Una sfida al buonsenso e alle regole fissate dal governo per arginare il contagio da Covid-19. Solo questo post ha raccolto in poco tempo 5.252 like, 8.028 commenti perlopiù di incoraggiamento o, ancora peggio, di emulazione e 6.848 condivisioni. Tutti stanno in casa per rispettare il decreto e mettere un freno alla diffusione del virus? Loro no, escono e incitano a fare lo stesso, tanto «è tutto un complotto!». Una catena di messaggi che si propaga a suon di visualizzazioni e share, fino a raggiungere centinaia di migliaia di persone. È un'altra viralità quella dell'idiozia che si moltiplica in rete pericolosissima. A combatterla non sono medici e infermieri, in questo caso, ma gli uomini della Polizia Postale, che solo negli ultimi giorni hanno avviato indagini su 30 persone, tutte disinvoltamente impegnate a far sapere ad amici (di Fb) e follower di infrangere i divieti anti-convid, raccontando di spostarsi come prima, più di prima, e invitando tutti gli altri a fare altrettanto. Una condotta non solo dannosa e allarmante: è anche un reato. L'accusa è istigazione a delinquere. La Polizia Postale sta già procedendo all'identificazione dei profili social incriminati, spesso individuati tramite la piattaforma di segnalazioni del commissariato online. Gianluca S., che diceva «non c'è un morto di coronavirus», è uno dei profili segnalati. Ma ce ne sono tanti altri, a decine. In un caso è scattato l'arresto. Un 53enne di Alassio, comune di 10mila abitanti in provincia di Savona, ha pubblicato su Twitter la foto di una pistola infilata tra la cinta e la camicia, allegando il commento: «Altro che arresto, agente avvisato mezzo salvato. A buon intenditore poche parole». La Polizia locale lo ha beccato in strada ed è bastato questo perché l'uomo si desse alla fuga, barricandosi in casa, ripiegando sul balcone, a lanciare insulti alle forze dell'ordine. La pistola, si è scoperto poi, era giocattolo. Non tutti lasciano sui social commenti violenti. Molti semplicemente mettono in dubbio l'emergenza e spingono gli altri a continuare come niente fosse. Quattro amici di Genova si legge in un'altra segnalazione al vaglio della Postale sono andati ad allenarsi in una palestra, che in teoria avrebbe dovuto restare chiusa, «effettuando uno streaming su Twitch.tv». «I controlli contro i reati online sono stati rafforzati», spiega Nunzia Ciardi, direttore della Polizia Postale. «C'è stata una vera e propria esplosione di cyber crime, in questi giorni. Gridare al complotto, mentre siamo tutti a casa in una situazione d'emergenza, non è solo assurdo, è anche gravissimo. Si rischia il procurato allarme». Come precauzione, non servono mascherine e guanti: «Basta non fidarsi del passaparola».
Coronavirus, ma gli italiani rimangono davvero a casa? I dati di una app ci dicono il contrario. Uno studio che sfrutta i parametri di geolocalizzazione degli smartphone (tutelando l'anonimato delle persone), mostra il calo di movimento dei connazionali. Ma, dopo i primi giorni di rispetto delle regole, le persone che si spostano sono aumentate pericolosamente. Maurizio Di Fazio il 18 marzo 2020 su L'Espresso. Uno studio in divenire sulla mobilità degli italiani ai tempi del Coronavirus, realizzato sfruttando i parametri anonimi di geolocalizzazione dei nostri smartphone. Dati che permetteranno di valutare l'adesione dei nostri connazionali alle misure di contenimento dell’epidemia, a cominciare dalla via maestra sintetizzata nella frase #iorestoacasa. Si chiama " Covid-19&Mobility " e fotografa, in tempo reale, gli spostamenti della popolazione. È stato messo a punto da Francesco Finazzi e Alessandro Fassò, docenti in Statistica all’Università di Bergamo. N el 2016, come raccontava L'Espresso, Finazzi aveva inventato l’app “Rilevatore terremoto” (Earthquake Network), capace di predire gli eventi sismici allertando in anticipo i cittadini. Un allarme sul cellulare qualche istante prima di una potente scossa tellurica poteva salvare la vita, specialmente se non si era vicinissimi all’epicentro. Il suo ultimo progetto prende così le mosse proprio da quell’esperienza e dal numero considerevole di persone che scaricarono l’applicazione nel mondo, circa 5,7 milioni. Quarantamila gli smartphone in questo caso coinvolti nel nostro paese, e 19.200 gli utenti abbracciati dalla nuova indagine. I primi dati raccolti, relativi al periodo che va dal 10 al 14 marzo, parlavano chiaro: le nostre abitudini, fortunatamente, stavano cambiando. Ma forse non come avrebbero dovuto. Nei quattro giorni successivi all’entrata in vigore del decreto che ha messo in semi-quarantena l'Italia, la percentuale di coloro che non avevano mutato posizione nell'arco delle 24 ore (rimanendo quindi a casa) era passata da 29 a 43 su 100. La Lombardia, la regione più interessata di tutte da questa tragedia, aveva mostrato una variazione dal 24 al 47 per cento. Solo che poi il trend si è trasformato. E non in meglio. Dopo un picco incoraggiante del 50 per cento il 15, il 16 marzo la quota di italiani virtuosi è precipitata al 38 per cento. Stesso discorso per la quantità di chilometri percorsi giornalmente, che comprende i molti tuttora costretti a lavorare. I grafici sulla “distanza mediana” ci dicono questo: dai 14 chilometri pro-capite del 10 siamo scesi ai 6 del 14 marzo, ai 4 del 15 e infine risaliti ai 9 del 16 marzo. Nello scorso weekend si era vista una netta riduzione generalizzata, uniforme nell’intero territorio nazionale. L’Italia ha insomma abbassato le saracinesche, si è rinchiusa nella propria abitazione. Ma non del tutto. «I risultati preliminari dimostrano come la popolazione abbia aderito alle misure governative, riducendo in modo netto gli spostamenti e rimanendo a casa» spiega all’Espresso Finazzi. I dati in fieri dell’analisi saranno pubblicati anche sul Journal of the International Biometric Society. «Il nostro network ha la peculiarità di essere globale e permetterà quindi, in prospettiva, di comparare il comportamento di nazioni diverse mentre l’onda di contagio si propaga da est a ovest, dalla Cina alle Americhe». Una ricerca a vasto raggio, che si ripromette di durare a lungo. «Quando cesseranno le azioni restrittive, Covid-19&Mobility sarà utile per verificare in quanto tempo avverrà la ripresa, e se i comportamenti della gente torneranno subito a essere quelli pre-Coronavirus».
Contagia i medici, ora rischia 12 anni di carcere: indagato per epidemia aggravata. Aosta, l'uomo poi risultato positivo al coronavirus aveva taciuto i suoi sintomi temendo che l'intervento di rinoplastica venisse rimandato. La Repubblica il 17 marzo 2020. La procura di Aosta ha aperto d'ufficio un fascicolo per epidemia colposa aggravata (fino a 12 anni di carcere la pena in caso di condanna) sul caso dell'équipe medica dell'ospedale Parini contagiata dal coronavirus. Chirurgo, anestesista e infermiere stavano per operare un paziente che aveva nascosto i sintomi influenzali e che poi è risultato positivo al tampone. Il fascicolo è affidato al pm Luca Ceccanti. I fatti sono avvenuti a metà della scorsa settimana. L'uomo stava per essere sottoposto a un ordinario intervento di rinosettoplastica, ma poi è stato dimesso e confinato all'isolamento domiciliare. E' stato l'anestesista a insospettirsi, notando un rialzo della temperatura corporea. Il paziente aveva lavorato in una località turistica della bassa Valle d'Aosta, venendo a contatto con molti turisti lombardi. Da giorni aveva una lieve tosse e un bruciore agli occhi. Sintomi che non aveva riferito ai sanitari, temendo che l'operazione programmata da tempo potesse essere rinviata, come poi avvenuto.
Coronavirus: ieri 4mila denunciati. (ANSA il 14 marzo 2020) - Sono state 130.584 le persone controllate ieri dalle forze dell'ordine: 4.275 sono state denunciate in base all'articolo 650 del Codice penale (inosservanza provvedimenti dell'autorità) e 68 per false dichiarazioni a pubblico ufficiale. Gli esercizi commerciali controllati sono stati 62.218; 369 i titolari denunciati. Questi i dati del Viminale sui controlli del rispetto delle ordinanze legate all'emergenza Coronavirus.
Ernesto De Franceschi per leggo.it il 14 marzo 2020. Negozi chiusi, gente a casa, smart working, Milano deserta per il Coronavirus. Tranne che in metropolitana, almeno a vedere le immagini esclusive di leggo.it. Nelle foto che pubblichiamo la situazione stamane, venerdì 13 marzo, attorno alle 6 sulla linea 1 della metropolitana milanese. Vagoni quasi pieni, folla che non rispetta minimamente la distanza di un metro e pochissimi a bordo con la mascherina. Nonostante i messaggi ripetuti e costanti del Governo e dello stesso sindaco Beppe Sala di rimanere il più possibile a casa, sulla metropolitana milanese la vita sembra scorrere normalmente (o quasi) nonostante la pandemia Coronavirus. Probabilmente tutte persone che al mattino devono comunque uscire per recarsi al lavoro, ma quello che colpisce è che in pochi rispettino le regole sulla distanza.
Chiara Campo per “il Giornale” il 18 marzo 2020. Alla stazione di Sesto San Giovanni nell' ora di punta del mattino Atm ha dovuto chiudere temporaneamente i tornelli per procedere con gli ingressi contingentati. Era una delle misure annunciate la sera prima per evitare assembramenti e mezzi stracolmi dopo le proteste, ma sui social le immagini e le critiche per le distanze minime a bordo, specialmente tra le 6 e le 7 del mattino sulla linea rosa, sono state dello stesso tenore di lunedì. Anche se la frequenza dei mezzi è stata alzata dal 60 al 75% di un normale giorno feriale. Da oggi scatta un' altra contromisura, la partenza dei treni sarà anticipata alle 5 e 40 per valutare se in questo modo le prima corse sono meno affollate. Ma facendo presente che a Parigi la per evitare i contagi il metrò in alcune linee di forza è stato tagliato dal 50 e il 70% e che i passeggeri devono collaborare, ad esempio non accalcandosi sulle scale mobili ma scendendo anche dalle scale, Atm torna a chiedere anche alle aziende ancora operative di dare una mano offrendo ai dipendenti gli ingressi scaglionati al lavoro. «Siamo felice del dietrofront del Comune sulla prima riduzione dei mezzi al 40% - ha commentato nel pomeriggio il capogruppo regionale di Forza Italia Gianluca Comazzi -. Un' ipotesi su cui riflettere sarebbe quella di aggiungere una corsa in più negli orari di punta: in questo modo sarebbe garantita la distanza di sicurezza negli orari in cui la maggioranza delle persone entra o esce dal luogo di lavoro». Si vedrà se il test di oggi funzionerà. Ma il richiamo a rimanere il più possibile a casa è diventato ormai un mantra da parte delle istituzioni. Il sindaco ieri ha ribadito che il «fronte Milano resiste ed è importante che qui si resista alla diffusione del virus anche per dare modo agli ospedali di incrementare posti letto e terapie intensive». Su Atm «lunedì ci siamo accorti che in alcuni casi si stava troppo vicini sui mezzi e quindi ho chiesto rapidamente di rimodulare il servizio. Certamente nessuno ha la bacchetta magica e cerchiamo ogni giorno di fare il meglio possibile». E fa un appello ai giovani: «Capisco che per voi libertà e socialità sono linfa per voi, vi stiamo chiedendo un sacrifico e diventerete forse grandi più in fretta con questa esperienza, ma siamo un' unica squadra. E i genitori stiano attenti al detto e non detto». Bisogna «essere ancora più rigorosi perchè Milano è un baluardo - avverte il prefetto Renato Saccone intervistato dal TgR Lombardia - e ridurre le presenze nei parchi. Ancora troppi che corrono, ancora troppe persone che interpretano in vario modo il loro diritto di passeggiare e di portare i cani a spasso. Non va bene». E l' assessore regionale alle Politiche sociali Stefano Bolognini avverte che «risulta che all' interno soprattutto delle tabaccherie le attività di gioco d' azzardo e slot machine sospese dal decreto anti assembramenti continuino in maniera regolare. Si rischiano sanzione e fino alla chiusura dell' attività».
Michele Di Lollo per ilgiornale.it il 17 marzo 2020. Il Messaggero ha pubblicato oggi la fotografia che ritrae Matteo Salvini e la sua fidanzata, Francesca Verdini, a passeggio romanticamente mano nella mano per via del Tritone, in pieno centro, (dove tra l'altro c’è la sede del giornale romano) senza la mascherina e senza adottare la distanza di sicurezza. Nonostante tutti gli inviti del governo e delle autorità sanitarie a non circolare per le strade se non per ragioni di necessità. Il capitano nella sua diretta Facebook fornisce alcune spiegazioni: "Ho letto di polemiche su di me ieri fuori a Roma. Ma io non stavo andando a spasso al Colosseo, stavo andando a fare la spesa. Spero che anche il possa fare la spesa e non solo la sinistra...". A via del Tritone i supermercati non sono vicinissimi, ma Salvini sarebbe andato a rifocillarsi in una Coop poco distante. "Qualcuno polemizza anche sul fatto che Matteo Salvini esce a far la spesa. Non è una passeggiata. Penso di aver diritto di poter fare la spesa velocemente e sotto casa anche io", chiarisce il leader del Carroccio. Che poi continua: "Vedo che qualcuno fa polemica. Qualcuno a sinistra pensa che Matteo Salvini la spesa non la può fare. Di polemiche non ne voglio fare, non andavo a passeggiare al Colosseo o a San Pietro ma come tutti i comuni mortali esco per andare o in farmacia o per andare a comprare da mangiare". Immediate erano, infatti, piovute le critiche del Pd. E non solo. Protagonista assoluto delle accuse contro il leader leghista è stato in verità il sindaco di Benevento, Clemente Mastella. "Se la foto, che oggi campeggia su alcuni giornali, che vede Salvini a passeggio con la fidanzata per le vie di Roma senza mascherina e con aria da scampagnata al sole della capitale non è un fotomontaggio ed è di ieri, come mi riferiscono fonti accreditate da me interpellate, è un episodio vergognoso". Poi spiega: "Noi sindaci a pregare i nostri concittadini a non uscire di casa, a smazzarci per controllare il più possibile che nessuno giri come se fossimo a Pasquetta, e Salvini, disinvoltamente, va a passeggio senza precauzioni. Un’autentica vergogna". Mastella cita quelle famiglie che fanno sacrifici a stare in casa. In case spesso assai piccole e con scarsissimi conforti. "A vedere questa scena loro e tanti di noi siamo rimasti allibiti", ribadisce il sindaco di Benevento. "I leader veri, quelli che ho conosciuto nella mia lunga esperienza politica, avrebbero dato l’esempio, non il cattivo esempio. Se ne resti al Nord, non venga a contagiarci al Sud. Ma al Nord c’è sofferenza, paura, dolore, morti. No, meglio per lui Roma, il sole di Roma. Io resto a casa", conclude. Poi la replica di Salvini: "Critiche da Mastella? Sì, ieri sono uscito di casa con la fidanzata. Ho comprato pasta, affettato, pane, latte. Ho comprato italiano e questo chiedo di farlo pure a voi", chiosa. Non meno duro il vicecapogruppo dem alla Camera, Michele Bordo: "Oggi sulla stampa vediamo una foto di Salvini mano nella mano con la sua compagna ieri a spasso nel centro di Roma. Mentre trascorre le giornate a dire in qualsiasi salotto televisivo che bisogna chiudere tutto, poi se ne va in giro per la capitale senza alcuna giustificazione valida, presumiamo, violando regole che diversamente valgono per tutti i cittadini. È l’ennesimo segno di come il leader della Lega continui a prendere in giro gli italiani. La gente è stanca di passerelle televisive e bugie".
Cristiana Mangani per “il Messaggero” il 18 marzo 2020. La corsetta, il picnic, il parrucchiere fuorilegge: abitudini dure a morire. Solo una parte dei cittadini mostra buonsenso, perché tanti altri, compreso chi è stato messo in quarantena, víolano quotidianamente l'obbligo di restare a casa: 27.616 finora i denunciati, 8 mila solo negli ultimi due giorni, un 13,5% in più su controlli che hanno riguardato circa 700 mila persone. Cosí, ieri, abbandonati i toni morbidi e comprensivi, il Viminale, a cominciare dal Dipartimento della pubblica sicurezza, ha chiesto alle forze dell'ordine di effettuare indagini ancora più capillari, sanzioni e denunce emesse nei confronti di chiunque non abbia dei veri motivi per stare in giro. In particolare nei confronti di tutti coloro - troppi - che dovrebbero stare in quarantena e non lo fanno. Che si tratti di positivi con sintomi evidenti, come di asintomatici. La passeggiata è finita, dunque, e anche le partitelle con gli amici. Gli ultimi dati sui contagi elencati dalla Protezione civile sono da brivido e, se non si vuole effettuare una ulteriore stretta, che potrebbe prevedere da un coprifuoco alla francese fino alla possibilità di fare la spesa una volta a settimana, è necessario intervenire rimodulando gli interventi delle forze di polizia in base al senso di responsabilità mostrato dai cittadini, ancora troppo scarso. Per questa ragione, ieri, è stata firmata una circolare dal capo della Polizia Franco Gabrielli, diramata a tutti i questori, nella quale viene stabilito che nel modulo con cui il cittadino attesta il suo diritto a circolare, sia compreso anche un quinto punto, ovvero quello in cui sottoscrive di non essere sottoposto alla misura della quarantena. La modifica si è resa necessaria dopo aver registrato diversi casi di persone che sono riuscite persino a violare questa regola fondamentale. E nei cui confronti la severità sarà estrema: rischiano, infatti, una condanna fino a 12 anni di carcere, perché il reato contestato potrà essere quello di epidemia colposa, disciplinato dall'articolo 438 del Codice penale, o anche il 448 e il 452 che stabiliscono le pene per chi attenti alla salute pubblica. Rigore massimo sarà manifestato anche nei confronti di tutti quelli che stanno per strada senza una giustificazione. Le forze dell'ordine faranno ancora di più per convincerli a rimanere in casa. La percezione della gravità sfugge a troppi. Tanto che, proprio per l'importanza che riveste la situazione, le forze dell'ordine hanno inserito nel ced - che contiene dati e precedenti sulle persone - una voce proprio legata alle denunce per coronavirus. Qualora, infatti, il governo dovesse decidere di effettuare un ulteriore giro di vite, chiunque si trovi registrato nella banca dati e risulti già denunciato, potrà difficilmente farla franca una seconda volta. E le conseguenze saranno decisamente più serie di quanto non sia stato fino a questo momento. Cosí come le verifiche per riscontrare se quanto dichiarato dagli interessati sia vero. La disposizione di Gabrielli sottolinea che sulla base dei «feedback fatti pervenire al Dipartimento» è emerso come «la rete delle Autorità provinciali di p.s.» abbia «proposto di integrare il predetto modulo per rendere ancora più espliciti gli obblighi e le limitazioni cui sono soggetti gli spostamenti dei cittadini». Inoltre, con la modifica si vuole tutelare ancora di più il personale delle forze dell'ordine destinato ai controlli, che lavora spesso in condizioni difficili. Il nuovo questionario sarà distribuito anche agli agenti. L'operatore di polizia «controfirmerà l'autodichiarazione, attestando che viene resa in sua presenza e previa identificazione del dichiarante». Di conseguenza, è spiegato ancora nella circolare, «il cittadino viene esonerato dall'obbligo di allegare all'autodichiarazione una fotocopia del proprio documento di identità».
Claudia Guasco per “il Messaggero” il 18 marzo 2020. Se il modello è Wuhan, che è riuscita a bloccare undici milioni di abitanti, allora che lo sia davvero. «Vi controlliamo attraverso le celle telefoniche. Non uscite di casa, è assolutamente importante perché questa battaglia la vinciamo noi», avverte l'assessore al Welfare Giulio Gallera. Messaggio rivolto ai milanesi sprezzanti dell'obbligo di restare a casa, anche se il lavoro permette la modalità smart e i negozi di alimentari sono nel raggio di 500 metri. Eppure, con oltre 200 morti ogni giorno nella regione, il coprifuoco in città non è ancora totale: negli ultimi 26 giorni i movimenti si sono ridotti del 60%, ma ciò significa che il 40% delle persone continua circolare. Troppe, sono convinti in Regione, perché si tratti solo di lavoro. Per sconfiggere il Covid-19 ogni arma è concessa e così la Lombardia si è trasformata in un Grande fratello. «Abbiamo attivato una tecnologia in collaborazione con le compagnie telefoniche di rete mobile. Fatto cento la movimentazione della popolazione il 20 di febbraio, quando non c'era l'emergenza, a oggi siamo purtroppo solo al 40% e dall'altro ieri a ieri siamo anche aumentati. E' necessario stare a casa il più possibile, il 40% non è un dato sufficiente per dirci che possiamo contenere nel miglior modo possibile il virus», afferma il vicepresidente della Regione Fabrizio Sala. Che mostra un grafico con l'andamento degli spostamenti della popolazione: «Questi movimenti, tra l'altro, sono di persone che hanno cambiato cella telefonica, ovvero che si sono spostati per più di 300-500 metri», osserva Sala. Insomma, «c'è chi lavora e li ringraziamo», dice rivolgendosi a «chi sta svolgendo pulizie o chi si occupa di alimentari», persone «obbligate a lavorare per garantire ai cittadini che sono a casa di continuare a vivere bene». Costrette a prendere la metropolitana che ieri, alle sei di mattina e alla sera, era gremita causa taglio delle corse senza alcun rispetto della distanza di sicurezza. «Ma a chi si muove per motivi superflui chiediamo di stare a casa, perché il dato non è sufficientemente basso». Un'ulteriore stretta è in vista, preannuncia il governatore Attilio Fontana: «Non si può tornare alla vita normale, Milano ha bisogno di ancor più rigore». I comportamenti dei cittadini «sono cambiati ma in maniera non ancora sufficiente. Mi lascia perplesso che per uno, due giorni si rispettino rigorosamente le norme e poi diventa tutto un po' più lasco. Non si può mollare l'attenzione, né tornare a una vita normale, dobbiamo essere sempre più rigorosi. La fermezza va implementata, non bisogna fare i furbi andando a fare la passeggiata senza motivo. E questo - conclude - vale per tutta la Lombardia e ancora un po' di più per Milano». Un richiamo all'ordine arriva anche dal sindaco Giuseppe Sala, viste le scene di metro milanese piena come in un giorno qualsiasi: «Il fronte Milano tiene ed è importante che qui si resista alla diffusione del virus». Per due motivi: «Il primo per il nostro bene e la nostra salute, ma ce n'è un secondo, che resistendo diamo tempo al servizio sanitario e agli ospedali al fine di incrementare l'offerta di posti letto e in particolare di terapia intensiva. Per cui ognuno continui a fare la sua parte. Chi deve stare a casa stia in casa, chi deve lavorare per gli altri continui a farlo». E promette che sui mezzi pubblici non ci sarà più ressa: «In base alle indicazioni ricevute, Atm ha abbassato il livello di servizio, ma ci siamo accorti che in alcuni casi si stava troppo vicini sui mezzi e ho chiesto rapidamente di rimodulare il servizio. Cerchiamo ogni giorno di fare il meglio possibile».
Coronavirus, così la Lombardia «controlla» i movimenti via cellulare. Pubblicato martedì, 17 marzo 2020 su Corriere.it da Cesare Giuzzi. Il sistema è «quantitativo», quindi non tiene conto del motivo e dell’effettiva necessità degli spostamenti. Ma fornisce un’indicazione visiva di quanto i divieti non siano ancora rispettati come sarebbe necessario. In Lombardia, infatti, gli spostamenti si sono ridotti solo del 60%: «Troppo poco» per il governatore Attilio Fontana: «Non si deve ancora ritornare alla vita normale. Dobbiamo essere più rigorosi. Vedo e mi lascia un po’ perplesso che per 2-3 giorni si rispettano rigorosamente le norme, poi diventa tutto un po’ più lasco». Per questo la Lombardia da qualche giorno utilizza un sistema di analisi degli spostamenti «da cella a cella» dei cellulari per capire quanti abitanti si muovono sul suo territorio. E lo fa grazie alle compagnie telefoniche che hanno messo a disposizione i dati del traffico dei ripetitori e l’indice dei «segnali» che si muovono da una cella all’altra della telefonia mobile. Non si tratta di una sorveglianza da 007 che consente di tracciare il singolo cellulare, anche perché le norme sulla privacy non lo consentirebbero, ma di una tecnologia che permette di ricavare quanti spostamenti in meno si verificano rispetto a un determinato periodo. La portata dello spazio tra una cella e l’altra è di 300-500 metri. Quindi chi esce in giardino non risulta, così come chi compra il pane sotto casa (spostamento consentito dal decreto del governo). Nel calcolo finiscono anche quanti (e sono tanti) hanno le cosiddette deroghe per andare a lavorare, per necessità familiari o di salute. Una «popolazione» che per una regione come la Lombardia può valere uno o due milioni di abitanti. La Regione ha tarato il sistema sullo scorso 20 febbraio, giorno in cui in serata è stato scoperto il primo caso Covid-19 positivo all’ospedale di Codogno. «In base alle prime stime, il calo dei movimenti dal 20 febbraio ad oggi è stato di meno del 60% — spiega il vice presidente lombardo Fabrizio Sala —. Nel senso che il 43% dei cittadini si sposta abitualmente dal proprio luogo di dimora. Ci sono ancora troppe persone in giro. Il consiglio è, e resta, di rimanere a casa». Osservando il grafico si nota che tra il 20 febbraio e il 1° marzo c’è stato un crollo quasi verticale degli spostamenti dal 100 al 50%: erano i primi giorni dell’emergenza e quelli dell’istituzione della zona rossa a Codogno. Poi però il tutto è tornato stabilmente intorno all’80 per cento — quindi solo il 20% in meno di spostamenti rispetto a febbraio — per abbassarsi gradualmente dal 9 marzo, giorno delle misure ancora più restrittive introdotte dal governo. Il massimo del calo si è avuto nel fine settimana con un dato intorno al 30%. Ma poi la situazione è tornata a salire attestandosi sul 43%: «Troppo alto».
Il giallo della foto di Casalino: fa jogging nel centro di Roma. Lo scatto a Roma, quartiere Prati. Al centro dell'obiettivo ci sarebbe il portavoce di Conte, Rocco Casalino, col fidanzato Marco. Luca Romano, Mercoledì 18/03/2020 su Il Giornale. Mentre gli italiani fanno i conti con le restrizioni imposte dal governo per provare a fermare Covid-19, i due camminano l'uno vicino all'altro. Lui sarebbe Rocco Casalino, l'altro il fidanzato Marco. Siamo a Roma, in via Cola di Rienzo. Quartiere Prati, nel pieno dell'emergenza coronavirus. La foto circola da ieri tra gli addetti ai lavori, avvolta da un velo di mistero, scattata da qualcuno che avrebbe riconosciuto il portavoce del premier Giuseppe Conte. Felpa blu per l'uomo di Palazzo Chigi, grigia per il compagno che lo affianca nella via che dal lungotevere porta a piazza del Risorgimento. Non c'è nulla di male, per carità. Prendere un po' d'aria rinfresca le idee, almeno nei periodi normali. Tuttavia l'invito del governo in questi giorni sarebbe quello di non circolare per strada, se non per motivi di lavoro, sanitari o per strette necessità. Insomma, #iorestoacasa. E se proprio bisogna uscire, che lo si faccia per una buona ragione: in giro c’è un brutto virus che ha contagiato 31mila persone e ne ha uccise oltre 2.500. Per sconfiggerlo bisogna rispettare le regole. I protocolli di sicurezza previsti dal premier (di cui Casalino è portavoce), infatti, parlano chiaro. E sono scritti nero su bianco nei decreti che hanno reso l'Italia "zona protetta", chiuso attività, bar, negozi e via dicendo. Le passeggiate sono ammesse, sempre se giustificate, così come fare attività motoria all'aperto. Ma non in gruppo, e comunque rispettando sempre la debita distanza l'uno dall'altro. Distanza che, a giudicare dalle immagini, non sembra essere rispettata dai due (che non indossano neppure la mascherina). La norma su questo è chiara: "Tutti gli spostamenti sono soggetti al divieto generale di assembramento, e quindi dell'obbligo di rispettare la distanza di sicurezza minima di 1 metro fra le persone". Sta scritto sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Lo stesso ufficio dove lavora Rocco.
Coronavirus, passeggiata di Salvini? Sallusti: “Come quella di Papa Francesco”. Redazione de Il Riformista il 17 Marzo 2020. “La passeggiata di Salvini? Più o meno la stessa buccia di banana su cui è scivolato il Papa che è andato in giro a passeggiare a Roma più o meno nella stessa zona in cui è andato Salvini. E di certo non per andare al supermercato”. Il segretario del Carroccio come papa Bergoglio. È il parallelo tracciato dal direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti, in collegamento a Otto e mezzo su La7. Il giornalista commenta così le due fotografie, scattate domenica scorsa per le vie di Roma, che hanno fatto molto discutere. Nella prima si vede il Pontefice e la sua scorta a piedi, lungo via del Corso, l’Altare della Patria alle spalle. Avanza solo, non c’è folla intorno a lui. Un’immagine singolare e impensabile, fino a qualche settimana fa, e che nei prossimi decenni servirà da sintesi a chi vorrà capire lo strano momento che il Paese sta attraversando. L’altra fotografia, invece, ritrae l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, anche lui a piedi insieme alla scorta, qualche chilometro più in là rispetto al Pontefice. Mano nella mano con la fidanzata Francesca Verdini è stato fotografato in via del Tritone. Uno scatto che ha suscitato molte polemiche alle quali il segretario della Lega ha risposto rivendicando il suo diritto ad andare in farmacia o fare la spesa, come qualsiasi cittadino italiano. Eppure, nonostante i contesti simili, l’accostamento tra le due immagini azzardato dal direttore Sallusti stride. Tanto che la stessa padrona di casa Lilli Gruber fa notare la differenza di ruoli tra i due protagonisti della vicenda. “Certo – replica Sallusti -. Ma anche Conte l’altro giorno era fuori in attesa di entrare in un negozio per fare la spesa”.
Slot e gratta e vinci, la follia della gente in coda per giocare. Stop ai tabaccai. Pubblicato domenica, 15 marzo 2020 su Corriere.it da Emily Capozucca. «Tante segnalazioni di persone che ancora oggi si recano con regolarità nelle rivendite per giocare (gratta e vinci, slot machine, 10 e lotto)» ha pubblicato così su Twitter, il comune di Bergamo riportando la decisione del sindaco Giorgio Gori, di un ulteriore giro di vite per impedire gli assembramenti nei tabaccai .«Diversi tabaccai — ha commentato il sindaco Gori sui canali social — ci hanno segnalato che tante persone (soprattutto anziane), nonostante i pressanti inviti a non muoversi di casa, si presentano regolarmente nei loro negozi per acquistare i famosi “grattini”,( ovvero i Gratta e Vinci e simili), o per giocare alle slot o al 10eLotto. Non è per questi “articoli” che il Decreto della Presidenza del Consiglio consente alle tabaccherie di restare aperte in queste settimane! — e aggiunge nel post — «Ho quindi firmato, pochi minuti fa , un’ordinanza che prescrive la sospensione immediata di tutte le tipologie di gioco nelle tabaccherie. RIMANETE A CASA, vi ripeto, e se in queste settimane doveste perdere l’abitudine a buttare soldi nel gioco d’azzardo...tanto meglio!». L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per fronteggiare all’emergenza coronavirus, «Si dà evidenza della direttiva pubblicata da ADM sul proprio sito istituzionale , con efficacia immediata, destinata a tutti i concessionari e alle rivendite di generi di monopolio (tabaccai) con l’ordine di spegnere tutti i monitor e i televisori presenti in rivendita al fine di evitare assembramenti. I concessionari sono obbligati a bloccare le AWP. I terminali di gioco restano accesi». Interviene anche il deputato della Lega, Paolo Grimaldi sull’argomento e critica la decisione del governo di non aver chiuso queste attività: «Ecco l’assurdità di aver lasciato aperte le tabaccherie. In molti comuni i sindaci sono costretti a fare ordinanze per bloccare le slot machine, i videopoker e gli acquisti di “grattini” per evitare assembramenti. — e afferma — Questa è un’altra grave mancanza del Governo: bisognava chiudere tutto, a cominciare dalle tabaccherie».
Da leggo.it il 30 marzo 2020. Nonostante le misure di contenimento del coronavirus aveva deciso di uscire con la sua bici per un lungo giro sulla costa di Otranto in Puglia. Una volta resosi conto di essere incappato in una pattuglia delle forze dell'ordine, però, l'incauto ciclista nell'inutile tentativo di sottrarsi al controllo, pur di evitare la multa salata, ha preferito mettersi a mollo in mare con tutta la bicicletta. È quanto accaduto in mattinata sul litorale di Otranto, dove le forze dell’ordine hanno sorpreso un ciclista intento a non rispettare le prescrizioni del Dpcm “Io resto a casa”. Invitato più volte dagli agenti di polizia a uscire dal mare per essere identificato, l'uomo ha continuato a sostenere di “non aver fatto nulla di male”. Inevitabile la denuncia e una multa di 400 euro.
Da ilfattoquotidiano.it il 9 aprile 2020. Un ciclista di Rovereto è stato multato per la terza volta dai carabinieri che lo hanno sorpreso mentre era in giro con la sua bicicletta e agli agenti ha rivendicato il suo diritto a spostarsi nonostante i divieti imposti dal governo per cercare di arginare l’epidemia di coronavirus definendosi “persona umana soggetto di diritto internazionale” e quindi non sottoposto alle normative in materia. “Sto lavorando e rispetto le distanze di sicurezza”, ha detto ai militari, registrando la scena e pubblicando poi il video online. L’uomo ha annunciato che farà ricorso al commissariato del governo perché a suo dire la sanzione è nulla dal momento che è “intestata alla persona fisica”. Già il 19 e il 14 marzo marzo scorso era stato fermato nei pressi di Trento e in quelle occasioni aveva negato davanti agli agenti ogni validità dei provvedimenti del consiglio dei ministri in tema di restrizioni per evitare la diffusione del coronavirus: “Una bufala, che non accetto”, aveva detto accusando i poliziotti di sequestro di persona e abuso di potere. Una trovata che gli era costata una denuncia penale per inosservanza dei Dcpm.
Coronavirus, il ciclista che non rispetta i divieti. Alla polizia: “Identificatevi voi”. Le Iene News il 15 marzo 2020. Sono oltre 6mila le persone denunciate in Italia per non aver rispettato i divieti imposti per contenere il coronavirus. A Rovereto, in provincia di Trento, la situazione è sfuggita di mano e un ciclista ha snocciolato leggi e cavilli ai poliziotti che lo hanno fermato. In poche ore il video è diventato virale. "Non sono un cittadino italiano, ma un umano soggetto a regole internazionali. Quindi non sono soggetto a queste norme". È la risposta di un ciclista a una pattuglia della polizia che lo ha fermato per strada. Il video che potete vedere qui sopra arriva da Rovereto, in provincia di Trento, in poche ore è diventato virale superando le 160mila visualizzazioni. È vero, in alcuni casi le regole contenute nel decreto del governo lasciano spazio all’interpretazione. Le passeggiate in solitaria sono consentite mentre è sconsigliata l’attività sportiva (per evitare chiamate e interventi del 118 nel caso di infortuni), ma non vietata. In queste ore sono stati centinaia gli interventi delle forze dell’ordine nei parchi d’Italia per dire alle persone di restare a casa (come successo a Bari o a Napoli, clicca qui per l’articolo completo). Ma la situazione si è capovolta nel video che arriva da Rovereto e ha superato il limite. Il video diventato virale è stato realizzato da un ciclista che con tanto di caschetto, occhiali e tuta ha attraversato le vie di Trento. Come prevedibile è stato fermato da una pattuglia: "Identificatevi con matricola o nome. Agli sconosciuti non parlo e le divise non le conosco", ha detto agli agenti filmando tutto con il cellulare. Alla richiesta di documenti ha risposto: "Non ho obbligo di residenza e di codice fiscale. Sono il mio legale rappresentante, perché sono avvocato e mi difendo da solo". Il tutto snocciolando leggi e cavilli. A quel punto la pattuglia spazientita lo porta in Questura: “Non hanno potuto verificare il protocollo del mio documento di soggetto di diritto internazionale, mi hanno identificato con foto e impronte digitali”, sostiene il ciclista. “Mi hanno fatto firmare l’autocertificazione per giustificare il mio spostamento ma io ho scritto che non posso dare il mio consenso in quanto soggetto di diritto internazionale diversamente da persona fisica e soggetto giuridico”. A questo punto è possibile che la vicenda finisca con una denuncia. Invece a Napoli due 20enni sono stati fermati mentre vagavano in via Toledo, ai militari hanno raccontato di essere in giro per recuperare un joystick per consolle dimenticato da amici. Anche per loro è scattata una sanzione. Il Viminale fa sapere che sono 6.300 le persone denunciate per non aver rispettato le misure restrittive introdotte con i provvedimenti governativi per l'emergenza coronavirus. Negli ultimi giorni sono state controllate complessivamente oltre 138mila persone, tra queste 6.203 denunciate per violazione delle misure e 112 per false dichiarazioni. Un dato in calo rispetto ai giorni precedenti in cui la media giornaliera dei denunciati superava le 7mila persone.
Il ciclista minaccia chi sta a casa: “Vi taglio la gola!”. Le Iene News il 16 aprile 2020. Massimo Rubino insulta e minaccia chi sta a casa: “Il decreto l'ho fatto io, vi stanno prendendo in giro. Svegliatevi, scemi, uscite!”. L’avevamo conosciuto in un servizio di Ismaele La Vardera. “Il decreto l'ho fatto io, vi stanno prendendo in giro. Svegliatevi, scemi, uscite!”. Massimo Rubino ha realizzato il video che vedete qui sopra nel quale sfida la quarantena a cavallo della sua bicicletta in una bella giornata di sole. Il ciclista non si limita a sbeffeggiare chi sta a casa, ma ci va giù in modo pesante: “Vi vengo a prendere e vi taglio la gola!”. Il video è stato condiviso dal giornalista Paolo Borrometi sulla sua pagina Facebook: "Per i cretini, gli scemi che stanno a casa... Guardatelo bene questo video, guardate cosa vuol dire la strafottenza delle regole. Ecco, mentre la gente muore, questo "signore", già arrestato, sfida così lo Stato e ognuno di noi. Quando ci renderemo conto che i delinquenti vanno tenuti in galera e non a piede libero?”. Abbiamo parlato con Paolo Borrometi per capire cosa sia successo dopo il video: “Mi risulta che Massimo Rubino sia stato denunciato dalla polizia e sanzionato con 4000 euro, la bici sequestrata e ora sarebbe anche indagato per istigazione a delinquere”. Ismaele La Vardera in questo servizio aveva raccontato la storia di Borrometi, giornalista impegnato nella lotta alla mafia e che nelle sue inchieste ha raccontato proprio alcuni fatti legati al ciclista in questione. Dal 24 agosto 2014 è finito sotto scorta, dopo che la polizia intercetta una conversazione nella quale due boss di Cosa nostra progettano l’omicidio del giornalista: “Ogni tanto un morticello serve per dare una calmata a tutti gli sbarbatelli”. Dopo le minacce di morte, Paolo subisce un altro attacco, questa volta contro il suo lavoro. Otto deputati regionali firmano una lettera indirizzata al presidente della Commissione antimafia siciliana, in cui si mettono in discussione le aggressioni e gli attentati subiti dal giornalista. “Potrebbe essersi inventato tutto per farsi attribuire una scorta”. Dietro questa la lettera ci sarebbe l’onorevole Giuseppe Gennuso, che viene spesso citato proprio nelle inchieste giornalistiche di Borrometi. Ed è qui che entra in gioco Massimo Rubino, il ciclista a spasso durante la quarantena. Gennuso durante le ultime elezioni regionali in Sicilia avrebbe provato a comprare un pacchetto di voti in un circolo di ciclisti di Avola e secondo l’accusa l’uomo a cui avrebbe dovuto dare i soldi sarebbe proprio Massimo Rubino.
Fa il pane per beneficenza e viene multato. “Vado avanti”. Le Iene News il 16 aprile 2020. Piero Scaletta, che con il fratello gestisce un bar a Termini Imerese, nonostante la chiusura per le ordinanze anti-COVID, ha distribuito fino a oggi, ai poveri, oltre 3000 chili di pane. “A Pasquetta sono arrivate le forze dell’ordine e mi hanno multato, ma io non ho intenzione di fermarmi”. “Mi hanno fatto una multa che può arrivare fino a 4mila euro, ma io non mi fermo e continuerò a fare il pane per darlo in beneficenza”. Piero Scaletta gestisce con il fratello un bar a Termini Imerese, in Sicilia, ed è risoluto a continuare, nonostante la disavventura che gli è capitata, e che racconta a Iene.it. Piero ha registrato un video nel suo laboratorio, che potete vedere sopra, e conferma di non avere nessuna intenzione di smettere di aiutare. “Da oltre un mese, da quando abbiamo dovuto chiudere l’attività per il coronavirus, un giorno ogni due sforno almeno 200 chili di pane, che poi dono in beneficenza. Tutto è iniziato una mattina, quando un ragazzo viene nel negozio a chiedere che gli fossero regalati due euro di pane. Lì abbiamo capito che la fame iniziava a farsi sentire. Da allora non ci siamo più fermati”. Piero e il fratello non si fermano neanche in queste ore, dopo l’arrivo delle forze dell’ordine, il giorno di Pasquetta. “Sono entrati polizia, carabinieri, finanza. Avevano ricevuto delle segnalazioni anonime sul fatto che io avrei venduto pane sottobanco, ma non è assolutamente così. Quando sono arrivati c’era anche la Protezione civile nel laboratorio, e i militari hanno potuto vedere a chi donavo quel pane. Erano imbarazzati anche loro, ma non potevano fare altro, perché per le ordinanze io dovevo comunque rimanere chiuso. Alla fine mi hanno fatto un verbale, con una multa che può andare dai 280 ai 4000 euro: adesso ha in mano tutto l’avvocato”. Piero e il suo socio non hanno alcuna intenzione di fermarsi e infatti, nel video che ci hanno mandato, mostrano il pane in cottura nel forno, pronto a essere nuovamente distribuito ai poveri del paese. “La beneficenza non deve fermarsi, c’è chi ha fame anche in questo momento. Se mi impediscono di farlo qui, andrò a farlo in campagna”.
Coronavirus, Firenze: proteste dalle finestre per un arresto. Le Iene News il 15 aprile 2020. Un ragazzo straniero non dà i documenti e fugge ai controlli per la quarantena. I finanzieri lo fermano e lo bloccano a terra, lui urla di dolore. Dalle finestre si alzano grida di protesta per le modalità dell’arresto, che viene filmato. E alla fine a discutere sono direttamente militari e cittadini, in maniera molto animata. C’è anche un amico di Riccardo Magherini, morto nel 2014 durante un fermo. Grida di protesta dalle finestre per le modalità di un arresto a Lastra a Sina (Firenze) durante i controlli per la quarantena. Secondo quanto riporta Il sito di Firenze di Matteo Calì un giovane straniero avrebbe detto ai due militari, secondo quanto riferito dalla Guardia di Finanza, di non avere i documenti con sé, di averli a casa e poi si sarebbe messo a correre. I finanzieri lo fermano: da qui partirebbero le immagini qui sopra di un arresto molto movimentato, che riportano chiaramente solo una parte di quanto accaduto, girate da un uomo in una casa lì vicino. Il ragazzo, arrestato per resistenza a pubblico ufficiale e risultato irregolare per le leggi sull’immigrazione, grida da terra più volte: “Aiuto! Aiuto per favore! Vi supplico! Mi rompe il polso!”. Dalle finestre inizia il dialogo di alcune persone con agenti e arrestato. “Dagli i documenti”, dice uno al ragazzo che continua a urlare. I militari danno del “cretino” e del “coglione” al giovane a terra. “Non è che avete fatto una gran figura”, dice un uomo dal balcone. “Stai calmo”, continua mentre sale la polemica. “Scendi, voglio i documenti”, chiede un finanziere a quel punto. “Un mio amico è morto, si chiama Riccardo Magherini, ricordatelo imbecille” è la replica da una delle finestre. Riccardo Magherini è morto nel 2014 a Firenze durante un fermo dei carabinieri. Del suo caso noi de Le Iene ci siamo occupati più volte: qui trovate l’ultimo articolo dedicato a una storia che sembra circondata da molti dubbi.
Coronavirus, giovane accusa i finanzieri che lo hanno fermato: “Mi hanno picchiato”. Le Iene News il 16 aprile 2020. Dopo il fermo molto movimentato di lunedì scorso da parte della Guardia di Finanza per un controllo nel rispetto dell’ordinanza contro il coronavirus, un giovane straniero avrebbe sporto denuncia verso i finanzieri. È stato fermato dalla Guardia di Finanza lunedì scorso in un intervento molto movimentato e ora il giovane avrebbe sporto denuncia ai carabinieri. Il fatto è accaduto a Lastra a Signa (Firenze), come vi abbiamo raccontato qui. Come si vede nel video, un controllo nel rispetto del decreto ministeriale per combattere l’emergenza coronavirus da parte di due militari della Guardia di Finanza ha catturato l’attenzione dei vicini affacciati alle finestre, uno dei quali ha fatto il video in questione. Come spiega Il sito di Firenze, un giovane straniero avrebbe detto ai due militari, secondo quanto riferito dalla Guardia di Finanza, di non avere i documenti con sé e poi si sarebbe messo a correre fino a che i finanzieri non lo hanno fermato. Da qui sarebbe iniziato l’arresto movimentato che si vede nel video. Sono immagini che riportano solo una parte di quanto accaduto. Il ragazzo, denunciato per resistenza a pubblico ufficiale e per essersi rifiutato di fornire le generalità, grida da terra più volte: “Aiuto! Aiuto per favore! Vi supplico! Mi rompe il polso!”. Intervengono con grida di protesta per le modalità dell’arresto i vicini che, affacciati alle finestre, stavano seguendo la scena. “Dagli i documenti”, dice uno al ragazzo che continua a urlare. I militari, come sembra dal video, avrebbero dato del “cretino” e del “coglione” al giovane a terra. “Non è che avete fatto una gran figura”, dice un uomo dal balcone. “Stai calmo”, continua mentre sale la polemica. Il giovane fermato, come si apprende da Firenze Today, avrebbe denunciato ai carabinieri di essere stato colpito più volte durante l’arresto da parte della Guardia di Finanza. “Mi hanno chiesto i documenti, ho mostrato la carta di identità a distanza perché l'uomo che me la domandava non indossava i guanti. Poco dopo, uno dei due mi ha preso per il collo”, avrebbe raccontato il 26enne all’Arma. “Ho ricevuto pugni alla schiena e calci alle gambe e alla fine sono finito a terra. Qui mi hanno ammanettato, avevo un piede che mi pigiava sopra la testa e un altro sul polso ammanettato. Dal dolore ho pensato me l'avessero rotto. Poi mi hanno strappato via la mascherina”. Nella tarda sera di lunedì di Pasquetta, quando è avvenuto il fermo, il giovane di origini cubane sarebbe andato a farsi visitare all'ospedale Torregalli. “Le affermazioni dell'operatore sono una questione che valutiamo ma che resta separata dal fatto in sé", ha spiegato un colonnello della Guardia di Finanza, come riporta Firenze Today. Un fermo che secondo il colonnello sarebbe avvenuto in “maniera regolare”. Secondo la versione della Guardia di Finanza, il giovane si sarebbe rifiutato di esibire i documenti e se ne sarebbe andato. Quando gli operatori lo hanno fermato lui avrebbe alzato “prima la voce e poi le mani". Dall’altro lato il giovane sostiene di non aver mai alzato le mani. Dopo la denuncia del giovane, i carabinieri di Signa starebbero indagando sull’accaduto.
Lorenzo Giarelli per il “Fatto quotidiano” il 16 aprile 2020. Barili di caffeina riversati nelle fogne. Stragi di San Valentino (o di Pasquetta?) per una partita di chicchi di caffè. Tipacci con le ghette ai piedi pronti ad accoltellarsi per un cappuccino in tazza grande. Non sarà il proibizionismo degli Anni Ruggenti, ma quest' aria da commedia americana - a voler trovare del grottesco in queste tristi settimane - crea paradossi degni di Billy Wilder. Tanto che le cronache italiane si riempiono di testimonianze su bar e pasticcerie che di straforo, senza farsi sentire né vedere, allungano ai clienti gli agognati caffè nonostante il divieto assoluto stabilito dalla legge. E così la setta dei cappuccini proibiti placa una delle astinenze più feroci per il Paese. Dove? Quando? In genere bisogna affidarsi ai bar-tabacchi, già aperti in quanto tabacchi ma con l' ordine di non funzionare come bar. Ma insomma, un caffè che sarai mai, e allora se il cliente è fidato capita che dopo il pacchetto di sigarette si strizzi l' occhio: "Non è che mi fai uno schiumatino?". A Roma ci casca il bar di una piazza a pochi metri da una delle più note attrazioni turistiche, che però in questi giorni non attrae né visitatori né clienti. Nel deserto silenzioso della Capitale, se non ci sono pattuglie all' orizzonte, il vecchio rituale dell' espresso si perpetua. E non è un caso isolato. A Villa Convento (Lecce) un bar-tabacchi è stato chiuso per 5 giorni dopo che gli agenti avevano scoperto lo spaccio sottobanco di caffè: entrati nel locale, non avevano trovato nessuno, ma la macchinetta sporca e gli evidenti segni di recente utilizzo hanno colto i titolari senza una scusa pronta. A Pescara invece il fattaccio avveniva di notte: a inizio aprile la Guardia di Finanza ha scovato un bar che alle 3 e mezza ante meridiane offriva da bere e da mangiare ai nottambuli, forse colpiti da insonnia o stufi della compagnia domestica. Vista l' ora, facile ipotizzare come minimo un caffè corretto. Ben diverso, ma ancor più sofferente, lo spirito dei molti che invece hanno violato l' isolamento per pregare in compagnia. Con la complicità dei parroci, si intende. A Fano (Pesaro) durante la domenica delle Palme i fedeli si sono radunati in chiesa grazie a un intenso tam-tam via social e Whatsapp. A Filadelfia (quella in provincia di Vibo Valentia, lasciando stare Rocky) è successa la stessa cosa, ma qui don Giovanni ha minimizzato: "Erano tutti autorizzati tranne tre persone. Avevo dimenticato la porta aperta". E poi, come dice lui, "faccio il prete, non il vigile". Sarà per lo stesso principio che molti professionisti, stufi della quarantena e della chiusura forzata, si sono dati al lavoro a domicilio. Non proprio quel che Giuseppe Conte auspicava parlando di "telelavoro", ma deviazione prêt-à-porter per nulla consentita - e pure pericolosa - di manicure, trucco, messa in piega, cerette e quant' altro. Diverse sono infatti le segnalazioni di parrucchieri e estetisti all' opera da casa. A Massa, Cristina Mazzoni, presidente della Cna Benessere locale, ha rilanciato sui social una foto scattata da una estetista locale, che su Facebook si era vantata di aver fatto le unghie a casa a una cliente: "Ma le hai fatte oggi?", le chiedeva qualcuno, come fiutando che ci fosse qualcosa di anomalo; "Sì, ma ovviamente ero attrezzata dalla testa ai piedi, mascherine e guanti. In più tornando a casa ho tolto subito le scarpe". Segnalazioni simili ci sono state pure a Bari, a Firenze (sempre dalla Cna locale) e a Napoli. A Chieti un barbiere è stato beccato dai carabinieri appena uscito dalla casa di un cliente: nella valigetta d' ordinanza c' erano le armi del delitto e il dna della vittima, eccezionalmente sotto forma di forbici, rasoio e capelli. Vicino a Reggio Emilia Francesco Costi, proprietario dell' omonimo negozio di parrucchieri, ha persino girato un video su Facebook per denunciare il giro clandestino a domicilio. E al Fatto conferma: "Pure io ho ricevuto chiamate e non solo dai miei clienti. Volevano che andassi da loro o che venissero qui. Ovviamente ho detto di no: il problema non è solo quello di lavorare in nero o di fare concorrenza sleale, ma è soprattutto sanitario. Se inizio a girare le case di tutti quelli che hanno bisogno, c' è il pericolo di diffondere il contagio". Conscio di questa paura diffusa, un cinquantenne torinese dalla spiccata etica protestante (laddove intesa come spirito del capitalismo) si era invece ingegnato per lucrare sui timori della gente: rubando le mascherine scadute dai magazzini della sua azienda, le aveva poi rivendute porta a porta a cittadini indifesi, garantendosi una buona cresta. Tradito forse dalla scarsa qualità del prodotto, il suo sogno imprenditoriale si è interrotto nelle grigie pagine di una denuncia alla Guardia di Finanza.
Da "italpress.com" il 16 aprile 2020. In tempi di coronavirus ne abbiamo visto di tutti i generi. Ma ancora mancava un caso simile: a Palermo un uomo decide di uscire da casa per portare la pecora a pascolare sul... marciapiedi.
Tommaso Montesano per “Libero quotidiano” il 16 aprile 2020. A voler essere pignoli, il suo caso sarebbe potuto rientrare in due delle tre opzioni consentite dall' autocertificazione per gli spostamenti: «Comprovate esigenze lavorative» e, di conseguenza, anche «situazione di necessità». Del resto se non c' è lavoro non c' è il pane e dunque quale necessità migliore che trovare il mezzo per tirare avanti in tempo di crisi da Covid-19? Il questore di Mantova, Paolo Sartori, non si è lasciato però convincere dalle spiegazioni di una prostituta veronese di 61 anni, in trasferta nella città lombarda a caccia di clienti, e così ha comminato alla donna 400 euro di multa per inosservanza delle misure governative per il «contenimento del contagio» previste dal decreto della Presidenza del consiglio dei ministri. Nei confronti della "lavoratrice del sesso", inoltre, è stato emesso un "foglio di via obbligatorio" dal Comune di Mantova per almeno un anno. Tutto comincia nella notte tra martedì e mercoledì, quando nei pressi del Pronto soccorso dell' ospedale di Mantova "Carlo Poma" gli agenti a bordo della Volante, nel consueto giro di perlustrazione a caccia dei trasgressori anti-quarantena, notano la signora davanti al nosocomio. Il punto - in piena emergenza Coronavirus - è nevralgico e così il controllo è inevitabile. Del resto la donna non mostra né le caratteristiche del paziente, né quelle dell' operatore sanitario. Di fronte alle divise, tuttavia, la signora non batte ciglio e, anziché inventarsi mille scuse, confessa candidamente di stazionare davanti all' ospedale in cerca di un posto sicuro - e possibilmente pure caldo, vista l' ora - per attendere le eventuali chiamate. Così, quando le viene chiesto di compilare il modello con l' autodichiarazione, non ha difficoltà a dichiarare di essere - lei che è residente a Verona - in trasferta a Mantova per prostituirsi. Fatale è stata, però, l'assenza di documenti, che ha costretto gli agenti a trasportare la donna in questura per gli accertamenti del caso, oltre che ai rilievi dattiloscopici e al fotosegnalamento. Ed è stato in questa circostanza che è emerso come a carico dalla signora già vi fossero precedenti per reati collegati alla prostituzione, oltre che per porto di oggetti finalizzati a offendere. Da qui le sanzioni amministrative. La prima per violazione del regolamento comunale di Polizia urbana che vieta comportamenti legati alla prostituzione; la seconda per la mancata osservanza del Dpcm con le misure anti-virus, con annessa salatissima multa. Prostitute e clienti è bene che si mettano l' anima in pace: la giustificazione del sesso non vale ai fini dell' autocertificazione. La scorsa settimana a Pescara un uomo è stato sanzionato nonostante avesse scritto nel modello di recarsi a consumare un rapporto sessuale a pagamento a Francavilla al Mare. Conviene fare come Katiuscia, la 45enne escort milanese che ai microfoni della Zanzara ha confessato di continuare a esercitare il mestiere più antico del mondo con una sola, semplice accortezza: farlo ancora più di nascosto. «Li devo far mangiare i miei figli. Siccome tengo alla mia salute ed a quella dei miei bambini, ho incontrato un paio di persone che già conosco e delle quali mi posso fidare. Due, tre incontri a settimana. E mi faccio pagare di più, visto il rischio».
Coronavirus, Secondigliano: ma a Napoli hanno revocato la zona rossa? Le Iene News il 14 marzo 2020. Ce lo chiediamo dopo avere visto le immagini che ci state mandando, quelle del mercato del Perrone, a Secondigliano, molto frequentato anche questa mattina. Il portavoce del sindaco De Magistris spiega: “I controlli li fanno le forze dell’ordine, noi possiamo solo sensibilizzare i cittadini. Ma è un’eccezione, Napoli è spettrale”” Ora di pranzo di sabato, mercato del Perrone a Secondigliano, quartiere di Napoli. Gente che passeggia tranquillamente per strada o impegnata nella spesa alle bancarelle, gente con le borse di plastica cariche di frutta e verdura che schiva le auto in transito lungo la via o fa lo slalom tra quelle parcheggiate in seconda e terza fila. Forse a Napoli hanno revocato la zona rossa e si può tranquillamente riprendere a fare la vita di prima? Ovviamente no, il decreto Conte vale per tutta Italia: per strada solo per ragioni di estrema necessità, certificate da un modulo da tenere con sé. E occorre evitare a ogni costo gli assembramenti. E allora ci sembrano davvero incredibili queste nuove immagini che ci avete mandato, riprese da una delle palazzine che affacciano sull’area del popolare mercato all’aperto di Perrone. Immagini che si sommano a quelle che stiamo continuando a pubblicare e che raccontano come, da Nord a Sud, non tutti hanno abbiano davvero capito di dover rimanere a casa. Tanto più che la stessa Campania e Napoli stanno cominciando a fare i conti, come altre zone d’Italia, con numeri sempre più importanti nell’emergenza coronavirus. Negli ultimi giorni i treni della notte hanno riportato in città molti emigrati nelle regioni del Nord e cominciano a registrarsi diversi casi di contagiati. A ieri pomeriggio erano oltre 200 le persone contagiate in Campania e gli ospedali del capoluogo, come il Monaldi, il Cutugno e il Pascale, sono diventati punto di riferimento anche per malati che arrivano da regioni limitrofe. Com'è possibile allora che nonostante la zona rossa il mercato del Perrone sia affollato come in una giornata normale? Una domanda che, pur conoscendo i limiti di competenza, giriamo al sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, che in un video aveva detto che “si sta lavorando 24 ore su 24, in difesa della nostra città e del nostro popolo". A Iene.it ha risposto il suo portavoce, Domenico Annunziata: “Il sindaco da tempo, sulle sue pagine social, fa almeno due appelli al giorno alla cittadinanza. Mi preme però sottolineare che i decreti della presidenza del Consiglio prevedono che i controlli vengano effettuati dalle forze dell’ordine e non dal Comune. Ora Napoli è una città davvero spettrale, non trova nessuno per strada. Noi come Comune possiamo solo dare un supporto e ogni giorno comunichiamo ai cittadini di restare in casa. Non metto in dubbio la questione del mercato di Secondigliano e, pur nel ribadire ancora una volta il nostro ruolo, tenteremo magari di approfondire”.
Chiara Campo per “il Giornale” il 17 marzo 2020. La parola d'ordine è difendere Milano. I positivi al Coronavirus sono saliti ieri a quota 813, un aumento di 102 in un giorno. «Dovremmo cercare di contenere il problema Milano ed essere preparati a fronteggiare la battaglia visti i focolai che appaiono sempre più evidenti» ha avvertito il primario del reparto di Malattie infettive dell' Ospedale Sacco Massimo Galli. Usando sempre il gergo militare, il sindaco Beppe Sala in un video su Facebook ha premesso che il virus «non sta sfondando», ed è «fondamentale che non sfondi, altrimenti il sistema sanitario sarebbe messo veramente in crisi. Noi non sappiamo quanti in effetti sono i veri contagiati, ma sappiamo che gli asintomatici sono altrettanto contagiosi, quindi continuiamo a rispettare le regole». É l' appello a una città vibrante che si sente in gabbia, e cerca (troppo) spesso di evadere. Il Comune ha chiuso i parchi recintati ma tanta gente domenica si è ancora riversata in quelli senza barriere, nel pomeriggio è stato necessario chiudere la fermata della metropolitana Tre Torri, sotto i grattacieli di Citylife circondati dal verde, per evitare assembramenti. E proteste si sono scatenate ieri sui social per i mezzi pubblici affollati nel primo giorno con il servizio ridotto del 40% in seguito ai decreti anti-contagio di governo e Regione Lombardia. Nelle ore di punta, soprattutto tra le 6 e le 8 del mattino, sulla linea rossa del metrò e sul filobus 90/91 che circonda il centro, i vagoni erano «affollati come carri di bestiame» per citare uno dei tanti commenti dei pendolari infuriati. «A cosa serve fare le file per non ammassarsi nei supermercati se poi fanno stipare la gente sui sociali» o «mezzi ridotti quindi strapieni, diamo una mano alla diffusione del virus» un paio dei commenti al vetriolo pescati a caso su Twitter. L' azienda dei trasporti ha parametrato il servizio attenendosi al decreto e a un calo del 90% dei passeggeri rispetto a un giorno pre emergenza. I controlli, sostengono Lega e Forza Italia, andrebbero fatti a monte, ossia prima dei tornelli per valutare se gli spostamenti sono motivati da «necessità lavorative o sanitarie» e contingentando gli accessi. In giornata il Comune ha ridotto il taglio: salirà dal 60 al 75% del servizio di un normale giorno feriale». Ma «non finiremo mai di ripetere di spostarsi solo se strettamente necessario». Atm controllerà l' accesso ai tornelli «con eventuale chiusura a intervalli temporanei». Convincere i milanesi a chiudersi in casa. Sala cita il brano di Albano e Romina per ammettere che ieri era un lunedì da «nostalgia canaglia, della normalità, della fatica di quei lunedì in cui andavamo tutti al lavoro. Anche l' incertezza sui tempi è faticosa ma dobbiamo attenerci alle regole, domenica ancora in tanti erano in giro, molti mi scrivevano lamentandosi». Un appello a «rispettare rigorosamente le misure» ribadito dal governatore Attilio Fontana: «Purtroppo il virus gira e ha girato nelle scorse settimane per quei comportamenti da evitare che in tanti hanno tenuto. Se continueremo questa sorta di isolamento la cosa si risolverà. Abbiamo ancora 4-5 giorni di tempo prima che si vedano i risultati di queste misure». Le forze dell'ordine tra domenica e lunedì notte ha denunciato 317 persone perché non rispettavano le misure di contenimento, sabato anche il gestore e due persone in un circolo frequentato da ultras dell'Inter che doveva rimanere chiuso. E sono indagati 7 afghani e un pakistano che si sono dati appuntamento a Quarto Oggiaro per un regolamento di conti con catene e coltelli, un «assembramento» più numeroso ma con l' arrivo delle volanti diversi sono fuggiti. Come mostrano video dei residenti, la maggior parte indossava almeno la mascherina.
Michela Allegri per “il Messaggero” il 13 marzo 2020. Feste di compleanno abusive, fughe notturne, giustificazioni assurde. Nell'Italia strozzata dall'emergenza coronavirus, non mancano i furbetti che pensano di giocare d'astuzia per aggirare i divieti imposti dal governo. Da Nord a Sud, il bilancio della prima giornata di serrata generalizzata, con chiusura di bar, ristoranti e negozi, è di 106.659 persone controllate, 2.162 denunciate per inosservanza al provvedimento dell'autorità e altre 35 per false dichiarazioni. Gli esercizi commerciali in cui sono state fatte verifiche sono stati 18.994, mentre i titolari denunciati per violazioni sono stati 113. I dati, aggiornati alla metà del pomeriggio di ieri, sono stati diffusi dal Viminale. E sempre il ministero dell'Interno ha disposto che anche i militari siano autorizzati a fermare i cittadini per controllare se rispettino le disposizioni previste dai decreti. Nella circolare firmata dal ministro Luciana Lamorgese si legge infatti che, considerata l'emergenza, «al personale delle forze armate impiegate, previo provvedimento del prefetto competente, per assicurare l'esecuzione delle misure di contenimento è attribuita la qualifica di agente di pubblica sicurezza». Anche se la maggior parte degli italiani sta rispettando i divieti, le storie che arrivano da diverse regioni sono impietose. Solo a Roma si sono registrate 43 denunce. Nella Capitale ci sono stati anche alcuni arresti: sette persone, tutte di nazionalità straniera, sono state fermate dai carabinieri mentre giocavano a carte su una panchina davanti alla stazione Eur Fermi della metro B. L'arresto è scattato per false dichiarazioni nell'autocertificazione: alle domande dei carabinieri hanno risposto di essere usciti per motivi lavorativi, mettendo la giustificazione nero su bianco nell'autocertificazione. Ovviamente, si trattava di una dichiarazione falsa: sono bastati pochi controlli per scoprirlo. I sette sono stati liberati dopo l'udienza di convalida davanti al giudice. L'altra sera, addirittura, un circolo privato è rimasto aperto e l'ingresso è stato consentito anche ai non iscritti. Il locale è stato chiuso e la titolare, una nigeriana di 38 anni, è stata denunciata, mentre quattro suoi connazionali sono stati accompagnati per ulteriori accertamenti presso il centro di foto segnalamento del Comando Generale visto che erano privi di documenti. Ma il problema riguarda tutta l'Italia, dove circa 40mila uomini e donne di Polizia di Stato, Arma e Guardia di Finanza, sono al lavoro, per controllare il rispetto delle norme. Mentre il capo di gabinetto del ministero dell'Interno, Matteo Piantedosi, ha sottolineato in una circolare ai prefetti che «la veridicità delle autodichiarazioni sarà oggetto di controlli successivi». A metà pomeriggio solo ai Carabinieri erano arrivati a oltre 200 denunce. A Napoli il caso clamoroso di un laboratorio medico che aveva messo in piedi un'attività parallela: nella struttura si svolgeva la raccolta a domicilio - ovviamente a pagamento - di tamponi per valutare la positività al coronavirus. Prestazioni che si svolgevano senza autorizzazione. Sempre nel napoletano è stato smantellato un capannone dove si produceva - abusivamente - un igienizzante per mani. In provincia di Bologna, a Castel Maggiore, due giorni fa, un uomo ha organizzato in un bar la sua festa di compleanno: hanno partecipato 50 persone. I Carabinieri hanno sgomberato l'area. Ma, un'ora dopo, tutti gli ospiti erano tornati all'interno del locale. Così sono scattate le denunce. A Bergamo, una delle città più provate dall'emergenza, c'è chi ce l'ha messa davvero tutta per aggirare il decreto . «Ho litigato al telefono con la mia fidanzata e quindi la sto raggiungendo per chiarire di persona», ha detto un ragazzo alla pattuglia che l'ha fermato. La giustificazione di un concittadino è stata ancora più assurda: «Ero uscito a comprare liquori per 150 euro per una festa che sto organizzando a casa con un gruppo di amici». Le verifiche nella provincia sono già state più di mille. E le denunce più di 40.
Lorenzo De Cicco per “il Messaggero” il 13 marzo 2020. Dalla Balduina, Roma Nord, fino al cuore del centro storico, nel Tridente, passando nei dintorni del Vaticano e deviando dalla traiettoria impostata da Google Maps per addentrarsi tra i platani di Villa Borghese, dove in tanti scorrazzano con le airpods nelle orecchie (e la mascherina sul viso). Jogging in tempi di coronavirus. In tutto, dicono le mappe del web, 7 chilometri. Lungo questo percorso, però, non arrivano stop dagli agenti di stanza che si vedono di tanto in tanto. Fermano più che altro le automobili. Si può passeggiare, quindi? Tra i pochi che svicolano sui marciapiedi, magari con Fido al guinzaglio, o che sudano in tutina facendo dribbling tra le buche perché le palestre sono off limits, ci si ferma, sempre a un metro l'uno dall'altro, e si pone l'interrogativo più frequente nelle conversazioni da quarantena: «Ma l'autocertificazione ce l'hai? Per uscire di casa a piedi, senza macchina o motorino, serve sempre portarla dietro?». In realtà no, come si capirà poi (in caso, la fornisce chi controlla). Ma va detto che gli annunci, nelle ultime 48 ore, non sono stati proprio unidirezionali. Anzi. Per dire: mercoledì la Protezione civile informava che «anche se si va a piedi» tocca sempre motivare la «necessità» dello spostamento. Ieri invece dal Viminale hanno chiarito che passeggiare o fare una corsa si può. Insomma, evitare di camminare o di fare jogging, per quanto fondamentale e utilissimo per arginare l'avanzata del Covid-19, è un invito, al momento. Non un obbligo. «Ieri ho camminato per 15 chilometri e nessuno mi ha fermato», raccontava per esempio all'ora di pranzo, seduta su una panchina di piazza Cavour, Lauretta Z., psicologa costretta ora alle sedute di terapia via Skype. «Mia figlia mi dice di non uscire di casa, si raccomanda tanto. Ma a volte non riesco...». E l'autocertificazione, ce l'ha? «Eccola! C'è scritto che devo andare in farmacia e in effetti ci sono andata, ho comprato le mascherine nuove, quelle che proteggono meglio». L'invito a restare a casa ed evitare il passeggio - che appunto è solo un invito, per ora - non viene seguito. Non tanto nelle strade, svuotate di folle dappertutto, quanto nelle ville storiche e nei giardini pubblici, dove invece si riversano i ragazzi magari per una partita di pallone, come a Villa Pamphili, o seduti in cerchio, uno accanto all'altro, modalità pic nic, a Villa Torlonia. Mentre tutt'intorno altri si allenano, non sempre a distanza di sicurezza. I più giovani hanno nello smartphone, a portata di clic, il sito web del Ministero dell'Interno. «È consentito fare attività motoria all'aperto?», è una delle domande che si leggono sul portale del Viminale. Risposta: «Lo sport e le attività motorie svolte negli spazi aperti sono ammessi nel rispetto della distanza interpersonale di un metro. In ogni caso bisogna evitare assembramenti». Altra domanda: «Posso uscire con il cane?». La risposta è «sì, per la gestione quotidiana delle sue esigenze fisiologiche e per i controlli veterinari». Anche il ministro Francesco Boccia ieri sera ha spiegato quanto sia importante evitare gli spostamenti che non servono davvero: «Faccio un appello, in questi 15 giorni diamo una spinta forte al contenimento del contagio. Più stiamo in casa e meglio è. Non si poteva fare una norma che vietasse di uscire per un giro del palazzo, per la spesa, per portare fuori il cane, ma la passeggiata al parco si può evitare». Prima di tutto perché è decisivo non diffondere il contagio e poi perché in caso di infortunio si rischia di ingolfare ulteriormente i pronto soccorso che in questi giorni sono in grande difficoltà.
Cristina Bassi per “Il Giornale” il 14 marzo 2020. Chi rema contro. Il bar che rimane aperto, il gruppone che festeggia il compleanno al ristorante, gli amici che organizzano la partita di beach volley, la coppietta sorpresa in auto priva della «comprovata necessità» per poter stare fuori casa. La casistica dei furbetti e la lista delle violazioni delle regole anti-contagio sono lievitate in poche ore. I primi dati, diffusi ieri dal Viminale, parlano di 2.162 persone e 113 titolari di esercizi commerciali denunciati in Italia per non aver rispettato il decreto sull' emergenza. Su un totale di 106.659 persone e 18.994 locali controllati dalle forze dell' ordine nella giornata dell' 11 marzo. Gli esempi vanno da Nord a Sud. Cinque ragazzi di Napoli sono arrivati a Zocca, «per vedere la casa di Vasco Rossi» e sono stati denunciati dai carabinieri. A Sternatia, nel Leccese, trenta persone sono state denunciate perché pranzavano al ristorante in occasione di un compleanno. Lo stesso a Rimini, dove sei giovani giocavano a beach volley sul lungomare. A Santhià, non lontano da Vercelli, sei persone sono state trovate a giocare a calcio al parco. Nei giorni scorsi in un circolo di Vercelli otto persone cenavano insieme, violando il divieto di assembramento. A Torino due 40enni sono stati fermati dalle forze dell' ordine e alla richiesta di motivare l' uscita hanno ammesso di essere alla ricerca di droga. Un altro torinese è stato controllato in piena notte mentre cercava una prostituta. A Bologna sono numerosi i denunciati. Tra loro, dieci amici che giocavano a basket e otto persone che giocavano a carte ai tavolini di un bar. A Ramacca, nel Catanese, due coniugi e i loro 16 invitati sono stati denunciati per aver fatto una festa di compleanno in una tavernetta pubblica. Sempre a Catania nelle scorse ore decine di persone sono andate alla spiaggia di San Giovanni Li Cuti a prendere il sole. A Bergamo i carabinieri hanno ricevuto anche le seguenti giustificazioni dai cittadini usciti di casa: «Sono andato a comprare liquori per una festa in casa con gli amici». Oppure: «Siamo andati a comprare il pane nel paese vicino, lì è più buono». Due 70enni di Vicenza hanno pensato bene di andare nella loro seconda casa di Montalcino, vicino a Siena. Qui, a passeggio nel centro storico, sono stati controllati e denunciati. Molte le violazioni anche a Roma. Un residente di Ostia ha raggiunto Fiumicino «per comprare il pesce fresco». Sette uomini di età compresa fra i 36 e i 69 anni giocavano a carte seduti sulle panchine in viale America. Hanno sottoscritto un' autodichiarazione, poi risultata falsa, attestando di essere fuori per esigenze di lavoro. Sono stati fermati per falsa dichiarazione a un pubblico ufficiale. Una coppia in auto, lui 33 e lei 24 anni, che non ha fornito un motivo valido per essere in strada, è stata denunciata dai carabinieri in via di Valle Aurelia. Un' altra coppia, 34 e 25 anni, non si è fermata all' alt in viale della Tecnica. Inseguito, lui è andato a sbattere contro altre auto parcheggiate, è risultato che era ubriaco e che non aveva mai conseguito la patente. Per lui denuncia per queste violazione, per entrambi anche quella prevista dal Dpcm. Ancora: bloccati il writer che dipingeva i muri di una fermata della metro e il gruppetto di persone riunite per correre sul litorale. A Venezia i carabinieri sono intervenuti per un aperitivo di 9 clienti, denunciati insieme al gestore del bar. A Verona la denuncia è scattata per i titolari di un' agenzia di pompe funebri. Avevano organizzato un funerale con una trentina di persone. A Senigallia un 72enne ha segnalando ai carabinieri il furto del proprio furgone. Aveva solo dimenticato dove l' aveva parcheggiato, ma è stato denunciato perché era uscito per una gita in bici. A Milano la polizia locale mercoledì ha accertato 37 violazioni. Un cannabis shop di viale Monza ieri risultava regolarmente aperto. E un edicolante vendeva i moduli per l' autodichiarazione, che si scaricano dal web, a 30 centesimi. In Valtellina invece un 30enne si è vantato in un video sui social di essere sfuggito ai controlli per andare dalla fidanzata. Denuncia anche per lui.
Coronavirus, 2.100 i multati. Controlli in tutta Italia. Pubblicato giovedì, 12 marzo 2020 su Corriere.it da Claudio Del Frate. La palma del più sfacciato di tutti va al consigliere comunale di un piccolo centro della Calabria che, in barba ai divieti emanati dal governo per contenere il coronavirus, teneva aperta la sala scommesse di cui è titolare a Vibo Valentia. Ma è solo uno degli oltre 2.100 italiani che da quando sono entrate in vigore le norme restrittive sono stati multati dalle forze dell’ordine per violazione del decreto governativo. Ci sono stati anche casi più gravi (per fortuna rari) in cui comportamenti sconsiderati hanno dato luogo anche a denunce di carattere penale. Insomma, i controlli in tutta Italia sono partiti per davvero e, anche se le regole sono ancora suscettibili di interpretazioni, le sanzioni stanno fioccando. Benché i divieti siano stati introdotti in campo nazionale solo da 48 ore e benché i dati sulla diffusione della malattia restino allarmanti , la «galleria degli orrori» di quanti hanno provato a dribblare i paletti della legge è già piuttosto ricca. Chiedere per informazioni lla pattuglia dei carabinieri di Modena che ieri ha fermato due auto sulla quale viaggiavano sei ragazzi diretti a Zocca, il paese natale di Vasco Rossi: volevano andare a rendere omaggio al loro idolo, incuranti dei rischi a cui esponevano se stessi e gli altri. Oltre alla multa per loro è scatta la denuncia ai sensi dell’articolo 650 del codice penale (inosservanza di un provvedimento dell’autorità). Ancor più grave il caso di un dipendente dell’ospedale di Sciacca: risultato affetto da Covid-19 e obbligato a stare in quarantena, è andato a fare la spesa al supermercato. A lui è stato contestato un reato ancora più grave, data la sua condizione di infettato: concorso colposo in epidemia che è punito con una pena fino a 12 anni. La tentazione di «interpretare» i divieti in modo elastico è indifferente da nord a sud: a Roma la polizia municipale ha multato 9 attività commerciali nel giro di poche ore, a Sacile (Pordenone) un automobilista fermato da una pattuglia ha detto candidamente che stava andando a comperare la playstation per il figlio («A casa si annoia»), in Umbria un gruppo di «furboni» ha organizzato una partita di calcetto in un locale al chiuso. Quattro i ristoranti chiusi a cervia per inosservanza della chiusura, 12 persone denunciate a Pistoia A Sala Consilina (Salerno) c’è il primo arrestato: multato da una pattuglia di carabinieri un uomo ha reagito aggredendo i militari. Dopo di lui altre 7 persone sono finite in manette a Roma. Un capitolo a parte meritano poi quanti approfittano della situazione di paura ed emergenza per vendere sottobanco prodotti sanitari di questi tempi introvabili. Due dipendenti dell’Asl di Parma sono stati denunciati per aver procurato a un barista mascherine chirurgiche che quest’ultimo rivendeva nel suo locale. All’ospedale «Cervello» di Palermo le mascherine venivano addirittura messe in vendita a 10 euro al pezzo nella macchinetta delle merendine. E’ di poche ore fa infine il sequestro da parte della Guardia di Finanza di 487 mascherine in un’azienda di Biella: i prodotti non erano conformi alle normative Ue e non riportavano il paese di provenienza.
I trasgressori possono essere segnalati dai cittadini. Ma il web si divide sui «delatori». Pubblicato giovedì, 12 marzo 2020 su Corriere.it da Candida Morvillo. C’è la foto di quattro amici al bar e non è una canzone, ma sono proprio quattro persone pigiate a un tavolino, Milano viale Premuda, alle cinque del pomeriggio. Poche ore dopo, il premier Conte blinderà l’Italia, chiuderà anche i bar, i pub, i ristoranti, tutto, ma intanto la scena è questa, come se il Coronavirus fosse niente di che, come se la distanza di un metro fosse elastica a seconda della piacevolezza della compagnia. Questa e molte altre foto simili circolano sui social e nei gruppi di WhatsApp, tanti postano foto di assembramenti a rischio contagio, invitano gli altri a fare lo stesso, a mettere alla gogna i trasgressori, i nuovi untori. Ed è rissa. Rissa fra chi incita alla pubblica lapidazione e alla denuncia e rissa fra chi dice: restiamo civili, non scateniamo l’odio. Come il regista di teatro Alberto Oliva, che scrive: «Sembra la caccia agli ebrei, smettetela. #RestiamoUmani». Il dibattito è aperto, ma ancora pochi si sono accorti che le disposizioni del Viminale prevedono che molti reati da coronavirus possono essere segnalati alle forze dell’ordine «su richiesta del cittadino» (dal «divieto di assembramento in luoghi pubblici o aperti al pubblico» alla violazione di quarantena o di apertura negozi, praticamente tutti, salvo gli spostamenti con autocertificazione per validi motivi). Insomma, il tema della «delazione» divide. Ci stiamo imbarbarendo o ci stiamo responsabilizzando? È odio o senso civico? Cristina Parodi, risponde al Corriere dalla Bergamo flagellata dal Covid-19 di cui è sindaco suo marito Giorgio Gori: «Vivo nella città più contagiata d’Italia, i negozi qui hanno chiuso prima che fosse vietato dappertutto, questa è una città fantasma e non riesco neanche a concepire di vedere assembramenti di persone, tantomeno di denunciarle. Ci rimarrei malissimo: non posso credere che alcuni non hanno capito in che condizioni ci troviamo. Preferirei che si diffondesse il senso civico, non la denuncia». Francesco Facchinetti è uno che nei giorni scorsi, a Mariano Comense, ha tirato un pugno a un ragazzo che bullizzava un anziano in quanto cinese e che ha raccolto oltre 40mila messaggi di solidarietà su Instagram. Dice: «Se due settimane fa mi avessero chiesto di denunciare dei cretini che facevano la movida per strada, avrei pensato fosse caccia alle streghe, oggi no. Perché oggi è chiaro che due incoscienti possono scatenare un contagio a catena. Oggi, ben vengano tutte le misure drastiche».
Chi non rinuncia al calcetto, chi al caffè al bar e chi a fare l’amore. Ecco i trasgressori del decreto anti-coronavirus. Numerose le denunce delle forze dell’ordine contro chi si ostina a fare vita sociale…Francesca Spasiano su Il Dubbio il 12 marzo 2020. Raggiungere amici e fidanzati in un comune vicino o tentare la sorte con una schedina in tabaccheria. Ecco alcune delle motivazioni che le forze dell’ordine non hanno ritenuto sufficienti per violare il divieto di circolazione. Da oggi infatti finire in manette sarà ancora più facile: men che mai per chi non riuscisse a rinunciare a una dose di cannabis per distendere i nervi. E’ capitato a due quarantenni denunciati a Torino per inosservanza delle direttive: fermati dalla guardia di finanza, i due hanno spiegato di essere usciti per acquistare stupefacenti. In applicazione dell’articolo 650 del codice penale, la sanzione prevede l’arresto fino a tre mesi e una multa per chiunque non osservi i provvedimenti di pubblica sicurezza, compreso l’ultimo decreto licenziato ieri in serata. Mentre gli italiani, guida alla mano, cercano di districarsi a fatica tra autocertificazioni e piccole concessioni, fonti del Viminale confermano che non è vietato uscire per una passeggiata o per portare a spasso il cane. Intanto da Milano a Napoli, passando per la capitale, fioccano arresti e denunce per chi si sposta senza una valida giustificazione. Nella provincia di Varese una donna e un uomo sono stati sorpresi a girare in auto dopo le 23. “Dai controlli è stato subito evidente che lei fosse una prostituta e che lui fosse un cliente”, chiarisce la questura di Varese in una nota. Sei persone tra i 26 e i 42 anni sono state denunciate invece a Rimini per aver allestito una partita di beach volley sul lungomare Tintori. Nei guai anche due giovani di Correggio, entrambi pregiudicati, che hanno riferito di essere usciti a comprare le sigarette. Controlli intensificati anche nel napoletano: denunciato dai carabinieri di San Giuseppe Vesuviano un imprenditore del posto per non aver rispettato la norma che impone la chiusura dei ristoranti. Stesso destino per dei ragazzi che giocavano a calcetto in strada a Giugliano. A Monteruscello, all’esterno di un bar regolarmente chiuso, i carabinieri della stazione locale hanno sorpreso tre persone a giocare a carte. Per ora sono 7 gli arresti e 43 le denunce segnalate a Roma. Nella notte una coppia a bordo di un’auto in viale della Tecnica non si è fermata ai controlli dei carabinieri e ha tentato la fuga. Dopo un breve inseguimento l’auto ha perso il controllo tamponando un altro veicolo in sosta. I due non hanno riportato gravi ferite ma per entrambi è scattata la denuncia prevista dal Dpcm, aggravata per l’uomo alla guida che in seguito ad accertamenti è risultato in stato di ebbrezza e senza patente.
Coronavirus, De Luca: “Napoletani irresponsabili, serve l’Esercito”. Redazione de Il Riformista il 12 Marzo 2020. Dopo le restrizioni delle ultime ore per l’emergenza coronavirus, il Governatore della regione Campania Vincenzo De Luca ha scritto al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai ministri dell’Interno e della Difesa e al Capo della Protezione Civile Nazionale chiedendo esplicitamente la presenza dell’Esercito in giro per le strade delle cinque province campane.
LA RICHIESTA – “Nonostante i numerosi provvedimenti adottati per finalità di prevenzione e contenimento del rischio di contagio da COVID-19, in diverse parti del territorio regionale continuano a registrarsi ancora assembramenti dei cittadini e trasgressioni alle prescrizioni che sono state imposte in sede nazionale e regionale” si legge nella missiva. “Le misure adottate, a tutta evidenza, non possono rivelarsi efficaci se non vengono garantiti capillari controlli e se non si irrogano le necessarie sanzioni nei confronti di comportamenti gravemente irresponsabili. Si chiede, per tali ragioni, un impegno straordinario delle Forze dell’Ordine e la presenza dell’Esercito, quali misure ormai indispensabili in funzione della dissuasione degli assembramenti, della mobilità ingiustificata, di forme illegittime di ambulantato sul territorio. Per ragioni di coordinamento organizzativo, si ritiene altresì utile essere informati sul numero delle pattuglie messe a disposizione in funzione delle necessarie attività di controllo rispetto ai fenomeni sopra descritti”.
CONTROLLI BLANDI: POSITIVITA’ NON ISTANTANEA – Numerosi in queste ore i controlli delle forze dell’ordine su tutto il territorio regionale. Non è facile, tuttavia, riuscire a contrastare in modo efficace gli assembramenti o la presenza in strada di persone. Inoltre sia carabinieri che polizia, durante i loro controlli, non vengono immediatamente a conoscenza dell’eventuale positività o meno al coronavirus della persona fermata. I dati infatti vengono girati in Prefettura e nel giro di poche ore arriva il responso definitivo. Un lasso di tempo che andrebbe ridotto proprio per evitare il rischio di ulteriori contagi.
GLI ASSEMBRAMENTI – Nelle scorse ore sono state diverse le infrazioni riscontrate dai carabinieri del Comando Provinciale di Napoli in strada per garantire il rispetto del provvedimento governativo necessario ad arginare l’epidemia di Covid-19. Due le persone denunciate nel quartiere napoletano di Ponticelli dai militari della locale stazione. Titolari di un centro scommesse di via Principe di Napoli, sono stati sorpresi in attività nonostante il divieto di apertura. A Villaricca i carabinieri hanno denunciato tre giovani di Marano perché sorpresi in un comune differente da quello di residenza senza un giustificato motivo. Denunciato dai carabinieri di San Giuseppe Vesuviano un imprenditore del posto per non aver rispettato la norma che impone la chiusura dei ristoranti. Sei le persone denunciate dagli stessi militari e da quelli della stazione di Ottaviano perché fuori dal comune di residenza senza valido motivo. Sette le persone denunciate a Giugliano: giocavano a calcio in via Colonne, nel parcheggio antistante la metropolitana. A Monterusciello, quartiere del comune di Pozzuoli, all’esterno di un bar regolarmente chiuso, i carabinieri della stazione locale hanno sorpreso 3 persone a giocare a carte. Invitati a compilare la prevista autocertificazione i 3 si sono rifiutati e sono stati così denunciati. Controlli anche a Torre del Greco: denunciato un 42enne di San Giorgio a Cremano, fermato durante un posto di controllo nel comune vesuviano. L’uomo non è stato in grado di fornire una spiegazione plausibile al suo spostamento.
Campania, ospedali al collasso e ambulanze ferme: De Luca nomini assessore sanità. Bruno Buonanno de Il Riformista il 13 Marzo 2020. La pandemia da Covid-19 unisce e al tempo stesso separa l’assistenza sanitaria del Nord da quella del Sud. La vergognosa mancanza di presìdi sanitari come le mascherine ha riguardato tutta l’Italia. Ieri, soprattutto per il Nord, è stata risolta dai cinesi. I “focolai” di Lombardia, Veneto e Piemonte hanno stressato perfino la più organizzata ed efficiente assistenza del Nord Italia ponendoci di fronte a un interrogativo. Che succede se il “focolaio” di Covid- 19 si trasferisce al Sud? Il Whatshapp delle cinque ambulanze (tutte con pazienti a bordo) ferme per oltre un’ora davanti al pronto soccorso dell’ospedale Cotugno è diventato immediatamente virale. Fotografa un’assistenza che dispone di grandissime professionalità ma che si appoggia su una rete molto precaria di ospedali, policlinici e distretti che nei prossimi giorni, proprio per l’attuale emergenza, dovranno essere rafforzati con unità speciali di continuità assistenziali in attività 7 giorni su 7 dalle 8 alle 20. Paghiamo lo scotto di dieci anni di commissariamento con relativo blocco del turn over. Il risultato è la carenza di una montagna di camici bianchi, verdi, gialli e arancioni perché in tutte le strutture sanitarie tra medici, infermieri e personale amministrativo si registrano buchi di tredicimilacinquecento dipendenti. La nomina di metà agosto di direttori generali di esperienza, ma soprattutto di grande “affidabilità” per il governatore uscente Enzo De Luca, non riempie la casella più importante: quella dell’assessore alla Sanità. Dopo Mario Santangelo si è messo un tappo sul boccione della Sanità facendo a meno di un assessore che deve gestire un’area che utilizza oltre il 70 per cento del bilancio regionale. De Luca in cinque anni ha deciso di affidarsi a consulenti sanitari. Ma nel decennio di commissariamento almeno a livello metropolitano la riorganizzazione sanitaria è andata avanti traballando. Grandi progetti per l’Ospedale del Mare che, sotto il commissariamento tecnico di Ciro Verdoliva durato quasi dodici anni, è partito a settembre 2018 con due lustri di ritardo sul cronoprogramma iniziale. Ospedale a metà per utilizzo di posti letto e sale operatorie, struttura che vanta fra l’altro un albergo mai inaugurato. L’Ospedale del Mare dista quindici chilometri da Mergellina e la sua realizzazione a Ponticelli lo rende accessibile più facilmente ai pazienti della Provincia e della Costiera rispetto a chi vive a Napoli. Doveva sostituire il Loreto Mare e per questo ha risucchiato importanti divisioni dell’ospedale di via Marina che, con la novità Covid-19, si prepara a riaprire le vecchie stanze di degenza per nuovi ricoverati. L’Ascalesi è passato dall’Asl Napoli 1 al Pascale. Addio al pronto soccorso, ciao ciao temporaneo all’ospedale trasformato in cantiere dove però la moderna ed efficiente radioterapia realizzata dal professore Paolo Muto continua a lavorare per pazienti oncologici aspettando che tutto l’Ascalesi riparta sotto l’egida della Fondazione Pascale. La Sanità ha perso l’ospedale San Gennaro. Struttura storica ma difficilmente “recuperabile” anche se il pronto soccorso e una serie di divisione efficienti rappresentavano un’importante valvola di sfogo per i residenti nella zona. La riorganizzazione dell’Annunziata ha ridotto all’osso l’efficienza di una struttura pediatrica di cui c’era ancora bisogno in città, soprattutto nella zona popolosa che costeggia la Ferrovia e il vecchio Tribunale. Seguendo le indicazioni dei suoi consiglieri, il governatore De Luca ha impegnato soldi e uomini nell’ammodernamento della chirurgia dell’ospedale degli Incurabili. Ora la struttura ha un reparto moderno realizzato per far posto a pazienti oncologi. Programma saltato perché la chirurgia è entrata a far parte del futuro cantiere Incurabili. Può darsi che con un assessore alla Sanità anche la riapertura del Centro Traumatologico Ortopedico, il Cto, sarebbe stata diversa. Non la riproposizione di un ospedale <generale> (che in passato ha dimostrato di non garantire la migliore assistenza) ma la realizzazione di un polo ultra specialistico probabilmente avrebbe rallentato anche i viaggi della speranza che continuano ad essere un’autentica croce per la nostra sanità con un costo annuo di circa trecento milioni. Più soldi e, di conseguenza, organizzazione migliore al Nord. Ma anche in ospedali come il Pellegrini, il San Paolo ed il San Giovanni Bosco e nei due Policlinici medici, infermieri e tecnici si dimostrano più duttili e, diciamolo pure, anche bravi quanto i loro colleghi della Lombardia o del Veneto. Non a caso per il Covid-19 la Fondazione Pascale e l’azienda ospedaliera dei Colli con il Monaldi sono stati i primi in Italia ad utilizzare come “off limits” il Tocilizumab, medicinale per l’artrite reumatoide. Ma tutto questo si registra in una trasformazione ancora incompleta o addirittura solo programmata della mappa sanitaria. L’area flegrea ha l’ospedale San Paolo che l’attuale governatore immagina di costruire ex novo a Cavalleggeri con fondi statali. Vedremo. Nel frattempo il Burc ha ufficializzato l’accordo che la Regione ha siglato con i medici di famiglia che lavoreranno in cooperativa dalle 8 alle 20 e assumeranno infermieri come collaboratori. Il tutto in cambio di circa dieci milioni di euro. Ma il progetto non sembra partito. Abbiamo messo a posto i conti, siamo risaliti nella valutazione dei Lea – i livelli essenziali di assistenza – e questo ci ha permesso di chiedere e ottenere dal governo l’eliminazione del commissariamento. Prima o poi arriveranno medici e infermieri, grazie al concorsone regionale. Ma la sanità nel Sud arranca ancora perché un punto centrale dell’assistenza – i Dieci Distretti sanitari della città di Napoli – continuano a funzionare a scartamento ridotto. Un accertamento cardiologico, una radiografia, esami di laboratorio e tutto il pacchetto dell’assistenza che ingolfa e crea problemi ai pronto soccorso ospedalieri di sabato e di domenica sono proibiti. I portoni dei Distretti sono sprangati, aprono eccezionalmente solo quando è in programma un appuntamento per la prevenzione. Ufficialmente non siamo ancora nel semestre bianco, ma presto torneremo alle urne per la giunta regionale. L’augurio è che l’organizzazione della Sanità non si blocchi com’è avvenuto finora, ma che tutto il sistema venga affidato alla guida di un assessore che si preoccupi degli ospedali e, finalmente, anche dell’assistenza territoriale.
ilgazzettino.it il 12 marzo 2020. Coronavirus, bar chiusi perché trasgrediscono le regole restrittive. Sono arrivate a 30 le denunce dei carabinieri nei controlli legati all'emergenza del Coronavirus. L' intervento in un bar dei militari di Favaro Veneto ha messo fine ad un allegro aperitivo di 9 clienti, tutti deferiti assieme al gestore. Stessa sorte è toccata al titolare di un bar di Passarella di San Donà e a 7 avventori che stavano giocando a carte e ad un gestore di un bar di Santa Maria di Sala, trovato aperto oltre le 18. Due giovani invece, fermati nella notte fuori da loro comune a Noventa di Piave, non hanno saputo fornire comprovati motivi circa la loro presenza sul posto. A Quarto d'Altino, la denuncia è scattata per una croata residente a Cessalto (Treviso) e per il suo convivente, bloccati a bordo di un'auto, i quali hanno eseguito un'autocertificazione non corrispondente al vero. Denunciati anche due uomini e una donna, rispettivamente titolari di una pizzeria, di un bar e di una pasticceria, nei comuni di Vigonovo, Campolongo Maggiore e Fossò, che tenevano gli esercizi ancora aperti dopo le 18. Denunciato anche un ferrarese che era uscito di strada con la propria auto. Oltre a non giustificare la sua presenza in un comune di non residenza, l'uomo si è rifiutato di sottoporsi all'alcoltest. Intercettati e denunciati, tra Annone Veneto, Portogruaro e San Michele a Tagliamento, 7 automobilisti fuori dal loro comune. Tra le tante motivazioni, una persona ha dichiarato che si era recato ad acquistare del terreno per il proprio giardino, mentre un altro uomo ha detto che aveva lasciato il Friuli per incontrarsi con una donna nei pressi di un campo sportivo.
Raffaella Di Claudio per ilmessaggero.it il 12 marzo 2020. Doveva stare in quarantena, nell'abitazione di Cantalupo in Sabina dove vive insieme al marito, risultato positivo al coronavirus ma ha pensato bene di uscire e andare a fare la spesa in un supermercato del posto, violando tutti gli obblighi cui una persona in isolamento, qual è, viene sottoposta. La donna, circa 60 anni, attualmente risulta essere negativa, come accertato il primo tampone faringeo che ha eseguito. L'esito del secondo è atteso per questa mattina. Sebbene attualmente non sia infetta, le disposizioni sono chiare: fino a quando non viene ultimato il periodo di isolamento, al fine di scongiurare definitivamente la possibilità di essere stata contagiata da un soggetto positivo, è vietato ogni contatto sociale. Motivo per il quale oggi la donna rischia una denuncia in base all'articolo 650 del codice penale per non aver rispettato un provvedimento emesso nei suoi confronti. Gli inquirenti stanno ricostruendo i dettagli della vicenda il cui esito appare scontato.
LA VICENDA. A denunciare l'accaduto ai carabinieri della compagnia di Poggio Mirteto è stato il sindaco di Cantalupo, Paolo Rinalduzzi, dopo aver appurato che anche per la donna era previsto l'isolamento insieme al marito, regime sul quale non vigila l'amministrazione comunale ma che è deputato alle autorità sanitarie. Un'informazione, quella della quarantena della sessantenne, della quale il primo cittadino non era al corrente. «Una volta preso atto dai vertici della Asl che anch'essa era stata sottoposta a isolamento domiciliare ho fatto quel che si doveva fare: denunciarla alle forze dell'ordine», spiega il sindaco Rinalduzzi, che condanna fortemente, specie da un punto di vista morale, il comportamento messo in atto dalla cittadina. In un periodo di grande timore generato dal diffondersi del Coronavirus un evento simile rischia di sconquassare gli equilibri di una comunità di duemila abitanti già provata dalla notizia di una positività riscontrata nel centro. «Nonostante gli sforzi che stiamo facendo per rassicurare la popolazione, attraverso telefonate e messaggi social per raggiungere quasi persona per persona incalza il sindaco - è allucinate che cittadini, seppure vittime di questo male, possano mettere nelle condizioni gli altri di essere contagiati. La politica qui da noi ha una dimensione umana, ma eventi del genere minano questa credibilità e fiducia. Se io assicuro che la persona contagiata non ha avuto rapporti con il territorio, perché ragionevolmente posso dirlo, non è possibile che la moglie, sebbene negativa, se ne vada in giro per il paese. Non si può accettare che una persona decida di correre il rischio indiscriminato di fare dei danni, seppure consapevole di essere negativa al tampone. Una atteggiamento del genere rimette in discussione tutto e destabilizza una comunità, per questo conclude - lo condanno duramente».
(ANSA il 10 marzo 2020) - Una donna di 78 anni è stata sottoposta a Tso e ricovero coatto, dopo essere stata visitata al Policlinico di Monza per febbre alta, insufficienza polmonare bilaterale e tosse, sintomi tipici del Coronavirus. La 78 enne, una volta informata della possibile diagnosi, ha rifiutato il ricovero e, supportata dal marito, voleva rientrare a casa, dando in escandescenza e minacciando medici e infermieri di denuncia per sequestro di persona. Sul posto è intervenuta la Polizia Locale di Monza, che ha proceduto al trattamento sanitario obbligatorio, in attesa dell'esito del tampone.
Da "leggo.it" l'11 marzo 2020. Una prostituta e un suo cliente sono stati denunciati a Busto Arsizio (Varese) per aver violato le disposizioni del decreto che stabilisce le misure per il contenimento del coronavirus. Entrambi erano residenti in altri comuni della provincia di Varese. Per i due, poiché si sono mossi nell'area a contenimento rafforzato senza alcuna giustificazione, è scattata la denuncia per inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità (articolo 650 del codice penale).
Da ilmessaggero.it l'11 marzo 2020. Coronavirus, una storia paradossale arriva da Napoli, all'ospedale Cotugno che combatte in prima linea da sempre contro le malattie infettive. Un uomo, che presentava sintomi febbrili ed era in attesa di fare il tampone per il Coronavirus, si è spazientito e ha dato in escandescenze sputando contro dottoressa e infermiere che cercavano di calmarlo. Il risultato è che i due sanitari dell'ospedale Cotugno di Napoli da ieri sera sono stati posti in quarantena e il locale dove è avvenuto l'episodio è stato evacuato e sottoposto a sanificazione. «Ho perso un medico e un infermiere validissimi che adesso devono state in isolamento e non possono dare, come hanno fatto finora il loro prezioso contributo. Sputare addosso a una persona quando si hanno, in un momento come questo, sintomatologie e febbre, equivale a sparare, non c'è differenza». È il commento del direttore generale dell'ospedale Cotugno di Napoli Maurizio Di Mauro. «Sono indignato, ci sono ragazzi che stanno dando l'anima - sottolinea Di Mauro - stamattina ho visto i neo assunti, ragazzine di 23-24 anni che forse non sanno a che cosa stanno andando incontro, pronte a dare il loro contributo in questa battaglia contro il coronavirus».
Max Giusti: «Vi parlo da romano, qui ci stiamo dimenticando che non sono le vacanze di Pasqua, stiamo troppo in giro». Da leggo.it il 12 marzo 2020. Il popolare attore e conduttore televisio Max Giusti si rivolge ai cittadini romani. Tutti noi stiamo avendo dei problemi - racconta -. Io ho dovuto chiudere il mio circolo e il mio ristorante, mi stanno saltanto tutti gli spettacoli; ma sto bene, ho la salute». Poi si rivolge ai cittadini romani: «Non ci dimentichiamo che queste non sono le vacanze di Pasqua. Stiamo troppo in giro, le ville romane sono piene di gente. Chiacchieriamo fuori al bar, facciamo giocare i bambini insieme». Giusti invita a stare più attenti: «Abbiamo la fortuna di stare bene, i contagi qui sono pochi. Ho amici di Brescia in quarantena. Al nord in molti hanno un amico o un parente colpito dal virus». Stiamo attenti, è l'appello di Max Giusti.
Laura Bogliolo per “il Messaggero” il 12 marzo 2020. «In due si fa prima a fare la spesa». «Con mio figlio al parco? Cosa dovrebbe fare un bimbo per un mese senza scuola?». I centri commerciali sono praticamente vuoti, i romani vanno soltanto per entrare nei supermercati dove spesso non si rispetta la regola secondo la quale si dovrebbe andare solo uno per famiglia. «Lui ha la lista, io vado velocemente a prendere i prodotti sugli scaffali» raccontava ieri chi veniva pizzicato a fare la spesa in due in diversi quartieri. Nel centro commerciali Porta di Roma dove i gestori degli store sono severissimi e dove tantissimi negozi erano chiusi, c'era qualche cliente che nonostante le raccomandazioni non teneva la tanto raccomandata distanza. Deserto ieri l'outlet Castel Romano, dove una cinquantina di locali su oltre 200, erano chiusi. Gli ingressi dei supermercati sono contingentati e controllati, non si consentono affollamenti, ma in tanti store la regola dell'uno per famiglia come raccomandato non è stata rispettata. Anche alla Romanina c'era chi faceva la fila fuori il negozio sottobraccio. In tanti negozi dall'altoparlante si continuava a ricordare di allontanarsi dagli altri clienti, soprattutto mentre si aspettava il proprio turno alle casse. Tutti i dipendenti indossano mascherine e guanti, sono meno invece i romani che si sono attrezzati, anche perché i prodotti per proteggersi dal contagio continuano a essere introvabili: mascherine, gel disinfettante e guanti in lattice in particolare. Molti si sono sfogati su Facebook: «Ho visto famiglie intere entrare nei supermercati alla Giustiniana, questo non è giusto, non è sicuro», ha raccontato Maria. Insomma i gestori sono severi, ma spesso i romani abbandonano ogni regola avvicinandosi comunque agli altri clienti. «Neanche durante la guerra ho visto cose del genere», borbottava un anziano fuori a un supermercato sull'Ardeatina. «Rispetti la distanza!», gli ha intimato una signora. Ma è soprattutto nei parchi e nelle ville che le precauzioni contro il contagio sono state ampiamente ignorate. Da villa Pamphili a villa Ada runner soli e in compagnia hanno calcato i prati, le famiglie hanno portato i bimbi a giocare sull'altalena. «Stiamo attenti, non giocano con altri bambini - raccontava ieri un papà a villa Pamphili - ma a casa si annoiano....». Tanti gli sportivi che si sono allenati insieme sugli attrezzi, anche le panchine erano piene, uno seduto accanto all'altro a prendere il sole. Eppure sul sito Parchi del Lazio della Regione si può leggere: «Il nostro invito è di restare a casa». Di sicuro da oggi nessuno andrà al parco di Tor di Quinto. Ieri è stato chiuso il bar ristorante all'interno dell'area verde nel rispetto del decreto sulle prescrizioni di contenimento del coronavirus.
Coronavirus, in 48 a un corteo funebre: tutti denunciati. Retata dei carabinieri fra parenti e amici di un defunto a Porto Empedocle. Hanno violato le ultime disposizioni del governo, ora dovranno vedersela con i pm di Agrigento. Errico Novi de Il Dubbio il 10 marzo 2020. Un corteo funebre, in tempi così angusti, può provocare una retata dei carabinieri. Nonostante le norme estese dall’ultimo decreto all’Italia intera vietino i funerali in tutto il Paese, era forse difficile immaginare che potesse davvero scattare una denuncia per aver dato l’ultimo saluto a un familiare. Tanto più negli angoli dell’Italia più lontani dai focolai del coronavirus. E invece ieri pomeriggio a Porto Empedocle, nell’Agrigentino, ben 48 persone sono state denunciate dai militari dell’Arma per aver partecipato a un corteo funebre. Il delitto? Aver violato i divieti imposti dal decreto del presidente del Consiglio dei ministri. Crimine punito dall’articolo 650 del codice penale, dov’è codificato appunto il reato di inosservanza delle disposizioni delle autorità. A segnalare la presenza del corteo per le vie cittadine in direzione del cimitero sono stati i passanti, che hanno avvertito i carabinieri. Familiari e amici del defunto, in tutto 48, appunto, sono stati identificati uno per uno e denunciati. Adesso nei loro confronti sarà aperto un procedimento penale da parte della Procura di Agrigento per il reato sopra ricordato. Che, com’è ormai noto, prevede l’arresto fino a 3 mesi. Al dolore per la perdita, anche il travaglio di una inevitabile condanna.
Andrea Galli per corriere.it il 12 marzo 2020. I quattro fenomeni son ragazzi. Nemmeno provano a recitare. Anzi, confessano. Nel dettaglio. Le quindici e un quarto, via Gallarate. «Andiamo a una festa. Per la precisione, alla festa di compleanno di un amico fuori città. Problemi?». Viaggiano su una Golf grigia che dovrebbe stare più dallo sfasciacarrozze che per strada, indossano il giubbetto nonostante fuori sia un giorno di quasi primavera, luminoso e caldo, e incappano in uno dei numerosi posti di blocco dei carabinieri, i quali pazientemente chiedono e si sentono rispondere dai quattro soltanto con dei no. I ventenni dicono che no, non sanno dei provvedimenti, dell’Italia-zona rossa, del rischio di prendersi denunce o pure peggio, e no, ignorano che devono starsene a casa loro salvo motivi di salute, per raggiungere la fabbrica e l’ufficio, oppure per le vere emergenze. No, no, no. «Controlliamo ma allo stesso tempo sensibilizziamo sul tema, siamo qui per aiutare i cittadini, come sempre, a cominciare dai più giovani. Anche noi non ci stanchiamo di ripetere che ne usciamo se collaboriamo tutti insieme» dice il maggiore Carmine Elefante, comandante del Nucleo radiomobile al quale il Corriere si è accodato ieri pomeriggio. L’incrocio finale delle verifiche dei carabinieri, quantomeno in una fascia temporale e geografica abbastanza relativa — oltre a quello di via Gallarate siamo stati al posto di blocco in via Novara — non può produrre una statistica che riassuma i comportamenti per categorie, eppure i «fermati», a modo loro, sono lo stesso indicativi. Dunque bisogna registrare il menefreghismo dei giovani, e di contro le mamme coi volti stanchi che stanno in macchina per andare al supermercato, magari uno di quelli più periferici e si spera meno intasati; poi ci sono gli anziani che accostano ancor prima di ricevere lo stop e mostrano con orgoglio l’autocertificazione correttamente compilata, e necessaria in quanto, dicono, stanno in giro per lavoro, e pazienza se sono in un’età a rischio, «come faccio a campare?». In questi tempi caotici, confusi — e ogni ora pare peggio — c’è una città che sta cambiando velocemente, che obbedisce sì alle regole confinandosi sul divano nel soggiorno — da domenica, le presenze in strada sono calate, e di molto —, ma che al contempo è spaventata dal virus e dalle sue conseguenze, e non si intende unicamente quelle sanitarie. Questo inedito processo di modifica di Milano, che secondo alcuni non s’era avuto neanche nel lungo periodo delle Brigate rosse, ha intaccato pure il mondo delinquenziale. Nel pomeriggio con gli uomini del Comando provinciale diretto dal colonnello Luca De Marchis (tra domenica e le 18 di ieri, i posti di blocco hanno generato 1.030 persone controllate delle quali 35 denunciate), la centrale ha governato un traffico tranquillo di interventi. Dei calcinacci caduti da un soffitto senza feriti, una lite famigliare non sfociata in tragedia, e un furto in un bar davanti all’ippodromo. Il sopralluogo permette di accertare che i ladri, almeno due, sono entrati sfasciando una finestra sul retro, hanno frugato ovunque e hanno trovato duecento euro in cassa e un iPhone 5 utilizzato dai titolari per la gestione degli ordini dei clienti. Nessuno può prevedere il futuro, ma al momento sono innegabili un calo dei reati, la progressiva sparizione delle prostitute, il rintanamento degli spacciatori, la sostanziale pausa dei ladri. Il che non toglie inquietanti interrogativi, che i carabinieri, come i poliziotti e i finanzieri ugualmente impegnati sul doppio fronte virus-classica gestione della quotidianità metropolitana, per forza si pongono. I tossici, ad esempio: come e dove andranno a procurarsi i soldi della dose? Si concentreranno sui pochi esercizi commerciali aperti e sui rari passanti? Bisogna sempre stare dentro le cose reali, e la Milano a scorrimento libero e veloce, con le sue strade quasi sgombre che migliorano i tempi di reazione delle pattuglie, non può illudere, e infatti la raccomandazione è quella d’essere presenti e vigili con un differente punto di vista: saper cogliere le potenziali minacce negli spazi vuoti anziché in quelli densi. Non dimenticando che i controlli sugli automobilisti andranno a crescere. A ieri, i carabinieri hanno esaminato 797 autocertificazioni e 311 elementi giustificativi esibiti. Capitano cittadini spaventati (non dai posti di blocco), e gli uomini delle pattuglie li tranquillizzano, incoraggiano all’ottimismo, un po’ preti e un po’ fratelli maggiori; domandano, quei cittadini, quando diavolo finirà, cosa mai ha fatto di male Milano per meritarsi una punizione simile, ma non ci sono risposte, specie quando, come ammette uno dei quattro fenomeni diretti alla festa, mica ha capito bene cosa sia il coronavirus. Davvero.
Dagospia il 12 marzo 2020. Da “Un Giorno da Pecora – Radio 1”. Se sarei favorevole alla chiusura totale della Lombardia per due settimane per arginare il Coronavirus? “Io sarei per la chiusura totale, non soltanto di Milano ma per tutta l'Italia”. A parlare, ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, è Ornella Vanoni che oggi è intervenuta al programma condotto da Geppi Cucciari e Giorgio Lauro. Secondo alcuni col Covid-19 a rischiare il decesso siano solo gli anziani. Lei cosa ne pensa? “Non è vero, è dimostrato che non è così. I giovani si sentono forti, non credono alla morte. Adesso però è una demenza totale: domenica in tv ho visto tanti giovani ai bar sui Navigli, tutti insieme, tutti abbracciati...” E cosa ha pensato vedendo quelle immagini? “Mi sono veramente incazzata – ha detto la Vanoni a Rai Radio1 - e mi sono detta "così domani sarà un inferno"”. Lei sta seguendo le indicazioni delle istituzioni ed è a casa. Le capita, ogni tanto, di uscire dalla sua abitazione? “Si, ma solo per andare in farmacia e ogni tanto al parco Sempione, vicino casa mia, per portare il mio cagnolino a fare una passeggiata”.
Da ilgazzettino.it l'11 marzo 2020. «Sto andando a comprare la Playstation per i miei figli: serve loro per trascorrere le prossime tre settimane chiusi in casa»: è la giustificazione addotta da un uomo di Sacile, che è stato fermato all'ingresso di un casello autostradale dalla Polizia Stradale nell'ambito dei controlli disposti a Pordenone per contrastare la diffusione del coronavirus-Covid 19. L'uomo è stato denunciato per il mancato rispetto delle misure contenute nel Dcpm. Altre sei persone sono state denunciate dalla polizia della Questura di Pordenone nel corso della giornata di ieri, che ha impegnato varie pattuglie della Squadra Volante e della Polizia Ferroviaria. Gli agenti hanno effettuato numerosi controlli di cittadini in transito in città e provincia acquisendo 221 autocertificazioni da parte di persone che hanno dichiarato di spostarsi per comprovate esigenze lavorative. Tra gli altri sei denunciati spicca la vicenda di un goriziano che ieri mattina è andato a Pordenone, in un'officina meccanica, per un contenzioso relativo all'acquisto di una autovettura. Un uomo di Portogruaro invece, di mattina presto, ha dichiarato di dover consegnare documenti per una richiesta di lavoro, ma è stato trovato successivamente alle 2 di notte, all'esterno di un bar, ancora in città e non ha saputo giustificare la propria presenza. Le altre 5 persone denunciate, rintracciate in città e nella provincia da Spilimbergo a Cordenons, non hanno saputo dare giustificazioni dei rispettivi spostamenti. La Questura di Pordenone ha effettuato anche le verifiche sulla veridicità delle dichiarazioni, contattando le aziende o i titolari e datori di lavori indicati dalle persone controllate, riscontrando la correttezza di quanto dichiarato.
Da gazzettadimodena.gelocal.it l'11 marzo 2020. Erano in cinque a bordo di una Lancia Y che stava entrando nel paese di Zocca. I carabinieri, impegnati nel controllo sulle violazioni del decreto del Governo, relative ai divieti di spostamento senza valido motivo, hanno fermato la vettura alle 18 di ieri, 10 marzo. Ovviamente hanno chiesto agli occupanti i documenti e per quale motivo si trovavano in giro per Zocca. I cinque, due ragazzi e tre ragazze, tra i 18 e i 26 anni, due dei quali residenti nel Bolognese, hanno candidamente spiegato "Veniamo da Napoli, siamo qui per vedere la casa dove abita Vasco Rossi e il suo paese". (tra l'altro in questo periodo Vasco si trova a Los Angeles per lavoro). Questa giustificazione ovviamente non rientra tra i motivi per i quali è permesso di spostarsi attraverso l'Italia per i cinque ragazzi è scattata la denuncia per violazione del decreto. Un viaggio che i 5 hanno intrapreso nonostante il loro idolo già da alcuni giorni è sceso in campo con decisione per sostenere la campagna #iorestoacasa invitando tutti a non sottovalutare il pericolo che è in corso in Italia "E' come una guerra" ha detto Vasco. E sempre Vasco nella mattinata del 11 marzo ha scritto su instagram che è intenzionato a tornare in Italia a tutti i costi. C'è però il problema che allo stato tutti i voli sono cancellati. Quindi per ora non riesce a partire.
New York Times: "Gli italiani sanno seguire le regole?". In un lungo articolo il quotidiano statunitense parla della "furbizia" degli italiani. Quell’attitudine tutta nostra, di chi è pronto a ribellarsi contro leggi scomode. Michele Di Lollo, Lunedì 09/03/2020, su Il Giornale. La notizia del rafforzamento della zona rossa nel nord Italia (con il relativo fuggi, fuggi) rimbalza come una trottola impazzita in tutto il mondo. "Gli italiani sanno seguire le regole?". È quanto si chiede il New York Times in un lungo articolo che racconta le ultime 48 ore del Paese, tra nuove misure del governo per contrastare i contagi da coronavirus e fughe dalle zone rosse. Dopo la conferenza stampa terminata nel cuore della notte, molti, fra cui il premier Giuseppe Conte, hanno fatto appello agli italiani affinché respingessero la loro tendenza alla furbizia. La parola italiana per il tipo di astuzia o intelligenza utilizzata per arginare burocrazia e leggi scomode. Ma la "furbizia, a dire il vero - recita ancora il quotidiano statunitense -, è un tratto di carattere generale attribuito agli italiani, spesso da altri italiani. Domenica scorsa, però, sembrava che i viaggiatori si precipitassero sui treni fuori dalla Lombardia prima che il decreto entrasse in vigore nel pomeriggio. E mentre esperti sanitari e funzionari imploravano il pubblico di rispettare la legge e agire in modo responsabile". Da qui il racconto degli appelli di comunità scientifica, mondo dello spettacolo e del giornalismo sotto l’hashtag #iorestoacasa. Appelli ancora in qualche caso caduti nel vuoto, spiega ancora la testata, che rispolvera un famigerato studio a firma di Barzini per spiegare il comportamento della popolazione. Nel classico studio di Luigi Barzini del 1964 sui suoi connazionali, "Gli italiani", egli attribuì il valore della furbizia all’abitudine dell’Italia di essere conquistata e governata da una lunga serie di odiati stranieri, da Napoleone agli Asburgo. "Sotto la superficie gli italiani hanno inventato modi per sconfiggere le regole oppressive", ha scritto Barzini. "Dato che non potevano proteggere la loro libertà nazionale nel campo di battaglia, hanno combattuto faticosamente per difendere la libertà dell’individuo e della sua famiglia, l’unica libertà che in ogni caso hanno compreso". Le leggi, nota quindi il New York Times, sono diventate un male necessario se non altro perché hanno fornito la gioia di eluderle. "Come si potrebbe eludere le leggi se non ce ne fossero?", si chiede Barzini. Questo - sottolinea la testata - è esattamente il tipo di pensiero che il signor Conte ha invitato gli italiani a evitare. Un invito che, con il passare delle ore e l’aumento dei contagi, gli italiani sembrano finalmente pronti a raccogliere. Ma non tutto è perduto. Osservando le norme e astenendosi dalla rissa adolescenziale di chi le regole proprio non le sopporta, si potrà presto mettere alla porta il virus. E con lui tutti i cattivi pensieri di questi giorni.
Da ilmessaggero.it il 9 marzo 2020. «Gli italiani sanno seguire le regole?». È quanto si chiede il New York Times in un lungo articolo che racconta le ultime 48 ore del Paese, tra nuove misure del governo per contrastare i contagi da coronavirus e fughe dalle zone rosse. Dopo la conferenza stampa terminata nel cuore della notte, «molti, fra cui Conte - scrive il Nyt -, hanno fatto appello agli italiani affinché respingessero la loro tendenza alla “furbizia”, la parola italiana per il tipo di astuzia o intelligenza utilizzata per arginare burocrazia e leggi scomode» Ma la «furbizia, a dire il vero - recita ancora il quotidiano americano -, è un tratto di carattere generale attribuito agli italiani, spesso da altri italiani. Domenica scorsa, però, sembrava che i viaggiatori si precipitassero sui treni fuori dalla Lombardia prima che il decreto entrasse in vigore nel pomeriggio e mentre esperti sanitari e funzionari imploravano il pubblico di rispettare la legge e agire in modo responsabile». Da qui il racconto degli appelli di comunità scientifica, mondo dello spettacolo e del giornalismo sotto l'hashtag #iorestoacasa. Appelli ancora in qualche caso caduti nel vuoto, spiega ancora la testata, che rispolvera un famigerato studio a firma di Barzini per spiegare il comportamento della popolazione: «Nel classico studio di Luigi Barzini del 1964 sui suoi connazionali, “Gli italiani”, egli attribuì il valore della furbizia all'abitudine dell'Italia di essere conquistata e governata da una lunga serie di odiati stranieri, da Napoleone agli Asburgo. “Sotto la superficie gli italiani hanno inventato modi per sconfiggere le regole oppressive”, ha scritto Barzini. “Dato che non potevano proteggere la loro libertà nazionale nel campo di battaglia, hanno combattuto faticosamente per difendere la libertà dell'individuo e della sua famiglia, l'unica libertà che in ogni caso hanno compreso”». Le leggi - nota quindi il Nyt - «sono diventate un male necessario se non altro perché hanno fornito la gioia di eluderle. “Come si potrebbe eludere le leggi se non ce ne fossero?” ha scritto Barzini. Questo - sottolinea la testata - è esattamente il tipo di pensiero che il signor Conte ha invitato gli italiani a evitare». Un invito che, col passare delle ore e l'aumento dei contagi, gli italiani sembrano finalmente pronti a raccogliere.
Coronavirus, gli italiani e le critiche del New York Times. Cari americani, noi non siamo stupidi. Pubblicato lunedì, 09 marzo 2020 su Corriere.it da Antonio Polito. Il New York Times si chiede se gli italiani saranno in grado di rispettare le regole, per evitare il Coronavirus, o se proveranno ad aggirarle in tutti i modi. Sarebbe un po’ come se il Corriere della Sera si chiedesse se gli americani saranno in grado di dimagrire smettendola di mangiare cibi grassi e di bere bevande zuccherate, per evitare infarti e diabete. La risposta, in entrambi i casi, è: dipende. Dipende dalla capacità delle autorità sanitarie e politiche di dimostrare che uno stile di vita sbagliata può costare la vita a chi viola le regole e può costarla anche a un suo incolpevole vicino. Quella che si sta combattendo in Italia è una battaglia cui dovrebbe guardare con maggiore solidarietà l’intero Occidente: riuscire a far convivere la democrazia con uno stato di emergenza, indurre comportamenti collettivi virtuosi senza restringere o colpire le libertà degli individui. In poche parole: come sconfiggere il Coronavirus fuori dalla Cina. È vero che abbiamo commesso errori. Ma è anche vero che nessuno in Occidente ha finora conosciuto come noi la gravità e la diffusione di questa epidemia. Ed è vero che gli italiani sono individualisti, tendono a decidere da sé cosa fare piuttosto che farselo ordinare, altrimenti non saremmo il Paese creativo e a tratti geniale che ha più volte sorpreso il mondo. Ed è vero anche che fu proprio un sociologo americano, Edward Banfield, a identificare qui da noi il virus del “familismo amorale”, subdolo nemico del senso civico. Ma la “furbizia”, di cui ci sospetta il New York Times, consiste anche nel capire quando il proprio vantaggio personale coincide con quello pubblico. È stato un italiano, Carlo Cipolla, a descrivere la Terza Legge della stupidità: arrecare danno agli altri senza trarre vantaggi per se stesso, o addirittura subendo una perdita. E degli italiani tutto si può dire, tranne che siano stupidi.
Da "liberoquotidiano.it" il 9 marzo 2020. Ecco le immagini che non vorremmo vedere: in piazza Gae Aulenti, in centro a Milano, persone e ragazzi in giro per le strade come se nulla fosse. Insomma, c'è chi l'emergenza-coronavirus continua ad ignorarla. Così come continua a ignorare l'elevatissimo impatto sociale che può essere determinato dal non prendere sul serio le richieste avanzate da governo e regioni: state in casa.
Alberto Mattioli per “la Stampa” il 10 marzo 2020. Dovete stare a casa. Quattro parole, sedici lettere e, si direbbe, un concetto chiaro. Ma non per molti connazionali. Una volta di più, è scattato il riflesso anarcoide degli italiani, la ribellione perenne a uno Stato sempre visto come nemico, l' insofferenza per le norme, la solita combinazione di menefreghismo e furbizia. Il "New York Times" si chiede allibito se gli italiani sanno rispettare le regole. Stando alle cronache di questi giorni di eroismi e d' incoscienza, la risposta è no. Per cominciare, ci sono quelli che hanno preso l' epidemia per una vacanza fuori programma. Come i due ragazzi di Parma, 20 e 25 anni, beccati dai carabinieri all' uscita della zona arancione, mentre andavano all' aeroporto di Bologna per un viaggio di piacere a Madrid: denunciati. Meglio ancora i due turisti bergamaschi sbarcati a Procida come se niente fosse e prontamente rispediti sulla terraferma. Altri hanno preferito la neve, almeno fino a ieri, quando il governo ha chiuso tutte le piste. In precedenza, c' erano situazioni paradossali come quella dell' Abetone: dal lato della provincia dai Modena, arancione, poca gente; da quello della provincia di Pistoia, non arancione, lunghe file di sciatori con tanti saluti al metro di distanza. Fra gli allegri sportivi c' era, riferisce "Il Tirreno" , anche lo showman televisivo Mauro Corona: «La verità è che la gente si vuole divertire», e che sarà mai? La terra dei cachi è anche quella dei cocktail. Tutti hanno visto i reportage dalle varie movide, almeno dove i bar non sono sottoposti al coprifuoco, i dehors stipati di gente al sole della domenica, le spiagge piene modello «fregarsene a Fregene». Segnalati nel week-end diversi rave party gremiti, uno a Firenze addirittura in piazza D' Azeglio, in pieno centro. A Roma la chiusura delle discoteche è stata bypassata inventandosi le cene-spettacolo, tutti a fare il trenino passandosi il virus. L' assessore regionale alla Sanità del Lazio, Alessio D' Amato, ha postato una foto dei locali strapieni a Ponte Milvio con lo slogan: «Nunsepofa». Il sindaco di Milano, Beppe Sala, si è rivolto su Facebook ai suoi amministrati più giovani e festaioli: «Ai ragazzi e alle ragazze: state in casa, se è il caso annoiatevi anche un po'». Quello di Rimini, Andrea Gnassi, si è indignato per le foto dei bar pieni e minaccia di chiudere tout court quelli che non rispetteranno le regole. In effetti, per molti, anzi per troppi, sembra che stare a casa davanti a Netflix (non diciamo davanti a un libro perché potrebbe sembrare una provocazione) sia un sacrificio insostenibile. La grande fuga per tornare dalla Lombardia al Sud è stata grave; ancora di più, se chi rientra si comporta in maniera scriteriata. Tipo le due donne, nonna e nipote, che sono state denunciate ad Arena, provincia di Vibo Valentia: appena rientrate, erano andate a celebrare la Festa della donna in un locale. Poi ci sono i cattivi esempi. A San Michele Arcangelo a Ponte San Nicolò (Padova), riferisce "Il Gazzettino" , il parroco don Rino Pittarello continua a celebrare la messa, e dire che anche il Papa predica in streaming. Macché catacombe o clandestinità: «Il mio capo è Dio, non Conte», proclama il prete. Vittorio Sgarbi ha fatto quasi un milione di visualizzazioni con un video nel quale spiega che il virus non esiste, anzi è «il virus del buco del c...». Don Ferrante era altrettanto irresponsabile, ma almeno non così cafone. Quanto alla neosenatrice leghista Valeria Alessandrini, festeggia la vittoria alle suppletive dell' Umbria facendosi fotografare in mezzo a una ressa di sostenitori, iniziamo bene il mandato. Capolavoro a "Settimana Ventura" su Raidue, dove a parlare dell' epidemia hanno chiamato un astrologo. Titolo del contributo scientifico: «Coronavirus: cosa dicono le stelle». Le stelle non si sa, il consigliere d' amministrazione della Rai Riccardo Laganà, sì: «È tempo che più di qualcuno paghi il conto di tanta cialtroneria», figuriamoci. Sui social monta la campagna #iorestoacasa. Basterà? Il saggio Carlo Maria Cipolla diceva che gli italiani sono furbi ma poco intelligenti. Poi leggi del grande ritrovo di puffi a Ladernau, in Francia, tremila e 500 dementi dipinti di blu che strillavano: «Pufferemo il Coronavirus», e pensi che nessuno ha il monopolio della stupidità.
Giusy Fasano per corriere.it il 17 marzo 2020. Linea rossa della metropolitana di Milano, 6.10 di stamane. Il fotografo Stefano Rosselli (@nobileagency) coglie delle immagini che hanno — almeno a prima vista — dell’incredibile. La folla sul treno, sulla banchina, sulla scala mobile, sui sedili d’attesa... Scatta e manda tutto alla fondatrice Gabriella Nobile, fondatrice della @nobileagency e scrittrice (è di pochi giorni fa il suo “I miei figli spiegati a un razzista”, con la prefazione di Liliana Segre). Nel messaggio che il fotografo le invia dice che sul treno visto da lui c’era molta gente «ma il super affollamento era sul treno prima». E aggiunge che «la stragrande maggioranza erano extracomunitari che andavano a fare le pulizie nelle aziende...». Persone alle quali è consentito — dal decreto del governo — spostarsi «per motivo di lavoro»: ma che devono fare i conti con i mezzi che possono avere a disposizione. Meno corse, più assembramenti. Gli assembramenti si creano in alcune fasce orarie: sulla corsa delle 6, quella delle 6.20 e poi nel pomeriggio, all’ora del rientro. La diminuzione delle corse amplifica l’effetto folla. Tutto questo mentre ci ripetiamo e ci ripetono all’infinito di tenere la distanza di almeno un metro. E mentre gli scienziati si aspettano e temono «la battaglia di Milano» contro il coronavirus.
Coronavirus, da Milano a Napoli gli irresponsabili della movida: solita folla nei locali. Valentino Di Giacomo Il Mattino Domenica 8 Marzo 2020. C’è chi da Veneto e Lombardia preferisce passare la quarantena nella propria casa al mare in un’altra regione, gli emigrati meridionali che affollano treni e stazioni per tornare al Sud, i falsi comunicati su presunti vaccini miracolosi contro il coronavirus. Spiagge piene, piste da scri prese d’assalto, locali affollati nel weekend. Per egoismo, irresponsabilità e ignoranza stavolta ci si sente tutti Fratelli d’Italia: una lunga linea da tracciare da Nord a Sud fatta di piccoli e grandi gesti di incoscienza pur di non rispettare le direttive delle autorità per arginare il contagio del coronavirus evitando gli assembramenti. Confusione, spesso generata da una comunicazione degli organi preposti imprecisa, ma anche incomprensione delle conseguenze che il Covid-19 sta causando al nostro sistema sanitario nazionale. Tanti, troppi che agiscono come se il virus non esistesse. In Toscana e Liguria le località di vacanza sono prese d’assalto da cittadini provenienti dalle zone con maggiore diffusione del virus. «Forte dei Marmi solitamente vuota in questo periodo – spiega Paolo, gestore di un lido della zona - da settimane si è riempita di lombardi che hanno riaperto le case al mare per fare la quarantena nella cool Versilia. E lo stesso avviene anche a Viareggio dove sul lungomare sembra di essere già a Pasqua e si parla più lo slang del Nord che il toscano». Stesse scene nelle località balneari della riviera ligure. Non un caso che il primo contagiato di Covid-19 sia stato registrato ad Alassio, dove comitive provenienti da Veneto e Lombardia hanno soggiornato nelle scorse settimane costringendo alla quarantena forzata gli addetti degli hotel dove i turisti erano stati ospiti. Sempre in Liguria, a Rapallo, una 68enne dalla provincia di Piacenza è stata individuata e denunciata dalle autorità insieme alla suocera. Le due donne avevano deciso di recarsi nella seconda casa situata nel centro di Rapallo, nonostante l’invito a isolarsi al proprio domicilio, verificato che già il marito era stato trovato positivo al Covid-19. Proprio in Liguria si registra la situazione più complessa perché nelle località turistiche sono tantissime le villette al mare di proprietà di cittadini provenienti dalle zone rosse, evidentemente non del tutto isolate. In queste ore il governatore Giovanni Toti sta studiando delle contromisure da proporre al governo per evitare ulteriori esodi verso la propria regione. E se c’è chi preferisce il mare – con la complicità della primavera incombente – c’è pure chi ha deciso di trascorrere la quarantena in montagna. Affollate le stazioni sciistiche del Trentino e della Val d’Aosta. Tanti casi scoperti: come il cinquantenne di Vo’ Euganeo, denunciato dai carabinieri di Cavalese, nel Trentino, scoperto a sciare e fratturatosi ad una gamba. Stessa scena a Cortina per due anziani provenienti da un’altra zona rossa, da Codogno, rintracciati e risultati positivi al Covid-19. La percezione del pericolo è completamente alterata, soprattutto al Sud. A Napoli sabato sera erano a migliaia i ragazzi in strada, ai baretti di Chiaia e nei locali, incuranti delle disposizioni adottate sulla distanza di un metro. Tutti uniti da comportamenti irresponsabili gestori e giovanissimi, al punto che il governatore Vincenzo De Luca sta valutando misure ancor più rigide. A Posillipo un noto ristorante ha fatto persino ironia postando una foto su Instagram con il locale affollatissimo: «Stasera andremo un po’ a rilento – hanno scritto in una story – in sala abbiamo meno tavoli per mantenere in linea di massima un po’ di distanze». Non è andata meglio ieri in provincia di Napoli: sulle spiagge di Bacoli è stato necessario l’intervento dei vigili per chiedere ai gestori dei lidi di distanziare i clienti che affollavano i tavolini dei bar. Scene simili nei bar storici di Padova o lungo i Navigli a Milano, sul pontile di Ostia invaso dai romani, tutti ammassati, per l’aperitivo. Come al Borgo di Boccadasse, a Genova, assaltato dai turisti con immagini che hanno fatto il giro del web. Inconcepibile a Milano l’iniziativa della show-girl Jo Squillo che ha fatto appello ai suoi 400mila follower di scendere in piazza Duomo per un flash mob in occasione dell’8 marzo. «Le donne non si fermano» era intitolato l’evento che però non ha riscosso successo. Solo una decina di persone in piazza, almeno con la mascherina d’ordinanza, promotrice compresa. Folla invece all’esterno dell’hotel dell’Inter a Torino, prima del big-match di ieri sera contro la Juve, con decine di tifosi ammassati in strada. In Serie C, per la partita a porte chiuse tra Monopoli e Casertana, la Figc ha dovuto invece cambiare l’arbitro designato, Enrico Maggio da Lodi, dopo le proteste dei giocatori che non volevano essere arbitrati da un fischietto proveniente dalla zona rossa. Inciviltà e scelleratezza contribuiscono a non far rispettare delle norme di buon senso, necessarie per i prossimi giorni. Ma c’è pure chi adotta comportamenti criminali per sfruttare la situazione. Nel Trevigiano, a Vittorio Veneto, un uomo proveniente dal Canton Ticino è stato denunciato per truffa e falso perché fino a due giorni fa tappezzava le auto parcheggiate pubblicizzando un finto vaccino contro il coronavirus per 50 euro. «È stato creato in Australia – era scritto nel volantino – e l’unico che lo ha ottenuto è la Svizzera». Da Nord a Sud, una esecrabile unità per infrangere i divieti e le prescrizioni decise dal presidente del consiglio per contenere i contagi del virus. «Vedo scene imbarazzanti – si è sfogato ieri pubblicamente il magistrato anticamorra, Catello Maresca – oggi drammaticamente stiamo assistendo alla fiera dell’illegalità, in un ambito, quello della salute, nel quale non si può scherzare». Milioni di italiani uniti nel motto: «A me non capiterà».
Coronavirus, Silvia Avallone: cari ragazzi, ora disubbidite a voi stessi. Pubblicato giovedì, 12 marzo 2020 su Corriere.it su Silvia Avallone. Sono stata adolescente anch’io, e tutta quell’energia irrefrenabile e strafottente che pulsa dall’interno per andare, sfidare, me la ricordo, a volte persino mi manca. Però ricordo benissimo anche l’estate in cui è morta mia nonna. Avevo 13 anni e la mia vita era un verbo: uscire. Dalla mattina alla sera, rientrando giusto il tempo dei pasti, salutando i miei genitori per modo di dire, tutto il giorno al mare, il più lontano possibile dagli adulti. Se qualcuno mi avesse obbligata a rimanere in casa, sarei scoppiata a ridere: cosa ci faccio in casa, io? Posso mica perdermi il mondo proprio adesso? Ho appena iniziato, scoppio di forza! L’amore e l’amicizia non erano concetti, ma corpi. Camminare mano nella mano un manifesto. Il bacio l’evento. La fuga in due sul motorino il massimo. Quel giorno di agosto mi trovavo ai giardinetti con gli altri perché era nuvoloso. Quando ho visto papà comparire all’improvviso, ho alzato gli occhi al cielo: adesso che vuole? Arrabbiata: lo sa che ci sono i miei amici. Lui si è fermato a una decina di metri, mi ha chiamata in disparte. «La nonna è morta», mi ha detto. Ero truccata, indossavo una salopette di jeans, mi ero quasi fidanzata con il ragazzo che mi piaceva. Cosa voleva dire che mia nonna era morta? Com’era possibile una cosa del genere se io ero così felice? Ho interrotto le vacanze, sono entrata in camera sua e ho visto nonna Bice, con cui avevo trascorso innumerevoli pomeriggi dopo la scuola, stesa sul letto, rigida e fredda. Le ho fatto una carezza. Poi sono andata di là, ho ascoltato i trapani chiudere la cassa. L’ho seguita al cimitero, l’ho guardata mentre la sistemavano in un loculo e a quel punto sono rimasta lì, in piedi a piangere, perché non c’era più niente da fare. Ai giardinetti per anni non ci sono più andata. La morte, anche se non la vedi e non la capisci, cambia tutto per sempre. C’è un altro evento della mia adolescenza che ho voglia di raccontarvi perché potrebbe tornarvi utile adesso: la mia scoperta della Storia. Era di nuovo estate, verso la fine: l’11 settembre 2001. Di anni ne avevo 17 e, naturalmente, ero sempre in giro. Cosa contava in quel periodo per me? Il fidanzato, le amiche, i voti scolastici: insomma, i fatti rigorosamente miei. Solo che quel pomeriggio ero entrata in un bar e mi ero imbattuta in una televisione accesa. Trasmetteva immagini che sembravano l’ultimo colossal hollywoodiano e invece erano la realtà. Stavano morendo delle persone, in diretta, cadendo nel vuoto di fronte a me. Ho visto le Torri Gemelle crollarmi davanti e sento ancora sulla pelle il terrore, l’impotenza, lo sconvolgimento. È quello che Kant chiama il sublime: quando ti accorgi che sei solo un puntino e la tua storia ha una s infinitamente minuscola al cospetto della Storia, gigantesca. Eppure, tu ne fai parte. Mi è tornato in mente spesso l’11 settembre, in questi giorni. Come allora, non riesco a staccarmi dalle notizie, leggo i giornali di continuo, quando è l’ora di un notiziario scatto a prendere il telecomando. La diciassettenne rimasta dentro di me, pigiata in fondo alla donna preoccupata per gli anziani conosciuti e sconosciuti, per tutti coloro che hanno un sistema immunitario depresso, per chi sta lottando per respirare, per chi lavora in ospedale e si ammazza di turni, per l’intera nostra esistenza a soqquadro, avverte la portata epica di questo virus e prova meraviglia. Anche chiusa in casa, sono testimone di qualcosa che finirà nei libri, che non dimenticheremo mai. Non userò con voi nessuna delle parole fondamentali per gli adulti in questo momento, e che però vi farebbero sbuffare come sbuffavo io a 17 anni: maturità, responsabilità. Userò un’altra parola: ambizione. Quando la Storia arriva, bisogna cacciare fuori il coraggio ed esserne all’altezza. Lo so che questa volta, a differenza dell’11 settembre, la Storia non si vede. Se mi affaccio dalla finestra, c’è il deserto. Ogni mattina mi alzo e ascolto allibita il silenzio del mio quartiere: vi sentivo sempre parlare a voce esageratamente alta, quando andavate a scuola. Mi di-sturbavate mentre scrivevo, e ora cosa darei per sentire le vostre voci. Mi mancano tutti: non solo i familiari e gli amici, ma chi vedevo di sfuggita fuori dall’asilo di mia figlia, i passanti. Mi mancano gli altri. Volevano convincerci che solo quello che si possiede, quello che balza agli occhi, che solo l’io conta. E il coronavirus ha smentito tutto. Per certi versi è davvero uno scacco sorprendente per la nostra epoca, e per voi in particolare. Siete nati e cresciuti nel mito della visibilità a tutti i costi, nel culto delle immagini, dei video, e la prima volta che la Storia vi si presenta lo fa sotto sembianze invisibili. Pure, proprio per questo, mi viene da dirvi che è l’occasione perfetta per disubbidire. Non alle regole del decreto: uscire di casa non solo non sarebbe trasgressivo, ma da vigliacchi, perché metterebbe in pericolo gli altri che ci mancano, noi stessi, coloro che la società dell’immagine costringeva nell’ombra, cioè i più fragili. Parlo di alzare il tiro al massimo livello: disubbidire alla nostra vita di prima. Quella in cui era obbligatorio sembrare felici e farlo vedere, in cui vigeva lo strapotere del visibile, l’assoluto della competizione. In cui dovevamo fare sempre meglio e ottenere sempre di più. Cosa ce ne facciamo adesso di tutta quella montagna di apparenza, a cosa ci è servito quell’egocentrismo esagerato? Prendiamone atto: l’invisibile è molto più potente. Ciò che proviamo non si vede. Ciò che siamo non si vede. I desideri, i segreti, i pensieri, l’anima, non si vedono. Un consiglio spassionato? Non disertate la Rete, anzi, ma accanto al diario pubblico, scrivetene uno privato. Strappate una pagina bianca da un quaderno e buttateci sopra quel che avete dentro. Non per piacere agli altri o per utilità. Solo per voi stessi, senza altro fine se non quello di conoscervi. Avete tempo, no? Potete perdere settimane annegandole nei videogiochi oppure tentare l’impresa: capire chi siete e chi desiderate diventare. E riprendiamoci gli altri, non come spettatori delle nostre foto, ma come interlocutori veri. Scrivete ai vostri amici, al vostro fidanzato: non messaggini brevi, frammentati, troppo facile comunicare così. Anch’io ho le chat zeppe di messaggi vocali che non riascolterò mai, o che sento caricando la lavastoviglie. No, sto parlando di dire qualcosa a chi vi sta a cuore, di vero, duraturo, che vi costa fatica tirare fuori, ma che potranno rileggere tra vent’anni. La vita va fermata, non lasciata passare come acqua. Lo so, per riuscirci vi servono le parole, quelle giuste. E per disporne tocca leggere. Non storcete il naso: sul fronte dei libri vi hanno sempre mentito. I romanzi sono luoghi poco racco-mandabili dove succedono cose pericolose o scandalose. E, siccome adesso nessuno può uscire, non avete niente da perdere: la condizione ideale per osare. Avete un corpo che esplode, lo so, e desiderio di altri corpi vicino. Avete voglia di emozioni forti, di trasgredire, lo esige la vostra età. Non so voi, ma io dopo ore su internet a scorrere pagine senza vederle, mi sento più vuota. Se invece mi tuffo tra le pagine di un romanzo che mi piace e mi trascina, il mio corpo vibra. E poi, certo, potete dedicarvi a molte altre attività che richiedono picchi di immaginazione: musica, pittura, cinema, scultura. Se non avete fame, se non vi manca niente, non avete motivo per esercitare la creatività e il talento. Anche l’amore si nutre di assenza. Adesso che non ce lo avete più in mano, il mondo, sentite quanto bisogno ha di voi? E voi di lui? Il coronavirus è arrivato e ha tirato giù tutto: gli ospedali, l’economia, la quotidianità, le abitudini, gli abbracci, il lavoro, la nostra spavalderia. Pare che aggredisca con più ferocia gli anziani e gli adulti, come nel romanzo Anna di Niccolò Ammaniti (sì, è un invito a leggerlo), ma non per questo i ragazzi e i bambini possono dirsi in salvo. Fragili lo siamo diventati tutti: disorientati, spaventati, in ansia. Ma la verità è che lo siamo sempre stati. Il virus ci ha smascherato e sarebbe bello se riuscissimo a trarne una liberazione: non dimostrare più niente a nessuno, ma aiutare. È ignoto, questo virus, non sappiamo ancora quanto durerà, come ci cambierà, ma possiamo scegliere di sperimentare tra quattro mura quello che prima non ci saremmo sognati. Ultimo consiglio: telefonate ai vostri nonni. Io lo farei, se potessi. Specialmente la nonna Bice. Le direi: hai visto cos’è capitato, nonna? L’avresti mai immaginato? Mi tengo fermo nel cuore il vuoto della sua risposta. Ridisegno tutte le priorità intorno a questa mancanza.
Quando il virus è l'ignoranza dei ragazzi. Una valanga di informazioni sbagliate produce uno tsunami di ignoranza. È quello che è successo in questi apocalittici giorni. Francesco Maria Del Vigo, Mercoledì 11/03/2020 su Il Giornale. Una valanga di informazioni sbagliate produce uno tsunami di ignoranza. È quello che è successo in questi apocalittici giorni. Durante lo scorso fine settimana si è manifestato un mastodontico sdoppiamento tra mondo reale e mondo virtuale. Da una parte i media tradizionali - giornali di carta, giornali on line, radio e televisioni - che urlano a squarciagola a tutti gli italiani (non solo i lombardi) di non uscire di casa, di non andare nei locali pubblici, di non affollarsi nei parchi, di non creare assembramenti, di tenere almeno un metro di distanza l'uno dall'altro. Dall'altra parte - sui nuovi media, cioè sui vari social network - frotte di giovani imbecilli ammassati gli uni sugli altri, assiepati attorno a tavoli di bar, abbracciati a un centimetro di distanza per scattare un selfie da postare nelle sopraccitate reti sociali. Due mondi apparentemente impermeabili tra loro. E, davanti all'ostensione fotografica di tanta cretineria, viene da chiedersi: «Ma questi sono marziani? Non hanno letto un giornale o guardato un tg?». No, non lo fanno. Ed è questo il problema: l'ignoranza, che genera comportamenti criminali. Perché il mancato rispetto delle regole è un evidente reato di deficienza (no, intelligenza proprio non riusciamo a scriverlo) col nemico, cioè il Coronavirus. Ignoranza è non aprire un quotidiano, non accendere la tv su un canale di informazione e, in compenso, credere a tutta quella marea di balle che circolano su alcuni siti web. Perché il cretino che alza il calice in faccia al Covid19 è lo stesso cretino che su Facebook condivide articoli (senza alcun fondamento scientifico) contro i vaccini, che presta il fianco a qualsiasi complotto, che pensa che la terra sia piatta, che si affida ciecamente a ogni teoria antiscientifica, che crede alle scie chimiche, ma non si accorge che col suo comportamento rischia di ammazzare suo nonno che dorme nella stanza accanto a lui. Siamo - anche chi scrive -, una generazione che ha vissuto grazie ai più vecchi, ora dobbiamo metterci in testa che i più vecchi possono vivere o morire grazie a noi. In questi giorni abbiamo avuto la prova che la diffusione di panzane, fake news e balle che non hanno alcun appiglio medico e scientifico non è solo un problema informativo, ma un problema sanitario. Qualche anno fa il sociologo francese Gérald Bronner ha descritto questo fenomeno in un libro dal titolo La democrazia dei creduloni: «È la nuova sfida della nostra società: democrazia della conoscenza contro democrazia dei creduloni». Noi siamo meno delicati di lui: questa è la democrazia dei coglioni.
Calci nel sedere al popolo che crepa di aperitivi. Isolate chi non vuole isolarsi. Emanuele Ricucci 9 marzo 2020 su Il Giornale. Roma, Ancona, Milano. Mare, piazzetta, montagna. Movida. Dei furbi e dei fessi è il regno d’Italia, ci insegna l’eterno maestro Giuseppe Prezzolini. Codice della vita italiana: “Dovere: è quella parola che si trova nelle orazioni solenni dei furbi quando vogliono che i fessi marcino per loro. L’Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l’Italia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono”. Isolate chi non vuole isolarsi. Mostrategli la vostra rabbia, gettategli pure addosso la vostra paura, contagiateli con essa, visto che costoro ne sono sprovvisti. È il momento della durezza. Non della comprensibile irritazione verso il fratello che sbaglia, ma della fermezza assoluta, della pizza in faccia al fratello suicida! Non sta a me dirlo, che non sono nessuno. Ma poco importa della mia qualifica sociale: anche io, come tutti noi, rischio. Rischio e mi attengo agli esperti. Di certo non vivrò nell’ipocondria e nel terrore, ma presterò molta attenzione, limitando la mia vita, e adattandola a questo momento per sviluppare utilità condivisa e serenità personale. Sacrosanta la leggerezza per non esplodere nella tensione intima e nel panico (da infodemia). Non immaginate quanto vorrei essere più sereno e ottimista. Sacrosanto, però, il riassunto monito disperato: “STATE A CASA, e trovate dentro casa, e dentro di voi, la leggerezza”. Magari una passeggiata serale, magari lo sport, la lettura, la meditazione, la preghiera, il sesso coniugale, ma EVITATE di assembrarvi, pomiciarvi, rotolarvi nell’erba abbracciati. Mannaggia l’erba! Il terrore che non viene dalla mia limitazione, ma dall’assenza di quella altrui. Ho il terrore di convivere con chi non sa rinunciare, nemmeno di fronte a un’epidemia. La paura, vera, di essere travolto da questa dissennata deficienza. Il terrore autentico di una gente completamente disabituata alla complessità, al ragionamento sopra le cose, alla solitudine, al pensare come raccoglimento necessario in questo momento e quindi al dedicarsi la vita, che non sia l’aver dato sfogo alla propria, tangibile soddisfazione. Disabituata al combattimento, ma che si tatua “resilienza”. Negli atti, anche nella capacità di saper essere sola. Gente indegnamente figlia di quei fanti che cento anni fa, sacrificando totalmente se stessi, hanno reso grande l’Italia. Ho paura e schifo di una gente irresponsabile. Nonostante il divieto, nonostante il semplice buon senso. Gente che non sa distinguere paura e angoscia. La paura che attiva la massima reazione di sopravvivenza, e l’angoscia che attiva il meccanismo della sottomissione alla psicosi. È la cultura del “Vaffanculo” che slega dalle forme di responsabilità civile, dalla “dura lex, sed lex”, che permette l’elevazione dell’emozione a governo del reale e la relativizzazione dell’azione politica in nome della redenzione collettiva. La cultura del “Vaffanculo” è tra le palesi e peggiori manifestazioni della distruzione e del rifiuto dei modelli di autorità, portoni di ingresso della postmodernità. Modelli di autorità non solo pubblicamente riconosciuti (lo Stato al collasso sanitario impone per decreto il divieto e me ne fotto perché non posso fare a meno dell’appagamento della mia egoistica individualità) ma anche come regolazione della vita nella dimensione privata. Un’ipertrofia dell’Ego, guarito dalla sola panacea del “Vaffanculo” a ciò che opprime e che deliberatamente viene inteso per potere marcio che vuole ostacolare la mia crescita e la mia persona, che oggi esplode rigonfio e col suo putrido contenuto rischia di infettare gli altri. In ogni senso. La cultura del “Vaffanculo” è la semplificazione massima dello sforzo, in piena resa dei tempi al dogma dell’iperconsumo che nasce dall’iperproduzione, del neoliberismo, dell’estrema vita materiale che regola la vita reale, fondata sulle isterie dei mercati e dei mercanti. La riduzione dello sforzo ad atto immaginario, liquidato, simbolicamente, in una parola. Sforzo del non compiuto, quindi, che, per sua natura, annulla il sacrificio, come atto eroico ed erotico “muoio, come atto necessario, quando è necessario. “Non potete ridurre la mia socialità. Vado al mare a Ostia anche ora, perché il mare fa bene”. “C’è un dramma oggi: si pensa senza sforzo. Semplificando lo sforzo, il cervello lavora meno. È un muscolo il cervello: s’inflaccidisce. È tutta una civilizzazione che è condannata dal lato confortevole della vita”, afferma in un’intervista del 1958, il demone santo della sfiducia negli uomini, Louis Ferdinand Céline.
Tapparsi le orecchie e frignare più forte. Costoro pretendono diritti. Diritto al lavoro, ad avere una vita dignitosa, diritto di sentirsi rappresentati e di votare. Di contare tutti allo stesso modo. Il diritto di veder rappresentate le loro chiacchiere da bar, scomodando Ortega y Gasset, e con esse costruire il presente pubblico, di vedere le proprie emozioni diventare esclusiva guida e governo, di veder i loro capricci elevati a diritto, e poi a norma di legge, di sentirsi rappresentati, di veder colmate le proprie necessità di sopravvivenza. Costoro, che popolano i peggiori incubi di Flaiano, Prezzolini e Longanesi sommati, pretendono diritti ma dove sono al supremo, solenne, urgente momento dei doveri? Dove sono? Ho il terrore di chi, in questo momento, riempie le piazze della movida romana, di chi non sa rinunciare a un aperitivo, di chi sottovaluta, si pomicia per strada incurante. Sottomesso alla propria superficialità ci mette tutti in pericolo. Come può essere anche di questi la civiltà? La civiltà corrosa da un tempo che vuol discolparsi da tutto perché incapace di assumersi le proprie responsabilità. Io, chiuso dentro casa, con le relative difficoltà sul lavoro, nei pagamenti e negli spostamenti, dovute anche al NECESSARIO sacrificio patrio, nazionale, semplicemente personale, come chiunque di buon senso, per sé e per gli altri, seguendo la saggezza e la legge, noi tutti che siamo fermi, pur non essendo certamente un piacere gettato nell’ignoto, come possiamo condividere con costoro i luoghi e i modi della medesima civiltà? Allora sì, ha ragione il prof.Eugenio Capozzi, già autore dell’ottimo “Politicamente corretto: breve storia di un’ideologia” : “Nella storia saremo ricordati come il popolo che morì di apericena, si estinse sullo ski-lift, si dissolse nei baretti, con un bicchierone di Spritz in mano e la parmigiana di mammà nel trolley”. Allora sì che ha ancor più ragione il già evocato Céline, quando parla, in un’altra intervista, degli “uomini usciti dalla vita”, che ormai confondono le geometrie del reale. Queste sue parole sono perfette per racchiudere le sfumature da cogliere e da adattare a quanto stiamo vivendo: “Gli uomini si occupano di questioni volgarmente alimentari o aperitive; bevono, fumano, mangiano, sono usciti dalla vita. Digeriscono. La digestione li coglie completamente: il loro cervello, il loro corpo. Non hanno più niente, solo la pelle. Gli uomini li vedo totalmente assorbiti da funzioni bassamente digestive. È l’istinto di conservazione. Abbiamo a che fare con dei mostri. Che si tratti di francesi, gialli o rossi, è l’istinto di conservazione a dominarli. Ne sono avviluppati, hanno chiuso. Basta qualche chiacchiera, qualche farfugliamento, grandi vanità, una decorazione, accademie: eccoli soddisfatti”. Sbaglierò, nel mio delirio isolato e mattutino, ma, appurata la pericolosa fragilità dell’apparato governativo italiano, il problema sussiste, persiste, peggio di ogni virus, negli uomini, specialmente nell’assenza degli uomini, grande dramma di questo tempo, o della sovrabbondanza degli uomini replicanti, incapaci di essere sovrani di se stessi, alla ricerca dell’integrità, viventi solo come parte di un meccanismo superiore. Ogni virus, ogni idea, ogni guerra, ogni screzio può animare questo mondo. Si può prendere ogni misura in tempo di guerra o in tempo di pace. Ma se la prendono uomini lucidi, integri, consapevoli, coscienti, pronti, preparati, c’è speranza che produca beneficio. Il resto è pericolo. Estinzione. Detto questo, in questo spazietto ritagliato, desidero ringraziare dal profondo del cuore, chi vive la trincea e chi la sostiene: personale sanitario a vario titolo, medici, infermieri, che stanno illuminando la notte più buia d’Italia e si stanno caricando sulle spalle il peso della storia. E insieme, Esselunga, Armani, Eurospin, tutte quelle aziende e quei marchi che, in queste ore drammatiche, stanno donando denari fondamentali utilissimi al contrasto di questa bestia immonda con la corona che, italiani al cazzo di mare a parte, rimanderemo all’inferno!
Da ilmessaggero.it il 6 marzo 2020. Calca e folla, nel giorno peggiore dell'emergenza Coronavirus: è successo ieri pomeriggio, a Montesilvano, dove in centinaia hanno partecipato ad un evento con Elettra Lamborghini che si è svolto al centro commerciale Porto Allegro 2.0. Nonostante non vi fosse ancora il decreto del presidente del Consiglio dei ministri, in tanti polemizzano appellandosi al buonsenso e alla prudenza. Gli organizzatori hanno invitato il pubblico ad limitare i contatti fisici, ma si è comunque creato un inevitabile affollamento. Sulla questione, attraverso i social, interviene anche Selvaggia Lucarelli: «In Abruzzo in centinaia accalcati per Elettra Lamborghini, e 'sti cavoli del Coronavirus - scrive la blogger - Amici abruzzesi, a meno che gli arrosticini non siano anche degli antivirali con proprietà sconosciute, questa è vera incoscienza. Per voi stessi e per la collettività. Musica e il buonsenso scompare», conclude, ironizzando sulle parole della canzone della Lamborghini.
Dagospia il 6 marzo 2020. Dal profilo facebook di Andrea Scanzi. L’intelligenza del genere umano non smette mai di commuovermi. Dopo il “caso” Lamborghini Montesilvano, ecco il caso Gabbani Bari. Tutto chiuso e blindato, però Feltrinelli Bari apre le porte al mondo per la celebratio di Gabbani. Come se il coronavirus avesse la strana perversione di colpire scuole e stadi, ma le librerie no. Se il coglione volasse, ci darebbero da mangiare con la fionda.
Vita ai tempi del coronavirus: «Sei nipoti in casa, per noi nonni è una bella corvée». Pubblicato venerdì, 06 marzo 2020 su Corriere.it da Elisabetta Andreis e Valentina Santarpia. (di Valentina Santarpia) «La cosa che mi manca di più? Fare tante cose»: Giacomo De Poli ha 18 anni, frequenta il liceo scientifico Gioia di Piacenza, e fino a due settimane fa riempiva le sue giornate di sport, appuntamenti, impegni. Ma da quando hanno chiuso le scuole e tante iniziative sono saltate, passa molto tempo a casa con i suoi genitori, che sono due professori, e le due sorelle di 12 e 16 anni. «Siamo tantissimi in casa, non siamo abituati! Ci sono giorni in cui ognuno è collegato da una stanza per le sue lezioni a distanza, la piccolina fa i suoi compiti e poi guarda la tv o va dalla nonna», ride Giacomo, che non ha perso per fortuna l’entusiasmo di vivere. «No, non ho paura: è vero che mia zia che lavora in ospedale ha dovuto fare il tampone per contatti con un caso contagiato, ma per fortuna è risultata negativa. Io penso di avere un buon sistema immunitario, e in realtà non mi preoccupa la malattia in sé. Mi preoccupa più l’allarmismo. Ho sentito i miei amici in Bosnia, con cui abbiamo fatto uno scambio culturale lo scorso anno, e sta arrivando anche da loro. Chiudere le scuole è stato un segnale forte, perché cambiare così tanto le abitudini dei ragazzi ha fatto venire paura proprio a quella fascia di popolazione che più comunica coi mezzi tecnologici, e quindi ha diffuso enormemente la sensazione di allarme generale». Le sue giornate sono scandite dalle lezioni a distanza, che i suoi prof fanno con regolarità, dai compiti, da qualche passeggiata: «C’è poca gente in giro, per cui esco anche con più tranquillità, senza temere di poter fare da veicolo di contagio per qualche familiare. Ma la sera mi sento stanco, stanco dal far poco rispetto al mio solito». Ma qualche vantaggio, nella situazione generale, c’è: «Alzarmi tardi! Mi sveglio cinque minuti prima della lezione, poco prima delle nove, che meraviglia: io ero un abbonato al ritardo!»
Siamo fragili, Non vergogniamoci. Pubblicato mercoledì, 04 marzo 2020 su Corriere.it da Barbara Stefanelli. C’è la signora romana che nella chat delle mamme ripete: «Mi dispiace» perché lei e la figlia sono risultate positive al Covid-19. E aggiunge, quasi per farsi un po’ perdonare: «Mio marito e il bimbo piccolo no». Poi la ragazza di Bergamo che ha postato un video in un gruppo privato e se l’è trovato dappertutto, con dati, foto e voce riconoscibili: era il suo annuncio, a pochi, che il tampone le aveva appena restituito l’esito che nessuno vorrebbe. «Adesso, anche quando guarirò, non si avvicineranno più, perché la gente... la gente non capisce». E ci sono gli abitanti di Codogno, come degli altri comuni lombardi finiti in zona rossa, che gli psicologi di supporto alle aree in quarantena raccontano abbattuti – ancora di più, se possibile – dal senso di colpa. In mezzo strisciano le notizie di turisti del Nord presi a ciabattate verbali su un’isola del Sud che si sogna incontaminata e di cinesi, magari con nomi più italiani di quelli dei nostri figli, che cercano l’invisibilità dietro mascherine usate come scudo contro il vento intermittente del razzismo di strada. La vergogna sociale causata dalla malattia: la vergogna per il proprio respiro che si è fatto acchiappare chissà come, quando, dove dal virus e la vergogna per il contagio che dalla nostra «caduta» può generarsi o essersi già generato. Vergogna e dunque paura degli altri, della «gente che non capisce», del vicino che di colpo si tramuta in vigilante ostile sulla soglia delle nostre case rinserrate. Questi che stiamo vivendo sono giorni, settimane, mesi di spavento e di precarietà, di incertezza estesa – per ora – all’infinito che neppure il meglio della virologia mondiale può addomesticare. Navighiamo tutti e tutte a vista, nelle vie diventate di ovatta, sui mezzi pubblici dove ci reggiamo appena agli appositi sostegni, tra gli scaffali ri-riforniti dei supermarket. Cerchiamo di andare avanti e di tenere il pericolo a distanza di droplet, un metro almeno, meglio due, da quelle «goccioline» sospese come granate nell’aria che pure in poco tempo si è fatta tersa, ripulita dal traffico e dai rumori. Ma c’è una cosa che possiamo fare e subito: abbattere i muri che la vergogna alza tra noi come carta vetrata. In questa stagione già sconvolgente, possiamo prendere a spallate di buonsenso e dignità il turbamento segreto che il contagio ancora – ancora ?! – si trascina dietro come una coda riprovevole. La vergogna «come ripetizione e accumulo», che la scrittrice francese Annie Ernaux attribuiva all’indicibilità della sua infanzia di miseria nel paesino di Y, si carica dell’angoscia che ci assale se temiamo di diventare causa non solo – e non tanto – del nostro male quanto del possibile male degli altri. Dei compagni di lavoro, di classe, di palazzo, di frazione, per chi non vive nel perimetro allargato e liberatorio delle città e metropoli. Quasi tutto è cambiato, nella costellazione di un’epidemia che ogni sera minaccia di trasformarsi in pandemia, tuttavia galleggia pervicace quella vecchia domanda che racchiude un’eco conformista: che cosa penseranno di noi se saremo stati i primi a portare il virus nel nostro cortile? Proviamo a rispondere: non penseremo, anzi non pensiamo niente, niente di niente, niente di male. Esprimiamo soltanto comprensione, condivisione, empatia gli uni per gli altri perché all’origine c’è il caso e non una causa o un dolo. Rompiamo attivamente la catena per cui nella vergogna cresce la sensazione che non ci sia scampo: «che alla vergogna possa seguire soltanto una vergogna ancora maggiore». Il virus ha colpito un autore famoso e la sua compagna, un assessore di una regione importante, un poliziotto e forse una manciata di vigili della capitale, due preti, due magistrati, il bambino della classe accanto con la sua mamma, il signore anziano del piano di sopra e chissà quanti ancora finché i numeri finalmente non si restringeranno come un fiume che torna secco sotto terra. Siamo una comunità che – nella sofferenza – comincia a parlarsi, spiegano psicologi e sociologi. Se il medico arriva puntuale e riceve come da appuntamento, tutti stanno zitti. Ma man mano che il ritardo prende forma, gli sguardi in sala d’aspetto si incrociano e la conversazione si allarga nel drappello in attesa nervosa. Trasformiamo quella conversazione tra esseri umani che affrontano insieme una prova in una rete fitta di parole gentili, una rete elastica capace di contenere chi cade e potrà poi rimbalzare, in pace, senza sentirsi trascinato giù nella spirale del panico collettivo. La qualità di una famiglia, di una comunità, di un Paese intero si misura (anche) con il termometro invisibile di una spudorata compassione.
Aldo Grasso per il “Corriere della Sera” il 4 marzo 2020. «Questa cosa non l'accetto». Non ricordo più a cosa si riferisse ma le lezioni di buona educazione di Alfonso Signorini sono fantastiche. Tutto è fantastico nel magico mondo del Grande Fratello (Canale 5, ore 21.45). A cominciare dal pubblico in studio: numerosissimo, plaudente, incurante dell' epidemia (una platea bastevole per Juve-Inter), per finire ai commenti di Wanda Nara. Forse ho sottovalutato questa edizione del Gf, credendola fuori dal tempo. Invece è dentro al tempo, in piena sincronia, perché nella casa succedono cose che ci fanno capire il vero clima dell' Italia, la personalità di chi ci governa e di chi sta gestendo una situazione tutt' altro che allegra. Quanti Zequila hanno posti di responsabilità? La serata è ruotata in gran parte attorno alla presunta storia giovanile fra Adriana Volpe e Antonio Zequila, con giuramenti da entrambe le parti. A un certo punto, da gran signore qual è, Zequila ha sbottato: «Io ho conosciuto Adriana Volpe talamicamente e mo' l'ho detto». Talamicamente, cioè a letto. È intervenuto Signorini, che ha studiato, per spiegare che talamo viene dal greco, non prima però di aver sgridato Fernanda Lessa perché mette il sale nella vasca da bagno per respingere le energie negative: «Mi sembrano discorsi medioevali». E che dire della lite fra Valeria Marini e Antonella Elia? Hanno dovuto mostrare la scena al Var per decidere chi avesse commesso il fallo, chi avesse sventolato il rosario in faccia all' altra. E far intervenire Rita Rusic per raccontare delle condizioni di Cecchi Gori (la Marini era spaventata, ma solo perché credeva le dessero brutte notizie sulla madre). Il GF è più rilassante dei tg e forse, laicamente, più istruttivo, persino quando Signorini ripete «adoro», come in una parodia. Non vogliamo ammetterlo, ma forse il Paese è più simile alla casa del GF di quanto pensiamo, è più simile a Non è la D' Urso di quanto crediamo.
Gustavo Bialetti per “la Verità” il 4 marzo 2020. Gli italiani sono «confusi e spaventati» dal coronavirus. Ma c'è da capirli: non hanno né un governo né un premier e le nuove autorità sono i virologi, che per altro litigano tra loro. Siamo davvero un Paese di mezzi idioti, a leggere l' ultima corrispondenza per il New York Times di Beppe Severgnini, il giornalista anglofilo il cui perenne sorrisetto da Giocondo è uno dei maggiori misteri dell' infotainment. E non è un caso che la facezia (termine desueto per venire incontro al severgnismo) riportata dal nostro ai lettori americani riguardi Leonardo da Vinci e la sua Ultima cena. Severgnini racconta che gira un meme senza nessuno a tavola con la scritta: «Qui a Milano siamo un attimo fuori controllo, al momento». Bene, servito il motto arguto che sempre ci vuole nella bella corrispondenza anglosassone di una volta, Severgnini racconta una nazione allo sbando. C' è il suo amico che fa l' albergatore sulle colline emiliane che ha subìto cancellazioni a raffica. Ci sono i media italiani «che praticamente non parlano d' altro». E poi «i numeri degli infettati in Italia, se paragonati a quelli della Cina, sono piccoli» (e vorremmo vedere). Tuttavia, ecco che «il diffondersi del virus ha svelato un' inconsueta, vulnerabile, Italia». E la colpa, come sempre, è di Salvini e della Meloni, non nominati espressamente. Ma non serve, quando uno scrive che è spuntato un «populismo della salute», che si nutre di «paure». E via con la solita solfa sull' Italia «laboratorio politico» del peggio del peggio. Severgnini scrive anche che l' Italia doveva bloccare prima i voli con la Cina. Ma chi? Il governo giallorosso? Giuseppi? I lettori del Nyt non lo sapranno mai, perché in una mezza paginata non è stato nominato né l' uno né l' altro. Hai visto mai che gli toccava spettinarsi.
Andrea Cuomo per “il Giornale” il 4 marzo 2020. C'è perfino chi, in Italia, sta proponendo di rivalutare il saluto romano. No, non il «s' aribeccamo» dello slang capitolino, ma proprio lo scatto del braccio destro verso l' alto che fu imposto nel Ventennio dal regime fascista come alternativa «virile e igienica» alla stretta di mano. In questi giorni gira in rete una poesiola di Trilussa (non tra le sue migliori, va detto) che celebra questa forma di saluto senza contatto fisico: «Deppiù la mano, asciutta o sudarella, quann' ha toccato quarche porcheria, contiè er bacillo d' una malatia, che t' entra in bocca e va nelle budella». Senza arrivare a scomodare rituali dotati di una potenza ideologica che nessuno vuole evocare (ci mancherebbe solo questo), di certo il coronavirus sta modificando i rapporti umani e anche il modo in cui ci si saluta, spingendo ovunque nel mondo ad attingere a gestualità tradizionali magari ultimamente neglette ma assai più sterili. Il ciao ai tempi del colera. Così può capitare che Angela Merkel, la cancelliera tedesca, si veda «blastare» dal suo ministro dell' Interno Horst Seehofer, all' inizio di una riunione di lavoro. Stretta di mano rifiutata e che nessuno ne faccia una questione di galateo o di gerarchia, bitte. Ognuno si attrezza come può. In India il celebre (da loro) attore Anupam Kher si è fatto testimonial del ritorno in voga del namastè, il gesto di unire la mani (le proprie, quindi ognuno si tiene i suoi batteri) e di accompagnare il gesto con un lieve inchino della testa. Kher lo propone su Twitter ai suoi connazionali come soluzione «igienica, amichevole e catalizzatrice di energie». E il suo invito raccoglie molti consensi e viene rilanciato da migliaia di persone sedotte dal sovranismo dei convenevoli. Il Guardian - quotidiano di quella Gran Bretagna dove in questi giorni l' esperto di etichetta Jo Bryant va sostenendo che la scarsa propensione dei sudditi di Sua Maestà a toccarsi si sta rivelando una valida protezione etnologica dal Covid-19 rispetto all' approccio più espansivo di popoli come quello italiano - si è divertito a scoprire come nei vari Paesi del mondo il bon ton venga modellato dalle esigenze di salubrità. Scoprendo ad esempio che in Cina il governo con una cartellonistica mirata sta spingendo il popolo a rivalutare il Gong Shou, il gesto di omaggio che consiste nello spingere un pugno nel palmo opposto, mentre in Iran il governo suggerisce di salutarsi toccandosi con i piedi, e vengono sconsigliati negli Emirati Arabi il tradizionale naso-a-naso e in Brasile i baci, anche quelli casti (oltre alla condivisione delle cannucce usate per il Mate). E in Occidente, dove la stretta di mano è l' esperanto della buona educazione? Ognuno si attrezza come può. I focosi uomini romeni festeggeranno il festival di primavera di Martisor limitandosi a regalare fiori alle donne, evitando i baci che di solito accompagnano il doni. I cattolici spagnoli per la prossima Pasqua sbianchetteranno i tradizionali baci alle statue della Vergine e gli altrettanto ferventi polacchi si vedranno ammannire una comunione spirituale lasciando l' ostia nelle mani del prete. In Francia l' esperto di galateo Philippe Lichtfus la butta sullo spirituale invitando i connazionali a guardarsi intensamente negli occhi (e i miopi?), mentre i camerateschi australiani potrebbero rispolverare la pacca sulla spalla che fa tanto «frontiera». Considerando che si tratta di un popolo notoriamente atletico e muscoloso, c' è il rischio che si svuotino i reparti infettivi e si riempiano quelli ortopedici.
Gli adolescenti invincibili e la clausura contestata: «Stare in casa? Ma dai...» Pubblicato lunedì, 09 marzo 2020 su Corriere.it da Elisabetta Andreis e Stefano Landi. Ci sono tante cose che si possono chiedere a un adolescente. La più difficile è quella di tirare il freno. Di stare a casa. Di preferire il divano alla scoperta del mondo. La socialità ai tempi del Coronavirus è una cosa complicata. Con le autorità sanitarie che ogni giorno di più richiamano a una vita di clausura, ma con i giovani milanesi, che si sono ritrovati nel cuore della zona rossa, che provano a far finta di niente e andare oltre l’ostacolo. «Da ieri a oggi non è cambiato niente, continuerò a vedermi con il mio gruppo di amici nel pieno rispetto dell’emergenza sanitaria - dice Reda Aassoul, studente del Politecnico, con la forza dei suoi 20 anni -. Cambiare le abitudini di vita sarebbe controproducente. Il peso è soprattutto sui nostri genitori, che cedendo all’allarmismo ci vorrebbero chiusi in casa». Eccolo il confronto generazionale: la paura che si fa saggezza da una parte. Il coraggio che diventa incoscienza dall’altra. «Penso che uscire e incontrarsi con le proprie amiche possa aiutare a superare questo periodo surreale, l’unico modo per respirare un po’ d’aria», aggiunge Giorgia Boemi, 18 anni. Stessa spiaggia stesso mare per Riccardo Serra, 17 anni: «Non penso che sia una cosa di cui avere paura e di conseguenza barricarsi in casa. Quello che farò certamente è evitare i locali affollati», dice, senza dar troppo l’idea di portarsi dietro il metro per tenere le distanze di sicurezza. Come Bianca Romito, 15 anni: «Col massimo del rispetto per l’emergenza sanitaria, le nostre abitudini di socialità cambieranno poco». C’è anche chi però, bollettino dopo bollettino, ha colto il senso dell’emergenza collettiva. Rocco Vita, 20 anni, nel limbo dell’università sospesa causa decreto, si è messo a disposizione per fare volontariato familiare: «Mi sono reso disponibile per fare la spesa per mio nonno malato oncologico. Non voglio che esca di casa, è troppo pericoloso». Anche la sua vita di sempre prosegue con una tara: «Continuo a uscire evitando baci e abbracci», dice, mentre si lava le mani per la terza volta nelle ultime tre ore. E stavolta non è solo una paranoia adolescenziale. «Nel contesto generale mi aspettavo la decisione di chiudere la Lombardia. Ma la cosa che mi pesa di più non è non poter uscire la sera con gli amici, ma i limiti di circolazione - spiega Giovanni Tam, 16 anni -. Questo weekend saremmo dovuti andare a trovare i nonni che non vedevamo da Natale, a Udine. Sofia Stella, 19 anni, cerca di mettere qualche puntino sul puzzle delle nuove regole. La preoccupazione (diffusa) è sempre quella di fare sacrifici che sarebbero vanificati dal menefreghismo altrui. «Mi rendo conto che la situazione sia molto complicata da gestire per le autorità. Per noi è molto più semplice, basterebbe attenerci a semplici regole, adesso è tutto nelle nostre mani», dice. Per dare il buon esempio questo weekend non è uscita come capita di solito. Una cenetta a casa: minimo sindacale. «Sono musicista, un po’ pazza per natura, ma anche particolarmente ipocondriaca - aggiunge Silvia Borghese, 15 anni, del liceo Parini -. Inizialmente non ci davo peso poi mamma mi ha spiegato i pericoli che corrono soprattutto i nonni e che noi possiamo essere un veicolo per il virus. Per cui mi sembra irresponsabile che alcuni miei coetanei continuino a darsi appuntamenti in giro». Eccola la mancanza di rispetto che può diventare una trappola. Ma anche l’occasione per i giovani d’oggi di superare con il proprio ottimismo una delle prove più difficili della storia del Paese. Un’emergenza venuta fuori così, da un giorno all’altro. Ma i giovani sono allenati a incassare i rimbalzi della vita.
Il Covid-19, prova di maturità per una generazione che è stata baciata dalla sorte. Pubblicato mercoledì, 11 marzo 2020 su Corriere.it da Antonio Scurati. Siamo stati la generazione più fortunata della storia dell’umanità. Noi, nati in questa meravigliosa penisola protesa su di un mare «buono» nel mezzo del più lungo periodo di pace e del più grande benessere mai goduto dall’Occidente europeo, noi siamo stati la jeunesse dorée della storia universale. Ora, entrati nell’età che dovrebbe concedere la maturità, raggiungiamo il «punto alto» della nostra esistenza, siamo chiamati alla prova. Ce ne mostreremo all’altezza? Non sto parlando di felicità. Forse altre generazioni, più tormentate, meno agiate, più disperatamente vitali della nostra, sono state anche più felici. Parlo di fortuna. Come ho scritto all’inizio di questa maledetta epidemia, l’essere nati in Italia al principio degli Anni 70, ci ha consegnati, per puro caso fortunato, al pezzetto di umanità più agiata, sana, sicura, protetta e longeva, meglio vestita, nutrita e curata che abbia mai calcato la faccia della terra. Non sto, ovviamente, nemmeno affermando che questo nostro privilegio assoluto ci abbia individualmente preservato dalla sofferenza, dalle avversità, talvolta dalla malattia. Sto parlando di ciò che appartiene alla dimensione della vita comune, degli orizzonti storici collettivi, dei destini generali. In quella sfera non si può negare che siamo stati baciati dalla sorte.A cominciare dal fatto che la nostra carne non abbia mai conosciuto il morso della guerra. Certo, avevamo vent’anni la notte del 17 gennaio del 1991 quando gli aerei della coalizione anti-Saddam bombardarono Baghdad in nome nostro e in diretta televisiva. Ma si trattò, per l’appunto, di una «inesperienza», cioè di un’esperienza deprivata dei tratti caratteristici dell’esperienza vissuta: la continuità, l’irreversibilità, la fatidicità. Dopo aver assistito allo spettacolo di morte e distruzione, si poteva spegnere la tv e andarsene a letto. Anzi, non c’era altro da fare, non c’era alternativa all’assurdo: sebbene reale, devastante, letale, la guerra sarebbe rimasta per noi una serata trascorsa davanti alla televisione. Certo, avevamo trent’anni la mattina dell’11 settembre 2001, e ne fummo sconvolti, ma la malvagità distruttiva di quell’epocale atto di terrorismo consisteva proprio nel colpire un bersaglio simbolico per moltiplicarne su scala planetaria gli effetti mediatici. Anche le nostre vite hanno indubbiamente avuto la loro dose di preoccupazioni, angosce e inquietudini ma, scaturite da un altrove reale, ci hanno investiti per lo più come piaghe dell’immaginario collettivo. Anche noi abbiamo vissuto in un’epoca di profondi e vorticosi mutamenti ma, paradossalmente, nella nostra epoca le rotture epocali non si sono manifestate per noi sotto forma di guerre, rivoluzioni e migrazioni di popoli, come fu per i nostri padri e nonni. Tutte queste cose hanno sempre riguardato gli «altri». Noi siamo stati guerrieri da salotto, bagnanti sulle spiagge dei migranti, i nostri drammi hanno assunto la forma di psicodrammi, la sindrome da attacchi di panico è stata la patologia psichiatrica tipica della nostra psiche collettiva. Quando si è colti da un attacco di panico l’organismo attiva un processo psico-sensoriale adatto alla presenza di una minaccia mortale (iperlucidità, scariche adrenaliniche, aumento della frequenza respiratoria). Una reazione utile se s’incontra un leone nella savana. Solo che, nel caso del panico, il leone non c’è. Adesso, purtroppo, il leone c’è. E, come in una sorta di beffarda nemesi storica, ha assunto la forma impalpabile, microscopica, quasi fantasmatica, ma terribilmente reale, e potenzialmente ubiqua, dell’epidemia. La minaccia letale c’è e può essere dappertutto. La crisi che sta generando ricorda per alcuni aspetti gli scenari di guerra: strade deserte, persone chiuse in casa, reparti di rianimazione degli ottimi ospedali lombardi in cui i medici sono drammaticamente costretti a decidere quali pazienti curare e quali lasciar morire. A giudicare da certe situazioni vergognose si direbbe che la nostra fortunatissima generazione sia giunta alla prova di maturità capace solo di panico (le fughe sui treni notturni) o d’irresponsabilità (le code agli impianti sciistici). Non posso rassegnarmi a credere che sia così. Di certo ci siamo giunti inesperti di ciò che da sempre definisce la condizione umana: la piena coscienza della nostra mortalità, la lucida e matura consapevolezza che vita e morte si snodano l’una accanto all’altra come strade complanari, contigue e di pari importanza. Siamo stati, in altri termini, una generazione impolitica. Viandanti solitari sui sentieri della ricerca di una felicità individuale, non abbiamo conosciuto la politica come sentimento di appartenenza a un comune destino. Ebbene, dobbiamo assolutamente scoprirla ora. E dobbiamo imparare in fretta. Dobbiamo rimediare al lento apprendistato che non abbiamo avuto. Appartenere a una comunità di destino, a una comunità politica, significa anche elevarsi all’altezza di un sentimento tragico della vita, lottare per la vita, desiderare la vita sapendo di «galleggiare in un luogo incerto tra due estremi, tra l’essere e il nulla». Per tutti questi motivi io ritengo che sia giunto il momento della politica, nel suo significato più alto, e, perciò, benedico la decisione politica che ha trasformato l’intera Italia in zona rossa contro l’arbitrio degli individui, il loro panico e le loro irresponsabilità.
Il virus della superficialità. Domenico Ferrara il 10 marzo 2020 su Il Giornale. “Mi spiace, ma non c’è posto”. L’infermiere pronuncia queste parole asciugando la fronte madida di sudore. Può farlo perché non ha nessuna mascherina di protezione. Sono finite. Da un pezzo. Come i posti in terapia intensiva. Il turn over è stato lento come il tempo di cui ha bisogno una ruga per scavarsi sul volto. Il turn over del contagio invece è stato rapido come un Frecciarossa. Di quelli che non subiscono ritardi però e i cui passeggeri non scappano per ricongiungersi con famiglia e radici. Neanche il tempo di esultare per aver infranto le barriere. Le regole si estendono a tutto il paese. Gli incoscienti che ci governano adesso hanno il volto funereo. Non ci sono più boccali di birra, selfie, tavolate, messaggi rassicuranti, sorrisi. Non ci sono più bozze che circolano improvvidamente, non ci sono giornalisti a pubblicarle in anticipo, non ci sono folli con le valigie in mano.
È finito il tempo delle fughe d’amore per andare a sciare, delle fughe di gioco per andare alla bocciofila, degli aperitivi, dei gelati, delle comitive. Gli untori diventano contagiati. I contagiati diventano untori. Gli asintomatici contagiano ma non lo sanno. I sintomatici più fortunati sono quelli che hanno avuto la forza di ucciderlo. Il virus della superficialità ha vinto ancor prima del virus reale. Il virus dell’individualismo post-moderno, quello che ha issato la libertà a diritto d’onnipotenza, ha pervaso ognuno di noi. La casa, un tempo focolaio, fucina di valori e simbolo della comunità chiamata famiglia, adesso fa paura. Non c’è casa. Non c’è letto. Non c’è posto. Resta il sudore, quello dei medici in corsia e degli infermieri costretti a scegliere la progressione della morte, costretti a stare lontani dalla loro casa, costretti a rischiare consapevolmente di essere i prossimi. È questo il più alto senso del coraggio. Il sacrificio del dovere. Lo stesso che impone di essere messaggeri viventi di morte. “Mi spiace, ma non c’era posto”. Perché tanto tempo è andato perso, perché l’ego ha obnubilato la mente e il cuore. Perché la comunicazione ha fallito. Perché la politica ha fallito. Perché noi giornalisti abbiamo fallito. Ha vinto la superficialità, ha vinto l’ignoranza, ha vinto l’incoscienza. Adesso speriamo solo di aver perso una battaglia e non la guerra. Perché altrimenti non ci sarà posto nemmeno per il rimpianto.
Da ilmattino.it il 9 marzo 2020. Un'indagine è stata avviata dal comune di Pozzuoli, in sinergia con le forze di polizia, per identificare e risalire ad organizzatori e partecipanti ad un rave party svoltosi nel week end sul litorale flegreo, ad Arco Felice, sull'arenile delle Monachelle. Dura la condanna del sindaco, Vincenzo Figliolia, per l'iniziativa: «Alle Monachelle durante questo weekend è successo qualcosa di non plausibile: qualcuno ha ben pensato, in piena emergenza sanitaria e con divieti di assembramento, di organizzare un rave party, in un'area del resto interdetta da due diverse mie ordinanze perché pericolosa, a causa di una gestione fallimentare da parte del comune di Napoli. Sui social foto e video di questi irresponsabili sono ben visibili». Il sindaco è deciso a far scattare le denunce. «Qui si sta andando oltre ogni misura e mettendo a rischio la salute di un'intera comunità. Attenetevi soltanto alle disposizioni date dalle Autorità e state a casa. Uscite soltanto se indispensabile» - ha esortato ancora Figliolia.
Da ansa.it il 9 marzo 2020. I carabinieri hanno denunciato due giovani di 20 e 25 anni, provenienti da Parma, che stavano andando all'aeroporto Marconi di Bologna per prendere un aereo per Madrid, violando così l'area interessata dalle misure del dpcm per limitare il contagio da coronavirus. Durante un controllo stradale, alla richiesta di specificare il motivo per cui si trovavano fuori dalla loro provincia hanno risposto che stavano andando all'aeroporto per partire per viaggio di piacere. Entrambi sono stati denunciati.
Da repubblica.it il 9 marzo 2020. La deputata della Lega Barbara Saltamartini ha postato su Facebook le foto di una festa, alla quale ha presto parte, a Terni in una casa privata con 60 persone per celebrare la vittoria della candidata leghista Valeria Alessandrini alle suppletive in Umbria. In barba al decreto del governo con le misure contro il coronavirus, pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale, che sconsiglia esplicitamente gli assembramenti di persone anche nelle zone dove il contagio è meno diffuso. Saltamartini è stata travolta da una pioggia di critiche sul suo profilo, anche da parte di elettori leghisti o di destra. A quel punto ha provato a smentire il nostro articolo in un altro post, ma nuovamente bersagliata di commenti negativi ha rimosso tutti i post e tutte le foto annesse. Abbiamo provato anche a contattarla per farle qualche domanda, ma ha preferito non risponderci. "Bell'esempio di rispetto le regole. Tutti così quelli della Lega", commenta una signora. E un altro utente ironizza: "Complimenti Barbara Saltamartini cosa non si fa per la poltrona , brava sei un bell'esempio ancora complimenti". "Non dovete stare cosi ammassati ma che esempio date....", dice un altro follower. Il commento più duro è proprio quello di un elettore di centrodestra: "Ma non si vergogna?????!!!! Io sono di centro destra! Ammiro Salvini perché fin dall’inizio ha sempre detto che bisogna prendere provvedimenti su questo virus e nessuno lo ha ascoltato. Ci sono disposizioni governative per la salute delle persone. In Lombardia stiamo morendo! Morendo ha capito!!!! E lei da parlamentare dovrebbe dare l’esempio!!!!! E cosa fa!? Un’ammucchiata! Rispetto! Vergogna! Dov’è la distanza di un metro? Siete in un locale al chiuso e fate finta di nulla!". Le foto hanno suscitato la reazione di Europa Verde: "Anche in momenti di crisi per il nostro Paese, La Lega è capace solo di feste e Papeete - sostengono i commissari di Europa Verde per l'Umbria Gianfranco Mascia e Francesco Alemanni - I suoi rappresentanti non hanno nessun rispetto per le vittime e le loro famiglie e non sono capaci di rispettare neanche una norma elementare. Ci aspettiamo almeno un mea culpa dalla suddetta parlamentare". Poi Mascia attacca su Facebook: "Saltamartini si è vergognata di aver postato le foto della festa di ieri, in piena emergenza coronavirus, con una trentina di persone tutte appiccicate (che ovviamente non rispettavano il metro di distanza previsto dalle norme) e, dopo la denuncia di la Repubblica e la richiesta mia e Francesco Alemanni di chiedere scusa, fosse almeno via social, per il rispetto dovuto alle vittime dell'epidemia, prima si è giustificata con un comunicato che smentiva la festa ma poi, subissata dai commenti negativi, ha preferito cancellare il post". Un intervento "riparatore" arriva dal senatore leghista ed ex ministro dell'Agricoltura Gian Marco Centinaio, che diffonde su Instagram un disegnino sui comportamenti da tenere per evitare il contagio. E spiega: "Visto che gli appelli istituzionali sono tutti caduti nel vuoto, ecco le indicazioni fatte a prova di italiano medio: disegni e poche parole, così magari la gente capisce".
Da ilmessaggero.it il 9 marzo 2020. Due turisti bergamaschi sono sbarcati a Procida nonostante il divieto disposto dal decreto del Consiglio dei Ministri per l'emergenza coronavirus. Una volta arrivati sull'isola, i due sono stati controllati dai vigili urbani che hanno accertato la loro provenienza e li hanno subito fatti reimbarcare con il primo aliscafo utile per Napoli. Dopo questo episodio il sindaco Dino Ambrosino ha annunciato di voler richiedere al Prefetto ed al presidente della Regione Vincenzo De Luca, di incaricare le compagnie di navigazione di verificare i documenti di identità di tutti i passeggeri in procinto di partire per le isole. I due cittadini lombardi erano stati trovati negativi ai controlli sanitari al Molo Beverello.
Marco Pasqua per “il Messaggero” il 9 marzo 2020. «Chi sta a Ponte?», chiedeva l'altra sera un ragazzo nelle sue stories di Instagram, per trovare qualcuno con cui trascorrere qualche ora insieme a Ponte Milvio. «Andiamo a Trast», scriveva qualcun altro per la solitata nottata alcolica tra piazza Trilussa e piazza San Calisto. È la movida che non si ferma, nonostante i provvedimenti del governo e delle Regione, in spregio a ogni regola dettata anche dal buon senso. Una situazione che ha fatto infuriare l'assessore alla Sanità della Regione, Alessio D'Amato, tanto da spingerlo a postare una foto di Ponte Milvio: ci sono decine di ragazzi, seduti uno accanto all'altro, senza mantenere la distanza di sicurezza raccomandata alla luce dell'emergenza coronavirus. «Nunsepofa», tuonava l'esponente regionale, invitando tutti a prendere sul serio il momento che il nostro Paese sta vivendo. Ma non è l'unica contraddizione che si coglie nella movida romana (per non parlare del mondo dei centri commerciali: anche questi aperti). Perché se le discoteche hanno chiuso i battenti (dal Piper a Spazio 900, dal Room26 all'Eden e alla Suite, la serrata non ha risparmiato nessuno), ecco che in questi giorni alcuni locali hanno puntato sul format della cena-spettacolo. Fiumi di champagne, musica e, ovviamente, mancato rispetto del metro di distanza tra una persona e l'altra. Ma, soprattutto, locali (al chiuso) saturi di persone, che, in alcuni casi, hanno anche ballato. Come è successo in via della Conciliazione, al Chorus Cafè, dove, l'altra notte, il pubblico si è lasciato trasportare dalla musica (senza che nessuno facesse notare loro quanto quel comportamento fosse rischioso). Ma anche alle Palmerie, ai Parioli, dai tavoli alla pista improvvisata il passo è stato breve e su Instagram era un rincorrersi di storie danzate. Le stesse del ristorante fusion Me Geisha, a Monteverde, dove la voglia di far festa ha avuto la meglio sul buon senso (con tanto di trenino dei camerieri per portare le bottiglie). Alla Villa, popolare luogo di ritrovo al Fleming, nonostante la figura «dell'addetto al rispetto della distanza», la distanza tra i tavoli ma, soprattutto, il numero di persone presenti, trasformava il locale in una sorta di disco-pub improvvisato. E anche se all'aperto, si è ballato a Maccarese, alla Rambla, come documentano i video condivisi dai clienti sui social, noncuranti della distanza da mantenere. Una situazione che è stata notata da Dj Ludwig, personaggio di spicco delle notti romane, che, su Instagram, ha scritto: «Se sono arrivati a chiudere le discoteche, c'è un motivo e vedere organizzare queste cene spettacolo è molto triste, perché state mettendo a rischio la salute di tante persone». Stessa linea condivisa da un Pr di una nota discoteca, che, sempre ieri, ha scritto: «Organizzare queste cene per lucrare due spicci non è da eroi, ma da sciacalli. Perché se il governo ha preso misure forti, un motivo ci sarà». «Ci sacrifichiamo nell'interesse della salute del nostro pubblico come è giusto che sia in questo momento difficile dice il titolare di una popolare discoteca del Centro Ma vedere questi locali andare avanti ci fa rabbia». Di controlli, l'altra notte, neanche l'ombra. Ma forse, le cose potrebbero cambiare anche con la nuova ordinanza firmata, ieri, dalla Regione.
Laura Bogliolo e Mauro Evangelisti per il Messaggero il 9 marzo 2020. Non si fugge solo da Milano a bordo di treni stracolmi e senza biglietto tanta è stata la paura di rimanere bloccati nel capoluogo lombardo. Ieri si è registrata una fuga allarmante anche dall'ospedale San Giovanni. Nel pomeriggio si erano presentati al pronto soccorso del nosocomio tre uomini di età compresa tra i 40 e i 50 anni, due romani e uno straniero, impiegati in un ristorante. I tre hanno spiegato che avevano sintomi riconducibili al coronavirus: tosse, febbre e stanchezza. I sanitari si sono subito attivati, li hanno prima messi in isolamento poi li hanno sottoposti al test del tampone per verificare il loro reale stato di salute. Il test ovviamente richiede un po' di tempo. I minuti sono passati e quando i medici erano pronti a comunicare i risultati i tre pazienti, spaventati, erano scomparsi. Sono fuggiti, si sono volatilizzati. La Regione, allarmata, ha subito avvertito i carabinieri che si sono messi alla ricerca dei tre fuggitivi facendo scattare il piano di sicurezza. Ma cosa dicevano i referti? Fortunatamente per due di loro l'esito del tampone era negativo. Ma per un terzo i medici hanno stabilito che il risultato era «dubbio» e quindi il test doveva essere rifatto. «La fuga dei tre pazienti è un gesto gravissimo - ha commentato Alessio D'Amato, l'assessore alla Sanità della Regione - così si mette a rischio l'incolumità pubblica, le regole sono severissime e il comportamento dei tre è estremamente irresponsabile». All'ospedale San Giovanni è morta una donna romana di 87 anni, ricoverata nell'Unità di terapia intensiva cardiologica e alcuni dipendenti sono stati posti in isolamento fiduciario. La donna era ricoverata dal 17 gennaio. «Stante il complesso quadro clinico è possibile affermare che la donna sia deceduta con il Covid-19 e non a causa dello stesso» aveva precisato l'ospedale.
Da adnkronos.com il 9 marzo 2020. "A Roma il virus sta già incominciando a circolare, anche se le catene di trasmissione sono per ora piccole. Ne dobbiamo prendere atto perché altrimenti si fa il patatrac come a Lodi di nuovo. Solo che stavolta eravamo avvertiti". A sottolinearlo con forza è Gianni Rezza, direttore del Dipartimento di malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità (Iss), intervenuto sull'emergenza nuovo coronavirus a 'Radio anch'io' su Rai Radio 1. "Bisogna prendere delle misure su tutto il territorio nazionale. Una volta per tutte 2 mesi di sacrifici, per piacere, e si facciano", ha aggiunto. Per l'esperto, più che 8 giorni potrebbe essere "decisivo il prossimo mese, forse le prossime 8 settimane".
C. Moz. per “il Messaggero” il 9 marzo 2020. Il difficile viene per i bambini: «Spiegar loro perché la scuola è chiusa senza farli preoccupare e cercare di incidere il meno possibile sulle loro abitudini», spiega Flavia all'ingresso di Villa Borghese mentre tiene d'occhio Margherita che schizza sul viale con il suo monopattino rosa e il caschetto ben legato in testa. La domenica dell'8 marzo, quando Roma inizia a chiudersi contro la minaccia del Covid-19, ville e parchi vengono presi d'assalto. Anche al mare lo scenario è lo stesso. Sembra quasi il primo maggio o il giorno di Pasquetta tanto è alto l'afflusso sulle spiagge e tra i prati di Roma. Ma cambiano i denominatori. Si esce, si sta all'aria aperta, si pranza sulle tovaglie stese al sole, si sta insieme. Ma a debita distanza. Aboliti gli abbracci, i saluti «cerchiamo di far fronte a questa situazione senza richiuderci in casa perché in fondo - spiega Antonio Rimeni - stiamo all'aria aperta». Si ma il virus non tiene conto del posto quanto dei rapporti, della vicinanza tra le persone. L'attenzione è labile: c'è chi appunto si tiene a debita distanza e chi, invece, sembra quasi disinteressarsi del problema. «Dai - sorride Giovanni, 20 anni iscritto al secondo anno di Filosofia - credo che ci sia una sovraesposizione: certo bisogna stare attenti ma se iniziano ad aver paura a fermarci davvero, a vietarci una passeggiata nel parco dove andremo a finire?». Di fronte ai bar delle ville gli accessi sono auto-contingentati: «Aspetta c'è troppa gente davanti al bancone - dice Marco alla sua fidanzata - fai uscire un po' di persone». «Ma poi - insiste - perché l'acqua non l'hai presa a casa?». Da Villa Borghese a villa Torlonia, da villa Pamphilj al mare di Ostia e Fregene. Il tempo lo ha permesso, le persone non hanno resistito. E pure nei ristoranti della Capitale c'è chi siede ai tavoli purché siano all'aperto. C'è tempo per distrarsi anche se i discorsi che si percepiscono attraversando il più grande polmone verde di Roma vertono quasi tutti sullo stesso argomento: «Hai sentito? Colpisce di più le persone anziane, ma noi potremmo essere sicuri?». Laura Scevri, 42 anni, è seduta su una panchina di fronte alla Galleria Borghese. Ambiva a visitarla poi di fronte al botteghino ha trovato il cartello informativo: chiuso per l'emergenza del Covid. Però è rimasta in villa con il compagno Alfredo. «Sì stavamo parlando del coronovarius, ci sentiamo preoccupati ma che dobbiamo fare, restare chiusi in casa?». Gli esperti, virologi ed epidemiologi lo consiglierebbero. «Se ci priviamo anche di un'ora al sole peggioriamo le cose», dice la coppia. «Comunque guardi: siamo a un metro di distanza e non abbiamo fatto venire degli amici che non vedevamo da tempo».
Da repubblica.it il 10 marzo 2020. Laderneau non è zona rossa, ma per un giorno è stata decisamente zona blu. Erano in 3500 i fan dei Puffi, i personaggi di fantasia ideati dal disegnatore belga Pejo, al raduno dei raduni dedicati ai piccoli omini colorati. Ed erano tutti truccati come i Puffi, pelle blu con calzari e cappello bianco. L'agenzia francese France Press ha pubblicato un video su Twitter con le immagini del raduno, che aveva l'obiettivo di essere l'evento di questo tipo con maggior partecipazione di sempre. E questo nonostante la Francia sia dopo l'Italia il paese d'Europa più colpito dal coronavirus, sebbene con numeri sensibilmente inferiori. Nel video si sente un "Puffo" prenderla con ironia: "Pufferemo il coronavirus", ha detto. E la prevedibile reazione del web non si è fatta attendere. "Come si dice idioti in francese?", "Sono pazzi", due esempi su migliaia di risposte da ogni parte del mondo a post e tweet sulla notizia. Una valanga di insulti e commenti negativi sull'idea di un raduno del genere in tempi in cui ogni assembramento è ovviamente, una potenziale e pericolosissima bomba virale.
· Dipende tutto da chi ti ferma.
Da "blitzquotidiano.it" il 21 novembre 2020. In epoca di pandemia Covid, ogni fila è potenzialmente un assembramento. E i vigili di Genova hanno applicato alla lettera questo precetto: multa per tutti coloro che erano in coda per ritirare un pasto alla mensa dei poveri. Giusto o no, è accaduto in via Prè, nel cuore del centro storico.
Genova: multa per assembramento a chi era in coda alla mensa dei poveri. Gli agenti della polizia municipale hanno multato diverse persone in coda che creavano un assembramento. Alcuni erano senza mascherine, mentre si trovavano davanti a un’associazione, che da tempo si occupa di aiutare gli ultimi del quartiere. Gli agenti sono intervenuti dopo le numerose lamentele di residenti e comitati. Anche perché la strada si interseca con la zona dello spaccio e capita che spesso i pusher si mischino a chi invece vuole solo ritirare qualcosa da mangiare.
La spiegazione dei vigili. “Dopo le segnalazioni – ha spiegato il comandante – per diversi giorni siamo andati a sensibilizzare le persone dicendo loro di rispettare le norme anticovid. Ma nonostante tutto hanno continuato a non rispettare la legge e siamo dovuti intervenire”. Gli agenti hanno sanzionato diverse persone. Uno di loro è stato anche denunciato perché ha mentito dicendo di essere un minorenne. Portato all’ospedale pediatrico Gaslini dalle radiografie è emerso che era maggiorenne. Sempre in via Pré, sono state multate altre sei persone sempre per il mancato rispetto delle norme anti contagio.
Anche l’associazione si era rivolta alla Municipale. Sono stati anche gli stessi responsabili dell’associazione a rivolgersi alle forze dell’ordine. “I vigili ci hanno sempre aiutato. Siamo stati anche noi a chiamarli – sottolinea uno dei fondatori dell’associazione – e a chiedere aiuto durante la distribuzione dei pasti. ma la fila spesso si interseca con la zona dello spaccio. Noi abbiamo messo i distanziamenti a terra, forniamo le mascherine a chi le ha vecchie o a chi non ne ha proprio”.
Sanzione giusta o legge ingiusta? Sulla vicenda è intervenuto anche don Giacomo Martino, direttore di Migrantes a Genova. “Uno dei motti delle forze di polizia è di proteggere e servire – ha ricordato -. La legge giusta va applicata guardando la situazione, altrimenti diventa ingiusta. In questo momento è necessario usare l’umanità e anche le associazioni se hanno bisogno di aiuto per gestire le emergenze devono chiedere aiuto. Le stesse istituzioni devono ‘sporcarsi’ le mani con le associazioni, le devono coinvolgere di più. Solo così si può superare un momento duro per tutti, senza puntare il dito contro nessuno”.
Multe assurde ai tempi del coronavirus: che fine ha fatto il buonsenso? Le Iene News il 2 dicembre 2020. Dal senzatetto multato perché era per strada, al barista costretta a chiudere per un bicchiere d’acqua in vetro offerto a un cliente che doveva prendere una medicina. Dov’è quel senso della misura invocato dal presidente della Repubblica? Alessandro De Giuseppe incontra i protagonisti di alcune delle multe più assurde comminate durante questa seconda ondata di Covid. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a proposito della seconda ondata di Covid, aveva detto qualche tempo fa: “La situazione richiede a tutti senso della misura”. Un senso della misura che è stato usato anche nel comminare le multe per le restrizioni contro il coronavirus? Alessandro De Giuseppe ha incontrato alcune persone che in queste settimane hanno ricevuto sanzioni davvero assurde.
Sulla panchina. Multe come quella di 400 euro ricevuta da Pino, un pensionato che qualche giorno fa si è visto avvicinare dagli agenti e chiedere i documenti. “Mi dicono ‘lei era sulla panchina a leggere il giornale’. Ho detto sì, ma aspettavo la mia compagna per andare in farmacia. Mi sono sentito davvero a disagio”, racconta l’uomo, che non ha potuto far altro che pagare. Un disagio comune anche ad alcuni baristi, come Matteo.
La tazzina di caffè. “C’era una signora anziana a cui piace prendere la schiumetta col cucchiaino, In quel momento lì si è fermata la pattuglia e vedendo la tazzina di ceramica mi hanno sanzionato con 5 giorni di chiusura e 400 euro di multa. La signora era a un metro dall’ingresso e aveva la mascherina. La cosa della tazzina di ceramica, che mi contestano, l’ho fatta proprio come cortesia. Noi viviamo giornalmente di quello che ci entra che è pochissimo e loro chiudendomi per 5 giorni il locale mi hanno tolto anche questa opportunità. Secondo me hanno sbagliato totalmente”, si lamenta il barista con Alessandro De Giuseppe.
La pastiglia. Stessa sorte toccata al locale di Erika, che aveva offerto un po' d’acqua ma in un bicchiere di vetro, contrariamente alle indicazioni del nuovo DPCM. La donna racconta: “Zia e nipote mi hanno chiesto due caffè che ho versato nel bicchierino d’asporto. Il nipote mi ha chiesto due dita d’acqua, con una pastiglia in mano e io inavvertitamente, e sbagliando, ho preso un bicchiere di vetro e ho messo due dita d’acqua”. Il risultato? Lo stesso di Pino: 400 euro di multa e 5 giorni di chiusura per il locale.
La multa al senzatetto. E allora che dire dei 280 euro di multa che si è visto rifilare Pasquale, un senzatetto di Como, che nel mostrarci il portico sotto il quale dorme dice: “Ero seduto lì quando è arrivata la macchina della polizia, mi hanno detto ‘qua non si può stare” e io ho risposto ‘non so dove andare’. Hanno chiuso il finestrino dell’auto e si sono messi a scrivere. Mi hanno detto di firmare il foglio, che io non ho letto”. Un foglio che recita “spostamento dal suo domicilio senza essere in grado di motivarlo”. Peccato però che Pasquale non ce l’abbia più un domicilio: “Ho perso la casa”, racconta alla Iena. “Non l’ho pagata la multa, e come facevo? Il giorno dopo mi hanno detto ‘la multa te l’ha pagata un benefattore’. Io gli bacerei i piedi, l’abbraccerei, non so cosa farei per lui. Ma devo anche pensare che questa è una multa senza senso”.
Galeotti furono i baci. Una cosa ancora più incredibile è capitata a Domenico, un ragazzo che nel pieno centro di Milano si è visto avvicinare dai vigili: “Tornando a casa io e la mia ragazza, dopo una cena, ci stavamo dando dei baci, degli abbracci. Avevamo la mascherina abbassata, siamo stati fermati da un gruppo di vigili che ci hanno detto che noi non la indossavamo ad una distanza minima di un metro, ma noi siamo fidanzati da quasi tre anni! Ci hanno contestato il fatto che non potevamo dimostrare la residenza. Io ho fatto anche vedere le foto, che eravamo sempre insieme – racconta il giovane – ma loro non hanno voluto sentire ragioni, e hanno continuato a fare la multa per un totale di 800 euro!”
Al riparo dalla pioggia. Cinque giorni di chiusura e 400 euro di multa anche per un gelataio, Angelo, perché gli agenti hanno visto un gruppo di ragazzini che si erano fermati sotto al portico del suo locale, a quanto sembra per ripararsi dalla pioggia: “Non me ne sono reso conto, per me erano andati via”, racconta l’uomo. E invece per i vigili quel gruppo di ragazzi sta consumando proprio lì davanti, dopo la chiusura, una cosa vietata.
In palestra. Verbale inflessibile anche per una palestra, che a fronte della crisi si era organizzata erogando corsi on line. “Io mi ero posizionata qui e il mio collega stava lavorando di là, vediamo i vigili entrare, si affacciano e vedono una situazione di estrema sicurezza – racconta Alice - . Stavamo facendo le registrazioni on line, la vigilessa poi ci ha detto ‘fate ricorso’”.
Insomma, dov’è il buonsenso delle istituzioni tanto invocato dal presidente Mattarella? Anche perché, a leggere la risposta del Prefetto di Milano, da noi interpellato sulla questione, ci sembra di cogliere tutta un’altra impostazione: “Ragionevolezza, buon senso, nessun accanimento sono le linee guida dei controlli, tenendo sempre conto delle situazioni e motivazioni personali. Si deve orientare, si deve invitare e solo di fronte a comportamenti ciononostante scorretti, sanzionare”.
Coprifuoco, scende a prendere la pizza in pigiama e mascherina. I carabinieri le arrivano a casa: "Apra o le sfondiamo la porta". Libero Quotidiano il 10 novembre 2020. "Apra o le sfondiamo la porta". Sta facendo il giro dei social il video girato da una signora che ha tarda sera ha ricevuto la visita a domicilio dei carabinieri, piuttosto minacciosa. "Apra, dobbiamo identificarla", ordina perentoria una agente. La signora riprende la scena con il telefonino, incredula. Prima di aprire, mostra un cartone con una pizza ancora calda. Il motivo del "blitz" delle forze dell'ordine nel palazzo, infatti, lascia sbigottita lei e molti commentatori: era scesa di casa in pigiama e mascherina per andare incontro al fattorino che le stava portando, appunto, la pizza. Ad attenderla sul pianerottolo quattro carabinieri, che le leggono gli estremi della carta d'identità. "Devo andare a mangiare, buonasera. Se questo è il lavoro, non vi dico certamente buon lavoro".
L'episodio a Napoli, il racconto del proprietario di casa. Pizza e panino a casa con amici, blitz di 10 carabinieri: “Dateci i documenti”. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 2 Novembre 2020. Sei a casa. Ospiti amici e amiche per un totale, te compreso, di sette persone. Ordini panini e pizze grazie ai delivery e alle 22.15 ti ritrovi sotto la tua abitazione, al primo piano di una traversina di piazza Vittoria, nel centro di Napoli, tre gazzelle e una decina di carabinieri che, poco dopo, bussano alla porta di casa. E’ successo domenica sera, primo novembre, nel capoluogo partenopeo. “Mi servono i documenti di tutte le persone presenti” ha intimato uno dei militari al padrone di casa, l’avvocato Andrea Cotumaccio. Il professionista non si è lasciato spaventare e ha chiesto spiegazioni: “Lei è all’ingresso di casa mia, le sto chiedendo se ha un motivo valido per entrare senza un regolare mandato”. “Stiamo effettuando un controllo, gentilmente mi dà i documenti di tutte le persone presenti? Affacciate al balcone ho visto più di una ragazza ed al momento ho solo 5 carte d’identità” ha replicato il carabiniere. Non è chiaro se a sollecitare l’intervento dei militari dell’Arma sia stata una segnalazione dei vicini di casa. “Eravamo in sette – spiega l’avvocato Cotumaccio -, stavamo ascoltando musica da Youtube e avevamo appena finito di mangiare. Tra l’altro erano da poco passate le 22 e il coprifuoco scatta dalle 23”. Una situazione paradossale rientrata nel giro di una mezz’ora. “Dopo aver fornito loro tutti e sette i documenti, sono scesi e hanno fatto controlli al terminale per una ventina di minuti. Nel frattempo – spiega il legale – sono rimasti all’esterno della porta di casa mia due carabinieri”. “Bisognerebbe che tutti capissero che abbiamo dei diritti, io per fortuna li conosco perché sono avvocato ma sono gli stessi diritti che tutti cittadini vedono oramai calpestati da una serie di provvedimenti che difficilmente riescono ad interpretare” commenta Cotumaccio. Il controllo si è poi concluso senza alcuna sanzione anche perché nel Dpcm del 13 ottobre scorso il Governo “raccomandava” di ospitare in casa un massimo di sei persone. Una precisazione doverosa dopo le parole del ministro della Salute Roberto Speranza che aveva parlato di vietare le feste private e di affidarsi anche alle segnalazioni dei privati cittadini per i controlli. Il premier Giuseppe Conte, nel corso della conferenza stampa per presentare il Dpcm, aveva poi rassicurato: “Non manderemo le forze di polizia nelle abitazioni private, però dobbiamo assumere comportamenti prudenti”. Nei giorni successivi, Il Riformista ha poi svelato i retroscena delle retromarcia, doverosa, dell’Esecutivo. “È stata la polizia e il ministero delle polizie a evitare che l’Italia diventasse uno stato di polizia dove uomini in divisa possono entrare a qualunque ora nelle abitazioni private per verificare il numero di quanti siedono intorno ad un tavolo o davanti a una tv per vedere una partita della Champions” scriveva il 15 ottobre scorso Claudia Fusani. E’ stato lo stesso capo della Polizia Franco Gabrielli a far ragionare il Governo con un appunto di una pagina e mezzo dal titolo “Ipotesi riguardanti gli assembramenti destinati a svolgersi nei luoghi di privato domicilio”. “Si fa riferimento – si legge nell’appunto – all’ipotesi emersa in queste ore di inserire nel Dpcm previsioni volte a consentire al personale delle forze di polizia di accedere ai luoghi privati e di privato domicilio al fine di verificare l’eventuale esistenza di raduni o assembramenti di persone oltre il limite consentito. Al riguardo si fa presente che la soluzione prospettata non sembra agevolmente praticabile alla luce dell’articolo 14 della Costituzione che riconosce l’inviolabilità del privato domicilio”. Tra citazioni di sentenze della Corte Costituzionale e rinvii a fonti di legge primaria, il Capo della polizia dimostra come sia impossibile impedire i party privati. Le eccezioni all’articolo 14 della Carta sono possibili “solo nei casi e nei modi stabiliti dalla legge e nel rispetto delle garanzie”. La restrizione del diritto, ovvero le perquisizioni di privati sono possibili solo se trovano fondamento in fonti primarie (leggi e non Dpcm) e autorizzate dalla magistratura. Anche in caso di «tutela della salute dell’incolumità pubblica» vale la riserva assoluta di legge e di giurisdizione.
"In spiaggia senza mascherina": ora è bufera su Fico. Il presidente della Camera Fico fotografato in spiaggia con altre persone. Tutti senza mascherina. Scatta la polemica: "Scuole chiuse e lidi aperti". Martina Piumatti, Venerdì 23/10/2020 su Il Giornale. Quando si dice della politica: predica bene e razzola male. Il giorno dopo aver bacchettato Vittorio Sgarbi per non aver indossato correttamente la mascherina, Roberto Fico compare, come riporta Rebubblica, in una foto che scatena subito le polemiche. È in spiaggia insieme ad amici. Tutti senza mascherina. Lido di Posillipo, c'è il sole, ma l'immagine non risale all'estate scorsa. È datata mercoledì 21 ottobre. Proprio il giorno precedente la sfuriata di Fico contro Sgarbi. Il presidente della Camera si prende una breve pausa dai lavori romani per festeggiare il compleanno della compagna Yvonne. Sono rigorosamente in sei a tavola, tutti in abiti da città e nessuno di loro fa il bagno. Ma sono tutti senza mascherina - non richesta quando si è seduti al tavolo del ristorante - in una situazione conviviale di relax e divertimento dove però il distanziamento appare, quantomeno, dubbio.
La foto di Fico in spiaggia. Infatti, intorno al presidente e agli amici – che consumano un pasto e sarebbero gli unici autorizzati a non avere il volto mezzo coperto – molte persone sono stese al sole, passeggiano in riva, ridono e si rilassano in un mercoledì feriale e nessuno indossa la mascherina, né sembra rispettare troppo alla lettera le distanze. E con la seconda ondata ormai in salita, il giro di vite sulle misure anti contagio e i richiami delle istituzioni alla responsabilità dei cittadini, i social non perdonano la leggerezza del presidente. La foto corre tra post e decine di chat private con una dida sintetica che coglie il punto: “Campania: scuole chiuse, lidi aperti”.
I social si scatenano, fioccano i commenti. La polemica, sferzante, si scatena sopratutto tra chi è “recluso” in casa con l'obbligo di quarantena da scontare. “Possibile che noi non possiamo andare a lavorare, e loro possono stare al mare senza mascherine?”. Oppure: “Noi costretti a badare ai figli che non possono andare a scuola per effetto della nuova ordinanza della Regione che chiude tutti gli istituti, e poi c’è chi passa un mercoledì feriale sulle spiagge, a fare il bagno o steso per la tintarella?”. Tra i commentatori furenti c'è anche chi lo difende: “Io non ho votato 5 Stelle, mai. Ma Fico, in queste foto, non ha violato neanche una regola”. Un altro nasconde una punta di invidia: “Se c’è chi, in un mercoledì qualunque di ottobre, non ha bisogno di lavorare ma può starsene al mare, beato lui”. La distanza tra politica e cittadini catturata in uno scatto. E amplificata dal virus: chi subisce la pandemia e chi, invece, può fare (più o meno) la vita di sempre.
Le scuse di Fico: "Sono sereno". Ma il presidente della Camera, tornato a Roma già mercoledì sera, sentito da Repubblica, si dice stupito. “Come mai bisogna parlare di un semplice pranzo privato?”. Poi, però, confessa: “Mercoledì scorso era il compleanno della mia compagna, e confermo che, non avendo agenda di lavoro che mi tenesse impegnato alla Camera, mi sono preso alcune ore per stare con lei e con pochissimi amici. Voglio specificare a scanso di equivoci: ho prima prenotato al telefono un tavolo a quel ristorante, con ingresso certamente separato dal lido. Una volta dentro, ho trovato camerieri con la mascherina, sanificazioni, tavoli all’aperto, sulla spiaggia, distanziati. Insomma, per me non c’era assolutamente nulla di anormale. Dopo poche ore, ero già di rientro nel mio ufficio a Roma”. E alla domanda se non si fosse accorto che intorno a lui nessuno indossava la mascherina: “Io mi sento sereno – sottolinea Fico – ribadisco che non ho neanche varcato la soglia del lido. Sono solo entrato in un ristorante con un tavolo all’aperto, in pieno giorno. Onestamente, non mi sono fermato in quella breve pausa con l’idea di vigilare sul rispetto delle regole da parte di tutti quelli che mi circondavano, ed ho l’impressione che nella foto le distanze reali, come talvolta avviene, siano schiacciate dall’effetto prospettico. Ma sono certo che lungo il mio tragitto e per quello che noi abbiamo fatto, non ho notato violazioni".
Passeggia senza mascherina, bloccata dalla polizia con mani al collo e arrestata. A Firenze una donna è stata arrestata mentre era a passeggio con il cane perché non indossava la mascherina. Il racconto di un testimone: "Le hanno messo le mani al collo, sembrava che la strangolassero". Costanza Tosi, Lunedì 26/10/2020 su Il Giornale. Fermata da tre agenti della polizia municipale, bloccata dall’uomo in divisa con tanto di braccia attorno al collo, ammanettata e trascinata in centrale dove è stata denunciata per resistenza a pubblico ufficiale, minacce e rifiuto di generalità. É quello che è successo ad una donna, a Firenze, in via Pellicceria, in pieno centro storico, mentre camminava per strada con il suo pitbull al guinzaglio senza indossare la mascherina. “Tre agenti della polizia municipale, due donne e un uomo hanno iniziato ad inseguire la signora fermandola sotto i portici perché non portava la mascherina”, racconta a IlGiornale.it un testimone della vicenda che è riuscito ad immortalare la vicenda con un video diventato virale sui social network. Quando le forze dell’ordine hanno contestato alla donna il reato, secondo le testimonianze lei si sarebbe rifiutata di fornire documenti e generalità. A quel punto un poliziotto della municipale avrebbe iniziato a bloccare fisicamente la donna. “Lei era ferma, non stava scappando e ha iniziato a lamentarsi per i modi. Non voleva che le mettessero le mani addosso”. Ci spiega ancora il testimone. Eppure, i poliziotti hanno ritenuto necessario utilizzare le maniere forti. Prima hanno afferrato la donna per un braccio, poi l’hanno bloccata stringendole un braccio attorno al collo, mentre lei cercava di liberarsi dalla presa. “La scena, vista dal vivo, effettivamente faceva effetto. In fin dei conti era una donna, e per quanto abbia potuto opporre resistenza non era una minaccia, né un soggetto pericoloso. Sembrava che la stessero strangolando…” ci spiega il ragazzo. La discussione accesa tra i vigili e la donna accusata di infrangere la legge ha, nel giro di pochi minuti, incuriosito i passanti fino a creare una folla di persone assembrate ad osservare la scena.
“Avevano la loro auto e la donna ormai era stata fermata. Tutti ci aspettavamo che la facessero entrare nella vettura per poi portarla in centrale - ci racconta ancora il testimone - e invece, in pochi minuti , sono arrivate sei pattuglie della municipale per far fronte alla situazione. E dopo poco è intervenuto il personale in borghese che ha messo le manette alla signora. Erano tantissimi agenti contro una sola donna…” Sirene accese e decine di risorse impegnate per portare in centrale una donna senza mascherina. Un modus operandi che avrebbe fatto meno scalpore se fosse stato messo in atto per un gruppo di criminali violenti piuttosto che nei confronti di una sola donna fuori legge. Ed è proprio questo ad aver scatenato le reazioni della folla che ha assistito all’arresto. “Buffoni, buffoni”, le invettive contro gli agenti della polizia municipale che fanno da sottofondo ai video postati su Facebook. Una violenza ingiustificata secondo i passanti, sulla base del reato commesso e rispetto alla reazione dell’unica accusata. “Le hanno tolto il cane prima di caricarla nell’auto con i lampeggianti e poi il pitbull è stato lasciato, sciolto, in mezzo alla via. Siamo stati io e un mio collega a prendere il cane al guinzaglio per non farlo scappare per il centro della città”, ci racconta il ragazzo. Fortunatamente da lì a poco una ragazza amica della figlia della signora, passando per la via in cui si è consumata la vicenda ha riconosciuto il cane e ha contattato l’amica che dopo qualche minuto è arrivata e lo ha riportato a casa.
“Il funerale di mia figlia rovinato da una vigilessa”. Le Iene News il 27 maggio 2020. Domenica Colonna, detta Mimma, racconta il giorno del funerale di sua figlia Silvia, morta dopo anni di malattia. “La vigilessa continuava a chiedere quanti erano gli invitati ritardando la messa. Ora esigo delle scuse”. “Era l’ultimo saluto a mia figlia, e mi è stato rovinato”. Domenica Colonna, per gli amici Mimma, ha dovuto dire addio a sua figlia Silvia troppo presto. Silvia aveva solo 31 anni quando, il 7 maggio scorso, è venuta a mancare. Mimma ripercorre rapidamente gli ultimi due anni di lotta della figlia: “da una semplice gastroenterite è entrata in coma. È iniziato tutto due anni fa, quando le hanno diagnosticato una Encefalomielite acuta disseminata. Silvia è rimasta completamente paralizzata per quattro mesi. Poi ha iniziato a muoversi un po’, si spostava in sedia a rotelle, ma le gambe, la vescica e l’intestino erano paralizzate”. Mimma ci racconta come abbia girato molti ospedali per curare la figlia, “poi le hanno diagnosticato altre patologie molto rare che ho dovuto affrontare a spese mie. Fino a che non è entrata in coma a inizio aprile 2020. Dopo un mese non ce l’ha fatta più”. Il funerale di Silvia si è svolto a Lecce, nel piazzale del cimitero. Intervistata da Giulia Innocenzi per Iene.it, Mimma racconta quel giorno. “Nel rispetto del decreto per il contenimento del coronavirus, i presenti erano molto distanziati tra loro”, assicura. Una circostanza che emerge anche dal video del funerale, trasmesso in diretta Facebook da don Gianni Strafella, che ha officiato la celebrazione. “C’era una vigilessa che mi si è avvicinata e ha iniziato a chiedermi quanti invitati c’erano. Ho risposto che non c'erano invitati poiché non era una festa di compleanno ma il funerale di mia figlia di 31 anni. Nonostante fossimo tutti molto distanziati, continuava insistentemente a chiedere quanti invitati c’erano. Le prime 15 persone si sono messe ordinatamente nel piazzale davanti all’altare, quando sono arrivate altre cinque persone si sono messe a distanza praticamente di 200 metri, probabilmente non sentivano nemmeno”. Infatti, per evitare assembramenti, il massimo consentito di presenti a una celebrazione funebre è di 15 persone. “La vigilessa però ha iniziato a conteggiare anche il prete e quelli che lavoravano per le pompe funebri. Il prete non poteva quindi iniziare a celebrare la messa, con tutte le domande insistenti che faceva la vigilessa. Abbiamo iniziato con 20 minuti di ritardo per questo motivo. Ci voleva un po’ di umanità verso una madre che sta piangendo e soffrendo di fronte alla bara di sua figlia. Io non avrei voluto tutto questo frastuono per la morte di mia figlia Silvia. Volevo celebrare con serenità qual momento, che era l’ultimo addio alla mia piccola creatura che ha già sofferto tanto in vita. Ma per colpa di una sola vigilessa non si è potuto celebrare serenamente. Io ora esigo delle scuse, se non dalla vigilessa, almeno da parte del sindaco di Lecce”. Il sindaco di Lecce, Carlo Salvemini, si è espresso sulla vicenda e in un post su Facebook ha sottolineato che “la cerimonia non è stata interrotta dall’arrivo del Personale della Polizia Locale. Non sono stati presi i nomi e cognomi ai presenti. (...) Gli agenti in servizio, di fronte a presenze superiori a quelle consentite dall’attuale normativa (15 persone), hanno verificato che il resto delle persone potesse comunque stazionare, anche se a distanza di sicurezza”. E conclude: “Per queste ragioni - sulla base dei dati oggettivi acquisiti – il Comandante della Polizia Locale non ha ritenuto di avviare un procedimento disciplinare nei confronti delle agenti presenti domenica pomeriggio. Perché hanno agito a tutela della salute pubblica, pur trovandosi in un contesto difficile”. Il sindaco sottolinea inoltre di aver “personalmente chiamato la signora Mimma per esprimere cordoglio e comprensione umana”. "Non è accettabile che avvenga tutta questa persecuzione durante la celebrazione della messa del funerale di mia figlia", scrive mimma sui social in una lettera indirizzata al sindaco. Ma ormai quel che è fatto è fatto e adesso Mimma chiede solo una cosa: “voglio delle scuse pubbliche, non chiedo altro”. Così abbiamo provato a chiamare in diretta il sindaco di Lecce, ma purtroppo non ha risposto.
Dagospia il 31 maggio 2020. Lettera di Sylvie Lubamba a Dagospia. Gentilissimi lettori di Dagospia, L'anno bisestile per me è al quanto importante e significativo; non solo perché cade ogni quattro anni, ma pure per il fatto che sono nata proprio il 29 febbraio. In questo tanto atteso 2020, dopo i festeggiamenti del mio dodicesimo compleanno (12×4=48anni) aspiravo ad un ulteriore miglioramento della mia carriera artistica sia televisiva che editoriale. La pandemia ha sconvolto le vite di tutti noi complicandole con le sue restrizioni che hanno portato ad un cambiamento nella quotidianità di ogni individuo. Mi ritengo una cittadina attentissima nel seguire le norme, specie dopo la mia difficile esperienza carceraria...ciò nonostante pure la sottoscritta è stata sanzionata, per non aver ottemperato alle disposizioni del Governo. Nel tardo pomeriggio del 25 marzo, mi trovavo nei pressi di alcuni esercizi commerciali di prima necessità quando una pattuglia della Guardia di Finanza mi fermò per un controllo: i due agenti contestavano la mia presenza in tale zona, in quanto, a loro dire, abbastanza lontano dalla mia abitazione...cercai di far comprendere che il negozio di cui avevo bisogno era situato solo ed esclusivamente in quel quartiere, ancora appartenente al mio distretto...niente da fare! Alla fine dovrò pagare una contravvenzione di € 206,00. Ho sempre avuto grande rispetto nei confronti delle forze dell’ordine, ma talvolta sono esageratamente fiscali. Grazie per l’attenzione, Sylvie Lubamba.
Le multe esagerate per il Covid19. In questo periodo in cui le regole vanno assolutamente rispettato per il bene comune, ci sono stati alcuni casi in cui l'esecuzione della legge è stata forse un po' esagerata. E' di questo che si parla a Live Non è la D'Urso. Roberta Damiata, Lunedì 25/05/2020 su Il Giornale. Se da un lato ci si lamenta degli assembramenti pericolosissimi per la ripartita del virus, dall’altra parte, ci sono state invece multe salatissime per i più svariati motivi. E’ di questo che si parla a "Live Non è la D’Urso", dove la scorsa settimana si è anche dibattuto a lungo della sanzione di Alda D’Eusanio, fatta perché non indossava correttamente la mascherina dentro un bar. Ma lei non è l’unica, c’è ad esempio Andrea Esposito, il titolare di un bar a cui sono stati fatti 400 euro di multa per una foto in cui non era stata rispettata la distanza sociale. Nei tre mesi di Lockdown sono state fatte circa 3 milioni di multe, ma in alcune di queste a volte esagerate come quella al titolare di una gelateria di Torino multato per la fila fuori dal locale, o come un papà in Veneto a cui è stata fatta una sanzione perché il figlio che portava in bicicletta non indossava fare la mascherine. L’ultimo caso, come raccontavamo sopra, arriva da Pordenone, dove un barista ha pagato una multa salata per aver fatto una foto dove tutti indossavano la mascherina ma tra di loro non c'era la distanza obbligatoria. Andrea Esposito il titolare del bar racconta cosa è successo: “Il giorno della riapertura, vengo chiamato da un giornale locale che voleva fare un servizio sulla ripartenza. Alla fine dell’intervista che ci hanno fatto, ci è stato chiesto di fare una foto a corredo dell’intervista nell’intervista. Noi ingenuamente l’abbiamo fatta, eravamo io, mio fratello e le due ragazze che lavorano in un bar. Avevamo tutte le mascherine, il bar era in sicurezza perché ci avevamo lavorato tanto nei giorni precedenti, ed inoltre noi tutti avevamo appena misurato la febbre. Nel pomeriggio c’è stato assembramento davanti al bar, e io stesso ho avvertito di questo fatto i vigili. La mattina dopo sono stato chiamato invece dal questore e mi è stata mostrata la foto che avevamo fatto per il giornale e sono stato multato per 400 euro”. In studio, oltre ad Alda D’Eusanio anche Carmelo Abate e Klaus Davi che si scontrano immediatamente visto che vedono la cosa in due modi diversi. Abate sostiene che ormai in Italia c’è uno stato di Polizia, mentre Klaus dice che le regole vadano rispettate. Tra i due interviene Alda D’Eusanio che in realtà sostiene che la ragione sia da entrambe le parti, visto che: "Le regole vanno applicate, ma fatte rispettare in modo umano". E proprio su questo ha da dire anche il barista estremamente deluso: "Mi chiedo se in Italia la legge è uguale per tutti, se basta una foto per creare scompiglio e mettere in discussione tutto, visto che dopo questa multa, è stato messo in discussione anche la correttezza delle modalità con cui era stato riaperto il bar”.
Alda D'Eusanio multata a Roma per la mascherina rotta: "Intanto i mafiosi escono dal carcere". Brutta e lunga disavventura per Alda D'Eusanio, multata a Roma perché la sua mascherina si è rotta mentre si trovava al bar. Per un'ora e mezzo la giornalista è stata fermata dalla Guardia di Finanza che effettuava i controlli. Francesca Galici, Venerdì 15/05/2020 su Il Giornale. Disavventura romana per Alda D'Eusanio, incappata nelle trame del nuovo regolamento della fase 2 per il contenimento del coronavirus. La popolare giornalista, opinionista fissa di Barbara d'Urso, pare sia stata multata dalla Guardia di Finanza mentre si trovava in un bar-panetteria per prendere un cappuccino. A raccontare i fatti è la stessa Alda, che in un lungo video di 10 minuti pubblicato su Instagram ha documentato in tempo reale tutto quanto è successo a pochi metri dalla sua abitazione. Questa mattina, pare che la giornalista si sia recata nel suo bar di fiducia, finalmente riaperto dopo due mesi di chiusura. Un cappuccino al bar per tanti italiani rappresenta un primo piccolo passo verso la riconquista della normalità e anche Alda D'Eusanio era intenzionata a riprendere le sue abitudini di sempre, prima di imbattersi nella pattuglia di finanzieri. "Sono appena uscita di casa, entro in un bar a prendere un cappuccino e tre agenti della guardia di finanza mi circondano perché la mia mascherina era appesa così, in quanto mi si era rotta", racconta la giornalista mostrando il laccio del dispositivo staccato dal pannello protettivo. "Un cittadino non è nemmeno più libero di uscire di casa e prendere un caffè, che si ritrova agenti della Guardia di Finanza che lo multano e lo sanzionano per il semplice fatto che non si è portato dietro la scorta di mascherine", dice Alda D'Eusanio in aperta polemica con quanto le stava accadendo. Nel mentre stava registrando il video, la giornalista si è trovata a discutere con gli agenti invitandoli a effettuare i controlli senza "far sentire vessati i cittadini." "Guardatevi alle spalle che non ci siano agenti della Guardia di Finanza", raccomanda Alda D'Eusanio guardando dritto in camera e rivolgendosi al suo ampio parterre di follower. La giornalista alza quindi i toni della sua accusa, mentre inquadra la centralissima piazza del Morettino, nel cuore di Roma: "Inseguono i cittadini che non sono più liberi neanche di entrare in un bar, di avere la mascherina che si è leggermente cosata. In tre, e noi paghiamo. Non arriva la cassa integrazione, non arrivano i 600 euro, non arrivano gli aiuti, ma arrivano tre agenti a multare perché ti si è rotta la mascherina." Quella di Alda D'Eusanio sembra sia stata una vera Odissea, visti i tempi di notifica. La giornalista dichiara nei video di aver aspettato ben un'ora e mezzo prima di ricevere la sanzione da parte della Guardia di Finanza. "I mafiosi sono stati rimandati a casa per il coronavirus, io vengo detenuta in piazza per un'ora e mezza. Naturalmente è stato vessato anche il bar, e sto ancora aspettando", dice la giornalista riprendendo la vettura e gli agenti intenti a verbalizzare. "Io posso difendermi ma un normale cittadino che fa? Mi fanno una multa di 400 euro, posso pagarla, ma un poveraccio che non ha avuto i 600 euro e tutto il resto e gli fanno una multa da 600 euro solo perché gli si è rotta la mascherina mentre era dentro al bar, ma che fa? Vi sembra normale? Questa cosa io la faccio per difendere tutti i cittadini che non possono difendersi", accusa Alda D'Eusanio mentre i finanzieri pare fossero all'interno del bar a interrogare la proprietaria, come dichiarato da Alda D'Eusanio. "Non dovete spaventarci se entriamo in un locale pubblico e si rompe la mascherina. Non potete fare questo, le forze dell'ordine le paghiamo perché ci proteggano, non perché ci spaventino. Le paghiamo perché ci tutelino e perché ci tolgano le paure", ha concluso Alda D'Eusanio. Pare che la Guardia di Finanza abbia chiesto i filmati di videosorveglianza al titolare del locale per verificare le parole della giornalista. "Come se io fossi una rapinatrice", ha commentato Alda D'Eusanio.
Dagospia il 16 maggio 2020. Nella mattinata di ieri, 15 maggio, intorno alle 11, una pattuglia del Comando Provinciale di Roma della Guardia di Finanza, nel corso dello svolgimento di un servizio relativo al contenimento dell’emergenza sanitaria in atto, nei pressi di Via del Pellegrino 129, ha rilevato che una persona stava all’interno di un esercizio commerciale senza indossare correttamente la mascherina. Dopo ripetuti inviti ad indossare il dispositivo di protezione nella maniera corretta a fronte del suo rifiuto, i militari operanti, solo dopo numerose sollecitazioni a declinare le proprie generalità, hanno successivamente identificato l’autrice della violazione in Alda D’Eusanio e proceduto a verbalizzare l’inadempienza all’art. 3, comma 2 del D.P.C.M. del 26.04.2020. Nel verbale, la Sig.ra D’Eusanio ha dichiarato che “Era dovuta alla rottura dell’elastico di sostegno della mascherina, avvenuto all’interno del locale” richiedendo in maniera specifica che quanto da lei dichiarato fosse “Rilevabile anche dai presenti al bar”. In realtà, come sin da subito constatato dai militari, la mascherina era perfettamente integra e si sarebbe rotta solo in seguito all’esterno del locale, durante le operazioni di identificazione. Più tardi, in relazione a tale affermazione, i Finanzieri sono rientrati all’interno dell’esercizio commerciale allo scopo di assumere a verbale le dichiarazioni dei presenti che hanno confermato che la Sig.ra D’Eusanio, non indossava il dispositivo di protezione all’interno dell’attività commerciale. Si conferma pertanto la piena legittimità in punto di fatto e di diritto dell’operato dei militari del Corpo precisando che, solo in un secondo tempo, è intervenuta un’ulteriore pattuglia visto il crescere sul luogo del numero di persone presenti e il comportamento messo in atto dalla Sig.ra D’Eusanio volto a spettacolarizzare l’accaduto. Si ricorda, infine, che, entro 30 giorni dalla contestazione della violazione, è data facoltà al trasgressore di far pervenire scritti difensivi e documenti al Prefetto di Roma o, in alternativa, chiedere di essere sentito.
Alda D'Eusanio e la mascherina "Così è scatta la maxi-sanzione". Alda D'Eusanio smentisce il verbale della Guardia di Finanza, in cui si dice che lei non indossava la mascherina e per questo è stata sanzionata. Roberta Damiata, Domenica 17/05/2020 su Il Giornale. “Loro dicono bugie”, dice un’arrabbiatissima Alda D’Eusanio ospite a “Live non è la D’Urso”. “Io ho documentato tutto con il video, perché noi cittadini abbiamo i telefonini e in caso riprendete sempre tutto”. Inizia così una lunga diatriba tra la presentatrice balzata questa settimana agli onori della cronaca, per essere stata multata per 400 euro trovata sprovvista di mascherina in un bar. “Io sono entrata con la mascherina - dice lei- Quando ero dentro la mascherina si è rotta io ho cercato di aggiustarla, ma non sono riuscita così l’ho lasciata così -dice mostrando la mascherina penzolante sul viso -anche perché c’era un metro e mezzo tra e e il barista. Ad un certo punto mi mi sento chiamare e mi giro ed era la Guardia di Finanza. ‘Lei deve mettere la mascherina’ - mi è stato detto. Io pensando che fosse uno scherzo ho cercato di alleggerire, e quando hanno chiesto le generalità io ho risposto: “Sono Giovanna d’Arco”. Non avevo con me i documenti, e mentre andavo a prenderli ho sentito che i poliziotti erano al telefono e dopo poco sono arrivate tre volanti della Guardia di Finanza e mi hanno tenuto per un’ora e mezza, facendomi poi la multa. Ma non solo, più tardi sono arrivate altre pattuglie chiedendo di requisire anche i filmati di registrazione del bar". Viene poi mandata in onda la versione della Guardia di Finanza scritta sul verbale: “Nella mattinata di ieri - si legge - intorno alle 11, una pattuglia del Comando Provinciale di Roma della Guardia di Finanza, nel corso dello svolgimento di un servizio relativo al contenimento dell’emergenza sanitaria in atto, nei pressi di Via del Pellegrino 129, ha rilevato che una persona stava all’interno di un esercizio commerciale senza indossare correttamente la mascherina. Dopo ripetuti inviti ad indossare il dispositivo di protezione nella maniera corretta a fronte del suo rifiuto, i militari operanti, solo dopo numerose sollecitazioni a declinare le proprie generalità, hanno successivamente identificato l’autrice della violazione in Alda D’Eusanio e proceduto a verbalizzare l’inadempienza all’art. 3, comma 2 del D.P.C.M. del 26.04.2020. Nel verbale, la Sig.ra D’Eusanio ha dichiarato che “Era dovuta alla rottura dell’elastico di sostegno della mascherina, avvenuto all’interno del locale” richiedendo in maniera specifica che quanto da lei dichiarato fosse “Rilevabile anche dai presenti al bar”. In realtà, come sin da subito constatato dai militari, la mascherina era perfettamente integra e si sarebbe rotta solo in seguito all’esterno del locale, durante le operazioni di identificazione. Più tardi, in relazione a tale affermazione, i Finanzieri sono rientrati all’interno dell’esercizio commerciale allo scopo di assumere a verbale le dichiarazioni dei presenti che hanno confermato che la Sig.ra D’Eusanio, non indossava il dispositivo di protezione all’interno dell’attività commerciale. Si conferma pertanto la piena legittimità in punto di fatto e di diritto dell’operato dei militari del Corpo precisando che, solo in un secondo tempo, è intervenuta un’ulteriore pattuglia visto il crescere sul luogo del numero di persone presenti e il comportamento messo in atto dalla Sig.ra D’Eusanio volto a spettacolarizzare l’accaduto. E’ data facoltà al trasgressore di far pervenire scritti difensivi e documenti al Prefetto di Roma o, in alternativa, chiedere di essere sentito”. “Questa è una bugia- continua ad insistere Alda, perché loro sul verbale hanno scritto che la indossavo male... E poi dicono che non la indossavo”. Sulla vicenda interviene anche Gianluigi Nuzzi, che non è d’accordo con lei. “Le è stato detto più volte di indossare la mascherina, e lei avrebbe risposto: ‘io non la indosso perché sto bene di salute’. E tutte le cose che sto dicendo sono state confermate dagli avventori del bar. Addirittura, secondo alcune dichiarazioni avrebbe insinuando anche di conoscere personalità importanti della Guardia di Finanza. Io penso che se uno sbaglia e mette a rischio la sicurezza pubblica è giusto che sia punito. E noi abbiamo piene le scatole della gente che dice lei non sa chi sono io”. La cosa non viene presa bene dalla D’Eusanio che infastidita minaccia denunce e rifiuta anche l’invito di Barbara D’Urso a tornare la prossima settimana con i testimoni per cercare di capire dove sta la verità.
Ida Di Grazia per leggo.it il 18 maggio 2020. Gianluigi Nuzzi "smaschera" Alda D'Eusanio: «Volevi fare la furbetta, siamo stufi di te». Nei giorni scorsi Alda D'Eusanio è stata multata dai militari della Guardia di Finanza di 400 euro mentre era in un bar a Roma a causa di una presunta mascherina rotta. A Live non è la D'Urso il giornalista si è scagliato duramente contro la D'Eusanio. Gianluigi Nuzzi prima su Instagram poi in diretta a Live non è la D'Urso si è espresso duramente sulla multa della D'Eusanio a causa di una mascherina rotta. Sulla storia della presunta mascherina rotta, Alda D'Eusanio aveva già parlato da Marco Liorni a Italia sì, anche in questo caso il dibattito si è acceso. Il giornalista su Instagram ha riassunto i verbali della Guardia di Finanza scrivendo così: «I finanzieri interrogano il gestore del locale e i dipendenti: tutti confermano che la mascherina non era rotta, che la D’Eusanio l’ha regolarmente indossata dopo le prime contestazioni e che l’avrebbe rotta fuori dal locale prima di girare il video dove fa la vittima. Fosse cosi... che vergogna!!!!». In diretta dalla D'urso il conduttore di Quarto Grado ha sottolineato: «Quando noi personaggi pubblici commettiamo un errore dobbiamo pagare come gli altri, stare zitti e scusarci. Ci sarebbero dei verbali e delle persone che hanno visto la signora D’Eusanio senza mascherina Se uno sbaglia è giusto prendere la multa. Non è possibile che la mascherina si sia rotta nel momento in cui la Guardia di Finanza è entrata nel bar. Doveva tornare a casa e non dire ‘lei non sa chi sono io’. Volevi fare la furbetta dicendo di conoscere nomi di alti ufficiali della Guardia di Finanza, Siamo stufi di te». La D'Eusanio non ci sta e contrattacca: «Ho il video, non ne voglio più parlare, ora partono solo le denunce».
Alda d’Eusanio e la mascherina: Giovanna d’Arco o Marchesa del Grillo? Alessandro Butticé su Il Riformista il 18 Maggio 2020. «Mi dispiace, ma io so’ io e voi non siete un c…!», è la battuta cult e distintiva del Marchese del Grillo. E alla Marchese del Grillo maniera, qualche giorno fa, una signora della TV ha forse rischiato di dare l’impressione di poter essere più uguale degli altri cittadini di fronte alla legge. Cittadini che, sembra numerosi, sarebbero stati spettatori del suo “sbeffeggiare” una pattuglia di finanzieri che, nel corso dello svolgimento di un servizio relativo al contenimento dell’emergenza sanitaria in atto, l’avevano vista senza la mascherina in un bar nel centro di Roma, e quindi invitata ad indossarla. I cittadini avrebbero potuto credere di essere ancora nella Roma papalina del Marchese del Grillo. O in quella di Gioacchino Belli, dal cui sonetto “Li soprani der monno vecchio” viene la frase cult pronunciata dal grande Alberto Sordi, interprete del celebre film. Quando il commissario di polizia lo libera – lui Marchese del Grillo – da un servile poliziotto che lo aveva arrestato assieme ad altri balordi. E che per questo sarà condannato sul posto dal suo commissario a “due mesi di prigione”, poi raddoppiati a “quattro mesi di prigione”, perché “non aveva riconosciuto il Signor Marchese”. Ma i tempi sono fortunatamente cambiati, e la Guardia di Finanza repubblicana non è la gendarmeria di Pio VII della Roma dell’inizio XIX secolo. I finanzieri non potevano quindi tollerare, peraltro di fronte ai numerosi testimoni, il rifiuto all’invito a rispettare la legge. Ma neppure la risposta della signora, alla loro richiesta delle generalità, di essere “Giovanna d’Arco”. A nulla valendo la sua dichiarata conoscenza di alti generali della Guardia di Finanza, che non hanno affatto intimidito i militari. Mi riferisco al recente caso, piuttosto patetico, della mascherina della giornalista Alda D’Eusanio. Rimbalzato dalla sua videocronaca unilaterale su Youtube, Facebook e Instagramm, a quelle di RAI1, sabato pomeriggio e di Canale 5, a “Live non è la D’Urso”, domenica sera. L’intento del suo video, e della sua versione, che si può ascoltare sul web e su molti social, oltre che leggere su diversi giornali, sembra essere palesemente diffamatorio per l’attività di servitori dello stato che stavano facendo unicamente il loro dovere. Chiedendo di osservare le norme – che non sono state scritte da loro – dettate dall’emergenza pandemia. Norme che, non dimentichiamolo, sono a tutela della salute di tutti i cittadini. Ciò che più mi ha infastidito, nell’atteggiamento della signora, sicuramente inconsapevole di dare l’impressione di voler vestire i panni della Marchesa del Grillo, è stato quello di voler agire davvero come una Giovanna d’Arco. Dichiarandosi nel video a difesa dei “poveri cittadini oppressi” dai finanzieri vessatori che, “contrariamente a lei, che può permetterselo, non hanno i mezzi per pagare la sanzione di 400€ per non aver indossato la mascherina”. Sanzione che, dal comunicato delle Fiamme Gialle, solo dopo il rifiuto ai reiterati inviti ad indossarla, i finanzieri le hanno giustamente applicato. Almeno è questa l’idea che io, come molti degli spettatori televisivi, e commentatori sui social, mi sono fatto. Grazie anche ai commenti, pacati e fermi di Rita Dalla Chiesa su RAI 1, e quelli ancora più severi di Gianluigi Nuzzi su Canale 5, del comportamento della novella “Marchesa del Grillo”. Se le cose fossero davvero andate come la signora afferma nel suo video, in effetti, si sarebbe potuto riscontrare un’esagerazione da eccesso di zelo da parte dei finanzieri. E la mia prima reazione è stata infatti di viva sorpresa. Ma in epoca di fake dilaganti, di complottisti e terrapiattisti, non bisogna mai fermarsi alle apparenze o a verità unilaterali. Perché sull’onda di tanti agitatori che si ergono di questi tempi a portavoce del popolo, o genericamente “dei cittadini onesti”, a volte si nascondono solo interessi personali o di bottega, che rendendo il servizio alla collettività che si vorrebbe far credere. Collettività che è già stremata dalla pandemia, da una crisi economica epocale, e da norme che – lo riconosciamo – a volte possono anche apparire poco chiare e di non sempre facile applicazione. Da chi svolge per professione un’attività di informazione, e vuole e vuole essere personaggio pubblico, ci aspetteremmo la capacità di porsi come un modello ed anche un esempio. Con maggiore buonsenso, e forse anche maggiore onestà intellettuale. Grazie soprattutto alla trasmissione di Barbara D’Urso, ed ai commenti di un altro giornalista televisivo, Gianluigi Nuzzi, abbiamo quindi avuto una diversa versione dei fatti da quelli raccontati dalla novella Giovanna d’Arco. Quindi benissimo hanno fatto i finanzieri ad acquisire le registrazioni della video sorveglianza del locale e raccogliere le testimonianze dei numerosi presenti. Che permetteranno senza dubbio di chiarire la vicenda una volta per tutte. La D’Urso ha infatti mandato in onda la versione della Guardia di Finanza: “Nella mattinata di ieri – si legge nel verbale – intorno alle 11, una pattuglia del Comando Provinciale di Roma della Guardia di Finanza, nel corso dello svolgimento di un servizio relativo al contenimento dell’emergenza sanitaria in atto, nei pressi di Via del Pellegrino 129, ha rilevato che una persona stava all’interno di un esercizio commerciale senza indossare correttamente la mascherina. Dopo ripetuti inviti ad indossare il dispositivo di protezione nella maniera corretta, a fronte del suo rifiuto, i militari operanti, solo dopo numerose sollecitazioni a declinare le proprie generalità, hanno successivamente identificato l’autrice della violazione in Alda D’Eusanio e proceduto a verbalizzare l’inadempienza all’art. 3, comma 2 del D.P.C.M. del 26.04.2020”. Nel verbale, la Sig.ra D’Eusanio ha dichiarato che “Era dovuta alla rottura dell’elastico di sostegno della mascherina, avvenuto all’interno del locale” richiedendo in maniera specifica che quanto da lei dichiarato fosse “Rilevabile anche dai presenti al bar. In realtà, come sin da subito constatato dai militari, la mascherina era perfettamente integra e si sarebbe rotta solo in seguito all’esterno del locale, durante le operazioni di identificazione. Più tardi, in relazione a tale affermazione, i Finanzieri sono rientrati all’interno dell’esercizio commerciale allo scopo di assumere a verbale le dichiarazioni dei presenti che hanno confermato che la Sig.ra D’Eusanio, non indossava il dispositivo di protezione all’interno dell’attività commerciale. Si conferma pertanto la piena legittimità in punto di fatto e di diritto dell’operato dei militari del Corpo precisando che, solo in un secondo tempo, è intervenuta un’ulteriore pattuglia visto il crescere sul luogo del numero di persone presenti e il comportamento messo in atto dalla Sig.ra D’Eusanio volto a spettacolarizzare l’accaduto. È data facoltà al trasgressore di far pervenire scritti difensivi e documenti al Prefetto di Roma o, in alternativa, chiedere di essere sentito”. “Questa è una bugia – continua ad insistere la D’Eusanio, perché loro sul verbale hanno scritto che la indossavo male… E poi dicono che non la indossavo”. Sulla vicenda è intervenuto severamente Gianluigi Nuzzi, che ha precisato: “le è stato detto più volte di indossare la mascherina, e lei avrebbe risposto: "io non la indosso perché sto bene di salute". E tutte le cose che sto dicendo sono state confermate dagli avventori del bar. Addirittura, secondo alcune dichiarazioni avrebbe insinuando anche di conoscere personalità importanti della Guardia di Finanza. Io penso che se uno sbaglia e mette a rischio la sicurezza pubblica è giusto che sia punito. E noi abbiamo piene le scatole della gente che dice lei non sa chi sono io”. La cosa, secondo Il Giornale, non è stata presa bene dalla D’Eusanio che infastidita minaccia denunce e rifiuta anche l’invito di Barbara D’Urso a tornare la prossima settimana con i testimoni per cercare di capire dove sta la verità. Se i fatti sono andati come raccontati a Canale5 – e personalmente non ho dubbi di sorta, anche perché sembra essere stato confermato da numerosi testimoni, e immagino lo sarà anche dalle riprese della video sorveglianza – non possiamo che rallegrarci della professionalità dei militari della Guardia di Finanza. Che oltre a fare il proprio dovere, nel rispetto delle norme a tutela della salute di tutti, compresa quella della signora D’Eusanio e del barista, hanno evitato che i numerosi presenti all’evento, diventato piuttosto plateale (come può vedersi dal video) e spettacolarizzato dalla signora, potesse dare l’impressione che la presunta celebrità della giornalista le garantisse l’impunità a fronte di un’infrazione della legge e ad un comportamento che sicuramento non può considerarsi collaborativo con i finanzieri, che l’avevano semplicemente invitata ad indossare la mascherina. E benissimo hanno fatto, di fronte a questi atteggiamenti, a fare intervenire un’ulteriore pattuglia, per la raccolta delle testimonianze. Alla tristezza per un comportamento che, proprio perché tenuto da una persona che, come da lei stesso affermato, dovrebbe soffrire meno di altri la situazione di disagio delle fasce più deboli, e che quindi ci sembra essere meno giustificato dalle indubbie prove psicologiche cui i cittadini sono soggetti da mesi, si aggiungono però due motivi di soddisfazione. Il primo, è quello di avere avuto conferma che, grazie a Dio, siamo ancora in uno Stato di diritto. Dove tutti sono uguali di fronte alla legge e nessuno è “più uguale degli altri”. E dove anche una presunta celebrità che non ha il buon senso di scusarsi e di indossare come tutti la mascherina, può essere verbalizzata. Senza timore da parte dei verbalizzanti delle sue vere o millantate conoscenze di loro vertici. E che comunque avrà la garanzia di tutte le presunzioni di innocenza del caso, assieme alla possibilità di difendersi davanti al Prefetto di Roma in via amministrativa. Ma potrà farlo anche sul piano penale, in caso necessario, visti gli sviluppi poco sensati della vicenda. La seconda è che, seppure con i consueti garbo e correttezza istituzionali, le Fiamme Gialle, anche attraverso un comunicato del Sindacato Nazionale Finanzieri, hanno tempestivamente dato la loro versione dei fatti. Evitando così che la giornalista, approfittando della propria visibilità mediatica, utilizzando anche il servizio pubblico della RAI, fosse la sola a poter fornire la propria versione dei fatti. Rischiando di generare nei cittadini le stesse perplessità che io stesso ho avuto all’ascolto del suono rumoroso della sua sola campana. La Guardia di Finanza così facendo, seppure al prezzo del tempo sottratto a compiti più delicati nell’interesse dei cittadini, non ha solo difeso la sua onorabilità e professionalità. Che è fuori discussione. Ha svolto un altro grande servizio: quello dell’informazione come servizio per i cittadini. Che hanno il diritto di sapere che sono davvero finiti i tempi del Marchese del Grillo. Che gli italiani amano vedere, e riderne, solo al cinema.
Paolo Bracalini per “il Giornale” il 13 maggio 2020. A quasi tre mesi dall' inizio della pandemia si può dire che l' unica cosa che abbia funzionato veramente in Italia sono stati i controlli per multare chi esce di casa. Le mascherine non ci sono (grazie al genio di Arcuri, il commissario alla sparizione delle mascherine), i posti in terapia intensiva sono pochi, i tamponi si fanno con il contagocce, dei tracciamenti neppure a parlarne, i soldi per aziende, autonomi e cassintegrati sono un miraggio, gli aiuti alle famiglie altrettanto, in compenso la macchina sanzionatoria funziona alla grande. Il governo (per la precisione il ministro dell' Interno, con una direttiva ai prefetti in seguito al Dpcm annunciato da Conte l' 8 marzo, la famosa notte dell' assalto ai treni per lasciare la Lombardia) ha messo in campo un apparato di mezzi e agenti mai visto prima: elicotteri, droni, satelliti, posti di blocco, agenti in borghese, volanti sguinzagliate ovunque, fuoristrada per pattugliare le spiagge, forze aeronavali all' opera per catturare chi si fa un giro in canoa. Se si dispiegasse questo esercito per contrastare la delinquenza, l'Italia sarebbe probabilmente il Paese più sicuro al mondo. Con i cittadini «colpevoli» di fare una corsa o di prendere il sole al parco, invece, lo Stato italiano si è dimostrato inflessibile e occhiuto. E infatti i numeri sono da record, o meglio da Stato di polizia. Un report del Viminale certifica che dall' 11 marzo all' 11 maggio sono stati controllati quasi 14 milioni di italiani (13.877.487 per l' esattezza). In sostanza un italiano su quattro è stato fermato da forze dell' ordine o vigili. Sono stati sanzionati in 321.255, altre 115mila persone sono state denunciate per non osservanza di provvedimenti amministrativi (art. 650 codice penale). Le denunce penali ex art. 650 cp sono state poi sostituite dalla sanzione amministrativa pecuniaria di 200 euro. Poi ci sono gli esercizi commerciali. Ne sono stati controllati 5.362.460, sanzionati 9.179, mentre oltre 1500 sono stati fatti chiudere dalle forze dell' ordine sempre per il mancato rispetto delle misure di contenimento disposte dal premier Conte e dai suoi (molti) consiglieri. Il tutto per un «bottino» complessivo di quanto? Facciamo due calcoli. L' importo minimo della sanzione previsto dal dl «Misure urgenti per fronteggiare l' emergenza epidemiologica da COVID-19» è di 400 euro, che possono però arrivare fino a 3mila euro. In più, si legge all' articolo 4, «se il mancato rispetto delle predette misure avviene mediante l' utilizzo di un veicolo le sanzioni sono aumentate fino a un terzo». Se però, come per le multe del codice della strada, si paga entro 30 giorni, si ha uno sconto e la sanzione diventa di 280 euro. Calcolando la sanzione standard di 400 euro, cioè non l' importo più alto ma neppure quello ridotto, e aggiungendo le sanzioni da 200 euro per le denunce ex art. 650 cp, viene fuori un incasso totale già di tutto rispetto: circa 150 milioni di euro. Certo ci saranno molti che cercheranno di non pagarle, o faranno ricorso (già diversi studi legali hanno proposto class action per farle annullare). Ma parliamo solo delle sanzioni fatte finora, c' è ancora tutta la fase 2 da multare, ci sono i bar e ristoranti con le assurde regole di distanziamento dei tavoli, quelle per chi va in spiaggia. Si prevede insomma un' estate povera per gli italiani, ma molto ricca di verbali. A chi vanno questi soldi? La fetta maggiore se la prende lo Stato, perché sono violazioni di una legge emanata dallo Stato, a Regioni e Comuni vanno invece gli importi dovuti alla violazione di provvedimenti e ordinanze regionali e comunali. Una selva di regole, spesso poco chiare, cambiate più volte come è successo per i cinque diversi modelli di autocertificazione. Sanzioni poi comminate anche in casi limite, a volte senza pietà. Fioccano sul web le guide per difendersi e fare ricorso, alcuni avvocati si fanno promotori di class action e assistenza legale gratuita per gli italiani. Abbandonati dallo Stato quando li deve aiutare, controllati a vista dallo stesso Stato quando li deve multare.
Tetto multe a mille euro. I poliziotti umiliati: "Usati come una milizia". Giù le sanzioni con l'emendamento Baldelli (Fi). Gli agenti: "Basta perseguitare la gente". Chiara Giannini, Giovedì 14/05/2020 su Il Giornale. La rabbia dei poliziotti corre sulla rete. Costretti a multare la gente in strada per garantire l'osservanza delle norme anti Covid, anziché svolgere la mansioni a cui sono stati addestrati. È lo staff del sito «Poliziotti.it» a descrivere la situazione. Intanto fioccano multe assurde. Una buona notizia c'è, tuttavia: alla Camera passa all'unanimità un emendamento di Simone Baldelli (Fi), che rivede il tetto delle multe. Passa così da 3mila a mille euro la sanzione massima per chi non rispetti le limitazioni imposte dal lockdown. Il tetto minimo resta di 400 euro. Ma i poliziotti sono furibondi: «Se quando abbiamo scelto di arruolarci nella Polizia ci avessero detto che un giorno ci sarebbe toccato agire come cani da pastore - si legge - o, peggio, da guardia di una sorta di muro di Berlino, ci saremmo fatti grasse risate. Invece, a distanza di oltre trent'anni (e già, chi scrive non è una Giacca blu di primo pelo, siamo abbastanza adulti e con una certa esperienza) è proprio quello che sta accadendo e siamo increduli, attoniti». E proseguono: «Certo, sapevamo benissimo che fare questo lavoro comporta (anche) essere invisi, sapevamo che non andavamo incontro a scrosci di applausi come rockstar; indossare la Giacca blu non è da tutti e non è per tutti, sono più i rospi da ingoiare che i riconoscimenti per i quali gioire, ma sapevamo che era nel conto. Quello che non è nel «contratto» stipulato col giuramento fatto alla Repubblica e alla Costituzione è agire, operare fuori (se non addirittura contro) i suoi dettami». E ancora: «Per mesi e mesi, durante il corso di addestramento e formazione, ci sono stati ribaditi certi principi che abbiamo assimilato. Ma oggi? Oggi ci ritroviamo in una situazione in cui siamo stati trasformati in una quasi milizia, costretti a persegui(ta)re i nostri concittadini non appena osano mettere il naso fuori dalla loro abitazione, a «chiedergli» di certificare la legittimità dei loro movimenti e decidere se sono plausibili o meno, da ultimo persino a valutare se e quali sono i loro congiunti! A questo siamo stati ridotti noi eredi del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza»? Parlano quindi di «giacca blu ridotta come uno straccio, oltraggiata e svilita senza che nessuno osi opporsi a questo scempio». Alla fine lo sfogo: «Siamo stufi di doverci scontrare quotidianamente con persone che hanno perso il lavoro, non hanno sostentamento, con famiglia a carico che non sanno più come mantenere. Siamo consapevoli della situazione emergenziale a causa del Covid19, ma ancor più lo siamo dell'assurdità di certi provvedimenti amministrativi e di certe (deliranti) ordinanze emesse dalle autorità locali». I casi di multe fatte in questi giorni a cittadini che rischiano di finire sul lastrico spesso in modo ingiusto sono moltissimi. Gente che cerca di convivere con le restrizioni, presa di mira senza la minima sensibilità da parte di chi è deputato a fare i controlli. Ha fatto discutere la storia di un barista di Torino, sanzionato per aver consegnato tre caffè al direttore del Monte Pegni e a due poliziotti impegnati in un servizio di ordine pubblico in via Botero. Quattrocento euro, l'incasso di una settimana intera di lavoro. A Milano una avvocato s'è calata la mascherina dalla bocca per qualche minuto per rispondere al telefono in una strada deserta, andando al lavoro. Sanzione. A Frignano, invece, la Polizia municipale ha verbalizzato 4 sanzioni a una famiglia residente a Fiumalbo, rea di avere pranzato insieme invece che nella propria abitazione, nell'albergo di famiglia. Dovranno pagare 1.636 euro per non aver mantenuto le distanze di sicurezza. L'hotel era regolarmente chiuso al pubblico ed era l'unica sede dove c'era la linea Adsl per far studiare le figlie on line. La denuncia arriva dal senatore leghista Stefano Corti. Multa di 400 euro a testa anche a due persone trovate a mangiare una brioche fuori da una pasticceria di Treviso. Caso eclatante anche quello del disabile sorpreso a fare la pipì per strada perché tutti i bar di Sale Matassino, nel Bresciano, erano chiusi. Per lui oltre 3mila euro di sanzione.
Coronavirus, poliziotti contro il governo: “Stufi di perseguire gli italiani". Affaritaliani.it Martedì, 12 maggio 2020. "Se quando abbiamo scelto di arruolarci nella polizia ci avessero detto che un giorno ci sarebbe toccato agire come cani da pastore o, peggio, da guardia di una sorta di Muro di Berlino, ci saremmo fatti grasse risate". Così comincia il post di un agente sul forum Poliziotti.it. "Invece, a distanza di oltre trent’anni - continua il post - (e già, chi scrive non é una GiaccaBlu di primo pelo, siamo abbastanza adulti e con una certa esperienza) è proprio quello che sta accadendo e siamo increduli, attoniti. Certo, sapevamo benissimo che fare questo lavoro comporta (anche) essere invisi, sapevamo che non andavamo incontro a scrosci di applausi come rockstar; indossare la GiaccaBlu non è da tutti e non è per tutti, sono più i rospi da ingoiare che i riconoscimenti per i quali gioire, ma sapevamo che era nel conto". "Quello che non è nel “contratto” stipulato col giuramento fatto alla Repubblica e alla Costituzione è agire, operare fuori (se non addirittura contro) i suoi dettami. Per mesi e mesi, durante il corso di addestramento e formazione, ci sono stati ribaditi certi principi che abbiamo assimilato (non che ce ne fosse bisogno, la coscienza democratica era ben radicata in tutti noi, esclusi quelli che in certe riunioni sindacali usavano introdurre i loro interventi con “carissimi amici, colleghi, compagni”!)". "Ma oggi? Oggi ci ritroviamo in una situazione in cui siamo (stati) trasformati in una quasi-milizia, costretti a persegui(ta)re i nostri concittadini non appena osano mettere il naso fuori dalla loro abitazione, a “chiedergli” di certificare la legittimità dei loro movimenti e decidere se sono plausibili o meno, da ultimo persino a valutare se e quali sono i loro congiunti! A questo siamo stati ridotti noi eredi del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza? A questo è ridotta la nostra istituzione? La nostra gloriosa GiaccaBlu come uno straccio, oltraggiata e svilita senza che nessuno osi opporsi a questo scempio?. La nostra polizia, che negli ultimi 30 anni ha retto l’urto dei maniaci del federalismo tout court che la volevano smantellata e (sotto)posta ai sindaci negli anni ’90? No! Così non va bene! Non ci sta bene! Basta! Non siamo disposti a farci mettere in svendita, la GiaccaBlu non è un orpello, ha un valore intrinseco, non può essere messa in svendita o in saldo. Se così è, lo si dica chiaramente, se si ha il coraggio. Siamo stufi di doverci “scontrare” quotidianamente con persone che hanno perso il lavoro, non hanno sostentamento ma famiglia a carico, che non sanno più come mantenere. Siamo consapevoli della situazione emergenziale a causa del Covid19, ma ancor più lo siamo dell’assurdità di certi provvedimenti amministrativi e di certe (deliranti) ordinanze emesse dalle autorità locali. Ci siamo espressi contro l’utilizzo dei droni (una follia) per la caccia all’uomo, utili e strumentali solo ed esclusivamente alle manie di protagonismo di alcuni sindaci scatenati in una gara a chi è più realista del Re (altro prodotto di una politica stupida e insensata sulla gestione della sicurezza pubblica). Siamo uomini, donne, mariti, mogli, padri, madri; molti viviamo il dramma della chiusura di piccole attività che contribuivano a farci arrivare a fine mese senza eccessivi patemi d’animo. E siamo testimoni dello stesso identico dramma che moltissimi nostri concittadini stanno vivendo, delle lacrime che versano e dell’angoscia che li pervade ogni volta che procediamo a un semplice controllo. Vi sembra normale tutto ciò? Non vogliamo essere “congiunti” di uno Stato Etico in stile Ddr, non vogliamo essere complici di questo sfascio sociale. Ne prendano atto, coloro che vivono nelle loro torri d’avorio. La vostra ignavia sta mettendo in serio pericolo la coesione sociale. (”Congiunti di uno Stato etico? No, grazie!”, post apparso il 3 maggio 2020 sul forum “Poliziotti.it”, seguito dallo slogan “IoNonSanziono” e dall’hashtag #FedeleAllaCostituzione. “Poliziotti.it” è nato nel 2001 da una intuizione di Salvatore Baiocchi all’indomani dei fatti di Genova, come portale non istituzionale e asindacale per favorire il dialogo democratico tra poliziotti e cittadini)".
L'ordinanza 42 della Campania permette anche l'attività sportiva. “Agenti non conoscono l’ordinanza, multa di 533 euro per una passeggiata”: la denuncia del giornalista. Antonio Lamorte su Il Riformista l'11 Maggio 2020. Con la paletta gli hanno fatto segno di accostare sulla strada che dall’Ospedale Cardarelli porta ai Colli Aminei, Napoli Nord. Lui si è fermato e ha fornito i documenti. Insieme con la motivazione che lo aveva portato a uscire: una passeggiata, consentita dalle disposizioni della Fase 2 dell’emergenza coronavirus. Ma non secondo gli agenti. Niet, hanno risposto quelli e alla fine di un lungo controllo, durato quasi un’ora, hanno spiccato il verbale: 533 euro. Antonio Esposito non si è nemmeno agitato, per niente innervosito, racconta a Il Riformista. Troppo lo sconcerto per la vicenda che lo ha visto protagonista domenica sera e per la quale ancora non riesce a darsi una spiegazione. Se non quella che gli agenti non fossero a conoscenza delle ordinanze emesse dalla Regione Campania. E quindi Esposito, giornalista, speaker di Radio Crc, racconta: “Ero in macchina da solo, stavo andando a fare una passeggiata nella pineta dei Colli Aminei. Proprio per evitare assembramenti, come quelli che si sono visti in questi giorni al Lungomare, per esempio”. Viene fermato allora a un posto di blocco della polizia. Fornisce i documenti tra i quali c’è anche il tesserino da giornalista professionista. “Avrei potuto dire – argomenta – che stavo uscendo per andare a fare un servizio, per lavoro, visto che a noi cronisti è permesso. Ma ho detto che uscivo per fare una passeggiata. La verità”. Il controllo dura una quarantina di minuti. Strano. Quando Esposito chiede spiegazioni gli agenti gli comunicano di essere in contravvenzione. E perché? “Lei non può andare a fare questa passeggiata”. Come sarebbe a dire? L’ordinanza 42 del 2 maggio 2020 di Palazzo Santa Lucia prevede che fino al 17 maggio 2020, su tutto il territorio regionale, “è consentito svolgere attività motoria all’aperto, ove compatibile con l’uso obbligatorio della mascherina (dispositivo di protezione individuale di cui all’art.16 del decreto legge n.18/2020), in forma individuale, ovvero con accompagnatore, per i minori e le persone non autosufficienti, comunque con obbligo di distanziamento di almeno due metri da ogni altra persona”. E che “nella fascia oraria dalle ore 6,00 alle ore 8,30, è consentito, nelle aree pubbliche ed aperte al pubblico, svolgere attività sportiva”. Volendo un napoletano potrebbe andare a passeggiare ad Amalfi, a correre sul Lungomare di Salerno, a saltare la corda di fronte alla Reggia di Caserta. Esposito prova a ricordarlo agli agenti che non fanno una piega. “E non solo – continua – mi hanno anche detto che non avrei potuto allontanarmi dalla mia abitazione, dal mio Comune”. Alle ulteriori rimostranze gli agenti comunque non sentono ragioni: spiegano che si sono informati, che hanno fatto delle telefonate. Ma comunque spiccano la contravvenzione. E poi compilano loro stessi l’auto-certificazione. “Gli ho chiesto di poterla modificare, aggiungere i dettagli che ritenevo opportuni. Ma me lo hanno impedito e quindi non ho firmato né l’autocertificazione né il verbale”. Il giornalista farà ricorso: prima in auto-tutela presso il commissariato di riferimento e poi se necessario in Prefettura. “Prima di andare via ho chiesto loro di informarsi per i prossimi”, aggiunge.
Dipende tutto da chi ti ferma. Invececonchita su La Repubblica l'8 maggio 2020. Emanuel Muroni, 27 anni, dottorando di Architettura ad Alghero, Università di Sassari. "Sono un ragazzo italiano, vivo in Sardegna. Mi trovavo in Giappone, insieme alla mia compagna, per motivi di studio quando è scoppiata l'epidemia in Cina. Dopo poche settimane dal rientro, l'emergenza è esplosa anche in Italia. Inizialmente abbiamo deciso che la mia compagna sarebbe rimasta da me, a Olbia. Sembrava la scelta più prudente, per lei e per i suoi familiari in Messico, dove il coronavirus non si era ancora presentato". "Quando gli eventi sono degenerati anche in America Latina il rientro della mia compagna è diventato necessario. Dopo mille difficoltà abbiamo trovato una tratta disponibile da Cagliari a Città del Messico con 2 scali a Roma e Parigi. Sorge un problema: viviamo a Olbia, posso accompagnare la mia compagna a Cagliari per prendere l'aereo? A una prima lettura dei decreti sembrerebbe di sì. Per essere certi di essere nel giusto chiediamo alle istituzioni: ambasciata, Farnesina, Regione e Protezione Civile. La risposta sconcertante che ho ottenuto è: Tenga presente che dipende da chi la ferma". "Se il rappresentante delle forze dell'ordine sarà ben disposto andrà tutto bene, altrimenti potrei incontrare un agente sospettoso, che ritiene che la mia non è un'assoluta necessità, o che è solo la scusa per fare una gita. Sarei in balìa dell'arbitrarietà di chi mi ferma. Chiedo direttamente a polizia e carabinieri. Le risposte che arrivano sono intimidatorie e scortesi. Mi dicono che la mia compagna deve raggiungere Cagliari da sola". "Faccio notare che l'unico mezzo disponibile è un bus che parte alle 4.45 del mattino, e che il volo è previsto per le 15.30, e che questo la esporrebbe a un potenziale rischio contagio molto più alto. Alla fine abbiamo deciso di seguire quelle istruzioni". "Per un momento non ho avuto paura del virus. Ho avuto paura del sistema che avrebbe dovuto tutelarmi e proteggermi. Lo stesso sistema che non ha fatto altro che intimidirmi, scoraggiarmi e farmi prendere una decisione piena di rimorsi. Forse è il caso, se proprio non si ha il tempo di rendere meno interpretabili le limitazioni, di prendere coscienza del fatto che esistono condizioni particolari. Dove è il buon senso nell'intimidire e far passare più ore in luoghi rischiosi una persona?".
«È colpa di quelli come te se c’è il contagio!». Abusi in divisa e strategia del capro espiatorio nei giorni del coronavirus. Pietro De Vivo (con una postilla di Luca Casarotti). Pubblicato il 22.03.2020 da Wu Ming su wumingfoundation.com. Fino a venerdì 20 marzo, prima dell’annuncio della chiusura di tutte le attività produttive, ho continuato ad andare al lavoro, ovviamente rispettando tutte le precauzioni: abito sulla stessa strada dell’ufficio – a pochi numeri civici di distanza –, nei pochi metri che faccio a piedi non incontro nessuno, e in sede in quei giorni eravamo solo in due e ci tenevamo a distanza. Gli altri lavoravano già da remoto, veniva solo uno dei miei soci, che come me abita molto vicino e non vedeva praticamente nessun altro oltre al sottoscritto. Era ancora consentito dai decreti (il telelavoro era solo consigliato, non obbligatorio), e oltre a dover usare per forza macchine e software dell’ufficio, trovavo che andare in sede fosse anche una buona pratica: per separare il tempo del lavoro da quello del non lavoro, per prendere un po’ d’aria, vedere un po’ di luce, e scambiare due chiacchiere col mio collega. Vivendo solo con il mio coinquilino, in una casa molto piccola anche per due persone, rischio di impazzire. Ma ciò che a Roma di solito è un’enorme fortuna – abitare vicino a dove si lavora –, in tempi di quarantena e con le occasioni per camminare ridotte al minimo era diventato una prigione. Avevo preso allora l’abitudine, dopo aver staccato, di fare un giro largo per rincasare. Niente di che, neanche cinquecento metri, praticamente il periplo dell’isolato. Per noi in questi giorni paradossalmente il lavoro è più del solito, perché ci stiamo sbattendo per cercare in ogni modo di evitare pesanti danni economici alla casa editrice per via della chiusura delle librerie. Quindi spesso ho staccato tardi, tra le 18 e le 20. A quell’ora per strada non c’era quasi nessuno ed era facilissimo rispettare le distanze di sicurezza. Venerdì ero andato via particolarmente tardi, dopo le 20, e avevo iniziato il mio giro per rincasare. A metà strada, meno di duecento metri da casa, sono stato fermato da uno dei militari che presidiano da anni la zona della movida del quartiere. Mi ha chiesto dove stessi andando e ovviamente gli ho risposto che stavo tornando a casa. Ne è seguita una sfilza di domande tra cui da dove provenissi, che lavoro facessi, dove abitassi, se avessi l’autocertificazione (che non avevo, sapendo che il modulo può essere compilato anche durante il fermo), i documenti, ecc. Quando gli ho detto dove abitavo mi ha chiesto perché stessi andando nella direzione opposta (avrei svoltato al successivo incrocio per girare intorno all’isolato e tornare indietro) e quando gli ho risposto che approfittavo per fare due passi mentre tornavo a casa, mi ha subito detto che è vietato passeggiare. Da notare: gli avevo risposto che facevo due passi per tornare a casa dal lavoro, lui invece ha subito tirato fuori l’infausta parola su cui si stanno incrostando le peggiori criminalizzazioni: «passeggiata». Io ovviamente non ci son stato, gli ho detto che non è vietato passeggiare, ma che comunque stavo tornando a casa, ero in prossimità della mia abitazione, e che quindi era tutto consentito. Lui ha iniziato a insistere con toni sgradevoli e ad arrabbiarsi, fino a quando non sono arrivati gli altri cinque che con lui presidiavano la zona. Mi sono ritrovato letteralmente accerchiato, tra l’altro in un assembramento di persone che non rispettavano la distanza di sicurezza né tra me né tra loro.
Hanno prima iniziato a turno a insistere con la storia del divieto assoluto di uscire di casa, poi quando gli ho mostrato dal cellulare il testo del decreto del 9 marzo, smentendoli, hanno cambiato strategia, iniziando a farmi la morale e a colpevolizzarmi elencando tutti i frame tossici di questi giorni: «Se tutti facessero due passi le strade sarebbero affollate», «È colpa di quelli come te se c’è il contagio e la sanità è al limite», «Sei un irresponsabile». Per poi passare a insultarmi: «Noi vorremmo stare a casa e invece dobbiamo stare dietro ai deficienti come te che a casa non ci stanno e diffondono il contagio», «Rischiamo la vita per voi stronzi», e altro che non ripeto. Inutile spiegargli che io, a casa, ci stavo proprio andando, provenendo dal lavoro, e che ero in prossimità della mia abitazione. Non hanno voluto sentire ragioni, non mi hanno lasciato andare, tirando fuori anche una bizzarra teoria per cui le misure prevedono obbligatoriamente che in caso di spostamento, anche necessario, si debba fare il tragitto più breve dal punto A al punto B e che allungare anche solo di cinquanta metri è vietato. Ma ovviamente la cosa che li infastidiva di più, oltre il fare due passi, era l’orario. È stato vano spiegargli che se avevo staccato dopo le 20, e i miei legittimi dieci minuti d’ossigeno li stavo prendendo a quell’ora, rischiavo ancora meno di contagiare qualcuno perché la strada era deserta. Ragionavano come se ci fosse il coprifuoco e io lo stessi infrangendo. Siccome insistevo a dire che non stavo facendo niente di illecito, hanno chiamato i carabinieri per farmi denunciare. Sottolineo: non hanno detto che avrebbero chiamato le forze dell’ordine per controllare e, in caso, denunciare; hanno esplicitamente detto che le avrebbero chiamate per farmi denunciare. Non so perché abbiano chiamato i carabinieri e non la polizia, e ovviamente non so cosa si sono detti ma ho pochi dubbi che la versione fosse di parte per indisporli preventivamente. Tra la discussione con loro e l’attesa dei carabinieri sono passati più di tre quarti d’ora. Nel frattempo i militari hanno, nell’ordine:
fermato un senzatetto che camminava barcollando;
fermato un tipo di colore dando per scontato che spacciasse, per poi dirmi: «Vedi, se esci di casa è pericoloso, puoi trovare lui», e quando ho risposto: «Ma lui che c’entra?» mi hanno detto: «Non è razzismo, è che potete contagiarvi», con una excusatio non petita, accusatio manifesta che rivela una coda di paglia lunghissima;
guardato male tutti quelli che passavano col cane: «Questi cani sono diventati magrissimi a furia di uscire così spesso»;
obbligato una di due signore sudamericane che erano uscite col cane a tornare a casa perché lo si può portare a spasso solo da soli, anche se le signore vivevano palesemente insieme, essendo uscite dallo stesso portone, quindi comunque a contatto tutto il giorno;
infine, parlato male di chi va a correre: «Tutti atleti ora!».
Queste ultime cose a conferma che per loro non si trattava di rispettare o meno le misure, cosa è permesso e cosa no, ma di obbligare le persone a stare barricate in casa in spregio di ogni diritto. Poi è arrivata la volante coi due carabinieri che sono scesi rivolgendosi subito ai militari, ignorando le mie parole, per rivolgersi solo dopo a me, e subito con toni minacciosi, insultando e urlando. La discussione con loro è stata dello stesso tenore di quella già avuta coi militari, solo che sono stati addirittura ancora più minacciosi, gridando, e ponendosi a distanza ancora più ravvicinata, l’atteggiamento di chi ti urla letteralmente in faccia, e meno male che bisogna evitare il contagio. Oltre ad attribuirmi la colpa delle morti di questi giorni hanno concluso urlando: «Non devi uscire e basta. Devi stare chiuso in casa quaranta giorni!». E hanno iniziato a compilare la denuncia. Mentre i carabinieri scrivevano uno dei militari mi ha detto: «Hai visto? Se stavi zitto e chiedevi scusa andava tutto bene, hai voluto rispondere e fare storie? Così impari». Confessando di aver chiamato i carabinieri per denunciarmi non perché stessi infrangendo qualcosa, bensì perché avevo osato controbattere. Gli ho risposto che quindi non ero nel torto, non mi denunciavano per un illecito, mi stavano semplicemente facendo i dispetti. Lui ovviamente ha reagito male. Intanto i carabinieri avevano finito di compilare la denuncia, e anche un’autocertificazione in cui è scritto che alle 20:15 uscivo dal lavoro in via xxx per recarmi al domicilio in via yyy e che stavo passeggiando per tornare a casa. Tra l’altro, mi hanno impedito di compilarla da solo, lo hanno fatto loro e mi hanno obbligato a firmarla. Nell’ora e luogo del controllo c’è scritto «21:15», che in realtà è l’orario di quando hanno finito di redigere la denuncia, mentre i militari mi avevano fermato almeno un’ora prima. Scritto quindi apposta in quel modo per far sembrare che stessi camminando da un’ora. Hanno anche ovviamente specificato l’indirizzo presso il quale sono stato fermato, che dovrebbe dimostrare che per tornare a casa stavo facendo un giro troppo lungo. Dopo avermi fatto firmare la denuncia, mi hanno lasciato andare senza lesinare ovviamente un altro po’ di urla insultanti. Non mi preoccupa la denuncia, sono abbastanza convinto che sarà archiviata. E comunque ci sono tutti gli estremi per contestarla, visto che stavo tornando a casa (cosa permessa) dopo essere stato al lavoro (cosa in quel momento ancora permessa) e mi trovato in prossimità della mia abitazione. Non sono preoccupato, ma sono arrabbiato, nervoso e angosciato. Non è la prima volta che mi capita di discutere con le forze dell’ordine, ma essere accerchiato da sei soldati con mitra, e poi ricevere urla in faccia da due carabinieri, è stata una brutta scena. Non ho mai temuto per la mia incolumità fisica, ma sto temendo seriamente per l’incolumità della mia libertà. Mi è sembrata una scena da dittatura militare o da regime fascista, non è stato per niente piacevole e non lo nascondo. Senza contare la totale inutilità di tutto ciò per la prevenzione del contagio. Ancora fino a quel giorno – venerdì 20 marzo – se fossi stato uno degli operai costretti a lavorare in fabbrica avrei dovuto attraversare mezza città per tornare a casa, in qualsiasi momento del giorno, in fasce orarie in cui avrei probabilmente incontrato molta più gente, dopo essere stato a contatto con decine o centinaia di persone sul posto di lavoro, ma quello sarebbe andato bene. Quest’episodio – oltre a racchiudere incredibilmente in un colpo solo tutte le assurdità di queste settimane – ha del kafkiano: dal come sono stato fermato a come si è svolta la vicenda, dalle motivazioni fallaci addotte dai militari all’ignorare quanto affermavo decreto alla mano, dai frame tossici con cui mi hanno buttato insulti addossa alla loro violenza – per fortuna per ora solo – verbale. Fino, soprattutto, all’assurdità dell’essere denunciato perché stavo facendo due passi intorno all’isolato per tornare a casa dal lavoro – ma in realtà, come dichiarato da loro stessi, perché non avevo sopportato in silenzio che abusassero arbitrariamente del loro potere.
Pietro De Vivo è editor di narrativa e saggistica per le edizioni Alegre, amministratore del canale Telegram della casa editrice e vicedirettore della collana Quinto Tipo diretta da Wu Ming 1. Quando trova il tempo scrive di libri su Il lavoro culturale.
Postilla di Luca Casarotti. Per quanto ho potuto leggere e ascoltare finora, non c’è giurista che non critichi la decretazione emergenziale dell’ultimo mese. Sono stati avanzati forti dubbi sulla sua costituzionalità; il che significa, nella nostra lingua eufemistica e brachilogica: i recenti decreti della presidenza del consiglio dei ministri (dpcm) sono incostituzionali, e solo l’opportunità politica li potrà salvare dall’essere dichiarati tali. Così com’è unanime l’opinione che sia stato edificato un impianto sanzionatorio estremamente fragile, che si sgretolerà a emergenza finita. Le denunce verranno archiviate in blocco. Forse arriverà qualche condanna simbolica, perché non si dica che tutta l’operazione s’è risolta in un nulla di fatto.
La Repubblica – Torino, 22 marzo 2020. Cittadini «sceriffi» titillati dall’autorità, «ma dalla periferia primi segnali di insofferenza». Infatti c’è un aumento vertiginoso dei TSO. Premessa questa critica unanime, non sono unanimi le conseguenze che se ne traggono, specialmente rispetto al ruolo assegnato nell’emergenza al diritto penale. C’è chi ritiene che si dovrebbero trasferire in una legge o in un atto con la forza della legge – decreto legislativo o decreto legge –, e poi per legge sanzionare penalmente, i divieti introdotti dai dpcm. Sarebbe così rispettato almeno il principio di legalità, quello secondo cui nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso (art. 25, comma II, della costituzione). Attenzione, però. Anche ammesso che ci sia la volontà politica di farlo, per risolvere il problema non basterebbe prendere i divieti così come sono ora e copiarli tali e quali in una legge o atto equiparato. Oltre a quello di legalità, ci sono altri principi costituzionali che una norma incriminatrice deve rispettare. Penso soprattutto al principio di offensività, in base al quale un reato può punire soltanto comportamenti che offendono un bene giuridico (vale a dire un aspetto della vita materiale che il diritto ritiene meritevole di essere tutelato), e a quello di sussidiarietà, per cui il diritto penale deve intervenire solo nei casi in cui non sia possibile alcuna altra forma di sanzione del comportamento illecito. Principi che i divieti stabiliti nelle ordinanze ministeriali e nei dpcm emanati a partire dal 23 febbraio scorso non rispetterebbero nemmeno se venissero previsti dalla legge. Insomma, per essere per lo meno conformi alla costituzione, quei divieti dovrebbero essere profondamente ripensati. Ciò che il governo, arrivato a questo punto, non può permettersi di fare: non può permettersi di ripensare alcunché, ma non può nemmeno permettersi di trasferire l’esistente in una legge. Sarebbe come ammettere di aver del tutto sbagliato a gestire l’epidemia, dopo oltre un mese dal suo inizio. Sarebbe come dire d’aver scelto strumenti inidonei. C’è poi un’altra posizione, che chiamerei «utilitaristica» o «del male minore». Quella di chi ritiene che in fondo sia preferibile tollerare questi divieti mal formulati, invece di correre il rischio di ritrovarsi con norme incriminatrici scritte con tutti i crismi. Si sa che questi divieti non porteranno davvero a condanne su vasta scala. Meglio allora denunce infondate oggi, che condanne fondate domani. Intanto però è necessario rappresentare la minaccia di una sanzione penale, che è la strada più efficace per ottenere obbedienza ai divieti. Ma per essere coerente, chi sostiene questa posizione deve essere anche disponibile ad affermare che quanto raccontato da Pietro non abbia niente di scandaloso. E che sopporterebbe un trattamento simile anche in prima persona, non solo quando tocca agli altri: è una prospettiva che dovrebbe atterrire. La minaccia d’una sanzione penale, per quanto solo simbolica essa possa essere, implica come esito necessario e molto concreto la mobilitazione dell’apparato repressivo dello stato, che quella minaccia ha il compito di tradurre in pratica.
Più è ampio lo spettro dei comportamenti minacciati di sanzione, più è ampio lo spazio d’intervento dell’apparato repressivo.
E più è ampio lo spazio d’intervento dell’apparato repressivo, più chi ne fa parte si sente investito d’autorità e libertà d’azione.
Più a lungo si protrae il tempo in cui ciò accade, più quest’intervento viene normalizzato.
E più quest’intervento viene normalizzato, più i confini dell’emergenza si dilatano fino a non potersi distinguere da ciò che emergenza non è.
Se si accettano tutte queste implicazioni logiche della premessa di partenza, l’argomento «utilitaristico» o «del male minore» diventa «argomento del piano inclinato»: inclinato verso cosa, lo dice Pietro in chiusura della sua testimonianza. Se non se ne accettano le implicazioni logiche, allora si dovrebbe, sempre per coerenza, rifiutare anche la premessa.
Luca Casarotti è un giurista. Fa parte del gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki e fornisce consulenza legale alla Wu Ming Foundation. Scrive di uso politico del diritto penale e di antifascismo, principalmente su Giap e su Jacobin Italia. Ha una seconda identità di pianista e critico musicale. Infine, un video: l’ultima delle «Pillole di Mesmer» di Mariano Tomatis, «wonder injector», mago e storico dell’illusionismo, oltreché membro di Alpinismo Molotov. Questa si intitola «Cartoline dalle colonne d’Ercole» e racconta proprio delle restrizioni di questi giorni, dei nuovi confini all’interno delle nostre città. Mariano dà anche alcuni consigli di lettura e condivisione ed esorta: «Non è il momento di crollare, ora.»
Spostamenti in lockdown: multe, interpretazioni, ricorsi e sanzioni. L’emergenza coronavirus ha innescato un circolo non del tutto virtuoso di provvedimenti che hanno originato disparate e, talvolta, fantasiose interpretazioni. Quando ricorrono le 4 motivazioni valide? Di Laura Biarella, Professionista - Avvocato su altalex.com. Pubblicato il 21/04/2020. L’emergenza pandemica ha innescato un circolo non del tutto virtuoso di provvedimenti, talvolta non coordinati tra loro, che hanno originato disparate e, talvolta, fantasiose interpretazioni. Il riferimento più immediato va alle quattro “motivazioni” agli spostamenti: lavoro, urgenza, necessità, salute. Quando ricorrono?
Le motivazioni. L’autodichiarazione, nell’ultima versione del 26 marzo, prevede quattro tipologie di motivazione per giustificare l’eventuale spostamento in lockdown:
comprovate esigenze lavorative;
assoluta urgenza (“per trasferimenti in comune diverso”, come previsto dall’art. 1, c. 1, lettera b) del d.p.c.m. 22 marzo 2020);
situazione di necessità (per spostamenti all’interno dello stesso comune o che rivestono carattere di quotidianità o che, comunque, siano effettuati abitualmente in ragione della brevità delle distanze da percorrere);
motivi di salute.
Le interpretazioni. Ma come vengono intesi questi concetti, anzitutto, dai cittadini? E dalle forze dell’ordine che, in sede di accertamento, ne verificano la ricorrenza? Da nord a sud le pagine di attualità narrano di episodi al limite del paradossale. A Perugia un uomo ha giustificato l’uscita dalla propria abitazione, in piena pandemia, dichiarando nero su bianco, sul modulo, di “andare a prostitute”, fornendo in tal modo una peculiare ermeneutica di “situazione di necessità”. Ovviamente è stato sanzionato. A Savona, un uomo si è messo in viaggio per andare a Pavia, dal padre morente. Anche in questo caso le forze dell’ordine hanno elevato la sanzione, non ritenendo giustificata l’uscita.
I tentativi di chiarimento. Le Faq pubblicate dal Viminale sul proprio portale web, chiariscono solo alcuni aspetti dell’ultimo aggiornamento del decreto “#IoRestoaCasa”, ossia il d.p.c.m. 10 aprile 2020 (Cosa significa “comprovate esigenze lavorative”? I lavoratori autonomi come faranno a dimostrare le “comprovate esigenze lavorative”? Chi si trova fuori dal proprio domicilio, abitazione o residenza potrà rientrarvi? Posso andare a fare visita o a mangiare dai parenti?) ma ovviamente non riescono a riscontrate gli innumerevoli, quanto multiformi, quesiti che potrebbero essere formulati intorno alle quattro giustificazioni chiave. Lo stesso Viminale ha provveduto, fin dall’esordio della normazione restrittiva, ad emanare circolari interpretative, in specie rivolte ai Prefetti e ai Questori, in modo da indottrinare, in modo uniforme, il variegato personale preposto ai controlli: polizia locale, carabinieri, polizia, guardia di finanza. La loro parte l’hanno fatta anche i Presidenti delle Regioni e i Sindaci, attivando quei poteri loro conferiti, su base locale, dagli stessi d.p.c.m. Il risultato? Inevitabilmente caotico, che oggi riguarda cittadini e operatori preposti ai controlli, ma domani riguarderà le strategie difensive, impresse sulle carte degli avvocati, che approderanno sulle scrivanie dei giudicanti.
La questione jogging. Il 13 Aprile il Governatore del Veneto, Luca Zaia, ha diramato un’ordinanza regionale che sopprime il limite dei 200 metri da casa per l'attività motoria (ma secondo una discussa Circolare del Viminale, motoria non equivale a sportiva: il jogging è motricità o sport?). In Sicilia il Governatore Musumeci, con un’ordinanza in vigore dal 19 aprile, ha allentato le restrizioni del lockdown consentendo l’attività “motoria” nelle vicinanze della propria abitazione, includendo esplicitamente, nelle dichiarazioni esposte in un video, il jogging.Per il resto d’Italia, fino a quando non verranno emanati ulteriori e diversi provvedimenti, permane il limite dei 200 metri dall’abitazione.
Le sanzioni. Il d.l. del 25 marzo ha depenalizzato le violazioni, già incriminate ex art. 650 c.p., e poste in essere fino a tale data, disponendo che coloro che si sono resi responsabili delle infrazioni dovranno pagare una multa di 200 euro, mentre per quelle commesse dal 26 marzo la sanzione amministrativa rientrerà nella forbice tra 400 a 3mila euro. Si applica lo sconto del 30% se il pagamento avviene entro 30 giorni.
I ricorsi. Nota ai giuristi è la sospensione dei termini procedurali fino all’11 maggio, ergo i 30 giorni per difendersi, decorreranno da tale data (10 giugno termine ultimo, salvo ulteriori proroghe). La memoria va spedita alla Prefettura territorialmente competente, anche a mezzo Pec e, essendo il procedimento di natura amministrativa, l’interessato può chiedere finanche di essere sentito. Il Prefetto, quindi, o archivia o emette l’ordinanza ingiunzione. Nei successivi 30 giorni dalla notifica dell’ordinanza ingiunzione, il multato può adire il giudice monocratico del luogo dove è stata commessa l’infrazione. E chissà se la circostanza di “andare a prostitute”, come scritto dall’anonimo perugino, in tempo di restrizioni pandemiche, sarà veramente interpretata come “situazione di necessità”? (o “assoluta urgenza”?)
· Il ricorso Antiabusi.
Avete preso una multa "Covid"? Ecco cosa fare per "cancellarla". Se avete preso una contravvenzione per esservi allontanati (troppo) da casa, forse potete non pagarla, facendo ricorso. Ecco come fare. Fabio Franchini, Mercoledì 13/05/2020 su Il Giornale. In questi mesi di emergenza sanitaria nazionale provocata dalla pandemia di coronavirus la stragrande maggioranza degli italiani ha rispettato le misure di contenimento varate dal governo per arginare, appunto, la diffusione dell’infezione da Covid-19. Ma in queste settimane sono state migliaia i cittadini che, violando le disposizioni – più o meno consapevolmente – sono stati multati dalle forze dell’ordine impegnate nel presidio del territorio. Giusto per fare un esempio, gli ultimi dati messi a disposizione dal Viminale sono quelli di domenica 10 maggio: la polizia ha controllato quasi 150mila persone (147.958), ne ha sanzionate 2.154 e ne ha denunciate 23 per falsa attestazione e dichiarazione. Come sappiamo bene, da lunedì 4 maggio è scattata la Fase 2: potremo ovviamente continuare a uscire di casa, muniti di mascherina e autocertificazione in tasca, per i noti motivi di salute, lavoro e necessità e anche per la "novità" della visita ai congiunti e dell’attività motoria all’aria aperta. Di fatto, con la Fase 2 decade il limite dei duecento metri dalla propria residenza entro la quale rimanere per una passeggiata o per correre (come era previsto in Lombardia). In questi mesi sono stati migliaia gli italiani fermati e multati per essere allontanati troppo da casa, in modo più o meno volontario. E la domanda imperante a tal proposito è la seguente: "si può fare ricorso?". Ecco, ora provvediamo a fornire una risposta chiara e precisa all’interrogativo. La prima cosa da sottolineare, come peraltro ben ricordato dall’Unione nazionale consumatori, è possibile fare ricorso ma solamente andando dal Prefetto e non al giudice di pace. Però, attenzione: bisogna essere estremamente cauti nel presentare un ricorso e farlo solamente se si hanno reali e concreti elementi a favore. Insomma, se non si è stati fermati a un chilometro e oltre da casa…Eccoci infatti al fulcro della questione, ovvero la "troppa distanza" da casa. Una distanza ufficiale non è mai stata indicata dalle autorità centrali, che hanno però sempre invitato a limitare lo spostamento fine a se stesso attorno all’isolato. In Lombardia, giusto per fare un esempio, durante la Fase 1 si poteva correre per strada "nelle immediate vicinanze della propria abitazione e comunque a una distanza non superiore a 200 metri dalla stessa". Come sottolineato per l’Unc dall’avvocato Valentina Greco, dal momento che non esiste di fatto una distanza precisa, la decisione è a discrezione del Prefetto. Ma una lontananza sopra il mezzo chilometri è assai difficilmente "difendibile", mentre una di trecento metri potrebbe scagionare il soggetto multato. Però, attenzione: per esempio, se una persona è uscita di casa per una ragione lecita e a molta distanza da casa (anche superiore al chilometro, per dire) si è seduta su una panchina per riposarsi un attimo, beccandosi la multa, il ricorso dovrebbe andare a buon fine. Inoltre è bene sottolineare le tempistiche del ricorso stesso: solitamente si avrebbero trenta giorni a disposizione per fare domanda al prefetto, ma causa coronavirus e serrata la scadenza è stata allungata di 150 giorni, fino a 180. In ultimo, ma non per importanza, la seguente nozione: qualora si facesse ricorso al Prefetto e si perdesse, si otterrebbe non solo il danno, ma anche la beffa, dal momento che la sanzione viene automaticamente raddoppiata.
· Gli Improvvisatori.
Mario Ajello per “il Messaggero” il 10 novembre 2020. Sembra esserci una sorta di rivalsa: la politica ha avuto dei mesi per preparare la lotta alla nuova emergenza e non ha fatto niente e quindi ora, anche a dispetto delle regole, liberi tutti! E così sta andando in scena, nel weekend scorso e si teme anche nel prossimo, proprio lo spettacolo che non volevamo vedere. Quello della trasformazione dell'italiano da prima ondata, ligio ai doveri di autoprotezione, controllato e controllore, disciplinato e composto - irriducibile insomma al cliché da popolo anarchico - nell'italiano da seconda ondata. Più sfiduciato, meno virtuoso, quasi incline a un fatalismo deleterio: speriamo solo che il virus non prenda a me! Non c'è da infierire perché fragile oltre che irresponsabile nella sua convinzione dello «stare a casa ci deprime, e poi abbiamo già dato l'altra volta» - su questo vecchio-nuovo prototipo nazionale. E tuttavia, è come se l'Italia fosse ripiombata in quella situazione manzoniana, ed era il 600 dei Promessi Sposi, che funzionava così: «Governa chi può, obbedisce chi vuole». Se gli italiani da seconda ondata fossero tutti così, cioè smemorati e non coscienziosi ma per fortuna non sono tutti così, il ritorno del lockdown duro e puro sarebbe inevitabile. Ci si arriverà? Intanto il mix di sfiducia e avventatezza si sta dimostrando deleterio. E all'immagine delle folle nelle strade del fine settimane, e nei giardini, sulle spiagge, sui lungomare, viene da accostare come didascalia il dato, fornito dalla sondaggista Alessandra Ghisleri, secondo cui il premier Conte - il Commander in Chief di questa battaglia - è sceso nel gradimento in questi giorni dal 50 al 40 per cento e il trend è in calo costante, mentre prima andava oltre il 70. Può esserci questo nel popolo che si prende le sue libertà, incurante dei rischi enormi e indifferente all'amor di patria. Ma c'è anche, e qui viene davvero da preoccuparsi perché è in atto una strage, lo spirito ancestrale del carnevale: un ribaltamento del buon senso, la sovversione liberatoria della serietà. Ma è mai possibile che l'italiano da seconda ondata - alcuni e non tutti, e vale sempre la pena ripeterlo, ma le minoranze spesso fanno la storia - si riduca a diventare carnevalesco? La sottosegretaria alla Salute, Sandra Zampa, prodiana doc, giustamente ha spronato ieri i sindaci a ordinare più controlli e a mostrare quel rigore che la situazione impone. Il problema dell'italiano da seconda ondata - quello che non grida più dai balconi «Andrà tutto bene» - è insieme di tipo psicologico e materiale. «Nella prima ondata - dice la Ghisleri - avevamo l'estate davanti. Ora ci sono le tenebre dell'inverno. C'è un cocktail di paura per la salute e di paura per il portafoglio. Le aspettative sono determinanti: se fai promesse che non riesci a mantenere, ottieni effetti devastanti». Ma sarebbe troppo facile scaricare tutte le colpe sul governo, anche se tra divieti e consigli spesso la conseguenza è la confusione. Le colpe sono generalizzate. Basta guardare il Nord che non riesce a fermarsi, che non vuole farlo, che insiste - come la prima volta, ma la storia o almeno la cronaca dovrebbe insegnare qualcosa - a non rispettare come dovrebbe la zona rossa che le è stata assegnata e in versione poco letteraria e molto maccheronica Milano somiglia alla Orano di Albert Camus che nel 1947 scriveva nella Peste: «Nessuno aveva ancora davvero accettato la malattia. Quasi tutti erano in primo luogo sensibili a ciò che interferiva con le loro abitudini o toccava i loro interessi». Ma si può minimizzare così una pandemia? Non lo fanno gli scienziati, ed evviva. Ma l'italiano da seconda ondata, rispetto al connazionale da ondata 1 che vedeva per la prima volta nei talk show gli scienziati ed era portato a fidarsi di loro, di fronte al carosello delle opposte opinioni di professori spesso tuttologi e improvvisati ha maturato adesso uno scetticismo perfino eccessivo. E' stanco di loro ed è stanco di tutto. E solo un vaccino lo salverà, ammesso che avrà la pazienza - e guai a non averla o addirittura a sottilizzare in maniera scellerata: i vaccini? Boh... - di aspettarlo in modalità mascherina e no assembramento.
Natalia Aspesi per “la Repubblica” il 10 novembre 2020.
Tu sei gialla? Io rossa, dici che è molto diverso?
- Ho letto e riletto ma non ho capito bene. La televisione l' ho spenta perché ti vien voglia di prenderli a schiaffi, fanno troppa confusione, li vedi felici solo quando intervistano i rabbiosi, o i maghi, quelli che sanno cosa succederà e non la imbroccano mai.
- Ti dirò che credevo nella scienza ma tutti questi virologi e infettivologi e covidologi mi fanno pensare che la mia chiromante è più seria.
- Forse dovrebbero spiegarsi meglio, tutti a casa alle 22, ma se i bar e i ristoranti e i cinema sono chiusi ci sarebbero poche ragioni per uscire, allora dite che di notte fa umido e ti ammali, poi magari c' è un negazionista che ti dà una coltellata.
- L' umido sì, pare che l' Amazon abbia cambiato tutti gli imballaggi, solo cartone che è secco, aveva previsto il Covid?. - Menomale che i ferramenta sono aperti, se hai bisogno di un certo cacciavite per farti la porta blindata che è la mia specialità, ti fai l' autocertificazione e almeno dai i soldi a un piccolo commerciante.
- Ma a guardare bene non è che voi gialli fate quello che volete e noi rossi no: le "comprovate esigenze" che non so cosa siano valgono qui e lì, se ho capito, i parrucchieri per fortuna sono aperti ovunque, non è solo il Me-Too che fa paura, anche noi massaie. E il pedicure? Non so perché dice no all' estetista ma il pedicure si fa anche dal parrucchiere. - Ho letto e riletto le diverse misure gialle arancioni e rosse, ma non mi paiono così diverse, questione di dettagli.
- Ce n' è una grossissima, sempre se ho afferrato, anche se non poi così pesante, il rosso vuole l' autocertificazione anche di giorno, il giallo solo dopo le famose 22 che è la nuova ora del delitto. Però non ho capito bene i bar, io qui nel giallo posso prendermi un caffettino con panino sino alle 18 e poi più, ma tu neanche prima.
- Ma cosa scrivi sull' autocertificazione, vado a farmi un grappino a metà pomeriggio? Non era meglio se facevano tutto rosso o tutto arancione o tutto giallo, non ci saremmo spaccati il cervello. - Ma così avrebbero protestato tutti.
- Secondo me gli assembramenti contro i provvedimenti ci sono anche per stare insieme al posto della movida e mia figlia che ieri ci è passata vicino ha detto che infatti inveivano con la bottiglia di birra in mano.
- Ma hai visto che tutti questi che gridano contro quel povero governo al collasso lo chiamano "indecoroso" e lo stracciano con l'esclamativo più inflazionato del momento, "Vergogna!", perché il vocabolario dell' opposizione (non solo però) non supera le sette parole, e tutte insultanti, poi non fanno una sola proposta. Se fan scoppiare la guerra civile io tiro fuori il moschetto da partigiana.
- Ma poi quanto alle restrizioni a me pare che ce la caviamo sempre, anche con l' autocertificazione. Mio nipote si è ben informato, se ci scrive vado dal dentista e invece va dalla sua donna, per via della privacy deve dare l' indirizzo ma non il nome e lui ha la fortuna che in quella casa c' è pure un dentista. - A te ti pesa molto?
- Mi preoccupavo per la merceria dove compro le calze, ma dice che la biancheria è in vendita, le calze sono biancheria o abbigliamento? - A me sono gli alimentari a cui penso, qua di fronte ho un supermercato ma io ho i miei negozietti però più lontano. Cosa scrivo sull' autocertificazione?
– A proposito di dover dire da dove vieni e dove vai, secondo te i cretini che si vantano di non credere né al Covid né alle misure per controllarlo, cosa scriveranno? Vado a puttane, oppure a giocare d' azzardo? Secondo me non aspettano altro, cercheranno i controllori con una troupe a fianco.
- Giusto e le puttane? Ancora non sono scese in piazza eppure sono le più rovinate dalla pandemia, i clienti saranno decimati, per numero intendo. - Si comportano da gran signore, ma non facciamoci troppe domande, se no diventiamo come quelli che continuano a inveire aizzati dai social. - Tu li guardi ancora?
- No, sono sempre uguali, video di donne tipo Meloni che urlano scemenze sempre contro Conte e i comunisti, e una massa di presuntuosi che dicono la loro, anche da sinistra, però sempre contro il governo, se no temono che non li leggono. - Ogni italiano ha la sua soluzione contro quella di tutti gli altri, usa la democrazia per distruggerla, mai nessuno che si interessi a cosa succede nel mondo.
- Mi spiace per il teatro, che d' inverno è un bel rifugio della testa, e i musei e i cinema, però se richiudevano le librerie mi arrabbiavo anche io: chissà se accettano come comprovata esigenza quella di andare in libreria, magari no.
- E nelle biblioteche allora? Non si sa.
- Adesso scusa ma mi gira la testa, tu hai capito se nella mia zona, quella rossa, puoi andare in giro con la tua macchina e prendere un taxi? - Non esagerare mi pare di no ma anche io non ragiono più. - Cosa dici allora delle ultime su noi vecchi?
- Cerchiamo di non dare nell' occhio, adesso è saltato fuori un nuovo camice bianco, un geriatra romano, che è sicuro che di Covid muoiono "solo ed esclusivamente", ha detto proprio così, gli ottantenni e simili. L' età ci ha reso infetti, se lasciano al Toti la decisione, ci fan fuori in un baleno. Non per niente forse hanno lasciato aperte le pompe funebri.
Le incertezze che fanno male a tutta l’Italia. L’algoritmo per definire le aree rosse, arancioni e gialle? Ha già fallito. Ciriaco M. Viggiano su Il Riformista l'11 Novembre 2020. Per tutta la giornata di ieri la Campania è rimasta col fiato sospeso. Mentre molti organi di informazione annunciavano il passaggio della regione dalla zona gialla, cioè quella a rischio di contagio moderato e quindi soggetta a misure anti-Covid meno restrittive, a quella arancione o addirittura rossa, cioè quelle in cui scatta il lockdown totale, è stato il governatore Vincenzo De Luca a fare chiarezza: «Non c’è nulla da decidere o da attendere, restiamo in fascia gialla». Al netto del continuo rincorrersi di ipotesi, indiscrezioni e smentite, lascia perplessi il metodo in base al quale il governo Conte individua i territori a rischio moderato, intermedio o elevato. Liguria, Toscana, Abruzzo, Umbria e Basilicata sono ufficialmente passate dalla zona gialla a quella arancione in una sola settimana. Qualcuno dirà: certo, il virus dilaga rapidamente. Tutto vero, ma è altrettanto evidente come il meccanismo di valutazione dei dati sanitari adottato dal governo Conte non riesca a seguire la progressione della pandemia. In altre parole, l’algoritmo che il premier ha voluto per legittimare l’adozione di misure restrittive diverse da territorio a territorio ed evitare un lockdown generalizzato è lento. Troppo complessa l’analisi dei 21 indicatori sulla base dei quali una località viene inserita in area gialla, arancione o rossa. Questa lentezza porta con sé un ulteriore problema, cioè quello dell’incertezza: è umanamente inaccettabile, oltre che deleterio sul piano economico, che le forze produttive di questa o quella regione debbano rimanere col fiato sospeso fino a quando, dopo giorni di indiscrezioni e di smentite, il Governo non illustra la composizione delle nuove zone gialle, arancioni o rosse. Il vero problema, però, è che il meccanismo dell’algoritmo funge da “paravento” per la classe politica. Le decisioni su eventuali lockdown o misure restrittive di diverso segno, infatti, sono presentate come conseguenza inevitabile dell’analisi dei dati sul numero di nuovi positivi al Covid, sull’occupazione dei posti letto in terapia intensiva e così via. In altre parole, l’algoritmo non fa altro che aiutare i pubblici amministratori a nascondersi dietro le statistiche e, dunque, a deresponsabilizzarsi. E, in una fase delicata come quella che sta attraversando, l’Italia non può certo permettersi il lusso di una classe dirigente pronta a utilizzare l’alibi dei numeri quando è chiamata ad assumere decisioni tanto cruciali quanto impopolari. Come se non bastasse, il meccanismo dell’algoritmo non è riuscito a prevenire uno dei grandi mali di questo Paese: le polemiche sterili. Nemmeno davanti all’evidenza dei numeri, infatti, i pubblici amministratori – basti pensare al sindaco napoletano Luigi de Magistris e al governatore De Luca – sono riusciti a mettere da parte contrapposizioni ideologiche e antipatie personali per poi rimboccarsi le maniche e lavorare fianco a fianco contro il virus cinese. Tutto questo dimostra come il meccanismo dell’algoritmo debba essere al più presto abbandonato e quanto sia indispensabile trovare un nuovo equilibrio tra la valutazione delle statistiche, indispensabile per avere un approccio scientifico e trasparente a temi di fondamentale importanza come salute pubblica ed economia, e la responsabilità politica alla quale tutti sembrano volersi sottrarre. Perché, mai come ora, di amministratori “timidi” non si sente il bisogno.
Pierpaolo Sileri a Libero: "Quando tutto sarà finito lascio il M5s per lavorare da Alberto Zangrillo". Pietro Senaldi su Libero Quotidiano il 26 ottobre 2020. «Sono un avulso, il fatto che io sia in Parlamento è la prova del fallimento del sistema Italia. Se nel nostro Paese le cose andassero come dovrebbero, io in questo momento me ne starei in ospedale a togliere i tumori dalla pancia della gente e in università a fare lezione». L'unico medico che il governo può schierare nella lotta al Covid-19 si definisce «un politico per caso», se non per sbaglio, ma non degli elettori. Pierpaolo Sileri, 48enne chirurgo romano con master all'Università di Chicago, è un oncologo con un passato di simpatie destrorse, che non nasconde. Viceministro alla Sanità che in materia ne capisce cento volte più del titolare, si è ritrovato tra i grillini dopo aver fondato, nel 2017 con l'amico e compagno di sventura Giuliano Grüner, l'associazione Trasparenza e Merito, nata per estirpare dalle nostre università il cancro del nepotismo. Impresa impossibile. Quello che lo rende avulso dal sistema è la competenza. Da un anno è il deputato pentastellato che va in tv più di tutti, ma se non comparisse la scritta M5S accanto al suo nome quando parla, nessuno lo scambierebbe per un grillino. Non è ideologico, è pragmatico, non parla per slogan e preferirebbe guarire il mondo piuttosto che aprirlo come una scatola di tonno. Ma soprattutto, sa quello che dice. Infatti ultimamente nel governo gli tocca il ruolo del grillo parlante. È la voce critica, quello che quando punta il dito lo mette nelle vere piaghe degli errori dell'esecutivo nella mancata preparazione alla seconda ondata dell'epidemia. Poiché ha 167 pubblicazioni accademiche ed è il solo cinquestelle che guadagnava di più quando era fuori dal Parlamento, tutti si chiedono come sia finito agli ordini di Vito Crimi. «Nel 2015 mi fu impedito di candidarmi ad un concorso da professore associato all'università di Tor Vergata, a Roma» racconta Sileri. «Ero viceprimario e nel mio dipartimento avevo più pubblicazioni scientifiche di tutti ma il mio posto era destinato a un altro. Feci ricorso al Tar ed il rettore nel parcheggio dell'istituto mi promise che se avessi ritirato il ricorso mi avrebbe fatto vincere una cattedra da professore ordinario. Mi rifiutai e mi fecero capire che ero finito, minacciando anche di bloccarmi i concorsi in tutta Italia. Allora raccontai la mia storia all'onorevole Paola Taverna, che fece un'interrogazione parlamentare. Oggi io sono al governo e il rettore è imputato per tentata concussione e istigazione alla corruzione».
Come nacque la sua candidatura?
«Non ho mai militato dentro M5S, non mi sono mai iscritto a Rousseau. Simpatizzavo per An, sostenni Fini sindaco di Roma, ma non mi interessavo di politica da dieci anni. Alle Comunali votai la Raggi, per tentare un cambiamento. Fu Di Maio, con Paola, a propormi la candidatura, in un collegio uninominale difficile, a Roma Nord, fortino della destra. Presi 94mila voti».
Dottore, tutti però si chiedono con chi si ricandiderà al prossimo giro, perché è palese che lei con i grillini ci azzecca poco...
«Non mi ricandido. Sono un chirurgo, non butto via 25 anni di sacrifici e professione. Quando mi informarono della nomina a viceministro ero in sala operatoria. Fu l'ultimo intervento, perché la legge ora mi vieta di usare il bisturi, mai io voglio tornare in ospedale. Si figuri che avevo chiesto di poterci andare da volontario il sabato mattina, quando sono libero, ma in quanto sono al governo mi è stato impedito. Il 25 marzo 2023 però, quando sarà finito tutto questo, mi troverà al San Raffaele di Milano, dove ho vinto un concorso del 2016».
Ma come, l'eroe anti-pandemia alle dipendenze del negazionista Zangrillo criticato da tutti?
«Criticato da chi non ne capisce. Zangrillo è un anestesista. Io ho avuto il Covid e quando sono stato male io stesso dissi a molti che se qualcosa fosse andato storto il San Raffaele sarebbe stata la sede per il ricovero».
Ha detto che il virus è clinicamente morto, non sarà mica d'accordo?
«Ha usato un'espressione infelice ma molti degli addetti ai lavori hanno capito benissimo che cosa intendesse: che il virus non arrivava più in terapia intensiva».
Ora però ci va di corsa...
«Sì. Più il virus circola, più persone rischiano di andare in terapia intensiva. Ma ci sono differenze. Durante la prima ondata si moriva in casa e il medico arrivava due giorni dopo il decesso. Ora non è più così. Gli scienziati hanno punti di vista personali differenti ma anche rivalità accese. Le parole di Zangrillo sono state strumentalizzate. Mi sembra che a volte molti miei colleghi in camice utilizzino la tv per sfide e scopi personali».
E lei? È stato accusato di essere un prezzemolino da talkshow e di lavorare poco a causa dei suoi impegni televisivi...
«Noi chirurghi siamo abituati a lavorare anche 120 ore a settimana tra ospedale, ricerca e lezioni. La tv è un impegno minimo, lo dico ai giornalisti che scrivono corbellerie».
I grillini la attaccheranno: va a lavorare nell'ospedale di Berlusconi...
«Vado al San Raffaele di Milano perché è l'eccellenza in Italia».
E lei è così bravo?
«Guardi le mie pubblicazioni e il mio indice H, che misura il valore degli scienziati. Le mie percentuali di mortalità negli interventi chirurgici sono bassissime».
Ha le mani d'oro, dottore?
«È una questione di disciplina. Avrò fatto migliaia di interventi, ma prima di ognuno ancora oggi studio. E quando torno a casa in macchina ci ripenso: ho fatto tutto giusto? C'è qualcosa che potevo fare meglio. Possono sorgere complicazioni?».
Non le mancheranno tutti i privilegi della casta?
«Non me li sto godendo. Ormai la maggior parte entra o rimane in politica per i soldi o per il potere. Io guadagnavo di più da medico che da viceministro e il potere per me è fare le cose che ritengo utili per il Paese. Da presidente della Commissione Sanità ho sbloccato la legge che permette la ricerca sui cadaveri, velocizzato la legge sulla rete dei registri dei tumori e molto altro. Mi basta questo per sentire di aver fatto il mio dovere».
In questo momento lei rappresenta una voce critica nel governo, sbaglio?
«Non tutto mi torna perfettamente».
La sua prima ribellione al governo fu quel viaggio in Cina per recuperare lo studente italiano bloccato nell'Hubei con un febbrone.
«Sono andato due volte in Cina a recuperare cittadini italiani, il 2 e il 14 febbraio».
Un gesto polemico?
«No, ma del tutto rispondente alla mia natura».
Non aveva paura, allora non si sapeva nulla di quel che stava accadendo in Cina?
«Mio figlio aveva appena sette mesi. Una sera, quando sono tornato, mia moglie mi ha guardato e ha capito subito. Il Covid impazzava in Oriente e a Roma discutevano da giorni, e mi sembrava tutto molto lento, non vedevo un risultato immediato. Ho pensato, parto e li prendo, tanto quando torno li ritroverò ancora seduti al tavolo a decidere il da farsi. Sono un tipo estremamente pratico». Cosa non le torna di come il governo sta affrontando questa ondata? «Io sono per allargare il tavolo del Comitato Tecnico Scientifico e renderne più trasparenti le logiche e le modalità operative. Mi pare doverosa la trasparenza di questi tempi: non si possono affidare a consulenti di nomina governativa decisioni fondamentali per tutto il Paese».
E delle chiusure cosa pensa: occorre davvero stringere ulteriormente le maglie?
«In terapia intensiva ci sono ancora molti posti e la crescita dei ricoverati non è esponenziale. Il numero dei positivi è altissimo ma la maggior parte di loro non è malata: bisogna distinguere e non creare inutile terrorismo».
E quindi?
«Stiamo paralizzando un Paese in attesa di omologare i test salivari. Inconcepibile».
Lei cosa farebbe?
«La prima cosa da fare è aumentare la capacità diagnostica. Dividiamo la popolazione in tre fasce: basso, medio e alto rischio. Usiamo il test rapido antigenico per coloro che sono a basso e medio rischio e sottoponiamo solo la terza fascia al tampone; così si riescono a mappare 400mila persone al giorno e non sprechiamo tamponi per soggetti che non essendo contatti stretti non sono a rischio elevato. È assurdo quello a cui stiamo assistendo, con migliaia di persone che prendono d'assalto i pronto soccorso per sintomi sovrapponibili a quello del Covid, oppure file interminabili per fare un tampone. Avere più offerta diagnostica più semplice del tampone e fruibile dai medici di medicina generale, nelle farmacie o nel privato e, perché no, anche negli studi dentistici aiuterebbe il sistema in toto».
Denuncia un abuso di tamponi?
«No, dico che ne facciamo troppi alle persone sbagliate. Se io risulto positivo, si può fare il tampone ai miei assistenti, ma non a tutto il piano. Per gli altri basta un test antigenico rapido o salivare che costa un quinto e hai il risultato in un'ora anziché in cinque giorni. Con il Covid bisogna agire come con tutte le altre patologie. Nello screening del cancro del colon si prevede l'esame occulto fecale e solo se questo dà un risultato positivo si procede alla colonscopia».
Crede nel vaccino?
«Non sarà una cosa rapida. Servono mesi per produrlo, come avviene per quello influenzale. E poi ancora non sappiamo quanto in realtà protegge e quali sono i suoi effetti collaterali. Credo arriverà prima il farmaco rispetto alla profilassi».
Allora arriverà la terapia?
«Molte terapie le stiamo applicando già. Confido più di tutte in quella degli anticorpi monoclonali oppure nell'utilizzo di preparati iperimmuni ricavati dal siero dei guariti».
Siamo alla vigilia di una crisi come quella del marzo scorso?
«Faccio fatica a immaginarmi uno scenario simile. Prevedo un'ulteriore salita dei contagi, ma graduale per quanto riguarda i posti in terapia intensiva e spero che quando si vedranno i primi effetti del decreto della Presidenza del Consiglio la curva si addolcirà».
Ammettiamolo, abbiamo perso tre mesi quest' estate.
«Serviva, e serve, un uso spregiudicato della diagnostica. Questo è stato il grande errore».
Chi si è mangiato la sanità italiana, dottore?
«La politica, con nomine non meritocratiche, e qui si torna al motivo della mia candidatura in Parlamento. La corruzione, alla quale paghiamo una tangente di otto miliardi l'anno. I tagli, troppi e lineari. I mancati investimenti nella ricerca. L'edilizia sanitaria sconsiderata: ha presente gli scheletri degli ospedali costruiti e mai aperti in Calabria?».
Massimiliano Lenzi per “il Tempo” il 7 luglio 2020. Il Tso, acronimo di trattamento sanitario obbligatorio, servirebbe si, ma per i nostri politici. Non certo per i cittadini italiani che ai tempi del Co vid -19, nella stragrande maggioranza, hanno sopportato ogni privazione di libertà possibile mentre loro, i politici, en plein air, andavano in televisione a sparare cazzate. Incapaci di vedere il tracollo del paese, economico, sociale, di speranze per il futuro. I nostri politici si esercitano infatti da tempo immemore con le fregnacce di una retorica allo specchio, senza proporre soluzioni concrete, reali, che migliorino le condizioni di vita delle persone. Eppure, basta che scoppi un focolaio locale di Covid-19, per la irresponsabilità di un singolo (odi pochi individui), che te li ritrovi sempre loro, i politici, compresi i sindaci - ad invocare il Tso. Ma Santo Dio, applicate le norme in vigore e punite l' irresponsabile (o gli irresponsabili) di turno. Punto. Perché se cominciate a sbandierare il Tso come regola la domanda sorge spontanea: ma che Paese stiamo diventando? Un posto dove una classe politica incapace di risolvere i problemi del Paese non trova altra strada che insistere sulle restrizioni delle libertà individuali. Come se le leggi e le norme attuali, già inasprite con l' esplosione del coronavirus, non bastassero a contenere le indiscipline stupide di qualche singolo. La verità è che nell' Italia di oggi una classe politica totalmente inadeguata, a tutti i livelli, nazionale, regionale e comunale, sta portando il Paese in una fase liberticida e tragica, senza accorgersene. L' uso della medicina nel passato a fini punitivi dei cittadini e della collettività - e la storia andrebbe sempre studiata - era un tratto comune ai regimi totalitari come il comunismo e il nazismo, dove la medicalizzazione del nemico era un modo per fotterlo per sempre. Magari con la camicia di forza. Non che i nostri politici di oggi siano nazisti o comunisti, è solo che non ce la fanno. Non sono in grado di governare un Paese, di dare le risposte che questo si aspetta, di punire un colpevole senza spaventare tutti gli italiani, ma soprattutto non sono in grado di assumersi le responsabilità che dovrebbero. Ed allora scelgono la via più facile: l' accanimento terapeutico. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, così affezionato alla nostra carta costituzionale, e con ragione, dovrebbe riportare l' attenzione dei nostri politicanti sul valore della libertà personale e della responsabilità individuale. Anche e soprattutto in tempi difficili come questi. Perché i metodi della Cina comunista nella guerra al Covid-19 non sono certo democratici. Per cui, evitiamo di imitarli.
Sanità, la faccia tosta del Pd. Errori su tutto e danno lezioni. Dai tagli di bilancio, alle mascherine, all'ospedale: l'improbabile Zingaretti (e i suoi) cianciano di "flop". Alberto Giannoni, Sabato 04/07/2020 su Il Giornale. Non una parola sul commissariamento della Lombardia, niente mozioni di sfiducia o attacchi alla giunta regionale. Con un «convegnone» ospitato a Palazzo Pirelli, «il primo grande appuntamento che parla del futuro», il Pd ieri ha provato a mostrare il suo volto moderato e propositivo. Nessuno spazio, quindi, per la linea oltranzista di Pierfrancesco Majorino e compagni (post-comunisti), nessun cenno alle maldestre, e improbabili, iniziative di Pietro Bussolati. L'eurodeputato e il consigliere regionale milanese, protagonisti della fase più battagliera e inconcludente dell'attacco al Pirellone, hanno lasciato spazio ai vertici regionali e nazionali, intenti a delineare questa fantomatica «altra sanità» che ci consentirebbe di «vivere sicuri». Credibilità? Scarsa o scarsissima. La prima fase della discussione, dedicato al cambiamento del sistema sanitario, ha avuto come momento centrale l'intervento di Beatrice Lorenzin, che è stata ministro della Salute per quasi 5 anni, periodo nel corso del quale i tagli al sistema sanitario sono stati «senza precedenti». «Nonostante la sua determinazione - ha scritto la Fondazione Gimbe nel 2017 - i numeri documentano senza appello che per la sanità pubblica il lustro 2013-2017 è trascorso sotto il segno di un definanziamento senza precedenti». È stato quindi il turno di un nervoso Beppe Sala. Il sindaco di Milano, che pure ha avuto mesi difficili, contrassegnati da incertezze e gaffe, anche ieri si è mostrato piuttosto spazientito dal gran discutere in casa Pd: «Spero che sia l'ultimo incontro - ha detto in pratica - se siamo in grado di formulare la nostra proposta bene, altrimenti è un problema nostro, è colpa nostra». Ha quindi fissato anche un termine per questa proposta: luglio, maltrattando il povero capogruppo regionale in commissione Sanità, Claudio Girelli, che aveva evocato il solito percorso di ascolto e costruzione di una proposta. Introdotto dalla senatrice Emilia De Biasi - presidente della commissione Sanità del Senato nello stesso periodo - è quindi intervenuto Nicola Zingaretti, che da segretario del Pd, e da governatore della Regione Lazio, era probabilmente uno dei meno indicati a dare lezioni. Eppure, per quanto poco credibile, Zingaretti ci ha provato. Ha parlato di politici, (ovviamente di destra) che vanno in giro senza mascherine, ha liquidato con le solite frasi fatte il britannico Boris Johnson, lo statunitense Donald Trump e il brasiliano Jair Bolsonaro. Ha rivendicato il fatto che l'Italia sia stata la prima democrazia del mondo occidentale a chiudere, dimenticando che lui a fine febbraio, pochi giorni dopo la scoperta del primo focolaio, quello lodigiano, era uno dei fautori del «ritorno alla normalità», e partecipava entusiasta ad aperitivi e cene milanesi, rispondendo all'appello dello stesso Sala che - come Giorgio Gori a Bergamo - puntava a «non fermare» le città. Ma, attenzione, in quella fase non furono molto più avveduti gli altri esponenti milanesi e lombardi del Pd, tanto da commettere marchiani errori di analisi, per esempio sui tamponi, o sulle mascherine, salvo poi salire in cattedra con la Regione, che ne aveva commessi senz'altro meno (e meno del governo). Zingaretti ha rivelato di aver letto e riletto la Costituzione, in particolare l'articolo 32 (il diritto alla salute), ma deve essergli sfuggito l'articolo 117, che chiaramente attribuisce allo Stato competenza esclusiva sulla profilassi internazionale, e al Pd è sfuggito l'articolo 120, che stabilisce espressamente l'impossibilità per le Regioni di limitare l'esercizio del diritto al lavoro - e quindi l'impossibilità di introdurre «Zone rosse», come quella che fra il 23 febbraio e l'8 marzo avrebbe potuto essere istituita nella Bergamasca. È stata quindi interessante la partecipazione degli scienziati, ma l'esibizione degli esponenti di partito ha sfiorato il grottesco. Enfatizzando le conclusioni dei paludatissimi lavori, un comunicato stampa del Pd ha poi rilanciato il tema del «fallimento» lombardo, menzionando come capi di imputazione politica di questo presunto fallimento «la mancanza di dispositivi di protezione individuale per medici e infermieri» (che come ha spiegato l'assessore Raffaele Catteneo, toccava allo Stato), le «drammatiche scelte sulle Rsa» (non molto distanti da quelle del Lazio) e «il flop dell'ospedale in Fiera a Milano» (quello che il Pd voleva, tanto da provare a metterci il cappello).
Da blitzquotidiano.it il 18 giugno 2020. Il settimanale britannico The Economist ha classificato l’Italia come uno dei paesi peggiori, tra i 21 dell’Ocse, per quanto riguarda la gestione dell’emergenza da coronavirus. Nel ranking stilato dal settimanale, il nostro paese risulta essere uno dei peggiori paesi nel fronteggiare l’epidemia. L’Italia è insieme a Spagna e Regno Unito, mentre peggio di noi ha fatto solo il Belgio. Per calcolare il punteggio in classifica, l’Economist si è basato sulle misure messe in campo per fronteggiare l’emergenza. Capacità di individuare con tempismo i positivi, di monitorarli e isolarli, di gestire le ospedalizzazioni sia specifiche contro il coronavirus, sia per altre patologie. Nonostante la pronta decisione del lockdown, l’Italia non si è ben distinta per queste azioni, con tantissime persone costrette a rimanere in casa con i sintomi e sottoposte a tampone solo settimane dopo. Il punteggio dell’Italia è pari a 2,22, lo stesso della Spagna e del Regno Unito: peggio di noi, come detto, solo il Belgio (2.11), che però nel conteggiare i decessi ha sempre incluso anche le morti sospette di coronavirus e non solo quelle accertate. L’Economist riconosce una piccola attenuante a Italia e Spagna, che sono stati i primi paesi occidentali ed europei ad essere colpiti in maniera drammatica dall’emergenza. Niente sconti al Regno Unito, che ha vanificato i giorni di vantaggio rispetto al dilagare del virus con una lunga serie di decisioni contrastanti. Le attenuanti considerate per un’analisi qualitativa della risposta all’emergenza sono tre: l’età media della popolazione, l’incidenza dell’obesità e il numero di arrivi internazionali nei vari paesi.
Coronavirus, la classifica dell’Economist. Secondo la classifica, il paese che in assoluto ha reagito in maniera migliore all’emergenza coronavirus è la Nuova Zelanda (3,67 il punteggio finale), che si piazza davanti ad Austria e Germania (3,56) e a Islanda, Norvegia, Danimarca e Israele (3,44). Nella classifica, tra i paesi più e meno virtuosi, al centro si collocano invece Portogallo, Francia, Cile e Stati Uniti, nettamente avanti rispetto a Giappone, Olanda, Corea del Sud, Svezia e Svizzera. “I dati, paese per paese, hanno dimostrato che il lockdown è importante per arrestare il contagio, ma da solo non basta. I paesi che hanno fronteggiato meglio l’emergenza sono quelli che hanno saputo trovare i positivi casa per casa, isolandoli e ricoverandoli in tempo” ha spiegato la rivista. (fonte THE ECONOMIST, CNBC)
Maurizio Caverzan per “la Verità” il 23 maggio 2020.
Professor De Rita, lei ha 88 anni ma conserva lo spirito ribelle dei ventenni: niente app e niente mascherina. «Nessuno che mi conosca direbbe che ho uno spirito ribelle. Sono un uomo tranquillo, arrivato a 88 anni camminando con passo lento verso la morte, compimento della vita. Il mio detto preferito si trova nel salmo 83: "Cresce lungo il cammino il suo vigore finché compare dinanzi a Dio in Sion"». Era una provocazione. Capisco la difesa della privacy meno il no al dispositivo di protezione.
«Oltre al fastidio, ci sono due ragioni. La prima è che mi sembra di respirare l'anidride carbonica del mio fiato. Forse proteggerà gli altri, ma a me non pare salubre. La seconda ragione è che la mascherina fa risaltare gli occhi e quando guardo i miei coetanei, diciamo gli over 75, vedo sguardi in parte disperati e in parte inespressivi. Non voglio apparire così».
Ecco: intervistare Giuseppe De Rita vuol dire imbattersi in pensieri originali e motivati. Fondatore e presidente del Censis - il Centro studi investimenti sociali che tutti gli anni ci consegna una fotografia del sistema nervoso del Paese - romano, otto figli avuti da Maria Luisa Bari, scomparsa nel 2014, De Rita è una delle figure più lucide e autorevoli del panorama intellettuale italiano. Un grande saggio. Che, con l' eccezione della partecipazione allo staff di Ciriaco De Mita a fine anni Ottanta, ha sempre mantenuto un' equilibrata distanza dalla politica. Nonostante questo, all' elezione per la presidenza della Repubblica del 2006 ricevette 19 voti.
Professore, è corretto il confronto di questo periodo con quello della guerra?
«Non direi. Chi lo fa non ha visto le centinaia di quadrimotori americani che sganciavano bombe sulle nostre città. O le motociclette delle Ss che attraversavano Roma mitragliando ad altezza d' uomo. Quella di oggi è una paura viscida e indistinta. Perciò anche persone razionali possono non controllarla. Qualche giorno fa a Roma alle 5 del mattino si è avvertita una piccola scossa di terremoto. C' è chi è sceso affannosamente in strada, io no. Una certa paura è stata alimentata dal clima generale di emergenza. C' è stato poco "ragionamendo", direbbe De Mita».
L' enfatizzazione del pericolo è servita a puntellare un potere fragile?
«Questa mi sembra un' esagerazione. Il fatto è che tutto il sistema italiano era impreparato. E quando si è impreparati si sbanda. La Germania ha risposto diversamente. Ha funzionato il rapporto tra i länder e lo Stato centrale, non ci sono stati problemi per le mascherine e i letti in terapia intensiva. Il muscolo ha assorbito la botta e ha permesso di controllare la paura. Noi siamo abituati ad arrangiarci giorno per giorno. È la virtù dell' Italia. Ma abbiamo copiato la Cina, dicendo che gli altri ci seguivano. Non era vero. Così, alcuni errori ne hanno innescati altri».
Il principale?
«Stare tutti insieme appassionatamente, mentre l' Italia è fatta di differenze. Non era pensabile trattare la Lombardia come la Basilicata o Bergamo come Viterbo. Per differenziare bisognava essere sicuri che la muscolatura avrebbe risposto bene. Non essendolo, abbiamo fatto norme uguali per tutti».
Siamo nella crisi più complessa della nostra epoca governati dai politici più sprovveduti della storia repubblicana?
«Come ha detto Giulio Sapelli, siamo governati da eterni disoccupati. Sarebbe interessante che qualche giornalista consultasse la Navicella parlamentare per studiare i curricula di ministri e sottosegretari e vedere cosa tornerebbero a fare se non rieletti. Ma non è tutta colpa loro».
E di chi?
«La ventata anticasta si è trasformata in lotta contro il merito e l' esperienza. Un risvolto disastroso. Quando governava la Dc c' era un lungo percorso di formazione, da vicesindaco ad assessore regionale fino a deputato. Una volta alla Camera, i primi anni si trascorrevano a imparare. Se appena arrivati si va al governo è inevitabile che i governanti siano inadeguati».
Di conseguenza?
«Il dilettantismo genera improvvisazione e semplicismo. Non si mette in quarantena una società complessa come la nostra senza tener conto della specificità di situazioni e corpi intermedi, dalla Chiesa alle filiere produttive, dalle categorie professionali ai sindacati. È come andare avanti chiudendo gli occhi per evitare di vedere il pericolo».
Vede anche lei una sovrapposizione della comunicazione sulla politica come appare da una certa strategia degli annunci?
«La pandemia ha accentuato la verticalizzazione delle decisioni. Tutto si concentra al vertice: Protezione civile, Comitato tecnico scientifico, due o tre ministri con il premier. Quando prevale l' angoscia, il potere si concentra. Il risultato è che anche il rilancio è statalizzato. Ma questo non è un meccanismo privo di conseguenze».
Quali, per esempio?
«Avrà notato che non c' è stata beneficenza privata, se si eccettua l' iniziativa di Gaetano Caltagirone in favore del Gemelli e dello Spallanzani. Per il resto, niente appelli dei giornali o della Chiesa. Tutta la beneficenza è andata allo Stato attraverso l' app della Protezione civile».
Veramente qualcuno c' è stato E la prevalenza della comunicazione?
«Verticalizzando e statalizzando si crea una distanza che si colma attraverso gli eventi. I famosi decreti, i provvedimenti poderosi. Gli eventi sono il terreno della comunicazione. Oggi si sottolinea il ruolo dei social, della Bestia di Salvini, del portavoce del premier, innalzandolo ad artefice. In realtà, Rocco Casalino dipende da un processo più strutturale».
L' approccio sanitario all' epidemia doveva essere complementare a una visione sociologica che è mancata?
«Non vorrei che la mia sembrasse una critica antagonista. Anche il ruolo quasi esclusivo avuto dai virologi nell' emergenza fa parte del processo di verticalizzazione. Il Comitato tecnico scientifico è composto in un certo modo. Cardiologi, animatori e altri specialisti sono rimasti al margine. Solo ora con le autopsie si inizia a vedere che non si muore di coronavirus, ma di altre complicazioni. Se domina la virologia il corpo umano è ridotto a portatore del virus e si perde di vista una visione completa».
Come giudica il decreto Rilancio?
«La ripartenza non si fa con le sovvenzioni ad personam. Ma è frutto di un processo socio economico complesso che rimetta in moto filiere produttive, gruppi di imprese e territori. Se i cittadini non hanno fiducia e non escono di casa, se non arrivano i turisti, i ristoranti restano chiusi anche se gli si dà il bonus per riaprire».
Ha visto la chat privata fra alcuni magistrati che attaccano Matteo Salvini? Quanto la cultura inquisitoria che domina nel M5s e nella magistratura può aiutare la ripresa?
«Tra Tangentopoli e post-Tangentopoli siamo diventati un Paese inquisitorio. Personalmente non amavo Francesco Saverio Borrelli, ma era un signore che aveva una storia familiare e suonava il pianoforte. Quelle espressioni fanno parte del protagonismo di magistrati che inseguono il protagonismo di Salvini. C' era anche in Borrelli, ma non in queste forme scomposte. Il degrado inquisitorio dipende dalle persone che interpretano ruoli e leggi. Non credo che potrà ostacolare la ripresa del Paese. L' Italia è meglio della magistratura che si precipita nelle Rsa nel pieno della tragedia».
Come possono sentirsi i piccoli e medi imprenditori di fronte al ricorso al prestito statale di Fca con sede nel Paese europeo a noi più ostile?
«Se si fa una società liberale e liberista si stabiliscono criteri che valgano per la richiesta Fca di oggi o per quella del Censis di domani. La Sace e la banca fanno le istruttorie tecniche e concedono il prestito in base a valutazioni oggettive. Ognuno fa il proprio mestiere. Se invece si introducono elementi politici si nega il prestito ai Benetton a causa dei morti del ponte Morandi e alla Fiat perché ha la sede in Olanda. Ma così non si gestisce più nulla».
Da cosa deriva l' eccesso di burocrazia che ci affligge? E perché siamo così impotenti nel combatterla?
«Si sottolinea la burocrazia statale, ma anche in banca e nei commissariati chiedono decine di firme. La burocrazia è il prodotto della diffidenza dell' italiano medio nei confronti del proprio simile. Se va in campagna un contadino non le parla bene del suo vicino. Moltiplichi questa diffidenza cellulare nelle relazioni più complesse, tra enti e organismi, ci aggiunga dieci anni di cultura del Vaffa, e avrà la burocrazia che ci sommerge».
Si può estendere il modello del ponte Morandi senza Codice degli appalti alla ripresa post-coronavirus?
«A Genova hanno applicato quello che a Roma si dice "famo a fidarse". Sindaco e presidente della Regione si sono fidati, consapevoli di rischiare. Se fosse caduto un calcinaccio e qualcuno avesse aperto un' inchiesta... Non credo si possa agire in deroga per rifare le strade di Roma».
Il ponte Morandi mi ha ricordato l' Autostrada del Sole completata in anticipo di tre mesi.
«E anche il traforo del Monte Bianco, realizzato sulla spinta del conte Dino Lora Totino. Era un clima diverso, c' erano entusiasmo collettivo, gioia di vivere, voglia di crescere. Oggi non riusciamo a fare dieci chilometri di Tav. Se serve la firma del funzionario a ogni metro la gioia di vivere è finita».
In questa crisi i vecchi hanno mostrato di avere più carte di tanti giovani sprovveduti. Dopo la rottamazione è il momento di ricorrere all' usato sicuro?
«Persone come Sabino Cassese e il presidente Sergio Mattarella hanno fatto la ricostruzione e il boom economico, ma appartengono a una generazione che ha dato quello che poteva dare. Al massimo può consigliare chi deve decidere. Non però come le task force che stabiliscono i metri di distanza tra marito e moglie. Ho letto l' invito di Sapelli a coinvolgermi. Ma per far cosa?».
Il presidente della Repubblica, visto che già nel 2006 qualcuno la votò.
«Ne parleremo alla prossima intervista».
Pietro Senaldi per “Libero quotidiano” il 18 maggio 2020. La gola profonda del Palazzo sceglie Libero per rompere il silenzio sulla gestione dell' emergenza coronavirus da parte della maggioranza. Capo gabinetto dell'esecutivo, da oltre due mesi in classifica con il suo libro-confessione Io sono il Potere, edito da Feltrinelli e scritto con la firma del quotidiano la Stampa Giuseppe Salvaggiulo, l' uomo che governa chi ci governa fa un' analisi spietata di quanto sta accadendo in Italia. Non emette giudizi politici, ma la sua illustrazione oggettiva di come Conte e soci si stanno muovendo lascia senza speranza.
Perché il premier Conte illustra i decreti della Presidenza del Consiglio sempre la sera tardi?
«La spiegazione ufficiale è la difficoltà di mettere insieme e far combaciare le valutazioni di ministeri, enti locali, scienziati, task force. C' è poi un' altra spiegazione, meno ufficiale ma non meno realistica. Io, però, non sono la persona adatta a illustrarla. Io, noi, non sacrificheremmo mai l' istituzione alla comunicazione, la prassi all' audience. Noi rifuggiamo i monologhi a reti unificate e le dirette facebook. Un capo di gabinetto che si rispetti non convocherebbe mai un consiglio dei ministri in prima serata. Vecchia, aurea regola: i consigli dei ministri o al mattino presto o la sera tardi».
Perché le disposizioni sono sempre così vaghe: sciatteria o confusione ricercata?
«Si tratta di un caso esemplare di eterogenesi dei fini. Quella che lei chiama vaghezza è in realtà l' esito non voluto di uno sforzo titanico di disciplinare ogni microdettaglio. Il che produce la necessità di circolari del ministero dell' Interno, che dovendo farsi carico dell' applicazione delle norme, prova a sciogliere i dubbi generati dai dpcm della presidenza del Consiglio (e talvolta ne crea di ulteriori). Un paradosso degno della novella di Borges sul cartografo incaricato di disegnare una mappa dell' impero che aveva l' immensità dell' impero e coincideva perfettamente con esso. Sia chiaro: noi capi di gabinetto non siamo gli artefici, ma le vittime di questo modo di legiferare. Dal portinaio all' autista, dalla segretaria alla cognata, tutti si sentono in diritto di sottoporre al signor capo di gabinetto le domande più disparate: dalla possibilità di recarsi dalla mamma fuori regione al motivo del divieto del cono gelato a differenza della coppetta, dalla possibilità di occupare i due sedili anteriori dell' auto alla differenza tra passeggio ludico e motorio».
Perché Conte ricorre così tanto al dpcm, strumento che gli ha portato attacchi dai più importanti costituzionalisti italiani?
«Semplice: i dpcm non passano al vaglio della Ragioneria Generale dello Stato, della Presidenza della Repubblica e del Parlamento. Palazzo Chigi li emana in piena autonomia. Quanto al vulnus costituzionale, un presidente emerito della Consulta disposto a darti ragione si trova sempre. Del resto, ormai sono così tanti...».
Ma il dpcm è legittimo secondo l' uomo del potere?
«Il dpcm logora chi non ce l' ha. Mai come in questo frangente, in pieno stato di eccezione, la legittimità recede rispetto all' effettività. Chi ha il potere sceglie le carte e le distribuisce. Nella prima fase, il dpcm era lo strumento previsto per ragioni sanitarie e di protezione civile, poi si è progressivamente allargato a dismisura, perché si è scoperto che può far comodo per tutto».
La Costituzione viene evocata sempre non per difenderla ma perché funzionale a un fine politico: qual è quello dei costituzionalisti?
«Per taluni, ancora in rampa di lancio, farsi nominare da qualche parte (a proposito, i vertici delle Authority sono ancora in prorogatio). Per altri, non arrendersi al fatto che non sempre il giostraio concede un altro giro, un' altra corsa. Il dibattito che producono è rispettabile, ma va relativizzato. I costituzionalisti sono mobili quali piume al vento. Oltre che reciprocamente gelosi e pertanto vendicativi. Tanto più se costretti dal lockdown a rinunciare a conferenze e mondanità».
Con i dpcm di fatto Conte non ha escluso dal dibattito solo l' opposizione ma anche la sua maggioranza: perché, non si fida?
«Conte non si fida più di nessuno, e fa bene. Galleggia aggrappato a una tavola di legno, circondato da squaletti. Ma più che dei partiti, dovrebbe preoccuparsi dei due stakeholders con cui ha avuto recenti motivi di frizione: la Chiesa e gli Stati Uniti. Errori come quelli compiuti sull' interruzione delle celebrazioni liturgiche e sulla liberazione di Silvia Romano, o Aisha come preferisce farsi chiamare ora, possono costare cari».
Mi sta dicendo che ritiene che il governo abbia sbagliato su Silvia Romano?
«Vivere di comunicazione può rivelarsi pericoloso. Eppure le strutture della Farnesina, ancor prima che la cooperante liberata partisse da Mogadiscio senza essersi cambiata di abito, avevano avvertito dei rischi diplomatici di un ritorno in forma pubblica. Inevitabile che gli alleati ci rimproverino tre colpe: aver pagato il riscatto, averlo pagato ai loro nemici, non aver impedito che si sapesse».
Nel Palazzo quanti mesi di vita vengono dati al governo?
«Politicamente, non mi riguarda. Tecnicamente, il governo è un sopravvissuto tra i sopravvissuti. Era moribondo a gennaio, poi è arrivata la pandemia. Quando, con le nomine nelle aziende pubbliche, sembrava al capolinea, è giunta l' emergenza economica. Ora sta in piedi perché non saprebbe da quale parte cadere. Non c' è alternativa, è questo il fattore C. Conte, intendo».
Diciotto commissioni di esperti: a che cosa servono?
«Ad accontentare famigli e questuanti, a mostrare al popolo che si fa sempre qualcosa, a confondere le responsabilità, a verniciare i poteri speciali con una legittimazione (talvolta presunta) di carattere tecnico, professionale o scientifico».
Con che criterio vengono scelti i commissari, visto che alla politica pare interessi solo quello di genere sessuale?
«Il metodo è quello delle corti medievali: vassalli, nobili, cavalieri e dame di compagnia. I criteri sono mutevoli a parte uno: che non facciano ombra al signore. Quanto alle donne, erroneamente ma non sorprendentemente escluse nella fase iniziale, pare che il presidente del Consiglio le abbia nominate proprio quando i componenti della task force lamentavano di essere troppi e con scarsi poteri. Ma chi avrebbe mai potuto protestare contro il riequilibrio di genere?».
Inizialmente si pensava che Colao commissariasse il governo, oggi sembra invece il parafulmine del premier: come è potuta accadere questa trasformazione?
«Diventare un parafulmine della politica e poi essere impietosamente commissariati è il destino di tutti i commissari di questa stagione. A Palazzo Chigi non hanno fatto molta fatica a esautorare Colao, se non altro per il fatto che ha pensato di gestire una catastrofe secolare in collegamento wifi da Londra».
Il Covid-19 ha ridimensionato la centralità del Parlamento. Cosa ne pensa il presidente della Repubblica, esimio giurista?
«Il presidente della Repubblica osserva con comprensibile apprensione. È un galantuomo, a ragione tutti gli italiani ripongono indistintamente la loro fiducia in lui. Ha improntato il suo mandato a una linea scrupolosamente non interventista. Alla quale si atterrà, se non costretto dagli eventi».
Perché Draghi non è disponibile ad aiutare l' Italia: non si fida del Parlamento o punta ad altro?
«Benché sollecitato soprattutto da ambienti non romani, ritengo che comprensibilmente voglia evitare di fare la fine di Monti. Ma ogni valutazione è prematura, anche se a Roma c' è già una vivace campagna di riposizionamento in corso».
Perché il governo ha dichiarato lo stato d' emergenza sanitario a fine gennaio e non ha fatto nulla per un mese?
«Le prime informazioni sanitarie erano molto confuse. Il comitato tecnico-scientifico, pur assai litigioso al suo interno, aveva rassicurato sulla possibilità di scongiurare l'epidemia con poche misure prudenziali, purtroppo rivelatesi insufficienti. Un errore non solo italiano».
Chi comanda davvero nel Paese oggi?
«Chi ha sempre comandato. I capi di gabinetto, che sono il tessuto del potere. Le cene romane (e non solo tra congiunti, le assicuro) sono continuate anche nel lockdown, a dispetto dei divieti draconiani e delle supermulte. All' inizio, per il terrore del contagio, per le comunicazioni riservate erano state create apposite chat. Ma presto si è tornati al riavvicinamento fisico, almeno in quell' angolo di mondo che va da via XX settembre al lungotevere dei Tebaldi. In palazzi insolitamente deserti o all' ombra dei pini di Villa Borghese, quando ha riaperto».
Perché sono stati promessi 400 miliardi di aiuti alla popolazione che il governo non aveva?
«Molte delle misure economiche che funzionano male sono state scritte proprio con questo obiettivo. Ovvero non spendere, o spendere meno, soldi che era necessario promettere anche se in realtà non si possono erogare perché non ci sono. Un gioco da ragazzi, per un gabinettista».
Perché gli aiuti non sono partiti o lo hanno fatto in ritardo?
«Perché l' amministrazione pubblica paga vent' anni di dequalificazione. Di fronte a un' emergenza, svela le sue fragilità. Come un anziano con pregresse patologie, difficile dire se si è ammalato con o per coronavirus».
Si parla della necessità di sburocratizzare il Paese: con il Covid sarà la volta buona?
«Se ci provano i politici, sarà fatica sprecata. Solo i più raffinati burocrati sarebbero in grado di sburocratizzare la burocrazia».
C' è qualcuno oggi nel governo che difende gli imprenditori e gli autonomi?
«Tutti chiedono tutto. Tutti ottengono qualcosa. E tutti si lamentano. Quando un governo non ha una strategia chiara, né la forza di scegliere poche cose e farle bene, non resta che ricorrere, come spiego nel libro, a un decreto salsicciotto. Misure necessarie o utili, bonus fiscali per categorie da tutelare, norme particolaristiche, regimi di favore per lobby, marchette a pioggia. Tutto in un decreto omnibus. Proprio come quello battezzato Aprile, benché approvato a maggio inoltrato».
Già, si chiamava aprile...
«Il ritardo non deve sorprendere né scandalizzare. Si tratta di una simil-finanziaria. E in genere la finanziaria ha quattro mesi di gestazione. Quindi due mesi sono un tempo ragionevole. Un decreto omnibus fai presto a cominciarlo, ma è difficilissimo chiuderlo. Tutti vogliono salire sul treno in corsa, alla fine non resta che una riunione fiume del preconsiglio, in cui tutti i capi degli uffici legislativi limano il testo. Quella per l' ultimo decreto è stata spalmata in due giorni, con alcuni partecipanti collegati da remoto, il che ha accresciuto tensioni, bizzarrie ed equivoci. E naturalmente non è finita, perché il decreto - magia della formula salvo intese - viene ancora modificato in queste ore. Poi sarà esaminato dal Quirinale e infine dovrà andare in Parlamento. Prevedo miliardi di emendamenti».
Oggi inizia sul serio la fase 2: quanto siamo pronti?
«Siamo italianamente pronti».
Maurizio caverzan per la Verità il 16 maggio 2020. Fare le domande a Giulio Sapelli è un' impresa. Il giorno dopo l' annuncio del decreto Rilancio, il professore è un fiume che esonda e travolge. Il suo pamphlet Pandemia e Resurrezione (Guerini e associati, goware) è appena arrivato nelle librerie, ma l' economista, autore di centinaia di saggi tradotti in tutto il mondo, collaboratore del Sussidiario.net che nel maggio 2018 fu a un passo dal diventare premier del governo Lega M5s, riscatta con un' impennata di ottimismo gli scenari foschi che tratteggia riguardo al presente. «Se non fosse così vorrebbe dire che non credo alla Resurrezione».
Usando l' immagine del suo libro, dopodomani con le riaperture dei negozi l' Italia inizierà a risorgere?
«Io mi riferisco alla Resurrezione di cui parla San Paolo nella lettera ai Romani. Una Resurrezione garantita dalla fede. Gli italiani hanno dimostrato di avere resistenza, ma per aver fede serve un' escatologia positiva. Purtroppo, senza fare paragoni blasfemi, mi sembra che questo governo non la possieda, mentre invece favorisce la depressione degli animi. In concreto: non abbiamo avuto l' indicazione di una via di salvezza».
Chi l' ha avuta in questa crisi?
«La Federal reserve, che nel giro di cinque giorni ha versato 3.000 miliardi di dollari direttamente nei conti correnti degli americani. Lo ha fatto con un provvedimento dettagliato, che ha fornito garanzie alle banche e a tutto il sistema».
Visto da qui il nostro decreto è piccola cosa?
«Gran parte dei 55 miliardi servono per le detassazioni, tutto il contrario di ciò che serve in presenza di una pandemia. Quando c' è una crisi come questa, che colpisce sia la domanda che l' offerta, bisogna fare la mossa del cavallo e immettere liquidità sull' esempio della Banca centrale nordamericana. Gli imprenditori svizzeri per ottenere il versamento nel conto corrente compilano un modulo di un foglio, i nostri devono presentare 19 documenti».
Nel «Rilancio» ci sono anche nuove assunzioni.
«Di professori e infermieri certamente necessari, in vista di investimenti futuri. Bene, ma sono posti di lavoro che andranno ad aumentare il debito pubblico. Il fatto paradossale è che gli autori di questo provvedimento sono coloro che ritengono il debito pubblico il maggiore dei mali».
Il denaro a pioggia non basta a promuovere un ciclo virtuoso?
«Anche stavolta si è saputo solo prendere e non investire e spendere».
Conte era fiero di annunciare gli stanziamenti.
«Conte dice cose da avvocato manzoniano, non pronuncio il vocabolo».
Azzeccagarbugli.
«Fare politiche di esenzione fiscale senza pompare denaro è come attaccare il malato al respiratore. Se non gli dai anche da mangiare come può rimettersi a camminare? Altro errore, le regole per le riaperture fissate dai tecnici».
Quali?
«Se si deve rispettare il distanziamento nei negozi e nei ristoranti non si può ripartire. Anche per gli alberghi di lusso sarà dura. Chi ha fatto queste regole non ha mai lavorato in fabbrica, non ha mai mangiato in una mensa o fatto la spesa in un negozio di provincia. Ci vorrebbe la penna di un grande romanziere per descrivere cosa sta capitando».
Cosa scriverebbe?
«Oggi sono andato in una farmacia con mia moglie per misurarmi la pressione. Tutte persone gentilissime, ma la farmacia era talmente piccola che se avessimo dovuto rispettare le distanze avremmo dovuto fare la misurazione all' esterno».
Non condivide i protocolli sanitari?
«Abbiamo la mascherina. Nessuno sa bene che cosa sia questo virus, ma abbiamo creduto ai cinesi e all' Organizzazione mondiale della sanità che è infiltrata dai cinesi. Tutte le sere ascoltiamo uno che dice che la Cina va bene. Se la Germania non ha mai chiuso e ha avuto un numero contenuto di vittime ci sarà un perché».
Che cosa avrebbe dovuto dire il governo?
«"Lavorate con prudenza". Chiudere la gente in a casa è stato un errore. Mi spiace essere così duro. Ma penso che la morfologia dei nostri governanti sia profondamente cambiata. Sono una classe di ricchi globalizzati o di eterni disoccupati».
Ci troviamo nella crisi più insidiosa e richiedente esperienza degli ultimi settant' anni guidati dal governo più sprovveduto della storia repubblicana?
«Avrebbero dovuto appoggiarsi ai corpi intermedi. Consultare la Confartigianato, la Confindustria, i sindacati, le banche».
Invece?
«Si è drammatizzato, socializzando la paura come strumento di consenso politico».
Con l' aiuto dei virologi e degli esperti dei comitati scientifici.
«Per battere il virus lo strumento sanitario è importante, ma insufficiente. Ci vuole anche conoscenza sociologica. È una società intera da salvare non solo i malati».
Perché suggerisce i modelli della Corea del Sud e di Taiwan?
«Perché hanno un metodo più completo. Usano le tecnologie e si fidano della gente in base a un' antropologia positiva. Per questo governo, figlio di Mani pulite, gli italiani sono tutti potenziali delinquenti. Perciò, nel pieno della pandemia, si mandano i magistrati negli ospedali».
Poi c' è la burocrazia.
«Che non è un fatto a sé stante. Anche i burocrati partono dalla sfiducia nella persona. Pensano che sia cattiva e vada guidata da un reticolo di regole e controlli. Io penso che sia buona e gli vada data fiducia. Il metodo Montessori partiva dalla fiducia nel bambino. Perciò, primo: fiducia nelle persone. Secondo: conoscenza della realtà e, di conseguenza, regole applicabili. Terzo: tecnologia sia nel tracciamento del virus sia nelle misure economiche. Quindi, soldi nei conti correnti».
Luca Ricolfi sostiene che da società signorile di massa diventeremo una società parassitaria di massa.
«Ho insegnato vent' anni in America latina e ho visto la povertà della società parassitaria. In autunno saremo circondati dai poveri come Buenos Aires negli anni Ottanta o il Perù negli anni Novanta. Grazie a questi politici l' Europa si sta sudamericanizzando. E come in Sudamerica avremo le zone dei ricchi e le zone dei servi, sorvegliati dalle torrette con le mitragliatrici».
Scenario cupo.
«Se non ci diamo una regolata, l' estensione della povertà porterà a un conflitto violento e frammentato. Già adesso le periferie fanno paura».
Per anni le forze d' opposizione hanno chiesto solo di tagliare le tasse.
«Non capiscono di economia né di sociologia. Ho rispetto per Silvio Berlusconi Ma le signore che lo rappresentano Anch' io sono per la flat tax, ma in questa situazione non basta. Sono indispensabili gli investimenti e la sburocratizzazione. Alle piccole e medie imprese che da tre mesi non fanno cassa bisogna dare liquidità per andare avanti».
Che trasformazione impone una pandemia virale?
«Impone una svolta radicale che ristabilisca la centralità dell' impresa e del lavoro. E un cambio della politica economica europea. Le regole attuali, pensate in un momento di crescita, non possono funzionare. È come se avessimo addosso una corazza mentre dovremmo indossare il costume da bagno».
È corretto dire che il ciclo dell' economia neoliberista si è concluso?
«Certamente. Bisogna creare un nuovo rapporto tra Stato e mercato. Come quello che ci fu dopo la Seconda guerra mondiale e guidò la ricostruzione e il boom economico».
Ci vuole un nuovo Iri o l' ingresso di un membro pubblico nelle aziende private?
«Lo Stato deve recuperare un ruolo, ma né le nazionalizzazioni né lo Stato sovietico sono il modello. La strada può essere l' economia not for profit, un piccolo dividendo allo Stato per pagare i salari».
Lei scrive che, sotto la globalizzazione finanziaria, sopravvive la competizione tra nazioni, ma i medici cinesi e i militari russi sono venuti ad aiutarci.
«I russi sono venuti d' accordo con gli americani. Il vassallo fa quello che non può fare l' imperatore: è chiaro che l' America sta riavvicinandosi alla Russia per sconfiggere la Cina. L' Italia è l' unico Paese del G7 che ha siglato un accordo di lungo periodo con Pechino. Il Paese che ha inventato la forchetta ha firmato un' intesa con il Paese dove si mangiano gli animali senza sottoporli alla macellazione igienizzata».
Crede che le politiche di austerità saranno ripensate?
«Mi sembra che stia iniziando un cambiamento lento. Che il centro cristiano tedesco stia capendo che una stagione è finita».
E la dichiarazione della Consulta tedesca contro i quantitave easing di Mario Draghi?
«È l' ultimo guizzo di un mondo che sta scomparendo».
Ma il nostro governo si sta allineando sul Mes.
«Sarebbe un errore che pagheremmo carissimo. Potremmo sfruttare la proposta di prestito volontario irredimibile ideata da Giulio Tremonti e Giovanni Bazoli. Ci permetterebbe di raccogliere dai 200 ai 300 miliardi e di investirli subito, come abbiamo fatto in passato».
Ma così ci staccheremmo dal carro di Berlino e Bruxelles.
«Questo dimostra che il governo è eterodiretto. È come se nel dopoguerra Alcide De Gasperi non avesse ascoltato Luigi Einaudi».
Come giudica la regolarizzazione dei migranti?
«Le politiche di migrazione devono essere gestite dagli Stati non dai mercati. Anche in questo caso non c' è da piangere, ma da ragionare. L' immagine corretta è quella del treno. I migranti vanno divisi per ciò che sanno e possono fare e fatti salire sui vagoni giusti, non ammucchiati in un unico autobus. Guardi la Germania: ha creato dei corridoi e si è presa i laureati siriani».
È ancora favorevole a un governo di unità nazionale?
«Credo che a ottobre si andrà a votare perché la situazione sociale sarà così incandescente che il capo dello Stato non potrà non prendere una decisione».
Ce la faremo?
«Me lo auguro. Da vent' anni non abbiamo una classe dirigente. La rottamazione ha infranto la solidarietà tra generazioni. Questi quaranta-cinquantenni sono dilettanti. Dovrebbero farsi aiutare dai vecchi, da chi ha esperienza. Per fare un esempio, possibile che non si sia mai coinvolto una persona come Giuseppe De Rita e il suo Censis? Siamo una grande nazione che è andata avanti con lo stellone. Ma di fronte alla pandemia non può bastare. Ecco: forse più che l' ora della Resurrezione è arrivata l' ora della verità».
Giorgia Meloni, il dossier di Fratelli d'Italia sulle morti da coronavirus ignorate da Conte: sciatteria? Non solo. Antonio Rapisarda su Libero Quotidiano il 01 maggio 2020. Il governo Conte e le sue innumerevoli task force continuano ad esasperare gli italiani con le "Faq" sugli intraducibili Dpcm, ma ancora non sono riusciti a fornire le risposte ad alcune domande "fondamentali" per stabilire come procedere con lo sblocco dell'intera nazione. Qualche esempio? Quando è iniziata effettivamente la crisi del Covid-19? Individuare con precisione dove il virus ha colpito può essere utile per modulare la ripartenza? Lo stesso vale per le fasce di età? A tutto questo le istituzioni non hanno risposto con la dovuta chiarezza, lasciando ai bollettini della Protezione Civile il compito di aggiornare sugli sviluppi della crisi: numeri che però, come testimoniano alcuni passaggi surreali delle conferenze stampa di Borrelli & co, sono risultati più volte non rappresentativi della realtà. Impossibile dunque tracciare un profilo esatto? Al contrario: e proprio grazie all' Istat. A dare i "dati" sul coronavirus - incrociando i dossier dell' istituto di ricerca nazionale con il lavoro di un esperto di elaborazione dati come Alessandro Moricca - ci ha pensato però il centro studi di Fratelli d' Italia che, dopo aver chiesto più volte al governo lumi sull' argomento, ha dovuto fare da sé mettendo un po' d' ordine dove le centinaia di esperti a disposizione di Conte non hanno ancora provveduto.
Gestione della crisi - Solo sciatteria? Non esattamente, dato che - come è possibile vedere dai dati presentati dal coordinatore Francesco Filini - proprio le conclusioni del rapporto di FdI aiutano a svelare le falle nella gestione della crisi da parte dell' esecutivo. «Ci siamo "limitati" a fornire dei dati oggettivi - spiega a Libero il senatore Giovanbattista Fazzolari, responsabile del programma di FdI -. Certo, il governo ha lasciato i cittadini nella più totale indeterminatezza: forse per rendere insindacabili le decisioni degli esperti» Non è neutro, ad esempio, stabilire quando è iniziata davvero l' epidemia. Una delle tesi è datare tutto tra novembre e dicembre del 2019. «Sembrerebbe di no - si legge nel rapporto -. I dati Istat mostrano come solo dall' inizio di marzo 2020 si registra un aumento della mortalità». È qui che si ha il boom di decessi: qualcosa come più 17mila vittime su base nazionale. I picchi? Lombardia (+129%), EmiliaRomagna (+55%), Liguria e Marche (+30%) e Piemonte (+26%). Siamo a due mesi dall' annuncio di Giuseppe Conte che a Otto e mezzo assicurava tutti spiegando come l' Italia stava adottando «misure cautelative all' avanguardia rispetto agli altri». A livello nazionale, invece, si stima un incremento della mortalità del 32% nel mese di marzo rispetto alla media degli anni precedenti, mentre - rispetto ai dati forniti dalla Protezione Civile - si parla di un +70% (ma si teme che il numero sia ancora più alto). I motivi di questo iato? «Alcuni sono stati ammessi dalla stessa Protezione civile, come il fatto che per essere considerati morti per Covid era necessario essere stati sottoposti al tampone. Altri motivi possono essere di tipo organizzativo soprattutto nella primissima fase dell' emergenza». Importante capire anche che ben il 78% circa dell' aumento di mortalità a livello nazionale nel mese di marzo si concentra nelle venti province più colpite: «Impressionante il dato della provincia di Bergamo con un incremento della mortalità del 432%. Seguono Cremona che ha quadruplicato i morti (+294%) come Lodi (+ 289%)». Di tutt' altro si parla per il Sud. In Basilicata il caso limite: solo quattro morti per conoravirus a marzo. E chi sono, infine, i più esposti alla "letalità" del virus? È altamente letale per gli over 70, pericoloso per gli over 60, quasi inoffensivo per chi ha meno di 60 anni e non ha patologie pregresse.
Riapertura modulare - Davanti all'"assembramento" di questi dati emergono le linee guida che FdI dà per la ripartenza. Il preambolo è chiaro: «Non sembra sensato bloccare l' intera Nazione. La soluzione più ragionevole è la tutela degli anziani e misure precauzionali per gli over 60». Non solo. La riapertura non può che essere modulare, dato che che l' epidemia non è diffusa in modo uniforme: «Il mantenimento di zone rosse circoscritte è maggiormente sostenibile che non la chiusura generalizzata». Fuori dai centri del rischio? «Riapertura di tutte le attività, senza distinzione, attraverso un protocollo di sicurezza; test rapidi a tappeto sulla popolazione. Sanificazione dei luoghi di lavoro, dei mezzi di trasposto pubblico e dei luoghi aperti al pubblico a carico dello Stato». Un passaggio, infine, sulla scuola: «Non appare giustificato il perdurare della sospensione. La riapertura delle scuole andrebbe prevista il prima possibile». Un favore alle famiglie ma anche ai nonni, che verrebbero esposti a un altro - l' ennesimo - inutile rischio.
Monica Guerzoni, Marco Imarisio, Simona Ravizza e Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera” il 20 aprile 2020. Alle dieci del mattino di martedì 7 gennaio, Pietro Poidomani riapre il suo ambulatorio in via Trieste. Le vacanze di Natale sono appena finite, ma il numero di persone in fila è inusuale. Lui le conosce tutte. È l' unico medico di base a Cividate al Piano, cinquemila abitanti sulla riva destra del fiume Oglio, 25 chilometri da Bergamo. I primi 5 pazienti hanno lo stesso problema. Sono anziani che lui ha già vaccinato per l' influenza di stagione, però hanno ancora febbre e una strana tosse. Faticano a respirare. A ognuno prescrive una radiografia al torace e il responso è sempre uguale. Complicazione da polmonite, con marcati addensamenti interstiziali. Quel giorno, su 50 visite, dodici sono per gli stessi sintomi. Il giorno dopo, ancora. E poi ancora. Nelle settimane seguenti, il dottor Poidomani chiama alcuni suoi colleghi dei paesi vicini. «Anche voi...». Anche loro. A metà febbraio decidono di scrivere all' Azienda di tutela della salute della provincia di Bergamo. Non sarebbe il caso di dare un' occhiata a tutte le radiografie toraciche fatte dal 25 dicembre in poi?
Non otterranno mai risposta. «Già verificando i dati, avremmo potuto salvare qualche vita», racconta Poidomani. «Ma nessuno si è posto la domanda giusta. E così siamo arrivati al momento cruciale a mani nude, senza attrezzature, senza bombole ad ossigeno».
La grande paura era cominciata in ritardo. La prima convocazione della task force creata al ministero della Salute risale al 22 gennaio 2020, quando viene promulgata una circolare che prescrive il tampone in caso di polmoniti insolite. «Senza tener conto del luogo di residenza o storia di viaggio, anche se è stata identificata un' altra eziologia che spiega pienamente la situazione clinica». Cinque giorni dopo, nuova circolare, dalla quale questa frase sparisce. Controlli solo su chi arriva da Wuhan o ha avuto contatti recenti con la Cina. Ma la sera del 30 gennaio i tg aprono tutti con la stessa notizia.
«Virus, colpita l' Italia». «L' allarme dell' Oms». Sui quotidiani vengono anticipati i provvedimenti che il governo si appresta a prendere: dichiarazione dello stato d' emergenza e blocco dei voli con la Cina. Il decreto che cambia tutto arriva il giorno seguente, 31 gennaio. «Si ritiene necessario provvedere tempestivamente a porre in essere tutte le iniziative di carattere straordinario...». Mancano però le istruzioni per l' uso. C' è uno stato d' emergenza, ma non un piano d' emergenza. Come si devono comportare gli ospedali, le regioni? Il primo febbraio, un noto primario milanese scrive nella chat dei suoi medici. «Con quel provvedimento hanno costruito una bella casa. Peccato che si siano dimenticati di farci il tetto». Si rivelerà una profezia. A due mesi dall' inizio di questa tragedia, che per noi è cominciata alle 00.45 del 21 febbraio, quando l' Ansa ha battuto la notizia del primo paziente positivo al coronavirus dopo il ricovero all' ospedale di Codogno, il famoso Mattia, che non veniva dalla Cina e quindi per giorni non fu sottoposto a tampone, è il caso di riavvolgere il nastro. Per raccontare quella che, al netto di colpe e responsabilità individuali, è la storia di una sottovalutazione collettiva, istituzionale e anche mediatica. Il decreto del 31 gennaio contiene una falla logica. La scelta di bloccare i voli da e per la Cina non produce alcun risultato sulla tracciabilità del virus, perché chi doveva tornare dalle zone contagiate lo farà comunque attraverso altri scali, senza essere sottoposto a ulteriori controlli. Il primo passo è comunque meglio del niente, o quasi, che seguirà a livello decisionale, tra sottovalutazione e discutibili slanci di generosità.
Alle 14.50 del 15 febbraio decolla dalla base di pronto intervento Unhrd delle Nazioni unite di Brindisi un volo diretto a Pechino, organizzato dal ministero degli Esteri. A bordo ci sono anche due tonnellate di materiale sanitario, regalo della Farnesina alla Cina. Pochi giorni dopo, mascherine e tute di protezione per gli operatori sanitari si riveleranno introvabili nelle zone più colpite della Lombardia. Il decreto sull' emergenza, che segue le indicazioni dell' Oms, diventa una sorta di ombrello sotto al quale si può riparare qualunque amministratore che decida di non agire. I medici di tre grandi ospedali lombardi, Niguarda di Milano, Papa Giovanni XXIII di Bergamo, Sant' Anna di Como, scrivono alle Ats di riferimento chiedendo di verificare il numero di posti nelle terapie intensive della regione. La sera del 21 febbraio a Bergamo si tiene una riunione dei medici ospedalieri della provincia. All' ordine del giorno c' è un' altra lettera da mandare all' Ats, per fare presente che «date le attuali condizioni», non sono in grado di fare fronte all' epidemia, se mai arriverà. È già arrivata, purtroppo. Il primo documento governativo che spiega come muoversi e cosa fare è del primo marzo, un mese dopo. Lo firma il direttore generale della Salute Andrea Urbani. Accoglie le richieste del Comitato tecnico-scientifico (Cts) secondo cui è «necessario che nel minor tempo possibile» sia attivato nelle strutture pubbliche e private un modello di cooperazione «coordinato a livello nazionale per un incremento delle disponibilità di posti letto del 50% nelle unità di terapia intensiva e del 100% in quelle di pneumologia e malattie infettive». Sei giorni dopo il commissario Angelo Borrelli firma l' accordo con la società Siare per la fornitura di ventilatori meccanici, fondamentali per le terapie intensive. Cosa è successo in questo mese di limbo, tra il primo e l' ultimo weekend di febbraio?
Nel governo convivono opinioni discordanti. Roberto Speranza è da subito per la linea dura. Il 2 febbraio, quando in Italia gli unici malati sono i due cittadini cinesi ricoverati allo Spallanzani, in tv da Fabio Fazio il virologo Roberto Burioni afferma che da noi il rischio «è pari a zero». Il ministro della Salute invece drammatizza: «Abbiamo fatto scelte molto prudenziali, il Paese deve essere pronto». Per Speranza, «chiudere tutto» sarà il mantra ripetuto in ogni Consiglio dei ministri, Conte invece non è convinto. A marzo, quando la curva dei contagi si impenna, resiste per giorni alle pressioni dei governatori del Nord. Salvini, che in questa crisi cambierà diverse volte rotta, chiede più coraggio. Ma Conte non vuole cedere al «ricatto» del centrodestra. La linea di Palazzo Chigi è chiudere il Paese un passo alla volta, decreto dopo decreto. La strategia della gradualità si basa sulla convinzione che solo un sentimento profondo di paura diffusa potrà rendere tollerabile una forma così severa di reclusione sociale. Nei momenti decisivi, mentre si invoca l' unità nazionale, le istituzioni avanzano in ordine sparso.
Il 23 febbraio il governatore Fontana e Speranza firmano l' ordinanza che istituisce misure restrittive per la Lombardia. Lo stesso giorno alle 18.30 nell' Aula Biagi di Palazzo Lombardia 500 sindaci della Regione chiedono deroghe per mercati, centri commerciali e attività sportive. La Lombardia cede dopo 72 ore, con una deroga: i bar restano aperti anche dopo le 18 «se con il servizio al tavolo».
Il 27 febbraio il sindaco Giuseppe Sala lancia la campagna #Milanononsiferma, seguito a Bergamo da Giorgio Gori. Salvini in un video chiede di «riaprire tutto», invitando i turisti stranieri a visitare il Paese più bello del mondo, mentre il segretario del Pd Nicola Zingaretti fa un aperitivo pubblico sui Navigli, che forse gli costa il contagio. Il 28, gli esperti della Regione mostrano per la prima volta a Fontana le stime della curva epidemica che in quei giorni presenta un indice R0 di contagio superiore a 2: «Se la situazione dovesse allargarsi, il rischio è di default dell' intero sistema ospedaliero». Oggi sembra surreale, ma l' Emilia-Romagna chiede di tenere aperti cinema e teatri e il Veneto vuole una deroga sulle terme.
L' 8 marzo è una domenica di sole, bar e ristoranti aperti, tanta gente in giro. Lunedì 9 marzo, dopo l' incontro con i capi delle opposizioni, Conte annuncia che l' Italia intera diventa zona rossa. Sono passati 38 giorni da quel 31 gennaio nel quale era stata dichiarata l' emergenza sanitaria. Il dottor Poidomani si è ammalato di Covid-19. Ricoverato il 2 marzo in terapia intensiva, ne è uscito il 13. Venerdì scorso, il doppio tampone ha dato esito negativo. Oggi tornerà al lavoro nel suo ambulatorio.
Il fallimento della prima task force della storia: i tumulti del pane del 1628. Renata Polverini de Il Riformista il 18 Aprile 2020. Egregio direttore, Il Riformista è stato uno dei primi quotidiani ad approfondire il ruolo di sostanziale surroga del Parlamento e più in generale della politica, che stanno assumendo i tecnici nella delicata e drammatica contingenza che attraversa il Paese a causa del coronavirus. C’è stata, infatti, una lunghissima fase in cui le Camere sono apparse se non “esautorate”, come ha sostenuto Angela Azzaro su queste colonne, quantomeno in “surplace” come quei ciclisti che – pur stando in gara – restano in piedi sui pedali completamente fermi. I presidenti delle nostre Assemblee sono stati presi in contropiede dall’epidemia e non hanno dimostrato di saper tutelare fino in fondo il ruolo assegnatoci dalla Costituzione mobilitando, come sarebbe stato necessario, l’intero Parlamento nell’assunzione di responsabilità e misure per fronteggiare la crisi. Basti pensare che ancora qualche giorno fa, ad oltre un mese dall’inizio del lockdown, i vertici del Senato volevano sapere dal Governo (sic!) quali fossero i margini di spostamento (cioè di libertà) dei propri rappresentanti. Naturalmente non si vuole qui criticare il contributo che esperti di chiara fama possono dare nel momento in cui si è chiamati a decidere sulla salute dei cittadini o alimentare il timore che i “tecnici” possano soffiare il posto a qualche ministro se non aspirare alla Presidenza del Consiglio come qualche commentatore sta insinuando con crescente insistenza. Certo, abbiamo autorevolissimi precedenti, a partire da Dini, ma è altrettanto vero, per restare a tempi più recenti, che Renzo Piano ha regalato all’Italia ed a Genova il progetto per uno splendido ponte sul Polcevera senza pretendere, con ciò, di essere nominato ministro dei Trasporti. Semmai a preoccupare – di fronte al proliferare di commissioni ed al moltiplicarsi di esperti di ogni genere a livello centrale e locale – è la babele che si sta creando a discapito della velocità con cui, nelle emergenze, occorrerebbe agire. Quello che nessuno dice, a mio avviso, è che dopo la vicenda dell’ex sindaco di Genova, Marta Vincenzi, non c’è in Italia un solo sindaco o un solo amministratore o governante che non cerchi di coprirsi le spalle con uno o meglio più “pareri” utili a dimostrare, nell’immancabile inchiesta che fa da corollario a qualsiasi evento accada nel territorio o nella materia gestita, la propria buona fede. Dopo la condanna a cinque anni di carcere per l’alluvione del 2011 dell’ex primo cittadino di Genova, infatti, non c’è stato sindaco che non abbia chiuso le scuole del proprio Comune di fronte ad un allarme giallo lanciato, magari a vanvera, dalla protezione civile. Curiosamente, l’unica circostanza in cui i tecnici – in questo caso magistrati, avvocati, garanti dei detenuti, ecc. – non vengono ascoltati e neppure scattano inchieste e sequestri, è quella che riguarda l’ingiusta e pericolosa condizione dei detenuti. Ma questo dimostra soltanto che è la “politica” a dover decidere, senza abiurare ad un ruolo che le è assegnato dalla Costituzione e che rappresenta l’essenza e la rappresentazione più autentica della democrazia. “La storia insegna ma non ha scolari”, diceva Gramsci, ed è tanto vero che nessuno, in questi giorni, ha ricordato come, a provocare la rivolta di Milano nel 1628 descritta dal Manzoni, fu l’improvvida decisione del Cancelliere Antonio Ferrer di chiedere ad un Comitato di esperti la fissazione del prezzo del pane che da lui stesso era stato giustamente calmierato. Gli “esperti” dell’epoca decisero di tornare al valore di mercato, spingendo così sulle barricate i cittadini milanesi ridotti alla fame e decimati dalla peste. Se la politica non vuole rivedere i cittadini in strada con i forconi recuperi la sua essenza e torni ad assumersi, senza paura, le proprie responsabilità.
Alberto Mattioli per “la Stampa” il 20 aprile 2020. Dopo quasi otto settimane in clausura, cinquantaquattro giorni durante i quali l' uscita più lunga è stata andare a fare la spesa al supermercato sotto casa e il massimo dell' eccitazione cambiare la marca del cibo per i gatti, aspettavo il primo viaggio in treno come un bambino attende Babbo Natale. Certo, con l' inconveniente dei controlli a tappeto, dell' autocertificazione, delle comprovate esigenze e dell' assoluta urgenza. Però, ammettiamolo: da bravi italiani, pensiamo sempre che le leggi siano concepite per essere interpretate, abbiamo fiducia nel rapporto personale con chi rappresenta l' Autorità e nella nostra abilità a fargli chiudere un occhio o magari due, perché, si sa, «rigore» è una parola che associamo alle partite di calcio, non al rispetto delle regole. Sorpresa: non è così. Al tempo del Covid-19 non solo le severissime disposizioni ci sono, che magari è la regola, ma vengono anche severamente applicate, che è sicuramente l' eccezione. Non ci salverà nemmeno la tanto invocata bellezza italiana, che pure rende tutta la manfrina burocratico-sanitaria meno estenuante. Sabato, intorno alle nove e mezza del mattino, vuota come non è mai stata vuota, la Centrale di Milano, secondo Frank Lloyd Wright che di architettura se ne intendeva «la più bella stazione ferroviaria del mondo», risultava effettivamente splendida, e il famigerato stile assiro-milanese ancora più imponente in una Galleria delle carrozze dove si aggiravano, in tutto e per tutto, tre persone. La vastità fa sempre effetto: se è anche deserta, fa quasi impressione. Quanto ai treni, il problema semplice ma decisivo è che non ci sono. La cosa non manca di logica: visto che la gente non si può muovere, tanto vale non far muovere nemmeno loro. Così numero dei convogli è stato drasticamente diminuito. E comunque prima di prenderli bisogna farsi controllare. E qui, appunto, scopri l' Italia che non t' aspetti: rigorosa e tutto sommato anche efficiente. Intanto, fra poliziotti e soldati, l' unico varco è più presidiato di Fort Knox. E poi controllano, eccome. Per fortuna per chi non dispone di una stampante casalinga, sono a disposizione il modulo dell' autocertificazione (bilingue, anche in inglese) e perfino la penna per compilarlo. E già questo non è facile, perché «il dichiarante» deve dichiarare non solo di essere al corrente degli ukase di Conte, ma pure «a conoscenza delle ulteriori limitazioni» decise dai presidenti delle regioni in cui viaggia. Non proprio ovvio, con le regioni che limitano in ordine sparso, come prima dell' Unità, il regno di Sardegna in maniera diversa da quello di Napoli (dove regna il temibile Vincenzo I) e il granducato di Toscana dalla Serenissima. Ma poi l' autocertificazione non basta. Perché le comprovate esigenze lavorative, le assolute urgenze e i motivi di salute vanno appunto comprovati: servono pezze d' appoggio, spiegazioni, mail della zia malata o certificati del medico curante. Nel mio caso, lo ammetto, il tesserino professionale, ultimo avanzo dei privilegi della casta giornalistica, ha fatto miracoli (e del resto viaggiavo per lavoro, non per sfizio personale). Però diciamo che chi vuole prendere il treno deve calcolare un venti minuti-mezz' oretta di questa trafila, compreso il controllo della temperatura effettuato da un cortesissimo tenente del Corpo della sanità militare con uno di quei termometri fighissimi che sembrano il telecomando della tivù. E in ogni caso l' esito della trattativa è tutt' altro che scontato. Mi è anche toccata la crisi di pianto di una ragazza rimbalzata. Gemeva in videochiamata: piange il telefono versione 2.0. Finito? No. Perché se prendi una delle poche Frecce superstiti ti viene anche consegnata una specie di contromarca per accederci, attraverso uno stretto corridoio transennato e ri-controllato. Frecce, poi, per modo di dire. A parte che, nonostante l' assenza di traffico, si parte da Milano con dieci minuti buoni di ritardo (un delicata attenzione di Trenitalia per far credere ai suoi affezionati clienti che tutto è normale), a bordo la solita voce registrata spiega che il treno viaggia sulla linea tradizionale. Il risultato è che alla fine a Bologna si arriva con un quarto d' ora di ritardo. Quanto alla distanziazione sul vagone, non convince del tutto. Perché è vero che i posti sono occupati a scacchiera, uno sì e uno no, ma se nel salottino di quattro posti siamo in due non siamo sicuramente a un metro distanza l' uno dall' altro. Però i viaggiatori hanno tutti la mascherina (e parlano tutti e tutto il tempo al telefonino, però l' epidemia non c' entra). All' arrivo a Bologna, si viene instradati in un unico sottopassaggio, che non sembra una buona idea per evitare assembramenti, e controllati di nuovo. Per il ritorno si riparte da capo, come nel gioco dell' oca: autocertificazione, domande e così via. È disponibile unicamente uno di quei regionali forse ironicamente definiti «veloci», che si ferma pure ad Anzola dell' Emilia o Sant' Ilario d' Enza. Quindi per andare da una città all' altra ci vogliono 2 ore e 55 minuti e molta pazienza (stavolta si arriva puntuali, però). Ma almeno il treno è praticamente vuoto, quindi il rischio di contagiare o contagiarsi sembra davvero ridotto. Diciamo che è più facile morire di noia che di virus. All' arrivo a Milano, in una Centrale ancora più vuota, ulteriore autocertificazione (la terza!) e anche nuovo controllo della temperatura. È ormai assolutamente assodato che la febbre non l' ho. Ora, sembra davvero uno di quei racconti dei nonni sui loro avventurosi viaggi nel Dopoguerra, sulla rete devastata dai bombardamenti. Allora almeno l' Italia fu rimessa in piedi presto e bene. Adesso, chissà.
Jacopo Iacoboni per La Stampa il 15 aprile 2020. Come si conviene a ogni info war, la quarantena dell’Italia è iniziata l’8 marzo con dei leaks di cui ancora non sappiamo l'origine. La bozza del decreto che chiudeva le regioni del Nord – curiosamente e pericolosamente – era stata fatta circolare (non si sa bene da chi, nella Roma dei palazzi politici) dalle 19 della sera prima, sabato 7 marzo. Ne avevano scritto i siti dei giornali più importanti e ne avevano parlato i titoli dei telegiornali, “Chiude il Nord Italia”, molto prima della conferenza stampa notturna del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Una folla di gente a Milano, tantissimi immigrati dal sud Italia, era corsa in stazione centrale per prendere l’ultimo treno disponibile per tornare a casa al sud. Panico, ressa, paura. Senza contare la potenziale, aumentata diffusione del contagio al Sud. Da allora la gestione dell’emergenza per il Coronavirus in Italia ha mescolato conferenze stampa del presidente del Consiglio spesso senza domande, annunci che trapelavano prima ai giornalisti e poi alla Nazione, senso di attesa spasmodica e incertezza nel Paese, sempre più inquieto e disorientato. I discorsi al Paese del capo del governo italiano sono, nell’Italia del Coronavirus, delle dirette (spesso trasmesse sulla sua pagina Facebook) in cui generalmente il premier annuncia, molto spesso a ora tarda o nei weekend, che parlerà alla nazione per fare comunicazioni importanti. Tra l’annuncio della diretta e la diretta stessa possono di solito passare anche alcune ore, nelle quali succede immancabilmente che la pagina Facebook di Conte s’impenni di volta in volta a suon di 50mila follower in più, per la gioia dei gestori dei suoi account social. In più di un’occasione, complice il lockdown del Paese, non ci sono i giornalisti, anche loro chiusi in casa. Qualche volta sono collegati in videochat, ma la scaletta delle domande del briefing avviene secondo un ordine preciso (il nostro Dominic Cummings è il portavoce del premier, Rocco Casalino, che vent'anni fa divenne noto in Italia per esser stato tra i concorrenti della prima edizione tv del Grande Fratello). Lo spazio per porre domande si restringe per tutti, a causa della lontananza fisica e del social distancing: ideale situazione per una normalizzazione di fatto dei rapporti con il Paese. Nell’èra delle digital ops, con al governo il partito che è arrivato a coincidere con un grande esperimento di propaganda social (i 5 Stelle di Casaleggio), la comunicazione con l’Italia anziché orizzontale si fa verticalissima e quasi senza scampo per gli italiani che, chiusi in casa, non possono che ascoltare. Internet diventa come la radio negli anni di guerra novecenteschi. E quando le domande arrivano, non sempre le risposte sono quelle che sarebbero necessarie, per capire se il governo ha una strategia, quando dovremo uscire gradualmente dalla quarantena. Il premier Conte, nello stesso tempo sopravvalutandosi e cercando di mettersi al riparo da tutto, ripete la metafora del film L'ora più buia, evoca Winston Churchill sul suo account twitter, e dice «Ci giudicherà la storia». Quasi come se fosse impossibile che a giudicarlo sia, laicamente, la libera critica, e l’opinione pubblica italiana, qui e ora. Senza aspettare la storia. Sembra che porre questioni sia via via fatto passare come atteggiamento anti-italiano. Tutti i medici e gli scienziati spiegano che il lockdown del Paese era necessario. L’Italia è stata saggia e abbastanza veloce nell’imporlo, a differenza di Boris Johnson e delle sue teorie sull'immunità di gregge: qui questo ce lo siamo risparmiato. In Italia il premier non è andato in giro a vantarsi di stringere mani a chiunque perché «stringere mani è importante». Ma anche in Italia è capitato di sentirsi dire dal capo del governo in tv (a fine febbraio) che «siamo all’avanguardia nella prevenzione». Una frase risultata drammaticamente non vera. E il punto di questa normalizzazione, che frena il virus ma nel frattempo riduce la vita, l’economia, la critica, è questo: come faremo a uscire di casa prima o poi se non avremo usato il tempo della quarantena per approntare misure complementari alla quarantena, come il tracciamento digitale dei contagiati asintomatici, il trattamento domiciliare dei malati che restano a casa, e soprattutto un’estensione dei test che ci faccia capire quanta gente ha davvero il Covid-19, magari senza aver sviluppato la malattia, o avendo reagito? E’ questo forse l’aspetto più preoccupante della normalizzazione italiana: nell’epoca in cui avremmo potenzialmente intelligenza artificiale e big data da studiare – possibilmente rispettando la privacy, no Cambridge Analytica, grazie – il governo ha combattuto il Coronavirus come se fossimo nel Medioevo: chiudendo il paese in casa e sperando che in qualche modo passi. Niente smart data, poca vera trasparenza. Una task force per il tracciamento digitale è stata creata, venti giorni fa, anche sulla spinta di articoli e critiche de La Stampa, ma ancora non ha prodotto un risultato certo. E senza fornire (o forse, che è peggio, senza avere) dati reali come possiamo sapere quando sarà giusto e opportuno tornare a uscire? Anni di propaganda anti-scienza, anti-vaccini, anti-medicina (in effetti i brexiteers e il Movimento 5 Stelle sono stati profondamente alleati anche in questo), e ora, dietro una finta adesione alla scienza, assistiamo nei fatti allo stesso rifiuto di dati e trasparenza. In un altro dei tanti leaks di questa stagione – la bozza della Relazione Tecnica di uno dei decreti del capo del governo, il decreto “Cura Italia” (ognuna di queste leggi emanate direttamente dal premier viene chiamata con nomi a metà tra il propagandistico e l’orwelliano) – c’era un grafico con questa didascalia: «Sulla base dei dati riportati sul sito del Ministero della Salute sull’andamento dei contagi fino al 8 marzo e ipotizzando un andamento futuro dei contagi giornalieri come dal grafico seguente, elaborato considerando un raddoppio dei contagi in circa 3 giorni fino a metà marzo e successivamente un graduale calo dovuto alle misure di contenimento varate dal Governo, questo andamento porterebbe ad un numero di soggetti contagiati complessivi pari a circa 92.000». Il grafico non compare nella versione definitiva del decreto, ma le stime restano quelle: il picco sarebbe dovuto arrivare il 17 marzo, e da lì ci si attendeva una discesa. La cosa non si è verificata, perché il 19 marzo i casi sono di nuovo saliti di 5322, più di 1100 oltre quanto aveva previsto il governo. Sbagliare è possibile, naturalmente, ma di quali dati stiamo parlando? E chi comanda, nel Comitato scientifico del premier? Nessuno finora l’ha ben compreso. In Italia ogni giorno la Protezione civile – che ha migliorato molto la capacità di risposta ospedaliera, e il numero dei posti in terapia intensiva, aumentandoli dell’80 per cento - fa una conferenza stampa con un elenco preciso dei nuovi contagiati, dei malati in terapia intensiva, dei guariti, e dei morti. E’ un generoso e contrito bollettino di guerra, dal quale è totalmente assente la base di una strategia, perché mancano sempre due dati cruciali: il numero reali di tutti i contagiati, compresi dunque gli asintomatici, e la loro localizzazione. Tutti i medici pensano che questo numero sia più alto di dieci volte del numero ufficiale, e lo stesso capo della Protezione civile Angelo Borrelli l’ha ammesso. Il numero dei morti è sottostimato: perché sono molte moltissime persone nelle case, con i sintomi del Coronavirus, ma senza esser mai state testate. Il numero dei test-tampone non coincide con il numero di persone testate: perché due tamponi vengono fatti a chiunque sia guarito, per confermare la guarigione. E perché tantissimi malati restano senza tampone. In una conferenza stampa della Protezione Civile nel giorno di Pasqua, uno dei medici del comitato scientifico governativo ha pronunciato una frase che spiega molto di questa situazione: «Fare più test in qualche modo falsa il numero dei positivi perché più ne facciamo più ne troviamo», ha detto Luca Richeldi, primario di pneumologia all’ospedale Gemelli di Roma. Ma è vero il contrario: il numero è stato falsato dal non averne fatti prima abbastanza. In Italia ci sono stati gravi outbreak ospedalieri, e sono scoppiate devastanti epidemie nelle case di riposo, per esempio al Pio Albergo Trivulzio a Milano, su cui sta indagando la magistratura. Su questi fallimenti del nostro sistema abbiamo saputo troppo poco e troppo tardi, e di solito dai giornali prima che dalle autorità. E tutto questo mentre progressivamente eravamo sempre più chiusi in casa, con farraginose auto-certificazioni cartacee per poter uscire a fare la spesa, senza capire esattamente quando riusciremo, con un’economia che potrebbe perdere 11 punti di pil nel 2020. E con un numero non piccolo di persone tentato di non rispettare le regole, e scappare appena possibile nella seconda casa al mare in montagna. Dopotutto, anche in questa normalizzazione che sa un po’ di autoritario, siamo l’Italia, anarchica e mattoide, non la Cina.
Epidemia colposa, reato fantasioso ai tempi del Coronavirus. Frank Cimini de Il Riformista il 15 Aprile 2020. Come e anzi più che in altre tappe dell’infinita emergenza italiana, l’aspetto penale nella tragica vicenda del coronavirus è sicuramente quello meno interessante e importante. Intanto perché distoglie l’attenzione generale dalle responsabilità politiche dando una mano a chi teorizza che “non è questo il momento delle polemiche” come se ne esistesse uno predefinito deciso non si sa da chi. A questo livello il ruolo dei giornali e dei tg appare fondamentale in negativo, perché come al solito le iscrizioni al registro degli indagati, le acquisizioni di documenti, per non parlare delle intercettazioni audio, vengono enfatizzate e il direttore generale del Pio Albergo Trivulzio insieme ad altri amministratori di case di riposo viene in pratica presentato come già colpevole. Insomma il classico capro espiatorio all’italiana. E prima molto prima che sia individuato il nesso di causalità tra i comportamenti degli amministratori e i decessi. Le imputazioni di epidemia colposa e omicidio colposo non sembrano facili da supportare. E l’enfatizzare oltre misura l’aspetto giudiziario blocca la discussione sulle responsabilità politiche molto ,diverse da quelle penali perché ovviamente c’è chi “ciurla nel manico” sostenendo che bisogna attendere i risultati delle inchieste che arriveranno tra anni. Le inchieste intendiamoci sono doverose ma non risolvono mai i problemi. Va registrato poi che stiamo assistendo al solito protagonismo della magistratura, con procuratori della Repubblica e ex procuratori formalmente in pensione ma in servizio permanente effettivo che scrivono in prima pagina per mettere sul tavolo le loro pesantissime opinioni su decreti e decretini. Tanto per non fare nomi: Greco, Melillo e dulcis in fundo Caselli. Caselli chiama in causa addirittura la Germania che non farebbe a suo parere “la lotta alla mafia perché interessata a ricevere i finanziamenti della ‘ndrangheta”. Cioè se non fosse in pensione, Caselli, par di capire avrebbe indagato la Merkel per concorso esterno in associazione mafiosa… Nel quadro generale va considerato che la politica appare sempre più debole e meno credibile. Da un lato perché governando a botta di decreti il Parlamento sembra praticamente inutile. Dall’altro lato è stata costituita l’immancabile task force piena di economisti e manager, peraltro espressione del capitalismo finanziario. I cosiddetti tecnici che finiscono per sostituirsi alla politica la cui opera di mediazione scompare del tutto. Poi c’è la politica che grida denunciando, a parole senza fatti, i rischi di infiltrazione della criminalità organizzata approfittando delle difficoltà delle imprese causa coronavirus. E la politica che è stata incapace di contrastare i focolai del virus attacca con toni roboanti i pericoli derivanti da “focolai di gruppi estremisti pronti a soffiare sul fuoco del disagio sociale”. Per cui le parole del ministro dell’Interno Lamorgese hanno prodotto l’attacco con gli idranti a una cinquantina di persone che con le mascherine sul volto e a debita distanza tra loro rendevano l’estremo saluto a Salvatore Ricciardi, ex Br morto a 80 anni in seguito a una caduta nel tentativo di sistemare uno striscione a favore dei detenuti. Questo mentre si continua a non sapere nulla di 15 reclusi deceduti durante le rivolte di marzo e delle botte da orbi con cui sarebbero stati trattati i sopravvissuti delle proteste. L’agitare ancora una volta il fantasma del passato a oltre quarant’anni dal tentativo fallito di rivoluzione è la ciliegina velenosa su una torta sempre più indigesta. Intanto mancano sempre i braccialetti elettronici che sarebbero serviti a mandare a casa un po’ di reclusi per decongestionare le carceri e non si vede l’ombra di provvedimenti adeguati allo scopo.
Manette per tutti tranne che per loro. Questo è il momento del fare e del dolore, non c'è dubbio, ma prima o poi verrà il giorno di tirare le somme di questo disastro. Alessandro Sallusti, Lunedì 30/03/2020 su Il Giornale. Questo è il momento del fare e del dolore, non c'è dubbio, ma prima o poi verrà il giorno di tirare le somme di questo disastro. Che è sì un disastro sanitario, ma anche gestionale tra ritardi, errori ed omissioni che hanno sicuramente dilatato il numero dei contagi e quindi dei morti. Non ci pare vero che la magistratura se ne stia alla larga, ne siamo felici. Prendiamo però atto che ancora una volta i giudici, anche di fronte a emergenze e catastrofi naturali, intervengono sul livello politico o spariscono in base al colore del governo di turno. Matteo Salvini è a processo per avere chiuso i porti e secondo l'accusa messo a rischio la vita, la libertà e la dignità di un centinaio di immigrati bloccati per qualche ora a bordo di una nave in condizioni di massima sicurezza nel periodo dell'emergenza sbarchi. Se il principio deciso dai pm, dal Pd e dai Cinque Stelle sul caso Salvini è quindi che le responsabilità politiche sono giudicabili penalmente, mi chiedo se lo stesso non dovrebbe valere oggi nei confronti di chi, pur conscio del rischio imminente di epidemia (sancito in un decreto del governo il 31 gennaio), non ha procurato per tempo mascherine, tamponi e apparecchiature salvavita, mandando così allo sbando prima e provocando la morte poi di decine di medici e infermieri e di migliaia di ignari italiani. Io auguro al ministro della Sanità Roberto Speranza di non mettere mai piede in un tribunale, ma almeno si faccia una domanda con onestà: perché ho votato per mandare alla sbarra il ministro Salvini (zero immigrati morti e feriti) e io (diecimila italiani morti e centomila feriti) dovrei farla franca? Mi auguro che la risposta per favore non sia la più vera: perché Salvini è leghista e lui di sinistra. E a proposito. Terremoto a L'Aquila, 2009, governo Berlusconi, Bertolaso capo della Protezione Civile, 306 morti. A processo finiscono tutti i membri della commissione Grandi rischi (che dipende da Palazzo Chigi), l'equivalente nelle catastrofi dell'Istituto superiore di sanità per il virus. La surreale accusa è di non aver previsto il terremoto. In primo grado furono tutti condannati a sei anni (prosciolti nel 2015 in Cassazione) per comportamenti «inefficaci in relazione ai doveri di previsione e prevenzione» e «rassicurazioni infondate». Nessun solerte magistrato oggi si permette di rivolgere la stessa accusa al premier Conte (e ai suoi collaboratori) che ancora il 30 gennaio rassicurava in tv: «Italiani, tranquilli, la situazione è sotto controllo, siamo pronti, non accadrà nulla di grave», inducendo così a comportamenti suicidi milioni di persone. Anche a Conte auguro ogni bene, ma si vergogni di aver venduto Salvini ai magistrati. E i magistrati si vergognino di quello che stanno facendo a Salvini e fecero ai tempi della berlusconiana emergenza a L'Aquila.
Il governo si affida a una ditta di gadget e la Protezione civile perde milioni di mascherine. Il 3 marzo la Cina vuole aiutare l'Italia con spedizioni a prezzi di favore. Ma gli uffici di Borrelli incaricano come garanzia per il pagamento una srl privata specializzata in oggettistica come tapiri di plastica, statuine di Batman, ombrelli e cavatappi. E da Pechino si ritirano. Ecco i documenti. Fabrizio Gatti il 31 marzo 2020 su L'Espresso. Quando il coronavirus non aveva ancora ucciso migliaia di italiani, tra il 29 febbraio e il 3 marzo, e c'era tempo per potenziare le difese, la Presidenza del Consiglio stava per importare milioni di mascherine. L'operazione, resa possibile dai rapporti di amicizia tra medici italiani e cinesi, da alcune università e dalle garanzie spese dal ministero della Sanità di Pechino a favore del nostro Paese, si è però inceppata il 4 marzo dopo una decisione unilaterale del Dipartimento della Protezione Civile: quel giorno l'Ufficio VI-Amministrazione e bilancio della struttura di Angelo Borrelli stabilisce che il pagamento senza anticipi, e quindi le relative garanzie da dare ai fornitori dall'altra parte del mondo, non sono più a carico dello Stato italiano ma di una società privata a responsabilità limitata di Roma, la Apogeo srl specializzata nell'importazione di oggettistica, come tapiri di plastica, statuine di Batman, penne, ombrelli, orologi da due euro, cavatappi e altri gadget per fiere e convegni. Questo risulta dal suo sito Internet, che i partner cinesi hanno immediatamente controllato. «Apogeo opera sul mercato dell'import da 30 anni», spiega Fabrizio Macchia, contitolare e presidente del consiglio di amministrazione: «e vanta una rete di fornitori e personale che si occupa di controllo della produzione nei Paesi d'origine: questo ci ha permesso di proporre materiale certificato a costi molto concorrenziali fin dal primo momento dell'emergenza. Abbiamo importato diversi milioni di mascherine». Il 4 marzo, però, l'improvviso cambio di riferimento del soggetto pagatore avrebbe fatto venire meno le condizioni di fiducia da parte cinese, provocando prima un grave ritardo di settimane, poi l'annullamento delle spedizioni. La merce già imballata e pronta per l'imbarco infatti è poi rimasta bloccata nei Paesi di transito come India, Turchia e Francia che nel frattempo hanno fermato le esportazioni. L'Italia ha così perso il vantaggio di giorni che aveva sulla pandemia, ma anche la reputazione ancora oggi per poter comprare all'estero a buon prezzo senza correre il rischio del saldo anticipato. A questo punto Regioni, aziende sanitarie, ospedali hanno dovuto cavarsela da soli senza un adeguato supporto e coordinamento dello Stato. L'Espresso, grazie alla testimonianza di imprenditori italiani e cinesi, è in grado di ricostruire con i documenti quanto è avvenuto in questo primo mese di epidemia. Documenti che rivelano un'altra versione dei fatti rispetto a quella raccontata dal capo del Dipartimento della Protezione Civile, Angelo Borrelli, a Repubblica nell'intervista del 23 marzo scorso. «Quando la richiesta è spropositata rifiuto l'ordine: non posso buttare i soldi dello Stato», dichiara Borrelli: «Sulle mascherine siamo arrivati tardi». Eppure il 3 marzo non è tardi. I morti quel giorno sono 79, i casi totali 2.502 e l'Italia non ha ancora molti concorrenti nel mercato internazionale di farmaci e protezioni contro il virus Sars-Cov-2. C'è insomma tempo per rinforzare le difese di medici, infermieri, ma anche dei cittadini: la differenza tra noi e i successi dimostrati finora in Cina e Corea del Sud nel contenimento dei contagi è che lì tutti gli abitanti e tutti gli operatori sono riforniti di mascherine protettive. Mentre in Lombardia, nell'epicentro dell'epidemia e non solo, sono tuttora introvabili e procurarsele sul mercato parallelo rischia di lasciare sguarniti pronto soccorso, reparti Covid-19 e terapie intensive.
Il capo della Protezione civile ci aveva scritto per vantare la sua preparazione. Ora è egli stesso a dire che nulla sta funzionando come avrebbe dovuto. Dal fisco alle aziende chiuse, tutto sembra improvvisato. Maurizio Belpietro su La Verità-Panorama il 25 marzo 2020. Lo Stato affronta il virus senza armi. Adesso persino Borrelli lo ammette. C'è voluto del tempo, ma alla ne se n'è convinto perno Angelo Borrelli, che ieri, con venti giorni di ritardo su ciò che auspicavo, a Repubblica ha confidato: «Nei momenti speciali servono leggi speciali. La Protezione civile ha bisogno di rapidità: non siamo burocrati». Peccato che il 5 marzo il capo della Protezione civile la pensasse in maniera diametralmente opposta e si fosse risentito, al punto di scrivermi una puntuta lettera di risposta, proprio perché nell'editoriale sulla Verità avevo sollecitato contro il coronavirus la nomina di un «commissario con poteri speciali». Sì, l'articolo esordiva così, chiedendo che nella lotta contro l'epidemia ci fosse un uomo esperto al comando, al quale fosse consentita l'adozione di procedure che saltassero «a piè pari la burocrazia e le lentezze della macchina amministrativa». Borrelli, forse temendo che le critiche facessero vacillare la sua poltrona, aveva replicato esibendo il suo curriculum sul fronte delle emergenze, come a dire: non c'è bisogno di nessun altro, basto io. Quel giorno, ossia molte vittime fa, il capo della Protezione ci tenne a elencare nel dettaglio le misure prese per contenere l'epidemia, specificando, tra l'altro, che il dipartimento da lui diretto era intervenuto «per reperire anche all'estero i dispositivi necessari soprattutto per il personale sanitario e i pazienti aetti da coronavirus». Ma ora, con venti giorni di ritardo e migliaia di contagi fra medici e infermieri, Borrelli ammette senza imbarazzi che niente di tutto ciò si è verificato. Le mascherine non ci sono e «temo che dall'estero non ne arriveranno più». «Siamo arrivati tardi», è l'amara conclusione del numero uno della Protezione civile, che, per ovviare all'inconveniente del mancato reperimento di dispositivi contro il virus, suggerisce di far partire la produzione nazionale «il prima possibile», ma questo lo sapevamo anche noi. Ovviamente non ce n'era bisogno, perché le testimonianze dell'impreparazione con cui abbiamo affrontato questa guerra le abbiamo lette e ascoltate tutti. Tuttavia quella di Borrelli è la confessione senza se e senza ma di una sconfitta. Anzi, l'intervista a Repubblica è la certificazione di un disastro, peraltro annunciato. In quell'articolo di venti giorni fa sostenevo che non si può combattere a mani nude contro un'epidemia e l'uomo che ogni sera ci aggiorna sui morti, nella sua lettera, obbiettò che nessuno era costretto a combattere a mani nude. «Voglio tranquillizzare i suoi lettori», scrisse con un tono indispettito. La realtà ci ha dimostrato invece che non c'era alcun motivo per essere tranquilli, perché i nostri soldati, ossia i medici e gli infermieri, nel rispetto della storia patria, cioè come in tutti i conflitti mondiali, sono stati mandati al fronte disarmati.
I MILLE DUBBI DEI DECRETI DI CONTE. Andrea Soglio il 31 marzo 2020 su Panorama.
AUTONOMI Il primo scoglio è legato ad autonomi e Partite Iva (e non solo). Un mondo di milioni di persone che in queste settimana ha visto nella maggioranza dei casi azzerarsi ogni tipo di entrata economica. La confusione in merito al famoso bonus da 600 euro previsto è stata grande. Al punto che abbiamo sentito anche di esperimenti a dir poco assurdi come il "Clic Day" , una sorta di corsa telematica che avrebbe dovuto premiare i più rapidi e fortunati. Il Governo e l'Inps sono dovuti correre ai ripari con una normativa piuttosto complessa (bisogna richiedere un pin, entrare nel sito INPS etc etc etc); tutto questo a partire dal 1 aprile. Il problema è che i soldi arriveranno (si spera) da metà aprile. E per il dopo? La quarantena nel Paese continuerà questo è sicuro. Ed il bonus?
BUONI SPESA Alto argomento di attualità molto discusso sono i BUONI SPESA pensati per combattere l'emergenza di molti italiani sulla spesa di tutti i giorni. Il Governo ha prima dichiarato di aver messo a disposizione 4,3 miliardi per i Comuni. Una mezza, piccola, bugia. Non si tratta infatti di stanziamenti nuovi ma di un anticipo di quelli già previsti e che i comuni avevano messo già a bilancio. A questi sono stati aggiunti altri 400 milioni appunto per questi famosi "Buoni Spesa".
Anche qui va per prima cosa fatta una precisazione: i milioni sono 300, "aumentabili" in un secondo momento di altri 100.
Secondo: questi soldi, calcolando tutti e 400 i milioni nel loro complesso, devono arrivare negli oltre 8mila comuni italiani. Già facendo una semplice divisione si capisce che ogni comune ma anche città avrà a disposizione una media di 50 mila euro. Cifra che di certo serve (perché è meglio di niente) ma la cui efficacia ha breve, brevissima, durata.
Terzo: non esiste al momento ancora una norma che possa spiegare come verranno distribuiti alla gente questi soldi che arriveranno il 31 marzo nelle casse dei Comuni. Al momento è stato stabilito che l'80% di questi fondi verranno ripartiti in base al numero di abitanti. Il restante 20% invece verrà elargito in base alla differenza del reddito medio degli abitanti di quel determinato paese rispetto alla media nazionale. In parole povere: minore è i reddito pro capite, maggiore la cifra che arriverà. Il Decreto si ferma qui. La palla da questo punto in poi è stata passata in maniera pilatesca ai Comuni che dovranno stabilire chi ne ha avrà diritto, come distribuire questi buoni, quando e di quanto. Una mancanza di regole che sta creando il caos e che soprattutto rischia di favorire i soliti furbetti (che non mancano mai). L'Anci in queste ore lavora alla ricerca di una norma unica da applicare su tutto il territorio nazionale ma al momento non c'è alcuna soluzione concreta.
CASSA INTEGRAZIONE Anche la Cig ha le sue belle domande e perplessità. Secondo molti giuslavorista ed esperti la normativa è troppo complessa e comporterà lungaggini molto complicate al punto che i soldi rischiano di arrivare nelle tasche dei dipendenti solo a ne maggio, cioè tra due mesi. Le domande infatti sono decuplicate ma non è stata pensata alcuno snellimento delle procedure per questa particolare fase di emergenza. «Vedo molta confusione e poco pragmatismo - dice il Dott. Guido Beltrame, Consigliere dell'Ordine dei Commercialisti della Lombardia - Questi sono decreti che verranno sicuramente modificati quindi ad oggi stiamo parlando di cose che non conosciamo no in fondo e che non saranno uguali alla ne. Il periodo è sicuramente difficile ma si poteva fare le cose in maniera più ragionata. Ad esempio: bisognava dire n da subito che la Cassa Integrazione sarà impossibile averla a fine aprile. Troppe domande e soprattutto nessuna semplificazione burocratica. Sento che oggi l'Inps anche per il bonus da 600 euro sta pensando ad un sistema di rilascio semplificato del Pin. Ci pensano oggi quando le domande vanno presentate da domani. Altri paesi hanno snellito le procedure, vista la straordinarietà dell'emergenza. E non servono soldi per fare questo. Serve solo organizzazione ed una diversa idea di paese» Confusione. Dalle autocertificazioni e le sue mille modiche, dai decreti in piena notte preceduti da bozze che giravano sulla stampa in maniera incontrollata. Dai dubbi degli autonomi e sui Buoni Spesa. L'emergenza ha gettato il Governo nel panico, mostrandone tutte le sue debolezze. Al paese serve una guida sicura, risposte certe, soluzioni rapide. Se prima andava bene, se prima si accettavano i silenzio certe cose, oggi no. Di tutto abbiamo bisogno tranne che di annunci. Oggi siamo in guerra.
Il dramma di avere un Paese in mano agli sconosciuti: Italia a rischio rovina. Piero Sansonetti de Il Riformista il 28 Marzo 2020. La forza dell’Italia è che ha sempre avuto ceti politici molto forti. Dall’Ottocento. Dai tempi dell’Unità. Ha sempre avuto una classe di governo robusta e una opposizione di grande livello. Soprattutto dopo il fascismo, cioè nella storia della Repubblica. La classe politica, mediamente, è sempre stato il meglio che l’Italia intellettuale sapesse esprimere. Sia a sinistra, sia nel centro cattolico, sia a destra. La borghesia e la classe operaia, cioè i due pilastri sui quali si è costruita la grandezza di questo Paese, non si facevano amministrare da personaggi di seconda fila, ma consegnavano la loro parte migliore alla politica. Scorrete un piccolo elenco di nomi, e concorderete. De Gasperi, Sturzo, Dossetti erano personaggi di assoluto vertice del mondo cattolico. Non era facile trovarne di migliori, di più carismatici, neppure nelle altissime gerarchie ecclesiastiche, o tra i professori. E così Togliatti e Nenni e Lombardi e Di Vittorio. Quando eravamo ragazzi noi che ormai sfioriamo i settanta, la politica faceva una selezione durissima. Se volevi provare ad entrare in quella che adesso chiamano “casta”, dovevi sgobbare, studiare e avere ingegno. Se non ce la facevi, come succedeva ai più, ti accontentavi di fare l’ingegnere, o l’avvocato, o il giudice, o di prendere una cattedra all’Università. Non sto mica esagerando: era esattamente così. E i grandi professori facevano la fila dietro la porta dei politici, non per avere un posto o un premio, ma per avere idee. Mi ricordo un sindaco di Roma di origini umilissime, che non credo avesse neppure il diploma di maturità, e che teneva in pugno – dico, intellettualmente in pugno – dei giganti dell’intellighenzia di sinistra come Argan, Lombardo Radice, Asor Rosa, Giovanni Berlinguer, Salinari, Giannantoni. E sto parlando di livello locale. E dell’opposizione. Nei partiti di governo, nella Dc, del Psi, anche tra i liberali, era la stessa cosa. Einaudi e anche Malagodi (parlo del minuscolo partito liberale) erano degli Dei. E quando uno andava al governo, anche per fare magari il sottosegretario, aveva alle spalle una esperienza robustissima. Non facevi il ministro se non eri stato sperimentato per molti anni. Nelle sezioni di partito, nelle assemblee di fabbrica, nei consigli comunali di provincia. E se non c’era l’assoluta certezza della tua capacità di fare il ministro, non facevi il ministro. Non diventavi presidente del Consiglio se non eri unanimemente considerato tra le dieci persone più capaci di tutto il Paese. Le poche volte che i partiti ricorrevano a figure di non primissima fila per fare il premier è quando volevano fare un governo passeggero, perché già pensavano a una formula nuova ma non era ancora matura, e avevano bisogno di qualche mese. Si chiamavano governi balneari. In genere li presiedeva Giovanni Leone. Anche Lui era un avvocato, come questo di adesso, Conte. Però era uno degli avvocati più famosi d’Italia e aveva fatto tanta gavetta politica, e aveva capacità politiche, cultura, lungimiranza, sapienza che oggi se metti insieme tutti i membri del governo, e chiami anche i loro parenti e amici, e magari i loro professori non ne fai neanche la metà. Magari avere un Leone, oggi. Questo credo che sia uno dei principali problemi del Paese. La fine della classe politica. Molti hanno festeggiato: gli abbiamo tagliato gli stipendi, le pensioni, li abbiamo arrestati, impauriti, scacciati. Bel risultato. Ecco come ci troviamo adesso, con un premier che balbetta su facebook. La crisi della classe politica era già iniziata con la Seconda Repubblica, perché i leader della seconda politica, salvo una mezza dozzina, non erano all’altezza di quelli della prima. Però se scorrevi la lista di governo, conoscevi quasi tutti, conoscevi il passato dei ministri, i loro titoli, i loro meriti. Un po’ ti fidavi. Oggi la fine della professione del politico è totale. Il premier è uno sconosciuto avvocato che per mettere insieme un curriculum ha dovuto inventarsi un insegnamento fantasma a New York. Nessuno sapeva chi era, quando è arrivato. Quale fosse il suo passato, cosa sapesse fare. Pare che fosse molto stimato da un avvocato importante come il professor Alpa, e questo è bastato per spedirlo a palazzo Chigi. E poi i Di Maio, i Bonafede, i Casalino e tutti gli altri. Mammamia. Anche il Pd e Italia Viva non hanno mandato al governo i loro esponenti più prestigiosi. Quasi a confermare l’idea che il governo è un posto che deve contare poco poco. Uno vale uno, nessuno vale due. Se vale due è meglio fargli un avviso di garanzia e mandarlo a casa. È in queste condizioni che l’Italia sta vedendo in faccia il suo inevitabile declino. È inutile farsi illusioni. Un paese non cammina da solo. Se finisce in mano a Travaglio, a un gruppetto sgangherato di Pm, e a un pezzetto terrorizzato e imbelle di Pd (che sembra l’ombra all’ombra dell’Ulivo di Prodi), non si va lontano. In tutto il mondo esiste la crisi della politica. L’America non la governano più né Kennedy né Eisenhower, c’è Trump. E Johnson sta lì al posto di Churchill. Macron fa le veci di De Gaulle. D’accordo. Però quei Paesi hanno sempre avuto borghesie fortissime, capaci di governare anche a prescindere dalle loro classi politiche. Da noi la politica è stata sempre il meglio. Per questo paghiamo la crisi più degli altri. Per questo se almeno ci decidessimo, forse, a trovare un altro lavoro a Conte e Bonafede, un lumicino di speranza si accenderebbe.
Della Vedova a Beppe Grillo: "Tu che hai tuonato contro i vaccini e la scienza ora dove sei?" Il Corriere del Giorno il 29 Marzo 2020. “Tu, fondatore e vero leader della forza politica che occupa oltre un terzo dei seggi parlamentari e guida il Governo italiano da quasi due anni ormai, Grillo dove sei? Tu, con i tuoi controdiscorsi di fine anno. Tu che hai esaltato e propagandato nei teatri e dal "sacro blog" la disinformazione contro i vaccini, contro l`innovazione, contro la scienza e la razionalità, perchè "uno vale uno". Lettera aperta di Benedetto Della Vedova segretario di Più Europa, indirizzata a Beppe Grillo il fondatore del Movimento 5 Stelle : “Tu, fondatore e vero leader della forza politica che occupa oltre un terzo dei seggi parlamentari e guida il Governo italiano da quasi due anni ormai, dove sei? Tu, con i tuoi controdiscorsi di fine anno. Tu che hai esaltato e propagandato nei teatri e dal "sacro blog" la disinformazione contro i vaccini, contro l`innovazione, contro la scienza e la razionalità, perchè "uno vale uno". Che ti auguravi per il nostro paese e il nostro popolo un destino di decrescita, di rinuncia al progresso, di economia di sussistenza. Dove sei? Ora che, con i tuoi, sei al potere come ma non meglio degli altri, con Salvini e contro Salvini, dove sei? Ora che l`Italia cerca di recuperare fiducia nella scienza e nella ricerca confidando in una terapia e in un vaccino?“, si legge nella lettera del segretario di Più Europa. “Il momento non ammetterebbe diserzioni, eppure proprio tu stai disertando – incalza Della Vedova – Ma la verità è che tu di questa guerra non ti senti un disertore, hai paura di esserne il vincitore! Eccola qui, ai tuoi piedi, l`Italia senza vaccini, preda di una malattia a cui non riusciamo a porre argine. Dove sono le tue cure miracolose oggi? Eccola, l`Italia della decrescita, della deindustrializzazione. Dov`è la felicità? Eccola, l`Italia in cui comandano le tue truppe di complemento, plasmate dal rancore e dall`invidia per il sapere e le competenze. Dov`è l`uguaglianza? Non hai vinto, Beppe Grillo, stai solo disertando. E noi non abbiamo perso, combattiamo anche per te e per i tuoi“, conclude Della Vedova. A cercare nel passato, il documento più noto che vide Beppe Grillo attaccare la scienza e i vaccini in particolare risale al 1998 ed è una tappa dello spettacolo teatrale “Apocalisse“. Grillo, è soltanto un comico, anche se tratta spesso e volentieri argomenti politici. “L’unico Paese al mondo dove esistono dieci vaccini obbligatori è l’Italia”, disse dal palco, “ti curano obbligatoriamente, sei obbligato a curarti. Il principio è: prendi un bambino sano e inoculagli un virus per abituarlo e si abbassano le difese immunitarie. Gli inoculi un virussino piccolo. Nel caso arrivi il virus grande, il virussino piccolo è lì che da anni gira. Se quello grande non arriva, quello piccolo è sempre lì che rimane, in circolo”. Nel monologo di Grillo di cui esiste una ripresa video diffusa sul web, il comico genovese a 5 Stelle affonda sull’idea che ha dell’inutilità dei vaccini: “C’è anche un po’ di mercurio. E allora abbassiamo i sistemi immunitari, non abbiamo più difese di un cazzo, siamo tutti raffreddati, tosse, bronchiti, i bambini tutti a letto (…) la difterite stava scomparendo per i cazzi suoi, la poliomelite stava scomparendo per i cazzi suoi (…) nel medioevo ci si ammalava, si moriva, non si vedeva il microbo perché non c’era il microscopio. Era Dio! Perlomeno era Dio che ti faceva ammalare, non una multinazionale del cazzo”.
Si agita contro Europa e nemici tra i letti di rianimazione e ventilatori. Salvini è buono per il bando dalla vita civile, altro che Union Sacrée con un senatore Salvini, perfino con un leader da quattro soldi che annaspa nello stagno dei propri errori. Giuliano Ferrara su Il Foglio Quotidiano il 28 Mar 2020. Quando c’è una base morale prima ancora che politica, e sei autorizzato a pensare che il tuo avversario ha un interesse di principio al risanamento della piaga e magari visione, e idee, per ottenere il risultato, allora sì, allora è possibile pensare all’unità nazionale. Per- no irresponsabile retorica, per poi virare in meno di 24 ore verso l’uscita dall’Europa, “covo di sciacalli e di serpenti” (che metafore!), cercando di amplificare dolosamente una polemica da bassofondo su morti e mascherine, con il conforto dei suoi lecchini piazzati alla Rai nella stagione del Papeete, uno così è buono per il bando dalla vita civile, lui e i suoi paggetti che si dicono moderati, altro che Union Sacrée. E’ grottesco che per pigrizia mentale, per scemenza, e per gola, in tanti stiano ancora lì a domandarsi che cosa dirà il senatore Salvini, dove sarà ospitato stasera in quella fogna maleodorante che è l’informazione da sbarco, e che lo si possa considerare un interlocutore quando rimane un modesto comiziante, un demagogo pericoloso, un omarino intimamente truce che se fosse al governo, Dio ne guardi, sarebbe capace di isolare l’Italia in un padiglione speciale, in un lazzaretto di appestati. Quando cerca facile popolarità, spazio mediatico a buon prezzo, quando insegue la suggestione di una leadership ondeggiante, cafona, bugiarda, urlata, deformata dal nichilismo narcisista, tra gli annunci mortuari dell’Eco di Bergamo e la tragedia mondiale potenzialmente “di proporzioni bibliche”, e quando fa le sue flessioni muscolari in calzoncini e canotta, dopo aver invano aspettato di vedere se si potesse attribuire il virus ai negher, questo scampolo di razzismo e di frustrazione autoritaria all’italiana è solo una tremenda vergogna, una sciagura nazionale. Il senatore Salvini è molto al di sotto dei topi vivi di Zaia, che con il suo omologo lombardo ha mostrato i suoi limiti assurdi ma ha anche avuto la modestia e la tenacia, con tanti sindaci e operatori di territorio di diversa estrazione e collocazione amministrativa e politica, per affrontare con un minimo di decenza, infine, una situazione in cui emerge a poco a poco anche l’insieme di illusioni e di errori su cui si fonda il famoso sistema di potere e di governo della Lega al nord. Con gli urlacci di ieri, il senatore ex Truce si è messo da solo nel sacco della sua personalità irrilevante e insieme ingombrante, delle sue ambizioni sbagliate e piccine, del suo spirito di ricatto e di molestia verso un intero popolo chiuso in casa o impegnato al fronte in una guerra dolorosa e difficile alla pandemia. L’idiota che aveva predicato l’imminenza di un’epidemia di scabbia portata dai poveracci e dai neri, la cui voce si era mescolata con quella dello sparatore di Macerata, e che ora si agita contro Europa e nemici tra i letti di rianimazione e i ventilatori, non è un soggetto politico da unità nazionale, non ha la minima credibilità per affrontare con persone normali questioni infinitamente più grandi e più dolorose di lui e delle sue mattane nevrotiche, è un soggetto pericoloso per le istituzioni, e l’averlo capito resterà, comunque la si pensi del Bisconte churchilliano e degli alacri costruttori del governo attuale, un merito indiscutibile. Avanti così. Meglio l’autocerticazione del bollo untuoso e scabroso di un piccolo caratterista del teatro della miseria politica.
Francesco Borgonovo su LAVERITA’ - Panorama 25 Marzo 2020. Nuovo, fumoso, discorso del premier, che si atteggia a guru: «Riflettiamo sui valori». Poi annuncia la stretta. Ma le protezioni sanitarie basilari restano tuttora introvabili. Stai a vedere che, alla fine della sera, questa epidemia è un toccasana. Una medicina amara che, però, ci temprerà. «È una prova durissima, ci renderà migliori», dice il naso arrossato di Giuseppe Conte in conferenza stampa. Più che un presidente del Consiglio, sembra un consulente spirituale: «Ognuno di noi sta riflettendo sulla propria vita e sulla scala di valori», sermoneggia, «e questa è un'occasione per fermarsi per fare riflessioni che uno con il tran tran frenetico non riesce a fare. Ne approfitteremo per trarne il giusto insegnamento». Ma certo, ci voleva proprio, questo coronavirus. Così, tappati in casa, avremo l'opportunità di migliorare noi stessi, di fare un po' di «self empowerment», come lo chiamano gli autori americani di bestseller a buon mercato. Ne usciremo migliori, come no: a parte quelli che non ne usciranno. Tutti gli altri, che si godano la purga. E stiano tranquilli, perché pensa a ogni cosa lui, Giuseppi l'Infallibile, il Siddharta di Volturara Appula. Solo che, nell'aria assieme al virus, aleggia anche il fantasma di antiche smargiassate: «Stai sereno», ve lo ricordate? Il fatto è che non stiamo sereni per niente, specie osservando il comportamento di questo esecutivo che vuol fare il coreano con il corona degli altri. Adesso mostra il volto marziale: multe da 500 no a 4.000 euro per chi viola le disposizioni, «chiusura dell'esercizio o dell'attività da 5 a 30 giorni» per i commercianti che sgarrano. Droni che volteggiano per seguire i cittadini, app per controllarne i movimenti. «Stiamo cercando delle applicazioni anche per il tracciamento», dichiara enfatica Paola Pisano, ministro per l'Innovazione tecnologica e la digitalizzazione. «La call che abbiamo lanciato oggi rimarrà aperta tre giorni e in queste ore stiamo già valutando le prime applicazioni arrivate». Roba da Seul, appunto (o da Pechino). Piccolo problema: questo governo così attrezzato e tecnoefficiente, che ci bastona per il nostro bene, ancora non è riuscito a farci avere le mascherine per proteggere noi stessi e gli altri. Con le multe non ha problemi, con le fanfaronate ha la massima confidenza. Però non è stato in grado di muoversi per tempo al ne di procurarci i dispositivi di sicurezza necessari. «Le mascherine non sono come la pasta», fa sapere Domenico Arcuri, commissario straordinario per la gestione dell'emergenza coronavirus, in conferenza alla Protezione Civile. Pensa te, ma davvero?
Da liberoquotidiano.it il 19 marzo 2020. La Cnn apre il sito con un titolo inquietante: "I medici italiani non sanno se le restrizioni sono efficaci. Ma non c'è un piano B". Nell'articolo si parla della gravissima emergenza coronavirus in Italia e sostiene che tra i virologi c'è il timore che la stretta non sia sufficiente visto che i casi di contagi e decessi continua ad aumentare. In particolare la Cnn riporta delle dichiarazioni di Giorgio Palù, virologo dell'Università di Padova: "Ieri ci aspettavamo un cambiamento dopo oltre dieci giorni di misure restrittive, ma i dati continuano a salire". Quindi, continua, "non penso che a oggi si possano fare previsioni".
Jacopo Iacoboni per “la Stampa” il 30 marzo 2020. «Al governo abbiamo un problema di competenze. Nella storia degli aiuti russi o cinesi, non vedo tanto un problema di cedimenti geopolitici, anche perché suppongo siano stati informati i nostri alleati. Ma un grave problema di competenze. Mi spiego meglio». Michele Geraci è l’uomo che per il governo italiano Conte-Salvini, il Conte1, ha trattato la Via della Seta. E’ un consulente di grandi banche d’affari, professore in università cinesi e esperto di Cina, fu indicato al governo della Lega, Salvini e Giorgetti, ma è anche l’uomo i cui post cinesi venivano sistematicamente ospitati sul blog di Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo, e che poi è stato il numero due di Di Maio al ministero dello sviluppo: quello incaricato del commercio estero e, nel commercio estero, della cosa più importante: il dossier Cina. Abbiamo pensato di fare questa intervista con lui parlando della crisi del Coronavirus, della Russia, della Cina. Posti e leadership che lui ha conosciuto bene. Esistono timori che Conte si sia mosso con Putin all’interno di una logica geopolitica personalistica, accettando troppo facilmente la presenza in Italia di militari russi, compresi alcuni anche dal passato controverso, per esempio impegnati nella difesa di Bashar Assad sul dossier delle armi chimiche. Lei che ne pensa?
«La parte geopolitica, importantissima, va sempre tenuta ben a mente, ma non mischierei le cose. Invece, credo esista, al governo, un grosso problema di competenze. Io li conosco molti membri dell’esecutivo. Conosco il premier Conte, e conosco Di Maio, e diversi altri ministri. Non c'è nulla di cui debbano vergognarsi, ma non hanno mai avuto grossa esperienza gestionali di situazioni di crisi. Il ministro Speranza non è un esperto di salute. Conte, credo un bravo avvocato, non credo abbia mai gestito organizzazioni complesse. Lo stesso Gualtieri, è un laureato in storia. Di Maio è una bravissima persona, e impara in fretta, ma vede, io c'ero alla cena italo-russa di giugno a Palazzo Madama».
Ecco, sì, ci parli di quella cena: quella delle foto a sorrisi spiegati di Conte, Salvini e Putin. Che successe?
«Beh, ricordo di aver avuto più opportunità di Conte di interagire con Putin su temi di contenuti, come i vantaggi e svantaggi dei trattati commerciali e analisi di vari modelli economici. Il problema è che Putin, Lavrov, è gente che è lì da vent'anni, e naturalmente, il tempo aiuta a diventare esperti. Da noi, i frequenti cambiamenti di governo non consentono alla nostra leadership di sviluppare le competenze necessarie. C'è una crisi enorme sanitaria ed economica in mano a persone che non possono avere l'esperienza e le conoscenze per gestirla. Conte e gli altri fanno quello che possono, tra mille pressioni e stress, non li invidio, ma qui servono ceo di calibro».
Ma questa scarsa cognizione non può diventare pericolosa? Per fare solo un esempio, quello degli NBC, i laboratori per la disinfezione nucleare, chimica e batteriologica, mandati dai russi a Bergamo: l'Italia ha questi laboratori anti-batteriologici, ne possiede due, perché non usare quelli dell'esercito italiano, e perché non usarli un mese fa, e far fare invece questo lavoro ai russi, e senza conoscere esattamente gli agenti anti-batteriologici che stanno usando? Il pericolo può essere anche preterintenzionale, non trova?
«Una buona domanda che dovrebbe fare al governo».
Gliel’abbiamo fatta.
«Non conosco gli NBC, non è il mio campo, ma quanto al governo, di sicuro esiste una scarsa contezza delle cose, e ciò può creare problemi. Forse c'è anche poca attenzione. Ho visto poca gente fare analisi, avere visione, fare un piano strategico. Pochi si mettono a pensare e studiare. Per la verità non si faceva tanto neanche col governo precedente, quello in cui c'ero anch'io, il Conte1. E la scarsa competenza può portare a fare errori, anche in buona fede, più che motivati da una consapevole volontà di affiliazione geopolitica».
Cosa servirebbe?
«Io auspico un governo tecnico che affianchi i leader politici eletti, con dentro persone di capacità. Conte probabilmente ha fatto certe scelte magari perché alcune cose proprio non erano ben note, magari questa cosa dei NBC dell'esercito italiano nessuno gliel'ha detta. Per dirgliene una che invece so, quando io ero al ministero, avevamo mille persone al commercio estero, ma credo solo pochissime che sapessero fare analisi di impatto su un foglio Excel».
La Cina aiuta in modo molto più discreto. Però loro hanno dato l'allarme molto tardi sul Coronavirus, non trova?
«C'è stato sicuramente un ritardo della Cina. Io penso che se hanno cercato di coprire, è perché forse non avevano compreso la gravità della cosa, c'è stata cioè una sottovalutazione del pericolo, ma non credo all'ipotesi che l'abbiano fatto dolosamente, sarebbero stati ingenui, perché la crisi sarebbe comunque scoppiata ancora più grave dopo, e loro tendono a pianificare e calcolare gli effetti delle loro scelte. Credo che l’errore di valutazione sia stato commesso dai governatori locali dell’Hubei, che infatti sono stati sostituiti, più che da errori del governo centrale. Fatto sta che al 31 dicembre hanno avvertito l’OMS, e a quel punto noi sapevamo e avevamo gli elementi per agire. Da lì c'è stato un ritardo molto più grave, quello del governo italiano, nel prendere misure tempestive. Quando è arrivato il medico vicecapo della Croce rossa cinese, nella famosa conferenza stampa con il presidente della Lombardia Fontana, a un certo punto ha usato un’espressione colorita di grande sorpresa, cosa che non credo sia stata notata nelle traduzioni italiane, quando ha visto tutta quella gente nel metrò di Milano, che io, liberamente interpreto, per rendere bene il senso, con un’espressione siciliana "ma voi che m... state facendo?!?».
Certo però la relazione con Pechino pone molti altri problemi da altri punti di vista: la loro grande attenzione alla penetrazione tecnologica, penso al caso Huawei, il sistema politico autoritario, col quale secondo molti quell'azienda è collegata, e insomma, anche la Cina suscita preoccupazioni fortissime, solleva un problema di sicurezza nazionale, non trova?
«Per quel che conosco della Cina, credo che ai cinesi non importi assolutamente di cambiare l'Italia, o egemonizzarla. Tanto meno di esportare i loro modello politico, sanno benissimo che i modelli politici si usano a casa propria, non si esportano. Vogliono più che altro farsi capire, cosa che spesso non succede».
Thomas Miao, il ceo di Huawei Italia, inaugura gli eventi di Casaleggio sull’innovazione. Non c'è un grave conflitto d'interessi, anche geopolitico, visto che Casaleggio di fatto controlla la vita del primo partito in Parlamento?
«Non ho mai avuto il piacere di conoscere Davide Casaleggio. Ma penso sia anche normale che tutti i ceo di aziende straniere in Italia frequentino eventi di aziende di consulenze, suppongo facciano un lavoro di immagine. Sulla sicurezza nazionale dobbiamo attenerci ai fatti e alle analisi. Per esempio, sul 5G vediamo se si trovano delle backdoors, dei problemi, e se sì, si prenderanno le giuste misure, abbiamo gli strumenti per fare le analisi, se ne parla già da due anni. Anche perché la nostra golden power, tra le più forti in Europa, esisteva già con il precedente governo, e questo governo l'ha solo rafforzata. Direi che Conte qui abbia abbastanza pochi margini di manovra. Cerchiamo di non essere ideologici, prendiamo dalla Cina, ma anche da tutti i paesi del mondo, quello che possono avere di buono, senza dover importare quello che non ci piace, come in un ristorante, mangiamo quel che decidiamo noi, ma dobbiamo prima ben studiare, analizzare. È questo l’approccio che è carente adesso in Italia: si tende a dare risposte ancor prima di studiare i problemi».
Italia peggio della Cina, nuovo record di decessi: "Non c'è un piano B", il monito della Cnn. Libero Quotidiano il 19 marzo 2020. “Il sistema sanitario italiano di assistenza universale gratuita mostra tutta la sua vera forza”: dagli Stati Uniti arrivano gli applausi al personale sanitario ed ai medici che in Italia stanno portando avanti senza sosta la battaglia contro il coronavirus. La situazione resta però molto grave, a tratti drammatica: l’ultimo bollettino registra un triste record mondiale, quello di decessi (475) avvenuti nelle ultime 24 ore. Nemmeno in Cina erano stati contati così tanti morti in un solo giorno: il bilancio totale è di 2978 vittime del Covid-19, ormai il dato cinese (circa 3200) è sempre più vicino. La Cnn sul proprio sito loda apertamente la sanità italiana, ma allo stesso tempo s’interroga sui risultati che potrà dare il blocco (quasi) totale dell’Italia, che “sta entrando nella quarta settimana della peggior crisi nazionale dalla seconda guerra mondiale. Più di 60 milioni di persone vivono in una sempre più insopportabile chiusura che diventa sempre più rigida. Ma i medici ancora non sanno se stia funzionando e non c’è un piano B”.
Matteo Salvini, coronavirus: la delibera del 1° febbraio sullo stato di emergenza. "Perché non è stato fatto?". Libero Quotidiano il 24 marzo 2020. Carte che imbarazzano il governo. Carte rilanciate sui social da Matteo Salvini. Si tratta di una pubblicazione in Gazzetta Ufficiale che risale a sabato 1° febbraio 2020, quando l'emergenza-coronavirus in Italia non era ancora scoppiata. Giorni in cui tra i pochi che chiedevano la serrata immediata del Paese c'era proprio Salvini, accusato di sciacallaggio e di fare politica su un'emergenza sanitaria che, ancora, apparentemente non ci riguardava. Come siano poi andate le cose è sotto agli occhi di tutti. Ma ora si viene alle Carte, a quella pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale: una delibera del Consiglio dei ministri. La quale recitava: "Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili", ovvero il Covid-19. Dunque, la delibera proseguiva citando la dichiarazione di emergenza internazionale di salute pubblica per il Coronavirus dell'Oms, e sulle basi di queste, appunto, deliberava, "per 6 mesi dalla data del presente provvedimento (lo si ribadisce, 1° febbraio, nda) lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili". Stato di emergenza che, con discreta evidenza, si è tradotto in misure insufficienti. Tanto che Salvini, rilanciando il documento, fa sue e sposa le parole di Guido Magnisi, un noto avvocato penalista di Bologna: "Perché non si è dato il massimo risalto ad uno stato di emergenza che sin dal 31 gennaio non solo era previsto, e riconosciuto a livello internazionale, ma era già stato dichiarato? E per una durata di sei mesi?". Già, perché?
Col coronavirus ci hanno giocato per 25 lunghi giorni. Francesco Storace mercoledì 25 marzo 2020 su Secolo D'Italia. Vede, presidente Conte, c’è un motivo per il quale in tanti ce l’hanno con lei per il coronavirus. Lei e i suoi amichetti di Palazzo Chigi ci avete baloccato per quasi un mese, 25 giorni, col coronavirus. Ci avete fatto perdere tempo immemorabile e il giorno in cui tutto questo sarà finito ci sarà qualcuno che si alzerà in piedi a rinfacciarvi un cimitero enorme. E’ sacrosanto che l’opposizione si disponga a dare una mano al governo per i provvedimenti da assumere, magari condividendoli prima di adottarli a palazzo Chigi. Ma la responsabilità di aver colpevolmente taciuto e omesso ogni azione preventiva è tutta del governo Conte. Lo testimonia il tanto discusso (in queste ore) decreto sulla dichiarazione dello stato di emergenza. 31 gennaio scorso e per sei mesi, sino alla fine di luglio. Il problema non è il decreto di quel giorno, ma delle pantomime dei giorni successivi. Fino al 25 febbraio, quando si adottò il provvedimento sulle zone rosse al nord. Fino ad allora sembrava una festa dell’Unita’ con la gara a chi la sparava più grossa.
A Milano la passeggiata a Chinatown.
Zingaretti al famoso aperitivo nel capoluogo lombardo (e poi ci ha rimesso in salute).
A Firenze l’ideona dell’indimenticabile Dario Nardella con l’hashtag #abbracciauncinese.
Gli insulti ai governatori delle regioni del nord per aver detto che bisognava evitare di infettare le scuole a tutela dei bambini.
Il mantra “è solo un’influenza”.
Il dibattito come in una sezione del vecchio PCI (ma stavate al governo dell’Italia) sulle scuole le chiudiamo sì o no.
Anziché procedere con la quarantena per chi veniva dalla Cina – di qualunque Paese fosse, ovviamente – hanno inutilmente bloccato i voli diretti, dimenticando di andare a lezione di geografia per scoprire da quanti paesi si può passare per arrivare in Italia.
Siamo arrivati al punto che siamo stati schifati persino dalle isole Mauritius e che gli italiani sono trattati ovunque come appestati.
“Tutto a posto in Italia”. Lo scorso 30 gennaio ci fu chi rispose in televisione alla domanda su come contrastare il coronavirus: “Vi assicuro che l’Italia ha adottato la linea di misure di cautela tra le più efficaci in Europa e forse a livello internazionale”. Migliaia di morti, presidente Conte. “Le misure più efficaci”. Pensi solamente a quanti angeli bianchi sono saliti in Paradiso. Chiudevate il nord e aprivate i porti in Sicilia, non ce lo dimenticheremo mai. E la polemica continua contro l’opposizione, che bollavate come razzista. È dovuto intervenire Mattarella a dire a Palazzo Chigi di smetterla, come auspicavamo sia pure in una forma ancora più solenne lo scorso 26 febbraio sul nostro giornale. Il guaio è che Conte ha continuato imperterrito con le sue dirette maniacali da facebook a tarda notte, per far morire d’ansia prima ancora che di Covid-19 il popolo italiano. Ecco, ora tutti ai remi, ma quei 25 giorni resteranno impressi nella memoria di chi si è sgolato per richiamare il premier ai suoi doveri istituzionali. Giusto l’invito a restare in casa, ma si fanno le leggi in questo caso se si vuole ottenere l’effetto, e non decreti presidenziali. Per questo il decreto legge di ieri, che è altra cosa. Ma finora è stata una partita che Conte ha voluto giocare da solo e non col Parlamento. Speriamo che cambi davvero registro.
Giuliano Balestreri per it.businessinsider.com il 24 marzo 2020. Venticinque giorni. Ecco quanto tempo è passato tra la dichiarazione dello stato d’emergenza “in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza” del coronavirus del 31 gennaio, pubblicato l’1 febbraio sulla Gazzetta Ufficiale e il primo provvedimento della Protezione civile per fronteggiare la pandemia (il 25 febbraio). Un ritardo che si trascina inesorabile a ogni provvedimento del governo in un corto circuito mediatico dove gli annunci precedono i decreti stessi. Una strategia che ha spinto Walter Ricciardi, l’esperto italiano dell’Oms, a dichiarare che le misure prese sono giuste “però io le avrei prese dieci giorni prima”. La ricostruzione dei fatti mostra come il governo abbia sottovalutato l’epidemia da coronavirus. D’altra parte lo scorso 27 gennaio, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, dichiarava a Otto e Mezzo che l’Italia era “prontissima” a fronteggiare l’emergenza e che il nostro Paese aveva già adottato “misure cautelative all’avanguardia” e tutti “i protocolli di prevenzione”. L’evoluzione dell’epidemia, purtroppo, dimostra il contrario. “Oggi tutto il sistema sanitario si sta muovendo in modo eccezionale. In Lombardia come nel resto d’Italia: tutti gli operatori sono straordinari e proprio per questo non è accettabile che il 12% dei malati in regione sia personale medico” dice Elisabetta Strada, consigliera regionale che poi aggiunge: “Vorrei sapere cosa è stato fatto tra il 31 gennaio quando si è dichiarata l’emergenza nazionale e la scoperta del primo caso a Codogno. Sicuramente non avremmo potuto risolvere ogni problema, ma sicuramente si sarebbero potuti dare maggiori strumenti di protezione a medici e infermieri”. Di certo non si spiega perché la guardia sia rimasta così bassa così a lungo con scelte folli come quella di giocare a porte aperte Atalanta-Valencia di Champions League il 19 febbraio: una decisione quanto meno bizzarra in una situazione d’emergenza nazionale. Anche perché il primo provvedimento del governo citava chiaramente “le raccomandazioni alla comunità internazionale dell’Oms circa la necessità applicare misure adeguate”. Ed era già nota la “crisi internazionale determinata dalla insorgenza di rischi per la pubblica e privata incolumità” che “che stanno interessando anche l’Italia”. Insomma, lo stesso governo che invitava alla calma e sminuiva i rischi scriveva che la “situazione d’emergenza, per intensità ed estensione, non è fronteggiabile con mezzi e poteri ordinari”. Eppure, nonostante la consapevolezza dell’esecutivo per quasi tre settimane non è stato fatto nulla “In Italia abbiamo circa 3 posti letto per mille abitanti, molti meno degli 8 che hanno in Germania e dei 4 della Cina: si poteva usare quel tempo per realizzarne altri. Non avrebbero risolto ogni problema, ma salvato alcune vite umane sì” dice il dottor Giuseppe Fariselli che poi aggiunge: “Avremmo anche potuto usare quel tempo per informare correttamente i medici, proteggendoli con strumenti adatti ed evitando di lasciarli soli”. Come a dire di fronte a un’emergenza globale, l’Italia è rimasta immobile. O quasi. All’indomani della dichiarazione dello stato d’emergenza è stato istituito per decreto del capo della protezione civile il “comitato scientifico”; il 6 febbraio è stato disposto il rientro a casa degli studenti nelle zone a rischio e poi nulla fino al 21 febbraio quando viene ufficializzato il primo caso di coronavirus a Codogno e contestualmente vengono stanziati 4,6 milioni di euro per “incrementare il personale medico”. “Ci siamo svegliati con Codogno, ma prima cosa è stato fatto?” incalza Elisabetta Strada secondo cui anche i protocolli facevano acqua da tutte le parti: “L’allarme scattava solo per chi aveva avuto contatti stretti con cinesi o chi aveva viaggiato nelle zone a rischio. La Lombardia ha le sue responsabilità sull’assenza di controlli. Abbiamo dibattuto più volte sull’importanza di avere un piano d’emergenza, ma ancora oggi i medici non sono tutelati”. Anche perché si è dovuto aspettare il 25 febbraio per arrivare all’ordinanza che permette alla Protezione civile di acquistare con “priorità assoluta rispetto ad ogni altro ordine” i dispositivi di protezione individuali indicati dal ministero della salute il 12 febbraio. La stessa ordinanza vieta anche l’esportazione dei dispositivi “senza autorizzazione delle protezione civile”. L’emergenza, dichiarata il 31 gennaio è esplosa, ma bisogna ancora attendere il 28 febbraio perché la stessa urgenza venga applicata “all’acquisizione degli strumenti e dei dispositivi di ventilazione invasivi e non invasivi” e si decida di destinare i dispositivi di protezione individuale “in via prioritaria, al personale sanitario” che nel frattempo è stato contagiato diventando a sua volta portatore del virus. Un errore dietro l’altro cui ora il governo cerca di porre rimedio a colpi di decreti. Per fortuna il trend dei malati si conferma in calo, ma forse aver reso nota l’emergenza con 20 giorni d’anticipo – anziché minimizzare i rischi – avrebbe evitato gli affollamenti sulle piste da sci e nei locali riducendo i contagi. E salvando centinaia di vite umane.
Da repubblica.it - Bologna il 24 marzo 2020. "Parafrasando Orwell, in tempi di menzogna universale, la verità è rivoluzionaria. Orbene, anche le date hanno la loro importanza. A pagina 7 e 8 della Gazzetta Ufficiale dell'1 febbraio 2020, modesta serie generale ordinaria e non edizione straordinaria, veniva deliberato per ultimo, dopo numerosi decreti afferenti altre problematiche di rilievo opinabile (scioglimento del consiglio comunale di Sant'Agata di Esaro, di Cellole, di Sant'Anastasia, di Grumo Nevano, etc.) per ultimo e in tutto il Paese e per sei mesi dalla data del presente provvedimento, lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibilì". Lo sottolinea l'avvocato Guido Magnisi, noto penalista bolognese conosciuto anche per essere il legale - tra i tanti - di Vasco Rossi, in una riflessione sulle misure prese in contrasto al coronavirus e il quadro normativo. "Io ignoravo tale circostanza, circostanza che forse meritava svariate edizioni straordinarie. Tanto più che il provvedimento veniva assunto "vista la dichiarazione di emergenza internazionale di salute pubblica per il coronavirus dell'Oms del 30.1.2020"". Il riferimento era il decreto legislativo n. 1 del 2018, istitutivo del Servizio Nazionale della Protezione Civile dove "si prevedevano tra gli eventi emergenziali, "quelli di rilievo nazionale connessi con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall'attività dell'uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza di intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari durante limitati e predefiniti periodi di tempo". Era quello che esattamente avveniva". Dunque, "dichiarazione dello stato di emergenza, deliberato in ossequio a quel decreto legislativo e in tempestiva ottemperanza all'emergenza internazionale promulgata dall'Oms. Tempistica coerente con il pericolo già emergente, o, meglio, già emerso e conclamato, parliamo di quasi due mesi or sono, e con un termine di durata sin da subito previsto in mesi sei. Questo è lo stato delle cose. Questo è il reale dato normativo". La domanda, a questo punto, per Magnisi "è una sola: perché non si è dato il massimo risalto ad uno stato di emergenza che sin dal 31 gennaio non solo era previsto, e riconosciuto a livello internazionale, ma era già stato dichiarato? E per una durata di sei mesi? Non so se solo il sonno della ragione genera mostri: certamente mostri reali sono generati da comandanti incerti, insicuri, titubanti. E non occorreva neppure la dittatura cinese, bastava la legge varata nel nome del Popolo italiano due mesi or sono: questo avrebbe permesso non un affannoso inseguire misure draconiane sempre più dure e drammatiche, ma il graduale ritorno alla normalità partendo dalla base di una già riconosciuta e riconoscibile calamità nazionale e internazionale".
Vittorio Feltri in controtendenza. "Non ce l'ho con Conte, ma coi virologi. In che mani siamo". Vittorio Feltri il 23 marzo 2020 su Libero Quotidiano. Cari professori, siete scatenati nell'illusione di trovare i motivi che hanno permesso al virus di attaccare l'umanità e distruggerla. Non solo, pretendete altresì di suggerire agli specialisti e ai governanti il modo più efficace per vincere la battaglia. Il che mi appare ridicolo. Nessuno ha capito qualcosa di pestilenza e voi pensate di aver scoperto il migliore antidoto. Il nostro esecutivo ha varato provvedimenti insufficienti, e questo è garantito al limone, eppure non mi sembra che voi abbiate il coniglio nel cilindro. Guidare un Paese in una situazione normale richiede i consigli e anche le critiche di chiunque abbia un minimo di ingegno, tuttavia nel casino in cui siamo ora è ingeneroso sparare su questo o su quello perché l'infezione continua a uccidere poveri cittadini. Intanto i medici in trincea si ammazzano di lavoro e si oppongono al Corona con mezzi inadeguati. E non c'è anima che abbia individuato lo straccio di un medicinale in grado di sconfiggere il morbo, tanto che tra le copiose vittime figura un alto numero di camici bianchi, infermieri inclusi. Le polemiche sono il sale della vita, ma quando sono inutili, basate sulla incompetenza, servono soltanto ad aumentare la confusione. Chi dice rosso e chi dice nero: si ignora quale sia la verità, non c'è alcuno che l'abbia in tasca. Vari soloni sostengono che l'isolamento della popolazione sia l'unica terapia praticabile, altri soloni affermano il contrario. Tutti si improvvisano virologi pur non possedendo alcuna nozione in materia. La mia impressione è che anche voi, pur essendo persone colte e provvedute, non sappiate un cazzo, quanto me, eppure noto che vi impancate a docenti di infettivologia e roba simile. Mezzo mondo è infestato e seguita ad ammalarsi e le salme si accumulano non proprio come a Bergamo, ma quasi. E voi insistete: facciamo questo e facciamo quello. Mi pare un eccesso di presunzione esercitata a tavolino, in casa vostra, e non nelle corsia ospedaliere dove i dottori impazziscono nel tentativo di contenere la strage. Non siete i soli ad aspergere litri di saggezza e non ce l'ho con voi, mi limito a invitarvi a riflettere: nel marasma generale che coinvolge decine di Stati non è opportuno fare i maestrini e insegnare urbi et orbi come comportarsi davanti allo strapotere di un virus devastante. Costringere la gente a starsene barricata tra le quattro mura non è meraviglioso, però si dà il caso che nella storia secolare delle epidemie si è sempre adottata la quarantena per uscirne vivi. Quindi adagio con le accuse a chi sta gestendo questa perfida congiuntura. L'unico rimprovero che mi sento di muovere nei confronti degli addetti ai lavori, è diretto ai cosiddetti scienziati che si beccano quotidianamente nei talk-show televisivi. Non ne esistono due che vadano d'accordo sull'analisi del fenomeno. Possibile che nessuno di essi sia ancora riuscito a scoprire un medicinale risolutivo? In fondo siamo al cospetto di un virus, mica di un marziano. Si diano una mossa, studino, ricerchino, facciano delle prove per vedere quale sia la via d'uscita. La loro nobile categoria ha scoperto la penicillina, il rimedio alla poliomielite, al vaiolo eccetera, come mai non è in grado di scovare il nemico del Corona o almeno un farmaco che ne contingenti la furia distruttrice? Scienziati, siamo nelle vostre mani, oddio in che mani siamo.
Il modello italiano è il peggiore. Giancristiano Desiderio il 23 marzo 2020 su Nicola Porro.it. Il modello italiano non ha funzionato. La quarantena imposta a tutti, da Aosta a Santa Maria di Leuca, non ci ha protetti né dai contagi né dalle morti. Ce lo dobbiamo dire con franchezza perché in questa brutta storia la verità dei fatti non può essere negata senza causare altre vittime. Il modello italiano non è il migliore né in Europa né al mondo. Altissimo è il numero dei contagi e l’Italia è il primo paese al mondo per il numero dei morti. A fronte di questo disastro sanitario c’è la negazione della libertà civile. Come a dire: abbiamo rinunciato alle libertà per salvare le vite ma il rimedio si è rivelato peggiore del male: non abbiamo né la libertà né la salvezza. Ecco perché chi continua a chiedere ancora più restringimenti della vita civile – la chiusura dei negozi di generi alimentari – e chi punta il dito contro chi corre nei parchi deve rendersi conto che il problema non sono né i negozi né i podisti ma il suo modo di pensare che non accettando di imparare dai fatti, dalle smentite e dagli errori genera solo rancore e panico. Le epidemie sono delle brutte bestie. Si ammalano i corpi ma anche e soprattutto le anime. Il governo italiano, muovendosi in maniera goffa sia pur giustificata dal fatto fuori dall’ordinario, ha pensato di salvare prima di tutto i corpi mettendo tra parentesi le libertà fondamentali come movimento e lavoro. Una scelta, forse, obbligata. Ma era necessario dire, però, che il calcolo di limitare la libertà per salvare le vite ha un suo limite strutturale superato il quale il vantaggio si rivela uno svantaggio. Il vantaggio che si vuole creare limitando o addirittura negando movimento e lavoro è quello di fermare il contagio facendo affidamento alle risorse disponibili per vivere in sicurezza. Il vantaggio si rovescia in svantaggio nel momento in cui il contagio non si ferma e le risorse disponibili per vivere in sicurezza scarseggiano. La conseguenza è che se prima c’era un problema – la malattia – ora ce ne sono due: malattia e scarsità di risorse. Come può capire chiunque sia onesto con se stesso, il lavoro e la libertà non sono valori secondari rispetto alla tutela della salute. Al contrario: proprio perché si vuole salvaguardare la salute e la sicurezza delle persone è necessario far ricorso al lavoro e alla libertà civile. Purtroppo, l’anima italiana si è ammalata. Infatti, chiunque sollevi il problema centrale della libertà e del lavoro è sottoposto ad una sorta di ricatto immorale in cui la morte e i morti sono usati per impedire di ragionare e usare in modo critico e responsabile la propria testa. Non solo si cerca di imporre la paura per far sì che non si metta il naso fuori di casa, ma si impone la paura anche per evitare che si pensi liberamente con la propria testa. Anzi, che si pensi sulla base dei fatti, dei numeri, dei riscontri, degli autorevoli dati scientifici e persino degli stessi dubbi della scienza che, grazie a Dio, sono il sale della stessa scienza. Ormai lo sappiamo sulla base dei fatti: l’infezione da coronavirus è nella grande maggioranza dei casi lieve. Lo dice la scienza clinica. Tuttavia, a fronte di questa infezione lieve tutto il Paese è in preda al panico più totale in cui si oscilla tra la retorica e i carri funebri. Usciamo da questo pendolo micidiale e prendiamo atto che il modello italiano – dalle istituzioni governative alla politica dei partiti alla cultura giornalistica – non ha funzionato. Smettiamola di cantarcela e suonarcela da soli e prendiamo atto che la ossessione tutta italiana per la sicurezza totale è il metodo più sicuro per perdere sicurezza, libertà e salute perché ci diciamo con troppa irresponsabilità bugie sulla nostra vita pubblica e perfino sulla vita nuda e cruda.
Coronavirus, ma il modello italiano è davvero il migliore? A un mese dall'inizio dell'epidemia, nel nostro Paese i numeri di contagiati e di decessi continuano a crescere a ritmi preoccupanti. Le misure prese dall'Italia sono imitate dalle democrazie occidentali. Ma Cina e Corea del Sud hanno seguito strategie diverse. Che finora hanno avuto successo. Emiliano Fittipaldi il 18 marzo 2020 su L'Espresso. Se qualche virologo spera che la devastazione da coronavirus possa fermarsi con l'arrivo dell'estate, e se i cattolici pregano che Dio fermi la pandemia con una mano, il pessimismo della ragione è invece la sola bussola con cui i decisori dovrebbero – in Italia, ma non solo – gestire l'emergenza. Non solo perché la spagnola del 1918 ebbe la sua ondata peggiore in agosto, e H1N1 si diffuse nel mondo con il caldo di luglio, ma perché il decantato “modello italiano” non sembra aver dato i frutti sperati. Nel Paese in cui si annuncia che ogni settimana è quella «decisiva», e in cui si spinge il picco ogni volta più in là, s'è presa una strada differente dai due unici modelli che si sono finora rivelati vincenti. Quelli della Cina e della Corea del Sud. I cinesi, è noto, dopo le iniziali titubanze e censure si sono mossi attuando un lockdown (blocco) totale. Sia a Wuhan, epicentro del Covid 19, sia nel distretto provinciale di Hubei, è stato chiuso tutto: uffici pubblici e privati, fabbriche, mezzi pubblici, treni, aerei. Il coprifuoco ha tenuto in casa 60 milioni di persone per quasi due mesi. L'esercito in strada ha funzionato, per usare un eufemismo, da potente deterrente. Ospedali sono stati costruiti in dieci giorni, migliaia di medici sono stati portati da tutta la nazione per fronteggiare il nemico. Armati con ogni mezzo disponibile. È un paradosso, ma oggi se il regime non spaccia dati fasulli lo Hubei è il luogo più sicuro del pianeta. Non a caso Apple ha riaperto tutti i negozi della Cina chiudendo in contemporanea quelli del resto del mondo. Ieri a Wuhan sono stati tracciati solo 4 nuovi casi. La preoccupazioni maggiori del partito comunista riguardano adesso i contagi da “rientro”. La Corea Del Sud contro il Covid ha seguito una strada del tutto diversa. Il contagio nel paese s'è diffuso qualche giorno prima rispetto all'Italia. Il 20 febbraio si contavano già 100 casi e un morto. «La velocità di risposta è tutto» ammoniva in quei giorni l'Oms. I coreani hanno preso in parola gli scienziati. Non hanno chiuso nulla, però. Nemmeno il focolaio dell'infezione, la città di Daegu, è stata messa in lockdown. La battaglia è stata combattuta con l'arma dello screening di massa, attraverso i tamponi e la ricerca ossessiva di ogni positivo possibile, e poi a cascata di tutti i suoi possibili contatti. È stato fatto subito il tampone a tutti i 215 mila fedeli della setta focolaio del Covid, e sono stati messi in quarantena non solo i positivi al test, ma tutte le persone rintracciate che erano state a meno di due metri dai contagiati. Per fare questo enorme lavoro di investigazione, sono state usate 500 cliniche private per i test, mentre decine di migliaia di persone hanno fatto interviste a raffica per ricostruire la filiera dei contagi. Infine, è stata usata una app (chiamata Corona100m) per controllare con il Gps del cellulare che la quarantena fosse rigidamente rispettata. La stessa app è stata usata per girare al sistema sanitario nazionale lo stato di salute di malati e asintomatici a rischio. Mentre un ufficiale sanitario ha il compito di contattare due volte al giorno i cittadini costretti all'isolamento domiciliare. Un triage efficace messo a punto cinque anni fa, quando la Corea del Sud fu colpita da un'altra sindrome respiratoria grave, la Mers. Il 10 marzo la curva dei contagi ha cominciato a scendere. Ieri, se l'Italia ha contato quasi 3000 contagiati in più, a Seul ne hanno calcolati appena un'ottantina. Terza nazione colpita in ordine temporale, l'Italia ha seguito una terza via. Più simile, probabilmente, a quella cinese. Ma la Grande Muraglia messa in piedi a Wuhan per noi è operazione difficile e, per alcuni versi, impossibile. Lo Hubei ha chiuso fabbriche e uffici tenendo in casa 60 milioni di persone perché il resto del Paese (oltre 1,3 miliardi di persone) lavoravano al loro posto, prendendosi cura delle necessità dei concittadini costretti alla quarantena. In Italia è invece irrealistico pensare di ridurre a zero la produzione industriale: le filiere alimentari, della sanità e degli altri beni primari non possono essere bloccate. Fossimo tutti chiusi in casa, chi si prenderebbe assistenza di noialtri? Il lockdown solo parziale costringe le persone a spostarsi, a incontrarsi sui mezzi di trasporto, sui luoghi di lavoro, in fabbrica. In qualche caso, gli assembramenti sono impossibili da evitare. Ieri la Regione Lombardia ha svelato che ben il 40 per cento dei lombardi si muove ancora sul territorio. Molti non possono farne a meno, per motivi di necessità, ma altri – in mancanza di regole ferree e una militarizzazione che resta impossibile nelle democrazie occidentali – continuano a uscire di casa. Il virus ha e avrà, da noi, molte più occasioni di diffondersi rispetto a quanto accaduto in Cina. Il governo nazionale, inoltre, nonostante le insistenze di alcuni governatori (Luca Zaia in primis) non ha per ora intrapreso alcuno screening sul modello coreano. Per quale motivo? Innanzitutto, a differenza di Seul non eravamo pronti: non esistono strutture sul territorio per organizzare test rapidi e di massa. In secundis, i tamponi sono pochi, e sono stati riservate ai sintomatici e agli operatori sanitari. Poche anche le cliniche capaci di dare risultati in tempi rapidi. Un software centrale di controllo (sono giorni che l'infettivologo Massimo Galli del Sacco invoca, ignorato, un utilizzo massiccio della telemedicina) per contattare le persone malate a casa e localizzare e delimitare un focolaio non esiste. E non c'è alcun programma per realizzarne uno. Fossimo anche attrezzati tecnologicamente, il terzo fattore che impedisce di seguire il modello coreano riguarda la questione della privacy: il timore è che la sorveglianza attiva (attraverso app, telecamere e controllo domestico da effettuare attraverso le forze dell'ordine) sia contraria ai diritti sanciti dalla nostra Costituzione. Diritti che, a detta dei più accorti, dovrebbero venire dopo il diritto alla salute. Anche perché, mancando il secondo, sarà complicato difendere tutti gli altri. Wuhan ci ha messo due mesi ad uscire dall'emergenza critica. La Corea meno di 45 giorni. In Italia siamo a un mese dalla scoperta del paziente 1 di Codogno. Ma, mettendo i fatti sul tavolo (compresa l'impossibilità di proteggere con mascherine adeguate medici e infermieri, che si ammalano e infettano a loro volta) sembra difficile che il modello italiano come finora concepito possa portarci ai successi dei cinesi e dei coreani negli stessi tempi. Ci attendono settimane, probabilmente mesi, difficili.
Dagospia il 18 marzo 2020. Riceviamo e pubblichiamo: Caro Dago. Ohibo! Andando a vedere l'organigramma della nostra protezione civile, il III Ufficio, che si occupa delle Attività Tecnico-scientifiche per la previsione e prevenzione dei "rischi" non fa cenno al rischio sanitario. C'è il rischio idrogeologico, idraulico, incendi boschivi, ambientale, industriale e vulcanico. Di rischio sanitario nemmeno l'ombra. Altrove addirittura si legge che il rischio sanitario è sempre conseguente ad altri rischi :"Il rischio sanitario è sempre conseguente ad altri rischi o calamità, tanto da esser definito come un rischio di secondo grado (!!!!!!!). Emerge ogni volta che si creano situazioni critiche che possono incidere sulla salute umana. Difficilmente prevedibile, può essere mitigato se preceduto, durante il periodo ordinario, da una fase di preparazione e di pianificazione della risposta dei soccorsi sanitari in emergenza”. Ciò è confermato nella Commissione Grandi Rischi dove , guarda un po', non c'è neanche un medico e referenti specialisti di settore nominati sono:
- il prof. Roberto Paolucci, ordinario di Tecnica delle costruzioni – Politecnico di Milano per il settore del rischio sismico;
- il prof. Francesco Dellino, ordinario di geochimica e vulcanologia – Università di Bari per il settore del rischio vulcanico;
- il prof. Armando Luigi Maria Brath, ordinario di Costruzioni idrauliche, marittime e idrologia – Università di Bologna per il settore dei rischi meteo-idrologico, idraulico e di frana;
-Il prof. Giuseppe Maschio ordinario di Ingegneria industriale - Università di Padova per il settore rischi chimico, nucleare, industriale e trasporti;
- il prof. Francesco Fracassi, ordinario di Chimica generale e inorganica – Università di Bari per il settore del rischio ambientale e degli incendi boschivi.
Forse ora comprendo l'amara realtà: Dopo la SARS nessuno aveva pensato di preparare uno straccio di piano per il rischio sanitario. Scoprendo queste cose mi sembra di stare in una gabbia di matti. Dopo che i buoi sono scappati cercano di chiudere le stalle attribuendo la responsabilità alla protezione civile. Beati i tempi di Bertolaso e Zamberletti! Quelli si che avevano le p…e! Piero delle Nevi
Nino Cartabellotta il 18 marzo 2020: #coronavirus: parliamo di un gravissimo problema. Il contagio degli operatori sanitari:
- Sino a 11-3 non conoscevamo i numeri
- Oggi sono 2.629 (8,3% dei casi totali)
- Procedure e dispositivi protezione ancora inadeguati
Prendersi cura di chi si prende cura#COVID19italia.
Fazzoletti come mascherine, medici diventano kamikaze: “Hanno firmato nostra condanna”. Ciro Cuozzo de Il Riformista il 17 Marzo 2020. Chi per 20 giorni, chi per oltre un mese ha dovuto combattere con mezzi di fortuna quella che oggi è diventata una pandemia. Medici, infermieri, operatori socio sanitari, personale del 118 e della Croce Rosse sono in prima linea contro il Coronavirus ma con mezzi di fortuna, attrezzature inadeguate per lavorare in sicurezza ed evitare di essere contagiati e, di conseguenza, di infettare i propri cari quelle poche volte che tornano a casa. In queste settimane siamo stati abituati a vederli dormire a terra, sulle scrivanie, in auto, in condizioni sempre precarie, sempre in trincea a combattere una guerra quasi come dei kamikaze. Non c’è nulla di romanzato in tutto questo. Basta vedere le fotografie delle mascherine, pardon, fazzolettini, che buona parte di loro ha avuto a disposizione lungo tutta la Pensisola. In tanti si sono ammalati, qualcuno lotta in un letto d’ospedale per sopravvivere, altri sono fuorigioco e in isolamento a casa, impossibilitati a dare il proprio contributo alla causa. Adesso, a un mese di distanza, potrebbero presto avere, tutti, attrezzature adeguate per affrontare l’emergenza. Nel frattempo però sono state numerose le denunce, sia dei sindacati che degli stessi professionisti, alcune delle quali diventate virali in rete. IL MEDICO DI AOSTA – Una testimonianza è il filmato del medico del pronto soccorso dell’ospedale Parini di Aosta che protesta per la mascherina fornitagli lunedì scorso. “Pensate po’, un banale fazzoletto che improvvisamente assurge a presidio medico di protezione. Ringrazio fervidamente chi ha avuto questa brillante idea” spiega ma “con questa splendida idea hai voluto firmare la nostra condanna, la condanna di medici, sanitari e personale parasanitario, che in questo momento difficile sta affrontando un problema serio e mette a repentaglio la propria vita per gli altri. Ti stai approfittando del nostro senso del dovere, della nostra passione, che mettiamo ogni giorno nella nostra professione. Ci ripaghi così, con questa roba qui. Se ci riesci usala, per te che hai avuto l’idea, per la tua igiene intima. Io preferisco lavorare senza”.
L’ASSOCIAZIONE NAPOLETANA – Altra denuncia arriva dall’associazione “Nessuno Tocchi Ippocrate”, da anni in prima linea a Napoli contro la violenza sul personale sanitario. “Sono in distribuzione le nuove mascherine per il personale sanitario, le famigerate “swiffer” (chiamate così per la somiglianza con gli stracci per la polvere) . Qualche collega ha provato, con apposito spruzzino, a bagnarle simulando uno starnuto di un potenziale paziente infetto ed il risultato è stato imbarazzante; si sono attaccate in faccia. A nostro avviso, che abbiamo l’arduo compito di fare i “developers” (ahimè sulla nostra pelle) questo presidio è inutilizzabile. Di certo usarle per la nostra (personale sanitario ) e vostra incolumità è un reale pericolo! Aldilà di tutto………Meritiamo di più”.
Barbara Gerosa per il “Corriere della Sera - Edizione Milano” il 18 marzo 2020. «Io ho già fatto un turno nella polveriera, ma non va bene, così non va bene. Noi potenzialmente tutti positivi e fonte di contagio per altri». Il messaggio sul telefonino arriva a tarda notte. Lo sfogo di uno degli operatori in servizio presso gli ospedali di Lecco e Merate. «Non parlo da coniglio né da infame, ma temo che se ci stiamo contagiando tra di noi è perché non lavoriamo in sicurezza». Nessuno si tira indietro, tutti in prima linea, ma i numeri sono da brivido. A ratificarli la stessa azienda ospedaliera. Medici, infermieri, operatori, sono 119 quelli risultati positivi al tampone, infettati dal coronavirus: 23 medici, tre in servizio al pronto soccorso, 74 infermieri, 12 operatori socio sanitari del Manzoni e del Mandic. In una chat interna al personale ci sono le paure e le disposizioni: «Nessun camice rinforzato per i dottori di supporto nei reparti Covid, non è necessario se non entrano nelle camere. Ne abbiamo pochi, potremmo rimanere senza per chi opera sul paziente». «I dispositivi sono necessari altrimenti saranno gli operatori sanitari a pagare il maggiore tributo», fa presente il collega. C' è spazio per la commozione: «Mi viene tristezza a vedere l' ospedale intero ridotto a campo di guerra, tutti a fare tutto», il messaggio che ribalza su un' altra chat. C' è l' orgoglio e la preoccupazione. I sindacati davanti ai numeri dei sanitari infettati hanno chiesto un incontro urgente alla direzione ospedaliera. Il prefetto di Lecco, Michele Formiglio si è fatto portavoce delle loro istanze. «A preoccupare sono i dati dei lavoratori positivi al coronavirus, ci dicono 120, temiamo 160, su un totale di 440 contagi complessivi nel lecchese - scrivono Cgil, Cisl e Uil -. Ci chiediamo cosa non stia funzionando. Sono i protocolli di gestione? Oppure la mancanza di dispositivi di protezione individuali? Tutto questo sta cagionando ai dipendenti un fortissimo stress, il timore di poter infettare sé stessi e i propri famigliari». Il direttore generale dell' Asst di Lecco, Paolo Favini, non si sottrae al confronto: «Gli operatori sanitari sono i più esposti, ma la percentuale dei casi positivi è del 5,17%: 1.800 infermieri, 500 medici, 119 infetti nei presidi lecchesi». La voce è stanca, alcuni suoi collaboratori sono malati o in quarantena. «Non c' è alcun cluster - rassicura -. I dispositivi in dotazione al personale sono a norma Oms e Regione Lombardia e ad oggi erogati in numero adeguato. Qualcuno si è lamentato per l' uso delle mascherine chirurgiche? Quelle Fp2 e Fp3 sono per gli operatori più a rischio, come chi deve intubare i pazienti. Tutti hanno avuto i camici rinforzati, e dove non è stato possibile abbiamo fornito quelli idrorepellenti suggerendo di indossarne tre alla volta». È una corsa contro il tempo. Le Rianimazioni sono piene sia a Merate che a Lecco, 424 le persone ricoverate per il virus nei due presidi: per 93 si attende ancora l' esito del tampone, gli altri sono tutti positivi. Si cerca di reclutare altro personale, pensionati e specializzandi dei corsi di laurea. Poi la boccata di ossigeno: «Sono stati indirizzati a Lecco rinforzi importanti, a ore 36 operatori, 12 medici e 24 infermieri, arriveranno dalla Cina - annuncia Favini -. Capisco i timori, siamo uomini, siamo fragili, ma posso assicurare che stato fatto l' impossibile e anche di più».
Francesca Angeli per “il Giornale” il 18 marzo 2020. Camici bianchi in prima linea senza difese. Questa volta i medici di famiglia dell' area di Milano e hinterland, quella più sotto pressione, sono allo stremo e hanno deciso di mettere nero su bianco la denuncia del mancato rispetto delle regole di sicurezza previste dal decreto del governo. E non è il solo motivo di protesta da parte dei medici che chiedono di essere testati rispetto alla possibile positività da coronavirus. In sostanza si monitorano soltanto quelli con sintomi già manifesti. Un errore clamoroso perchè i primi ad essere in contatto con i pazienti fragili sono proprio i camici bianchi che da settimane denunciano il rischio che ciascun medico sia un «superdiffusore». Per questo tutti i sindacati medici insistono sulla necessità di estendere «i tamponi a chi, in ragione della sua professione, rischia di più di essere contagiato dal Covid-19: medici, infermieri, tecnici, operatori socio sanitari, inclusi i dipendenti delle cooperative sociali». I tamponi vanno estesi in primis a loro, «per isolare anche i positivi asintomatici, per proteggere le persone». Nell' esposto dello Snami che è indirizzato anche al Presidente della Regione, Attilio Fontana, e a tutte le autorità competenti il presidente provinciale, Roberto Carlo Rossi scrive: «I medici di famiglia sono stati lasciati ancora allo sbaraglio, senza adeguati dispositivi di protezione individuale, mascherine omologate, camici monouso, occhiali, guanti» strumenti indispensabili ad un esercizio della professione in sicurezza e che nell' emergenza risultano prescritti per legge. Il malessere dei medici di base in Lombardia cresce giorno dopo giorno. Da quando è esplosa l' emergenza coronavirus le chiamate sono aumentate in modo esponenziale. Agli anziani poi è stato chiesto di non uscire quindi i medici di base dovrebbero recarsi in casa ma se poi si espongono al rischio di un contagio, come è accaduto ad un medico di base di Lodi, in condizioni gravissime. Rossi denuncia al prefetto i «gravi accadimenti in netto contrasto con il Dpcm dell' 8 marzo scorso» chiedendo di mettere in atto ciò tutto ciò che serve a consentirne il rispetto: in pratica di requisire tutto quello che serve e metterlo a disposizione dei medici. Ad oggi, denuncia Rossi, sono state consegnati dalle Asl «poche mascherine chirurgiche, mediamente 5 a medico; camici monouso non idrorepellenti, mediamente 2 a medico; mediamente una confezione di 100 guanti; nessun tipo di occhiali o visiera». Ma «le idonee mascherine che questo sindacato aveva reperito sul mercato e ordinate per fornirle, in sostituzione del mancato adempimento di parte pubblica, ai tanti medici che ne hanno fatto richiesta non sono consegnabili per intervento del Governo che risulta aver bloccato tutte le importazioni. Quindi noi medici in prima linea sul territorio ci troviamo non solo senza i dispositivi di protezione individuale prescritti da Governo e Regione che non li distribuisce, ma anche nell' impossibilità di acquistarli a nostre spese anche dopo averli reperiti autonomamente» Dunque mascherine e tamponi che invece stentano a decollare in molte regioni nonostante l'appello dell'Organizzazione mondiale della Sanità rilanciato dal rappresentante del board italiano, Walter Ricciardi. «Un semplice messaggio per tutti i Paesi: test, test, test. Fate il test a ogni caso sospetto di Covid-1», scrive in un tweet Ricciardi. Se questi pazienti risultano positivi, ammonisce l' agenzia Onu per la Sanità, bisogna isolarli e scoprire con chi hanno avuto contatti stretti fino a 2 giorni prima che sviluppassero i sintomi in modo da testare anche queste persone.
Coronavirus, la strage dei medici. Almeno 14 morti dall’inizio dell’epidemia. Pubblicato giovedì, 19 marzo 2020 su Corriere.it da Riccardo Bruno. Giuseppe Finzi, 62 anni, era medico ospedaliero a Parma. Luigi Frusciante, 71, andato in pensione l’anno scorso, era di Como, la stessa città dello pneumologo Giuseppe Lanati, 73 anni. E poi Antonino Buttafuoco, 66 anni, medico di base di Bergamo, deceduto mercoledì, e Luigi Ablondi, anche lui 66enne, ex direttore generale dell’Ospedale di Crema, poi direttore della clinica delle Ancelle di Cremona, che si è spento il giorno prima. Cinque nomi, cinque vittime che la Fnomceo (la Federazione nazionale dell’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri) ha aggiunto giovedì all’elenco «dei medici caduti», la triste contabilità che aggiorna quotidianamente sul suo sito. Riesce perfino difficile il conto, sono almeno 14 i medici che finora non ce l’hanno fatta, con un numero altissimo di operatori sanitari contagiati (circa tremila, l’8,3% del totale dei colpiti). «Non possiamo più permettere che i nostri medici, i nostri operatori sanitari, siano mandati a combattere a mani nude contro il virus. È una lotta impari, che fa male a noi, fa male ai cittadini, fa male al paese» osserva amaramente il presidente della Federazione Filippo Anelli. Storie di uomini e professionisti che si sono trovati in prima linea ad affrontare un nemico che probabilmente all’inizio è stato sottovaluto, i primi a esporsi per salvare la vita degli altri e finendo per non riuscire a tutelare la propria. Come Mario Giovita, 65 anni, originario di Catania («Esempio di abnegazione e umanità» l’ha ricordato il sindaco della città etnea) che era medico a Caprino Bergamasco. Marcello Natali, 57 anni, bolognese, segretario Fimmg per la provincia di Lodi, che esercitava invece a Codogno e nei comuni vicini, il cuore del primo focolaio in Italia. Roberto Stella, 67 anni, era invece presidente dell’Ordine dei medici di Varese, fino all’ultimo giorno ha visitato nel suo ambulatorio di Busto Arsizio. Ivano Vezzulli, 61 anni, di San Rocco al Porto, era invece il medico della cooperativa per disabili «Amicizia» di Codogno, ma anche della squadra giovanile del Piacenza Calcio. Franco Galli, 65 anni, era medico di base a Medole, nel Mantovano, Massimo Borghese, 63 anni, era otorino a Napoli, Raffaele Giura, 80 anni, è stato primario di Pneumologia Como, Carlo Zavaritt, anche lui ottantenne, era pediatra e neuropsichiatra infantile a Bergamo, Giuseppe Borghi, 64 anni, medico a Casalpusterlengo. Senza dimenticare gli altri operatori sanitari, gli infermieri o i soccorritori del 118, come il bergamasco Diego Bianco di Bergamo, morto a 47 anni. «I medici sono arrabbiati, esasperati da questo stillicidio di brutte notizie, spaventati dall’escalation di contagi che si sarebbero potuti prevenire ed evitare se solo le istituzioni ci avessero ascoltati sin da subito – aggiunge il presidente Fnmceo Anelli —. È da febbraio che scriviamo lettere, lanciamo appelli, per chiedere che i medici siano messi in sicurezza, per loro ma anche per evitare che diventino veicolo di contagio verso i pazienti, verso i cittadini più fragili, resi deboli dalle malattie e dall’età avanzata. Ci sentiamo a questo punto dimenticati, poco considerati».
Coronavirus a Bergamo, due medici della clinica San Francesco: «Mandati al macello, ora siamo la metà». Pubblicato giovedì, 19 marzo 2020 su Corriere.it da Matteo Castellucci. «Siamo in guerra, chiediamo solo le armi». Fuor di metafora, quelle armi sono i dispositivi di sicurezza. Mancano: a corto di mascherine, va indossata la stessa per una settimana, invece della giornata imposta dai protocolli. Francesco Vattimo, cardiologo, lavora da dieci anni alla clinica San Francesco, in città: un reparto di terapia sub-intensiva non c’era, l’hanno creato. Nei giorni dell’emergenza ci sono finiti anche i dottori: metà di loro, a decine, sono malati, anche gravi, gli altri quattordici sono ancora in prima linea. «Come Dieci piccoli indiani», riassume la collega Elena Perlasca. Non hanno tempo per le polemiche. Segnalano una carenza che è comune, come dimostra il picco di contagi fra i medici di base, troppi «soldati» sono disarmati. «Facciamo il nostro mestiere in silenzio — racconta Vattimo —, ma visto il rischio biologico così importante, con tanti colleghi malati gravi o intubati, abbiamo bisogno di maschere, camici, visiere, scafandri. Inizialmente siamo andati al macello, non ci davano i dispositivi, ma la gente continuava ad arrivare». Senza un pronto soccorso, si trattava di smaltire i pazienti dell’ospedale Papa Giovanni e di quello di Seriate, per alleggerire la pressione. Lo specialista è corso ai ripari, procurandosi i presidi di protezione in Calabria, Molise e persino Canada. La riconversione bellica che ha riorganizzato i piani (al quinto 16 i ricoverati in terapia ventilatoria, con il «casco» c-pap, altri 26 sono in condizioni meno compromesse) ha mobilitato i medici: tutti internisti. Come altrove i turni sfumano, più di dodici ore. Ma oggi il personale è decimato dal virus. «Uno sfacelo — spiega Perlasca —. Citando le direttive regionali, ci dicevano che le mascherine non servivano: è stata una leggerezza. Credo sia stato sottovalutato il problema quando non s’è fatta la zona rossa ad Alzano e Nembro». Ieri, cercata, non è stato possibile contattare la direzione della clinica. La crociata non termina in corsia: si trema per la famiglia, tenuta a distanza in quei tre giorni di riposo lungo tre settimane d’inferno. «E se ci ammaliamo i pazienti chi li segue — si commuove la dottoressa —? Stanno malissimo, è scioccante anche per noi. Normalmente le polmoniti le curavamo: questa schifezza si sta portando via un numero di persone allucinante, soffocano mentre sono ancora lucide. È emotivamente massacrante: ti chiedi se magari fra qualche giorno in quel letto ci sarai tu, perché non hai le protezioni». Ma guai a chiamarli eroi. «Senza infermieri e operatori socio-sanitari non serviremmo a nulla».
Il lungo elenco dei medici caduti. Anelli: «Combattiamo a mani nude, non possiamo più permetterlo». Il Dubbio il 19 marzo 2020. L’appello del presidente della Fnomceo: «Il ministero ci aiuti a fermare queste morti». Roberto Stella, responsabile dell’Area Formazione della Federazione degli ordini dei medici, e presidente dell’ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Varese. E poi, ieri, Marcello Natali, segretario della Federazione italiana medici di medicina generale di Lodi, e Massimo Borghese, otorino di Napoli. Ieri, Ivano Vezzulli, medico di medicina generale nel lodigiano. Lunedì 16, Mario Giovita, medico di medicina generale della provincia di Bergamo. Prima di loro, Raffaele Giura, primario di pneumologia a Como. Carlo Zavaritt, ex assessore e medico bergamasco. Giuseppe Borghi, medico di medicina generale a Casalpusterlengo. Il 7 marzo, Chiara Filipponi, anestesista di Portogruaro, deceduta però a causa di una malattia allo stadio terminale. È il triste elenco dei medici caduti nel corso dell’epidemia di Covid-19. Un elenco, pubblicato sul portale della Fnomeco, che continua ad allungarsi, mentre aumenta il dato ufficiale degli operatori sanitari contagiati, diffuso ogni sera dall’Istituto superiore di Sanità (ieri ammontava a 2629), molti sono i medici che muoiono improvvisamente, anche se la causa della morte non è direttamente riconducibile al virus, perché il tampone non viene effettuato. Da ieri, i loro nomi sono riportati sul sito, che resterà listato a lutto in loro memoria, con aggiornamenti quotidiani, così come per i dati relativi ai contagi. «Un monito, una lezione per tutti», si legge in un comunicato. «I morti non fanno rumore, non fanno più rumore del crescere dell’erba, scriveva Ungaretti – commenta il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli -. Eppure, i nomi dei nostri amici, dei nostri colleghi, messi qui, nero su bianco, fanno un rumore assordante. Così come fa rumore il numero degli operatori sanitari contagiati: 2629, quasi trecento in più del giorno precedente. L’8,3% del totale dei colpiti, come fa rilevare la Fondazione Gimbe, mentre i professionisti sanitari costituiscono il 2,5% dei cittadini. Non possiamo più permettere che i nostri medici, i nostri operatori sanitari, siano mandati a combattere a mani nude contro il virus. È una lotta impari, che fa male a noi, fa male ai cittadini, fa male al paese». Sono diverse le iniziative avviate in queste ore per sensibilizzare l’opinione pubblica. La Fimmg nazionale ha lanciato, insieme con Cittadinanzattiva, il crowdfunding “Nudi contro il virus”: con donazioni a partire da un euro, si contribuiranno a comprare i dispositivi individuali di protezione, dei quali molti medici di medicina generale sono tuttora sprovvisti, e gli strumenti per i teleconsulti. Mentre Fimmg Lombardia, duramente colpita dal Covid-19, ha presentato una diffida contro le istituzioni, seguita ieri dall’Intersindacale dei Medici ospedalieri, che ha diffidato le Asl. E anche dagli Ordini territoriali monta la protesta. A Bergamo i medici di medicina generale ammalati o in quarantena sono 128, di cui solo 98 sostituiti e 24 coperti dalla continuità assistenziale. Situazioni drammatiche in tutta la Lombardia, in Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, mentre l’epidemia si sta estendendo al Centro-Sud. Anche là, trovando facile terreno tra i medici sguarniti delle adeguate protezioni. «I medici sono arrabbiati, esasperati da questo stillicidio di brutte notizie, spaventati dall’escalation di contagi che si sarebbero potuti prevenire ed evitare se solo le istituzioni ci avessero ascoltati sin da subito – continua -. È da febbraio che, come Fnomceo scriviamo lettere, lanciamo appelli, per chiedere che i medici siano messi in sicurezza, per loro ma anche per evitare che diventino veicolo di contagio verso i pazienti, verso i cittadini più fragili, resi deboli dalle malattie e dall’età avanzata. Ci sentiamo a questo punto dimenticati, poco considerati, come dimostra anche l’ultimo Decreto Legge, che prevede giusti sostegni per molte categorie ma nulla prevede per supportare e riconoscere l’impegno degli operatori sanitari». «Diamo atto che il ministro della Salute Roberto Speranza ci è sempre stato vicino, sin dall’inizio del suo mandato e in modo ancor più intenso durante questa epidemia – conclude Anelli -. Confidiamo quindi nel suo intervento, sicuri che non lascerà soli i suoi medici, i suoi professionisti, il capitale umano del suo e nostro Servizio sanitario nazionale. Chiediamo dunque il suo intervento per fermare queste morti, questi contagi inutili, perché prevedibili, e dannosi perché mettono a rischio l’intera comunità. Ci conforta il fatto che le nostre istanze siano tenute nella giusta considerazione, come dimostra, ad esempio, il parere di ieri sera del Comitato Tecnico-Scientifico di Protezione Civile e Ministero della Salute, che ha raccomandato, come da noi auspicato, l’esecuzione dei tamponi sui sanitari, quale strategia per contenere il più possibile la diffusione del virus».
Da portale.fnomceo.it il 18 marzo 2020. Roberto Stella, responsabile dell’Area Formazione della FNOMCeO, la Federazione degli Ordini dei Medici, e presidente dell’OMCeO di Varese. E poi, oggi, Marcello Natali, Segretario FIMMG di Lodi, e Massimo Borghese, otorino di Napoli. Ieri, Ivano Vezzulli, Medico di Medicina Generale nel lodigiano. Lunedì 16, Mario Giovita, medico di Medicina Generale della provincia di Bergamo. Prima di loro, Raffaele Giura, primario di pneumologia a Como. Carlo Zavaritt, ex assessore e medico bergamasco. Giuseppe Borghi, medico di Medicina Generale a Casalpusterlengo. Il 7 marzo, Chiara Filipponi, anestesista di Portogruaro, deceduta però a causa di una malattia allo stadio terminale. Si allunga purtroppo il triste elenco dei Medici caduti nel corso dell’epidemia di Covid-19. E mentre aumenta il dato ufficiale degli operatori sanitari contagiati, diffuso ogni sera dall’Istituto superiore di Sanità (ieri ammontava a 2629), molti sono i medici che muoiono improvvisamente, anche se la causa della morte non è direttamente riconducibile al virus, perché il tampone non viene effettuato. Da oggi, i loro nomi sono riportati sul Portale FNOMCeO, che resterà listato a lutto in loro memoria, in un triste elenco che verrà via via aggiornato, insieme ai dati sui contagi. Un monito, una lezione per tutti. “I morti non fanno rumore, non fanno più rumore del crescere dell’erba, scriveva Ungaretti – commenta il presidente della FNOMCeO, Filippo Anelli -. Eppure, i nomi dei nostri amici, dei nostri colleghi, messi qui, nero su bianco, fanno un rumore assordante. Così come fa rumore il numero degli operatori sanitari contagiati: 2629, quasi trecento in più del giorno precedente. L’8,3% del totale dei colpiti, come fa rilevare la Fondazione Gimbe, mentre i professionisti sanitari costituiscono il 2,5% dei cittadini. Non possiamo più permettere che i nostri medici, i nostri operatori sanitari, siano mandati a combattere a mani nude contro il virus. È una lotta impari, che fa male a noi, fa male ai cittadini, fa male al paese”. E molte sono le iniziative messe in campo in queste ore per sensibilizzare l’opinione pubblica. La FIMMG nazionale ha lanciato, insieme con Cittadinanzattiva, il crowdfunding “Nudi contro il virus”: con donazioni a partire da un euro, si contribuiranno a comprare i dispositivi individuali di protezione, dei quali molti medici di medicina generale sono tuttora sprovvisti, e gli strumenti per i teleconsulti. Mentre FIMMG Lombardia, duramente colpita dal Covid-19, ha presentato una diffida contro le istituzioni, seguita oggi dall’Intersindacale dei Medici ospedalieri, che ha diffidato le Asl. E anche dagli Ordini territoriali monta la protesta. A Bergamo i medici di medicina generale ammalati o in quarantena sono oggi 128, di cui solo 98 sostituiti e 24 coperti dalla continuità assistenziale. Situazioni drammatiche in tutta la Lombardia, in Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, mentre l’epidemia si sta estendendo al Centro-Sud. Anche là, trovando facile terreno tra i medici sguarniti delle adeguate protezioni. “I medici sono arrabbiati, esasperati da questo stillicidio di brutte notizie, spaventati dall’escalation di contagi che si sarebbero potuti prevenire ed evitare se solo le istituzioni ci avessero ascoltati sin da subito – continua -. È da febbraio che, come FNOMCeO, scriviamo lettere, lanciamo appelli, per chiedere che i medici siano messi in sicurezza, per loro ma anche per evitare che diventino veicolo di contagio verso i pazienti, verso i cittadini più fragili, resi deboli dalle malattie e dall’età avanzata. Ci sentiamo a questo punto dimenticati, poco considerati, come dimostra anche l’ultimo Decreto Legge, che prevede giusti sostegni per molte categorie ma nulla prevede per supportare e riconoscere l’impegno degli operatori sanitari”. “Diamo atto che il Ministro della Salute Roberto Speranza ci è sempre stato vicino, sin dall’inizio del suo mandato e in modo ancor più intenso durante questa epidemia – conclude Anelli -. Confidiamo quindi nel suo intervento, sicuri che non lascerà soli i suoi medici, i suoi professionisti, il capitale umano del suo e nostro Servizio sanitario nazionale. Chiediamo dunque il suo intervento per fermare queste morti, questi contagi inutili, perché prevedibili, e dannosi perché mettono a rischio l’intera comunità. Ci conforta il fatto che le nostre istanze siano tenute nella giusta considerazione, come dimostra, ad esempio, il parere di ieri sera del Comitato Tecnico-Scientifico di Protezione Civile e Ministero della Salute, che ha raccomandato, come da noi auspicato, l’esecuzione dei tamponi sui sanitari, quale strategia per contenere il più possibile la diffusione del virus”.
Riccardo Staglianò il 18 marzo 2020. C'è una domanda prosaica, tra le tante inesaudite di questi tempi terribili, che mi assilla dall'inizio: ma le mascherine servono o no? La versione ufficiale è: sì solo per chi è malato, per non infettare gli altri. Ancora ieri sera, in quella che inevitabilmente comincia a sembrare la millesima replica della stessa trasmissione, l'ho sentito dire dal consulente del governo Walter Ricciardi in televisione: «Assolutamente inutili per i sani». D'altronde è la linea ufficiale dell'Organizzazione mondiale della sanità per cui lavora: «Se sei sano hai bisogno di indossarla solo se ti prendi cura di qualcuno con sospetta infezione da Covid19». E io, a differenza dei teorici della cospirazione di ogni ordine e grado, dell'Oms mi fido. Così, quando mia madre mi ha chiesto di cercare su Amazon una mascherina, costasse quel che costasse, le ho spiegato che no, chi ne sapeva assicurava che non serviva, e quindi non l'abbiamo comprata. Però più passano i giorni più il dubbio si aggrava: lo dicono per preservare le scarse mascherine per medici e infermieri che ne hanno un bisogno vitale o lo dicono perché davvero credono che siano «assolutamente inutili» per tutti altri? Quotidianamente indizi nuovi e banali riacutizzano questa ferita. Il vigile di Roma positivo al virus che confessa di aver mentito allo Spallanzani: «Ho detto loro che avevamo le mascherine per non fare figuracce, ma invece le avevamo finite». Ma i vigili non sono medici, per loro le mascherine non dovrebbero essere inutili? E le cassiere del supermercato, allora? E Mattia Feltri che, nella sua sempre preziosa rubrica, raccontava di essere in fila proprio in un supermercato con la sua bella mascherina? E via elencando. Esagerano loro o è sfuggito qualcosa a me? Per non dire che ora apprendiamo che a Vo' Euganeo tra la metà e i tre quarti dei malati erano asintomatici: se avessero portato la mascherina avrebbero evitato di contagiarsi a vicenda. E nessuno, senza aver fatto il tampone, può essere sicuro di non essere infetto. Poi, ieri, è uscito sul New York Times un editoriale a firma Zeynep Tufekci, una sociologa che vale sempre la pena leggere. Il titolo era: «Perché dire alla gente che non ha bisogno delle mascherine ha avuto un effetto controproducente». Frasi topiche: «Com'è che questa maschere magicamente proteggono chi le indossa solo se questi lavora in un determinato settore?»; «Molte persone si lavano le mani in maniera sbagliata, ma non rispondiamo loro dicendo di lasciar perdere» (a proposito del fatto che maneggiare male le mascherine potrebbe addirittura facilitare il contagio); «Tuttavia anche le mascherine chirurgiche proteggono un po' di più di non indossarne affatto» (rispetto alla pretesa che solo quelle Ffp2 e Ffp3 funzionerebbero). Porca miseria, allora non ero l'unico, pur senza cappellino di stagnola in testa, a pensare che c'era qualcosa che non convinceva in questa comunicazione istituzionale, senz'altro ispirata dalle migliori intenzioni di sanità pubblica. Mi sembra che, rispetto alla risposta semplice «non ne avete bisogno» sarebbe stato meglio darne una articolata ma forse più veritiera. Tipo: se ce ne fossero per tutti male non farebbero, però è meglio lasciarle a medici e infermieri che ne han più bisogno. Dire «perché no», anche con i bambini, decapita dibattiti spesso sfinenti, ma non è mai l'opzione pedagogica migliore. Forse ci meritavamo di meglio. Però sarei contento di sbagliarmi adesso ed esser stato nel giusto prima, quando acrobaticamente facevo del mio meglio per smontare le obiezioni ansiose di familiari vari. Guardiamoci negli occhi, professor Ricciardi: se la sente davvero, una volta per tutte, di assicurarci che tra una mascherina qualsiasi e nessuna mascherina protegge di più la seconda?
Da ifarma.net il 18 marzo 2020. Le aziende rappresentate dalle due sigle nazionali hanno tempestivamente adottato tutte le misure idonee a contrastare la diffusione del Coronavirus, ma dopo più di tre settimane di impegno indefesso, l’attuale difficoltà di reperimento delle mascherine e di ogni altro dispositivo di protezione e contenimento del contagio sta stressando fortemente la capacità del comparto distributivo di svolgere in sicurezza il proprio servizio pubblico. È dal 23 febbraio u.s. che le associate di ADF e Federfarma Servizi continuano a consegnare senza sosta farmaci, dispositivi medici e ogni prodotto necessario a farmacie, parafarmacie e strutture sanitarie per fronteggiare il drammatico momento che sta attraversando il nostro Paese. Una continuità di servizio pubblico che mai come ora ha evidenziato la sua natura essenziale, supportando quotidianamente i farmacisti nell’assistenza sanitaria alla popolazione tutta e garantendo che ciò avvenga all’interno di una filiera certificata a tutela della salute pubblica. A questo punto dell’emergenza è però indispensabile che venga assicurata la fornitura di mascherine e prodotti collegati alla sicurezza di chi ogni giorno lavora nelle aziende di distribuzione per rispondere alle richieste dei farmacisti, di chi ogni giorno allestisce nei magazzini le consegne per le farmacie, di chi ogni giorno guida mezzi per raggiungere le farmacie in ogni parte della nostra Nazione e assicurarsi che il farmacista possa ricevere tutto quanto necessario per rispondere alle incrementate esigenze della nostra collettività sociale. Se non verrà garantita la fornitura del materiale essenziale per la sicurezza del proprio personale c’è il rischio che i distributori non possano più svolgere regolarmente il servizio pubblico cui sono chiamati. Non potendo più essere garantiti i contatti con i farmacisti, verrebbe messa a rischio la possibilità di effettuare le consegne in farmacia e la capacità da parte di quest’ultima di svolgere il suo fondamentale ruolo di presidio sanitario sul territorio, indispensabile in questo momento più che mai per il Sistema Sanitario Nazionale e per la popolazione in difficoltà, che individua nella rete delle farmacie il primo front –office sul territorio in materia sanitaria. ADF e Federfarma Servizi chiedono di assicurare al comparto della distribuzione intermedia quanto necessario per poter continuare a fare quello che da sempre, e negli ultimi 24 giorni a maggior ragione, hanno il compito di fare: distribuire salute in tutto il nostro Paese, contribuendo anche loro come medici, infermieri e operatori sanitari a fare in modo che andrà tutto bene, davvero.
Dagospia il 18 marzo 2020. Intervento di Massimo Cacciari a “Cartabianca” del 17 marzo 2020. Non è che il nostro Paese, in modo indolore taglia in 10 anni 37 miliardi della sanità e 800 reparti. Non è indolore che ci sia una programmazione della formazione medica per cui in alcune università bisogna lottare per avere più posti per Medicina. L’assenza di “politica preventiva”, a un certo momento, si può dolorosamente scontare. Ne usciremo solo se nulla più sarà come prima. Basta politiche arruffate senza affrontare i nodi del sistema sanitario. Solo un dato: abbiamo 5 mila posti per la terapia intensiva, tre-quattro volte meno quelli che ci sono in Francia o Germania. Tutte le epidemie prima o poi finiscono. Ma se durerà a lungo dovremo risollevarci da una batosta economica senza precedenti. Per fortuna che tutta l’Europa è in una situazione difficile. Quel che mi preoccupa di più sono le conseguenze economiche. Si tratta, ad esempio, di fronteggiare almeno un anno senza un euro dal turismo. L’aumento dell’indebitamento sarà impressionante. Ora è più necessaria che mai la coesione europea ma poi i debiti saranno solo degli italiani. E poi il consumo delle famiglie è bloccato: io questo mese ho speso 200 euro! Anche i decreti del governo…quelli interessano solo certi settori, soprattutto le piccole imprese. Ma le medie imprese, quelle con 100-200-300 dipendenti che oggi continuano a pagare stipendi e contributi, se questa situazione continuerà per qualche mese, saranno costrette a portare i libri in tribunale. Bisognerà pensare anche al dopo-epidemia perché il Paese era già debolissimo, in piena crisi di sistema. Noi non siamo la Francia, la Germania o la Cina, che può ripartire già domani, visto che ha avanzo di bilancia commerciale che le permette di investire triliardi di dollari dal giorno alla notte. Gli unici che sono liquidi sono loro, i cinesi. Ma anche loro se non hanno mercato a chi vendono? Il loro interessi è che l’Europa torni a essere un mercato. Forse riusciremo a risollevarci solo grazie a loro. I numeri del contagio? Gli scienziati lo hanno detto fin dall’inizio. Il problema è che i paesi europei sono arrivati impreparati ad affrontare un’emergenza di questo tipo. Da anni L’OMS, dopo SARS e Ebola, va ripetendo: badate che non c’è nessun controllo nello scambio tra fauna vivente e uomo. Soprattutto in alcuni grandi paesi del pianeta come la Cina. L’Organizzazione mondiale della sanità ci aveva avvertito: dilaga il commercio illegale di cibo, di animali, state attenti che può partire un’epidemia gravissima. Non s’è fatto nulla. E’ la dimostrazione che manca un governo della globalizzazione. Abbiamo tutto globalizzato: migrazioni, merci, gente, finanza, economia, tutto…ma non c’è nessun governo di questa cosa qui. E dobbiamo prepararci a crisi continue: una volta l’emigrazione, poi l’epidemia oppure la finanza. Sarà continuamente così. Dovrebbe cambiare tutto ma io credo che non cambierà niente. Come si può pensare di tornare a vivere normalmente? E non mi riferisco all’abbracciarci o al darci i bacetti ma alle questioni economiche: ci saranno ulteriori decine di migliaia di persone a casa, sarà ancora più difficile trovare lavoro, i giovani saranno ancora più in difficoltà. Dopo l’epidemia, i disastri saranno economici. E mi auguro che per affrontare tutto questo ci siano idee forti. Bisogna finalmente mettere mano alle riforme di sistema, istituzionali, amministrative, sburocratizzare tutto, de-ministerializzare tutto. I discorsi che si fanno da anni, si devono realizzare subito. Per questo dico che nulla deve essere come prima. Perché se tutto è come prima, è una tragedia. Se tutto cambia, allora ce la possiamo fare. Tutti insieme con l’Europa, ovviamente. Le dichiarazioni di Christine Lagarde? Se sull’Unione europea stiamo a quello che abbiamo visto in questi mesi, o anni, chiudiamola lì: l’Europa è stata un bel sogno, una bella utopia e mettiamola da parte. Fine dei giochi. Ma con questo cosa abbiamo risolto? Andiamo a sancire la nostra catastrofe: l’Italia senza sponde europee è finita. Sono cose che la gente deve sapere. Che poi erano cose già note. Nessuno ci ha obbligato a tagliere la sanità, a fare demagogia, a dire puttanate dalla mattina alla sera. Sono errori, non è il destino cinico e baro. Errori commessi sia a livello italiano che europeo. Tutti i leader hanno trattato il Parlamento come un impedimento. Che poi l’insofferenza verso l’istituto parlamentare viene da lontano. E oggi, che dobbiamo seguire le indicazioni degli scienziati, obiettivamente il Parlamento è impotente. La politica cosa sta facendo? Sta seguendo malamente quello che dicono le autorità sanitarie, la protezione civile, i medici. Però la conseguenza, agli occhi dell’opinione pubblica, è che il Parlamento sarà ancora più insignificante…La ricostruzione? Me l’immagino come la immagino da 30 anni. L’Italia ha bisogno di riforme strutturali a livello istituzionale, non può andare avanti così. Deve stabilire le sue priorità che sono la formazione, la ricerca, i servizi essenziali, la scuola, la sanità. Deve concentrare lì le risorse e le può ottenere se semplifica, de-legifera e sburocratizza radicalmente. Serve un’ottica di impresa in tutti i settori. È necessario fare tutto quello che non s’è fatto in 30 anni. Bisogna responsabilizzare le regioni e avere una nuova classe dirigente, non solo in politica. Per esempio, dov’è il capitalismo italiano? Serve un rinnovamento in tutti i settori. E qui ci metto anche lei, signora Berlinguer o il mio amico Paolo Mieli. Se il paese è andato in pasto ai populismi, è perché ci sono stati giornali e giornalisti che hanno combattuto la “casta”. Contro i partiti e a favore di movimenti e leader. O che erano dell’idea che la politica la dovessero fare quelli che non avevano mai fatto politica. Ci siamo dentro tutti: è bene che si vada a casa tutti.
Con la laurea di medicina abilitante in arrivo diecimila nuovi medici. Giulia Merlo su Il Dubbio il 18 marzo 2020.
La norma che abolisce l’esame di Stato è stata ispirata dall’iniziativa di un giovane studente di medicina. La norma che elimina l’esame di stato e rende la laurea in medicina abilitante allo svolgimento della professione medica è stata inserita nel decreto “Cura Italia”, ma nasce da lontano, in un periodo in cui il coronavirus ancora non era emergenza. La previsione che immetterà nel sistema sanitario nazionale in via automatica i diecimila iscritti a sostenere l’esame di stato nella prossima sessione, infatti, nasce da una interpellanza urgente proposta dalla deputata del Partito Autonomista trentino, Emanuela Rossini. La quale, a sua volta, ha raccolto la segnalazione di Alessandro Giovannini, uno studente del suo territorio di riferimento che sta completando gli studi in medicina a Verona. Nell’interpellanza urgente, in cui Rossini chiedeva al ministro dell’Università Gaetano Manfredi di “di superare il problema degli esami di stato di medicina e avviare la riforma della laurea in Medicina abilitante”, la parlamentare ha confermato di aver raccolto e dato voce alla proposta che lo studente le aveva avanzato nei mesi precedenti. “Alessandro mi ha chiesto di battermi per la laurea in medicina abilitante e dalla mia interrogazione al via libera nel decreto sono passate due settimane”, ha spiegato al quotidiano il Trentino, “Saranno i giovani a farci uscire da questa crisi”. “Mai avrei pensato che anche la mia piccola segnalazione alla parlamentare trentina di riferimento per la mia area politica potesse contribuire ad un traguardo così importante”, ha commentato Giovannini. Complice l’emergenza sanitaria e i turni stremanti a cui è sottoposto il personale medico, soprattutto nelle aree più colpite dal coronavirus, l’interpellanza si è subito trasformata in norma nel decreto.
Non si tornerà indietro. Il ministro dell’Università Manfredi ha confermato che questa è si una misura assunta in periodo di emergenza, ma che non si tornerà indietro. “Con questo decreto abbiamo accorciato di nove mesi l’ingresso nel mondo del lavoro dei laureati in Medicina. Non si tornerà indietro, il bisogno di medici negli ultimi anni è diventato un’urgenza e l’emergenza epidemiologica ci ha fatto accorciare i tempi nello scegliere la soluzione giusta”.
Mario Ajello per “il Messaggero” il 18 marzo 2020. In uno dei suoi libri migliori, Leo Longanesi si chiedeva: «Sapranno le vecchie zie salvarci dall'invasione cosacca?». Ora c'è da domandarsi, invece, se i giovani salveranno l'Italia dal virus, dandole la forza per ricominciare. I diecimila medici neolaureati che arrivano in prima linea sul fronte della guerra al contagio possono somigliare, sia pure in camice bianco e non in camicia rossa da garibaldini, a quei Mille per lo più ragazzi di 159 anni fa. Ragazzi dell'Ottocento che in una fase cruciale della storia diedero il meglio di sé. E incarnano una speranza italiana, in un momento difficile, questi giovani nati nel 1993, nel 94, nel 95, mandati sul fronte. Che non sarà, per fortuna, quello dei cruenti combattimenti del Risorgimento o quello della prima guerra mondiale e neppure quello della seconda, ma la prova a cui sono chiamati - altro che bamboccioni, altro che sdraiati per usare l'aggettivo salottiero che la retorica sinistrese affibbia ai ragazzi d'oggi solo perché non sono pseudorivoluzionari come molti di quelli di ieri - rappresenta un brusco impatto con la realtà che nessuno di loro e di noi avrebbe mai immaginato. Del resto però, da quando è cominciata l'emergenza Coronavirus, e soprattutto mentre è andata crescendo, la consapevolezza della grande sfida a cui è stata chiamata l'Italia si è diffusa in maniera impressionante e sorprendente nelle nuove generazioni o almeno nella parte più avvertita di esse. E se un tempo la cosiddetta meglio gioventù, quella che nell'alluvione di Firenze del 66 preparò il 68, aveva una cultura di rottura che sarebbe naufragata nell'ideologia, i nuovi mille che sono diecimila e dietro di loro e come loro ce ne sono tantissimi altri pur senza fresca laurea in medicina incarnano invece un grosso frammento d'Italia cresciuto nella cultura del pragmatismo, del merito e dell'impegno individuale che chiamato dalle urgenze della storia sta diventando impegno collettivo. Verrebbe da fare l'elogio dei giovani in questa emergenza. Non si stanno per lo più comportando da irresponsabili, anzi sembrano sentire il peso del momento. Lottano per i nonni, rispettando le regole che l'Italia si e imposta. Sono stati costretti a tornare dai loro Erasmus o dalle loro facoltà universitarie, per rinchiudersi in casa con i genitori e sono diventati l'esempio che in fondo la famiglia italiana - altro che familismo amorale! - sembra funzionare perché la catena nonni-padri-madri-figli sta garantendo quell'Italia in quarantena fiduciosa che poi Andrà tutto bene. Uno slogan, questo, che proprio alla fantasia dei ragazzi si deve. Ed è diventato - da quanto i giovani non imponevano le loro parole nel Paese abituato a negargli voce e futuro? - virale contro il virus. Se i diecimila andranno nelle corsie, molti altri stanno combattendo l'epidemia con le armi della mobilitazione civile - le iniziative social per tenere su il morale a loro si devono - e spesso diventano educatori dei loro genitori: «No, papà, non si può uscire per una passeggiata e l'aperitivo con gli amici te l'organizzo io su HouseParty». Più che sentirsi in pericolo direttamente, lottano per la tutela della salute dei nonni e delle vecchie zie. E questo è un modo non retorico (difficilmente si commuovono per la mobilitazione tricolore della politica in queste ore) di comportarsi da patrioti. Per libera scelta e per un moto dell'anima. Oltretutto, la crisi anche economica connessa all'emergenza sanitaria non potrà che colpire anzitutto i soggetti più deboli e tra i più deboli nella nostra società ci sono i giovani. Magari proprio questa consapevolezza li spinge a dare il massimo per battere il morbo il più presto possibile, e poi sperare in un futuro meno nemico. Si e sempre detto che le guerre forgiano le generazioni, e piace appunto pensare che anche questa volta, pur trattandosi di un'epidemia ma che è sempre un'inutile strage, sia così. Nella Grande Guerra l'immissione nel sistema di giovani medici appena laureati rappresentò una mossa importante, fu un segnale di sforzo unitario a confronto di un mondo accademico arroccato su posizioni di conservatorismo baronale. Così, con le ovvie e dovute differenze, può essere anche oggi. E siccome Totò, che aveva sempre ragione, diceva che «morto un microbo se ne fa un altro», i nuovi Mille cioè 10mila in camice bianco saranno utili anche in futuro. Nella speranza che il peggio non si ripeta più.
Monica Serra per “la Stampa” il 18 marzo 2020. «Per combattere la battaglia al Covid19 occorrono figure altamente specializzate, anestesisti-rianimatori, infettivologi che non possono essere sostituiti da medici alle prime armi». A parlare è il presidente della Federazione nazionale dell' Ordine dei medici, Filippo Anelli, ma il pensiero è condiviso da tutti, sindacati compresi. C' è grande confusione in attesa della pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto legge "Cura Italia". Il testo prevede una misura auspicata da tutti: l' eliminazione dell' esame di abilitazione che permetteva ai medici l' esercizio della professione. In pratica, dopo l' entrata in vigore del decreto, la laurea magistrale a ciclo unico di sei anni in medicina e chirurgia diventerà auto-abilitante. «Per permettere - ha spiegato il ministro dell' Università e della ricerca Gaetano Manfredi - a 10 mila neolaureati di essere impiegati subito nei servizi territoriali, nelle case di riposo, per sostituire o affiancare i medici generali». Ma dalla bozza è scomparsa la previsione di 125 milioni di euro per finanziare 5 mila borse di studio in più per gli specializzandi. «Chiediamo al Governo un ulteriore impegno, quello di prevedere subito 10 mila borse, in modo da far entrare nelle specializzazioni e al corso di Medicina generale tutti i neolaureati e i medici già presenti nell' imbuto formativo - afferma il presidente Anelli -. Si eviterebbe così un gap nella formazione di un' intera leva di medici, che non solo inficerebbe la corretta gestione dell' epidemia, ma che, finita l' emergenza, si ripercuoterebbe in un gap di qualità di tutto il Sistema sanitario nazionale».
Le accuse. La battaglia vede in prima linea anche i sindacati. «Non si può accettare che medici neoabilitati e non formati vengano messi a combattere contro un "gigante"», dichiara Federico Lavagno, coordinatore del dipartimento post laurea del Segretariato giovani medici. «Va bene che in questa situazione di emergenza diano un contributo in supporto a guardie mediche e medici generali, ma la soluzione è formare medici specializzati, non mandare allo sbaraglio medici non formati e impedire loro di diventare specialisti». Tra l' altro, aggiungono dal sindacato Anaao Assomed: «Spiace rivelare al ministro Manfredi che con questo decreto non è stato accorciato di otto, nove mesi l' ingresso nel mondo del lavoro dei laureati in medicina. È stato, invece, allargato quell' imbuto formativo che già oggi tiene imprigionate speranze e aspettative di 8 mila giovani medici, cui di fatto è impedita la possibilità di completare il percorso formativo».
Il futuro. In pratica, la soluzione pensata dal Governo servirebbe a tamponare per il momento la situazione di emergenza, ma non risolverebbe il problema strutturale del Sistema sanitario nazionale. «Se non si stanziano i soldi per aumentare il numero delle borse di studio, finita l' emergenza saremo punto e a capo. La qualità del sistema sanitario si basa sulla formazione», aggiunge Filippo Anelli. «Gli effetti del definanziamento del sistema sanitario sono sotto ai nostri occhi, anche in una regione di eccellenza come la Lombardia - spiega Roberto Carlo Rossi, presidente dell' Ordine lombardo dei medici -. È ovvio che è necessario popolare le strutture che si stanno aprendo, ma è fondamentale guardare al domani con un piano di pronto in caso di nuove emergenze».
· Il Reato di Passeggiata.
“Le passeggiate non sono reati, contrastiamo invece la criminalità”. Il Dubbio il 22 aprile 2020. La lettera aperta di nove magistrati della Valle d’Aosta. Una lettera aperta alla cittadinanza valdostana, in cui dicono che le passeggiate non sono illeciti e che “il denaro pubblico più utile se speso per contrastare la microcomunità che per i controlli”. A scriverla sono nove magistrati di Aosta, che però intervengono in qualità di cittadini. Eugenio Gramola, presidente del tribunale, i giudici Anna Bonfilio, Maurizio D’Abrusco, Luca Fadda, Davide Paladino, Marco Tornatore, Stefania Cugge (giudice a Ivrea) e i pm Luca Ceccanti ed Eugenia Menichetti scrivono che “Con estremo sconforto – soprattutto morale – abbiamo assistito – ed ancora assistiamo – ad ampi dispiegamenti di mezzi per perseguire illeciti che non esistono, poiché è manifestamente insussistente qualsiasi offesa all’interesse giuridico (e sociale) protetto”. “In un territorio qual è quello valdostano, ma anche altrove, in zone di campagna o collinari su tutto il territorio italiano, ove molti comuni hanno una densità di popolazione assai limitata a fronte di un territorio in gran parte esteso in zona rurale, che pericolosità rivestono le condotte di chi, per sopravvivere alla situazione pesante in cui tutti viviamo, avendo la fortuna di abitare in comune montano – o comunque in zone isolate – (con gli inconvenienti ben noti in condizioni normali, soprattutto in stagione invernale, per spostamenti anche ordinari) faccia una passeggiata nei boschi osando allontanarsi anche per qualche chilometro dalla propria abitazione, laddove superate le ‘quattro case’ del paese – proprio nel raggio delle poche centinaia di metri di spostamento consentito od almeno tollerato – si spinga fino alle zone solitarie di montagna dove – se ha fortuna – potrà incontrare forse qualche marmotta, o capriolo o volpe, transitando al più in prossimità di qualche alpeggio, al momento anche chiuso”. Quindi “fermo restando che è compito delle Forze di Polizia, e prima ancora dell’autorità politica che ne dirige l’operare, decidere come e dove concentrare i controlli sull’osservanza delle disposizioni emanate dal Governo, è difficile non chiedersi se davvero non si sappia immaginare un modo più utile per spendere il danaro pubblico, in settori ove ce n’è ben più bisogno per le tante necessità urgenti delle strutture sanitarie o per più seri interventi di prevenzione e protezione degli anziani in strutture di accoglienza”. “Tutto ciò avviene con sacrificio estremo, manifestamente non necessario, di diritti fondamentali di libertà personale e di circolazione dei cittadini di cui alla parte I della Costituzione, che meriterebbe rinnovata lettura ed attenta meditazione. Non dimentichiamo che le norme che vengano ad incidere e sacrificare diritti costituzionalmente garantiti, anche a tutela di altri diritti di pari rango che vengano a confliggervi, sono comunque sempre soggette a stretta interpretazione e perdono ogni legittimazione laddove le condotte sanzionate siano prive di lesività per il bene preminente salvaguardato”. Nell’ambito dell’emergenza da coronavirus, in Valle d’Aosta è prevista “in senso ulteriormente restrittivo” rispetto alla normativa nazionale (per via di una ordinanza regionale) la possibilità di svolgere attività motoria e di uscire con l’animale da compagnia “solo in prossimità della propria abitazione”, ricordano giudici e pm. Nella lettera aperta fanno riferimento in particolare alla “Circolare del Ministero dell’Interno 31.03.2020”, in cui si ricorda che “la finalità dei divieti” risiede “nell’esigenza di prevenire e ridurre la propagazione del contagio” e che “il perseguimento della predetta esigenza implichi valutazioni ponderate rispetto alla specificità delle situazioni concrete”. Inoltre “non sarebbe forse “strategicamente” più utile limitare l’applicazione dei provvedimenti in vigore nell’ambito effettivamente necessario per il perseguimento dei fini loro propri di contenimento dei rischi reali – e non immaginari – di diffusione dell’epidemia in atto, salvaguardando il più possibile le libertà fondamentali dei cittadini? Ciò perché i cittadini stessi, ben consapevoli e largamente convinti della necessità di un regime comunque restrittivo, poiché coscienti – per la maggior parte almeno – dei rischi conseguenti al mancato contenimento della diffusione epidemiologica in atto, sarebbero così assai più motivati e spontaneamente disposti al pieno rispetto della normativa vigente, ragionevole ed equilibrata, e non si sentirebbero invece costretti a cercare i più umilianti sotterfugi per sottrarsi a solerti controlli che finiscono per essere percepiti come gratuite persecuzioni di nessuna utilità per l’effettiva tutela del bene della salute pubblica”. Infine “se superassimo il pericolo da coronavirus lasciando sul tappeto libertà fondamentali e diritti primari di libertà che oggi vengono seriamente posti a rischio da condotte repressive non adeguate rispetto ai fini perseguiti, che risultato avremmo conseguito?”.
Restrizioni sugli spostamenti, sanzionate 5 mila persone in un giorno. Il Dubbio il 29 marzo 2020. Dati Viminale: 203.011 persone controllate ieri dalle forze dell’ordine nell’ambito dei servizi per verificare il rispetto delle misure previste. Sono 203.011 le persone controllate ieri dalle forze dell’ordine nell’ambito dei servizi per verificare il rispetto delle misure previste per contenere il contagio da coronavirus. A fornire i dati è il ministero dell’Interno. Nel dettaglio: 4942 persone sono state sanzionate, 142 denunciate per false dichiarazioni e 49 sono quelle positive al coronavirus denunciate per non avere rispettato la quarantena. Gli esercizi commerciali sottoposti a controlli sono 84.941, 151 titolari di sono stati sanzionati, 12 attività sono state chiuse, mentre per 10 è stata disposta la chiusura provvisoria. Dall’11 al 28 marzo, fanno sapere dal ministero dell’Interno, sono state complessivamente controllate dalle forze dell’ordine 3.069.879 persone e 1.419.869 esercizi commerciali. I numeri relativi ai controlli per verificare il rispetto delle misure previste per il contenimento del contagio da coronavirus sono forniti dal Viminale, nell’aggiornamento quotidiano dei dati.
Coronavirus, a Ladispoli con il cane: “Accerchiato da 13 poliziotti”. Le Iene News il 23 marzo 2020. Da qualche ora non è possibile lasciare neppure il comune in cui ci si trova per evitare i contagi da coronavirus. È possibile muoversi solo “per comprovate esigenze lavorative o per motivi di salute”. A Ladispoli un uomo è stato accerchiato da 13 poliziotti per un controllo, il video è diventato virale. “Per portare il cane sul lungomare sono stato accerchiato da 13 poliziotti”. A dirlo è un cittadino di Ladispoli e il video in cui si vede circondato dai militari è diventato virale. Qui sopra potete vedere il filmato pubblicato da TerzoBinario.it News. Lui è una delle migliaia di persone controllate nelle ultime ore in tutta Italia, dopo che il governo ha dato un nuovo giro di vite per contenere i contagi da coronavirus. Da domenica pomeriggio non è neppure possibile lasciare il comune in cui ci si trova se non “per comprovate esigenze lavorative di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute”. In tutto il Paese sono vietate attività all’aperto che possano creare assembramenti, ma è possibile portare fuori il cane per i bisogni restando nei pressi della propria abitazione. In base a quello che possiamo vedere dal video registrato che testimonia solo una parte della discussione si vedono almeno gli agenti della Guardia di finanza e Polizia attorno a un uomo. “Ho mascherina e tutto per portare il cane a pisciare, vi sto chiedendo di portarmi a casa per lasciare questa creatura (il cane ndr)”, urla il proprietario dell’animale. “Io non lo lascio legato lì al paletto manco fosse una bicicletta”. A questo punto l’uomo parla guardando i residenti del lungomare di Ladispoli: “Gli ho chiesto di poterlo riportare a casa e lui ha estratto il manganello”, dice indicando un agente. Una versione che verrebbe confermata anche da chi sta registrando tutto con il telefono: “È vero, ha tirato fuori il manganello”. A questa si aggiunge un’altra voce: “Per un virus stiamo sotto dittatura, ma neanche fossi un delinquente. Dovrete arrestare tutti quelli che hanno i cani perché li portiamo a spasso”, urla una donna. “Non ho fatto rapine, non ho spacciato, non ho fatto un cazzo”, continua a urlare il proprietario del cane. “In 13 mi stanno accompagnando a casa, neanche fossi un criminale!”. Il video finisce sui social, in poco diventa virale con migliaia di visualizzazioni e commenti. Qualche ora dopo sempre tramite il portale TerzoBinario.it News è lo stesso proprietario del cane che prova a spiegare che cosa sia accaduto. “Non sapevo che il sindaco avesse vietato di andare in spiaggia, un giorno dicono una cosa e il giorno dopo la cambiano e questo genera confusione”, dice. “La mia reazione è stata causata dalla richiesta di legare il cane a un palo come se fosse una bicicletta, per poi prendere le mie generalità a casa. Mi sono opposto perché il mio cane non è una bici. Mi hanno scortato fin sotto casa, ho lasciato il cane in sicurezza facendomi identificare e multare senza alcun problema, tutto qui”. Ma secondo altri testimoni che hanno assistito alla scena, all'arrivo della Finanza lui sarebbe stato in spiaggia e appena ha notato le pattuglie si sarebbe messo a correre come a scappare.
Ok all’uso dei droni per controllare gli spostamenti dei cittadini. Il Dubbio il 23 marzo 2020. Fino al 3 aprile la polizia locale potrà condurre i controlli “con sistemi aeromobili a pilotaggio remoto con mezzi aerei di massa operativa al decollo inferiore a 25 kg”. Via libera all’uso dei droni per monitorare lo spostamento dei cittadini. Lo ha stabilito un’ordinanza emessa dall’Enac, l’ente di controllo del volo, che indica sia i dispositivi che possono essere utilizzati sia le modalità “per il contenimento dell’emergenza epidemiologica coronavirus”. Fino al 3 aprile, dunque, la polizia locale potrà condurre i controlli, come previsto dai dpcm dell’8 e 9 marzo, “con sistemi aeromobili a pilotaggio remoto con mezzi aerei di massa operativa al decollo inferiore a 25 kg”. Nella nota dell’Enac si sottolinea che si potranno effettuare i controlli “anche su aree urbane dove vi è scarsa popolazione esposta al rischio di impatto” e dove “non sarà altresì necessario il rilascio di autorizzazione da parte di questo Ente e non sarà richiesto la rispondenza delle operazioni agli scenari standard”. Per questo, fino al 3 aprile, si autorizzano tutti gli Enti di Stato del Codice della Navigazione e delle Polizie locali dei Comuni italiani “ad operare con propri ‘aerei a pilotaggio remoto’ se impiegati nell’ambito delle condizioni emergenziali dovute all’epidemia COVID-19, nelle aree prospicienti di tutti gli aeroporti civili e identificate come ‘aree rosse’, ad una quota massima di 15 metri”. Viene comunque “data sempre priorità al traffico degli aeromobili da/verso gli aeroporti e rimane in capo all’operatore del drone la responsabilità sia di dare precedenza agli aeromobili in volo sia di separarsi da questi ultimi”.
(LAPRESSE il 23 marzo 2020) - Via libera all'uso dei droni per monitorare lo spostamento dei cittadini. Lo ha stabilito un’ordinanza emessa dall’Enac, l’ente di controllo del volo, che indica sia i dispositivi che possono essere utilizzati sia le modalità "per il contenimento dell’emergenza epidemiologica coronavirus". Fino al 3 aprile, dunque, la polizia locale potrà condurre i controlli, come previsto dai dpcm dell'8 e 9 marzo, "con sistemi aeromobili a pilotaggio remoto con mezzi aerei di massa operativa al decollo inferiore a 25 kg". Nella nota dell'Enac si sottolinea che si potranno effettuare i controlli "anche su aree urbane dove vi è scarsa popolazione esposta al rischio di impatto" e dove "non sarà altresì necessario il rilascio di autorizzazione da parte di questo Ente e non sarà richiesto la rispondenza delle operazioni agli scenari standard". Per questo, fino al 3 aprile, si autorizzano tutti gli Enti di Stato del Codice della Navigazione e delle Polizie locali dei Comuni italiani "ad operare con propri 'aerei a pilotaggio remoto' se impiegati nell’ambito delle condizioni emergenziali dovute all’epidemia COVID-19, nelle aree prospicienti di tutti gli aeroporti civili e identificate come 'aree rosse', ad una quota massima di 15 metri". Viene comunque "data sempre priorità al traffico degli aeromobili da/verso gli aeroporti e rimane in capo all’operatore del drone la responsabilità sia di dare precedenza agli aeromobili in volo sia di separarsi da questi ultimi".
Alessandra Ziniti per repubblica.it. La stretta imposta dal Viminale ai furbetti della domenica non ha portato al risultato sperato. Le nuove restrizioni agli spostamenti e l'esplicito divieto di muoversi verso le seconde case, al mare, in campagna o in montagna, ha bloccato migliaia di italiani in casa scongiurando, si spera, un altro fine settimana occasione di ulteriore contagi. Ma, come riportato dal sito del Viminale, sono state oltre 10.000 ancora ieri le denunce effettuate dalle forze dell'ordine su tutto il territorio nazionale, erano state 11.000 sabato. Un numero che, riportato all'aumentato numero di controlli, più di 200.000 al giorno, porta la percentuale dei disubbidienti circa al 5 per cento. Percentuale che - incredibilmente - quasi raddoppia a Milano dove su 5.000 controllati ieri sono state denunciate 425 persone per inottemperanza ai decreti relativi all'emergenza Coronavirus. Nel numero dei denunciati, naturalmente anche diverse centinaia di persone che ieri hanno provato a lasciare le località del Nord e rientrare nei loro comuni d'origine in vista delle chiusura di molte attività lavorative a partire da oggi. L'ordinanza firmata ieri dai ministri dell'Interno Lamorgese e della Salute Speranza e poi fatta propria dal decreto del presidente del consiglio di domenica prevede infatti il divieto di spostarsi dal Comune in cui ci si trova se non per comprovate esigenze di lavoro, di salute o per necessità. Dall'inizio dei controlli, l'11 marzo sono state più di due milioni le persone controllate, di queste più di 94.000 sono state denunciate. Dei 974.000 esercizi commerciali controllati, 2.277 i titolari sanzionati.
Il Reato di Passeggiata. Italia criminale: stai a casa immobile o ti arrestiamo. Controlli e sanzioni penali a decine di migliaia di trasgressori. Furti, omicidi ed altri efferati delitti? Sono ormai reati di second'ordine e di cui nessun Media ne parla. Nell'Italia della mafiosità è vietata la libertà di mobilità. Come se fosse l'aria a diffondere il virus. Invece sono gli uomini ad infettare. Anzi, è la stupidità del genere umano a contagiare fisico ed intelletto. I media allarmistici ed i manettari pronti ad additare i fuorvianti. I panzoni poltronari e pantofolai pronti ad accusare gli atleti. La soluzione? Basta poco, che ci vuole. Basterebbe che lo Stato garantisse la distribuzione dei dispositivi di protezione individuale (guanti, mascherine, occhiali, tute, cuffie) dai contatti di prossimità. Ma se lo Stato non riesce a fornire tali strumenti ai sanitari ed a proteggere chi sta in prima linea, trasformandoli nei principali untori, ovvio che si metta ai domiciliari un intero popolo di pavidi.
La domanda allora è: E' necessità, giustizialismo o incapacità?
Da corriere.it il 20 marzo 2020. Ogni denuncia per «inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità», a carico di coloro che vanno in giro in città senza un comprovato motivo, sarà valutata, caso per caso, e in caso di dolo, o anche solo di colpa, si infliggerà un decreto penale di condanna, che resta come un precedente penale. Così intende muoversi, da quanto si è saputo, la Procura di Milano nei confronti di chi viola le norme sull’emergenza Coronavirus. Solo mercoledì in Procura sono arrivate 80 segnalazioni di violazioni e gli inquirenti precisano che si sta parlando di reati, che come tali vanno puniti. Ogni denuncia per «inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità», a carico di coloro che vanno in giro in città senza un comprovato motivo, sarà valutata, caso per caso, e in caso di dolo, o anche solo di colpa, si infliggerà un decreto penale di condanna, che resta come un precedente penale. Così intende muoversi, da quanto si è saputo, la Procura di Milano nei confronti di chi viola le norme sull’emergenza Coronavirus. Solo mercoledì in Procura sono arrivate 80 segnalazioni di violazioni e gli inquirenti precisano che si sta parlando di reati, che come tali vanno puniti. La situazione, inoltre, viene monitorata anche dal dipartimento «ambiente, salute, sicurezza, lavoro», guidato dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano. «O le persone si auto-disciplinano e seguono le norme - viene chiarito dagli inquirenti - o deve intervenire lo Stato e anche l’incoscienza e la negligenza vengono punite in questi casi, perché le autorità devono tutelare la salute dei cittadini». Ogni caso, dunque, verrà analizzato e se, ad esempio, ci si troverà di fronte addirittura a una persona che era consapevole di essere positiva al Coronavirus, ma ha deciso di stare a contatto con altri senza presidi di sicurezza, a quel punto si potrà valutare l’ipotesi più grave del reato di epidemia, punito anche con l’ergastolo.
Stretta contro i furbetti: arresto immediato per chi viola la quarantena. Droni per avvistare assembramenti, visione degli scontrini e controlli personali: adesso arriva un'ulteriore stretta contro gli incivili. Luca Sablone, Venerdì 20/03/2020 su Il Giornale. "C'è ancora troppa gente per le strade, ancora troppe persone che si servono del trasporto pubblico, troppo poca gente che indossa le mascherine". La strigliata degli esperti cinesi ai lombardi è chiara: non tutti hanno capito quanto sia importante e fondamentale restare a casa. Ma non è un discorso che si circoscrive alla sola Regione del Nord: in tutto il Paese c'è chi continua a incontrarsi in gruppo per delle passeggiate in compagnia, chi pratica attività sportive all'aperto insieme ad altre persone e chi approfitta delle esigenze fisiologiche del cane per allontanarsi dalla propria abitazione e fare lunghe camminate. Comportamenti (spesso intrapresi anche da chi è in quarantena) da condannare e che risultano essere incivili poiché rischiano di rendere vani tutti gli sforzi e i sacrifici che la stragrande maggioranza degli italiani sta mettendo in atto. Gli ultimi dati forniti dal Ministero dell'Interno - che si riferiscono alla giornata di mercoledì 18 marzo - parlano di 200.514 persone controllate dalle forze di polizia: tra queste ne sono state denunciate 8.297. Gli esercizi commerciali controllati sono stati 116.712: denunciati 195 esercenti e sospesa l'attività di 29 esercizi commerciali. Numeri ancora troppo alti considerando l'emergenza nazionale. Perciò si stanno studiando molte misure contro i furbetti.
Stretta contro gli incivili. Uno strumento che gode del gradimento di diverse regioni è il drone: dalla Lombardia all'Emilia-Romagna fino alla Calabria si strizza l'occhio all'utilizzo dell'apparecchio volante, con il fine di evitare assembramenti di persone nelle piazze, nelle strade, nelle spiagge, nelle campagne e nei parchi. Anche la Toscana ha provveduto a dotare la polizia municipale delle più moderne tecnologie che permetteranno di incrementare i controlli ai danni di coloro che non rispettano le limitazioni agli spostamenti. Le forze dell'ordine, oltre alla verifica della veridicità di quanto dichiarato nell'autocertificazione, fanno luce sullo scontrino di un eventuale acquisto controllando anche l'indirizzo del supermercato e valutando dunque se l'essere andato in quel posto sia giustificato o meno. Stai andando dal medico? Ti verrà chiesto nome e indirizzo dello specialista. Inoltre si verrà sottoposti a controlli anche se si sta andando a prestare assistenza a un anziano, se ci si sta dirigendo verso un indirizzo differente da quello di residenza. Pure chi dichiara che sta andando a lavorare non passerà inosservato: gli accertamenti con il datore di lavoro serviranno non solo per accertare l'effettivo impiego, ma anche per decretare la plausibilità del tragitto. Come riportato da La Repubblica, alcuni procuratori hanno già disposto che le multe non vadano in prescrizione: decreto penale con immediato pagamento e arresto in flagranza per chi viene accusato di reati gravi, come chi non rispetta gli obblighi di quarantena. Luigi Patronaggio ha dichiarato che è doveroso "non vanificare l'opera delle forze dell'ordine e far sì che ci sia un effetto deterrenza per chi non capisce che deve rispettare le regole". Il procuratore capo di Agrigento ha avvertito che a breve arriveranno moltissime denunce e bisogna evitare "che ci sia uno scollamento tra l'operato delle forze di polizia e l'effettiva punizione del reato commesso".
Rainews 18 marzo 2020: Coronavirus, Viminale: un milione di controlli, 44mila denunce Esercizi commerciali, denunciati 1.473 titolari e sospese 72 attività tra 11 e 17 marzo Tweet Coronavirus. Stretta sui controlli. Il commissario Arcuri: "Serve un'economia di guerra" Coronavirus: controlli polizia, ieri denunciati 8mila usciti di casa senza motivo: sono 13% in più 18 marzo 2020 Oltre 44 mila denunce e un milione di persone controllate in una settimana nell'ambito delle verifiche seguite alla pubblicazione delle nuove norme anti coronavirus. Secondo i dati forniti dal Viminale, dall'11 al 17 marzo, le forze dell'ordine impegnate nei controlli hanno denunciato 42.933 persone per violazione del Dpcm e 1.095 per false dichiarazioni a pubblico ufficiale. Otto mila denunce in un giorno Nella sola giornata di martedì le forze di polizia hanno controllato in tutta Italia, in applicazione delle misure di contenimento del contagio, 187.455 persone e 8.089 sono state denunciate; gli esercizi commerciali controllati sono stati 111.512, denunciati 154 esercenti e sospesa l'attività di 33 esercizi commerciali. Il Viminale fa sapere che salgono così a 1.025.655 le persone controllate dall'11 al 17 marzo, 43.595 quelle denunciate ex articolo 650 C.P., 926 le denunce ex articolo 495 C.P., 527.014 gli esercizi commerciali controllati e 1.473 i titolari denunciati.
Reato “di passeggiata”? La norma c’è, ma l’hanno dimenticata tutti. Alessandro Parrotta, avvocato, direttore Ispeg – Istituto per gli studi politici, economici e giuridici, su Il Dubbio il 27 marzo 2020. È sensata l’obiezione della Procura di Genova, che ritiene inapplicabile la “Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità”: al tempo del Covid-19, chi mente sui propri spostamenti non altera le “generalità” e, soprattutto, si tratta di un illecito “oblazionabile” con una piccola somma. Molto più efficace contestare l’invece dimenticato articolo 260 del Testo unico delle Leggi sanitarie: che, in caso di condanna, impone la trascrizione nel casellario giudiziario…In questo periodo di profonda crisi, il susseguirsi di provvedimenti nazionali e regionali, per i quali, a seguito delle misure stringenti del governo, tutti i cittadini si vedono – legittimamente – limitati nei propri spostamenti, sono sorti alcuni – inevitabili – problemi collaterali, legati alle conseguenze penali in caso di inosservanza della normativa di emergenza adottata dall’organo esecutivo. In particolare, il governo ha progressivamente adottato diversi decreti legge, l’ultimo dei quali, annunciato nella serata di martedì scorso dal presidente Conte, introduce alcuni chiarimenti, da un lato, in relazione al rapporto tra i provvedimenti del governo e quelli delle regioni e, dall’altro lato, in ordine al sistema sanzionatorio previsto per coloro che non osservano quanto disposto finora. In particolare, con l’approvazione del nuovo decreto, la condotta di coloro che violeranno le misure restrittive sarà punita con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500 a euro 4.000; non si applicheranno più le sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 del codice penale. Come noto nel diritto penale vi sono una serie di principi fondamentali, quali il principio di legalità e di tassatività o sufficiente determinatezza della fattispecie penale, finalizzati a garantire che ad un soggetto possa essere comminata una pena solo in presenza di una legge preesistente che configura in maniera chiara e tassativa il comportamento ritenuto punibile quale un reato. Se un soggetto ha posto in essere un reato occorre guardare agli elementi costitutivi della fattispecie penale asseritamente violata: in altre parole, vi deve essere una perfetta coincidenza tra ciò che dice la legge e la condotta posta in essere dal soggetto, a noi tutti nota quale tipicità nel diritto penale. Tralasciando ulteriori approfondimenti legati agli altri elementi del reato, quali antigiuridicità e gradazione dell’elemento soggettivo, occorre rilevare che dal punto di vista tecnico, in questa attuale situazione di crisi epidemiologica in cui il governo ha adottato precise misure restrittive, vi sono tre tipologie di fattispecie penale ipoteticamente realizzabili legate direttamente all’inosservanza di dette disposizioni: la prima sicuramente era riconducibile all’art. 650 c.p. (“Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità”), la seconda legata ai cosiddetti reati di falso e la terza, residuale, relativa alla diffusione – colposa o dolosa – della pandemia (contagio da risiko-delikt). Per quanto riguarda la contravvenzione di cui all’art. 650 c.p. – che con l’adozione del nuovo provvedimento non troverà più applicazione – non vi sono molti dubbi interpretativi. In tale sede, risulta doveroso, tuttavia, rilevare come tale fattispecie penale sia una contravvenzione e non un delitto (al pari delle violazioni del cosiddetto Tulps, Testo unico di Pubblica sicurezza). Di delitti, invece, si parla in caso di falsa attestazione del soggetto colto fuori dal proprio domicilio senza, quindi, giustificato motivo. Per queste tipologie di reato i cittadini potranno continuare a rispondere dinanzi all’Autorità giudiziaria. In tale ipotesi, le fattispecie penali configurabili sono quelle legate all’495 cp, “Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri”, e quelle relative al combinato disposto degli artt. 477, 482 e 483 dello stesso codice. Identificare la tipicità della norma – ovvero, come detto, la perfetta coincidenza tra quanto posto in essere e quanto punito dalla legge – non è cosi agevole poiché vi sono elementi soggetti ad interpretazione, quali, ad esempio, la natura dell’atto con cui il cittadino attesta falsamente la propria condizione, se atto pubblico o certificazione amministrativa. Ed infatti, sul punto, sono già sorte le prime criticità: condivisibile (e non poteva andar diversamente) la scelta operata dalla Procura della Repubblica di Genova che ha promosso richiesta di archiviazione in relazione proprio alla violazione dell’art. 495 c.p. in quanto tale delitto – secondo l’interpretazione dell’Ufficio di Procura – verrebbe integrato esclusivamente dalle false attestazioni aventi ad oggetto l’identità, lo stato od altre qualità della persona. Secondo tale interpretazione, quindi il soggetto che attesta falsamente una condizione lavorativa o personale non rientra nel caso di falsità relativa ad un proprio stato o ad una propria qualità. Le conclusioni cui è pervenuta la Procura di Genova sono, come detto, figlie di una interpretazione legalmente orientata della lettera della norma penale. Non si può escludere che altre Autorità scelgano, invece, la prosecuzione del procedimento penale collegando la falsità su una condizione lavorativa o personale del cittadino quale alterazione dello stato o di una qualità del soggetto medesimo, condizione richiesta dall’art. 495 c.p. per la configurazione del delitto: è il prezzo che -ontologicamente- il Sistema paga in virtù dell’indipendenza del Magistrato (che ad avviso di chi scrive fa dell’Ordinamento italiano l’espressione più alta della democrazia) e dell’assenza del precedente vincolante. Ma senza entrare in teoremi di filosofia del diritto, l’interpretazione della Procura di Genova appare condivisibile soprattutto perché l’imputazione per il reato di falso –in generale – incorre nell’ovvio limite da parte dell’Accusa di dover provare la falsità dell’attestazione, ed in occorrenza di una situazione di crisi del genere, appare chiaro come, pertanto, non esiste una norma stringente in grado di consentire la concreta ed immediata applicazione delle misure anti-contagio se non la Legge del buon senso. Tuttavia, se proprio si volesse ricondurre una siffatta condotta ad una fattispecie penalmente rilevante, a parere di chi scrive, sarebbe più opportuno fare riferimento al dettato di cui all’art. 260 del Testo unico delle Leggi sanitarie: tale disposizione punisce con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda chiunque non osservi un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo. Già ad una prima lettura, la tipicità descritta dalla norma risulta più aderente alla realtà che stiamo vivendo, trattando proprio il caso di una malattia infettiva. Peraltro, questa disposizione – uscendo per un attimo dal ruolo dell’avvocato penalista e ponendosi dal punto di vista di coloro che devono applicare la norma – ha la caratteristica, rispetto alla “previgente” contestazione di cui all’art. 650 c.p., di non essere oblazionabile: in caso di condanna, la stessa verrebbe trascritta nel casellario giudiziario. Più severità, quindi e -forse- più ascolto.
La stretta della procura di Milano: “Denuncia per chiunque passeggi senza motivo”. Il Dubbio il 19 marzo 2020. “Ogni denuncia per inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità, a carico di coloro che vanno in giro in città senza un comprovato motivo, sarà valutata”. La Procura di Milano sceglie la linea dell’intransigenza nei confronti di chi viola le norme sull’emergenza Coronavirus: “Ogni denuncia per inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità, a carico di coloro che vanno in giro in città senza un comprovato motivo, sarà valutata, caso per caso, e in caso di dolo, o anche solo di colpa, si infliggerà un decreto penale di condanna, che resta come un precedente penale”. A Milano come in molte grandi città italiane, infatti, continuano a giungere i procura segnalazioni di violazioni delle regole. Comportamenti che, come sottolinea la procura, “sono reati e come tali vanno puniti”. La gestione di questi reati, infatti, non è semplice. A creare problemi, in fatti, è la qualificazione delle condotte. Il problema è stato sollevato ieri dalla Procura di Genova, che invece ha adottato una linea opposta rispetto a Milano, stabilendo che l’unico reato su cui si concentrerà (oltre alla violazione dell’art. 650 cp, «inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità») è il 495 cp, «falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri», integrato esclusivamente dalle false attestazioni aventi ad oggetto l’identità lo stato od altre qualità della persona e dunque non sulle motivazioni degli spostamenti.
La procura di Milano rispolvera il regio decreto del ’34 contro gli “untori”. Giovanni M. Jacobazzi su Il Dubbio il 23 marzo 2020. Linea “dura” dei pm milanesi che per punire gli irriducibili della passeggiata rispolverano le leggi sanitarie del ventennio fascista. Linea “dura” della Procura di Milano per chi, imperterrito, continua ad uscire senza giustificato motivo dalla propria abitazione, contravvenendo così al divieto previsto nel decreto sull’emergenza Covid-19 dello scorso 8 marzo. Per sanzionare adeguatamente gli irriducibili della passeggiata, la Procura del capoluogo lombardo ha deciso di “archiviare” l’originale sanzione prevista dall’articolo 650 del codice penale e rispolverare il Testo unico delle leggi sanitarie del 1934. Ad affermalo è stato questo fine settimana direttamente il procuratore di Milano Francesco Greco. Da ora in avanti, ai passeggiatori “abusivi” verrà dunque contestata la violazione dell’articolo 260 delle norme sanitarie che punisce “chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo”.La sanzione prevista è quella “dell’arresto fino a sei mesi e l’ammenda da lire duecento a quattromila”.La violazione dell’art. 650 del codice penale, “inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità”, prevedeva invece l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a duecentosei euro.La differenza sostanziale, e su questo aspetto punta tutto la Procura per l’aspetto “deterrente”, riguarda le successive conseguenze sulla fedina penale del passeggiatore illegale. A differenza dell’articolo 650 codice penale, l’articolo 260 delle norme sanitarie non prevede l’oblazione, cioè la possibilità che, al termine del procedimento, il denunciato pagando una somma ottenga l’estinzione del reato.In assenza di questa “scappatoia” legale, l’effetto per l’irriducibile passeggiatore sarà quello di vedersi macchiata la propria fedina penale. Con tutte le conseguenze del caso in caso voglia poi ottenere una licenza, partecipare ad un concorso, ecc. La scorsa settimana in un articolo apparso sul quotidiano francese Le Figaro le pene previste dall’Italia per chi fosse stato sorpreso a violare le disposizioni sull’emergenza Covid-19 erano state definite “azzez burlesques”. Si era quindi aperto un confronto fra le Procure su quale reato fosse più opportuno contestare. Alcuni uffici giudiziari si erano anche spinti ad ipotizzare quello di epidemia, previsto dall’articolo 438 del codice penale e punito con l’ergastolo. Altri, invece, quello di lesioni, sulla falsa riga di quanto avviene per le persone che, consapevoli di essere affette dall’Hiv, hanno comunque rapporti non protetti con il partner. Tornado a Milano, nella giornata di sabato erano state controllate 12.056 tra persone ed attività commerciali. 431 i denunciati.
Il reato di “passeggiata” non esiste: i pm di Genova archiviano le denunce. Giovanni M. Jacobazzi su Il Dubbio il 18 marzo 2020. «Le persone che, fermate per controllo, offrano giustificazioni non veritiere non possono essere denunciate per l’art. 483». Troppe denunce” per la violazione delle disposizione sul decreto Coronavirus. L’allarme viene direttamente dalla Procura di Genova, “sommersa” in questi giorni dalle notizie di reato per inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità e falsa attestazione da parte delle Forze di polizia in relazione all’emergenza in corso.Il problema è nato dalla qualificazione giuridica delle condotte da sanzionare, e quindi dei reati che verrebbero violati, inseriti nei moduli prestampati diffusi dal Ministero dell’interno per giustificare gli spostamenti all’esterno della propria abitazione. L’autocertificazione in questione, peraltro, è stata recentemente aggiornata da parte del capo della polizia con la previsione anche dell’indicazione di “non essere positivo” o in “quarantena”. L’attenzione dei magistrati si è concentrata sull’articolo 495 cp, «falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri», reato punito con la reclusione non inferiore a due anni. Martedi scorso è stata diffusa una circolare alle Forze di polizia firmata da Paolo D’Ovidio, procuratore aggiunto della Procura ligure. Per il magistrato, «il delitto dell’art. 495 viene integrato esclusivamente dalle false attestazioni aventi ad oggetto l’identità lo stato od altre qualità della persona». Nulla a che vedere, dunque, sulla veridicità o meno di quanto indicato nel modulo a proposito dei motivi dello spostamento dal proprio domicilio. Ma non solo. «Le persone che, fermate per controllo, offrano giustificazioni non veritiere – aggiunge D’Ovidio – non possono essere denunciate per l’art. 483», che punisce la «falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico» con la reclusione fino a due anni. Il motivo? «L’impossibilità di qualificare come “attestazione” penalmente valutabile la dichiarazione che, non può ritenersi finalizzata a provare la verità dei fatti esposti», puntualizza la toga. Resta, allora, solo la violazione dell’art. 650 cp, «inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità», una contravvenzione punita con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a duecentosei euro. Poca cosa, quindi, rispetto ai due reati che erano stati previsti dal Ministero dell’interno.L’art. 650 è uno scarso deterrente per le persone che, nonostante i ripetuti avvisi, continuano imperterrite ad uscire di casa senza giustificato motivo. Il governo, infatti, ha già in programma una stretta per cercare di arginare il fenomeno. Ipotizzando, ad esempio, il reato di diffusione di epidemia. Tornando, comunque, alle indicazioni date dalla Procura di Genova alle Forze di polizia, i magistrati ricordano che la ratio della circolare punta a vietare gli immotivati spostamenti delle persone, consentendoli solo all’interno della zona di residenza, ed evitando quelli fra territori limitrofi. Sono vietati, poi, gli spostamenti in gruppo e gli assembramenti di persone. «La percezione del problema sfugge a troppi», ha sottolineato ieri Franco Gabrielli, evidenziando come siano già 700.000 le persone controllate e circa 30.000 quelle denunciate. Numeri elevatissimi che, a questo punto, saranno destinati, per le denunce, ad un forte ridimensionamento in base alle indicazione dei magistrati liguri.
Stefano Disegni per “il Fatto quotidiano” il 19 marzo 2020. Me lo sono fatto da piccolo, il morbo. Be', da adolescente. Ora sono immunizzato. Italia-Germania 4 a 3. Si ulula, Rivera nel cuore, fanculo Schnellinger. Via in strada, io e tre ipereccitati, in barba a un' acne da rivista medica e alla carestia di figa, evocata in mille narrazioni, mai vista personalmente. Fiat 500 e tettuccio aperto in una fiumana di altri urlatori con bandierone. Braccia su, inno, abbracci con quelli delle auto vicine, soprattutto quelle. Poi il morbo attacca. Noi siamo impegnati. Noi sentiamo i King Crimson. Noi non andiamo in discoteca, andiamo al Filmstudio, a scassarci le palle con certi underground messicani da depressione invalidante. Noi non indossiamo pantaloni a zampa d' elefante. Bruno, messo dietro perché era secco come uno appena liberato da Mathausen, dice "Ragazzi, che stiamo facendo? " Cala il silenzio nell' abitacolo. E io: "Panem et circenses. E il popolo obbedisce". Segnale clinico serio. Inversione a U e a casa. Infezione da Puzzaalnaso70 (dal decennio in cui il morbo apparve falciando vittime a sinistra). Lo pensavo debellato grazie alle recenti scoperte della scienza, schiaffoni elettorali o trionfo della Lega. No. Il Puzzalnaso70 si riaffaccia, mietendo nuove vittime. Uno non canta l' inno in balcone perché "sono internazionalista, che senso ha?" o perché cantare e sbracciarsi è cheap. Un altro, da intubare, afferma "quelli che cantano in balcone sono stonati in modo atroce". Altri ammoniscono pensosi "gli italiani scoprono l' unità nazionale solo quando hanno paura". Coraggio, sconfiggere il Puzzalnaso70 non è difficile. Basta non sentirsi speciali, niente distinguo, sgolarsi e volere davvero bene al prossimo tuo come diceva quello, una cosa molto di sinistra. Io l' inno lo canto. E a Capodanno farò pure il trenino.
Melania Rizzoli per “Libero Quotidiano” il 18 marzo 2020. Guardatele queste foto, guardatele bene, e osservate i segni sui volti, i lividi marchiati dalle maschere di gomma, le occhiaie scure da sonno perduto, gli occhi senza luce, che parlano asciutti con la voce dello sgomento e della fatica, e guardate quelle mani ferite, macerate dal sudore dei guanti di gomma, che riflettono e urlano il dolore, il dramma e la tragedia che stiamo vivendo. Queste immagini sono state postate sui social dai nostri medici e dai nostri infermieri dalle loro trincee, dai reparti di Terapia Intensiva dedicati agli ammalati di Coronavirus, dove si respira l’odore dei disinfettanti, dove si ascoltano i pianti, i lamenti e i rantoli, il soffio ritmico dei ventilatori polmonari, i bip sonori dei monitor cardiaci, in una atmosfera sospesa e rarefatta, quasi artificiale, che somiglia a quella di tanti film di fantascienza, ma che è purtroppo maledettamente reale, popolata da una fila infinita di ammalati, uno accanto all’altro distesi immobili nei loro letti, sprofondati nello stesso destino infettivo, alcuni in affanno, altri intubati, sedati o pronati, tutti attaccati alle flebo e ai tubi dei respiratori automatici, quegli stessi tubi che tentano di strapparli alla morte e tenerli in vita con un filo di speranza. Tutti questi ammalati, è bene ricordarlo, vivono la loro condizione nello sconcerto più totale, piangendo e pregando in drammatica solitudine, senza la possibilità, per il rischio infettivo, di avere accanto un familiare o una persona cara che stringa loro la mano, che gli parli, che dia loro coraggio, che li accarezzi o li conforti con un sorriso consolatorio, quello stesso sorriso che non sono in grado di ricevere nemmeno da chi si prende cura di loro, poiché tutti gli operatori sanitari si aggirano attorno a quei giacigli senza avere un volto o un’identità, mascherati come degli automatici robot dai quali escono voci filtrate e metalliche, estranee alla loro vita, le stesse che assistono al loro ultimo respiro, che ne annunciano il decesso, e che liberano il posto letto per quelli che sono in attesa. Ecco perché quelle immagini postate in rete, immediatamente diventate virali, dovrebbero essere guardate tre volte al giorno, come fossero una terapia quotidiana, da tutti coloro che da mattina a sera si lamentano della quarantena obbligatoria, che non sanno come passare il tempo, che si scocciano a restare sdraiati sul divano di fronte alla tv, oppure a cucinare cibi che attentano alla loro linea, oziando da una stanza all’altra protetti e sicuri nelle loro case. A tutte queste persone sane, fortunatamente non infettate e non contagiate, che manifestano in ogni modo la voglia incontenibile di uscire, che si ribellano, che vogliono andare nei parchi o rimpiangono l’aperitivo e le cene con gli amici, non consiglio di raggiungere un vicino centro di rianimazione per guardare dal vivo il giro dantesco dei disperati e sentire l’odore dell’inferno che li circonda, che pure sarebbe utile e definitivo, ma semplicemente di riflettere sulle immagini ritratte in questa pagina, sull’emozione senza fine che trasmettono, per poter godere della propria incolumità, per custodire la propria salute fisica e sentirsi estremamente fortunati di essere al riparo dal pericolo numero uno di queste settimane. E consiglio anche di memorizzare quelle immagini, di fissarle ed imprimerle nella memoria, per rievocarle ogni volta che si viene assaliti dalla stupidità e dall’ignoranza, dalla superficialità e dall’arroganza, dalla voglia di evadere alla ricerca dell’affettività e della socialità sospesa, per non sentirsi soli, mentre, in quello stesso momento, migliaia di medici e paramedici mettono a rischio la propria vita, fisica e psicologica, con turni massacranti di 8/12 ore senza sosta, infilati in tute contenitive e claustrofobiche che li coprono dalla testa ai piedi, ogni giorno sperando e invocando di non venire attaccati dalle centinaia di virus che escono dai corpi dei loro pazienti e che li circondano, li assediano, sempre pronti ad infilarsi in qual- che pertugio tra la maschera e gli occhiali, tenuti sempre ben compressi e sigillati sui loro volti, ove lasciano segni indelebili. E tutti questi professionisti del settore, restano volontariamente rinchiusi negli ospedali notte e giorno, stremati dall’esperienza emotiva e dalla loro pericolosa permanenza senza fine in quegli ambienti, e lo fanno per tutelare la salute fisica, e soprattutto quella mentale, anche di chi è rimasto fuori, di chi si ritiene rinchiuso agli arresti domiciliari, di chi è ancora indenne dall’infezione virale e che si lamenta perché non vede l’ora di uscire per andare incontro al virus. Oggi in Italia siamo solo al settimo giorno di quarantena, e ne rimangono almeno altrettanti se non di più da sopportare, per diminuire il contagio e sconfiggere il Coronavirus, ma la buona notizia è che Regione Lombardia, con a capo il Governatore Attilio Fontana, in dieci giorni realizzerà ed allestirà un ospedale provvisorio dedicato al Covid19 di 500 posti letto di Terapia Intensiva presso la Fiera di Milano, al Portello, per accogliere, accudire e curare altrettanti pazienti di ogni regione che in questi giorni si infetteranno perché non riescono proprio a stare a casa. Avanti c’è posto.
Da Il Fatto Quotidiano il 18 marzo 2020. Sono tanti i vip che in questi giorni invitano a stare a casa seguendo le indicazioni del decreto del governo per arrestare il contagio da Coronavirus. In molti fanno vere e proprie dirette da casa, per tenere compagnia ai fan e ribadire il divieto di uscire. Ma oggi Sonia Bruganelli, moglie di Paolo Bonolis, ha voluto dire la sua con una Instagram story: “‘Io resto a casa’ lo voglio scritto da chi vive in 50 mq con tre figli e senza tata. Non da persone come me che hanno case a due piani e ville con piscina e fanno la morale a tutti. Grazie“. Sonia è abituata a dire la sua sui social senza mezze misure: c’è da scommettere che anche questa ‘presa di posizione’ farà discutere.
IL RIGORE E L’INTOLLERANZA NEO-GIACOBINA. Arturo Diaconale il 19 marzo 2020 su L'Opinione. Di fronte all’espansione della pandemia il governo si prepara a varare misure sempre più rigide che potrebbero instaurare nel Paese una forma di coprifuoco sanitario in tutto simile a quello dell’ormai lontana guerra mondiale. Difficile stabilire in partenza l’efficacia effettiva di una misura del genere. In un momento d’incertezza come quello attuale, in cui ogni previsione sui tempi di esaurimento della pandemia appare priva di qualsiasi fondamento scientifico appena attendibile, non si può fare altro che nutrire la speranza di ottenere un risultato concreto da un nuovo salto in avanti nei provvedimenti di stampo draconiano. Ma non ci si può affidare totalmente al coprifuoco senza rilevare come sia sufficiente solo la minaccia di un nuovo giro di vite sul tipo di esistenza a cui sono abituati gli italiani da provocare un danno collaterale di estrema gravità. Questo danno è il clima di linciaggio che si sta creando nella società nazionale per giustificare provvedimenti resi necessari dall’emergenza sanitaria ma che potrebbero essere realizzati anche senza ricorrere al terrorismo psicologico a cui vengono sottoposti ormai da settimane gli italiani. Nelle strade e nelle piazze del nostro Paese, infatti, non va in scena quotidianamente la sceneggiata dei canti consolatori e liberatori. È in atto anche una sorta di paranoia di massa diretta a criminalizzare ed a linciare moralmente chiunque appaia riottoso nei confronti delle disposizioni draconiane varate dal governo. Passeggiare nei parchi o in altri luoghi aperti appare agli occhi dei paranoici un atto di ribellione eversiva compiuto da chi, con il proprio comportamento, diventa oggettivamente un untore consapevole e dichiarato del coronavirus. Per il momento la paranoia produce solo insulti nei confronti dei ribelli. Ma dietro questi insulti c’è una forma di intolleranza che rappresenta l’aspetto più grave e pericoloso della battaglia contro la pandemia condotta in nome della salute pubblica. Finita l’emergenza il coprifuoco si potrà togliere ma l’intolleranza liberticida introdotta a piene mani da un governo di illiberali irresponsabili rimarrà nel tessuto societario del Paese. Ed il ritorno ad una normalità rappresentata da un modello di vita ispirato ai principi di libertà elaborati in tremila anni di storia sarà estremamente difficile. Al punto da far temere che l’emergenza sanitaria connessa alla paranoia possa provocare quella deriva di stampo autoritario della democrazia italiana che sembrava essere stata scongiurata per sempre dalla Carta costituzionale. Chi pensa che il rigore sia incompatibile con la libertà e la democrazia costituisce un pericolo maggiore del coronavirus. È bene non dimenticarlo mai. Perché una volta liberati dalla pandemia bisognerà liberarsi nel minore tempo possibile dei neo-giacobini che in nome della virtù ci vorrebbero tutti servi. Per la ricostruzione sarà necessaria una nuova liberazione!
Chi dubita delle leggi d’emergenza non è “amico” del virus…Davide Varì il 19 Marzo 2020 su Il Dubbio. Lo scontro tra diritti individuali e bene pubblico non è mai stato tanto acceso e attuale. E dubitare fa sempre bene. Anche perché la guerra sarà lunga. Notizie sparse dall’Italia: circa quarantaseimila persone sono state denunciate per aver violato le restrizioni imposte dal “coprifuoco” deciso dal Governo. “Abbiamo più idioti che contagiati”. Ha fatto eco il popolo dei social. La procura di Genova (ecco l’articolo di Giovanni M.Jacobazzi), sta archiviando tutte le denunce perché, fa sapere, il “reato di passeggiata” non esiste nel nostro codice penale. Mezza Italia ancora si indigna e impreca contro chi – per lo più studenti fuori sede e giovani lavoratori con contratti ballerini e paghe incerte – è scappato dal Nord sotto assedio. Forse non avevano ancora visto le migliaia di bare di Bergamo scortate dai camion militari, altrimenti avrebbero deciso, con tutte le cautele del caso, di accogliere chi fugge dalla guerra. O forse no. Giornali e politici invocano pene più severe per chi viola le regole e se ne va impunemente a passeggio. Qualcuno chiede il modello coreano – tracciamento elettronico per tutti – e altri quello cinese: militari alle porte di casa, spesa razionata e pena di morte per i trasgressori. Il premier Conte dice che no: non siamo la Cina e gli italiani, abituati ad un “grande individualismo e a radicate libertà civili, non avrebbero retto a misure più radicali”. Nadia Urbinati, in un articolo che ha fatto il giro dei social, si chiede: “Ci viene detto che reprimere e chiuderci in casa è una soluzione temporanea. Ma quanto durerà il temporaneo?” Poi l’invito a non tacere e a dubitare, una sorta di esercizio democratico in tempi complicatissimi: ” Più delle norme emergenziali, si deve temere l’espansione di questa mentalità dispotica, che vorrebbe neutralizzare dubbi e domande. Tacere e obbedire. Ma non è un male fare le pulci al vero se, sosteneva J.S. Mill, il vero si atteggia a dogma – se poi è un “vero” in costruzione, allora i dubbi e le domande sono perfino un bene!” Qualcuno ha applaudito, altri hanno accusano Urbinati di intelligenza col nemico. Un nemico assai strano visto che il Coronavirus non è considerato una forma di vita. Di certo il conflitto tra bene pubblico e e diritti individuali non è mai stato tanto intenso. E ad Urbinati sembra rispondere una ricerca dell‘Imperial College di Londra, (Impact of non-pharmaceutical interventions) l’istituzione scientifica che ha convinto Boris Johnson a rivedere il proposito di lasciar correre l’epidemia sperando nell’immunità di gregge. Gli scienziati hanno tirato fuori i numeri: “260mila morti in Regno Unito e circa un milione in America”. A quel punto Johnson ha cambiato idea e ha imboccato la via italiana iniziando a ridurre libertà e diritti. E alla domanda sui tempi delle restrizioni, gli scienziati inglesi hanno risposto netti: “Fino a quando sarà trovato un vaccino”. Insomma, per ora abbiamo solo domande. Ma forse il senso è proprio questo: non smettere di porle. Perché la guerra sarà lunga…
COVID, OVVERO "COSTRETTI A VIVERE SENZA DISSENSO". Maurizio Tortorella il 19/3/2020 su Panorama. In un momento come questo bisogna essere uniti… Basta con le critiche... E smettiamola di litigare... La litania colpisce chiunque abbia minimamente da ridire sulle scelte del governo al tempo del Covid-19. Volete sapere che cosa vuol dire Covid? Non sta affatto per "COrona VIrus Desease", no. Vi sbagliate: significa "COstretti a VIvere senza Dissenso". Ma dov'è finita la politica? Dove si nasconde il Parlamento? Esiste ancora un'opposizione di qualche genere, nell'Italia ai tempi del Coronavirus? Giornali e tv possono ancora criticare il manovratore, oppure l'opinione contraria non è più ammessa? Tranne poche eccezioni, la melassa unitaria prevale, e ormai pervade di sé ogni angolo di giornali e trasmissioni televisive, peggio ancora di quel che fa l'orrido virus nei polmoni delle sue povere vittime. Chi s'arrischia a dire che i decreti dell'emergenza sono tardivi, mal scritti, confusi, rischia il linciaggio morale. Chi rimprovera l'andamento a zig-zag delle misure adottate, o la confusione della comunicazione istituzionale, viene tacitato. Chi si permette di ricordare che i tagli alla sanità pubblica, lanciati dieci anni fa dal governo di Mario Monti, erano stati confermati anche pochi mesi fa dal governo di Giuseppe Conte, viene allontanato peggio di un disturbatore della quiete pubblica. Silenzio: non si critica più. Davvero una sterzata epocale, in Paese che per tradizione consolidata inalberava un motto che da secoli suonava "Piove, governo ladro". Va riconosciuto che è un atteggiamento senza confini, purtroppo: in Spagna Fernando Alonso, l'ex pilota della Ferrari, s'era azzardato a dichiarare che il governo di Madrid non contrastava al meglio la pandemia. S'è beccato il brutale rimbrotto di Vicente del Bosque, già commissario tecnico della nazionale: «Ho visto che qualcuno osa lamentarsi, ma dobbiamo affrontare il problema con l'aiuto delle nostre autorità». Alonso ha dovuto perfino scusarsi. È come se l'autoritarismo cinese, grazie al "buon risultato" raggiunto a Wuhan, avesse improvvisamente infettato mezza Italia e mezzo mondo. Sono stati bravi, i cinesi. Hanno risolto la loro crisi in quattro e quattr'otto, mostrando coesione e amor di patria. Qualche sera fa, su Sky, è andato in onda un melenso documentario girato nella regione di Hubei, sede allargata del contagio: decine di medici, pazienti, infermieri e poliziotti non facevano altro che elogiare il loro governo e il presidente Xi Jinping. Grazie, oh lungimirante leader, che ci hai curato così bene. E grazie anche al Partito comunista, che ci ha illuminato la via. Grazie! È vero: le autorità della Repubblica popolare hanno mostrato grande efficienza. Hanno costruito un immenso ospedale in pochi giorni, hanno investito grandi risorse e (forse) hanno spento il focolaio. C'è però chi sospetta sia stato così perché le autorità cinesi sapevano anche troppo bene con che cosa avevano a che fare. A insinuarlo sono i soliti complottisti, i quali sostengono che il Covid-19 sia il frutto di un laboratorio cinese, probabilmente militare, e quindi un terribile strumento di guerra batteriologica su cui Pechino non aveva né dubbi, né bisogno di condurre alcuno studio. Per nutrire più di una perplessità sulla favoletta dei "cinesi bravi", però, non serve affidarsi a teorie così estreme, per quanto suggestive e verosimili. Basta pensare ai brutali mezzi repressivi con i quali Xi, il governo di Pechino e il Partito hanno imposto a 80 milioni di cittadini una quarantena da cui nessuno poteva uscire se non (comunque) morto. Wuhan era circondata dall'esercito e da carri armati. In città, la polizia in assetto antisommossa imponeva il coprifuoco e porte chiuse. Chi non si assoggettava veniva preso con la forza per strada, trascinato via da agenti in tenuta sanitaria e costretto a ricoverarsi. Online giravano video terribili: mogli che piangevano disperate sul balcone di un grattacielo perché il marito, nella stanza accanto, stava morendo e la casa era stata già trasformata in una bara preventiva per la coppia. Militari che saldavano porte e finestre di abitazioni con abitanti all'interno. Esagerazioni? Montature? Propaganda imperialista? Forse, ma non è nemmeno tanto importante. Perché comunque a Wuhan e dintorni sono stati messi in campo gli strumenti tipici di una dittatura comunista, i più brutali e coercitivi. Per questo sono stati bravi, i cinesi, a chiudere il focolaio in così poco tempo. So (purtroppo) che cosa pensano molti di voi: che anche il nostro governo dovrebbe farlo, che anche qui servirebbe la mano forte. Che i divieti non bastano, perché c'è sempre il furbo-idiota che non li rispetta e così mette a rischio tutti. Quindi è giusto dare un giro di vite, e passare finalmente alle maniere forti. Con quarantene imposte, il coprifuoco che vuota le strade. Magari anche con baionette, fili spinati, fucili, carri armati. Da quel pessimista che sono, temo non sia improbabile che, alla fine, non ci si arrivi davvero all'esercito in strada. Non è certo di questo che ho paura: i militari italiani hanno la mia piena fiducia. Quel che mi fa davvero paura non è tanto questo, e nemmeno di cadere malato. Mi terrorizza che, dopo il virus cinese, anche l'esempio cinese stia sfondando le nostre resistenze. Perché da anni Pechino fa di tutto per diffondere un elemento cardine della politica di Xi Jinping: la propaganda del modello cinese di gestione dell'emergenza come alternativa "efficace" al modello della democrazia liberale. È il virus della dittatura. Per tutto questo, mi scuserete, ritengo giusto continuare a criticare quel che in questa emergenza non mi pare giusto, e spero che anche altri lo facciano. Si poteva criticare il governo di Giuseppe Conte, che ha agito confusamente e tardi. Si doveva criticare chi, senza vergogna, un giorno invitava agli aperitivi "social" perché non si doveva aver paura del Coronavirus e il giorno dopo s'è messo a gridare allo scandalo dei bar pieni e a scrivere ovunque #ancheiorestoacasa. È sacrosanto criticare la politica al governo negli ultimi dieci anni, quella che dal 2011 ha affondato il coltello nella sanità pubblica e prodotto 37 miliardi di risparmi, e 70mila letti in meno, e tagliato migliaia di medici grazie al blocco del turn-over e a Quota 100. Quanto a me, sommessamente, continuerò a criticare le norme che non condivido, anche nell'emergenza. Come il decreto "Cura Italia" là dove, per svuotare le carceri sovraffollate e a rischio contagio, decide un'amnistia per 3-4mila condannati senza nemmeno ipotizzare un alleggerimento della custodia cautelare per i 10mila detenuti in attesa di giudizio. Perché è vero che il Paese è in ginocchio. Ma questo non vuol dire che si debba abbassare la testa e smettere di guardare, ragionare, dissentire. Perché tutto questo configura la nostra libertà. L'alternativa è il modello cinese. Tenetevelo.
· Morte all’untore Runner.
Da "repubblica.it" il 10 aprile 2020. Nello studio realizzato dal belga Bert Bolcken e dall'italiano Fabio Malizia dell'Università Ku Leuven, in collaborazione con Ansys - società leader nel settore dello sviluppo delle simulazioni ingegneristiche - si evidenzia come i corridori dovrebbero mantenere, se in scia, una distanza superiore a quella raccomandata dalle linee guida stilate per contrastare la diffusione di coronavirus. Nella video simulazione, le posizioni corrette e quelle meno sicure che due atleti potrebbero tenere nel corso di un esercizio all'aperto. Bert Blocken invita a non fraintendere lo studio: "La corsa non rappresenta un grande rischio per la diffusione di Covid-19. Ma muoversi in scia, a una distanza ridotta, può esserlo. Questo vale per tutte le situazioni in cui ci troviamo a camminare all'esterno in situazioni di necessità, come quando facciamo la fila al supermercato. Non c'è bisogno, insomma, di vietare la corsa".
Coronavirus, la rabbia di Federica Torti: "Multa per jogging vestita sportiva, mentre io andavo a far la spesa". Multata perché ha deciso di andare a fare la spesa in tenuta sportiva e a passo sostenuto: in un'intervista tutta la rabbia di Federica Torti, che a Il Tempo ha raccontato la sua disavventura. Francesca Galici, Giovedì 23/04/2020 su Il Giornale. Il coronavirus ha imposto al Paese un lockdown che perura ormai da un mese e mezzo. Per garantire il rispetto delle norme e dei decreti emanati dal governo, sul territorio è stato predisposto un grande dispiegamento di forze dell'ordine e militari. I controlli sui cittadini sono numerosi, soprattutto in questa fase nella quale le uniche uscite consentite sono quelle per comprovati e urgenti motivi, che il decreto ha individuato nelle ragioni di salute e di lavoro, nonché nell'esigenza di fare la spesa. Tutto il resto, tranne le passeggiate con il cane nei pressi dell'abitazione, sono da considerarsi momentaneamente sospese. Federica Torti, conduttrice e showgirl, ha nei giorni scorsi ha lasciato la sua abitazione per recarsi al supermercato ma le forze dell'ordine pare abbiano frainteso le sue intenzioni e l'hanno multata per aver violato il decreto. È stata la stessa Torti a denunciare il fatto, come ha spiegato anche in un'intervista rilasciata al quotidiano Il Tempo. "Io, con il sorriso che mi contraddistingue stampato sul volto, l' allegria e la mia solarità, mi accingevo ad andare a fare la spesa, vestita sportiva, perché io purtroppo ho l' abitudine di vestirmi sportiva, lavorando anche nell'ambito dello sport ho questo stile", ha detto la showgirl, esperta di fitness. Un abbigliamento che, però, pare abbia tratto in inganno le forze dell'ordine che non hanno esitato a multare Federica Torti che, stando al verbale, "Veniva sorpresa a fare jogging indossando relativo abbigliamento." Incalzata dalle domande del giornalista, la showgirl ha voluto chiarire la sua posizione: "Io andavo a far la spesa, vestita sportiva, con passo sostenuto, ma anche su una mano sola facendo la verticale sarei potuta andare a fare la spesa, perché rientra nella legalità, ed è un bisogno primario comprare del cibo." Questa è anche la spiegazione fornita da Federica Torti alle forze dell'ordine. La donna vive a poca distanza da un supermercato e, approfittando della necessità di fare la spesa, ha deciso di coprire il (breve) tragitto che lo separa dal suo negozio facendo dell'attività fisica. Non una corsa, specifica lei, ma una camminata veloce. La Torti non ha voluto specificare l'ordine di appartenenza della persona che l'ha fermata, che pare l'abbia accusata di prenderlo in giro con la sua giustificazione: "Capisco che è una situazione difficile questa che stiamo vivendo tutti, ma non li stavo prendendo in giro. Purtroppo mi hanno fermata prima che entrassi al supermercato e non dopo. Se fossi uscita dal market magari, dopo la spesa, mi avrebbero fermato ugualmente ma almeno avrei sventolato il mio scontrino." Federica Torti sembra essere amareggiata dal comportamento delle forze dell'ordine ma soprattutto dai motivi che hanno portato all'emissione della contavvenzione: "Multa per jogging vestita sportiva. Con le sneakers ai piedi. Mentre io andavo a far la spesa." L'importo che dovrà pagare Federica Torti è di 280€: "Dove andranno questi soldi, mi chiedo. Ti viene il dubbio che più multe fanno meglio è. Questi 280 euro di multa a piedi diventano 373 e spiccioli se sei fermato in macchina, che diventerebbero 560 euro se uno fosse sorpreso la seconda volta a fare jogging, come dicono loro, ma io facevo la spesa." Ora la showgirl ha deciso di fare ricorso e, a Il Tempo, ha spiegato come si deve preparare: "Devi fare una memoria difensiva dove spieghi esattamente il punto di partenza e il punto di arrivo e come si è sviluppata la situazione. La distanza percorsa che deve essere non eccessiva, allegare un documento scaricato magari da google map, che indica l' itinerario per agevolare anche il prefetto nella valutazione dell' accertamento. Non dimenticare assolutamente lo scontrino del supermarket con gli acquisti effettuati." In ultima battuta, Federica Torti fa una forte considerazione sullo stato del Paese in questi giorni di emergenza: "Sta al senso civico di ogni persona stare attenti e responsabili perché sennò ci troveremo in uno stato di polizia. Anzi, forse lo siamo già."
Corre senza mascherina: runner minacciato e pestato a sangue. È successo a Sant'Agostino di Albignasego (Padova). L'uomo stava correndo con il suo cane quando è stato prima insultato e poi picchiato da due uomini. Giorgia Baroncini, Domenica 19/04/2020 su Il Giornale. "Sono sconvolto. Credevo di vivere in un quartiere tranquillo e scopro che, d'improvviso, si può scatenare una violenza e ferocia inaudite e inspiegabili". A parlare è un ingegnere 50enne residente a Sant'Agostino di Albignasego (Padova), vittima di una feroce aggressione da parte di due uomini. Venerdì sera il 50enne è stato infatti picchiato a sangue perché faceva jogging senza mascherina. L'uomo è uscito di casa per una corsetta in compagnia del suo cane. "Avevo una felpa intorno al collo pronto ad alzarla sul viso se avessi incrociato qualcuno. In linea d'aria ero a un centinaio di metri da casa. Non c'era anima viva, ero solo con il mio cagnolino", ha raccontato l'ingegnere al Mattino di Padova. Poi, all'improvviso, due uomini, in piedi dall'altra parte della strada, hanno iniziato ad insultarlo e a minacciarlo. Così il runner ha deviato il suo percorso verso la loro direzione chiedendo spiegazioni e dicendo ai due (probabilmente padre e figlio) di non permettersi di insultarlo. E così è scoppiata la lite. "Mi sono saltati addosso facendomi cadere a terra - ha raccontato l'uomo -. Sono finito carponi sull'asfalto. Il padre, sopra la mia schiena, mi teneva a terra facendo pressione con le ginocchia e i gomiti mentre il ragazzo ha cominciato a prendermi a pugni sul viso e in testa. Io cercavo di divincolarmi e loro continuavano. Sarà durato almeno un quarto d'ora". Il runner ha preso forti pugni in pieno volto che gli hanno procurato un occhio nero e la frattura del naso. Sono stati i due aggressori a chiamare poi i soccorsi. "Mi hanno bloccato fino all'arrivo dei carabinieri. Continuavano a urlare: 'Dovete multarlo perché correva senza mascherina'. Erano molto su di giri", ha spiegato la vittima della feroce aggressione. Il 50enne è stato poi accompagnato al Pronto soccorso dove i medici hanno giudicato le sue ferite guaribili in 30 giorni. Per poter procedere ora è necessario che l'uomo si presenti in caserma a denunciare quanto accaduto venerdì sera: solo in questo modo i carabinieri potranno procedere all'accertamento dei fatti. "Ovviamente farò denuncia", ha annunciato la vittima ancora scossa da quanto accaduto. "La cosa che mi fa più male? Questo clima da caccia alle streghe o all'untore è davvero brutto: la gente giudica dai balconi di casa, senza riflettere".
Giorgio Rondelli per gazzetta.it il 6 aprile 2020. Se non stessimo vivendo dei giorni tremendi per i devastanti effetti del coronavirus, si potrebbe dire che le vicende che vedono coinvolte le forze dell’ordine e i runners siano una sorta di sfida fra guardie e ladri. I primi impegnati a far rispettare decreti e relative rettifiche che hanno il grave difetto di essere nebulosi. Tanto è che, come vedremo, non sembrano chiari neanche a loro. I secondi, invece, pronti ad escogitare qualsiasi stratagemma per riuscire a svolgere allenamenti di maggior qualità e durata. Perché correre si può. Restando però vicini alla propria abitazione. Limitazione che, oltre al fatto di dover correre vicino a palazzi sovraffollati, quasi mai permette ai runners di qualunque livello di svolgere allenamenti prolungati e di maggiore intensità. I runners cercano di sfuggire in tutti i modi a questa situazione. Magari giocando sugli orari degli allenamenti. C’è chi va a correre fra le 4 e le 6 del mattino. Quando tutti stanno ancora dormendo. Chi dalle 13 alle 14, quando tutti sono a pranzo. Oppure dopo le 20.30 e le 21, complici la cena e il buio. C’è chi cerca di defilarsi in campagna o nei boschi, per correre lontano dai pericoli. Che invece possono materializzarsi all’improvviso come è successo alla maratoneta Giulia Sommi di Vigevano una settimana fa. Classe 1987, un personale di 2h47 sulla maratona, Giulia (domenica scorsa) si era allontanata in macchina dalla sua abitazione. Di 4 chilometri, raggiungendo una zona boschiva ad ovest di Vigevano. Poi, parcheggiata l’auto in una stradina vicino all’ingresso del bosco, era partita per una corsa di 15 chilometri. Al ritorno la sgradita sorpresa di trovare la polizia accanto all’auto. Colta in flagrante, le è stata affibbiata una multa di 503 euro. Adesso Giulia non rischia più: ha comprato un tapis roulant su cui effettuare a casa gli allenamenti di maggiore qualità. Molto più discutibile invece l’episodio che ha coinvolto, giovedì mattina, la ventenne Bianca Seregni atleta nazionale di triathlon nonché campionessa mondiale ed europea di aquathlon. Al termine di una seduta di fartlek effettuata nei pressi della sua abitazione, zona stadio di San Siro, Bianca è stata fermata da una pattuglia della polizia che le ha intimato di tornare subito a casa se non voleva essere multata. Inutili le proteste della ragazza, che sosteneva di poter correre vicino alla propria abitazione esibendo anche la certificazione della Fitri di essere atleta di interesse internazionale. Niente da fare. Con i poliziotti che le ribadivano che dal 1 aprile nessuno può più allenarsi. Neanche gli atleti di alto livello. In questo caso dimostrando però di non conoscere bene i vari decreti. A) Perché vicino a casa si può continuare a correre. B) Perché agli atleti top è stato vietato di allenarsi da soli o in gruppo ma solo per quanto riguarda gli impianti sportivi. C) Perché comunque lo stesso decreto partiva da sabato 4 aprile.
Da ilpescara.it il 10 aprile 2020. Runner non si ferma all'alt di un finanziere intimatogli lungo la battigia e scappa, finendo nei guai. Il giovane, infatti, non poteva andare a correre in quanto, come noto, le attività motorie sono attualmente vietate a causa dell'emergenza coronavirus. Appena il militare gli si è avvicinato, ha accelerato il passo ed è fuggito. Tuttavia è stato inseguito e bloccato poco dopo, per la precisione in via Carducci, dalla stessa Gdf e dai vigili urbani in motocicletta. Non avendo con sé i documenti, è stato portato in caserma per accertamenti. Ora, oltre alla possibile multa per inosservanza dei decreti da Covid 19, potrebbe rimediare anche una denuncia per resistenza a pubblico ufficiale. L'episodio, accaduto all'altezza dello stabilimento balneare "Sole Luna" (come mostra un video diventato virale in queste ore), è stato stigmatizzato su Facebook dal consigliere regionale del Pd Antonio Blasioli: "Vorrei che tutti i pescaresi facessero oggi un applauso virtuale a questo finanziere, che probabilmente fino a 40 giorni fa non avrebbe mai pensato che il suo lavoro sarebbe stato inseguire un runner sul lungomare. Ma la situazione è questa e gli uomini delle forze dell'ordine cercano di fare del loro meglio per garantire la sicurezza di tutti noi. A questo ragazzo, che probabilmente scatena anche le simpatie di chi guarda questo video, dico: rispetta le regole, ne va della salute tua e di noi pescaresi".
Coronavirus, runner in spiaggia in fuga dalla Finanza: giallo a Pescara. Le Iene News il 10 aprile 2020. Un runner è scappato da un finanziere che voleva controllarlo per non aver rispettato le norme di contenimento del coronavirus. Il video è stato registrato in spiaggia a Pescara. Per qualcuno quel corridore sarebbe Mario Ferri, il noto invasore dei campi da calcio. Ma “Il Falco” smentisce. Il runner scappa in riva al mare, dietro di lui un finanziere che cerca di raggiungerlo. Il video girato in spiaggia a Pescara è virale sui social e dietro di sé lascia anche un giallo. Alcuni sui social hanno commentato dicendo che Quel corridore potesse essere Mario Ferri pensando che quella falcata fosse la stessa dell’invasore di campo più famoso d’Italia. È “Il Falco” in persona a smentire tramite Facebook: “non sono io” commentando il video. I pochi secondi di video che potete vedere qui sopra, sono stati registrati da un residente dalla finestra di casa. Si vede un runner con maglietta rossa e pantaloni neri che corre sul lungomare, attività vietata per le norme di contenimento del coronavirus. A un certo punto dietro di lui compare un’altra sagoma. È un finanziere che gli intima di fermarsi. Il corridore si accorge di lui, tanto che si gira indietro. Ma anziché fermarsi, accelera la falcata. Dal lungomare devia verso l’uscita dalla spiaggia. E quindi sarebbe stato fermato da una pattuglia della Guardia di Finanza arrivata in supporto al collega. Per il runner è scattata la sanzione prevista.
Mario Ferri: “Sì, sono io il runner in fuga dalla Finanza”. Simone Carcano su Le Iene News l'11 aprile 2020. Il filmato del runner che scappa da un finanziere sul lungomare di Pescara è diventato virale. In tanti hanno pensato fosse Mario Ferri che in un primo momento ha smentito. Ora il Falco rompe il silenzio e a Le Iene racconta la sua verità
“Il runner che scappava dalla Finanza? Ero io, voi Iene ci avete preso. Mi scuso, però ora basta con le fake news”. Mario Ferri rompe il silenzio e parla per la prima volta a Iene.it raccontando la sua verità sul video diventato virale qualche ora fa. In quei pochi secondi si vede un runner che scappa da un finanziere. Siamo sul lungomare di Pescara, un residente registra la scena e la mette sui social. In poche ore fa il giro d’Italia diventando virale e soprattutto lasciando in sospeso un interrogativo: quello che scappa è il Falco? Lo stesso Ferri, conosciuto per le sue invasioni nei campi da calcio, smentisce tutto tramite Facebook: “Non sono io”. Passano le ore, da una parte aumentano visualizzazioni e commenti, dall’altra i particolari su quella vicenda prendono una piega che sembra lontana dalla realtà. Ferri ci pensa e racconta la sua versione dei fatti a Le Iene. “Da un mese ero chiuso in casa. Sentivo il bisogno di sgranchirmi le gambe, così ho fatto una corsa in riva al mare”. È mercoledì pomeriggio, il Falco sa che non è consentito perché un’ordinanza comunale vieta di fare attività sportiva. È una delle tante norme scattate per limitare i contagi da coronavirus. “A un certo punto vedo che un drone mi segue. Pensavo che fosse di un fotografo finché ho visto anche l’ombra di una persona a pochi passi da me”, racconta Ferri. E da questo istante, scatta la registrazione del video diventato virale. “Tra le cuffiette con la musica nelle orecchie che mi hanno isolato dalla realtà, tra la paura non ho capito più nulla e ho iniziato a correre”. Nel filmato infatti si vede che il runner girandosi indietro riconosce una persona dietro di sé e allunga la falcata fino a uscire dallo stabilimento balneare. Possibile non abbia capito che fosse un finanziere? “La loro divisa è tutta grigia, poco riconoscibile”, sostiene il Falco. A questo punto il video finisce, ma continua l’inseguimento. “Ho corso per un altro chilometro finché dopo aver saltato una staccionata in piazza Salotto nel centro di Pescara mi hanno raggiunto altri finanzieri in moto e mi sono consegnato. A questo punto ho capito tutto”. Ferri è stato identificato ed è scattata la multa perché non aveva rispettato l’ordinanza comunale. E nient’altro. Tutto finito? “Così sembrava, mi sono scusato con una stretta di mano simbolica con i finanzieri e sono tornato a casa”. Passano le ore e succede qualcosa che lui non aveva previsto. Il video registrato da un residente finisce su Facebook e diventa virale. Migliaia di persone lo vedono e trovano qualcosa di familiare in quel runner. “Il giorno dopo vedo quel filmato ovunque. Ed è arrivato anche ai tg americani. Ognuno ha iniziato ad aggiungere pezzi raccontando una realtà che non corrisponde al vero”, sostiene Ferri, che ora si toglie anche qualche sassolino dalle scarpe. “C’è chi dice che sono stato denunciato, chi invece dice che mi hanno arrestato: tutto falso. E non devo neanche pagare una multa salatissima da 4mila euro. Macché, mi hanno fatto una multa da 400 euro, che pagherò entro 30 giorni e sarà ridotta a 280 euro”. Dopo questa disavventura il Falco ha deciso di non uscire più di casa, rispettando i divieti. “Mi pento di questa fuga, non andava fatta. Ne approfitto per dire a tutti di stare a casa perché poi si passano i guai. Grazie di cuore a Le Iene che mi hanno dato modo di scusarmi e chiarire molte cose. Speriamo che questo periodo finisca per tutti e che torneremo tutti a correre e senza scappare dalle forze dell’ordine”.
Sebastiano Vernazza per la Gazzetta dello Sport l'11 aprile 2020. i l video ha fatto il giro del web e dei social. Le immagini mostrano un runner che corre sulla spiaggia di Pescara e un finanziere che lo insegue. Il corridore va più veloce e scappa via, in violazione del decreto "Cura Italia" contro il coronavirus. Questo però non è un runner qualunque, ha quasi 33 anni ed è noto negli stadi di calcio di mezzo mondo come invasore di campo. Si chiama Mario Ferri, è soprannominato il Falco, ha quasi 33 anni, e negli archivi si trovano le foto di lui, con la maglietta di Superman, abbracciato a Messi o al suo amico Antonio Cassano, o mentre dà la mano a Cristiano Ronaldo.
«Falco», cosa è successo mercoledì a Pescara?
«Correvo sulla spiaggia e lo dico subito a scanso di equivoci: ho sbagliato, chiedo scusa, restiamo tutti a casa. Non so che cosa mia sia passato per la testa. Quando invado i campi, mi consegno da solo agli steward e alle varie polizie. Abbraccio un calciatore e non fuggo. Qui mi è scattato un meccanismo contrario. Boh».
Come è andata?
«Sono stato "beccato" da un drone della Guardia di Finanza e un finanziere ha iniziato a inseguirmi. Una corsa impari, nessuno lo prenda in giro, per favore: lui aveva gli scarponi e la divisa, io ero bello leggero in tenuta da corsa. È stato facile seminarlo e non mi vanto per questo. A fuga finita mi sono scusato con lui».
Come l' hanno acciuffata?
«Mi sono rifugiato in centro, ma due vigili urbani in moto mi hanno circondato e bloccato. Non ho opposto resistenza, ho chiesto subito scusa».
È vero che le hanno fatto una multa da 4.000 euro?
«No, 400, riducibili a 280 se pagherò entro 30 giorni. E pagherò, ci mancherebbe».
Che lavoro fa?
«L' agente di commercio e con mio fratello gestisco a Montesilvano il ristorante "La fattoria di Nonno Mario". Poi sono calciatore, è per questo che corro». Dove gioca? «Alle Seychelles». Scusi?!?
«Alle Seychelles, le isole sull' Oceano Indiano, in Africa».
In quale squadra? «Nel Victoria City, sono esterno di centrocampo, 14 partite e un gol. Ora il campionato è sospeso anche lì per coronavirus. Siamo ultimi in classifica».
Si guadagna bene?
«Come nella nostra Serie D, ma ho una casa affacciata su 200 metri di spiaggia, sole dalla mattina alla sera, non so se mi spiego. Ho giocato anche in Giordania, nell' Al-Faisaly di Amman, dove ho vinto la coppa nazionale. In estate potrei passare al Tre Fiori San Marino e giocare forse le eliminatorie di Europa League».
Le invasioni di campo?
«Ormai è difficile farle perché sono stato "daspato" ovunque. Conservo ricordi bellissimi e sono diventato grande amico di Antonio Cassano, ogni tanto vado a Nervi a trovarlo. Antonio è un grandissimo. La prima invasione l' ho fatta per abbracciare lui, nel 2010, durante un Samp-Napoli: volevo protestare perché non lo convocavano in Nazionale, uno scandalo. Poi sono entrato sul prato un' altra volta per Antonio a Firenze, in Italia-Far Oer, sempre nel 2010, per festeggiare il fatto che l' avessero chiamato».
Altre imprese?
«Nel 2011 a Wembley, per Barcellona-United finale di Champions, ho messo una sciarpa rossonera addosso a Messi, perché sono tifoso del Milan. Anzi, oggi sono metà milanista e metà del Napoli».
Se l' è mai vista brutta?
«L' anno scorso in Arabia per Milan-Juve di Supercoppa italiana. Mi hanno preso e arrestato, volevano frustarmi. Mi ha salvato il nostro ambasciatore che mi ha imbarcato di corsa sul primo aereo per l' Italia. E, al Mondiale 2010, mi sono fatto tre giorni di carcere sudafricano, dopo che a Durban avevo fatto invasione per Germania-Spagna, una delle semifinali».
Perché lo fa?
«Mi sento un po' Robin Hood, lotto contro le ingiustizie, contro il razzismo e gli abusi sulle donne, voglio ricordare Ciro Esposito (l' ultrà del Napoli ucciso a Roma, ndr ). Ma sono pacifico, mi arrendo subito, e a parte la volta in Arabia, nessuna polizia mi ha mai fatto del male. Sono un ragazzo buono, uno spirito libero».
Gimmo Cuomo per corriere.it il 22 marzo 2020. Riflessioni di un runner ai tempi del covid 19. Fuga per la vittoria? No, meglio: corsa per la libertà. Claudio Velardi, esperto di comunicazione, è rientrato a Napoli una settimana fa, dopo un periodo di vacanza in una località balneare extra-europea. Una breve sosta a Roma e poi il rientro all’ombra del Vesuvio. «Proprio perché mancavo da un po’ - racconta l’ex assessore regionale - non avevo piena cognizione dell’emergenza. Ma, prendendo atto della gravità della situazione e delle norme per il contenimento del contagio, mi sono disposto a lavorare da casa. Benché la mia attività sia fatta di relazioni personali, di incontri e roba del genere, devo dire che in casa sto lavorando moltissimo. Le videochiamate mi impegnano per tutto il giorno. Credo che quando l’emergenza finirà il nostro modo di lavorare e di vivere in generale sarà cambiato irreversibilmente, probabilmente in meglio».
Non le manca il contatto con il luogo di lavoro?
«Certamente ora non posso scherzare con i colleghi, non posso concedermi una pausa per andare giù al bar a prendere un caffè: sto mettendo a posto documenti, aggiornando pratiche. L’unico sfogo che mi resta è la corsa».
Da molti anni Velardi si mantiene in forma scendendo in strada di buon mattino. Ora però anche la corsa è vietata dalle disposizioni del governatore De Luca.
«Il problema si è posto intorno al giorno 11. Ne ho fatto oggetto anche di un post su Twitter. Tra gli altri, mi ha risposto anche Antonio (Bassolino, ndr ). Ci siamo presi in giro, lui mi ha rassicurato: correre non era ancora vietato».
E allora?
«Ho iniziato ad uscire intorno alle 7 nella città semi deserta. Mi sono tolto lo sfizio di contare quante persone fossero per strada durante il mio giro abituale che inizia alla Riviera di Chiaia, prosegue fino a largo Sermoneta, e dopo, a ritroso verso piazza Vittoria. La mattina del 13, a parte i tassisti e gli operatori dell’Asia, ho incrociato 38 persone e 14 cani».
E il divieto?
«Ci arrivo. Martedì mattinano, verso le 7 e un quarto, mi hanno fermato due vigilesse, peraltro molto gentili ma anche molto decise, che mi hanno informato che non avrei potuto essere lì. Altrettanto cortesemente, ho fatto presente di aver ascoltato, la sera precedente, De Luca in tv che pareva aver ridimensionato la sue indicazione riguardo ai runners, specificando le restrizioni si riferivano prevalentemente alle passeggiate e ai bivacchi sulle panchine».
E loro?
«Mi hanno mostrato l’ultima parte dell’ordinanza, scritta in grassetto, e invitato a tornare a casa. Dopo essere rientrato, per saperne di più, ho inviato un messaggio a un amico dirigente della Regione, che mi ha confermato l’estensione del divieto».
A questo punto, scarpette momentaneamente appese al chiodo?
«È venuta fuori quella piccola componente anarchica che è in ognuno di noi allo stato latente. E così ho deciso di anticipare la discesa alle 5. Che pericolo avrei rappresentato? Il primo giorno tutto bene. La città era davvero deserta. Ma stamattina (ieri, ndr ), alla stessa ora, in piazza Vittoria, sono stato fermato da una pattuglia di militari che mi hanno apostrofato dicendomi che mentre io correvo la popolazione moriva. Nel corso di questa discussione, è arrivato un signore che stava camminando a passo veloce. Anche a lui è stato intimato di rientrare”.
A questo punto si arrende?
«Certamente non posso dire che oggi tornerò a correre. Ma a questo punto mi pongo un problema».
Quale?
«Premetto di essere ligio alle regole, e di voler osservare le leggi, anche se non mi sfugge che qualche giurista autorevole ha osservato che le direttive regionali non possono andare oltre le norme nazionali. Io penso che il vero tema sia più profondo. Sono convinto che la democrazia, senza dubbio, è la forma di governo più forte e più bella che esista. E tanto più forte e bella è quanto più sa essere ragionevole, tollerante, flessibile, adattabile, quanto più lascia spazio alla responsabilità individuale».
E questo nel caso specifico cosa vuole significare?
«È evidente che se uno corre per strada alle 5 di mattina non arreca alcun danno alla lotta contro il virus. Non si determinano contatti o, peggio, assembramenti pericolosi che giustamente si vogliono e si debbono evitare».
Pare di capire che secondo lei ci sarebbero dei limiti anche alle prescrizioni e ai divieti?
«Dico solo che se si calca troppo la mano e ci si affida in maniera sempre crescente a provvedimenti restrittivi e repressivi, significa che, da parte della classe dirigente c’è una sfiducia di fondo nei confronti dei cittadini».
Si potrebbe obiettare che molti comprendono solo le maniere forti?
«È vero. Spesso la gente è contenta perché ama essere suddita. È altrettanto vero che, se è lasciata totalmente libera, se ne frega. Se, invece, qualcuno ti impone con la forza certi comportamenti, obbedisci senza discutere e, magari, particolare deprecabile, ti trasformi anche in un delatore».
Problema culturale?
«Esatto. C’è un deficit di cultura liberale. La classe dirigente che prende provvedimenti draconiani e la gente che, in assenza, fa i fatti suoi sono due facce della stessa medaglia».
Cosa direbbe allora a De Luca?
«Vincenzo è un uomo colto e preparato. Ma quando impazza sui social non mi piace. I cittadini così non crescono. Sconfiggeremo il virus la ma la gente non sarà migliorata. Resteremo nella logica della mazza e panelle . Comunque l’importante è sconfiggere questo dannato virus».
Senza perdere di vista le liberta?
«Per quanto lo consentono i tempi dobbiamo cercare anche di salvaguardarle».
Coronavirus, runner nel mirino: fotografati e messi alla gogna su Facebook. Il decreto per contenere il contagio da Coronavirus non vieta, per ora, l'attività fisica all'aperto. Nonostante ciò un numero sempre crescente di odiatori si sfoga con insulti gratuiti. Un modo per non vedere la gente correre però c'è: stare a casa. Nicola Cendron il 19 marzo 2020 su Trevisotoday.it. L'ultima triste moda che si sta diffondendo sempre più sui social, in questi giorni di isolamento per contenere il contagio del Coronavirus, è quella di dileggiare runner o podisti, talvolta addirittura fotografandoli a loro insaputa e pubblicando le loro foto su Facebook. Episodi di grave inciviltà come questi si stanno moltiplicando in numerosi gruppi della provincia di Treviso mentre il numero di post contro gli amanti della corsa sono decine e decine. Tralasciando la condotta illegale di chi compie questo tipo di azioni (rischia infatti una denuncia per una serie di reati), è giusto mettere un punto sulla materia: l'attività all'aria aperta, attualmente è consentita, almeno fino a quando il Governo ci dirà che è espressamente vietata. Aldilà di inviti, appelli, più o meno urlati, basta agire seguendo la luce della legge e quella del buon senso. Runner e podisti, correndo in zone verdi, in totale solitudine, non provocano in nessun modo la diffusione del coronavirus, diversamente da chi passeggia in gruppo la domenica mattina tra decine di altre persone. E' più probabile che il contagio si diffonda maggiormente da chi esce ogni giorno per andare a fare la spesa (i supermercati sono sempre gremiti in questi giorni) o chi è costretto a lavorare, nelle fabbriche e in altri posti di lavoro, dove a volte è davvero difficile mantenere le distanze di sicurezza. Certo, molti diranno che correre è un'attività futile ma è altrettanto vero che tra quelle consentite non è certamente la più pericolosa o maggiore fonte di contagio. Tornando ai tanti odiatori che si stanno moltiplicando su Facebook, consigliamo loro un buon metodo per non vedere la gente in giro, correre o camminare: rimanere a casa. Pare scientificamente provato che è impossibile vederli se si rimane tra le mura domestiche, senza magari piantonare finestre e terrazzi come cecchini. Personalmente stamattina, poco dopo le 8, sono uscito a correre (come sono costretto a fare da quando le palestre sono state chiuse, così come i campi da calcetto), favorito dal trovarmi in una zona vicina alla campagna che circonda Treviso: partendo da casa mi sono spinto per tre chilometri nei campi per poi fare ritorno a casa. Una sgambata di poco più di mezz'ora nel silenzio delle strade deserte. Ho incontrato lungo il mio tragitto solo due persone (a spasso con il cane) oltre ad alcune auto, molte meno rispetto solo a due giorni fa. L'impressione è che i cittadini, per la stragrande maggioranza, stanno rispettando le regole e agiscono nel buon senso.
Zaia pronto a varare misure più restrittive. «Non avrei mai pensato come amministratore di dover ogni giorno leggere il numero dei morti, oggi siamo a 115 decessi, è un bollettino di guerra», prende avvio da questa amara considerazione il governatore del Veneto Luca Zaia per il consueto punto stampa di oggi, giovedì 19 marzo, dedicato all'emergenza coronavirus. Il governatore Zaia ha quindi subito specificato: «Ho parlato già stamattina con il ministro della Salute Roberto Speranza, ma se il governo non adotta misure più restrittive mi vedrò costretto ad adottare, per quanto possano stare in piedi, delle ordinanze regionali. Spero, - ha quindi sottolineato Zaia - che si adottino misure più restrittive per quel che riguarda i passeggi, le corsette e quant'altro. Mi spiace, ma l'alternativa sono ricoveri, terapie intensive e contagi. Mi auguro anche che il governo si decida a chiudere i negozi la domenica, perché non è indispensabile andare a fare la spesa la domenica».
Bonaccini: «In Emilia quadro allarmante Ho fermato i runner senza aspettare Roma». Pubblicato giovedì, 19 marzo 2020 su Corriere.it da Daniela Corneo. Per primo in Italia, precedendo anche il premier Giuseppe Conte, ha firmato un’ordinanza che dà una risposta definitiva sullo sport ai tempi dell’emergenza coronavirus, un tema che negli ultimi giorni ha diviso gli italiani. Il presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, oltre a chiudere i parchi nella Regione che guida, ha vietato tutto: jogging, passeggiate, lunghe «gite» con il cane, giri in bici. Si sta vicini alla propria abitazione e ci si sposta solo per motivi improrogabili. Punto.
Bonaccini, ha fatto un’ordinanza che non lascia spazio a interpretazioni. Lei vorrebbe venisse estesa a tutto il Paese?
«Sono ancora troppi quelli che si spostano senza vere necessità. Credo serva qualche altra misura restrittiva, cosa che il Governo sta valutando di fare: non possiamo rischiare per colpa di alcuni irresponsabili».
C’è chi ha criticato il provvedimento, invocando principi di libertà personale.
«Sono pronto ad accompagnare chi dice di non poter rinunciare a fare jogging in uno dei nostri reparti di terapia intensiva, e tutto gli sarà più chiaro. Ci sono donne e uomini sottoposti a cure pesanti, diversi purtroppo muoiono, ma dietro i numeri che leggiamo ogni giorno ci sono delle persone. Per me le persone non saranno mai numeri».
Coronavirus. Il Tar Campania respinge il ricorso contro il divieto di fare passeggiate e jogging. Il Corriere del Giorno il 19 Marzo 2020. Rigettata l’opposizione contro l’ ordinanza del presidente della Regione Campania De Luca, contenente il divieto di fare passeggiate e jogging. Il Tar Campania ha respinto il ricorso presentato contro l’ordinanza del Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, con la quale è stato introdotto il divieto di fare passeggiate e jogging per contenere la possibile diffusione del contagio del CoronaVirus. Le toghe amministrative del Tar Campania, con un decreto cautelare monocratico depositato nei giorni scorsi, ha respinto l’istanza cautelare di sospensione dell’ordinanza del Presidente della Regione (del 13 marzo) e del Chiarimento (del 14 marzo) che non consentono, tra l’altro, l’attività sportiva all’aperto ritenendola non compatibile con esigenze sanitarie, in quanto “il rischio di contagio, ormai gravissimo sull’intero territorio regionale” e considerata la circostanza che i “dati che pervengono all’Unità di crisi istituita con Decreto del Presidente della Giunta regionale della Campania dimostrano che, nonostante le misure in precedenza adottate, i numeri di contagio sono in continua e forte crescita nella regione” è necessario e giusto conferire “prevalenza alle misure approntate per la tutela della salute pubblica“. I giudici amministrativi hanno fissato la trattazione collegiale per “la camera di consiglio del 21 aprile 2020”.
Coronavirus, Fiorello contro i runner: “Ci meritiamo il coprifuoco”. Redazione Blitz. Pubblicato il 20 Marzo 2020. “Ci meritiamo il coprifuoco”. Parola di Fiorello che così sentenzia sulla polemica che divide gli italiani al tempo del coronavirus. Tra chi continua a praticare sport all’aperto, come del resto consentito anche dalle nuove misure restrittive imposte dal governo, e chi invece auspica e predica il tutti a casa senza deroghe, Fiorello sta con i secondi. Il tweet dello showman è accompagnato da una foto Ansa che ritrae diverse persone che fanno jogging, vanno in bici o semplicemente si allenano all’aperto, in alcuni casi senza rispettare la distanza di sicurezza di un metro richiesta dalle autorità. Fiorello tocca un tasto dolente che in questi giorni infiamma il dibattito sui social. I runner, in molti casi, sono diventati i nuovi untori agli occhi dei più agguerriti. Ma al di là degli assembramenti, che vanno assolutamente evitati, il governo continua a lasciare una finestra di libertà ai cittadini. La nuova ordinanza del Ministero della Salute ha infatti chiuso parchi e giardini pubblici, uniformando su tutto il territorio nazionale quanto già disposto da diversi sindaci. Ma conferma la possibilità di praticare sport all’aperto. A patto che lo si faccia da soli e intorno a casa. Ci toglieranno anche l’ora d’aria?
Melania Rizzoli per “Libero quotidiano” il 20 marzo 2020. Il popolo dei runners italiani, sportivo, allegro e colorato, è improvvisamente diventato sordo, cieco, irresponsabile ed anche miserevolmente incosciente. A nulla sono serviti i drammatici bollettini sanitari comunicati a reti unificate ogni sera in conferenza stampa dalle sedi di Regione Lombardia e della Protezione Civile, con un elenco quotidiano impressionante di morti e ricoverati agonici nei reparti di Terapia Intensiva degli ospedali lombardi e di tutta Italia. Come a nulla sono servite le indimenticabili immagini di questa tragedia, gli appelli accorati di tutte le autorità istituzionali del Paese per invitare la cittadinanza fortunatamente ancora sana a restare a casa, perché è stato accertato che il 40% della popolazione continua ad uscire come se niente fosse, in spregio del pericolo, ed un numero elevatissimo di irriducibili sportivi in tutta Italia continuano a correre come forsennati, andando a bocca aperta incontro al virus, sfidando la sorte con imperdonabile e colpevole ignoranza. Il Coronavirus è l' agente patogeno più contagioso, più veloce, più furbo, insidioso e resistente che abbiamo mai conosciuto in questo secolo, un virus parassita e famelico che cerca cellule respiratorie viventi da infettare, alle quali si attacca, nelle quali si introduce, ne sfrutta il metabolismo, moltiplicandosi nel loro interno fino a farle scoppiare, diffondendo così tutto attorno i suoi virioni, quei derivati virali in embrione pronti ad invadere altre cellule sane, per approfondirsi silenziosi, infiltrarsi e raggiungere il profondo dei polmoni, e replicare all' infinito il loro malefico ciclo vitale, impedendo lo scambio di ossigeno e facendo morire soffocate le sue vittime.
LE VIE AEREE. Ma soprattutto è stato dimostrato che il Covid19 per sopravvivere, una volta espulso dal corpo umano infetto attraverso la bocca parlando o con un colpo di tosse, e attraverso le vie aeree superiori soffiandoci il naso o con uno starnuto, esso rimane sospeso nell' aria in una nuvola di aerosol, cercando di appigliarsi alla moltitudine di particelle atmosferiche che in essa sono sospese, che lo tengono in quota e lo fanno viaggiare e volteggiare a distanza come le foglie al vento, in attesa di essere inalato dal malcapitato del momento. Se poi lo sfortunato viandante è uno sportivo più o meno giovane che si allena correndo a bocca aperta, respirando a pieni polmoni per lo sforzo fisico e muscolare, immettendo ed espellendo quindi una quantità maggiore di aria per lo stesso motivo, le probabilità di inalare o ingoiare il virus sospeso diventano pericolosamente alte, per circa 20-30 minuti, se nel suo percorso è stato preceduto da un ignaro portatore sano del virus, che lo ha diffuso in aerosol prima del suo passaggio. Inoltre gli amanti dello jogging durante la loro corsa generalmente sudano, si affaticano, producono liquidi in quantità elevate, espellono frequentemente secrezioni oro-faringee e nasali, che vengono eliminate in modo naturale e spontaneo durante il veloce tragitto, le quali, se contaminate dal Corona, contribuiscono al diffondersi aereo dell' epidemia. Il momento più pericoloso per un medico in questi giorni è quello in cui esegue un tampone nasale ad un paziente sospetto, poiché, nei due o tre secondi impiegati per estrarre il lungo cotton-fioc dal naso e dalla bocca del potenziale ammalato, se è presente il virus questo, una volta strappato dal suo habitat naturale, può staccarsi dal dispositivo medico e disperdersi nell' aria attorno, con un rischio di contagio molto elevato per tutte le persone che si trovano attorno. Per tale motivo gli operatori sanitari che eseguono questo apparentemente semplice test diagnostico sono sempre protetti al pari dei colleghi che operano quotidianamente nei reparti infettivi dedicati. Questa è anche la ragione per cui non solo è sconsigliato in questo periodo di andare a correre per mantenere l' allenamento fisico e muscolare, ma è assolutamente vietato, proibito, essendo più opportuno, oltre che ragionevole, mantenere in buone condizioni la propria salute e non mettere in pericolo quella degli altri, di tutti coloro che invece rispettano le regole, che si proteggono, che escono dieci minuti ogni tre giorni per gli acquisti essenziali in farmacia e nei negozi alimentari, che si proteggono a dovere e che non si augurano proprio di incontrare, in quel breve ed inevitabile percorso, il cretino di turno che è corso a bocca aperta incontro al virus per diffonderlo attorno a sé e agli altri, e che rientrando a casa lo sparge fin dietro e dentro la porta.
I CAMION MILITARI. Le immagini notturne di Bergamo, con la colonna di camion militari carichi di bare contenenti le centinaia di vittime del Coronavirus, disinfettate e sigillate nelle body-bags, dirette ai forni crematori delle altre province lombarde ed emiliane, essendo quelle della città orobica, pur attive 24ore su 24, non più in grado di far fronte all' emergenza, dovrebbero perlomeno far desistere tutti coloro che hanno la frenesia di evadere dalla quarantena, che si sentono forti e immuni e inattaccabili, ed indurli a riflettere, a considerare che forse è molto meglio restare a casa con qualche muscolo tonico in meno, piuttosto che entrare in forma fisica smagliante, in un forno crematorio che ridurrà in polvere, in meno di un' ora, il loro corpo atletico ed anche il loro cervello.
Ps: Il test Tampone del Covid19 è risultato ancora positivo anche nelle persone decedute, segno che questo virus sopravvive anche alla morte delle cellule che infetta, e che non vede l' ora di uscire per invaderne altre e continuare la sua azione letale. Per tale motivo tutte le salme, prima di essere tumulate o cremate, vengono accuratamente disinfettate. Dai nostri operatori sanitari.
Coronavirus, stop al running in tutta Italia. Redazione runnersworld.it il 20 marzo 2020. Con un'ordinanza del Ministero della Salute, l'attività ludica e ricreativa all'aperto viene vietata fino almeno al 25 marzo. L'attività motoria è consentita solamente in prossimità di casa. L'ordinanza tante volte ventilata è arrivata: l'attività motoria in luoghi pubblici è stata "ridotta" per contribuire a ridurre la presenza di persone nelle strade italiane e per rendere più efficace la lotta al Coronavirus. Sebbene la norma abbia lasciato ancora qualche flebile spiraglio (come quello di allenarsi in prossimità della casa) gli spazi per correre sono da considerarsi decisamente esauriti, almeno fino al 25 marzo. Tanto più che le ordinanze di diversi sindaci sono ancora più restrittive e pongono un ulteriore problema nell'orientarsi nella montagna di divieti nazionali, regionali e comunali. Un provvedimento, quello firmato dal Ministero della Salute, che vorrebbe mettere fine alle precedenti incertezze e ai pasticci che nelle ultime settimane hanno finito per mettere in cattiva luce il movimento dei runner, dividendolo e scatenando polemiche e offese assolutamente fuori luogo, soprattutto in un momento nel quale si chiede a tutti uno spirito unitario e solidale. C'è da giurarci che la formulazione dell'ordinanza "Resta consentito svolgere individualmente attività motoria nei pressi della propria abitazione", darà vita a nuove polemiche e incertezze, quando invece servirebbe assoluta chiarezza per tutti. Sono stati molti i messaggi arrivati in redazione negli ultimi giorni nei quali ci si chiedeva di schierarci. Alcuni si sono dispiaciuti perché non abbiamo seguito la scia di chi gridava ad alta voce stop alla corsa. Chi invece ci chiedeva di difendere le ragioni di quanti vogliono continuare a correre a tutti i costi. Ben sapendo che noi una posizione l'abbiamo presa fin dall'inizio dicendo e scrivendo #rwiorestoacasa. Non abbiamo voluto dare fiato a opposizioni e scontri che avrebbero contribuito a infiammare una situazione già confusa. Il nostro compito è informare e abbiamo cercato di farlo nel modo migliore possibile, fornendo puntualmente aggiornamenti sulle regole, garantendo le voci di esperti per comprendere i rischi per i runner e mostrando tutte le alternative possibili per continuare a tenersi in forma anche senza uscire di casa. Come abbiamo fatto fino ad ora, continueremo a informarvi facendo del nostro meglio per dare notizie il più possibile puntuali e complete. Siamo ben consci che una corsa in campagna, in montagna o nelle realtà della provincia italiana non comporti alcun problema o pericolo di contagio. Ma siamo anche consapevoli che, in un momento come quello attuale, l'uscita contemporanea di meno dell'uno per cento della popolazione delle grandi città possa dare vita a caos e pericoli. Certo, chi pensa che i runner siano gli "untori" e da giorni li addita e li offende come irresponsabili, alla prova dei numeri rimarrà deluso.
Coronavirus, le nuove regole per sport all’aperto, passeggiate nei parchi e supermercati. Pubblicato sabato, 21 marzo 2020 su Corriere.it da Fiorenza Sarzanini. Ecco i punti principali dell’ordinanza del governo che fissa nuove regole e divieti in vista del prossimo 25 marzo, quando dovrà essere rinnovato il decreto firmato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che aveva deciso di chiudere in tutta Italia bar, ristoranti e negozi consentendo le uscite soltanto per «comprovate esigenze di lavoro e familiari». Si farà dunque un nuovo provvedimento della durata di due settimane. Ecco il vademecum con tutte le novità. I centri commerciali, i supermercati e i negozi che vendono alimentari rimangono aperti anche il sabato e la domenica. Le limitazioni chieste da alcuni governatori non sono state accolte dal governo nella convinzione che la chiusura in alcuni giorni avrebbe aumentato la presenza in quelli di apertura. Rimane la regola di entrare uno per volta a seconda della metratura dei negozi e di mantenere la distanza sia all’interno, sia mentre si è in fila fuori. E la raccomandazione di usare guanti e mascherine.
Gli uffici pubblici rimangono aperti. Per gli uffici privati resta la limitazione di dover dimostrare di non poter esercitare l’attività in smart working, ma questo lascia comunque libertà di movimento ai dipendenti. Alcuni uffici pubblici hanno comunque deciso autonomamente di non consentire l’accesso al pubblico, come l’Agenzia delle Entrate-Riscossione che ha chiuso gli sportelli e sospeso i pagamenti, dalla rottamazione alle nuove cartelle fino al 25 marzo, data di scadenza del primo decreto di chiusura.
L’ordinanza emessa dal governo vieta l’accesso del pubblico ai parchi, alle ville, alle aree gioco e ai giardini pubblici. La disposizione serve a impedire alle persone di passeggiare e soprattutto di stare troppo tempo fuori di casa. Per questo anche le passeggiate con il cane potranno essere effettuate in prossimità della propria abitazione e per un tempo limitato. Le aree verdi senza recinzione saranno vigilate dalle forze dell’ordine oppure dai soldati per impedire a chiunque di entrare.
Nuove limitazioni per lo sport all’aperto, compreso fare jogging. Secondo l’ordinanza «non è consentito svolgere attività ludica o ricreativa all’aperto». La decisione del governo «consente di svolgere individualmente attività motoria in prossimità della propria abitazione, purché comunque nel rispetto della distanza di almeno un metro da ogni altra persona». E dunque non sarà possibile andare sulle piste ciclabili o comunque in giro per città e paesi a fare una corsa.
Si è deciso di «chiudere gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, posti all’interno delle stazioni ferroviarie e lacustri, nonché nelle aree di servizio e rifornimento carburante, con esclusione di quelli situati lungo le autostrade, che possono vendere solo prodotti da asporto da consumarsi al di fuori dei locali; restano aperti quelli siti negli ospedali e negli aeroporti, con obbligo di assicurare in ogni caso il rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro». L’ordinanza mira a impedire che le persone possano trasferirsi, in particolare nel fine settimana o durante le festività. E infatti «nei giorni festivi e prefestivi, nonché in quegli altri che immediatamente precedono o seguono tali giorni, è vietato ogni spostamento verso abitazioni diverse da quella principale, comprese le seconde case utilizzate per vacanza». Dunque nessun trasferimento dal venerdì al lunedì. E negli altri giorni soltanto per motivi gravi di lavoro o familiari. Per ordine del Viminale sono stati intensificati i posti di blocco e i pattugliamenti per i quali potranno essere impiegati anche i militari per controllare la regolarità dei moduli di autocertificazione di chi si sposta. I cittadini dovranno consegnare il modulo già compilato e se non lo hanno a disposizione, compilare quello che verrà fornito da chi li ha fermati. Dovranno poi consegnarlo in modo che anche successivamente si potranno effettuare riscontri su quanto hanno dichiarato.
Il nemico sbagliato, la soluzione sbagliata contro il coronavirus. Il governo ha operato una nuova stretta di contrasto alla diffusione del coronavirus, chiudendo parchi e giardini e limitando la possibilità di attività motoria all’aperto. Mentre facciamo la guerra ai runner, intanto, decine di migliaia di italiani vanno tutti i giorni al lavoro, prendono i mezzi pubblici e operano in zone ad altissimo rischio. Ecco, sarebbe il caso di smetterla con le scemenze. Adriano Biondi su Fan Page il 20 marzo 2020. Mettiamola nel modo più diretto possibile: se pensate che la crescita dei numeri sulla diffusione del coronavirus dipenda dalla scelta del governo di consentire l'attività fisica all'aria aperta e di chiudere un occhio sulle passeggiate con o senza cani e di conseguenza siete convinti che sia necessario mobilitare l'esercito su tutto il territorio nazionale per aumentare i controlli e punire i trasgressori, allora non siete completamente lucidi. Comprensibile, certo, data l'eccezionalità della situazione e l'enorme carico di emotività che influenza ogni ragionamento di senso sulla pandemia globale e sugli enormi rischi per il nostro Paese. Ma in un momento del genere non possiamo, non dobbiamo e non vogliamo permetterci di perdere tempo dietro polemiche inutili o di convogliare energie verso soluzioni inefficaci, inutili e persino dannose. Detto ancora più schiettamente: la situazione è drammatica, perdere lucidità significa sprecare tempo e risorse, sprecare tempo e risorse significa peggiorare le cose, peggiorare le cose significa causare più morti. La polemica sui runner, sui passeggiatori, su chi porta a spasso il cane è dannosa per molte ragioni. In primo luogo perché ha pervaso il dibattito al punto da influenzare le scelte dei decisori e catalizzare completamente l'attenzione dell'opinione pubblica. Un'onda imponente, che ha portato già alcune regioni a varare autonomamente una ulteriore stretta nelle norme di distanziamento sociale (Campania, Veneto, Sicilia) e a ottenere dal governo la possibilità di utilizzare i militari per il pattugliamento delle strade e il rispetto delle regole. Ora anche a una nuova ordinanza, pleonastica, sostanzialmente inutile. Ora, direte voi, cosa c'è di sbagliato? Davvero le persone non possono rinunciare alla corsetta e non riescono a capire che devono stare a casa? Perché non possiamo usare l'esercito per controllare che si rispettino le ordinanze e le leggi? Partiamo da qualche concetto-base, che spero vi sia chiaro: chi dice che la diffusione del coronavirus dipende dal fatto che la gente sia in strada a fingere di allenarsi sta dicendo una mezza scemenza; chi vi fa credere di poter arginare l'epidemia con la sola presenza dell'esercito in strada vi sta mentendo; chiunque abbia una responsabilità di governo o istituzionale e ipotizza un link fra il mancato rispetto dei provvedimenti del governo e la morte delle persone sta facendo un pessimo servizio al Paese. Pare evidente, che la possibilità che un runner entri in contatto con altre persone in modo tale da ampliare la diffusione del coronavirus sia marginale, dato che quasi per definizione si tratta di uno sport individuale (non parliamo degli imbecilli, ovviamente, quelli ci sono ma per fortuna sono una quota molto marginale). Così come è chiaro che sia materialmente impossibile appurare la differenza tra "uscire di casa per comprare le sigarette" (concesso) e "uscire di casa per andare fino al tabaccaio senza comprare le sigarette" (vietato). Serve responsabilità, siamo sempre lì. Di contro, mentre noi siamo impegnati nella caccia ai passeggiatori – corridori, centinaia di migliaia di persone si recano tutti i giorni sul posto di lavoro, prendono i mezzi pubblici, frequentano persone ad altissimo rischio. Mentre il governatore Vincenzo De Luca insegue i ciclisti sul lungomare di Salerno, da settimane i medici e gli operatori sanitari della Campania assistono e curano i pazienti senza le necessarie dotazioni di sicurezza, contagiandosi e moltiplicando incolpevolmente il rischio di contagio. Mentre il governatore Attilio Fontana alza la voce per la chiusura dei supermercati e per incrementare i controlli sui milanesi a spasso sui Navigli (tanti imbecilli anche qui, eh), nei capannoni del bresciano e della bergamasca stiamo letteralmente mandando al macello migliaia di persone, che continuano a produrre, lavorare e muoversi in zone ad altissimo rischio. Mentre tutti urliamo agli anziani che passeggiano sotto casa "ma dove cavolo andate?", li stiamo abbandonando nelle case di riposo, senza riuscire neanche ad andare a fare tamponi e isolare i contagiati. Mentre ci dividiamo sui metri da percorrere con il proprio cane (saranno meglio 100, 300 o 500?), non riusciamo nemmeno a elaborare una strategia comune per il campionamento dei malati, non facciamo i tamponi, non sappiamo la portata del disastro e non abbiamo idea di come e quando tutto ciò finirà. Non è benaltrismo, ma dare il giusto peso e rilievo alle questioni che contano. E ovviamente, governo e istituzioni stanno andando esattamente nella direzione opposta, come testimonia la scelta probabilissima di mobilitare l'esercito, caldeggiata da molte Regioni e peraltro già operativa in altre. Io capisco che possa avere il suo fascino (più o meno, insomma) sentire qualcuno chiedere di "militarizzare le città", di "usare il lanciafiamme" e di usare metodi persuasivi per far rispettare i divieti. Capisco che possa restituire una certa sensazione di sicurezza, di confortante decisionismo e di consapevolezza della portata del rischio. Il problema è che i fatti sono ostinati e con la propaganda si scontrano spesso e volentieri. E dicono che l'esercito nelle strade, date le condizioni attuali, non serve a nulla, se non a incasinare ancor di più le cose. Mettiamo per un attimo da parte le considerazioni di carattere politico e ideologico (che non sono proprio sciocchezze), per concentrarci sui fatti e sui numeri. Ieri le forze dell'ordine hanno operato oltre 200mila controlli e fatto 9mila denunce per mancato rispetto delle norme, contestazioni che dovranno anche essere provate. Torniamo sempre allo stesso punto: il problema non sono le persone che sono in giro violando le norme, ma quelle che sono in giro rispettando le norme, che vanno al lavoro, che prendono i mezzi pubblici e via discorrendo. Mobilitare una macchina costosa e farraginosa come quella dell'esercito, poi, solleva altri problemi. Come ho provato a spiegare qui, l'unico modello più o meno sensato potrebbe essere quello che si basa sull'operazione Strade Sicure (e infatti Guerini ha già fatto capire di voler riassegnare quel personale), che prevede la possibilità per i militari di agire con funzioni di agenti di pubblica sicurezza e di intervenire “al fine di prevenire o impedire comportamenti che possono mettere in pericolo l’incolumità di persone o la sicurezza dei luoghi vigilati”, acquisendo la possibilità di procedere a identificazioni e perquisizioni dei cittadini, nell’ottica di far rispettare l’ordine dell’autorità. Estendere però questa facoltà a un numero molto ampio di militari (la "militarizzazione delle città", appunto), ha molti problemi collaterali. Primo, i militari italiani non sono formati per compiere funzioni di questo tipo e per rivestire il ruolo di pubblici ufficiali, non avendo le basi minime di competenze giuridiche necessarie. Secondo, anche da PU non avrebbero funzioni di polizia giudiziaria e dovrebbero ricorrere al supporto di carabinieri e polizia per completare gli accertamenti. Terzo, perché in ogni caso "si troverebbero a dover utilizzare delle armi spuntate, dal momento che la formulazione delle indicazioni governative è piuttosto vaga e permette una serie di eccezioni e giustificazioni che amplia di molto la possibilità di aggirare il divieto o comunque di giustificare eventuali inadempienze". Si tratta, in definitiva, di argomenti distorsivi del dibattito pubblico, di grandi armi di distrazioni di massa che ci allontanano dalle vere questioni. Che sono tante e alcune di tremenda gravità. La verità è che non ci stiamo capendo molto, soprattutto perché abbiamo delle situazioni palesemente fuori controllo. Ciò che sta accadendo in Lombardia è sostanzialmente senza spiegazione, come nota Ilaria Capua: stiamo navigando al buio, non sappiamo cosa accadrà domani e perché sta accadendo tutto ciò in queste proporzioni, abbiamo troppe domande e nessuna risposta. È anche per questo motivo che occorrerebbe uno sforzo di serietà da parte di tutti, come ha ricordato anche il ministro Boccia, chiedendo alle Regioni di smetterla con le iniziative motu proprio e di concentrarsi su poche e fondamentali cose, come l'aumento dei posti di terapia intensiva e delle dotazioni di sicurezza per il personale sanitario. Saranno necessari ulteriori sacrifici, lo sappiamo. Sarà necessario, forse giusto, chiudere davvero tutto. Ma proprio per questo è fondamentale che le istituzioni smettano di considerare i cittadini come dei bambini cui raccontare storielle rassicuranti, con soluzioni semplici a problemi tremendamente complessi. Anche perché, se tratti qualcuno come un bambino di 10 anni, poi non puoi stupirti che si comporti come un bambino di 10 anni, con capricci e gesti di disubbiedienza.
Morte al Runner. Gianfrancesco Turano il 20 marzo 2020 su L'Espresso. L'immeritocrazia e l'improvvisazione di una classe dirigente si vedono nell'erraticità dei suoi divieti. Si discute in queste ore se passare per le armi i runner, categoria meritevole di sanzioni a prescindere, dopo avere detto ai runner che potevano continuare a fare come meglio credevano. Il meccanismo è identico a quello applicato a imprese e impresine della Lombardia profonda, nella bergamasca, nel bresciano, nel cremasco, dove ci sono tassi di letalità mostruosi. Si inizia mettendo al primo posto la salvaguardia delle attività produttive. Poi si selezionano le aziende indispensabili. Poi si chiudono anche quelle. Infine si manda l'esercito con i tank a presidiare i cancelli quando ormai l'etica calvinista dei danè e l'ipercinetismo hanno sparso il contagio nel raggio di centinaia di chilometri. La rateizzazione dei divieti è, evidentemente, una delle cause principali della diffusione del Covid-19 insieme alla carenza di munizioni e dispositivi difensivi che finora ha ucciso quattordici medici e ha infettato 3500 lavoratori della sanità. Di fronte a un fallimento così trionfale e innegabile, perché perdere una guerra nonostante mille eroismi è una specialità italiana, scatta la caccia all'untore. È il jogger, è il passeggiatore che dopa il suo cane con i diuretici, è l'accaparratore che va in ansia se scende sotto il quintale di spaghetti pro capite, è il vecchio ultraottantenne che se ne frega di morire e figurarsi di finire sotto processo per dichiarazione infedele da qui a un secolo, quando i tribunali avranno smaltito gli arretrati di processi un po' più urgenti. In questo modo, la responsabilità viene trasferita dal rappresentante politico all'elettore o, in termini di impresa, dal dirigente al subordinato. Lo aveva già fatto in grande stile il generale Luigi Cadorna dopo Caporetto. A Milano gli hanno intestato una grande piazza con relative fermate della metropolitana. Che poi l'elettore sia l'immagine a specchio del politico e che il subordinato lotti una vita per diventare un dirigente vessatore, non migliora la situazione. La giornata di ieri, la più brutta finora in quanto ai dati, offre qualche spunto di tendenza interessante al di là del semplice riferimento al sorpasso della Cina nei morti. Che da noi sia peggio della Cina si è capito da un pezzo e, del resto, la Cina sarà abbondantemente superata anche nel numero di casi. A questo ritmo, ci vorrà una settimana. Ieri però per la prima volta la Lombardia scende sotto il 50% del totale nazionale sia nelle positività rispetto a ieri (2171 su un totale di 4480) sia nei decessi (209 su 427 in Italia). È il segnale chiaro di una diffusione sempre più capillare (40193 casi) anche ammettendo quanto sostiene la dottoressa che in tv faceva l'elogio funebre di Marcello Natali, segretario dei medici di base di Lodi morto ieri l'altro, ossia: le positività reali in Lombardia sono cinque volte quelle dichiarate e una marea di contagiati è chiusa in casa a provarsi la febbre ogni tre minuti e a chiedersi se il respiro è chiuso dall'ansia o dalla bestia. Sulla stessa linea il professor Enrico Bucci che ha sostenuto su Repubblica la totale inaffidabilità dei dati lombardi, sia nei positivi sia nei deceduti. E tuttavia se entrambe le voci sono molto più alte, alla fine le percentuali potrebbero essere all'incirca le stesse: un morto su dieci contagiati. Sul territorio nazionale i positivi di un giorno (4480) superano i guariti totali dall'inizio del conteggio (4440). Se qualcuno pensa che queste siano pessime notizie, ne riparliamo fra una settimana da oggi. Per chiudere su una nota lieta, i cinesi aggiungono zero nel pallottoliere del Cov-Sars-2. La ricerca di ulteriori note liete non ha prodotto risultati di sorta, se si esclude la svolta a sinistra della giunta Fontana che ha abbracciato il marxismo nella doppia versione maoista (medici cinesi) e non allineata (medici cubani). Pagina delle fac nius che diventeranno tru nius. Il numero uno della Lega calcio di serie A, Paolo Del Pino, lancia un appello per chiedere l'intervento del governo (in chiaro, soldi del contribuente). I cittadini italiani stanno per ricevere l'Iban grazie al quale possono effettuare versamenti ad Andrea Agnelli, Aurelio De Laurentiis, il fondo Eliott, il gruppo Suning e via elencando. Donate generosamente. Altra piccola buona notizia, a ben vedere. Per gli amanti della palla a spicchi come il nostro Stepback, segnaliamo che non scappa ma resta in Italia Kaleb Tarczewski, pivottone Usa dell'Olimpia. Non sarà Bill Walton e forse nemmeno Kim Hughes, ma sempre piaciuto Tarczewski. Ora, di più. Domani, per il post di fine settimana, in arrivo un concept album o forse un long read o, meglio, un'inchiesta vecchio stile. Talmente vecchio stile che è su un fatto di 400 anni fa.
Dagli al runner untore! Rodolfo Lollini 17 Marzo 2020 su podisti.net. La scena della caccia all'untore di Francesco Gonin, autore delle illustrazioni dell'edizione del 1840 de "I promessi sposi". Ne “I promessi sposi” si racconta come nella Milano del 1630, durante la terribile epidemia di peste, chi era sospettato di propagare il contagio, ungendo persone e cose, veniva definito “Untore”. Anche Renzo venne scambiato per uno di loro, ma riesci a cavarsela, evitando di essere linciato dalla gente inferocita. Anche perché senza più il protagonista principale, non ci sarebbe potuto essere il lieto fine con l’amata Lucia ;-). Se al protagonista del romanzo di Manzoni è andata bene, non sappiamo cosa succederà ai poveri runner, moderni untori di Coronavirus. Eh si, perché sta salendo un movimento trasversale che a dispetto di quanto chiarito dal Governo e dall’Istituto Superiore di Sanità, ovvero che la corsa è permessa e non provoca pericolo, odia i presunti propagatori d’infezione in pantaloncini e GPS. Movimento che parte dalla influencer per definizione. Quella più nota che però per dispetto, lo ammettiamo siamo invidiosi di tanto successo, non nominiamo. In ogni caso c’è d’aver paura, visto il seguito che ha e non stiamo scherzando. Movimento che tocca tante persone, tra cui un giudice che intervistato da una TV nazionale piazza una filippica contro i furbetti che s’infilano un paio di scarpe da ginnastica approfittando di questo trucco per stare in giro tutto il giorno… Ovviamente il titolista della testata sintetizza magistralmente così:” Ma si può andare a correre? Per il magistrato Valerio De Gioia può essere contagio colposo”. A questo punto si potrebbe ironizzare sull’autorevolezza della testata stessa e su quello che è stato il suo direttore per 20 anni. Ci si potrebbe anche domandare perché invitare un magistrato che chiede leggi più dure. Noi eravamo restati alla divisione tra i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Non che un giudice non possa dire la sua, ma forse sarebbe meglio che lo facesse presentato come un libero cittadino, altrimenti si finisce per aumentare i dubbi della gente, come se il parere di un magistrato sia legge. Mentre non essendo l’Italia un paese anglosassone, non fanno giurisprudenza neppure le sentenze passate in giudicato…” Ma si può andare a correre? Per il magistrato Valerio De Gioia può essere contagio colposo”. Tradotto da chi legge solo i titoli con la facile formula: runner untori e fuorilegge. E si sa che al giorno d’oggi, tra formule brevi, facili da ricordare ma e sbagliate e risposte corrette, ma un po’ complicate non c’è corsa. Come in politica, vince sempre chi usa il primo sistema.
Runner, untori e il bisogno di odiare chi esce da casa. Dario Ancolla su L’Inkiesta il 20 marzo 2020. L'immagine dei settanta mezzi militari che portano le salme delle vittime di coronavirus fuori da Bergamo, per condurle nei forni crematori delle località vicine, ci riporta l'esatta dimensione della tragedia che stiamo vivendo. Anche come spettatori passivi, nella solitudine delle nostre dimore. Quell'immagine ci mette in contatto con l'emergenza reale dei luoghi maggiormente colpiti dall'infezione: troppi contagi, un sistema sanitario quasi al collasso, l'enorme numero dei decessi.
Quell'immagine, insieme all'orrore che ha suscitato, mi riporta a una reminiscenza scolastica: il carro con i cadaveri delle persone colpite dalla peste, così come descritto nel XXXI capitolo de I promessi sposi. Manzoni così scriveva: «I cadaveri di quella famiglia furono, d'ordine della Sanità, condotti al cimitero suddetto, sur un carro, ignudi, affinché la folla potesse vedere in essi il marchio manifesto della pestilenza. Un grido di ribrezzo, di terrore, s'alzava per tutto dove passava il carro; un lungo mormorìo regnava dove era passato; un altro mormorìo lo precorreva». Non voglio ovviamente sostenere che i mezzi militari siano stati consegnati alla visione del pubblico per generare un effetto simile a quello descritto dallo scrittore lombardo – la misura si rese necessaria per far capire al popolo ancora titubante che il contagio di peste c'era davvero – ma l'eco della paura che queste immagini si lasciano dietro, con il mormorio che precede e segue, è di natura analoga. A rileggere i due capitoli che parlano della peste a Milano si possono rintracciare straordinarie somiglianze con quanto tutti e tutte noi stiamo vivendo adesso, man mano che i numeri sui contagi e le vittime vengono aggiornati a cadenza quotidiana. E a parer mio, quelle pagine andrebbero rilette per capire un po' meglio cosa sta succedendo nell'Italia del 2020 che si trova a dover gestire il Covid-19. Facciamo un passo in avanti, rispetto a I promessi sposi, e torniamo alla nostra quotidianità. Riporto le parole di un mio contatto su Facebook. Si chiama Paola (nome di fantasia) e lavora in fabbrica. È una di quelle persone che non possono stare a casa, insomma, e scrive: «Sono stanca. Psicologicamente e fisicamente stanca. Esco dal lavoro e mi fermo al semaforo rosso. Ho giù il finestrino, mi godo il sole. Sento un urlo "stai a casa assassina! Dovete stare a casa sennò ci uccidete tutti!". Mi giro e dalla cascina che costeggia la strada, una tizia alla finestra sta gridando. Proprio rivolta a me». La donna alla finestra l'ha vista fuori casa e la sua reazione è violenta. «Una tizia che non mi conosce, che non sa nulla della mia vita, non sa perché sono fuori casa, si sente in diritto di gridarmi le sue frustrazioni dalla finestra. Non ci siamo mai viste prima ma lei, sicura tra le mura domestiche intenta a salvare il mondo, giudica me, l'assassina fuori casa senza motivo». Non è l'unico caso. Tra le bacheche dei miei amici, il "restare a casa" è più di un obbligo dovuto a una misura governativa. È un discrimine morale. Fa la differenza tra la vita e la morte. E se esci diventi un assassino. In automatico. Tornando alla peste di Milano e a I promessi sposi, ciò che Manzoni scrive di quel contagio è analogo a molte cose che abbiamo visto nelle settimane passate. All'inizio pochi casi, qua e là, nel territorio. Alle voci lontane di ciò che avveniva altrove, il popolo ha prima minimizzato, sottovalutando le prime avvisaglie d'allarme: «Ma [...] ciò che fa nascere un'altra e più forte maraviglia, è la condotta della popolazione medesima, di quella, voglio dire, che, non tocca ancora dal contagio, aveva tanta ragion di temerlo. [...] sulle piazze, nelle botteghe, nelle case, chi buttasse là una parola del pericolo, chi motivasse peste, veniva accolto con beffe incredule, con disprezzo iracondo». Nel romanzo troviamo anche la necessità di trovare un paziente zero: «Il Tadino e il Ripamonti vollero notare il nome di chi ce la portò il primo, e altre circostanze della persona e del caso» possiamo leggere. L'autore ricorda che «nasce una non so quale curiosità di conoscere que' primi e pochi nomi che poterono essere notati e conservati». Dopo di che, non appena ci si convince che il problema è reale, scatta un secondo meccanismo: trovare una categoria sulla quale far ricadere la colpa di quanto avvenuto. Ne I promessi sposi questa categoria era quella dell'untore: «Contro di essi» leggiamo sul sito della Treccani, «si scatenò spesso l’ira popolare, e si dette anche corso a persecuzioni giudiziarie». Gli untori nell'Italia di oggi non sono persone che impiastrano i muri con sostanze appiccicose e unte. Sono, invece, quanti e quante decidono di uscire di casa. E oggi, come nella Milano della peste, le persone affacciate ai balconi o connesse ai social sul proprio monitor del computer osservano attente per scoprire chi "infrange la legge", con tanto di delazioni e fotografie e pubblicate su Facebook, per consegnare alla gogna pubblica il colpevole di turno: «Gli animi, sempre più amareggiati dalla presenza de' mali» leggiamo nel XXXII capitolo, questa volta, e «irritati dall'insistenza del pericolo, abbracciavano più volentieri quella credenza: ché la collera aspira a punire: [...] le piace più d'attribuire i mali a una perversità umana, contro cui possa far le sue vendette, che di riconoscerli da una causa, con la quale non ci sia altro da fare che rassegnarsi». E quindi: «Con una tal persuasione che ci fossero untori, se ne doveva scoprire, quasi infallibilmente: tutti gli occhi stavano all'erta». La parola che oggi sembra aver sostituito "untore", con tanto di trasmigrazione di significato, è quella di runner. Coloro che vanno a fare attività fisica all'aperto. E, più in generale, chi non sta a casa. Uscire all'aperto per fare attività fisica è qualcosa che i decreti attualmente in vigore permettono (sebbene alcuni enti locali hanno già avviato delle restrizioni). Si legge, infatti, sul sito del Ministero dell'Interno alla voce "Spostamenti": «L’attività motoria all’aperto è consentita purché non in gruppo. Sono sempre vietati gli assembramenti». Mi rendo conto che, nel momento in cui scrivo – giovedì 19 marzo, ore 13:21 – questa possibilità è messa in discussione. Ancora in troppi non si rendono conto della differenza tra poter usufruire di una libertà e abusarne. E, come avviene spesso, il rischio è quello che la venga tolta a chiunque. Eppure fare attività fisica è, per ora, permesso. Da soli e mantenendo le distanze di sicurezza. È una questione di salute, anche mentale. Non tutte le persone vivono in appartamenti grandi. Non tutte le persone hanno un balcone o un terrazzo fiorito, dove prendere il sole. Molte persone hanno bisogno di un momento all'aria aperta – e parlo di chi si comporta con senso di responsabilità – per ragioni di equilibrio psico-fisico. E la salute mentale è salute. Tutto questo per dire, anche, che andrebbe tenuta ben presente una differenza tra chi si avvale di tale possibilità seguendo le regole e chi ne abusa. Gridare, indistintamente, assassino a chiunque (come Paola, magari, che va a lavoro perché deve) è un modo come un altro di avvelenare il clima sociale. E ciò non è salutare. Non sono l'unico che si interroga sull'enormità di questo atteggiamento collettivo, per cui il runner – novello untore – o chi va fuori casa, per svariati motivi, è visto come un criminale da additare e punire, senza se e senza ma. «Siamo sicuri davvero» si interroga Giulio Cavalli su Left «che sia scoppiato tutto questo enorme improvviso senso civico e invece non covi da qualche parte, sotto la brace, l’ansia di potere dare una faccia e un nome a un colpevole qualsiasi per avere la soddisfazione di odiare e di sentirsi assolti come serenamente e quotidianamente avveniva prima del Coronavirus? Chiedo, eh». Silvia Kuna Ballero, sul suo blog, scrive parole più che condivisibili. Riporto uno stralcio: «Chi crede seriamente che prendere una boccata d’aria per strada in sicurezza sia una grave violazione del senso civico sta sostenendo un pensiero non molto diverso dalla superstizione. Sta negando la possibilità, vivaddio data al cittadino, di valutare le circostanze per agire in modo responsabile gestendo i margini di libertà che gli sono dati (il che non vuol dire aggirare la legge, dato che è proprio la legge che fornisce questi margini)». Insomma, torna il discorso sulla differenza tra atteggiamento responsabile e abuso. Atteniamoci dunque sempre alle disposizioni in vigore – con le eventuali ed ulteriori restrizioni del caso – e cerchiamo di non essere noi stessi/e, in buona sostanza, il veicolo di un altro tipo di virus: quello dell'odio. Di chi ha bisogno di un capro espiatorio che prima era il migrante che viene a mettere a repentaglio la nostra civiltà, poi è il cinese che viene a contagiarci e adesso è chiunque esca di casa, atto fisico che sarebbe sufficiente ad uccidere chicchessia e a vanificare il lavoro del personale delle professioni sanitarie. Il virus non è un uccello che vola via dal nostro corpo nel momento in cui lasciamo le nostre dimore per aggredire persone tanto ignare quanto più meritevoli, per il solo fatto di rimanere chiuse nei propri appartamenti. Il virus è qualcosa che viene trasmesso anche a causa di comportamenti irresponsabili. Cerchiamo di valutare, dunque, quei singoli comportamenti. E, quando non abbiamo gli strumenti per valutarli, cerchiamo di rimanere in silenzio. Sempre preferibile, quando non si hanno validi argomenti per suffragare le proprie ipotesi. O il rischio è quello di gridare all'untore. Con tutto ciò che ne consegue, con il suo carico di violenza e irrazionalità. Lo ha già scritto Manzoni, nelle pagine del suo romanzo. Sarebbe il caso di andare a rileggerlo.
GLI UNTORI E LA DEMOCRAZIA. Cataldo Intrieri su L’Inkiesta il 20 marzo 2020. I runner e gli asintomatici sono i nuovi capri espiatori, ma la libertà e i diritti non sono una colpa. Riteniamo normale il coprifuoco totale, il controllo maniacale di ogni nostro dato e accarezziamo l’idea della tracciatura completa di ogni nostra mossa e contatto con sistemi che oscurano anche i metodi ben più blandi utilizzati dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001. Nel suo ultimo pamphlet, il penalista Filippo Sgubbi, uno dei più apprezzati giuristi italiani, denuncia le nuove categorie in cui si divide il diritto penale dopo gli ultimi mutamenti sociali. In particolare le due categorie fondamentali sono i “puri“ e gli “Impuri”. I primi sono i gruppi sociali che godono grazie a leggi o sentenze di un privilegiato status di ragione “a priori”. Sono le vittime di genere: donne, minori, soggetti discriminati per motivi di odio o discriminazione razziale. Gli impuri sono coloro che godono viceversa di un pregiudizio di colpevolezza legato alla natura dei reati, alla condizione della vittima, e alla tipologia di appartenenza. Predatori sessuali, mafiosi, politici e industriali inquinatori. L’emergenza da Coronavirus ha aggiunto nuovi esemplari: il runner e l’asintomatico. Il primo è già di suo una sorta di vivente memento mori che ogni sedentario come chi scrive cerca di scacciare dalle proprie visioni ogni volta che l’inconfondibile silhouette gli si para davanti con il viso stravolto da una smorfia di sofferenza, emblema del dolore inseguito come un traguardo. Jean Baudrillard nel suo saggio America aveva colto nell’antenato del runner, lo jogger, la metafora della fine vicina dell’umanità. “La maratona è una forma di suicidio dimostrativo , un suicidio come un monito: correre per mostrare che tu sei capace di succhiare da te ogni goccia di energia ..ma per provare cosa?... che tu sei capace di morire…”. Una raffigurazione che aveva trovato un a sua validazione nella morte precoce del teorico dello sport Jimmy Fix morto a 48 anni di infarto. Del resto, a volerla dire tutta il paziente uno, oggi fuori pericolo, è un runner che ha lasciato nella scia del suo sudore le mefitiche particelle. Il runner è il perfetto capro espiatorio dell’umanità incazzata alle prese con il terrore di morire. Insieme a lui un altro “impuro” come direbbe Sgubbi si avanza: l’asintomatico (spesso i due archetipi coincidono nella stessa persona) che è semplicemente un soggetto immune alla malattia pur avendo incoculato il virus. L’asintomatico è l’ultima frontiera dell’untore, può essere chiunque ovunque, l’incubo sociale perfetto. E così torme di seguaci salviniani che ieri aggredivano e insultavano extra comunitari, dopo aver virato sui cinesi, poi tramutati in benefattori per qualche mascherina in regalo, oggi insultano ed inseguono, invocandone l’arresto i nuovi mostri sociali in maglietta e scarpette. La verità è che sta montando la paura, per la propria vita come per il futuro, e contemporaneamente la sensazione che non tutto stia filando liscia nella catena di comando dell’emergenza. La paura genera mostri su cui scaricare la pulsione di morte: un esempio evidente è l’atteggiamento verso i detenuti. Se quello della società nei confronti della nuova peste fosse un atteggiamento razionale non ci dovrebbe essere la minima esitazione a diminuire in modo consistente la popolazione carceraria. Dove più pericoloso può essere un assembramento se non in luoghi che ospitano migliaia di carcerati oltre la capienza massima? Ci sono oggi 60.000 detenuti laddove i penitenziari potrebbero contenerne almeno 20.000 di meno. Eppure l’umanità civile affacciata al balcone non fa una piega, non chiede e protesterebbe solo se uno dei reclusi venisse messo in libertà. In attesa che ne muoia qualcuno. Preferiamo lentamente, passo dopo passo, farci espropriare delle libertà minime, ritenere normale il coprifuoco totale, il controllo maniacale di ogni nostra mossa e dato, vagheggiare il “modello cinese” ed esaltare il sistema sociale ipotizzato dalla ditta Casaleggio come ha ricordato Linkiesta qualche giorno fa. Sventolando bandiere diamo la caccia al runner e accarezziamo l’idea della tracciatura completa di ogni nostra mossa e contatto con sistemi che oscurano anche i metodi utilizzati dagli Stati Uniti nel dopo 11 settembre 2001. Il Garante della Privacy Antonello Soro ha avvertito che la mappatura totale e perenne dei nostri spostamenti è incompatibile con valori non negoziabili di libertà fondamentali. Stefano Ceccanti, parlamentare del Partito democratico e docente di Diritto Pubblico, ha aggiunto che il ricorso alla decretazione di urgenza con provvedimenti firmati dal presidente del Consiglio senza nessuna verifica parlamentare e pressoché a getto continuo sta sottoponendo a una torsione insostenibile il sistema costituzionale e ha sollecitato la formazione di una commissione interparlamentare di controllo che si ponga con una funzione di controllo rispetto a un potere esecutivo dilatato. Il rischio è la nascita di una “democrazia illiberale”. Ora, sia ben chiaro che qui non si minimizza nulla, chi scrive vive tappato in casa da 20 giorni coi suoi cari e ci resterà per quanto sarà necessario, ma non può nascondere a se stesso i guasti che il “diritto penale della paura” sta creando, una sorta di narcosi e di assuefazione alla regola dell’emergenza perenne. Se invece di Giuseppe Conte avessimo come primo ministro il vero Winston Churchill, da un pezzo avrebbe detto ai suoi governati che sì, certamente, l’emergenza grave sarebbe passata ma l’idea di difendere il proprio livello di vita e di libertà, d’ora in avanti, avrebbe comportato qualche non trascurabile rischio, anche per la propria vita. Avrebbe ricordato che un’ottantina di anni fa in milioni morirono per arrivare a certe conquiste e che perdere i diritti può essere estremamente facile. Che la scelta può essere tra la decrescita felice e la libertà in un mondo ispirato al progresso e che si può pagare un prezzo per questo. E infine avrebbe citato ciò che dice la Corte Costituzionale in una sentenza dedicata a una delle vicende emblematiche della nostra storia recente: l’ILVA di Taranto. «La Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. La qualificazione come “primari” dei valori dell’ambiente e della salute significa pertanto che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto». Ecco, oggi la bilancia di quest’ordine democratico è pericolosamente inclinata e tocca a noi reggere il piatto.
· Coronavirus, l’Oms “smentisce” l’Italia: “Se potete, uscite di casa per fare attività fisica”.
Coronavirus, l’Oms “smentisce” l’Italia: “Se potete, uscite di casa per fare attività fisica”. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità passeggiate e corse, se fatte con buon senso, sono un "presidio sanitario". Redazione ivg.it il 22 Marzo 2020. Liguria. Una piccola guida con alcuni consigli per gestire il proprio stato di salute psico-fisica in questo periodo di isolamento domestico forzato: tra questi anche quello di uscire di casa, ove consentito, per fare attività fisica. A dirlo l’Organizzazione Mondiale della Sanità in una comunicazione ufficiale delle scorse ore: “Durante questo momento difficile, è importante continuare a prendersi cura della propria salute fisica e mentale. Questo non solo ti aiuterà a lungo termine, ma ti aiuterà anche a combattere COVID-19, in caso di contagio”. Un’impostazione che in qualche modo potrebbe sembrare stridente rispetto a quanto invece impostato dall’Istituto Superiore di Sanità italiano. Nel Belpaese, anzi, sembra crescere un vero e proprio “allarme sociale” che prende di mira abitudini come la corsa e la passeggiata. In teoria concesse dai decreti del Governo ma, di fatto, sconsigliate dalle stesse istituzioni e messe “sotto accusa” da molti cittadini. Non si tratta dell’unica “differenza di vedute” tra Organizzazione Mondiale della Sanità e Istituto Superiore di Sanità italiano. Da settimane, infatti, l’Oms consiglia a tutti gli stati alle prese con il virus di procedere con ampie campagne di test e tamponi a tappeto, in primi ai sanitari e alle persone che lavorano con il pubblico, anche in assenza di sintomi, per trovare e isolare i casi postivi ma asintomatici; l’Iss, invece, ha più volte raccomandato di farlo solamente a chi presenta sintomi, possibilmente acuti. Una differenza non da poco, e che potrebbe fare la differenza. Tra le altre “strategie per conservarsi in buona salute” è consigliato mangiare in modo sano, evitando abbuffate e cibo spazzatura per l’ansia, evitare alcool e bevande gassate, non fumare, se si lavora da casa cercare di non mantenere la stessa posizione tutto il giorno e fare pause di tre minuti ogni trenta. E poi fare attività fisica: dai 30 ai 45 minuti al giorni, gli adulti, almeno un’ora per i ragazzi, e “Se le linee guida locali o nazionali lo consentono uscite per una passeggiata o per una corsa, mantenendo le distanze di sicurezza dagli altri”. “E’ normale sentirsi spaventati, cerca di parla con persone di cui ti fidi e mantenere i contatti con i mezzi possibili, aiuta la tua comunità con volontariato o anche solo facendo la spesa a chi non può uscire. La compassione è una “medicina”. Leggi, ascolta musica, cerca di rilassarti e se cerchi notizie fallo da fonti affidabili”.
Osservazioni di apertura del Direttore Generale dell'OMS al briefing dei media su COVID-19 - 20 marzo 2020. Pubblicato da who.int il 20 marzo 2020. Buongiorno, buon pomeriggio e buona sera, ovunque tu sia. Ogni giorno, COVID-19 sembra raggiungere un traguardo nuovo e tragico. Più di 210.000 casi sono stati ora segnalati all'OMS e più di 9000 persone hanno perso la vita. Ogni perdita di vita è una tragedia. È anche motivazione raddoppiare e fare tutto il possibile per fermare la trasmissione e salvare vite. Dobbiamo anche celebrare i nostri successi. Ieri, Wuhan non ha riportato nuovi casi per la prima volta dall'inizio dell'epidemia. Wuhan offre speranza per il resto del mondo, affinché anche la situazione più grave possa essere risolta. Ovviamente, dobbiamo prestare attenzione: la situazione può invertire. Ma l'esperienza di città e paesi che hanno respinto questo virus dà speranza e coraggio al resto del mondo. Ogni giorno impariamo di più su questo virus e sulla malattia che causa. Una delle cose che stiamo imparando è che sebbene gli anziani siano i più colpiti, i giovani non vengono risparmiati. I dati provenienti da molti paesi mostrano chiaramente che le persone sotto i 50 anni costituiscono una percentuale significativa di pazienti che richiedono il ricovero in ospedale. Oggi ho un messaggio per i giovani: non sei invincibile. Questo virus potrebbe portarti in ospedale per settimane o addirittura ucciderti. Anche se non ti ammali, le scelte che fai su dove vai potrebbero essere la differenza tra la vita e la morte per qualcun altro. Sono grato che così tanti giovani spargano la voce e non il virus. Come continuo a dire, la solidarietà è la chiave per sconfiggere COVID-19 - la solidarietà tra paesi, ma anche tra fasce d'età. Grazie per aver ascoltato la nostra richiesta di solidarietà, solidarietà, solidarietà.
Abbiamo detto fin dall'inizio che la nostra più grande preoccupazione è l'impatto che questo virus potrebbe avere se prendesse piede in paesi con sistemi sanitari più deboli o con popolazioni vulnerabili. Questa preoccupazione è ora diventata molto reale e urgente. Sappiamo che se questa malattia prende piede in questi paesi, potrebbero esserci malattie e perdite di vite significative. Ma questo non è inevitabile. A differenza di qualsiasi pandemia nella storia, abbiamo il potere di cambiare il modo in cui va. L'OMS sta lavorando attivamente per supportare tutti i paesi, in particolare quelli che hanno maggiormente bisogno del nostro sostegno. Come sapete, il crollo del mercato dei dispositivi di protezione individuale ha creato enormi difficoltà nel garantire agli operatori sanitari l'accesso alle attrezzature di cui hanno bisogno per svolgere il proprio lavoro in modo sicuro ed efficace. Questa è un'area di fondamentale preoccupazione per noi. Ora abbiamo identificato alcuni produttori in Cina che hanno accettato di fornire l'OMS. Attualmente stiamo finalizzando le disposizioni e coordinando le spedizioni in modo da poter riempire il nostro magazzino per spedire DPI a chi ne ha più bisogno. Il nostro obiettivo è quello di costruire una pipeline per garantire la continuità dell'approvvigionamento, con il supporto dei nostri partner, governi e settore privato. Sono grato a Jack Ma e alla sua fondazione e ad Aliko Dangote per la loro disponibilità a contribuire a fornire forniture essenziali ai paesi bisognosi. Per supportare la nostra chiamata a testare ogni caso sospetto, stiamo anche lavorando duramente per aumentare l'offerta globale di test diagnostici. Esistono molte aziende a livello globale che producono kit diagnostici, ma l'OMS può solo acquistare o raccomandare kit che sono stati valutati in modo indipendente, per garantirne la qualità. Quindi abbiamo collaborato con FIND - la Fondazione per la nuova diagnostica innovativa - per contrarre ulteriori laboratori per valutare la nuova diagnostica. Parallelamente, stiamo collaborando con le aziende per garantire la fornitura e l'equa distribuzione di questi test. E stiamo anche lavorando con le aziende per aumentare la produzione degli altri prodotti necessari per eseguire i test, dai tamponi utilizzati per prelevare i campioni alle grandi macchine necessarie per elaborarli. Siamo molto grati per il modo in cui il settore privato ha intensificato il suo sostegno alla risposta globale. Proprio in questi giorni ho parlato con la Camera di commercio internazionale, con molti amministratori delegati attraverso il World Economic Forum e con il gruppo "B20" di leader aziendali dei paesi del G20.
Comprendiamo il pesante tributo finanziario che questa pandemia sta causando alle imprese e all'economia globale. Siamo incoraggiati dalla solidarietà e dalla generosità dei leader aziendali per utilizzare le loro risorse, esperienza e reti per migliorare la disponibilità delle forniture, comunicare informazioni affidabili e proteggere il loro personale e clienti. E siamo anche incoraggiati che i paesi di tutto il mondo continuino a sostenere la risposta globale. Ringraziamo il Kuwait per il suo contributo di 40 milioni di dollari USA. Oltre ad aumentare l'accesso a maschere, guanti, abiti e test, stiamo anche aumentando l'accesso ai paesi di orientamento tecnico basati sull'evidenza e gli operatori sanitari devono salvare vite umane. L'OMS ha pubblicato linee guida per i ministri della salute, gli amministratori dei sistemi sanitari e altri responsabili delle decisioni, per aiutarli a fornire cure salvavita quando i sistemi sanitari vengono messi alla prova, senza compromettere la sicurezza degli operatori sanitari. Le linee guida descrivono in dettaglio le azioni che tutti i paesi possono intraprendere per fornire assistenza ai pazienti, indipendentemente da quanti casi abbiano. Descrivono anche azioni specifiche per preparare i sistemi sanitari, secondo ciascuna delle "4 C" - nessun caso, casi sporadici, gruppi di casi e trasmissione della comunità. Queste linee guida forniscono una vasta gamma di informazioni pratiche su screening e triage, referral, personale, forniture, standard di cura, impegno della comunità e altro ancora. Incoraggiamo tutti i paesi a utilizzare queste e molte altre linee guida, tutte disponibili sul sito Web dell'OMS. Ma non stiamo solo consigliando i paesi. Abbiamo anche consigli per gli individui di tutto il mondo, in particolare quelli che ora si stanno adattando a una nuova realtà. Sappiamo che per molte persone la vita sta cambiando radicalmente. La mia famiglia non è diversa - mia figlia ora sta prendendo le lezioni online da casa perché la sua scuola è chiusa.
Durante questo momento difficile, è importante continuare a prendersi cura della propria salute fisica e mentale. Questo non solo ti aiuterà a lungo termine, ma ti aiuterà anche a combattere COVID-19 se lo ottieni.
Innanzitutto, segui una dieta sana e nutriente, che aiuta il tuo sistema immunitario a funzionare correttamente.
In secondo luogo, limitare il consumo di alcol ed evitare bevande zuccherate.
Terzo, non fumare. Il fumo può aumentare il rischio di sviluppare malattie gravi se si viene infettati da COVID-19.
In quarto luogo, esercizio fisico. L'OMS raccomanda 30 minuti di attività fisica da dire per gli adulti e un'ora al giorno per i bambini.
Se le tue linee guida locali o nazionali lo consentono, vai fuori a fare una passeggiata, una corsa o un giro e mantieni una distanza di sicurezza dagli altri. Se non riesci a uscire di casa, trova un video di esercizi online, balla musica, fai yoga o cammina su e giù per le scale.
Se lavori a casa, assicurati di non sedere nella stessa posizione per lunghi periodi. Alzati e fai una pausa di 3 minuti ogni 30 minuti.
Forniremo ulteriori consigli su come rimanere sani a casa nei prossimi giorni e settimane.
In quinto luogo, prenditi cura della tua salute mentale. È normale sentirsi stressati, confusi e spaventati durante una crisi. Parlare con persone che conosci e di cui ti fidi può aiutare.
Supportare altre persone nella tua comunità può aiutarti tanto quanto loro. Fai il check-in su vicini, familiari e amici. La compassione è una medicina.
Ascolta la musica, leggi un libro o gioca.
E cerca di non leggere o guardare troppe notizie se ti rende ansioso. Ottieni le tue informazioni da fonti affidabili una o due volte al giorno.
Per aumentare l'accesso a informazioni affidabili, l'OMS ha collaborato con WhatsApp e Facebook per lanciare un nuovo servizio di messaggistica WHO Health Alert.
Questo servizio fornirà le ultime notizie e informazioni su COVID-19, inclusi dettagli sui sintomi e su come proteggersi.
Il servizio di avviso sanitario è ora disponibile in inglese e sarà introdotto in altre lingue la prossima settimana.
Per accedervi, invia la parola "ciao" al seguente numero su WhatsApp: +41 798 931 892. Oggi renderemo queste informazioni disponibili sul nostro sito web.
COVID-19 ci sta prendendo così tanto da noi. Ma ci sta anche dando qualcosa di speciale - l'opportunità di riunirci come un'unica umanità - di lavorare insieme, di imparare insieme, di crescere insieme.
Ti ringrazio.