Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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FACEBOOK: (personale) ANTONIO GIANGRANDE
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ABOLIZIONE DEI CONCORSI TRUCCATI E LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI
(pagine) GIANGRANDE LIBRI
WEB TV: TELE WEB ITALIA
NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA
L’ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
INGIUSTIZIA
E
RIBELLIONE
PRIMA PARTE
ANTONIO GIANGRANDE
INGIUSTIZIA E RIBELLIONE
BIOGRAFIA DI UN ITALIANO VERO
LA MAFIA TI UCCIDE,
TI AFFAMA, TI CONDANNA
IL POTERE TI
INTIMA: SUBISCI E TACI
LE MAFIE TI
ROVINANO LA VITA. QUESTA ITALIA TI DISTRUGGE LA SPERANZA
UNA VITA DI
RITORSIONI, MA ORGOGLIOSO DI ESSERE DIVERSO
TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi
è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle,
interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con
sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia
elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo,
chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società,
che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo. Vittorio
Alfieri (1790).
"Quando si cerca di far progredire la conoscenza e l'intelligenza umana si
incontra sempre la resistenza dei contemporanei, simile a un fardello che
bisogna trascinare e che grava pesantemente al suolo, ribelle ad ogni sforzo. Ci
si deve consolare allora con la certezza che, se i pregiudizi sono contro di
noi, abbiamo con noi la Verità, la quale, dopo essersi unita al suo alleato, il
Tempo, è pienamente certa della sua vittoria, se non proprio oggi, sicuramente
domani."(Arthur Schopenhauer)
“L'Italia tenuta al
guinzaglio da un sistema di potere composto da caste, lobbies, mafie e
massonerie: un'Italia che deve subire e deve tacere.
La “Politica” deve essere
legislazione o amministrazione nell’eterogenea rappresentanza d’interessi,
invece è meretricio o mendicio, mentre le “Istituzioni” devono meritarlo il
rispetto, non pretenderlo. Il rapporto tra cittadini e il rapporto tra cittadini
e Stato è regolato dalla forza della legge. Quando non vi è cogenza di legge,
vige la legge del più forte e il debole soccombe. Allora uno “Stato di Diritto”
degrada in anarchia. In questo caso è palese la responsabilità politica ed
istituzionale per incapacità o per collusione. Così come è palese la
responsabilità dei media per omertà e dei cittadini per codardia o emulazione."
SOMMARIO
INDICE PRIMA PARTE
UNA
BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande).
L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER
AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA
CHE SIAMO.
PREMESSA:
LA CREDIBILITA’.
PREMESSA:
IL PERCHE’ DI UNA MISSIONE.
PREMESSA:
GLI OSTACOLI.
PREMESSA:
LA CENSURA.
PREMESSA:
IL DIRITTO D’AUTORE ED IL DIRITTO DI CITAZIONE.
PREMESSA:
IL DIRITTO DI CRITICA.
PREMESSA: LE NUOVE
IDEOLOGIE.
PREMESSA: IL
PROGRAMMA POLITICO.
INTRODUZIONE.
COS’E’ LA POLITICA
OGGI?
PRESENTAZIONE
DELL’AUTORE.
PERCHE’ NON SON DIVENTATO AVVOCATO.
"PADRI DELLA
PATRIA" VITTIME E COMPLICI DELLA
NOSTRA ROVINA.
E’ TUTTA QUESTIONE
DI COSCIENZA.
PLAGIO E VERITA’. LA CRONACA PUO’ DIVENTARE STORIA?
I MEDIA ED I LORO
PECCATI: DISINFORMAZIONE, CALUNNIA, DIFFAMAZIONE.
LA CHIAMANO
GIUSTIZIA, PARE UNA BARZELLETTA. PROCESSI: POCHE PAGINE DA LEGGERE E POCHI
TESTIMONI.
IL SUD TARTASSATO.
ITALIANI. LA CASTA DEI "COGLIONI".
FACCIAMO PARLARE CLAUDIO BISIO.
IL NORD EVADE PIU’ DEL SUD.
TUTTA L’ITALIA E’ PAESE
PER UNA LETTURA
UTILE E CONSAPEVOLE CONTRO L’ITALIA DEI GATTOPARDI.
POLITICA, GIUSTIZIA ED INFORMAZIONE. IN TEMPO DI VOTO SI PALESA L’ITALIETTA
DELLE VERGINELLE.
LA REPUBBLICA DELLE MANETTE.
INDICE SECONDA PARTE
“TUTTI DENTRO, CAZZO!!”
VADEMECUM DEL
CONCORSO TRUCCATO.
LA LEGGE NON E’
UGUALE PER TUTTI.
ITALIA PAESE
DELL’IMMUNITA’ E DELLA CENSURA. PER L’EUROPA INADEMPIENTE SU OGNI NORMA.
STATO DI DIRITTO?
CHI E’ IL POLITICO?
CHI E’ L’AVVOCATO?
DELINQUENTE A CHI?
CHI E’ IL MAGISTRATO?
DUE PAROLE SULLA
MAFIA. QUELLO CHE LA STAMPA DI REGIME NON DICE.
CARMINE SCHIAVONE.
LA VERA MAFIA SONO I POLITICI, I MAGISTRATI E LE FORZE DELL’ORDINE.
2 OTTOBRE 2013. LE
GIRAVOLTE DI BERLUSCONI. L’APOTEOSI DELLA VERGOGNA ITALICA.
ITALIA DA VERGOGNA.
ITALIA BARONALE.
CASA ITALIA.
ITALIA.
SOLIDARIETA’ TRUCCATA E DI SINISTRA.
LA GUERRA TRA
ASSOCIAZIONI ANTIRACKET.
ITALIA: PAESE
ZOPPO.
QUANDO I BUONI
TRADISCONO.
DUE COSE SU
AMNISTIA, INDULTO ED IPOCRISIA.
FACILE DIRE EVASORE
FISCALE A TUTTI I TARTASSATI. GIUSTO PER MANTENERE I PARASSITI. LA LOREN E
MARADONA.
ANCHE GESU' E'
STATO CARCERATO.
ANCHE GLI STUDENTI SONO UNA CASTA.
QUANTO SONO
ATTENDIBILI LE COMMISSIONI D’ESAME?
LO STATO CON LICENZA DI TORTURARE ED
UCCIDERE.
E LA CHIAMANO GIUSTIZIA. CHE CAZZO DI
INDAGINI SONO?
27 NOVEMBRE 2013. LA DECADENZA DI
BERLUSCONI.
FIGLI DI QUALCUNO E FIGLI DI NESSUNO.
LA TERRA DEI CACHI, DEI PARLAMENTI ABUSIVI E DELLE LEGGI, PIU’ CHE NULLE:
INESISTENTI.
LO SPRECO DI DENARO
PUBBLICO PER GLI ESAMI DI AVVOCATO.
LE RITORSIONI DEI MAGISTRATI. ANTONIO GIANGRANDE E RITA ROMANO: DAVIDE E GOLIA.
LA DENUNCIA PER ABUSO DI UFFICIO E LA CONTRODENUNCIA PER CALUNNIA E
DIFFAMAZIONE. LE CARTE PUBBLICHE DEL PROCESSO PUBBLICO DEL TRIBUNALE DI POTENZA.
MAI DIRE MAFIA: IL
CALVARIO DI ANTONIO GIANGRANDE.
MAI DIRE ANTIMAFIA.
IPOCRITI. IL GIORNO
DELLA MEMORIA? NON DIMENTICARE TUTTE LE VITTIME DEGLI OLOCAUSTI.
SONO BRAVI I COMUNISTI. NIENTE DIRITTO DI DIFESA PER I POVERI.
MENTRE PER LE LOBBIES LE PORTE SONO SEMPRE APERTE.
LA LOBBY DEI
DENTISTI E LA MAFIA ODONTOIATRICA.
UNIONE EUROPEA: ITALIA 60 MILIARDI DI CORRUZIONE. CHI CAZZO HA FATTO I CONTI?
FATTI DI CRONACA, DISFATTI DI GIUSTIZIA.
LOTTA ALL’EVASIONE FISCALE E CONTRIBUTIVA. DA QUALE PULPITO ARRIVA LA PREDICA,
SE LO STATO E’ IL PRIMO EVASORE IN ITALIA?
L’ITALIA, IL PAESE
DEI NO. LA SINDROME DI NIMBY.
L’ITALIA DEI COLPI
DI STATO.
PER LA TUTELA DEI
DIRITTI DEGLI INDIGENTI. PRO BONO PUBLICO OBBLIGATORIO.
NON VI REGGO PIU’.
BELLA ITALIA, SI’. MA ITALIANI DEL
CAZZO!!!
FENOMENOLOGIA RANCOROSA DELL’INGRATITUDINE.
SE NASCI IN ITALIA…
AVVOCATI. ABILITATI COL TRUCCO.
DIRITTO E
GIUSTIZIA. I TANTI GRADI DI GIUDIZIO E L’ISTITUTO DELL’INSABBIAMENTO.
GIUSTIZIA DA MATTI
E MOSTRI A PRESCINDERE.
TARANTO. GUERRA DI TOGHE.
L’ANTIMAFIA DEI RECORD.
SARAH
SCAZZI. SOLITA TOLFA DEI MASOCHISTI AD AVETRANA: VOCE AI FORCAIOLI ED AI
MANETTARI.
VATTI A FIDARE. GIUSTIZIA,
LEGALITA' E LOTTA ALLA MAFIA: ROSSA O BIANCA.
ITALIA, TARANTO, AVETRANA: IL
CORTOCIRCUITO GIUSTIZIA-INFORMAZIONE. TUTTO QUELLO CHE NON SI OSA DIRE.
LETTERA AL DEPUTATO MAI
ELETTO.
DENUNCIA CONTRO UN MAGISTRATO.
“TARANTO: NON SOLO SCAZZI, SERRANO,
MISSERI. QUEL TRIBUNALE E’ IL FORO DELL’INGIUSTIZIA”.
TARANTO FORO
DELL’INGIUSTIZIA. MICHELE MISSERI E BEN EZZEDINE SEBAI, CONFESSI OMICIDI NON
CREDUTI E SULLO SFONDO L’ILVA.
PERCHE’ I DIVERSI SONO EMARGINATI E PERSEGUITATI ??
L’INTERVISTA MAI FATTA AD ANTONIO GIANGRANDE.
CAMPAGNA PER LA LEGALITA' E LA VALORIZZAZIONE DEL TERRITORIO.
LA IRRESPONSABILITA' DEI MAGISTRATI.
ITALIA, GIURISPRUDENZA ILLOGICA E DANNOSA.
LA SITUAZIONE ITALIANA. L’ITALIA DEL TRUCCO: L’ITALIA CHE SIAMO.
FISCO E TASSE. ITALIA: RACKET DI STATO.
5x1000: BENEFICI, MA NON PER TUTTI.
DISGUSTO SANITA’. IL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE: FONTE DI TUTTE LE MAFIE.
FALLIMENTOPOLI IN ITALIA. FALLIMENTI DI AZIENDE SANE: FABBRICA DEL REDDITO PER
GLI OPERATORI GIUDIZIARI.
INQUINAMENTO. QUELLO CHE NON SI FA.
L'AGRICOLTURA. LA VOGLIONO SMANTELLARE.
LA MAFIA VIEN DALL’ALTO.
LA SICUREZZA NELLE SCUOLE. QUELLA CHE NON C’E’.
GIUSTIZIA E LEGALITA’: CHIMERE IRRAGGIUNGIBILI. ANOMALIA SOTTACIUTA DAI MEDIA E
LEGITTIMATA DALLE ISTITUZIONI.
L'USURA. BANCARIA E DI STATO?
LE CARCERI. OMICIDI E TORTURA DI STATO. COLPEVOLE INDIFFERENZA. QUANDO GLI ALTRI
SIAMO NOI.
CENSURA ED INFORMAZIONE.
LE AFFISSIONI ELETTORALI ABUSIVE. VISIBILITA’ ABUSIVA E SELVAGGIA.
NOMINA TRUCCATA DEI PRESIDENTI DI SEGGIO E DEGLI SCRUTATORI.
I CONCORSI PUBBLICI TRUCCATI.
L'ACCESSO ALL'IMPIEGO PUBBLICO. LO SCANDALO DELLE STABILIZZAZIONI.
BARRIERE ARCHITETTONICHE.
PARLIAMO DI LIBERALIZZAZIONI: ASSICURAZIONI RCA E SICUREZZA STRADALE.
LAVORO E SINDACATI.
PARLIAMO DELLA MAFIA DEI CARBURANTI: LA CUPOLA TRA STATO E PETROLIERI.
IL DIRITTO D'AUTORE. UN RISCOSSORE MUSICALE ALLA PORTA.
LA BIGENITORIALITA' ED L’AFFIDO CONDIVISO.
“LA
COSTITUZIONE CHE VORREMMO”.
DOSSIER INGIUSTIZIA E RITORSIONI.
RICHIESTA DI REMISSIONE DEL PROCESSO PER MOTIVI DI LEGITTIMO SOSPETTO.
GLI ANNI PASSANO, NULLA CAMBIA ED E’ TUTTO TEMPO PERSO.
RICORSO AL TAR. UNA SENTENZA GIA’ SCRITTA.
PARLIAMO DI LAVORO.
L’ITALIA DEGLI SFIGATI, DEI BAMBOCCIONI E DEGLI SCHIZZINOSI.
UNA GENERAZIONE A
PERDERE.
LA MAFIA DELLE
RACCOMANDAZIONI. MARTONE, LE VITTIME, SFIGATI A PRESCINDERE.
LE DONNE IMMIGRATE
PER I GIORNALISTI? MEGLIO SCHIAVE CHE PUTTANE.
I
VICINI DI CASA
UNA BALLATA PER L’ITALIA
(di Antonio Giangrande)
Sono un italiano vero e me ne
vanto,
ma quest’Italia mica mi piace
tanto.
Tra i nostri avi abbiamo
condottieri, poeti, santi, navigatori,
oggi per gli altri siamo solo
una massa di ladri e di truffatori.
Hanno ragione, è colpa dei
contemporanei e dei loro governanti,
incapaci, incompetenti,
mediocri e pure tanto arroganti.
Li si vota non perché sono o
sanno, ma solo perché questi danno,
per ciò ci governa chi causa
sempre e solo tanto malanno.
Noi lì a lamentarci sempre e
ad imprecare,
ma poi siamo lì ogni volta gli
stessi a rivotare.
Sono un italiano vero e me ne
vanto,
ma quest’Italia mica mi piace
tanto.
Codardia e collusione sono le
vere ragioni,
invece siamo lì a
differenziarci tra le regioni.
A litigare sempre tra terroni,
po’ lentoni e barbari padani,
ma le invasioni barbariche non
sono di tempi lontani?
Vili a guardare la pagliuzza
altrui e non la trave nei propri occhi,
a lottar contro i più deboli e
non contro i potenti che fanno pastrocchi.
Italiopoli, noi abbiamo tanto
da vergognarci e non abbiamo più niente,
glissiamo, censuriamo,
omertiamo e da quell’orecchio non ci si sente.
Sono un italiano vero e me ne
vanto,
ma quest’Italia mica mi piace
tanto.
Simulano la lotta a quella che
chiamano mafia per diceria,
ma le vere mafie sono le
lobbies, le caste e la massoneria.
Nei tribunali vince il più
forte e non chi ha la ragione dimostrata,
così come abbiamo l’usura e i
fallimenti truccati in una giustizia prostrata.
La polizia a picchiare, gli
innocenti in anguste carceri ed i criminali fuori in libertà,
che razza di giustizia è
questa se non solo pura viltà.
Abbiamo concorsi pubblici
truccati dai legulei con tanta malizia,
così come abbiamo abusi sui
più deboli e molta ingiustizia.
Sono un italiano vero e me ne
vanto,
ma quest’Italia mica mi piace
tanto.
Abbiamo l’insicurezza per le
strade e la corruzione e l’incompetenza tra le istituzioni
e gli sprechi per accontentare
tutti quelli che si vendono alle elezioni.
La costosa Pubblica
Amministrazione è una palla ai piedi,
che produce solo disservizi
anche se non ci credi.
Nonostante siamo alla fame e
non abbiamo più niente,
c’è il fisco e l’erario che ci
spreme e sull’evasione mente.
Abbiamo la cultura e
l’istruzione in mano ai baroni con i loro figli negli ospedali,
e poi ci ritroviamo ad essere
vittime di malasanità, ma solo se senza natali.
Sono un italiano vero e me ne
vanto,
ma quest’Italia mica mi piace
tanto.
Siamo senza lavoro e senza
prospettive di futuro,
e le Raccomandazioni ci
rendono ogni tentativo duro.
Clientelismi, favoritismi,
nepotismi, familismi osteggiano capacità,
ma la nostra classe dirigente
è lì tutta intera da buttà.
Abbiamo anche lo sport che è
tutto truccato,
non solo, ma spesso si scopre
pure dopato.
E’ tutto truccato fin anche
l’ambiente, gli animali e le risorse agro alimentari
ed i media e la stampa
che fanno? Censurano o pubblicizzano solo i marchettari.
Sono un italiano vero e me ne
vanto,
ma quest’Italia mica mi piace
tanto.
Gli ordini professionali di
istituzione fascista ad imperare e l’accesso a limitare,
con la nuova Costituzione
catto-comunista la loro abolizione si sta da decenni a divagare.
Ce lo chiede l’Europa e tutti
i giovani per poter lavorare,
ma le caste e le lobbies in
Parlamento sono lì per sé ed i loro figli a legiferare.
Questa è l’Italia che c’è, ma
non la voglio, e con cipiglio,
eppure tutti si lamentano
senza batter ciglio.
Che cazzo di Italia è questa
con tanta pazienza,
non è la figlia del
rinascimento, del risorgimento, della resistenza!!!
Sono un italiano vero e me ne
vanto,
ma quest’Italia mica mi piace
tanto.
Questa è un’Italia figlia di
spot e di soap opera da vedere in una stanza,
un’Italia che produce veline e
merita di languire senza speranza.
Un’Italia governata da vetusti
e scaltri alchimisti
e raccontata sui giornali e
nei tg da veri illusionisti.
Sono un italiano vero e me ne
vanto,
ma se tanti fossero cazzuti
come me, mi piacerebbe tanto.
Non ad usar spranghe ed a chi
governa romper la testa,
ma nelle urne con la matita a
rovinargli la festa.
Sono un italiano vero e me ne
vanto,
ma quest’Italia mica mi piace
tanto.
Rivoglio l’Italia
all’avanguardia con condottieri, santi, poeti e navigatori,
voglio un’Italia governata da
liberi, veri ed emancipati sapienti dottori.
Che si possa gridare al mondo:
sono un italiano e me ne vanto!!
Ed agli altri dire: per
arrivare a noi c’è da pedalare, ma pedalare tanto!!
Antonio Giangrande (scritta
l’11 agosto 2012)
Il Poema di
Avetrana di Antonio Giangrande
Avetrana mia, qua sono nato e
che possiamo fare,
non ti sopporto, ma senza di
te non posso stare.
Potevo nascere in Francia od
in Germania, qualunque sia,
però potevo nascere in Africa
od in Albania.
Siamo italiani, della
provincia tarantina,
siamo sì pugliesi, ma della
penisola salentina.
Il paese è piccolo e la gente
sta sempre a criticare,
quello che dicono al vicino è
vero o lo stanno ad inventare.
Qua sei qualcuno solo se hai
denari, non se vali con la mente,
i parenti, poi, sono viscidi
come il serpente.
Le donne e gli uomini sono
belli o carini,
ma ci sposiamo sempre nei
paesi più vicini.
Abbiamo il castello e pure il
Torrione,
come abbiamo la Giostra del
Rione,
per far capire che abbiamo
origini lontane,
non come i barbari delle terre
padane.
Abbiamo le grotte e sotto la
piazza il trappeto,
le fontane dell’acqua e le
cantine con il vino e con l’aceto.
Abbiamo il municipio dove da
padre in figlio sempre i soliti stanno a comandare,
il comune dove per sentirsi
importanti tutti ci vogliono andare.
Il comune intitolato alla
Santo, che era la dottoressa mia,
di fronte alla sala gialla,
chiamata Caduti di Nassiriya.
Tempo di elezioni pecore e
porci si mettono in lista,
per fregare i bianchi, i neri
e i rossi, stanno tutti in pista.
Mettono i manifesti con le
foto per le vie e per la piazza,
per farsi votare dagli amici e
da tutta la razza.
Però qua votano se tu dai,
e non perché se tu sai.
Abbiamo la caserma
con i carabinieri e non gli voglio male,
ma qua pure i
marescialli si sentono generale.
Abbiamo le scuole elementari e
medie. Cosa li abbiamo a fare,
se continui a studiare, o te
ne vai da qua o ti fai raccomandare.
Parlare con i contadini
ignoranti non conviene, sia mai,
questi sanno più della laurea
che hai.
Su ogni argomento è sempre
negazione,
tu hai torto, perché l’ha
detto la televisione.
Solo noi abbiamo
l’avvocato più giovane d’Italia,
per i paesani,
invece, è peggio dell’asino che raglia.
Se i diamanti ai
porci vorresti dare,
quelli li rifiutano
e alle fave vorrebbero mirare.
Abbiamo la piazza con il
giardinetto,
dove si parla di politica
nera, bianca e rossa.
Abbiamo la piazza con
l’orologio erto,
dove si parla di calcio, per
spararla grossa.
Abbiamo la piazza della via
per mare,
dove i giornalisti ci stanno a
denigrare.
Abbiamo le chiese dove sembra
siamo amati,
e dove rimettiamo tutti i
peccati.
Per una volta alla domenica
che andiamo alla messa dal prete,
da cattivi tutto d’un tratto
diventiamo buoni come le monete.
Abbiamo San Biagio, con la
fiera, la cupeta e i taralli,
come abbiamo Sant’Antonio con
i cavalli.
Di San Biagio e Sant’Antonio
dopo i falò per le strade cosa mi resta,
se ci ricordiamo di loro solo
per la festa.
Non ci scordiamo poi della
processione per la Madonna e Cristo morto, pure che sia,
come neanche ci dobbiamo
dimenticare di San Giuseppe con la Tria.
Abbiamo gli oratori dove
portiamo i figli senza prebende,
li lasciamo agli altri, perché
abbiamo da fare altri faccende.
Per fare sport abbiamo il
campo sportivo e il palazzetto,
mentre io da bambino giocavo
giù alle cave senza tetto.
Abbiamo le vigne e gli ulivi,
il grano, i fichi e i fichi d’india con aculei tesi,
abbiamo la zucchina, i
cummarazzi e i pomodori appesi.
Abbiamo pure il commercio e le
fabbriche per lavorare,
i padroni pagano poco, ma
basta per campare.
Abbiamo la spiaggia a quattro
passi, tanto è vicina,
con Specchiarica e la
Colimena, il Bacino e la Salina.
I barbari padani ci chiamano
terroni mantenuti,
mica l’hanno pagato loro il
sole e il mare, questi cornuti??
Io so quanto è amaro il loro
pane o la michetta,
sono cattivi pure con la loro
famiglia stretta.
Abbiamo il cimitero dove tutti
ci dobbiamo andare,
lì ci sono i fratelli e le
sorelle, le madri e i padri da ricordare.
Quelli che ci hanno lasciato
Avetrana, così come è stata,
e noi la dobbiamo lasciare
meglio di come l’abbiamo trovata.
Nessuno è profeta nella sua
patria, neanche io,
ma se sono nato qua, sono
contento e ringrazio Dio.
Anche se qua si sentono alti
pure i nani,
che se non arrivano alla
ragione con la bocca, la cercano con le mani.
Qua so chi sono e quanto gli
altri valgono,
a chi mi vuole male, neanche
li penso,
pure che loro mi assalgono,
io guardo avanti e li incenso.
Potevo nascere tra la nebbia
della padania o tra il deserto,
sì, ma li mi incazzo e poi non
mi diverto.
Avetrana mia, finchè vivo ti
faccio sempre onore,
anche se i miei paesani non
hanno sapore.
Il denaro, il divertimento e
la panza,
per loro la mente non ha
usanza.
Ti lascio questo poema come un
quadro o una fotografia tra le mani,
per ricordarci sempre che oggi
stiamo, però non domani.
Dobbiamo capire: siamo niente
e siamo tutti di passaggio,
Avetrana resta per sempre e
non ti dà aggio.
Se non lasci opere che
restano,
tutti di te si scordano.
Per gli altri paesi questo che
dico non è diverso,
il tempo passa, nulla cambia
ed è tutto tempo perso.
La Ballata ti l'Aitrana di
Antonio Giangrande
Aitrana mia, quà
già natu e ce ma ffà,
no ti pozzu vetè,
ma senza ti te no pozzu stà.
Putia nasciri in
Francia o in Germania, comu sia,
però putia nasciri
puru in africa o in Albania.
Simu italiani, ti
la provincia tarantina,
simu sì pugliesi,
ma ti la penisula salentina.
Lu paisi iè
piccinnu e li cristiani sempri sciotucunu,
quiddu ca ticunu
all’icinu iè veru o si l’unventunu.
Qua sinti quarche
tunu sulu ci tieni, noni ci sinti,
Li parienti puè so
viscidi comu li serpienti.
Li femmini e li
masculi so belli o carini,
ma ni spusamu
sempri alli paisi chiù icini.
Tinimu lu castellu
e puru lu Torrioni,
comu tinumu la
giostra ti li rioni,
pi fa capii ca
tinimu l’origini luntani,
no cumu li barbari
ti li padani.
Tinimu li grotti e
sotta la chiazza lu trappitu,
li funtani ti
l’acqua e li cantini ti lu mieru e di l’acitu.
Tinimu lu municipiu
donca fili filori sempri li soliti cumannunu,
lu Comuni donca cu
si sentunu impurtanti tutti oluni bannu.
Lu comuni
‘ntitolato alla Santu, ca era dottori mia,
ti fronti alla sala
gialla, chiamata Catuti ti Nassiria.
Tiempu ti votazioni
pecuri e puerci si mettunu in lista,
pi fottiri li
bianchi, li neri e li rossi, stannu tutti in pista.
Basta ca mettunu li
manifesti cu li fotu pi li vii e pi la chiazza,
cu si fannu utà ti
li amici e di tutta la razza.
Però quà votunu ci
tu tai,
e no piccè puru ca
tu sai.
Tinumu la caserma
cu li carabinieri e no li oiu mali,
ma qua puru li
marescialli si sentunu generali.
Tinimu li scoli
elementari e medi. Ce li tinimu a fà,
ci continui a
studià, o ti ni ai ti quà o ta ffà raccumandà.
Cu parli cu li
villani no cunvieni,
quisti sapunu chiù
ti la lauria ca tieni.
Sobbra
all’argumentu ti ticunu ca iè noni,
tu tieni tuertu,
piccè le ditto la televisioni.
Sulu nui tinimu
l’avvocatu chiù giovini t’Italia,
pi li paisani,
inveci, iè peggiu ti lu ciucciu ca raia.
Ci li diamanti alli
puerci tai,
quiddi li scanzunu
e mirunu alli fai.
Tinumu la chiazza
cu lu giardinettu,
do si parla ti
pulitica nera, bianca e rossa.
Tinimu la chiazza
cu l’orologio iertu,
do si parla ti
palloni, cu la sparamu grossa.
Tinimu la chiazza
ti la strata ti mari,
donca ni sputtanunu
li giornalisti amari.
Tinimu li chiesi
donca pari simu amati,
e
donca rimittimu tutti li piccati.
Pi na sciuta a la
tumenica alla messa do li papi,
di cattivi tuttu ti
paru divintamu bueni comu li rapi.
Tinumu San Biagiu,
cu la fiera, la cupeta e li taraddi,
comu tinimu
Sant’Antoni cu li cavaddi.
Ti San Biagiu e
Sant’Antoni toppu li falò pi li strati c’è mi resta,
ci ni ricurdamo ti
loru sulu ti la festa.
No nni scurdamu puè
ti li prucissioni pi la Matonna e Cristu muertu, comu sia,
comu mancu ni ma
scurdà ti San Giseppu cu la Tria.
Tinimu l’oratori do
si portunu li fili,
li facimu batà a
lautri, piccè tinimu a fà autri pili.
Pi fari sport
tinimu lu campu sportivu e lu palazzettu,
mentri ti vanioni
iu sciucava sotto li cavi senza tettu.
Tinimu li vigni e
l’aulivi, lu cranu, li fichi e li ficalinni,
tinimu la cucuzza,
li cummarazzi e li pummitori ca ti li pinni.
Tinimu puru lu
cummerciu e l’industri pi fatiari,
li patruni paiunu
picca, ma basta pi campari.
Tinumu la spiaggia
a quattru passi tantu iè bicina,
cu Spicchiarica e
la Culimena, lu Bacinu e la Salina.
Li barbari padani
ni chiamunu terruni mantinuti,
ce lonnu paiatu
loro lu soli e lu mari, sti curnuti??
Sacciu iù quantu iè
amaru lu pani loru,
so cattivi puru cu
li frati e li soru.
Tinimu lu cimitero
donca tutti ma sciri,
ddà stannu li frati
e li soru, li mammi e li siri.
Quiddi ca nonnu
lassatu laitrana, comu la ma truata,
e nui la ma lassa
alli fili meiu ti lu tata.
Nisciunu iè prufeta
in patria sua, mancu iù,
ma ci già natu qua,
so cuntentu, anzi ti chiù.
Puru ca quà si
sentunu ierti puru li nani,
ca ci no arriunu
alla ragioni culla occa, arriunu culli mani.
Qua sacciu ci sontu
e quantu l’autri valunu,
a cinca mi oli mali
mancu li penzu,
puru ca loru olunu
mi calunu,
iu passu a nanzi e
li leu ti mienzu.
Putia nasciri tra
la nebbia di li padani o tra lu disertu,
sì, ma ddà mi
incazzu e puè non mi divertu.
Aitrana mia, finchè
campu ti fazzu sempri onori,
puru ca li paisani
mia pi me no tennu sapori.
Li sordi, lu
divertimentu e la panza,
pi loro la menti no
teni usanza.
Ti lassu sta
cantata comu nu quatru o na fotografia ti moni,
cu ni ricurdamu
sempri ca mo stamu, però crai noni.
Ma ccapì: simu
nisciunu e tutti ti passaggiu,
l’aitrana resta pi
sempri e no ti tai aggiu.
Ci no lassi operi
ca restunu,
tutti ti te si ni
scordunu.
Pi l’autri paisi
puè qustu ca ticu no iè diversu,
lu tiempu passa,
nienti cangia e iè tuttu tiempu persu.
Testi scritti il 24
aprile 2011, dì di Pasqua.
ANTONIO GIANGRANDE
INGIUSTIZIA E RIBELLIONE
PRIMA PARTE
|
CURRICULUM VITAE
DI GIANGRANDE ANTONIO Antonio Giangrande, nato in una famiglia sbagliata, una delle tantissime nel meridione, egoista, retrograda ed ignorante, dove si fanno nascere i figli, collusi e codardi, per far ricchi i genitori ed assisterli nella vecchiaia. I figli nati per utilità e lo studio è di impedimento. I figli di quella generazione sono schiavi dei genitori ed al contempo, per non essere egoisti come loro, sono schiavi della progenie.
|
DATI PERSONALI |
Giangrande Antonio Di Oronzo Giangrande bracciante agricolo 22/04/1937
– 10/10/2022 e Antonia Santo bracciante agricola 21/02/41 Nato ad Avetrana (TA) il 02-06-1963 Residente ad Avetrana (TA) in via A. Manzoni n. 49 Tel/Fax
099.9708396
Cell.3289163996 |
DATI FAMILIARI |
Moglie da 01/03/1984: Cosima Petarra Erchie 08/05/1964 addetta impresa
pulizie Figli:
1.
Mirko Giangrande Manduria 26/01/1985:
Avvocato più giovane d’Italia a 25 anni con doppia laurea primina e
diploma secondario con soli 4 anni, con 10 a tutte le materie, e non 5;
Addetto Ufficio per il Processo UPP; Professore di Diritto degli
istituti superiori.
2.
Tamara Giangrande Manduria 16/08/1986,
coadiuvante familiare impresa artigianale manufatti in cemento Nipoti, figli di Tamara:
1.
Antonio Minò Francavilla Fontana
29/03/2015
2.
Nicolò Minò Francavilla Fontana
07/09/2020 |
TITOLI DI STUDIO |
1.
Diploma di Licenza Media il 23 giugno
1977
2.
20/02/84. Iscritto nel Registro degli
Esercenti il Commercio al dettaglio di Taranto: Tab.:
I-II-III-IV-V-VI-VII-VIII-XIV (tabella speciale tabaccai).
3.
Diploma di Ragioniere e Perito
Commerciale presso l’Istituto Statale Tecnico Commerciale Luigi Einaudi
di Manduria (TA) 5 luglio 1992:
A.
Privatista per tutti i 5 anni;
B.
Voto: 36/60.
4.
Laurea in Giurisprudenza presso
l’Università Statale di Milano 11 luglio 1996.
A.
Vecchio Ordinamento Quadriennale;
B.
Studente Lavoratore e famiglia a carico (moglie
e 2 figli);
C.
26 annualità superate in 2 anni;
D.
Voto: 79/110
5.
Titolo regionale della Regione
Puglia: Operatore dei Servizi Giudiziari: Perito Fonico Trascrittore
Dattilografo Stenotipista Forense e Tecnico dei Servizi Giudiziari.
Qualifica regionale di 600 ore: 350 ore di teoria, 250 ore di stage.
Inizio 25/02/2023 fine 01/08/2023. Corso svolto presso Dea Center di
Salice Salentino (Le). Oneri omnicomprensivi 3.000 euro.
6.
Certificato Internazionale di
Alfabetizzazione Digitale rilasciato da Salvemini il 10/06/2024, Ente
accreditato presso l'ente di accreditamento nazionale (MIM - Direttiva
170/2016) registrato con ID Sofia N.85971 conforme ai framework europei
(DigComp 2.2) |
CERTIFICATO PENALE |
Incensurato – nessun carico pendente Questo nonostante i reiterati tentativi di
incriminazione di alcuni Magistrati ed Avvocati di Taranto per reati di
opinione per aver denunciato la malagiustizia a Taranto e per aver
scritto inchieste in tutta Italia. L’intento era, oltre impedirmi l’abilitazione
forense, impedirmi di partecipare ai Concorsi Pubblici, per cause
inibenti di procedimenti penali conclusi con condanne o ancora in corso. Procedimenti estinti senza seguito: Mancini, De
Prezzo, Calora, Dimitri, Cavallo, Romano, Coccioli, Bravo, Lazzara, ecc.
|
CONOSCENZE DELLE LINGUE |
1.
Scolastica:
A.
Inglese;
B.
Francese;
C.
Tedesca. |
CONOSCENZE INFORMATICHE |
Sistema Operativo: Windows Applicativi:
Word, Excel,
Frontpage, Microsoft Expression |
PATENTI
AUTO |
A, B, C, D, E, (CAP non rinnovato) |
POSIZIONE
MILITARE
|
Servizio Militare assolto dal 27 maggio 1982 al 9
maggio 1983 presso il Battaglione Logistico Paracadutisti di Pisa |
ESPERIENZA LAVORATIVA |
1.
Coadiuvante all’autolavaggio di famiglia
a 14 anni: dal 2/06/1977 all’1/09/1979
2.
Emigrato in Germania a 16 anni dal
1/09/1979 al 1/05/1980
3.
Da 1/05/1980 all’27/05/1982 coadiuvante
al negozio al dettaglio di generi alimentari di famiglia.
4.
Servizio militare da 27/05/1982 al
9/05/1983
5.
Dal 9/05/1983 al 13/09/1990 Imprenditore
Commerciale Autonomo:
A.
Commerciante carni;
B.
Commerciante frutta;
C.
Pizzaiolo e Ristoratore stagionale.
6.
Dal 13/09/1990 al 17/06/1991: Guardia
Giurata Particolare e Responsabile Unico della sicurezza del cantiere
presso Igeco spa di Lecce.
7.
Dal 17/06/1991 all’1/09/1992 Pizzaiolo e
Ristoratore stagionale.
8.
Dall’1/09/1992 all’11 luglio 1996
studente universitario lavoratore a Milano con moglie e figli a carico.
A.
Dall’1/09/1992 all’1 aprile 1993 Co.Co.Co
B.
Dall’1/04/1993 all’ 1/11/1993:
Investigatore Privato e responsabile unico della sicurezza del Centro
Direzionale di Segrate (MI) presso la De Pittis Investigazioni Milano
C.
Dall’1/11/1993 all’11/07/1996 Co.Co.Co.
9.
Dal 17/04/1998 al 17/04/2004: Praticante
Avvocato con patrocinio legale presso Il Consiglio dell’Ordine degli
Avvocati di Taranto e Titolare di Studio Legale ad Avetrana. Non
abilitato Avvocato dopo 17 anni di esame di Stato a causa di ritorsione
per aver denunciato l’esame nazionale truccato di abilitazione forense,
da cui è scaturita la riforma del 2003.
Il D.L. 112/03 è convertito nella Legge 180/03.
10. Dal 17/04/2005 al 20/02/2007: Imprenditore Professionale (Agenzia d’Affari) nel campo assicurativo e dell’infortunistica stradale. Sub-agente plurimarche ed antesignano per l’offerta più conveniente, fino a che il Regolamento ISVAP n.5 del 16 ottobre 2006, infatti, impedisce il plurimandato assicurativo e, di fatto, la ricerca della tariffa più conveniente. Il Regolamento prevede l’obbligatorietà dell’iscrizione dell’agente in una sola delle sezioni tenute dall’ISVAP. In questo modo l’agente di una compagnia non può essere sub agente di altra compagnia. Il Regolamento inibisce l’iscrizione a coloro i quali svolgono l’attività professionale assicurativa come secondo lavoro. Il Regolamento impone il divieto di remunerazione per i meri segnalatori o promoters e i meri fattorini, impedendo la collaborazione occasionale e l’incentivazione alla divulgazione delle tariffe più convenienti. Il Regolamento impone l’iscrizione dei subagenti solo se indicati dagli agenti presso cui operano, imponendo di fatto il mono mandato. Lo stesso agente, però, è anch’esso mono mandatario, così obbligato dalla compagnia. Il Regolamento è a favore di tutte le compagnie di assicurazione, le quali obbligano gli agenti ed, ancor più, i subagenti sotto minaccia di mancata iscrizione, ad essere esclusivisti del loro marchio, impedendo così, di fatto, la facoltà del plurimandato e della promozione delle tariffe più convenienti.
11.
Dal 20/02/2007 a tutt’oggi: Saggista e
Sociologo Storico. Pubblicazione su Google e su Lulu di oltre 445 saggi
pluridisciplinari letti in tutto il mondo. Dal 24/07/2020 Amazon, da cui
si traeva la quasi totalità del profitto di vendita, ha chiuso l’account
di pubblicazione, per aver rendicontato ed approfondito il fenomeno del
Covid. |
INCARICHI PUBBLICI |
1.
04/03/2018.
Presidente di Seggio elettorale
2.
03-04/10/2021.
Segretario di Seggio Elettorale. |
CONCORSI PUBBLICI |
La procedura concorsuale assevera
la legalità, ma non rispecchia la legalità.
Gli scritti:
Nei Concorsi Pubblici ci sono due
tipi di prove scritte:
Quella con risposte uniche e
motivate, la cui correzione è, spesso, lunga, farraginosa e fatta da
commissioni clientelari, familistici e incompetenti che non correggono,
o correggono male non avendo il tempo necessario, o la preparazione
specifica e che promuovono secondo fortuna o raccomandazione.
Quella con domande multiple,
spesso, incoerenti con la competenza richiesta, ma che garantiscono
velocità di correzione e uniformità di giudizio.
Chi è abituato all’aiutino
disdegna i quiz, in cui non si può intervenire, se non conoscendoli in
anticipo.
Il metodo di correzione degli
elaborati negli esami di Stato (vedi Avvocati/magistrati) o nei concorsi
pubblici è sempre lo stesso: si dichiarano corretti i compiti che non
sono stati nemmeno visionati. Per attestare ciò detto, non si abbisogna
di microfoni o microspie nelle segrete stanze delle commissioni e dei
"Compari". Basta verificare i tempi di correzione se siano sufficienti e
controllare le prove se e come sono state corrette, anche in relazione
alle altre prove ritenute idonee. I Tar di tutta Italia ne scrivono di
nefandezze commesse. Nel ribellarsi, però, non si caverà un ragno dal
buco: perché così fan tutti!! Giudicanti, ingiudicati.
L’orale: I commissari d’esame
sono nominati dalle Amministrazioni procedenti. Ergo: fanno i loro
interessi.
Il loro interesse è avere come
dipendente un elemento affidabile e/o esperto, più che preparato.
In questo senso la Commissione in
sede di esame orale:
sceglie l’affidabilità del
candidato in base al nominativo ricevuto da terzi;
sceglie l’esperienza del
candidato in base agli incarichi pregressi coperti già in altre
Amministrazioni Pubbliche. In questo caso il giudizio dei commissari è
indirizzato, anche se vi è scena muta.
La Commissione è preparata in
base alle sole domande da loro poste e non su tutti gli argomenti
d’esame. Se l’argomentazione del candidato approfondisce il tema, la si
mette in difficoltà e scatta la ripicca.
La prova orale, madre si tutte le
arroganze e presunzioni. In sede di esame orale ti trovi di fronte una
schiera di Commissari di esame che fanno sfoggio della loro sapienza
rispetto a te e rispetto a loro stessi. L’oggetto dell’esame non verte
sulla tua perizia rispetto alle materie esaminandi, ma sulla capacità di
metterti in difficoltà rispetto alla loro presunzione di saperne più di
te e del loro collega commissario. Tu che hai superato a pieni voti lo
scritto ti trovi di fronte una barriera di contestazioni, di
approssimazioni, di fuorvianze, che ti inceppano i ricordi e che minano
il tuo stato psicologico. Se invece sei un amico o conoscente, o,
meglio, un raccomandato, tutto cambia. Le domande sono benevole, o i
voti sono in contrasto con la scena muta, o con risposte incomplete o
fuorvianti. I senior, pur senza limitazioni all’accesso, poi sono
penalizzati: non idonei a prescindere. Chi già opera in altri corpi,
magari assunto con un concorso truccato, e per capriccio e sazietà vuol
cambiare, è favorito, pur se incapace. Fortunati una volta, fortunati
per sempre. Meglio allora se non si fanno più le prove orali.
1.
02/06/1976. Domanda nell’Arma dei Carabinieri: lettera morta. Esito
scontato per un giovane che non è raccomandato.
2.
13/09/1991. Concorso della Polizia di Stato, scritto voto 8.16, tra i
primi 50 sul oltre 20.000 candidati. Il seguito: lettera morta. Esito
scontato per un giovane preparato che non è raccomandato.
3.
29/10/1991, prova di guida e 25/01/1992 prova psico-fisica-attitudinale
superate al concorso del Ministero della Giustizia per autisti degli
automezzi speciali: mai chiamato. Esito scontato per un uomo preparato
che non è raccomandato.
4.
26/10/1992. Concorso all’ATM di Milano per ferrotranviere. Prova di
guida: mai chiamato. Esito scontato per un uomo preparato che non è
raccomandato.
5.
16/01/1997. Concorso di Uditore Giudiziario: lettera morta. Esito
scontato per un uomo preparato che non è raccomandato.
6.
04/05/1998. Domanda per nomina di Giudice di Pace. Lettera Morta. Esito
scontato per un uomo preparato che non è raccomandato.
7.
18/11/1999. Concorso di Comandante del Corpo di Polizia Municipale di
Manduria. Candidati oltre 300. 5° allo scritto, all’orale preceduto da
chi aveva indetto e regolato il concorso. Esito scontato per un uomo
preparato che non è raccomandato.
8. Dalla
sessione di esame di Avvocato 1998 alla sessione di esame di Avvocato
2014, per 17 anni, alla prova scritta si è dato sempre – stranamente -
un voto uguale (25/30) a tutti e tre gli elaborati (civile, penale,
amministrativo), insufficiente al superamento dell’esame, a mo’ di
ritorsione per le battaglie intraprese. I ricorsi al Tar, rigettati, ma
accolti per tutti gli altri, per le medesime ragioni. Esito scontato per
un uomo preparato che non è raccomandato.
9. Dal
2000 al 2023 non ho potuto svolgere concorsi pubblici per procedimenti
penali pendenti con accuse risultate infondate, per calunnia in
riferimento alle accuse di malagiustizia e concorsi truccati in enti
pubblici e di abilitazione, specialmente in avvocatura, di cui si è
stati promotori per la riforma della legge (Legge 18 luglio 2003, n. 180
conversione Decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112, Legge Castelli della
migrazione degli elaborati).
10. 22/05/2023. Iscritto
nell’elenco Asmelab degli aspiranti Comandanti della Polizia Locale,
dopo aver superato l’esame scritto per presentare interpello all’orale
delle Pubbliche Amministrazioni richiedenti, o scritto se troppi
interpellanti. Esito scontato per un sessantenne preparato. Per ogni
risposta corretta verrà attribuito al candidato un punteggio di 0.166
periodico, con arrotondamento per eccesso (0,166), per ogni risposta
errata o non data verrà attribuito il punteggio 0 (zero). Questo è un
concorso per chi dà più risposte esatte, non per chi dà meno risposte
sbagliate, magari a domande ingannevoli, fuorvianti o errate (Tar dixit
o abbuoni), come quelle del Ministero della Giustizia o Agenzia delle
Entrate.
11. 10/07/2023. Comune di
Venosa (PZ), aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti
229, partecipanti alla prova scritta 120, posizionato 5°. Per ogni
risposta corretta verrà attribuito al candidato un punteggio di 0.166
periodico, con arrotondamento per eccesso (0,166), per ogni risposta
errata o non data verrà attribuito il punteggio 0 (zero). Questo è un
concorso per chi dà più risposte esatte, non per chi dà meno risposte
sbagliate, magari a domande ingannevoli, fuorvianti o errate (Tar dixit
o abbuoni), come quelle del Ministero della Giustizia o Agenzia delle
Entrate. Esame orale pubblico a Venosa il 14/07/2023. Preceduto. Esito
scontato per un sessantenne preparato, ma considerato vecchio e non
raccomandato.
12. 06/09/2023. Comune di
Gattinara (VC), aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti
76, posizionato 5° IDONEO, esame orale pubblico a Gattinara il
18/09/2023. Preceduto ingiustamente. Esito scontato per un sessantenne
preparato, ma considerato vecchio e non raccomandato.
13. 02/10/2023. Comune di
Anacapri (NA), aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti
249. Preceduto. A tutti sono poste due domande secche: una obbligatoria
sugli appalti pubblici. Nessuno ha saputo rispondere in modo esauriente,
meno che uno... Esito scontato per un sessantenne preparato, ma
considerato vecchio e non raccomandato.
14. 10/10/2023. Comune di
Vigliano Biellese (BI), aspiranti Comandanti della Polizia Locale,
interpellanti 53. Preceduto. Commissione: non idonea. Esito scontato per
un sessantenne preparato, ma considerato vecchio e non raccomandato.
15. 20/11/2023 e 23/11/2023
Concorso Agenzia delle Entrate. Su 129.751 candidati arrivato tra i
primi 13.000. Esito scontato per un sessantenne preparato. Selezione
pubblica per l’assunzione a tempo indeterminato di complessive 3970
unità per l’area funzionari, per attività tributaria - Agenzia delle
Entrate
- 0,08 per ogni domanda errata;
+ 0,43 per ogni domanda corretta;
0 punti per ogni domanda omessa.
ESITO PROVA GNGNTN63H02A514Q
GIANGRANDE ANTONIO
Esito Prova: Non Superata
Punteggio Totale: 20,92 punti
52 corrette 18 errate 0 non date
La prova viene considerata
superata con un punteggio uguale o superiore a 21 punti
Questo è un concorso non per chi
dà più risposte esatte, ma per chi dà meno risposte sbagliate, magari a
domande ingannevoli, fuorvianti o errate (Tar dixit o abbuoni).
Selezione pubblica per
l’assunzione a tempo indeterminato di complessive 530 unità per l’area
funzionari, per i servizi di pubblicità immobiliare - Agenzia delle
Entrate
ESITO PROVA GNGNTN63H02A514Q
GIANGRANDE ANTONIO
- 0,08 per ogni domanda errata;
+ 0,43 per ogni domanda corretta;
0 punti per ogni domanda omessa.
Esito Prova: Non Superata
Punteggio Totale: 15,82 punti
42 corrette 28 errate 0 non date
La prova viene considerata
superata con un punteggio uguale o superiore a 21 punti
Questo è un concorso non per chi
dà più risposte esatte, ma per chi dà meno risposte sbagliate, magari a
domande ingannevoli, fuorvianti o errate (Tar dixit o abbuoni).
16. 16/12/2023 Comune di
Savignano Irpino (AV), aspiranti Comandati della Polizia Locale.
Commissari impreparati. Esito scontato per un sessantenne preparato, ma
considerato vecchio e non raccomandato.
17. 13/02/2024 Comune di
Capri (NA), aspiranti Comandati della Polizia Locale. Commissari in mala
fede. Graduatoria di già graduati in altri corpi di polizia che non
hanno risposto a tutte le domande, o fatto in modo incompleto o
fuorviante. Esito scontato per un sessantenne preparato, ma considerato
vecchio e non raccomandato.
18. 20/02/2024 Comune di
Beinasco (Ente capofila) (TO), elenco di idonei aspiranti Comandati
della Polizia Locale dei comuni aderenti allo specifico accordo (Bruino,
Castagnole Piemonte, Orbassano, Rivalta di Torino, Sangano ed il
Consorzio C.I. di S.). Prova scritta: 5° su 50 candidati. Questo è un
concorso per chi dà più risposte esatte, non per chi dà meno risposte
sbagliate, magari a domande ingannevoli, fuorvianti o errate (Tar dixit
o abbuoni), come quelle del Ministero della Giustizia o Agenzia delle
Entrate. Esito scontato per un sessantenne preparato.
19. 07/03/2024 Comune di
Borgomanero (NO), aspiranti Comandati della Polizia Locale. Paese senza
bagni pubblici, nemmeno in stazione ferroviaria. Commissione domestica e
pretenziosa. Candidati due, di cui uno già funzionario in altro ente.
Entrambi bocciati. Esito scontato per un sessantenne preparato, ma
considerato vecchio e non raccomandato.
20. 18/03/2024 Comune di
Melfi (PZ), aspiranti Comandati della Polizia Locale. Commissione
domestica. Come di solito nelle città del Sud, una marea di candidati:
oltre 100. Una trentina presenti all’orale. In virtù della privacy
risultati dei 6 idonei in anonimato con corrispondenza ad un numero
domanda, di cui non si riesce a risalire al titolare, nemmeno per sé
stessi. Esito scontato. Esito scontato per un sessantenne preparato, ma
considerato vecchio e non raccomandato.
21. 13/05/2024 Comune di
Panicale (PG), aspiranti Comandati della Polizia Locale. Commissione
domestica. Commissari in mala fede. Graduatoria di già graduati in altri
corpi di polizia che non hanno risposto a tutte le domande, o fatto in
modo incompleto o fuorviante. Esito scontato per un sessantenne
preparato, ma considerato vecchio e non raccomandato. Così per me, così
per altri interpellanti presenti. Ti danno il 6/10 per impedire anche lo
scorrimento della graduatoria.
22. 05/06/2024 Concorso
Ufficio per il Processo. Su 72.901 candidati superato dai giovani
avvantaggiati dalle norme sul concorso (Il punteggio per le lauree
conseguite nei sette anni precedenti valgono doppio). Esito scontato per
un sessantunenne preparato. Concorso pubblico, per titoli ed esami, su
base distrettuale, ad eccezione di Trento e Bolzano, per il reclutamento
a tempo determinato di 3.946 unità di personale non dirigenziale
dell’Area funzionari, con il profilo di Addetto all’Ufficio per il
processo, da inquadrare tra il personale del Ministero della giustizia
A ciascuna risposta è attribuito
il seguente punteggio:
- Risposta esatta: + 0,75 punto;
- Mancata risposta: 0 punti;
- Risposta sbagliata: - 0,375
Questo è un concorso non per chi
dà più risposte esatte, ma per chi dà meno risposte sbagliate, magari a
domande ingannevoli, fuorvianti o errate (Tar dixit o abbuoni).
ESITO PROVA GNGNTN63H02A514Q
GIANGRANDE ANTONIO
Non Superata
Punteggio Totale: 19,875 punti
31 corrette 9 errate 0 non date
La prova viene considerata
superata con un punteggio uguale o superiore a 21 punti
23. 09/01/24 iscrizione al
"Concorso pubblico, per titoli ed esami, per il reclutamento di un
contingente complessivo di n.152 (centocinquantadue) unità di personale
non dirigenziale, a tempo pieno e indeterminato, da inquadrare nell’Area
Funzionari del Ministero della difesa, con competenze in materia
giuridico amministrativa (Codice A.1)". Esame il 10 luglio 2024. Idoneo
non vincitore su 36.323 candidati. Titoli di preferenza: gioventù.
A ciascuna risposta è attribuito
il seguente punteggio:
- Risposta esatta: + 0,75 punto;
- Mancata risposta: 0 punti;
- Risposta sbagliata: - 0,25
(0,375 relazionali)
Questo è un concorso non per chi
dà più risposte esatte, ma per chi dà meno risposte sbagliate, magari a
domande ingannevoli, fuorvianti o errate (Tar dixit o abbuoni).
ESITO PROVA GNGNTN63H02A514Q
GIANGRANDE ANTONIO
Superata
Punteggio Totale: 21,25 punti
30 corrette 10 errate 0 non date
La prova viene considerata
superata con un punteggio uguale o superiore a 21 punti. Con lo stesso
criterio di punteggio avrei superato il concorso dell’Agenzia delle
Entrate e del Ministero della Giustizia (UPP), con meno domande
sbagliate (9).
24. 27/03/2024 iscrizione
al concorso "REGIONE PIEMONTE - CONCORSO PUBBLICO PER AUTISTI - BANDO N.
211". Esame il 24 luglio 2024. Candidati 977, presenti 406, voto 25,37,
escluso tra i primi quaranta previsti dal bando.
25. 25/04/24 iscrizione ad
AVVISO del Comune di Ginosa DI MANIFESTAZIONE DI INTERESSE PER IDONEI IN
GRADUATORIE DI CONCORSI PUBBLICI PER L’ASSUNZIONE A TEMPO PIENO E
DETERMINATO DI N. 4 UNITÀ DI PERSONALE DEL PROFILO PROFESSIONALE DI
AGENTE DI POLIZIA LOCALE: mai chiamato.
26. 12/05/2024. Iscrizione
concorso "Avviso di selezione pubblica per l’aggiornamento, relativo
all’anno 2024, dell’Elenco di Idonei da assumere quale Agente della
Polizia Locale nella Provincia di Lecce e negli enti locali aderenti
allo specifico accordo. Esame il 19 luglio 2024.
A ciascuna risposta è attribuito
il seguente punteggio:
- Risposta esatta: + 0,75 punto;
- Mancata risposta: 0 punti;
- Risposta sbagliata: - 0,18
Questo è un concorso non per chi
dà più risposte esatte, ma per chi dà meno risposte sbagliate, magari a
domande ingannevoli, fuorvianti o errate (Tar dixit o abbuoni). ESITO
PROVA GNGNTN63H02A514Q GIANGRANDE ANTONIO
Superata
Punteggio Totale: 19,77 punti
29 corrette 11 errate 0 non date
La prova viene considerata
superata con un punteggio uguale o superiore a 21 punti. Con lo stesso
criterio di punteggio avrei superato il concorso dell’Agenzia delle
Entrate e del Ministero della Giustizia (UPP), con meno domande
sbagliate (9).
27.
16/06/2024 iscrizione GRADUATORIE DI CIRCOLO E DI ISTITUTO DI III FASCIA
DEL PERSONALE AMMINISTRATIVO, TECNICO E AUSILIARIO della scuola.
28. 16/06/2024 iscrizione
concorso Asmel aggiornamento elenchi ISTRUTTORE VIGILANZA CAT. C1 |
ESPERIENZA ASSOCIATIVA |
Fondatore e Presidente Nazionale della
“Associazione Contro Tutte le Mafie”
www.controtuttelemafie.it -
www.telewebitalia.eu Primo presidente di Avetrana del Circolo politico di Alleanza Nazionale |
ATTIVITA’ SPORTIVE |
Calcio – Paracadutismo militare – Corsa di resistenza - Podismo
Boxe – Arti marziali |
FUNZIONI AZIENDALI OFFERTE
|
Figura Professionale Duttile, Competente |
MOVIMENTAZIONE
|
Disponibilità alle trasferte |
LEGGE SULLA PRIVACY
|
Autorizzati al trattamento dei dati ai sensi del D.Lgs. 196/2003 |
Dr Antonio Giangrande
PREMESSA: LA CREDIBILITA’.
"Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Dante,
Inferno XXVI
Antonio Giangrande, scrittore, accademico
senza cattedra universitaria di Sociologia Storica, giornalista ed avvocato non
abilitato. "Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere mettiti le mie
scarpe, percorri il cammino che ho percorso io, vivi i miei dolori, i miei
dubbi, le mie risate...vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono
caduto io e rialzati come ho fatto io. Ognuno ha la propria storia. E solo
allora mi potrai giudicare." Luigi Pirandello.
"C’è un’azione peggiore che quella di togliere il diritto di voto al cittadino e
consiste nel togliergli la voglia di votare.” (R. Sabatier)
Se la religione è l’oppio dei popoli, il comunismo è il più grande spacciatore.
Lo spaccio si svolge, sovente, presso i più poveri ed ignoranti con dazione di
beni non dovuti e lavoro immeritato. Le loro non sono battaglie di civiltà, ma
guerre ideologiche, demagogiche ed utopistiche. Quando il nemico non è alle
porte, lo cercano nell’ambito intestino. Brandiscono l’arma della democrazia per
asservire le masse e soggiogarle alle voglie di potere dei loro ipocriti leader.
Lo Stato è asservito a loro e di loro sono i privilegi ed il sostentamento
parassitario fiscale e contributivo. Come tutte quelle religioni con un dio
cattivo, chi non è come loro è un’infedele da sgozzare. Odiano il progresso e la
ricchezza degli altri. Ci vogliono tutti poveri ed al lume di candela. Non
capiscono che la gente non va a votare perché questa politica ti distrugge la
speranza.
Quando il più importante sindaco di Roma, Ernesto Nathan, ai primi del ‘900
scoprì che tra le voci di spesa era stata inserita in bilancio, la TRIPPA,
necessaria secondo alcuni addetti agli archivi del comune, per nutrire i gatti
che dovevano provvedere a tenere lontani i topi dai documenti cartacei, prese
una penna e barrò la voce di spesa, tuonando la celeberrima frase: NON C'È PIÙ
TRIPPA PER GATTI, il che mise fine alla colonia felina del Comune di Roma.
I mediocri del Politically Correct negano
sempre il merito. Sostituiscono sempre la qualità con la quantità. Ma è la
qualità che muove il mondo, cari miei, non la quantità. Il mondo va avanti
grazie ai pochi che hanno qualità, che valgono, che rendono, non grazie a voi
che siete tanti e scemi. La forza della ragione (Oriana Fallaci)
Il pregio di essere
un autodidatta è quello che nessuno gli inculcherà forzosamente della merda
ideologica nel suo cervello. Il difetto di essere un autodidatta è quello di
smerdarsi da solo.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che
diventassimo con la discultura e la disinformazione. Ci si deve chiedere: perchè
a scuola ci hanno fatto credere con i libri di testo che Garibaldi era un eroe
ed i piemontesi dei salvatori; perché i media coltivano il luogo comune di un
sud Italia cafone ed ignorante; perché la prima cosa che insegnano a scuola è la
canzone “bella ciao”? Per poi scoprire da adulti e solo tramite il web: che il
Sud Italia è stato depredato a causa proprio di Garibaldi a vantaggio dei
Piemontesi; che solo i turisti che scendono a frotte nel meridione d’Italia
scoprono quanto ci sia tanto da conoscere ed apprezzare, oltre che da amare; che
“Bella ciao” è solo l’inno di una parte della politica italiana che in nome di
una ideologia prima tradì l’Italia e poi, con l’aiuto degli americani, vinse la
guerra civile infierendo sui vinti, sottomettendoli, con le sue leggi, ad un
regime illiberale e clericale.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo.
Da una parte, l’ideologia comunista si è adoperata con la corruzione culturale:
attraverso la televisione di Stato e similari;
con la propaganda ideologica continua dei giornalisti militanti di regime;
con insegnamenti ed indottrinamenti ideologici scolastici ed universitari frutto
di una egemonia culturale.
Dall’altra parte, la depravazione culturale messa in opera dalle televisioni
commerciali di Berlusconi, anticomuniste ed antimeridionaliste.
Infine con la perversione delle religioni, miranti ad avere il predominio delle
masse per il proprio sostentamento.
Insomma. Lavaggio del cervello: dalla culla alla tomba.
Solo i comunisti potevano pensare una Costituzione, il cui principio portante
fosse il Lavoro e non la Libertà. Libertà che la Carta pone solo come obbiettivo
per poter esercitare alcuni diritti dalla stessa Costituzione elencati. Libertà
come strumento e non come principio. Libertà meno importante addirittura
dell’Uguaglianza. Questa ultima inserita, addirittura, come principio meno
importante del Lavoro e della Solidarietà. Già. Per i comunisti “IL LAVORO RENDE
LIBERI”. ARBEIT MACHT FREI (dal tedesco: “Il
lavoro rende liberi”)
era il motto posto all'ingresso di numerosi campi di concentramento.
Una reminiscenza tratta da una ideologia totalitaria che proprio dal socialismo
trae origine: il Nazismo.
Cosa vorrei? Vorrei una Costituzione,
architrave di poche leggi essenziali, civili e penali, che come fondamento
costitutivo avesse il principio assoluto ed imprescindibile della Libertà e come
obiettivo per i suoi cittadini avesse il raggiungimento di felicità e
contentezza. Vivere come in una favola: liberi, felici e contenti. Insomma,
permettere ai propri cittadini di fare quel che cazzo gli pare sulla propria
persona e sulla propria proprietà, senza, però, dare fastidio agli altri, di cui
si risponderebbe con pene certe. E per il bene comune vorrei da cittadino poter
nominare direttamente governanti, amministratori e giudici, i quali, per il loro
operato, rispondano per se stessi e per i propri collaboratori, da loro stessi
nominati. Niente più concorsi truccati…, insomma, ma merito! E per il bene
comune sarei contento di contribuire con prelievo diretto dal mio conto, secondo
quanto stabilito in modo proporzionale dal mio reddito conosciuto al Fisco e da
questi rendicontatomi il suo impiego.
Invece...
L'influsso (negativo) di chi vuole
dominare l'altro. Ci sono persone che
sembrano dare energia. Altre, invece, sembra che la tolgano, scrive Francesco
Alberoni, Domenica 01/07/2018, su "Il Giornale".
Ci sono persone che sembrano darti energia,
che ti arricchiscono.
Altre, invece, sembra che te la prendano, te
la succhino come dei vampiri. Dopo un colloquio con loro ti senti svuotato,
affaticato, insoddisfatto. Che cosa fanno per produrre su di noi un tale
effetto? Alcune ci parlano dei loro malanni, dei loro bisogni e lo fanno in modo
tale che tu ti senti ingiustamente privilegiato ed è come se avessi un debito
verso di loro.
C'è un secondo tipo di persone che ti sfibra,
perché trasforma ogni incontro in un duello. Non appena aprite bocca sostengono
la tesi contraria, vi sfidano, vi provocano. Lo fanno perché vogliono mostrare
la loro capacità dialettica ma soprattutto per mettersi in evidenza davanti agli
altri. Se gli date retta, vi logorano discutendo su cose che non vi interessano.
Ci sono poi quelli che fanno di tutto per
farvi sentire ignoranti. Qualunque tesi voi sosteniate, anche l'idea più
brillante e ragionevole ecco costoro che arrivano citando una ricerca americana
che dice il contrario. Magari qualcosa che hanno letto in un rotocalco, ma tanto
basta per rovinare il vostro discorso. Ricordo invece il caso di un mio collega
che, per abitudine, nella conversazione, faceva solo domande. All'inizio gli
raccontavo le mie ricerche, gli fornivo i dati, gli mostravo i grafici, le
tabelle, mi sgolavo e lui, dopo avere ascoltato, faceva subito un'altra domanda
su un particolare secondario. E io giù a spiegare di nuovo e lui, alla fine,
un'altra domanda...
Abbiamo poi quelli che, quando vi incontrano,
vi riferiscono sempre qualche cosa di spiacevole che la gente ha detto su di
voi: mai un elogio, mai un apprezzamento, solo critiche, solo pettegolezzi
negativi. E, infine, i pessimisti che quando esponete loro un progetto a cui
tenete molto, vi mostrano i punti deboli, vi fanno ogni sorta di obiezioni, vi
fanno capire che sarà un fallimento. Voi lo difendete ma loro insistono e, alla
fine, restate sempre con dei dubbi. Un istante prima eravate pieno di slancio,
ottimista, entusiasta e ora siete come un cane bastonato. Cosa hanno in comune
tutti questi tipi umani? La volontà di competere, di affermarsi, di dominare, di
opprimere.
Dr. Antonio Giangrande. Orgoglioso di essere
diverso.
Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il
culo.
Noi siamo quello
che altri hanno voluto che diventassimo. Facciamo in modo che diventiamo quello
che noi avremmo (rafforzativo di saremmo) voluto diventare.
Sono qualcuno, ma non avendo nulla per poter
dare, sono nessuno.
Sono un guerriero e non ho paura di morire.
Non ho nulla più da chiedere a questa vita
che essa avrebbe dovuto o potuto concedermi secondo i miei meriti. Ma un popolo
di coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato, istruito, informato,
curato, cresciuto ed educato da coglioni. Ed è per questo che un popolo di
coglioni avrà un Parlamento di coglioni che sfornerà “Leggi del Cazzo”, che non
meritano di essere rispettate. Chi ci ha rincoglionito? I media e la discultura
in mano alle religioni; alle ideologie; all’economie. Perché "like" e ossessione
del politicamente corretto ci allontanano dal reale. In quest'epoca di
post-verità un'idea è forte quanto più ha voce autonoma. Se la libertà significa
qualcosa allora ho il diritto di dire alla gente quello che non vuole sentire.
Qualcuno la notizia la dà, la maggior parte
dei giornalisti la fa. Io le notizie le cerco e le raccolgo, senza metter bocca.
Sarà poi il lettore a estrapolarne la verità.
Imparare ad imparare. Ci ho messo anni a
capire l’importanza del significato di questa frase. L’arroganza e la
presunzione giovanile dapprima me lo ha impedito. Condita da una buona dose di
conformismo. Poi con il passare del tempo è arrivata la saggezza.
Capire di dover capire significa non muoversi
a casaccio, senza una meta, senza un fine, senza un programma. Capire di dover
capire significa chiedersi che senso ha ogni passo che ci indicano di compiere e
che compiamo, ogni prova che superiamo, ogni giorno che spendiamo insieme a
delle persone. Quante volte approcciamo un problema con la reale convinzione di
risolverlo con indicazioni di altri, senza chiederci se davvero esiste una
strada differente per arrivare ad una conclusione sensata.
Ecco, capire di dover capire. Non muoversi a
caso, per sentito dire, parlando con le persone sbagliate, non valutando
attentamente ogni passo che si deve compiere. Per fare questo dobbiamo essere
pronti ad “imparare ad imparare” ovvero lasciare da parte nozioni acquisite e
preconcetti e ad aprirci al nuovo.
Imparare ad imparare significa creare un
percorso.
Serve leggere libri? Se la risposta è
positiva dobbiamo adottare un metodo per selezionare quali libri leggere perché
la mole dei libri in circolazione è tale che non potremmo reggere il passo, ne,
tantomeno, compararne logica e verità.
Come era ieri, è oggi e sarà domani.
Libro di Qoelet. Prologo:
Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità
delle vanità, tutto è vanità.
Quale utilità ricava l’uomo da tutto
l’affanno per cui fatica sotto il sole?
Una generazione va, una generazione viene ma
la terra resta sempre la stessa.
Il sole sorge e il sole tramonta, si affretta
verso il luogo da dove risorgerà.
Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a
tramontana; gira e rigira e sopra i suoi giri il vento ritorna.
Tutti i fiumi vanno al mare, eppure il mare
non è mai pieno: raggiunta la loro mèta, i fiumi riprendono la loro marcia.
Tutte le cose sono in travaglio e nessuno
potrebbe spiegarne il motivo. Non si sazia l’occhio di guardare né mai
l’orecchio è sazio di udire.
Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si
rifarà; non c’è niente di nuovo sotto il sole.
C’è forse qualcosa di cui si possa dire:
«Guarda, questa è una novità»? Proprio questa è gia stata nei secoli che ci
hanno preceduto.
Non resta più ricordo degli antichi, ma
neppure di coloro che saranno si conserverà memoria presso coloro che verranno
in seguito.
Art. 104, comma 1, della Costituzione
italiana cattocomunista.
La magistratura costituisce un ordine
autonomo ed indipendente da ogni altro potere. (.)
La magistratura per la destra è un Ordine
(come acclarato palesemente), per la sinistra è un Potere (da loro dedotto dalla
distinzione "da ogni altro potere").
Autonomia dei Magistrati: autogoverno con
selezione e formazione per l’omologazione, nomine per la conformità e controllo
interno per l’impunità. Affinchè, cane non mangi cane.
Indipendenza dei Magistrati: decisioni
secondo equità e legalità, cioè secondo scienza e coscienza. Ossia: si decide
come cazzo pare, tanto il collega conferma.
Caratteristiche della credibilità di una
persona. Da Pensiero Critico.
Cos'è la credibilità. Quando ci troviamo di
fronte a una persona elaboriamo sempre un giudizio sulla sua credibilità, e
spesso siamo indotti a pensare che essa sia una proprietà intrinseca
di quella persona. Secondo il sociologo Guido Gili (2005, La credibilità) la
riflessione psicologica e sociologica contemporanea ha modificato questa
prospettiva, proponendo che la credibilità sia qualcosa che viene riconosciuto
dagli altri, anche se essa non può prescindere da qualità effettivamente
possedute da quella persona. Ecco la definizione data da Gili (p.4): La
credibilità è sempre una relazione tra emittente e ricevente/pubblico, per cui
una credibilità universale ed un discredito universale sono i poli estremi di un
continuum sul quale si collocano concretamente tante forme e modi diversi di
credibilità. Spesso chi è credibile presso un interlocutore o un pubblico non lo
è nello stesso modo e per le stesse ragioni presso un altro, come mostra, in
modo estremo ed evidentissimo, il caso di molti leader carismatici. Per i loro
seguaci rappresentano delle personalità eccezionali, dotate di qualità quasi
sovrumane e di una credibilità illimitata; per gli altri possono apparire come
degli esaltati, dei pazzi o dei criminali.
Il punto chiave. La credibilità non è una
caratteristica intrinseca della fonte, ma è una relazione. (Guido Gili).
La credibilità è soggettiva. La credibilità
che attribuiamo a una persona non è "oggettiva" ma "soggettiva": dipende da come
la nostra mente è fatta in termini di ricordi, emozioni, esperienze, capacità
logiche, ecc. Il problema della credibilità di una persona non si pone nei
rapporti di familiarità perchè le lunghe frequentazioni permettono di maturarla
e sperimentarla nel tempo (anche la familiarità, comunque, non è esente da
rischi perchè espone alla manipolazione). Il problema della credibilità di una
persona si pone soprattutto nelle relazioni caratterizzate da livelli crescenti
di estraneità e talvolta richiede, affinchè una relazione possa iniziare,
una anticipazione di credibilità.
Nel valutare le condizioni per accordare tale
anticipazione entra in gioco il concetto di fiducia. Nel valutare le condizioni
per accordare tale anticipazione entra in gioco il concetto di fiducia che è
complementare alla credibilità, nel senso che si può parlare di fiducia solo
quando l'altra persona è libera di tradirla (non vincolata da norme o
imposizioni). Come ha scritto il sociologo Niklas Luhman (Le strategie della
fiducia, Einaudi pp.131-132)"la fiducia non nasce da un pericolo intrinseco ma
dal rischio. [...] Ciò che determina il rischio è un calcolo puramente interiore
delle condizioni esterne. [...]". Vi sono molti concetti legati alla
credibilità (affidabilità, attendibilità, reputazione, ecc.) dei quali è
opportuno conoscere le proprietà e individuare le differenze.
Credibilità dei politici italiani.
Credibilità del ruolo e credibilità nel ruolo. Quando comunichiamo non siamo
quasi mai individui generici ma, la maggior parte delle volte, ci portiamo
dietro un ruolo specifico riconosciuto dalla società: padre, insegnante, medico,
manager, politico, operaio, ecc. I diversi ruoli professionali posseggono già,
di per sè, una credibilità riconosciuta: la credibilità del ruolo che influenza
positivamente o negativamente la nostra percezione dell'altro. Insieme a questo
tipo di credibilità ve ne è però uno più pertinente alla persona che stiamo
valutando ed è la credibilità nel ruolo. Essa equivale al modo in cui quella
specifica persona interpreta quel ruolo, con i suoi personali pregi e difetti.
Questi due tipi di credibilità si influenzano e, di solito, se si ha un ruolo
socialmente credibile si tende a interpretarlo in modo da rafforzarlo. Talvolta
ciò non accade: ad esempio in Italia, negli ultimi anni, il patrimonio di
credibilità del ruolo politico è stato sperperato da comportamenti personali
discutibili sul piano etico (vedere ad esempio: G.Stella, S.Rizzo, La Casta -
Perchè i politici italiani continuano a essere intoccabili 2007 Rizzoli).
Dunque, a fronte del discredito della credibilità del ruolo, i politici (se sono
eticamente dotati), dovranno impegnarsi di più nella loro credibilità nel
ruolo per sperare che l'altro tipo di credibilità possa essere recuperato.
Radici della credibilità. Secondo Gili (p.7)
le radici della credibilità, che i riceventi cercano nelle persone, sono tre:
radice cognitiva: è la competenza o qualifica
riconosciuta di esperto.
radice etico-normativa: è la condivisione di
valori percepiti (pregiudizi inclusi).
radice affettiva: è la condivisione emotiva
di appartenenza (a un gruppo, un'associazione, un partito, ecc).
Verifica della credibilità di una persona sul
Web. Il web offre la possibilità di verificare rapidamente la credibilità di una
persona (la sua reputazione), attraverso: i commenti postati sui blog/forum, le
menzioni ricevute da altri soggetti, le immagini postate sui social networks,
ecc. Questa possibilità può diventare un rischio per chi pubblica incautamente
informazioni che lo riguardano, perchè spesso esistono scostamenti tra
l'identità personale e l'identità digitale della stessa persona, dovuti al modo
in cui la personalità dell'individuo viene "costruita" in rete. Tale problema ha
dato luogo alla creazione di una nuova figura professionale: quella dell'"online
reputation manager". Naturalmente ciò riguarda soprattutto le persone che hanno
una immagine pubblica da difendere, ma ciò diventerà una necessità anche per le
persone comuni. Quando la credibilità online di una persona viene danneggiata
(dai suoi comportamenti reali o da quelli di altri) esiste la possibilità che
essa si rivolga a un servizio di ricostruzione della propria reputazione
digitale. Alle persone "normali", consigliamo di attuare i consigli suggeriti
dall'articolo "Google e web, come gestire la reputazione online". Per chi
volesse fare qualcosa in più Susan Adams ha pubblicato su Forbes sei utili
consigli per gestire la propria reputazione online nel seguente articolo: "6
Steps To Managing Your Online Reputation". Esistono peraltro servizi rivolti a
persone che hanno molto da nascondere e desiderano rifarsi una verginità online,
ad esempio i politici: ecco un esempio di azienda che offre una "web reputation
per politici" che li "ripulisce" prima di affrontare una campagna elettorale.
Monitoraggio online. Esistono servizi di
"ricostruzione" della reputazione online in grado di innalzare fittiziamente la
credibilità di soggetti che hanno molto da nascondere. Ciò rende più faticosa la
valutazione della credibilità online di coloro che hanno le risorse per accedere
a tali servizi, quali: politici, imprenditori, aziende, ecc.
Patologie della credibilità. Generalmente, se
nel corso della nostra vita abbiamo vissuto in ambienti con buone relazioni
interpersonali, tendiamo ad accordare alla "gente" una fiducia generalizzata.
L'influsso esercitato dal sistema mediatico sul singolo individuo dipende non
solo dall'efficacia comunicativa dei media, ma anche dalla vulnerabilità del
singolo. La mancanza di fiducia o l'eccesso di fiducia rientrano tra le
patologie della credibilità, e si collocano ai due estremi dell'asse della
fiducia. In tali patologie le persone possono avere un atteggiamento di sospetto
generalizzato o, all'opposto, un atteggiamento di credulità senza limiti.
I vari gradi della fiducia si trovano tra due
estremi: il sospetto generalizzato e la credulità senza limiti.
Teoria della coltivazione (dei
telespettatori).
Eccesso di sospetto. Nella costruzione della
fiducia, in mancanza di situazioni di familiarità, influiscono anche le
rappresentazioni della società offerte dai mezzi di comunicazione di massa, ad
esempio l'esposizione alla violenza nelle fiction in TV (più che nelle news).
Secondo una ricerca pionieristica di George Gerbner (1976), la violenza in TV
produce la convinzione che anche nella propria realtà sociale vi sia violenza e
che esista un'alta probabilità di rimanerne vittima. Gerbner propose una teoria
(Cultivation theory) nella quale la Televisione, anzichè essere una occasione di
riflessione sul mondo reale, può sostituirsi alla realtà nelle persone che si
espongono per molte ore al giorno ai suoi programmi. Secondo questa teoria le
persone vengono "coltivate" fin dall'infanzia ad accettare storie, preferenze,
messaggi dalla TV anzichè dalle persone reali del loro ambiente sociale. La
teoria della coltivazione ha ricevuto molte critiche per le modalità di
svolgimento delle interviste ma, nonostante ciò, rimane un'ipotesi sociale che
mantiene un elevato grado di credibilità.
Eccesso di credulità. Riguardo alla credulità
fanno riflettere i metodi usati da Kevin.D. Mitnick, un famoso hacker
statunitense, per carpire informazioni riservate (L'arte dell'inganno, 2002
Feltrinelli). Mitnick ha dimostrato che l'anello debole della sicurezza dei
sistemi informatici (anche i più sofisticati) non è di natura tecnologica ma è
il fattore umano. Egli riusciva a procurarsi le informazioni più riservate
semplicemente... chiedendole, cioè sfruttando la credulità delle persone. Egli
aveva la capacità di rendersi credibile a interlocutori che non aveva mai visto
nè sentito prima. Questa capacità è stata chiamata ingegneria sociale (social
engineering) e consiste nel raccogliere informazioni sulla vittime (spesso per
telefono) per poi arrivare all'attacco vero e proprio (di solito di natura
informatica). L'ingegneria sociale impiega metodi quali: nascondere la propria
identità, mentire, ingannare, rendersi credibili e sfrutta alcune tendenze
generali dell'essere umano: il desiderio di rendersi utile, la tendenza alla
credulità, la paura di mettersi nei guai (se non rispondono alle richieste). Nel
suo libro Mitnick, che ora fa il consulente di sicurezza alle aziende, descrive
nel dettaglio in che modo vengono effettuati i tentativi di manipolazione e come
imparare a difendersi.
Dr. Antonio Giangrande. Orgoglioso di essere
diverso.
PREMESSA:
IL PERCHE’ DI UNA MISSIONE.
La contemporaneità italiana raccontata ai posteri ed agli stranieri.
Se la Storia la scrivono i vincitori, ora tocca ai vinti raccontare quello che
non si riporta dalla Cultura del pensiero unico ed imperante e dai Media
ideologizzati asserviti al potere politico ed economico.
Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il
culo.
Noi siamo quello
che altri hanno voluto che diventassimo. Facciamo in modo che diventiamo quello
che noi avremmo (rafforzativo di saremmo) voluto diventare.
Sono qualcuno, ma non avendo nulla per poter
dare, sono nessuno.
Sono un guerriero e non ho paura di morire.
Non ho alcun
potere. Ho provato a difendere gli indifesi quando praticavo nei Tribunali. Non
guardavo in faccia nessuno per l’amor di verità e giustizia. Il risultato è che
sono stato cacciato e perseguitato. Inoltre, coloro che difendevo mi hanno
voltato le spalle. I politici a cui segnalavo le anomalie mi prendevano
per pazzo o mitomane.
Purtroppo le
controversie sono risolte dai magistrati nei processi con l’ausilio degli
avvocati difensori.
I quesiti a cui
dare risposta sono:
Ci sono magistrati
degni di stima e rispetto, che applichino la legge secondo legalità ed equità?
Ci sono avvocati
che spingono i magistrati a prendere le decisioni secondo giustizia?
Ci sono governanti
e legislatori che ascoltano le preghiere dei cittadini, avendo potere
d’intervento sui magistrati?
Cosa fa il “popolo”
per cambiare le cose?
La risposta è che
ognuno guarda i “cazzi” suoi”.
Allora la mia
considerazione naturale è:
Non ho nulla più da chiedere a questa vita
che essa avrebbe dovuto o potuto concedermi secondo i miei meriti. Ma un popolo
di coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato, istruito, informato,
curato, cresciuto ed educato da coglioni. Ed è per questo che un popolo di
coglioni avrà un Parlamento di coglioni che sfornerà “Leggi del Cazzo”, che non
meritano di essere rispettate. Chi ci ha rincoglionito? I media e la discultura
in mano alle religioni; alle ideologie; all’economie. Perché "like" e ossessione
del politicamente corretto ci allontanano dal reale. In quest'epoca di
post-verità un'idea è forte quanto più ha voce autonoma. Se la libertà significa
qualcosa allora ho il diritto di dire alla gente quello che non vuole sentire.
«Il popolo è una puttana e va col maschio che vince» (Mussolini a proposito del
sentimento filotedesco in Italia dopo i primi successi della Wermacht) (Renzo De
Felice, Breve storia del fascismo, Mondadori)
"Il popolo cornuto era e cornuto resta: la
differenza è che il fascismo appendeva una bandiera sola alle corna del popolo e
la democrazia lascia che ognuno se l'appenda da sé, del colore che gli piace,
alle proprie corna... Siamo al discorso di prima: non ci sono soltanto certi
uomini a nascere cornuti, ci sono anche popoli interi; cornuti dall'antichità,
una generazione appresso all'altra...- Io non mi sento cornuto - disse il
giovane - e nemmeno io. Ma noi, caro mio, camminiamo sulle corna degli altri:
come se ballassimo..." Leonardo Sciascia dal libro "Il giorno della civetta".
Un chierico medievale si imbatté in un
groviglio di serpi su cui spiccava un ramarro che già da solo sarebbe bastato a
spaventarlo. Tuttavia, confrontata a quelle serpeggianti creature, la bestiola
gli parve graziosa ed esclamò: «Beati monoculi in terra caecorum», nella terra
dei ciechi anche l’orbo è re.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che
diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo
facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo
facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione
di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica.
Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze
staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad
ascoltarci.
Cos’è la natura umana, lo stimolante
confronto tra Chomsky e Foucault.
Filippo La Porta su Il Riformista il 10 Luglio 2020. Ma esiste la “natura
umana”, o qualcosa definibile in quanto tale sul quale basare la nostra azione
politica? Ad esempio i valori della giustizia, dell’integrità, dell’amore per
gli altri. Faccio un passo indietro. Come ognuno sa il repertorio illimitato che
offre la Rete ha modificato la nostra insonnia, ci ha reso possibile, entro
certi limiti, “usarla” (come occasione preziosa di conoscenza e apprendimento).
Colpito da insonnia stagionale (calura estiva) nelle ultime notti ho navigato in
Rete alla ricerca di argomenti sfiziosi, curiosità e lontane remininescenze. Non
si pensi solo alla “cultura alta”: ad esempio ho rivisto i deliziosi monologhi
televisivi di Walter Chiari, poi a un certo però mi sono imbattuto nel
confronto, alla tv olandese, tra Noam Chomsky del Mit e Michel Foucault del
Collège de France (1971) proprio sulla “natura umana” (ho successivamente
scoperto che ne sono usciti due libretti, uno Derive/Approdi, l’altro
Castelvecchi, infarciti di postfazioni). Ritengo che questo confronto sia
straordinario, formativo, e un raro esempio di altissima drammaturgia
filosofica. Cosa dicono i due grandi intellettuali?
Chomsky teorizza coerentemente la esistenza
di una natura umana, che secondo lui consiste fondamentalmente – e in ciò risale
a Cartesio (che definisce la mente come qualcosa che si contrappone al mondo
fisico) – in una capacità creativa: si tratta di una facoltà che ogni bambino
dimostra quando alle prese con una nuova situazione reagisce ad essa, la
descrive, la pensa in modo nuovo, e che gli permette di apprendere la propria
lingua madre rapidamente e senza impararne le regole. Una facoltà naturale,
metastorica, che fonda il nostro agire politico contro ogni potere coercitivo
(ed ad esempio le varie forme di disobbedienza civile): se questo bisogno di
ricerca creativa (a partire dal linguaggio), di libera creazione, è un elemento
della natura umana, un invariante biologico, allora una società più giusta
dovrebbe permetterci di massimare la possibilità di realizzare tale
caratteristica umana.
Foucault replica che invece tutto è prodotto
della Storia, che nella nozione di natura umana c’è sempre qualcosa di
regolativo, che quando la definiamo prendiamo in prestito elementi della
nostra cultura e civiltà. Onestamente dà l’impressione di essere più sottile,
più sofisticato del suo interlocutore, almeno fino a quando non cita come
massima fonte autorevole Mao-Tse -Tung, che parlava di natura umana borghese e
di natura umana proletaria. E aggiunge che il proletariato combatte la classe
dirigente non perché lo ritiene giusto ma perché vuole prendere il potere
(rivelando una antropologia alla Hobbes!). Non si mostra interessato a definire
cos’è l’uomo (la sua “essenza”, definibile solo in termini metafisici) ma a
capire cosa si può e si deve fare dell’uomo (in ciò singolarmente vicino
a Sartre, con cui pure era spesso in polemica).
Cosa ricavarne? Non pretendo di trovare una
soluzione e anzi lascio al lettore la libertà di trarne le sue conclusioni. Mi
limito a osservare che in genere il buon senso (americano ed ebraico) di Chomsky
me lo rende più simpatico: dice ad esempio che se il proletariato vincendo la
sua battaglia creasse uno stato di polizia fondato sul Terrore allora lui vi si
opporrebbe, appunto in nome di valori umani fondamentali, radicati nella nostra
natura. Anche se vedo la problematicità della sua posizione: in fondo anche
Hitler avrebbe potuto appellarsi alla “natura umana”, magari assumendo come sua
prerogativa principale il bisogno di sicurezza! Inoltre: è anche vero che quel
bisogno di creatività è un prodotto storico, nato dalla interazione sociale
(tralascio la questione se davvero donne e uomini abbiano la “stessa” natura…).
Provo allora a suggerire una terza posizione. A me sembra che la negazione
integrale – foucaultiana – della natura umana abbia portato (si pensi
all’oltranzismo di certe posizioni sul gender) alla insofferenza verso qualsiasi
“limite”, alla cancellazione di ogni vincolo naturale, e dunque alla irrealtà.
Per Proudhon la giustizia nasceva – in società – dal riconoscimento della
dignità di ogni essere umano: «è il rispetto, spontaneamente provato e
reciprocamente garantito, della dignità umana, in qualsiasi persona». Certo,
questo riconoscimento è emerso a un certo punto della Storia umana, non prima,
ma diventerà un punto di non ritorno. E può fondare qualsiasi tipo di resistenza
al potere. In tal senso allora una azione politica potrebbe fondarsi non tanto
sulla natura umana quanto su ciò che intendiamo valorizzare della natura umana
(sempre contraddittoria, un poco “lunatica”, come osservò Orwell), però senza
poterne prescindere.
Liberale=amante della libertà propria e
rispetto di quella altrui. Secondo diritto naturale, non economico. Per esempio:
i poveri non si sostengono economicamente, per farli rimanere tali, ma si
aiutano a diventare ricchi, eliminando ogni ostacolo posto sulla loro strada da
caste e lobbies.
In parole povere. Spiegazione con
intercalare efficace: Fare i cazzi propri, senza rompere il cazzo agli altri.
Attenzione, pero, a nominare il termine
“liberale” invano, perché i liberali non esistono.
Si spacciano come tali quelli come
Berlusconi, ma sono solo lobbisti capitalisti. E molto hanno in comune con i
comunisti, leghisti e fascisti e gli inconsistenti 5 stelle. Tutti fanno solo i
cazzi loro, rompendo il cazzo agli altri.
Non c'è nessun però o nessun ma. Il diritto
di aiutare è un gesto solidale. Ma l'aiuto non è per tutti. Cassa integrazione,
indennità di disoccupazione, reddito di cittadinanza sono sostegni economici non
per tutti. Quindi l'aiuto è tale solo se ricambiato. Il dovere di abbattere
caste è lobbies per affermare l'equità è doveroso. Io voglio, se valgo, il posto
degli incapaci che mi dicono cosa fare. Invece l'assuefazione al chiedere e
l'abitudine a ricevere ha reso le masse proletarie parassitarie. I Poveri,
anzichè battersi per i diritti, ora sono pronti a vendersi per gli oboli,
diventando schiavi dei potentati gattopardiani.
Qual è la differenza tra equità e
uguaglianza?
L’uguaglianza
comporta che chi non si vuole sbattere, ottenga lo stesso di chi invece si fa il
mazzo.
Equità significa che se uno per esempio fa
carriera (e i soldi) e l’altro no, pur avendo frequentato entrambi la stessa
scuola nelle stesse condizioni, quello rimasto al palo, dovrebbe biasimare solo
sè stesso, perchè hanno avuto entrambi la stessa opportunità.
Mattia Biella, System Integrator, Tecnico di
automazione(1995 -oggi) su it.quora.com. Ha Risposto il 12 dicembre 2018.
Eccone un’immagine interessante.
Uguaglianza è quando tutti sono trattati allo stesso modo (figura a sinistra).
Da qph.fs.quoracdn.net
Non è detto che cambi qualcosa: a chi già
poteva non cambia nulla, per chi non poteva non è detto che adesso possa. A
destra invece l’equità: non è detto che tutti ricevano lo stesso, ma ciascuno
riceve quello che gli serve. Uguaglianza significa avere tutti la stesa
cosa, equità significa avere tutti le stesse opportunità. Mentre l’uguaglianza è
facile da ottenere, l’equità comporta scelte da parte di chi deve fornire gli
strumenti. Oltretutto, chi beneficia di eventuali aiuti vede una differenza
magari marcata tra ciò che egli riceve e quello che riceve invece il suo
vicino/amico/compagno, e scatta il tormentone perchè lui ne ha avuto di più?
Equità però significa anche che se uno per esempio fa carriera (e i soldi) e
l’altro no pur avendo frequentato entrambi la stessa scuola nelle stesse
condizioni, quello rimasto al palo dovrebbe biasimare solo sè stesso perchè
hanno avuto entrambi la stessa opportunità. L’uguaglianza comporta che chi non
si vuole sbattere ottenga lo stesso di chi invece si fa il mazzo. Quindi chi non
vuole sbattersi pensa chi me lo fa fare dato che poi comunque ho lo stesso ciò
che mi serve? mentre quello che si sbatte pensa chi me lo fa fare se poi
comunque non mi resta in mano nulla più di quelli che non si sbattono?. In
realtà l’immagine completa comprenderebbe un terzo pannello, in cui la
staccionata non c’è più ed è stata sostituita da una rete, e quella situazione
rappresenta la situazione in cui gli ostacoli sono stati rimossi e tutti possono
godere fin da subito delle stesse opportunità, ma va oltre la domanda posta.
Questa immagine rende meglio l’idea, credo.
In questo caso è lampante come l’uguaglianza sia di fatto discriminante, anche
se a molti sembra un paradosso.
Da qph.fs.quoracdn.net
Anche in questa immagine direi che la
differenza è chiara.
Da qph.fs.quoracdn.net
Che governi l'uno, o che governi l'altro,
nessuno di loro ti ha mai cambiato la vita e mai lo farà. Perchè? Sono tutti
Comunisti e Statalisti. Sono sempre contro qualcuno. Li differenzia il motto:
Dio, Patria e Famiglia...e i soldi.
Gli uni sono per il cristianesimo come
culto di Stato. Gli altri sono senza Dio e senza Fede, avendo come unico credo
l'ideologia, sono per l'ateismo partigiano: contro i simboli e le tradizioni
cristiane e parteggiando per l'Islam.
Gli uni sono per la Patria e la difesa dei
suoi confini. Gli altri sono senza Patria e, ritenendosi nullatenenti, sono
senza terra e senza confini e, per gli effetti, favorevoli all'invasione delle
terre altrui.
Gli uni sono per la famiglia naturale. Gli
altri sono senza famiglia e contro le famiglie naturali, essendo loro stessi
LGBTI. E per i Figli? Si tolgono alle famiglie naturali.
Gli uni sono ricchi o presunti tali e non
vogliono dare soldi agli altri tutto ciò che sia frutto del proprio lavoro. Gli
altri non hanno voglia di lavorare e vogliono vivere sulle spalle di chi lavora,
facendosi mantenere, usando lo Stato e le sue leggi per sfruttare il lavoro
altrui. Arrivando a considerare la pensione frutto di lavoro e quindi da
derubare.
Alla fine, però, entrambi aborrano la
Libertà altrui, difendendo a spada tratta solo l'uso e l'abuso della propria.
Per questo si sono inventati "Una
Repubblica fondata sul Lavoro". Un nulla. Per valorizzazione un'utopia e una
demagogia e legittimare l'esproprio della ricchezza altrui.
Ecco perchè nessuno si batterà mai per una
Costituzione repubblicana fondata sulla "Libertà" di Essere e di Avere. Ed i
coglioni Millennials, figli di una decennale disinformazione e propaganda
ideologica e di perenne oscurantismo mediatico-culturale, sono il frutto di una
involuzione sociale e culturale i cui effetti si manifestano con il reddito di
cittadinanza, o altre forme di sussidi. I Millennials non si battono affinchè
diventino ricchi con le loro capacità, ma gli basta sopravvivere da poveri.
La sinistra ha il buonismo ed il
Politicamente Corretto su immigrazione ed LGBTI, la destra il proibizionismo ed
il punizionismo moralista sul sesso e la droga. Il Giustizialismo per entrambi è
per gli altri, il garantismo per se stessi.
Avvolti nella loro coltre di arroganza e
presunzione, i Millennials, non si sono accorti che non sono più le Classi
sociali o i Ceti ad affermare i loro diritti, ma sono le lobbies e le caste a
gestire i propri interessi.
Nord
e Sud ed i ladri e razzisti dentro.
"Sbagliato dare gli stessi stipendi a Milano e Reggio Calabria" dice il sinistro
Beppe Sala, sindaco di Milano. Dovrebbe sapere, lui, se fosse solo ignorante e
non in malafede, che a parità di stipendio il maggiore costo della vita elevato
al Nord va a pareggiare i maggiori costi dei diritti negati al Sud, a causa del
ladrocinio padano dei Fondi nazionali e comunitari destinati al meridione. Da
buoni comunisti (Padani) per loro vale il detto: “quello che è mio è mio; quello
che è tuo è pure mio”.
La verità è che al Sud la vita costa di
più. Angelo Bruscino, Imprenditore
impegnato nella Green Economy, giornalista e scrittore, su Huffingtonpost.it il
13/07/2020. Caro sindaco di Milano, la verità è che al Sud la vita costa di
più. Costa di più, perché abbiamo una pressione fiscale maggiore in cambio di
servizi inesistenti. Costa di più, perché il tempo per aprire una impresa è il
triplo che a Milano. Costa di più, perché la burocrazia è un costo occulto per
cittadini e imprese. Costa di più, perché la nostra aspettativa di vita media è
più bassa, ci ammaliamo di più e dobbiamo andare al Nord a farci curare, di
tasca nostra. Costa di più, perché i processi sono infiniti. Costa di più,
perché non abbiamo l’Alta velocità ma l’altra velocità. Costa di più, perché non
abbiamo metrò, ma strade fatiscenti: andiamo al lavoro in auto, mica in Tav, con
tutti i costi ambientali che ciò comporta. Costa di più, perché le scuole
crollano, mancano gli asili e chi può manda i figli a studiare alla Bocconi a
spese proprie. Costa di più, perché da Palermo a Messina o da Salerno a Reggio
Calabria è una odissea. Costa di più, perché i prodotti che consumiamo vengono
dal Nord, a eccezione di frutta, verdura e pesce, le uniche cose che costano di
meno perché le produciamo! Dimenticando che i redditi degli impiegati pubblici
servono proprio ad acquistare i beni del Nord, così che Lei possa dire: “Milano
non si ferma”.
Patrimoni sconosciuti del Sud.
La maggioranza dei comuni meridionali ignora i
beni pubblici che amministra. Perché non censire le nostre risorse? La proposta
per dare nuova vitalità al territorio e lavoro ai giovani. Piero Bevilacqua il 5
luglio 2020 su Il Quotidiano del Sud. Questi brevi suggerimenti nascono dalla
necessità di fornire, in tempi il più possibile brevi, delle opportunità di
lavoro ai tanti giovani, in gran parte laureati, spesso di ritorno nel Sud a
causa della pandemia, perché trovino per lo meno ragioni di permanenza
temporanea, suscettibile di sviluppi futuri. Io credo che la grandissima
maggioranza dei comuni meridionali ignorino i patrimoni pubblici che pure
amministrano (terreni, edifici e vari beni immobili, monumenti artistici, acque
interne, risorse naturali, dotazioni ambientali e di biodiversità) per i quali i
giovani laureati in scienze agrarie, in economia, in architettura, in
giurisprudenza, in ingegneria, materie umanistiche, ecc potrebbero in breve
tempo essere chiamati a compiere una ampia operazione di ricognizione e di
censimento di comprensibile utilità. Pensiamo al lavoro per rendere noti i
terreni potenzialmente disponibili ad uso agricolo. Naturalmente non tutti i
comuni sono nelle stesse condizioni, ma assai spesso si tratta di fare emergere,
soprattutto nelle campagne interne, tanto i fondi e i beni comunali, che quelli
demaniali, gli usi civici, ma anche le terre private abbandonate. Ricordo che
tale lavoro risulterebbe utile non solo ai fini propriamente agricoli, ma anche
per individuare i siti, poco vocati all’agricoltura, o ad altro uso produttivo,
in cui installare veri e propri centri di generazione di energia solare. Il
territorio improduttivo ma che gode di prolungato irraggiamento, può essere
utile anche a questo. Una operazione simile andrebbe condotta inoltre, per conto
dei comuni e in collaborazione con gli istituti competenti, nei tanti paesi,
borghi, cittadine in vie di spopolamento per avere un quadro del patrimonio
abitativo in abbandono, dei beni artistici e monumentali spesso dimenticati, del
loro stato di conservazione, dei tanti lasciti spesso preziosi di conventi,
palazzi padronali, fontane, cisterne, canali, ponti, briglie idrauliche, e non
solo. Moltissimi comuni del Sud avrebbero bisogno di conoscere lo stato dei loro
suoli e corsi d’acqua di cui ci si ricorda quando esondano per qualche
alluvione. Un tempo i grandi geografi italiani facevano il censimento delle
frane dell’Appennino, oggi, con i tecnici comunali e provinciali che
teoricamente dovrebbero sovraintendere alla loro sorveglianza, i giovani
potrebbero offrire un di più di conoscenza diretta, per potere intervenire con
piani preventivi di contenimento. È con le piccole opere diffuse e capillari che
si evitano i grandi disastri. Si parla sempre e con asfissiante monotonia di
ambiente, ma pochi sanno di che cosa realmente parlano. Eppure l’ambiente
meridionale presenta grandi problemi e straordinarie potenzialità. Qualche
esempio per atterrare dalla nuvola “ambiente” alla realtà. I nostri boschi sono
spesso in condizioni di grave degrado. In tanti casi la macchia selvatica li
rende impraticabili e talora arriva ad ucciderli. Io ho visto personalmente
Monte Reventino, in Sila, migliaia di alberi soffocati dalla vitalba, un
elegante parassita infestante, che si estende in alte liane per via aerea e con
radici sotterranee. In Aspromonte si possono scorgere vaste pinete con le chiome
degli alberi letteralmente coperte da nidi di processionarie che li stanno
uccidendo o li hanno già uccisi. Solo alcuni esempi per indicare un immenso
patrimonio naturalistico in pericolo che potrebbe peraltro conoscere forme di
valorizzazione economiche incredibilmente trascurate. Noi importiamo legname
pregiato da opera (castagni, noci e ciliegi) e non riusciamo a coltivarne le
essenze neanche in habitat vantaggiosi. Senza dire che in queste terre d’altura
non si fanno allevamenti di volatili e di piccoli animali, realizzabili con poca
spesa. Mentre le acque interne (torrenti, piccoli laghi, stagni) raramente danno
luogo ad attività di acquacoltura. Si parla spesso di biodiversità da tutelare.
Sarebbe molto utile conoscerla e tanti giovani agronomi e laureati in scienze
naturali potrebbero, ad esempio, essere impiegati, in cooperazione con gli
esperti dei luoghi, a censire nei vari siti le erbe officinali di cui è ricca la
flora meridionale. Erbe, oggi anche coltivate, che trovano impiego nella
produzione di articoli di largo commercio, nell’alimentazione macrobiotica e
nella cosmetica. Analogo censimento meriterebbe tanto il patrimonio della
biodiversità che della varietà agricola (alberi e piante da orto), ignorato,
possiamo dire, dall’intera popolazione meridionale, mai educata a conoscere la
propria straordinaria eredità, storica e naturale. Esistono in alcune regioni,
come la Calabria, dei tesori di varietà delle piante da frutto, e anche di
vitigni antichi, sopravvissuti alla fillossera, che sono custoditi nei vivai o
dispersi nei fondi privati, e che non conoscono da oltre mezzo secolo alcuna
valorizzazione agricola. Naturalmente ci sarebbe anche altro da censire, nel
loro stato attuale e nei loro bisogni di riparazione: dalle chiese rupestri, ai
siti archeologici in abbandono, ai lidi marittimi colpiti da fenomeni di
erosione, o gravemente inquinati da corsi d’acqua di cui si ignora l’origine. Ma
di straordinario rilievo sarebbe anche indagare sui luoghi e presso le famiglie
l’evasione scolastica dei ragazzi, talora il lavoro minorile dei nuovi poveri
del Sud. Per il potenziamento della cultura al Sud, attraverso la costituzione
di biblioteche popolari, e altri centri di formazione che cooperino con le
scuole, occorrerebbe ovviamente una riflessione a parte. Qui si son voluti fare
solo degli esempi e spetterebbe ai comuni, ai sindacati, agli stessi giovani,
elaborare con impegno e creatività progetti capaci di soddisfare queste
esigenze. Stimolare una nuova intelligenza pubblica dei beni comuni, naturali e
storici, può aiutare molto, non solo a fornire nuova vitalità economica e
sociale alle nostre aree interne, ma offrirebbe occupazione qualificata alle
nuove generazioni. Tenendo sempre presente che di queste fanno parte, a pieno
titolo, i migranti che fuggono da guerre, miseria e catastrofi climatiche.
No, i ricchi non diventano ricchi a spese
dei poveri. La mentalità della "somma
zero" che è alla base delle teorie socialiste è stata smentita dai fatti. Rainer
Zitelmann, Domenica 05/07/2020 su Il Giornale. Sono in molti a credere che i
ricchi possano fare soldi solamente a spese di qualcun altro. Questa concezione
del mondo viene anche detta mentalità «a somma zero», dal momento che i suoi
seguaci sono convinti che nella vita economica, come in una partita di tennis,
affinché un giocatore possa vincere è necessario che un altro debba perdere.
Come scrisse Bertolt Brecht nella sua poesia Alfabeto, «Disse il povero, bianco
in volto/ Se io non fossi un miserabile, tu non saresti ricco». Sebbene questo
modo di pensare sia molto diffuso, è fondamentalmente sbagliato, come dimostrano
gli incredibili avvenimenti in Cina negli ultimi quarant'anni. Nella storia, non
è mai accaduto che un numero così grande di persone uscisse dalla più abietta
povertà con la velocità che si è verificata in Cina. Secondo i dati della Banca
Mondiale, nel 1981 la percentuale dei cittadini cinesi che viveva in condizioni
di estrema povertà era pari all'88,3% della popolazione. Di lì al 1990, questa
percentuale si era ridotta al 66,2%, mentre nel 2015 solo lo 0,7% dei cinesi
viveva nella miseria. In questo stesso periodo, il numero di cinesi poveri è
calato da 878 milioni e meno di 10.
«LASCIATE CHE ALCUNI DIVENTINO RICCHI PRIMA
DEGLI ALTRI». Il miracolo economico cinese è iniziato con le riforme di Deng
Xiaoping. Fu Deng ad affermare «Lasciate che alcuni diventino ricchi prima degli
altri». Nei decenni successivi, lo Stato cinese ha autorizzato la proprietà
privata dei mezzi di produzione e ha permesso che il mercato esercitasse una
maggiore influenza. A dispetto del fatto che altre libertà (la libertà politica,
ad esempio) non sono rispettate e che la presa dello Stato sull'economia cinese
è ancora ferrea, dai tempi di Mao Zedong il suo ruolo si è sostanzialmente
ridotto. Inoltre, sotto Deng sono state create in tutta la Cina delle «Zone
economiche speciali» a regime capitalista. Quando regnava Mao, in Cina non
esisteva nessun miliardario: nel 2010, grazie alle riforme di Deng, i miliardari
cinesi erano diventati 64. Oggi, in Cina vi sono 324 miliardari, per non parlare
dei 71 che vivono a Hong Kong. Nessun paese al mondo, con l'eccezione degli
Stati Uniti, ha altrettanti miliardari della Cina. Se la concezione della somma
zero fosse corretta, questo sarebbe impossibile. Ma la mentalità a somma zero è
sbagliata: l'impressionante riduzione della povertà e l'altrettanto
impressionante aumento del numero di miliardari che si è prodotto
contestualmente sono due facce della stessa medaglia. In generale, i ricchi non
diventano tali perché prendono ai poveri, ma perché creano grandi benefici per
gli altri. Jack Ma è l'uomo più ricco della Cina, con una fortuna di 38,8
miliardi di dollari. È diventato così ricco perché ha fondato Alibaba e altre
aziende di successo, che soddisfano i bisogni di centinaia di milioni di suoi
concittadini.
I RICCHI CREANO BENEFICI PER LA SOCIETÀ NEL
SUO COMPLESSO. Una rapida occhiata alla classifica dei miliardari di tutto il
mondo stilata da Forbes permette di constatare che quasi tutti sono diventati
ricchi come imprenditori, oppure perché hanno fatto crescere e migliorare le
aziende fondate dai loro genitori. La gran parte dei dieci uomini più ricchi del
mondo è rappresentata da imprenditori che si sono fatti da sé. Jeff Bezos, il
primo della lista, con un patrimonio stimato di 113 miliardi di dollari, è
diventato ricco in modo simile a quello di Jack Ma, ossia tramite l'e-commerce.
Bill Gates, al secondo posto in ordine di ricchezza (dopo avere occupato per
lungo tempo il vertice della classifica), non ha accumulato i suoi miliardi
sottraendoli ai poveri, ma offrendo qualcosa al mondo. E con questo non intendo
alludere ai miliardi donati dalla Fondazione di Bill Gates alle più svariate
cause filantropiche, bensì al software, come i programmi inclusi in Microsoft
Office, utilizzati ogni giorno da innumerevoli utenti. Larry Ellison, al quinto
posto nella lista di Forbes, ha costruito la propria ricchezza sul suo software
per i database per la gestione delle relazioni delle aziende con i clienti. Al
settimo posto c'è invece Mark Zuckerberg, che ha sviluppato l'idea alla base di
Facebook, che oggi ha 2,5 miliardi di utenti in tutto il modo. Larry Page e
Sergey Brin, rispettivamente al tredicesimo e al quattordicesimo posto della
classifica, sono diventati ricchi per aver sviluppato il motore di ricerca di
maggior successo del pianeta, ossia Google.
LA MENTALITÀ DELLA SOMMA ZERO DANNEGGIA LE
PERSONE E LA SOCIETÀ. Il concetto di somma zero non è solo sbagliato, ma ha
anche ripercussioni negative su tutti i suoi seguaci e sulla società nel suo
complesso. Gli psicologi hanno osservato che l'idea di somma zero rappresenta
una delle principali fonti di invidia. Chiunque sia convinto che l'unico modo
per arricchirsi sia quello di agire a spese degli altri sarà naturalmente
portato a invidiare i ricchi e a provare risentimento per la loro prosperità. La
mentalità a somma zero è inoltre alla base di quelle teorie socialiste che hanno
prodotto indicibili sofferenze per l'umanità negli ultimi cento anni e passa.
Bertolt Brecht, l'autore della poesia che ho citato poc'anzi, non era solo un
poeta, era anche un comunista che adorava Iosif Stalin. Chiunque creda che sia
possibile arricchirsi solo a spese degli altri ha creato un ostacolo al proprio
successo. Persone oneste convinte che i ricchi siano tutti dei mascalzoni non si
sforzeranno mai di migliorare il proprio stato. La fede nella somma zero opera
come una barriera psicologica inconscia alla creazione di ricchezza e le persone
prive di scrupoli morali che pensano in termini di somma zero possono
addirittura indirizzarsi alla criminalità. In tutto il mondo, le prigioni sono
piene di gente che credeva di potersi arricchire solo a spese degli altri. I
fatti, come dimostra l'esempio delle vicende economiche cinesi, ci raccontano
una storia completamente diversa. I più grandi successi economici arrivano
quando si capisce che, anziché danneggiare la società, tutti traggono vantaggi
quando qualcuno si arricchisce - anche enormemente - per le sue attività
imprenditoriali.
Qualcuno la notizia la dà, la maggior parte
dei giornalisti la fa. Io le notizie le cerco e le raccolgo, senza metter bocca.
Sarà poi il lettore a estrapolarne la verità.
Imparare ad imparare. Ci ho messo anni a
capire l’importanza del significato di questa frase. L’arroganza e la
presunzione giovanile dapprima me lo ha impedito. Condita da una buona dose di
conformismo. Poi con il passare del tempo è arrivata la saggezza.
Capire di dover capire significa non muoversi
a casaccio, senza una meta, senza un fine, senza un programma. Capire di dover
capire significa chiedersi che senso ha ogni passo che ci indicano di compiere e
che compiamo, ogni prova che superiamo, ogni giorno che spendiamo insieme a
delle persone. Quante volte approcciamo un problema con la reale convinzione di
risolverlo con indicazioni di altri, senza chiederci se davvero esiste una
strada differente per arrivare ad una conclusione sensata.
Ecco, capire di dover capire. Non muoversi a
caso, per sentito dire, parlando con le persone sbagliate, non valutando
attentamente ogni passo che si deve compiere. Per fare questo dobbiamo essere
pronti ad “imparare ad imparare” ovvero lasciare da parte nozioni acquisite e
preconcetti e ad aprirci al nuovo.
Imparare ad imparare significa creare un
percorso.
Serve leggere libri? Se la risposta è
positiva dobbiamo adottare un metodo per selezionare quali libri leggere perché
la mole dei libri in circolazione è tale che non potremmo reggere il passo, ne,
tantomeno, compararne logica e verità.
Come era ieri, è oggi e sarà domani.
Libro di Qoelet. Prologo:
Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità
delle vanità, tutto è vanità.
Quale utilità ricava l’uomo da tutto
l’affanno per cui fatica sotto il sole?
Una generazione va, una generazione viene ma
la terra resta sempre la stessa.
Il sole sorge e il sole tramonta, si affretta
verso il luogo da dove risorgerà.
Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a
tramontana; gira e rigira e sopra i suoi giri il vento ritorna.
Tutti i fiumi vanno al mare, eppure il mare
non è mai pieno: raggiunta la loro mèta, i fiumi riprendono la loro marcia.
Tutte le cose sono in travaglio e nessuno
potrebbe spiegarne il motivo. Non si sazia l’occhio di guardare né mai
l’orecchio è sazio di udire.
Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si
rifarà; non c’è niente di nuovo sotto il sole.
C’è forse qualcosa di cui si possa dire:
«Guarda, questa è una novità»? Proprio questa è gia stata nei secoli che ci
hanno preceduto.
Non resta più ricordo degli antichi, ma
neppure di coloro che saranno si conserverà memoria presso coloro che verranno
in seguito.
Art. 104, comma 1, della Costituzione
italiana cattocomunista.
La magistratura costituisce un ordine
autonomo ed indipendente da ogni altro potere. (.)
La magistratura per la destra è un Ordine
(come acclarato palesemente), per la sinistra è un Potere (da loro dedotto dalla
distinzione "da ogni altro potere").
Autonomia dei Magistrati: autogoverno con
selezione e formazione per l’omologazione, nomine per la conformità e controllo
interno per l’impunità. Affinchè, cane non mangi cane.
Indipendenza dei Magistrati: decisioni
secondo equità e legalità, cioè secondo scienza e coscienza. Ossia: si decide
come cazzo pare, tanto il collega conferma.
Non è importante sapere quanto la
democrazia rappresentativa costi, ma quanto essa rappresenti ed agisca nel nome
e per conto dei rappresentati.
Il nuovo comunistambientalismo combatte
una battaglia retrograda, coinvolgendo le menti vergini degli studenti che
assimilano tutto quanto la scuola di regime gli propini.
L'intento è
quello di far regredire una civiltà secolare, sviluppata con conquiste sociali
ed economiche.
Il progresso
tecnologico ed industriale irrinunciabile è basato sullo sfruttamento delle
risorse. Le auto per spostarci, il benessere con gli elettrodomestici e le forme
di comunicazione.
Il progresso
tecnologico ed industriale ha prodotto benessere, con lavoro e sviluppo sociale,
con parificazione dei censi.
Il Benessere ha fatto proliferare
l’umanità.
L'uguaglianza
sociale ha portato allo sviluppo sociale con svago e divertimento con il turismo
e lo sfruttamento dell'ambiente.
Per gli
ambiental-qualunquisti o populisti ambientali il progresso va cancellato. La
popolazione mondiale ridimensionata.
Si torna alla
demografia latente e gli spostamenti a piedi, nemmeno a cavallo, perchè gli
animali producono biogas. Oltretutto, per questo motivo, non si possono allevare
gli animali. La nuova religione è il veganismo.
Si comunicherà
con le nuvole di fumo. E si torna nelle grotte dove fa fresco l'estate e ci si
sta caldi e riparati d'inverno.
Inoltre bisogna
che la foresta ed i boschi invadano la terra. Pari passo a pale eoliche e campi
estesi di pannelli solari. La natura e l’energia alternativa al primo posto,
agli animali (all'uomo per ultimo) quel che resta. Vuoi mettere la difesa di un
nido di uccello palustre, rispetto alla creazione di posti di lavoro con un
villaggio turistico eco-sostenibile sulla costa? E poi il business delle
rinnovabili come si farà?
Come sempre i
massimalisti dell'ecologia non mediano: o è bianco o è nero. Per loro è
inconcepibile l'equilibrio tra progresso e rispetto della natura e degli affari.
Avv. Mirko Giangrande:
Produci? Tasse!
Lavori? Tasse!
Compri? Tasse!
Vendi? Tasse!
Studi? Tasse!
Inventi? Tasse!
Erediti? Tasse!
Muori? Tasse!
Non fai nulla? Sussidio!!!
Affidati alla sinistra.
Dove c'è l'affare lì ci sono loro: i sinistri e le loro associazioni. E solo
loro sono finanziate.
La lotta alla mafia è un business con i finanziamenti pubblici e
l'espropriazione proletaria dei beni.
I mafiosi si inventano, non si combattono.
L'accoglienza dei migranti è un business con i finanziamenti pubblici.
Accoglierli è umano, incentivare le partenze ed andarli a prendere è criminale.
L'affidamento dei minori è un business con i finanziamenti pubblici.
Tutelare l’infanzia è comprensivo. Toglierli ai genitori naturali e legittimi a
scopo di lucro è criminale.
L'aiuto alle donne vittime di violenza è un business con i finanziamenti
pubblici.
Sorreggere le donne, vittime di violenza è solidale. Inventare le accuse è
criminale.
Noi non siamo poveri. Ci vogliono poveri.
Non siamo in democrazia. Siamo in oligarchia politica ed economica.
Perchè i regimi cosiddetti democratici ci
vogliono poveri? Per incentivare lo schiavismo psicologico che crea il potere di
assoggettamento. Nessun regime capitalistico o socialista agevola il progresso
economico delle classi più abbienti e numerose, che nelle cosiddette democrazie
rappresentative sono indispensabili alla creazione ed al mantenimento del
Potere.
Il Regime capitalista è in mano a caste e
lobby che pongono limiti e divieti al libero accesso ed esercizio di professioni
ed imprese.
Il regime socialista è in mano all'élite
politica che pone limiti alla ricchezza personale.
Tutti i regimi, per la loro sopravvivenza,
aborrano la democrazia diretta e l'economia diretta. Infondono il culto della
rappresentanza politica e della mediazione economica. Agevolano familismo,
nepotismo e raccomandazioni.
Muhammad Yunus, l’economista bengalese
settantottenne, Nobel per la pace nel 2006, che con l’invenzione del
microcredito in 41 anni ha cambiato l’esistenza di milioni di poveri portandoli
a una vita dignitosa, non ha avuto esitazioni, giovedì 17 maggio 2018
all’Auditorium del grattacielo di Intesa San Paolo a Torino, nell’indicare la
via possibile verso l’impossibile: eliminare la povertà. E contestualmente la
disoccupazione e l’inquinamento. Come riferisce Mauro Fresco su Vocetempo.it il
24 maggio 2018, tutto il sistema economico capitalistico, nell’analisi di Yunus,
deve essere riformato. A partire dall’educazione e dall’istruzione, immaginate
per plasmare persone che ambiscono a un buon lavoro, a essere appetibili sul
mercato; ma l’uomo non deve essere educato per lavorare, per vendere se stesso e
i propri servizi, deve essere formato alla vita; l’uomo non deve cercare lavoro,
ma creare lavoro, senza danneggiare altri uomini e l’ambiente. Perché ci sono i
poveri, si domanda Yunus, perché la gente rimane povera? Non sono gli individui
che vogliono essere poveri, è il sistema che genera poveri. Ci stiamo avviando
al disastro, sociale e ambientale: oggi, otto persone possiedono la ricchezza di
un miliardo di individui, questi scenari porteranno, prima o poi, a uno scenario
violento: dobbiamo evitarlo. La civiltà è basata sull’ingordigia. Dobbiamo
invece mettere in atto la transizione verso la società dell’empatia.
Yunus ha dimostrato, con il microcredito
prima e con la Grameen Bank poi, che quella che a economisti e banchieri
sembrava un’utopia irrealizzabile è invece un’alternativa concreta, che dal
Bangladesh si è via via allargata a più di 100 Paesi, Stati Uniti ed Europa
compresi. Con ironia, considerando la sede che lo ospitava, Yunus ha ricordato
che, quando qualcuno gli ribadiva che un progetto non era fattibile, «studiavo
come si sarebbe comportata una banca e facevo esattamente il contrario».
Fantasia, capacità di rischiare e, soprattutto, conoscenza e fiducia
nell’umanità, in particolare nelle donne, sono i segreti che hanno permesso di
dar vita a migliaia di attività imprenditoriali, ospedali, centrali
fotovoltaiche, sempre partendo dal basso e da progettualità diffuse. L’impresa
sociale, che ha come obiettivo coprire i costi e reinvestire tutti profitti
senza distribuire dividendi, sostiene Yunus, è l’alternativa possibile e molto
concreta per vincere «la sfida dei tre zeri: un futuro senza povertà,
disoccupazione e inquinamento», titolo anche del suo ultimo lavoro pubblicato da
Feltrinelli. L’impresa sociale può permettersi di produrre a prezzi molto più
bassi, non ha bisogno di marketing pervasivo, campagne pubblicitarie continue,
packaging attraente per invogliare il consumatore. Così anche le "verdure
brutte", quel 30 per cento di produzione agricola che l’Europa butta perché di
forma ritenuta non consona per essere proposta al consumatore – «la carota
storta, la patata gibbosa, la zucchina biforcuta una volta tagliate non sono più
brutte» ha ricordato sorridendo Yunus – possono essere utilizzate da un’impresa
sociale e messe in vendita per essere cucinate e mangiate.
«Il reddito di cittadinanza per tutti? È
questo che intendiamo per dignità della persona? Ai poveri dobbiamo permettere
un lavoro dignitoso, la carità non basta».
Il premio Nobel Yunus: "Il reddito di
cittadinanza rende più poveri e nega la dignità umana". Scrive il HuffPost il 13
maggio 2018. L'economista ideatore del microcredito intervistato dalla Stampa:
"I salari sganciati dal lavoro rendono l'uomo un essere improduttivo e senza
creatività". "Il reddito di cittadinanza rende più poveri, non è utile a chi è
povero e a nessun altro, è una tipica idea di assistenzialismo occidentale e
nega la dignità umana". Parola di Muhammad Yunus, economista e banchiere
bengalese che ha vinto il premio Nobel per la pace nel 2006 per aver ideato e
creato la "banca dei poveri". In un'intervista a La Stampa, l'inventore del
microcredito boccia tout court il caposaldo del programma M5S: "I salari
sganciati dal lavoro rendono l'uomo un essere improduttivo, ne cancellano la
vitalità e il potere creativo".
Secondo Yunus l'Europa ha un grande limite.
"L'Asia avrebbe bisogno di molte cose che in Europa ci sono e ci sono da tanto
tempo, ma trovo che da voi ci sia un pensiero unico che limita gli slanci. Mi
spiego meglio: le società europee sono ossessionate dal lavoro, tutti devono
trovare un lavoro, nessuno deve rimanere senza lavoro, le istituzioni si devono
preoccupare che i cittadini lavorino... Invece in Asia la famiglia è il luogo
più importante e non c'è questo pensiero fisso del lavoro: esiste una sorta di
mercato informale, in cui gli uomini esercitano loro stessi come persone. Penso
che la lezione positiva che viene dall'Asia sia quella di ridisegnare il sistema
finanziario attuale, privilegiando la dignità delle persone e il valore del loro
tempo".
Durissimo il giudizio sul reddito di
cittadinanza. "è la negazione dell'essere umano, della sua funzionalità, della
vitalità, del potere creativo. L'uomo è chiamato a esplorare, a cercare
opportunità, sono queste che vanno create, non i salari sganciati dalla
produzione, che per definizione fanno dell'uomo un essere improduttivo, un
povero vero".
Noi abbiamo una Costituzione comunista
immodificabile con democrazia rappresentativa ad economia capitalista-comunista
e non liberale.
I veri liberali adottano l'economia diretta
con la libera impresa e professione. Lasciano fare al mercato con la libera
creazione del lavoro e la preminenza dei migliori.
I veri democratici adottano la democrazia
diretta per il loro rappresentanti esecutivi, legislativi e giudiziari, e non
quella mediata, come la democrazia rappresentativa ad elevato astensionismo
elettorale, in mano ad un élite politica e mediatica.
Ci vogliono poveri e pure fiscalmente
incu…neati.
Quanto pesa il cuneo fiscale sui salari in
Italia? E in Europa? Nell'ultimo anno
la busta paga di un lavoratore medio (circa 30 mila euro lordi) era tassata del
47,9 per cento. Quindi su 100 euro di lordo in busta paga, a un lavoratore
italiano medio arriva un netto di 52,1 euro. Quasi la metà, scrive l'Agi.
Che cos’è il cuneo fiscale e quanto pesa in
Italia. Il cuneo fiscale – in inglese Tax wedge – è definito
dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) come «il
rapporto tra l’ammontare delle tasse pagate da un singolo lavoratore medio (una
persona single con guadagni nella media e senza figli) e il corrispondente costo
totale del lavoro per il datore».
Nella definizione dell’Ocse sono
comprese oltre alle tasse in senso stretto anche i contributi previdenziali.
Quindi se per un datore il costo del lavoratore è pari a 100, il cuneo fiscale
rappresenta la porzione di quel costo che non va nelle tasche del dipendente ma
nelle casse dello Stato. Nel caso dei contributi, i soldi raccolti dallo Stato
vengono poi restituiti al lavoratore sotto forma di pensione (ma, come spiega
l’Inps, nel nostro sistema “a ripartizione” sono i lavoratori attualmente in
attività a pagare le pensioni che vengono oggi erogate: non è che il pensionato
incassi quanto lui stesso ha versato nel corso della propria vita, come se
avesse un conto personale e separato presso l’Inps).
Secondo il più recente rapporto
dell’Ocse Taxing Wages 2019 – pubblicato l’11 aprile 2019 – nel 2018 in Italia
la busta paga di un lavoratore medio (circa 30 mila euro lordi) era tassata del
47,9 per cento. Quindi su 100 euro di lordo in busta paga, a un lavoratore
italiano medio arriva un netto di 52,1 euro. Quasi la metà. Ma come siamo messi
in Europa da questo punto di vista?
La situazione in Europa. Il rapporto
dell’Ocse Taxing Wages 2019 contiene anche una classifica dei suoi Stati membri,
in base al peso del cuneo fiscale. Andiamo a vedere come si posizionano l’Italia
e il resto degli Stati Ue presenti in classifica. Roma arriva terza, con il 47,9
per cento. Davanti ha il Belgio, primo in classifica con un cuneo fiscale (e
contributivo) pari al 52,7 per cento, e la Germania con il 49,5 per cento.
Subito sotto al podio si trova la Francia, con il 47,6 per cento, appaiata con
l’Austria. Seguono poi Ungheria, Repubblica Ceca, Slovenia, Svezia, Lettonia e
Finlandia. Gli altri Stati comunitari grandi e medio-grandi sono nettamente più
in basso in classifica: la Spagna è sedicesima nella Ue con il 39,6 per cento,
la Polonia ventesima con il 35,8 per cento, e il Regno Unito ventitreesimo con
il 30,9 per cento. Londra è poi, dei Paesi Ue che sono anche membri dell’Ocse,
quello con il cuneo fiscale minore.
Altri Paesi Ocse. In fondo alla classifica
dell’Ocse non troviamo nessuno Stato dell’Unione europea. La percentuale più
bassa è infatti attribuita al Cile, appena il 7 per cento di cuneo fiscale.
Davanti, staccati, arrivano poi Nuova Zelanda (18,4) e Messico (19,7). Degli
Stati europei, ma non Ue, quello con la percentuale più bassa è la Svizzera, con
un cuneo fiscale del 22,2 per cento. Gli Stati Uniti, infine, hanno un cuneo
pari al 29,6 per cento. La media Ocse è del 36,1 per cento.
Conclusione. In Italia il cuneo fiscale è
pari al 47,9 per cento. Questa è la terza percentuale più alta tra i Paesi
dell’Ocse. Davanti a Roma si trovano solamente Berlino e Bruxelles.
Antonio Giangrande, autore del saggio “IL
COGLIONAVIRUS”.
Covid-19: lo conosco; li conosco.
Il virus: mi ha colpito pesantemente. Ho
rispettato tutte le regole imposte dagli incompetenti. Regole inutili visti i
risultati di morti ed infetti, nonostante si voglia dare la colpa alla gente
ligia al dovere. In ospedale mi hanno somministrato 15 litri di ossigeno con la
saturazione del sangue a 82. Stavo per morire e non me ne rendevo conto. In
ospedale ho visto morire gente che stava meglio di me. Un attimo prima
scherzavano e ridevano; un attimo dopo annaspavano come se affogassero in mare.
Non avevo ossigeno, ma avevo spirito, tanto da darlo agli altri. Mi sono salvato
solo grazie alle cure sperimentali assunte su mia piena responsabilità, ma
negate ai malati ignoranti o inconsapevoli sedati, incapaci di decidere.
Gli esperti: tutti si elevano a professoroni
in tv nel parlare di qualcosa che non si conosce e quindi che non conoscono.
Sballottando di qua e di là i cittadini, in base alle loro opinioni cangianti
dalla sera alla mattina.
I Negazionisti, ossia i coglioni sani,
asintomatici o pauci sintomatici che non ci credono alla pericolosità del virus:
dicono che sono un miracolato, perché avevo patologie pregresse, o, comunque,
non curate. Tutto falso. I morti per Covid-19 sono il frutto della malasanità,
specialmente quella nordica, falsamente eccelsa tanto pubblicizzata in tv, e/o
di protocolli sanitari criminali. Sono menzogne divulgate da media prezzolati
dal Potere incompetente ed incapace. Protocolli sanitari internazionali, giusto
per dire: tutto il mondo è paese. Protocolli imposti da chi diceva che il
Coronavirus non era pandemia. Dal dietrofront sulle mascherine al saluto con il
gomito, dagli asintomatici “non contagiosi” fino all’uso dei guanti: perché
l’Oms inanella brutte figure? Ero sanissimo, più di altri. Uno sportivo di arti
marziali che a 57 anni riusciva, prima, e riesce, ancora dopo, a fare 22
chilometri di corsa in un’ora e 45 minuti e con la bici da cross in 41 minuti.
Per il mio lavoro ero e sono chiuso in casa da mattina a sera. Se ha colpito me,
colpisce tutti.
I NoVax: cosa mi sentirei di dire a chi
osteggia il vaccino? Cazzi loro. Di Covid-19 c’è ne per tutti, anche per loro.
Mi spiace solo per i loro familiari, vittime inconsapevoli. Perché questa è una
malattia che si trasmette, specialmente, alle persone più vicine. E poi direi
che il vaccino non è solo la panacea di tutti i mali, ma sicuramente è la
speranza che si possa uscire da quest’incubo. E chi non si nutre di speranza:
muore disperato. Dr Antonio Giangrande
Coronavirus. Covid-19. SARS-CoV-2.
Lo conosco. Li conosco. Testimonianza dall’inferno della malattia.
Intervista al dr Antonio Giangrande,
sociologo storico, autore di “Coglionavirus”, libro in 10 parti che analizza gli
aspetti clinici e sociologici del Virus; la reazione degli Stati e le
conseguenze sulla popolazione.
Dr Antonio Giangrande, lei stesso è stato
vittima del virus, essendo stato ricoverato in gravi condizioni in ospedale.
Esprima, preliminarmente, la sua considerazione da vero esperto del virus.
«I
nostri professoroni, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, al Consiglio
Superiore di Sanità, fino ai componenti dei vari comitati consultivi, saranno
titolati, sì, ma sono assolutamente ignoranti sul tema, essendo il Covid-19 un
virus assolutamente sconosciuto. A dimostrazione di ciò ci sono i pareri e le
direttive espressi nel tempo, spesso in contraddizione tra loro. Si va da
“non è epidemia” dell’Organizzazione Mondiale di Sanità, al “le mascherine non
servono” del Consiglio Superiore di Sanità. Per non dire delle contrapposizioni
tra gli scienziati. Nonostante ciò, i pseudo esperti hanno imposto regole che si
sono dimostrati essere protocolli della morte.
Il Contagio avviene per aerosol con
insinuazione in ogni orifizio. O si è tutti bardati o ristretti in casa, o si è
tutti a rischio di infezione: altro che mascherina e distanziamento di un metro.
La gente non è morta, o ha sofferto per il
Covid-19, ma per la malasanità e per i protocolli sbagliati.
I posti letto negli ospedali sono mancanti
perchè il ricovero non è tempestivo e con ciò si allungano i tempi di degenza. E
le degenze non sono ristrette, usufruendo della terapia domiciliare o
dell'assistenza domiciliare Usca per i casi più gravi non ospedalizzabili.
I nostri governanti, poi, da incompetenti in
materia, hanno delegato ai sanitari, spesso amici, per pararsi il culo, la
gestione della pandemia. Dico amici perché stranamente gli esperti non
allarmisti, si trovano tutti dalla parte dell'opposizione politica. La Gestione
maldestra della pandemia ha comportato gravi conseguenze economiche, sociali e
psicologiche. Scrivere "Coglionavirus" ha comportato la mia rovina economica.
Amazon, piattaforma internazionale su cui quel libro ed altri 200 testi
tematici, erano distribuiti, stampati e venduti, ha cancellato il mio account e
fatto cessare i miei proventi. Un giorno, forse, qualcuno dovrà rendere conto a
Dio ed alla giustizia penale e civile per il male fatto alla popolazione».
Cosa
pensa dell’allarmismo?
«Quando i numeri si danno a casaccio.
La comparazione tra i tamponi effettuati ed il numeri dei positivi non sono
veritieri. I dati ufficiali, se da una parte sono carenti, dall’altra parte sono
eccedenti:
si prendono in esame i tamponi effettuati da
privati, che danno solo esito positivo, escludendo quelli con esito negativo;
per ogni soggetto si effettuano più tamponi
procrastinati nel tempo, quindi si rilevano più positività per un singolo
soggetto positivo.
Da quotidianosanita.it il 3 novembre 2020.
Gentile Direttore, ogni giorno nell’aggiornamento dei dati giornalieri sul
Covid-19 tra i dati del Ministero della Salute/Istituto Superiore di sanità
costantemente riportati e rielaborati in tutti i sistemi “derivati” di
monitoraggio (come quelli utilizzati dai media di settore o “generalistici”
o da social molto seguiti come “Pillole di ottimismo” su Facebook) ci sono
quelli relativi ai nuovi casi (e quindi il numero di persone trovate per la
prima volta positive al tampone riportato nella Tabella originale nella colonna
“incremento casi totali”) ed al numero di tamponi effettuati (riportato
nella tabella originale nella colonna “incremento tamponi”). Prendiamo i dati di
ieri 2 novembre: ci sono stati in Italia 22.253 nuovi casi e 135.731 tamponi.
Automaticamente viene calcolato in molti sistemi “derivati” il rapporto
positivi/tamponi che sistematicamente cresce (ad esempio ieri è stato di 21,9
contro il 21,7 del giorno prima). E ovviamente questo dato viene assimilato ad
un dato negativo che testimonia della maggiore circolazione del virus. In realtà
si tratta di un indicatore fuorviante che così com’è non andrebbe usato o
comunque molto meglio descritto ed interpretato. Perché mette in un unico
calderone dati di diversa provenienza e completezza come evidenzierò tra poco.
Premesso che il disciplinare tecnico che regolamenta il flusso dei tamponi è
difficile da trovare (e non dovrebbe esserlo), lo si può ricostruire in base ad
alcune ricostruzioni empiriche che partono da una analisi del modello
organizzativo delle attività di laboratorio che “generano” il dato sui tamponi
(ovviamente di quelli ritenuti validabili dai Servizi di Prevenzione e quindi
eseguiti con tecnica molecolare in laboratori autorizzati dalle Regioni). I
tamponi vengono per lo più eseguiti all’interno di tre percorsi: quello delle
nuove diagnosi in persone con sintomi compatibili o contatti di casi, quello del
monitoraggio dei casi ai fini del calcolo dei “guariti” e quello dello screening
spesso su base volontaria da persone che vogliono sapere se sono infette o
meno. I primi due percorsi sono gestiti per lo più da laboratori pubblici,
mentre il terzo vede un coinvolgimento imponente dei laboratori privati
autorizzati dalle Regioni. Cosa succede? La mia ricostruzione in base alla
situazione delle Marche, che conosco bene, è che mentre i nuovi casi positivi
diagnosticati dai privati finiscono appunto tra i nuovi casi e confluiscono nel
numeratore del rapporto positivi/tamponi, il numero totale di persone esaminato
dai privati (che comprende anche i negativi) non entra nel denominatore falsando
l’andamento del rapporto. Ma non è finita qui. Il denominatore ha invece dentro
anche i dati dei tamponi di monitoraggio che non c’entrano niente coi
nuovi casi. Un denominatore (o un suo pezzo) che non genera numeratore non va
incluso nel calcolo di un rapporto. Facciamo una verifica coi dati Ministero/ISS
del 29 ottobre relativi alla Regione Marche che confrontiamo con l’elaborazione
più analitica che ha fatto coi dati dello stesso giorno la Regione Marche.
Scegliamo questo giorno perché sta in mezzo alla settimana e rappresenta più
fedelmente la situazione. I dati di Ministero e Regione coincidono: 686 casi e
3.915 tamponi. Ma quello della Regione Marche è più analitico e ci dice che in
realtà i nuovi casi sono stati “generati” da soli 2.372 tamponi (quelli relativi
al cosiddetto percorso nuove diagnosi) e che quel numero 3.915 ha dentro anche i
tamponi del cosiddetto percorso guariti ovvero quello che riguarda il
monitoraggio dei “vecchi” casi. Ma non è finita qui. I tamponi del percorso
diagnosi includono quelli dei laboratori privati solo quando positivi, mentre
quelli negativi sempre più numerosi non vengono verosimilmente conteggiati.
Risultato: il rapporto positivi/tampone del
monitoraggio ministero/ISS per quanto riguarda le Marche al denominatore conta
tamponi in più di un tipo che non ci dovrebbero stare e dall’altra manca dei
tamponi dei privati che ci dovrebbero stare. Se non si fa chiarezza è legittimo
e credibile pensare che almeno parte dell’incremento quotidiano del rapporto
positivi/tamponi sia sovrastimato visto il numero fortemente crescente dei
tamponi fatti dai privati. Soluzione: migliore gestione del flusso. Claudio
Maria Maffei, Coordinatore scientifico di Chronic-on».
Parli di come è stato infettato.
«Per
il mio lavoro e per il mio carattere ho sempre fatto vita riservata, così come
mia moglie. Le uniche uscite erano il fare sport da singolo ed isolato ed il
fare la spesa, con rispetto delle regole imposte: mascherine e distanziamento e
rapportarsi il meno possibile con i genitori anziani. Eppure, questo mio
comportamento esemplare, in ossequio alle regole sbagliate, si è dimostrato
letale.
L’8 novembre 2020 mio fratello fa visita ai
genitori: il giorno dopo ha la febbre.
Il 9 novembre 2020 vado a far visita ai miei
genitori ultraottantenni: mascherina e distanziamento. Presente un terzo
fratello. Ho notato che avevano il riscaldamento alto.
Il 10 novembre 2020, cioè giorno dopo il
malessere dei miei genitori si trasforma in febbre lieve. Per questo motivo
tutti i figli, tre maschi ed una donna, con altri familiari ristretti, gli fanno
visita con mascherina e distanziamento.
I miei due fratelli dopo pochi giorni hanno
evidenziato i primi sintomi, mia sorella asintomatica. Immediatamente, si è
coinvolto il medico curante che ha provveduto al tampone per tutti. Alla fine
risultano tutti infettati, compresi le loro famiglie. 15 componenti di 4 nuclei
familiari. Ai primi sintomi, correttamente, tutti abbiamo adottato il
confinamento domiciliare e nessuno ha infettato alcuno. Fortunatamente i
genitori anziani sono stati pauci sintomatici, così come gli altri componenti
della famiglia. Un fratello ricoverato in modo lieve. Solo io ho subito le
conseguenze gravissime, rasentando la morte.
Si è scoperto che mio padre è stato infettato
frequentando, con mascherina e distanziamento, un luogo pubblico. Egli pensava
che la lieve febbre fosse dovuta al vaccino antinfluenzale.
Questo sta ha dimostrare due cose:
1. Che la mascherina ed il distanziamento non
bastano, ma bisogna essere bardati con occhiali e visiera per non essere
infettati. Il virus si insinua in ogni orifizio. Il virus è 100 volte più
piccolo del batterio e quindi galleggia nell’aria e con essa si muove. Posso
prenderlo dopo molti metri e dopo molti minuti;
2. Che spesso sono gli anziani ad infettare i
giovani e non viceversa. Perché sono quelli che spesso non rispettano le regole;
3. Molti sono infetti asintomatici e non lo
sanno. Ed infettano in buona fede;
4. Molti sono infetti pauci sintomatici o
conviventi asintomatici o pauci sintomatici di infetti conclamati. Sanno di
essere infetti, ma continuano la loro vita e da criminali infettano gli altri.
5. Ma cosa più importante che ho potuto
constatare in seguito, dopo il mio ricovero, è che ci si infetta principalmente
in strutture protette. Il degente C.mo C.lò è stato infettato in una RSA, quella
di Villa Argento di Manduria e poi trasferito al Giannuzzi di Manduria. Il
Degente V.to T.liente di Martina Franca, ricoverato al Santissima Annunziata di
Taranto per altre patologie, è stato refertato negativo all’arrivo nel nosocomio
e poi infettato in quel reparto. Successivamente trasferito al Giannuzzi di
Manduria».
Parli dell’evoluzione della malattia.
«Dal
famoso 9 novembre 2020 ho avvertito subito sintomi di malessere e febbre, ma ho
continuato a fare i miei 22 chilometri di corsa e bicicletta. Fino a che la
febbre a 39 e mezzo, senza sintomi specifici, me lo ha impedito. Pensavo fosse
un periodico raffreddore, dovuto alla sudorazione e le temperature anomale,
curabile con la tachipirina e gli antibiotici.
Il 15 novembre 2020 chiamo il medico curante
chiedendogli un antibiotico più potente, con l’ausilio della penicillina, il
cortisone e la protezione. Mi prescrive tutto, meno la tachipirina che è a
pagamento. Antibiotico Azitromicina da 500, cortisone Deltacortene da 25,
Penicillina, protezione, Eparina e sciroppo per la tosse. Per il proseguo della
malattia ha voluto essere informata ed ella stessa si informava. Ha prontamente
contattato l’ASL.
Il 20 novembre 2020 il tampone effettuato
risulta positivo.
Il 22 novembre 2020 alle 10.30 per il
persistere della febbre e per i sintomi di asfissia chiamo il 118. Con
l’ossigenazione del sangue a 82, si decide il ricovero immediato».
Parli del suo ricovero e dell’impatto con
il sistema sanitario.
«Per
questa malattia la tempestività è essenziale. Prima si interviene, prima si
impedisce l’aggravamento, prima si guarisce e nessuno muore. Prima si interviene
e meno giorni sono di degenza e più posti letto sono a disposizione. Così come
più posti letto si ottengono con una degenza limitata sostenuta da assistenza
domiciliare Usca. Invece il sistema sanitario, per non ingolfare gli ospedali
impedisce il ricovero ai pazienti sintomatici fino a farli diventare critici ed
a lunga degenza, o con conseguenze mortali.
Ergo: il protocollo sbagliato porta la morte
dei pazienti e la paralisi delle strutture sanitarie.
La saturazione ottimale del sangue deve
essere pari a 100 o quasi. Ogni alterazione comporta un intervento immediato. A
mio fratello è stato impedito un primo ricovero, dal medico del 118, con la
saturazione a 92, chiaro sintomo di sofferenza. Tanto che c’è stato
l’inevitabile peggioramento ed il ricovero, con degenza di settimane.
Alle 12 del 22 novembre 2020 inizia la mia
odissea.
Dante Inferno, Canto III
"...Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogni speranza, voi ch'intrate"...
Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: "Guai a voi, anime prave! ..."
Così sen vanno su per l'onda bruna,
e avanti che sien di là discese,
anche di qua nuova schiera s'auna..."
11 ore in attesa di ricovero Covid: la
precisazione del Marianna Giannuzzi.
Non ha tardato ad arrivare la replica da parte della direzione medica del
presidio ospedaliero “Marianna Giannuzzi” sul caso dell’uomo di Avetrana rimasto
ad aspettare in ambulanza per circa 11 ore prima di essere ricoverato. Francesca
Dinoi su La Voce di Manduria venerdì 27 novembre 2020. Non ha tardato ad
arrivare la replica da parte della direzione medica del presidio ospedaliero
“Marianna Giannuzzi” sul caso dell’uomo di Avetrana rimasto ad aspettare in
ambulanza per circa 11 ore prima di essere ricoverato. A narrare l’esperienza,
era stato il figlio del paziente, l’avvocato Mirko Giangrande in un’intervista
rilasciata al Nuovo Quotidiano di Taranto, in cui lamentava, appunto, la lunga
attesa a cui erano stati sottoposti a causa di un affollamento di ambulanze nel
piazzale dell’ospedale. La direzione medica, in base alle notizie pervenute dal
responsabile del Pronto Soccorso, racconta che all’arrivo del signor Giangrande
in ospedale, l’assistito era stato visitato, eseguito il tampone naso-faringeo
per verificare l’eventuale positività al Covid-19 e somministrata la terapia
adeguata. In seguito, all’esito della positività del tampone, veniva fatto
accomodare nell’area attrezzata all’osservazione breve fino a 48/72 ore e alle
ore14:00 del giorno successivo, ricoverato nel reparto Medicina Covid, occupando
il primo posto letto disponibile. «Al signor Giangrande non sono mai mancate le
cure di cui ha avuto necessità in una giornata tuttavia congestionata per
l’arrivo contestuale di numerose ambulanze del 118.», chiarisce la responsabile,
riconoscendo l’imprevisto. Della stessa opinione anche la direzione Asl di
Taranto che rivolge le proprie scuse al signor Giangrande ed al figlio,
ribadendo che al paziente era sempre stata assicurata la massima sicurezza
grazie all’esemplare competenza di tutti gli operatori sanitari presenti.
Francesca Dinoi
Parla il figlio dell'uomo rimasto 11 ore
in ambulanza prima del ricovero al Giannuzzi.
L’avvocato Mirko Giangrande racconta in un’intervista al Nuovo Quotidiano di
Taranto il calvario del padre ricoverato al Giannuzzi dopo un’attesa di 11 ore
in ambulanza. La Redazione de La Voce di Manduria martedì 24 novembre 2020. Un
calvario di 11 ore. Tanto è durata l’attesa in ambulanza di un uomo di Avetrana
domenica scorsa. A raccontare l’incredibile vicenda al Nuovo Quotidiano di
Taranto è il figlio del povero malcapitato, Mirko Giangrande. I particolari che
l’avvocato riferisce hanno dell’incredibile. Il paziente, positivo già da
diversi giorni, è stato prelevato dalla sua abitazione dopo aver effettuato una
cura anti-Covid domiciliare. Giunto nel piazzale dell’ospedale Giannuzzi, dopo
le prime ore, l’uomo - provato dall’attesa ed in evidente stato di agitazione -
ha allertato il 112 ed il 113 addirittura dall’interno dell’ambulanza. Le
comunicazioni con la famiglia avvenivano tramite whatsapp, visto l’affaticamento
respiratorio e la difficoltà nell’effettuare chiamate vocali. Intorno alle
16.30, gli è stato effettuato un prelievo di sangue, ma il povero malcapitato –
già da più di 4 ore all’interno dell’ambulanza – non dava segni di miglioramento
e la febbre continuava ad aumentare. Il racconto del figlio del pover’uomo si fa
sempre più inquietante: «Io vivo fuori, mi sono sentito impotente oltre che
angosciato. In più – aggiunge l’avvocato – la cura intrapresa a casa si era
interrotta durante le ore in ambulanza. Aveva solo l’ossigeno a sua disposizione
e la febbre continuava a salire. Non sapevo cosa fare così, ormai stravolto, ho
contattato il consigliere regionale Renato Perrini che si è adoperato a
denunciare all’Asl di Taranto quanto stava accadendo» riferisce Giangrande.
Stando a ciò che ha raccontato lo stesso avvocato durante l’intervista,
sarebbero state ben cinque le ambulanze in coda per ore, così come riferitogli
dal padre. L’avvocato non ci sta e promette di andare a fondo sulla vicenda: «Mi
preme evidenziare che questo è accaduto ad un uomo di 57 anni in grado di
comunicare con l’esterno e di mantenere lucidità. Ma se fosse capitato ad un
uomo anziano? Non si può correre il rischio di morire in attesa di essere
ricoverati. Questi inconvenienti potevano essere comprensibili a marzo, ma non a
novembre perché, come cittadini, ci saremmo aspettati una maggiore
organizzazione» aggiunge Giangrande, che poi conclude: «Tenere bloccate le
ambulanze per così tante ore è inconcepibile. E se dovessero servire per
un’emergenza? Non ho parole».
Verso mezzanotte, dopo la previsione di
spostarmi all’Ospedale di Castellaneta, a 100 km di distanza, e la mia forte
opposizione (ho preso la valigetta e stavo per scendere dall’ambulanza per
recarmi al pronto soccorso), mi introducono in Pronto Soccorso. Qui mi rifanno
il tampone e la radiografia. Fino alle 4 nel corridoio, poi in una stanzetta. Il
ricovero effettivo in reparto avviene il giorno, 23 novembre 2020, dopo alle
14.00».
Parli della sua degenza in ospedale.
«Traumatica
e psicologicamente devastante. Dante Inferno, Canto III
"...Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogni speranza, voi ch'intrate"...
Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: "Guai a voi, anime prave! ..."
Così sen vanno su per l'onda bruna,
e avanti che sien di là discese,
anche di qua nuova schiera s'auna..."
Il Reparto.
I Reparti Covid si suddividono in: reparto ordinario Covid; reparto Medicina
Covid (reparto semi intensivo con gestione diversa del paziente); reparto di
terapia intensiva (Rianimazione con assistenza più pregnante per i casi più
gravi), reparti post Covid per la rieducazione polmonare. Sono stato ricoverato
al Reparto Ortopedia Covid dell’ospedale Giannuzzi di Manduria. Quindi curato
anche da ortopedici. Mi portano in una stanza a tre letti. C’è uno di Avetrana
che non vuole esser nominato ed il mio amico Damiano Messina, noto per la sua
ditta di trasporti, che mi ha autorizzato a citarlo. E’ critico e con criticità,
cioè grave e con comorbidità o comorbilità, ossia patologie pregresse. In
precedenza i suoi polmoni erano stati colpiti da una malattia simile al Covid 19
dovuta ad un virus trasmesso dai pipistrelli e debitamente curata. Era
proveniente dal Moscati di Taranto, di cui racconta tutto il male possibile. E’
stato tra i primi degenti del reparto Ortopedia Covid di Manduria, con altri
provenienti dal Moscati di Taranto. Arrivato sabato 14 novembre sera, ha trovato
il solito balletto dell’inaugurazione. Però non c’era ancora acqua per lavarsi,
né per bere. Così come mancava l’elemento essenziale: l’ossigeno. Elemento
essenziale e continuativo. Poi sono sempre state insufficienti le bombolette
dell’ossigeno per i degenti sufficienti che dovevano andare al bagno non
accompagnati. Avevo il letto numero 2. In quella stanza c’era il letto n. 3.
Postazione speciale con ossigenazione fino a 20 litri. Adeguata per necessità
dopo un caso di emergenza proveniente dalle altre stanze. Alla dimissione dei
miei amici mi hanno spostato nella stanza assieme a mio fratello, ricoverato al
pronto soccorso il giorno prima di me, ma saliti simultaneamente in reparto. Poi
sono stato spostato in un’altra stanza. Avevo il letto n. 7. Entrambe le stanze
avevano un comune denominatore. Le emergenze delle seconda andavano a finire
nella prima. E guarda caso solo la stanza numero 2 ha avuto emergenze,
risultate, poi, mortali. La stanza è una prigione. Rispetto a noi i reclusi
ostativi o del 41 bis del carcere sono in vacanza. Quando non sei costretto a
letto, sei comunque costretto a letto. Non puoi aprire le finestre, né aprire la
porta di entrata/uscita. Così per settimane. La stanza aveva due telecamere,
affinchè i medici avessero la situazione sempre sotto controllo. In questo modo
loro sanno tutto quanto succede nelle camere, anche delle emergenze. Non puoi
ricevere i parenti, ne la biancheria di ricambio, quindi stesse mutande, stessa
maglietta, stesso pigiama per settimane. Se non hai rasoi o strumenti della
manicure diventi un licantropo.
La pulizia delle stanze.
La pulizia era buona e per due volte al dì.
Il Vitto.
Il vitto era decente, ma spesso freddo. Le buste ermeticamente chiuse con
l’elenco del contenuto, come previsto dal capitolato d’appalto, erano sempre
aperte a rischio di contaminazione e con l’acqua mancante. L’acqua era riservata
al buon cuore dei sanitari, su richiesta. La distribuzione del vitto avviene:
Ore 8.00 colazione. Latte macchiato o te,
quasi sempre freddo. Biscotti o fette biscottate con marmellata.
Ore 12. Pranzo. Primo, secondo, pane e
frutta. Posate. Acqua mancante.
Ore 15.30. Cena. Idem come pranzo.
I pazienti.
Paziente inteso come sostantivo si intende una persona affetta da malattia
affidata ad un medico. Paziente inteso come aggettivo si intende una persona
disposta alla moderazione, alla tolleranza ed alla rassegnata sopportazione. In
questo caso verso il Covid e nei confronti dei sanitari.
Per i sanitari la morte di un paziente è
sempre certificata come conseguenza di patologie pregresse: falso!
Antonio Calitri per “il Messaggero” il 22 novembre 2020. Nella BAT che i medici
chiedevano diventasse zona rossa, una mamma di 41 anni è morta di Covid dopo
aver atteso 11 ore al pronto soccorso. Non ci sono posti per i ricoveri all'
ospedale di Barletta, capoluogo della provincia Bat in Puglia. E così Antonella
Abbatangelo, che soffriva da una settimana di sintomi da Covid-19 sempre più
gravi, è costretta ad attendere ben 11 ore prima di essere visitata. Quando
finalmente viene presa in carico come recita la nota della Asl, i medici si
accorgono subito della gravità della situazione, in due giorni finisce in
terapia intensiva ma non ce la fa e dopo altri quattro, muore. E sberleffo
finale, il marito e il figlio di appena 14 mesi non possono partecipare al suo
funerale perché in isolamento domiciliare nonostante siano risultati negativi al
tampone.
LE FALLE. Disorganizzazione, ospedali allo stremo e tanta sfortuna hanno inciso
sul destino di una donna, giovane per le statistiche della letalità del virus,
ma che si scopre essere stata anche vittima di malasanità. «Ben 11 ore di attesa
prima di essere visitata al pronto soccorso», ha denunciarlo il marito
Massimiliano che poi ha anche scritto sui social di aver ricevuto pochissime
notizie della moglie. «Siamo stati attaccati al telefono da mattina a sera solo
per avere spiegazioni confuse e veloci da parte dei dottori». La storia inizia
la settimana scorsa quando la donna accusa febbre e tosse che inizia a curare a
casa. Quando la situazione diventa più grave, il 12 novembre Antonella si reca
all' ospedale di Trani, la città dove vive, ma non essendoci un reparto Covid,
viene rimandata a casa. Il giorno dopo viene accompagnata a Barletta, dove
attende 11 ore, fino alla presa in carico delle 23.01.
LA NOTA DELLA ASL. Poi, seguendo la nota della Asl, la donna è stata sottoposta
a visita medica alle 23.05, sono stati evidenziati dispnea e febbre elevata da
due giorni curata a domicilio. Al quadro clinico acuto va aggiunta una grande
comorbilità rappresentata da problemi metabolici. È stato immediatamente
eseguito tampone che ha dato esito positivo. La signora è stata quindi
sottoposta a ossigenoterapia e sono stati immediatamente richiesti esami
ematochimici ed emogasanalisi. Poi, prosegue la ricostruzione dell' Asl, il
quadro clinico è apparso già molto complesso e compromesso. La situazione è
peggiorata nella mattinata del 15 novembre quando sono intervenuti i rianimatori
che hanno intubato la paziente in pronto soccorso e poi l' hanno trasferita nel
reparto di Rianimazione ma, conclude il comunicato, nonostante tutti gli sforzi
dei clinici la paziente è deceduta in data 19.11. Per sapere se abbia inciso
anche la lunga attesa prima di accedere alla struttura, il direttore generale
della Asl Alessandro Delle Donne ha detto di aver «avviato indagine per
verificare tutti i passaggi di quanto accaduto».
Nel reparto normale ortopedia Covid di
Manduria venivano ricoverati pazienti critici, ma anche critici e con criticità,
cioè gravi e con comorbidità o comorbilità, ossia patologie pregresse, che
sicuramente avevano bisogno di altro reparto:
con assistenza specialistica semi intensiva
ed intensiva, con interventi invasivi e non invasivi, che un normale reparto non
garantisce;
strumenti specifici come per esempio il casco
respiratorio per ventilazione polmonare o l’intubazione e non la semplice
mascherina polmonare, o l’occhialino polmonare di un normale reparto.
La ossigenoterapia può essere sostenuta da 0
a oltre venti litri di ossigeno. Dipende dagli strumenti di erogazione. E in
quel reparto non c’erano. Come non c’erano medici specialistici per ogni
patologia riscontrata. Differenze di interventi che possono causare la morte.
Il mio amico Damiano Messina mi parla della
sua esperienza traumatica. Ha assistito alla morte di P.tro D.ghia di Monteiasi,
64 anni. Damiano è stato ricoverato sabato 14 novembre, P.tro è portato nella
sua stanza 2-3 giorni dopo. Il degente critico e con criticità non è stato
ricoverato in un reparto adeguato alle sue patologie: ne prima né dopo
l’emergenza. Il pomeriggio del 16 o 17 novembre è stato spostato di urgenza dal
posto n. 9 della stanza di ricovero e posto al n. 3 della stanza di Damiano. Il
posto è stato adeguato successivamente come postazione speciale. Tutto il
pomeriggio P.tro ha sofferto agonizzante con sintomi di asfissia. Sostenuto con
il solo ausilio del casco respiratorio con ossigenazione a 20. Spesso i compagni
di stanza chiamavano con il pulsante di emergenza, perché il paziente lasciato
solo per molto tempo si spostava e si toglieva il casco, perchè non dava il
ristoro richiesto. L’intervento dei sanitari non era immediato. L’agonia si è
protratta, senza soluzione di continuità, senza che vi sia stato alcun cambio di
intervento terapeutico, fino al primo mattino del giorno dopo. La morte è
intervenuta per inerzia. Spesso la presenza fisica dell'assistenza dei sanitari
non era garantita. Loro hanno visto tutto con le telecamere e non sono
intervenuti. Morte di un essere umano senza il sostegno dei familiari. E’
seguita pulizia della salma e composizione della stessa in un sacco di plastica.
Un uomo diventato una cosa trasferita in obitorio.
La mia seconda stanza era la camera della
morte. Durante la mia decenza, tutti i morti erano ivi ricoverati. C.mo C.lò,
infettato alla RSA Villa Argento di Manduria, del letto n.9 ha preso il posto di
P.tro D.ghia di Monteiasi. Il degente critico e con criticità non è stato
ricoverato in un reparto adeguato alle sue patologie: ne prima né dopo
l’emergenza. Ho convissuto con lui per due giorni dal 3 al 4 dicembre 2020. Era
un continuo chiamare seguito da non immediata risposta. Per due giorni i
parametri erano intorno agli 85-90 per l’ossigenazione e un ritmo cardiaco
intorno ai 135 battiti, mai al di sotto dei 125, senza soluzione di continuità.
La mascherina con il sacchetto gliela hanno messa quando la saturazione era ad
88, in sostituzione di quella con la proboscide. L’ultima chiamata di allarme da
parte nostra (mia e di mio fratello riuniti nella stanza) per l’evidente
sofferenza del paziente è avvenuta il 4 dicembre 2020. L’intervento non è stato
pronto ed immediato. Loro hanno visto tutto con le telecamere e non sono
intervenuti. Saturazione a 85 e 135 battiti e strumentazione impazzita. Il
ritardo degli interventi mi ha costretto a filmare gli eventi a fini di
giustizia ed informazione. Quando con le telecamere hanno visto che filmavo con
il telefonino la situazione, con i parametri anomali e gli allarmi sonori della
strumentazione, sono intervenuti a spostare il paziente nella postazione
speciale. Subito dopo è intervenuto un energumeno di infermiere, che con fare
minaccioso mi ha intimato, su ordine del medico, di cancellare il video dal
cellulare. C.mo C.lò successivamente è morto, a 56 anni, ma tutti (dagli Oss,
fino agli infermieri ed i medici) omertosamente hanno tenuto nascosto la
notizia. Nella postazione n. 8 della mia seconda stanza un degente non
autosufficiente è andato al bagno senza bomboletta di ossigeno, mancante, così
come senza accompagnamento dei preposti a farlo. Loro hanno visto tutto con le
telecamere e non sono intervenuti. Il paziente uscendo dal bagno ha avuto una
mancanza d'aria ed è caduto. Si è schiantato al suolo ed è morto.
Omertà o meno, peccato per loro che mi sono
trovato sempre nel posto giusto al momento giusto. O sbagliato secondo i punti
di vista.
L’assistenza sanitaria.
E’ previsto il Bonus Covid per medici e operatori sanitari. Va da 600 euro a
oltre mille euro. L’1 dicembre 2020 c’è stata un’infornata di nuove assunzioni e
trasferimenti al reparto Ortopedia Covid di Manduria.
Seconda ondata Covid in Puglia, indagine
della Procura sulla gestione da parte della Regione.
Fascicolo senza indagati né reati: tra gli
accertamenti quello sulle assunzioni del personale sanitario. La Repubblica di
Bari il 28 novembre 2020. La Procura di Bari ha aperto un fascicolo conoscitivo,
cioè un modello 45, senza indagati né ipotesi di reato, sulla gestione della
seconda ondata di contagi Covid in Puglia da parte della Regione. Sugli
accertamenti in corso gli inquirenti mantengono il massimo riserbo. Il fascicolo
è coordinato dal procuratore facente funzione Roberto Rossi. A quanto si
apprende, tra gli aspetti su cui si sta concentrando l'attività investigativa ci
sono verifiche sull'assunzione del personale sanitario.
Gli operatori sanitari, spesso, denunciano
che a loro non viene fatto il tampone di controllo.
Gli operatori della sanità sono considerati
degli eroi a torto dall’opinione pubblica, sotto influenza dei media, così come
le forze dell’ordine ed i magistrati. I medici, gli infermieri e gli Oss, alcuni
sono gentili, altri meno. Alcuni sono capaci, altri meno. Gli infermieri,
spesso, passano da un paziente ad un altro per le operazioni di routine
(prelievi del sangue, inserimento flebo, ecc.) senza disinfettarsi le mani.
Tutti sono corporativi ed omertosi. Ai richiami di allarme non c’è pronto
intervento, salvo eccezioni dovuti al buon cuore dell’operatore. Ma quello che
turba ed inquieta è il loro distacco ed indifferenza di fronte alla sofferenza
ed alla morte. Un giudice che manda in cella un innocente, spesso dovuto ad un
suo errore, è indifferente e distaccato. Ma un operatore sanitario, se ha una
coscienza, non può avere lo stesso distacco di fronte alla morte, specie se è
stata causata per sua colpa o per colpa di un protocollo criminale.
Comunque delle mie affermazioni sugli
operatori sanitari vi è ampia cronaca di stampa di conforto.
"Tra dieci minuti muori": così il medico
al paziente Covid in fin di vita. Maltrattamenti e furti ai defunti nell'inferno
dell'ospedale di Taranto. Gino
Martina il 4 dicembre 2020 su La Repubblica-Bari. Sono almeno sette gli episodi
che riguardano pazienti ricoverati al Moscati morti dopo giorni. Sarebbero
venute a mancare assistenza e condizioni di ricovero umanamente adeguate: indaga
la procura e anche l'Asl con un'inchiesta interna. Il sindaco convoca i vertici
dell'azienda per un chiarimento. Uno dei racconti più scioccanti è quello di
Angela Cortese. Il padre, Francesco, positivo al Covid, la notte tra l'1 e il 2
novembre aveva fatto il suo ingresso all'ospedale Moscati di Taranto. Dal suo
ricovero al giorno seguente, l'uomo, 78enne, è rimasto in contatto con la
famiglia attraverso il telefonino. Ma ciò che ha comunicato in quelle ore ha
allarmato tutti: "Venitemi a prendere, qui muoio". Il 3 mattina, la donna,
avvocato, parla con un medico che si trova nell'Auditorium dove il padre era
stato sistemato. "Suo padre non collabora, non vuole mettersi la maschera Cpap,
fra dieci minuti morirà, preparatevi!". La donna racconta di urla, di una sorta
d'aggressione al telefono. "Ci sentiamo piombare addosso d'improvviso
queste parole terribili - spiega -, quel medico sembrava una bestia inferocita,
contro di noi e mio padre. Ho avuto solo la forza di chiedere della saturazione
e per tutta risposta ho ricevuto altre urla: non c'è saturazione, vedrete che
fra poco muore!". Cortese domanda se il padre fosse lucido, se stesse lì vicino.
"Sì è qui, è qui, mi sta ascoltando, fra poco morirà!". La donna assiste in
questo modo alla sua fine. "Neanche i veterinari con i cani si comportano in
questa maniera", aggiunge, sottolineando come "Non gli è stata somministrata
nessuna terapia, solo ossigeno, solo la Cpap". Affermazioni, quelle di Cortese,
che dovranno trovare riscontro nella cartella clinica richiesta all'ospedale e
nelle indagini che la procura ha avviato per diversi altri casi di morti nel
presidio sanitario a Nord del rione Paolo VI.
Le inchieste. I procedimenti sono più d'uno,
fanno seguito alle denunce dei parenti, ma sono volti anche a verificare la
corretta osservanza delle misure precauzionali sanitarie da parte della
dirigenza ospedaliera. Il sospetto è che l'organizzazione, le attrezzature e il
numero del personale tra ottobre e novembre non fossero adeguati ad affrontare
la seconda ondata della pandemia, lasciando spazio all'improvvisazione, a
Operatori socio sanitari utilizzati come infermieri e personale sotto stress,
portando a gravi mancanze. Al di là del lavoro della magistratura, sono
almeno sette gli episodi che riguardano degenti del Moscati morti dopo giorni
nei quali sarebbero venute a mancare assistenza e condizioni di ricovero
adeguati, oltre che telefoni e oggetti di valore, come fedi e collane, non
restituiti ai parenti. Su questi ultimi episodi l'Asl ha diffuso una nota nella
quale smentisce che ci possano essere stai dei furti, ma fa emergere anche una
scarsa comunicazione tra l'organizzazione del presidio e gli stessi operatori.
"Nelle singole unità operative coinvolte nei percorsi assistenziali di presa in
carico - scrive l'Asl - sono custoditi e repertoriati numerosi piccoli oggetti
di valore ed altri effetti personali. Intanto il sindaco di Taranto, Rinaldo
Melucci, ha deciso di convocare i vertici Asl: "Se confermati, i fatti sono di
una gravità inaudita".
"Attento, tra 10 minuti muori". Il medico rivela: "Perché l'ho detto..."
Nessun provvedimento nei confronti del medico dell'ospedale di Taranto, che
spiega: "Ho urlato solo per salvarlo, come un padre che urla al figlio, perché
non voleva mettersi la maschera Cpap". Federico Garau, Mercoledì 09/12/2020 su
Il Giornale. Continua la polemica intorno ai fatti avvenuti all'ospedale Moscati
di Taranto, dove sono state denunciate gravi lacune di assistenza ed alcuni
pazienti hanno perso la vita dopo essere stati ricoverati per giorni. A finire
sotto la lente d'ingrandimento il caso del signor Francesco, finito in ospedale
dopo aver manifestato i sintomi del Coronavirus. L'uomo, secondo quanto riferito
da "Repubblica", era arrivato al pronto soccorso nella notte fra l'1 ed il 2
novembre, e da subito aveva chiesto aiuto alla famiglia, temendo per la propria
vita. A raccontare tutto la figlia del 78enne, Angela Cortese, che ha spiegato
come il padre avesse chiesto di essere riportato a casa già dal giorno
successivo al ricovero. Parlando con un medici per chiedere conto di quanto
stava accadendo al genitore, la donna si sarebbe sentita rispondere: "Suo padre
non collabora, non vuole mettersi la maschera Cpap, fra dieci minuti morirà,
preparatevi!". Da qui l'allarme lanciato dalla signora Cortese, avvocato di
professione. "Ci sentiamo piombare addosso d'improvviso queste parole terribili.
Quel medico sembrava una bestia inferocita, contro di noi e mio padre. Ho avuto
solo la forza di chiedere della saturazione e per tutta risposta ho ricevuto
altre urla: non c'è saturazione, vedrete che fra poco muore!", ha raccontato la
donna a "Repubblica". "Non gli è stata somministrata nessuna terapia, solo
ossigeno, solo la Cpap". Parole forti, quelle dell'avvocato Cortese, alle quali
hanno fatto seguito delle indagini da parte della Procura della Repubblica di
Taranto. A dire il vero, le inchieste che riguardano l'ospedale sono più di una,
dal momento che sono state diverse le famiglie a denunciare discutibili
comportamenti nei confronti dei pazienti. Oltre ad episodi di mancata
assistenza, c'è chi parla anche di oggetti rubati, cosa che la Asl ha
categoricamente smentito. Per quanto riguarda il caso del signor Francesco, poi
deceduto lo scorso 3 novembre, il medico accusato di aver usato parole troppo
dure nei suoi confronti ha deciso di parlare. La Asl di Taranto, al momento, non
ha preso provvedimenti nei suoi confronti. "Ho urlato solo per salvarlo, come un
padre che urla al figlio, perché non voleva mettersi la maschera Cpap che in
quel momento era fondamentale ma non voleva indossare", ha spiegato il dottor
Angelo Cefalo, medico del 118 di Taranto, nel corso della conferenza stampa
organizzata nell'auditorium dell'ospedale Santissima Annunziata di Taranto. "Ho
conservato come in una cassaforte i messaggi su Whatsapp con la figlia, perché
le ho dato la mia disponibilità per spiegarle cosa fosse accaduto e un conforto
per la perdita del padre". Il 78enne, hanno spiegato i medici, aveva un livello
di saturazione di ossigeno nel sangue molto basso. In più, era cardiopatico,
soffriva di insufficienza renale, diabete e bronchite cronica, oltre ad avere
una fistola al braccio. "Se fosse stato intubato non ce l'avrebbe fatta, perciò
per convincerlo a mettere la Cpap ho utilizzato un linguaggio trasparente, come
siamo abituati a fare noi medici che ci relazioniamo con pazienti e parenti", ha
raccontato il dottor Cefalo. "Tra dieci minuti muori glielo dicevo solo per
convincerlo a mettere la mascherina, gli ho detto se aveva voglia di rivedere i
suoi nipoti. Ovviamente i dieci minuti non erano reali ma era la mia
disperazione emergentista, perché il nostro lavoro si basa sui secondi che erano
fondamentali per salvare la vita del paziente, che purtroppo non ce l'ha fatta
dopo circa due ore", ha concluso.
Maltrattamenti e furti in ospedale a
Taranto, il sindaco convoca i vertici Asl: "Fatti di una gravità inaudita".
La Repubblica-Bari il 04 Dicembre
2020.
Gli oggetti smarriti. Si segnala, ad esempio,
che nella cassaforte allocata nel punto di Primo intervento del 118 del presidio
ospedaliero San Giuseppe Moscati, sono custoditi oggetti preziosi, mentre altri
effetti personali quali valigie, telefoni e relativi carica batteria, sono
conservati in aree dedicate del reparto". Nella stessa nota sono stati
pubblicati i contatti e il link dell'ufficio di Medicina legale dell'azienda
sanitaria attraverso il quale poter cercare le cose appartenenti ai propri cari.
Ma alcuni parenti vanno avanti con la denuncia ai carabinieri, come il caso
della famiglia Rotelli, sicura che il telefono del padre sia stato rubato e
manomesso. Come affermano anche altri parenti di altri degenti, che parlano di
video girati all'interno cancellati dai telefoni dei propri cari. "Mia madre -
spiega Tina Abanese, di Massafra - è stata ricoverata in quei giorni per una
crisi respiratoria. È stata maltrattata da alcuni addetti che le rispondevano in
malo modo. Non è stata cambiata per ore. È rimasta anche senza cibo e dopo due
giorni dalla sua morte ci siamo accorti che nella borsa mancavano la fede e un
altro anello, che indossava al momento dell'ingresso in ospedale".
Il ricovero nel container. Donato Ricci,
imprenditore di Martina Franca, ha perso invece il padre, ex ispettore di
polizia. Ha raccolto i primi di novembre il suo grido d'aiuto. "Chiamate la
polizia, portatemi via da qui", diceva. L'uomo, in salute prima di aver
contratto il Covid, ha anche girato dei video nel container dov'era ricoverato
con la biancheria abbandonata per terra in un angolo. Ricci ha raccolto in un
gruppo Whats'app i contatti di altri parenti di chi non c'è più dopo esser
passato in quei giorni nell'ospedale, durante i quali era anche difficile poter
contattare i propri cari o avere notizie dal personale, per mancanza di un
numero telefonico apposito (è stato attivato nelle ultime settimane). C'è chi
racconta di bagni sporchi, inaccessibili, camere mortuarie con cadaveri
sistemati alla peggio, addetti delle onoranze funebri che li prelevano senza
alcuna protezione. "Abbiamo denunciato la sparizione di anelli, della fede
nuziale e d alcune collane di mio padre - raccontano Mariangela e Pierangela
Giaquinto, figlie di Leonardo, paziente Covid ricoverato il 30 ottobre e
scomparso il 21 novembre - ci hanno detto che avrebbero richiamato se e nel caso
avessero ritrovato qualcosa ma non abbiamo avuto alcune segnalazione. Mio padre
è stato intubato e indotto due volte al coma farmacologico. La seconda, però,
non ce l'ha fatta". A muoversi ora è anche il Tribunale del malato, che chiede
formalmente un intervento della Regione: dall'assessore alla Sanità Pierluigi
Lopalco al governatore Michele Emiliano. "La situazione è allarmante - spiega la
coordinatrice Adalgisa Stanzione - non solo perché ci sono casi di morti, ma
perché c'è stata una sottovalutazione delle autorità competenti. Se non si aveva
personale sufficiente per assistere i pazienti bisognava agire prima, non
arrivare fino ai primi di novembre, quando c'erano al Moscati 95 persone
ricoverate per Covid. Gli Oss hanno dovuto sopperire al lavoro degli infermieri.
Ci stiamo muovendo con le nostre strutture legali per fare chiarezza. La
situazione è migliorata con l'attivazione dei posti alla clinica Santa Rita e
all'ospedale Militare, ma senza personale i posti letto servono a poco. Il
diritto alla salute - prosegue Stanzione - va rispettato a partire dalla
qualità della prestazione che non può essere soffocata dalla pseudo carenza di
infermieri e medici. E poi la gente va trattata con umanità, va ascoltata, e non
attaccata come incompetente e sprovveduta, da personale sotto stress. La
pandemia - conclude - non può essere affrontata senza mezzi, è come combattere
una guerra senza fucili".
In ospedale la morte sospetta di un
68enne. I familiari: «Abbandonato su una sedia». C'è l'inchiesta.
Francesco Casula su il Quotidiano di
Puglia-Taranto Martedì 8 Dicembre 2020. La procura della Repubblica
di Taranto ha disposto l'autopsia sul corpo di un uomo deceduto
all'ospedale Moscati per Covid19, ma per cause ancora ignote alla famiglia
dell'uomo. È stato il sostituto procuratore Remo Epifani ad aprire un fascicolo
contro ignoti e a disporre l'esame autoptico: l'incarico al medico legale sarà
affidato domani mattina nel Palazzo di giustizia e subito dopo il consulente
eseguire gli accertamenti richiesti dal magistrati per stabilire la reale causa
del decesso. Non ci sono, al momento, nomi iscritti nel registro degli indagati,
ma il pubblico ministero Epifani ha ipotizzato il reato di «responsabilità
colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario». È stata la denuncia
depositata dai familiari, alcuni dei quali si sono rivolti all'avvocato Gaetano
Vitale, a spingere la procura a effettuare una serie di approfondimenti. Nella
denuncia, infatti, i parenti della vittima hanno raccontato che l'uomo, dopo
aver trascorso una degenza burrascosa dovuta al peggioramento delle sue
condizioni, sembrava aver ormai superato la fase critica e secondo gli
aggiornamenti che il medico di famiglia forniva ai congiunti, sembravano
prossime le dimissioni dall'ospedale. Una mattina, però, quelle speranze insieme
al resto del mondo sono crollate. I familiari hanno infatti ricevuto la
telefonata da un medico del nosocomio tarantino che annunciava la morte
dell'uomo. Nessuna spiegazione sulle cause, nessuna comunicazione ufficiale che
informasse la famiglia di cambiamenti improvvisi del quadro clinico. Non solo.
Secondo le informazioni raccolte da alcuni parenti, l'uomo di 68 anni con
problemi di diabete, sarebbe stato ritrovato già cadavere nelle prime ore del 18
novembre, non nel suo letto, ma addirittura seduto su una sedia accanto al suo
letto. Un dettaglio che secondo i denuncianti è la dimostrazione dello stato di
abbandono al quale sarebbero stati costretti i pazienti nei reparti
dell'ospedale ionico. E oltre all'elevato numero di pazienti rispetto a quello
del personale sanitario, denunciato anche dai sindacati nelle scorse settimane,
i familiari avrebbero anche fatto notare come in quella stessa notte in cui
sarebbe avvenuta la morte del 68enne, sarebbero stati registrati anche altri 13
decessi. Per i familiari, quindi, la causa della morte potrebbe non essere stato
il virus contratto dall'uomo una decina di giorni prima, ma lo stato di
abbandono oppure le negligenze di chi avrebbe dovuto garantire assistenza. E
dalle parole dei familiari, inoltre, sarebbero emerse anche accuse
circostanziate rispetto alle modalità di sistemazione dei pazienti a cui il
personale medico e paramedico è costretto a fare ricorso per affrontare
l'emergenza in corso. Sulla vicenda il pm Epifani ha affidato anche una delega
di indagini agli investigatori della Squadra mobile di Taranto che hanno
acquisito la cartella clinica della vittima. La salma, in attesa dell'autopsia è
stata trasferita nelle celle frigorifere di Bari. Gli elementi raccolti dai
poliziotti e dal medico legale che sarà nominato come consulente della procura
per effettuare l'autopsia, serviranno per ricostruire l'intero quadro della
vicenda e poter valutare in modo chiaro e approfondito le eventuali
responsabilità del personale che aveva in cura il 68enne.
Covid, preziosi scomparsi e disumanità,
inchiesta sull'ospedale: «Vogliamo la verità». Le testimonianze dei familiari
delle vittime: «Quando ci dissero, “faccia poche tragedie”».
u il Quotidiano di Puglia-Taranto Sabato 5
Dicembre 2020. «Amore, mi stanno portando in rianimazione, forse m'intubano». È
l'ultimo messaggio che Ubaldo, 62 anni, è riuscito a mandare alla moglie prima
di morire. Un tenero cuoricino rosso per chiudere la frase. Questo, assieme a
tanti altri strazianti messaggi audio e video, farà parte delle denunce, undici
sinora quelle previste, che presenteranno i componenti del gruppo «Per i nostri
parenti», mogli, figlie e figli di altrettanti pazienti deceduti per Covid nei
reparti soppressi dell'ospedale San Giuseppe Moscati di Taranto. Parenti che
chiedono giustizia, spinti da cause diverse: la scomparsa di oggetti di valore
indossati dai propri cari, ma anche presunti comportamenti dei sanitari al
limite del disumano come anche dubbi sul trattamento e sulle terapie praticate
sui pazienti. Anelli, fedi nuziali, orologi e telefoni cellulari che
appartenevano a pazienti morti per Covid, nell'ospedale Moscati di Taranto, non
sono mai più stati consegnati ai parenti che sospettano possano essere stati
rubati. La magistratura ha aperto una inchiesta, mentre l'Asl di Taranto ha
avviato una indagine interna. Ad alcuni cellulari restituiti - secondo la
denuncia dei parenti - sarebbe stata cancellata la memoria che conteneva
importanti ricordi. E forse anche qualcosa di strano che accadeva nell'ospedale
e che era stata filmata e quindi - secondo i familiari delle vittime - doveva
essere cancellata. Tra gli episodi riferiti, quello di un paziente 78enne la cui
figlia ha ricevuto la telefonata di una dottoressa che, urlando, si lamentava
perché l'anziano non sopportava la maschera per l'ossigeno. Davanti al paziente,
che era vigile, la dottoressa avrebbe detto «se non la tiene muore, fra dieci
minuti muore». Pochi minuti dopo la stessa dottoressa avrebbe chiamato la figlia
del paziente dicendo «gliel'avevo detto che moriva, ed è morto». Nel suo
racconto, la figlia di Ubaldo, quello del tenero e drammatico ultimo messaggio
con il cuoricino rosso alla moglie, parla di «sgarbatezza e disumanità» nel
descrivere le comunicazioni tra la famiglia e il personale dove è stato
ricoverato suo padre. La sua storia è simile alle altre del gruppo. «Nostro
padre aveva 62 anni, era pensionato Ilva e soffriva solo di pressione che
controllava bene con una compressa al giorno». Poi l'incontro con il
coronavirus. Otto giorni di cura a casa, il peggioramento dei sintomi e il
ricovero al Moscati. «Gli hanno fatto il tampone risultato poi positivo e
nell'attesa del referto è stato messo in un ufficio adibito a stanza di degenza
dove è rimasto due giorni su una brandina con la borsa degli indumenti sulle
gambe». Finalmente viene sottoposto ad esame Tac che rivela una grave polmonite
da Covid. Viene così spostato nel prefabbricato della rianimazione modulare e da
allora inizia l'odissea della famiglia che non avrebbe avuto notizie per
mancanza di interlocutori. Nel bunker schermato il telefonino non sempre aveva
la linea. Il seguito del racconto è ricco di telefonate senza risposta o di
mezze risposte o di risposte cariche d'astio di chi dall'altra parte del
telefono avrebbe dovuto tranquillizzare e informare sulle condizioni di salute
del malato. E' ancora a figlia a parlare. «Infine il messaggio di papà alla
mamma e poco dopo la telefonata di una dottoressa che c'informa che dovevano
intubarlo. La nostra reazione si può immaginare racconta la figlia - io stessa
ho richiamato subito dopo per avere più informazioni e la risposta che mi hanno
dato non la scorderò mai: "Signora, poche tragedie per favore perché non posso
perdere tempo con lei"». Ubaldo non ce l'ha fatta, è morto il 7 novembre scorso
nella rianimazione del Moscati. Le cause del decesso, oltre ai comportamenti dei
sanitari, saranno i quesiti che i familiari metteranno nella denuncia che
presenteranno appena entreranno in possesso della cartella cinica. Intanto su
questo e sui presunti casi di furto di oggetti di valore dai cadaveri Covid, il
sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, ha convocato il direttore generale Asl,
Stefano Rossi. «Si tratta di vicende - commenta il primo cittadino - se
confermate, che oltre ad essere di una gravità inaudita, vanificherebbero gli
sforzi che l'intera comunità sta compiendo e che, in particolare, stanno
compiendo le istituzioni di ogni genere per garantire i diritti fondamentali dei
cittadini in questo particolare periodo. Nessuna emergenza, infatti conclude il
sindaco - può giustificare abusi, superficialità o deroghe al corretto esercizio
di qualsiasi genere di servizio essenziale, a maggior ragione dei servizi di
natura sanitaria».
Gli strumenti della cura.
Il saturimetro è uno strumento per la misurazione dell’ossigeno del sangue e del
battito cardiaco. In ospedale, questo strumento non è ad acchiappapanni, ma è
adesivo al dito. Le unghie, il sudore, l'acqua ne minano l'affidabilità, ma sui
parametri falsati, spesso si poggiano le terapie.
La Cura.
Per i sanitari la morte di un paziente è sempre certificata come conseguenza di
patologie pregresse: falso!
Carla Massi per “il Messaggero” il 22 novembre 2020. Il titolo del documento è
Decisioni per le cure intensive in caso di sproporzione tra necessità
assistenziali e risorse disponibili in corso di pandemia da Covid-19. Tradotto
significa ecco quali sono i criteri che i medici, gli anestesisti in
particolare, dovrebbero seguire nel caso in cui dovessero trovarsi a scegliere
chi ricoverare prima in terapia intensiva. Solo in una situazione di estrema
gravità, dunque.
IL PROTOCOLLO. È stato messo a punto dalla Società italiana di anestesia
analgesia rianimazione e terapia intensiva e dalla Società italiana di medicina
legale e delle assicurazioni. Un documento secondo il quale dovrebbe essere
assistito prima colui che ha maggiori speranze di vita. Come avviene durante le
catastrofi. Come sta avvenendo in molte terapie intensive in cui, spesso, ci si
trova a dover fronteggiare uno squilibrio tra domanda e offerta di cure. Al
paziente, si legge ancora, vanno comunque garantiti i suoi diritti e assicurato
che sarà preso in carico con «gli strumenti possibili». «Fermi restando i
principi costituzionali (diritto alla tutela della salute e
all'autodeterminazione, principio di uguaglianza, dovere di solidarietà - si
legge nel testo pubblicato sul sito del Sistema nazionale linee guida dell'
Istituto superiore di sanità) - si rende necessario ricorrere a scelte di
allocazione delle risorse». Per le due società, vista la situazione, è
necessario creare un triage ad hoc negli ospedali. Un centro di valutazione
finalizzato a stabilire quali pazienti hanno la priorità per essere assistiti.
Che per le rianimazioni, spiegano gli anestesisti, significa accertare chi
«potrà con più probabilità o con meno probabilità superare la condizione critica
con il supporto delle cure intensive». L' età, dunque, non è di per sé un
criterio sufficiente per stabilire chi può beneficiare delle terapie. Ovviamente
sono stati individuati anche tutti i parametri, sono dodici ora all' esame dell'
Istituto di sanità, e tutte le possibili condizioni da seguire prima di arrivare
alla scelta. Scelta che i medici, sempre nel caso di sovraffollamento, quando
possibile, intendono sottoporre anche al paziente. Alcuni, come ci ricorda l'
ampio dibattito sul testamento biologico, potrebbero anche non desiderare di
essere sottoposti a cure intensive. In ogni caso dovrebbero essere rispettate le
volontà nel caso il paziente abbia lasciato uno scritto o, in quel momento,
informi il medico che lo sta assistendo.
LE RISORSE. «Lo scenario in cui ci siamo trovati a marzo sta purtroppo tornando
attuale con un' intensità e una durata ancora non quantificabili - fa sapere la
presidente della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e
terapia intensiva Flavia Petrini - Per questo si è lavorato sui criteri di
scelta di fronte a una eventuale mancanza di letti in terapia intensiva. Gli
anestesisti-rianimatori sono tra i sanitari maggiormente impegnati, in Italia
come negli altri Paesi, nelle cure per i pazienti colpiti dal virus. La scarsità
di risorse prodotta dalla pandemia ci coinvolge in modo particolare. Abbiamo
fatto e stiamo facendo ogni sforzo per garantire le migliori possibilità di cura
in circostanze spesso drammatiche. Come si è visto in tanti filmati». La
deontologia medica, come scrive nell' introduzione del documento Carlo Maria
Petrini, direttore dell' Unità di Bioetica e presidente del Comitato etico dell'
Istituto superiore di sanità, pone al centro il paziente privilegiando il
criterio terapeutico. «Tuttavia - sono parole di Petrini - vi sono situazioni in
cui è impossibile trattare tutti. In questi casi la sola etica ippocratica
risulta insufficiente. Occorre applicare il triage. E come ogni atto medico deve
basarsi innanzi tutto sui criteri di appropriatezza e proporzionalità». Si
cominciano, intanto, a vedere i primi effetti della generale stretta nel Paese.
Frena, infatti, l' incremento dei pazienti ricoverati in terapia intensiva per
Covid-19. Secondo i dati di ieri del ministero della Salute: sono dieci le
persone entrate nei reparti di rianimazione, che portano il totale a 3.758.
Superata invece la soglia dei 34 mila nei reparti ordinari.
In ospedale l’iter giornaliero è questo:
5.30 prelievi di sangue, a volte l’Emogas
arterioso. Per sottoporsi a emogasanalisi arteriosa non è richiesto il digiuno,
né la sospensione di eventuali terapie in corso. L'esame può essere
moderatamente doloroso. E’ estremamente doloroso se fatto da mani incapaci.
Spesso analisi dell’urine. Tre volte al giorno misurazione della febbre e
misurazione della pressione.
8.30 distribuzione della protezione e del
cortisone ed eventuale flebo.
16.30 somministrazione tramite flebo di
antibiotici, farmaci sperimentali, liquido di lavaggio.
Si crede che rivolgendosi alle strutture
sanitarie ci si possa curare dal covid. Non è così. Spesso si muore. Io posso
raccontare la mia esperienza in virtù del fatto di essere Antonio Giangrande.
Esperto del Virus, fortemente caparbio ed estremamente rompiballe. Io sono a
detta di tutti un miracolato. Ma il miracolo l’ho anche voluto io. Dal primo
momento, la degenza in ospedale è stata caratterizzata dall’essere positivo sia
dal Covid, sia nello spirito. Il mio principio, data la mia esperienza, le mie
traversie e le mie sofferenze, è: me ne fotto della morte. Ed è stato lo spirito
giusto. Ho mantenuto il morale alto ai miei compagni ed intrattenuto ottimi
rapporti con gli operatori sanitari (meglio tenerseli buoi a scanso di
ritorsioni).
La mia cura prima del ricovero era:
protezione, antibiotico, cortisone, eparina.
La mia cura in degenza era: protezione,
antibiotico, cortisone, eparina. Uguale!
In aggiunta c’era solo l’ossigenoterapia.
Loro curano la polmonite bilaterale
interstiziale. La polmonite da Covid-19 è altra cosa. Perché è diversa la causa.
Se non combatti la causa, l’infiammazione si aggrava, porta al collasso dei
polmoni, in particolare uno, e mina la funzionalità degli altri organi: da ciò
consegue la morte.
Negli ospedali si attende. Si aspetta
l’evoluzione della malattia. Si aspetta il miracolo. Non c'è evoluzione positiva
della malattia se non si effettua la cura adeguata. Le cure ci sono ma non le
applicano per protocollo.
L’ossigenoterapia a me applicata era pari a
10 litri, con inalazione tramite mascherina con la bustina.
Tra i medicinali e l’ossigeno, la terapia nel
complesso si è dimostrata inadeguata, tanto da causare l’aggravarsi della mia
situazione. Hanno portato il livello della mia ossigenazione a 15, il massimo
per quel reparto di ortopedia con inalazione tramite mascherina con busta.
Sempre lucido e con il morale alto ho imposto la mia volontà e la mia
competenza. Farmi somministrare, tramite flebo, il “remdesivir”, adottato contro
l’Ebola. Farmaco osteggiato dall’elite sanitaria mondiale e nazionale.
La battaglia sul Remdesivir, il farmaco
anti Covid che divide i due lati dell'Oceano.
Elena Dusi su La Repubblica il 5 dicembre 2020.
Per l'Oms non va usato: benefici inferiori ai rischi. Ma per il prestigioso New
England Journal of Medicine a sbagliare è stata l'organizzazione mondiale per la
sanità con sperimentazione su dati disomogenei. In ballo, oltre alla salute, c'è
una fortuna: ogni ciclo di cura costa 2.400 dollari. C’è un farmaco che funziona
in America ma non nel resto del mondo. E’ il controverso remdesivir, antivirale
messo a punto per Ebola ma “riposizionato” in regime d’emergenza contro il
coronavirus, usato anche per trattare il presidente americano Donald Trump.
L’Organizzazione mondiale della sanità a fine novembre ha pubblicato i risultati
di uno studio da lei coordinato: i benefici del farmaco non superano i rischi.
«L’antivirale remdesivir non è consigliato per pazienti ospedalizzati per
Covid-19, a prescindere dalla gravità della malattia, perché al momento non ci
sono prove che migliori la sopravvivenza o la necessità di supporto di
ossigeno». Anche i risultati dei trial precedenti non erano stati brillanti, ma
lasciavano intravedere un qualche beneficio, come la riduzione dei giorni
passati in ospedale (cinque in meno, in media, rispetto al placebo, secondo uno
studio americano). La pubblicazione targata Oms, avvenuta sul British Medical
Journal, ha spinto anche la nostra Aifa (Agenzia italiana per il farmaco) a
riunire un tavolo per riscrivere le indicazioni di questo antivirale, che frutta
alla casa produttrice americana Gilead 2.400 dollari per ogni ciclo (5 giorni di
trattamento), somministrato via flebo esclusivamente in ospedale. L’articolo del
British (che mette insieme i risultati di quattro studi diversi per un totale di
7mila pazienti) ha fatto cadere le azioni dell’azienda farmaceutica, nel giorno
della pubblicazione, dell’8%. Da Boston, sede del prestigioso New England
Journal of Medicine, è subito arrivata la replica: a sbagliare è l’Oms, scrive
la rivista in un editoriale. La sperimentazione dell’Organizzazione di Ginevra,
battezzata Solidarity, è stata condotta in 30 paesi, dalla Svizzera alla
Germania, dall’Iran al Kenya. Secondo il New England non avrebbe raccolto dati
omogenei. “Gli standard di cura in queste nazioni sono variabili, così come la
condizione dei pazienti che vengono ricoverati in ospedale”. Il remdesivir –
ribadisce l’altra sponda dell’Atlantico – deve continuare a essere
somministrato. Di questa opinione era, fino alla scorsa estate, anche l’Europa.
Trovatasi a corto di scorte (a luglio la Casa Bianca si è accaparrata tutte le
dosi prodotte da lì a settembre), la Commissione ha intavolato in tutta fretta
una trattativa con Gilead per una fornitura di 500mila dosi al prezzo di 1,2
miliardi di euro. La casa farmaceutica, secondo un’indiscrezione del Financial
Times, conosceva già i risultati scettici dello studio Oms, ma non li avrebbe
comunicati agli europei. “L’Italia – prosegue il quotidiano inglese – ha pagato
51 milioni per un ordine di remdesivir quando i casi stavano salendo e le scorte
si stavano assottigliando”. Mi hanno fatto firmare la liberatoria con
assunzione di responsabilità, previa nota informativa, per l’assunzione di un
farmaco, non adottato a Manduria e nella maggior parte degli ospedali italiani.
E poi, in previsione di morte certa, perché non tentare con cure che possono
essere anche dannose o inefficaci?
Sull’efficacia del farmaco io sono un
testimone, vivente, ospedalizzato ed attendibile. Dopo due giorni di cure, sì
inefficaci, che mi hanno fatto rasentare la morte con il quadro clinico
compromesso ed aggravante, con 15 litri di ossigeno e saturazione insufficiente,
dopo tre giorni di infusioni con una dose al dì del farmaco, la mia situazione
clinica è immediatamente migliorata. Da 15 litri di ossigeno sono passato a 4,
con ossigenazione a 92, e tutti gli altri valori sono immediatamente migliorati.
Tanto da che il tampone effettuato il giorno 3 dicembre 2020 è risultato
negativo.
Sul costo del farmaco io sono dubbioso. Se si
è curata l’Africa infetta da Ebola, non penso non si possa salvare la
popolazione dei paesi più ricchi. E poi con tanti soldi buttati al vento tra
sprechi, regalie e sostegni economici a pioggia, non penso che si possa far
morire la gente per spilorceria.
Michele Bocci per repubblica.it il 28 novembre 2020. Non vanno dati subito e in
certi casi non devono proprio essere somministrati. Bisogna valutare bene la
situazione prima di scegliere i farmaci per la terapia domiciliare contro il
Covid. Il cortisone, ad esempio, si può prendere in considerazione dopo almeno
tre giorni di sintomi e se peggiora la saturazione dell'ossigeno nel sangue.
L'eparina, che tanti medici invece utilizzano, andrebbe iniettata solo a chi
rimane a letto a lungo a causa del virus. Del resto non ci sono prove di un
beneficio clinico dal suo uso su chi non è ospedalizzato o comunque
immobilizzato. E vitamine e integratori non servono proprio a niente. Sta
finendo novembre e finalmente arrivano delle linee guida nazionali per la
gestione al domicilio dei malati di Covid. Le ha approvate ieri il Cts della
Protezione civile anche se il documento va ancora ritoccato. Ad attenderlo sono
tantissimi professionisti. Medici di famiglia (che hanno collaborato a
stenderlo) e delle Usca, ad esempio, oltre a tutti gli specialisti che in questi
mesi sono rimasti sommersi sotto un gran numero di protocolli. C'è quello
dell'ordine dei medici della Lombardia, che ritiene utile il cortisone ma solo
con problemi di saturazione e febbre che va avanti da 5-7 giorni, e c'è il
primario delle malattie infettive di Genova Matteo Bassetti, che suggerisce di
aspettare 4 giorni di sintomi moderati prima di avviare i trattamenti
farmacologici. Poi c'è la Simg, la società scientifica dei medici di famiglia,
che parla di malattia moderata quando ci sono tre giorni di febbre superiore a
38 gradi o problemi di respirazione non gravi e indica di prendere il cortisone
al settimo giorno di sintomi, quando suggerisce di introdurre anche l'eparina.
L'Italia è il Paese delle linee guida sanitarie e il Covid non ha fatto
eccezione.(…) Il documento del Cts dovrebbe mettere le cose a posto. Intanto
sottolinea l'importanza del saturimetro, che in situazione normale segna un dato
superiore al 95%: "L'utilizzo diffuso di questo strumento potrebbe ridurre gli
accessi potenzialmente inappropriati ai pronto soccorso". Il limite di
saturazione accettabile, tenuto anche conto del margine di errore degli
strumenti da casa, è comunque quello del 92%. Quando il medico assiste a
domicilio persone con pochi sintomi deve appunto far misurare l'ossigenazione di
frequente, trattare la febbre con il paracetamolo e assicurarsi che il pazienti
si idrati e mangi. Il cortisone a domicilio "può essere considerato in quei
pazienti in cui il quadro clinico non migliora entro le 72 ore, soprattutto in
presenza di un peggioramento dei parametri pulsossimetrici". Come detto
l'eparina non va usata "se non nei soggetti immobilizzati per l'infezione in
atto". Poi ci sono gli antibiotici, che vanno dati solo se c'è febbre per oltre
72 ore e il quadro clinico fa sospettare che sul problema virale si sia
innestata una infezione batterica. L'idrossiclorochina non va usata, dicono gli
esperti, e non vanno fatti farmaci con l'aerosol se ci sono conviventi non
colpiti dal virus, visto che quel sistema è molto contagioso. Infine "non
esistono a oggi evidenze solide e incontrovertibili di efficacia di supplementi
vitaminici o intengratori alimentari, a esempio la vitamina D, la lattoferrina,
la quercitina, il cui utilizzo per questa indicazione non è quindi
raccomandato".
Bassetti: "Ecco la verità su Remdesivir,
eparina e cortisone". Il professor
Bassetti intervistato da ilGiornale.it: "Troppa confusione, ora servono linee
condivise per fermare il virus". Matteo Carnieletto e Andrea Indini, Lunedì
02/11/2020 su Il Giornale. Professor Bassetti, ad oggi il Covid-19 ha fatto
oltre 38mila morti in Italia. C’è chi punta il dito contro i medici di base, che
non avrebbero curato a dovere i propri pazienti, preferendo spedirli in
ospedale.
È davvero così?
«Innanzitutto
non è del tutto vero che i medici non vanno a visitare i pazienti a casa. C’è
però una cosa da dire: la nostra organizzazione delle medicina territoriale non
è fatta per gestire una pandemia. Un medico arriva ad avere 1500 assistiti. In
una città come Milano, dove in questo momento c’è una grande circolazione del
virus, è probabile che un medico abbia a casa anche il 10, 15 per cento dei
pazienti con i sintomi del Covid-19. Un medico è in grado di gestire 150 persone
insieme? Non è un problema dei medici, è un problema di organizzazione e di
tagli che sono stati fatti negli ultimi trent’anni. Nessuno se n’è accorto sul
momento, adesso però stiamo vedendo i risultati. Ora bisogna imparare la lezione
e organizzare il futuro: ci vogliono investimenti pesanti e sostanziosi».
Cortisone ed eparina sono medicinali che
potrebbero essere somministrati ai malati che sono a casa. Perché non vengono
prescritti?
«Bisogna
stare attenti: lo studio “Recovery” dice che il cortisone ha un beneficio nelle
forme gravi, in quelle dove il paziente ha la polmonite e un deficit di
ossigeno. In questo caso funziona. Nei casi medio-lievi il cortisone potrebbe
anche non essere la risposta corretta. Il problema è avere protocolli condivisi.
Sapere cioè cosa fare quando un paziente ha la febbre, quando ha anche tosse e
sintomi respiratori, se ha una grave (ma ancora non gravissima) insufficienza
respiratoria, a chi posso dare l’eparina e a chi no. Sono tutte cose che sarebbe
bene fossero in un protocollo nazionale».
Che attualmente però non c’è…
«No,
c’è molto disordine. Ognuno fa un po’ come gli pare. Ho saputo anche di soggetti
asintomatici che sono stati trattati con eparina, cortisone e antibiotici. La
gente sente questa confusione e va in ospedale, dove si presume ci sia un po’
più di ordine».
Arrivata in ospedale, come viene curata la
gente?
«Dipende
dal quadro che ci troviamo davanti. Entro i dieci giorni dall’emergere dei
sintomi si usa il cortisone a dosi sostenute, il Remdesivir che è stato
approvato per chi ha deficit respiratori, l’eparina per evitare che si formino
trombi e poi, per le forme più impegnative di polmonite, si aggiunge
l’antibiotico».
Perché non viene regolarmente
somministrato il Remdesivir?
«Ci
sono criteri molto chiari definiti dall’Aifa. Va usato solo se i sintomi hanno
un esordio da meno di dieci giorni ed è quello che facciamo anche noi seguendo i
criteri dell’Aifa».
Quando Trump ha preso il Covid è guarito
nel giro di pochi giorni. Eppure era considerato un soggetto a rischio. Perché?
«Hanno
usato una cura sperimentale che attualmente non è in commercio - l’anticorpo
monoclonale Regeneron - e che probabilmente ha dato buoni risultati. Ci sono
dati preliminari che dicono che questo anticorpo potrebbe funzionare. Bisogna
aspettare la conclusione dello studio: una volta che ci sarà, potremo dire
qualcosa di più. Indubbiamente però uno degli anticorpi monoclonali in studio
sembra essere promettente. È probabile che Trump abbia avuto una forma non
troppo grave, ma è anche vero che per curarlo sono stati utilizzati il
Remdesivir, l’eparina e l’anticorpo monoclonale».
Torniamo alle cure in casa. Il professor
Cavanna è considerato il "padre" del modello Piacenza alla base del quale c'è
l'uso della idrossiclorochina. Funziona?
«C’è
uno studio che dimostra che l’idrossiclorochina non funziona. Fino a che non ci
saranno nuovi studi che dimostrano che il farmaco funziona, io non lo
utilizzerei. C’è uno studio randomizzato che dimostra come coloro a cui è stata
somministrata l’idrossiclorochina non hanno ottenuto alcun beneficio. Bisogna
evitare di fare una medicina aneddotica. La medicina si fa con l’evidenza
scientifica, che arriva dagli studi. L’unico modo che hai per dimostrarne
l’efficacia è quello di fare uno studio randomizzato: se lo fa hai un’evidenza
scientifica. Altrimenti hai solo un’opinione».
Si può dunque fare di più nella scelta dei
medicinali e così diminuire il numero dei morti?
«Ci
sono alcune cose che si sarebbero dovute fare e che non sono state fatte. Primo:
creare protocolli condivisi a livello nazionale, una sorta di linee guida
italiane a cui le società scientifiche stanno lavorando. Io sono presidente
della Società italiana di terapia anti infettiva, e abbiamo messo in piedi un
gruppo di studio, insieme alla Società italiana di pneumologia, per stilare
delle linee guida di trattamento del Covid. Con questo gruppo di lavoro
cercheremo di produrre un documento che spieghi come trattare il Covid: quali
farmaci utilizzare e quali no. Secondo: uniformare i criteri di
ospedalizzazione. Chi deve essere ricoverato in ospedale? Chi deve essere curato
a casa? Chi deve essere ricoverato in una struttura extra ospedaliera? Ci devono
essere parametri precisi, che siano utilizzati da tutti. Ci devono essere anche
criteri di dimissioni condivisi: una volta che il paziente sta bene, che non ha
più bisogno di presidi ospedalieri, quando lo posso dimettere? Questo è
importante perché permette un turnover maggiore di posti letto. Se riusciamo a
far girare al meglio i pazienti, il sistema può reggere. Terzo: collegare
l’ospedale e il territorio. La gente deve sentirsi sicura e sapere che i medici
di base sono collegati all’ospedale in un certo senso si porta a casa l’ospedale».
Molti hanno affermato che la lattoferrina
può essere un utile alleato contro il Covid. È davvero così?
«Anche
su questo non ci sono forti evidenze. La lattoferrina è un farmaco che non ha
grandi effetti collaterali, quindi se uno vuole può usarlo, ma non ci sono
evidenze così forti a suo favore. Ci sono delle esperienze aneddotiche, ma io
lavoro con le evidenze. Se uno la vuole utilizzare può farlo, ma non credo
entrerà nelle linee guida come farmaco che cambierà la storia del Covid».
Da leggo.it l'11 dicembre 2020. La III
Sezione del Consiglio di Stato ha accolto, in sede cautelare, il ricorso di un
gruppo di medici di base e ha sospeso la nota del 22 luglio scorso di AIFA che
vietava la prescrizione off label (ossia per un uso non previsto dal bugiardino)
dell' idrossiclorochina per la lotta al Covid. «La perdurante incertezza circa
l'efficacia terapeutica dell'idrossiclorochina, ammessa dalla stessa AIFA a
giustificazione dell'ulteriore valutazione in studi clinici randomizzati - si
legge nell'ordinanza - non è ragione sufficiente sul piano giuridico a
giustificare l'irragionevole sospensione del suo utilizzo sul territorio
nazionale». Gli appellanti, nella loro qualità di medici che avevano sino a quel
momento prescritto l'idrossiclorochina ai pazienti, hanno proposto ricorso
contro la nota di AIFA sostenendo in sintesi che l' idrossiclorochina, sulla
base di studi clinici pubblicati su riviste internazionali accreditate, sarebbe
efficace nella lotta contro il virus, censurando il difetto di istruttoria che
inficerebbe le determinazioni di AIFA, e hanno lamentato la lesione della loro
autonomia decisionale, tutelata dalla Costituzione e dalla legge, nel
prescrivere tale farmaco sotto la propria responsabilità, ai pazienti non
ospedalizzati che acconsentano alla sua somministrazione per la cura domiciliare
del SARS-CoV-2. Nella prima fase della pandemia AIFA, così come del resto altre
Agenzie nazionali europee ed extraeuropee, ha inizialmente consentito
all'utilizzo off label - e, cioè, al di fuori del normale utilizzo terapeutico
già autorizzato - dell'idrossiclorochina e ha reso prescrivibili a carico del
Servizio Sanitario Nazionale alcuni farmaci, tra i quali la clorochina e,
appunto, l'idrossiclorochina. Ma successivamente AIFA ha disposto la sospensione
dell'autorizzazione all'utilizzo off label dell' idrossiclorochina per il
trattamento del Sars-Cov-2, se non nell'ambito di studi clinici controllati, e
la sua esclusione dalla rimborsabilità a carico del Servizio sanitario
nazionale. Alla base di questa determinazione AIFA ha posto alcune evidenze
sperimentali che avrebbero rivelato un profilo di efficacia assai incerto del
farmaco nel contrasto al virus e un rischio di tossicità, in particolare
cardiaca, rilevante ad elevati dosaggi. «La scelta se utilizzare o meno il
farmaco, in una situazione di dubbio e di contrasto nella comunità scientifica,
sulla base di dati clinici non univoci, circa la sua efficacia nel solo stadio
iniziale della malattia - si legge nell'ordinanza del Consiglio di Stato - deve
essere rimessa all'autonomia decisionale e alla responsabilità del singolo
medico» «in scienza e coscienza» e con l'ovvio consenso informato del singolo
paziente. Rimane fermo il monitoraggio costante e attento del medico che lo ha
prescritto. L'ordinanza - è la n.7097/2020 ed è stata pubblicata oggi - precisa
che non è invece oggetto di sospensione (né a monte di contenzioso) la decisione
di AIFA di escludere la prescrizione off label dell' idrossiclorochina dal
regime di rimborsabilità
Covid, via libera all'idrossiclorochina:
"Irragionevole vietarne l'uso". Colpo
di scena in Italia: il Consiglio di Stato accoglie il ricorso dei medici di
base. "Dati clinici non univoci". Ma non può essere rimborsato. Giuseppe De
Lorenzo, Venerdì 11/12/2020 su Il Giornale. Colpo di scena. Esultano i medici
che da tempo sostengono l'uso dell'idrossiclorochina contro la
malattia Covid-19. Il Consiglio di Stato, infatti, ha accolto il ricorso di
alcuni medici contro la decisione dell'Aifa di vietarne la prescrizione off
label, cioè per un uso non previsto dal bugiardino. Il medicinale finito al
centro della polemica politica per "colpa" di Trump, Bolsonaro e (soprattutto)
dei loro detrattori rientra in campo dalla finestra dopo essere stato messo alla
porta senza tanti complimenti. Una decisione, quella dell'Aifa, che aveva diviso
(e che ancora divide) la comunità scientifica tra chi ritiene l'Hcq pericolosa e
chi la considera una valida arma contro il coronavirus. L'ordinanza del
Consiglio di Stato, la numero 7097/2020, è stata pubblicata questa mattina ed è
destinata a far discutere. Per i giudici amministrativi l'idrossiclorochina può
essere usata come terapia per Covid-19, previa prescrizione di un medico e
comunque, come previsto dall'Aifa, senza la rimborsabilità da parte del Servizio
sanitario nazionale. La III Sezione ha accolto, in sede cautelare, il ricorso di
un gruppo di medici di base e ha sospeso la nota del 22 luglio del 2020 con cui
l'Aifa aveva impedito ai medici di prescrivere l'Hcq al di fuori degli studi
clinici autorizzati dall'Ente. "La perdurante incertezza circa l'efficacia
terapeutica dell'idrossiclorochina, ammessa dalla stessa Aifa a giustificazione
dell'ulteriore valutazione in studi clinici randomizzati - si legge nella
corposa ordinanza - non è ragione sufficiente sul piano giuridico a giustificare
l'irragionevole sospensione del suo utilizzo sul territorio nazionale da parte
dei medici curanti". E ancora: "La scelta se utilizzare o meno il farmaco, in
una situazione di dubbio e di contrasto nella comunità scientifica, sulla base
di dati clinici non univoci, circa la sua efficacia nel solo stadio iniziale
della malattia, deve essere dunque rimessa all'autonomia decisionale e alla
responsabilità del singolo medico in scienza e coscienza". Ovviamente ci deve
essere il consenso informato del paziente e il medico deve monitorare il
progresso clinico: ma non può essere vietato. La battaglia su questo farmaco è
ormai di vecchia data. Come raccontato nel Libro nero del coronavirus, tra i
primi ad utilizzarla fu Luigi Cavanna, primario di oncologia e padre del "Metodo
Piacenza", decantato anche dai media stranieri. L’Hcq contro il Covid ha
dimostrato di funzionare - ci raccontò - Anche tanti medici l'hanno assunta. Non
farà testo, ma vuol dire che ci credevano. E poi ci sono centinaia se non
migliaia di pazienti che l'hanno presa e sono guariti”. Per un certo periodo
l'Aifa ha dato il via libera all'uso dell'Hcq a discrezione dei medici,
autorizzando pure il rimborso da parte del Ssn. In fondo si tratta di un farmaco
già usato contro diverse malattie. E costa pochissimo. Oggi però la molecola
antimalarica è osteggiata e motivo di scontro sia medico che politico. Dopo uno
studio pubblicato su Lancet sui rischi cardiaci e l'aumento di mortalità (poi
ritirato con non poco inbarazzo), lo scorso maggio sia l'Oms che le agenzie del
farmaco mondiali ne hanno sospeso l'utilizzo. Diversi medici ritengono che sul
tema non ci sia un sereno dibattito scientifico, probabilmente anche per colpa
delle prese di posizione di leader mondiali: diventato il farmaco "sovranista",
è stato fatto quasi di tutto per dichiararlo inutile. "Purtroppo gli editori di
riviste importanti sono molto riluttanti a pubblicare qualcosa di positivo
sull’idrossiclorochina (chiamo questa riluttanza effetto Trump-Bolsonaro),
mentre pubblicano immediatamente anche paper deboli quando non funzionano”,
disse Antonio Cassone, già direttore del Dipartimento di Malattie Infettive
dell’Iss e membro dell’American Academy of Microbiology. Certo sull'efficacia
dell'idrossiclorochina i dubbi permangono. Alcuni studi randomizzati realizzati,
tra cui il "Solidarity" dell'Oms, non hanno trovato effetti benefici,
sottolineando pure "un rischio di tossicità, in particolare cardiaca, rilevante
ad elevati dosaggi". Per L'Aifa alla base della decisione di bloccare l'Hcq ci
sono "evidenze sperimentali, emergenti dagli studi clinici randomizzati e
controllati", ma diversi medici ritengono che ancora non si sia arrivati
all'ultimo capitolo. “Questi trial - disse Cassone - hanno usato dosi alte di
Hcq nell’idea che queste dosi fossero quelle giuste per una diretta attività
antivirale”. I favorevoli all'Hcq ritengono infatti che puntando sulla capacità
anti-infiammatoria e anti-trombotica del farmaco sia sufficiente usare una dose
inferiore, incapace di provocare controindicazioni. A quelle dosi uno studio
dell'European Journal of Internal Medicine riteneva che l'Hcq potesse ridurre il
rischio morte per Covid del 30%. Chi ha ragione? Il Consiglio di stato, va
detto, non dà una risposta a questa domanda. I giudici si sono solo espressi sul
ricorso presentato da un folto gruppo di medici di base che "nella prima fase
della pandiemia" hanno "esercitato la loro attività somministrando" ai pazienti
l'Idrossiclorochina. "Da decenni - si legge nell'ordinanza - l’Hcq viene usata
non solo per curare la malaria, ormai debellata in Italia, ma contro l’artrite
reumatoide e il lupus eritematoso in virtù della sua efficace azione di
riduzione dei livelli di anticorpi fosfolipidi, tanto da essere somministrato in
Italia a circa 60.000 pazienti affetti da tali malattie autoimmuni". I
ricorrenti ritengono che le decisioni dell'Aifa siano superate da "studi clinici
pubblicati su riviste internazionali accreditate" e che sia stata lesa la loro
autonomia decisionale "nel prescrivere tale farmaco, in scienza e coscienza
sotto la propria responsabilità" ai pazienti che acconsentono a farsi curare
così. Le toghe danno loro ragione: via libera dunque all'uso
dell'idrossiclorochina.
Una decisione che scatena polemiche.
Idrossiclorochina, il Consiglio di Stato "sospende" l’Aifa e da l’ok al farmaco
contro il Coronavirus. Carmine Di
Niro su Il Riformista l'11 Dicembre 2020. Una decisione destinata a scatenare
sicure polemiche. Il Consiglio di Stato ha dato il via libera all’uso
dell’idrossiclorochina per la cura del Covid-19, solo su prescrizione e non
rimborsabile. La terza sezione del Consiglio di Stato ha accolto, in sede
cautelare, il ricorso di un gruppo di medici di base e ha sospeso la nota del 22
luglio 2020 di Aifa che vietava la prescrizione off label, cioè per un uso non
previsto dal bugiardino, dell’idrossiclorochina per la lotta al Covid 19. Si
legge nell’ ordinanza che “la perdurante incertezza circa
l’efficacia terapeutica dell’idrossiclorochina, ammessa dalla stessa Aifa a
giustificazione dell’ulteriore valutazione in studi clinici randomizzati, non è
ragione sufficiente sul piano giuridico a giustificare l’irragionevole
sospensione del suo utilizzo sul territorio nazionale da parte dei medici
curanti”. “La scelta se utilizzare o meno il farmaco, in una situazione di
dubbio e di contrasto nella comunità scientifica – è scritto nell’ordinanza –
sulla base di dati clinici non univoci, circa la sua efficacia nel solo stadio
iniziale della malattia, deve essere dunque rimessa all’autonomia decisionale e
alla responsabilità del singolo medico“, “in scienza e coscienza” e con l’ovvio
consenso informato del singolo paziente. Fermo il monitoraggio costante e
attento del medico che lo ha prescritto. L’ordinanza precisa che non è invece
oggetto di sospensione (né a monte di contenzioso) la decisione di Aifa di
escludere la prescrizione off label dell’idrossiclorochina dal regime di
rimborsabilità.
LE DIVISIONI SUL FARMACO – Lo sblocco
dell’idrossiclorochina sancito oggi dal Consiglio di Stato riapre il dibattito
sul farmaco e sui metodi scientifici per contrastare il virus.
L’idrossiclorochina, va ricordato, è un farmaco genericamente utilizzato nel
trattamento della malaria e di alcune malattie autoimmuni, come l’artrite
reumatoide e il lupus eritematoso discoide e disseminato. Tra i primi sponsor
del suo utilizzo contro il Covid-19 c’era stato il presidente degli Stati
Uniti Donald Trump, un entusiasmo che non aveva trovato grande sponda nella
comunità scientifica, con più studi che avevano in realtà evidenziato i suoi
effetti minimi, se non nulli o dannosi, contro il Coronavirus. Recentemente
anche l’Oms, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha pubblicato uno studio in
cui “boccia” l’utilizzo del farmaco contro il virus, mentre a luglio l’Aifa ne
aveva sospeso l’autorizzazione “per il trattamento dell’infezione da Sars-CoV-2,
al di fuori degli studi clinici, sia in ambito ospedaliero che in ambito
domiciliare”. La decisione odierna del Consiglio di Stato ha provocato la
reazione contrariata di Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe,
che su Twitter ha attaccato la decisione dei giudici: “Idrossiclorochina: le
evidenze confermano che il profilo rischio-beneficio nella Covid-19 è
sfavorevole, le linee guida e le autorità sanitarie raccomandano contro il suo
utilizzo, il Consiglio di Stato sovverte la scienza”. Di tutt’altro parere uno
sponsor "nostrano" del farmaco, il segretario della Lega Matteo Salvini, secondi
cui il sì del Consiglio di stato “è una notizia che molti medici stavano
attendendo. Tra gli altri, ricordiamo il dott. Luigi Cavanna che a Piacenza
somministrando precocemente questo farmaco ha trattato con successo molti
pazienti affetti da Covid, casa per casa, riducendo gli accessi all’ospedale e
guadagnandosi anche fama internazionale per il suo impegno medico e umano”.
Così l’idrossiclorochina finisce al Consiglio di Stato.
Gioia Locati il 7 dicembre 2020 su Il Giornale. Cos’è l’idrossiclorochina? Fa
bene o fa male? Come si affronta oggi il Covid? Ci si può curare a casa?
Proviamo a rispondere con l’aiuto di un medico, l’oncologo e professore Luigi
Cavanna, che ha seguito centinaia di malati di Covid, trattandoli con questo
farmaco al loro domicilio. Da maggio però non si può più prescrivere né
somministrare idrossiclorochina (vedremo perché). Il 10 dicembre il Consiglio di
Stato si esprimerà sull’esposto presentato da alcuni medici che chiedono il via
libera al farmaco e di poter prescrivere in scienza e coscienza.
L’ antefatto. L’idrossiclorochina si usa da oltre 50 anni per curare la malaria
e alcune malattie autoimmuni. Per le sue proprietà immunomudulanti, anti
trombotiche e anti virali è stata impiegata anche per contrastare alcune
importanti infezioni, dall’HIV all’Ebola, dalla Sars alla Mers. Costa poco.
Durante la prima ondata del Sars-Cov-2, l’idrossiclorochina era presente nelle
linee guida dei Paesi occidentali colpiti dall’infezione (approvata, dunque,
anche da Aifa ed Ema) per trattare i malati, sia in ospedale che a domicilio. A
maggio però esce uno studio su Lancet – rivelatosi poi fallace – che richiama le
attenzioni delle agenzie regolatorie. Si afferma che l’idrossiclorochina era
stata causa di un aumentato numero di decessi, a riprova si millanta l’analisi
di 96mila cartelle di pazienti in 970 ospedali nel mondo. Ma, a una prima seria
verifica, le basi di quel lavoro, crollano. Nessuno aveva esaminato quelle
cartelle e la società che eleborò i dati falsi finì indagata. Cliccate qui.
Tuttavia l’idrossiclorochina è rimasta inaccessibile ai malati di Covid. Sospesa
la somministrazione nei Paesi occidentali già a poche ore dalla pubblicazione
dello studio fallace. A giustificazione, oggi, Aifa cita la posizione dell’OMS
che “per prudenza ne ha sospeso i trial”. Sarebbe pericolosa per il cuore e
potrebbe aumentare i decessi. La situazione oggi. In mezzo mondo, i medici che,
nei mesi di marzo aprile hanno trattato i malati con quel farmaco, hanno
raccolto e pubblicato i loro dati. Secondo chi l’ha prescritta, “soprattutto nei
primi giorni di malattia”, l’idrossiclorochina ha contribuito a contenere i
decessi. Sono stati fatti numerosi confronti sia con con gruppi di pazienti
ricoverati sia con chi si è curato a domicilio. Qui uno studio osservazionale
belga su 8.075 partecipanti. Si sono poi studiati i decorsi dei pazienti che non
hanno usato quel farmaco e si è giunti alle conclusioni che sintetizza Luigi
Cavanna, oncologo, primario all’ospedale di Piacenza e ricercatore: “La mia
esperienza con l’impiego di quel farmaco è più che buona, ho seguito
personalmente a casa oltre 300 malati, dei quali il 30 per cento con forme
severe e un altro 30 per cento con forme moderate. Di questi nessuno è morto e i
ricoverati sono stati meno del 5 per cento”. E poi. “Mi sono sentito ringraziare
con queste parole, ‘dottore, stavo così male che pensavo di non farcela, dopo 3
giorni di terapia la mia vita è cambiata”. Lo staff del professor Cavanna ha
raccolto i dati in due pubblicazioni sui malati di tumore che hanno avuto il
Covid e un terzo lavoro verrà spedito nei prossimi giorni per essere pubblicato.
Intanto, altre ricerche sono state pubblicate, dapprima una metanalisi, ossia
una summa di 26 studi che riferiscono dell’impiego di idrossiclorochina su
44.521 malati di Covid e che mostrerebbero una riduzione di mortalità con il
farmaco a basse dosi. Cliccate qui. Poi un altro lavoro tutto italiano che
riunisce le esperienze di 33 ospedali della Penisola in uno studio
osservazionale multicentrico che trovate qui. Sono stati seguiti i decorsi di
3.451 pazienti non selezionati, ricoverati dal 19 febbraio al 23 maggio. Ed è
emersa una mortalità ridotta del 33% in chi ha usato quel farmaco. In luglio, 13
Regioni italiane hanno chiesto di poter usare l’idrossiclorochina off label nei
trattamenti domiciliari, cliccate qui. Ma Aifa è rimasta ferma sulla sua
posizione. Nel frattempo ci sono stati ricorsi al Tar e si attende il verdetto
del Consiglio di Stato del 10 dicembre.
Per l’Ema è un farmaco che “se preso in dosi elevate induce al suicidio”. Il 30
novembre Ema pubblica una nota. Si dice che “a seguito di una revisione dei dati
sono emersi 6 casi di disturbi psichiatrici in pazienti Covid a cui erano state
somministrate dosi di idrossiclorochina superiori a quelle autorizzate”.
Professor Cavanna ha osservato anche lei la tendenza al suicidio? “Qualsiasi
farmaco preso a dosi da cavallo fa male…che dico farmaco, anche la
pastasciutta…Penso che ci si debba avvicinare ai dati con umiltà e senza
pregiudizi. Invito a guardare a ogni terapia in termini di costi e benefici,
tenendo presente gli effetti collaterali e la situazione di ciascuno. A Piacenza
ci sono stati oltre 900 morti nella prima ondata, in quel periodo, dei pazienti
che noi seguimmo a domicilio trattati con idrossiclorochina – all’incirca 300 –
i ricoveri sono stati inferiori al 5% e nessuno è morto”.
Per quanti giorni va somministrata l’idrossiclorochina?
“Per una settimana, non di più. Si ottenevano miglioramenti dopo due-tre giorni.
Abbiamo osservato che è importante dare il farmaco ai primi sintomi, ed è
sufficiente un basso dosaggio”.
Cosa pensa del fermo divieto delle agenzie regolatorie?
“Che per onestà sia necessario spiegare ai pazienti che hanno ricevuto
l’idrossiclorochina nei primi mesi e sono guariti che cosa è successo; se hanno
rischiato, che cosa hanno rischiato, e come hanno fatto a rimettersi in piedi.
Una spiegazione è dovuta. Prima il farmaco era ammesso e lo è stato per tre
mesi, ora è vietato. Perché Aifa non va vedere come stanno queste persone?”.
Aifa sostiene che non esistono studi randomizzati sui pazienti Covid.
“Abbiamo molti dati, non solo noi di Piacenza, ma da tutta Italia, penso alla
provincia di Alessandria, a Novara, a Milano, e a Bologna. Sono stati pubblicati
gli studi osservazionali (vedi sopra), una metanalisi che mostra la riduzione di
mortalità su 40mila malati. Questi report vanno messi sul tavolo. Si tratta di
uomini e donne, non di esperimenti in vitro. Sono un sostenitore dello studio
randomizzato (si dividono i pazienti in due gruppi omogenei, a uno si
somministra la miglior cura esistente più il farmaco da testare, all’altro la
miglior cura più il placebo) ma lo studio è sempre un mezzo, non un fine. I
malati bisogna guardarli in faccia e, in mancanza di studi randomizzati
utilizzare farmaci di provata efficacia ‘sul campo’, di facile somministrazione,
di costo contenuto e con pochi effetti collaterali.
Cosa farebbero all’Aifa se qualcuno di loro o dei loro familiari si ammalasse di
Covid e si ritrovassero con una febbre alta che non passa dopo tre giorni, tosse
e fiato pesante? Si accontenterebbero dell’antipiretico e del saturimetro (sono
le indicazioni per curarsi a casa) aspettando forse di peggiorare per essere
ricoverati d’urgenza? È come se misurassimo la pressione alta senza dare alcun
farmaco ma consigliando di tenere a casa l’apparecchio per la pressione…”
Il Covid si può curare a casa?
“Assolutamente sì, la cura precoce, fatta cioè nei primi giorni di febbre alta,
tosse e affanno, consente ai pazienti di evitare il ricovero in ospedale e di
guarire. La mia esperienza coincide con quella di centinaia di medici in Italia
e migliaia nel mondo che hanno curato a casa i pazienti”.
Cosa prendere ai primi sintomi?
“Chi non ha sintomi o ne ha pochi non deve fare nulla, isolarsi con le
precauzioni per non infettare gli altri. Chi ha sintomi può assumere un
antinfiammatorio. Se sopraggiunge tosse o se la febbre non passa in 24-30 ore
bisogna rivolgersi al medico di famiglia che può attivare le Usca, Unità mediche
territoriali che, a domicilio, possono visitare, fare un’ecografia ai polmoni,
fare un tampone e valutare il livello dell’ossigeno” (nel Piacentino funziona
così).
Insomma, è importante agire subito?
“Sì. Durante la pandemia abbiamo visto arrivare in ospedale persone con alle
spalle 10 e più giorni di febbre, tosse, dispnea, non va bene”.
Ma oltre all’antinfiammatorio? Antibiotico o cortisone?
“Decide il medico. Se c’è il sospetto che l’infiammazione abbia intaccato i
polmoni l’antibiotico va consigliato. Il cortisone va dato non subito ma nei
giorni successivi per evitare il picco infiammatorio. L’eparina se il paziente è
allettato o fatica a muoversi. Fondamentale è misurare la saturazione di
ossigeno”.
Come mai un oncologo cura i malati di Covid a domicilio?
“L’oncologo ha come background culturale la presa in carico del malato, lo segue
nel suo percorso di cura e nei successivi controlli fino alla guarigione o alle
cure palliative. Ricordo un paziente che ci disse che avrebbe dovuto
interrompere la terapia perché il figlio non lo poteva più accompagnare in
ospedale poiché avrebbe rischiato di perdere il lavoro. Era 20 anni fa.
Decidemmo di istituire una rete territoriale che funziona ancora oggi: nelle
zone senza ospedale ci sono i nostri presidi, portiamo le cure oncologiche
vicino al domicilio del paziente e siamo stati i primi in Italia a eseguire le
terapie nella Casa della Salute, in una vallata del Piacentino priva di
ospedali”.
Con l’inizio del Covid vi siete comportati così?
“Un nostro paziente, malato di tumore, ci avvisò di avere tosse e febbre. Siamo
andati a domicilio. È cominciata così…Poi sono stati trattati tanti altri
malati, anche, e soprattutto, non oncologici”.
Guariti con idrossiclorochina?
“Esattamente”.
Oggi in ospedale a Piacenza avete tanti malati Covid?
“Molti meno che a marzo, grazie anche alla nostra rete di assistenza
domiciliare”.
Ora cosa farete?
“Cercheremo di convincere Aifa a cambiare le linee guida con la forza degli
argomenti ma anche con la determinazione che ci trasmettono i malati”.
Ci sono speranze?
“C’è un assoluto bisogno di cure precoci. Ci sono tanti dati, c’è
un’interrogazione parlamentare presentata dal senatore Armando Siri che ha a
cuore la nostra causa e c’è il Consiglio di Stato”.
Siri: “I farmaci anti-covid fanno paura a
chi fa business sulla salute dei cittadini”.
Rec News, direttore Zaira Bartucca 1 Dicembre
2020. Il senatore: “Ci si inventa di tutto per non utilizzarli. In atto
propaganda strumentale, i medici hanno già salvato un sacco di vite”
Idrossiclorochina a 6 euro funziona e fa paura a chi specula e fa business sulla
salute dei cittadini. Così, pur di evitare che si utilizzi sui pazienti, ci si
inventa qualunque cosa per screditarla. Pongo in premessa che personalmente non
ho alcuna passione per l’Idrossiclorochina e che, per me, qualunque farmaco che
si riveli utile per la cura a casa dei pazienti dovrebbe avere attenzione e la
giusta considerazione da parte delle Autorità Sanitarie, soprattutto se sono i
medici a chiederlo”. Mi limito a rilevare il dato, ovvero: il Dottor Cavanna,
medico Primario all’Ospedale di Piacenza e con lui la Dottoressa Paola Varese
Primario ASL di Alessandria, il Dottor Luigi Garavelli Primario Malattie
Infettive Ospedale di Novara e centinaia di altri medici del Territorio hanno
salvato centinaia di pazienti curandoli a casa con questa medicina, eppure hanno
contro quasi tutta la comunità scientifica e i cosiddetti organi di “controllo”
statali che si rifiutano di leggere gli studi nazionali e internazionali
sull’efficacia del farmaco (che io ho letto) e insistono con una propaganda
strumentale e vergognosa per delegittimarne l’utilizzo. L’ultima trovata
propagandistica è quella dell’EMA, l’Agenzia Europea per i medicinali
(sostanzialmente la sorella europea dell’AIFA nazionale), che guarda caso,
proprio mentre 13 Regioni Italiane chiedono la ripresa dei protocolli
sperimentali per le cure domiciliari con Idrossiclorochina, fa uscire una
notizia in cui afferma che il farmaco è pericoloso per la salute mentale.
Dunque, se quello che EMA afferma fosse vero ne conseguirebbe che tutti i
reumatologi del mondo dovrebbero immediatamente sospendere la somministrazione
di Idrossiclorochina che da più di 50 anni prescrivono ai loro pazienti visto
che l’EMA dice che altrimenti si suicideranno. I medici non hanno mai avuto
evidenza di questo grave effetto collaterale? Beh, non importa, vuol dire che
non saranno stati attenti. Ora (proprio perché si è scoperto che
l’idrossiclorochina è efficace per curare il COVID-19) guarda caso emerge che 6
persone che prendevano il farmaco si sono suicidate (non sappiamo niente di
loro, ovvero ad esempio se avessero già problemi psichiatrici). Sappiamo però
che hanno abusato del farmaco prendendo dosi superiori a quelle consigliate. E
questa vi pare una notizia? Sei persone dal quadro clinico sconosciuto abusano
di un farmaco, si suicidano e la colpa è del farmaco? Un farmaco che prendono
ogni giorno milioni di persone a cui non è mai successo nulla di tutto questo?
Certo che bisogna proprio essere dei mascalzoni, oppure davvero in malafede, per
fare una propaganda così smaccatamente strumentale contro una medicina solo
perché si è dimostrata, se assunta a basse dosi e all’insorgenza dei sintomi,
uno strumento efficace per curare a casa il COVID-19 e costa solo 6 euro. Come
si fa ad accettare che Enti istituzionali, che nella coscienza collettiva godono
di autorevolezza scientifica, si approfittino della buona fede dei cittadini per
diffondere storie artefatte come quella sulla pericolosità psichiatrica di un
farmaco che viene utilizzato da 50 anni per la cura di artrite reumatoide e
altre importanti malattie del sistema immunitario? Tra l’altro, non si vuole
evidenziare che il Trattamento per il COVID-19 è molto breve (massimo una
settimana e a dosi molto più basse di quelle già oggi consentite). Possibile che
nessun organo di controllo etico della comunità scientifica sollevi il caso?
Dov’è finita la serietà di una categoria che fa un giuramento solenne “di
esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento
rifuggendo da ogni indebito condizionamento”? Lo ripeto ancora: il Ministero
della Salute e AIFA concedano la possibilità a tutti questi medici che lo
chiedono, di poter riprendere la sperimentazione, con tutti i dovuti controlli e
verifiche. Perché non si può negare una cura ritenuta efficace dai medici sul
campo solo sulla base di storie rivelatesi false come il famoso studio di The
Lancet, o suggestioni ai limiti del ridicolo come questa di EMA. Curare a casa
il COVID-19 significa scongiurare l’affollamento degli Ospedali e dunque la
necessità di DPCM che stanno, questi sì, incidendo negativamente sulla socialità
e sulla salute mentale degli individui producendo danni incalcolabili al lavoro
e all’economia”.
Coronavirus e vitamina D, l'appello di 61
prof e medici italiani: “Diamola ai soggetti a rischio”.
Le Iene News il 10 dicembre 2020. Sono 61 i
professori, ricercatori e medici che hanno sottoscritto un appello alle
istituzioni per somministrare alle categorie più a rischio per il coronavirus la
vitamina D in via preventiva: “E’ stata largamente evidenziata l’utilità della
somministrazione ai pazienti di COVID-19”. Una richiesta simile a quella fatta
un mese fa dai colleghi inglesi. Un appello di 61 tra professori, ricercatori e
medici sul modelli di quello firmato dai colleghi inglesi: “Diamo la vitamina D
ai soggetti a rischio per contrastare il coronavirus”. Vi abbiamo raccontato di
questo appello oltre un mese fa: un gruppo di scienziati inglesi guidati dal
professor Gareth Davies ha indicato come circa la metà della popolazione inglese
abbia una carenza di vitamina D, e secondo loro questo basso livello potrebbe
comportare un maggior rischio di contrarre il coronavirus. Non solo: se ci si
ammala, e si ha poca vitamina D, la possibilità di avere sintomi gravi sarebbe
più alta. E per questo il gruppo di scienziati ha lanciato un appello al governo
per intervenire, facendo aggiungere dosi di vitamina D ai cibi più consumati
come il latte o il pane. Adesso in Italia un documento sottoscritto da 61 tra
professori, ricercatori e medici propone alle istituzioni italiane un percorso
simile. “Ad oggi è possibile reperire circa 300 lavori con oggetto il legame tra
COVID-19 e vitamina D”, scrivono i ricercatori. Gli studi “hanno confermato la
presenza di ipovitaminosi D nella maggioranza dei pazienti affetti da COVID-19,
soprattutto se in forma severa, e di una più elevata mortalità ad essa
associata”. Per questo i 61 studiosi suggeriscono, nel documento inviato alle
istituzioni sanitarie italiane, di valutare la “somministrazione preventiva” di
vitamina D “a soggetti a rischio di contagio come anziani, fragili, obesi,
operatori sanitari, congiunti di pazienti infetti, soggetti in comunità chiuse”.
Secondo loro non ci sarebbero, in questo contesto, “sostanziali effetti
collaterali”. La motivazione di questa richiesta è chiara: “E’ stata largamente
evidenziata l’utilità della somministrazione di vitamina D a pazienti COVID-19”.
Un tema che noi de Le Iene stiamo approfondendo da tempo: a inizio novembre vi
abbiamo raccontato dello stato degli studi sul possibile legame tra vitamina D e
coronavirus, dopo che gli scienziati inglesi avevano lanciato l’appello al
governo per aggiungere la sostanza al cibo “per aiutare nella lotta contro il
Covid”. Una richiesta seguita dall’annuncio del ministero della Salute
britannico, che ha chiesto ai propri consiglieri sanitari di fornire linee guida
per utilizzare la vitamina D come possibile modo per prevenire e trattare il
coronaviurs. Con Giulia Innocenzi poi abbiamo intervistato il professor
Giancarlo Isaia dell’università di Torino, tra i 61 firmatari dell’appello e
coautore di uno studio secondo cui le regioni italiane che ricevono meno raggi
solari UV sono anche quelle dove il coronavirus ha causato più contagi e morti.
I risultati dello studio, ci ha detto il professore “sono coerenti con i
possibili effetti benefici della radiazione UV solare sulla diffusione del
coronavirus e sulle sue manifestazioni cliniche. Risulta infatti che la
radiazione UV è sia in grado di neutralizzare direttamente il virus, sia di
favorire la sintesi della vitamina D che, per le sue proprietà
immunomodulatorie, potrebbe svolgere un ruolo antagonista dell’infezione e delle
sue manifestazioni cliniche”. Pochi giorni fa infine vi abbiamo dato conto di
una circolare del ministero della Salute, per la quale “non esistono ad oggi
evidenze solide e incontrovertibili (ovvero derivanti da studi clinici
controllati) di efficacia di supplementi vitaminici e integratori alimentari (ad
esempio vitamine, inclusa vitamina D, lattoferrina, quercetina), il cui utilizzo
per questa indicazione non è quindi raccomandato". A quelle parole ha replicato
a Iene.it il professor Isaia, che ci ha detto: “La circolare è discutibile
perché un nostro nuovo documento riporta nuove evidenze su quanto andiamo
dicendo. Chi ha scritto il documento ha accomunato la vitamina D, che è cosa ben
diversa, ad altre vitamine e integratori. Le nostre evidenze, che partono
dall’inizio del 2020, possono essere discutibili ma meritano almeno un
approfondimento”».
Tra il ricovero e la dimissione son
passati solo 16 giorni, dal 22 novembre dell'attesa del ricovero, avvenuto il
23, fino al 7 dicembre 2020, data delle dimissioni.
«La mia dimissione.
Purtroppo la mia dimissione come il mio ricovero è stato traumatico. Dal 3
dicembre 2020 al 7 dicembre 2020 sono stato costretto a stare da negativo in un
reparto Covid. Le linee guida raccomandano il distanziamento tra coniugi,
positivi e negativi, e poi le autorità permettono la promisquità negli ospedali
Covid. Non è provato scientificamente il periodo di immunità, specie in presenza
di carica virale forte, però in reparto per ben due volte hanno introdotto nella
mia stanza pazienti di prima positività. La seconda volta, il 5 dicembre 2020
notte, addirittura, V.to T.liente di Martina Franca, poverino, egli stesso
infettato in ospedale. Ho consigliato, per impedire la promisquità,
l’appaiamento in stanze separate: vecchi degenti, con vecchi degenti, a minima
trasmissione del virus; nuovi ricoverati con nuovi ricoverati ad alta carica
virale. Risposta: problemi organizzativi. Ergo: troppo lavoro per gli addetti.
Ho detto che la mia degenza non era necessaria perché potevo essere curato a
casa o tramite Usca. Giusto per liberare il letto per nuove emergenze. Insomma
sono stato costretto alla dimissione volontaria, da me imposta ed anticipata da
giorni. L’uscita è stata procrastinata fino alle 19.30 della sera del 7
dicembre. E non voglio pensare che sia stata una sorta di ritorsione.
Positivi e negativi insieme al Giannuzzi,
è normale?
Lavoceassociazioneculturaleasud.it l'8 Dicembre 2020. Finalmente negativo.
Antonio Giangrande, il “famoso” paziente dell’attesa di undici ore in ambulanza
prima di essere ricoverato all’ospedale Giannuzzi di Manduria , è finalmente
negativo. Tutto bene quel che finisce bene, direte voi. Invece no. Dopo 15
giorni di ricovero , la degenza procedeva secondo quanto auspicato, fino
all’esito negativo del tampone. A questo punto ci si sarebbe aspettato uno
spostamento di reparto per evitare che un negativo restasse in stanza con
positivi. Ma niente. E risposta negativa è arrivata neanche alla richiesta del
Giangrande di essere spostato almeno in un reparto dove i negativi non fossero
“recenti ” e con altissima carica virale. Come noto, anche i negativizzati,
specie chi ha avuto insufficienze respiratorie, devono rispettare le solite
prescrizioni. La presenza di anticorpi neutralizzanti non d à certezza
scientifica di “immunità” e, come già successo, i guariti possono essere
reinfettati. Da non dimenticare la possibilità di imbattersi in un tipo di virus
mutato contro cui gli anticorpi acquisiti nulla possono fare. A questo punto,
data la possibilità di curare i postumi della malattia con cure ordinarie e con
assistenza domiciliare, il Giangrande è stato costretto alla dimissione
volontaria, per evitare di passare altri giorni da negativo in un reparto di
positivi , anche nuovi, con i relativi rischi per la propria salute . Con
l’assurdo che, in fase di dimissione, è stato raccomandato di non tornare a casa
da coniugi o parenti positivi.
La denuncia di Giangrande: “guarito dal
Covid nella stessa stanza con positivi”.
Già protagonista della lunga attesa in ambulanza
prima di essere ricoverato. La Voce di Manduria mercoledì 9 dicembre 2020. Dopo
la denuncia per aver atteso undici ore in ambulanza prima di essere ricoverato
in un reparto Covid del Giannuzzi, l’avvocato Antonio Giangrande, di Avetrana,
si rende protagonista di un’altra vicenda. Dopo quindici giorni di ricovero,
Giangrande si è negativizzato ma, racconta, è rimasto nella stanza con altri
pazienti ancora positivi. Alla sua richiesta di essere trasferito in un reparto
dove i positivi non fossero recenti e quindi con una carica virale alta, i
responsabili del reparto si sarebbero opposti. «A questo punto, data la
possibilità di curare i postumi della malattia con cure ordinarie e con
assistenza domiciliare – si legge in una nota stampa -, l’avvocato Giangrande è
stato costretto alla dimissione volontaria per evitare di passare altri giorni
da negativo in un reparto di positivi, anche nuovi, con i relativi rischi per la
propria salute». «Con l’assurdo che, in fase di dimissione – concluso il
comunicato - è stato raccomandato di non tornare a casa da coniugi o parenti
positivi».
Come conclude questa intervista.
«Il
virus ha smascherato la vera natura della
gente. Conoscenti, amici e parenti che ti allontanano e ti accusano, sol perché
ti hanno infettato. I positivi
conclamati posti alla pubblica gogna, non sono untori. Essi divenuti negativi,
quindi immuni ed in un certo senso vaccinati, proprio loro devono stare attenti
agli altri, che possono reinfettarli. E poi di questi tempi un contagio da Covid
non si nega a nessuno, specie alla cattiva gente».
E la
chiamano Democrazia…
"In fila per tre", dall'album "Burattino
senza fili" di Edoardo Bennato. Testo
Presto vieni qui ma su non fare così
ma non li vedi quanti altri bambini
che sono tutti come te
che stanno in fila per tre
che sono bravi e che non piangono mai...
E' il primo giorno però domani ti abituerai
e ti sembrerà una cosa normale
fare la fila per tre, risponder sempre di sì
e comportarti da persona civile...
Vi insegnerò la morale e a recitar le
preghiere
e ad amare la patria e la bandiera
noi siamo un popolo di eroi e di grandi
inventori
e discendiamo dagli antichi romani...
E questa stufa che c'è basta appena per me
perciò smettetela di protestare
e non fate rumore e quando arriva il
direttore
tutti in piedi e battete le mani...
Sei già abbastanza grande
sei già abbastanza forte
ora farò di te un vero uomo
ti insegnerò a sparare, ti insegnerò l'onore
ti insegnerò ad ammazzare i cattivi...
E sempre in fila per tre marciate tutti con
me
e ricordatevi i libri di storia
noi siamo i buoni perciò abbiamo sempre
ragione
e andiamo dritti verso la gloria...
Ora sei un uomo e devi cooperare
mettiti in fila senza protestare
e se fai il bravo ti faremo avere
un posto fisso e la promozione...
E poi ricordati che devi conservare
l'integrità del nucleo famigliare
firma il contratto non farti pregare
se vuoi far parte delle persone serie...
Ora che sei padrone delle tue azioni
ora che sai prendere le decisioni
ora che sei in grado di fare le tue scelte
ed hai davanti a te tutte le strade aperte...
Prendi la strada giusta e non sgarrare
se no poi te ne facciamo pentire
mettiti in fila e non ti allarmare
perché ognuno avrà la sua giusta razione...
A qualche cosa devi pur rinunciare
in cambio di tutta la libertà che ti abbiamo
fatto avere
perciò adesso non recriminare
mettiti in fila e torna a lavorare...
E se proprio non trovi niente da fare
non fare la vittima se ti devi sacrificare
perché in nome del progresso della nazione
in fondo in fondo puoi sempre emigrare...
PREMESSA:
GLI OSTACOLI.
TRIBUNALE PENALE DI
TARANTO UFFICIO DEL GIUDICE DELLE INDAGINI PRELIMINARI DOTT.SSA PAOLA R. INCALZA
Proc. Pen. n.
4401/18 R.G.N.R. 4578/18 R.G.GIP DECRETO PENALE n.663/18
OPPOSIZIONE A
DECRETO PENALE DI CONDANNA EX ART. 461 C.P.P.
Il sottoscritto dr
Antonio Giangrande, nato a Avetrana il 02/06/1963, C.F.: GNGNTN63H02A514Q,
residente in Avetrana (TA), via A. Manzoni n. 51, dichiaratamente domiciliato,
ai sensi dell'art. 161 cpp, presso la propria residenza all'indirizzo
suindicato, rappresentato e difeso, giusta procura in calce, dall'Avv. Mirko
Giangrande del Foro di Taranto (C.F. GNGMRK85A26E882V – P.I. 02834700730), il
quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni a mezzo fax al numero
099/9708396 e PEC avv. mirkogiangrande@postecert.it, imputato nel procedimento
penale n. 4401/18 R.G.N.R., 4578/18 R.G. GIP e destinatario del decreto penale
di condanna n. 663/18 emesso dal GIP Paola R. Incalza presso il Tribunale di
Taranto
PREMESSO CHE
1. In data 1
febbraio 2021 è stata ricevuta la notifica del decreto penale di condanna
n.663/18 emesso, nell’ambito del procedimento penale in epigrafe dalla Dott.sa
Paola R. Incalza, GIP presso il Tribunale Penale di Taranto, in data 26 giugno
2018 e depositato in cancelleria il 29 giugno 2018 (All. 1);
2. Con il predetto
decreto l’interessato è stato condannato per il delitto di cui agli artt. 81
cpv. c.p., 595, 3° comma, c.p., alla pena di 9.000,00 di multa, pena sospesa;
3. Il dott. Antonio
Giangrande veniva condannato “perchè, con più azioni esecutive di un disegno
criminoso, offendeva la reputazione di Bravo Stefano mediante la pubblicazione
sul sito “Google Libri” – quindi, attraverso il sistema “Internet”- di libri dal
contenuto ingiurioso ed altamente lesivi dell’immagine professionale della p.o.,
indicandola come persona coinvolta nell’ambito dell’inchiesta “MAFIA CAPITALE”,
in particolare:
- pubblicava il
libro e-book da titolo “GOVERNOPOLI”, INDICANDO LA P.O. come “IL COMMERCIALISTA
CHE RICICLAVA I SOLDI DI BUZZI E CARMINATI”, soggetti coinvolti nel predetto
procedimento penale e sottoposti a misure cautelari;
- pubblicava il
libro e-book dal titolo “APPALTOPOLI: APPALTI TRUCCATI” indicando la p.o. come:
“STEFANO BRAVO LO SPALLONE DEL CLAN, IL COMMERCIALISTA CHE PORTAVA I SOLDI
OLTRECONFINE, E’ STATO TRA I PROMOTORI DELLA HUMAN FOUNDATION, UNA CREATURA
DELL’EX-MINISTRO PD GIOVANNA MELANDRI…”
- pubblicava il
libro e-book dal titolo: “MAFIOPOLI SECONDA PARTE: LA MAFIA SIAMO NOI”,
indicando la p.o. come: “STEFANO BRAVO CHE RICICLAVA I SOLDI PER BUZZI E
CARMINATI”. In Avetrana, sino al 28
aprile 2015 (competenza territoriale individuata ex art.9, 3°comma, c.p.p.)
PROPONE
Opposizione avverso
il decreto penale di condanna n.663/18 emesso dal GIP, Dott.ssa Paola R. Incalza
presso il Tribunale Penale di Taranto, nel procedimento penale n. 4401/2018
R.G.N.R. e n. 4578/2018 R.G. GIP, il 26/06/2018 e depositato in data 29/06/2018
e ricevuto in notifica in data 1/02/2021, chiedendo che si proceda con le forme
del giudizio Ordinario (e non per giudizio immediato/giudizio
abbreviato/applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p.)
e che il decreto penale qui opposto venga revocato per i seguenti
MOTIVI
In tema di
diffamazione, diritto di cronaca e di critica, i punti di riferimento normativi
sono vari.
L'art. 21 della
Costituzione dispone che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il
proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La
stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.
L'art. 19 della
Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo recita: “Ogni individuo ha
diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non
essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e
diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a
frontiere”.
L'art. 10 della
Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà
Fondamentali (Libertà di espressione) dispone che “Ogni persona ha diritto alla
libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà
di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere
ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Il
presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di
autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive.
L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può
essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono
previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società
democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla
pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla
protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei
diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per
garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario”. L'art. 11 della
Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (Libertà di espressione e
d'informazione) recita: “Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione.
Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di
comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte
delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. La libertà dei media e il
loro pluralismo sono rispettati”.
L'Art. 51 del
Codice Penale (Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere) prevede che
“L'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere imposto da una norma
giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la
punibilità”
L'art. 2 legge
69/1963 (“Ordinamento della professione di giornalista”) dispone che «È diritto
insopprimibile dei giornalisti la libertà d'informazione e di critica, limitata
dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui
ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti,
osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede. Devono essere
rettificate le notizie che risultino inesatte e riparati gli eventuali errori.».
L'odierno imputato
ha esercitato il diritto di cronaca e di critica. Tale diritto,
costituzionalmente garantito dall'art. 21 della Costituzione, incontra solo tre
limiti:
- Verità;
- Attinenza–
continenza;
- Interesse
pubblico. Il diritto di cronaca è esercitabile sia su stampa periodica e non
periodica. Quest'ultima consiste in ogni forma di pubblicazione una tantum, cioè
non stampata regolarmente. Ne è un esempio il saggio o un romanzo in forma di
libro). Nella fattispecie in oggetto, l'attività del dott. Giangrande è di
“cristallizzare la cronaca” e applicando su di essa una “critica storica”.
La Corte di
Cassazione, nel tempo, è spesso intervenuta a contemperare i vari e contrapposti
diritti in ambito di diritto di cronaca. In due famose sentenze (Cass. Pen.
8959/1984; Cass. Civ. 5259/1984) la Suprema Corte afferma che l'esercizio della
libertà di diffondere alla collettività notizie e commenti è legittimo, e quindi
può anche prevalere sul diritto alla riservatezza se concorrono le seguenti
condizioni:
- Che la notizia
pubblicata sia vera ("verità del fatto esposto");
- Che esista un
interesse pubblico alla conoscenza dei fatti riferiti in relazione alla loro
attualità ed utilità sociale ("rispondenza ad un interesse sociale
all'informazione", ovvero requisito della pertinenza);
- Che
l'informazione venga mantenuta nei giusti limiti della più serena obbiettività
("rispetto della riservatezza ed onorabilità altrui", ovvero "correttezza
formale della notizia o della critica").
- Che se tutte
queste condizioni vengono rispettate, una notizia può essere pubblicata anche se
danneggia la reputazione di una persona.
Nella sent.
18174/14 la Suprema Corte attesta che: "la cronaca ha per fine l'informazione e,
perciò, consiste nella mera comunicazione delle notizie, mentre se il
giornalista, sia pur nell'intento di dare compiuta rappresentazione, opera una
propria ricostruzione di fatti già noti, ancorchè ne sottolinei dettagli,
all'evidenza propone un'opinione". In tema di esimenti del diritto di critica e
di cronaca, una delle ragioni fondanti della esclusione della antigiuridicità
della condotta lesiva della altrui reputazione deve essere ravvisata
nell’interesse generale alla conoscenza del fatto nel momento storico e, dunque,
nell’attitudine della informazione a contribuire alla formazione della pubblica
opinione, in modo che il cittadino possa liberamente orientare le proprie scelte
nel campo della formazione sociale, culturale e scientifica (Cass., sez. V
penale, sent. 7340/2019).
In tema di
diffamazione a mezzo stampa, al fine di attribuire efficacia esimente
all'esercizio del diritto di cronaca e di critica, la verità della notizia e la
fondatezza dell'opinione vanno valutate con riferimento al momento in cui sono
state divulgate, non potendo assumere alcun rilievo gli eventi successivi (Corte
d'appello di Bari, sent. 2524/2019).
In materia di
diffamazione a mezzo stampa, non sussiste una generica prevalenza del diritto
all'onore sul diritto di critica, in quanto ogni critica alla persona può
incidere sulla sua reputazione. D'altra parte, negare il diritto di critica,
solo perché lesivo della reputazione di taluno, significherebbe negare il
diritto di libera manifestazione del pensiero. Il diritto di critica, pertanto,
può essere esercitato anche mediante espressioni lesive della reputazione
altrui, purché esse siano strumento di manifestazione di un ragionato dissenso e
non si risolvano in una gratuita aggressione distruttiva dell'onore. Per contro,
si configura un abuso del diritto di critica in caso di palese travalicamento
dei limiti della civile convivenza, di utilizzo di espressioni sgradevoli e non
pertinenti al tema in discussione, senza che sussista alcuna finalità di
pubblico interesse (Trib. Roma, sez. XVIII, sent. 20090/2019).
In tema di
diffamazione, l'esimente del diritto di critica postula una forma espositiva
corretta, strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non
trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione, ma
non vieta l'utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, hanno
anche il significato di mero giudizio critico negativo di cui si deve tenere
conto alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato
(Cass. Pen., sez. V, sent. 17243/2020).
In tema di
responsabilità civile per diffamazione, il diritto di critica non si concreta
nella mera narrazione dei fatti, ma si esprime in un giudizio avente carattere
necessariamente soggettivo rispetto ai fatti stessi; per riconoscere efficacia
esimente all'esercizio di tale diritto, occorre tuttavia che il fatto
presupposto ed oggetto della critica corrisponda a verità, sia pure non
assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre
circostanze soggettive (Trib. Roma, sez. I, sent. 2537/2020).
Riguardo al tema
della diffamazione, l'esimente del diritto di critica postula una forma
espositiva corretta, strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e
che non trasmodi nella gratuità ed immotivata aggressione dell'altrui
reputazione, ma non vieta l'utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente
offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico in
quanto non hanno adeguati equivalenti (Cass. Pen., sez. V, sent. 15089/2019). La
sussistenza dell'esimente del diritto di critica presuppone, per sua stessa
natura, la manifestazione di espressioni oggettivamente offensive della
reputazione altrui, la cui offensività possa, tuttavia, trovare giustificazione
nella sussistenza del diritto; l'esercizio di tale diritto consente l'utilizzo
di espressioni forti e anche suggestive al fine di rendere efficace il discorso
e richiamare l'attenzione di chi ascolta (Cass. Civ., sez. III, ordinanza
14370/19).
La nuova normativa
concernente il rapporto tra il diritto alla privacy ed il diritto di cronaca è
contenuta negli articoli 136 e seguenti del Codice privacy che hanno
sostanzialmente recepito quanto già stabilito dal citato art. 25 della Legge 675
del 1996. In base a dette norme chiunque esegue la professione di giornalista
indipendentemente dal fatto che sia iscritto all'elenco dei pubblicisti o dei
praticanti o che si limiti ad effettuare un trattamento temporaneo finalizzato
esclusivamente alla pubblicazione o diffusione occasionale di articoli saggi o
altre manifestazioni del pensiero:
- può procedere al
trattamento di dati sensibili anche in assenza dell'autorizzazione del Garante
rilasciata ai sensi dell'art. 26 del D. Lgs. 196 del 2003;
- può utilizzare
dati giudiziari senza adottare le garanzie previste dall'art. 27 del Codice
privacy;
- può trasferire i
dati all'estero senza dover rispettare le specifiche prescrizioni previste per
questa tipologia di dati;
- non è tenuto a
richiedere il consenso né per il trattamento di dati comuni né per il
trattamento di dati sensibili.
Il dott. Giangrande
è un giurista, sociologo storico, youtuber e blogger d'inchiesta ed opera
nell'ambito del libero pensiero stabilito dall'art. 21 della Costituzione. La
legge 633/1941, all'art. 65, sancisce la libertà di utilizzazione, riproduzione
o ripubblicazione e comunicazione al pubblico degli articoli di attualità, che
possiamo considerare come sinonimo di cronaca, in altre riviste o giornali.
Distinta dalla mera cronaca è l’inchiesta giornalistica, la quale parte da fatti
di cronaca per svolgere un’attività di indagine, c.d. “indagine giornalistica”,
con la quale il professionista si informa, chiede chiarimenti e spiegazioni.
Questa attività rientra nel c.d. “giornalismo investigativo” o “d’inchiesta”,
riconosciuto dalla Cassazione nel 2010 come “la più alta e nobile espressione
dell’attività giornalistica”, perché consente di portare alla luce aspetti e
circostanze ignote ai più e di svelare retroscena occultati, che al contempo
sono di rilevanza sociale. A seguito dell’attività d’indagine, il giornalista
svolge poi l’attività di studio del materiale raccolto, di verifica
dell’attendibilità di fonti non generalmente attendibili, diverse dalle agenzie
di stampa, di confronto delle fonti. Solo al termine della selezione del
materiale conseguito, il giornalista inizia a scrivere il suo articolo.
Per la Suprema
Corte (Cass. 16236/2010), “con tale tipologia di giornalismo (d’inchiesta),
infatti, maggiormente, si realizza il fine di detta attività quale prestazione
di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e alla elaborazione di
notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso
gli organi di informazione, per sollecitare i cittadini ad acquisire conoscenza
di tematiche notevoli, per il rilievo pubblico delle stesse”.
Il dott.
Giangrande, come saggista, al fine di studio o di discussione, per critica
storica o per inchiesta, poteva approfondire e comparare un caso ad altri casi
già trattati, per elevarli ad anomalia del sistema. Nel caso di specie i
soggetti originali non possono impedirne la pubblicazione, né il pubblicato può
essere da loro ritirato. Non esiste alcun legame con le parti. La pubblicazione,
credibile, attendibile, affidabile ed incontestabile, avviene per amor di
Verità.
L'odierno
opponente, nella propria attività, aggrega contenuti tematici di ideologia
contrapposta con citazione della fonte, al fine del diritto di cronaca e di
discussione e di critica dei contenuti citati. La dottrina maggioritaria
evidenzia che “per uso di critica” deve intendersi l’utilizzazione
oggettivamente finalizzata ad esprimere opinioni protette ex art. 21 e 33 della
Costituzione.
La critica storica
può scriminare la diffamazione (Cass. Pen., sez. V, sent. 47506/2016).
L'esercizio del diritto di critica può, a certe condizioni, rendere non punibile
dichiarazioni astrattamente diffamatorie, in quanto lesive dell'altrui
reputazione. La ricerca dello storico, quindi, comporta la necessità di
un’indagine complessa in cui “persone, fatti, avvenimenti, dichiarazioni e
rapporti sociali divengono oggetto di un esame articolato che conduce alla
definitiva formulazione di tesi e/o di ipotesi che è impossibile documentare
oggettivamente ma che, in ogni caso debbono trovare la loro base in fonti certe
e di essere plausibili e sostenibili”.
La critica storica,
se da una parte può scriminare la diffamazione (Cass. Pen. sez. V, sent.
47506/2016), dall'altra ha funzione di discussione: "Il riassunto, la citazione
o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al
pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei
limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza
all'utilizzazione economica dell'opera".
Le frasi contestate
sono tratte da brani riferiti ad articoli di stampa mai rettificati
riconducibili a Francesco Merlo su “la Repubblica” del 12/12/2014 (All. 2) e
Marco Damilano e Emiliano Fittipaldi su “L’Espresso” del 18/12/204 (All. 3). La
parte offesa non ha mai chiesto la rettifica dei brani citati: né, a quanto pare
dalla pubblicazione recente, all’autore principale, né al secondario.
Si deposita: 1.
Copia del decreto penale di condanna n. 663/18;
2. Copia
dell'articolo Francesco Merlo su Repubblica;
3. Copia
dell'articolo di Marco Damilano ed Emiliano Fittipaldi su L'Espresso
Avetrana, lì
08/2/2021
Dott. Antonio
Giangrande
Per Autentica Avv.
Mirko Giangrande
ON.LE GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
PRESSO IL TRIBUNALE DI TARANTO
Il sottoscritto Avv._________ , difensore di _______ nato a ______ il ______ e
residente in ______ alla via _____
DICHIARA
di proporre opposizione avverso il decreto penale di condanna emesso dal GIP
(dott. _______) presso il Tribunale di _________in data _______ e notificato in
data _______, con il quale l’imputato è stato condannato alla pena di € 9.000,00
per il reato di cui agli artt.
__________.
(Chiede altresì il giudizio immediato, abbreviato, l’applicazione della pena su
richiesta delle parti. Parte eventuale da aggiungersi se si ritiene di
definire il giudizio con un rito alternativo).
Si allega: procura speciale (se non già in atti)
Luogo,_________________
Gennaio, tempo di
notifica delle cartelle esattoriali inviate il 31 dicembre, per impedirne la
prescrizione quinquennale. Gennaio tempo di scoperte e di sorprese.
Il “No Profit” paga
Imu e Tasi dei locali dove svolge la sua attività.
Intervento del
Sociologo storico, dr Antonio
Giangrande, autore, tra gli altri, anche del saggio UGUAGLIANZIOPOLI e relativi
aggiornamenti annuali.
L’Italia è il Paese
del foraggiamento a pioggia, dove tutti chiedono e dove tutti ottengono. Eppure
si trascura quel mondo fatto di centinaia di migliaia di associazioni di
volontariato: il cosiddetto “No Profit”.
Mondo che supplisce
a tutte quelle mancanze statali a sostegno dei diritti inalienabili dei
cittadini.
La Costituzione,
appunto, prevede la tutela del Principio di solidarietà e di Uguaglianza, ma,
come sempre in questa Italia, tutti i principi costituzionali vengono sempre
calpestati. Per inciso con l’intercalare: vanno a farsi fottere.
Il “No Profit”,
proprio per sua stessa definizione, non produce reddito. La sua attività si basa
sull’opera di milioni di volontari che, gratuitamente, prestano la loro opera
materiale ed intellettuale.
Il Volontariato,
non producendo reddito, va da sé, logicamente, non può acquistare nulla per sé,
né essere proprietario di alcunché.
La sede legale è
spesso sita presso un locale messo a disposizione gratuitamente dal presidente
dell’associazione, o da un suo componente, o da terzi benefattori.
Quindi di quel
locale con il COMODATO si ha l’UTILIZZO e non il POSSESSO.
Il Dlgs 504/1992
(Riordino della finanza degli enti territoriali), al Titolo I, Capo I (Imposta
Comunale sugli Immobili), art. 7 comma 1 lett. I (Esenzioni), in ossequio alla
Costituzione prevedeva la dicotomia Utilizzo e Possesso, prevedendo l’esenzione
dell’Imu/Tasi sia per i possessori sia per gli utilizzatori, se diversi dai
proprietari. In questo caso viene premiato il COMODATO D’USO a fini
solidaristici.
Invece, i Comuni
hanno pensato bene di non distinguere i possessori dagli utilizzatori,
inquadrando l’esentato in una sola figura: ossia il proprietario deve essere
l’utilizzatore.
A tal riguardo si
riporta, a titolo esemplare, la Deliberazione del Consiglio Comunale di Avetrana
con oggetto l'approvazione del Regolamento per l’applicazione dell’Imposta
municipale propria IMU del 15/06/2012, nell'art. 5 (Immobili utilizzati
dagli enti non commerciali),
discostandosi dai principi previsti dal legislatore, che recita “L'esenzione
prevista dall'art. 7, comma 1, lettera i) del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504,
si applica soltanto ai fabbricati ed a condizione che gli stessi, oltre che
utilizzati, siano anche posseduti dall’ente non commerciale utilizzatore”.
Regolamento adottato dai Consiglieri Mario De Marco, sindaco, Enzo Tarantini,
assessore al ramo, Antonio Minò (presidente Onlus), Daniele Petarra, Antonio
Baldari, Vito Maggiore, Pietro Giangrande e Cosimo Derinaldis, presidente del
Consiglio (presidente Onlus). Il Funzionario del servizio ragioneria, Antonio
Mazza, esprimeva parere favorevole.
La casistica
riporta i casi in cui vi sia
l’utilizzo indiretto di un beneficiario. Prendendo in esame solo i casi in cui i
beni ecclesiastici, di per sé esentati, vengono utilizzati da terzi, con le
stesse finalità solidaristiche. Non si parla di possessori privati che prestano
i loro beni gratuitamente alle associazioni di Volontariato.
Si denota con
stupore che, se da una parte le commissioni tributarie ed il Ministero
dell’Economia e Finanze si esprimono in ossequio ai principi del legislatore del
1992, prevedendone la dicotomia
POSSESSO ED UTILIZZO, la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione se ne
discostano, riconoscendo l’esenzione solo a quei “No Profit” che oltre ad essere
utilizzatori siano anche possessori.
Va da se che
termine più aleatorio nel diritto civile è quello del POSSESSO, ma in questo
caso si intende PROPRIETA’ O USUFRUTTO, e non COMODATO.
Il Legislatore, con
la sua profonda saggezza, ha insistito sul punto, in ossequio ai fini
solidaristici costituzionali.
Con riferimento agli Enti non commerciali, la Legge di Bilancio 2020 non
modifica la precedente agevolazione prevista dall’art. 7 co. 1 lett. i) del
D.Lgs. 504/1992, ovvero per tali enti prevista l’esenzione dal pagamento
dell’Imu qualora ricorrano i seguenti requisiti:
·
L’immobile sia posseduto e/o utilizzato da enti non commerciali di
cui all’art. 73 co 1 lettera c) del TUIR;
·
Lo stesso sia destinato, in via esclusiva, allo svolgimento, con modalità non
commerciali, di una o più delle attività elencate all’art. 7, co1 lett. a) del
D.lgs. 504/1992 (assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca
scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive).
Per la legge di bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e
bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022, n. 160/2019, nell'art. 1 comma
759 “Sono esenti dall'imposta, per il periodo dell'anno durante il quale
sussistono le condizioni prescritte: g) gli immobili posseduti e utilizzati dai
soggetti di cui alla lettera i) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e destinati esclusivamente allo
svolgimento con modalità' non commerciali delle attività' previste nella
medesima”. Con questa enunciazione la legge di Bilancio 2020 sembra
discostarsi dai
principi previsti dal legislatore del 1992.
Ma la vera novità è introdotta dalla Legge di Bilancio 2020 nell'art. 1 comma
777 che prevede la possibilità per
i Comuni di prevedere l’esenzione del pagamento IMU sugli immobili dati in
comodato d’uso gratuito alle associazioni, a prescindere dall’attività svolta
dall’ente.
Art. 1 comma
777. “Ferme restando le facoltà di
regolamentazione del tributo di cui all'articolo 52 del decreto
legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, i comuni possono con proprio regolamento:
(…)
e) stabilire l'esenzione dell'immobile dato in comodato gratuito al comune
o ad altro ente territoriale, o ad ente non commerciale,
esclusivamente per l'esercizio dei rispettivi scopi istituzionali o
statutari”.
Questo significa la possibilità di un’esenzione del pagamento IMU sugli immobili
che spesso il presidente e / o altri dirigenti cedono a titolo gratuito.
Ricordiamo che la scelta in merito a questa esenzione viene rimandata ai comuni,
quindi sarà fondamentale verificare i regolamenti comunali e, se ce ne sono le
condizioni, fare pressione affinché il Comune si muova in tal senso.
Degna di nota è la citazione del Comune di Falconara, in nome del vice sindaco
Raimondo Mondaini, con delega al Bilancio. Comune che tra i primi, con merito,
ha previsto l’esenzione IMU per quegli immobili ceduti gratuitamente alle
associazioni di volontariato.
Quando il Legislatore ha configurato l’ipotesi di esenzione da Imu e Tasi per la
platea degli enti non commerciali lo ha fatto con riferimento agli immobili che
vengono direttamente utilizzati nella loro attività “istituzionale”.
In particolare, è l’articolo 9, comma 8, D.Lgs. 23/2011 a disporre che si
applica all’Imu l’esenzione prevista dall’articolo 7, comma 1, lett. i), D.Lgs.
504/1992 recante disposizioni in materia di imposta comunale sugli immobili
“destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di
attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica,
didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività
di cui all’articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222”.
Con il D.L. 16/2014, invece, al fine di assimilare il trattamento della Tasi a
quello dell’Imu, l’articolo 1, comma 3 del citato decreto rende applicabili alla
Tasi quasi tutte le esenzioni applicabili all’Imu, tra le quali certamente
spicca quella riservata agli enti non commerciali, stabilendo che “Sono esenti
dal tributo per i servizi indivisibili (Tasi) gli immobili posseduti dallo
Stato, nonché gli immobili posseduti, nel proprio territorio, dalle regioni,
dalle province, dai comuni, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti,
ove non soppressi, dagli enti del servizio sanitario nazionale, destinati
esclusivamente ai compiti istituzionali. Sono altresì esenti i rifugi alpini non
custoditi, i punti d’appoggio e i bivacchi. Si applicano, inoltre, le esenzioni
previste dall’articolo 7, comma 1, lettere b), c), d), e), f), ed i) del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 504; ai fini dell’applicazione della lettera i)
resta ferma l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 91-bis del
decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge
24 marzo 2012, n. 27 e successive modificazioni”. E nel richiamo alla lett. i)
dell’articolo 7 D.Lgs. 504/1992 c’è proprio la citata esenzione prevista per
gli enti non commerciali ai fini Imu.
Dr Antonio Giangrande
RICORSO PRESSO LA
COMMISSIONE TRIBUTARIA DI TARANTO
seguente
Istanza in autotutela per l'annullamento dell'avviso di accertamento esecutivo
All'Ufficio Tributi – Contenzioso del Comune di Avetrana (TA)
Via Vittorio Emanuele - 74020 Avetrana (TA)
All'attenzione del Funzionario responsabile del servizio
Dr Antonio Mazza
All'attenzione del responsabile del procedimento
Sig.ra Maria Santo
Contribuente:
Dr Antonio Giangrande, via Alessandro Manzoni n. 51, Avetrana (TA)
Oggetto:
istanza in autotutela per l'annullamento
del:
-
Provvedimento n.
550 del 17/11/2020 Imposta Municipale Propria (IMU) 2015 su immobile sito in via
Piave 127, Avetrana (TA), inviato in data 31/12/2020 e ricevuto in data
07/01/2021;
-
Provvedimento n.
1240 del 17/11/2020 Tassa sui Servizi Indivisibili (TASI) 2015 su immobile sito
in via Piave 127, Avetrana (TA), inviato in data 31/12/2020 e ricevuto in data
07/01/2021;
Il sottoscritto Dr
Antonio Giangrande, nato ad Avetrana (TA) il 02/06/1963 ed ivi residente alla
via Manzoni n. 51, C.F. GNGNTN63H02A514Q, premesso
che i provvedimenti
in oggetto sono palesemente contra legem, ossia contro il dettato chiaro ed
inequivocabile della legge e del suo spirito, contenente i principi
costituzionali.
PREMESSO
In data 14 gennaio
2021 si presentava Istanza in autotutela per l’annullamento degli avvisi di
accertamento esecutivo, che qui si intende integralmente trascritto, in quanto
parte del presente ricorso.
In data 3 febbraio
2021 l’Ufficio Tributi, in persona del responsabile Dr Antonio Mazza rigettava
l’Istanza adducendo le seguenti motivazioni:
“Ritenuto che non
sussistano i motivi che consentono il relativo accoglimento in quanto:
Vale l’esenzione
Imu per gli immobili appartenenti agli enti no profit, ma solo se questi li
utilizzano direttamente.
L’articolo 7, comma
1, lettera i) del D.Lgs 504/1992 stabilisce che sono esenti dall’ICI gli
immobili utilizzati dagli enti non commerciali per lo svolgimento di una serie
di attività agevolate (assistenziali, previdenziali, culturali, eccetera),
svolte con modalità non commerciali. L’esenzione si applica anche all’IMU e, di
conseguenza alla Tasi, per effetto del richiamo operato alla norma sopra citata
dall’art. 9, comma 8, del D.Lgs /23/2011.
La Corte
Costituzionale ha affermato la necessità che l’immobile, per poter beneficiare
dell’esenzione, deve essere utilizzato direttamente dall’ente proprietario
(sentenze n. 429/2006 e n. 19/2007).
La Corte di
Cassazione, inoltre, ha confermato questo orientamento (sentenze n. 22201/2008 e
n. 2221/2014) anche recentemente ribadendo che la mancanza dell’utilizzazione
diretta dell’immobile, perché concesso in comodato a un terzo, fa perdere il
diritto all’esenzione dell’Ici.
Con l’ordinanza del
17 maggio 2017 n. 12301, infatti, la Suprema Corte ha respinto la richiesta di
esenzione avanzata da una associazione per un immobile nel quale si svolgevano
attività ricreative e ricettive, concesso in comodato a un privato cui era stata
affidata la gestione di queste attività.
La Corte sottolinea
che, per beneficiare dell’esenzione dall’Ici, è necessaria l’utilizzazione
diretta degli immobili da parte dell’ente che ne abbia possesso e dell’esclusiva
loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito.
Occorre pertanto,
che siano posseduti dall’ente non commerciale utilizzatore, cioè che vi sia
coincidenza tra ente proprietario ( o titolare di altro diritto reale sul bene)
e quello che utilizza l’immobile.”
IN FATTO
In data 07/01/2021
il Dr. Giangrande riceveva notifica di avviso di accertamento (n. 550 del
17/11/2020) e contestuale irrogazione di sanzioni, interessi e spese di
notifica, relativo all'Imposta Municipale Unica (IMU) per l'anno 2015, per un
importo complessivo di Euro 220,00, riferito all'immobile sito in via Piave 127
(allegato 1);
In data 07/01/2021
riceveva notifica dell'avviso di accertamento (n. 1240 del 17/11/2020) e
contestuale irrogazione di sanzioni, interessi e spese di notifica, relativo
alla Tassa sui Servizi Indivisibili (TASI) per l'anno 2015, per un importo
complessivo di euro 89,00, riferito all'immobile sito in via Piave 127 (allegato
2);
L'immobile oggetto
di accertamento IMU e TASI è sede legale ed utilizzato esclusivamente
dall'Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS (allegato 5), sodalizio
antimafia iscritto nell'anagrafe delle ONLUS (allegato 3) e già
iscritto presso la Prefettura di Taranto nell'elenco delle Associazioni
Antiracket ed Antiusura;
L'immobile oggetto
di accertamento IMU e TASI è in possesso del dr Antonio Giangrande, quale
usufruttuario (allegato 4), al fine della destinazione,
svolgimento ed utilizzo esclusivo dell'Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS,
di cui è presidente e della quale ha ivi stabilito la sede legale. Possessore ed
utilizzatore, di fatto, è lo stesso soggetto esentabile.
IN DIRITTO
Il Dlgs 504/1992
(Riordino della finanza degli enti territoriali), al Titolo I, Capo I (Imposta
Comunale sugli Immobili), art. 7 comma 1 lett. I (Esenzioni), recita: “Sono
esenti dall'imposta:
a) gli immobili
posseduti dallo Stato, dalle regioni, dalle province,
nonchè
dai comuni, se diversi da quelli indicati nell'ultimo periodo del comma 1
dell'articolo 4, dalle comunità montane,
dai consorzi fra detti enti, dalle unità sanitarie locali, dalle
istituzioni sanitarie pubbliche autonome di cui all'articolo 41 della legge 23
dicembre 1978, n. 833, dalle camere di commercio, industria, artigianato
ed agricoltura, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali;
(…)
i)
gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all'articolo 73, comma 1,
lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al
decreto del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917,e
successive modificazioni, fatta eccezione per gli immobili posseduti da partiti
politici, che restano comunque assoggettati all'imposta indipendentemente dalla
destinazione d'uso dell'immobile, destinati esclusivamente allo
svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali,
previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive,
culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui
all'articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222”.
L'esenzione spetta per il periodo dell'anno durante il quale sussistono le
condizioni prescritte (art. 7, comma 2 Dlgs 504/1992).
SI NOTI NELLA
PREVISIONE DEL LEGISLATORE LA SPECIFICA DICOTOMIA TRA POSSESSO ED
UTILIZZO.
Tale disposizione trova conferma nel:
-
Dlgs 23/2011
(Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale) il quale, nell'art.
9 comma 8 (Applicazione dell'Imposta Municipale Propria) recita: “Sono esenti
dall'imposta municipale propria gli immobili posseduti dallo Stato, nonché gli
immobili posseduti, nel proprio territorio, dalle regioni, dalle province, dai
comuni, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, ove non soppressi,
dagli enti del servizio sanitario nazionale, destinati esclusivamente ai compiti
istituzionali. Si applicano, inoltre, le esenzioni previste
dall'art. 7, comma 1, lettere b), c), d), e), f), h) ed i) del citato decreto
legislativo n. 504 del 1992”;
-
Dl 16/2014, il
quale, nell'art. 1 (Disposizioni in
materia di TARI e TASI), comma 3 recita: “Sono esenti dal Tributo per i Servizi
Indivisibili (TASI) gli immobili posseduti dallo Stato, nonché gli immobili
posseduti, nel proprio territorio, dalle regioni, dalle province, dai comuni,
dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, ove non soppressi, dagli
enti del servizio sanitario nazionale, destinanti esclusivamente ai compiti
istituzionali. Si applicano, inoltre, le esenzioni previste
dall'articolo 7 comma 1, lettere b), c), d), e), f) ed i) del decreto
legislativo 30 dicembre 1992 n. 504; ai fini dell'applicazione
della lettera i) resta ferma l'applicazione delle disposizioni di cui
all'art. 91-bis del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con
modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 e successive modificazioni.
Ai fini IMU è
prevista l'esenzione per i soli immobili destinati esclusivamente allo
svolgimento con modalità non commerciali, di attività assistenziali,
previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e
sportive e delle attività di cui all'art. 16 co. 1 lett. a) della legge
222/1985. Inoltre è prevista, in caso di utilizzazione “mista”, il
riconoscimento dell'esenzione pro quota limitato alla sola frazione di unità
nella quale viene svolta l'attività non commerciale. L'art. 7 co. 1 lett. i) del
Dlgs 504/1992 è stato oggetto di recenti modifiche che, nel complesso, hanno
determinato un sensibile irrigidimento dei criteri di accesso all'esenzione. Per
effetto delle modifiche apportate alla richiamata lett. i) dall'art. 91 bis co.
1 del Dl 1/2012 convertito L. 27/2012, ai fini dell'esenzione occorre che le
attività siano svolte “con modalità non commerciali”.
Per il
riconoscimento dell''esenzione IMU, la già richiamata lett. i) dell'art. 7 co. 1
del Dlgs 504/92 individua due requisiti:
Requisito
soggettivo relativo al soggetto che utilizza l'immobile.
Come accennato in
precedenza, ai fini dell’esenzione, gli immobili devono essere utilizzati dai
soggetti di cui all’art. 73 co. 1 lett. c) del TUIR richiamato dall’art. 7 co. 1
lett. i) del DLgs. 504/92, vale a dire dagli “enti pubblici e privati diversi
dalle società, i trust che non hanno per oggetto esclusivo o principale
l’esercizio di attività commerciale nonché gli organismi di investimento
collettivo del risparmio, residenti nel territorio dello Stato”. Rientrano
tra gli enti non commerciali privati:
– gli enti
disciplinati dal codice civile, quali associazioni, fondazioni e comitati;
– gli enti
disciplinati da specifiche leggi di settore, quali:
– organizzazioni di
volontariato (L. 11.8.91 n. 266);
– organizzazioni
non governative (art. 5 della L. 26.2.87 n. 49);
– associazioni di
promozione sociale (L. 7.12.2000 n. 383);
– associazioni
sportive dilettantistiche (art. 90 della L. 27.12.2002 n. 289);
– fondazioni
risultanti dalla trasformazione degli enti autonomi lirici e delle istituzioni
concertistiche assimilate (DLgs.
23.4.98 n. 134);
– ex IPAB
privatizzate (a seguito, da ultimo, del DLgs. 4.5.2001 n. 207);
– enti che
acquisiscono la qualifica fiscale di ONLUS (DLgs. 4.12.97 n.460);
– gli enti
ecclesiastici.
Requisito oggettivo
relativo al possesso dell'immobile.
Tale requisito
riguarda la tipologia e la rilevanza dell'attività non profit svolta e alle
modalità di svolgimento.
Come sopra
accennato, attenendosi alla formulazione letterale della lett. i) dell’art.7 co.
1 del DLgs. 504/92, ai fini dell’esenzione l’immobile deve essere utilizzato da
un ente non commerciale pubblico o privato di cui all’art. 73 co. 1 lett. c) del
TUIR.
Non è invece
richiesto il requisito del possesso dell’immobile stesso da parte dell’ente non
commerciale che lo utilizza. Di conseguenza, l’esenzione sembrerebbe spettare
relativamente a tutti gli immobili utilizzati da parte di un ente non
commerciale e destinati in via diretta ed esclusiva allo svolgimento delle
attività individuate dall’art. 7 co. 1 lett. i) del DLgs. 504/92, a prescindere
dalla circostanza che detti immobili siano:
– posseduti a
titolo di proprietà, usufrutto o superficie dall’ente non commerciale;
-
ovvero anche solo detenuti, ad esempio a titolo di locazione o comodato; in tal
caso, ovviamente, l’esenzione IMU spetterà al dante causa (locatore o comodante)
che ha concesso la detenzione dell’immobile all’ente non strumentale che lo
utilizza.
A tal riguardo la
Deliberazione del Consiglio Comunale di Avetrana con oggetto l'approvazione del
Regolamento per l’applicazione dell’Imposta municipale propria IMU del
15/06/2012, nell'art. 5 (Immobili utilizzati dagli enti non
commerciali), discostandosi dai
principi previsti dal legislatore, recita “L'esenzione prevista
dall'art. 7, comma 1, lettera i) del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, si applica
soltanto ai fabbricati ed a condizione che gli stessi, oltre che utilizzati,
siano anche posseduti dall’ente non commerciale utilizzatore”.
Il possesso può
essere acquisito per derivazione, ovvero quando viene trasferito da un vecchio
possessore a uno nuovo (traditio). Si può trasferire il possesso
consegnando materialmente il bene al nuovo possessore oppure consegnando allo
stesso qualcosa che con quel bene abbia un legame tale da permetterne di agire
liberamente su di esso.
Nel caso in esame,
in data 17/11/2004, davanti al notaio Vittoria Calvi di Manduria (TA), si
costituiva l'Associazione Contro Tutte le Mafie, con sede in Avetrana (TA), via
Piave 127 (allegato 5). Il possesso dell'immobile, sito nella
suddetta via, veniva trasferito dall'usufruttuario, nonché presidente
dell'Associazione, dr Antonio Giangrande, all'Associazione Contro Tutte le
Mafie, per svolgere in via esclusiva le proprie attività sociali e senza scopo
di lucro, come da proprio atto costitutivo e regolamento, così come già
attestato nella Dichiarazione IMU-TASI 2015 (allegato 6).
Sul tema è
intervenuta anche la giurisprudenza che,
discostandosi dai principi previsti dal legislatore, ha circoscritto
l’ambito applicativo dell’esenzione ai soli immobili che risultano posseduti ed
utilizzati allo stesso tempo dall’ente non commerciale.
Con le ordinanze
19.12.2006 n. 429 e 26.1.2007 n. 19, la Corte costituzionale ha
dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 59 co. 1 lett. c) del DLgs. 15.12.97 n. 446, in relazione all’art. 7
co. 1 lett. i) del DLgs. 30.12.92 n. 504.
Secondo la Consulta, tale disposizione non innova la disciplina dei
requisiti soggettivi richiesti dalla richiamata lett. i), in quanto “l’esenzione
deve essere riconosciuta solo all’ente non commerciale che, oltre a possedere
l’immobile, lo utilizza direttamente per lo svolgimento delle attività ivi
elencate”.
La Corte di
Cassazione ha espressamente subordinato il riconoscimento del diritto
all’esenzione alla duplice condizione soggettiva che l’ente non commerciale
possieda ed utilizzi l’immobile; e tale orientamento troverebbe fondamento nella
“costante giurisprudenza di questa Corte” che in materia duplice
condizione “dell’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente
possessore e dell’esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non
siano produttive di reddito”.
Chiarimenti sono
pervenuti anche dall’Amministrazione finanziaria. La circolare Min. Economia
e Finanze 26.1.2009 n. 2/DF si è limitata a richiamare le ordinanze della
Corte Cost. 19.12.2006 n. 429 e 26.1.2007 n. 19, ravvisandovi elementi atti a
sostenere che l’esenzione “deve essere riconosciuta solo all’ente non
commerciale che, oltre a possedere l’immobile, lo utilizza direttamente per lo
svolgimento delle attività … elencate” alla lett. i) dell’art. 7 co. 1 del
DLgs. 504/92. Nello stesso senso si è espressa anche la ris. Min. Economia e
Finanze 4.3.2013 n. 4/DF che ha ritenuto applicabili all’IMU le sopra
richiamate sentenze della Corte costituzionale, oltre alla
Cass. 30.5.2005 n. 11427.
Di senso opposto ed
in ossequio ai principi previsti dal
legislatore, si è conformata la giurisprudenza prevalente successiva.
Si sta formando in giurisprudenza un indirizzo per cui l’esenzione da Imu e Tasi
non spetta solamente ai soggetti che utilizzano direttamente l’immobile per il
soddisfacimento dei propri fini istituzionali, ma anche a coloro che concedono
in uso gratuito lo stesso immobile a realtà che lo utilizzano nel perseguono
delle medesime finalità istituzionali del soggetto concedente.
Con riferimento al vincolo dell’utilizzo “diretto” dell’immobile, quale
requisito inderogabile per riconoscere l’esenzione, recente giurisprudenza sta
mettendo in crisi tale concetto, riconoscendo il beneficio anche nei casi in cui
lo stesso immobile sia stato concesso in comodato a soggetti che, a loro volta,
lo utilizzano per il perseguimento dei propri fini istituzionali, anch’essi
meritevoli di tutela. L’esenzione spetta anche per gli immobili in comodato.
La gratuità del comodato giustifica l'esenzione dal pagamento dell'Imu per gli
enti non commerciali che svolgono attività meritevole. Questa la conclusione
"progressista" cui giunge il Mef nella risoluzione 4DF del 4.3.2013.
Nella risoluzione 4/DF del 4.3.2013, il Mef tratta il caso di un ente non
commerciale che concede in comodato gratuito un immobile di sua proprietà ad un
altro ente non commerciale, per lo svolgimento di attività meritevoli. Il Mef
stravolge l'orientamento prevalente della Corte di Cassazione e della Corte
costituzionale, che hanno da sempre richiesto la coincidenza soggettiva tra
proprietario e utilizzatore dell'immobile, sostenendo che ciò che conta è la
gratuità della concessione, e quindi la non formazione di reddito in capo
all'ente.
Secondo alcune pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione,
l'esenzione per gli enti non commerciali si applica a condizione che l'immobile
sia posseduto e utilizzato per attività meritevoli (articolo 7 comma 1 letera i
del D.lgs. 504/1992) direttamente dallo stesso ente non commerciale, circostanza
che non avviene in caso di concessione in comodato ad un altro ente non
commerciale. Per attività meritevoli si intendono quelle assistenziali,
previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreativi,
sportive, di religione e di culto.
In netto contrasto con questa soluzione il Ministero, nella risoluzione
4/DF, conclude affermando che l'esenzione Imu si applica nel caso di immobili
concessi in comodato a titolo gratuito ad altri enti dello stesso tipo. Secondo
il Mef, infatti, l'elemento decisivo per l'applicazione o meno dell'Imu è la
presenza di un reddito determinato dall'immobile, che nel caso del comodato a
titolo gratuito non sussiste.
A sostegno di questa tesi, nella risoluzione si richiama la sentenza n.
11427/2007 della Corte di Cassazione che ha trattato il caso di un immobile dato
in locazione. Anche in questo caso si verificava la non coincidenza tra soggetto
proprietario e soggetto utilizzatore dell'immobile, che secondo il principale
orientamento della giurisprudenza escludeva l'applicabilità dell'esenzione. In
tale sentenza però la Corte di Cassazione, esclude l'applicabilità
dell'esenzione per il fatto che la locazione determinava un reddito in capo
all'ente, indice di una determinata capacità contributiva, non idonea a
giustificare l'agevolazione.
Nel caso del comodato gratuito, invece, a differenza della locazione non si
genera alcun reddito in capo all'ente, e pertanto l'esenzione si applica.
Ovviamente l'ente utilizzatore non deve pagare l'Imu perché non è soggetto
passivo, ma deve fornire all'ente non commerciale che gli ha concesso
l'immobile, tutti gli elementi necessari per consentirgli l'esatto adempimento
degli obblighi tributari sia di carattere formale che sostanziale.
D'altra parte l'orientamento "elastico" del Mef è da apprezzare, considerando
che ha voluto cogliere la ratio più profonda della
norma. L'esenzione, infatti, è il giusto riconoscimento del valore sociale
apportato dagli enti no profit attivi in settori particolarmente delicati della
vita dei cittadini. È proprio il carattere non lucrativo l'elemento che
giustifica l'esenzione, e che tra l'altro, esprimendosi in termini di
umanizzazione, costituisce un "ritorno" nelle tasche dei cittadini. E'
pertanto la natura del contratto di comodato e la sua non onerosità a consentire
al ministero di giustificare l'esenzione Imu. Restano ovviamente soggetti a
tassazione gli immobili locati in quanto l'affitto rappresenta un reddito e una
fonte di ricchezza che è oggettivamente incompatibile con gli obiettivi che le
norme sull'esenzione dall'Imu tutelano.
Peraltro l’Amministrazione Finanziaria, contrariamente a quanto affermato dalla
su indicata giurisprudenza, con le Risoluzioni n. 3 e 4 del 4 marzo 2013 ha
chiarito che un ente commerciale che conceda in comodato un immobile ad un altro
ente non commerciale per l’esercizio di attività non commerciale gode ugualmente
dell’esenzione IMU.
È infatti con la
sentenza n. 3528/2018 che la suprema Corte di Cassazione ha stabilito
che gli enti non commerciali non sono esonerati dal pagamento delle imposte
locali per il fatto di essere accreditati o convenzionati con la pubblica
amministrazione. La sottoscrizione di una convenzione con l’ente pubblico,
quindi, non garantisce che l’attività venga svolta in forma non commerciale e
che i compensi richiesti siano sottratti alla logica del profitto. In tutte
queste situazioni, pertanto, al fine di valutare l’esenzione, si dovranno
verificare con molta attenzione le caratteristiche dell’attività svolta
dall’ente non commerciale, non essendo sufficiente limitarsi alla verifica
dell’esistenza di una convenzione con la pubblica amministrazione. In sintonia
con l’ultima sentenza citata anche l’ordinanza n. 10754/2017 con la
quale, sempre la Cassazione, ha affermato che le scuole paritarie sono
soggette al pagamento dei tributi locali, e quindi non godono dell’esenzione, se
l’attività non viene svolta a titolo gratuito o dietro richiesta di una somma
simbolica.
COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Puglia sentenza n. 2332 sez. 3
depositata il 6 luglio 2017: Il Comune di Bari presentava appello avverso la
sentenza n. 3204/2014 del 3.12.2014, avente ad oggetto l’imposta IMU gravante su
immobili di un ente ecclesiastico e concessi in comodato gratuito ad enti aventi
natura di Onlus e esercenti attività scolastica. La commissione di primo grado
aveva accolto il ricorso dell’ente ecclesiastico affermando l’irrilevanza della
circostanza che l’immobile si concesso in comodato gratuito ad altri enti che di
fatto erano articolazioni dell’ente ecclesiastico e svolgevano per conto di
questo una attività formativa, seppur a pagamento. La tesi sostenuta dal Comune
di Bari nell’atto di appello si fonda sulla presunta necessità che sia lo stesso
ente ecclesiastico proprietario del bene a svolgere l’attività commerciale non
esclusiva per ottenere l’esenzione. Inoltre non vi sarebbe alcuna prova che gli
enti comodatari siano strumentali dell’ente ecclesiastico resistente. Ad
opinione di questa commissione, l’appello è infondato e va rigettato. In primo
luogo va osservato che la norma tributaria in quanto incidente sul diritto di
proprietà tutelata dalla Costituzione, va considerata norma di stretta
interpretazione. Ne consegue che le norme tributarie, che prevedono esenzioni,
non sono considerabili “eccezionali” e, quindi, di stretta interpretazione ma al
contrario.
Ciò premesso, nel merito della vicenda va ripreso quanto affermato la Suprema
Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25508/2015 del 18 dicembre 2015.
La fattispecie posta all’attenzione della Suprema Corte era identica è quella de
qua agitur; riguardava tre avvisi di accertamento, notificati per altrettante
annualità d’imposta, relativi ad un immobile di proprietà di un Ente di culto
con sede nello (omissis) e concesso in comodato d’uso gratuito a una Onlus, per
perseguire le finalità di assistenza e formazione a favore di studenti
universitari; tale finalità, sostenevano i ricorrenti, giustificava l’esenzione
di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) del D.Lgs. n. 504 del 1992.
In particolare, è stato messo in evidenza come non fosse rilevante il fatto che
il bene in questione fosse utilizzato dal comodatario e non dal concedente,
perché il comodatario utilizzava il bene in attuazione dei compiti istituzionali
dell’ente concedente, al quale era legato da un vincolo di strumentalità:
l’utilizzazione diretta del bene da parte dell’ente possessore, è condizione
necessaria per l’esenzione, ma solo nelle ipotesi di locazione del bene o di
“concessione di beni demaniali”.
Solo in questi casi, infatti, la ratio della limitazione è individuabile
nell’effetto distorsivo che, in tali situazioni, si determina rispetto alle
finalità tutelate dalla norma (l’esercizio di attività “protette”), in quanto il
bene viene utilizzato dal possessore per “una finalità economica produttiva di
reddito” e non per lo svolgimento dei compiti istituzionali.
Trattasi di fattispecie ben diverse da quella sottoposta all’attenzione di
questa commissione regionale in cui, invece, sia l’Ente di culto che l’ente
“concretamente utilizzatore” sono enti non commerciali e l’immobile è concesso
in comodato gratuito e non in locazione onerosa.
La sussistenza del requisito, sia soggettivo che oggettivo, deve essere in
sostanza accertata caso per caso, in considerazione del fatto che sarebbe
ingiustificato che lo Stato gravasse quelle realtà, ecclesiali e non, che
perseguono fini di interesse collettivo.
La tesi della Cassazione, che si condivide completamente, è avallata anche dalla
risoluzione n. 4/DF del 4 marzo 2013, dell’Amministrazione finanziaria che ha
ritenuto che l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) del D.Lgs. n. 504
del 1992 spetti nell’ipotesi in cui l’immobile sia concesso in comodato a un
altro ente non commerciale appartenente alla stessa struttura dell’ente
concedente per lo svolgimento di un’attività meritevole prevista dalla norma
agevolativa.
Nel caso di specie l’appartenenza degli enti comodatari all’ente ecclesiastico
proprietario del bene è stato ben giustificato dal giudice di prime cure, la cui
argomentazioni si condividono e richiamano interamente in questa sede.
L’immobile è stato affidato in comodato gratuito ad un’altra onlus che svolge
attività culturale e didattica e, quindi, non commerciale.
Va a tal proposito rimarcato che l’attività scolastica primaria e secondaria,
con esclusione di quella universitaria, è un diritto costituzionalmente protetto
non solo per chi insegna ma anche per chi apprende ed espressione della libertà
fondamentale ed inclinabile di manifestazione del pensiero oltre che del diritto
di inclusione sociale di cui all’art. 2 della Carta Fondamentale.
Il pagamento delle rette da parte dei discenti non trasforma l’attività svolta
in commerciale dovendosi rappresentare come una contribuzione al funzionamento
della struttura educativa necessaria per l’esercizio effettivo del diritto
costituzionale di insegnamento e di apprendimento.
Con la pronuncia
della CTR Lombardia, sezione VIII, n. 4400 del 18.10.2018, i giudici di
secondo grado hanno affermato che non può essere contestata l’esenzione Imu ad
un ente non commerciale che svolge attività di scuola dell’infanzia sulla base
di accordi con l’amministrazione comunale che prevedono l’erogazione di
contributi in conto gestione, oltre a vincoli sulle tariffe in ragione delle
fasce di reddito delle singole famiglie degli iscritti alla scuola. È proprio
l’esistenza di tali vincoli ispirati ad un principio di solidarietà che
impedirebbe all’ente una gestione concorrenziale, fatto che giustifica il
riconoscimento dell’esenzione. Con riferimento ai contributi in convenzione,
inoltre, secondo i giudici regionali, la loro erogazione contribuirebbe a
realizzare i medesimi obiettivi perseguiti dall’amministrazione comunale con la
gestione diretta della scuola. Nonostante le richiamate argomentazioni possano
ritenersi condivisibili, occorre evidenziare come le stesse non siano state
giudicate sufficienti a riconoscere l’esenzione in occasione di una altrettanto
recente pronuncia dei giudici di legittimità.
In particolare, con la sentenza della CTP Reggio Emilia n. 271/2/2017 del
25.10.2017, i giudici emiliani hanno riconosciuto l’esenzione da Imu per un
immobile di un ente ecclesiastico concesso in uso gratuito ad altro ente
ecclesiastico per svolgervi attività didattica. Dal contenuto della sentenza
emerge che, ai fini dell’esenzione, non deve sussistere la necessaria
coincidenza tra chi “possiede” l’immobile e chi lo “utilizza” per attività
istituzionali esenti dal tributo.
Più di recente la sezione XI della CTR Lazio, con la sentenza n. 2696
del 27.04.2018, ha sostenuto che va riconosciuta l’esenzione anche se un
ente non commerciale titolare di un immobile lo concede in comodato a un altro
ente non profit, qualora i due enti svolgano la stessa attività e perseguono le
medesime finalità istituzionali e per il suo utilizzo non venga richiesto dal
concedente il pagamento di alcun canone di locazione.
La gratuità del comodato giustifica l'esenzione dal pagamento dell'Imu per gli
enti non commerciali che svolgono attività meritevole. Questa la conclusione
"progressista" cui giunge il Mef nella risoluzione 4DF del 4.3.2013. Il Mef
tratta il caso di un ente non commerciale che concede in comodato gratuito un
immobile di sua proprietà ad un altro ente non commerciale, per lo svolgimento
di attività meritevoli. Il Mef stravolge l'orientamento prevalente della Corte
di Cassazione e della Corte costituzionale, che hanno da sempre richiesto la
coincidenza soggettiva tra proprietario e utilizzatore dell'immobile, sostenendo
che ciò che conta è la gratuità della concessione, e quindi la non formazione di
reddito in capo all'ente.
La gratuità del comodato è motivo di esenzione.
Secondo alcune pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione,
l'esenzione per gli enti non commerciali si applica a condizione che l'immobile
sia posseduto e utilizzato per attività meritevoli (articolo 7 comma 1 lettera i
del D.Lgs. 504/1992) direttamente dallo stesso ente non commerciale, circostanza
che non avviene in caso di concessione in comodato ad un altro ente non
commerciale. Per attività meritevoli si intendono quelle assistenziali,
previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreativi,
sportive, di religione e di culto. In netto contrasto con questa soluzione il
Ministero, nella risoluzione 4/DF, conclude affermando che l'esenzione Imu si
applica nel caso di immobili concessi in comodato a titolo gratuito ad altri
enti dello stesso tipo. Secondo il Mef, infatti, l'elemento decisivo per
l'applicazione o meno dell'Imu è la presenza di un reddito determinato
dall'immobile, che nel caso del comodato a titolo gratuito non sussiste.
A sostegno di questa tesi, nella risoluzione si richiama la sentenza n.
11427/2007 della Corte di Cassazione che ha trattato il caso di un
immobile dato in locazione. Anche in questo caso si verificava la non
coincidenza tra soggetto proprietario e soggetto utilizzatore dell'immobile, che
secondo il principale orientamento della giurisprudenza escludeva
l'applicabilità dell'esenzione. In tale sentenza però la Corte di Cassazione,
esclude l'applicabilità dell'esenzione per il fatto che la locazione determinava
un reddito in capo all'ente, indice di una determinata capacità contributiva,
non idonea a giustificare l'agevolazione. Nel caso del comodato gratuito,
invece, a differenza della locazione non si genera alcun reddito in capo
all'ente, e pertanto l'esenzione si applica.
Ovviamente l'ente utilizzatore non deve pagare l'Imu perché non è soggetto
passivo, ma deve fornire all'ente non commerciale che gli ha concesso
l'immobile, tutti gli elementi necessari per consentirgli l'esatto adempimento
degli obblighi tributari sia di carattere formale che sostanziale.
D'altra parte l'orientamento "elastico" del Mef è da apprezzare, considerando
che ha voluto cogliere la ratio più profonda della norma. L'esenzione, infatti,
è il giusto riconoscimento del valore sociale apportato dagli enti no profit
attivi in settori particolarmente delicati della vita dei cittadini. È proprio
il carattere non lucrativo l'elemento che giustifica l'esenzione, e che tra
l'altro, esprimendosi in termini di umanizzazione, costituisce un "ritorno"
nelle tasche dei cittadini. E' pertanto la natura del contratto di comodato e la
sua non onerosità a consentire al ministero di giustificare l'esenzione Imu.
Restano ovviamente soggetti a tassazione gli immobili locati in quanto l'affitto
rappresenta un reddito e una fonte di ricchezza che è oggettivamente
incompatibile con gli obiettivi che le norme sull'esenzione dall'Imu tutelano.
Peraltro l’Amministrazione Finanziaria, contrariamente a quanto affermato dalla
su indicata giurisprudenza, con le Risoluzioni n. 3 e 4 del 4 marzo 2013 ha
chiarito che un ente commerciale che conceda in comodato un immobile ad un altro
ente non commerciale per l’esercizio di attività non commerciale gode ugualmente
dell’esenzione IMU.
Il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 19 novembre 2012 n.
200 ha individuato, all’articolo 3 e 4, rispettivamente i requisiti generali e
di settore che gli enti non commerciali devono possedere per godere
dell’esenzione IMU.
In particolare l’articolo 3 prevede che le attività istituzionali sono svolte
con modalità non commerciali quando l’atto costitutivo o lo statuto dell’ente
(che deve essere redatto per atto pubblico, scrittura autenticata, ovvero
semplicemente registrato all’agenzia delle entrate) prevedono:
a) il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili o avanzi di
gestione;
b) l’obbligo di reinvestire gli eventuali utili o avanzi di gestione
esclusivamente per lo sviluppo delle attività funzionali al perseguimento dello
scopo istituzionale di solidarietà sociale;
c) l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente non commerciale in caso di suo
scioglimento per qualunque causa, ad altro ente non commerciale che svolga una
analoga attività istituzionale, salvo diversa destinazione imposta per legge.
Gli enti non commerciali devono tenere a disposizione dei comuni la
documentazione utile allo svolgimento dell’attività di accertamento e controllo.
Sull'ampliamento della casistica dell'esenzione IMU e TASI, non
limitandosi al solo possesso ma allargandosi anche al semplice utilizzo
dell'immobile da parte di un ente non commerciale per attività senza
scopo di lucro, oltre alla modifica dell'orientamento giurisprudenziale si sta
assistendo al mutamento dell'orientamento da parte del nostro legislatore.
Con riferimento agli Enti non commerciali, la Legge di Bilancio 2020 non
modifica la precedente agevolazione prevista dall’art. 7 co. 1 lett. i) del
D.Lgs. 504/1992, ovvero per tali enti prevista l’esenzione dal pagamento
dell’Imu qualora ricorrano i seguenti requisiti:
·
L’immobile sia posseduto e/o utilizzato da enti non commerciali di
cui all’art. 73 co 1 lettera c) del TUIR;
·
Lo stesso sia destinato, in via esclusiva, allo svolgimento, con modalità non
commerciali, di una o più delle attività elencate all’art. 7, co1 lett. a) del
D.lgs. 504/1992 (assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca
scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive).
Per la legge di bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e
bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022, n. 160/2019, nell'art. 1 comma
759 “Sono esenti dall'imposta, per il periodo dell'anno durante il quale
sussistono le condizioni prescritte: g) gli immobili posseduti e utilizzati dai
soggetti di cui alla lettera i) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e destinati esclusivamente allo
svolgimento con modalità' non commerciali delle attività' previste nella
medesima”. Con questa enunciazione la legge di Bilancio 2020 sembra
discostarsi dai
principi previsti dal legislatore del 1992.
Ma la vera novità è introdotta dalla Legge di Bilancio 2020 nell'art. 1 comma
777 che prevede la possibilità per
i Comuni di prevedere l’esenzione del pagamento IMU sugli immobili dati in
comodato d’uso gratuito alle associazioni, a prescindere dall’attività svolta
dall’ente.
Art. 1 comma
777. “Ferme restando le facoltà di
regolamentazione del tributo di cui all'articolo 52 del decreto
legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, i comuni possono con proprio regolamento:
(…)
e) stabilire l'esenzione dell'immobile dato in comodato gratuito al comune
o ad altro ente territoriale, o ad ente non commerciale,
esclusivamente per l'esercizio dei rispettivi scopi istituzionali o
statutari”.
Questo significa la possibilità di un’esenzione del pagamento IMU sugli immobili
che spesso il presidente e / o altri dirigenti cedono a titolo gratuito.
Ricordiamo che la scelta in merito a questa esenzione viene rimandata ai comuni,
quindi sarà fondamentale verificare i regolamenti comunali e, se ce ne sono le
condizioni, fare pressione affinché il Comune si muova in tal senso.
Quando il Legislatore ha configurato l’ipotesi di esenzione da Imu e Tasi per la
platea degli enti non commerciali lo ha fatto con riferimento agli immobili che
vengono direttamente utilizzati nella loro attività “istituzionale”.
In particolare, è l’articolo 9, comma 8, D.Lgs. 23/2011 a disporre che si
applica all’Imu l’esenzione prevista dall’articolo 7, comma 1, lett. i), D.Lgs.
504/1992 recante disposizioni in materia di imposta comunale sugli immobili
“destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di
attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica,
didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività
di cui all’articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222”.
Con il D.L. 16/2014, invece, al fine di assimilare il trattamento della Tasi a
quello dell’Imu, l’articolo 1, comma 3 del citato decreto rende applicabili alla
Tasi quasi tutte le esenzioni applicabili all’Imu, tra le quali certamente
spicca quella riservata agli enti non commerciali, stabilendo che “Sono esenti
dal tributo per i servizi indivisibili (Tasi) gli immobili posseduti dallo
Stato, nonché gli immobili posseduti, nel proprio territorio, dalle regioni,
dalle province, dai comuni, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti,
ove non soppressi, dagli enti del servizio sanitario nazionale, destinati
esclusivamente ai compiti istituzionali. Sono altresì esenti i rifugi alpini non
custoditi, i punti d’appoggio e i bivacchi. Si applicano, inoltre, le esenzioni
previste dall’articolo 7, comma 1, lettere b), c), d), e), f), ed i) del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 504; ai fini dell’applicazione della lettera i)
resta ferma l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 91-bis del
decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge
24 marzo 2012, n. 27 e successive modificazioni”. E nel richiamo alla lett. i)
dell’articolo 7 D.Lgs. 504/1992 c’è proprio la citata esenzione prevista per
gli enti non commerciali ai fini Imu.
In Conclusione si
afferma che:
i provvedimenti in
oggetto sono palesemente contra legem, ossia contro il dettato chiaro ed
inequivocabile della legge e del suo spirito, contenente i principi
costituzionali.
Le motivazioni di
rigetto sono riferite a sentenze richiamate che prendono in esame l’utilizzo
dell’immobile da parte di un privato e non da parte di un ente non commerciale
come la legge richiede. E quindi i richiami giurisprudenziali non possono essere
applicati a questo caso, oggetto del presente ricorso. Nel presente ricorso si
fa riferimento ad Ente utilizzatore che è un Ente non commerciale ed utilizza
l’immobile senza fine di lucro ed il possessore, di fatto, è lo stesso ente in
persona del suo presidente.
Il riferimento è
sbagliato anche in virtù della logica giuridica.
Il regolamento
comunale non può travalicare la volontà di una norma di rango superiore. Ogni
interpretazione di una norma da parte di organi di rango costituzionale o
istituzionale non può porsi in contrasto con la volontà popolare che ha emanato
la stessa norma, tantomeno quando vi consegue l’interpretazione autentica della
norma da parte del legislatore medesimo. Ove il contrasto succedesse vi si
palesa un chiaro conflitto costituzionale tra Organi dello Stato. E vi si palesa
una chiara lesione dei principi fondamentali della Costituzione di cui all’art.
1, in cui si riconosce l’esclusiva sovranità popolare e, quindi,
del legislatore quale suo rappresentante.
Dispositivo dell'art. 1 Preleggi.
Fonti → Preleggi → Capo I - Delle fonti del diritto: Sono fonti del diritto : 1)
le leggi; 2) i regolamenti; 3) [le norme corporative] ; 4) gli usi.
L'avvento della Costituzione Repubblicana ha
innovato al previgente sistema delle fonti in un duplice senso: ha,
innanzitutto, aggiunto ulteriori fonti a quelle già contemplate dalla
disposizione in esame, rompendo il monopolio legislativo in ossequio alla sua
vocazione pluralista; ha, quindi, modificato i criteri che regolano i rapporti
tra le fonti. Nel primo senso, sono attualmente fonti di diritto (secondo
un'elencazione non tassativa): la Costituzione; le leggi costituzionali di
revisione ed integrazione della Costituzione nonché, in genere, le leggi di
rango costituzionale (es.: gli Statuti delle Regioni ad autonomia speciale);
le leggi ordinarie dello Stato; gli atti normativi del governo (decreti legge e
decreti legislativi); il referendum popolare abrogativo; gli Statuti Regionali
ordinari, le leggi regionali; le fonti comunitarie; i contratti collettivi di
lavoro; i regolamenti governativi, regionali, provinciali, comunali e degli
altri enti pubblici; la consuetudine etc. Nel secondo senso, il principio di
gerarchia delle fonti (le fonti di grado superiore possono abrogare quelle
inferiori ma non possono essere modificate da queste ultime) si è specificato
nel senso imposto dalla rigidità della Costituzione attuale: la modificazione o
l'abrogazione delle norme costituzionali non può più attuarsi a mezzo della
legge ordinaria, ma soltanto secondo la procedura, aggravata da maggioranze
qualificate, dettata dalla stessa Costituzione.
Dispositivo dell'art. 4 Preleggi.
Fonti → Preleggi → Capo I - Delle fonti del diritto
I regolamenti non possono contenere norme
contrarie alle disposizioni delle leggi). I regolamenti emanati a norma del
secondo comma dell'art. 3 non possono nemmeno dettare norme contrarie a quelle
dei regolamenti emanati dal Governo.
Interpretazione della legge. Capo II -
Dell'applicazione della legge in generale. Dispositivo dell'art. 12 Preleggi:
Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello
fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse
(È questa la c.d. interpretazione letterale (c.d. vox iuris), volta ad
attribuire alla norma il significato ed il senso che si evince
immediatamente dalle parole utilizzate), e dalla intenzione del legislatore (È
questa la c.d. interpretazione logica che, superando il significato immediato
della disposizione, mira a stabilire il suo vero contenuto ossia lo scopo che il
legislatore ha inteso realizzare, emanandola, e consente di adeguare meglio il
significato di una norma all’evoluzione della società. Può confermare il tenore
letterale della norma (i. dichiarativa), oppure può attribuirle un significato
più ristretto, limitandone l’ambito di applicabilità (i. restrittiva), o
viceversa estenderne il significato, rendendo la norma applicabile a casi che a
prima vista non vi sembrano compresi (i. estensiva). Se una controversia non può
essere decisa con una precisa disposizione (Il legislatore espressamente
contempla la possibilità che vi siano fattispecie non previste né risolte da
norme giuridiche. Il legislatore prevede, cioè, l'esistenza di lacune le quali
devono, tuttavia, essere colmate dal giudice che non può rifiutarsi di risolvere
un caso pratico adducendo la mancanza di norme), si ha riguardo alle
disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe (È questa la
c.d. analogia legis, ammissibile soltanto se basata sui seguenti presupposti: a)
il caso in questione non deve essere previsto da alcuna norma; b) devono
ravvisarsi somiglianze tra la fattispecie disciplinata dalla legge e quella non
prevista; c) il rapporto di somiglianza deve concernere gli elementi della
fattispecie nei quali si ravvisa la giustificazione della disciplina dettata dal
legislatore (eadem ratio); se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i
principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato (È questa la
c.d. analogia iuris: nel richiamare i principi generali dell'ordinamento
giuridico dello Stato, il legislatore ha inteso, innanzitutto, escludere il
ricorso ai principi del diritto naturale. Quanto alla loro individuazione, la
dottrina prevalente ritiene che essi vadano identificati in norme ad alto grado
di generalità)
L'Interpretazione giudiziale: Proveniente dai
giudici di ogni ordine e grado. Ha valore vincolante solo per il caso concreto
ossia per le parti del processo perché è alla base della decisione che le
riguarda e alla quale saranno obbligate ad attenersi. Non ha valore nei
confronti degli altri giudici, in quanto ogni organo giudicante deve svolgere in
piena indipendenza e autonomia la propria funzione.
Interpretazione autentica: Proviene dallo
stesso soggetto che ha emanato la norma, al fine di eliminare incertezze e
dubbi. Essendo contenuta in un atto avente forza di legge è vincolante per
tutti; alla norma in questione non sarà più attribuibile un significato diverso
da quello fissato dalla legge interpretativa.
Il Dlgs 504/1992 (Riordino della finanza
degli enti territoriali), al Titolo I, Capo I (Imposta Comunale sugli Immobili),
art. 7 comma 1 lett. I (Esenzioni), recita: “Sono esenti dall'imposta:
i) gli immobili utilizzati dai soggetti di
cui all'articolo 73, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui
redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.
917,e successive modificazioni, fatta eccezione per gli immobili posseduti da
partiti politici, che restano comunque assoggettati all'imposta
indipendentemente dalla destinazione d'uso dell'immobile, destinati
esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività
assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche,
ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui
all'articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222”. L'esenzione
spetta per il periodo dell'anno durante il quale sussistono le condizioni
prescritte (art. 7, comma 2 Dlgs 504/1992).
(È questa la c.d. interpretazione
letterale (c.d. vox iuris), volta ad attribuire alla norma il significato ed il
senso che si evince immediatamente dalle parole utilizzate), e dalla intenzione
del legislatore (È questa la c.d. interpretazione logica che, superando il
significato immediato della disposizione, mira a stabilire il suo vero
contenuto ossia lo scopo che il legislatore ha inteso realizzare, emanandola, e
consente di adeguare meglio il significato di una norma all’evoluzione della
società.
Si denota
con stupore che, se da una parte le commissioni tributarie ed il Ministero
dell'Economia e Finanze si esprimono in ossequio ai principi del legislatore del
1992, prevedendone la dicotomia POSSESSO ED UTILIZZO, la Corte Costituzionale e
la Corte di Cassazione se ne discostano, riconoscendo l'esenzione solo a quei
"No Profit" che oltre ad essere utilizzatori siano anche possessori.
Va da se che
termine più aleatorio nel diritto civile è quello del POSSESSO, ma in questo
caso si intende PROPRIETA' O USUFRUTTO, e non COMODATO.
Il
Legislatore, con la sua profonda saggezza, ha insistito sul punto, in ossequio
ai fini solidaristici costituzionali.
Per la legge di bilancio di previsione dello
Stato per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio
2020-2022, n. 160/2019, nell'art. 1, comma 777. “Ferme restando le facoltà di
regolamentazione del tributo di cui all'articolo 52 del decreto
legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, i comuni possono con proprio regolamento:
(…)
e) stabilire l'esenzione dell'immobile dato
in comodato gratuito al comune o ad altro ente territoriale, o ad
ente non commerciale, esclusivamente per l'esercizio dei rispettivi
scopi istituzionali o statutari”.
Questa è una Interpretazione autentica:
Proviene dallo stesso soggetto che ha emanato la norma, al fine di eliminare
incertezze e dubbi. Essendo contenuta in un atto avente forza di legge è
vincolante per tutti; alla norma in questione non sarà più attribuibile un
significato diverso da quello fissato dalla legge interpretativa.
Questa è una interpretazione EVOLUTIVA E’
necessario interpretare una disposizione normativa non solo facendo riferimento
al contesto passato in cui è stata emanata ma anche a quello attuale in cui è in
vigore.
Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza del 10.03.2020, n. 6752. E' bene
al riguardo rammentare che l'attività ermeneutica, in consonanza con i criteri
legislativi di interpretazione dettati dall'art. 12 preleggi, deve essere
condotta innanzitutto e principalmente, mediante il ricorso al criterio
letterale; il primato dell'interpretazione letterale è, infatti, costantemente
ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (vedi ex multis, Cass. 4/10/2018 n.
241651 , Cass. 21/5/2004 n. 97002 , Cass. 13/4/2001 n. 3495) secondo cui
all'intenzione del legislatore, secondo un'interpretazione logica, può darsi
rilievo nell'ipotesi che tale significato non sia già tanto chiaro ed univoco da
rifiutare una diversa e contraria interpretazione. Alla stregua del ricordato
insegnamento, l'interpretazione da seguire deve essere, dunque, quella che
risulti il più possibile aderente al senso letterale delle parole, nella loro
formulazione tecnico giuridica.
Inoltre la mancata applicazione dell’art. 1, comma 777, della legge
160/2019 comporta la violazione
dell’art. 3 della Costituzione. L’ampia discrezionalità concessa ai
singoli Comuni circa la possibilità di esentare da IMU – o meno – gli
immobili concessi in comodato unita all’assenza di criteri univoci utili a
garantire un trattamento di eguaglianza nei confronti degli enti interessati,
potrebbe portare disparità di trattamento - verso gli immobili concessi in
comodato - per i diversi contribuenti che risiedono all’interno di un raggio
territoriale limitato a pochi km di distanza l’un l’altro, ovvero ad eventuali
calcoli di convenienza tra le parti nello svolgere le proprie attività in
territori comunali con immobili ad “esenzione garantita” a favore del comodante,
verso il quale sarebbe auspicabile un chiarimento sia a livello legislativo,
oltre che di prassi, al fine di evitare il proliferarsi di eventuali contenziosi
nei confronti dei Comuni interessati a non concedere il beneficio agevolativo di
esenzione in parola.
CONSIDERATO CHE
Visto l'art. 7
comma 1 lett. I del DLgs 504/1992;
Visto l'art. 9
comma 8 del Dlgs 23/2011;
Visto l'art. 1
comma 3 del Dl 16/2014;
Visto l'art. 5
del Regolamento per l'applicazione dell'Imposta Municipale Propria,
approvato con Delibera del Consiglio Comunale di Avetrana (TA);
Visto
l'art. 1 comma 759 e comma 777 della
legge di bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e
bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022, n. 160/2019.
Visto
l’articolo 1, comma 3 D.L. 16/2014.
Vista la
giurisprudenza che sul tema si è pronunciata fissando, ai fini dell'esenzione
dai tributi IMU e TASI, la condizione dell'esclusivo possesso e utilizzo del
soggetto esente ed ha escluso l'applicabilità di IMU e TASI sugli immobili dati
in comodato d'uso ad enti non commerciali;
Visto il mutamento
dell'orientamento legislativo in ambito di esenzione IMU e TASI, allargandone i
casi oltre al solo possesso degli immobili da parte dei soggetti esenti,
estendendone gli ambiti anche ai casi di semplice comodato d'uso.
Accertati i
principi previsti dal legislatore a tutela della solidarietà in attuazione
dell’art. 2 della Costituzione (dovere di solidarietà) e 3 (principio di
uguaglianza).
Vista la
finalità sociale e senza fini di lucro dell'Associazione Contro Tutte le Mafie,
come da atto costitutivo, regolamento e iscrizione all'anagrafe delle ONLUS;
Visto il
possesso nonché utilizzo esclusivo da parte dell'Associazione Contro
Tutte le Mafie (di cui il dott. Antonio Giangrande è presidente) dell'immobile
in via Piave 127 (di cui il dott. Antonio Giangrande è usufruttuario), ove
ha sede legale e dove svolge le proprie attività sociali e senza scopo di lucro,
così come già attestato con Dichiarazione IMU-TASI del 27 aprile 2015, Prot.
Comune Avetrana n. 9708396;
I provvedimenti
-
n. 550 del
17/11/2020 Imposta Municipale Propria (IMU) 2015 su immobile sito in via Piave
127, Avetrana (TA), inviato in data 31/12/2020 e ricevuto in data 07/01/2021;
-
n. 1240 del
17/11/2020 Tassa sui Servizi Indivisibili (TASI) 2015 su immobile sito in via
Piave 127, Avetrana (TA), inviato in data 31/12/2020 e ricevuto in data
07/01/2021;
sono illegittimi
e/o infondati per la mancata applicazione dell'esenzione dal tributo IMU e TASI
dell'immobile sito in via Piave 127, Avetrana (TA).
CHIEDE
ai sensi dell’art.
2-quater del D.L. 30 settembre 1994,
n. 564, come modificato dall’art. 27 della Legge
18 febbraio 1999, n. 28, che codesto Ufficio riesamini le ragioni del
proprio operato e provveda, in autotutela, all’annullamento degli avvisi di
accertamento n. 550/2020 e 1240/2020, previa sospensione degli effetti
dell'atto e consapevole che questa richiesta non sospende i termini per la
proposizione del ricorso alla
Commissione Tributaria. Inoltre
DICHIARA
-
di essere informato
che, ai sensi e per gli effetti del Dlgs 196/2003, i dati personali raccolti
saranno trattati, anche con strumenti informatici, esclusivamente nell'ambito
del procedimento per il quale la dichiarazione viene resa;
-
di essere
consapevole che in caso di dichiarazioni false si rendono applicabili le
sanzioni civili e penali previste per legge.
DELEGO
alla presentazione
di tale richiesta l'Avv. Mirko Giangrande, del Foro di Taranto, con sede in
Avetrana (TA) via Manzoni n. 51, cui allega fotocopia della carta d'identità n°
AT1360879 rilasciata il 06/10/2011 dal Comune di Avetrana
Allegati:
1)
Avviso di
accertamento IMU n. 550 del 17/11/2020;
2)
Avviso di
accertamento TASI n. 1240 del 17/11/2020;
3)
Provvedimento
iscrizione anagrafe ONLUS dell'Associazione Contro Tutte le Mafie;
4)
Nota di
Trascrizione Agenzia del Territorio;
5)
Atto di
costituzione dell'Associazione Contro Tutte le Mafie;
6)
Dichiarazione IMU –
TASI 2015
7)
Fotocopia carta
d'identità del dott. Antonio Giangrande
8)
Fotocopia carta
d'identità dell'Avv. Mirko Giangrande
Avetrana, lì
12/01/2021
Dott. Antonio Giangrande
Avv. Mirko
Giangrande
Scandalo è l’inciampo che capita ma solo
quando viene scoperto. Pubblicato
mercoledì, 24 luglio 2019 su Corriere.it. Prendiamoci un momento di riflessione,
allontaniamo l’oggetto che stiamo osservando, per coglierne meglio il profilo e
la struttura, facciamo professione di umiltà, evitando di dare per acquisito e
scontato il significato di parole che maneggiamo con tanta superficialità e
leggerezza. Oggi conviene fermarsi un momento a ragionare su «scandalo». Parola
di apparente semplicità, scandalo offre una genealogia chiara, dal padre latino
scandălum, al nonno greco skandalon, nel significato di ostacolo, insidia,
inciampo. Ai nostri occhi il significato si è affinato, concentrandosi
sull’azione immorale o illegale che crea un turbamento, aggravato se i
protagonisti sono personaggi noti. La prima considerazione su questa parola è
senz’altro legata al turbamento che provoca. Questo infatti è essenziale, ma si
manifesta solo quando la malefatta in questione viene conosciuta. Rubare è un
reato per la legge, un’azione riprovevole per la morale, un peccato per i
credenti. Ma diventa uno scandalo solo se ti scoprono. Comprensibile quindi che
questo particolare «inciampo» sia protagonista di innumerevoli modi di dire, a
cominciare da «essere la pietra dello scandalo», nel senso di essere il primo a
dare cattivo esempio; «dare scandalo», essere protagonisti di atteggiamenti
riprovevoli (vedete come torna l’aspetto pubblico); «essere motivo di scandalo»,
come sopra; «gridare allo scandalo», alzare i commenti additando un
comportamento che si condanna. Esiste poi l’uso della parola come espressione di
riprovazione e sdegno: per cui quel film o quel libro che si reputano
particolarmente brutti o offensivi, ai nostri occhi sono «uno
scandalo». L’aspetto pubblico dello scandalo l’ha legato da sempre alla
notorietà dei protagonisti (dal pettegolezzo agli aspetti più seri) e a quel
mondo di illegalità legato alla politica, alla gestione (o mala gestione) della
cosa pubblica che ci riguarda tutti. È il caso delle inchieste sulle tangenti
pagate a politici e amministratori infedeli rispetto al loro mandato e ai
processi che ne sono scaturiti. Scandali che hanno preso i nomi più diversi: il
più noto è Tangentopoli, termine coniato a Milano nel 1992 per descrivere un
diffuso sistema di corruzione. Ora se Tangentopoli è una parola arditamente
composta col suffissoide -poli per indicare la «città delle tangenti» l’uso
giornalistico successivo è tutto da ridere: in parole come sanitopoli o
calciopoli il suffissoide -poli non significa più «città» ma semplicemente
«corruzione». Abbiamo visto come scandalo si porti dietro, dal momento della sua
rivelazione, un condiviso moto di sdegno. Ma i motivi che spingono l’opinione
pubblica a sdegnarsi non sono affatto sempre gli stessi. Cambiano i costumi,
cambia (per fortuna, in molti casi) la morale, cambiano i motivi che la
disturbano. Cambia la percezione stessa dei comportamenti che danno scandalo.
Per esempio, il 24 luglio 1974 la Corte Suprema degli Stati Uniti sentenziò
all’unanimità che il Presidente Richard Nixon non aveva l’autorità per
trattenere i nastri della Casa Bianca sullo scandalo Watergate e gli intimò di
consegnarli al procuratore speciale che indagava sul caso. Quei nastri
dimostrarono che Richard Nixon aveva mentito, circostanza considerata
intollerabile per l’opinione pubblica americana e che portarono il Presidente
degli Stati Uniti a dimettersi il 9 agosto successivo.
A discrezione del giudice. Ordine e
disordine: una prospettiva "quantistica".
Libro di Roberto Bin edizione 2014 pp. 114, Franco Angeli Editore. Ci può
essere una teoria dell’interpretazione giuridica che riduca la discrezionalità
dei giudici? Migliaia di libri sono stati scritti per elaborare teorie, regole e
principi che dovrebbero arginare l’inevitabile discrezionalità degli interpreti
delle leggi e garantire un certo grado di oggettività. Questo libro, rivolto
agli operatori del diritto e a tutti i lettori colti, suggerisce un’altra
strada.
Presentazione del volume. La discrezionalità
del giudice nell'applicazione delle leggi è un problema noto a tutti i sistemi
moderni, specie ora che i giudici si trovano ogni giorno ad applicare
direttamente principi tratti dalla Costituzione e persino da altri ordinamenti.
Sempre più spesso le valutazioni del giudice sembrano prive di briglie, libere
di svolgersi secondo convinzioni personali, piuttosto che nell'alveo dei criteri
fissati dal legislatore. Ogni sistema giuridico ha il suo metodo per scegliere e
istituire i giudici, ma in nessun sistema è ammesso che essi operino in piena
libertà, liberi di creare diritto a loro piacimento. Il legislatore è l'unica
autorità che può vantare una piena legittimazione democratica, per cui ogni
esercizio di potere pubblico che non si leghi saldamente alle sue indicazioni
appare arbitrario e inaccettabile. Migliaia di libri sono stati scritti per
elaborare teorie, regole e principi che dovrebbero arginare l'inevitabile
discrezionalità degli interpreti delle leggi e garantire un certo grado di
oggettività. Ma la fisica quantistica ci suggerisce di procedere per altra via,
di inseguire altri obiettivi e di accettare una visione diversa della verità
oggettiva.
Roberto Bin si è formato nell'Università di
Trieste e ha insegnato in quella di Macerata. Attualmente è ordinario di Diritto
costituzionale nell'Università di Ferrara. È autore di alcuni fortunati manuali
universitari e di diversi libri e saggi scientifici.
Affidati alla sinistra.
Dove c'è l'affare li ci sono loro: i sinistri.
La lotta alla mafia è un business con i finanziamenti pubblici e
l'espropriazione proletaria dei beni.
I mafiosi si inventano, non si combattono.
L'accoglienza dei migranti è un business con i finanziamenti pubblici.
Accoglierli è umano, andarli a prendere è criminale.
L'affidamento dei minori è un business con i finanziamenti pubblici.
Toglierli ai genitori naturali e legittimi è criminale.
Il Civil Law, ossia il nostro Diritto, è
l’evoluzione dell’intelletto umano ed ha radici antiche, a differenza del Common
Law dei paesi anglosassoni fondato sull’orientamento politico momentaneo.
Il Diritto Romano, e la sua evoluzione, che
noi applichiamo nei nostri tribunali contemporanei non è di destra, né di
centro, né di sinistra. L’odierno diritto, ancora oggi, non prende come esempio
l’ideologia socialfasciocomunista, né l’ideologia liberale. Esso non prende
spunto dall’Islam o dal Cristianesimo o qualunque altra confessione religiosa.
Il nostro Diritto è Neutro.
Il nostro Diritto si affida, ove non
previsto, al comportamento esemplare del buon padre di famiglia.
E un Buon Padre di Famiglia non vorrebbe mai
che si uccidesse un suo figlio: eppure si promuove l’aborto.
E un Buon Padre di Famiglia vorrebbe avere
dei nipoti, eppure si incoraggia l’omosessualità.
E un Buon Padre di Famiglia vorrebbe
difendere l’inviolabilità della sua famiglia, della sua casa e delle sue
proprietà, eppure si agevola l’invasione dei clandestini.
E un Buon Padre di Famiglia vorrebbe che la
Legge venisse interpretata ed applicata per soli fini di Giustizia ed Equità e
non per vendetta, per interesse privato o per scopi politici.
Mi spiace. Io sono un evoluto Buon Padre di
Famiglia.
L'Astensionismo al voto ed i fessi e gli
indefessi della sinistra: La Democrazia è cosa mia...
Maledetta ideologia comunista. Con tutti i
problemi che attanagliano l'Italia, i sinistri, ben sapendo che nessun italiano
più li voterà, pensano bene di farci invadere per raggranellare dai clandestini
i voti che, aggiunti a quelle delle altre minoranze LGBTI, gli permettono
di mantenere il potere.
I berlusconiani e la cosiddetta Destra, poi,
per ammaliare l'altra sponda elettorale, scimmiottano rimedi che nulla cambiano
in questa Italia che è tutta da cambiare. Da vent'anni denuncio quelle anomalie
del sistema, che in questi giorni escono fuori con gli scandali riportati dalle
notizie stampa. Tutte quelle mafie insite nel sistema.
Si fa presto a dire liberali, dove liberali
non ce ne sono. Se ci fossero cambierebbero le cose in modo radicale, partendo
dalla Costituzione Catto comunista, fondata sul Lavoro e non sulla Libertà.
Libertà, appunto, bandiera dei liberali.
Nei momenti emergenziali in tutti gli altri
Paesi v'è un intento comune, anche se solo in apparenza. Politica e media
accomunati da un interesse supremo. Invece, in Italia, ci sono sempre i
distinguo, usati dall'estero contro noi stessi per danneggiarci sull'export,
dando un'immagine distorta e denigratoria. Così come fanno i polentoni italiani
rispetto al Sud Italia, disinformazione attuata dai media nordisti e dai
giornalisti masochisti e rinnegati meridionali. In una famiglia normale si è
sempre solidali nei momenti del bisogno e traspare sempre un'apparente unità.
Solo in Italia i Caini hanno la loro rilevanza mediatica, facendoci apparire
all'estero come macchiette da deridere ed oltraggiare.
Gli italiani voltagabbana. Al tempo del
fascismo: tutti fascisti. Dopo la guerra: tutti antifascisti.
Prima di Tangentopoli: tutti democristiani e
Socialisti. Dopo Mani Pulite: tutti comunisti.
E il perché lo ha spiegato cinquecentosei
anni fa Niccolò Machiavelli in un passaggio del Principe: «El populo, vedendo
non poter resistere a' grandi, volta la reputazione ad uno, e lo fa principe,
per essere con la sua autorità difeso». Ecco quello che vogliono gli italiani.
Vogliono qualcuno che li salvi, che li assista, che li difenda. Ed al contempo
il popolo italiano ha l' attitudine a diffidare del Governo, a non parlarne mai
bene, e tuttavia ad affidarsene, non avendo la forza di fare da sé, e di
aspettarsi che il governo si occupi di ogni cosa e risolva ogni cosa. Si buttano
immancabilmente a obbedire - questa è di Giuseppe Prezzolini - al prestigio
personale e alle capacità di interessare sentimentalmente o materialmente la
folla. E come si erano incapricciati, così si annoiano e poi si imbestialiscono,
perché infine nessuno è capace di salvargliela la pelle. Lo diceva il più bravo
di tutti: l'adulatore sarà il calunniatore.
In questo momento è bene ricordare la teoria
politica di Cicerone (106 a.C.43)
1 il povero lavora
2 il ricco sfrutta il povero
3 il soldato li difende tutti e due
4 il contribuente paga per tutti e tre
5 il vagabondo si riposa per tutti e quattro
6 l’ubriacone beve per tutti e cinque
7 il banchiere li imbroglia tutti e sei
8 l’avvocato li inganna tutti e sette
9 il medico li accoppa tutti e otto
10 il becchino li sotterra tutti e nove
11 il politico campa alle spalle di tutti e
dieci.
Il grande filosofo e uomo politico romano con
la sua sagacia e ironia ha in poche ma efficaci parole, riassunto l’opinione che
molti oggi hanno della politica.
E nel caso la teoria politica non fosse sua,
allora la faccio mia.
Dunque, è questa vita irriconoscente che ha
bisogno del mio contributo ed io sarò sempre disposto a darlo, pur nella
indifferenza, insofferenza, indisponenza dei coglioni.
Anzichè far diventare ricchi i poveri con
l'eliminazione di caste (burocrati parassiti) e lobbies (ordini professionali
monopolizzanti), i cattocomunisti sotto mentite spoglie fanno diventare poveri i
ricchi. Così è da decenni, sia con i governi di centrodestra, sia con quelli di
centrosinistra.
L’Italia invasa dai migranti economici con il benestare della sinistra. I
Comunisti hanno il coraggio di cantare con i clandestini: “. ..una mattina mi
son svegliato ed ho trovato l’invasor…” Bella Ciao
Quel che si rimembra non muore mai. In effetti il fascismo rivive non negli atti
di singoli imbecilli, ma quotidianamente nell’evocazione dei comunisti.
«È un paese così diviso l’Italia, così fazioso, così avvelenato dalle sue
meschinerie tribali! Si odiano anche all’interno dei partiti, in Italia. Non
riescono a stare insieme nemmeno quando hanno lo stesso emblema, lo stesso
distintivo, perdio! Gelosi, biliosi, vanitosi, piccini, non pensano che ai
propri interessi personali. Alla propria carrieruccia, alla propria gloriuccia,
alla propria popolarità di periferia. Per i propri interessi personali si fanno
i dispetti, si tradiscono, si accusano, si sputtanano... Io sono assolutamente
convinta che, se Usama Bin Laden facesse saltare in aria la torre di Giotto o la
torre di Pisa, l’opposizione darebbe la colpa al governo. E il governo darebbe
la colpa all’opposizione. I capoccia del governo e i capoccia dell’opposizione,
ai propri compagni e ai propri camerati. E detto ciò, lasciami spiegare da che
cosa nasce la capacità di unirsi che caratterizza gli americani. Nasce dal loro
patriottismo.» — Oriana Fallaci, La Rabbia e l'Orgoglio
I fratelli coltelli del Socialismo:
I Comunisti-Stalinisti per l’apologia dello statalismo extraterritoriale
(mondialismo);
I Fascisti-Leninisti-Marxisti come classisti-nazionalisti (sovranismo).
TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe
ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può
farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od
anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo
infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o
tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a
ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che
lo sopporta, è schiavo. Vittorio Alfieri (1790).
Se a destra son coglioni sprovveduti, al
centro son marpioni, a sinistra “So camburristi”. Ad Avetrana, come in tutto il
sud Italia c’è un detto: “si nu camburrista”. "Camburrista" viene dalla parola
italiana "camorra" e non assume sempre il significato di "mafioso, camorrista"
ma soprattutto di "persona prepotente, dispettosa, imbrogliona, che raggira il
prossimo, che impone il suo volere direttamente, o costringendo chi per lui, con
violenza, aggressività, perseveranza, pur essendo la sua volontà espressione del
torto (non della ragione) del singolo o di una ristretta minoranza chiassosa ed
estremamente visibile.
Nella sua canzone "La razza in estinzione"
(2001), l'artista italiano Giorgio Gaber (Milano, 1939 - Montemagno di Camaiore,
2003) critica tutto e tutti e afferma: "la mia generazione ha perso".
La Razza In Estinzione testo Album: La Mia
Generazione Ha Perso.
Non mi piace la finta allegria
non sopporto neanche le cene in compagnia
e coi giovani sono intransigente
di certe mode, canzoni e trasgressioni
non me ne frega niente.
E sono anche un po' annoiato
da chi ci fa la morale
ed esalta come sacra la vita coniugale
e poi ci sono i gay che han tutte le ragioni
ma io non riesco a tollerare
le loro esibizioni.
Non mi piace chi è troppo solidale
e fa il professionista del sociale
ma chi specula su chi è malato
su disabili, tossici e anziani
è un vero criminale.
Ma non vedo più nessuno che s'incazza
fra tutti gli assuefatti della nuova razza
e chi si inventa un bel partito
per il nostro bene
sembra proprio destinato
a diventare un buffone.
Ma forse sono io che faccio parte
di una razza
in estinzione.
La mia generazione ha visto
le strade, le piazze gremite
di gente appassionata
sicura di ridare un senso alla propria vita
ma ormai son tutte cose del secolo scorso
la mia generazione ha perso.
Non mi piace la troppa informazione
odio anche i giornali e la televisione
la cultura per le masse è un'idiozia
la fila coi panini davanti ai musei
mi fa malinconia.
E la tecnologia ci porterà lontano
ma non c'è più nessuno che sappia l'italiano
c'è di buono che la scuola
si aggiorna con urgenza
e con tutti i nuovi quiz
ci garantisce l'ignoranza.
Non mi piace nessuna ideologia
non faccio neanche il tifo per la democrazia
di gente che ha da dire ce n'è tanta
la qualità non è richiesta
è il numero che conta.
E anche il mio paese mi piace sempre meno
non credo più all'ingegno del popolo italiano
dove ogni intellettuale fa opinione
ma se lo guardi bene
è il solito coglione.
Ma forse sono io che faccio parte
di una razza
in estinzione.
La mia generazione ha visto
migliaia di ragazzi pronti a tutto
che stavano cercando
magari con un po' di presunzione
di cambiare il mondo
possiamo raccontarlo ai figli
senza alcun rimorso
ma la mia generazione ha perso.
Non mi piace il mercato globale
che è il paradiso di ogni multinazionale
e un domani state pur tranquilli
ci saranno sempre più poveri e più ricchi
ma tutti più imbecilli.
E immagino un futuro
senza alcun rimedio
una specie di massa
senza più un individuo
e vedo il nostro stato
che è pavido e impotente
è sempre più allo sfascio
e non gliene frega niente
e vedo anche una Chiesa
che incalza più che mai
io vorrei che sprofondasse
con tutti i Papi e i Giubilei.
Ma questa è un'astrazione
è un'idea di chi appartiene
a una razza
in estinzione.
Classifica popoli più ignoranti al mondo,
Italia prima in Europa, scrive
Alessandro Cipolla sumoney.it il 23 Agosto 2018. Secondo l’annuale classifica di
IPSOS Mori sull’ignoranza dei popoli, l’Italia risulta essere la dodicesima al
mondo e la prima in Europa. Continuano a non sorridere le classifiche
all’Italia. Dopo quella sulla corruzione redatta da Transparency International
che ci vede al 54° posto (tra le peggiori in Europa), anche sul tema
dell’ignoranza il Bel Paese occupa una posizione poco onorevole. Ma veramente
gli italiani sono un popolo di ignoranti? La storia in teoria ci insegnerebbe il
contrario, ma ogni anno la classifica stilata da IPSOS Mori ci vede ai primi
posti di questa speciale graduatoria che si basa sulla distorta percezione della
realtà che ci circonda.
Italia nazione più ignorante d’Europa. Ogni
anno IPSOS Mori, importante azienda inglese di analisi e ricerca di mercato,
stila puntualmente una classifica su quelli che sarebbero i popoli più ignoranti
al mondo chiamata “Perils of Perception”, letteralmente “Pericoli della
Percezione”. L’indagine si basa su delle interviste a campione a 11.000 persone
per ogni nazione, alle quali vengono sottoposte delle domande su
delle statistiche comuni che riguardano il proprio paese. Per esempio
nella ricerca del 2017, l’ultima pubblicata, veniva chiesto se gli omicidi nel
proprio paese fossero aumentati o diminuiti rispetto al 2000. Oppure se gli
attacchi terroristi siano aumentati dopo l’11 Settembre o quanta gente soffra di
diabete. In base al grado di errore nel dare le risposte, IPSOS Mori stila la
sua classifica che nel 2014 ci vedeva come il popolo più ignorante al mondo. In
quella del 2017 invece l’Italia è al dodicesimo posto, prima tra le nazioni
europee.
Una percezione distorta della realtà.
Leggendo la classifica e guardando i criteri di indagine, si capisce che non si
deve confondere il termine “ignorante” con poco istruito o analfabeta, ma invece
che ignora la realtà che lo circonda. Il termine “misperceptions” infatti con
cui viene presentata la classifica generale significa “percezione erronea”. Gli
italiani quindi secondo IPSOS Mori non conoscono a sufficienza quello
che realmente accade nel proprio paese. Prendiamo a esempio la domanda
sugli omicidi che rispetto al 2000 sono diminuiti in Italia del 39%. Per il 49%
degli intervistati invece il numero sarebbe aumentato, per il 35% sarebbe lo
stesso mentre solo l’8% ha risposto in maniera giusta. Non è un caso che, stando
ai numeri forniti dal Viminale a ferragosto, i reati nel nostro paese sono in
diminuzione così come gli sbarchi degli immigrati, ma al contrario la percezione
di insicurezza e l’idea della “invasione” prendono sempre più piede tra gli
italiani. Nell’epoca delle fake news gli italiani quindi sembrerebbero conoscere
sempre meno cosa succede nel proprio paese, una situazione che poco si addice a
un popolo che con la sua intelligenza ha avuto un ruolo fondamentale nella
storia del mondo. Mala tempora currunt.
Bisogna studiare.
Bisogna cercare le fonti credibili ed
attendibili per poter studiare.
Bisogna studiare oltre la menzogna o
l’omissione per poter sapere.
Bisogna sapere il vero e non il falso.
Bisogna non accontentarsi di sapere il falso
per esaudire le aspirazioni personali o di carriera, o per accondiscendere o
compiacere la famiglia o la società.
Bisogna sapere il vero e conoscere la verità
ed affermarla a chi è ignorante o rinfacciarla a chi è in malafede.
Studiate “e conoscerete la verità, e la
verità vi renderà liberi” (Gesù. Giovanni 8:31, 32).
Studiare la verità rende dotti, saggi e
LIBERI!
Non studiare o non studiare la verità rende
schiavi, conformi ed omologati.
E ciò ci rende cattivi, invidiosi e
vendicativi.
Fa niente se studiare il vero non è un
diritto, ma una conquista.
Vincere questa guerra dà un senso alla nostra
misera vita.
LE
IDEOLOGIE ANTIUOMO.
SOCIALISMO:
Lavoro ed assistenzialismo, ambiente, libertà
sessuale e globalizzazione sono i miti dei comunisti. Moralizzatori sempre col
ditino puntato
Dio, Patria e Famiglia sono i miti dei
fascisti. Oppressori.
Sovranismo e populismo sono i miti dei
leghisti.
Assistenzialismo, populismo e complottismo
sono i miti dei 5 stelle.
LIBERALISMO (LIBERISMO):
Egoismo e sopraffazione sono i miti dei
liberali.
ECCLESISMO:
Il culto di Dio e della sua religione è il
mito degli ecclesiastici.
MONARCHISMO:
Il culto del Sovrano.
Nessuna di queste ideologie è fattrice
rivoluzionaria con l'ideale della Libertà, dell'Equità e della Giustizia.
Per il Socialismo le norme non bastano mai
per renderti infernale la vita, indegna di essere vissuta.
Per il Liberalismo occorrono poche norme
anticoncorrenziali per foraggiare e creare l'elìte.
Per Dio bastano 10 regole per essere un buon
padre di famiglia.
Per il sovrano basta la sua volontà per
regolare la vita dei sottoposti.
Noi, come essere umani, dovremmo essere
regolati dal diritto naturale: Libertà, Equità e Giustizia.
Liberi di fare quel che si vuole su se stessi
e sulla propria proprietà.
Liberi di realizzare le aspettative secondo i
propri meriti e capacità.
Liberi di rispettare e far rispettare leggi
chiare che si contano su due mani: i 10 comandamenti o similari. Il deviante
viene allontanato.
Il Papa: per eliminare la fame nel mondo non
bastano gli slogan. Francesco ha inaugurato il Consiglio dei governatori del
Fondo delle Nazioni Unite per lo sviluppo agricolo a Roma (Ifad) e incontra una
delegazione di popolazioni indigene, scrive il 14/02/2019 Iacopo Scaramazzi su
La Stampa. Il Papa ha caldeggiato lo «sviluppo rurale» per combattere la fame e
la povertà, sottolineando la necessità di «garantire che ogni persona e ogni
comunità possano utilizzare le proprie capacità un modo pieno, vivendo così una
vita umana degna di tale nome», e facendo appello affinché i popoli e le
comunità siano «responsabili della proprio produzione e del proprio progresso»
poiché «quando un popolo si abitua alla dipendenza, non si sviluppa».
Questo vale per tutte quelle categorie di
lavoratori che protestano per avere aiuti e sostegno anticoncorrenziale che
porta al demerito improduttivo. E vale anche per i meridionali d’Italia.
Insistere nel pretendere aiuto e non far nulla per migliorarsi.
L’assistenzialismo socialista ha prodotto gli
statali, che dalla loro privilegiata posizione improduttiva, impongono stili di
vita utopistici e demagogici. Questi dipendenti pubblici, spesso scolastici o
sanitari, da capipopolo, fomentano le masse per inibire l’industrializzazione
sostenibile e lo sviluppo turistico tollerabile, che portano sviluppo economico
e sociale, in nome di un fantomatico ecologismo talebano, per poi costringer le
masse ideologizzate, paradossalmente, ad essere costrette ad emigrare in posti
altamente inquinati, o a villeggiare in posti meno allettanti.
Papa Francesco: "È il lavoro a dare speranza,
non l'assistenzialismo", scrive il 15 giugno 2018 La Repubblica. "La speranza in
un futuro migliore passa sempre dalla propria attività e intraprendenza, quindi
dal proprio lavoro, e mai solamente dai mezzi materiali di cui si dispone. Non
vi è alcuna sicurezza economica, né alcuna forma di assistenzialismo, che possa
assicurare pienezza di vita e realizzazione". Lo ha detto papa Francesco
nell'udienza con i Maestri del Lavoro. "Non si può essere felici - ha aggiunto
Bergoglio - senza la possibilità di offrire il proprio contributo, piccolo o
grande, alla costruzione del bene comune". Per questo "una società che non si
basi sul lavoro, che non lo promuova, e che poco si interessi a chi ne è
escluso, si condannerebbe all'atrofia e al moltiplicarsi delle disuguaglianze".
Mentre la società che cerca di mettere a frutto le potenzialità di ciascuno è
quella che "respirerà davvero a pieni polmoni, e potrà superare gli ostacoli più
grandi, attingendo a un capitale umano pressoché inesauribile, e mettendo ognuno
in grado di farsi artefice del proprio destino".
La dittatura dell’ignoranza.
«Uno uguale uno» significa annullare la competenza. E si finisce come in
Venezuela..., scrive Francesco Alberoni, Domenica 10/02/2019 su Il Giornale.
L'altra sera ho assistito ad un dibattito televisivo che mi ha molto
impressionato. Non dirò dove l’ho visto, ma sarebbe potuto avvenire su qualunque
rete. Erano presenti quattro persone, due grandi giornalisti esperti di economia
e due donne (ma potevano essere due uomini) che non ne sapevano niente,
assolutamente niente. Il risultato è stato che le persone che non sapevano
niente sono riuscite a surclassare, rendere muti, quelli che sapevano. In che
modo? Gridando le loro stupidaggini come verità incontrovertibili e scartando
tutte le obiezioni serie con un gesto di rifiuto. Poi citavano fatti
inesistenti, cifre inventate, con la sicurezza dogmatica che solo l’ignorante
fanatico può avere. Ripetevano slogan detti dai loro capi, luoghi comuni che
circolano su internet dove ciascuno racconta le frottole che vuole. Ed ho
pensato che il popolo da solo non può governarsi perché da solo finisce in balia
di demagoghi spregiudicati, di fanatici, talvolta di squilibrati e viene
istupidito con menzogne, false notizie. Come è successo col comunismo, col
nazismo e col fascismo. Mi viene in mente il fascismo quando il Duce chiedeva:
«Volete burro o cannoni?» e la gente rispondeva ottusamente «Cannoni» o, alla
domanda «Volete la vita comoda?» rispondeva «No!». Ed è successo lo stesso
quando la folla gridava «Barabba» al posto di Gesù Cristo, o quella che
applaudiva quando ghigliottinavano Lavoisier, il padre della chimica moderna. Il
popolo ha bisogno di gente che sa, di studiosi, di giornalisti, di politici
esperti che insegnano a ragionare e garantiscono una informazione corretta.
Allora il popolo può decidere liberamente. Ma non può farlo quando viene
informato da gente che non sa, che mente. Pericle aveva saggiamente evitato la
guerra con Sparta, ma dopo la sua morte, il popolo ateniese seguì gli esaltati
che la scatenarono e Atene fu sconfitta. Noi oggi in Italia non siamo in una
situazione diversa. Si è diffusa l’idea che «uno è uguale a uno» cioè che abbia
lo stesso valore l’idea del più ignorante rispetto a chi sa. E si è prodotta una
confusione mentale pericolosa. Sono le situazioni in cui i Paesi prendono strade
folli, e vanno in malora come è successo in Venezuela.
Oltretutto in tv o sui giornali non si fa
informazione o cultura, ma solo comizi propagandistici ideologici.
PREMESSA:
LA CENSURA.
Se
questi son giornalisti...
Io, senza alcun
Potere di intervento, non posso dare aspettative. Tantomeno non posso smuovere
le acque con i fari mediatici, che a me mancano.
Io non sono un
giornalista, che si deve attenere alla verità, attinenza e continenza ed
all’interesse pubblico. Ergo, non posso e non voglio pubblicare inediti, pur
potendo pubblicare le stesse denunce penali o altri atti pubblici pubblicabili.
Non è la prima volta che il beneficiario, ingrato, si è rivoltato contro ed ha
chiesto l’anonimato, o con minacce, il ritiro del pubblicato per paura di
ritorsioni a lui rivolte.
Come sociologo, al
fine di studio o di discussione, per critica storica o per inchiesta, posso
approfondire e comparare un caso ad altri casi già trattati, per elevarli ad
anomalia del sistema. Questi casi, con me, hanno una notorietà che ad essi in
origine manca e comunque creo un precedente utile a tutti.
In questo caso i
soggetti originali non possono impedirne la pubblicazione, né il pubblicato può
essere da loro ritirato.
In conclusione
posso dire che non vi è alcun legame con le parti e la pubblicazione, credibile,
attendibile, affidabile ed incontestabile, avviene per amor di Verità.
E’ una cautela
legale e di opportunità al fine di tutelarmi dai mitomani e dai potenti.
In un mio saggio sulla mafia mi è sembrato
opportuno integrare, quanto già ampiamente scritto sul tema, con una
tesi-articolo pubblicato su "La Repubblica" da parte di un'autrice poco nota dal
titolo "La Mafia Sconosciuta dei Basilischi". Dacchè mercoledì 16 gennaio 2019
mi arriva una e-mail di diffida di questo tenore: qualche giorno fa mi sono resa
conto che senza nessuna tipologia di autorizzazione Lei ha fatto confluire il
mio abstract pubblicato da la Repubblica ad agosto 2017, in un suo libro "La
mafia in Italia" e forse anche in una seconda opera. Le ricordo che a norma
dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la
citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione
al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei
limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza
all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o
di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità
illustrative e per fini non commerciali." NB. In dottrina si evidenzia che “per
uso di critica” si deve intendere l’utilizzazione oggettivamente finalizzata ad
esprimere opinioni protette ex art. 21 e 33 della Costituzione e non, invece,
l’utilizzazione funzionale allo svolgimento di attività economiche ex art. 41
Cost. La sua opera essendo caratterizzata da fini di lucro, (viene venduta al
pubblico ad uno specifico prezzo) rientra a pieno in un'attività economica.
L'art 70 ut supra è, pertanto, pienamente applicabile al caso del mio
abstract, non rientrando neanche nel catalogo di articoli a carattere
"economico, politico o religioso", poichè da questi vengono escluse "gli
articoli di cronaca od a contenuto culturale, artistico, satirico, storico,
geografico o scientifico ", di cui all'art 65 della medesima legge (secondo
un'interpretazione estensiva della stessa), la cui riproduzione può avvenire in
"altri giornali e riviste, ossia in veicoli di informazione diretti ad un
pubblico generalizzato e non a singole categorie di utenti – clienti
predefinite." Pertanto La presente è per invitarLa ad eliminare nel più breve
tempo possibile il mio abstract dalla sua opera (cartecea e digitale), e laddove
sia presente, anche da altri eventuali suoi libri, e-book e cartacei, onde
evitare di dover adire le apposite sedi giudiziarie per tutelare il mio Diritto
d'Autore e pedissequamente richiedere il risarcimento dei danni.
La mia risposta: certamente non voglio
polemizzare e non ho alcun intendimento a dissertare di diritto con lei, che del
diritto medesimo ne fa una personalissima interpretazione, non avendo il mio
saggio alcun effetto anche potenzialmente concorrenziale dell'utilizzazione
rispetto al suo articolo. Nè tantomeno ho interesse a mantenere il suo articolo
nei miei libri di interesse pubblico di critica e di discussione. Libri a
lettura anche gratuita, come lei ha constatato, avendo trovato il suo articolo
liberamente sul web. Tenuto conto che altri sarebbero lusingati nell’essere
citati nelle mie opere, e in migliaia lo sono (tra i più conosciuti e
celebrati), e non essendoci ragioni di utilità per non farlo, le comunico con
mia soddisfazione che è stata immediatamente cancellata la sua tesi dai miei
saggi e per gli effetti condannata all’oblio. Saggi che continuamente sono
utilizzati e citati in articoli di stampa, libri e tesi di laurea in Italia ed
all’estero. E di questo ne sono orgoglioso, pur non avendone mai data
autorizzazione preventiva. Vuol dire che mi considerano degno di essere
riportato e citato e di questo li ringrazio infinitamente.
La risposta piccata è stata: Guardi mi sa che
parliamo due lingue diverse. Non ho dato nessuna interpretazione mia personale
del diritto, ma come può notare dalla precedente mail, mi sono limitata a
riportare il tenore letterale della norma, che lei forse ignora. Io credo che
molte persone, i cui elaborati sono stati interamente riprodotti nei suoi testi,
non siano assolutamente a conoscenza di quello che lei ha fatto. Anche perché
sono persone che conosco direttamente e con le quali ho collaborato e collaboro
tutt'ora. Di certo non sarà lei attraverso l'estromissione (da me richiesta)
dalle sue "opere" a farmi cadere in qualsivoglia oblio, poiché preferisco
continuare a collaborare con professionisti (quali ad esempio Bolzoni) che non
mettono in vendita libri che non sono altro che un insieme di lavori di altri,
come fa lei, ma che come me continuano a studiare ed analizzare questi fenomeni
con dedizione, perizia e professionalità. Ma non sto qui a disquisire e ad
entrare nel merito di determinate faccende che esulano la questio de quo. Spero
che si attenga a quanto scritto nella precedente mail.
A questo preme puntualizzare alcuni aspetti.
Il mio utilizzo dei contenuti
soddisfa i requisiti legali del fair use o del fair dealing ai sensi delle leggi
vigenti sul copyright. Le norme nazionali ed internazionali mi permettono di
manifestare il proprio pensiero, anche con la testimonianza di terzi e a tal
fine fare copie singole di parti di opere per ricerca e studio personale o a
scopo culturale o didattico.
Molti moralizzatori, sempre col ditino
puntato, pretendono di avere il monopolio della verità. Io che non aspiro ad
essere come loro (e di fatto sono orgoglioso di essere diverso) mi limito a
riportare i comizietti, le prediche ed i pistolotti di questi, contrapponendo
gli uni agli altri. A tal fine esercito il mio diritto di cronaca esente da mie
opinioni. D'altronde tutti i giornalisti usano riportare gli articoli di altri
per integrare il loro o per contestarne il tono o i contenuti.
Sono
Antonio Giangrande autore ed editore di centinaia di libri.
Io sono un giurista ed un blogger
d’inchiesta. Io esercito il mio diritto di cronaca e di critica. Diritto di
cronaca, dico, che non ha alcuna limitazione se non quella della verità,
attinenza-continenza, interesse pubblico. Diritto di cronaca su Stampa non
periodica. Per gli effetti ho diritto di citazione con congruo lasso di tempo e
senza ledere la concorrenza. All’uopo ho scritto decine di libri con centinaia
di pagine cadauno, basandomi su testimonianze e documenti credibili ed
attendibili, rispettando il diritto al contraddittorio, affrontando temi
suddivisi per argomento e per territorio, aggiornati periodicamente. Libri a
lettura anche gratuita. Non esprimo opinioni e faccio parlare i fatti e gli atti
con l’ausilio di migliaia di terzi, credibili e competenti, che sono ben lieti
di essere, pubblicizzati, riportati e citati nelle mie opere. Opere che
continuamente sono utilizzati e citati da terzi in articoli di stampa, libri e
tesi di laurea in Italia ed all’estero. E di questo ne sono orgoglioso, pur non
avendone mai data autorizzazione preventiva. Vuol dire che mi considerano degno
di essere riportato e citato e di questo li ringrazio infinitamente. Libri a
lettura anche gratuita. Il mio utilizzo dei contenuti soddisfa i requisiti
legali del fair use o del fair dealing ai sensi delle leggi vigenti sul
copyright. Le norme nazionali ed internazionali mi permettono di manifestare il
proprio pensiero, anche con la testimonianza di terzi e a tal fine fare copie
singole di parti di opere per ricerca e studio personale o a scopo culturale o
didattico.
Io sono un giurista ed un blogger
d’inchiesta. Opero nell’ambito dell’art. 21 della Costituzione che mi permette
di esprimere liberamente il mio pensiero. Nell’art. 65 della legge n. 633/1941
il legislatore sancisce la libertà di utilizzazione, riproduzione o
ripubblicazione e comunicazione al pubblico degli articoli di attualità, che
possiamo considerare come sinonimo di cronaca, in altre riviste o giornali.
Distinta dalla mera cronaca è l’inchiesta giornalistica, la quale parte da fatti
di cronaca per svolgere un’attività di indagine, c.d. “indagine giornalistica”,
con la quale il professionista si informa, chiede chiarimenti e spiegazioni.
Questa attività rientra nel c.d. “giornalismo investigativo” o “d’inchiesta”,
riconosciuto dalla Cassazione nel 2010 come “la più alta e nobile espressione
dell’attività giornalistica”, perché consente di portare alla luce aspetti e
circostanze ignote ai più e di svelare retroscena occultati, che al contempo
sono di rilevanza sociale. A seguito dell’attività d’indagine, il giornalista
svolge poi l’attività di studio del materiale raccolto, di verifica
dell’attendibilità di fonti non generalmente attendibili, diverse dalle agenzie
di stampa, di confronto delle fonti. Solo al termine della selezione del
materiale conseguito, il giornalista inizia a scrivere il suo articolo. (Cass.,
9 luglio 2010, n. 16236, in Danno e resp., 2010, 11, p. 1075. In questa sentenza
la Corte Suprema precisa che “Con tale tipologia di giornalismo (d’inchiesta),
infatti, maggiormente, si realizza il fine di detta attività quale prestazione
di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e alla elaborazione di
notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso
gli organi di informazione, per sollecitare i cittadini ad acquisire conoscenza
di tematiche notevoli, per il rilievo pubblico delle stesse”).
Io sono un
sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od
omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a
scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul
diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di
parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per
uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché
non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se
effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve
inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni
forma e modo (art. 12 comma 2
Legge sul Diritto
d’Autore).
La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto
d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera
discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta
di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse
generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del
1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza
degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le
seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa
lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali
e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette
citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata
dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e
notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli
usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro
in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile
un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto
parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza
illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale
inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di
riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica,
discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o
didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e
perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con
i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera
parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
La dottrina e la giurisprudenza interpretano tassativamente, restrittivamente e
non analogicamente tale articolo, al pari delle altre fattispecie di libere
utilizzazioni. Ciò non toglie che la norma possa essere interpretata
estensivamente (in tal senso dottrina e giurisprudenza sono sostanzialmente
unanime).
Secondo il parere dell'Avv. Giovanni D'Ammassa, su Dirittodautore.it,
limiti individuati dalla dottrina e dalla giurisprudenza italiane alla facoltà
di citazione ex art. 70
Legge sul Diritto
d’Autore
sono i seguenti:
la sussistenza della finalità di critica, discussione, insegnamento o ricerca
scientifica;
l’opera critica deve avere fini del tutto autonomi e distinti da quelli
dell’opera citata, e non deve essere succedanea dell’opera o delle sue
utilizzazioni derivate. La ricorrenza dello scopo di critica non è pregiudicata
dal fatto che la citazione sia fatta nella realizzazione di un’opera immessa sul
mercato a pagamento;
l’utilizzazione dell’opera deve essere solo parziale e mai integrale, deve
avvenire nell’ambito delle finalità tassativamente indicate e nella misura
giustificata da tali finalità;
l’utilizzazione non deve essere concorrenziale a quella posta dal titolare dei
diritti, non deve avere un rilievo economico tale da poter pregiudicare gli
interessi patrimoniali dell’autore o dei suoi aventi causa. A questo proposito
va ricordato che il concetto di concorrenza espresso dall’art. 70
Legge sul Diritto
d’Autore
è ben più ampio e diverso dal concetto di concorrenza sleale espresso dall’art.
2598 cod. civ.: l’assenza dell’elemento della concorrenza è condizione perché
possa parlarsi di libera utilizzazione dell’opera. Una recente dottrina sostiene
che bisogna avere riguardo esclusivamente alla portata della utilizzazione in
relazione alla sua capacità di incidere sulla vita economica dell’opera
originale; da ciò la valorizzazione dell’assenza di concorrenza dell’opera
citante con i diritti di utilizzazione economica sull’opera citata, in modo da
consentire anche citazioni integrali dell’opera dell’ingegno purché non si
pongano in concorrenza con i diritti di utilizzazione economica dell’opera;
devono essere effettuate le menzioni d’uso (indicazione del titolo dell’opera da
cui è tratta la citazione, del nome dell’autore e dell’editore);
infine si sostiene che l’interpretazione di tale articolo deve tenere conto
anche del progresso tecnologico. È indubbio che l’art. 70
Legge sul Diritto
d’Autore
sia applicabile anche in caso di messa a disposizione online delle opere.
Secondo l'Avv.
Alessandro Monteleone, su Altalex.com, tale requisito postula che
l’utilizzazione dell’opera non danneggi in modo sostanziale uno dei mercati
riservati in esclusiva all’autore/titolare dei diritti: non deve pertanto
influenzare l’ammontare dei profitti di tipo monopolistico realizzabili
dall’autore/titolare dei diritti. Secondo VALENTI, in particolare, il carattere
commerciale dell’utilizzazione e, soprattutto, l’impatto che l’utilizzazione può
avere sul mercato – attuale o potenziale – dell’opera protetta sono elementi
determinanti nel verificare se l’utilizzazione possa considerarsi libera o non
concreti invece violazione del diritto d’autore. Potrebbe ad esempio costituire
concorrenza alla utilizzazione economica la riproduzione che, ancorché parziale,
svii i potenziali acquirenti dall’acquistare l’originale perché avente ad
oggetto le parti di maggiore interesse. Interessante è la pronuncia della Corte
di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.01.2007 n° 149: Con l’espressione "a
fini di lucro" contenuta nella fattispecie criminosa di cui all’art. 171 ter
della legge sul diritto d’autore (L. 633/41) deve intendersi "un fine di
guadagno economicamente apprezzabile o di incremento patrimoniale da parte
dell’autore del fatto, che non può identificarsi con un qualsiasi vantaggio di
altro genere; né l’incremento patrimoniale può identificarsi con il mero
risparmio di spesa derivante dall’uso di copie non autorizzate di programmi o
altre opere dell’ingegno, al di fuori dello svolgimento di un’attività economica
da parte dell’autore del fatto, anche se di diversa natura, che connoti
l’abuso". Lo ha precisato la Sezione Terza penale della Cassazione, con la
sentenza n. 149 del 9 gennaio 2007, estensibile all'art. 70.
Io sono un
Segnalatore di illeciti (whistleblower). La normativa italiana utilizza
l'espressione segnalatore o segnalante d'illeciti a partire dalla cosiddetta
"legge anti corruzione" (6 novembre 2012 n. 190). Italia. L'art. 1, comma 51
della legge 6 novembre 2012, n. 190 ha disciplinato per la prima volta nella
legislazione italiana la figura del whistleblower, con particolare riferimento
al "dipendente pubblico che segnala illeciti", al quale viene offerta una
parziale forma di tutela. Negli Stati Uniti la prima legge in tema fu il False
Claims Act del 1863, che protegge i segnalatori di illeciti
da licenziamenti ingiusti, molestie e declassamento professionale, e li
incoraggia a denunciare le truffe assicurando loro una percentuale sul denaro
recuperato. Del 1912 è il Lloyd–La Follette Act, che garantisce agli impiegati
federali il diritto di fornire informazioni al Congresso degli Stati Uniti
d'America. Nel 1989 è stato approvato il Whistleblower Protection Act, una legge
federale che protegge gli impiegati del governo che denunciano illeciti,
proteggendoli da eventuali azioni di ritorsione derivanti dalla divulgazione
dell'illecito.
Io sono un
Aggregatore di contenuti tematici di ideologia contrapposta con citazione della
fonte, al fine del diritto di cronaca e di discussione e di critica dei
contenuti citati.
Giornali online senza licenza: indagato manager di Data Stampa.
Pubblicato venerdì, 24 gennaio 2020 su Corriere.it da Virginia Picollillo.
Violazione del diritto d’autore: è l’accusa contestata a Massimo Scambelluri, il
presidente del Consiglio di amministrazione di “Data Stampa”, società che vende
la rassegna stampa quotidiana per clienti privati e istituzionali. La procura di
Roma aveva aperto un’inchiesta dopo la denuncia di alcuni quotidiani che
lamentavano di non aver mai dato il consenso e dunque senza aver concesso la
licenza di utilizzo, vendita e diffusione dei contenuti protetti da copyright .
La Guardia di Finanza ha verificato come la società ogni giorno dia ai propri
clienti 21 quotidiani, italiani e internazionali, consentendo l’accesso con
l’utilizzo di password rilasciate dalla stessa “Data Stampa” sia alla versione
cartacea, sia facendo scaricare le pagine in formato pdf. Sul sito della società
è specificato che tra i clienti ci sono la presidenza della Repubblica, il
Senato e la Camera, il Csm, la Banca d’Italia, l’Agenzia delle entrate, la
Polizia di Stato, il ministero dell’Interno, l’Arma e la Rai. Istituzione che
pagano un abbonamento all’azienda ed è proprio questo ad aver convinto alcuni
gruppi editoriali e testate - tra cui La Stampa, la Repubblica e il Messaggero -
a presentare la denuncia. Data Stampa ha anche un contenzioso civile con la
Fieg, la federazione editori di giornali, proprio per le rassegne stampa.
Da Data Stampa: DIRITTO D’AUTORE NON APPLICABILE ALLE RASSEGNE STAMPA. Il 12
giugno 2019, con sentenza n. 3931/2019, la Corte d’Appello di Roma, rigettando
l’appello di Fieg e Promopress contro la sentenza n. 816/2017 del 18 gennaio
2017, ha legittimato l’attività svolta da Data Stampa fin dal 1981. La richiesta
di Fieg era di inibire l’attività dei rassegnatori, chiedendo loro inoltre un
risarcimento danni per l’uso che i rassegnatori fanno dei loro articoli,
ritenendo che anche alle rassegne stampa dovesse essere applicato il principio
del diritto d’autore. La Corte d’Appello di Roma, pronunciandosi in favore di
Data Stampa, ha confermato “con forza” il principio della libera riproducibilità
degli articoli di giornale nelle rassegne stampa. Ora le aspettative di Data
Stampa sono riposte nel Parlamento, che potrebbe regolare la materia nell’ambito
del riordino del settore dell’editoria affidato agli Stati Generali, il termine
dei cui lavori è previsto intorno alla metà del prossimo mese di ottobre. Una
vittoria che, dopo il successo ottenuto due anni e mezzo fa da Data Stampa nel
primo grado di giudizio, ci spinge a guardare al futuro con rinnovata fiducia,
nella ferma convinzione che la libertà d’impresa e d’informazione vada difesa
sempre, contro ogni azione arbitraria posta in essere al di fuori di un quadro
normativo certo. La posizione di Data Stampa al riguardo, giova ricordarlo, è
sempre rimasta immutata: Data Stampa auspica che venga approvato un quadro
normativo fatto di regole certe e rispettose delle legittime esigenze di tutti
gli operatori del settore, e non imposte unilateralmente.
“ Orbene la ratio dell’art 65 è quella di accrescere la circolazione
dell’informazione, come si risulta evidente:
Dalla natura degli scritti di cui la norma consente la riproduzione (gli
articoli di attualità, appunto che hanno eminente valore informativo)
Dalla natura del mezzo di riproduzione (giornali, riviste o strumenti di
radiodiffusione che ancora una volta hanno finalità essenzialmente informative).
Così stando le cose non può essere allora negata la possibilità di riprodurre
anche nelle rassegne stampa gli articoli di attualità, giacchè anche alle
rassegne stampa deve essere riconosciuta una finalità sicura finalità
informativa, anche se diretta a volte e soddisfare interessi di particolari
categorie di soggetti, informazione questa tuttavia non per ciò solo meno
meritevole di tutela costituzionale. In definitiva, l’art. 65 va interpretato in
base al canone di interpretazione estensiva fondato sulla ratio della norma, nel
senso che esso al di là delle espresse previsioni letterali, ben può includere,
tra gli strumenti informativi su cui si possono liberamente riprodursi gli
articoli di giornale, anche la rassegna stampa…”
Dr Luigi Amicone, sono il dr Antonio
Giangrande. Il soggetto da lei indicato a Google Libri come colui che viola il
copyright di “Qualcun Altro”. Così come si evince dalla traduzione inviatami da
Google. “Un sacco di libri pubblicati da Antonio Giangrande, che sono anche
leggibile da Google Libri, sembrano violare il copyright di qualcun altro. Se si
controlla, si potrebbe scoprire che sono fatti da articoli e testi di
diversi giornalisti. Ha messo nei suoi libri opere mie, pubblicate su giornali o
riviste o siti web. Per esempio, l'articolo pubblicato da Il Giornale il 29
maggio 2018 "Il serial Killer Zodiac ... ". Sembra che abbia copiato l'intero
articolo e incollato sul "suo" libro. Sembra che abbia pubblicato tutti i suoi
libri in questo modo. Puoi chiedergli di cambiare il suo modo di "scrivere"?
Grazie”.
Mi vogliono censurare su Google.
Premessa: Ho scritto centinaia di saggi e
centinaia di migliaia di pagine, affrontando temi suddivisi per argomento e per
territorio, aggiornati periodicamente. Libri a lettura anche gratuita. Non
esprimo opinioni e faccio parlare i fatti e gli atti con l’ausilio di terzi,
credibili e competenti, che sono ben lieti di essere riportati e citati nelle
mie opere. Opere che continuamente sono utilizzati e citati in articoli di
stampa, libri e tesi di laurea in Italia ed all’estero. E di questo ne sono
orgoglioso, pur non avendone mai data autorizzazione preventiva. Vuol dire che
mi considerano degno di essere riportato e citato e di questo li ringrazio
infinitamente. Libri a lettura anche gratuita. Il mio utilizzo dei contenuti
soddisfa i requisiti legali del fair use o del fair dealing ai sensi delle leggi
vigenti sul copyright. Le norme nazionali ed internazionali mi permettono di
manifestare il proprio pensiero, anche con la testimonianza di terzi e a tal
fine fare copie singole di parti di opere per ricerca e studio personale o a
scopo culturale o didattico.
Reclamo: Non si chiede solo di non usare i
suoi articoli, ma si pretende di farmi cambiare il mio modo di scrivere. E
questa è censura.
Ho diritto di citazione con congruo lasso di
tempo e senza ledere la concorrenza.
Io sono un giurista ed un giornalista
d’inchiesta. Opero nell’ambito dell’art. 21 della Costituzione che mi permette
di esprimere liberamente il mio pensiero. Nell’art. 65 della legge n. 633/1941
il legislatore sancisce la libertà di utilizzazione, riproduzione o
ripubblicazione e comunicazione al pubblico degli articoli di attualità, che
possiamo considerare come sinonimo di cronaca, in altre riviste o giornali.
Distinta dalla mera cronaca è l’inchiesta giornalistica, la quale parte da fatti
di cronaca per svolgere un’attività di indagine, c.d. “indagine giornalistica”,
con la quale il professionista si informa, chiede chiarimenti e spiegazioni.
Questa attività rientra nel c.d. “giornalismo investigativo” o “d’inchiesta”,
riconosciuto dalla Cassazione nel 2010 come “la più alta e nobile espressione
dell’attività giornalistica”, perché consente di portare alla luce aspetti e
circostanze ignote ai più e di svelare retroscena occultati, che al contempo
sono di rilevanza sociale. A seguito dell’attività d’indagine, il giornalista
svolge poi l’attività di studio del materiale raccolto, di verifica
dell’attendibilità di fonti non generalmente attendibili, diverse dalle agenzie
di stampa, di confronto delle fonti. Solo al termine della selezione del
materiale conseguito, il giornalista inizia a scrivere il suo articolo. (Cass.,
9 luglio 2010, n. 16236, in Danno e resp., 2010, 11, p. 1075. In questa sentenza
la Corte Suprema precisa che “Con tale tipologia di giornalismo (d’inchiesta),
infatti, maggiormente, si realizza il fine di detta attività quale prestazione
di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e alla elaborazione di
notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso
gli organi di informazione, per sollecitare i cittadini ad acquisire conoscenza
di tematiche notevoli, per il rilievo pubblico delle stesse”).
Io sono un sociologo storico: racconto la
contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di
discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A
norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la
citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione
al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei
limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza
all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o
di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità
illustrative e per fini non commerciali."
Io sono un Segnalatore di illeciti
(whistleblower). La normativa italiana utilizza l'espressione segnalatore
o segnalante d'illeciti a partire dalla cosiddetta "legge anti corruzione" (6
novembre 2012 n. 190). Italia. L'art. 1, comma 51 della legge 6 novembre 2012,
n. 190 ha disciplinato per la prima volta nella legislazione italiana la figura
del whistleblower, con particolare riferimento al "dipendente pubblico che
segnala illeciti", al quale viene offerta una parziale forma di
tutela. Negli Stati Uniti la prima legge in tema fu il False Claims
Act del 1863, che protegge i segnalatori di illeciti da licenziamenti ingiusti,
molestie e declassamento professionale, e li incoraggia a denunciare le truffe
assicurando loro una percentuale sul denaro recuperato. Del 1912 è il Lloyd–La
Follette Act, che garantisce agli impiegati federali il diritto di fornire
informazioni al Congresso degli Stati Uniti d'America. Nel 1989 è stato
approvato il Whistleblower Protection Act, una legge federale che protegge gli
impiegati del governo che denunciano illeciti, proteggendoli da eventuali azioni
di ritorsione derivanti dalla divulgazione dell'illecito.
Io sono un Aggregatore di contenuti tematici
di ideologia contrapposta con citazione della fonte, al fine del diritto di
cronaca e di discussione e di critica dei contenuti citati.
Quando parlo di aggregatore di contenuti non
mi riferisco a colui che, per profitto, riproduce tout court integralmente, o
quasi, un post o un articolo. Costoro non sono che volgari “produttori” di
plagio, pur citando la fonte. Ci sono Aggregatori di contenuti in Italia, che
esercitano la loro attività in modo lecita, e comunque, verosimilmente, non
contestata dagli autori aggregati e citati.
Vedi Giorgio dell’Arti su “Cinquantamila.it”.
LA STORIA RACCONTATA DA GIORGIO DELL'ARTI. “Salve. Sono Giorgio Dell’Arti.
Questo sito è riservato agli abbonati della mia
newsletter, Anteprima. Anteprima è la spremuta di giornali che realizzo dal
lunedì al venerdì la mattina all’alba, leggendo i quotidiani appena arrivati in
edicola. La rassegna arriva via email agli utenti che si sono iscritti in
promozione oppure in abbonamento qui o sul sito anteprima.news”.
Oppure come fa Dagospia o altri siti di
informazione online, che si limitano a riportare quegli articoli che per motivi
commerciali o di esclusività non sono liberamente fruibili. Dagospia si
definisce "Risorsa informativa online a contenuto generalista che si occupa di
retroscena. È espressione di Roberto D'Agostino". Sebbene da alcuni sia
considerato un sito di gossip, nelle parole di D'Agostino: «Dagospia è un
bollettino d'informazione, punto e basta».
Addirittura il portale web “Newsstandhub.com”
riporta tutti gli articoli dei portali di informazione più famosi con citazione
della fonte, ma non degli autori. Si presenta come: “Il tuo centro edicola
personale dove poter consultare tutte le notizia contemporaneamente”.
Così come il sito web di Ristretti.org o di
Antimafiaduemila.com, o dipressreader.com.
Così come fanno alcuni giornali e
giornalisti. Non fanno inchieste o riportano notizie proprie. Ma la loro
informazione si basa su su articoli di terzi. Vedi
“Il giornale” o “Libero Quotidiano” o Il Corriere del Giorno o il
Sussidiario, o twnews.it/it-news.
Io esercito il mio diritto di cronaca e di
critica. Diritto di cronaca, dico, che non ha alcuna limitazione se non quella
della verità, attinenza-continenza, interesse pubblico. Diritto di cronaca su
Stampa non periodica.
Che cosa significa "Stampa non periodica"?
Ogni forma di pubblicazione una tantum, cioè
che non viene stampata regolarmente (è tale, ad esempio, un saggio o un romanzo
in forma di libro).
Stampa non periodica, perché la Stampa
periodica è di pertinenza esclusiva della lobby dei giornalisti, estensori della
pseudo verità, della disinformazione, della discultura e dell’oscurantismo.
Con me la cronaca diventa storia ed allora il
mio diritto di cronaca diventa diritto di critica storica.
NB. In dottrina si evidenzia che “per uso di
critica” si deve intendere l’utilizzazione oggettivamente finalizzata ad
esprimere opinioni protette ex art. 21 e 33 della Costituzione. Con me la
cronaca diventa storia ed allora il mio diritto di cronaca diventa diritto di
critica storica. La critica storica può scriminare la diffamazione. Cassazione
penale, sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506. L'esercizio del diritto di critica
può, a certe condizioni, rendere non punibile dichiarazioni astrattamente
diffamatorie, in quanto lesive dell'altrui reputazione. Resoconto esercitato nel
pieno diritto di Critica Storica. La critica storica può scriminare la
diffamazione. Cassazione penale, sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506. La
ricerca dello storico, quindi, comporta la necessità di un’indagine complessa in
cui “persone, fatti, avvenimenti, dichiarazioni e rapporti sociali divengono
oggetto di un esame articolato che conduce alla definitiva formulazione di tesi
e/o di ipotesi che è impossibile documentare oggettivamente ma che, in ogni caso
debbono trovare la loro base in fonti certe e di essere plausibili e
sostenibili”. La critica storica, se da una parte può scriminare la
diffamazione. Cassazione penale, sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506,
dall'altra ha funzione di discussione: "Il riassunto, la citazione o la
riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico
sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti
giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza
all'utilizzazione economica dell'opera".
Io sono il segnalatore di illeciti
(whistleblower) più ignorato ed oltre modo più perseguitato e vittima di
ritorsioni del mondo. Ciononostante non mi batto per la mia tutela, in quanto
sarebbe inutile dato la coglionaggine o la corruzione imperante, ma lotto
affinchè gli altri segnalatori, che imperterriti si battono esclusivamente ed
inanemente per la loro bandiera, non siano tacciati di mitomania o pazzia.
Dimostro al mondo che le segnalazioni sono tanto fondate, quanto ignorate od
impunite, data la diffusa correità o ignoranza o codardia.
Segnalatore di illeciti.
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Il segnalatore o segnalante di illeciti, anche detto segnalatore o segnalante di
reati o irregolarità (termine reso a volte anche con la parola anglosassone e
specificatamente dell'inglese americano whistleblower) è un individuo che
denuncia pubblicamente o riferisce alle autorità attività illecite
o fraudolente all'interno del governo, di un'organizzazione pubblica o privata o
di un'azienda. Le rivelazioni o denunce possono essere di varia natura:
violazione di una legge o regolamento, minaccia di un interesse pubblico come in
caso di corruzione e frode, gravi e specifiche situazioni di pericolo per la
salute e la sicurezza pubblica. Tali soggetti possono denunciare le condotte
illecite o pericoli di cui sono venuti a conoscenza all'interno
dell'organizzazione stessa, all'autorità giudiziaria o renderle pubbliche
attraverso i media o le associazioni ed enti che si occupano dei problemi in
questione. Spesso i segnalatori di illeciti, soprattutto a causa dell'attuale
carenza normativa, spinti da elevati valori di moralità e altruismo, si
espongono singolarmente a ritorsioni, rivalse, azioni vessatorie, da parte
dell'istituzione o azienda destinataria della segnalazione o singoli soggetti
ovvero organizzazioni responsabili e oggetto delle accuse, venendo sanzionati
disciplinarmente, licenziati o minacciati fisicamente.
La normativa italiana utilizza
l'espressione segnalatore o segnalante d'illeciti a partire dalla cosiddetta
"legge anti corruzione" (6 novembre 2012 n. 190). In inglese viene invece
utilizzata la parola whistleblower, che deriva dalla frase to blow the whistle,
letteralmente «soffiare il fischietto», riferita all'azione dell'arbitro nel
segnalare un fallo o a quella di un poliziotto che tenta di fermare un'azione
illegale. Il termine è in uso almeno dal 1958, quando apparve nel Mansfield
News-Journal (Ohio). L'origine dell'espressione whistleblowing è tuttavia ad
oggi incerta, sebbene alcuni ritengano che la parola si riferisca alla pratica
dei poliziotti inglesi di soffiare nel loro fischietto nel momento in cui
avessero notato la commissione di un crimine, in modo da allertare altri
poliziotti e, in modo più generico, la collettività. Altri ritengono che si
richiami al fallo fischiato dall'arbitro durante una partita sportiva. In
entrambi i casi, l'obiettivo è quello di fermare un'azione e richiamare
l'attenzione. La locuzione «gola profonda» deriva da quella inglese Deep
Throat che indicava l'informatore segreto che con le sue rivelazioni alla stampa
diede origine allo scandalo Watergate.
Definizione. Il segnalatore di illeciti è
quel soggetto che, solitamente nel corso della propria attività lavorativa,
scopre e denuncia fatti che causano o possono in potenza causare danno all'ente
pubblico o privato in cui lavora o ai soggetti che con questo si relazionano
(tra cui ad esempio consumatori, clienti, azionisti). Spesso è solo grazie
all'attività di chi denuncia illeciti che risulta possibile prevenire pericoli,
come quelli legati alla salute o alle truffe, e informare così i potenziali
soggetti a rischio prima che si verifichi il danno effettivo. Un gesto che, se
opportunamente tutelato, è in grado di favorire una libera comunicazione
all'interno dell’organizzazione in cui il segnalatore di illeciti lavora e
conseguentemente una maggiore partecipazione al suo progresso e
un'implementazione del sistema di controllo interno. La maggior parte dei
segnalatori di illeciti sono "interni" e rivelano l'illecito a un proprio
collega o a un superiore all'interno dell'azienda o organizzazione. È
interessante esaminare in quali circostanze generalmente un segnalatore di
illeciti decide di agire per porre fine a un comportamento illegale. C'è ragione
di credere che gli individui sono più portati ad agire se appoggiati da un
sistema che garantisce loro una totale riservatezza.
La tutela giuridica nel mondo. La protezione
riservata ai segnalatori di illeciti varia da paese a paese e può dipendere
dalle modalità e dai canali utilizzati per le segnalazioni.
Italia. L'art. 1, comma 51 della legge 6
novembre 2012, n. 190 ha disciplinato per la prima volta nella legislazione
italiana la figura del whistleblower, con particolare riferimento al "dipendente
pubblico che segnala illeciti", al quale viene offerta una parziale forma di
tutela. Nell'introdurre un nuovo art. 54-bis al decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, si è infatti stabilito che, esclusi i casi di responsabilità a
titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi
dell'articolo 2043 del codice civile italiano, il pubblico dipendente che
denuncia all'autorità giudiziaria italiana o alla Corte dei conti, ovvero
riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a
conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato,
licenziato o sottoposto a una misura discriminatoria, diretta o indiretta,
avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o
indirettamente alla denuncia. Inoltre, nell'ambito del procedimento
disciplinare, l'identità del segnalante non può essere rivelata, senza il suo
consenso, sempre che la contestazione dell'addebito disciplinare sia fondata su
accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione. Si è tuttavia
precisato che, qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla
segnalazione, l'identità può essere rivelata ove la sua conoscenza sia
assolutamente indispensabile per la difesa dell'incolpato, con conseguente
indebolimento della tutela dell'anonimato. L'eventuale adozione di misure
discriminatorie deve essere segnalata al Dipartimento della funzione
pubblica per i provvedimenti di competenza, dall'interessato o
dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell'amministrazione
nella quale le discriminazioni stesse sono state poste in essere. Infine, si è
stabilito che la denuncia è sottratta all'accesso previsto dalla legge 7 agosto
1990, n. 241; tali disposizioni pongono inoltre delicate problematiche con
riferimento all'applicazione del codice in materia di protezione dei dati
personali. Nel 2014 ulteriori rafforzamenti della posizione del segnalatore di
illeciti sono stati discussi con iniziative parlamentari, nella XVII
legislatura. In ordine alla possibilità di incentivarne ulteriormente
l'emersione con premi, l'ordine del giorno G/1582/83/1 - proposto in commissione
referente del Senato - è stato accolto come raccomandazione; invece, è stato
dichiarato improponibile l'emendamento che, tra l'altro, puniva con una
contravvenzione chi ne rivelasse l'identità. Nel 2016 la Camera dei deputati,
nell'approvare la proposta di legge n. 3365-1751-3433-A, «ha scelto, tra
l'altro, la tecnica della "novella" del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.
165» per introdurre una disciplina di tutela degli autori di segnalazioni di
reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto
di lavoro. Il testo pende al Senato come disegno di legge n. 2208 Il decreto
legislativo 25 maggio 2017, n. 90 afferma che - a decorrere dal 4 luglio 2017,
data di entrata in vigore del predetto decreto - i soggetti destinatari della
disposizioni ivi contenute (tra i quali intermediari finanziari iscritti
all'Albo Unico, società di leasing, società di factoring, ma anche dottori
commercialisti, notai e avvocati) sono obbligati a dotarsi di un sistema di
segnalazione di illeciti, l'istituto di derivazione anglosassone per le
segnalazioni interne di violazioni.
Stati Uniti d'America. Negli Stati Uniti la
prima legge in tema fu il False Claims Act del 1863, che protegge i segnalatori
di illeciti da licenziamenti ingiusti, molestie e declassamento professionale, e
li incoraggia a denunciare le truffe assicurando loro una percentuale sul denaro
recuperato. Del 1912 è il Lloyd–La Follette Act, che garantisce agli impiegati
federali il diritto di fornire informazioni al Congresso degli Stati Uniti
d'America. Nel 1989 è stato approvato il Whistleblower Protection Act, una legge
federale che protegge gli impiegati del governo che denunciano illeciti,
proteggendoli da eventuali azioni di ritorsione derivanti dalla divulgazione
dell'illecito.
Non si è colti, nè ignoranti: si è
nozionisti, ossia: superficiali.
Nozionista è chi studia o si informa, o,
più spesso, chi insegna o informa gli altri in modo nozionistico.
Nozionista è:
chi non approfondisce e rielabora
criticamente la massa di informazioni e notizie cercate o ricevute;
chi si ferma alla semplice lettura di un
tweet da 280 caratteri su twitter o da un post su Facebook condiviso da
pseudoamici;
chi restringe la sua lettura alla sola
copertina di un libro;
chi ascolta le opinioni degli invitati nei
talk show radio-televisivi partigiani;
chi si limita a guardare il titolo di una
notizia riportata su un sito di un organo di informazione.
Quel mondo dell'informazione che si arroga
il diritto esclusivo ad informare in virtù di un'annotazione in un albo
fascista. Informazione ufficiale che si basa su news partigiane in ossequio alla
linea editoriale, screditando le altre fonti avverse accusandole di fake news.
Informazione o Cultura di Regime,
foraggiata da Politica e Finanza.
Opinion leaders che divulgano fake news ed
omettono le notizie. Ossia praticano: disinformazione, censura ed omertà.
Nozionista è chi si
abbevera esclusivamente da mass media ed opinion leaders e da questi
viene influenzato e plasmato.
Censura da Amazon
libri. Del Coronavirus vietato scrivere.
"Salve, abbiamo rivisto le informazioni che
ci hai fornito e confermiamo la nostra precedente decisione di chiudere il tuo
account e di rimuovere tutti i tuoi libri dalla vendita su Amazon. Tieni
presente che, come previsto dai nostri Termini e condizioni, non ti è consentito
di aprire nuovi account e non riceverai futuri pagamenti royalty provenienti
dagli account aggiuntivi creati. Tieni presente che questa è la nostra decisione
definitiva e che non ti forniremo altre informazioni o suggeriremo ulteriori
azioni relativamente alla questione. Amazon.de".
Amazon chiude
l’account del saggista Antonio Giangrande, colpevole di aver rendicontato sul
Coronavirus in 10 parti.
La chiusura
dell’account comporta la cancellazione di oltre 200 opere riguardante ogni tema
ed ogni territorio d’Italia.
Opere pubblicate in
E-book ed in cartaceo.
La pretestuosa
motivazione della chiusura dell’account: “Non abbiamo ricevuto nessuna prova del
fatto che tu sia il titolare esclusivo dei diritti di copyright per il libro
seguente: Il Coglionavirus. Prima parte. Il Virus.”
A loro non è
bastato dichiarare di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti
i libri pubblicati sul mio account Amazon.
A loro non è
bastato dichiarare che sul mio account Amazon non sono pubblicate opere con Kdp
Select con diritto di esclusiva Amazon.
A loro non è
bastato dichiarare altresì di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e
di tutti i libri pubblicati sul mio account Google, ove si potrebbero trovare le
medesime opere pubblicate su Amazon, ma solo in versione e-book.
A loro interessava
solo chiudere l’account per non parlare del Coronavirus.
A loro interessava
solo chiudere la bocca ad Antonio Giangrande.
Che tutto ciò sia
solo farina del loro sacco è difficile credere.
Il fatto è che ci
si rivolge ad Amazon nel momento in cui è impossibile trovare un editore che sia
disposto a pubblicare le tue opere.
Opere che,
comunque, sono apprezzate dai lettori.
Ergo: Amazon,
sembra scagliare la pietra, altri nascondono la mano.
AMAZON. CENSURA LA CONTRO-INFORMAZIONE SUL
COVID. Cristiano Mais su La Voce
delle Voci il 7 Ottobre 2020. La scure della censura contro le verità che danno
fastidio. L’oscuramento di tutto coloro i quali, in modo autonomo e
indipendente, con i propri mezzi e sforzi personali, cercano di fare
autentica controinformazione. Succede adesso, è il caso di dirlo, ad un pioniere
della comunicazione, Alberto Contri. Proprio come è successo, alcuni mesi fa, ad
un pioniere nel campo dei vaccini, Giulio Tarro, con il suo “Covid, il virus
della paura”. Allievo di Albert Sabin che scoprì l’antipolio, per ben due volte
nella cinquina del Nobel per la Medicina, Tarro è l’autore di un libro che ha
subito cercato di far luce sul bollente tema del Coronavirus e la
disinformazione imperante. Incorrendo subito negli strali di Amazon, che ha
inserito il volume nella sua vetrina virtuale, impedendone però l’acquisto. La
strategia di Amazon era il fresco frutto avvelenato di un accordo per la “non
informazione” siglato addirittura con l’Organizzazione Mondiale per la Sanità,
il super organismo internazionale controllato da Bill Gates. L’OMS, infatti, non
gradiva tutto ciò che avrebbe potuto aprire gli occhi a tanti cittadini.
Costretti invece ad ingurgitare montagne di fake news propinate dai media di
regime. Lo stesso copione, adesso, per l’altrettanto scomodo “La sindrome del
criceto”, firmato da Alberto Contri ed edito da “La Vela”, piccola casa ma
coraggiosa casa editrice guidata da David Nieri. Denunciano Contri e Nieri:
“Abbiamo fatto in estate una intensa campagna social per promuovere il libro,
con buoni risultati di vendita. Ma non con Amazon: sappiamo che ha ricevuto
molte richieste alle quali non ha dato e non dà seguito, perché dicono che
stanno ristrutturando i processi di acquisizione e vendita e poi hanno problemi
di algoritmo”. Un modo come un altro per boicottare in modo palese l’uscita
del Criceto. Sottolineano ancora Contri e Nieri: “I monopolisti della
distribuzione, oltre a distruggere intere filiere concorrenti, intervengono
sulla libertà di pensiero, agevolando od ostacolando la presenza di prodotti e
di libri nei loro scaffali virtuali. Semplicemente vergognoso. Ricordiamo che il
nostro libro si può ordinare direttamente andando sul sito edizionilavela.it”.
Contri è stato il fondatore e per anni animatore della Federazione Italiana
della Comunicazione, quindi presidente di Pubblicità Progresso.
Amazon denunziata per la censura di libri
sul Coronavirus. su La Voce delle
Voci il 30 Giugno 2020. Amazon nega anche ad un giornalista italiano, Francesco
Amodeo, la vendita on line di un libro sul coronavirus. Lo scrittore non si
arrende e decide di chiedere alla giustizia l’autorizzazione alla vendita del
suo testo e il risarcimento danni subiti rispetto ad altri autori, preferiti da
Amazon, conferendo mandato all’avvocato Angelo Pisani di trascinare in tribunale
il colosso commerciale del web per combattere ogni forma di censura.
L’avvocato Angelo Pisani, nel denunciare all’Autorità Giudiziaria ogni
violazione in danno del giornalista censurato e la arbitraria e fuorviante
strategia commerciale di Amazon, chiede anche l’immediato intervento
dell’Antitrust e massima tutela per le vittime indifese del sistema Amazon. Il
caso del giornalista Amodeo non è l’unico. Anche il professor Giulio Tarro ed
altri autori sono stati esclusi dalla piattaforma Amazon per il mancato
gradimento da parte di qualcuno dei loro iscritti, ma non è possibile
giustificare simili violazioni dei fondamentali principi di informazione
legalità e democrazia. Insomma, esplode una guerra legale contro il colosso del
web per porre freno a censure e discriminazioni e comprendere il perché di tanto
interesse e volontà di indirizzamento. Questo l’attacco di Pisani.
«Ingiustificabile e discriminatoria la strategia della società Amazon, che la
comunica al giornalista Amodeo il rifiuto di vendere il suo libro-inchiesta “31
coincidenze sul coronavirus e sulla nuova Guerra Fredda USA-Cina” sulla loro
piattaforma kindle, perché violerebbe le loro linee guida, spiegando che a causa
del rapido cambiamento delle condizioni relative al Virus Covid19, si sarebbe
deciso di indirizzare la clientela verso fonti ufficiali per ottenere
informazioni sul virus, proponendo pertanto all’autore del libro l’assurda
scelta di valutare la rimozione dei riferimenti al Covid19, affinchè lo stesso
possa vendersi sulla piattaforma Amazon». Pare che l’algoritmo censuri in
automatico i libri che fanno riferimento alla parola “coronavirus” nel titolo.
Non sembra però un’ipotesi plausibile, dal momento che sul portale Amazon sono
in vendita libri che contengono nel titolo la parola “coronavirus”, come il
libro di Roberto Burioni, intitolato: “Virus, la grande sfida: Dal coronavirus
alla peste: come la scienza può salvare l’umanità”. «Purtroppo – denuncia
l’avvocato Pisani – risulta chiaro che se il libro è in linea con una certa
versione sul virus, non esistano linee guida né algoritmi capaci di
intercettarne le parole. Se in fase di revisione i libri fossero letti si
sarebbero accorti che nel libro inchiesta di Amodeo sono pubblicate 150 foto
tratte solo da fonti ufficiali, analizzando oltretutto il coronavirus non dal
punto di vista sanitario, ma dal punto di vista giornalistico e geopolitico. Non
vi era quindi alcuna ragione di censurarlo, ma il sistema preferisce imporre un
altro sapere». Di fronte a queste condotte, al di là degli approfondimenti e
di indagini su tematiche delicate e stravolgenti come quelle su mondo del
coronavirus – dichiara l’avvocato Pisani – non si può far finta di nulla e non
chiedere tutela per l’autore discriminato Francesco Amodeo vittima di
illegittima censura e discriminazione ingiustificabile da parte del sistema
Amazon che, in barba ai fondamentali principi di trasparenza, correttezza e
buona fede non può escludere libri non graditi accettando invece il libro di
Burioni (sul quale invece il reportage delle Iene ha dimostrato il conflitto di
interessi con le case farmaceutiche). Oltre a presentare ricorso cautelare e
richiesta risarcitoria alla Magistratura, ricorriamo anche dell’Antitrust e
dell’Ordine dei giornalisti per la tutela dei diritti di tutti noi e la difesa
del diritto di informazione, in uno alla corretta concorrenza commerciale. Dalle
prime indagini emerge in realtà che proprio l’Organizzazione Mondiale della
Sanità non voglia vedere in giro tesi contrarie sul coronavirus. Stavolta però
si mina la libertà d’informazione, in combutta con Amazon. Per la serie: i due
big boss a stelle e strisce Bill Gates, fondatore di Microsoft e grande
finanziatore dell’OMS, e Jeff Bezos, in sella al colosso della distribuzione,
sono oggi uniti nell’indirizzamento dei lettori e negano la commercializzazione
e diffusione di altri testi, generando anche ingiustificabile disinformazione.
Così si impedisce ai cittadini di farsi una propria idea e di comprendere la
vera storia del coronavirus e quali sono i motivi e gli autentici responsabili
della pandemia che sta mettendo in ginocchio il mondo. «Pochi lo sanno – attacca
Pisani – ma già ad inizio febbraio 2020 OMS, Amazon e altri book store a livello
internazionale hanno deciso di indirizzare i lettori a fonti preferenziali
tramite un accordo che va sotto il nome di “Covid Policy”, con lo scopo
dichiarato di “bloccare la vendita di libri che avrebbero, a dire del sistema
dominante, l’obiettivo di fomentare la paura o, peggio, di diffondere teorie di
cospirazione sul Covid”. Con queste ultime, strategiche parole, in pratica viene
attuata una politica di vendite editoriali che nessuno mai in democrazia si
sarebbe mai sognato di mettere in atto: meglio, a questo punto, bruciarli, quei
libri scomodi, invece che vigliaccamente impedirne la diffusione». «Pare che a
qualcuno dia fastidio la conoscenza di quanto è successo per la tragedia del
coronavirus: non si devono ricercare colpevoli della strage e capovolgimento del
mondo in corso, ma fortunatamente noi continueremo sempre a scrivere per l’amore
della verità e dell’informazione, garantisce l’avvocato al giornalista oscurato
da Amazon».
AMAZON. BLOCCA l’USCITA DEL LIBRO-ACCUSA
DI TARRO SUL COVID. Paolo Spiga su La
Voce delle Voci il 20 Giugno 2020. L’Organizzazione Mondiale della
Sanità colpisce ancora. Stavolta la libertà d’informazione, in combutta
con Amazon. Per la serie: i due big boss a stelle e strisce Bill Gates,
fondatore di Microsoft e grande finanziatore dell’OMS, e Jeff Bezos, in sella al
colosso della distribuzione, sono oggi uniti nella lotta per la disinformazione.
Impediscono ai cittadini di conoscere la vera storia del coronavirus e quali
sono gli autentici responsabili della pandemia che sta mettendo in ginocchio il
mondo. Pochi lo sanno, infatti, ma già ad inizio febbraio 2020 OMS, Amazon e
altri book store a livello internazionale hanno sottoscritto un patto che va
sotto il nome di “Covid Policy”, il cui scopo dichiarato e basilare è stato ed è
quello di “bloccare la vendita di libri che hanno l’obiettivo di fomentare la
paura o, peggio, di diffondere teorie di cospirazione sul Covid”. Con queste
ultime, strategiche parole, in pratica viene attuata una politica di vendite
editoriali che neanche i nazisti si sarebbero mai sognati di mettere in atto:
meglio, a questo punto, bruciarli, quei libri eretici, invece che vigliaccamente
oscurarli e con sotterfugi impedirne la diffusione. E soprattutto la conoscenza
di quanto è successo per la tragedia del coronavirus: dove ci sono nomi, cognomi
e indirizzi dei colpevoli della strage, fino ad oggi impuniti, a piede libero. E
guarda caso, i colpevoli si possono rintracciare proprio sotto i vessilli
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e della Bill & Melinda Gates
Foundation, come abbiamo documentato nell’inchiesta del 19 giugno. Ovvio,
quindi, che killer e mandanti si siano ben attrezzati e premuniti – come
testimonia la “Covid-Policy” – per nascondere le verità, per affossare quella
contro-informazione, quei libri che spiegano e documentano la scientifica strage
del Covid-19, ottimamente studiata a tavolino, mossa per mossa, azione per
azione. Un esempio fresco e lampante? Amazon ha appena bloccato la vendita del
libro firmato dal più autorevole virologo italiano, Giulio Tarro, intitolato
“Covid, il Virus della paura”, che fa luce su una serie di fatti e vicende che
la dicono lunga sulle responsabilità di Big Pharma nella coronavirus-story, su
quelle dell’OMS, della Fondazione Gates, e – sul fronte di casa nostra – del
governo e di tanti, troppi cialtroni travestiti da scienziati. Evidentemente un
pugno nello stomaco per amici & sodali di Amazon, come appunto sancito dalla
“Covid-Policy” ammazza libertà e democrazia. Così dichiara Tarro. “Invece di
indossare i panni del martire, preferisco evidenziare come i condizionamenti
posti dalla ‘Covid-Policy’ stanno facendo perdere credibilità soprattutto alle
riviste scientifiche. Mi riferisco alla planetaria figuraccia della rivista ‘The
Lancet’ sulla idrossiclorochina. Se "The Lancet" ha dovuto ritirare il suo
articolo è solo perché centinaia di medici, tra i quali molti che avevano
pazienti in cura con idrossiclorochina, si sono dovuti mobilitare contro
quell’articolo che aveva immediatamente fatto sospendere la vendita di un
farmaco efficace. Una mobilitazione che spero segni l’inizio di una presa di
coscienza politica in una categoria, quale quella dei medici, che non brilla
certo per coraggio. Basti pensare, ad esempio, alle vaccinazioni alle quali,
come è noto, la stragrande maggioranza dei medici non si sottopone (e molti,
addirittura, arrivano a redigere falsi certificati di vaccinazione per i propri
pazienti). Ma quando si trattò di prendere posizione contro la radiazione del
medico Roberto Gava, "colpevole" di esternare pubblicamente alcune sacrosante
considerazioni sui vaccini, tra i 400mila medici italiani iscritti all’Ordine,
solo pochissimi hanno sottoscritto una lettera di protesta”. Aggiunge Tarro:
“Sembra normale che ‘The Lancet’, considerata la Bibbia della Medicina, non si
sia degnata di verificare che gli strampalati dati sui quali si basava
l’articolo erano falsi? Ma cosa c’era davvero dietro la pubblicazione di
quell’articolo destinato a togliere di mezzo un farmaco che faceva svanire i
guadagni legati al vaccino anti-Covid? Ma quali intrallazzi si nascondono dietro
tanti articoli che pubblicati su autorevoli riviste scientifiche spianano ai
loro autori una carriera accademica? Basta leggersi il libro di Marcia Angell,
già direttrice del ‘New England Journal of Medicine’, ovvero ‘Farma&Co.
Industria farmaceutica: storie di straordinaria corruzione’. Che ovviamente non
è disponibile su Amazon”.
PER IL NUOVO COLOSSO MONDADORI-RIZZOLI IN
ARRIVO L’ANTITRUST. MA ECCO COSA SUCCEDE NEGLI USA CON IL CASO AMAZON.
Paolo Spiaga su La Voce delle Voci il 24
Ottobre 2015. Mondadori ingoia Rizzoli, un affare da 127 milioni di euro. Dopo
sette mesi di tira e molla, di trattative, di “si dice”, manifesti anti fusione,
esternazioni anti berlusconiane da parte di un nutrito gruppo di autori, ai
primi di ottobre il matrimonio si fa e nasce il nuovo colosso che sfiora il 40
per cento del mercato dei libri, mettendosi alle spalle – iperdistanziate – le
altri sigle (Gems al 10, Giunti al 6, Feltrinelli col 5 e De Agostini con il 2
per cento). Sconto da circa 8 milioni sulla base iniziale della trattativa,
perchè Mondadori si “accolla” il rischio Antitrust: vale a dire cosa dirà, a
questo punto, l’autorità di controllo circa la legittimità o meno di un colosso
del genere, che – secondo alcuni addetti ai lavori – in qualche comparto (ad
esempio i tascabili), arriva addirittura a detenere l’80 per cento del mercato.
Minimizzano il rischio alla Mondadori: “nella scolastica – osservano – non
superiamo il 25 per cento mentre nel commerciale in senso ampio non andiamo
oltre il 35 per cento: quindi quote compatibili in un libero mercato”. Le cifre
dei fatturati, comunque, sono elevatissime: ai circa 240 milioni di introiti
della divisione libri della Mondadori, infatti, si sommeranno gli oltre 220 che
arrivano dalle entrate di Rcs Libri (ossia i nuovi marchi Bompiani, Fabbri,
Sonzogno, Marsilio e la stessa Rizzoli). Un’operazione fortemente voluta da
Ernesto Mauri, convinto che la nascita del nuovo colosso possa dare impulso al
mercato del libro in Italia, allineandoci ai trend dei paesi esteri (e anche per
fronteggiare l’assalto di Amazon). Di parere opposto, ad esempio, un altro
Mauri, Stefano, al timone di Gems dalla sua nascita (in tandem con Spagnol), tra
i parti più riusciti quello di Chiarelettere. Ai microfoni di Lilli Gruber per
Otto e mezzo, Stefano Mauri ha espresso i suoi dubbi circa la nascita del
colosso-competitor: e ha denunciato l’esistenza di un vero e proprio
“monopsonio”. Tecnicamente si tratta della presenza, sul mercato, di “un solo
acquirente a fronte di una pluralità di venditori” (mentre il monopolio è
caratterizzato da “un unico venditore che offre il suo prodotto”). E’ la stessa
accusa che negli Stati Uniti tre storiche e agguerrite sigle associative –
American Bookseller Association, Authors United e Authors Guild – hanno
formulato nei confronti di Amazon a metà luglio, chiedendo un pronunciamento da
parte dell’Antitrust a stelle e strisce, in particolare al “Justice Department
of the Antitrust Division”. I promotori chiedono di verificare l’esistenza di
una “posizione dominante” nel mercato editoriale ormai detenuto da Amazon, che
“ha ottenuto una posizione di monopolio nella vendita dei libri e di monopsonio
nell’acquisto di libri”. Il gruppo di Seattle – spiegano alcuni esperti –
sarebbe cioè “venditore unico o quasi nel primo caso, compratore unico o quasi
nel secondo caso”. Se il buongiorno si vede dal mattino, Amazon ha buone chance
per farla franca, o quasi. Il numero uno dell’Antitrust, William J. Baer, ha
“esternato” a giugno in modo “leggermente” inappropriato, celebrando – scrive il
New York Times – il modello economico “selvaggio” di Amazon nel campo degli
e-book: “è servito ad alimentare la competizione”, “a ravvivare il mercato”, è
il parere di Baer. Qualche “conflitto” in vista anche negli Usa e nelle
“sentenze”? Di parere opposto – cita ancora il New York Times – una nota firma
statunitense, Peter Meyers, fresco autore di “Breaking the Page” sul passaggio
dalla stampa al digitale: “Il successo di Amazon – sottolinea Meyer – ha
schiacciato la competizione”. Insomma un Golia senza alcun Davide all’orizzonte
capace di intimorirlo. Ma vediamo, più in dettaglio, le principali accuse
contenute nel documento (24 pagine) inviato al Dipartimento di giustizia dalle
tre sigle associative, “gruppi che rappresentano – scrive ancora il New York
Times – migliaia di autori, agenti e librai indipendenti”. In primo luogo, viene
sottolineato, “Amazon ha usato la sua posizione dominante in modi che secondo
noi danneggiano i lettori americani, impoveriscono l’industria editoriale nel
suo complesso, danneggiano le carriere di molti autori (generando paura fra di
essi) e impediscono il libero scambio delle idee nella nostra società”. Bordate
da non poco. “Non esiste un solo esempio, nella storia americana, dove la
concentrazione di potere nella mani di una sola compagnia abbia alla fine
portato benefici ai consumatori”. Ecco alcune fra le pratiche più “distruttive”
adottate da Amazon nella sua politica iperaggressiva: “vendere alcuni libri e
non altri sulla base di precise tendenze politiche; vendere alcuni libri
sottocosto in modo tale da mettere in serie difficoltà, fino ad estromettere, le
aziende editoriali dotate di minori mezzi economici; bloccare o ridurre la
vendita di alcuni libri (per milioni di copie) per esercitare pressione sugli
editori; esercitare la sua posizione dominante per ottenere una percentuale
sulle vendite superiore rispetto agli altri editori”. Pratiche e tattiche
commerciali che “minano alla base l’ecosistema dell’intera industria del libro
negli Stati Uniti”, in una misura che risulterà molto dannosa anche per gli
autori della “mid list”, quelli emergenti, le “voci delle minoranze”. Ci voleva
la guerra con Amazon (che oggi controlla un terzo del mercato dei nuovi prodotti
stampati e i due terzi delle vendite di e-book) per riuscire a riunire sigle
storicamente mai gemellate, come ad esempio la Bookseller Association e Author
Guilds, che mettono insieme 9000 autori e 2.200 punti vendita. “I nostri punti
di vista fino ad oggi sembra siano stati ignorati”, lamentano, ma confidano nel
fatto che “il clima sta cambiando”. E, a quanto pare, sperano (sic) nell’Europa.
“Ci sono dei grossi sforzi all’interno dell’Unione Europea – Germania e pochi
altri Paesi – per esaminare con più attenzione il dossier Amazon. Ciò può avere
dei positivi riflessi in quello che accade qui da noi”. Nota il sito
“Consumerist”: “a giugno l’Unione Europea ha annunciato che aprirà formalmente
una pratica di Antitrust per quanto riguarda i particolari contratti di vendita
stipulati da Amazon sul fronte degli e-book”. Saranno allora curiosi, negli
States, di conoscere gli sviluppi del nostro Antitrust alle prese con la patata
bollente del nuovo colosso “Mondazzoli”?
PREMESSA:
IL DIRITTO D’AUTORE ED IL DIRITTO DI CITAZIONE.
Il
Diritto di Citazione e la Censura dei giornalisti.
Il Commento di Antonio Giangrande.
Sono
Antonio Giangrande autore ed editore di centinaia di libri. Su uno di questi
“L’Italia dei Misteri” di centinaia di pagine, veniva riportato, con citazione
dell’autore e senza manipolazione e commenti, l’articolo del giornalista
Francesco Amicone, collaboratore de “Il Giornale” e direttore di Tempi. Articolo
di un paio di pagine che parlava del Mostro di Firenze ed inserito in una più
ampia discussione in contraddittorio. L’Amicone, pur riconoscendo che non vi era
plagio, criticava l’uso del copia incolla dell’opera altrui. Per questo motivo
ha chiesto ed ottenuto la sospensione dell’account dello scrittore Antonio
Giangrande su Amazon, su Lulu e su Google libri. L’intero account con centinai
di libri non interessati alla vicenda. Google ed Amazon, dopo aver verificato la
contronotifica hanno ripristinato la pubblicazione dei libri, compreso il libro
oggetto di contestazione, del quale era stata l’opera citata e contestata. Lulu,
invece, ha confermato la
sospensione.
L’autore ed editore Antonio Giangrande si avvale del Diritto di Citazione. A
norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la
citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione
al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei
limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza
all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o
di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità
illustrative e per fini non commerciali."
Nei
libri di Antonio Giangrande, per il rispetto della pluralità delle fonti in
contraddittorio per una corretta discussione, non vi è plagio ma Diritto di
Citazione.
Il
Diritto di Citazione è il Diritto di Cronaca di un’indagine complessa
documentale e testimoniale senza manipolazione e commenti con di citazione di
opere altrui senza lesione della concorrenza con congruo lasso di tempo e
pubblicazione su canali alternativi e differenti agli originali.
Il
processo a Roberto Saviano per “Gomorra” fa precedente e scuola: si condanna
l’omessa citazione dell’autore e non il copia incolla della sua opera.
Vedi
Giorgio dell’Arti su “Cinquantamila.it”. LA STORIA RACCONTATA DA GIORGIO
DELL'ARTI. “Salve. Sono Giorgio Dell’Arti. Questo sito è riservato agli abbonati
della mia newsletter, Anteprima. Anteprima è la spremuta di giornali che
realizzo dal lunedì al venerdì la mattina all’alba, leggendo i quotidiani appena
arrivati in edicola. La rassegna arriva via email agli utenti che si sono
iscritti in promozione oppure in abbonamento qui o sul sito anteprima.news”.
Oppure
come fa Dagospia o altri siti di informazione online, che si limitano a
riportare quegli articoli che per motivi commerciali o di esclusività non sono
liberamente fruibili. Dagospia si definisce "Risorsa informativa online a
contenuto generalista che si occupa di retroscena. È espressione di Roberto
D'Agostino". Sebbene da alcuni sia considerato un sito di gossip, nelle parole
di D'Agostino: «Dagospia è un bollettino d'informazione, punto e basta».
Addirittura il portale web “Newsstandhub.com” riporta tutti gli articoli dei
portali di informazione più famosi con citazione della fonte, ma non degli
autori. Si presenta come: “Il tuo centro edicola personale dove poter consultare
tutte le notizia contemporaneamente”.
Così
come il sito web di Ristretti.org o di Antimafiaduemila.com, o di
pressreader.com.
Così
come fanno alcuni giornali e giornalisti. Non fanno inchieste o riportano
notizie proprie. Ma la loro informazione si basa anche su commento di articoli
di terzi. Vedi “Il giornale” o “Libero Quotidiano” o Il Corriere del Giorno o il
Sussidiario, o twnews.it/it-news, ecc.
Comunque,
nonostante la sua opera sia stata rimossa, Francesco Amicone, mi continua a
minacciare: “Domani vaglierò se inviare una email a tutti gli editori
proprietari degli articoli che lei ha inserito - non si sa in base a quale nulla
osta da parte degli interessati - nei suoi numerosi libri. La invito - per il
suo bene - a rimuovere i libri dalla vendita e a chiedere a Google di non
indicizzarli, altrimenti è verosimile che gli editori le chiederanno di pagare.”
Non riesco a capire
tutto questo astio nei miei confronti. Una vera e propria stolkerizzazione ed
estorsione. Capisco che lui non voglia vedere il suo lavoro richiamato su altre
opere, nonostante si evidenzi la paternità, e si attivi a danneggiarmi in modo
illegittimo. Ma che si impegni assiduamente ad istigare gli altri autori a fare
lo stesso, va aldilà degli interessi personali. E’ una vera è propria cattiva
persecuzione, che costringerà Google ed Amazon ad impedire che io prosegui la
mia attività, e cosa più importante, impedisca centinaia di migliaia di lettori
ad attingere in modo gratuito su Google libri, ad un’informazione completa ed
alternativa.
E’ una vera è
propria cattiva persecuzione e della quale, sicuramente, ne dovrà rendere conto.
La
vicenda merita un approfondimento del tema del Diritto di Citazione.
Il
processo a Roberto Saviano per “Gomorra” fa precedente e scuola.
Alcuni
giornalisti contestavano a Saviano l’uso di un copia incolla di alcuni articoli
di giornale senza citare la fonte.
Da
Wikipedia: Nel 2013 Saviano e la casa editrice Mondadori sono stati condannati
in appello per plagio. La Corte d'Appello di Napoli ha riconosciuto che alcuni
passaggi dell'opera Gomorra (lo 0.6% dell'intero libro) sono risultate
un'illecita riproduzione del contenuto di due articoli dei quotidiani
locali Cronache di Napoli e Corriere di Caserta, modificando così parzialmente
la sentenza di primo grado, in cui il Tribunale aveva rigettato le accuse dei
due quotidiani e li aveva anzi condannati al risarcimento dei danni per aver
"abusivamente riprodotto" due articoli di Saviano (condanna, questa, confermata
in Appello). Lo scrittore e la Mondadori in Appello sono stati condannati in
solido al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, per 60mila euro più parte
delle spese legali. Lo scrittore ha presentato ricorso in Cassazione contro la
sentenza e la Suprema Corte ha confermato in parte l'impianto della sentenza
d'Appello e ha invitato alla riqualificazione del danno al ribasso, stimando
60000 euro una somma eccessiva per articoli di giornale con diffusione
limitatissima. La condanna per plagio nei confronti di Saviano e della Mondadori
è stata confermata nel 2016 dalla Corte di Appello di Napoli, che ha
ridimensionato il danno da risarcire da 60.000 a 6.000 euro per l'illecita
riproduzione in Gomorra di due articoli di Cronache di Napoli e per l'omessa
citazione della fonte nel caso di un articolo del Corriere di Caserta riportato
tra virgolette.
Conclusione: si condanna l’omessa citazione dell’autore e non il copia incolla
della sua opera.
Cosa
hanno in comune un giurista ed un giornalista d’inchiesta; un sociologo e un
segnalatore di illeciti (whistleblower); un ricercatore o un insegnante e un
aggregatore di contenuti?
Essi
si avvalgono del Diritto di Citazione. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge
sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o
di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati
per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e
purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se
effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve
inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
Cassazione penale, sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506, dall'altra ha funzione
di discussione: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di
parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per
uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché
non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera".
Il
Diritto di Citazione è il Diritto di Cronaca di un’indagine complessa
documentale e testimoniale senza manipolazione e commenti con di citazione di
opere altrui senza lesione della concorrenza con congruo lasso di tempo e
pubblicazione su canali alternativi e differenti agli originali.
Il
Diritto di Citazione si svolge su Stampa non periodica. Che cosa significa
"Stampa non periodica"?
Ogni
forma di pubblicazione una tantum, cioè che non viene stampata regolarmente (è
tale, ad esempio, un saggio o un romanzo in forma di libro).
Il
diritto di cronaca su Stampa non periodica diventa diritto di critica storica.
NB. In
dottrina si evidenzia che “per uso di critica” si deve intendere l’utilizzazione
oggettivamente finalizzata ad esprimere opinioni protette ex art. 21 e 33 della
Costituzione. Con me la cronaca diventa storia ed allora il mio diritto di
cronaca diventa diritto di critica storica. La critica storica può scriminare la
diffamazione. Cassazione penale, sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506.
L'esercizio del diritto di critica può, a certe condizioni, rendere non punibile
dichiarazioni astrattamente diffamatorie, in quanto lesive dell'altrui
reputazione. Resoconto esercitato nel pieno diritto di Critica Storica. La
critica storica può scriminare la diffamazione. Cassazione penale, sez. V,
sentenza 10/11/2016 n° 47506. La ricerca dello storico, quindi, comporta la
necessità di un’indagine complessa in cui “persone, fatti, avvenimenti,
dichiarazioni e rapporti sociali divengono oggetto di un esame articolato che
conduce alla definitiva formulazione di tesi e/o di ipotesi che è impossibile
documentare oggettivamente ma che, in ogni caso debbono trovare la loro base in
fonti certe e di essere plausibili e sostenibili”. La critica storica, se da una
parte può scriminare la diffamazione. Cassazione penale, sez. V, sentenza
10/11/2016 n° 47506, dall'altra ha funzione di discussione: "Il riassunto, la
citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione
al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei
limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza
all'utilizzazione economica dell'opera".
L’art.
21 della Costituzione permette di esprimere liberamente il proprio pensiero.
Nell’art. 65 della legge l. n. 633/1941 il legislatore sancisce la libertà di
utilizzazione, riproduzione o ripubblicazione e comunicazione al pubblico degli
articoli di attualità, che possiamo considerare come sinonimo di cronaca, in
altre riviste o giornali. Distinta dalla mera cronaca è l’inchiesta
giornalistica, la quale parte da fatti di cronaca per svolgere un’attività di
indagine, c.d. “indagine giornalistica”, con la quale il professionista si
informa, chiede chiarimenti e spiegazioni. Questa attività rientra nel c.d.
“giornalismo investigativo” o “d’inchiesta”, riconosciuto dalla Cassazione nel
2010 come “la più alta e nobile espressione dell’attività giornalistica”,
perché consente di portare alla luce aspetti e circostanze ignote ai più e di
svelare retroscena occultati, che al contempo sono di rilevanza sociale. A
seguito dell’attività d’indagine, il giornalista svolge poi l’attività di studio
del materiale raccolto, di verifica dell’attendibilità di fonti non generalmente
attendibili, diverse dalle agenzie di stampa, di confronto delle fonti. Solo al
termine della selezione del materiale conseguito, il giornalista inizia a
scrivere il suo articolo. (Cass., 9 luglio 2010, n. 16236, in Danno e resp.,
2010, 11, p. 1075. In questa sentenza la Corte Suprema precisa che “Con tale
tipologia di giornalismo (d’inchiesta), infatti, maggiormente, si realizza il
fine di detta attività quale prestazione di lavoro intellettuale volta alla
raccolta, al commento e alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto
di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, per
sollecitare i cittadini ad acquisire conoscenza di tematiche notevoli, per il
rilievo pubblico delle stesse”).
A
norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la
citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione
al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei
limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza
all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o
di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità
illustrative e per fini non commerciali."
La
normativa italiana utilizza l'espressione segnalatore o segnalante d'illeciti a
partire dalla cosiddetta "legge anti corruzione" (6 novembre 2012 n. 190).
Italia. L'art. 1, comma 51 della legge 6 novembre 2012, n. 190 ha disciplinato
per la prima volta nella legislazione italiana la figura del whistleblower, con
particolare riferimento al "dipendente pubblico che segnala illeciti", al quale
viene offerta una parziale forma di tutela. Negli Stati Uniti la prima legge in
tema fu il False Claims Act del 1863, che protegge i segnalatori di illeciti
da licenziamenti ingiusti, molestie e declassamento professionale, e li
incoraggia a denunciare le truffe assicurando loro una percentuale sul denaro
recuperato. Del 1912 è il Lloyd–La Follette Act, che garantisce agli impiegati
federali il diritto di fornire informazioni al Congresso degli Stati Uniti
d'America. Nel 1989 è stato approvato il Whistleblower Protection Act, una legge
federale che protegge gli impiegati del governo che denunciano illeciti,
proteggendoli da eventuali azioni di ritorsione derivanti dalla divulgazione
dell'illecito.
Quando
si parla di aggregatore di contenuti non mi riferisco a colui che, per profitto,
riproduce tout court integralmente, o quasi, un post o un articolo. Costoro non
sono che volgari “produttori” di plagio, pur citando la fonte. Ci sono
Aggregatori di contenuti in Italia, che esercitano la loro attività in modo
lecita, e comunque, verosimilmente, non contestata dagli autori aggregati e
citati.
Vedi
Giorgio dell’Arti su “Cinquantamila.it”. LA STORIA RACCONTATA DA GIORGIO
DELL'ARTI. “Salve. Sono Giorgio Dell’Arti. Questo sito è riservato agli abbonati
della mia newsletter, Anteprima. Anteprima è la spremuta di giornali che
realizzo dal lunedì al venerdì la mattina all’alba, leggendo i quotidiani appena
arrivati in edicola. La rassegna arriva via email agli utenti che si sono
iscritti in promozione oppure in abbonamento qui o sul sito anteprima.news”.
Oppure
come fa Dagospia o altri siti di informazione online, che si limitano a
riportare quegli articoli che per motivi commerciali o di esclusività non sono
liberamente fruibili. Dagospia si definisce "Risorsa informativa online a
contenuto generalista che si occupa di retroscena. È espressione di Roberto
D'Agostino". Sebbene da alcuni sia considerato un sito di gossip, nelle parole
di D'Agostino: «Dagospia è un bollettino d'informazione, punto e basta».
Addirittura il portale web “Newsstandhub.com” riporta tutti gli articoli dei
portali di informazione più famosi con citazione della fonte, ma non degli
autori. Si presenta come: “Il tuo centro edicola personale dove poter consultare
tutte le notizia contemporaneamente”.
Così
come il sito web di Ristretti.org o di Antimafiaduemila.com, o di
pressreader.com.
Così
come fanno alcuni giornali e giornalisti. Non fanno inchieste o riportano
notizie proprie. Ma la loro informazione si basa anche su commento di articoli
di terzi. Vedi “Il giornale” o “Libero Quotidiano” o Il Corriere del Giorno o il
Sussidiario, o twnews.it/it-news, ecc.
Diritto di citazione.
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Il diritto di citazione (o diritto di corta
citazione) è una forma di libera utilizzazione di opere dell'ingegno tutelate da
diritto d'autore. Infatti, sebbene l'autore detenga i diritti d'autore sulle
proprie creazioni, in un certo numero di circostanze non può opporsi alla
pubblicazione di estratti, riassunti, citazioni, proprio per non ledere l'altrui
diritto di citarla. Il diritto di citazione assume connotazioni diverse a
seconda delle legislazioni nazionali.
La Convenzione di Berna. L'articolo 10
della Convenzione di Berna, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza
degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le
seguenti regole: Articolo 10
1) Sono lecite le citazioni tratte da
un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di
articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a
condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella
misura giustificata dallo scopo.
2) Restano fermi gli effetti della
legislazione dei Paesi dell'Unione e degli accordi particolari tra essi
stipulati o stipulandi, per quanto concerne la facoltà d'utilizzare lecitamente
opere letterarie o artistiche a titolo illustrativo nell'insegnamento, mediante
pubblicazioni, emissioni radiodiffuse o registrazioni sonore o visive, purché
una tale utilizzazione sia fatta conformemente ai buoni usi e nella misura
giustificata dallo scopo.
3) Le citazioni e utilizzazioni contemplate
negli alinea precedenti dovranno menzionare la fonte e, se vi compare, il nome
dell'autore.
Le singole discipline.
Stati Uniti. Negli Stati Uniti è il titolo 17
dello United States Code che regola la proprietà intellettuale. Il fair use,
istituto di più largo campo applicativo, norma generalmente anche ciò che nei
paesi continentali europei è chiamato diritto di citazione.
Italia. L'art. 70, Legge 22 aprile 1941 n.
633 (recante norme sulla Protezione del diritto d'autore e di altri diritti
connessi al suo esercizio) dispone che «Il riassunto, la citazione o la
riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico
sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti
giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza
all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o
di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità
illustrative e per fini non commerciali.». Con il decreto legislativo n. 68 del
9 aprile 2003 è stata introdotta l'espressione di comunicazione al pubblico, per
cui il diritto è esercitabile su ogni mezzo di comunicazione di massa, incluso
il web. Con la nuova formulazione c'è una più netta distinzione tra le ipotesi
in cui “il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di
opera" viene effettuata per uso di critica o di discussione e quando avviene per
finalità didattiche o scientifiche: se effettuati a fini di insegnamento o di
ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e
per fini non commerciali. L'orientamento giurisprudenziale formatosi in Italia
sul vecchio testo dell'art. 70 è stato in genere di restringerne la portata. In
seguito a successive modifiche legislative, è stata fornita tuttavia una diversa
interpretazione della normativa attualmente vigente, in particolare con la
risposta ad un'interrogazione parlamentare nella quale il senatore Mauro
Bulgarelli chiedeva al Governo di valutare l'opportunità di estendere anche in
Italia il concetto del fair use. Il governo ha risposto che non è necessario
intervenire legislativamente in quanto già adesso l'articolo 70 della Legge sul
diritto d'autore va interpretato alla stregua del fair use statunitense. A
parere del Governo il decreto legislativo n. 68 del 9 aprile 2003, ha reso
l'articolo 70 della legge sul diritto d'autore sostanzialmente equivalente a
quanto previsto dalla sezione 107 del copyright act degli Stati Uniti. Sempre
secondo il Governo, sono quindi già applicabili i quattro elementi che
caratterizzano il fair use:
finalità e caratteristiche dell'uso (natura
non commerciale, finalità educative senza fini di lucro);
natura dell'opera tutelata;
ampiezza ed importanza della parte utilizzata
in rapporto all'intera opera tutelata;
effetto anche potenzialmente concorrenziale
dell'utilizzazione.
Sempre a parere del governo, la normativa
italiana in materia del diritto d'autore risulta già conforme non solo a quella
degli altri paesi dell'Europa continentale ma anche a quello dei Paesi nei quali
vige il copyright anglosassone.
A rafforzare il diritto di corta citazione è
nuovamente intervenuto il legislatore, che all'articolo 70 della legge sul
diritto d'autore ha aggiunto il controverso comma 1-bis, secondo il quale «è
consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo
gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso
didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di
lucro [...]». La norma, tuttavia, non ha ancora ricevuto attuazione, non essendo
stato emanato il previsto decreto ministeriale. Altre restrizioni alla
riproduzione libera vigono nella giurisprudenza italiana, come, per esempio,
quelle proprie all'assenza di libertà di panorama.
Francia. In Francia la materia è regolata
dal Code de la propriété intellectuelle.
Unione europea. L'Unione europea ha emanato
la direttiva 2001/29/CE del 22 maggio 2001 che i singoli Paesi hanno applicato
alla propria legislazione. Il parlamento europeo nell'approvare la
direttiva Ipred2, in tema di armonizzazione delle norme penali in tema di
diritto d'autore, ha approvato anche l'emendamento 16, secondo il quale gli
Stati membri provvedono a che l'uso equo di un'opera protetta, inclusa la
riproduzione in copie o su supporto audio o con qualsiasi altro mezzo, a fini
di critica, recensione, informazione, insegnamento (compresa la produzione di
copie multiple per l'uso in classe), studio o ricerca, non sia qualificato
come reato. Nel vincolare gli stati membri ad escludere la responsabilità
penale, l'emendamento si accompagnava alla seguente motivazione: la libertà di
stampa deve essere protetta da misure penali. Professionisti quali i
giornalisti, gli scienziati e gli insegnanti non sono criminali, così come i
giornali, gli istituti di ricerca e le scuole non sono organizzazioni criminali.
Questa misura non pregiudica tuttavia la protezione dei diritti, in quanto è
possibile il risarcimento per danni civili.
Citazioni di opere letterarie. La
regolamentazione giuridica delle opere letterarie ha una lunga tradizione. La
citazione deve essere breve, sia in rapporto all'opera da cui è estratta, sia in
rapporto al nuovo documento in cui si inserisce. È necessario citare il nome
dell'autore, il suo copyright e il nome dell'opera da cui è estratta, per
rispettare i diritti morali dell'autore. In caso di citazione di un'opera
tradotta occorre menzionare anche il traduttore. Nel caso di citazione da un
libro, oltre al titolo, occorre anche menzionare l'editore e la data di
pubblicazione. La citazione non deve far concorrenza all'opera originale e deve
essere integrata in seno ad un'opera strutturata avendo una finalità. La
citazione inoltre deve spingere il lettore a rapportarsi con l'opera originale.
Il carattere breve della citazione è lasciato all'interprete (giudice) ed è
perciò fonte di discussione. Nell'esperienza francese, quando si sono posti
limiti quantitativi, sono stati proposti come criterio i 1.500 caratteri.
Le antologie non sono giuridicamente collezioni di citazioni ma delle opere
derivate che hanno un loro particolare regime di autorizzazione, regolato in
Italia dal secondo comma dell'articolo 70. Le misure della lunghezza dei brani
sono fissati dall'art 22 del regolamento e l'equo compenso è fissato secondo le
modalità stabilite nell'ultimo comma di detto articolo.
Citare, non copiare! Attenzione ai testi
altrui. Scrive il 2 Giugno 2016
Chiara Beretta Mazzotta. Citare è sempre possibile, abbiamo facoltà di discutere
i contenuti (libri, articoli, post…) e di utilizzare parte dei testi altrui, ma
quando lo facciamo non dobbiamo violare i diritti d’autore. Citare o non citare?
Basta farlo nel modo corretto! Si chiama diritto di citazione e permette a
ciascuno di noi di utilizzare e divulgare contenuti altrui senza il bisogno di
chiedere il permesso all’autore o a chi ne detiene i diritti di
commercializzazione. Dobbiamo però rispettare le regole. Ogni testo – articoli,
libri e anche i testi dal carattere non specificatamente creativo (ma
divulgativo, comunicativo, informativo) come le mail… – beneficia di tutela
giuridica. La corrispondenza, per esempio, è sottoposta al divieto di
rivelazione, violazione, sottrazione, soppressione previsto dagli articoli 616 e
618 del codice penale. Le opere creative sono tutelate dalla normativa del
diritto d’autore e non possono essere copiate o riprodotte (anche in altri
formati o su supporti diversi), né è possibile appropriarsi della loro
paternità. Possono, però, essere “citate”.
È consentito il riassunto, la citazione o la
riproduzione di brani o di parti d’opera, per scopi di critica…L’art. 70, Legge
22 aprile 1941 n. 633 (recante norme sulla Protezione del diritto d’autore e di
altri diritti connessi al suo esercizio) dispone che «il riassunto, la citazione
o la riproduzione di brani o di parti d’opera, per scopi di critica, di
discussione ed anche di insegnamento, sono liberi nei limiti giustificati da
tali finalità e purché non costituiscono concorrenza all’utilizzazione economica
dell’opera». Vale a dire che – a scopo di studio, discussione, documentazione o
insegnamento – la legge (art. 70 l. 633/41) consente il riassunto, la citazione
o la riproduzione di brani o parti di opere letterarie. Lo scopo deve essere
divulgativo (e non di lucro o meglio: il testo citato non deve fare concorrenza
all’utilizzazione economica dell’opera stessa).
Dovete dichiarare la fonte: il nome
dell’autore, l’editore, il giornale, il traduttore, la data di pubblicazione.
Per rispettare il diritto di citazione dovete dichiarare la fonte: il nome
dell’autore, l’editore, il giornale, il traduttore, la data di pubblicazione.
Quindi, se per esempio state facendo la recensione di un testo, il diritto di
citazione vi consente di “copiare” una piccola parte di esso (il diritto
francese prevede per esempio 1500 caratteri; in assoluto ricordate che la
brevità della citazione vi tutela da eventuali noie) purché diciate chi lo ha
scritto, chi lo ha pubblicato, chi lo ha tradotto e quando. Nessun limite di
legge sussiste, invece, per la riproduzione di testi di autori morti da oltre
settant’anni (questo in Italia e in Europa; in Messico i diritti scadono dopo
100 anni, in Colombia dopo 80 anni e in Guatemala e Samoa dopo 75 anni, in
Canada dopo 50; in America si parla di 95 anni dalla data della prima
pubblicazione). Se volete citare un articolo, avete il diritto di riassumere il
suo contenuto e mettere tra virgolette qualche stralcio purché indichiate il
link esatto (non basta il link alla home della testata, per dire). Va da sé che
no, non potete copia-incollare un intero pezzo mettendo un semplice collegamento
ipertestuale! Questo lo potete fare solo se siete stati autorizzati. Tantomeno
potete tradurre un articolo uscito sulla stampa estera o su siti stranieri. Per
pubblicare un testo tradotto dovete infatti essere stati autorizzati. Quindi, se
incappate in rete in un post di vostro interesse che non vi venga in mente di
copiarlo integralmente indicando solo un link. Aggregare le notizie, copiandole
totalmente, anche indicando la fonte, non è legale: è necessaria
l’autorizzazione del titolare del diritto. E poi, oltre a non rispettare le
leggi del diritto d’autore, fate uno sgarbo ai motori di ricerca che penalizzano
i contenuti duplicati.
Prestate cura anche ai tweet, agli status e a
tutto ciò che condividete in rete. E se scoprite un plagio in rete? Dal 2014 non
c’è più bisogno di ricorrere alla magistratura. Cioè non c’è più bisogno di un
processo, né di una denuncia alle autorità (leggi qui). C’è infatti una nuova
procedura “accelerata”, introdotta con il recente regolamento Agcom, e potete
avviare la pratica direttamente in rete facendo una segnalazione e compilando un
modulo (per maggior informazioni su come denunciare una violazione leggi la
guida: “Come denunciare all’Acgom un sito per violazione del diritto d’autore”).
Volete scoprire se qualcuno rubacchia i
vostri contenuti? Basta utilizzare uno tra i tanti motori di ricerca atti allo
scopo. Per esempio Plagium. È sufficiente copiare e incollare il testo e
analizzare le corrispondenze in rete. Spesso, ahimè, ne saltano fuori delle
belle… Mi raccomando, prestate cura anche ai tweet, agli status e a tutto ciò
che condividete in rete. Quando fate una citazione – che si tratti di una grande
poetessa o dell’ultimo cantante pop – usate le virgolette e mettete il nome
dell’autore e del traduttore. È una questione di rispetto oltre che legale. E se
volete essere presi sul serio, fate le cose per bene.
LO SPAURACCHIO DELLA CITAZIONE DI OPERA
ALTRUI. Avvocato Marina Lenti Marina
Lenti su diritto d'autore. A volte mi capita di rispondere a dei quesiti postati
su Linkedin e siccome quello che segue ricorre spesso, colgo l’occasione per
trattarlo,in maniera molto elementare (niente legalese! ), anche in questa sede.
Si tratta di una delle maggiori preoccupazioni di chi scrive: la citazione. Può
trattarsi della citazione di una dichiarazione rilasciata da qualcuno, oppure la
citazione di un titolo di un libro o di un film, o similia. Spesso gli autori
sono paralizzati perché pensano che ogni volta sia necessaria l’autorizzazione
del titolare dei diritti connessi alla dichiarazione o all’opera citata.
Ovviamente non è così perché, in tal caso si arriverebbe alla paralisi totale e
tutta una serie di generi morirebbe: manualistica, saggistica, biografie…
Bisogna ricordare sempre che il diritto d’autore, oltre a proteggere la
proprietà intellettuale, deve contemperare anche l’esigenza collettiva di poter
usare materiale altrui, a certe condizioni, in modo da creare materiale nuovo,
anche sulla base di quello vecchio, che arricchisca ulteriormente la
collettività. E’ per questo che si ricorre al concetto di fair use, che nella
nostra Legge sul Diritto d’Autore si ritrova al primo comma dell’art. 70: “Il
riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro
comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di
discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano
concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera”.
In aggiunta, il concetto è più chiaramente
formulato nella Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e
artistiche, cui l’Italia aderisce, all’art. 10 comma 1: “Sono lecite le
citazioni tratte da un’opera già resa lecitamente accessibile al pubblico,
nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di
rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente
ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo”.
Dunque, non c’è bisogno di autorizzazioni se,
per esempio, se in un dialogo, un personaggio riferisce all’altro di aver letto
il libro X, o aver visto il film Y, o aver letto l’intervista rilasciata dal
personaggio famoso Z. Diverso sarebbe, ovviamente, se ci si appropriasse del
personaggio X dell’altrui opera Y per farlo agire nella propria (e se state
pensando alle fan fiction, ebbene sì, a stretto rigore le fan fiction sono
illegali, solo che alcuni autori, come J.K. Rowling, le tollerano finché restano
sul web e sono messe a disposizione gratuitamente; altri, come Anne Rice, le
combattono invece in tutti i modi). Lo stesso vale se si riporta la
dichiarazione di un’intervista, oppure un brano di un’altrui opera. In questo
caso basterà citare in nota la fonte: nome dell’autore, titolo
dell’intervista/opera, data, numeri di riferimento (a seconda della
pubblicazione), editore, anno. Oltretutto, riportare la fonte dà maggiore
autorevolezza alla vostra opera perché dimostra che le citazioni riportate non
sono "campate in aria". Ovviamente la citazione deve constare di qualche frase,
non di mezza intervista o mezzo libro, altrimenti va da sé l’uso non sarebbe
più "fair", cioè "corretto".
Bisogna tuttavia fare attenzione al contenuto
di ciò che si cita, per non rischiare di incorrere in altri possibili problemi
legali diversi dalle violazioni del diritto d’autore: se, ad esempio, si cita
una dichiarazione di terzi che accusa la persona X di essere colpevole di un
reato e questa dichiarazione è priva di fondamento (perché, ad esempio, non c’è
stata una sentenza di condanna), ovviamente potrà essere ritenuto responsabile
della diffamazione alla stregua della fonte usata.
Il concetto di fair use, a differenza che in
Italia, è stato oggetto di elaborazione giurisprudenziale molto sofisticata in
Paesi come l’America. Magari in un prossimo post esamineremo i quattro parametri
di riferimento elaborati dai giudici statunitensi per discernere se, in un dato
caso, si verta effettivamente in tema di fair use. Tuttavia, nonostante questa
lunga elaborazione, va tenuto presente che si tratta sempre di un terreno molto
scivoloso, che ha volte ha dato luogo pronunciamenti contraddittori.
La riproduzione e citazione di articoli
giornalistici. Di Alessandro
Monteleone.
La normativa.
La materia trova disciplina nei seguenti
testi di legge: art. 10, comma 1, Convenzione di Berna per la protezione delle
opere letterarie ed artistiche (ratificata ed eseguita con la L. 20 giugno 1978,
n. 399); artt. 65 e 70, Legge 22 aprile 1941, n. 633 (di seguito anche “Legge
sul Diritto d’Autore”).
L’opera giornalistica.
Come noto, l’opera giornalistica che abbia il
requisito della creatività è tutelata dall’art. 1 della Legge sul Diritto
d’Autore. Il quotidiano (ovvero il periodico) è considerato pacificamente opera
“collettiva”, in merito alla quale valgono le seguenti considerazioni. In base
al combinato disposto degli artt. 7 e 38, Legge sul Diritto d’Autore l’editore
deve essere considerato l’autore dell’opera. L’editore – salvo patto contrario –
ha il diritto di utilizzazione economica dell’opera prodotta “in considerazione
del fatto che […] è il soggetto che assume su di sé il rischio della
pubblicazione e della messa in commercio dell’opera provvedendovi per suo conto
ed a sue spese”. L’editore è titolare “dei diritti di cui all’art. 12 l.d.a.
(prima pubblicazione dell’opera e sfruttamento economico della stessa). E ciò
senza alcun bisogno di accertare […] un diverso modo ovvero una distinta fonte
di acquisto del diritto sull’opera componente, rispetto a quello sull’opera
collettiva”, inoltre “il diritto dell’editore si estende a tutta l’opera, ma
includendone le parti”.
Disciplina normativa in materia di
citazione e riproduzione di articoli giornalistici.
Con riferimento alla possibilità di
riprodurre articoli giornalistici in altre opere si osserva quanto segue:
La Convenzione di Berna contiene una clausola
generale che disciplina la fattispecie della citazione di un’opera già resa
accessibile al pubblico. In particolare, in base all’art. 10 della Convenzione
di Berna, la libertà di citazione incontra quattro limiti specifici:
1) l’opera deve essere stata
resa lecitamente accessibile al pubblico;
2) la citazione deve avere carattere di mero
esempio a supporto di una tesi e non deve avere come scopo l’illustrazione
dell’opera citata;
3) la citazione non deve presentare
dimensioni tali da consentire di supplire all’acquisto dell’opera;
4) la citazione non deve pregiudicare la
normale utilizzazione economica dell’opera e arrecare un danno ingiustificato
agli interessi legittimi dell’autore. Per essere lecite, altresì, le citazioni
devono essere contenute nella misura richiesta dallo scopo che le giustifica e
devono essere corredate dalla menzione della fonte e del nome dell’autore.
Art. 10, Convenzione di Berna: “1)Sono lecite
le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico,
nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di
rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente
ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo. 2) Restano fermi gli
effetti della legislazione dei Paesi dell'Unione e degli accordi particolari tra
essi stipulati o stipulandi, per quanto concerne la facoltà d'utilizzare
lecitamente opere letterarie o artistiche a titolo illustrativo
nell'insegnamento, mediante pubblicazioni, emissioni radiodiffuse o
registrazioni sonore o visive, purché una tale utilizzazione sia fatta
conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo. 3) Le
citazioni e utilizzazioni contemplate negli alinea precedenti dovranno
menzionare la fonte e, se vi compare, il nome dell'autore”.
Con riferimento alla normativa
nazionale l’art. 65, Legge sul Diritto d’Autore recita testualmente: “Gli
articoli di attualità di carattere economico, politico o religioso pubblicati
nelle riviste o nei giornali, oppure radiodiffusi o messi a disposizione del
pubblico, e gli altri materiali dello stesso carattere possono essere
liberamente riprodotti o comunicati al pubblico in altre riviste o giornali,
anche radiotelevisivi, se la riproduzione o l'utilizzazione non è stata
espressamente riservata, purché si indichino la fonte da cui sono tratti, la
data e il nome dell'autore, se riportato […]”.
L’articolo appena citato è considerato in
dottrina una norma eccezionale non suscettibile di applicazione analogica con
riguardo al carattere degli articoli, pertanto, l’elencazione sopra proposta ha
natura tassativa. (R. Valenti, Commentario breve alle leggi su proprietà
intellettuale e concorrenza). Si deve comunque evidenziare che una parte della
dottrina (R. Valenti, nota a Trib. Milano, 13 luglio 2000, in Aida, 2001, 772,
471) ritiene che una corretta interpretazione dell’art. 65, Legge sul Diritto
d’Autore porti a ritenere lecita solo la riproduzione di articoli di attualità a
carattere politico, economico e religioso (con esclusione pertanto degli
articoli di cronaca od a contenuto culturale, artistico, satirico, storico,
geografico o scientifico) che avvenga in altri giornali e riviste, ossia in
veicoli di informazione diretti ad un pubblico generalizzato e non a singole
categorie di utenti – clienti predefinite.
Ulteriore disciplina è dettata nell’art. 70,
Legge sul Diritto d’Autore che fa salva la libera riproduzione degli articoli
giornalistici, a prescindere dall’argomento trattato, purché sussista una
finalità di critica, discussione od insegnamento. Questa norma dà prevalenza
alla libera utilizzazione dell’informazione, proteggendo la forma espressiva e
lasciando libera la fruibilità dei concetti. Art. 70 LdA: “1. Il riassunto, la
citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione
al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica odi discussione, nei
limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza
all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o
di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità
illustrative e per fini non commerciali. 1-bis. E' consentita la libera
pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e
musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo
nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro. Con decreto del Ministro
per i beni e le attività culturali, sentiti il Ministro della pubblica
istruzione e il Ministro dell'università e della ricerca, previo parere delle
Commissioni parlamentari competenti, sono definiti i limiti all'uso didattico o
scientifico di cui al presente comma 2. Nelle antologie ad uso scolastico la
riproduzione non può superare la misura determinata dal regolamento, il quale
fissa la modalità per la determinazione dell'equo compenso. 3. Il riassunto, la
citazione o la riproduzione debbono essere sempre accompagnati dalla menzione
del titolo dell'opera, dei nomi dell'autore, dell'editore e, se si tratti di
traduzione, del traduttore, qualora tali indicazioni figurino sull'opera
riprodotta”.
In dottrina si evidenzia che “per uso di
critica” si deve intendere l’utilizzazione oggettivamente finalizzata ad
esprimere opinioni protette ex art. 21 e 33 della Costituzione e non, invece,
l’utilizzazione funzionale allo svolgimento di attività economiche ex art. 41
Cost. (R. Valenti, cit.). Secondo la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie
anche questa norma ha carattere eccezionale e si deve interpretare
restrittivamente. (Da ultime Cass. 2089/1997 e 11143/1996. L’art. 70, Legge sul
Diritto d’Autore richiede inoltre che “il riassunto, la citazione o la
riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico”,
perché siano leciti, “non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica
dell’opera [citata]”. Tale requisito postula che l’utilizzazione dell’opera non
danneggi in modo sostanziale uno dei mercati riservati in esclusiva
all’autore/titolare dei diritti: non deve pertanto influenzare l’ammontare dei
profitti di tipo monopolistico realizzabili dall’autore/titolare dei diritti.
Secondo VALENTI, in particolare, il carattere commerciale dell’utilizzazione e,
soprattutto, l’impatto che l’utilizzazione può avere sul mercato – attuale o
potenziale – dell’opera protetta sono elementi determinanti nel verificare se
l’utilizzazione possa considerarsi libera o non concreti invece violazione del
diritto d’autore. Infine, il terzo comma dell’art. 70, Legge sul Diritto
d’Autore richiede che “il riassunto, la citazione o la
riproduzione” siano “sempre accompagnati dalla menzione del titolo dell'opera,
dei nomi dell'autore, dell'editore e, se si tratti di traduzione, del
traduttore qualora tali indicazioni figurino sull'opera riprodotta”.
In considerazione di ciò, la mancata menzione
degli elementi succitati determina una violazione del diritto di paternità
dell’opera dell’autore, risarcibile in quanto abbia determinato un danno
patrimoniale al titolare del diritto.
Conclusioni.
La lettura combinata degli artt. 65 e 70, Legge
sul Diritto d’Autore porta a ritenere che, per citare o riprodurre lecitamente
un articolo giornalistico in un’altra opera, debbano ricorrere i seguenti
presupposti:
1) art. 65, LdA (limite contenutistico): nel
caso di riproduzione di articoli di attualità che abbiano carattere economico,
politico o religioso pubblicati nelle riviste o nei giornali, tale riproduzione
può avvenire liberamente purchè non sia stata espressamente riservata e vi sia
l’indicazione della fonte da cui sono tratti, della data e del nome dell’autore,
se riportato;
2) art. 70, LdA (limite teleologico e
dell’utilizzazione economica): la citazione o riproduzione di brani o parti di
opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi qualora siano effettuati
per uso di critica, discussione, insegnamento o ricerca scientifica entro i
limiti giustificati da tali fini e purchè non costituiscano concorrenza
all’utilizzazione economica dell’opera citata o riprodotta. In relazione ai
singoli articoli, quindi, l’editore potrà far valere l’inapplicabilità dell’art.
65 LdA tutte le volte in cui “il titolare dei diritti di sfruttamento –
dell’articolo riprodotto – se ne sia riservata, appunto, la riproduzione o la
utilizzazione” apponendovi un’espressa dichiarazione di riserva.
IL DIRITTO D’AUTORE TRA IL DIRITTO DI
CRONACA E LA CREAZIONE LETTERARIA.
Diritto d'autore e interesse generale.
Contemperare l’esigenza collettiva di poter usare materiale altrui in modo da
creare materiale nuovo, anche sulla base di quello vecchio, che arricchisca
ulteriormente la collettività. Opera letteraria - giornalistica, fonte di
informazione e di cronaca. Diritti costituzionalmente garantiti, senza
limitazione dall'art 21 della Costituzione italiana: «Tutti hanno diritto di
manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni
altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o
censure.»
Questa libertà è riconosciuta da tutte le
moderne costituzioni.
Ad questa libertà è inoltre dedicato
l'articolo della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948: Art.
19: Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione,
incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di
cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza
riguardo a frontiere.
La libertà di espressione è sancita anche
dall'art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo
e delle libertà fondamentali ratificata dall'Italia con l. 4 agosto 1955, n.
848:
1. Ogni individuo ha diritto alla libertà
di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di
ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza
da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.
2. La libertà dei media e il loro
pluralismo sono rispettati.
Tesi di Laurea di Rosalba Ranieri. Pubblicato
da Studio Torta specializzato in proprietà intellettuale.
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI “ALDO MORO”
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA.
TESI DI LAUREA IN DIRITTO COMMERCIALE. IL DIRITTO D’AUTORE TRA IL DIRITTO DI
CRONACA E LA CREAZIONE LETTERARIA: IL CASO “GOMORRA” RELATORE: Ch.issima Prof.
Emma Sabatelli LAUREANDA Rosalba Ranieri.
La maggior parte delle persone comuni, non
giuristi, quando pensano al diritto d’autore hanno un’idea precisa: basandosi
sui fatti di cronaca, ritengono che il diritto d’autore tuteli quel cantante o
autore famosi ai quali è stata rubata o copiata l’idea della propria canzone o
del proprio libro. Tuttavia questa è una visione alquanto semplicistica.
Sfogliando qualsiasi manuale di diritto
industriale o un’enciclopedia giuridica veniamo a sapere che: “il diritto
d’autore è quel complesso di norme che tutela le opere dell’ingegno di carattere
creativo riguardanti le scienze, la letteratura, la musica, le arti figurative,
l’architettura, il teatro, la cinematografia, la radiodiffusione e, da ultimo, i
programmi per elaboratore e le banche dati, qualunque ne sia il modo o la forma
di espressione, attraverso il riconoscimento all’autore dell’opera di una serie
di diritti, sia di carattere morale che patrimoniale”. Dunque, del diritto
d’autore non dobbiamo avere una visione riduttiva, come la si aveva in passato,
in quanto il diritto d’autore ha un campo d’azione molto più ampio di quanto si
possa ad un primo approccio immaginare. Si può ben pensare che in passato, a
fronte delle rudimentali scoperte e conoscenze nei diversi settori in cui oggi
opera, il diritto d’autore tutelava parzialmente l’autore, poiché solo gli
scrittori di opere letterarie potevano esser lesi nel diritto esclusivo di usare
economicamente la propria opera con la riproduzione non autorizzata della stessa
a mezzo della stampa.
É dunque l’invenzione della stampa che fa
sorgere l’esigenza di un diritto d’autore, che nasce prima in Inghilterra con il
“Copyright Act”, la legge sul copyright (il diritto alla copia) della regina
Anna del 1709; poi negli Stati Uniti, ispirati dalla legge inglese, con la legge
federale del 1790 e poi in Francia con le leggi post-rivoluzionarie del
1791-1793, nelle quali si riconoscono per la prima volta i diritti morali
dell’autore. Solo successivamente gli altri Stati europei, come l’Italia,
adotteranno una legge a tutela del diritto d’autore. Tuttavia, prima di queste
leggi, il diritto d’autore inizia a formarsi già nel mondo antico. Infatti
nell’Antica Grecia non c’erano specifiche disposizioni legislative, perciò le
opere letterarie erano liberamente riproducibili, ma veniva condannata
l’appropriazione indebita della paternità. A Roma, invece, si distingueva il
diritto di proprietà immateriale dell’autore (corpus mysticum), creatore ed
inventore dell’opera, dal diritto di possesso materiale del bene del libraio e
dell’editore (corpus mechanicum), essendo questi ultimi che possedevano
materialmente i supporti contenenti le opere. Perciò, il diritto romano
riconosceva i diritti patrimoniali soltanto ai librai e agli editori, perché una
volta che l’opera fosse stata pubblicata (mediante una lettura in pubblico e la
diffusione di manoscritti) i diritti venivano traslati sulla cosa materiale,
invece agli autori riconosceva altri diritti quali: il diritto di non pubblicare
l’opera, il diritto di mantenere l’opera inedita ed altri diritti inerenti la
paternità. Con la caduta dell’Impero Romano, la cultura si rifugia presso i
monasteri; infatti i monaci amanuensi, avendo a disposizione numerosi volumi,
iniziarono a ricopiarne manualmente il contenuto presso vaste sale illuminate:
le scriptoria. Poco tempo dopo nacquero le prime Università (a Bologna, Pisa,
Parigi…) e di conseguenza la cultura non fu più di esclusivo appannaggio dei
religiosi, ma anche dei laici. Molti uomini ricchi del Quattrocento si
interessarono alla lettura soprattutto di testi religiosi, giuridici,
scientifici, ma anche di romanzi. La diffusione della cultura e l’aumento della
domanda di copie di testi letterari portò ad un mercato del libro, che
permetteva ottime possibilità di guadagno, allorché fu inventata la tecnica, che
avrebbe consentito la riproduzione dell’opera in maniera più rapida, più
economica, e meno faticosa su centinaia o migliaia di copie. Nel 1455 nacque la
stampa a caratteri mobili ad opera del tedesco Johannes Gutenberg e con essa
nasce l’interesse di tutelare i testi e gli autori che li producevano. È con
l’avvento della stampa che l’autore è riconosciuto come titolare di privilegi di
stampa, che in passato erano concessi solo agli editori. Questo sistema resse
fino al XVIII sec., fino alla produzione di leggi più organiche sul diritto
d’autore. Dunque, si può affermare che il diritto d’autore in senso moderno
nasce con l’invenzione della stampa e dalla necessità di dare tutela alle sole
opere letterarie ed artistiche che possono essere prodotte a mezzo della stampa.
Successivamente, esso fu esteso anche ad altre tipologie di opere, che possono
essere prodotte con mezzi diversi dalla stampa. Il diritto d’autore si sviluppa
al progredire della scienza e della tecnologia e questo ha reso ancora più ampio
il margine del suo utilizzo; difatti, il diritto d’autore è oggi “un istituto
destinato a proteggere opere eterogenee (opere letterarie, artistiche, musicali,
banche dati, software e design)”, dunque anche opere digitali e multimediali,
create con programmi di computer. Da qui emerge la difficoltà di delineare una
nozione di opera dell’ingegno, tutelata dal diritto d’autore.
Inoltre, il diritto d’autore riconosce una
pluralità di diritti (Si tratta del diritto esclusivo di riproduzione dell’opera
e del diritto esclusivo degli autori di comunicare l’opera al pubblico
“qualunque ne sia il modo o la forma” (con la rappresentazione, l’esecuzione e
la diffusione a distanza)) e facoltà agli autori e diverse tecniche di
protezione tanto da rendere difficile anche definirne unitariamente il
contenuto. Tuttavia, è possibile ravvisare dei caratteri e dei requisiti comuni
alle opere eterogenee, facendole rientrare nelle norme che tutelano il diritto
d’autore, così come è possibile ravvisare degli interessi ben precisi che la
legge del diritto d’autore tutela, come: l’interesse collettivo a favorire ed
incentivare la produzione di opere dell’ingegno attraverso la libera
circolazione delle idee e delle informazioni e l’interesse individuale,
propriamente dell’autore, a godere del diritto esclusivo di utilizzare
economicamente l’opera per conseguire un profitto dall’utilizzazione di essa e a
godere dei diritti morali, mediante i quali si tutela la personalità
dell’autore.
LE FONTI NORMATIVE NAZIONALI ED
INTERNAZIONALI La capacità dell’opera creativa di suscitare interesse non solo
in delimitati ambiti territoriali ha fatto sì che non si potesse prevedere una
tutela limitata nello spazio, bensì una tutela universale (L’interesse di
conoscere o avere tra le mani un’opera d’ingegno non si limita ai soli cittadini
del territorio in cui l’autore abbia inventato la sua creazione), che
permettesse la diffusione e l’utilizzo economico dell’opera anche al di là dei
confini di uno Stato. Per queste ragioni sono state elaborate Convenzioni
internazionali multilaterali in materia di diritto d’autore e dei diritti
connessi, le quali hanno portato uno stravolgimento della previgente disciplina
(Fino al 1993, anno in cui entrò in vigore il Trattato CE, oggi Trattato sul
funzionamento dell’Unione Europea, vigeva il principio di territorialità, in
base al quale il nostro ordinamento rinviava alla legge dello Stato nel quale
l’opera era utilizzata o era destinata ad essere utilizzata. In tal modo, il
diritto italiano accordava protezione soltanto alle opere dei cittadini italiani
o alle opere di autori stranieri che fossero state pubblicate o realizzate per
la prima volta in territorio italiano. Inoltre, fino al 1993, vigeva il
principio di reciprocità, superato dalle Convenzioni internazionali attualmente
in vigore, secondo il quale in Italia si sarebbero potute tutelare altre opere
di stranieri, solo in quanto lo Stato di appartenenza dello straniero accordasse
la stessa protezione concessa ai propri cittadini alle opere dei cittadini
italiani), ma hanno garantito ai cittadini di ciascuno Stato contraente la
possibilità di godere di una tutela uniforme. La Convenzione più importante in
ordine di tempo è la Convenzione d’Unione di Berna per la protezione delle opere
letterarie ed artistiche, firmata nel 1886 a Berna e modificata nelle successive
conferenze diplomatiche, alla quale ha aderito il maggior numero di Stati. Da
ricordare è anche: la Convenzione universale sul diritto d’autore, firmata nel
1952 a Ginevra da parte degli Stati che non avevano firmato la Convenzione di
Berna, tra questi in primis gli Stati Uniti d’America; la Convenzione
internazionale sulla protezione degli artisti interpreti o esecutori, dei
produttori di fonogrammi e degli organismi di radiodiffusione, firmata nel 1961
a Roma; I trattati dell’OMPI sul diritto d’autore e sulle interpretazioni,
esecuzioni e fonogrammi, firmati nel 1996 a Ginevra, volti ad integrare le
lacune delle precedenti Convenzioni. Queste Convenzioni non solo obbligano gli
Stati firmatari a rispettare il principio di assimilazione o del trattamento
nazionale, secondo il quale gli Stati devono accordare ai cittadini degli Stati
contraenti la stessa protezione riconosciuta ai propri cittadini, ma, in
aggiunta, prevedono anche una protezione minima specifica e comune per colmare
le tutele insufficienti delle leggi nazionali. Nel nostro Stato il diritto
d’autore è regolato tanto dalle Convenzioni appena richiamate, alle quali ha
aderito l’Italia, quanto dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea in
tema di non discriminazione, di libera circolazione dei prodotti e dei servizi e
di tutela della concorrenza; dalle Direttive comunitarie emanate in materia di
diritto d’autore e anche dalla l. 22 aprile 1941, n. 633 (La l. n. 633/1941 è
stata novellata ripetutamente dal nostro legislatore per dare attuazione alle
direttive comunitarie, in ragione dell’obbligo di adeguamento alla normativa
comunitaria, che incombe su tutti gli Stati aderenti all’ UE.) e dagli artt.
2575- 2583 c.c., che hanno recepito la codificazione normativa del Droit
d’auteur francese sancita nella legge del 19/24 luglio 1793 (La legge francese
sul diritto d’autore del 1793, intitolata “Droit de proprieté des auteurs”,
modificata il 3 agosto 2006, è tutt’ora vigente in Francia). Dunque, ci si può
domandare per quale ragione una materia così consolidata, come è attualmente la
tutela del diritto d’autore, sia oggetto di questa ricerca e, come si è già
anticipato, la risposta al quesito risiede nel caso giudiziario “Gomorra”,
alquanto recente, che ha suscitato un notevole interesse non solo tra i giuristi
ma anche tra i meri lettori del libro. Analizzando il caso concreto è possibile
scorgere una serie di questioni e di profili rilevanti sul piano giuridico, che
incidono addirittura sull’esito della controversia giudiziaria, mettendo in
crisi l’efficacia della tutela, che non sono regolati precisamente dal
legislatore e sui quali dottrina e giurisprudenza non hanno raggiunto, ancora
oggi, orientamenti pacifici. In altre parole, il caso giudiziario “Gomorra” può
essere utilizzato come la cartina tornasole con la quale verificare l’effettiva
efficacia degli strumenti posti a tutela del diritto d’autore.
(Il caso concreto applicato al tema
trattato della riproduzione di un opera con doverosa citazione dell'autore e
dell'editore, al netto nella menzione sul Plagio, ossia mancanza di citazione,
nota dell'autore.)
Il Convenuto. Aspetto quantitativo ed
incidentale: Dunque, i convenuti
respingono le doglianze della parte attrice asserendo in primo luogo che le
similitudini tra gli articoli di giornale e il libro sono dovute all’identità
delle fonti consultate dai giornalisti e dall’autore (forze dell’ordine e
investigatori) e che gli articoli di giornale rappresentano una componente
qualitativamente e quantitativamente irrilevante del libro: poche pagine
rispetto alle trecentotrenta dell’intero.
La Corte. Creazione di opera letteraria
atipica. Accostamento di generi diversi: il romanzo, il saggio, la cronaca
giornalistica, il pamphlet, utilizzando fonti di dominio pubblico al di là dello
spazio temporale congruo, senza conseguire alcun “atto contrario agli usi onesti
in materia giornalistica”.
Tribunale di Napoli – sezione specializzata
in materia di proprietà industriale ed intellettuale sentenza n. 773, 7 luglio
2010. Il Tribunale di Napoli respinge la domanda della parte attrice, fondando
la decisione sulle seguenti ragioni di fatto e di diritto:
1) L’opera “Gomorra” non può essere
considerata un “saggio” ma “neppure tutt’altro, un’opera di fantasia” ma essa
deve essere ricondotta al genere “romanzo no fiction, dedicato al fenomeno
camorristico, contenenti ampi riferimenti alla realtà campana”. In particolare
“Gomorra” costituisce “un accostamento di generi diversi: il romanzo, il saggio,
la cronaca giornalistica, il pamphlet”. Il suo carattere creativo emerge
dall’originale combinazione delle vicende criminali del fenomeno camorristico,
peraltro non esaminate in maniera organica, né secondo criteri, che avrebbero
invece caratterizzato un’opera di genere saggistico. In esso fatti di cronaca
vengono mescolati “con le vicende e le sensazioni personali dell’autore”, dal
che deriva la nettissima distanza dell’opera “dalla mera cronaca giornalistica
degli avvenimenti, da cui pure muove l’autore, e che trova puntuale riscontro
nello stesso testo dell’opera”. Delineato, dunque, il genere letterario di
appartenenza dell’opera di Saviano, il Tribunale esclude la violazione dell’art.
65 della legge sul diritto d’autore in quanto la norma richiede, perché ci sai
plagio, “un ambito di riferimento omogeneo”, che non ricorre nel caso di specie,
perché gli articoli di giornale sono stati utilizzati da Saviano mesi dopo la
loro pubblicazione sulla testata giornalistica ed impiegati in un ambito e con
uno scopo diverso: differentemente dal giornale con il quale si propone di dare
informazioni contingenti, il libro di Saviano intende approfondire e riflettere
sul fenomeno camorristico, trattato nel suo libro. (L’opera diventa di pubblico
dominio quando decadono i diritti di sfruttamento economico della stessa oppure
quando decorre il tempo massimo di tutela stabilito dall’ordinamento, il quale
solitamente scade dopo settant’anni dalla morte dell’autore, ma vi sono altri
casi in cui il termine è diverso, come ad esempio per le opere collettive, nelle
quali vi rientrano i giornali, le riviste, le enciclopedie, i cui diritti di
sfruttamento economico dell’opera scadono dopo settant’anni dalla pubblicazione,
ma i diritti del singolo autore seguono la regola generale. L’opera di pubblico
dominio può liberamente essere pubblicata, riprodotta, tradotta, recitata,
comunicata, diffusa, eseguita, ecc…, ma i diritti morali devono essere sempre
rispettati.)
2) L’opera “Gomorra” non promuove la critica
o la discussione sul contenuto degli articoli e ciò viene confermato dalla
“scrittura tesa e volutamente poco attenta ai dettagli” dell’autore. Pertanto,
il Tribunale di Napoli esclude la violazione dell’art. 70 l. n. 633/1941, che
richiede “la menzione del titolo dell'opera, dei nomi dell'autore e
dell'editore, qualora tali indicazioni figurino sull'opera riprodotta”, in
quanto il riferimento alla norma risulta “del tutto incongruo”.
3) L’autore ha utilizzato fonti di dominio
pubblico senza conseguire alcun “atto contrario agli usi onesti in materia
giornalistica” e ciò esclude la violazione dell’art. 101 l. n. 633/1941. (L’art.
101 l. n. 633/1941 così recita “La riproduzione di informazioni e notizie è
lecita purché non sia effettuata con l'impiego di atti contrari agli usi onesti
in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte”).
La Corte d'Appello. Distinzione di
Articoli di giornale: Cronaca; Opinione; Intervista. La rilevanza dello spazio
temporale. Prevalenza dell'interesse pubblico su quello privato.
Corte d'Appello di Napoli - Sezione
specializzata in materia d'impresa. Sentenza 4135/2016 del 26 settembre 2016,
pubblicata il 21 novembre 2016 RG 4692/2015 repert n. 4652/2016 del 21/11/2016.
Gli articoli di giornali e le riviste
rientrano a pieno titolo tra le opere protette dal diritto d’autore, ai sensi
dell’art. 3 l. n. 633/1941. Sull’assunto non può sorgere alcun dubbio, non solo
a causa della lettera della norma, ma anche perché bisogna distinguere le
tipologie di articoli: l’articolo di cronaca, l’articolo d’opinione e
l’intervista.
Il primo dà notizie di un avvenimento di
attualità in modo obiettivo; perciò il cronista deve riferire l’accaduto, senza
inserire alcun commento sulla vicenda.
Il secondo contiene non solo informazioni e
riferimenti all'attualità, ma anche l'opinione del giornalista su una
determinata questione di costume, di cronaca, culturale, ecc…
L’intervista, infine, è il resoconto di un
dialogo tra l’intervistatore e la persona intervistata. Tuttavia, l’articolo di
giornale, oltre ad avere carattere informativo, legato ai fatti di cronaca, può
avere anche contenuti descrittivi e narrativi. In esso, infatti, il giornalista
può inserire una propria visione ideologica, politica, culturale, sulla notizia
in questione. A fronte di tale classificazione si esclude che gli articoli di
cronaca possano essere plagiati a differenza di quanto avviene per gli articoli
di giornale.
Le norme del diritto d’autore in tema di
libere utilizzazioni sono del tutto eccezionali e ciò esclude che gli articoli
di giornale tutelati possano essere riprodotti, citati o sunteggiati al di fuori
dei rigorosi limiti in esse posti, nonché in assenza delle condizioni da esse
previste. (...) É pur vero che, trascorso un certo spazio temporale
dall’originaria pubblicazione della notizia, il fatto diventa notorio e non vi è
alcuna violazione del diritto d’autore, se si utilizzano informazioni diffuse;
tuttavia, rilevano le modalità con le quali le informazioni vengono usate. (...)
È assolutamente fondato che nessuno ha il monopolio delle informazioni afferenti
a fatti noti ed oggettivamente accaduti e che nessuno può subordinare
all’obbligo di citazione la riproduzione o comunicazione di un’informazione, ma
è pur vero che l’articolo di giornale può non essere solo informativo, come
l’articolo di cronaca, quando non si limita ad esporre i fatti così come sono
accaduti nella realtà, ma è connotato da una parte descrittiva e narrativa, che
rende l’opera creativa e tutelata dal diritto d’autore. (...)
Gli articoli 657 , 708 e 1019 l. n. 633/1941
prevedono dei limiti ai diritti patrimoniali dell’autore, non anche a quelli
morali, in quanto consentono la riproduzione, la comunicazione al pubblico, il
riassunto, la citazione ecc… di opere per favorire l’informazione pubblica, la
libera discussione delle idee, la diffusione della cultura e di studio, che
prevalgono sull’interesse personale dell’autore. (L’art. 65 l. n. 633/1941 così
recita “Gli articoli di attualità di carattere economico, politico o religioso,
pubblicati nelle riviste o nei giornali, oppure radiodiffusi o messi a
disposizione del pubblico, e gli altri materiali dello stesso carattere possono
essere liberamente riprodotti o comunicati al pubblico in altre riviste o
giornali, anche radiotelevisivi, se la riproduzione o l'utilizzazione non è
stata espressamente riservata, purché si indichino la fonte da cui sono tratti,
la data e il nome dell'autore, se riportato”. 8L’art. 70 l. n. 633/1941 così
recita “Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di
opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di
critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non
costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati
a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire
per finalità illustrative e per fini non commerciali”).
Corte di Cassazione. Prima sezione civile.
Sentenza n. 12314/1015. L'originalità e creatività dell'opera creata con
l'ausilio di articoli di giornale.
(...)La violazione del diritto d’autore non
si ha solo nell’ipotesi di integrale riproduzione dell’opera altrui ma anche nel
caso di mera contraffazione e, dunque, nel caso di riproduzione indebita di
alcune parti dell’opera, nelle quali si ravvisano “i tratti essenziali che
caratterizzano l’opera anteriore”. "Cass., 5 luglio 1990, n. 7077, in Giur. it.,
1991, p. 47". Su questo punto la Cassazione si è più volte pronunciata (Cass., 5
luglio 1990, n. 7077, in Giur. it., 1991, p. 47. 12 Cass., 27 ottobre 2005, n.
20925, in Foro it. 2006, p. 2080; conf. Cass., 5 luglio 1990, n. 9139, in Giust.
civ., 1991, p. 152), sostenendo che sia opportuno distinguere la riproduzione
abusiva in senso stretto dalla contraffazione e dall’elaborazione creativa
perché la prima consiste nella “copia integrale e pedissequa dell’opera altrui”;
la seconda nella riproduzione non integrale ma sostanziale dell’opera, in quanto
ci sono poche differenze e di mero dettaglio; la terza, invece, consiste in
un’opera originale, in quanto si connota per l’apporto creativo del suo autore
ed è, pertanto, meritevole di tutela, ex art. 4 l. n. 633/1941. (...)
Conclusioni.
Tuttavia, è certo che gli articoli di
giornale e “Gomorra” seguono scopi distinti, infatti, con i primi si informa e
si danno informazioni contingenti, invece, con il secondo si segue il fine di
approfondire e di indurre il lettore alla riflessione sul fenomeno criminale
denominato camorra. La forma e la struttura espositiva dell’opera permettono di
riflettere su un altro punto nevralgico della vicenda, che vede, ancora una
volta, opinioni contrastanti tra la dottrina e la giurisprudenza: l’articolo di
giornale rientra tra le opere protette dal diritto d’autore? Risponde al quesito
sia l’art. 3 l. n. 633/1941, che annovera tra le opere tutelate dal diritto
d’autore anche gli articoli pubblicati su giornali e sulle riviste, sia la
distinzione tra l’articolo di cronaca e l’articolo d’opinione. Come si può
leggere nel Cap. III, par. 3.1, l’articolo di cronaca non può essere plagiato,
in quanto, per definizione, si limita a narrare i fatti così come sono accaduti,
nella loro successione cronologica, senza che vi ricorrano i requisiti che
un’opera protetta dal diritto d’autore debba avere per legge. Tali requisiti
sono elencanti nel Cap III, par. 3.1. L’articolo di opinione, invece, non è una
mera elencazione, bensì, un’esposizione di fatti con terminologie e prospettive
proprie del giornalista, correlate, in taluni casi, dalle opinioni di chi
scrive. In essi, dunque, il giornalista racconta i fatti in modo creativo,
suggerendo un’impronta personale, tali da ricondurli direttamente a se stesso,
cosicché è possibile che vi siano articoli scritti da giornalisti diversi, che,
seppure raccontano gli stessi fatti, non incorrono nel plagio. Gli articoli di
opinione possono, dunque, essere oggetto di plagio. In conclusione, l’articolo
di giornale, che ricorre nel caso giudiziario in esame, non è assimilabile ad un
articolo di cronaca, così come delineato nel Cap. I, par. 1.3, e, colta questa
differenza, non si può negare che l’articolo di giornale sia un’opera protetta
dal diritto d’autore. Tuttavia, è bene chiarire che riconoscere come meritevoli
di tutela gli articoli di giornale, nei limiti appena chiariti, non significa
attribuire l’esclusiva dell’informazione al giornalista e alla testata
giornalistica presso la quale costui lavora, in quanto il singolo giornalista
non può essere l’unico legittimato a dare informazioni. Se così fosse, si
riconoscerebbe il monopolio dell’informazione a favore della testata
giornalista, che per prima ha dato la notizia, in contrasto con il principio
fondamentale di libertà d’espressione, sancito nell’art. 21 della Costituzione.
Sul punto si rinvia al Cap. III, par. 3.2.
Non sempre è sufficiente riconoscere fra le
opere protette dal diritto d’autore gli articoli di giornale perché essi possano
esser tutelati efficacemente dal diritto d’autore. Infatti, come dimostra il
caso esaminato, la prospettiva assunta per l’analisi della controversia può
indurre il giudice a mettere in secondo piano gli articoli rispetto il libro.
Più precisamente, il giudice avrebbe potuto escludere il plagio, se, durante il
confronto delle due opere letterarie, ne avesse enfatizzato il suo carattere
originale e creativo, rispetto alla conformazione delle notizie di cronaca
contenute nell’opera. Assumere questa prospettiva, in cui il libro diventa il
termine di paragone prevalente, significa non dare la giusta rilevanza agli
articoli di giornale nel giudizio di plagio. Rileverebbe unicamente che gli
articoli di giornale occupino un esiguo numero di pagine del libro e, poiché
rappresentano una piccola parte, si escluderebbe, a priori, che un’opera alla
stregua di “Gomorra” possa essere un’opera plagiaria. Pertanto, la quantità
delle pagine del libro, nelle quali sono riportati gli articoli di giornale, non
ritengo sia una ragione valida per escludere il plagio. Assumere, invece, la
prospettiva opposta, nella quale gli articoli di giornale diventano il primo
termine di paragone, consente di rilevare il plagio, se quest’ultimi sono
riprodotti nel libro con la stessa forma e la stessa struttura espositiva dei
giornalisti e senza che ne venga citata la fonte. In queste disposizioni
normative, la legge speciale sul diritto d’autore ammette la libera
pubblicazione o comunicazione al pubblico e la libera citazione delle opere
protette dal diritto d’autore, affinché, in tal modo, si permetta la diffusione
delle informazioni, del sapere e della cultura. Tuttavia, tale interesse
generale non deve ledere i diritti d’autore, ma deve realizzarsi nel rispetto
delle norme, sancite dal legislatore. Per impedire che si violassero i diritti
d’autore, si è attributo alle norme che sanciscono la libera utilizzazione
dell’opera protetta il carattere eccezionale. Ciò significa che esse si
applicano secondo le modalità e nei casi espressamente previsti dal legislatore
e che non sono suscettibili di applicazione analogica; pertanto, non è possibile
applicare queste norme a casi diversi da quelli delineati dal legislatore.
Dunque, le utilizzazioni devono avvenire mediante la citazione della fonte,
della data e dell’autore - le c.d. menzioni d’uso - con le quali si riconosce
che “una certa opera o parte di essa è frutto del lavoro di un 91 altro autore,
così da evitare di essere accusati di plagio se si attinge da un testo altrui”.
Se consideriamo il caso di specie, le menzioni d’uso mancano nel libro
“Gomorra”. Invece, l’art. 65 l. n. 633/1941, che ritengo applicabile al caso
“Gomorra”, resta, tuttavia, inosservato nell’esecuzione dell’opera. Pertanto,
sarebbe bastato riportare la fonte, perché venisse riconosciuta infondata
l’accusa rivolta nei confronti di Saviano. In tal modo, l’autore, non solo
sarebbe stato scagionato da ogni accusa di plagio, ma avrebbe arricchito il suo
lavoro di ricerca sui fatti raccontati, avrebbe permesso ai lettori di
approfondire gli avvenimenti e, allo stesso tempo, il suo libro non sarebbe
stato meno interessante. Dunque, la Corte non riconosce i presupposti in virtù
dei quali è ammessa dal giudice in primo grado la libera riproduzione delle
notizie contenute negli articoli, in quanto esclude che le vicende narrate negli
articoli di Libra siano divenute di pubblico dominio e ritiene irrilevante che
Saviano abbia riprodotto gli articoli nella sua opera a distanza di tempo.
L’opera diventa di pubblico dominio quando decadono i diritti di sfruttamento
economico della stessa oppure quando decorre il tempo massimo di tutela
stabilito dall’ordinamento, il quale solitamente scade dopo settant’anni dalla
morte dell’autore, ma vi sono altri casi in cui il termine è diverso, come ad
esempio per le opere collettive, nelle quali vi rientrano i giornali, le
riviste, le enciclopedie, i cui diritti di sfruttamento economico dell’opera
scadono dopo settant’anni dalla pubblicazione, ma i diritti del singolo autore
seguono la regola generale. L’opera di pubblico dominio può liberamente essere
pubblicata, riprodotta, tradotta, recitata, comunicata, diffusa, eseguita, ecc…,
ma i diritti morali devono essere sempre rispettati. I primi due gradi di
giudizio Il Tribunale di Napoli respinge la domanda della parte attrice,
fondando la decisione sulle seguenti ragioni di fatto e di diritto: 1) L’opera
“Gomorra” non può essere considerata un “saggio” ma “neppure tutt’altro,
un’opera di fantasia” ma essa deve essere ricondotta al genere “romanzo no
fiction, dedicato al fenomeno camorristico, contenenti ampi riferimenti alla
realtà campana”. In particolare “Gomorra” costituisce “un accostamento di generi
diversi: il romanzo, il saggio, la cronaca giornalistica, il pamphlet”. Il suo
carattere creativo emerge dall’originale 16 combinazione delle vicende criminali
del fenomeno camorristico, peraltro non esaminate in maniera organica, né
secondo criteri, che avrebbero invece caratterizzato un’opera di genere
saggistico. In esso fatti di cronaca vengono mescolati “con le vicende e le
sensazioni personali dell’autore”, dal che deriva la nettissima distanza
dell’opera “dalla mera cronaca giornalistica degli avvenimenti, da cui pure
muove l’autore, e che trova puntuale riscontro nello stesso testo dell’opera”.
Delineato, dunque, il genere letterario di appartenenza dell’opera di Saviano,
il Tribunale esclude la violazione dell’art. 65 della legge sul diritto d’autore
in quanto la norma richiede, perché ci sai plagio, “un ambito di riferimento
omogeneo”, che non ricorre nel caso di specie, perché gli articoli di giornale
sono stati utilizzati da Saviano mesi dopo la loro pubblicazione sulla testata
giornalistica ed impiegati in un ambito e con uno scopo diverso: differentemente
dal giornale con il quale si propone di dare informazioni contingenti, il libro
di Saviano intende approfondire e riflettere sul fenomeno camorristico, trattato
nel suo libro. 2) L’opera “Gomorra” non promuove la critica o la
discussione sul contenuto degli articoli e ciò viene confermato dalla “scrittura
tesa e volutamente poco attenta ai dettagli” dell’autore. Pertanto, il Tribunale
di Napoli esclude la violazione dell’art. 70 l. n. 633/1941, che richiede “la
menzione del titolo dell'opera, dei nomi dell'autore e dell'editore, qualora
tali indicazioni figurino sull'opera riprodotta”, in quanto il riferimento alla
norma risulta “del tutto incongruo”. 3) L’autore ha utilizzato fonti di dominio
pubblico senza conseguire alcun “atto contrario agli usi onesti in materia
giornalistica” e ciò esclude la violazione dell’art. 101 l. n. 633/1941.
IL DIRITTO D’AUTORE NELL’OPERA
GIORNALISTICA. I CARATTERI DELL’OPERA PROTETTA DAL DIRITTO D’AUTORE.
Sarebbe utopistico credere che qualsiasi opera
possa esser protetta dal diritto d’autore; infatti, lo sono solo le opere che
hanno una serie di caratteri di fondo ben fissati da parte del legislatore.
Pertanto, in presenza di opere nelle quali si ravvisano determinati requisiti si
applica la disciplina concernente il diritto d’autore e le tutele previste al
suo autore o ad altri soggetti, diversi da quest’ultimo, lesi nei loro diritti
patrimoniali e morali. Si potrebbe pensare erroneamente che la ricorrenza delle
medesime caratteristiche includa nella tutela del diritto d’autore solo opere
omogenee, ma in realtà si tratta di una nozione così di ampio respiro da
consentire ad opere diversificate ed eterogenee di rientrare comunque nella
tutela del diritto d’autore. In essa rientrano, infatti, le opere letterarie,
artistiche e musicali tradizionali, le banche di dati, il software e il design.
Analizzare i caratteri dell’opera protetta dal diritto d’autore, dunque, diventa
importante per comprendere in quali casi l’autore gode di determinati diritti e
quando può agire a tutela di essi.
L’opera dell’ingegno umano. Il primo
carattere che deve ricorrere affinché l’opera sia protetta dal diritto d’autore
è quello di “opera dell’ingegno umano”. Si tratta di una nozione legislativa che
si ricava dagli artt. 1 e 2 della l. n. 633/1941, nei quali rispettivamente si
definiscono e si classificano le opere oggetto del diritto d’autore; esse sono
il frutto di una “creazione intellettuale”, che si realizza a fronte
dell’attività dell’intelletto umano di ideazione ed esecuzione materiale
dell’opera. Dunque il concetto di creazione intellettuale é così ampio ed
elastico da consentire addirittura di comprendere opere che appartengono a campi
e categorie fenomenologiche diverse, come la letteratura, la musica, le arti
figurative, l’architettura, il teatro e la cinematografia, le quali, seppure si
avvalgono di mezzi espressivi differenti tra loro, allo stesso tempo presentano
come primo carattere di fondo l’essere un’opera derivante dall’attività
dell’ingegno umano.
Il carattere rappresentativo: la forma
interna e la forma esterna Un requisito che ricorre nelle opere oggetto di
tutela del diritto d’autore è il carattere rappresentativo, al quale Paolo
Auteri attribuisce un significato: l’opera è destinata a “rappresentare, con
qualsiasi mezzo di espressione (parola scritta o orale, disegni e immagini,
fisse o in movimento, suoni, ma anche il movimento del corpo e qualsiasi altro
segno), fatti, conoscenze, idee, opinioni e sentimenti; e ciò essenzialmente
allo scopo di comunicare con gli altri”. In parole più semplici, l’opera deve
avere una forma “percepibile” e non rimanere a livello di mero pensiero;
ovviamente, se così fosse, la semplice idea astratta, che non è idonea a
rappresentare con organicità idee e sentimenti, non potrebbe essere oggetto di
tutela. Questo carattere è sancito a livello internazionale nell’art. 9 n.2
dell’Accordo TRIPs, il quale protegge la forma espositiva con cui l’opera
appare, ad es: l’insieme di parole e frasi (c.d. forma esterna); la struttura
espositiva, ad es: l’organizzazione del discorso, la scelta e la sequenza degli
argomenti, le prospettive adottate, ecc... (c.d. forma interna), e non il
contenuto di conoscenze, informazioni, idee, fatti, teorie in quanto tali e a
prescindere dal modo in cui sono scelti, esposti e coordinati. (L’Accordo TRIPs,
“The Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights” (in
italiano, Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà
intellettuale), è un trattato internazionale promosso dall'Organizzazione
mondiale del commercio, al fine di fissare i requisiti e le linee guida che le
leggi dei paesi aderenti devono rispettare per tutelare la proprietà
intellettuale. L’art. 9 n.2 dell’Accordo TRIPs così recita: “La protezione del
diritto d’autore copre le espressioni e non le idee, i procedimenti, i metodi di
funzionamento o i concetti matematici in quanto tali”. 29 La distinzione tra
forma esterna, forme interna e contenuto è stata elaborata sin dall’inizio del
secolo scorso ad opera di un autorevole giurista tedesco, il Kohler, e viene
seguita dalla dottrina e giurisprudenza prevalenti. Essa è stata fortemente
criticata da più parti, tanto dalla dottrina, rappresentata da Piola Caselli in
Italia e da Ulmer in Germania, che dalla parte minoritaria della giurisprudenza.
Si è contestato, in breve, il fondamento teorico della tesi di Kohler e la
difficoltà, se non l’impossibilità, di distinguere tali tre elementi a livello
pratico. Inoltre, ci sono state pronunce di merito, come ad esempio la sentenza
del Tribunale di Milano del 11 marzo 2010, dalle quali emerge che non sempre il
contenuto è irrilevante ai fini del riconoscimento del plagio. Infatti, è
possibile distinguere le idee diffuse nella cultura comune dalle idee
innovative, che non appartengono al pensiero comune e che possono essere
ricondotte ad un autore in particolare. Secondo tali pronunce giurisprudenziali,
l’utilizzo del primo tipo di idee in un’opera dell’ingegno non produrrebbe
plagio purché le idee vengano rielaborate in modo originale, invece l’utilizzo
del secondo tipo di idee, anche se espresse in forma diversa, difficilmente
escluderebbero il plagio).
Il carattere creativo: originalità e novità.
Il carattere creativo è un criterio espressamente richiesto dal legislatore,
negli artt. 1 l. n. 633/1941 e 2575 c.c., affinché l’opera sia protetta dal
diritto d’autore. In dottrina tale carattere non è definito in termini omogenei.
Su questo punto, la dottrina è divisa: una opinione predilige il criterio della
c.d. “creatività oggettiva” 30 , secondo il quale è creativa “l’opera dotata di
caratteristiche materiali, oggettive appunto, tali da distinguerla da tutti i
lavori ad essa preesistenti” 31 ; l’altra, invece, sostiene il criterio della
c.d. “creatività soggettiva”32 , secondo il quale è creativa l’opera che
riflette la personalità dell’autore e il suo modo personale di rappresentare ed
esprimere fatti, idee e sentimenti, tale da renderla “direttamente riconducibile
al suo autore” (c.d. individuabilità rappresentativa). In merito alla creatività
soggettiva, la dottrina ha individuato due profili del carattere creativo:
l’originalità e la novità. L’originalità consiste nel risultato di
un’elaborazione intellettuale che riveli la personalità dell’autore,
indipendentemente dalle dimensioni e dalla complessità del contenuto dell’opera,
il quale può anche essere modesto e semplice o appartenere al patrimonio comune.
Dunque sarebbero originali tutte quelle opere che, seppure appaiano molto simili
tra loro, hanno un taglio o una prospettiva che le rende “frutto di una
elaborazione autonoma del loro autore”. Invece la novità si ha quando sono nuovi
o inediti gli “elementi essenziali e caratterizzanti” dell’opera, senza che la
novità sia assoluta o diventi creazione. Infatti nuove non sono solo le opere
che si basano su un’idea che non ha precedenti, ma anche quelle che rielaborano
elementi di opere preesistenti con forme o mezzi di espressione innovativi, tali
da distinguerle dalle opere precedenti (c.d. novità in senso oggettivo).
L’orientamento che ha riscontrato il maggior successo nelle pronunce
giurisprudenziali è quello della “creatività soggettiva”.
La compiutezza espressiva. Un altro requisito
posto dalla legge per la tutela dell’opera dell’ingegno è quello della c.d.
“compiutezza espressiva”, definita dalla dottrina come “l’idoneità a soddisfare
l’esigenza estetica, emotiva o informativa, del fruitore di un determinato
evento creativo”. Così come asserito da Kevin de Sabbata, tale nozione è
assolutamente opinabile e non vi è ancora una pronuncia giurisprudenziale o uno
studio dottrinale, che sia pervenuta ad attribuirle un significato stabile e
chiaro. Motivo per il quale si ravvisa una difficoltà di applicazione del
principio, seppure risulterebbe rilevante per la risoluzione di casi giudiziari
di plagio parziale.
La pubblicazione dell’opera. Diversamente da
quanto si possa pensare, il diritto d’autore non protegge solo le opere già
pubblicate e già immesse nel mercato ma anche quelle non pubblicate e non note
al pubblico, le c.d. opere inedite. Infatti, la Suprema Corte, riprendendo gli
artt. 6 l. n. 633/1941 e 2575 c.c., ha ribadito che il diritto d’autore ha
origine nel momento della mera creazione dell’opera, che costituisce un atto
giuridico in senso stretto, e non al seguito del conseguimento di formalità,
come gli adempimenti di deposito e di registrazione dell’opera . Nel 2012 i
giudici di legittimità hanno escluso definitivamente che l’opera debba
costituire “una sorgente di utilità” ai fini di tutela, potendo, dunque, essere
oggetto di tutela anche prima della pubblicazione.
IL DIRITTO D’AUTORE E IL DIRITTO
D’INFORMAZIONE E DI CRONACA. Dato per
scontato che il diritto d’autore tuteli, ai sensi dell’art.1 l. n. 644/1941 e
dell’art. 2575 c.c., le opere caratterizzate da requisiti di fondo delineati nel
paragrafo precedente, possiamo asserire che tali caratteri ricorrono nell’opera
giornalistica e che, pertanto, anche gli articoli di giornale sono tutelati dal
diritto d’autore. Estendere la disciplina del diritto d’autore all’articolo di
giornale comporta, come conseguenza inevitabile, che le norme a tutela
dell’autore possano incidere sull’esercizio dell’attività di comunicazione e di
informazione sociale, che si promuove con l’opera giornalistica. Il diritto
d’autore e il diritto d’informazione e di cronaca possono entrare addirittura in
conflitto tra loro, perché, da un lato vi è l’interesse di tutelate i diritti
patrimoniali e morali dell’autore con la limitazione della libera divulgazione
delle opere protette e, dall’altro lato vi è l’interesse generale alla
diffusione di informazioni esatte su fatti rilevanti e di interesse generale.
Diventa, dunque, necessario approfondire i profili di rilevo costituzionale sui
quali può incidere il diritto d’autore, quali il diritto 61 d’informazione e il
diritto di cronaca, per poter comprendere come essi si conciliano tra loro. Il
diritto d’informazione è un diritto fondamentale delle persone, che è compreso,
assieme al diritto d’opinione e di cronaca, nella libertà di manifestazione del
proprio pensiero, sancita a livello nazionale dall’art. 21 della Costituzione e
a livello sovranazionale dall’art. 19 della “Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo” e dall’art.10 co. 1, della “Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” , che consiste
“nella libertà di esprimere le proprie idee e di divulgarle ad un numero
indeterminato di destinatari”, senza porre limiti in merito ai mezzi di
espressione e in merito agli scopi, circostanze, contenuti da esprimere, ecc… Il
diritto d’informazione ha una duplice profilo: quello attivo consiste nel
diritto di informare e di diffondere notizie; invece, quello passivo consiste
nel diritto di essere informati, sempre che l’informazione sia “qualificata e
caratterizzata (…) dal pluralismo delle fonti da cui attingere conoscenze e
notizie”. In conseguenza del diritto di essere informati è fatto divieto, ai
sensi dell’art. 21, co. 2, Cost., di sottoporre la stampa a controlli
preventivi. Nel nostro ordinamento è dunque, vietata la possibilità di
sottoporre la divulgazione dell’informazione ad autorizzazioni o censure, al
fine di evitare manipolazioni della notizia e compromettere il diritto della
collettività a ricevere corrette informazioni. Il diritto dei cittadini ad
essere informati si esercita mediante il diritto di cronaca, definito dalla
giurisprudenza come “il diritto di raccontare, tramite mezzi di comunicazione di
massa, accadimenti reali in considerazione dell’interesse che rivestono per la
generalità dei consociati”. Dunque, l’informazione viene comunicata e diffusa
per mezzo dell’esercizio del diritto di cronaca, il quale incontra una serie di
limiti per evitare che l’esercizio di questo diritto possa ledere altri diritti
inviolabili. Infatti l’art. 21 co. 3 Cost., sancisce il limite del rispetto del
“buon costume”, generalmente inteso come il rispetto del “pudore sessuale”. Si
tratta, però, di un concetto sprovvisto di una definizione normativa e, dunque,
di un significato stabile, ma a ciò sopperiscono il legislatore e
l’interpretazione giurisprudenziale, tenendo conto dell’evoluzione dei costumi.
Ad esempio, la legge sulla stampa n. 47 del 1948, ha stabilito che é contrario
al “buon costume” la pubblicazione di contenuti impressionanti e
raccapriccianti, che provocano turbamento del “comune sentimento della morale o
l’ordine familiare”. Tuttavia, tanto la giurisprudenza che il legislatore nelle
altre brache del diritto ammettono ulteriori limiti, quando l’esercizio del
diritto d’informazione, o più in generale del diritto d’espressione, potrebbe
ledere altri diritti della persona costituzionalmente tutelati ed inderogabili,
quali, ad esempio il diritto alla privacy o alla riservatezza, al nome,
all’immagine, alla dignità della persona e ai diritti dell’autore, riconosciuti
dalla legge sul diritto d’autore. A tal proposito, la giurisprudenza, a più
riprese, ha individuato una serie di requisiti, che il giornalista deve
rispettare per garantire un equo bilanciamento del diritto di cronaca con altri
diritti inviolabili, che potenzialmente possono entrarvi in conflitto. Per
quanto riguarda il bilanciamento degli interessi dell’autore alla tutela dei
suoi diritti patrimoniali e morali con gli interessi della collettività alla
diffusione delle informazioni e delle notizie è intervenuta la Corte
Costituzionale con la sentenza 12 aprile 1973, n. 38, nella quale ha affermato
che le norme del diritto d’autore, rapportate all’informazione giornalistica,
non contrastano con i principi costituzionali perché non limitano in alcun modo
la “libera estrinsecazione e manifestazione del pensiero” e non “assoggettano la
stampa ad autorizzazioni o censure”, ma, piuttosto, “tutelano l'utilizzazione
economica del diritto d'autore e sono dirette ad assicurare la prova e a
determinare l'indisponibilità della cosa, sia per preservarla da distruzione o
alterazione, sia per assicurare l'attribuzione dell'opera all'avente diritto,
sia per impedire ulteriori danni derivanti da violazione del diritto di autore”.
Infatti, il legislatore garantisce il diritto d’informazione e il diritto di
cronaca, ammettendo la libera utilizzazione dell’opera protetta purché si
seguano i fini esplicitamente delineati nell’art. 70 l. n. 633/1941 – per uso di
critica o di discussione, insegnamento o ricerca scientifica – e purché tale
utilizzazione non costituisca una forma di concorrenza economicamente rilevante.
La ratio della norma si rinviene nelle esigenze di progresso e diffusione della
cultura e delle scienze. La questione, però, non è pacifica perché, se da un
lato la Corte Costituzionale afferma che la tutela del diritto d’autore non può
limitare la libera manifestazione del pensiero, dall’altro, alcuni giudici di
merito, di fronte al caso concreto, ritengono che il diritto di cronaca non
possa incidere sull’estensione del diritto d’autore, in quanto, a tale
proposito, nessun limite è previsto espressamente dalla legge. Di conseguenza,
nei fatti la delimitazione reciproca dei due diritti è rimessa al prudente
apprezzamento dei giudici di merito.
L’OPERA GIORNALISTICA.
Sulla base degli argomenti esposti in precedenza
si può, dunque affermare che anche l’opera giornalistica è tutelata dal diritto
d’autore, essendo una creazione intellettuale, la quale deriva dall’esercizio
del diritto d’informazione e di cronaca. Infatti, l’art. 3 l. n. 633/1941
annovera i giornali e le riviste tra le c.d. opere collettive, che sono
“costituite dalla riunione di opere o di parti di opere, che hanno carattere di
creazione autonoma, come risultato della scelta e del coordinamento ad un
determinato fine letterario, scientifico, didattico, religioso, politico ed
artistico”, ma non informativo. In effetti, l’opera giornalistica é il frutto di
una molteplicità di apporti creativi di diversi autori, coordinati e selezionati
dal direttore della testata giornalistica. Dunque, in tale opera si possono
distinguere due distinti livelli creativi: quello dei singoli giornalisti, che
contribuiscono a comporre l’opera, e quello del direttore, che provvede a
progettare l’opera complessiva, a scegliere e coordinare i contributi, ad
organizzare e dirigere l’attività creativa dei collaboratori. Una volta rilevata
questa duplice creatività, sorge spontaneo domandarsi come il legislatore tuteli
tali opere. Ciò che potrebbe risultare complesso è stato, invece, risolto con
estrema facilità dal legislatore, il quale ha riconosciuto come meritevole di
tutela non la creatività dei singoli giornalisti, bensì quella del direttore
che, mediante l’attività di scelta, di coordinamento e di organizzazione dei
contributi, realizza l’opera complessiva: l’opera giornalistica. È sulla base di
questa prospettiva che ben si spiegano gli artt. 7 e 38 l. n. 633/1941. L’art. 7
l. n. 633/1941 riconosce come autore delle opere collettive “chi ha diretto e
organizzato la creazione dell’opera stessa”. Pertanto, rivestendo il ruolo di
autore dell’opera giornalistica, il direttore del giornale può, ex art. 41 l. n.
633/1941, “introdurre nell’articolo da riprodurre quelle modificazioni di forma
che sono richieste dalla natura e dai fini del giornali”, le quali, se sono
sostanziali, possono essere apportate solo con il consenso dell’autore, sempre
che questi sia reperibile; altrimenti, ex art. 9 dal Contratto Nazionale di
Lavoro Giornalistico (FNSI – FIEG 1 aprile 2013 – 31 marzo 2016), “l’articolo
non dovrà comparire firmato nel caso in cui le modifiche siano apportate senza
l’assenso del giornalista”. Normalmente gli articoli che, a giudizio del
direttore, rivestono particolare importanza sono pubblicati con la firma
dell’autore, invece quelli meno rilevanti possono essere riprodotti anche senza
l’indicazione del nome dell’autore. Solo se non compare la firma dell’autore, il
direttore della testata giornalistica non solo può modificare ed integrare
l’articolo di giornale ma anche sopprimerlo e non pubblicarlo. L’art. 38 l. n.
633/1941 attribuisce il diritto di utilizzazione economica dell’opera
all’editore, salvo patto contrario, senza precludere ai singoli collaboratori di
utilizzare la propria opera separatamente, purché si rispettino gli accordi
intercorsi fra i collaboratori e l’editore, nei quali sono precisati i limiti e
le condizioni dell’utilizzazione separata dei contributi dei singoli, a
salvaguardia dello sfruttamento dell’opera collettiva. Sostanzialmente l’art. 38
l. n. 633/1941 attribuisce lo sfruttamento economico dell’opera all’editore, nel
rispetto dei principi fondamentali, ai sensi degli artt. 12 e ss. l. n.
633/1941, e allo stesso tempo garantisce il diritto ai giornalisti di utilizzare
il proprio articolo separatamente dall’opera complessiva, senza pregiudicare il
diritto di sfruttamento economico esclusivo dell’editore sull’opera collettiva.
Infatti, il legislatore, nell’art. 42 l. n. 633/1941, assicura all’autore
dell’articolo di giornale pubblicato in un’opera collettiva il diritto di
riprodurlo in estratti separati o raccolti in volume, in altre riviste o
giornali, purché “indichi l’opera collettiva dalla quale è tratto e la data di
pubblicazione”. Alla regola dell’art. 38 l. n. 633/1941, il legislatore ammette
una sola eccezione, fissata nel successivo art. 39, secondo la quale l’autore
può riacquistare il diritto di disporre liberamente dell’opera al ricorrere di
due condizioni: 1) quando il giornalista è estraneo alla redazione del giornale,
non ha un accordo contrattuale con la testata giornalistica, ma ha invitato
l’articolo al giornale perché venisse riprodotto in esso; 2) quando il
giornalista non ha ricevuto notizia dell’accettazione entro un mese dall’invio o
la riproduzione dell’articolo non è avvenuta entro sei mesi dalla notizia
dell’accettazione.
LA RIPRODUZIONE E LA CITAZIONE
DELL’ARTICOLO DI GIORNALE NELL’OPERA LETTERARIA.
Talvolta un libro nasce dall’esigenza di voler raccontare una storia, frutto
della fantasia dell’autore, basata su fatti realmente accaduti. Infatti, molto
spesso leggiamo libri con riferimenti a persone esistenti o a fatti realmente
accaduti. Per scrivere un libro basato su fatti già accaduti e magari notori, lo
scrittore deve informarsi servendosi di giornali, riviste e altro materiale,
reperibile in qualsiasi modo. Così l’autore può ricostruire gli accadimenti e
assumere informazioni dettagliate, utili per il proprio libro. Questa attività
di ricerca e informazione risulta di grande importanza, in quanto, solo di
seguito ad essa, lo scrittore inizierà a scrivere il suo libro. Però lo
scrittore deve estrarre dalle fonti le informazioni utili e rielaborarle in modo
creativo. Se, invece, si limita ad un lavoro di “copia e incolla”, corre il
rischio di ledere il diritto d’autore. Una volta chiarito che, gli articoli di
giornale e l’opera giornalistica nel suo insieme sono tutelati dal diritto
d’autore, cosa succede se ad esser riprodotto senza citazione della fonte e
dell’autore in un’opera letteraria, come è accaduto nel caso di specie
“Gomorra”, sia un articolo di giornale? Per rispondere al quesito è necessario
esaminare il contenuto degli artt. 65, 70 e 101 l. n. 633/1941, in materia di
eccezioni e limitazioni del diritto d’autore.
Gli articoli di attualità.
Nell’art. 65 della legge 53 il legislatore sancisce la libertà di utilizzazione,
riproduzione o ripubblicazione e comunicazione al pubblico degli articoli di
attualità, che possiamo considerare come sinonimo di cronaca, in altre riviste o
giornali, quando ricorrono tre requisiti:
1) che si tratti di articoli di attualità di
carattere economico, politico o religioso, o altri materie dello stesso genere.
Sul punto la dottrina è divisa, perché, da una parte c’è chi sostiene che sia
lecita la riproduzione di articoli di attualità specificamente indicati dal
legislatore (a carattere politico, economico e religioso), con l’esclusione
degli articoli di cronaca a contenuto culturale, artistico, satirico, storico,
geografico o scientifico, mentre dall’altra parte c’è chi farientrare queste
ultime fattispecie di articoli tra “gli altri materiali dello stesso carattere”;
(L’art. 65 della l. n. 633/1941 così recita “Gli articoli di attualità di
carattere economico, politico o religioso, pubblicati nelle riviste o nei
giornali, oppure radiodiffusi o messi a disposizione del pubblico, e gli altri
materiali dello stesso carattere possono essere liberamente riprodotti o
comunicati al pubblico in altre riviste o giornali, anche radiotelevisivi, se la
riproduzione o l’utilizzazione non è stata espressamente riservata, purché si
indichi la fonte da cui sono tratti, la data e il nome dell’autore, se
riportato”).
2) che siano pubblicati in riviste o in
giornali;
3) che la riproduzione o l’utilizzazione non
sia espressamente riservata, ovvero quando manchi l’indicazione, anche in forma
abbreviata, delle parole “riproduzione riservata” o di altre espressioni dal
significato analogo, all’inizio o alla fine dell’articolo, secondo quanto
prevede l’art. 7 del regolamento di esecuzione della legge sul diritto d’autore,
approvato con il R.D. 18 maggio 1942, n. 1369. È necessario a questo punto fare
una puntualizzazione, perché potrebbe intendersi erroneamente il significato
dell’espressione “libera utilizzazione”. La libera utilizzazione consiste nella
riproduzione o comunicazione al pubblico dell’opera senza il consenso
dell’autore, ma nel rispetto di determinati adempimenti, fissati dalla legge,
come l’indicazione della fonte da cui sono tratti, la data e il nome
dell’autore, se riportato. Tali formalità devono essere adempiute anche
nell’ipotesi, delineata dall’art. 65 co. 2 l. n. 633/1941, di riproduzione o
comunicazione al pubblico di opere o materiali protetti, utilizzati in occasione
di avvenimenti di attualità per fini informativi e di cronaca, fatta eccezione
del caso di impossibilità di conoscere la fonte e il nome dell’autore. (“La
riproduzione o comunicazione al pubblico di opere o materiali protetti
utilizzati in occasione di avvenimenti di attualità è consentita ai fini
dell'esercizio del diritto di cronaca e nei limiti dello scopo informativo,
sempre che si indichi, salvo caso di impossibilità, la fonte, incluso il nome
dell'autore, se riportato”). La norma in esame è eccezionale e non
suscettibile di applicazione analogica, ragione per la quale la libera
utilizzazione non si estende alle rassegne-stampa; infatti, la riproduzione di
queste ultime deve sempre essere effettuata con il consenso dei titolari dei
diritti.
La libertà di citazione.
Prima della legge italiana sul diritto d’autore,
la libertà di citazione è stata regolata dall’art. 10 della Convenzione d’Unione
di Berna, il quale riporta pressoché il contenuto fissato nell’art. 70 l. n.
633/1941. Il legislatore italiano non ha provveduto, come previsto dalla norma
internazionale, a chiarire espressamente che l’opera citata debba esser stata
pubblicata e che la citazione debba avere un carattere di mero esempio e
supporto di una tesi e non lo scopo di illustrare l’opera citata. (L’art. 10
della Convezione di Berna così recita “Sono lecite le citazioni tratte da
un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di
articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a
condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella
misura giustificata dallo scopo. Restano fermi gli effetti della legislazione
dei Paesi dell'Unione e degli accordi particolari tra essi stipulati o
stipulandi, per quanto concerne la facoltà d'utilizzare lecitamente opere
letterarie o artistiche a titolo illustrativo nell'insegnamento, mediante
pubblicazioni, emissioni radiodiffuse o registrazioni sonore o visive, purché
una tale utilizzazione sia fatta conformemente ai buoni usi e nella misura
giustificata dallo scopo. Le citazioni e utilizzazioni contemplate negli alinea
precedenti dovranno menzionare la fonte e, se vi compare, il nome dell'autore”.
56 La Convenzione d’Unione di Berna per la protezione delle opere letterarie ed
artistiche fu firmata nel 1886 a Berna e ratificata ed eseguita in Italia con la
legge 20 giugno 1978, n. 399. Sul punto si rinvia al Cap I, par. 1.2.).
Infatti, nell’art. 70 della legge italiana
sul diritto d’autore ( L’art. 70 l. n. 633/1941 così recita “Il riassunto, la
citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione
al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei
limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza
all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o
di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità
illustrative e per fini non commerciali”) il legislatore italiano si è
limitato a sancire il libero riassunto, la citazione o la riproduzione
dell’opera e la loro comunicazione al pubblico, purché:
1) vi ricorra una finalità di critica,
discussione, insegnamento o ricerca scientifica, così da garantire
l’informazione e la diffusione della cultura, in quanto si permette la libera
fruibilità dei concetti esposti nell’opera. La dottrina precisa che si ha “uso
di critica”, quando l’utilizzazione è finalizzata ad esprimere opinioni protette
dagli artt. 21 e 33 Cost.;
2) l’opera critica abbia fini autonomi e
distinti da quelli dell’opera citata e non sia succedanea dell’opera o delle sue
utilizzazioni derivate;
3) l’utilizzazione non sia di dimensioni tali
da supplire all’acquisto dell’opera, pertanto l’utilizzazione non debba essere
concorrenziale a quella posta dal titolare dei diritti e idonea a danneggiare
gli interessi patrimoniali esclusivi dell’autore o del titolare di diritti; 4)
siano rispettate le menzioni d’uso, quali l’indicazione del titolo dell’opera da
cui è tratta la citazione o la riproduzione, il nome dell’autore e dell’editore.
Dottrina e giurisprudenza concordano che anche questa disposizione normativa sia
del tutto eccezionale, cosicché non può essere applicata per analogia, ma deve
essere interpretata restrittivamente.
Informazioni e notizie giornalistiche.
L’art. 101, infine, tutela le informazioni e le notizie giornalistiche,
stabilendo che sono liberamente riproducibili altrove, purché non si ricorra ad
“atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e (…) se ne citi la
fonte”. In questo primo comma, il legislatore non ha definito gli atti contrari,
ma ha fatto rinvio alle regole di correttezza professionale, fissate nel codice
deontologico dell’attività giornalistica, lasciando al giudice il compito di
decidere, in merito ai casi concreti per i quali è chiamato a giudicare, se quel
comportamento è scorretto o meno. (L’art. 101 co. 1 l. n. 633/1941 sancisce che
“La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata
con l'impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e
purché se ne citi la fonte”). Tuttavia, il legislatore colma la genericità del
primo comma con il secondo, nel quale specifica alcuni comportamenti che, senza
alcun dubbio, costituiscono atti di concorrenza sleale: per esempio, la
riproduzione o la radiodiffusione, senza autorizzazione, dei bollettini di
informazioni distribuiti dalle agenzie, prima che siano trascorse sedici ore
dalla diramazione del bollettino stesso a coloro che ne hanno diritto, oppure
prima che l’editore autorizzato abbia pubblicato la notizia; il c.d.
“parassitismo giornalistico”, che si ha nel caso in cui il giornalista scorretto
effettua la riproduzione o la radiodiffusione sistematica di informazioni e
notizie, attingendo da altri giornali o fonti, che svolgono un’attività
giornalistica a fine di lucro. Tutte queste pratiche scorrette sono sanzionate
dalla legge con l’arresto dell’attività di concorrenza, con la rimozione degli
effetti dell’illecito, con la condanna al risarcimento dei danni e la
pubblicazione della sentenza. (L’art. 101 co. 2 l. n. 633/1941 così recita “Sono
considerati atti illeciti: a) la riproduzione o la radiodiffusione, senza
autorizzazione, dei bollettini di informazioni distribuiti dalle agenzie
giornalistiche o di informazioni, prima che siano trascorse sedici ore dalla
diramazione del bollettino stesso e, comunque, prima della loro pubblicazione in
un giornale o altro periodico che ne abbia ricevuto la facoltà da parte
dell'agenzia. A tal fine, affinché le agenzie abbiano azione contro coloro che
li abbiano illecitamente utilizzati, occorre che i bollettini siano muniti
dell'esatta indicazione del giorno e dell'ora di diramazione; b) la riproduzione
sistematica di informazioni o notizie, pubblicate o radiodiffuse, a fine di
lucro, sia da parte di giornali o altri periodici, sia da parte di imprese di
radiodiffusione”).
CRONACA, INDAGINE GIORNALISTICA E ANALISI
SOCIALE. Quando accade un fatto di
rilievo pubblico, un ruolo fondamentale è svolto dal cronista, il quale giunge
presso il luogo del fatto per raccontare gli avvenimenti così come accadono,
nella loro precisa successione cronologica, realizzando un’attività di
testimonianza diretta o indiretta. Distinta dalla mera cronaca è l’inchiesta
giornalistica, la quale parte da fatti di cronaca per svolgere un’attività di
indagine, c.d. “indagine giornalistica”, con la quale il professionista si
informa, chiede chiarimenti e spiegazioni. Questa attività rientra nel c.d.
“giornalismo investigativo” o “d’inchiesta”, riconosciuto dalla Cassazione nel
2010 come “la più alta e nobile espressione dell’attività giornalistica”,
perché consente di portare alla luce aspetti e circostanze ignote ai più e di
svelare retroscena occultati, che al contempo sono di rilevanza sociale. A
seguito dell’attività d’indagine, il giornalista svolge poi l’attività di studio
del materiale raccolto, di verifica dell’attendibilità di fonti non generalmente
attendibili, diverse dalle agenzie di stampa, di confronto delle fonti. Solo al
termine della selezione del materiale conseguito, il giornalista inizia a
scrivere il suo articolo. (Cass., 9 luglio 2010, n. 16236, in Danno e resp.,
2010, 11, p. 1075. In questa sentenza la Corte Suprema precisa che “Con tale
tipologia di giornalismo (d’inchiesta), infatti, maggiormente, si realizza il
fine di detta attività quale prestazione di lavoro intellettuale volta alla
raccolta, al commento e alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto
di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, per
sollecitare i cittadini ad acquisire conoscenza di tematiche notevoli, per il
rilievo pubblico delle stesse”). Dunque, appare evidente che, diversamente dal
giornalismo tradizionale, il quale attinge le notizie da fonti ufficiali e
istituzionali perché si dia informazione sui fatti, il giornalismo d’inchiesta
impiega mesi e mesi per sviluppare e preparare un’indagine giornalistica in
quanto approfondisce aspetti e circostanze su fatti socialmente rilevanti, così
da indurre il lettore a riflettere e formare la propria opinione, seppure
diversa da quella letta sul giornale. L’inchiesta, pertanto, mette in rilievo
problemi sociali o vicende politiche attuali e consente di compiere un’analisi
sociale. L’inchiesta e la cronaca sono tipologie giornalistiche che si
distinguono da “Gomorra”, la quale è a tutti gli effetti un’opera letteraria,
che racchiude diversi generi, come “il romanzo, il saggio, la cronaca
giornalistica, il pamphlet”. Dunque, accanto alla cronaca giornalistica, che
consiste nel narrare fatti realmente accaduti “secondo la successione
cronologica, senza alcun tentativo di interpretazione o di critica degli
avvenimenti”, vi è il romanzo, un componimento letterario in prosa, di ampio
sviluppo, frutto della creazione fantastica dell’intelletto dell’autore; il
saggio, un componimento relativamente breve, nel quale l’autore “tratta con
garbo estroso e senza sistematicità argomenti vari (di letteratura, di
filosofia, di costume, ecc.), rapportandoli strettamente alle proprie esperienze
biografiche e intellettuali, ai propri estri umorali, alle proprie idee o al
proprio gusto”; e per finire il pamphlet, definito come un “breve scritto di
carattere polemico o satirico”.
Io sono un Aggregatore di contenuti di ideologia contrapposta con citazione
della fonte.
Il World Wide Web (WWW o semplicemente "il Web") è un mezzo di comunicazione
globale che gli utenti possono leggere e scrivere attraverso computer connessi a
Internet, scrive Wikipedia. Il termine è spesso erroneamente usato come sinonimo
di Internet stessa, ma il Web è un servizio che opera attraverso Internet.
La storia del World Wide Web è dunque molto più breve di quella di Internet:
inizia solo nel 1989 con la proposta di un "ampio database intertestuale con
link" da parte di Tim Berners-Lee ai propri superiori del CERN; si sviluppa in
una rete globale di documenti HTML interconnessi negli anni novanta; si evolve
nel cosiddetto Web 2.0 con il nuovo millennio. Si proietta oggi, per iniziativa
dello stesso Berners-Lee, verso il Web 3.0 o web semantico.
Sono passati decenni dalla nascita del World Wide Web. Il concetto di accesso e
condivisione di contenuti è stato totalmente stravolto. Prima ci si informava
per mezzo dei radio-telegiornali di Stato o tramite la stampa di Regime. Oggi,
invece, migliaia di siti web di informazione periodica e non, lanciano e
diffondono un flusso continuo di news ed editoriali. Se prima, per la carenza di
informazioni, si sentiva il bisogno di essere informati, oggi si sente la
necessità di cernere le news dalle fakenews, stante un così forte flusso
d’informazioni e la facilità con la quale ormai vi si può accedere.
Oggi abbiamo la possibilità potenzialmente infinita di accedere alle
informazioni che ci interessano, ma nessuno ha il tempo di verificare la
veridicità e la fondatezza di quello che ci viene propinato. Tantomeno abbiamo
voglia e tempo di cercare quelle notizie che ci vengono volutamente nascoste ed
oscurate.
Quando parlo di aggregatori di contenuti non mi riferisco a coloro che, per
profitto, riproducono integralmente, o quasi, un post o un articolo. Costoro non
sono che volgari “produttori” di plagio, pur citando la fonte. E contro questi
ci sono una legge apposita (quella sul diritto d’autore, in Italia) e una
Convenzione Internazionale (quella di Berna per
la protezione delle opere letterarie e artistiche). Tali norme vietano
esplicitamente le pratiche di questi aggregatori.
Ci sono Aggregatori di contenuti in Italia, che esercitano la loro attività in
modo lecita, e comunque, verosimilmente, non contestata dagli autori aggregati e
citati.
Vedi Giorgio dell’Arti su “Cinquantamila.it”.
LA STORIA RACCONTATA DA GIORGIO DELL'ARTI. “Salve. Sono Giorgio Dell’Arti.
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newsletter, Anteprima. Anteprima è la spremuta di giornali che realizzo dal
lunedì al venerdì la mattina all’alba, leggendo i quotidiani appena arrivati in
edicola. La rassegna arriva via email agli utenti che si sono iscritti in
promozione oppure in abbonamento qui o sul sito anteprima.news.
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informazione online, che si limitano a riportare quegli articoli che per motivi
commerciali o di esclusività non sono liberamente fruibili.
Dagospia. Da Wikipedia. Dagospia è una pubblicazione web di rassegna stampa e
retroscena su politica, economia, società e costume curata da Roberto
D'Agostino, attiva dal 22 maggio 2000. Dagospia si definisce "Risorsa
informativa online a contenuto generalista che si occupa di retroscena. È
espressione di Roberto D'Agostino". Sebbene da alcuni sia considerato un sito
di gossip, nelle parole di D'Agostino: «Dagospia è un bollettino d'informazione,
punto e basta». Lo stile di comunicazione è volutamente chiassoso e
scandalistico; tuttavia numerosi scoop si sono dimostrati rilevanti esatti.
L'impostazione grafica della testata ricorda molto quella del news
aggregator americano Drudge Report, col quale condivide anche la vocazione
all'informazione indipendente fatta di scoop e indiscrezioni. Questi due
elementi hanno contribuito a renderlo un sito molto popolare, specialmente
nell'ambito dell'informazione italiana: il sito è passato dalle 12 mila visite
quotidiane nel 2000 a una media di 600 mila pagine consultate in un giorno nel
2010. A partire da febbraio 2011 si finanzia con pubblicità e non è necessario
abbonamento per consultare gli archivi. Nel giugno 2011 fece scalpore la notizia
che Dagospia ricevesse 100 mila euro all'anno per pubblicità all'Eni grazie
all'intermediazione del faccendiere Luigi Bisignani, già condannato in via
definitiva per la maxi-tangente Enimont e di nuovo sotto inchiesta per il caso
P4. Il quotidiano la Repubblica, riportando le dichiarazioni di Bisignani ai
pubblici ministeri sulle soffiate a Dagospia, la definì “il giocattolo” di
Bisignani. Dagospia ha querelato la Repubblica per diffamazione.
Popgiornalismo. Il caso e la post-notizia. Un
libro di Salvatore Patriarca. Con le continue trasformazioni dell’era digitale,
diventa sempre più urgente mettere a punto dinamiche comunicative che sappiano
muoversi con la stessa velocità con la quale viaggia la trasmissione dei dati e
che, soprattutto, riescano a sviluppare capacità connettive in grado di
ricomprendere un numero sempre maggiore di dati-fatti-informazioni. Partendo dal
fenomeno giornalistico rappresentato da Dagospia – il sito di Roberto D’Agostino
che ha saputo cogliere, sin dagli albori, le possibilità offerte dal mezzo
digitale – il libro analizza i caratteri di una nuova forma giornalistica, il
popgiornalismo. Al centro di questa recente declinazione informativa non c’è più
la notizia ma la post-notizia, la necessità cioè di lavorare sulle connessioni e
sugli effetti che ogni nuovo fatto, evento o dato determina. Da qui ne
conseguono i tre tratti essenziali dell’approccio popgiornalistico: la
“leggerezza” pesante dell’informazione, la conoscenza del quotidiano come opera
aperta e la libera responsabilità del lettore.
Addirittura il
portale web “Newsstandhub.com” riporta tutti gli articoli dei portali di
informazione più famosi con citazione della fonte, ma non degli autori. Si
presenta come: “Il tuo centro edicola personale dove poter consultare tutte le
notizia contemporaneamente”.
Così come il sito
web di Ristretti.org o di Antimafiaduemila.com.
Diritto di cronaca,
dico, che non ha alcuna limitazione se non quella della verità,
attinenza-continenza, interesse pubblico. Diritto di cronaca su Stampa non
periodica.
Che cosa significa "Stampa non periodica"?
Ogni forma di
pubblicazione una tantum, cioè che non viene stampata regolarmente (è tale, ad
esempio, un saggio o un romanzo in forma di libro).
Stampa non
periodica, perché la Stampa periodica è di pertinenza esclusiva della lobby dei
giornalisti, estensori della pseudo verità, della disinformazione, della
discultura e dell’oscurantismo.
Con me la cronaca
diventa storia ed allora il mio diritto di cronaca diventa diritto di critica
storica.
La critica storica può scriminare la diffamazione. Cassazione penale, sez. V,
sentenza 10/11/2016 n° 47506. L'esercizio del diritto di critica può, a certe
condizioni, rendere non punibile dichiarazioni astrattamente diffamatorie, in
quanto lesive dell'altrui reputazione.
Resoconto esercitato nel pieno diritto di
Critica Storica. La critica storica può scriminare la diffamazione. Cassazione
penale, sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506.
La ricerca dello storico, quindi, comporta la necessità di un’indagine complessa
in cui “persone, fatti, avvenimenti, dichiarazioni e rapporti sociali divengono
oggetto di un esame articolato che conduce alla definitiva formulazione di tesi
e/o di ipotesi che è impossibile documentare oggettivamente ma che, in ogni caso
debbono trovare la loro base in fonti certe e di essere plausibili e
sostenibili”.
La critica storica,
se da una parte può scriminare la diffamazione. Cassazione penale, sez. V,
sentenza 10/11/2016 n° 47506, dall'altra ha funzione di discussione: "Il
riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro
comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di
discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano
concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera".
Certamente le mie opere nulla hanno a che
spartire con le opere di autori omologati e conformati, e quindi non
costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera altrui. Quindi
questi sconosciuti condannati all'oblio dell'arroganza e della presunzione se ne
facciano una ragione.
Ed anche se fosse che la mia cronaca,
diventata storia, fosse effettuata a fini di insegnamento o di ricerca
scientifica, l'utilizzo che dovrebbe inoltre avvenire per finalità illustrative
e per fini non commerciali è pienamente compiuto, essendo io autore ed editore
medesimo delle mie opere e la divulgazione è per mero intento di conoscenza e
non per fini commerciali, tant’è la lettura può essere gratuita e ove vi fosse
un prezzo, tale è destinato per coprirne i costi di diffusione.
Valentina Tatti Tonni soddisfatta su Facebook
il 20 gennaio 2018 ". "Ho appena saputo che tre dei miei articoli pubblicati per
"Articolo 21" e "Antimafia Duemila" sono stati citati nel libro del
sociologo Antonio Giangrande che ringrazio. Gli articoli in questione sono, uno
sulla riabilitazione dei cognomi infangati dalle mafie (ripreso giusto oggi da
AM2000), uno sulla precarietà nel giornalismo e il terzo, ultimo pubblicato in
ordine di tempo, intitolato alla legalità e contro ogni sistema criminale".
Linkedin lunedì 28 gennaio 2019 Giuseppe T.
Sciascia ha inviato il seguente messaggio (18:55)
Libro. Ciao! Ho trovato la citazione di un
mio pezzo nel tuo libro. Grazie.
Citazione: Scandalo molestie: nuove
rivelazioni bomba, scrive Giuseppe T. Sciascia su “Il Giornale" il 15 novembre
2017.
Facebook-messenger 18 dicembre 2018 Floriana
Baldino ha inviato il seguente messaggio (09.17)
Buon giorno, mi sono permessa di chiederLe
l'amicizia perchè con piacevole stupore ho letto il mio nome sul suo libro.
Citazione: Pronto? Chi è? Il carcere al
telefono, scrive il 6 gennaio 2018 Floriana Bulfon su "La Repubblica". Floriana
Bulfon - Giornalista de L'Espresso.
Facebook-messenger 3 novembre 2018 Maria
Rosaria Mandiello ha inviato il seguente messaggio (12.53)
Salve, non ci conosciamo, ma spulciando in
rete per curiosità, mi sono imbattuta nel suo libro-credo si tratti di lei-
"abusopolitania: abusi sui più deboli" ed ho scoperto con piacere che lei m ha
citata riprendendo un mio articolo sul fenomeno del bullismo del marzo 2017.
Volevo ringraziarla, non è da tutti citare la foto e l'autore, per cui davvero
grazie e complimenti per il libro. In bocca a lupo per tutto! Maria Rosaria
Mandiello.
Citazione: Ragazzi incattiviti: la legge del
bullismo, scrive Maria Rosaria Mandiello su "ildenaro.it" il 24 marzo 2017.
PREMESSA:
IL DIRITTO DI CRITICA.
NON
CI SI PUO’ SOTTRARRE ALLE CRITICHE ONLINE.
Tribunale di Roma (N. R.G. 81824/2018 Roma, 1
febbraio 2019 Presidente dott. Luigi Argan): non ci si può sottrarre alle
critiche online, scrive Guido Scorza 28 febbraio 2019 su l'Espresso. In un’epoca
nella quale la libertà di parola, specie online, sembra condannata a dover
sistematicamente cedere il passo a altri diritti e a contare davvero poco, un
raggio di libertà, arriva dal Tribunale di Roma che, nei giorni scorsi, ha
rispedito al mittente le domande di un chirurgo plastico che aveva chiesto, in
via d’urgenza, ai Giudici di ordinare a Google di sottrarre il proprio studio
dalle recensioni del pubblico o, almeno, di cancellare quattro commenti
particolarmente negativi ricevuti da pazienti e amici di pazienti. Secondo la
prima sezione del Tribunale, infatti, il diritto di critica viene prima
dell’interesse del singolo a non veder la propria attività professionale
compromessa da qualche recensione negativa e nessuno ha diritto, nel momento in
cui esercita un’attività professionale o commerciale, a pretendere di essere
sottratto al rischio che terzi, ovviamente dicendo la verità e facendolo in
maniera educata, lo critichino. E questo, secondo i Giudici, è quanto accaduto
nel caso in questione. Il chirurgo in questione non può né pretendere che Google
rinunci a mettere a disposizione degli utenti un servizio che consente, tra
l’altro, la raccolta di “recensioni” sulla propria attività né che non consenta
agli utenti di pubblicare commenti negativi o che cancelli quelli pubblicati. Ma
non basta. Il Tribunale di Roma mette nero su bianco un principio tanto semplice
quanto spesso ignorato: non può toccare a Google sorvegliare che i propri utenti
non pubblichino recensioni negative perché Google non ha, né può avere, alla
stregua della disciplina europea della materia, alcun obbligo generale di
sorveglianza sui contenuti pubblicati da terzi. Google – e il Giudice lo scrive
con disarmante chiarezza – ha il solo obbligo di rimuovere un contenuto quando
la sua pubblicazione sia accertata come illecita da un Giudice e la notizia gli
sia comunicata. E a leggere l’Ordinanza con la quale il Giudice ha respinto le
domande d’urgenza proposte dal chirurgo vien davvero da pensare che tutti
dovremmo iniziare a imparare ad accettare le critiche con spirito costruttivo e
come stimolo a far meglio in futuro anziché investire ogni energia nel tentativo
– vano, fortunatamente, in questa vicenda – di condannare all’oblio le opinioni
di chi, su di noi, si è fatto, a torto o a ragione, ma dicendo la verità,
un’idea che semplicemente non ci piace. Che un professionista, in piena società
dell’informazione, davanti a un cliente – per di più suo paziente – che pubblica
critiche del tipo “lavoro mal fatto, senza impegno e senza amore per la sua
professione” o “Pessimo, assolutamente non idoneo a trattamenti di chirurgia
estetica”, anziché fare autocritica non trovi niente di meglio da fare che
correre davanti a un Giudice a domandare di trattare le parole altrui come carta
straccia, da gettare di corsa nel tritacarta, è circostanza preoccupante.
Probabilmente la volatilità tecnologica dei bit ci ha persuasi che le opinioni,
le parole e le idee del prossimo valgano poco per davvero. Bene, dunque, hanno
fatto i Giudici a ricordare che la critica è costituzionalmente garantita e che
ci vuol ben altro che il rammarico di un chirurgo per qualche recensione poco
lusinghiera – peraltro tra tante altre positive – per pretendere di veder
cancellate, a colpi di spugna, le opinioni altrui.
PREMESSA: LE NUOVE
IDEOLOGIE.
Non è importante sapere quanto la
democrazia rappresentativa costi, ma quanto essa rappresenti ed agisca nel nome
e per conto dei rappresentati.
Dispotismo:
dispotismo (raro despotismo) s. m. [der. di despota e dispotico]. – Governo
esercitato da una sola persona o da un ristretto gruppo di persone in modo
assolutistico e arbitrario, senza alcun rispetto per la legge. In particolare e
detto Dispotismo illuminato, quello dei sovrani riformatori del 18° secolo,
ispirato alle teorie politiche e filosofiche dell’illuminismo francese
(esaltazione della Ragione, accettazione dell’assolutismo come forma di governo,
ecc.). In senso estensivo e figurativo: autorità che si esercita in modo
prepotente, oppressivo; atteggiamento ispirato a estremo autoritarismo, a
noncuranza o a disprezzo degli altrui diritti.
La teoria di Montesquieu: Lo Stato e la suddivisione dei poteri.
La moderna teoria della separazione dei poteri viene tradizionalmente associata
al nome di Montesquieu. Il filosofo francese, nello Spirito delle leggi,
pubblicato nel 1748, fonda la sua teoria sull'idea che "Chiunque abbia potere è
portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti [...]. Perché non si
possa abusare del potere occorre che [...] il potere arresti il potere".
Individua, inoltre, tre poteri (intesi come funzioni) dello Stato - legislativo,
esecutivo e giudiziario - così descritti: "In base al primo di questi poteri,
il principe o il magistrato fa delle leggi per sempre o per qualche tempo, e
corregge o abroga quelle esistenti. In base al secondo, fa la pace o la guerra,
invia o riceve delle ambascerie, stabilisce la sicurezza, previene le invasioni.
In base al terzo, punisce i delitti o giudica le liti dei privati", perché “una
sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica”. L'idea che la divisione
del potere sovrano tra più soggetti sia un modo efficace per prevenire abusi è
molto antica nella cultura occidentale: già si rinviene nella riflessione
filosofica sulle forme di governo della Grecia classica, dove il
cosiddetto governo misto era visto come antidoto alla possibile degenerazione
delle forme di governo "pure", nelle quali tutto il potere è concentrato in un
unico soggetto. Platone, nel dialogo La Repubblica, già parlò di indipendenza
del giudice dal potere politico. Aristotele, nella Politica, delineò una forma
di governo misto, da lui denominata politìa (fatta propria poi anche da Tommaso
d'Aquino), nella quale confluivano i caratteri delle tre forme semplici da lui
teorizzate (monarchia, aristocrazia, democrazia); distinse, inoltre, tre momenti
nell'attività dello Stato: deliberativo, esecutivo e giudiziario. Polibio,
nelle Storie, indicò nella costituzione di Roma antica un esempio di governo
misto, in cui il potere era diviso tra istituzioni democratiche (i comizi),
aristocratiche (il Senato) e monarchiche (i consoli). Nel XIII secolo Henry de
Bracton, nella sua opera De legibus et consuetudinibus Angliæ, introdusse la
distinzione tra gubernaculum e iurisdictio: il primo è il momento "politico"
dell'attività dello Stato, nel quale vengono fatte le scelte di governo,
svincolate dal diritto; il secondo è, invece, il momento "giuridico", nel quale
vengono prodotte e applicate le norme giuridiche, con decisioni vincolate al
diritto (che, secondo la concezione medioevale, è prima di tutto diritto di
natura e consuetudinario). È però con John Locke che la teoria della separazione
dei poteri comincia ad assumere una fisionomia simile all'attuale: i pensatori
precedenti, infatti, pur avendo individuato, da un lato, diverse funzioni dello
Stato e pur avendo sottolineato, dall'altro lato, la necessità di dividere il
potere sovrano tra più soggetti, non erano giunti ad affermare la necessità di
affidare ciascuna funzione a soggetti diversi. Locke, nei Due trattati sul
governo del 1690, articola il potere sovrano in potere legislativo, esecutivo
(che comprende anche il giudiziario) e federativo (relativo alla politica estera
e alla difesa), il primo facente capo al parlamento e gli altri due
al monarca (al quale attribuisce anche il potere, che denomina prerogativa, di
decidere per il bene pubblico laddove la legge nulla prevede o, se necessario,
contro la previsione della stessa).
La Teoria di Voltaire: Tolleranza e Libertà di manifestazione del pensiero.
La libertà di esprimere le proprie convinzioni e le proprie idee è una delle
libertà più antiche, essendo sorta come corollario della libertà di religione,
rivendicata dai primi scrittori cristiani nel corso del II-III secolo e,
successivamente, durante i conflitti tra cattolici e protestanti (XVI-XVII
secolo). D’altra parte, essa è stata sollecitata anche dai grandi teorici della
libertà di ricerca scientifica (basti pensare a Cartesio o a Galileo) e della
libertà politica (ad esempio, Milton), nonché, successivamente, dagli stessi
filosofi del XVIII e del XIX secolo (Voltaire, Fichte, Bentham, Stuart Mill). Va
detto, comunque, che soltanto in alcuni documenti costituzionali si parla di
libertà di manifestazione del pensiero (art. 8 Cost. Francia 1848; art. 21
Cost.), laddove in altri testi si preferisce utilizzare l’espressione libertà di
opinione (art. 11 Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino francese
1789; art. 8 Cost. Francia 1814; art. 7 Cost. Francia 1830; tit. VI, art. IV,
par. 143, Cost. Francoforte 1849; art. 118 Cost. Germania 1919; art. 5 Legge
fondamentale Germania 1949; art. 20 Cost. Spagna 1978; art. 16 Cost. Svizzera
1999), libertà di parola (I emendamento Cost. U.S.A. 1787) o libertà di
stampa (art. 18 Cost. Belgio 1831; art. 28 Statuto albertino).
La Teoria di Voltaire. Voltaire non credeva che la Francia (e in generale ogni
nazione) fosse pronta a una vera democrazia: perciò, non avendo fiducia nel
popolo (a differenza di Rousseau, che credeva nella diretta sovranità popolare),
non sostenne mai idee repubblicane né democratiche; benché, dopo la morte, sia
divenuto uno dei "padri nobili" della Rivoluzione, celebrato dai rivoluzionari,
è da ricordare che alcuni collaboratori e amici di Voltaire finirono vittime
dei giacobini durante il regime del Terrore, tra essi Condorcet e Bailly). Per
Voltaire, chi non è stato "illuminato" dalla ragione, istruendosi ed elevandosi
culturalmente, non può partecipare al governo, pena il rischio di finire
nella demagogia. Ammette comunque la democrazia rappresentativa e la divisione
dei poteri proposta da Montesquieu, come realizzate in Inghilterra, ma non
quella diretta, praticata a Ginevra. Nel Trattato sulla tolleranza il filosofo
denuncia le conseguenze dell’intolleranza e si scaglia, in particolare, contro
il cristianesimo. Secondo Voltaire bisogna abbandonare il fanatismo delle
religioni storiche e abbracciare unicamente una religione razionale che si basi
sull’obbedienza a Dio e sull’esercizio del bene. Essere tolleranti significa,
per Voltaire: accettare la diversità e le comuni fragilità, rifiutare la tortura
e la pena di morte e abbracciare una fede pacifista e cosmopolita. L'idea di
tolleranza di Voltaire. Tutta la polemica di Voltaire contro le ingiustizie
sociali, la superstizione, il fanatismo è esemplificata nella sua difesa del
principio della tolleranza. Nella sua opera più importante, il Trattato sulla
tolleranza, infatti, il filosofo parte da un fatto di cronaca (un processo
concluso con la condanna a morte di un protestante di Tolosa) per denunciare
globalmente le conseguenze dell’intolleranza, ed in particolare si scaglia
contro il cristianesimo. «I cristiani sono i più intolleranti degli uomini»,
o «la nostra (religione, n.d.r) è senza dubbio la più ridicola, la più assurda e
la più assetata di sangue mai venuta a infettare il mondo» scrive. Ma la
sua requisitoria è diretta contro tutte le religioni storiche che hanno tradito
il loro comune nucleo razionale, fatto di alcuni principi semplici e
universalmente condivisi e, attraverso l’istituzione di dogmi e riti
particolari, si sono macchiate di ogni tipo di crimine (dalle guerre alle
persecuzioni). Abbandonare dunque il dogmatismo e abbracciare una religione
spogliata dei suoi tratti esteriori e deleteri perché: «il deista non appartiene
a nessuna di quelle sette che si contraddicono tutte… egli parla una lingua che
tutti i popoli intendono… egli è persuaso che la religione non consiste né nelle
opinioni di una metafisica incomprensibile, né in vane cerimonie, ma
nell’adorazione e nella giustizia. Fare il bene è il suo culto: obbedire a Dio è
la sua dottrina». L’uomo deve accettare la diversità, i diversi punti di vista,
in quanto, secondo Voltaire, essere tolleranti significa accettare le comuni
fragilità: «Siamo tutti impastati di debolezze e errori: perdoniamoci
reciprocamente le nostre sciocchezze, è la prima legge di natura… Chiunque
perseguiti un altro suo fratello, perché non è della sua opinione, è un
mostro». La tolleranza deve animare qualunque tipo di potere politico
e Voltaire si scaglia, quindi, anche contro l’uso della tortura e della pena di
morte. Allo stesso modo attacca l’uso della religione per giustificare le guerre
e rigetta il nazionalismo in nome di una fede cosmopolita. La celebre frase:
«Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo
diritto a dirlo», a cui è legato indissolubilmente il nome di Voltaire, in
realtà non fu mai pronunciata dal filosofo. Appartiene, infatti, ad una saggista
(Evelyne Beatrice Hall) che scrisse e ricostruì la vita e le opere di Voltaire.
Ciononostante, sicuramente le prese di posizione del filosofo in merito non
scarseggiarono e, anche nella sua vita privata, soffriva profondamente delle
conseguenze dell’intolleranza degli uomini. Ogni anno, infatti, dedicava un
giorno al lutto e all’astensione da qualunque attività: il 24 agosto,
anniversario della notte di San Bartolomeo (una strage compiuta nel 1572 dalla
fazione cattolica ai danni dei calvinisti parigini), si dice che aggiornasse la
sua casistica dei morti nelle persecuzioni religiose arrivando a contarne 24/25
milioni. Ma la sua personalità non fu esente da contraddizioni: si batteva
contro le guerre e il pacifismo ma faceva affari lucrosi nel campo dei
rifornimenti all’esercito; era un paladino della tolleranza ma intrattenne degli
accesissimi diverbi con l’illuminista Rousseau che screditavano la validità di
tale principio; infine, celebri furono le prese di posizione sull’inferiorità
degli africani rispetto a scimmie e elefanti, oltre che all’uomo bianco.
Voltaire e l'illuminismo oscurato dalle
catastrofi. Commentando il terremoto
di Lisbona del 1755 il filosofo rifletteva sui limiti della ragione umana. Dino
Cofrancesco, Sabato 11/04/2020 su Il Giornale. Mentre nel mondo infuria il
Covid-19, rileggersi Voltaire, come faceva il compianto Piero Ostellino nei suoi
ultimi anni, può essere un tonico per l'intelligenza e un richiamo alla virile
accettazione della realtà. Voltaire, è noto, rimase, come i suoi contemporanei
del resto - philosophes e uomini comuni - sconvolto dal terremoto di Lisbona che
nel 1755 provocò vittime e macerie non solo in Europa ma, altresì, in Africa
(nel regno di Fez). Nella sola capitale del Portogallo crollarono ottanta
edifici su cento e morirono sessantamila persone su duecentomila. Il terribile
evento ispirò al filosofo un poema di struggente bellezza, Le désastre de
Lisbonne (1756) che più di altri scritti, non meno famosi, compendia la sua
visione del mondo, della natura, degli uomini, di Dio. Principe indiscusso
dell'età dei Lumi, Voltaire è sempre meno letto o, almeno, se ne conoscono
alcune opere teatrali (sia pure indirettamente, ad esempio, Semiramide, che
ispirò il melodramma di Gioacchino Rossini, o Alzira, messa in musica da
Giuseppe Verdi), l'evergreen Trattato sulla tolleranza o il celeberrimo
Dizionario filosofico. Della sua vastissima produzione filosofica e letteraria,
però, si sa ormai poco. Per questo si è grati a Domenico Felice - uno dei
maggiori studiosi italiani di Voltaire e di Montesquieu - per aver distillato il
meglio delle riflessioni voltairiane sulla condizione umana in un voluminoso ma
godibilissimo Taccuino di pensieri. Vademecum per l'uomo del terzo millennio
(Mimesis, con una sobria e illuminante Prefazione di Ernesto Ferrero). Gli
ideari non sostituiscono la lettura diretta delle opere di un autore ma attivano
l'attenzione su quelle che interessano di più e di cui spesso non si era nemmeno
sentito parlare. In riferimento al tema della catastrofe che da mesi occupa le
prime pagine dei giornali, il Taccuino può costituire un'ottima guida al
Disastro di Lisbona, nel senso che ci permette di inquadrarne il messaggio nel
più vasto ambito dell'etica di Voltaire. Innanzitutto ci fa capire che il suo
illuminismo non ha nulla a che vedere con «le magnifiche sorti e progressive» su
cui ironizzava il nostro Leopardi. Per Voltaire la ragione non è la pietra
filosofale che rende immortali, onniscienti e dominatori delle forze avverse di
natura, ma è il bastone che permette all'umanità sofferente di non inciampare
nelle passioni perverse, nelle superstizioni, nelle tirannidi che aggiungono ai
mali che già ci ritroviamo quelli dovuti alla nostra insipienza. «Se questo è il
migliore dei mondi possibili, che mai saranno gli altri?», dirà Candido, il più
famoso dei suoi personaggi. «Dai più piccoli insetti sino al rinoceronte e
all'elefante - si legge in Prendere partito - la Terra non è altro che un vasto
campo di guerre, di imboscate, di carneficina, di distruzione; non vi è animale
che non abbia la sua preda e che, per catturarla, non impieghi l'equivalente
dell'astuzia e della ferocia con cui l'esecrabile ragno cattura e divora
l'innocente mosca». Eppure queste considerazioni che sembrano preleopardiane non
gli impediscono di prendere «il partito dell'umanità» contro quel «sublime
misantropo» che è Pascal. L'uomo, obietta al filosofo, «non è un enigma. L'uomo
appare al suo posto nell'ambito della natura: superiore agli animali ai quali è
simile per gli organi, inferiore ad altri esseri ai quali probabilmente somiglia
per il pensiero. Egli è, come tutto ciò che vediamo, un misto di bene e di male,
di piacere e di dolore. È dotato di passioni per agire, e di ragione per
governare le proprie azioni. Se l'uomo fosse perfetto, sarebbe Dio, e i pretesi
contrasti, che voi chiamate contraddizioni, sono gli ingredienti necessari che
costituiscono quel composto che è l'uomo, il quale è ciò che deve essere». Ma
come è lontano da Pascal, così Voltaire lo è da Rousseau il quale, in una
lettera dell'agosto 1756, sempre parlando di Lisbona, lo accusava di ateismo e
di non considerare che «questo universo materiale non deve essere più caro al
suo Autore di un solo essere che pensa e sente. Ma il sistema di questo universo
che produce, conserva e perpetua tutti gli esseri che pensano e sentono, gli
deve essere più caro di uno solo di questi esseri. Può dunque, nonostante la sua
bontà, o piuttosto grazie alla sua bontà, sacrificare qualcosa della felicità
degli individui alla conservazione del tutto». Sembra quasi che nella lettera
Rousseau anticipi i temi dell'ecologismo contemporaneo: a Lisbona «dovete
convenire che non era stata la natura a raccogliere là ventimila case dai sei ai
sette piani, e che se gli abitanti di quella grande città fossero stati
distribuiti in modo più uniforme e in abitazioni più piccole, il disastro
sarebbe stato minore, e forse non vi sarebbe stato». Ma Voltaire, critico
implacabile sia dell'ottimismo razionalistico di Leibniz e di Alexander Pope,
sia di quello preromantico di Rousseau, non trovava nessuna ragione - dal
peccato originale, al quale non credeva, all'ordine immutabile dell'universo -
per consolarsi delle tante vittime innocenti del terremoto. E scrive: «La natura
è muta e la s'interroga invano/ si ha bisogno di un Dio che parli al genere
umano/ Solo lui può spiegare il suo disegno/ consolare il debole, illuminare
l'ingegno». E tuttavia questa sensibilità che fa di Voltaire più il figlio di
Montaigne che il padre di Condorcet si traduce in un atteggiamento stoico che lo
porta - allontanandolo dal trionfalismo illuministico - a una sorta di etica del
destino. «Come voi - scrive ad Allamand nel dicembre 1755 - ho pietà dei
Portoghesi, ma gli uomini si procurano più male gli uni agli altri sul loro
piccolo mucchio di fango di quanto faccia loro la natura. Le nostre guerre
massacrano più uomini di quel che ne inghiottono i terremoti. Se a questo mondo
fosse da temere soltanto la sorte di Lisbona, ci si troverebbe ancora abbastanza
bene». La ragione ci serve per evitare il peggio, non certo per costruire una
città dell'uomo immune da ogni imperfezione. Per questo Robespierre si oppose
alla traslazione al Pantheon dei suoi resti mortali.
La Teoria di Rousseau: La democrazia diretta come contratto sociale e la
capacità del popolo libero a gestirla.
A livello politico Rousseau parte da un presupposto sociologico: lo Stato
moderno che sta nascendo e la borghesia che continua a governare stanno
diventando incompatibili tra loro, scrive F Occhetta. Così per dare un senso
all’uomo e alla società ritiene utile partire da un’ipotesi logica che, pur non
essendosi realizzata nella storia, ne costituisce il fondamento. Il punto di
partenza è costituito, secondo lo schema classico del giusnaturalista laico,
dallo stato di natura, che costituisce lo scenario a partire dal quale è
possibile interpretare la storia stessa. I processi politici e i sistemi
istituzionali sono per Rousseau il modo di «governare» cittadini, che
associandosi perdono la loro bontà naturale. Cultura e natura sono in tensione
nel pensiero del ginevrino. L’immagine che usa è quella di un’arma pericolosa in
mano a un bambino, per questo nei suoi scritti si incontra spesso una
proporzione: l’uomo di natura sta alla bontà come l’uomo civilizzato sta alla
corruzione. Gli uomini di natura possiedono solo due princìpi anteriori alla
loro ragione: l’amore di sé e la pietà mentre l’uomo sociale è egoista e solo,
il desiderio di apparire migliore degli altri lo porta ad essere invidioso e
falso. Nello stato di natura, però, si radica un’altra contraddizione. Se, per
gli illuministi la natura rappresentava un oggetto che la ragione analizzava
«per Rousseau la natura rappresenta invece una realtà che non va vivisezionata
con la ragione, ma prima di tutto amata e compresa col sentimento». La priorità
del cuore sulla ragione, che porta a riconoscere la natura come buona, faranno
di Rousseau un «illuminista pre-romantico». Basta poco però per perdere
questo status ideale. Appena l’uomo isolato incontra altri uomini per
associarsi, perde la sua bontà ed è costretto a fondare un patto iniquo. Questa
svolta nella storia dell’umanità è per Rousseau la nascita della proprietà, che
egli considera il vero male della storia e definisce con la nota immagine del
palo: «Il giorno in cui un uomo ha piantato un palo e ha detto “questo è mio”,
е gli altri uomini sono stati cosi ingenui da non strappare quel palo, dicendo
“non c’è
né mio né tuo”, in quel momento è cominciata la degenerazione della Storia». Le
dottrine comuniste esaspereranno questa posizione. Se la natura umana è stata
corrotta dallo sviluppo della civiltà e in particolare dall’introduzione della
proprietà privata, ci chiediamo: come può essere rieducato l’uomo alla libertà?
Qui tocchiamo un punto decisivo: «Per Rousseau la libertà non può che essere
sociale: l’uomo è libero solo tra uomini liberi. La liberazione dell’uomo non
può che essere frutto di un impegno solidale.
Е la socialità
che, secondo Rousseau, va riscoperta attraverso l’educazione, costituisce il
primo dover essere dell’uomo. La libertà
е l’uguaglianza ne costituiscono i frutti preziosi».
In verità nel pensiero di Rousseau ciò che salva è una solitudine radicale: «Il
“selvaggio” non tiene in alcun conto gli sguardi degli altri sa essere felice
indipendentemente dagli altri e vive in se stesso. “L’uomo civilizzato” vive
proiettato sempre fuori di sé, nell’opinione degli altri e deriva dagli altri la
stessa coscienza della propria esistenza». Ma se gli uomini non si stimano né si
aiutano, non si riconoscono reciproci e perdono la loro felicità incontrandosi,
su che cosa basano la loro convivenza? Questi presupposti di natura
antropologica e sociologica iniziano qui a creare problemi. Ritenere che la
società sia la causa dei contrasti tra gli uomini (e non l’effetto) significa
ritenere che le ineguaglianze date dalle diverse capacità e dall’appartenenza
sociale prendono il posto dell’uguaglianza dello stato di natura. Ma c’è di più:
«Le differenze naturali si trasformano in disuguaglianze morali e al tempo
stesso gli uomini si riconoscono come individui. Per mezzo dell’opinione degli
altri acquistiamo un’identità personale, ma diventiamo anche schiavi
dell’opinione». La via d’uscita è di carattere morale e risiede nella capacità
che ciascuno dovrebbe avere di rieducarsi alla libertà, facendo nascere il
contratto sociale che è un «dover essere della coscienza», un’esigenza
deontologica capace di recuperare i valori perduti dello stato di natura, quando
l’uomo era buono. Ma c’è di più. Gli studi di questi ultimi anni dedicati al
profilo psicologico del pensiero di Rousseau sostengono — con le dovute riserve
— che la sua solitudine, il suo narcisismo e il suo masochismo siano stati le
cause che lo portarono a teorizzare il «buon selvaggio» — figura letteraria già
presente nel pensiero di Montaigne —, vittima innocente della società, e
l’Emilio, la vittima innocente dell’educazione. In verità l’attualità del suo
pensiero tocca il significato filosofico della «volontà generale» che è chiamata
a guidare lo Stato per conseguire il bene comune. Secondo Rousseau la sovranità
si poteva esprimere soltanto in un corpo collettivo, inalienabile e
indivisibile. In questo meccanismo logico risiede l’ideologia democratica di
Rousseau. Quali sono le condizioni che devono sussistere per far sì che uno
Stato sia democratico? Lo Stato diventa nel pensiero di Rousseau la via di
uscita politica per porre rimedio ai due grandi male sociali: quello di
incontrare altri uomini in società e quello della disuguaglianza creata dalla
proprietà privata. Il problema è dunque politico, e non antropologico. Il male
non è mai all’interno dell’uomo ma nelle strutture politiche, che devono quindi
essere riformate e cambiate. Non occorre una conversione morale e una nuova
auto-comprensione dell’umano, ma è necessaria la trasformazione delle strutture
politiche. In questa visione si concentra tutta la debolezza della proposta
politica di Rousseau. La dimensione religiosa che potrebbe cambiare il cuore
dell’uomo, insegnargli a distinguere il bene dal male e a conoscere Dio, per
Rousseau deve essere invece legata alla politica che diventa per l’uomo la vera
religione. Sono dunque le strutture politiche che dovrebbero essere «convertite»
per espellere il male dalla storia, non gli uomini che le governano. Costruire
lo Stato dunque diventa per il pensiero del ginevrino un atto religioso che non
tocca il cuore del cittadino. Per questo alcuni studiosi sono inclini a ritenere
che Rousseau secolarizzi il pensiero teologico introducendo l’idea di democrazia
moderna. La democrazia, che si fonda sul contratto sociale, diventa in Rousseau
lo strumento di redenzione e liberazione dal male; i cittadini non cedono la
loro libertà e i loro diritti a un sovrano come riteneva Hobbes, ma alla
collettività che li farà ritrovare insieme a tutti gli altri cittadini. Così la
democrazia è per Rousseau quella forma di Stato in cui il popolo è allo stesso
tempo sovrano e suddito. Per realizzare questa intuizione la sovranità deve
essere esercitata direttamente dal popolo tramite procedure che garantiscano il
principio di l’autodeterminazione dei singoli che devono realizzare il programma
definito dall’interesse generale. L’ambito si sposta dal teologico al
teleologico. In origine c’è una situazione buona (lo stato di natura), segue una
caduta (la nascita della proprietà), ne consegue che per redimersi l’uomo deve
far nascere lo Stato democratico. Della redenzione non ha bisogno l’uomo, perché
è buono, ma la politica, perché il male della storia, che si radica nella
proprietà, appartiene alla sfera giuridica. Proprio qui però si radica la
seconda contradizione del suo pensiero: tutti possono esercitare i diritti di
tutti; e se questi non sono concordi? Che cos’è in realtà la «volontà generale»
su cui si sono fondate le moderne democrazie? È formalmente la guida dello Stato
democratico, quella che il bene comune della collettività e che si distingue
dalla volontà di tutti. La maggioranza va distinta dalla minoranza e la sua
volontà coincide tendenzialmente con la volontà generale. Questa è rappresentata
della «classe media», non da intendere come la classe borghese, ma quella che in
una votazione si determina togliendo le parti estreme. L’interpretazione di
questa scelta ha portato ad applicazioni storiche opposte: il pensiero liberal
democratico ha fatto coincidere la volontà della maggioranza con la volontà
generale; i totalitarismi e le dittature come quelle di Napoleone e di Marx,
hanno ritenuto che la volontà generale venisse intuita da personalità
carismatiche. Nel pensiero di Rousseau è mancato un ponte che collegasse la vita
privata dell’uomo, la dimensione, per lui importante, della coscienza e dei
buoni sentimenti, con la costruzione della città. È forse questa l’urgenza di
cui hanno bisogno le moderne democrazie per riformarsi. A questo riguardo
diventano preziosi due insegnamenti del ginevrino. Il primo è contenuto
nell’Emilio, quando Rousseau ricorda che si può vivere in due modi, recitando
una parte e privandosi di vivere autenticamente, come fanno gli attori di
teatro; oppure vivere e lasciarsi vivere come in una festa quando ciascuno
diventa se stesso. Il fine della politica poi lo richiama nella sua Lettera a
d’Alambert: «Possano i giovani trasmettere ai loro discendenti le virtù, la
libertà, la pace che hanno ricevuto dai loro padri!». «La ricerca del proprio
vantaggio a spese degli altri è qualche volta temperata dalla pena che proviamo
nel vedere gli altri soffrire. Prima che l’amor proprio sia interamente
sviluppato, la pietà naturale agisce come un freno all’ardore con cui gli uomini
perseguono il proprio benessere […].
La teoria di Cesare Beccaria: Certezza del Diritto e Pene certe, ma non crudeli.
Scritto da Library.weschool.com. L’Illuminismo lombardo, in stretto rapporto
con quello francese ma consapevolmente non rivoluzionario e di orientamento
moderato, si sviluppa nell’alveo del riformismo di Maria Teresa d’Austria
(1717-1780) e Giuseppe II (1741-1790). I punti caratterizzanti sono allora
quellli del riordino generale del sistema economico-giuridico del tempo (in
accordo con le necessità della nascente borghesia imprenditoriale, e contro
l’immobilisimo del sistema aristocratico), la polemica contro la tradizione
culturale dei secoli passati, l’idea che gli intellettuali debbano collaborare
attivamente al progresso collettivo della società. In ambito letterario,
rilevante è la preferenza per toni sobri ed eleganti, in reazione agli eccessi
della poetica barocca; tra i nomi più direttamente avvicinabili a questi
propositi riformistici, ci sono sicuramente Giuseppe Parini (1729-1799; si pensi
all’ode La caduta o al poemetto Il Giorno), le commedie teatrali di
Goldoni (1807-1793), le tragedie di Alfieri (1749-1803). I maggiori esponenti
dell’Illuminismo lombardo sono innanzitutto, oltre a Cesare Beccaria, i
fratelli Alessandro (1741-1816) e Pietro Verri (1728-1797) attivi animatori di
battaglie amminsitrative e legislative e della vita culturale milanese. Due gli
organi per sostenere questo disegno di riforma civile: da un lato l’Accademia
dei Pugni, istituzione culturale fondata a Milano nel 1761 dei fratelli Verri,
Beccaria ed altri intellettuali illuminati milanesi che si fa portavoce di un
gusto moderno, anticonvenzionale ed antitradizionalista; dall’altro il periodico
«Il Caffè» (1764-1766) che, ispirandosi all’inglese «Spectator», diffonde gli
ideali dell’Illuminismo, come quando sostiene la necessità di una nuova lingua
dell’uso, agile e moderna, sull’esempio dei principali modelli
europei.Particolare risalto per l’Illuminismo italiano ha l’esperienza
letteraria, culturale e politico-economica di Cesare Beccaria. Di famiglia di
recente nobiltà, Beccaria studia presso i gesuiti e in seguito si diploma in
diritto a Pavia, e, dopo essere divenuto membro dell’Accademia dei pugni,
pubblica nel 1764 il saggio Dei delitti e delle pene, composto sulla spinta e
l’attiva collaborazione dell’amico Pietro Verri. In pochi anni, grazie anche ad
una traduzione in francese del 1766, l’opera conquista fama in tutta Europa,
tanto di divenire un punto di riferimento anche per gli illuministi francesi,
nella cui corrente di riflessione sui fondamenti del diritto moderno (si pensi a
Montesquieu e alla teoria di divisione dei poteri, Helvétius, Rousseau e il
suo Contratto sociale) i Dei delitti e delle pene si inserisce pienamente. In
seguito al successo dell’opera Beccaria si reca a Parigi con Alessandro Verri
per stringere i rapporti con i philosophes, ma, sopraffatto dalla nostalgia,
l’autore resta nella capitale francese solo qualche settimana per poi tornare in
Italia, provocando reazioni derisorie e una brusca rottura nel rapporto con
Pietro Verri. Mentre Dei delitti e delle pene si diffonde per il mondo, a Milano
Beccaria vive in solitudine, dedicandosi all’insegnamento di economia e
collaborando con il governo austriaco per un disegno di riforma fiscale.
Beccaria muore nel 1794. Tra le sue opere ricordiamo anche Del disordine e de’
rimedi delle monete nello stato di Milano nel 1762 (1762), primo scritto
pubblicato che suscita svariate polemiche; le Ricerche intorno alla natura dello
stile (1770), legate alle riflessioni sull’incivilimento della società, in cui
collega lo studio dello “stile” alla scienza dell’uomo, rifacendosi al sensismo;
e gli Elementi di economia politica, raccolta delle sue lezioni, pubblicata
postuma nel 1804. La portata rivoluzionaria del saggio di Beccaria Dei delitti e
delle pene (1764) è giustificata dal fatto che questo scritto getta alcune basi
fondamentali del diritto moderno. Dei delitti e delle pene nasce all’interno del
clima dell’Accademia dei Pugni, su espressa indicazione di Pietro Verri, che
mette ampiamente mano alla prima stesura sia correggendola sia modificandone
l’assetto. L’ordinamento finale dell’opera sarà ulteriormente modificato da
André Morrellet (1727-1819), in occasione della traduzione francese due anni
dopo la prima pubblicazione. L’opera, sull’onda di quei principi filosofici ed
etici riscontrabili in Montesquieu e Rousseau, si sviluppa come
un’articolata riflessione sulla natura e i principi della punizione inferta
dalla legge a chi abbia commesso qualche reato: Beccaria tematizza quindi non
sul rapporto causale tra “delitto” e “pena”, ma sulla natura filosofica e sul
concetto stesso di “pena” all’interno di una società umana. Beccaria ritiene
infatti che la vita associata sia rivolta al conseguimento della felicità del
maggior numero di aderenti al “contratto sociale” e che le leggi siano la
condizione fondante di questo patto; dati questi presupposti è evidente che le
peneservano a rafforzare e garantire queste stesse leggi, ed è sulle pene e
sulla loro applicazione che si concentra quindi l’opera di Beccaria. Scrive così
nell’introduzione all’opera: Le leggi, che pur sono o dovrebbon esser patti di
uomini liberi, non sono state per lo più che lo stromento delle passioni di
alcuni pochi, o nate da una fortuita e passeggiera necessità; non già dettate da
un freddo esaminatore della natura umana, che in un sol punto concentrasse le
azioni di una moltitudine di uomini, e le considerasse in questo punto di vista:
la massima felicità divisa nel maggior numero. Le pene sono dunque finalizzate
sia adimpedire al colpevole di infrangere nuovamente le leggi, sia a distogliere
gli altri cittadini dal commettere colpe analoghe. Le pene vanno allora scelte
proporzionatamente al delitto commesso e devono riuscire a lasciare
un’impressione indelebilenegli uomini senza però essere eccessivamente
tormentose o inutilmente severe per chi le ha violate. Il tema si lega
strettamente al decadimento della giustizia al tempo dell’autore, ancora legata
all’arretrata legislazione di Giustiniano (il Corpus iuris civilis del VI secolo
d.C.) e alla sua revisione per mano di Carlo V (1500-1558). La proposta
riformistica di Beccaria vuole abolire abusi ed arbitri dipendenti,
nell’amministrazione della giustizia, dalla ristretta mentalità aristocratica
dei detentori del potere; secondo la prospettiva “illuminata” dell’autore una
gestione più moderna del problema giudiziario non potrà che favorire, oltre che
la tutela dei diritti individuali, anche il progresso dell’intera società (come
nel caso delle osservazioni sulla segretezza dei processi o sul fatto che il
sistema giudiziario presupponga la colpevolezza e non l’innocenza
dell’imputato). La portata rivoluzionaria del discorso di Beccaria si evince in
particolar modo dal discorso sulle torture, intese come uno strumento inefficace
e perverso per ottenere un’illusione di verità; essendo il colpevole tale solo
dopo la sentenza, le torture, utilizzate comumente come mezzo finalizzato alla
confessione, sono inutili e illegittime e rischiano di assolvere coloro che,
essendo più robusti di costituzione riescono a resistervi, e condannare
innocenti dal fisico più debole. L’esito dunque della tortura è un affare di
temperamento e di calcolo, che varia in ciascun uomo in proporzione della sua
robustezza e della sua sensibilità; tanto che con questo metodo un matematico
scioglierebbe meglio che un giudice questo problema. Inoltre l’innocente è messo
dalla tortura in una situazione peggiore di quella del reo, in quanto il
secondo, se resiste, è dichiarato innocente, mentre il primo anche se è
riconosciuto tale avrà comunque dovuto subire una tortura immeritata.
Altrettanto centrale è il discorso sulla pena di morte, alla cui origine
Beccaria non riesce a trovare un qualche fondamento di diritto. Evidente è che
non può essere un potere dato dal contratto sociale, perché nessuno aderirebbe a
un patto che dà agli altri il potere di ucciderlo. Oltre a questa considerazione
Beccaria nota anche che l’esistenza della pena di morte non ha mai impedito che
venissero commessi quegli stessi crimini per cui altri venivano giustiziati.
Infatti fa più impressione vedere un uomo che paga per la sua avventatezza, che
vedere uno spettacolo che indurisce ma non per questo corregge: Non è utile la
pena di morte per l’esempio di atrocità che dà agli uomini. Se le passioni o la
necessità della guerra hanno insegnato a spargere il sangue umano, le leggi
moderatrici della condotta degli uomini non dovrebbono aumentare il fiero
esempio, tanto più funesto quanto la morte legale è data con istudio e con
formalità. Dati questi presupposti Beccaria parte dal principio che non sia
l’intensità della pena a far effetto sull’immaginazione degli uomini, quanto la
sua durata ed estensione. La pena non dev’essere cioè terribile e breve,
quanto certa, implacabile ed infallibile. Inoltre la misura dei delitti deve
essere il danno arrecato alla società e non l’intenzione, che varia in ciascun
individuo, e scopo della pena deve essere sempre la prevenzione dei delitti.
L’illuminato pensiero di Cesare Beccaria. IL TRATTATO DEI DELITTI E DELLE PENE,
segna l’inizio della moderna storia del diritto penale. Saggio scritto
dall’illuminista milanese Cesare Beccarla (1738-1794) tra il 1763 e il 1764, in
cui l’autore si pone delle domande circa le pene allora in uso. scritto da
G.M.S. il 3 Settembre 2016 su Umsoi. Nonostante il notevole successo e la vasta
eco in tutta Europa (la zarina Caterina II di Russia mise in pratica i princìpi
fondamentali della riforma giudiziaria in esso proposta, mentre nel Granducato
di Toscana venne perfino abolita la pena di morte), nel 1766 il libro venne
incluso nell’indice dei libri proibiti a causa della distinzione che vi si
ritrova tra reato e peccato. L’autore afferma, infatti, che il reato è un danno
alla società, a differenza del peccato, che, non essendolo, può essere
giudicabile e condannabile solo da Dio. Alla base di questa distinzione sta la
tesi secondo cui l’ambito in cui il diritto può intervenire legittimamente non
attiene alla coscienza morale del singolo. Inoltre, per Beccarla non è
“l’intensione” bensì “l’estensione” della pena a poter esercitare un ruolo
preventivo dei reati, motivo per cui, fra l’altro, esprime un parere negativo
nei confronti della pena capitale, comminando la quale afferma che lo Stato, per
punire un delitto, ne compie uno a sua volta. E il diritto di “questo” Stato,
che altro non è che la somma dei diritti dei cittadini, non può avere tale
potere: nessuna persona, infatti, darebbe il permesso ad altri di ucciderla.
Riprendendo i concetti roussoviani, Beccaria contrappone al principio del
vecchio diritto penale “è punito perché costituisce reato” il nuovo principio “è
punito perché non si ripeta”. Il delitto viene separato dal “peccato” e dalla
“lesa maestà” e si trasforma in “danno” recato alla comunità. Sulla base della
teoria contrattualistica, egli arriva a sostenere che, essendo il delitto una
violazione dell’ordine sociale stabilito per contratto (e non per diritto
divino), la pena è un diritto di legittima autodifesa della società e deve
essere proporzionata al reato commesso. Le leggi devono in primo luogo essere
chiare (anche nel senso di accessibili a tutti, cioè scritte nella lingua
parlata dai cittadini) e non soggette all’arbitrio del più forte; non è giusto
pertanto infierire con torture, umiliazioni e carcere preventivo prima di aver
accertato la colpevolezza. Un uomo i cui delitti non sono stati provati va
ritenuto innocente. L’accusa e il processo devono essere pubblici, con tanto di
separazione tra giudice e pubblico ministero e con la presenza di una giuria.
(Tuttavia per il Beccaria legittimo “interprete” della legge è solo il sovrano;
il giudice deve solo esaminare se le azioni dei cittadini sono conformi o meno
alla legge scritta). La stessa pena di morte va abolita in quanto nessun uomo ha
il diritto, in una società basata sul contratto fra persone eguali, di disporre
della vita di un altro suo simile. E’ impossibile allontanare i cittadino
dall’assassinio ordinando un pubblico assassinio. Occorre che i cittadini siano
messi in condizione di comportarsi nel migliore dei modi. La condanna capitale
rende inoltre irreparabile un eventuale errore giudiziario. Il vero freno della
criminalità non è la crudeltà delle pene, ma la sicurezza che il colpevole sarà
punito.
I tre filosofi
dell'Illuminismo.
Da Comprensivocesari.edu.it. Charles de Montesquieu, un illuminista
aristocratico, era favorevole a una monarchia costituzionale, sul modello di
quella inglese. Egli sosteneva che i tre poteri dello Stato, cioè il potere
legislativo (di fare le leggi), esecutivo (di applicarle) e giudiziario (di
giudicare chi non le rispetta) non devono essere concentrati nelle mani di una
sola persona. Per garantire la libertà politica ed evitare che pochi pravalgano
su molti, è necessario che i tre poteri restino divisi e indipendenti. Questo
principio, detto della separazione dei poteri, è accolto oggi dalle costituzioni
di quasi tutti i Paesi. In Italia, ad esempio, il potere legislativo spetta al
parlamento, cioè a rappresentanti del popolo liberamente eletti; il potere
esecutivo al governo; quello giudiziario alla magistratura, costituita
dall'insieme dei giudici. Per Jean-Jacques Rousseau, un filosofo di Ginevra, il
potere dello Stato, cioè la sovranità, il potere di comandare, appartiene
interamente al popolo, che è l'unico sovrano. Il principio della sovranità
popolare, sta alla base delle moderne democrazie. Nelle democrazie moderne, come
l'Italia, la sovranità popolare viene esercitata indirettamente attraverso i
rappresentanti (deputati e senatori che formano il parlamento) scelti dal popolo
e prende il nome di democrazia rappresentativa. Voltaire, il più famoso dei
filosofi illuministi, non riponeva nel popolo alcuna fiducia ed era disposto ad
accettare il governo di un sovrano assoluto, a patto che questi si dimostrasse
"illuminato" e si lasciasse guidare non dal capriccio, ma dalla ragione,
preoccupandosi dell'efficienza dello stato e del benessere dei sudditi. Molti
sovrani europei sembrarono sensibili alle idee illuministe e attuarono nei loro
Stati importanti riforme. Il loro sistema di governo prende il nome di
dispotismo illuminato.
Il dispotismo illuminato. Le idee degli
illuministi furono accolte da molti sovrani europei, come Federico II di
Prussia, Maria Teresa d'Austria, la zarina Caterina II di Russia e, in Italia,
Leopoldo, granduca di Toscana e Carlo III di Borbone, re di Napoli. Nella
seconda metà del Settecento questi "despoti" (sovrani) introdussero delle
riforme, cioè dei cambiamenti che avevano lo scopo di migliorare il loro Stato,
rendendolo più efficiente e moderno. In Toscana, ad esempio, il granduca
Leopoldo abolì la tortura e la pena di morte. Alcuni sovrani si preoccuparono di
modernizzare l'agricoltura e combatterono l'analfabetismo, favorendo
l'istituzione di scuole pubbliche laiche (cioè non religiose), tanto che
l'istruzione pubblica ebbe un grande sviluppo. Questi "despoti illuminati" non
cessarono di essere sovrani assoluti e spesso si proposero, molto più che il
benessere dei sudditi, l'aumento del proprio potere ai danni della nobiltà e del
clero, ossia i ceti privilegiati. Le idee illuministe si diffondono anche in
Italia In Italia i centri illuministi più attivi furono due: Napoli e Milano. A
Milano fu pubblicato un giornale intitolato "Il caffè", perchè si voleva che
avesse sulla società lo stesso effetto stimolante che ha la bevanda
sull'organismo umano. Del gruppo milanese faceva parte il marchese Cesare
Beccaria, che nel 1764 pubblicò il saggio Dei delitti e delle pene, l'opera più
importante e più famosa dell'Illuminismo italiano, in cui l'autore dimostrava
l'inutilità della tortura e della pena di morte. Presto tradotto in molte
lingue, il saggio contribuì a far modificare le leggi e i procedimenti
giudiziari in alcuni Stati, fra cui il granducato di Toscana e l'impero
austriaco.
Montesquieu, Rousseau e Voltaire - Storia
e politica. Appunto di Filosofia che
spiega e mette a confronto le varie idee politiche e etiche di tre esponenti
dell'illuminismo: Montesquieu, Rousseau e Voltaire in relazione al clima
storico. Elisa P. su skuola.net.
Montesquieu, Rousseau e Voltaire - Storia e
politica. Gli illuministi erano grandi ammiratori del sistema liberale inglese,
proponendolo come modello nel loro programma di riforme politiche per la
Francia:
- libertà religiosa;
- Libertà di stampa;
- Abolizione dei privilegi fiscali;
- Limitazione dell'assolutismo regio.
VOLTAIRE - "Lettere filosofiche" (1734). Egli
aveva fatto conoscere in Francia il sistema parlamentare inglese, rendendosi
conto che la società civile francese era più arretrata di quella inglese e che
l'eccessivo indebolimento della monarchia potesse degenerare in anarchia;
Voltaire inoltre riponeva scarsa fiducia nelle masse popolari, poichè riteneva
fossero soggette al dominio dell'ignoranza e della superstizione; per questo
motivo un monarca assoluto, ma illuminato, poteva essere il migliore garante del
rinnovamento della società. Egli identificava come possibili monarchi
illuminati Federico II e Caterina di Russia.
ROUSSEAU. Rousseau aveva fatto inizialmente
parte del movimento degli illuministi, ma a partire dal "Discorso sulle scienze
e sulle arti" (1750) se ne era progressivamente allontanato. Nella sua opera
egli respingeva l'idea di progresso e incivilimento (progresso verso migliori
condizioni materiali di vita e costumi più raffinati e umani) e la contrapponeva
con la visione di un'austera comunità repubblicana, nella quale le virtù morali
e politiche contavano di più delle scienze, della tecnica e degli artificiosi
raffinamenti dei costumi. Nel 1762 il filosofo pubblicò la sua opera politica
più celebre e discussa "Il contratto sociale"; in esso proponeva un modello di
Stato in cui il sovrano fosse tutto il popolo e le leggi derivassero dalla
volontà generale del popolo. Inoltre Rousseau elabora il concetto di sovranità
popolare che si riferiva alla capacità degli individui di cogliere l'unico
interesse generale, liberandosi quindi dei loro egoismi. In un simile Stato gli
organi del Governo erano al servizio dell' intera comunità. Venne anche
elaborata anche la definizione di Stato democratico, in cui la proprietà privata
doveva essere subordinata all'interesse generale.
MONTESQUIEU - "Lo spirito delle leggi"
(1748). Montesquieu compì un esame comparativo delle diverse forme di
Governo (repubblica, monarchia, dispotismo). Secondo lui il sistema di leggi di
ciascun Paese ha uno spirito (logica interna); le leggi non sono solo il
prodotto del legislatore, ma sono i rapporti necessari che derivano dalla natura
delle cose. Egli voleva appurare se in Francia erano in atto processi che
stavano trasformando la monarchia in dispotismo, questi processi dovevano essere
fermati finchè si era in tempo;
il dispotismo appariva a Montesquieu come una
forma di Governo tipica dei Paesi asiatici, dove era agevolato da tre fattori:
- l'enorme estensione;
- La fitta popolazione;
- La relativa semplicità delle strutture
sociali.
Quando tra l'autorità del sovrano e la massa
dei sudditi non esistono corpi intermedi dotati di autonomia, il dispotismo è
un' evoluzione inevitabile. Tra le forze sociali intermedie, Montesquieu dava
importanza a quelle magistrature supreme che erano i parlamentari. Nel momento
in cui queste forze prendessero ogni potere, la monarchia sarebbe degenerata nel
dispotismo; Montesquieu giudicava poco adatta per la Francia la forma di governo
repubblicana; lo spirito repubblicano poteva solo realizzarsi in comunità
territorialmente e demograficamente limitate, come Sparta e Roma nell'
antichità. Dell'Inghilterra bisognava imitare la divisione dei poteri (la
potenza statale così distribuita non sarebbe stata esposta al rischio
dell'assolutismo) in tre funzioni diverse:
- la legislazione (Parlamento, l'emanazione
di leggi generali);
- Il Governno (re e Governo, eseguire le
leggi e occuparsi dell'alta politica);
- L'amministrazione della Giustizia;
La magistratura sarà pienamente indipendente
dal potere del Governo, senza che nessuno dei tre poteri cerchi di usurpare le
funzioni altrui, auspicava quindi una monarchia costituzionale.
Illuministi a confronto: Rousseau e
Montesquieu. Giada.cofano (Medie
Superiori) scritto il 12.04.17 su scuola.repubblica.it. L'illuminismo è un
movimento di pensiero nato in Francia nel '700, sviluppatosi poi nel corso del
secolo nel resto dell'Europa. Gli illuministi, collaborano insieme nello
sviluppo delle idee, ma ognuno di loro pone un accento o una particolare
attenzione su un aspetto, che viene quindi sviluppato in modo differente.
Rousseau, inizialmente faceva parte del
movimento illuminista, poi con la pubblicazione di "Discorso sulle scienze e
sulle arti" nel 1750, se ne allontana progressivamente. Sostiene che le arti e
le scienze nascano da un progressivo snaturamento della sensibilità primitiva e
originale dell'uomo, con conseguente negativo sugli esiti dell'evoluzione
storica. Ogni passo verso la civiltà comporta, nell'uomo, il nascere di bisogni
artificiosi, che lo distraggono dalle cose essenziali e autentiche. Rousseau,
facendo emergere una critica radicale, respinge l'idea di progresso e
incivilimento e lo contrappone con la visione di un'austera comunità
repubblicana. Ne "Il contratto sociale", propone un modello di Stato in cui il
popolo è sovrano, e le leggi derivano dalla volontà popolare. Gli individui così
facendo si liberano dall'egoismo tipico del loro essere, sviluppando nuove
capacità collaborative nell'interesse generale. La storia non era corruzione <>.
Ma <>, fissando il vincolo della proprietà privata, del possedere la terra, che
in realtà, originariamente, appartiene a tutti. La disuguaglianza tra gli
individui deve essere risolta attraverso la ridistribuzione delle ricchezze,
quindi con la definizione di leggi uguali per tutti ed uno Stato democratico.
Differente è invece la visione politica di
Montesquieu, che individua nella monarchia costituzionale, un governo in cui i
poteri non si sovrappongono, né entrano in contrasto tra loro. Attraverso un
esame che compie sulle diverse forme di governo, Montesquieu comprende come le
leggi siano, il risultato di una varietà di condizioni fisiche,meteorologiche,
sociali e storiche e non semplicemente il prodotto della ragione pura o
dell'istituzione arbitraria dei legislatori. Quindi il dispotismo che stava
emergendo e affermandosi in Francia, tipico dei Paesi orientali, andava fermato
tempestivamente. Il modello inglese che suggeriva la divisione dei poteri
diviene per l'illuminista la migliore soluzione governativa. In ogni Stato la
divisione consiste in <>. Non vi è libertà se questi tre poteri sono nelle mani
di uno solo, o dello stesso organismo. Seguirebbero mancanza di controllo e
abusi d'ogni tipo. Se il potere giudiziario è quello legislativo fossero uniti
<>. Il principio della conservazione dei poteri è ancora oggi valido, e per noi
contemporanei è una cosa scontata e ovvia. Ma nel '700 una tale riforma
costituiva una sorta di conquista del potere politico, economico ed ideologico,
da parte di una borghesia in fermento, cosciente della propria funzione sociale
propulsiva.
Montesquieu e Rousseau sono solo due dei
tanti filosofi che in questo periodo storico, hanno espresso le proprie tendenze
e dottrine politiche: al primo, teorico del liberalismo moderato, si contrappone
il secondo, che attraverso il suo "contratto sociale" ispirerà l'azione della
borghesia democratica.
Montesquieu, la libertà risiede nella
separazione dei poteri. Barbara Speca su rivoluzione-liberale.it il 17 Agosto
2011. Il viaggio alle radici del Pensiero Liberale continua con Charles-Louis de
Secondat, barone de La Brède et de Montesquieu (1689-1755), un protagonista
dell’Illuminismo europeo nella prima metà del XVIII secolo che occupa, ancora
oggi, una posizione di straordinario rilievo nella storia del liberalismo
soprattutto grazie al suo capolavoro, lo Spirito delle Leggi, un’opera
monumentale, frutto di quattordici anni di lavoro e pubblicata anonimamente
nella Ginevra di Jean-Jacques Rousseau, nel 1748. Due volumi, trentadue libri,
una vera e propria enciclopedia del sapere politico e giuridico del Settecento,
nonché un lavoro tra i maggiori della storia del pensiero politico. Avversario
di ogni forma di oppressione dell’uomo sull’uomo, Montesquieu è il filosofo
della moderazione e dell’equilibrio. A lui viene attribuita la teoria della
separazione dei poteri che rappresenta uno dei princìpi necessari dello Stato di
diritto e una condizione oggettiva per l’esercizio della libertà che per
Montesquieu è “Il diritto di fare tutto quello che le leggi permettono”. Sulla
base dell’esempio costituzionale inglese, lo scrittore politico francese
sostiene che l’unica garanzia di fronte al dispotismo risiede nell’equilibrio
costituzionale di cui godono i paesi in cui i poteri legislativo, esecutivo e
giudiziario sono nettamente separati e distinti, capaci di controllarsi a
vicenda. “Quando nella stessa persona o nello stesso corpo di magistratura, il
potere legislativo è unito al potere esecutivo, non esiste libertà; perché si
può temere che lo stesso monarca o lo stesso senato facciano delle leggi
tiranniche per eseguirle tirannicamente. E non vi è libertà neppure quando il
potere giudiziario non è separato dal potere legislativo o da quello esecutivo.
Se fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e sulla libertà dei
cittadini sarebbe arbitrario: poiché il giudice sarebbe il legislatore. Se fosse
unito al potere esecutivo, il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore.
Tutto sarebbe perduto se un’unica persona o un unico corpo di notabili, di
nobili o di popolo esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi,
quello di eseguire le risoluzioni pubbliche e quello di punire i delitti o le
controversie dei privati”. L’idea che la separazione del potere sovrano tra più
soggetti sia una maniera efficace per impedire abusi affonda le sue radici nella
tradizione filosofica della Grecia classica. Platone ne La Repubblica sostiene
l’autonomia del giudice dal potere politico. Aristotele, nella Politica, delinea
una forma di governo misto denominata politìa, una condizione di equilibrio tra
oligarchia e democrazia, o meglio, una democrazia temperata dalla oligarchia.
Aristotele, per di più, distingue tre momenti nell’attività dello Stato:
deliberativo, esecutivo e giudiziario. In tempi più recenti, nella seconda metà
del Seicento, John Locke sostiene la necessità di affidare ciascuna funzione a
soggetti diversi. Montesquieu apre però la strada alla politica moderna,
perfezionando la teoria della separazione dei poteri già presente in Locke. Il
giurista francese trasforma la sua ricerca scientifica e sociologica in un
programma morale e politico: come strutturare un sistema di leggi che, nelle
condizioni storiche date, produca il massimo di libertà.“La libertà politica è
quella tranquillità di spirito che la coscienza della propria sicurezza dà a
ciascun cittadino; e condizione di questa libertà è un governo organizzato in
modo tale che nessun cittadino possa temere un altro”. Si può definire libera
solo quella costituzione in cui nessun governante possa abusare del potere a lui
affidato. Per contrastare tale abuso bisogna far sì che “il potere arresti il
potere”, cioè che i tre poteri fondamentali siano affidati a mani diverse, in
modo che ciascuno di essi possa impedire all’altro di oltrepassare il proprio
limite, degenerando in tirannìa. La riunione di questi poteri nelle stesse mani,
siano esse quelle del popolo o del despota, annullerebbe la libertà perché
distruggerebbe la “bilancia dei poteri” che costituisce l’unica salvaguardia o
“garanzia” costituzionale in cui risiede la libertà effettiva dei cittadini.
Secondo Montesquieu“Una sovranità indivisibile e illimitata è sempre
tirannica” e il dispotismo, anche se rappresenta una forma “naturale” di
governo, è il pericolo supremo da evitare, in quanto una sola persona “senza né
leggi né impedimenti trascina tutto e tutti dietro la sua volontà e i suoi
capricci”. Montesquieu struttura un metodo di interpretazione delle leggi in cui
scompare l’alternativa tra legge naturale universale e immutabile, di cui
avevano parlato i giusnaturalisti, e l’incertezza o l’arbitrarietà delle leggi
positive su cui, dai sofisti greci fino a Montaigne e Pascal, si basava il
dubbio scettico sulla stabilità della giustizia umana. Montesquieu cerca di
dimostrare come, nonostante la diversità e la complessità degli eventi, la
Storia abbia un ordine e manifesti l’azione di leggi costanti in grado di
superare i contrasti. Ogni Stato, a sua volta, ha le proprie leggi che non sono
mai casuali o arbitrarie, ma strettamente condizionate dalla natura dei popoli
stessi, dai loro costumi, dalla loro religione, addirittura dal clima.
Montesquieu sostiene però che sia possibile stabilire, metodologicamente, i
princìpi che regolano le leggi e ne determinano il carattere e la natura: le
leggi, cioè, non si formano a caso, o secondo il capriccio di qualche individuo,
ma seguono la direzione loro imposta da tutto un insieme di condizioni che è
compito dello studioso indagare. Lo “spirito” delle leggi corrisponde all’anima
dell’insieme di norme che regolano le relazioni umane nelle diverse società.
Poiché tali norme variano nei diversi popoli, non è possibile valutarle in
relazione a uno schema di princìpi dotati di validità assoluta, ma ne va
chiarita caso per caso la dinamica interna, facendo uso di criteri costanti
riconducibili all’esprit général che rappresenta il collante, il tessuto
connettivo di ogni sistema giuridico, un principio non naturale e statico ma
storicamente dinamico, di cui ogni legislatore deve tener conto. Il metodo di
Montesquieu presuppone che i fenomeni sociali possano essere spiegati con leggi
scientificamente rilevanti come quelle delle scienze naturali: le società umane,
al pari di ogni essere vivente, sono sottoposte all’azione che deriva
dall’intreccio delle situazioni e delle proprie caratteristiche fisiche e
spirituali. Montesquieu tenta di organizzare il Diritto in categorie semplici
alle quali ricondurre la grande varietà della struttura giuridica e sociale;
mette in luce il grande ruolo assunto dalla Storia ed infine, sul piano
politico, tenta di strutturare un modello pratico di società per salvaguardarla
dai regimi dispotici. Seguendo le orme del Saggio sul governo civile di Locke,
Montesquieu definisce le leggi “rapporti necessari che derivano dalla natura
delle cose” nonché manifestazione della ragione umana. In una società civile le
leggi fungono da elementi regolatori in grado di mediare le tendenze
individuali, in vista del perseguimento di un obiettivo comune. Dimostrato che
il mondo fisico come il mondo dell’intelligenza dipendono da rapporti intrinseci
alla loro stessa esistenza, Montesquieu esamina l’intreccio delle forze che
agiscono nelle varie società storiche per scoprire coerenze e discordanze delle
istituzioni e delle leggi rispetto alla loro essenziale necessità, al loro
“esprit”. Le leggi fondamentali dello Stato prescindono dal principio e dalla
natura del governo che per Montesquieu può essere repubblicano, monarchico o
dispotico, a seconda che vi prevalga il principio della virtù, dell’onore o
della paura. La stabilità dello Stato dipende dal principio del governo e si
basa sulla coerenza delle sue leggi. Nella situazione storica in cui le leggi si
dimostrino aberranti dall’esprit général che le ha determinate e le sorregge è
necessario individuare la natura e la ragioni dell’errore. Quando il principio
si corrompe, le migliori leggi diventano distruttive. Il principio della
democrazia, ad esempio, si corrompe quando la nazione perde lo spirito
d’uguaglianza o lo interpreta arbitrariamente. Nel suo capolavoro Montesquieu si
propone di estendere allo studio della società umana il metodo sperimentale per
fissare dei “princìpi” universali volti ad organizzare logicamente l’infinita
molteplicità delle usanze, delle norme giuridiche, delle credenze religiose,
delle forme politiche e per formulare, infine, leggi obiettive secondo le quali
si articola costantemente, sotto l’apparenza del caso, l’incostante
comportamento degli uomini. Non rifiuta la concezione machiavellica della
politica come forza, ma la integra con un’accurata analisi delle molteplici
“cause” – storiche, politiche, fisiche, geografiche e morali – che operano negli
eventi umani. Le leggi positive formulate da Montesquieu riguardano
principalmente: il diritto delle genti (leggi che regolano i rapporti esistenti
tra i vari stati); il diritto politico (leggi che regolano i rapporti tra Stato
e società civile); il diritto civile (leggi che regolano i rapporti tra i
componenti della società civile). Rinuncia comunque alla ricerca della miglior
forma di Stato, cara alla letteratura utopistica, e tenta di stabilire,
concretamente, le condizioni che garantiscono, nelle diverse forme di governo,
l’optimum della convivenza civile: la libertà. Il suo realismo e relativismo si
salda con un alto intento normativo: un invito alla razionalizzazione delle
leggi e delle istituzioni.
DA MARX ALLA RIFONDAZIONE.
Giovanni De Sio Cesari.
PREMESSA. Nel secolo scorso due grandi
movimenti mondiali si sono confrontati su tutti i piani possibili: il socialismo
e il capitalismo. Il socialismo (e il comunismo) parlava di uguaglianza, di
giustizia sociale, di solidarietà, era dalla parte dei poveri e degli oppressi;
il capitalismo (liberismo) invece esaltava la competizione, puntava
sull'egoismo, era dalla parte dei potenti. Per questo i giovani, i poeti, gli
intellettuali, tutti quelli che avevano a cuore le sorti dell'umanità
inclinavano sempre verso il socialismo. Tuttavia alla fine del secolo il
capitalismo (liberismo) si è dimostrato, potremmo dire “purtroppo”, la forma più
adatta alla civiltà industriale: il socialismo in parte è confluito nel
capitalismo stesso e nella sua manifestazione più coerente e radicale, il
comunismo, si è dissolto. In particolare il comunismo marxista è stato, in
positivo o in negativo, il protagonista della storia del secolo scorso: nel
nostro secolo invece è sparito come grande movimento storico anche nei paesi che
si dicono ancora comunisti (Cina, Viet-nam tranne forse Cuba e Nord Corea) ed è
rimasto una aspirazione di piccole minoranze politicamente ininfluenti. Almeno
per le prossime generazioni il socialismo può rimanere una bella e nobile ideale
ma non ha nessuna possibilità di realizzazione nella realtà nei fatti. Per un
secolo quasi quindi Marx è stato il punto sul quale il mondo si divideva fra
quelli che lo sostenevano e quelli che gli erano contrari: adesso il suo
pensiero è fuori della realtà politica ma può dare suggerimenti, spunti, idee.
Succede per Marx come per Mazzini o per Voltaire: ai loro tempi divisero il
mondo ma ora sono un patrimonio comune: non siamo più contro o a favore di
Mazzini, come i nostri antenati, ma giudichiamo storicamente Mazzini (e i
liberali) insieme ai loro avversari reazionari, qualche volta anche
riabilitandoli (come i Borboni di Napoli). Però Mazzini e gli illuministi furono
dei vincitori nella storia nel senso che le generazioni che vennero dopo di loro
li acclamarono come propri maestri: la storia invece ha dato torto a Marx: le
statue di Mazzini sono ancora ovunque ma non se ne vedono di Marx. Ma questo
nulla toglie al fatto che il pensiero di Marx rimane uno dei fondamenti della
nostra cultura e della nostra civiltà. Il termine di marxismo e
di comunismo viene usato in molti significati diversi e tutti validi e non ha
senso parlare di "vero" comunismo contrapposto a un "falso" comunismo: le parole
importanti hanno sempre tanti significati diversi e non vi è certo un copyright
sul termine. Si definiscono comunisti e marxisti Stalin e Troztski, Togliatti e
i sessantottini, Mao e Deng Xiaoping, (attuale dirigenza cinese ). Fondamentale
è la distinzione poi fra pensiero marxiano (proprio di Marx, d'altra parte con
tante interpretazioni ) e il marxismo (cioè il movimento che si fa ad esso,
estremamente vario). In questa lavoro intendiamo mostrare brevemente
l’evoluzione dal pensiero proprio di Marx fino a certe posizioni della cosi
detta Sinistra Alternativa (S.A.) diffusa in tutto il mondo occidentale che,
benchè tagliata ormai fuori dalla possibilità di governo, tuttavia mantiene un
suo seguito vivace e attivo nella vita politica.
MARX : LA SCIENZA. La teoria di Marx non era
un semplice pauperismo, incentrato sulle idee di giustizia e umanità (socialismo
utopistico) ma voleva essere una disanima scientifica. La sua opera fondamentale
venne intitolata, non a caso. “il capitale” (non “il comunismo”) perchè Marx
intendeva mostrare, attraverso una analisi scientifica dell’economia capitalista
che essa necessariamente doveva dissolversi per le proprie contraddizione
interne e strutturali , non superabili. In sintesi, senza scendere nelle
argomentazioni tecniche, Marx legò la sua dottrina alla previsione "scientifica"
che i ricchi sarebbero stati sempre più pochi e sempre più ricchi (borghesi) e i
poveri sarebbero stati sempre più numerosi e sempre più poveri (proletari) con
la sparizione del ceto medio e dei lavoratori indipendenti. Ma questa previsione
non si è affatto verificata: anzi è avvenuto il contrario di quanto previsto da
Marx. In tutti i paesi capitalistici il ceto medio si è esteso fino a
comprendere la grande maggioranza della popolazione e i lavoratori indipendenti
sono sempre più numerosi di quelli dipendenti. Non esiste quindi una lotta del
proletariato contro la borghesia perchè le due classi, nel senso marxiano, non
esistono più. Le minoranze povere come gli emarginati, i giovani disoccupati, le
famiglie monoredditi, gli emigrati, sono cosa diversa dal proletariato marxiano.
I lavoratori non si identificano più con i salariati proletari di Marx: la
classe dei lavoratori ha cambiato profondamente i suoi i caratteri. In essa
confluiscono gli operai e gli impiegati, i dipendenti e gli autonomi, i
professionisti e gli artigiani e i piccoli imprenditori e anche i pensionati e
disoccupati: praticamente la classe lavoratrice si identifica con la nazione nel
suo insieme. Resterebbero fuori solo i grandi industriali: la lotta di classe
consisterebbe allora nella nazionalizzazioni delle grandi imprese: la cosa è
stata fatta nel passato e ha dato risultati cosi negativi e catastrofici che
tutti ora vogliono fare le privatizzazioni: non sarebbe certo nell'interesse
generale cioè dei lavoratori. La lotta di classe attualmente è un concetto privo
di significato. Il pensiero di Marx aveva una valore scientifico nel significato
moderno del termine cioè non nel senso di verità assoluta (come fu inteso nei
suoi tempi e dallo stesso Marx) ma di ipotesi che andava verificata nei fatti.
Nella scienza moderna, infatti, si riconosce che non si può giungere alla verità
ultima e definitiva dei fenomeni, alla essenza cioè come nella scienza antica ma
che le leggi scientifiche sono ipotesi che spiegano i fatti FINO AD ORA
osservati. Poichè nel caso di Marx la previsione si è dimostrata errata
evidentemente anche la teoria era errata, come avviene nel campo delle scienze.
Ma il fatto che le previsione non si siano verificate non toglie al fatto che la
teoria fosse scientifica: bisogna solo prendere atto che si tratta di una teoria
superata , “falsificata”, come si dice, dai fatti. Essa comunque conserva una
grande importanza culturale e costituisce pur sempre una delle componenti
fondamentali della cultura moderna.
SOCIALISMO REALE: LA RELIGIONE. E poi venne
nel ‘17 la Rivoluzione Bolscevica in Russia. In realtà si trattava di qualcosa
di profondamente diverso da quanto previsto “scientificamente” da Marx. Non si
trattava della crisi finale del capitalismo, dell’esplodere delle sua
contraddizioni perchè il capitalismo in Russia era appena appena ai primi passi
e l’economia era ancora sostanzialmente a carattere feudale. Non esisteva quindi
una proletariato nel senso marxiano del termine ma una sterminata moltitudine di
contadini intrinsecamente tradizionalisti, come avrebbe detto Marx. Soprattutto
non insorgeva, per il comunismo, il popolo nel suo complesso ma una minoranza
esigua di rivoluzionari di professione che affermavano, e credevano
effettivamente, di essere la autocoscienza del popolo. La caduta del capitalismo
era intesa da Marx come un processo spontaneo, irreversibile, sostanzialmente
pacifico che sarebbe avvenuto quando i tempi sarebbero stati maturi. Non a torto
si era detto che il “Capitale ” era il libro dei capitalisti: si aspettava il
crollo ma fino a che esso non sarebbe avvenuto il capitalista poteva
tranquillamente godersi la propria ricchezza fino al grande giorno della
Rivoluzione: i capitalisti potevano tranquillamente credere in Marx. Ma la
Rivoluzione Russa era qualcosa di radicalmente diverso. Tuttavia si affermò che
era una strada nuova, non prevista, si pensò anche che era un caso che la
Rivoluzione fosse scoppiata in Russia e ci si aspettava che essa fosse dilagata
rapidamente nel mondo capitalistico occidentale in America, in Inghilterra,
soprattutto nelle Germania della crisi del dopoguerra. Ma questo non avvenne:
alla fine degli anni 30 apparve chiaro ed evidente che la rivoluzione comunista
non si sarebbe estesa in tempi brevi fuori dalla Russia: di fatto essa poi si
estese a paesi poveri ed arretrati come la Cina. Invece in Russia si impiantò il
regime staliniano: si sospettavano dappertutto complotti capitalistici, spie
delle nemici, una città assediata che esigeva il massimo della disciplina,
monastica più che militare. Ma se i fatti avevano smentito la teoria scientifica
marxiana, Il marxismo allora divenne allora una religione, la più grande
religione del ‘900. Allora tanta parte dell’umanità credette veramente che il
regime sovietico avrebbe portato al mondo intero prosperità, giustizia pace. E
ci voleva davvero una grande fede per credere che dagli orrori staliniani
potesse nascere la società comunista prefigurata da Marx che è come dire che
l’inferno in terra avrebbe prodotto il paradiso in terra. Come pensare che un
regime che aveva provocato carestie spaventose, che aveva mandato a morte la
grande maggioranza dei propri stessi dirigenti in spaventosi processi farsa, che
dappertutto aveva sparso il terrore come nessun altro nella storia, era premessa
della liberta, della prosperità, della umanizzazione. Ma in tanti ci credettero
e i Don Peppone di tutto il mondo pensavano “ha da venì baffone” come di colui
che avrebbe finalmente estirpato dal mondo una volta per sempre la ingiustizia e
la povertà. E in tanti, in milioni, sacrificarono a questa fede terrena la loro
vita e anche la verità e l’evidenza. A un certo punto gli stessi regimi
comunisti si resero conto della impossibilita di raggiungere la società
preconizzata da Marx. Allora la prospettiva del comunismo marxiano viene
allontanato indefinitivamente nel tempo, diviene in pratica una richiamo teorico
ufficiale ma in realtà si abbandonò il progetto concreto di instaurarlo, almeno
in un futuro prevedibile. Si passa allora a quello che viene definito
“capitalismo di stato” e i paesi comunisti in qualche modo si omologano al resto
del mondo. L’evidenza e la verità erano divenute troppo forti perchè potessero
ancora essere ignorate. Crollò allora la fede nel socialismo reale degradato a
capitalismo di stato e il grande sogno del comunismo si spense lentamente nelle
masse di tutto il mondo, lasciando un grande vuoto. Il comunismo era
rappresentato da Stalin e Togliatti, Mao o i Kmer rossi, da quel terzo
dell’umanità che aveva abbracciato quel sistema che sembrava allargarsi all'Asia
tutta, all'Africa, all'America Latina: "le campagne che assediavano le
citta," si disse. Poi a un certo punto è stato detto che quello non era il
"vero" comunismo marxista, si e' parlato di "strappo" (nel 68), di "esaurimento
della spinta propulsiva". Poi quel sistema è imploso improvvisamente dappertutto
per decisone unanime degli stessi dirigenti (fatto forse unico nella storia) fra
la soddisfazione dei popoli. Nessuno si richiama ad esso ma si parla al più di
una rifondazione mentre invece il modello liberistico non solo ha vinto la sfida
ma ha preso dovunque il posto del comunismo (Cina, Russia, paesi dell'est).
LA RIFONDAZIONE : LA SETTA. Ma se i regimi
comunisti ormai sono spariti o quasi dalla storia quella antica religione del
comunismo non è affatto spenta: continua nei gruppi della Sinistra Alternativa,
piccoli di numero ma estremamente attivi sul piano ideologico e delle
manifestazioni politiche. Già negli anni 60, e poi soprattutto con la
contestazione del 68, quaranta anni fa ormai, si disse che non era finito il
comunismo marxista ma solo una sua deviazione che non aveva niente a che fare
con il vero pensiero marxiano. Infatti quando si dissolsero i miti comunisti, la
maggioranza dei comunisti con Berlinguer si posero come i “veri” democristiani
(la definizione e’ di Pasolini) cioè quelli che volevano realizzare quello che i
democristiani avevano promesso ma non realizzato e massima aspirazione
il compromesso con DC stessa: la democrazia borghese divenne allora la
democrazia e basta, il capitalismo divenne l’economia di mercato, e si fece lo
strappo da "Mosca". Ma la minoranza combattiva e motivata invece voleva
rifondare il comunismo su nuove basi che non fossero quelle del socialismo
reale: continuò sempre a vagheggiare una società alternativa ma in modo sempre
più confuso e vago. L'esigenza della rifondazione nasce dall'idea che il
comunismo realizzato sia una cosa sostanzialmente diversa da quello che Marx
intendeva: si dice qualcosa di vero ma si pone anche una grande questione che
non può essere ignorata: perche mai tutti quelli che per due generazioni hanno
detto, e sono stati universalmente creduti, di seguire Marx, perche mai tutti
poi hanno costruito sistemi tanto diversi da quello marxista? Perche erano tutti
dei malvagi, dei traditori opportunisti, spie della CIA? Chi mai ci crederebbero
e comunque nello spirito di Marx sono le condizioni materiali e non la moralità
degli uomini a fare la storia. Non si accetta la spiegazione più elementare: il
pensiero di Marx era inattuabile e per questo chi ha cercato ostinatamente di
attuarlo ha costruito qualcosa di diverso, ha creduto di portare il paradiso in
terra ma ha invece costruito solo l'inferno in terra. Quando vi era il grande
partito comunista guidato da Togliatti, il migliore, il discorso era chiaro: si
contrapponeva alla democrazia borghese la dittatura del proletariato, al
capitalismo la economia pianificata, all’America l’Unione Sovietica.
L’alternativa attualmente proposta invece non si capisce bene “cosa” sia, con
quali “mezzi” attuarla (la rivoluzione e la via elettorale sembrano ambedue
escluse), soprattutto “quando” (non pare in questa generazione). Alla fine
raccoglie consensi da un piccolissimo gruppo di appassionati e dai molti
scontenti (voto di protesta). L’inquadramento della realtà non corrispondono a
quello della gente (cioè di quelli (nella stragrande maggioranza) non
particolarmente politicizzati): la gente ha il problema del mutuo, della
precarietà, dell’aumento degli alimentari e la S.A. parla di Multinazionali, di
Afganistan, della base di Vicenza, di fascismo. I modelli cioè sono quelli di un
altra società ALTERNATIVA e non corrispondono a quelli della società attuale: in
altre parole si tratta di una filosofia che vagheggia una società che non esiste
e non di un discorso politico che indica i mezzi per operare in quella che c'è.
I gruppi marxisti hanno quindi assunto l'aspetto di una setta che va sempre più
rimpicciolendosi ma che resiste, coraggiosa e indomita. Come tutte le sette è
chiusa in se, impermeabile al mondo esterno: ritiene che tutti gli altri, il 98%
delle persone non ha capito nulla o che è corrotta, o che è succube di un
inganno globale o della TV, che ogni avvenimento si spiega con il complotto dei
capitalisti e della Cia. Afferma che la fine del mondo capitalistico è dietro
l’angolo anche se poi se ne sposta continuamente la data come fanno i testimoni
di Geova, sulla fine del mondo. Anche le parole assumono significati diversi da
quelli comuni e compare un frasario oscuro, incomprensibili ai non adepti. Non
avendo quindi proposte proprie, concrete ed effettive, ha sostenute le “buone”
cause che però non c’entravano niente con il comunismo: il pacifismo il
divorzio, i gay, l’anti consumismo. Per colmo di assurdo sostengono pure HAMAS
che è quanto di più lontano si possa immaginare dal comunismo e dalla sinistra
in generale. Tuttavia i gruppi marxisti della Sinistra Alternativa assolvono a
una importante funzione nelle democrazie occidentali in cui sono comunque
inseriti e partecipi: rappresentano infatti la voce dissenziente che mette in
discussione i concetti dominanti, le prospettive condivise, la direzione stessa
verso cui corre la società. Costituiscono quindi una riserva essenziale di
pensiero critico che va oltre le prospettive immediate e realizzabili, di tenere
aperta cioè una alternativa logica alla necessita del momento. Riveste cioè
quelle caratteristiche che furono anche nella storia del passato proprie delle
sette alle quali si devono anche molti sviluppi della civiltà e della cultura.
Giovanni De Sio Cesari
La sinistra ha il buonismo ed il
Politicamente Corretto su immigrazione ed LGBTI, la destra il proibizionismo ed
il punizionismo moralista sul sesso e la droga. Il Giustizialismo per entrambi è
per gli altri, il garantismo per se stessi.
LA GUERRA ALLA CANAPA E IL POLITICALLY
CORRECT DI DESTRA. Dimitri Buffa il 3
giugno 2019 su opinione.it. Il politically correct è un’invenzione della
sinistra. Ma da tempo a destra viene scimmiottato. Basta cambiare di segno
alcuni tabù e il gioco è fatto. La sinistra ha il buonismo, la destra il
proibizionismo sulla droga e il punizionismo degli stili di vita. E questo è il
primo parallelo che salta agli occhi. In entrambi i casi si tratta di cose
stupide e poco pratiche. Dire “accogliamoli tutti” è altrettanto velleitario che
dire “facciamo la guerra alla canapa”. Anche quella senza effetti stupefacenti.
Ebbene, i rampanti nuovi “capitani” di questa destra che legittimamente aspira
al governo della nazione Italia, perché non prendono esempio dai loro omologhi
olandesi, come Geert Wilders, anche loro militanti anti islam e anti
immigrazione selvaggia, ma tutt’altro che irragionevoli proibizionisti sulla
canapa, light o hard che sia? Si parla dello “stato spacciatore”, ma perché si
concentra questa furia proibizionista su un prodotto come la canapa che, con o
senza il thc, rimane uno dei prodotti più innocui in natura alla faccia dei
finti studi di alcuni scienziati politicizzati che dai tempi della
Fini-Giovanardi sparano balle col cannone per dimostrare l’indimostrabile? Non
esiste in natura la possibilità di avere effetti letali per ingestione o
inalazione di cannabis. Mentre si può entrare in coma etilico alla seconda
bottiglia di vodka, per arrivare a una dose letale di thc bisognerebbe mangiarsi
in una botta sola qualche etto di resina di hashish. Ed esistono maniere più
comode per suicidarsi. Ma al di là dell’effetto dopante, la canapa light dei
negozi adesso di moda per la criminalizzazione propagandistica, semplicemente
vendono un prodotto senza alcuna attività dopante. Lo stato spacciatore che
vende alcool, sigarette e psicofarmaci perché dovrebbe menare scandalo se
permettesse la vendita della cannabis con il thc e tanto più quella senza?
Questo proibizionismo tutto centrato sulla canapa ricorda i primordi del
proibizionismo degli anni ’30 in America. Guidato dalla mafia italo americana.
Quando legavano il consumo da parte dei negri alla violenza sulle donne bianche
nei manifesti che imbrattavano la New York di Fiorello La Guardia. Avevano
appena perso la gallina dalle uova d’oro dell’alcool proibito su
qualche altro consumo di massa occorreva puntare. E si badi bene che la scelta
cadde sulla canapa proprio perché la fumavano tutti. Già negli anni ’30. Nel
mondo c’è un intero continente di assuntori di erba e hashish (le statistiche
parlano di 300 milioni di persone) e con quelli la mafia fa i soldi. Tutto
sommato eroina e cocaina al consumo di massa non sono mai arrivate. Non a quei
numeri comunque. E i numeri che ogni anno la Direzione nazionale antimafia
fornisce confermano questo assunto. Anche se con la cocaina un enorme sforzo
criminale in questo senso è stato fatto dalla fine degli anni ’70 in poi.
Parlare come fa Salvini sulla canapa è anche fuorviante e pericoloso. Il
messaggio che ogni droga è uguale tende a livellare tutto verso il consumo più
pericoloso delle droghe pesanti. La propaganda è perniciosa e si rivolta sempre
contro chi cavalca queste bugie. Da ultimo la parabola di Gianfranco Fini - che
voleva mettere in carcere chi si faceva le canne e che rischia di finirci lui
per riciclaggio insieme a questo signor Corallo il cui padre in America viene
segnalato come uno dei boss del settore narco traffico - è molto significativa.
Insomma si può essere di destra, per legge e ordine, senza necessariamente
avventurarsi con le sirene del punizionismo moralista su sesso, droga e rock ‘n’
roll. I consumatori di canapa indiana, leggera o hard che sia, non sono tutti
tribù di “zecche” dei centri sociali o apostoli dell’“accogliamoli tutti”. Ce ne
sono milioni pure di destra. Così come ci sono centinaia di migliaia di
omosessuali che votano Salvini. Perché allora regalare questa gente a una
scialba a e opportunista sinistra che cavalca tutto quello in cui non crede pur
di raccattare voti? Infine sulla cannabis light va fatta un’ulteriore
riflessione, in attesa di conoscere le motivazioni di questa sentenza che molto
probabilmente non cambierà nulla al di là di come è stata venduta dai
servili mass media della tv pubblica del “neo sovranismo de noantri” (si dice
che il commercio non può continuare nel dispositivo “a meno che la sostanza non
abbia effetti droganti”, cioè esattamente come è oggi, ndr): se un ragazzo
oggi spinto dagli amici va in giro a cercare cannabis non light ne trova quanta
ne vuole anche sotto casa, visto che il mercato è capillare e incontenibile. Se
invece si accontentasse della trasgressione “dethcizzata” dei negozi di cannabis
light non sarebbe meglio? Quelli che non possono bere il caffè da sempre si
bevono il decaffeinato, non è la stessa cosa? O si pensa di fare una cosa
intelligente iniziando la battaglia contro l’alcoolismo vietando le birre
analcoliche?
Il problema della destra con la canapa è solo
una idiozia ideologica, un tabù, un politically correct all’incontrario. Si è
rimasti col cervello infantilista all’epoca in cui i compagni si facevano gli
spinelli e portavano i capelli lunghi e li si odiava per questo. E
l’infantilismo della politica sembra non evolvere mai verso la razionalità.
Il nuovo fascismo: Liberale, Antifascista
ed Europeista. Marco Gervasoni, 10
ottobre 2019 su Nicolaporro.it. Caro Nicola, oggi il mio pezzo comincia a mo’
di lettera perché dobbiamo riconoscerci sconfitti. La nostra battaglia per la
libertà, di parola prima di tutto, condotta fin dall’inizio da te, e da noi
tutti, è persa. Me lo confermano due recenti fatti. Uno, di cui scrive Azzurra
Barbuto su Libero del’8 ottobre: un insegnante livornese accusata di razzismo, e
richiamata dai superiori, per aver proposto in classe un’esercitazione in cui si
contrapponevano le ragioni dei favorevoli a quelle dei contrari
all’immigrazione, senza prendere posizione. Come ha osato? Sarebbe come se nella
Germania nazista si fronteggiassero le ragioni dei nazisti a quelle degli altri:
l’accusa di essere ostile al Fuhrer sarebbe scattata subito. O come se in uno
qualsiasi dei regimi comunisti si opponessero le ragioni del marxismo-leninismo
a quelle degli altri: insegnante buttata fuori subito in quanto “traditrice del
popolo”. Secondo fatto, da La Verità del 9 ottobre: i verdi italiani, riunitisi
in una cabina telefonica, chiedono formalmente ai giornali e alle Tv di non
ospitare le ragioni degli scienziati negazionisti: quelli che non credono alla
(balla) della emergenza climatica. Non si capisce quale ritorsione i gretini
nostrani minaccino, per i reprobi che continuino a pubblicare, ad esempio,
Franco Battaglia. Ma l’avvertimento è lanciato. Di fronte a tutto ciò dobbiamo
dichiararci sconfitti. E in nome del “nuovo umanesimo” professato da Giuseppi e
i suoi fratelli (nel doppio senso) dobbiamo essere costruttivi. Ecco alcune
proposte. Gli insegnanti di ogni grado, dai nidi all’università, dovranno
rispettare i valori del SELA (Stato Etico Liberale Antifascista) che
sono: 1) l’Antifascismo (che non abbisogna di spiegazioni, esso è, come l’Essere
parmenideo); 2) l’immigrazione è positiva e gli immigrati (tutti profughi) sono
intrinsecamente buoni, ci arricchiscono sia materialmente che
spiritualmente; 3) l’emergenza climatica è un dogma inoppugnabile; 4) l’Europa è
la nostra patria, le nazioni e i confini non esistono, l’Euro ci ha reso tutti
più ricchi e felici. Gli insegnanti sono obbligati, al di là delle loro materie,
a insistere sempre su questi valori e a ribadirli durante le ore di lezione:
quindi avremo la Letteratura Liberale, la Matematica Liberale, il Disegno
tecnico Liberale, la Musica liberale, e via dicendo. Apposite ore saranno
tuttavia riservate per l’insegnamento della MLAE (Mistica Liberale Antifascista
Europeista). Qualsiasi insegnante sia colto a mettere in dubbio questi valori
sarà immediatamente licenziato ed eventualmente deferito al TDRLA (Tribunale per
la Difesa della Razza Liberale Antifascista). Sarà fatto divieto agli insegnanti
di mettere in dubbio i valori del SELA anche sui social, che saranno controllati
da un‘apposita commissione del Ministero della Educazione Liberale Europeista.
Chiunque anche solo ponga un like su post contrari ai valori del SELA sarà
licenziato. Ma poiché il privato è pubblico e il pubblico è privato, grazie ai
sistemi di ricognizione facciale e alle tecnologie introdotte dalla Cina
comunista (un modello per il SELA), l’insegnante sarà licenziato anche se
dovesse dubitare dei valori Liberali Antifascisti Europeisti in piscina o al
bar. Sui pensieri, si sta lavorando, ma anche qui con l’apporto di Pechino si
stanno facendo passi avanti. Per quanto riguarda invece i giornalisti, chiunque
voglia scrivere su testate cartacee, on line o in tv o in radio dovrà possedere
la tessera dell’OGLE (Ordine dei Giornalisti Liberali Europeisti). Qualsiasi
giornale ospitasse pezzi scritti da estranei all’Ordine sarà chiuso. Ogni pezzo
sarà comunque preventivamente controllato dal Ministero della Cultura Liberale
Antifascista, ricordato più speditamente come MINCULA (senza apostrofo). Il
MINCULA provvederà, attraverso appositi algoritmi, a modificare e a riscrivere
pezzi che mettano in dubbio i valori del SELA. E’ chiaro che alla quinta
modifica di pezzo nel corso di un mese, il MINCULA farà chiudere il giornale.
Tutto questo, oltre che estremamente Liberale Antifascista ed Europeista, mi
sembra anche nuovo per il nostro paese. O no? Marco Gervasoni, 10 ottobre 2019
GENERAZIONE Z 2.
Carole Hallac per “la Stampa”il 9 ottobre 2019. Addio Millennials. All'
Advertising Week di New York i riflettori sono puntati sui Gen Z, il gruppo
demografico più influente del pianeta, e che entro il 2020, rappresenterà 2.56
miliardi di individui e conterà il 40% dei consumatori. Chi sono i Gen Z? Nati
dopo il 1996, sono la prima generazione di «social natives», e usano in maniera
istintiva e naturale i social media. Bombardati da continue informazioni, la
curva per attirare la loro attenzione è di soli otto secondi, ma possono
guardare Netflix per ore. Passano di media nove ore al giorno davanti allo
schermo, quattro di queste facendo diverse cose allo stesso tempo in quanto
abilissimi al multitasking. Per loro, mondo virtuale e quello reale sono realtà
complementari, e alcuni considerano Alexa parte della famiglia. Sono diffidenti
verso la classe dirigente, e più sovversivi dalle generazioni precedenti, capaci
con un tweet di mobilitare un boicottaggio o creare un movimento per una causa a
cui credono. La «we generation» I Gen Z si distinguono dai Millenials,
considerati la generazione dell'«io», per essere quella del «noi» e usano i
social media per creare comunità e non solo connessioni individuali. Pensano al
noi in senso globale, non solo al proprio cerchio di amicizie, e sono sensibili
al benessere collettivo. Negli Stati Uniti, il 51% appartiene a gruppi di
minoranze, una diversità che vogliono celebrare. Questo vale anche per l'
orientamento sessuale: solo due terzi si considera eterosessuale, e sin da
piccoli, rigettano la divisione binaria spronando Mattel a introdurre una
bambola no gender. Hanno a cuore l' eco sostenibilità, scegliendo brand e
aziende che considerano etici (70%), sia per gli acquisti che quando entrano
nella forza lavoro. Desiderio di autonomia Grazie all' uso delle risorse online,
in particolare YouTube, i Gen Z hanno l' abilità di auto educarsi e ritenere un
grande numero di informazioni. «Maturano sia fisicamente che mentalmente prima
delle altre generazioni - spiega Monica Dreger, VP di Mattel - e ora sono parte
delle decisioni importanti in famiglia, come l' acquisto di una casa o di una
macchina». Il desiderio di autonomia spinge molti a lasciare gli studi dopo il
liceo o lanciare il proprio business, e, sul lavoro, prediligono l' indipendenza
mentre i Millennials cercano la collaborazione.
Il rapporto con i social. Il 94% dei Gen Z
usa almeno un canale social, a cui quasi la metà ammette di essere costantemente
connessa. In una ricerca dell' agenzia Hill Holiday, è pero emerso che il numero
di Gen Z cui i social fanno sentire ansiosi, tristi o depressi, è in aumento
(48% contro 41% nel 2017). Molto più giovani stanno cercando di staccarsene
temporaneamente (il 58% contro il 50% del 2017), e di questi, un terzo si è
completamente disconnesso. Tra le cause, la perdita di tempo, la negatività
online, problemi di stima e preoccupazioni sulla privacy. Si rileva un aumento
di "Finsta", finti profili Instagram in cui danno accesso a un numero ristretto
di amici e sentono meno pressioni di pubblicare immagini di una vita perfetta.
Ciò nonostante, il 74% ritiene che i social abbiano più benefici che svantaggi,
come l' abilità di connettere con altri. Tra i canali in crescita, Tik Tok (40
milioni di utenti), e la piattaforma di gaming Discord (250 millioni). Come
conquistarli La parola chiave per la Gen Z è l' autenticità. «I brand devono
prendere sul serio il messaggio che vogliono comunicare, non può essere solo di
apparenza - spiega Ziad Ahmed, fondatore ventenne di JUV Consulting, società di
consulenza focalizzata sulla Gen Z - Abbiamo un filtro naturale per l'
inautenticità». Vogliono sentirsi unici, scegliendo prodotti esclusivi, ad
edizione limitata e personalizzati, e amano lo shopping esperenziale, spingendo
molti brand digitali a creare negozi e pop up shop.
Greta Thunberg e Carola Rackete,
ambientalisti e Ong fanno un partito insieme.
Gianluca Veneziani su Libero Quotidiano il 6 Ottobre 2019. Tira una brutta aria
in politica. Eravamo convinti di aver visto il peggio con la nascita del governo
giallorosso, i grillo-comunisti al potere e la loro ideologia a metà tra Utopia
e Incompetenza. E invece, tenetevi forte, al peggio non c' è mai fine perché
stanno arrivando i gretini al seguito della Thunberg, il movimento dei Fridays
For Future, ossia del cazzeggio del venerdì per bigiare la scuola, che ora ha
intenzione di trasformarsi in un partito. Sì, ma mica un partito di periferia,
buono a candidarsi per le elezioni locali. No, un partito globale. Dopo il
successo avuto dalle piazzate dei ragazzini ecologisti in mezzo mondo, Greta &
Co. sono pronti a fare il grande passo, a scendere in politica, sfidando dall'
interno quel Palazzo che contestano, anzi aprendolo come una scatoletta di
tonno, se non fosse che questa espressione è già stata usata ed è un po' troppo
poco ecologista. Il Climate Party, il partito del Clima, cui darebbe vita la
Thunberg, intende superare i «partiti verdi e ambientalisti che si sono
impantanati nei giochi di potere dei parlamenti nazionali e regionali», si legge
su Italpress, e proporre «una piattaforma programmatica alle elezioni, comune in
tutti i Paesi occidentali», per dare vita - udite udite - a una «leadership
governativa internazionale».
CORSI E RICORSI. L' ultima volta che un
partito ha avuto una vocazione Internazionale è stata ai tempi del Partito
comunista, e sappiamo come è finita. I proletari di tutto il mondo non si sono
uniti spontaneamente; viceversa l' idea è stata imposta negli altri Paesi con
esiti sanguinari. A questo retaggio globalista i gretini associano il mito della
democrazia diretta e digitale, della E-democracy come a loro piace chiamarla. L'
obiettivo è portare in politica i cittadini comuni, gli adolescenti dell'
antipolitica, volti nuovi, candidi e quindi candidabili, facce pulite anche
perché odiano tanto lo smog e l' anidride carbonica. Ma il problema, oltre che
anagrafico, è di competenza: con quale esperienza, con quali conoscenze, con
quali capacità di leadership questi sbarbatelli andranno a comandare, per dirla
con Rovazzi? Non rischiamo una nuova accozzaglia di incapaci buttati lì nei
Palazzi, mandati al macello, e allo stesso tempo in grado di mandare in malora
tutto l' Occidente? Non bastavano i grillini, ora ci toccano pure i gretini. Il
dramma è che alla loro ingenuità sommano pretese smodate come quella di salvare
il pianeta, con un cocktail letale tra inettitudine e scarso senso della realtà.
Questo Partito del Clima intende addirittura sfidare le superpotenze del Male
come Cina, Russia, India, Pakistan, Iran, che «hanno anteposto gli interessi
militari e nazionali al rispetto dell' ambiente». Ma ve li vedete quattro
adolescenti imberbi e una paladina delle emissioni zero con le treccine far
cambiare rotta a Putin, a Xi Jinping, a Modi? Ah be', c'è Greta Thunberg, c'è il
partito del Clima, deindustrializziamo subito, torniamo a un' economia rurale
Orsù, non fateci ridere. Aggiungici poi l' ideologia dello sconfinamento. Perché
tutto, secondo i gretini, deve stare entro i parametri, i limiti (le emissioni,
i consumi, lo sfruttamento delle terre coltivate), tranne le nazioni che devono
perdere i loro confini e diventare globali. E qua l' ideologia di Greta si salda
con quella di Carola, con lo slogan No Borders, con l' essere cittadini del
mondo, e non figli di un luogo e di una storia. Soprattutto, però, quello che
nausea è scoprire che la partecipazione genuina, l' ambizione nobile a
cambiare le coscienze dei grandi del mondo, la battaglia senza doppi fini dei
ragazzini si risolve, come sempre, in scopi molto più meschini: l' obiettivo di
far carriera, di essere eletti e magari riuscire a occupare un giorno le stanze
dei potenti.
COME FINIRÀ. Resta solo da capire chi
guiderà, quali saranno i colori e come si chiamerà ufficialmente questo partito
del Clima. Per la leadership Greta pare avvantaggiata, anche se al momento non
può ancora eleggere né essere eletta e quindi per un paio d' anni dovrà farsi
aiutare da qualche vicario. Per il colore, il verde sarebbe troppo sputtanato
perché già utilizzato dai Verdi e dalla Lega: i gretini farebbero meglio a
utilizzare un colore trasparente, come l' aria che vogliono respirare e come le
loro idee, così trasparenti da essere invisibili. Per il nome, si
potranno sbizzarrire con le sigle: Il Partito della Tripla Fi come Fridays For
Future oppure C & G che non è la versione tarocca di Dolce e Gabbana ma sono le
iniziali di Carola e Greta. Oh, però sti ragazzini devono fare in fretta. Nel
2030 il pianeta si estingue e, se non scendono in campo ora, rischiano di essere
morti prima ancora di essere eletti. Gianluca Veneziani
Noi non siamo poveri. Ci vogliono poveri.
Non siamo in democrazia. Siamo in oligarchia politica ed economica.
Perchè i regimi cosiddetti democratici ci
vogliono poveri? Per incentivare lo schiavismo psicologico che crea il potere di
assoggettamento. Nessun regime capitalistico o socialista agevola il progresso
economico delle classi più abbienti e numerose, che nelle cosiddette democrazie
rappresentative sono indispensabili alla creazione ed al mantenimento del
Potere.
Il Regime capitalista è in mano a caste e
lobby che pongono limiti e divieti al libero accesso ed esercizio di professioni
ed imprese.
Il regime socialista è in mano all'élite
politica che pone limiti alla ricchezza personale.
Tutti i regimi, per la loro sopravvivenza,
aborrano la democrazia diretta e l'economia diretta. Infondono il culto della
rappresentanza politica e della mediazione economica. Agevolano familismo,
nepotismo e raccomandazioni.
Muhammad Yunus, l’economista bengalese
settantottenne, Nobel per la pace nel 2006, che con l’invenzione del
microcredito in 41 anni ha cambiato l’esistenza di milioni di poveri portandoli
a una vita dignitosa, non ha avuto esitazioni, giovedì 17 maggio 2018
all’Auditorium del grattacielo di Intesa San Paolo a Torino, nell’indicare la
via possibile verso l’impossibile: eliminare la povertà. E contestualmente la
disoccupazione e l’inquinamento. Come riferisce Mauro Fresco su Vocetempo.it il
24 maggio 2018, tutto il sistema economico capitalistico, nell’analisi di Yunus,
deve essere riformato. A partire dall’educazione e dall’istruzione, immaginate
per plasmare persone che ambiscono a un buon lavoro, a essere appetibili sul
mercato; ma l’uomo non deve essere educato per lavorare, per vendere se stesso e
i propri servizi, deve essere formato alla vita; l’uomo non deve cercare lavoro,
ma creare lavoro, senza danneggiare altri uomini e l’ambiente. Perché ci sono i
poveri, si domanda Yunus, perché la gente rimane povera? Non sono gli individui
che vogliono essere poveri, è il sistema che genera poveri. Ci stiamo avviando
al disastro, sociale e ambientale: oggi, otto persone possiedono la ricchezza di
un miliardo di individui, questi scenari porteranno, prima o poi, a uno scenario
violento: dobbiamo evitarlo. La civiltà è basata sull’ingordigia. Dobbiamo
invece mettere in atto la transizione verso la società dell’empatia.
Yunus ha dimostrato, con il microcredito
prima e con la Grameen Bank poi, che quella che a economisti e banchieri
sembrava un’utopia irrealizzabile è invece un’alternativa concreta, che dal
Bangladesh si è via via allargata a più di 100 Paesi, Stati Uniti ed Europa
compresi. Con ironia, considerando la sede che lo ospitava, Yunus ha ricordato
che, quando qualcuno gli ribadiva che un progetto non era fattibile, «studiavo
come si sarebbe comportata una banca e facevo esattamente il contrario».
Fantasia, capacità di rischiare e, soprattutto, conoscenza e fiducia
nell’umanità, in particolare nelle donne, sono i segreti che hanno permesso di
dar vita a migliaia di attività imprenditoriali, ospedali, centrali
fotovoltaiche, sempre partendo dal basso e da progettualità diffuse. L’impresa
sociale, che ha come obiettivo coprire i costi e reinvestire tutti profitti
senza distribuire dividendi, sostiene Yunus, è l’alternativa possibile e molto
concreta per vincere «la sfida dei tre zeri: un futuro senza povertà,
disoccupazione e inquinamento», titolo anche del suo ultimo lavoro pubblicato da
Feltrinelli. L’impresa sociale può permettersi di produrre a prezzi molto più
bassi, non ha bisogno di marketing pervasivo, campagne pubblicitarie continue,
packaging attraente per invogliare il consumatore. Così anche le "verdure
brutte", quel 30 per cento di produzione agricola che l’Europa butta perché di
forma ritenuta non consona per essere proposta al consumatore – «la carota
storta, la patata gibbosa, la zucchina biforcuta una volta tagliate non sono più
brutte» ha ricordato sorridendo Yunus – possono essere utilizzate da un’impresa
sociale e messe in vendita per essere cucinate e mangiate.
«Il reddito di cittadinanza per tutti? È
questo che intendiamo per dignità della persona? Ai poveri dobbiamo permettere
un lavoro dignitoso, la carità non basta».
Il premio Nobel Yunus: "Il reddito di
cittadinanza rende più poveri e nega la dignità umana". Scrive il HuffPost il 13
maggio 2018. L'economista ideatore del microcredito intervistato dalla Stampa:
"I salari sganciati dal lavoro rendono l'uomo un essere improduttivo e senza
creatività". "Il reddito di cittadinanza rende più poveri, non è utile a chi è
povero e a nessun altro, è una tipica idea di assistenzialismo occidentale e
nega la dignità umana". Parola di Muhammad Yunus, economista e banchiere
bengalese che ha vinto il premio Nobel per la pace nel 2006 per aver ideato e
creato la "banca dei poveri". In un'intervista a La Stampa, l'inventore del
microcredito boccia tout court il caposaldo del programma M5S: "I salari
sganciati dal lavoro rendono l'uomo un essere improduttivo, ne cancellano la
vitalità e il potere creativo".
Secondo Yunus l'Europa ha un grande limite.
"L'Asia avrebbe bisogno di molte cose che in Europa ci sono e ci sono da tanto
tempo, ma trovo che da voi ci sia un pensiero unico che limita gli slanci. Mi
spiego meglio: le società europee sono ossessionate dal lavoro, tutti devono
trovare un lavoro, nessuno deve rimanere senza lavoro, le istituzioni si devono
preoccupare che i cittadini lavorino... Invece in Asia la famiglia è il luogo
più importante e non c'è questo pensiero fisso del lavoro: esiste una sorta di
mercato informale, in cui gli uomini esercitano loro stessi come persone. Penso
che la lezione positiva che viene dall'Asia sia quella di ridisegnare il sistema
finanziario attuale, privilegiando la dignità delle persone e il valore del loro
tempo".
Durissimo il giudizio sul reddito di
cittadinanza. "è la negazione dell'essere umano, della sua funzionalità, della
vitalità, del potere creativo. L'uomo è chiamato a esplorare, a cercare
opportunità, sono queste che vanno create, non i salari sganciati dalla
produzione, che per definizione fanno dell'uomo un essere improduttivo, un
povero vero".
Noi abbiamo una Costituzione comunista
immodificabile con democrazia rappresentativa ad economia capitalista-comunista
e non liberale.
I veri liberali adottano l'economia diretta
con la libera impresa e professione. Lasciano fare al mercato con la libera
creazione del lavoro e la preminenza dei migliori.
I veri democratici adottano la democrazia
diretta per il loro rappresentanti esecutivi, legislativi e giudiziari, e non
quella mediata, come la democrazia rappresentativa ad elevato astensionismo
elettorale, in mano ad un élite politica e mediatica.
Ci vogliono poveri e pure fiscalmente
incu…neati.
Quanto pesa il cuneo fiscale sui salari in
Italia? E in Europa? Nell'ultimo anno
la busta paga di un lavoratore medio (circa 30 mila euro lordi) era tassata del
47,9 per cento. Quindi su 100 euro di lordo in busta paga, a un lavoratore
italiano medio arriva un netto di 52,1 euro. Quasi la metà, scrive l'Agi.
Che cos’è il cuneo fiscale e quanto pesa in
Italia. Il cuneo fiscale – in inglese Tax wedge – è definito
dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) come «il
rapporto tra l’ammontare delle tasse pagate da un singolo lavoratore medio (una
persona single con guadagni nella media e senza figli) e il corrispondente costo
totale del lavoro per il datore».
Nella definizione dell’Ocse sono
comprese oltre alle tasse in senso stretto anche i contributi previdenziali.
Quindi se per un datore il costo del lavoratore è pari a 100, il cuneo fiscale
rappresenta la porzione di quel costo che non va nelle tasche del dipendente ma
nelle casse dello Stato. Nel caso dei contributi, i soldi raccolti dallo Stato
vengono poi restituiti al lavoratore sotto forma di pensione (ma, come spiega
l’Inps, nel nostro sistema “a ripartizione” sono i lavoratori attualmente in
attività a pagare le pensioni che vengono oggi erogate: non è che il pensionato
incassi quanto lui stesso ha versato nel corso della propria vita, come se
avesse un conto personale e separato presso l’Inps).
Secondo il più recente rapporto
dell’Ocse Taxing Wages 2019 – pubblicato l’11 aprile 2019 – nel 2018 in Italia
la busta paga di un lavoratore medio (circa 30 mila euro lordi) era tassata del
47,9 per cento. Quindi su 100 euro di lordo in busta paga, a un lavoratore
italiano medio arriva un netto di 52,1 euro. Quasi la metà. Ma come siamo messi
in Europa da questo punto di vista?
La situazione in Europa. Il rapporto
dell’Ocse Taxing Wages 2019 contiene anche una classifica dei suoi Stati membri,
in base al peso del cuneo fiscale. Andiamo a vedere come si posizionano l’Italia
e il resto degli Stati Ue presenti in classifica. Roma arriva terza, con il 47,9
per cento. Davanti ha il Belgio, primo in classifica con un cuneo fiscale (e
contributivo) pari al 52,7 per cento, e la Germania con il 49,5 per cento.
Subito sotto al podio si trova la Francia, con il 47,6 per cento, appaiata con
l’Austria. Seguono poi Ungheria, Repubblica Ceca, Slovenia, Svezia, Lettonia e
Finlandia. Gli altri Stati comunitari grandi e medio-grandi sono nettamente più
in basso in classifica: la Spagna è sedicesima nella Ue con il 39,6 per cento,
la Polonia ventesima con il 35,8 per cento, e il Regno Unito ventitreesimo con
il 30,9 per cento. Londra è poi, dei Paesi Ue che sono anche membri dell’Ocse,
quello con il cuneo fiscale minore.
Altri Paesi Ocse. In fondo alla classifica
dell’Ocse non troviamo nessuno Stato dell’Unione europea. La percentuale più
bassa è infatti attribuita al Cile, appena il 7 per cento di cuneo fiscale.
Davanti, staccati, arrivano poi Nuova Zelanda (18,4) e Messico (19,7). Degli
Stati europei, ma non Ue, quello con la percentuale più bassa è la Svizzera, con
un cuneo fiscale del 22,2 per cento. Gli Stati Uniti, infine, hanno un cuneo
pari al 29,6 per cento. La media Ocse è del 36,1 per cento.
Conclusione. In Italia il cuneo fiscale è
pari al 47,9 per cento. Questa è la terza percentuale più alta tra i Paesi
dell’Ocse. Davanti a Roma si trovano solamente Berlino e Bruxelles.
E la
chiamano Democrazia…
"In fila per tre", dall'album "Burattino
senza fili" di Edoardo Bennato. Testo
Presto vieni qui ma su non fare così
ma non li vedi quanti altri bambini
che sono tutti come te
che stanno in fila per tre
che sono bravi e che non piangono mai...
E' il primo giorno però domani ti abituerai
e ti sembrerà una cosa normale
fare la fila per tre, risponder sempre di sì
e comportarti da persona civile...
Vi insegnerò la morale e a recitar le
preghiere
e ad amare la patria e la bandiera
noi siamo un popolo di eroi e di grandi
inventori
e discendiamo dagli antichi romani...
E questa stufa che c'è basta appena per me
perciò smettetela di protestare
e non fate rumore e quando arriva il
direttore
tutti in piedi e battete le mani...
Sei già abbastanza grande
sei già abbastanza forte
ora farò di te un vero uomo
ti insegnerò a sparare, ti insegnerò l'onore
ti insegnerò ad ammazzare i cattivi...
E sempre in fila per tre marciate tutti con
me
e ricordatevi i libri di storia
noi siamo i buoni perciò abbiamo sempre
ragione
e andiamo dritti verso la gloria...
Ora sei un uomo e devi cooperare
mettiti in fila senza protestare
e se fai il bravo ti faremo avere
un posto fisso e la promozione...
E poi ricordati che devi conservare
l'integrità del nucleo famigliare
firma il contratto non farti pregare
se vuoi far parte delle persone serie...
Ora che sei padrone delle tue azioni
ora che sai prendere le decisioni
ora che sei in grado di fare le tue scelte
ed hai davanti a te tutte le strade aperte...
Prendi la strada giusta e non sgarrare
se no poi te ne facciamo pentire
mettiti in fila e non ti allarmare
perché ognuno avrà la sua giusta razione...
A qualche cosa devi pur rinunciare
in cambio di tutta la libertà che ti abbiamo
fatto avere
perciò adesso non recriminare
mettiti in fila e torna a lavorare...
E se proprio non trovi niente da fare
non fare la vittima se ti devi sacrificare
perché in nome del progresso della nazione
in fondo in fondo puoi sempre emigrare...
Scandalo è l’inciampo che capita ma solo
quando viene scoperto. Pubblicato
mercoledì, 24 luglio 2019 su Corriere.it. Prendiamoci un momento di riflessione,
allontaniamo l’oggetto che stiamo osservando, per coglierne meglio il profilo e
la struttura, facciamo professione di umiltà, evitando di dare per acquisito e
scontato il significato di parole che maneggiamo con tanta superficialità e
leggerezza. Oggi conviene fermarsi un momento a ragionare su «scandalo». Parola
di apparente semplicità, scandalo offre una genealogia chiara, dal padre latino
scandălum, al nonno greco skandalon, nel significato di ostacolo, insidia,
inciampo. Ai nostri occhi il significato si è affinato, concentrandosi
sull’azione immorale o illegale che crea un turbamento, aggravato se i
protagonisti sono personaggi noti. La prima considerazione su questa parola è
senz’altro legata al turbamento che provoca. Questo infatti è essenziale, ma si
manifesta solo quando la malefatta in questione viene conosciuta. Rubare è un
reato per la legge, un’azione riprovevole per la morale, un peccato per i
credenti. Ma diventa uno scandalo solo se ti scoprono. Comprensibile quindi che
questo particolare «inciampo» sia protagonista di innumerevoli modi di dire, a
cominciare da «essere la pietra dello scandalo», nel senso di essere il primo a
dare cattivo esempio; «dare scandalo», essere protagonisti di atteggiamenti
riprovevoli (vedete come torna l’aspetto pubblico); «essere motivo di scandalo»,
come sopra; «gridare allo scandalo», alzare i commenti additando un
comportamento che si condanna. Esiste poi l’uso della parola come espressione di
riprovazione e sdegno: per cui quel film o quel libro che si reputano
particolarmente brutti o offensivi, ai nostri occhi sono «uno
scandalo». L’aspetto pubblico dello scandalo l’ha legato da sempre alla
notorietà dei protagonisti (dal pettegolezzo agli aspetti più seri) e a quel
mondo di illegalità legato alla politica, alla gestione (o mala gestione) della
cosa pubblica che ci riguarda tutti. È il caso delle inchieste sulle tangenti
pagate a politici e amministratori infedeli rispetto al loro mandato e ai
processi che ne sono scaturiti. Scandali che hanno preso i nomi più diversi: il
più noto è Tangentopoli, termine coniato a Milano nel 1992 per descrivere un
diffuso sistema di corruzione. Ora se Tangentopoli è una parola arditamente
composta col suffissoide -poli per indicare la «città delle tangenti» l’uso
giornalistico successivo è tutto da ridere: in parole come sanitopoli o
calciopoli il suffissoide -poli non significa più «città» ma semplicemente
«corruzione». Abbiamo visto come scandalo si porti dietro, dal momento della sua
rivelazione, un condiviso moto di sdegno. Ma i motivi che spingono l’opinione
pubblica a sdegnarsi non sono affatto sempre gli stessi. Cambiano i costumi,
cambia (per fortuna, in molti casi) la morale, cambiano i motivi che la
disturbano. Cambia la percezione stessa dei comportamenti che danno scandalo.
Per esempio, il 24 luglio 1974 la Corte Suprema degli Stati Uniti sentenziò
all’unanimità che il Presidente Richard Nixon non aveva l’autorità per
trattenere i nastri della Casa Bianca sullo scandalo Watergate e gli intimò di
consegnarli al procuratore speciale che indagava sul caso. Quei nastri
dimostrarono che Richard Nixon aveva mentito, circostanza considerata
intollerabile per l’opinione pubblica americana e che portarono il Presidente
degli Stati Uniti a dimettersi il 9 agosto successivo.
A discrezione del giudice. Ordine e
disordine: una prospettiva "quantistica".
Libro di Roberto Bin edizione 2014 pp. 114, Franco Angeli Editore. Ci può
essere una teoria dell’interpretazione giuridica che riduca la discrezionalità
dei giudici? Migliaia di libri sono stati scritti per elaborare teorie, regole e
principi che dovrebbero arginare l’inevitabile discrezionalità degli interpreti
delle leggi e garantire un certo grado di oggettività. Questo libro, rivolto
agli operatori del diritto e a tutti i lettori colti, suggerisce un’altra
strada.
Presentazione del volume. La discrezionalità
del giudice nell'applicazione delle leggi è un problema noto a tutti i sistemi
moderni, specie ora che i giudici si trovano ogni giorno ad applicare
direttamente principi tratti dalla Costituzione e persino da altri ordinamenti.
Sempre più spesso le valutazioni del giudice sembrano prive di briglie, libere
di svolgersi secondo convinzioni personali, piuttosto che nell'alveo dei criteri
fissati dal legislatore. Ogni sistema giuridico ha il suo metodo per scegliere e
istituire i giudici, ma in nessun sistema è ammesso che essi operino in piena
libertà, liberi di creare diritto a loro piacimento. Il legislatore è l'unica
autorità che può vantare una piena legittimazione democratica, per cui ogni
esercizio di potere pubblico che non si leghi saldamente alle sue indicazioni
appare arbitrario e inaccettabile. Migliaia di libri sono stati scritti per
elaborare teorie, regole e principi che dovrebbero arginare l'inevitabile
discrezionalità degli interpreti delle leggi e garantire un certo grado di
oggettività. Ma la fisica quantistica ci suggerisce di procedere per altra via,
di inseguire altri obiettivi e di accettare una visione diversa della verità
oggettiva.
Roberto Bin si è formato nell'Università di
Trieste e ha insegnato in quella di Macerata. Attualmente è ordinario di Diritto
costituzionale nell'Università di Ferrara. È autore di alcuni fortunati manuali
universitari e di diversi libri e saggi scientifici.
Affidati alla sinistra.
Dove c'è l'affare li ci sono loro: i sinistri.
La lotta alla mafia è un business con i finanziamenti pubblici e
l'espropriazione proletaria dei beni.
I mafiosi si inventano, non si combattono.
L'accoglienza dei migranti è un business con i finanziamenti pubblici.
Accoglierli è umano, andarli a prendere è criminale.
L'affidamento dei minori è un business con i finanziamenti pubblici.
Toglierli ai genitori naturali e legittimi è criminale.
Il Civil Law, ossia il nostro Diritto, è
l’evoluzione dell’intelletto umano ed ha radici antiche, a differenza del Common
Law dei paesi anglosassoni fondato sull’orientamento politico momentaneo.
Il Diritto Romano, e la sua evoluzione, che
noi applichiamo nei nostri tribunali contemporanei non è di destra, né di
centro, né di sinistra. L’odierno diritto, ancora oggi, non prende come esempio
l’ideologia socialfasciocomunista, né l’ideologia liberale. Esso non prende
spunto dall’Islam o dal Cristianesimo o qualunque altra confessione religiosa.
Il nostro Diritto è Neutro.
Il nostro Diritto si affida, ove non
previsto, al comportamento esemplare del buon padre di famiglia.
E un Buon Padre di Famiglia non vorrebbe mai
che si uccidesse un suo figlio: eppure si promuove l’aborto.
E un Buon Padre di Famiglia vorrebbe avere
dei nipoti, eppure si incoraggia l’omosessualità.
E un Buon Padre di Famiglia vorrebbe
difendere l’inviolabilità della sua famiglia, della sua casa e delle sue
proprietà, eppure si agevola l’invasione dei clandestini.
E un Buon Padre di Famiglia vorrebbe che la
Legge venisse interpretata ed applicata per soli fini di Giustizia ed Equità e
non per vendetta, per interesse privato o per scopi politici.
Mi spiace. Io sono un evoluto Buon Padre di
Famiglia.
L'Astensionismo al voto ed i fessi e gli
indefessi della sinistra: La Democrazia è cosa mia...
Maledetta ideologia comunista. Con tutti i
problemi che attanagliano l'Italia, i sinistri, ben sapendo che nessun italiano
più li voterà, pensano bene di farci invadere per raggranellare dai clandestini
i voti che, aggiunti a quelle delle altre minoranze LGBTI, gli permettono
di mantenere il potere.
I berlusconiani e la cosiddetta Destra, poi,
per ammaliare l'altra sponda elettorale, scimmiottano rimedi che nulla cambiano
in questa Italia che è tutta da cambiare. Da vent'anni denuncio quelle anomalie
del sistema, che in questi giorni escono fuori con gli scandali riportati dalle
notizie stampa. Tutte quelle mafie insite nel sistema.
Si fa presto a dire liberali, dove liberali
non ce ne sono. Se ci fossero cambierebbero le cose in modo radicale, partendo
dalla Costituzione Catto comunista, fondata sul Lavoro e non sulla Libertà.
Libertà, appunto, bandiera dei liberali.
Nei momenti emergenziali in tutti gli altri
Paesi v'è un intento comune, anche se solo in apparenza. Politica e media
accomunati da un interesse supremo. Invece, in Italia, ci sono sempre i
distinguo, usati dall'estero contro noi stessi per danneggiarci sull'export,
dando un'immagine distorta e denigratoria. Così come fanno i polentoni italiani
rispetto al Sud Italia, disinformazione attuata dai media nordisti e dai
giornalisti masochisti e rinnegati meridionali. In una famiglia normale si è
sempre solidali nei momenti del bisogno e traspare sempre un'apparente unità.
Solo in Italia i Caini hanno la loro rilevanza mediatica, facendoci apparire
all'estero come macchiette da deridere ed oltraggiare.
Gli italiani voltagabbana. Al tempo del
fascismo: tutti fascisti. Dopo la guerra: tutti antifascisti.
Prima di Tangentopoli: tutti democristiani e
Socialisti. Dopo Mani Pulite: tutti comunisti.
E il perché lo ha spiegato cinquecentosei
anni fa Niccolò Machiavelli in un passaggio del Principe: «El populo, vedendo
non poter resistere a' grandi, volta la reputazione ad uno, e lo fa principe,
per essere con la sua autorità difeso». Ecco quello che vogliono gli italiani.
Vogliono qualcuno che li salvi, che li assista, che li difenda. Ed al contempo
il popolo italiano ha l' attitudine a diffidare del Governo, a non parlarne mai
bene, e tuttavia ad affidarsene, non avendo la forza di fare da sé, e di
aspettarsi che il governo si occupi di ogni cosa e risolva ogni cosa. Si buttano
immancabilmente a obbedire - questa è di Giuseppe Prezzolini - al prestigio
personale e alle capacità di interessare sentimentalmente o materialmente la
folla. E come si erano incapricciati, così si annoiano e poi si imbestialiscono,
perché infine nessuno è capace di salvargliela la pelle. Lo diceva il più bravo
di tutti: l'adulatore sarà il calunniatore.
In questo momento è bene ricordare la teoria
politica di Cicerone (106 a.C.43)
1 il povero lavora
2 il ricco sfrutta il povero
3 il soldato li difende tutti e due
4 il contribuente paga per tutti e tre
5 il vagabondo si riposa per tutti e quattro
6 l’ubriacone beve per tutti e cinque
7 il banchiere li imbroglia tutti e sei
8 l’avvocato li inganna tutti e sette
9 il medico li accoppa tutti e otto
10 il becchino li sotterra tutti e nove
11 il politico campa alle spalle di tutti e
dieci.
Il grande filosofo e uomo politico romano con
la sua sagacia e ironia ha in poche ma efficaci parole, riassunto l’opinione che
molti oggi hanno della politica.
E nel caso la teoria politica non fosse sua,
allora la faccio mia.
Dunque, è questa vita irriconoscente che ha
bisogno del mio contributo ed io sarò sempre disposto a darlo, pur nella
indifferenza, insofferenza, indisponenza dei coglioni.
Anzichè far diventare ricchi i poveri con
l'eliminazione di caste (burocrati parassiti) e lobbies (ordini professionali
monopolizzanti), i cattocomunisti sotto mentite spoglie fanno diventare poveri i
ricchi. Così è da decenni, sia con i governi di centrodestra, sia con quelli di
centrosinistra.
L’Italia invasa dai migranti economici con il benestare della sinistra. I
Comunisti hanno il coraggio di cantare con i clandestini: “. ..una mattina mi
son svegliato ed ho trovato l’invasor…” Bella Ciao
Quel che si rimembra non muore mai. In effetti il fascismo rivive non negli atti
di singoli imbecilli, ma quotidianamente nell’evocazione dei comunisti.
«È un paese così diviso l’Italia, così fazioso, così avvelenato dalle sue
meschinerie tribali! Si odiano anche all’interno dei partiti, in Italia. Non
riescono a stare insieme nemmeno quando hanno lo stesso emblema, lo stesso
distintivo, perdio! Gelosi, biliosi, vanitosi, piccini, non pensano che ai
propri interessi personali. Alla propria carrieruccia, alla propria gloriuccia,
alla propria popolarità di periferia. Per i propri interessi personali si fanno
i dispetti, si tradiscono, si accusano, si sputtanano... Io sono assolutamente
convinta che, se Usama Bin Laden facesse saltare in aria la torre di Giotto o la
torre di Pisa, l’opposizione darebbe la colpa al governo. E il governo darebbe
la colpa all’opposizione. I capoccia del governo e i capoccia dell’opposizione,
ai propri compagni e ai propri camerati. E detto ciò, lasciami spiegare da che
cosa nasce la capacità di unirsi che caratterizza gli americani. Nasce dal loro
patriottismo.» — Oriana Fallaci, La Rabbia e l'Orgoglio
I fratelli coltelli del Socialismo:
I Comunisti-Stalinisti per l’apologia dello statalismo extraterritoriale
(mondialismo);
I Fascisti-Leninisti-Marxisti come classisti-nazionalisti (sovranismo).
TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe
ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può
farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od
anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo
infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o
tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a
ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che
lo sopporta, è schiavo. Vittorio Alfieri (1790).
Se a destra son coglioni sprovveduti, al
centro son marpioni, a sinistra “So camburristi”. Ad Avetrana, come in tutto il
sud Italia c’è un detto: “si nu camburrista”. "Camburrista" viene dalla parola
italiana "camorra" e non assume sempre il significato di "mafioso, camorrista"
ma soprattutto di "persona prepotente, dispettosa, imbrogliona, che raggira il
prossimo, che impone il suo volere direttamente, o costringendo chi per lui, con
violenza, aggressività, perseveranza, pur essendo la sua volontà espressione del
torto (non della ragione) del singolo o di una ristretta minoranza chiassosa ed
estremamente visibile.
Nella sua canzone "La razza in estinzione"
(2001), l'artista italiano Giorgio Gaber (Milano, 1939 - Montemagno di Camaiore,
2003) critica tutto e tutti e afferma: "la mia generazione ha perso".
La Razza In Estinzione testo Album: La Mia
Generazione Ha Perso.
Non mi piace la finta allegria
non sopporto neanche le cene in compagnia
e coi giovani sono intransigente
di certe mode, canzoni e trasgressioni
non me ne frega niente.
E sono anche un po' annoiato
da chi ci fa la morale
ed esalta come sacra la vita coniugale
e poi ci sono i gay che han tutte le ragioni
ma io non riesco a tollerare
le loro esibizioni.
Non mi piace chi è troppo solidale
e fa il professionista del sociale
ma chi specula su chi è malato
su disabili, tossici e anziani
è un vero criminale.
Ma non vedo più nessuno che s'incazza
fra tutti gli assuefatti della nuova razza
e chi si inventa un bel partito
per il nostro bene
sembra proprio destinato
a diventare un buffone.
Ma forse sono io che faccio parte
di una razza
in estinzione.
La mia generazione ha visto
le strade, le piazze gremite
di gente appassionata
sicura di ridare un senso alla propria vita
ma ormai son tutte cose del secolo scorso
la mia generazione ha perso.
Non mi piace la troppa informazione
odio anche i giornali e la televisione
la cultura per le masse è un'idiozia
la fila coi panini davanti ai musei
mi fa malinconia.
E la tecnologia ci porterà lontano
ma non c'è più nessuno che sappia l'italiano
c'è di buono che la scuola
si aggiorna con urgenza
e con tutti i nuovi quiz
ci garantisce l'ignoranza.
Non mi piace nessuna ideologia
non faccio neanche il tifo per la democrazia
di gente che ha da dire ce n'è tanta
la qualità non è richiesta
è il numero che conta.
E anche il mio paese mi piace sempre meno
non credo più all'ingegno del popolo italiano
dove ogni intellettuale fa opinione
ma se lo guardi bene
è il solito coglione.
Ma forse sono io che faccio parte
di una razza
in estinzione.
La mia generazione ha visto
migliaia di ragazzi pronti a tutto
che stavano cercando
magari con un po' di presunzione
di cambiare il mondo
possiamo raccontarlo ai figli
senza alcun rimorso
ma la mia generazione ha perso.
Non mi piace il mercato globale
che è il paradiso di ogni multinazionale
e un domani state pur tranquilli
ci saranno sempre più poveri e più ricchi
ma tutti più imbecilli.
E immagino un futuro
senza alcun rimedio
una specie di massa
senza più un individuo
e vedo il nostro stato
che è pavido e impotente
è sempre più allo sfascio
e non gliene frega niente
e vedo anche una Chiesa
che incalza più che mai
io vorrei che sprofondasse
con tutti i Papi e i Giubilei.
Ma questa è un'astrazione
è un'idea di chi appartiene
a una razza
in estinzione.
Classifica popoli più ignoranti al mondo,
Italia prima in Europa, scrive
Alessandro Cipolla sumoney.it il 23 Agosto 2018. Secondo l’annuale classifica di
IPSOS Mori sull’ignoranza dei popoli, l’Italia risulta essere la dodicesima al
mondo e la prima in Europa. Continuano a non sorridere le classifiche
all’Italia. Dopo quella sulla corruzione redatta da Transparency International
che ci vede al 54° posto (tra le peggiori in Europa), anche sul tema
dell’ignoranza il Bel Paese occupa una posizione poco onorevole. Ma veramente
gli italiani sono un popolo di ignoranti? La storia in teoria ci insegnerebbe il
contrario, ma ogni anno la classifica stilata da IPSOS Mori ci vede ai primi
posti di questa speciale graduatoria che si basa sulla distorta percezione della
realtà che ci circonda.
Italia nazione più ignorante d’Europa. Ogni
anno IPSOS Mori, importante azienda inglese di analisi e ricerca di mercato,
stila puntualmente una classifica su quelli che sarebbero i popoli più ignoranti
al mondo chiamata “Perils of Perception”, letteralmente “Pericoli della
Percezione”. L’indagine si basa su delle interviste a campione a 11.000 persone
per ogni nazione, alle quali vengono sottoposte delle domande su
delle statistiche comuni che riguardano il proprio paese. Per esempio
nella ricerca del 2017, l’ultima pubblicata, veniva chiesto se gli omicidi nel
proprio paese fossero aumentati o diminuiti rispetto al 2000. Oppure se gli
attacchi terroristi siano aumentati dopo l’11 Settembre o quanta gente soffra di
diabete. In base al grado di errore nel dare le risposte, IPSOS Mori stila la
sua classifica che nel 2014 ci vedeva come il popolo più ignorante al mondo. In
quella del 2017 invece l’Italia è al dodicesimo posto, prima tra le nazioni
europee.
Una percezione distorta della realtà.
Leggendo la classifica e guardando i criteri di indagine, si capisce che non si
deve confondere il termine “ignorante” con poco istruito o analfabeta, ma invece
che ignora la realtà che lo circonda. Il termine “misperceptions” infatti con
cui viene presentata la classifica generale significa “percezione erronea”. Gli
italiani quindi secondo IPSOS Mori non conoscono a sufficienza quello
che realmente accade nel proprio paese. Prendiamo a esempio la domanda
sugli omicidi che rispetto al 2000 sono diminuiti in Italia del 39%. Per il 49%
degli intervistati invece il numero sarebbe aumentato, per il 35% sarebbe lo
stesso mentre solo l’8% ha risposto in maniera giusta. Non è un caso che, stando
ai numeri forniti dal Viminale a ferragosto, i reati nel nostro paese sono in
diminuzione così come gli sbarchi degli immigrati, ma al contrario la percezione
di insicurezza e l’idea della “invasione” prendono sempre più piede tra gli
italiani. Nell’epoca delle fake news gli italiani quindi sembrerebbero conoscere
sempre meno cosa succede nel proprio paese, una situazione che poco si addice a
un popolo che con la sua intelligenza ha avuto un ruolo fondamentale nella
storia del mondo. Mala tempora currunt.
Bisogna studiare.
Bisogna cercare le fonti credibili ed
attendibili per poter studiare.
Bisogna studiare oltre la menzogna o
l’omissione per poter sapere.
Bisogna sapere il vero e non il falso.
Bisogna non accontentarsi di sapere il falso
per esaudire le aspirazioni personali o di carriera, o per accondiscendere o
compiacere la famiglia o la società.
Bisogna sapere il vero e conoscere la verità
ed affermarla a chi è ignorante o rinfacciarla a chi è in malafede.
Studiate “e conoscerete la verità, e la
verità vi renderà liberi” (Gesù. Giovanni 8:31, 32).
Studiare la verità rende dotti, saggi e
LIBERI!
Non studiare o non studiare la verità rende
schiavi, conformi ed omologati.
E ciò ci rende cattivi, invidiosi e
vendicativi.
Fa niente se studiare il vero non è un
diritto, ma una conquista.
Vincere questa guerra dà un senso alla nostra
misera vita.
LE
IDEOLOGIE ANTIUOMO.
SOCIALISMO:
Lavoro ed assistenzialismo, ambiente, libertà
sessuale e globalizzazione sono i miti dei comunisti. Moralizzatori sempre col
ditino puntato
Dio, Patria e Famiglia sono i miti dei
fascisti. Oppressori.
Sovranismo e populismo sono i miti dei
leghisti.
Assistenzialismo, populismo e complottismo
sono i miti dei 5 stelle.
LIBERALISMO (LIBERISMO):
Egoismo e sopraffazione sono i miti dei
liberali.
ECCLESISMO:
Il culto di Dio e della sua religione è il
mito degli ecclesiastici.
MONARCHISMO:
Il culto del Sovrano.
Nessuna di queste ideologie è fattrice
rivoluzionaria con l'ideale della Libertà, dell'Equità e della Giustizia.
Per il Socialismo le norme non bastano mai
per renderti infernale la vita, indegna di essere vissuta.
Per il Liberalismo occorrono poche norme
anticoncorrenziali per foraggiare e creare l'elìte.
Per Dio bastano 10 regole per essere un buon
padre di famiglia.
Per il sovrano basta la sua volontà per
regolare la vita dei sottoposti.
Noi, come essere umani, dovremmo essere
regolati dal diritto naturale: Libertà, Equità e Giustizia.
Liberi di fare quel che si vuole su se stessi
e sulla propria proprietà.
Liberi di realizzare le aspettative secondo i
propri meriti e capacità.
Liberi di rispettare e far rispettare leggi
chiare che si contano su due mani: i 10 comandamenti o similari. Il deviante
viene allontanato.
Il Papa: per eliminare la fame nel mondo non
bastano gli slogan. Francesco ha inaugurato il Consiglio dei governatori del
Fondo delle Nazioni Unite per lo sviluppo agricolo a Roma (Ifad) e incontra una
delegazione di popolazioni indigene, scrive il 14/02/2019 Iacopo Scaramazzi su
La Stampa. Il Papa ha caldeggiato lo «sviluppo rurale» per combattere la fame e
la povertà, sottolineando la necessità di «garantire che ogni persona e ogni
comunità possano utilizzare le proprie capacità un modo pieno, vivendo così una
vita umana degna di tale nome», e facendo appello affinché i popoli e le
comunità siano «responsabili della proprio produzione e del proprio progresso»
poiché «quando un popolo si abitua alla dipendenza, non si sviluppa».
Questo vale per tutte quelle categorie di
lavoratori che protestano per avere aiuti e sostegno anticoncorrenziale che
porta al demerito improduttivo. E vale anche per i meridionali d’Italia.
Insistere nel pretendere aiuto e non far nulla per migliorarsi.
L’assistenzialismo socialista ha prodotto gli
statali, che dalla loro privilegiata posizione improduttiva, impongono stili di
vita utopistici e demagogici. Questi dipendenti pubblici, spesso scolastici o
sanitari, da capipopolo, fomentano le masse per inibire l’industrializzazione
sostenibile e lo sviluppo turistico tollerabile, che portano sviluppo economico
e sociale, in nome di un fantomatico ecologismo talebano, per poi costringer le
masse ideologizzate, paradossalmente, ad essere costrette ad emigrare in posti
altamente inquinati, o a villeggiare in posti meno allettanti.
Papa Francesco: "È il lavoro a dare speranza,
non l'assistenzialismo", scrive il 15 giugno 2018 La Repubblica. "La speranza in
un futuro migliore passa sempre dalla propria attività e intraprendenza, quindi
dal proprio lavoro, e mai solamente dai mezzi materiali di cui si dispone. Non
vi è alcuna sicurezza economica, né alcuna forma di assistenzialismo, che possa
assicurare pienezza di vita e realizzazione". Lo ha detto papa Francesco
nell'udienza con i Maestri del Lavoro. "Non si può essere felici - ha aggiunto
Bergoglio - senza la possibilità di offrire il proprio contributo, piccolo o
grande, alla costruzione del bene comune". Per questo "una società che non si
basi sul lavoro, che non lo promuova, e che poco si interessi a chi ne è
escluso, si condannerebbe all'atrofia e al moltiplicarsi delle disuguaglianze".
Mentre la società che cerca di mettere a frutto le potenzialità di ciascuno è
quella che "respirerà davvero a pieni polmoni, e potrà superare gli ostacoli più
grandi, attingendo a un capitale umano pressoché inesauribile, e mettendo ognuno
in grado di farsi artefice del proprio destino".
La dittatura dell’ignoranza.
«Uno uguale uno» significa annullare la competenza. E si finisce come in
Venezuela..., scrive Francesco Alberoni, Domenica 10/02/2019 su Il Giornale.
L'altra sera ho assistito ad un dibattito televisivo che mi ha molto
impressionato. Non dirò dove l’ho visto, ma sarebbe potuto avvenire su qualunque
rete. Erano presenti quattro persone, due grandi giornalisti esperti di economia
e due donne (ma potevano essere due uomini) che non ne sapevano niente,
assolutamente niente. Il risultato è stato che le persone che non sapevano
niente sono riuscite a surclassare, rendere muti, quelli che sapevano. In che
modo? Gridando le loro stupidaggini come verità incontrovertibili e scartando
tutte le obiezioni serie con un gesto di rifiuto. Poi citavano fatti
inesistenti, cifre inventate, con la sicurezza dogmatica che solo l’ignorante
fanatico può avere. Ripetevano slogan detti dai loro capi, luoghi comuni che
circolano su internet dove ciascuno racconta le frottole che vuole. Ed ho
pensato che il popolo da solo non può governarsi perché da solo finisce in balia
di demagoghi spregiudicati, di fanatici, talvolta di squilibrati e viene
istupidito con menzogne, false notizie. Come è successo col comunismo, col
nazismo e col fascismo. Mi viene in mente il fascismo quando il Duce chiedeva:
«Volete burro o cannoni?» e la gente rispondeva ottusamente «Cannoni» o, alla
domanda «Volete la vita comoda?» rispondeva «No!». Ed è successo lo stesso
quando la folla gridava «Barabba» al posto di Gesù Cristo, o quella che
applaudiva quando ghigliottinavano Lavoisier, il padre della chimica moderna. Il
popolo ha bisogno di gente che sa, di studiosi, di giornalisti, di politici
esperti che insegnano a ragionare e garantiscono una informazione corretta.
Allora il popolo può decidere liberamente. Ma non può farlo quando viene
informato da gente che non sa, che mente. Pericle aveva saggiamente evitato la
guerra con Sparta, ma dopo la sua morte, il popolo ateniese seguì gli esaltati
che la scatenarono e Atene fu sconfitta. Noi oggi in Italia non siamo in una
situazione diversa. Si è diffusa l’idea che «uno è uguale a uno» cioè che abbia
lo stesso valore l’idea del più ignorante rispetto a chi sa. E si è prodotta una
confusione mentale pericolosa. Sono le situazioni in cui i Paesi prendono strade
folli, e vanno in malora come è successo in Venezuela.
Oltretutto in tv o sui giornali non si fa
informazione o cultura, ma solo comizi propagandistici ideologici.
PREMESSA: IL
PROGRAMMA POLITICO.
Il
programma politico di Antonio Giangrande: un Sindaco che Avetrana ha mai voluto…
"Dapprima ti ignorano. Poi ti ridono dietro.
Poi cominciano a combatterti. Poi arriva la vittoria". Mahatma Gandhi.
Si deve portare l’attenzione verso i
fondamentali concetti della democrazia quali bene comune, cosa pubblica (res
publica), trasparenza, legalità, merito, servizio, serietà e mantenimento della
parola data, ascolto e partecipazione della cittadinanza. Per essere
rappresentanti dei cittadini ed al servizio di tutta la comunità e non solo di
una parte, bisogna osteggiare il palesarsi ad una appartenenza politica di
vecchio stampo. Chi si dichiara appartenere ad una vecchia ideologia è esso
stesso vecchio e stantio oltre che motivo di tensione, attrito e, quindi, di
divisione. Il partigiano non può far parte del rinnovamento. Sono le idee vive e
geniali che fanno progredire e non le ideologie morte, spesso prone ai Poteri
forti. Nelle piccole comunità i capaci ad amministrare son pochi e non bisogna
disperderli in sciocche divisioni. Nella amministrazione pubblica non ci sarà
posto per chi, egocentrico, ha ambizioni personali e pensa alla politica come
strumento di realizzazione. Si dice che un paese di coglioni sarà sempre
governato, amministrato, giudicato da coglioni. Facciamo sì che non ci si debba
vergognare, ma essere onorati di chi ci rappresenta. Ci si deve impegnare ad
essere di esempio per gli altri.
La definizione di mafie del dr Antonio
Giangrande è: «Sono sodalizi mafiosi tutte le organizzazioni formate da più
di due persone specializzati nella produzione di beni e servizi illeciti e nel
commercio di tali beni. Sono altresì mafiosi i gruppi di più di due persone che
aspirano a governare territori e mercati e che, facendo leva sulla reputazione e
sulla violenza, conservano e proteggono il loro status quo».
In questo modo si combattono le mafie nere
(manovalanza), le mafie bianche (colletti bianchi, lobbies e caste), le mafie
neutre (massonerie e consorterie deviate).
IL
PROGRAMMA.
LA
POLITICA, LA PARTECIPAZIONE E LA TUTELA.
La politica non è speculazione. La politica deve essere servizio al cittadino ed
il cittadino deve partecipare alla politica. Il candidato, sia a Sindaco che a
Consigliere Comunale, libero da vincoli di provenienza o appartenenza politica o
familiare, deve essere capace, competente, serio, disponibile e non prono ai
Poteri Forti. Non deve essere stato condannato in modo definitivo per reati
gravi. Il candidato eletto deve lavorare per la comunità ed avere diritto
all’equo compenso. Il cittadino, anche associato, deve far sentire i suoi
bisogni e proporre le soluzioni. All’associazionismo deve essere dato sostegno
ed esso deve aiutare gratuitamente l’Amministrazione alla gestione del bene
comune. Per la tutela del cittadino deve essere istituita la figura del
Difensore Civico con virtù e qualità maggiori di quelli del Sindaco e del
Consigliere Comunale e scelto dal Consiglio Comunale tra i cittadini locali per
la tutela dei diritti dei membri della comunità nei confronti della Pubblica
Amministrazione locale e nazionale. Il Sindaco, gli Assessori ed il Presidente
del Consiglio Comunale devono mettersi in aspettativa per il proprio lavoro o
professione ed essere sempre presenti presso la casa comunale per ascoltare le
esigenze della gente e controllare il buon andamento della Pubblica
Amministrazione. Ognuno di loro, per un contatto immediato e diretto, deve avere
un recapito di posta elettronica ed avere una pagina social periodicamente
aggiornata.
LA
TRASPARENZA ED IL SERVIZIO AI CITTADINI.
Si deve istituire l’ufficio dell’URP (Ufficio Relazioni con il Pubblico), al
servizio dell’utenza per la conoscenza dell'iter della pratica amministrativa e
del rispetto del tempo ad essa riservato dalla legge. Ciò nell’ottica di far
percepire il Comune come un
servizio al cittadino e non come un esattore e basta. Ai dipendenti deve essere
data istruzione di disponibilità relazionale e comunicabilità adeguata rispetto
all'utenza. Deve essere dato risalto dell'attività dell'amministrazione e degli
eventi organizzati da essa o dalle associazioni locali sul sito web
dell'istituzione e su bollettini periodici da distribuire dei punti di ritrovo e
commerciali. Si deve verificare il percorso di assunzione dei dipendenti e
collaboratori dell'Ente e l'evoluzione dei contratti in essere, scaduti e
rinnovati senza gara e con mancanza di verifica di economicità. Si deve
controllare modi e costi delle consulenze esterne ed interne. Si deve verificare
ogni intervento reso ai cittadini ritenuti disagiati, affinchè non nasconda voto
di scambio. Bisogna migliorare la tracciabilità di appalti e subappalti
attraverso la pubblicazione online dei bandi di gara e dei
risultati delle stesse ed avere l’autorizzazione scritta del Comune per
qualsiasi tipo di subappalto. Ogni gara di appalto deve contenere l'impegno ad
assumere un numero indeterminato di disoccupati locali, secondo la
specializzazione richiesta. Bisogna
aumentare le responsabilità degli appaltatori, attraverso regole di appalto che
riconducano unicamente all’appaltatore le responsabilità di lavori
non eseguiti nei termini od a regola d’arte o di danni provocati dal sub
appaltatore, anche durante tutto il periodo di garanzia. Bisogna migliorare
il sistema delle gare d’appalto. Rivedere il sistema delle gare economicamente
vantaggiose (lo spirito della gara dovrebbe essere di chi fa l’offerta migliore)
introducendo, come avviene in molti altri enti pubblici, un sistema
di valutazione delle offerte attraverso l’utilizzo di parametri
oggettivi e non soggettivi da parte della commissione scelta dalla stazione
appaltante. Controllare che i lavori effettuati per conto proprio o per conto
delle aziende terze sul suolo comunale siano effettuati a regola d’arte.
RISPETTO DELLA LEGGE, FISCALITA' E LOTTA ALLA EVASIONE.
Il cittadino deve rispettare la legge, per la sicurezza, il rispetto
dell'ambiente ed il quieto vivere. Bisogna essere inflessibili, ma non fiscali.
Per contenere la pressione fiscale e garantire maggiore equità contributiva al
cittadino bisogna chiedere il minimo indispensabile, agevolandolo per
la riscossione, e il richiesto tradurlo al massimo in termini di servizi ed
opere. Per la lotta all'evasione bisogna essere inflessibili, previo tentativo
di verifiche e di conciliazione e mediazione. Tutelare la prima casa ed i
cittadini poveri. I disoccupati possono pagare i tributi con una prestazione
d'opera. Le associazioni devono essere agevolate sulla fiscalità. La Pubblica
Amministrazione da parte sua deve rispettare i tempi dei procedimenti
amministrativi e pagare i debiti entro 30 giorni dalla fattura.
TUTELA PATRIMONIO COMUNALE. Bisogna
censire il patrimonio immobiliare del Comune (canoni riscossi per gli immobili
concessi in locazione, canoni corrisposti per quelli di proprietà
di terzi acquisiti in locazione). Elaborare un piano pluriennale di utilizzo,
razionalizzazione e cessioni del patrimonio comunale. Valutare eventuali
riqualificazioni, conversioni, cambi di destinazione d’uso e verificate
possibilità di intervento, con riguardo alle priorità dei fabbisogni di spazi
idonei e accessibili per sede degli uffici e dei servizi comunali e per sedi
e attività delle associazioni.
URBANISTICA E TERRITORIO, AMBIENTE ED AGRICOLTURA.
Basare una riqualificazione
del territorio concentrata sul recupero e
sulla ristrutturazione dell’esistente; agevolare il diritto alla
prima casa con nuove costruzioni e la distribuzione dei servizi dal centro alle
periferie; una gestione ambientale basata su una mobilità che valorizzi e crei
percorsi di viabilità ecologica, ciclabile e podistica;
sul valore
della forestazione e la piantumazione di piante e la relativa cura;
politiche socio culturali ed economiche che promuovano uno
stile ambientalista ed allo stesso tempo sfrutti le risorge offerte dal
riciclo dei rifiuti, con creazione di posti di lavoro, ed agevolazioni per
l'istallazione e lo sfruttamento di fonti di energia alternativa sui propri
fabbricati; salvaguardia delle attività agricole,
rilanciando la funzione dell’agricoltore e di attività collegate
(mercati a filiere corte, promozione
di prodotti a km 0, accordi tra agricoltori
e proprietari dei fondi agricoli per mantenere i terreni coltivati, etc.).
Stop al consumo del territorio per i nuovi impianti con pannelli fotovoltaici e
favorire la loro realizzazione su capannoni industriali o fabbricati agricoli.
Si deve controllare la viabilità e la salute delle strade, come l’ordinato
parcheggio.
LAVORO.
Attuare corrette misure di salvaguardia e di intervento e sfruttare le risorse
di valore Storico, Archeologico, Paesaggistico e Naturalistico del
territorio Comunale. Predisporre luoghi ed aziende per lo sfruttamento del
turismo, specialmente dove è maggiore la vocazione turistica. Incentivare gli
spostamenti in bicicletta verso le zone turistiche
attraverso apposte iniziative comunali. Promuovere e gestire itinerari turistici
culturali. Rendere la viabilità ciclabile appetibile grazie a percorsi
più sicuri e rapidi. Predisporre un sistema di raccolta porta a porta per tutto
il territorio comunale e favorire la crescita di un economia locale legata al
recupero, riciclo e riutilizzo dei materiali post consumo, compreso lo
sfruttamento del prodotto di sfalci e potature di viti ed ulivi. Predisporre e
gestire in modo corretto, etico e trasparente un canile/gattile e favorire
l'adozione degli animali. Predisporre le modalità di attuazione delle
prestazioni di lavoro occasionale di tipo accessorio come disciplinate dall'art.
4 della L. n.30/03, dal D.Lgs. n. 276/03 (artt. 70-73), e successive
integrazioni e modificazioni. Con lo "strumento" voucher si offre la possibilità
di occupazioni temporanee a soggetti che si trovano in situazioni di svantaggio
economico, di difficoltà finanziaria, di disagio personale e/o familiare. Uno
strumento che dà la possibilità a tutti i disoccupati di prestare la loro opera
per un dato periodo di tempo per lavori di pubblica utilità. Per incentivare
ogni altra forma di impresa e debellare il fenomeno dell'usura,
l'amministrazione si farà garante verso gli istituti di credito di ogni progetto
presentato ed approvato dal Consiglio Comunale e comunque di favorire l’accesso
al credito attraverso il sostegno economico ai Confidi (consorzi di garanzia) o
forme similari di categoria o comunque la verifica degli immobili agibili
e sfitti di proprietà diretta o indiretta del comune per locazione
agevolata alle attività imprenditoriali giovanili (fino a 35 anni). Predisporre
un front office turistico multilinguistico di presentazione del territorio, con
tour tematici.
SANITA’.
Predisposizione telematica di conoscenza del
medico disponibile nel momento del bisogno.
SICUREZZA.
Predisposizione di aree e vie pubbliche
videosorvegliate e potenziamento del corpo di Polizia Municipale, con
collaborazioni temporanee, coadiuvato da associazioni di cittadini locali per il
controllo delle aree rurali.
PROMOZIONE DEL TERRITORIO.
Promuovere e sostenere ovunque ogni
eccellenza locale nel settore dello sport, cultura e spettacolo o ogni altra
forma di realizzazione e manifestazione. Tutelare la reputazione di Avetrana e
della sua comunità con ogni mezzo e senza remore.
SPORT.
Curare e gestire in modo economico ogni
struttura comunale e renderla fruibile a tutti.
FINANZIAMENTO.
Vogliamo farci conoscere in Europa per le
nostre risorse naturali, storiche, culturali, artistiche. Abbiamo un
patrimonio da valorizzare grazie alla progettazione europea. Si dovrà formare
un gruppo compatto di professionisti locali o non locali, remunerato per
presentare progetti ed accedere ai Fondi strutturali.
Ad Avetrana, il paese di Sarah Scazzi, non
sono omertosi, sempre che non si tratti di poteri forti. Ma qualcuno certamente
vigliacco e codardo lo è. Sapendo che io ho le palle per denunciare le
illegalità, questi deficienti usano il mio nome ed appongono falsamente la mia
firma in calce a degli esposti che colpiscono i poveri cristi rei di abusi
edilizi o commerciali. I cretini, che poi fanno carriera politica, non sanno che
i destinatari dei miei strali sono magistrati, avvocati, forze dell’ordine, e
comunque pubblici ufficiali o esercenti un pubblico servizio. Che poi queste
denunce finiscono nell’oblio perché “cane non mangia cane” e per farmi passare
per mitomane o pazzo o calunniatore o diffamatore, è un’altra cosa. Però da
parte di questi coglioni prendersela con i poveri cristi per poi far addossare
la colpa a me ed essere oggetto di ritorsioni ingiustificate è da veri
vigliacchi. D'altronde un paese di coglioni sarà sempre governato, amministrato,
giudicato da coglioni.
È molto meglio osare cose straordinarie,
vincere gloriosi trionfi, anche se screziati dall'insuccesso, piuttosto che
schierarsi tra quei poveri di spirito che non provano grandi gioie né grandi
dolori, perché vivono nel grigio e indistinto crepuscolo che non conosce né
vittorie né sconfitte. (...) Non è il critico che conta, né l'individuo che
indica come l'uomo forte inciampi, o come avrebbe potuto compiere meglio
un'azione. L'onore spetta all'uomo che realmente sta nell'arena, il cui viso è
segnato dalla polvere, dal sudore, dal sangue; che lotta con coraggio; che
sbaglia ripetutamente, perchè non c'è tentativo senza errori e manchevolezze;
che lotta effettivamente per raggiungere l'obiettivo; che conosce il grande
entusiasmo, la grande dedizione, che si spende per una giusta causa; che nella
migliore delle ipotesi conosce alla fine il trionfo delle grandi conquiste e
che, nella peggiore delle ipotesi, se fallisce, almeno cade sapendo di aver
osato abbastanza. Dunque il suo posto non sarà mai accanto a quelle anime timide
che non conoscono né la vittoria, né la sconfitta. Franklin Delano Roosevelt
Cari signori, io ho iniziato a destare le
coscienze 20 anni prima di Beppe Grillo e nulla è successo. Io non cercavo gli
onesti, ma le vittime del sistema, per creare una rivoluzione culturale…ma un
popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.
Un chierico medievale si imbatté in un
groviglio di serpi su cui spiccava un ramarro che già da solo sarebbe bastato a
spaventarlo. Tuttavia, confrontata a quelle serpeggianti creature, la bestiola
gli parve graziosa ed esclamò: «Beati monoculi in terra caecorum», nella terra
dei ciechi anche l’orbo è re.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che
diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo
facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo
facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione
di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica.
Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze
staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad
ascoltarci.
In una Italia dove nulla è come sembra, chi
giudica chi è onesto e chi no?
Lo hanno fatto i comunisti, i dipietristi, i
leghisti, i pentastellati. Lor signori si son dimostrati peggio degli altri e
comunque servitori dei magistrati. E se poi son questi magistrati a decidere chi
è onesto e chi no, allora se tutti stanno dalla parte della ragione, io mi metto
dalla parte del torto.
Ogni tema trattato sinteticamente in
quest'opera è oggetto di approfondimento analitico in un saggio dedicato.
Alcune puntualizzazioni sul Diritto di Cronaca, Diritto di Critica, Privacy e
Copyright.
In seguito al ricevimento di minacce velate o addirittura palesi nascoste dietro
disquisizioni giuridiche, al pari loro si palesa quanto segue. I riferimenti ad
atti ed a persone ivi citate, non hanno alcuna valenza diffamatoria e sono solo
corollario di prova per l'inchiesta. Le persone citate, in forza di norme di
legge, non devono sentirsi danneggiate. Ogni minaccia di tutela arbitraria dei
propri diritti da parte delle persone citate al fine di porre censura in tutto o
in parte del contenuto del presente dossier o vogliano spiegare un velo di
omertà sarà inteso come stalking o violenza privata, se non addirittura
tentativo di estorsione mafiosa. In tal caso ci si costringe a rivolgerci alle
autorità competenti.
Come è noto, il diritto di manifestare il proprio pensiero ex art. 21 Cost. non
può essere garantito in maniera indiscriminata e assoluta ma è necessario porre
dei limiti al fine di poter contemperare tale diritto con quelli dell’onore e
della dignità, proteggendo ciascuno da aggressioni morali ingiustificate. La
decisione si trova in completa armonia con altre numerose pronunce della Corte.
La Cassazione, infatti, ha costantemente ribadito che il diritto di cronaca
possa essere esercitato anche quando ne derivi una lesione dell’altrui
reputazione, costituendo così causa di giustificazione della condotta a
condizione che vengano rispettati i limiti della verità, della continenza e
della pertinenza della notizia. Orbene, è fondamentale che la notizia pubblicata
sia vera e che sussista un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti. Il
diritto di cronaca, infatti, giustifica intromissioni nella sfera privata
laddove la notizia riportata possa contribuire alla formazione di una pubblica
opinione su fatti oggettivamente rilevanti. Il principio di continenza, infine,
richiede la correttezza dell’esposizione dei fatti e che l’informazione venga
mantenuta nei giusti limiti della più serena obiettività. A tal proposito, giova
ricordare che la portata diffamatoria del titolo di un articolo di giornale deve
essere valutata prendendo in esame l’intero contenuto dell’articolo, sia sotto
il profilo letterale sia sotto il profilo delle modalità complessive con le
quali la notizia viene data (Cass. sez. V n. 26531/2009). Tanto premesso si può
concludere rilevando che pur essendo tutelato nel nostro ordinamento il diritto
di manifestare il proprio pensiero, tale diritto deve, comunque, rispettare i
tre limiti della verità, pertinenza e continenza.
Diritto di Cronaca e gli estremi della verità, della pertinenza e della
continenza della notizia. L'art. 51 codice penale (esimente dell'esercizio di un
diritto o dell'adempimento di un dovere) opera a favore dell'articolista nel
caso in cui sia indiscussa la verità dei fatti oggetto di pubblicazione e che la
stessa sia di rilevante interesse pubblico. In merito all'esimente del Diritto
di Cronaca ex art. 51 c.p., la Suprema Corte con Sentenza n 18174/14 afferma:
"la cronaca ha per fine l'informazione e, perciò, consiste nella mera
comunicazione delle notizie, mentre se il giornalista, sia pur nell'intento di
dare compiuta rappresentazione, opera una propria ricostruzione di fatti già
noti, ancorchè ne sottolinei dettagli, all'evidenza propone un'opinione". Il
diritto ad esprimere delle proprie valutazioni, del resto non va represso
qualora si possa fare riferimento al parametro della "veridicità della cronaca",
necessario per stabilire se l'articolista abbia assunto una corretta premessa
per le sue valutazioni. E la Corte afferma, in proposito: "Invero questa Corte è
costante nel ritenere che l'esimente di cui all'art. 51 c.p., è riconoscibile
sempre che sia indiscussa la verità dei fatti oggetto della pubblicazione,
quindi il loro rilievo per l'interesse pubblico e, infine, la continenza nel
darne notizia o commentarli ... In particolare il risarcimento dei danni da
diffamazione è escluso dall'esimente dell'esercizio del diritto di critica
quando i fatti narrati corrispondano a verità e l'autore, nell'esposizione degli
stessi, seppur con terminologia aspra e di pungente disapprovazione, si sia
limitato ad esprimere l'insieme delle proprie opinioni (Cass. 19 giugno 2012, n.
10031)".
La nuova normativa concernente il rapporto tra il diritto alla privacy ed il
diritto di cronaca è contenuta negli articoli 136 e seguenti del Codice privacy
che hanno sostanzialmente recepito quanto già stabilito dal citato art. 25 della
Legge 675 del 1996. In base a dette norme chiunque esegue la professione di
giornalista indipendentemente dal fatto che sia iscritto all'elenco dei
pubblicisti o dei praticanti o che si limiti ad effettuare un trattamento
temporaneo finalizzato esclusivamente alla pubblicazione o diffusione
occasionale di articoli saggi o altre manifestazioni del pensiero:
può procedere al trattamento di dati sensibili anche in assenza
dell'autorizzazione del Garante rilasciata ai sensi dell'art. 26 del D. Lgs. 196
del 2003;
può utilizzare dati giudiziari senza adottare le garanzie previste dall'art. 27
del Codice privacy;
può trasferire i dati all'estero senza dover rispettare le specifiche
prescrizioni previste per questa tipologia di dati;
non è tenuto a richiedere il consenso né per il trattamento di dati comuni né
per il trattamento di dati sensibili.
Il mio utilizzo dei contenuti soddisfa i requisiti legali del fair use o del
fair dealing ai sensi delle leggi vigenti sul copyright. Le norme nazionali ed
internazionali mi permettono di fare copie singole di parti di opere per ricerca
e studio personale o a scopo culturale o didattico. Infatti sono autore del
libro che racconta della vicenda. A tal fine posso assemblarle o per fare una
rassegna stampa.'''
La critica storica può scriminare la diffamazione. Cassazione penale, sez. V,
sentenza 10/11/2016 n° 47506. L'esercizio del diritto di critica può, a certe
condizioni, rendere non punibile dichiarazioni astrattamente diffamatorie, in
quanto lesive dell'altrui reputazione.
La scriminante è configurabile anche in relazione alla cd. "critica storica"? A
questa domanda risponde la Corte di Cassazione, Sezione Quinta Penale, con la
sentenza 10 novembre 2016, n. 47506.
Quando l’esercizio del diritto di “critica storica” scrimina il delitto di
diffamazione. Cassazione Penale, sezione quinta, sentenza n. 47506/2016. Il
delitto di diffamazione di cui all’art. 595 c.p., com’è noto ai più, consiste
nell’offendere la reputazione di una persona, in quel momento assente, dinanzi
più persone. La comunicazione in questione può avvenire verbalmente, ma anche
per iscritto, nei modi più disparati ed anche per mezzo di libri o testi di
vario genere. Ebbene, quando il reato di diffamazione è legato al mezzo della
stampa, il diritto al rispetto della reputazione altrui deve convivere con il
c.d. diritto di critica (disciplinato, in generale, dall’art. 51 c.p.
sull’esercizio del diritto). Che succede, però, se la presunta offesa si trova
in uno scritto, già diffuso da tempo e solo riedito, nel quale l’autore ha
inserito delle conclusioni cui lo stesso è giunto sulla base dei propri
studi? La Corte afferma che, in questi casi, soccorre il diritto di “critica
storica”. Ma di che si tratta? E perché può giustificare tali condotte
astrattamente diffamatorie?
Critica storica e metodo scientifico. Al fine di escludere la responsabilità
penale di un autore, in casi come quello di specie, il giudice deve valutare se
l’opera “corpo del reato” abbia o meno carattere storico. Tale analisi comporta
un accertamento delle fonti indicate ed utilizzate dall’autore per esprimere i
propri giudizi. Ciò significa che, per poter parlare di critica storica,
nell’opera deve essersi fatto “uso del metodo scientifico che implica
l’esaustiva ricerca del materiale utilizzabile, lo studio delle fonti di
provenienza e il ricorso ad un linguaggio corretto e scevro da polemiche
personali”. Non rientra nel potere del giudice determinare se un soggetto possa
ritenersi un vero storico. Infatti, la sua valutazione è finalizzata solo a
stabilire se l’opera, quale risultato della ricerca svolta dall’autore, possa
considerarsi storica, tenuto conto anche dei risultati e delle conclusioni cui è
giunta. Le stesse, infatti, pur potendo differire rispetto alle ricostruzioni
storiche finora riconosciute, devono fondarsi, tuttavia, su fonti certe ed
individuabili.
Questo aspetto è assolutamente imprescindibile. La ricerca dello storico,
quindi, comporta la necessità di un’indagine complessa in cui “persone, fatti,
avvenimenti, dichiarazioni e rapporti sociali divengono oggetto di un esame
articolato che conduce alla definitiva formulazione di tesi e/o di ipotesi che è
impossibile documentare oggettivamente ma che, in ogni caso debbono trovare la
loro base in fonti certe e d essere plausibili e sostenibili”.
Il diritto di critica quando la tesi proposta risulta non credibile.
Nel caso di specie, l’autore si è limitato a proporre una nuova edizione di un
testo, seppur originariamente tacciato di antisemitismo (probabilmente un falso
storico), perché da lui ritenuto meritevole di diffusione e commento in ragione
della rispondenza del suo contenuto a fatti “falsi, ma veritieri”, in quanto
concretamente avvenuti. Nessuna verifica di carattere storico al suo interno,
dunque, eppure, secondo la Corte, nessuna diffamazione a sfondo antisemita è
dato rinvenire, dato che la tesi dell’autore, seppure obiettivamente non
credibile, risulta sostenuta (secondo le regole sopra precisate) sulla base di
una pluralità di fonti ed analisi precise e nella stessa individuate. Laura
Piras
INTRODUZIONE.
PRESENTAZIONE
Il dr. Antonio
Giangrande è nato ad Avetrana (TA) il 2 giugno 1963 da Oronzo ed Antonia Santo.
Primogenito dei fratelli: Leonardo, Maria Giuseppa (portatore di handicap e di
varie patologie) ed i gemelli Monica e Patrizio Gaetano.
Nel 1978 a
16 anni è costretto ad emigrare in Germania perché, figlio di indigenti, non può
studiare, né lavorare in loco, in quanto gli amministratori e i politici del
sud, malversando i contributi della Cassa per il Mezzogiorno, hanno impedito lo
sviluppo economico e sociale del territorio. Inoltre non gli è stato concesso di
entrare nell'arma dei Carabinieri dal comandante della locale stazione, il quale
ha dato delle informazioni negative sul suo conto, sol perché si lamentava del
fatto che andassero a lavare gratis le loro auto di servizio, mentre lavorava
all'autolavaggio del padre.
Rientrato in
Italia, nel 1984 ad un anno dall’apertura è costretto a chiudere la sua
macelleria a causa di richieste estorsive.
Nel 1990 è
costretto a rinunciare a svolgere l'attività di fruttivendolo e di coltivatore
diretto per le richieste estorsive, estese fin anche a danno del suocero, che
abitualmente lavorava da solo in campagna.
Nel marzo del
1991 è costretto a licenziarsi da un’impresa di costruzioni, con mansioni di
guardia giurata particolare per vigilare su un cantiere. Il servizio era isolato
e senza ricetrasmittente. Il tentativo del racket di far saltare gli automezzi
fallisce per un suo intervento, a cui seguì un conflitto a fuoco. La denuncia è
rimasta lettera morta. Dopo giorni, nelle vicinanze del cantiere uccisero un
pregiudicato per regolamento di conti. Nessuno si preoccupò della sua
incolumità, né come vigilante, né come possibile testimone da proteggere. Nel
novembre dello stesso anno, cessa la sua attività di imprenditore. A
quota 12 della marina di Manduria (TA), incendiano il ristorante
stagionale, condotto con il fratello. Tale atto era da ricondurre alla sua
attività di Guardia Giurata. Il ristorante non fu ricostruito per impedimento
dell’autorità amministrativa. Nel giorno dell’incendio era alle visite mediche
per il concorso pubblico per agente di polizia indetto dal Ministero degli
Interni. Qualche giorno prima aveva partecipato al concorso indetto dal
Ministero della Giustizia per autista dei veicoli blindati a tutela dei
Magistrati. In entrambi i concorsi, entrò vincente, avendone i titoli, uscì
perdente. Le prove preliminari superate con i voti più alti, costituzione fisica
da paracadutista, dove ha svolto il servizio militare, patenti dalla A alla
B-C-D-E e il CAP, disoccupazione con moglie e due figli a carico, non bastarono.
Quell’anno la mafia aveva mostrato le due facce della stessa medaglia.
Nel 1992
partecipa a Milano al concorso ATM per autista dei veicoli pubblici: escluso.
Nel 1997
partecipa al concorso pubblico indetto dal Ministero della Giustizia come
Uditore Giudiziario: escluso.
Dal 1998
partecipa al concorso pubblico indetto dal Ministero della Giustizia per
l’abilitazione forense, affinché, dopo anni di studi e di disoccupazione,
potesse intraprendere l’attività di avvocato e lavorare. I Magistrati e gli
Avvocati non lo abilitano, perché da sempre ha denunciato l’impedimento
giudiziario al diritto di difesa dei non abbienti e il concorso forense
truccato, in cui si abilitano i raccomandati, oltre che denunciare abusi ed
omissioni della classe forense e giudiziaria.
Partecipa nel
1998 al Concorso di Comandante dei vigili Urbani di Manduria (TA). Lo vince
chi ha indetto e regolato il concorso.
Partecipa nel
1999 al concorso per nomina di Giudice di Pace di Manduria, indetto dal
Ministero di Grazia e Giustizia: la domanda presso il Consiglio Superiore della
Magistratura rimane lettera morta.
Nel 2006 non
è iscritto come sub agente assicurativo nella sezione “E” degli intermediari
assicurativi, in quanto le agenzie di Manduria, pur collaborando con loro da 10
anni, condizionavano l’iscrizione, data alla loro facoltà, al mono mandato
esclusivo, pur avendo le tariffe più alte.
Nel 2007 non
può più svolgere l’attività di studio di infortunistica stradale perché le norme
sull’indennizzo diretto impediscono la remunerazione per l’assistenza e la
consulenza.
Giangrande Antonio,
scrittore, accademico senza cattedra universitaria di Sociologia Storica,
giornalista ed avvocato non abilitato, nato ad
Avetrana (TA) il 02/06/63, diplomato ragioniere e perito commerciale nel 1992, a
29 anni, sostenendo, in unica sessione, gli esami di maturità da privatista per
tutti i 5 anni di corso presso l’Istituto Tecnico Statale “Einaudi” di Manduria
(TA), laureato alla Università Statale di Milano alla Facoltà di Giurisprudenza
nel 1996, superando i 26 esami accademici in soli 2 anni: già abilitato al
patrocinio legale nei procedimenti giudiziari penali, civili, amministrativi e
tributari; già guardia giurata particolare; già investigatore privato; già
imprenditore commerciale.
Coniugato con Cosima Petarra, nata ad Erchie (BR) l’8/05/64, con cui ha due
figli:
Mirko, nato a Manduria il 26/01/85, diplomato ragioniere, perito commerciale e
programmatore nel 2002 in 4 anni, anziché in cinque e doppia laurea, a 20 anni,
in Scienze Giuridiche nel 2005, a 22 anni, e in Magistrale in Giurisprudenza,
nel 2007, abilitato avvocato nel 2010 a soli 25 anni, diventa l'avvocato più
giovane d'Italia;
Tamara, nata a
Manduria il 16/08/86, diplomata ragioniera, perito commerciale e programmatore
nel 2005.
Il dr
Antonio Giangrande denuncia le ritorsioni: «Sono
scrittore, accademico senza cattedra di Sociologia Storica, giornalista ed
avvocato non abilitato, presidente nazionale dell’Associazione Contro Tutte le
Mafie ed autore del libro “L’Italia del trucco, l’Italia che siamo”.
Il sistema mi
impedisce: di pubblicare i miei libri; di insegnare nelle università ciò che ho
scoperto in 20 anni di studi sulla società italiana; di pubblicare i miei
articoli; di esercitare la professione di Avvocato per potermi sostenere
economicamente e per poter difendere nelle aule dei tribunali chi non può; di
operare come associazione antimafia, perchè non di sinistra; di far conoscere la
mia opera letteraria.
A causa della mia
attività, per anni, con due cifre, sono stato vittima di bocciature ritorsive al
concorso forense, che tutti ritengono truccato. Da ciò è scaturita la mia
disoccupazione ed indigenza. Addirittura, ho ritenuto maturo ed opportuno
tutelare i miei diritti. In presenza di innumerevoli irregolarità commesse a mio
danno dalla Commissione di Reggio Calabria, competente a correggere i compiti
della sessione 2008 del concorso forense dei candidati di Brindisi, Lecce e
Taranto, (elaborati non corretti, commissione illegittima, ecc.) e in virtù
della consapevolezza delle mie ragioni sostenute dalla folta giurisprudenza, ho
presentato, senza l’ausilio dei baroni del Foro, l’istanza per poter accedere al
gratuito patrocinio per presentare il ricorso al Tar.
Pur essendoci i requisiti di reddito e nonostante le eccezioni presentate
fossero già state accolte da molti Tar, la Commissione presso il Tar di Lecce mi
nega un diritto palesemente fondato e lo comunica, malgrado l’urgenza, un mese
dopo, a pochi giorni dalla decadenza del ricorso principale. Hanno rilevato una
mancanza di fumus, con un sommario ed improprio giudizio di merito senza
contraddittorio e su elementi chiarissimi ed incontestabili. E’ stato fatto da
chi, direttamente o per colleganza, avrebbe deciso, comunque, il proseguo, nel
caso in cui il ricorso al Tar sarebbe stato presentato in forma ordinaria,
inibendone l’intenzione. Per dire: subisci e taci. Lo hanno comunicato dopo un
mese, nel pieno delle ferie e a 15 giorni dalla decadenza del ricorso principale
al TAR, impedendo, di fatto, anche la proposizione del ricorso in forma
ordinaria.
Mi
sono rivolto al Governo per l’insofferenza delle istituzioni rispetto alle
segnalazioni dei concorsi pubblici truccati, impuniti e sottaciuti, specialmente
accademici, giudiziari, forensi e notarili, e ho segnalato la collusione della
giustizia amministrativa per l’impedimento al ripristino della legalità.
Fenomeno seguito dall’indifferenza, spesso indisponenza dei media. Il Governo mi
ha risposto: hai pienamente ragione, provvederemo, stiamo già lavorando.
Provvedimento mai arrivato.
Il
prezzo per la propria libertà è alto. Le ritorsioni non finiscono qui.
Sono
stato prontamente imputato a Potenza per diffamazione a mezzo stampa perché sul
web e sulla stampa nazionale ed internazionale (La Gazzetta del sud Africa) ho
riportato le prove che a Taranto, definito Foro dell’Ingiustizia, vi sono
eccessivi errori giudiziari ed insabbiamenti impuniti: Magistratura che, in
conflitto d’interessi, non si astiene dall’accusare e dal giudicare in processi,
in cui si palesa la loro responsabilità inerente ad errori giudiziari; Forze
dell’ordine che denunciano i reati e solo il 10% di questi si converte in
procedimento penale.
Potenza ha reiteratamente archiviato ogni denuncia presentata contro gli abusi e
le omissioni della Procura di Taranto, compresa quella inerente una richiesta di
archiviazione in cui essa stessa era denunciata e nonostante le varie
interrogazioni dei parlamentari: Patarino, Bobbio, Bucciero, Lezza, Curto e Cito
e nonostante gli articoli di stampa sugli innumerevoli errori giudiziari: caso
on. Franzoso, caso killer delle vecchiette, caso della barberia, caso Morrone,
ecc.
La
denuncia a Potenza è stata presentata da un Pubblico Ministero di Taranto, che
ha chiesto l’archiviazione per un procedimento, in cui si era denunciato il
fatto che presso il comune di Manduria non si rilasciavano legittime ricevute
all’ufficio protocollo e che il comandante dei vigili urbani era vincitore del
concorso da lui indetto, regolato e con funzioni di comandante pro tempore e di
dirigente dell’ufficio del personale. La stessa procura di Taranto ha già
cercato, non riuscendoci, di farmi condannare per abusivo esercizio della
professione forense, pur sapendo di essere regolarmente autorizzato a
patrocinare; ovvero di farmi condannare per calunnia per la sol colpa di aver
presentato per il mio assistito opposizione provata avverso ad una richiesta di
archiviazione infondata, tant’è che il vero responsabile è stato accertato nel
dibattimento che ne è seguito; ovvero di farmi condannare per lesione per
essermi difeso da un’aggressione subita nella propria casa al fine di impedirmi
di presenziare all’udienza contro l’aggressore; ovvero farmi condannare per
violazione della privacy e per diffamazione per aver pubblicato atti pubblici
nocivi alla reputazione della stessa procura e di un avvocato che vinceva le
cause, in cui a giudicare era un suo ex praticante; ovvero di farmi condannare
per aver denunciato che a Taranto i magistrati responsabili di errori giudiziari
erano gli stessi ad avere, in conflitto d'interesse, la competenza sulla loro
declaratoria.
Procedimenti a mio carico sempre con impedimento alla difesa.
Potenza. Foro in cui lo stesso Presidente di quella Corte di Appello aveva più
volte chiesto conto alle procure sottoposte sulle denunce degli insabbiamenti a
Taranto, rimaste lettera morta.
Potenza, più volte sollecitata ad indagare sui concorsi forensi truccati, in cui
vi sono coinvolti magistrati di Lecce, Brindisi e Taranto.
Potenza, foro in cui è rimasta lettera morta la denuncia contro alcuni
magistrati di Brindisi, che a novembre 2007 hanno posto sotto sequestro per
violazione della privacy un intero sito dell’Associazione Contro Tutte Le Mafie
composto da centinaia di pagine, effettuato con atti nulli e con incompetenza
territoriale riconosciuta dallo stesso foro. Il sito conteneva, alla pagina di
Brindisi, le notizie di stampa nazionale riguardanti il presunto complotto della
medesima procura di Brindisi contro l’ex Giudice di Milano, Clementina Forleo.
Da questa acclamata incompetenza territoriale il fascicolo è passato a Taranto.
La procura di quel foro, reitera il sequestro dell’intero sito, in cui, alla
pagina di Taranto vi era un corposo dossier sull’operato degli stessi uffici
giudiziari. Da un conflitto d’interessi ad un altro.
Potenza, foro in cui non si è proceduto contro un giudice del tribunale di
Manduria, sezione distaccata di Taranto, che pensava bene di dare un esito
negativo a tutte le cause in cui compariva Giangrande Antonio, come imputato o
come difensore di parte, nonostante le ampie prove dimostrassero il contrario.
Ma le
ritorsioni non si fermano qui. A Santi Cosma e Damiano (LT) un Consigliere
Comunale, adempiendo al suo dovere di vigilanza e controllo sulla legittimità
degli atti amministrativi degli enti territoriali, con altri associati
dell’Associazione Contro Tutte Le Mafie del posto, ha presentato vari esposti
alle autorità competenti laziali. Esposti circostanziati e provati. Da questa
meritoria attività è conseguita una duplice Interrogazione Parlamentare e un
intervento da parte del Direttore Regionale del Dipartimento del Territorio
della Regione Lazio. Dalle risposte istituzionali è scaturita una vasta
infiltrazione mafiosa e ripetute illegittimità
perpetrate a danno del territorio locale e dei suoi abitanti, in particolare sul
territorio del basso Lazio, in provincia di Latina, da qui la richiesta
di
scioglimento dei Consigli Comunali di Santi Cosma e Damiano e di Minturno. Pur
palesandosi la fondatezza delle accuse e il diritto-dovere costituzionale di
informare i cittadini, oltretutto riportando fedelmente il contenuto di atti
pubblici sui siti associativi, la reazione è stata la presentazione di una
denuncia per calunnia e diffamazione a danno del Consigliere Comunale e del
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, dr Antonio Giangrande.
Denuncia infondata in fatto e in diritto, ma per la quale la Procura di Roma si
è dichiarata competente e pronta a procedere. Roma e non Latina o Taranto (foro
del reato o dei presunti responsabili).
Da tutti questi
tentativi, atti ad intimorire ed ad indurre alla tacitazione, nessuna condanna è
scaturita. Anzi, molti procedimenti penali sono rimasti nel limbo, spesso fermi
per anni per pretestuosi errori formali: insomma nel dibattimento non si voleva
che uscisse la verità o che si presentasse istanza di ricusazione.
La Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo
su mia istanza ha aperto un procedimento (n. 11850/07) contro l'Italia, per
l'insabbiamento di 15.520 (quindicimilacinquecentoventi) denunce penali e
ricorsi amministrativi, alcune a carico di magistrati e avvocati per
associazione mafiosa e voto di scambio mafioso. Si rileva non solo l'immenso
numero di procedimenti, a cui nulla è conseguito, pur con obbligo di legge, ma,
addirittura, spesso e volentieri, colui il quale si era investito della
competenza a decidere sulla denuncia penale, era lo stesso soggetto ivi
denunciato. Da qui scaturiva naturale richiesta di archiviazione, poi
prontamente accolta. Ogni tentativo di coinvolgere le istituzioni italiane
preposte ha conseguito ulteriore insabbiamento.
L’Associazione Contro Tutte le Mafie, ai sensi degli artt. 21 e 118, comma 4,
Cost., svolge attività di interesse generale e di utilità pubblica di
informazione, di denuncia e di proposta, sulla base del principio di
sussidiarietà.
Nonostante ciò non percepisce alcun finanziamento, né affidamento dei beni
confiscati alla mafia, né alcuno spazio mediatico: solo perché non è di
sinistra.
Tutte
le Tv locali non offrono spazi nei loro programmi di approfondimento, nonostante
l’apporto di competenza e di audience.
Tutte
le tv nazionali non si avvalgono degli spunti esclusivi sulle tematiche
nazionali.
Ballarò di Rai tre, invia una troupe da Roma, per un servizio sui concorsi
truccati: servizio mai andato in onda.
RAI 1
stravolge il palinsesto per censurare lo spazio dedicato ad una associazione
riconosciuta dal Ministero dell’Interno e che combatte in prima linea tutte le
mafie. 10 minuti, il programma dell’accesso, previsto il 23 novembre 2007 alle
10.40, non è andato in onda. Nessun avviso, o comunicato, o motivazione è
pervenuto alla sede dell'associazione, nè da parte della RAI, nè dalla
Commissione di Vigilanza.
Da
qui l'interrogazione parlamentare del senatore Giovanni Russo Spena, per
chiedere perché è stato censurato il servizio, ovvero perché si è inviata la
troupe da Roma per un servizio mai trasmesso, con aggravio di costi per
l’azienda RAI.
Tutto questo, e
anche peggio, succede a chi, non conforme all’ambiente colluso o codardo, non
accetta di subire e di tacere.»
Combatte per la LEGALITA’ e la tutela e la rappresentanza dei diritti di tutti i
cittadini contro gli interessi di caste, lobby, mafie, massonerie. E’ nemico
delle ideologie, che non ascoltano, ma impongono la loro visione delle cose,
spesso con la forza. Unico strumento è l’informazione senza omertà o censura,
tramite inchieste telematiche tematiche e territoriali; libri; film, ecc.
Se a destra son coglioni sprovveduti, al
centro son marpioni, a sinistra “So camburristi”. Ad Avetrana, come in tutto il
sud Italia c’è un detto: “si nu camburrista”. "Camburrista" viene dalla parola
italiana "camorra" e non assume sempre il significato di "mafioso, camorrista"
ma soprattutto di "persona prepotente, dispettosa, imbrogliona, che raggira il
prossimo, che impone il suo volere direttamente, o costringendo chi per lui, con
violenza, aggressività, perseveranza, pur essendo la sua volontà espressione del
torto (non della ragione) del singolo o di una ristretta minoranza chiassosa ed
estremamente visibile.
LOREDANA CAPONE & FRIENDS.
La "Associazione Contro Tutte le Mafie" - ONLUS è una associazione nazionale
contro le ingiustizie e le illegalità, iscritta per obbligo di legge, ai fini
dell'attività antiracket ed antiusura, solo presso la Prefettura - UTG di
Taranto, competente sulla sede legale. Non ha sostegno politico perchè è
apartitica e non nasconde gli abusi e le omissioni del sistema di potere, tra
cui i magistrati, e la codardia della società civile. Per questo non riceve
alcun finanziamento pubblico, o assegnazione da parte della magistratura dei
beni confiscati. Il suo presidente è, spesso, perseguito per diffamazione, solo
perchè riporta sui portali web associativi le interrogazioni parlamentari o gli
articoli di stampa sugli insabbiamenti delle inchieste scomode. Le scuole non lo
invitano, in quanto il motto "La mafia siamo noi" non è accettato dai professori
di Diritto, che sono anche, spesso, avvocati e/o giudici di pace e/o
amministratori pubblici, sentendosi così chiamati in causa per corresponsabilità
del dissesto morale e culturale del paese. Pur affrontando questioni attinenti
la camorra, la mafia, la 'ndrangheta, la sacra corona unita, la mafia russa,
ecc; pur essendo stato ringraziato dal Commissario governativo per la
collaborazione svolta ed invitato da questi a partecipare al forum tenuto a
Napoli coi Prefetti del Sud Italia per parlare di Mafie e sicurezza, la
Prefettura di Taranto, non solo non gli dà la scorta, ma gli diniega la
richiesta del porto d'armi per difesa personale. La regione Puglia non iscrive
la stessa associazione all'albo regionale, né il comune di Avetrana, città della
sede legale, ha iscritto l'associazione presso l'albo comunale. Il sostegno
mediatico è inesistente, tanto che vi è stata interrogazione parlamentare del
sen. Russo Spena per chiedere perchè Rai 1 non ha trasmesso il servizio di 10
minuti dedicato all'associazione, autorizzato dall'apposita commissione
parlamentare. L'editoria ha rifiutato le pubblicazione del saggio d'inchiesta
"L'Italia del trucco, l'Italia che siamo", il sunto e l'elenco degli scandali e
i misteri italiani, senza peli sulla lingua.
La associazione "Libera" è un coordinamento nazionale di tante associazioni e
comitati locali. Queste, spesso hanno sede presso la CGIL, sindacato di
sinistra, come a Taranto. I magistrati assegnano a loro i beni confiscati. Le
scuole invitano i loro rappresentanti. Il sostegno mediatico è imponente, come
se "Libera" fosse l'unico sodalizio antimafia esistente in Italia. La regione
Puglia, con giunta di sinistra, riconosce a loro cospicui finanziamenti, pur non
essendo iscritta all'Albo regionale.
200 mila euro. In favore della Cooperativa “Terre di Puglia – Libera Terra” (100
mila euro) e dell’Associazione Libera di don Luigi Ciotti (100 mila euro).
La cooperativa denominata «Terre di Puglia – Libera Terra» è formata da giovani
pugliesi e si occupa della gestione dei terreni agricoli e degli altri beni
confiscati alla Sacra Corona Unita. Attualmente, in partenariato con la
Prefettura e la Provincia di Brindisi, con l’Associazione Libera ed Italia
Lavoro Spa, gestisce un progetto che prevede l’impiego a fini agricoli dei
terreni confiscati alle mafie nella provincia di Brindisi, nei comuni di
Mesagne, Torchiarolo e San Pietro Vernotico.
L’Associazione Libera di don Luigi Ciotti in Puglia sosterrà il progetto MOMArt
(Motore Meridiano delle Arti), che prevede la trasformazione di una ex discoteca
di Adelfia (Ba), centrale di spaccio e illegalità, in un luogo generatore di
sviluppo sociale e civile per i giovani pugliesi.
Per il raggiungimento di questo obiettivo la Giunta il 15 luglio 2008 ha
approvato un protocollo d’intesa tra Regione Puglia, Tribunale di Bari,
Commissario governativo per i beni confiscati e Associazione Libera.
Il dr. Antonio Giangrande, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie
denuncia una palese ingiustizia e discriminazione politica che viene perpetrata
da parte della Giunta della Regione Puglia guidata da Nicola Vendola e dal suo
assessore competente Loredana Capone.
«Sin dal 27 settembre 2008, avendone titolo anche in virtù di una verifica della
Guardia di Finanza che ne attesta la reale attività, il sodalizio nazionale
riconosciuto dal Ministero dell’Interno ha chiesto l’iscrizione all’Albo
Regionale delle associazioni antiracket ed antiusura – dice il dr Antonio
Giangrande,
presidente dell’Associazione Contro Tutte
le Mafie -. La risposta che è stata data è che l’Albo non è stato ancora
costituito, nonostante in pompa magna si sia dato risalto della sua emanazione
per legge. Intanto però la Giunta Vendola si prodiga a finanziare ed a
promuovere “Libera” e le sue associate in ogni modo, pur non essendo iscritta
all’albo non ancora costituito. Ciò che dico è confermato dalle varie determine
di finanziamento delle varie convenzioni e così come appare su “Striscia La
Notizia” del 18 novembre 2011. In occasione del servizio di Fabio e Mingo in
tema di favoritismi e privilegi l’assessore alle risorse umane, Maria Campese,
pur non essendo competente sulla materia della mafia, in bella vista presso i
suoi uffici sfoggiava un muro tappezzato di manifesti di “Libera”, da cui si
palesava la scritta “I beni confiscati sono Cosa Nostra”.
Spero che questa ipocrisia antimafia cessi e la Giunta Vendola sia meno
partigiana, perché oltre a discriminarle, perché non sono comuniste, nuoce a
quelle associazioni che si battono veramente contro le mafie. Spero che sia dato
dovuto risalto alla denuncia, in quanto abbiamo bisogno del sostegno
istituzionale per poter continuare a svolgere la nostra attività.»
Turismo e risorse ambientali.
“Ci vogliono brutti, sporchi e cattivi”
19 settembre 2016. Dibattito pubblico a
Otranto, in Puglia, sul tema: "Prospettive a Mezzogiorno".
Il resoconto del dr. Antonio Giangrande.
Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Nel Salento: sole, mare e vento. Terra di
emigrazione e di sotto sviluppo economico e sociale dei giovani locali.
Salentini che emigrano per mancanza di lavoro…spesso con un diploma
dell’istituto alberghiero. Salentini che perennemente si lamentano della
mancanza di infrastrutture per uno sviluppo economico e che reiteratamente
protestano per i consueti disservizi sulle coste e sui luoghi di cultura.
Salentini con lo stipendio pubblico che si improvvisano ambientalisti affinchè
si ritorni all’Era della pietra. Salentini con la sindrome di Nimby: sempre no
ad ogni proposta di sviluppo sociale ed economico, sia mai che i giovani alzino
la testa a danno delle strutture politiche padronali. Il fenomeno, ben noto, si
chiama “Nimby”, iniziali
dell’inglese Not In My Backyard (non
nel mio cortile), ossia la protesta contro opere di interesse pubblico che si
teme possano avere effetti negativi sul territorio in cui vengono costruite.
I veti locali e l’immobilismo
decisionale ostacolano progetti strategici e sono il primo nemico per lo
sviluppo dell’Italia. Le contestazioni promosse dai cittadini sono
“cavalcate” (con perfetta par condicio) dalle opposizioni e dagli stessi
amministratori locali, impegnati a contenere ogni eventuale perdita di consenso
e ad allontanare nel tempo qualsiasi decisione degna di tale nome. La fotografia
che emerge è quella di un paese
vecchio, conservatore, refrattario ad ogni cambiamento. Che non attrae
investimenti perché è ideologicamente
contrario al rischio d’impresa. Il risultato, sotto gli occhi di tutti, è
la tendenza allo stallo. Quella
che i sociologi definiscono “la tirannia dello status quo”, cioè dello
stato di fatto, quasi sempre insoddisfacente e non preferito da nessuno.
Salentini che dalla nascita fin alla morte si accompagnano con le stesse facce
di amministratori pubblici retrogradi che causano il sottosviluppo e che usano
ancora il metro di misura dei loro albori politici: per decenni sempre gli
stessi senza soluzione di continuità e di aggiornamento.
Presente al convegno Flavio Briatore, fine
conoscitore del tema, boccia il modello turistico italiano, partendo proprio
dalla Sardegna del suo Billionaire. Intanto per il caro trasporti: «Hanno
un'isola e non lo sanno - dice Briatore alla platea del convegno - pensano che
la gente arrivi per caso. La gente arriva o via mare o via aerea: sono due
monopoli, per cui fanno i prezzi (che vogliono). Se tu vai da Barcellona a
Maiorca, quattro persone sul traghetto spendono 600 euro. Da Genova ad Alghero
ne spendono 1600. L'80 per cento degli amministratori - aggiunge ancora Briatore
- non ha mai preso un aereo. Come si fa a parlare di turismo senza averlo mai
visto?».
Briatore è poi passato alla Puglia, dove
nell’estate 2017 aprirà il Twiga Beach di Otranto grazie a una cordata di
imprenditori locali ed ha criticato l'offerta turistica del territorio,
sottolineando in particolare la mancanza di servizi adeguati alle esigenze dei
turisti più facoltosi, sorvolando sulla mancanza di infrastrutture primarie: «Se
volete il turismo servono i grandi marchi e non la pensione Mariuccia, non
bastano prati, né musei, il turismo di cultura prende una fascia bassa di
ospiti, mentre il turismo degli yacht è quello che porta i soldi, perché una
barca da 70 metri può spendere fino a 25mila euro al giorno. Masserie e casette,
villaggi turistici, hotel a due e tre stelle, tutta roba che va bene per chi
vuole spendere poco - ha affermato Briatore - ma non porterà qui chi ha molto
denaro. Ci sono persone che spendono 10-20mila euro al giorno quando sono in
vacanza, ma a questi turisti non bastano cascine e musei, prati e scogliere - ha
continuato l'imprenditore - io so bene come ragiona chi ha molti soldi: vogliono
hotel extralusso, porti per i loro yacht e tanto divertimento». Non poteva
essere altrimenti: Briatore ha puntato il dito sulle mancanze di infrastrutture
a sostegno di quelle strutture turistiche mancanti ad uso e consumo di un’utenza
diversificata e non solo mirata ad un turismo di massa che non guarda alla
qualità dei servizi ed alla mancanza di infrastrutture. Una semplice analisi di
un esperto. Una banalità. Invece...
Sulle affermazioni di Briatore si è scatenato
un acceso dibattito, in particolare sui social: centinaia i commenti, quasi
tutti contro.
I contro, come prevedibile, sono coloro che
sono stati punti nel nerbo, ossia gli amministratori incapaci di dare sviluppo
economico e risposte ai ragazzi che emigrano e quei piccoli imprenditori che con
dilettantismo muovono un giro di affari di turismo di massa a basso consumo con
scarsa qualità di servizio.
L’assessore regionale Sardo Maninchedda: «A
parole stupide preferisco non rispondere».
Francesco Caizzi, presidente di Federalberghi
Puglia replica alle parole dell’imprenditore: «La Puglia non è Montecarlo,
Briatore si rassegni. La Puglia ha hotel che vanno dai 2 stelle ai 5 stelle, dai
bed & breakfast agli affittacamere. Sono strutture per tutte le tasche e le
esigenze, ma con un unico denominatore comune: rispettano l’identità del luogo.
Questo significa che non ci si può aspettare un’autostrada a 4 corsie per
raggiungere una masseria. È probabile che si dovrà percorrere un tratto di
sterrato, ma nessuno ha mai avuto da ridire su questo. Anzi, fa parte del
fascino del luogo».
Loredana Capone, assessore imperituri
(governo Vendola per 10 anni e con il Governo Emiliano), che ha concluso da poco
un lavoro di diversi mesi sul piano strategico del turismo, ha illustrato il
punto di vista di un eterno amministratore pubblico: «Dobbiamo partire da quello
che abbiamo per puntare ai mercati internazionali. Come stiamo nei mercati?
Prima di tutto evitando qualsiasi rischio di speculazione e abusivismo. È
puntando sulla valorizzazione del patrimonio, residenze storiche, masserie,
borghi, che saremo in grado di offrire un turismo di qualità, capace di portare
ricchezza. Non i grandi alberghi uguali dappertutto, modelli omologati e
omologanti. Anche gli investimenti internazionali puntano al recupero più che
alla nuove costruzioni». Loredana Capone, assessore imperituri (governo Vendola
per 10 anni e con il Governo Emiliano), che ha concluso da poco un lavoro di
diversi mesi sul piano strategico del turismo, ha illustrato il punto di vista
di un eterno amministratore pubblico: «Dobbiamo partire da quello che abbiamo
per puntare ai mercati internazionali. Come stiamo nei mercati? Prima di tutto
evitando qualsiasi rischio di speculazione e abusivismo. È puntando sulla
valorizzazione del patrimonio, residenze storiche, masserie, borghi, che saremo
in grado di offrire un turismo di qualità, capace di portare ricchezza. Non i
grandi alberghi uguali dappertutto, modelli omologati e omologanti. Anche gli
investimenti internazionali puntano al recupero più che alla nuove costruzioni».
Gianni Liviano presenta interrogazione su
attività di Apulia Film Commission.
Nell'interrogazione a risposta scritta il consigliere liviano chiede di fornire
chiarimenti in merito alle eccezioni sollevate dall'Ordine di vigilanza di
Apulia Film Commission, scrive il 25 settembre 2018 "Il Corriere di Taranto". È
una lunga serie di rilievi quella mossa, all’indirizzo dell’operato di Apulia
Film Commission, dal consigliere regionale del Gruppo Misto, Gianni Liviano, e
tutti racchiusi in una interrogazione a risposta scritta indirizzata al
presidente del Consiglio regionale, Mario Loizzo, e per conoscenza al presidente
della Giunta regionale, Michele Emiliano, e alla Corte dei Conti. Si tratta di
un lavoro minuzioso e certosino portato avanti dal consigliere regionale
tarantino e che fa seguito a quello sull’affidamento al Teatro pubblico
pugliese della somma di 1 milione di euro nell’ambito del “Polo territoriale
delle Arti e della Cultura Fiera del Levante 2018“. E, allora, eccoli i rilievi:
assenza puntuale nella trasmissione dei flussi informativi; assenza
dell’autorizzazione da parte del consiglio di amministrazione di Apulia Film
Commission per l’accordo di cooperazione per la realizzazione integrata di
servizi pubblici finalizzati alla valorizzazione, promozione e comunicazione
della puglia come destinazione turistica e come industria culturale
cinematografica sottoscritta in data 20/10/2017 tra il presidente della
Fondazione Apulia Film Commission e l’Agenzia Regionale PugliaPromozione con
durata di tre anni a partire dall’accordo; assenza, all’interno del nuovo
“regolamento per il reclutamento del personale dipendente e per l’instaurazione
dei rapporti di collaborazione” ( approvato dal c.d.a. in data 24 aprile 2018),
delle procedure di affidamento di incarichi professionali, e il non recepimento,
all’interno del l’art. 7 di tale regolamento “commissioni esaminatrici”, di
quanto suggerito dall’Organismo di vigilanza nel parere espresso in data 31
luglio 2017, e approvato dal c.d.a. il 1 agosto 2017, sui criteri di nomina
delle commissioni; assenza di trasparenza nelle procedure finalizzate alla
richiesta di sponsorizzazione della fondazione; abuso nell’utilizzo della
procedura di affidamento diretto anche nelle more dell’assenza dei requisiti di
unicità ed esclusività nei servizi offerti e la non chiarezza delle motivazioni
che inducono all’individuazione di tale procedura di aggiudicazione;
individuazione di soggetti affidatari direttamente da parte del direttore
generale dell’Afc e non già da parte del rup; assenza, nelle determine di
nomina, delle motivazioni che hanno condotto alla scelta dei commissari
delle commissioni esaminatrici; assenza dei riferimenti alle dichiarazioni di
assenza di conflitti di interessi e di cause di incompatibilità; assenza sul
sito della Fondazione dei curricula dei commissari. “Si tratta – spiega ancora
Liviano – di rilievi espressi dall’Organismo di vigilanza della stessa
fondazione Apulia film commission (che fa riferimento all’assessorato
all’Industria turistica e culturale presieduto dall’assessore Capone) nei
verbali di maggio e del 13 e del 18 luglio del 2018. Ecco – conclude
Liviano – di questi rilievi chiedo conto nella mia interrogazione (che si
allega)”. Pubblichiamo, di seguito, il testo dell’interrogazione a risposta
scritta indirizzata al presidente del Consiglio regionale, Mario Loizzo, e, per
conoscenza, al presidente della Giunta regionale, Michele Emiliano, nonché alla
Corte dei Conti.
«Premesso che
- l’Organismo di vigilanza (Odv) monocratico
della fondazione Apulia film commission (Afc), istituito ai sensi dell’art. 6
del decreto legislativo 231 del 2001 e rappresentato dal dott. Ernesto De Vito
il quale riveste anche la funzione di responsabile della prevenzione della
corruzione e trasparenza giusta nomina del cda di Afc del 27 marzo 2017;
– lo stesso organismo si è recentemente
riunito, tra l’altro, nelle date 21 maggio 2018, 13 luglio 2018 e 18 luglio
2018;
– in data 21/05/2018, nel verbale di
riunione, l’Odv ha segnalato un’assenza nella trasmissione dei seguenti flussi
informativi (con richiesta di invio immediato):
a) adempimenti presso le autorità pubbliche
di vigilanza e presso gli enti pubblici per l’ottenimento delle autorizzazioni,
abilitazioni, licenze, concessioni o provvedimenti simili attraverso un report
delle richieste di autorizzazioni e licenze presentate. L’Odv indica, altresì,
che il referente per l’invio di tali documenti è il direttore generale, che la
periodicità di invio sarebbe semestrale e che allo stato all’Odv non era mai
arrivato alcun flusso in merito;
b) rendicontazioni contributi, sovvenzioni e
finanziamenti erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dall’unione europea
attraverso un riepilogo delle rendicontazioni effettuate e segnalazioni di
eventuali anomalie o altre criticità. L’Odv indica altresì che il referente per
l’invio di tali documenti è l’ufficio gestione e rendicontazione progetti, che
la periodicità di invio sarebbe trimestrale e che allo stato all’Odv l’ultimo
flusso era pervenuto in data 05/05/2017;
c) sponsorizzazioni, partnership e rapporti
commerciali con soggetti privati attraverso un report su sponsorizzazioni,
partnership e rapporti commerciali con soggetti privati con indicazione degli
importi e dell’oggetto. L’Odv indica altresì che il referente per l’invio
di tali documenti è il direttore generale, che la periodicità di invio sarebbe
semestrale e che allo stato all’Odv non era mai arrivato alcun flusso in merito;
– in data 13/07/2018 nel verbale di riunione
l’Odv:
a) lamenta di non aver ancora ricevuto
il flusso informativo sulle sponsorizzazioni e partnership effettuate dalla
Fondazione;
b) esamina a campione l’accordo di
cooperazione per la realizzazione integrata di servizi pubblici finalizzati alla
valorizzazione, promozione e comunicazione della Puglia come destinazione
turistica e come industria culturale cinematografica sottoscritta in data
20/10/2017 tra la Fondazione Apulia Film Commission e l’Agenzia Regionale Puglia
Promozione con durata di tre anni a partire dall’accordo, esamina le schede
riepilogative delle spese effettuate a valere su detto accordo, chiede copia
delle determine del rup sulle spese di importo più rilevante con particolare
riferimento agli affidamenti diretti, e segnala l’assenza della
delibera del consiglio di amministrazione di autorizzazione alla realizzazione
di tale attività, nonostante la firma dell’accordo stesso da parte del
presidente consiglio di amministrazione;
c) prende atto che il nuovo “regolamento per
il reclutamento del personale dipendente e per l’instaurazione dei rapporti di
collaborazione”, approvato dal c.d.a. in data 24 aprile 2018, a differenza del
precedente regolamento per il reclutamento del personale non disciplina le
procedure di affidamento di incarichi professionali ma solo l’assunzione di
personale dipendente e l’instaurazione di rapporti di collaborazione e che
l’art. 7 di tale “commissioni esaminatrici”, non recepisce quanto suggerito
dall’Odv nel parere espresso in data 31 luglio 2017 e approvato dal c.d.a. il 1
agosto 2017 sui criteri di nomina delle commissioni.
d) fa richiesta al c.d.a di chiarire se
l’attuale regolamento per il reclutamento del personale ha abrogato quanto
deliberato il 01 agosto 2017 sui criteri di nomina delle commissioni o se tali
criteri sono ancora validi eventualmente integrando l’art. 7 e per quanto
riguarda l’affidamento degli incarichi professionali di stabilire se sia da
considerarsi ancora in vigore il precedente regolamento per la parte riferibile
a tali conferimenti di incarichi ovvero si proceda alla predisposizione di
un nuovo regolamento che vada a disciplinarli;
– in data 18/07/2018 nel verbale di riunione
l’Odv:
a) raccomanda di prevedere una procedura di
evidenza pubblica anche per le richieste di sponsorizzazione della Fondazione al
fine di rendere più trasparente l’individuazione dello sponsor e permettere ad
altri operatori economici di partecipare;
b) esamina a campione le modalità di
affidamento del servizio di accoglienza e ospitalità per l’evento “BIFeST 2018”
(per la quale è stato disposto l’avvio della procedura di affidamento diretto da
assegnare con il criterio del minor prezzo attraverso un’indagine di mercato
effettuata attingendo dall’elenco dei fornitori presente sulla piattaforma
regionale Empulia a seguito della quale sono stati individuati cinque operatori
idonei a soddisfare la domanda. Tra questi cinque operatori il servizio di
accoglienza e ospitalità è stato affidato alla ditta PROTEM COMUNICAZIONE SRLS).
Al fine di garantire l’integrità e la correttezza delle modalità di
presentazione delle offerte, l’Odv suggerisce o di inserire una password che
permetta l’apertura delle offerte dopo il termine di scadenza stabilito o che si
proceda tramite invio delle offerte in busta chiusa;
c) esamina a campione gli affidamenti diretti
di importo maggiormente rilevante assegnati all’interno dell’accordo di
cooperazione per la realizzazione di servizi volti alla promozione della Puglia
come destinazione turistica e come industria cinematografica tra Afc e
PugliaPromozione (già sopra riportato). In particolare esamina la
determina di affidamento diretto del 1/12/2017 all’associazione CHERLOVEKMAKAK
per servizi di promozione e marketing nell’ambito della fiera internazionale di
Mosca e la determina di affidamento diretto del 21/06/2018 alla stessa
associazione per servizi di promozione, organizzazione e allestimento. L’Odv
evidenzia che per tali affidamenti diretti la scelta dell’operatore è ricaduta
sempre sullo stesso fornitore, (così come per un precedente affidamento diretto
nell’ambito del progetto Riff 2017) e che dai servizi offerti non si evince
l’esclusività e l’unicità degli stessi. Inoltre esamina la determina di
affidamento diretto del 07/03/2018 alla SOCIETA’ COOP PASSO UNO
PRODUZIONI, sempre nell’ambito dell’accordo succitato. Rispetto a questo
affidamento diretto l’Odv rileva che, oltre a non rilevarsi dai servizi offerti
l’esclusività e l’unicità degli stessi, le procedure sono state adottate con
determinazioni del direttore generale e non con determinazione della
responsabile unica del procedimento (rup). L’Odv esamina anche la determina di
affidamento diretto dell’11/05/2018 al gruppo TERRAROSS e nella stessa data alla
società LE BUL snc. L’odv osserva che in entrambi i casi non è stato
adeguatamente motivato il ricorso all’affidamento diretto;
d) l’Odv esamina la nomina delle commissioni
di valutazioni da parte del Direttore Generale a partire dal 1 agosto 2017 data
in cui è stato ratificato il parere rilasciato dall’Odv. L’Odv rileva che nelle
determine di nomina dei componenti delle commissioni non sono riportate le
motivazioni che hanno condotto alla scelta dei commissari individuati da Apulia
film commission, che non sono riportati i riferimenti alle dichiarazioni di
assenza di conflitti di interessi e di cause di incompatibilità, che sul sito
della Fondazione non vi è evidenza dei curricula dei commissari.
CONSIDERATO che Dai verbali dell’Odv si
evince:
– l’assenza puntuale nella trasmissione
dei flussi informativi sopra indicati;
– l’assenza dell’autorizzazione da
parte del consiglio di amministrazione di Apulia Film Commission per
l’accordo di cooperazione per la realizzazione integrata di servizi pubblici
finalizzati alla valorizzazione, promozione e comunicazione della Puglia come
destinazione turistica e come industria culturale cinematografica sottoscritta
in data 20/10/2017 tra il presidente della Fondazione Apulia Film Commission e
l’Agenzia Regionale PugliaPromozione con durata di tre anni a partire
dall’accordo;
– l’assenza, all’interno del nuovo
“regolamento per il reclutamento del personale dipendente e per l’instaurazione
dei rapporti di collaborazione”, ( approvato dal c.d.a. in data 24 aprile 2018),
delle procedure di affidamento di incarichi professionali, e il non recepimento,
all’interno del l’art. 7 di tale regolamento “commissioni esaminatrici”, di
quanto suggerito dall’Odv nel parere espresso in data 31 luglio 2017 e
approvato dal c.d.a. il 1 agosto 2017 sui criteri di nomina delle commissioni;
– l’assenza di trasparenza nelle
procedure finalizzate alla richiesta di sponsorizzazione della fondazione;
– la frequenza nell’utilizzo della
procedura di affidamento diretto anche nelle more dell’assenza dei requisiti di
unicità ed esclusività nei servizi offerti e la non chiarezza delle motivazioni
che inducono all’individuazione di tale procedura di aggiudicazione;
–
l’individuazione di soggetti affidatari direttamente da parte del
direttore generale dell’Afc e non già da parte del rup;
– l’assenza nelle determine di nomina, delle
motivazioni che hanno condotto alla scelta dei commissari delle commissioni
esaminatrici, l’assenza dei riferimenti alle dichiarazioni di assenza di
conflitti di interessi e di cause di incompatibilità, l’assenza sul sito della
Fondazione dei curricula dei commissari;
Il sottoscritto Gianni Liviano nella sua
qualità di consigliere regionale CHIEDE alle SS.VV di fornire chiarimenti in
merito alle eccezioni sollevate dall’Odv e indicate nella presente
interrogazione».
Dopo l’AFC anche Pugliapromozione nel
ciclone per affidamenti diretti.
Liviano: “Chi c’è dietro la Protem?”, scrive il 26 settembre 2018 Telerama News.
Non c’è solo l’Apulia Film Commission a generare dubbi e sollevare polveroni per
l’affidamento diretto di incarichi senza passare da procedure pubbliche. Nel
mirino ora finisce anche Puglia Promozione, agenzia satellite della Regione
Puglia. Nel primo caso a finire sotto la lente dell’Organismo di vigilanza
interno di Apulia, e poi in una interrogazione e in una segnalazione alla Corte
de Conti da parte del consigliere tarantino Gianni Liviano, sono stati gli
incarichi per 37mila euro conferiti alla Protem Comunicazione per servizio
accoglienza al Bi&Fest, e ripetuti affidamenti diretti alla Cherlovek makak,
anch’essa di Lecce. Perché tanti e tutti diretti? Si chiede l’organismo di
vigilanza. E la stessa domanda ora viene posta a Puglia Promozione. Con la
specifica che dal 2016 al 2018 le cifre salgono e gli affidamenti diretti
avrebbero superato anche l’ostacolo della soglia dei 40mila euro. A fare due
conti sempre Liviano. E così, dai dati aggregati, risulterebbe che in due anni:
l”88% di bandi si sarebbero chiusi con affidamenti diretti. Per la
precisione 590 affidamenti per un valore di 11 milioni 110mila euro. Ma non
solo: ci sarebbero anche 43 procedure negoziate previa pubblicazione del bando
per un totale di euro 1 milione 648 mila euro, procedure senza bando per
ulteriori 2 milioni di euro e altre varie procedure dello stesso tenore. In più
alcune società come la Protem e la società Salento d’Amare che orbita sempre nel
raggio della prima, risultano destinatarie di affidamenti. Di qui le nuove
richieste di Liviano: “Considerato che in molti casi non sono indicati i nomi
beneficiari degli affidamenti, che l’importo massimo consentito per questo tipo
di procedura – 40mila euro – è stato superato spesso, che oltre alle due società
già citate risultano essere stati assegnati fondi anche a associazioni datoriali
come Confindustria e Confartigianato, perché si è agito così? E, chiude Liviano,
“il rappresentante legale della Protem è vicino a personaggi impegnati nella
politica?”. Intanto i vertici di Pugliapromozione difendono l’operato
dell’agenzia spiegando che gli affidamenti diretti sono possibili. Che le scelte
fatte hanno seguito le disposizioni normative, che la quasi totalità degli
affidamenti diretti ha seguito procedure comparative. E che sarà tutelato il
nome dell’agenzia.
Appalti, Pugliapromozione: affidamenti a
società Protem senza gara. Dopo i
rilievi su Apulia Film Commission. Ex assessore Gianni Liviano: «Nell'agenzia il
92% di contratti senza gara», scrive Massimiliano Scagliarini il 27 Settembre
2018 su "La Gazzetta del Mezzogiorno". Dal 2016 a oggi la società leccese Protem
ha beneficiato da parte di Pugliapromozione di cinque affidamenti per un totale
di 135mila euro, quattro dei quali senza gara. Un altro affidamento per 20mila
euro (con gara) è andato alla Salento D’Amare, riconducibile a Massimiliano
Torricelli, lo stesso amministratore della Protem. Dopo il caso degli appalti
alla Apulia Film Commission, sollevato dall’Organo di vigilanza e amplificato da
un esposto dell’ex assessore Gianni Liviano, la Protem spunta pure in un’altra
delle agenzie regionali riconducibili al mondo della cultura. E la politica,
specie quella salentina, rumoreggia. Torricelli è figlio dell’ex consigliere
comunale del Pd di Lecce, Antonio, recentemente coinvolto nell’indagine sulle
case popolari, uomo vicinissimo all’attuale assessore alla Cultura, Loredana
Capone. In Protem ha lavorato come art director (non è un segreto: il suo
curriculum è pubblicato su Linkedin) anche Antonio Martella, che tutti ricordano
in Regione nella segreteria della Capone nell’assessorato allo Sviluppo
economico, dove si occupava dei rapporti con le Camere di commercio
pugliesi. Liviano, ex assessore alla Cultura, fatto fuori da Emiliano proprio
per via di un affidamento diretto alla società di un suo amico, ieri ha
presentato una seconda interrogazione incentrata proprio sugli affidamenti
diretti in Pugliapromozione e sul ruolo di Protem. Ne emerge che dal 2016 a
venerdì scorso l’agenzia regionale per il turismo ha effettuato 590 affidamenti
diretti, pari all’88% degli affidamenti totali, per 11 milioni di euro, pari al
70% di quanto complessivamente speso. Se si aggiungono le 63 procedure
negoziate, si sale al 92% della spesa totale effettuata senza procedura di gara.
«L’importo massimo di 40.000 euro per l’affidamento diretto risulta essere
superato in svariate circostanze - secondo Liviano - e alcune società, come
Protem e Salento d’Amare, risultano essere destinatarie svariate volte di
affidamenti diretti». «Il consigliere Liviano ha preso una cantonata - risponde
il direttore generale Matteo Minchillo - anche le procedure sotto soglia hanno
avuto contenuto comparativo, quegli affidamenti diretti con unico partecipante
sono motivati dal fatto che si tratta di attività in continuazione rispetto ad
altre attività affidate con procedura comparativa. Ma siamo comunque molto
lontani dall’80% di cui parla Liviano».
"Affidamenti diretti". L' attacco di
Liviano a PugliaPromozione finirà in Tribunale,
scrive il 28 settembre 2018 "Il Corriere del Giorno". Puntuale ed immediata la
replica di Matteo Minchillo direttore generale di PugliaPromozione: “Nessun caso
appalti. Le affermazioni del consigliere regionale Giovanni Liviano che
riguardano i bandi e gli affidamenti diretti di PugliaPromozione sono false,
appaiono strumentali e sono fortemente lesive dell’immagine dell’Agenzia
regionale PugliaPromozione. Per questo l’Agenzia intraprenderà ogni azione
possibile per tutelare il proprio operato”. Nella sua interrogazione il
consigliere regionale del Gruppo Misto (eletto nelle liste di Emiliano) , il
tarantino Gianni Liviano si chiede “Perché PugliaPromozione ha fatto un
uso diffuso dell’istituto dell’affidamento diretto anche per importi superiori
ai 40mila euro? E quali sono le ragioni per le quali risultano ancora aperte
procedure del 2017 oltre che del 2018 e quali le ragioni per cui spesso non sono
indicati i nomi delle società aggiudicatarie dei bandi?”. Questi alcuni dei
quesiti alla base dell’interrogazione che il consigliere regionale ha
indirizzato al presidente del Consiglio regionale, Mario Loizzo, e per
conoscenza al presidente della Giunta regionale, Michele Emiliano, ed
all’ Anac l’ Autorità nazionale anticorruzione. Un’interrogazione molto
dettagliata quella di Liviano che quanto riguarda l’attività
di PugliaPromozione, l’agenzia regionale per la promozione turistica pugliese
che punta a fare chiarezza su diversi punti. Tra le contestazioni evidenziate
da Liviano nella sua interrogazione il fatto “che alcune società, a mero titolo
esemplificativo si cita la società Protem srl e la società Salento d’amare,
risultano essere svariate volte destinatarie di affidamenti diretti e che
risultano essere destinatari di fondi alcune associazioni datoriali,
Confindustria Lecce e Confartigianato Lecce”. Una nostra fonte interna alla
società di promozione regionale, racconta che la rabbia di Livianosarebbe
esplosa dopo i ripetuti rifiuti del vertice di Puglia Promozione ad assumere
l’addetto stampa del consigliere regionale, sin dai tempi in cui era assessore
al turismo, incarico da cui dovette dimettersi dopo aver assegnato un contratto
ad un suo sostenitore elettorale. Puntuale ed immediata la replica di Matteo
Minchillo direttore generale di PugliaPromozione : “Nessun caso appalti. Le
affermazioni del consigliere regionale Giovanni Liviano che riguardano i bandi e
gli affidamenti diretti di PugliaPromozione sono false, appaiono strumentali e
sono fortemente lesive dell’immagine dell’Agenzia regionale PugliaPromozione.
Per questo l’Agenzia intraprenderà ogni azione possibile per tutelare il proprio
operato”. Minchillo evidenzia invece come “PugliaPromozione procede secondo la
legge, con bandi e procedure ad evidenza pubblica» e precisa che “non è vero
affatto che il 92 per cento delle attività dell’agenzia sono state assegnate con
affidamento diretto; lo stesso Liviano parla di 670 bandi, il che vuol dire che
a monte dell’affidamento esiste sempre una procedura ad evidenza pubblica. La
polemica dunque del consigliere è finalizzata a generare l’idea, da lui
affermata, che PugliaPromozione eroghi risorse a pioggia senza procedure
comparative. È questo il dato falso che lede l’immagine di PugliaPromozione le
cui procedure sono invece assistite da trasparenza e correttezza, oltre che nel
rispetto delle norme del codice”. Il direttore dell’Agenzia Regionale del
Turismo pugliese ricorda inoltre che il Collegio dei Revisori dei Conti “non ha
mai mosso rilievi, così come gli organi di controllo europei, che hanno
certificato la spesa, validando le procedure. Il consigliere Liviano riporta
dati confusi e mischiati e definisce affidamenti diretti quelli che sono quasi
sempre atti di conclusione di procedure di evidenza pubblica. Ora, come quando
lui era Assessore al Turismo. I reali affidamenti diretti nel 2018, per esempio,
sono solo due. Se il consigliere Liviano avesse richiesto all’Agenzia le
informazioni di cui aveva bisogno, gli sarebbero state prontamente fornite”.
Minchillo elenca alcuni numeri abbastanza significatici ed indicativi: “Ai bandi
e alle procedure di evidenza pubblica hanno partecipato centinaia di imprese e
di associazioni: dal 2016 al 2018 sono stati 909 i partecipanti a Inpuglia
365 fra imprese, associazioni e comuni per un totale di 3 milioni 627.541 euro.
Dal 2017 ad oggi sono stati 216 i partecipanti al bando per gli infopoint per un
totale di 2 milioni 407mila euro; persino sugli
educational Pugliapromozione effettua avvisi pubblici, perché riteniamo che
attraverso una sana competizione tra i territori si può ottenere una migliore
promozione dell’intera Puglia. Perciò – conclude la nota – le accuse lanciate
dal consigliere appaiono doppiamente lesive dell’immagine dell’Agenzia, della
Regione e dell’intera Puglia con il suo comparto turistico”.
Liviano attacca, PugliaPromozione
risponde. Il consigliere: "Si sta accontentando tutti". La replica: "Falso!"
Scrive il 27 settembre 2018 "Il Corriere di Taranto". “Perché PugliaPromozione
ha fatto un uso diffuso dell’istituto dell’affidamento diretto anche per importi
superiori ai 40mila euro? E quali sono le ragioni per le quali risultano ancora
aperte procedure del 2017 oltre che del 2018 e quali le ragioni per cui spesso
non sono indicati i nomi delle società aggiudicatarie dei bandi?”. Sono solo
alcuni dei quesiti alla base dell’interrogazione che il consigliere regionale
del Gruppo Misto, Gianni Liviano, ha indirizzato al presidente del Consiglio
regionale, Mario Loizzo, e per conoscenza al presidente della Giunta
regionale, Michele Emiliano, nonché al responsabile dell’Anac. Questa volta è
l’attività di PugliaPromozione, agenzia regionale per la promozione turistica, a
finire sotto la lente di ingrandimento del consigliere Liviano.
Un’interrogazione molto dettagliata per quanto riguarda l’attività di
PugliaPromozione e che punta a fare chiarezza su diversi punti. “Al di là della
dimensione etica dell’intera vicenda che segnalo nella mia interrogazione –
spiega Liviano -, il ricorso agli affidamenti sotto soglia significa che, così,
si sta accontentando un po’ tutti e che, quindi, alla base non c’è un vero
progetto nè una programmazione degna di tal nome”. Altri punti evidenziati
nell’interrogazione, il fatto che alcune società risultano essere svariate volte
beneficiare di affidamenti diretti e che risultano essere destinatari di fondi
anche associazioni datoriali. Di qui la risposta del Direttore generale di
Pugliapromozione Matteo Minchillo: “Nessun ‘caso appalti’ in Pugliapromozione.
Le affermazioni del consigliere regionale Giovanni Liviano che riguardano i
bandi e gli affidamenti diretti di Pugliapromozione sono false, appaiono
strumentali e sono fortemente lesive dell’immagine dell’Agenzia regionale
Pugliapromozione. Per questo l’Agenzia intraprenderà ogni azione possibile per
tutelare il proprio operato. Pugliapromozione procede secondo la legge, con
bandi e procedure ad evidenza pubblica. Non è vero affatto che il 92 per cento
delle attività dell’agenzia sono state assegnate con affidamento diretto; lo
stesso Liviano parla di 670 bandi, il che vuol dire che a monte dell’affidamento
esiste sempre una procedura ad evidenza pubblica. La polemica dunque del
consigliere è finalizzata a generare l’idea, da lui affermata, che
Pugliapromozione eroghi risorse a pioggia senza procedure comparative. E’ questo
il dato falso che lede l’immagine di Pugliapromozione le cui procedure sono
invece assistite da trasparenza e correttezza, oltre che nel rispetto delle
norme del codice. Ciò emerge chiaramente dal sito di Pugliapromozione su cui
sono pubblicate tutte le determine delle procedure ad evidenza pubblica, tra cui
bandi ed avvisi. D’altronde il Collegio dei Revisori dei Conti non ha mai mosso
rilievi, così come gli organi di controllo europei, che hanno certificato la
spesa, validando le procedure. Il consigliere Liviano riporta dati confusi e
mischiati e definisce affidamenti diretti quelli che sono quasi sempre atti di
conclusione di procedure di evidenza pubblica. Ora, come quando lui era
Assessore al Turismo. I reali affidamenti diretti nel 2018, per esempio, sono
solo due. Se il consigliere Liviano avesse richiesto all’Agenzia le informazioni
di cui aveva bisogno, gli sarebbero state prontamente fornite in modo completo e
probabilmente non avrebbe inteso le definizioni associate ai Cig (codici
identificativi di gara), presenti sul DMS, come reali “affidamenti diretti”, ma
come atti conclusivi delle procedure selettive, come realmente sono. Del resto è
noto, invece, anche a tutti agli organi di stampa che ne hanno dato ampia
diffusione, che ai bandi e alle procedure di evidenza pubblica di
Pugliapromozione – Inpuglia 365, infopoint, co-branding, educational,
media Planning – hanno partecipato centinaia di imprese e di associazioni: dal
2016 al 2018 sono stati 909 i partecipanti a Inpuglia 365 fra imprese,
associazioni e comuni per un totale di 3 milioni 627.541 euro. Dal 2017 ad
oggi sono stati 216 i partecipanti al bando per gli infopoint per un totale di 2
milioni 407mila euro; persino sugli educational Pugliapromozione effettua avvisi
pubblici, perché riteniamo che attraverso una sana competizione tra i territori
si può ottenere una migliore promozione dell’intera Puglia. E questo solo per
fare alcuni esempi. Per ottenere le risorse di Pugliapromozione, insomma,
concorrono i comuni, le imprese, le agenzie perché più ampia é la partecipazione
e più si va verso la qualità delle proposte selezionate. Questo è stato
l’indirizzo dell’Assessorato al Turismo e questa la strategia contenuta nel
Piano strategico del Turismo. Perciò le accuse lanciate dal consigliere appaiono
doppiamente lesive dell’immagine dell’Agenzia, della Regione e dell’intera
Puglia con il suo comparto turistico”.
Questo, invece, il testo
dell’interrogazione di Gianni Liviano:
“PREMESSO
– che come si evince dal sito
agenziapugliapromozione,it, nella pagina indicata come bandi di gara e
contratti: informazioni sulle singole procedure in formato tabellare, l’agenzia
regionale Pugliapromozione ha aggiudicato nel periodo dal 1/1/2016 al 21/9/2018
un numero pari a 670 bandi per un ammontare complessivo di euro 15.833.225,22;
– che tali bandi sono stati così ripartiti:
1. anno 2018 n. 182 per un ammontare
complessivo di euro 5.550.873,11;
2. anno 2017 n. 362 per un ammontare
complessivo di euro 8.191.098,00;
3. anno 2016 n. 126 per un ammontare
complessivo di euro 2.141.254,11;
– che nell’anno 2018 i bandi sono stati
aggiudicati secondo le seguenti procedure:
1. n. 159 AFFIDAMENTI IN ECONOMIA:
AFFIDAMENTI DIRETTI per un totale di euro 2.598.452;
2. n. 1 PROCEDURA risultante ancora APERTA
per un totale di euro 408.900,00;
3. n. 2 PROCEDURE NEGOZIATA PREVIA
PUBBLICAZIONE DEL BANDO per un totale di euro 269.881,14;
4. n. 19 PROCEDURE NEGOZIATE SENZA
PUBBLICAZIONE DEL BANDO per un totale di euro 2.003.639,63;
5. n 1 PROCEDURA NEGOZIATA DERIVANTE DA
AVVISI CON CUI SI INDICE LA GARA per un totale di euro 220.000,00;
– che nell’anno 2017 i bandi sono stati
aggiudicati secondo le seguenti procedure:
1. n. 321 AFFIDAMENTI IN ECONOMIA.
AFFIDAMENTI DIRETTI per un totale di euro 6.902.811,00;
2. n.1 PROCEDURA risultante ancora APERTA per
un totale di euro 9.049,00;
3. n. 38 PROCEDURE negoziate PREVIA pubbl.
bandi per un totale di euro 1.054.147,11;
4. n. 2 PROCEDURE ristrette derivanti da
AVVISI con cui si indice la gara per un totale di euro 228.722,00;
– che nell’anno 2016 i bandi sono stati
aggiudicati secondo le seguenti procedure:
1. 110 AFFIDAMENTI IN ECONOMIA: AFFIDAMENTI
DIRETTI per un totale di euro 1.606.119,95;
2. n. 2 AFFIDAMENTI IN ECONOMIA: COTTIMO
FIDUCIARIO per un totale di euro 28.000;
3. n. 3 PROCEDURE NEGOZIATE PREVIA
PUBBLICAZIONE BANDO per un totale di euro 324.197,00;
4. N. 10 PROCEDURE RISTRETTE per un totale di
euro 171.063,16;
5. N. 1 PROCEDURE NEGOZIATE SENZ A
pubblicazione di bando per un totale di euro 11.875;
che pertanto nel triennio considerato, i dati
risultano così aggregati:
1. n. 590 AFFIDAMENTI DIRETTI (88,05% dei
bandi complessivi) per un totale di euro 11.110.383,29 euro (pari al 70%
dell’importo complessivo erogato);
2. n. 43 PROCEDURE NEGOZIATE PREVIA
PUBBLICAZIONE BANDO (6,42% deibandi complessivi) per un totale di euro 1.648.225
(pari al 10,41%);
3. n. 20 PROCEDURE NEGOZIATE SENZA
PUBBLICAZIONE BANDO (2,98%) per un totale di euro 2.015.514,63 (pari al 12,73%);
4. n. 3 PROCEDURE NEGOZIATE DERIVANTI DA
AVVISI CON CUI SI INDICE LA GARA per un totale di euro 428.722,00;
5. n. 10 PROCEDURE RISTRETTE per un totale di
euro 171.063,16;
6. n. 2 AFFIDAMENTI A COTTIMO FIDUCIARIO per
un totale di euro 28.000;
7. n. 2 PROCEDURE NEGOZIATE DERIVANTI DA
AVVISI CON CUI SI INDICE LA GARA per un totale di euro 428.722;
8. n. 2 PROCEDURE APERTE per un totale di
euro 417.949,00.
CONSIDERATO:
– che in molti casi non sono indicati sul
sito i nomi di soggetti di impresa beneficiari di affidamenti diretti o di
procedure negoziate previa pubblicazione dei bandi;
– che l’importo massimo di 40.000 per
l’affidamento diretto risulta essere superato in svariate circostanze;
– che alcune società (a mero titolo
esemplificativo si cita la società Protem srl e la società Salento d’amare)
risultano essere svariate volte destinatarie di affidamenti diretti;
– che risultano essere destinatari di fondi
alcune associazioni datoriali (Confindustria Lecce e Confartigianato Lecce
p.e.s);
CHIEDE ALLA S.V.
– di conoscere le ragioni per cui sono state
adottate queste modalità nell’aggiudicazione dei bandi;
– in particolare le ragioni per cui si è
fatto un utilizzo così diffuso dell’istituto dell’affidamento diretto anche per
importi superiori a 40.000;
– se il rappresentante legale della società
Protem è persona vicina a personaggi impegnati nel mondo della politica;
– quali sono le ragioni per cui risultano sul
bando ancora aperte procedure nel 2017 (oltre che del 2018);
– quali sono le ragioni per cui nel sito non
sono spesso indicati i nomi delle società aggiudicatarie dei bandi”.
Il capogruppo di FI in Consiglio regionale, Rocco Palese, ha rilasciato la
seguente dichiarazione: "Il Sindacato lavoratori della Comunicazione (Slc)
aderente alla Cgil concorda come noi sull'illegittimità ed inutilità del
progetto “Puglia Night Parade” 2008, puntando il dito accusatore sui benefici e
sui ritorni dell'iniziativa tanto decantati dall'accoppiata Ostillio-Vendola,
mente e braccio del più colossale spreco di denaro pubblico che la storia
regionale ricordi e rileva che dei 6 milioni di euro della spesa prevista, solo
il 5% (300.000 euro) andrà agli artisti pugliesi, mentre la parte da leone la
faranno artisti di fama nazionale ed internazionale, il cui “peso" nel cast
individuato è pari all'88%.
"Per giorni ho resistito alla tentazione di chiamare giornali e tv per dire ciò
che penso sulla questione Notti Bianche regionali; ma essendo venuto a
conoscenza di troppi particolari, non posso che gridare Vergogna! - Questo dice
Mauro Arnesano, della “Notte Bianca” di Lecce... quella vera! - Per due anni
consecutivi ho organizzato a Lecce l’evento “Notte Bianca”, che ha coinvolto
ogni volta circa 300.000 persone, consentendo a chiunque ha voluto aderire
la possibilità di esserci, di farsi conoscere, di divertirsi. Il tutto è
stato sempre organizzato CON IL SOLO CONTRIBUTO DI PRIVATI, SENZA RICEVERE UN
SOLO EURO NE’ DALLA REGIONE PUGLIA, NE’ DAL COMUNE DI LECCE, NE’ DALLA PROVINCIA
DI LECCE. Le richieste di contributo non hanno avuto neanche l'onore di una
risposta, sarebbe costata al massimo 60 centesimi di francobollo".
Oggi la Regione Puglia spende circa 6 MILIONI di Euro, di danari di tutti, per
organizzare un evento “Le Notti Bianche Regionali”, il corrispondente
dell’intera somma prevista per la cultura regionale nel quinquennio 2007-2013.
Io, nell’organizzare la Notte Bianca a Lecce, ho scelto una strategia
completamente diversa: ho preferito 57 eventi gratuiti dislocati in tutta la
città, coinvolgendo anche le periferie fino alle più tarde ore possibili
(mission dell'evento, far vivere i luoghi della città di notte); ho scelto di
promuovere gli artisti locali (che rappresentavano il 90% dell’offerta
culturale), anziché pagare solo quelli di fuori; ho coinvolto nell’apertura gli
esercizi commerciali, ma anche musei, luoghi di interesse
architettonico e culturale, Università, Fondazioni, Enti, Associazioni di
volontariato, culturali etc etc. Ho scelto un periodo morto, quando “non gira
una lira”, ed ho saputo offrire il tutto esaurito ad alberghi, Ristoranti, Bar,
Pub, bed and breakfast ed anche alle Ferrovie dello Stato sulla tratta
Roma-Lecce. Dopo tutto questo bel lavoro (che è stato possibile solo grazie alla
collaborazione dei volontari, che non hanno preso un Euro ed hanno lavorato
notte e giorno, con me per primo), qualcosa però abbiamo ricevuto dalla Regione,
il patrocinio GRATUITO del Presidente della Regione Vendola e
dell'assessore Godelli: come si direbbe volgarmente in gergo, “se è gratis,
ungimi tutto”….
Regione Puglia. L' assessore Capone querela il consigliere regionale Gianni
Liviano,
scrive Il Corriere del Giorno il 24 ottobre 2018. Anche l’ agenzia
Pugliapromozione si riserva di procedere con ogni azione possibile a tutela
della sua immagine., nei confronti del consigliere regionale tarantino del
Gruppo misto, Gianni Liviano. “Dietro un’agenzia come questa, ci sono persone
che ogni giorno si impegnano con passione e responsabilità, gestiscono fondi
pubblici per la promozione turistica del territorio, con risultati che sono
sotto gli occhi di tutti, e sono profondamente colpite da affermazioni del tutto
infondate che discreditano l’onorabilità personale e dell’ente”. Il consigliere
regionale tarantino del Gruppo misto, Gianni Liviano, che è stato per un
brevissimo periodo anche assessore della Giunta Emiliano, essendo stato eletto
in una delle liste civiche a supporto della candidatura a Governatore di Michele
Emiliano, non si dà pace e continua a generare sospetti sugli appalti
dell’ agenzia regionale Pugliapromozione, attaccando l’assessore regionale alla
Cultura e turismo, Loredana Capone (la quale ha sostituito proprio Liviano dopo
le sue dimissioni alla guida dell’ assessorato) accusandola di aver
favorito alcuni soggetti, nella gestione dei fondi pubblici sul turismo. Quegli
stessi fondi per cui il consigliere regionale tarantino a suo tempo dovette
dimettersi. Il consigliere regionale tarantino ieri mattina in una conferenza
stampa ha sostenuto che le sue sei interrogazioni relativamente alle partecipate
regionali Pugliapromozione, Apulia Film Commission e Teatro Pubblico
Pugliese sarebbero tutte rimaste senza risposta . Nelle sue
interrogazioni Liviano poneva tutta una serie di interrogativi in relazione ad
assunzioni, nomine dei componenti esterni, bandi e finanziamenti rivolgendosi
anche al presidente del consiglio regionale, Mario Loizzo, ed al presidente
della Giunta regionale, Michele Emiliano, chiedendo se i bandi di gara
contenessero requisiti ed elementi di valutazione obiettivi che garantiscano a
chiunque partecipi pari opportunità e assenza di “valutazione privilegiata“.
Liviano ha insistito ieri in particolare su un punto evidenziando “l’adozione
con frequenza inaudita dell’affidamento diretto nella erogazione di fondi da
parte delle partecipate regionali”. Livianoha chiesto inoltre “per quale ragione
sono sempre frequenti i nominativi di alcune società e per quali ragioni alcune
aziende risultano appartenenti sempre alle stesse persone, in una sorta di
meccanismo a scatole cinesi. Vorrei anche sapere se è vero che alcune persone
che hanno lavorato negli anni con l’assessore Capone sono dipendenti, hanno o
hanno avuto delle prestazioni lavorative con alcune di queste società“. Non
contento delle gravi accuse mosse al termine della conferenza stampa Liviano ha
voluto anche polemizzare con il presidente Emiliano: “Ha parlato di sforzo da
parte dell’Agenzie di superare le rigidità burocratiche e mi fa specie che un
presidente della Regione, per di più magistrato, immagini che le leggi siano
delle rigidità burocratiche, ma comprendo che a seconda dell’opportunità del
momento valga tutto ed il contrario di tutto“. Con una nota l’assessore
regionale alla Cultura e al Turismo Loredana Capone oltre ad annunciare delle
azioni legali, ha replicato alle gravi affermazioni odierne del consigliere
regionale Gianni Liviano: “Il consigliere Liviano ha varcato ogni limite di
tolleranza e di pazienza. Sino a quando si esercitano le legittime prerogative
del consigliere rispetto all’azione amministrativa della Giunta e degli
Assessori è un discorso, ma quando la critica politica si trasforma, come in
questo caso, in gravissime illazioni e si attaccano direttamente le persone,
allora non può essere tollerata, specie da chi, come me, ha sempre improntato il
proprio operato all’onestà, alla legittimità ed alla correttezza dei
comportamenti. Sono costretta, pertanto, ad intraprendere ogni azione
giudiziaria, civile e penale nei confronti del consigliere Liviano a tutela del
mio buon nome, del mio operato e dell’immagine dell’Assessorato che
rappresento“. L’ assessore Capone prosegue nella sua nota: “In merito alle
7 interrogazioni del consigliereGiovanni d’Arcangelo Liviano nonostante ne
abbia appreso l’esistenza dai suoi comunicati stampa, ho chiesto subito alle
agenzie regionali, Pugliapromozione, Apulia Film Commission eTeatro Pubblico
Pugliese, di fornirmi una dettagliata relazione in merito alle richieste e alle
osservazioni del consigliere, impegnando su ogni opportuna verifica anche il
dirigente della sezione competente“. La Capone conclude la sua nota precisando
inoltre che “Ho già inoltrato le risposte alle prime interrogazioni
inerenti il Teatro Pubblico Pugliese ed Apulia Film Commission ed attendo il
completamento dell’istruttoria di Pugliapromozione per inoltrare le altre“. A
confutare le gravi accuse di Liviano, anche una nota di Matteo
Minchillo Direttore Generale di Pugliapromozione: “Il Consigliere D’Arcangelo
Liviano è confuso e dice cose incoerenti con la realtà. Oggi in conferenza
stampa è tornato a parlare delle presunte irregolarità relative
all’aggiudicazione dei bandi di Pugliapromozione. Sostiene, infatti, che dei 670
«bandi» di Pugliapromozione, 590 sarebbero affidamenti diretti. Ha detto bene:
bandi. Il che vuol dire che il consigliere sa che a monte dell’affidamento
esiste sempre una procedura ad evidenza pubblica. Perché le definizioni
associate ai Cig (codici identificativi di gara), presenti sulla
piattaforma DMS(Destination Management System), non sono sempre “affidamenti
diretti», ma soprattutto atti conclusivi di procedure selettive“. “Le sue
illazioni – prosegue la nota di Matteo Minchillo– sono sconfessate dai
dati. Dal 2016 al 2018 gli affidamenti diretti sono stati solo il 7,6% del
totale, le gare il 78,6% mentre il 13,8% affidamenti ad esclusivisti (Fiera di
Rimini, Fiera di Milano Bit, ecc.). Per quanto riguarda l’avvicendamento delle
imprese affidatarie, su cui Liviano mostra delle perplessità, un dato per
tutti: dal 2012 la percentuale di rotazione è di oltre 70%. D’altra parte il
consigliere Liviano afferma che negli affidamenti diretti «il più gettonato»
sarebbe un gruppo di società; di fatto gli affidamenti alle società di tale
gruppo incidono sul monte totale nell’ultimo triennio per lo 1,86%“.
“Puntualmente l’Agenzia sta ultimando le relazioni richieste dall’Assessore in
riscontro alle interrogazioni del Consigliere Liviano a cui sarà data risposta
in sede di Consiglio regionale. – conclude la nota del Direttore
Generale Minchillo. “Nel frattempo l’Agenzia Pugliapromozione si riserva di
procedere con ogni azione possibile a tutela della sua immagine. Dietro
un’agenzia come questa, ci sono persone che ogni giorno si impegnano con
passione e responsabilità, gestiscono fondi pubblici per la promozione turistica
del territorio, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti, e sono
profondamente colpite da affermazioni del tutto infondate che discreditano
l’onorabilità personale e dell’ente”.
Striscia la Notizia 24 novembre 2018 il servizio di Pinuccio sull’appaltopoli
pugliese. Pinuccio intervista l’Avv. Loredana Capone, Assessore Turismo e
Cultura della Regione Puglia.
Pinuccio all’esterno sulla spiaggia: Carissimi amici ritorniamo a parlare di
appalti in Puglia. Qualche tempo fa vi abbiamo fatto vedere alcune società con
nomi di fantasia: Polpo, Pasticiotto, Riccio che erano tutte collegate alle
stesse persone...ad una stessa società, che si chiama Protem. Abbiamo cominciato
a fare questi servizi perché l’organo interno di valutazione della Regione aveva
sollevato alcuni dubbi rispetto alla rotazione delle aziende che vincevano
appalti, soprattutto in alcuni settori: quelli della Cultura e del Turismo. A
questo punto andiamo a parlare con l’assessore che si occupa di turismo e
cultura per avere dei chiarimenti. No Sabino?
Sabino: sono emozionato.
Capone: Gli affidamenti diretti sono una percentuale minima, mediamente il 7, 6%
nel corso del triennio. Il resto sono procedure di gare o procedure negoziate.
Pinuccio: anche sulle procedure negoziate, diciamo, non è proprio trasparente il
sito. Perché diciamo che nella procedura negoziata io vorrei sapere chi
partecipa.
Capone: appunto è tutto qui guardi.
Pinuccio: E sì però non è online.
Pinuccio all’esterno: l’organo di valutazione interna dice un fatto, lei ne dice
un altro.
Sabino: se la vedessero loro.
Pinuccio all’esterno: se la vedessero loro, però poi ci sono state anche delle
interrogazioni che hanno sollevato alcuni dubbi all’interno dell’assegnazione
dei bandi di “Puglia Promozione”, che è quest’ente che si occupa di turismo che
dipende sempre dallo stesso assessorato. E si sono fatte, anche, in queste
interrogazioni dei nomi. Dei nomi di persone che sono di Protem, questa società,
e che però vengono accostate alla Capone. Ovvero: Conte e Martella. Li conosci
Sabino?
Sabino: non li conosco…(parafrasando Mina)
Pinuccio all’esterno: però queste persone vengono taggate nelle foto della
Capone in campagna elettorale. Sai che vuol dire?
Sabino: non conosco questo tago.
Pinuccio all’esterno: no, taggato vuol dire ti taggo, così poi magari vieni,
vieni a vedere, così il fatto. Queste due persone l’assessore le conosce.
Pinuccio: è curioso, è una coincidenza vedere che alcuni dello staff elettorale
che l’hanno appoggiata anche in campagna elettorale si trovano a lavorare in
queste aziende.
Capone: una cosa sono le coincidenze, una cosa è la legalità. Per noi vale la
legge. E non ci sono coincidenze che tengano.
Pinuccio: diciamo che è gente che lei può avere incontrato come ha incontrato
migliaia di persone.
Pinuccio all’esterno: Sabino, allora sarà pure una coincidenza che ha fatto la
testimone di nozze a Martella insieme a Conte.
Sabino: sicuro?
Pinuccio all’esterno: e che cosa ti devo dire.
Capone: quando lei ha fatto il servizio che io ho visto e di cui la ringrazio,
ho chiesto subito chiarimenti a Puglia Promozione e devo dire anche all’ufficio,
perchè potesse fornirmi, diciamo, delucidazioni, rispetto a queste aziende che
sembrano collegate dal suo…
Pinuccio: parliamo del gruppo Protem. Sono collegate. Sono le stesse persone del
gruppo di amministrazione.
Capone: ecco. Questi chiarimenti sono stati forniti con una nota che abbiamo
depositato, proprio in risposta anche all’interrogazione, che poi il giorno dopo
è stata fatta. Ed emerge come la procedura è stata fatta nella piena legalità.
Se ci sono, come dire, delle elusioni della norma, di quello si tratterebbe. Ben
venga che magari ci sia un regolamento ancora più intransigente. Ancora più,
come dire, stringente, relativamente a questa opportunità. Però sempre
rispettando il codice degli appalti, perché altrimenti avremmo il caso
contrario. Avremmo il ricorso da parte delle imprese.
Pinuccio: qua si parla di opportunità.
Pinuccio all’esterno: Un’altra coincidenza è che del gruppo Protem, di queste
società, uno dei soci che vediamo spesso è Gabriele Torricelli, che è il vice
segretario cittadino di Lecce del PD. Sabino questo lo deve conoscere per forza.
Sabino: io non ti conosco…
Capone: io conosco Torricelli Gabriele senz’altro. Sta ne PD. Io sono del PD ed
ovviamente sono assessore regionale che è eletta in quel collegio. Ma questo
prescinde totalmente dal mio rapporto con le agenzie e con le gare.
Pinuccio all’esterno: Va bè. Questo lo conosce, però la legge. Tutto legale. Non
centra niente con le società.
Sabino: conoscere non vuol dire amare.
Pinuccio all’esterno: va bè, però c’è una coincidenza strana. Quando la Capone
diventa assessore allo sviluppo economico nasce la Protem, che si occupa di
software e in qualche modo lavora con l’assessorato. Quando la Capone è
diventata assessore al turismo nascono due società con le stesse persone, che si
occupano di turismo ed ottengono finanziamenti da Puglia Promozione, ovvero
dall’assessorato al turismo.
Sabino: io non ti conosco…
Pinuccio all’esterno. Adesso parliamo di altre due società riconducibili ad una
stessa persona che si chiamano Password Ad e 365 giorni in Puglia. Anche queste
lavorano con Puglia Promozione, ma queste, Sabino, le deve conoscere per forza.
Sabino: io non ti conosco…non so chi sei…
Pinuccio: La società Password Ad le dice qualcosa?
Capone: …no!
Pinuccio: è colei che ha comprato il dominio del sito “LoredanaCapone.it” e
lavora con Puglia Promozione. Anche questa è una coincidenza che però….
Capone: Password Ad….
Pinuccio: Puglia 365….non le dice niente? Sono due società gemelle.
Capone: non conosco. Non lo gestisco neanche direttamente. Quindi…non conosco
questa persona.
Pinuccio: lo gestisce una società, comunque…
Capone: nel senso che è il dominio...no, no…
Pinuccio: il sito lo gestisce un’altra società.
Capone: no! Nel senso che c’è una società che ha il dominio, di cui,
oggettivamente, non ricordo neppure il nome, perché feci una cool ed ha vinto
questa società.
Pinuccio fuori capo: sono titolari del suo sito personale, ma non li conosce.
Quindi è un poco ingrata, Sabino…
Sabino: mi spiace ma non li conosco
Pinuccio all’esterno: Sabino, non si ricorda. Ora gli facciamo vedere un video,
in cui si capisce che lei e il titolare di queste aziende si conoscono.
Sabino: io non li conosco…
Pinuccio all’esterno: vedete, qui a sinistra, c’è il titolare di Password AD e
sentite la Capone cosa dice: “tre anni fa…no quattro anni fa andai a
vedere…Diciamo, ho ricevuto Nevio che mi ha chiesto: ma perché la regione non si
interessa alla nostra fiera?”
Pinuccio all’esterno: Adesso parliamo di una persona che conosce sicuramente:
Alessandra Caiulo, che in queste foto di facebook di Loredana Capone faceva
parte del suo staff in campagna elettorale. Questa persona ha delle consulenze
al Teatro Pubblico Pugliese, che è un altro ente che dipende dall’Assessorato
alla Cultura ed il Turismo e nel 2016 ha avuto una consulenza da Puglia
Promozione per seguire un evento della Protem cofinanziato da Puglia Promozione.
Pure l’evento, Sabino…
Sabino: questa neppure la conosco…
Pinuccio all’esterno: Tutto legale…
Capone: Alessandra Caiulo lavora con una attività in Teatro Pubblico Pugliese e
segue tutte le attività culturali che noi facciamo con il Teatro Pubblico
Pugliese. Quindi è frequentemente accanto a me perché si occupa proprio della
comunicazione culturale proprio in virtù di questo ruolo che svolge.
Pinuccio all’esterno: Sabino, allora sono solo rapporti istituzionali con questa
persona. Però nelle foto che adesso vediamo, insomma, sembrano un poco amiche.
Sta pure questo video boomerang. Abbiamo trovato una intervista alla Caiulo, in
cui lei stessa conferma di essere addetto stampa dell’assessore dal 2011. Ma è
addetto stampa dell’assessore o è consulente del Teatro Pubblico Pugliese?
Sabino: boh…non ho capito!
Pinuccio all’esterno: Però noi ci poniamo una domanda: tutto legale, sì, però è
una questione di opportunità. Ovvero: è opportuno che persone che hanno fatto
parte dello staff elettorale di un politico, in questo caso di un assessore, poi
si ritrovano ad orbitare nell’attività dell’assessorato? Sabino vuoi dire
qualche cosa?
Sabino: io non ti conosco...non so chi sei?
Cos’è
la Legalità: è la conformità alla legge.
Ancora oggi l’etimologia
di
lex
è incerta; i più ricollegano effettivamente
lex
a
legere,
ma un’altra teoria la riconduce alla radice indoeuropea
legh-
(il cui significato è quello di “porre”), dalla quale proviene l’anglosassone
lagu
e, da qui, l’inglese
law.
Nella
Grecia antica le leggi sono il simbolo della sovranità popolare. Il loro
rispetto è presupposto e garanzia di libertà per il cittadino. Ma la legge greca
non è basata, come quella ebraica, su un ordine trascendente; essa è frutto di
un patto fra gli uomini, di consuetudini e convenzioni. Per questo è fatta
oggetto di una ininterrotta riflessione che si sviluppa dai presocratici ad
Aristotele e che culmina nella crisi del V secolo: se la legge non si fonda
sulla natura, ma sulla consuetudine, non è assoluta ma relativa come i costumi
da cui deriva; dunque non ha valore normativo, e il diritto cede il campo
all'arbitrio e alla forza. La relazione che intercorre tra il concetto di legge
e il concetto di luogo è insito nell’etimologia del termine greco nomos,
che significa pascolo e che, progressivamente, dietro alla necessaria
consuetudine di legittimare la spartizione del “pascolo”, ha finito per assumere
questo secondo significato: legge. Ma nemein significa anche abitare e
nomas è il pastore, colui che abita la legge, oltre che il pascolo; la
conosce e la sa abitare. E nemesis è la divinità che si accanisce
inevitabilmente su coloro che non sanno abitare la legge.
Da
qui il detto antico “qui la legge sono io”. Conflittuale se travalica i confini
di detto pascolo. Legge e luogo sono intrinsecamente connessi. Infatti, la
nemesi della legge è proprio quella libertà commerciale che esige un’economia
globale, che travalica tutti i confini, che considera la terra come un unico
grande spazio. Insieme ai paletti di delimitazione degli stati sradica così
anche la legge che li abita.
I
greci, con Platone, avevano teorizzato l’origine divina del nomos.
Obbedire alle leggi della polis significava implicitamente riconoscere il
dio (nomizein theos) che si nasconde dietro l’ethos originario.
La
conclusione di entrambi i percorsi - quello lungo e quello breve - dovrebbe
condurre a definire la politica come scienza
anthroponomikè
o scienza di amministrare gli esseri umani.
Nómos
in greco significa "norma", "legge", "convenzione"; vuol dire "pascolo" e
nomeus
vuol dire "pastore": il procedimento dicotomico sembra condurre lontano dal
nómos
nel suo primo senso, a far intendere l'antroponomia come l'arte di pascolare gli
uomini.
Cicerone adotta l’etimologia di lex da
legere,
non perché la si legge in quanto scritta, bensì perché deriva dal verbo
legere
nel significato di “scegliere”.
“Dicitur enim lex a ligando, quia obligat agendum”, Questa etimologia di “legge”
si trova all’inizio della celebre esposizione di Tommaso d’Aquino sulla natura
della legge, presente nella Summa theologiae.
Da
qui il concetto di legge: “la legge è una regola o misura nell’agire, attraverso
la quale qualcuno è indotto ad agire o vi è distolto. Legge, infatti, deriva da
legare, poiché obbliga ad agire.”
Il
termine italiano legge deriva da legem, accusativo del latino lex.
Lex
significava originariamente norma, regola di pertinenza religiosa.
Queste regole furono a lungo tramandate a memoria, ma la tradizione orale - che
implicava il rischio di travisamenti - fu poi sostituita da quella scritta.
Sono
così giunte fino a noi testimonianze preziose come le Tavole Eugubine, una
raccolta di disposizioni che riguardavano sacrifici ed altre pratiche di culto
dell’antico popolo italico di Iguvium, l’attuale Gubbio.
A
Roma, in età repubblicana, vennero promulgate ed esposte pubblicamente le Leggi
delle Dodici Tavole, che si riferivano non più solamente a questioni religiose:
il termine lex assunse così il valore di norma giuridica che regola la vita e i
comportamenti sociali di un popolo.
Sul
finire dell’età antica l’imperatore Giustiniano fece raccogliere tutta la
tradizione legislativa e giuridica romana nel monumentale Corpus Iuris, la
raccolta del diritto, che ha costituito la base della civiltà giuridica
occidentale.
Dalla
riscoperta del Corpus Iuris sono state costituite circa mille anni fa le Facoltà
di Legge - cioè di Giurisprudenza e di Diritto - delle grandi università
europee, nelle quali si sono formati i giuristi, ovvero gli uomini di legge di
tutta l’Europa medievale e moderna.
La
parola legge è divenuta sinonimo di diritto, con il valore di complesso degli
ordinamenti giuridici e legislativi di un paese.
In
questo senso oggi la Costituzione italiana sancisce che la legge è uguale per
tutti, e afferma la necessità per ogni persona di una educazione al rispetto
della legalità: una società civile deve fondarsi sul rispetto dei diritti e dei
doveri di tutti i cittadini che trovano nelle leggi le loro regole.
Per
millenni, tuttavia, il concetto di legge è stato collegato esclusivamente ad
ambiti religiosi o sacrali, e per alcuni popoli ancora oggi all’origine delle
leggi vi è l’intervento divino.
Pensiamo agli ebrei, per i quali la Legge - la Thorà nella lingua ebraica - è
senz’altro la legge divina, non soltanto in riferimento ai Comandamenti
consegnati dal Signore a Mosè sul monte Sinai - la legge mosaica - ma in
generale a tutta la Bibbia, considerata come manifestazione della volontà divina
che regola i comportamenti degli uomini.
Anche
i Musulmani osservano una legge - la legge coranica - contenuta in un testo
sacro, il Corano, dettato da Dio, Allah, al suo profeta Maometto.
Una
legalità fondata sulla giustizia è dunque l’unico possibile fondamento di una
ordinata società civile, e anche una delle condizioni fondamentali perché ci sia
una reale difesa della libertà dei cittadini di ogni nazione.
Dura lex, sed lex:
la frase, tradotta dal latino letteralmente, significa dura legge, ma legge.
Più propriamente in italiano: "La legge è dura, ma è (sempre) legge" (e quindi
va rispettata comunque).
Chi
vive ai margini della legge, o diventa fuorilegge, si pone al di fuori della
convivenza civile e va sottoposto ai rigori della legge, cioè a una giusta
punizione: in nome della legge è proprio la formula con cui i tutori dell’ordine
intimano ai cittadini di obbedire agli ordini dell’autorità, emanati secondo
giustizia.
Il
giusnaturalismo (dal latino ius naturale, "diritto di natura")
è il termine generale che racchiude quelle dottrine filosofico-giuridiche che
affermano l'esistenza di un diritto, cioè di un insieme di norme di
comportamento dedotte dalla "natura" e conoscibili dall'essere umano.
Il
giusnaturalismo si contrappone al cosiddetto positivismo giuridico basato sul
diritto positivo, inteso quest'ultimo come corpus legislativo creato da una
comunità umana nel corso della sua evoluzione storica. Questa contrapposizione è
stata efficacemente definita "dualismo".
Secondo la formulazione di Grozio e dei teorici detti razionalisti del
giusnaturalismo, che ripresero il pensiero di Tommaso d’Aquino, attualizzandolo,
ogni essere umano (definibile oggi anche come ogni entità biologica in cui il
patrimonio genetico non sia quello di alcun altro animale se non di quello detto
appartenente alla specie umana), pur in presenza dello stato e del diritto
positivo ovvero civile, resta titolare di diritti naturali, quali il diritto
alla vita, ecc. , diritti inalienabili che non possono essere modificati dalle
leggi. Questi diritti naturali sono tali perché ‘razionalmente giusti’, ma non
sono istituiti per diritto divino; anzi, dato Dio come esistente, Dio li
riconosce come diritti proprio in quanto corrispondenti alla “ragione” connessa
al libero arbitrio da Dio stesso donato.
Pur
battendosi per la legalità, Antonio Giangrande è colpito da ritorsione,
indifferenza ed ingratitudine.
Non
una novità per le cose umane.
|11.
Giunto in una città, incontrò dieci lebbrosi che stavano ai margini della
strada. Ed alzarono la loro voce dicendo: "Gesù, Maestro, abbi pietà di noi!”
12. E
vedendoli, Egli disse loro: "Andate e mostratevi ai sacerdoti.” Ed avvenne che,
mentre se ne andavano, furono purificati. Ed uno di loro, vedendo di essere
guarito, tornò indietro e lodò Dio a gran voce e si prostrò col volto a terra
davanti a Gesù, ringraziandoLo. Ed era un Samaritano.
13. E Gesù disse: "Non erano dieci ad essere purificati? Dove sono gli altri
nove? Costoro non sono tornati indietro e non hanno lodato Dio come questo
straniero.” E gli disse: "Alzati e vai per la tua strada. La tua fede ti ha
risanato.” (Luca 17, 11-19)|
“L'ITALIA DEL TRUCCO, L'ITALIA CHE SIAMO” -
è la
sua opera. Il libro bianco delle illegalità sottaciute, pedagogico ed
informativo, riporta il sunto coordinato delle tematiche approfondite da libri
ed inchieste giornalistiche, dati e documenti ufficiali. Tematiche di pubblico
interesse nazionale, sezionate per argomento e per territorio, contenute sui
portali associativi.
Nel
libro si svelano gli abusi e le omissioni del sistema di potere e le collusioni
e le omertà di una società civile codarda o indifferente. Dietro la normalità
propinata, si nasconde un'evidenza innegabile: un'Italia, da Nord a Sud, fondata
sul trucco e sull'inganno.
Gli
argomenti trattati sono le anomalie pertinenti: Politica e Pubblica
Amministrazione; Mafia e Giustizia; Welfare; Economia; Informazione; Istruzione;
Ambiente e Sport.
Verità oggettive che nessun editore ha voluto pubblicare e nessun organo
mediatico ha voluto pubblicizzare. Verità nascoste o dimenticate che
rappresentano un'Italia tenuta al guinzaglio da un sistema di potere composto da
lobby, mafie e massonerie: un'Italia che deve subire e tacere.
Egli
per la sua attività si è posto in contrasto con i magistrati che svolgono il
loro mandato con abusi ed omissioni, impuniti e sottaciuti.
La
ritorsione non si è fatta attendere.
Le
sue denunce in autotutela: tutte insabbiate.
L’abilitazione all’avvocatura impedita dalle annose bocciature all’esame
forense, i cui compiti non erano corretti, ma falsamente dichiarati tali dai
commissari denunciati.
La
sua reputazione violata da tanti procedimenti penali, senza che vi sia stata mai
condanna definitiva: per aver svolto l’attività forense; per essersi difeso da
un’aggressione; per aver denunciato infiltrazioni mafiose o per aver denunciato
sinistri falsi o perizie giudiziarie false; per aver denunciato gli
insabbiamenti o per aver denunciato errori giudiziari.
Comunque, aldilà
della reazione dei magistrati abituati ad essere venerati e non contestati, vi è
stato riscontro istituzionale:
dalla Corte Europea
dei Diritti dell'Uomo, che apre il procedimento "Giangrande contro Italia";
dalla Commissione
Europea, che ha mostrato interesse;
dal Presidente
della Repubblica, che ha chiesto chiarimenti al C.S.M.;
dalla Presidenza
del Consiglio dei Ministri, che concorda e si attiva;
dal Presidente
della Corte d'Appello di Potenza, che investe le autorità giudiziarie locali
contro gli insabbiamenti;
dal Commissario
Straordinario del Governo per il Coordinamento Delle Iniziative Antiracket ed
Antiusura, che invita a relazionare sui problemi antimafia in una conferenza di
Prefetti;
dai
migliori parlamentari
che si sono degnati
di dare riscontro, pur infruttuoso, al contrario della stragrande maggioranza
dei loro colleghi.
Si evince che i
nostri rappresentanti politici, specie meridionali, se ne fregano dei problemi
dei loro cittadini. Ci sono 5 interrogazioni
parlamentari:
1......... del deputato Augusto Di Stanislao, IDV, XVI legislatura, per l'esame
forense truccato, che impedisce l'abilitazione del dr Antonio Giangrande;
2......... del deputato Giampaolo Fogliardi, PD, XVI legislatura, per l'esame
forense truccato, che impedisce l'abilitazione del dr Antonio Giangrande e per
l'impedimento all'accesso al 5x1000 a danno dell'associazione contro tutte le
mafie;
1......... del senatore Giovanni Russo Spena, R.C, XV legislatura, per la
censura Rai a danno dell'Associazione Contro Tutte le Mafie;
1......... del senatore Euprepio Curto, AN, XIV legislatura,
sullo stato della malagiustizia a Taranto, con atti ritorsivi a danno del dr
Antonio Giangrande.
“Un
uomo deve chiedersi cosa può fare per lo Stato e non chiedersi cosa lo Stato può
fare per lui. Un uomo fa il suo dovere, a dispetto delle conseguenze personali,
nonostante gli ostacoli, i pericoli e le pressioni, e questo è il fondamento
della moralità umana; in qualsiasi sfera dell'esistenza un uomo può essere
costretto al coraggio, quali che siano i sacrifici che affronta seguendo la
proprio coscienza: la perdita dei suoi amici, della sua posizione, delle sue
fortune e persino la perdita della stima delle persone che gli sono care. Ogni
uomo deve decidere da sé stesso qual è la via giusta da seguire; le storie che
si raccontano sul coraggio degli altri ci insegnano molte cose, possono offrirci
una speranza, possono farci da modello, ma non possono sostituire il nostro
coraggio... per quello ogni uomo deve guardare nella propria anima. John
Fitzgerald Kennedy” ( citazione, spesso, ripresa da Giovanni Falcone).
L’autore del libro è Antonio Giangrande, nato e cresciuto in Italia. Nato
perdente per destino, perché figlio di gente povera ed onesta. Ogni suo
tentativo di cambiare le sorti dei propri simili è fallito. Denunciare gli abusi
e le omissioni perpetrate contro i più deboli, informare i cittadini in tutta
Italia della realtà taciuta ed impunita e proporre norme di intervento
legislativo, (tra cui "Una Repubblica democratica e federale fondata sulla
libertà, l'uguaglianza e la solidarietà, con vincolo di mandato per i
rappresentanti politici e di responsabilità per tutti i funzionari
amministrativi e giudiziari" e "Istituzione obbligatoria del Difensore Civico
amministrativo e giudiziario"), si è scontrato con il radicato sistema di
potere, che prende forza dalla codardia e dalla collusione degli italiani,
pronti a chiedere aiuto, ma poco inclini a darlo. Unico risultato concreto
conseguito è l’indifferenza e la ritorsione, con l’impedimento alla professione
forense e al lavoro, l’insabbiamento delle sue denunce circostanziate e provate
e la persecuzione calunniosa per reati inesistenti, ostacolandone la difesa.
Inutile il tentativo di palesare l'evidenza della realtà. Per i carabinieri di
Avetrana e Manduria è un mitomane sol perché ha denunciato abusi ed omissioni;
per gli amministratori di Avetrana e della Regione Puglia non degno di
attenzione sol perché ne ha denunciato i loro misfatti; per il giudice di
Manduria è inattendibile sol perché ha denunciato un sistema di malagiustizia;
per i Pubblici Ministeri di Taranto e Brindisi è diffamatore sol perché ha
denunciato il loro sistema di insabbiamenti; per il Commissariato di Manduria e
la Prefettura di Taranto non degno di avere il porto d'armi per difesa
personale, pur essendo, forse, l'unico a meritarlo, tenuto conto dell'attenzione
che le cosche di tutta Italia gli pongono. Tutto ciò è avvenuto nonostante
ricoprisse anche incarichi pubblici: ad Avetrana è stato il primo presidente di
circolo di Alleanza Nazionale; è stato il primo vicepresidente provinciale di
Taranto dell'Italia dei Valori; è stato il primo presidente provinciale di
Taranto dell'Associazione Nazionale Praticanti ed Avvocati.
A chi
gli chiede perché lo fa, lui risponde: « Ognuno pensa che le disgrazie
colpiscano solo gli altri, senza tener conto che gli altri siamo anche noi. Sono
il virus della verità che infetta le coscienze. Verità nascoste o dimenticate
che rappresentano un'Italia tenuta al guinzaglio da un sistema di potere
composto da caste, lobby, mafie e massonerie: un'Italia che deve subire e deve
tacere. La “Politica” deve essere legislazione o amministrazione nell’eterogenea
rappresentanza d’interessi, invece è meretricio o mendicio, mentre le
“Istituzioni” devono meritarlo il rispetto, non pretenderlo. Il rapporto tra
cittadini e il rapporto tra cittadini e Stato è regolato dalla forza della
legge. Quando non vi è cogenza di legge, vige la legge del più forte e il debole
soccombe. Allora uno “Stato di Diritto” degrada in anarchia. In questo caso è
palese la responsabilità politica ed istituzionale per incapacità o per
collusione. Così come è palese la responsabilità dei media per omertà e dei
cittadini per codardia o emulazione. Chi si ribella come me ad uno stato di
cose, in cui il vincente è destinato ad esserlo ancora di più ed il perdente è
condannato ad esserlo ancora di più, è emarginato, condannato, affamato o
ucciso. Non è sbagliato quello che dico, ma è sbagliato il posto in cui lo dico.
Purtroppo qualcuno lo deve fare, perché il male vince dove il bene rinuncia a
combattere. Solo i combattenti le battaglie giuste in una esistenza utile
prestata ad aiutare gli altri, diventano eroi. Se soccombono sono Martiri. In
una moltitudine di esistenze omologate, colluse o codarde, fotocopia di un
modello comune imposto dal potere mediatico genuflesso a quello politico ed
economico, il martirio rende immortali e indimenticati ».
Egli
è Presidente nazionale dell’Associazione
Contro Tutte Le Mafie, ONLUS, la più grande ed importante associazione
d’Italia contro le illegalità, le ingiustizie e l’omertà. E’ casa madre di molti
sodalizi monotematici territoriali, che usufruiscono di visibilità e
coordinamento nazionale. Formalmente si è costituita con atto pubblico il 26
novembre 2004. E’ riconosciuta dal Ministero dell’Interno. L’iscrizione
nell’elenco dei sodalizi antiracket ed antiusura, avvenuta il 13 febbraio 2006
con quasi 100 aderenti, per obbligo di legge è solo presso la Prefettura di
Taranto, competente sulla sede legale, ma ciò non è d'impedimento
all'associazione nel dare assistenza e consulenza a cittadini di altre province
e regioni, ai quali manca un riferimento. L’Associazione nel tempo, tramite il
web, operando in tutta Italia a favore delle vittime di tutte le mafie, contro
caste e lobby, mafie e massonerie, ha aumentato le sue adesioni e meritato stima
e attenzione da parte dei media, ma non delle istituzioni, specie quelle
territoriali, che la emarginano. Nonostante ciò, data la peculiare attività,
l’Associazione ha un rapporto diretto e privilegiato con il Commissario
Straordinario del Governo per il Coordinamento delle Iniziative Antiracket ed
Antiusura. Tra le altre cose, essa partecipa alla Conferenza
Interregionale dei Prefetti del Sud – Italia. Essa partecipa al Comitato
provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica.
L’Associazione
Contro Tutte Le Mafie, tramite il suo presidente dr Antonio Giangrande,
ai sensi dell’art. 21 e 118, comma 4, della Costituzione, svolge attività di
interesse generale e di pubblica utilità. La sua attività è basata
sull’informazione, sulla denuncia e sulle proposte. In Italia, se tutte le
associazioni di volontariato si adoperano a sopperire agli effetti della
inefficienza del sistema pubblico, l’Associazione Contro Tutte Le Mafie è
l'unica che, riconoscendone le responsabilità, ne combatte le cause. Per questo
motivo spesso è sottoposta a ritorsioni, fin anche a subire, con atti illegali,
la censura del sito web informativo.
Il libro è stato
adottato da molti istituti scolastici statali superiori, per discuterne le
problematiche in gruppi di studio o di lettura.
Additare i difetti
altrui è cosa che tutti sanno fare, più improbabile è indicare e correggere i
propri.
Non abbiamo bisogno
di eroi, né, tantomeno, di mistificatori con la tonaca (toga e divisa). L’abito
non fa il monaco. La legalità non va promossa solo nella forma, ma va coltivata
anche nella sostanza. E’ sbagliato ergersi senza meriti dalla parte dei giusti.
Se scrivi e dici la
verità con il coraggio che gli altri non hanno, il risultato non sarà il loro
rinsavimento ma l’essere tu additato come pazzo. Ti scontri sempre con la
permalosità di magistrati e giornalisti e la sornionità degli avvocati avvezzi
solo ai loro interessi. Categorie di saccenti che non ammettono critiche. Se
scrivi e sei del centro-nord Italia, i conterranei diranno: che bel libro,
bravo, è uno di noi. Se scrivi e sei del centro-sud Italia i conterranei
diranno: quel libro l’avrei scritto anch’io, anzi meglio, ma sono solo cazzate.
Chi siamo noi?
Siamo i “coglioni”
che altri volevano che fossimo o potessimo diventare.
Da bambini i
genitori ci educavano secondo i loro canoni, fino a che abbiamo scoperto che era
solo il canone di poveri ignoranti.
Da studenti i
maestri ci istruivano secondo il loro pensiero, fino a che abbiamo scoperto che
era solo il pensiero di comunisti arroganti. Prima dell’ABC ci insegnavano
“Bella Ciao”.
Da credenti i
ministri di culto ci erudivano sulla confessione religiosa secondo il loro
verbo, fino a che abbiamo scoperto che era solo la parola di pedofili o
terroristi.
Da lettori e
telespettatori l’informazione (la claque del potere) ci ammaestrava all’odio per
il diverso ed a credere di vivere in un paese democratico, civile ed avanzato,
fino a che abbiamo scoperto che si muore di fame o detenuti in canili umani.
Da elettori i
legislatori ci imponevano le leggi secondo il loro diritto, fino a che abbiamo
scoperto che erano solo corrotti, mafiosi e massoni.
Ecco, appunto:
siamo i “coglioni” che altri volevano che fossimo o potessimo diventare.
E se qualcuno non
vuol essere “coglione” e vuol cambiare le cose, ma non ci riesce, vuol dire che
è “coglione” lui e non lo sa, ovvero è circondato da amici e parenti “coglioni”.
Ho vissuto una
breve vita confrontandomi con una sequela di generazioni difettate condotte in
un caos organizzato. Uomini e donne senza ideali e senza valori succubi del
flusso culturale e politico del momento, scevri da ogni discernimento tra il
bene ed il male. L’Io è elevato all’ennesima potenza. La mia Collana editoriale
“L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” composta da decine di saggi, riporta
ai posteri una realtà attuale storica, per tema e per territorio, sconosciuta ai
contemporanei perché corrotta da verità mediatiche o giudiziarie.
Per la Conte dei
Conti è l’Italia delle truffe. È l'Italia degli sprechi e delle frodi
fotografata in un dossier messo a punto dalla procura generale della Corte dei
Conti che ha messo insieme le iniziative più rilevanti dei procuratori
regionali. La Corte dei Conti ha scandagliato l'attività condotta da tutte le
procure regionali e ha messo insieme «le fattispecie di particolare interesse,
anche sociale, rilevanti per il singolo contenuto e per il pregiudizio economico
spesso ingente».
A parlar di sé e
delle proprie disgrazie in prima persona, oltre a non destare l’interesse di
alcuno pur nelle tue stesse condizioni, può farti passare per mitomane o pazzo.
Non sto qui a promuovermi. Non si può, però, tacere la verità storica che ci
circonda, stravolta da verità menzognere mediatiche e giudiziarie. Ad ogni
elezione legislativa ci troviamo a dover scegliere tra: il partito dei condoni;
il partito della CGIL; il partito dei giudici. Io da anni non vado a votare
perché non mi rappresentano i nominati in Parlamento. Oltretutto mi disgustano
le malefatte dei nominati. Un esempio per tutti, anche se i media lo hanno
sottaciuto. La riforma forense, approvata con Legge 31 dicembre 2012, n. 247,
tra gli ultimi interventi legislativi consegnatici frettolosamente dal
Parlamento prima di cessare di fare danni. I nonni avvocati in Parlamento
(compresi i comunisti) hanno partorito, in previsione di un loro roseo futuro,
una contro riforma fatta a posta contro i giovani. Ai fascisti che hanno dato
vita al primo
Ordinamento forense (R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578 - Ordinamento della
professione di avvocato e di procuratore convertito con la legge 22 gennaio 1934
n.36) questa contro riforma reazionaria
gli fa un baffo.
Trattasi di una “riforma”, scritta come al solito negligentemente, che non viene
in alcun modo incontro ed anzi penalizza in modo significativo i giovani. Da
anni inascoltato denuncio il malaffare di avvocati e magistrati ed il loro
malsano accesso alla professione. Cosa ho ottenuto a denunciare i trucchi per
superare l’esame? Insabbiamento delle denunce e attivazione di processi per
diffamazione e calunnia, chiusi, però, con assoluzione piena. Intanto ti
intimoriscono. Ed anche la giustizia amministrativa si adegua.
La mafia cos'è? La
risposta in un aneddoto di Paolo Borsellino: "Sapete che cos'è la Mafia...
faccia conto che ci sia un posto libero in tribunale..... e che si presentino 3
magistrati... il primo è bravissimo, il migliore, il più preparato.. un altro ha
appoggi formidabili dalla politica... e il terzo è un fesso... sapete chi
vincerà??? Il fesso. Ecco, mi disse il boss, questa è la MAFIA!"
"La
vera mafia è lo Stato, alcuni magistrati che lo rappresentano si comportano da
mafiosi. Il magistrato che mi racconta che Andreotti ha baciato Riina io lo
voglio in galera". Così Vittorio Sgarbi il 6 maggio 2013 ad “Un Giorno Da
Pecora su Radio 2.
«Da noi -
ha dichiarato
Silvio Berlusconi ai cronisti di una televisione greca il 23 febbraio 2013
- la magistratura è una mafia più pericolosa della mafia siciliana, e lo dico
sapendo di dire una cosa grossa». «In
Italia regna una "magistocrazia". Nella magistratura c'è una vera e propria
associazione a delinquere» Lo ha detto Silvio Berlusconi il 28 marzo 2013
durante la riunione del gruppo Pdl a Montecitorio. Ed ancora Silvio Berlusconi
all'attacco ai magistrati: «L'Anm è come
la P2, non dice chi sono i loro associati». Il riferimento dell'ex premier è
alle associazioni interne ai magistrati, come Magistratura Democratica. Il
Cavaliere è a Udine il 18 aprile 2013 per un comizio.
Abbiamo una
Costituzione catto-comunista predisposta e votata dagli apparati politici che
rappresentavano la metà degli italiani, ossia coloro che furono i vincitori
della guerra civile e che votarono per la Repubblica. Una Costituzione fondata
sul lavoro (che oggi non c’è e per questo ci rende schiavi) e non sulla libertà
(che ci dovrebbe sempre essere, ma oggi non c’è e per questo siamo schiavi). Un
diritto all’uguaglianza inapplicato in virtù del fatto che il potere, anziché
essere nelle mani del popolo che dovrebbe nominare i suoi rappresentanti
politici, amministrativi e giudiziari, è in mano a mafie, caste, lobbies e
massonerie.
Siamo un popolo
corrotto: nella memoria, nell’analisi e nel processo mentale di discernimento.
Ogni dato virulento che il potere mediatico ci ha propinato, succube al potere
politico, economico e giudiziario, ha falsato il senso etico della ragione e
logica del popolo. Come il personal computer, giovani e vecchi, devono essere
formattati. Ossia, azzerare ogni cognizione e ripartire da zero all’acquisizione
di conoscenze scevre da influenze ideologiche, religiose ed etniche. Dobbiamo
essere consci del fatto che esistono diverse verità.
Ogni fatto è
rappresentato da una verità storica; da una verità mediatica e da una verità
giudiziaria.
La verità storica è
conosciuta solo dai responsabili del fatto. La verità mediatica è quella
rappresentata dai media approssimativi che sono ignoranti in giurisprudenza e
poco esperti di frequentazioni di aule del tribunale, ma genuflessi e stanziali
negli uffici dei pm e periti delle convinzioni dell’accusa, mai dando spazio
alla difesa. La verità giudiziaria è quella che esce fuori da una corte, spesso
impreparata culturalmente, tecnicamente e psicologicamente (in virtù dei
concorsi pubblici truccati). Nelle aule spesso si lede il diritto di difesa,
finanche negando le più elementari fonti di prova, o addirittura, in caso di
imputati poveri, il diritto alla difesa. Il gratuita patrocinio è solo una
balla. Gli avvocati capaci non vi consentono, quindi ti ritrovi con un avvocato
d’ufficio che spesso si rimette alla volontà della corte, senza conoscere i
carteggi. La sentenza è sempre frutto della libera convinzione di una persona
(il giudice). Mi si chiede cosa fare. Bisogna, da privato, ripassare tutte le
fasi dell’indagine e carpire eventuali errori dei magistrati trascurati dalla
difesa (e sempre ve ne sono). Eventualmente svolgere un’indagine parallela.
Intanto aspettare che qualche pentito, delatore, o intercettazione, produca una
nuova prova che ribalti l’esito del processo. Quando poi questa emerge bisogna
sperare nella fortuna di trovare un magistrato coscienzioso (spesso non accade
per non rilevare l’errore dei colleghi), che possa aprire un processo di
revisione.
Ognuno di noi antropologicamente ha un
limite, non dovuto al sesso, od alla razza, od al credo religioso, ma bensì
delimitato dall’istruzione ricevuta ed all’educazione appresa dalla famiglia e
dalla società, esse stesse influenzate dall’ambiente, dalla cultura, dagli usi e
dai costumi territoriali. A differenza degli animali la maggior parte degli
umani non si cura del proprio limite e si avventura in atteggiamenti e giudizi
non consoni al loro stato. Quando a causa dei loro limiti non arrivano ad avere
ragione con il ragionamento, allora adottano la violenza (fisica o psicologica,
ideologica o religiosa) e spesso con la violenza ottengono un effimero ed
immeritato potere o risultato. I più intelligenti, conoscendo il proprio limite,
cercano di ampliarlo per risultati più duraturi e poteri meritati. Con nuove
conoscenze, con nuovi studi, con nuove esperienze arricchiscono il loro bagaglio
culturale ed aprono la loro mente, affinché questa accetti nuovi concetti e
nuovi orizzonti. Acquisizione impensabile in uno stato primordiale. In non
omologati hanno empatia per i conformati. Mentre gli omologati sono mossi da
viscerale egoismo dovuto all’istinto di sopravvivenza: voler essere ed avere più
di quanto effettivamente si possa meritare di essere od avere. Loro ed i loro
interessi come ombelico del mondo. Da qui la loro paura della morte e la ricerca
di un dio assoluto e personale, finanche cattivo: hanno paura di perdere il
niente che hanno e sono alla ricerca di un dio che dal niente che sono li elevi
ad entità. L'empatia designa un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da
un impegno di comprensione dell'altro, escludendo ogni attitudine affettiva
personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale, perché mettersi nei
panni dell'altro per sapere cosa pensa e come reagirebbe costituisce un
importante fattore di sopravvivenza in un mondo in cui l'uomo è in continua
competizione con gli altri uomini. Fa niente se i dotti emancipati e non
omologati saranno additati in patria loro come Gesù nella sua Nazareth: semplici
figli di falegnami, perchè "non c'è nessun posto dove un profeta abbia meno
valore che non nella sua patria e nella sua casa". Non c'è bisogno di essere
cristiani per apprezzare Gesù Cristo: non per i suoi natali, ma per il suo
insegnamento e, cosa più importante, per il suo esempio. Fa capire che
alla fine è importante lasciar buona traccia di sè, allora sì che si diventa
immortali nella rimembranza altrui.
Tutti vogliono avere ragione e tutti
pretendono di imporre la loro verità agli altri. Chi impone ignora, millanta o
manipola la verità. L'ignoranza degli altri non può discernere la verità dalla
menzogna. Il saggio aspetta che la verità venga agli altri. La sapienza
riconosce la verità e spesso ciò fa ricredere e cambiare opinione. Solo gli
sciocchi e gli ignoranti non cambiano mai idea, per questo sono sempre
sottomessi. La Verità rende liberi, per questo è importante far di tutto per
conoscerla.
Tutti gli altri intendono “Tutte le Mafie”
come un insieme orizzontale di entità patologiche criminali territoriali (Cosa
Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona Unita, ecc.).
Io intendo “Tutte le Mafie” come un
ordinamento criminale verticale di entità fisiologiche nazionali composte,
partendo dal basso: dalle mafie (la manovalanza), dalle Lobbies, dalle Caste e
dalle Massonerie (le menti).
La Legalità è il comportamento umano conforme
al dettato della legge nel compimento di un atto o di un fatto. Se l'abito non
fa il monaco, e la cronaca ce lo insegna, nè toghe, nè divise, nè poteri
istituzionali o mediatici hanno la legittimazione a dare insegnamenti e/o
patenti di legalità. Lor signori non si devono permettere di selezionare secondo
loro discrezione la società civile in buoni e cattivi ed ovviamente si devono
astenere dall'inserirsi loro stessi tra i buoni. Perchè secondo questa cernita
il cattivo è sempre il povero cittadino, che oltretutto con le esose tasse li
mantiene. Non dimentichiamoci che non ci sono dio in terra e fino a quando
saremo in democrazia, il potere è solo prerogativa del popolo.
Non sono conformato ed omologato, per questo
son fiero ed orgoglioso di essere diverso.
Antonio Giangrande, orgoglioso di essere
diverso. Sono qualcuno, ma non avendo nulla per poter dare, sono nessuno.
Se si è omologati (uguali) o conformati (simili) e si sta sempre dietro alla
massa, non si sarà mai primi nella vita, perché ci sarà sempre il più furbo o il
più fortunato a precederti.
In un mondo
caposotto (sottosopra od alla rovescia) gli ultimi diventano i primi ed i primi
sono gli ultimi. L’Italia è un Paese caposotto. Io, in questo mondo alla
rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo sono ignorato o
perseguitato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che
cazzo di vita è?
Un mondo dove ci sono solo obblighi e doveri.
Un mondo dove ci sono solo divieti, impedimenti e, al massimo, ci sono
concessioni. Un mondo dove non ci sono diritti, ma solo privilegi per i più
furbi, magari organizzati in caste e lobbies. In un mondo come questo, dove
tutti ti dicono cosa puoi o devi fare; cosa puoi o devi dire; dove l’uno non
conta niente, se non essere solo un mattone. In un mondo come questo che mai
cambia, che cazzo di vita è.
Pink Floyd – Another Brick In The Wall. 1979
Part 1 (“Reminiscing”) ("Ricordando")
Daddy’s flown across the ocean –
Papà è volato attraverso l’oceano.
Leaving just a memory –
Lasciando solo un ricordo.
Snapshot in the family album –
Un’istantanea nell’album di famiglia.
Daddy what else did you leave for me? –
Papà cos’altro hai lasciato per me?
Daddy, what’d’ja leave behind for me?!? –
Papà, cos’hai lasciato per me dietro di te?!?
All in all it was just a brick in the
wall. – Tutto sommato era solo un
altro mattone nel muro.
All
in all it was all just bricks in the wall. –
Tutto sommato erano solo mattoni nel muro.
“You! Yes, you! Stop steal money!” –
“Tu! Si, Tu! Smettila di rubare i soldi!”
Part 2 (“Education”) ("Educazione")
We don’t need no education –
Non abbiamo bisogno di alcuna istruzione.
We dont need no thought control –
Non abbiamo bisogno di alcun controllo mentale.
No dark sarcasm in the classroom –
Nessun cupo sarcasmo in aula.
Teachers, leave them kids alone –
Insegnanti, lasciate in pace i bambini.
Hey! Teachers! Leave them kids alone! –
Hey! Insegnanti! Lasciate in pace i
bambini!
All in all it’s just another brick in the
wall. – Tutto sommato è solo un altro
mattone nel muro.
All in all you’re just another brick in
the wall. – Tutto sommato sei
soltanto un altro mattone nel muro.
We don’t need no education –
Non abbiamo bisogno di alcuna istruzione.
We don’t need no thought control –
Non abbiamo bisogno di alcun controllo mentale.
No dark sarcasm in the classroom –
Nessun cupo sarcasmo in aula.
Teachers leave them kids alone –
Insegnanti, lasciate in pace i bambini.
Hey! Teachers! Leave them kids alone! –
Hey! Insegnanti! Lasciate in pace i
bambini!
All in all it’s just another brick in the
wall. – Tutto sommato è solo un altro
mattone nel muro.
All in all you’re just another brick in
the wall. – Tutto sommato sei solo un
altro mattone nel muro.
“Wrong, Do it again!” –
“Sbagliato, rifallo daccapo!”
“If you don’t eat yer meat, you can’t have
any pudding. – “Se non mangi la tua
carne, non potrai avere nessun dolce.
How
can you have any pudding if you don’t eat yer meat?” –
Come pensi di avere il dolce se non mangi la tua carne?
“You! Yes, you behind the bikesheds, stand still laddy!” –
“Tu! Sì, tu dietro la rastrelliera delle
biciclette, fermo là, ragazzo!”
Part 3 (“Drugs”) ("Droghe-Farmaci")
“The Bulls are already out there” –
“I Tori sono ancora là fuori”.
“Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaarrrrrgh!” –
“Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaarrrrrgh!”
“This Roman Meal bakery thought you’d like to know.” –
“Questo è un piatto Romano al forno, pensavo che lo volessi sapere.”
I don’t need no arms around me –
Non ho bisogno di braccia attorno a me.
And I dont need no drugs to calm me. –
E non ho bisogno di droghe per calmarmi.
I
have seen the writing on the wall. –
Ho visto la scritta sul muro.
Don’t think I need anything at all. –
Non pensare che io abbia bisogno di qualcosa.
No!
Don’t think I’ll need anything at all. –
No! Non pensare che io abbia bisogno di
qualcosa.
All
in all it was all just bricks in the wall. –
Tutto sommato erano solo mattoni nel muro.
All in all you were all just bricks in the
wall. – Tutto sommato eravate tutti
solo mattoni nel muro.
Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il
culo.
Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono
generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante
tracce lasci del tuo percorso.
Il difetto degli intelligenti è che sono spinti a cercare le risposte ai loro
dubbi. Il pregio degli ignoranti è che non hanno dubbi e qualora li avessero
sono convinti di avere già le risposte.
Un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.
Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un
ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a
quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati
monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo
giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma
inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto:
dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento
politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro
sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo
che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati,
che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e
saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi
di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si
sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti
condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di
cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere
delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti
perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di
sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e
della fine che fece il primo saggista mondiale.
Da sempre diffido di chi, vestito da lupo, è pecora genuflessa alla
magistratura. I saccenti giustizialisti dei 5 stelle che provino a proporre la
figura del difensore civico giudiziario con poteri di magistrato, senza essere
uno di loro, per poter metter le mani nelle carte dei fascicoli e poterle
sparigliare. Io da anni mi batto inascoltato per questo. I signori dei 5 stelle
non si degnano nemmeno di rispondere ai messaggi degli esperti: tanto san tutto
loro. A sbraitare son bravi, ma a proporre leggi sensate, mi sa che non son
capaci. Parlan solo di soldi, soldi, soldi ed onestà, certificata dai loro
magistrati, e mai parlano di libertà ed opportunità senza concorsi ed esami
pubblici truccati.
Ad ogni azione umana nefasta si trova sempre una giustificazione...lo si fa per
le piante...lo si fa per gli animali...lo si fa per le persone! Ma, alla fine,
rimane solo un'azione nefasta che fa male al prossimo...e, spesso, il prossimo
siamo noi. A parte il partito preso, noi siamo tutti responsabili delle azioni
nefaste di uno, quando gli permettiamo di farle.
Parlare nei miei libri del caso singolo del semplice cittadino significa
incorrere nell’accusa di mitomania, pazzia o calunnia, oltre che ne
disinteresse. Invece parlo di loro, delle istituzioni che delinquono impunite.
Parlo della vera mafia. Cosa posso dire di più di quello che ho scritto e che
altri non dicono? Credo che quanto divulgato possa essere di grande
soddisfazione per le vittime, non potendo avere altro che quella in questa
Italia con italiani di merda a cui interessa solo di loro stessi e se ne fottono
degli altri.
Alle sentenze
irrevocabili di proscioglimento del Tribunale di Taranto a carico del dr Antonio
Giangrande, già di competenza della dr.ssa Rita Romano, giudice di Taranto poi
ricusata perché denunciata, si aggiunge il verbale di udienza dell’11 dicembre
2015 della causa n. 987/09 (1832/07 RGNR) del Tribunale di Potenza, competente
su fatti attinenti i magistrati di Taranto, con il quale si dispone la
perfezione della fattispecie estintiva del processo per remissione della querela
nei confronti del dr Antonio Giangrande da parte del dr. Alessio Coccioli, già
Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, poi
trasferito alla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce. Remissione della
querela volontaria, libera e non condizionata da alcun atto risarcitorio.
Il Dr Antonio
Giangrande era inputato per il reato previsto e punito dall’art. 595 3° comma
c.p. “perchè inviando una missiva a sua
firma alla testata giornalistica La Gazzetta del Sud Africa e pubblicata sui
siti internet lagazzettadelsudafrica.net, malagiustizia.eu, e
associazionecontrotuttelemafie.org, offendeva l’onore ed il decoro del dr.
Alessio Coccioli, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Taranto, riportando in detto su scritto la seguente frase: “…il PM Alessio
Coccioli, inopportunamente delegando i carabinieri di Manduria, quali PG, ha
reso lecito tale modus operandi (non rilasciare attestato di ricezione da parte
dell’Ufficio Protocollo del Comune di Manduria ndr), motivandolo dal fatto che
non è dannoso per il denunciante. Invece in denuncia si è fatto notare che tale
usanza di recepimento degli atti, prettamente manduriana, può nascondere
alterazioni procedurali in ambito concorsuale e certamente abusi a danno dei
cittadini. Lo stesso PM Alessio Coccioli, inopportunamente delegando i
carabinieri di Manduria, quali PG, per la colleganza con il comandante dei
Vigili Urbani di Manduria, ha ritenuto le propalazioni del Giangrande, circa il
concorso per Comandante dei Vigili Urbani, ritenuto truccato (perché il medesimo
aveva partecipato e vinto in un concorso da egli stesso indetto e regolato in
qualità di comandante pro tempore e dirigente dell’ufficio del personale), sono
frutto di sue convinzioni non supportate da riscontri di natura obbiettiva e
facendo conseguire tali riferimenti, al predetto dr. Coccioli, ad altre
notazioni, contenute nello stesso scritto, nelle quali si denunciavano
insabbiamenti, o poche richieste di archiviazioni strumentali attribuite ai
magistrati della Procura della Repubblica di Taranto”.
Il Processo di
Potenza, come i processi tenuti a Taranto, sono attinenti a reati di opinione.
Lo stesso dr. Alessio Coccioli, una volta trasferito a Lecce, ha ritenuto che le
opinioni espresse dal Dr Antonio Giangrande riguardo la Giustizia a Taranto non
potessero continuare ad essere perseguite.
TRIBUNALE DI POTENZA. SI DECIDE SUL DIRITTO DI CRITICA, MA ANCHE SUL DIRITTO DI
INFORMARE.
Di seguito l’inchiesta di Marianna Gianna
Ferrenti pubblicata su “L’Indro” il 17 maggio 2016. “La storia della Repubblica
tra gli anni Settanta e Ottanta, fino al 1993, è stata macchiata da alcuni
clamorosi depistaggi che hanno alterato, con modalità diverse, il percorso delle
indagini riferite ad alcuni eccidi più sanguinari. Una macchia oscura che con le
sue metastasi si estende all’Italia di oggi. Dalle stragi di Bologna e di Piazza
Fontana a Milano, fino a quella di Piazza della Loggia a Brescia. Dall’omicidio
di Aldo Moro a quello di Peppino Impastato, sino al mistero che avvolge il
ritrovamento dell’Agenda Rossa di Paolo Borsellino e alla Trattativa
Stato-Mafia, tanti sono stati i tentativi di inquinare le prove o di occultare
la documentazione che avrebbe potuto rappresentare un tassello importante per
scoprire tutta la verità, senza strascichi o zone d’ombra. Antonio Giangrande,
sociologo e presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, autore di
numerosi libri sulle più grandi stragi del passato, tra cui “‘Aldo Moro. Quello
che si dice e quello che si tace’ esprime numerose perplessità sul Disegno di
Legge in questione. “Dopo tanti anni ancora non sappiamo la verità su una
vicenda storica che ha cambiato l’Italia. L’esigenza della verità su un fatto
storico, induce le persone offese dal reato, da singoli o in associazione, a
pretendere più la punibilità dell’ostracismo, che la conoscenza della stessa
verità. Il legislatore, da parte sua, prima o poi, questa esigenza la soddisfa”.
È risaputo, infatti, che molti lati oscuri di queste inchieste, che hanno
portato alla decelerazione, affievolimento o addirittura al fermo delle indagini
derivano proprio dalla mancata collaborazione di pubblici ufficiali con
l’autorità giudiziaria, come testimoniano numerosi dossier (dossier
mitrokhin, dossier Ustica, i documenti sui depistaggi nella strage di Bologna e
molti altri ancora). L’11 maggio è stato approvato in Commissione Giustizia un
DDL che predispone le condizioni per introdurre nell’ordinamento giuridico il
reato di depistaggio e di inquinamento processuale. Il provvedimento prevede
l’introduzione di pene detentive dai 6 ai 12 anni per chi, con modalità diverse,
depista le indagini, e si arriva 20 anni di carcere, con applicazione della pena
massima, nel caso in cui intervengano particolari aggravanti, come il
coinvolgimento di persone innocenti. Saranno considerate inoltre tutte le
aggravanti che vanno dal traffico illegale di armi o del materiale nucleare,
chimico o biologico, fino al favoreggiamento di attività terroristiche.
L’attuale relatore del provvedimento, Felice Casson (Pd) annuncia che il
provvedimento sarà calendarizzato sicuramente per la fine del mese e puntualizza
che dovrà comunque tornare alla Camera perché sono state apportate alcune
sostanziali modifiche al testo originario. Per esempio l’inasprimento delle pene
se a commettere il reato è un pubblico ufficiale. Eppure Giangrande non è
affatto convinto che il Disegno di Legge apporterà dei cambiamenti
significativi, soprattutto in relazione alla scoperta della verità sulle stragi
passate e presenti, ma neppure configura degli elementi di chiarezza in una
prospettiva futura. “Non è una norma aggiuntiva a quelle già esistenti ad
indurre l’autore del depistaggio o dell’inquinamento processuale a cambiare
comportamento o a far conoscere l’agognata verità. Il Codice Penale italiano
prevede già la calunnia, la falsa perizia, la falsa testimonianza, la falsa
informazione al Pubblico Ministero od al difensore, la frode processuale o il
favoreggiamento processuale. La novella speciale si aggiunge alle precedenti,
affidandosi all’interpretazione delle toghe per la sua applicazione. Inoltre,
applicata all’autore del reato primario, come concorso del reato, potrebbe in
alcuni casi aggravare la pena, tanto da farla diventare non proporzionale al
fatto commesso” chiarisce il sociologo. Tra gli aspetti preminenti del
provvedimento vi è anche la reclusione fino a quattro anni per chiunque
impedisca, ostacoli o svii un’indagine o un processo penale, anche attraverso
l’occultamento delle prove o l’alterazione della documentazione, con un
inasprimento della pena (da un terzo alla metà) se il fatto è commesso da un
pubblico ufficiale. La pena invece è diminuita dalla metà a due terzi nei
confronti di coloro che si adoperano a ripristinare lo stato originario dei
luoghi, delle cose, delle persone o delle prove, o ad evitare che il delitto
commesso comporti d ulteriori conseguenze. In pratica, la riduzione della pena è
prevista per coloro che collaborano con la Polizia o l’autorità giudiziaria per
ricostruire il fatto che ha causato l’inquinamento processuale e per
identificarne gli autori. L’Indro su questo Disegno di Legge ha interpellato
anche uno dei relatori del provvedimento, il senatore Nico D’Ascola (AP), che ha
seguito gran parte del percorso legislativo conclusosi con l’approvazione del
testo in Commissione Giustizia. Gli abbiamo chiesto le motivazioni che hanno
allungato i tempi di approvazione, tenendo conto che si tratta di un
provvedimento già approvato alla Camera nel settembre 2014. Sembrava aver subito
un blocco dei lavori al Senato, fino a quando non è stato assegnato alla
Commissione competente nel luglio 2015. D’Ascola riferisce la difficoltà di
dover intervenire su una materia così complessa come quella che riguarda norme
del diritto penale incriminatrici e fortemente limitative della libertà
personale. Ma ammette che una volta superati gli ostacoli tecnico-giuridici, il
proseguo dell’iter parlamentare è stato in discesa. Non ci sarebbe stato quindi
alcun conflitto di natura politica, tant’è che l’11 maggio il provvedimento è
stato approvato all’unanimità. Tra gli aspetti che il provvedimento prende in
considerazione vi è la proporzionalità del reato in relazione sia alla sua
gravità sia allo stato di luogo, di cose o di persone. “Il depistaggio nasce
sostanzialmente da una sommatoria tra le falsità processuali e la falsa
testimonianza. Si punisce separatamente la condotta di chi abbia commesso
depistaggio durante l’attività processuale, ovvero abbia reso falsa
dichiarazione o taciuto con falsa testimonianza circostanze rilevanti, con
attività di inquinamento durante la fase di accertamento del giudice. Il
depistaggio, inoltre, è aggravato se commesso in relazione a procedimenti
dedicati all’accertamento di reati particolarmente gravi” aggiunge D’Ascola. In
pratica, viene punita soltanto la fattispecie in cui vi è l’intenzionalità a
compiere un reato, magari per favoreggiare persone o organizzazioni criminali. È
proprio su questo, secondo Giangrande, che il Disegno di Legge non interviene
adeguatamente per punire, in proporzione alla gravità del fatto commesso, chi
colposamente commette delle gravi imperizie che ostacolano, impediscono o
fuorviano il proseguo delle indagini. “Il provvedimento non aggiunge niente di
nuovo all’effetto sperato. D'altronde si dà sempre per scontato che l’opera
degli inquirenti e degli investigatori sia meritoria. La carenza strutturale è
che non si prevede la punibilità del responsabile delle indagini che durante le
sue funzioni abbia trascurato per "Colpa" degli elementi probatori essenziali e
non rinnovabili alla soluzione del caso ed alla conoscenza della verità. Questo
affinché l’impunità dello stragismo non sia impunità di Stato” commenta il
presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie. Su questo aspetto, però,
D’Ascola obietta che “punire una sottovalutazione per colpa, cioè di un soggetto
che non si è reso conto dell’importanza dell’elemento investigativo, magari
sulla base d elementi intervenuti successivamente ai fatti contestati, creerebbe
un circuito mostruoso di presunzioni. Francamente, mi sembrerebbe fortemente
limitativo della libertà dell’investigatore. Non credo che nessun ramo del
Parlamento avrebbe avallato una impostazione di questo genere. Poi, nel caso in
cui si verificano gravi imperizie, imprudenze o negligenze da parte di un
investigatore, un Pubblico Ministero o un giudice c’è già la responsabilità
disciplinare o civile, che interviene a seconda del contesto, del tipo di
antigiuridicità, valutando se ci sono degli elementi illeciti rispetto ai quali
commisurare una sanzione. In certi casi, la sottovalutazione può essere del
tutto incolpevole” precisa il senatore. Arriviamo quindi all’aspetto politico
della vicenda legata all’occultamento delle prove o all’universo delle
omissioni, delle bugie o alla distruzione di materiale che poteva essere utile
allo svolgimento delle indagini. Pur non essendoci elementi che facciano pensare
ad un coinvolgimento diretto di influenze politiche nel depistaggio delle
indagini, esistono delle comprovate connivenze, per esempio, tra alcune frange
estreme della politica e alcune associazioni criminali o terroristiche. La
vicenda del rapimento di Aldo Moro e della conseguente uccisione ne è la
dimostrazione lampante, ma anche la strage di Piazza Fontana a Milano su cui “le
indagini si susseguiranno nel corso degli anni, con imputazioni a carico di vari
esponenti anarchici e neo-fascisti; tuttavia alla fine tutti gli accusati sono
stati sempre assolti in sede giudiziaria” argomenta Giangrande. O ancora,
sulla Strage di Piazza della Loggia a Brescia, le indagini si protrarranno a
lungo, per ben 41 anni. “Nella strage dalla stazione di Bologna, il 2 agosto
1980, si giunse ad una sentenza definitiva della Corte di cassazione il 23
novembre 1995. Vennero condannati all'ergastolo, quali esecutori dell'attentato,
i neofascisti dei NAR Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, che si
sono sempre dichiarati innocenti (mentre hanno ammesso e rivendicato decine di
altri omicidi, con l'eccezione di quello di Alessandro Caravillani, di cui la
Mambro si dice innocente” chiosa il sociologo. Per Giangrande la vera falla di
questo provvedimento è che interviene semplicemente per punire coloro che
depistano le indagini, ma non contribuisce in alcun modo alla scoperta della
verità. Inoltre non interviene sulle complicità istituzionali, che non sono
quelle strettamente legate al mondo politico, come si potrebbe pensare, ma sono
ad esempio legate ai Servizi Segreti. “I politici nel tempo cambiano e se
fossero loro gli influenzatori o gli occultatori, prima o poi uno di loro
canterebbe. Credo che si debba intervenire di più sulla capacità investigativa e
sulle complicità istituzionali ed avere diritto a dirlo quando questi sono
carenti o devianti e porvi rimedio. Cosa diversa è il mea culpa che la stampa
dovrebbe farsi. Un buon cane da guardia della democrazia, se fosse all’altezza
della sua autocelebrazione, la verità la scoverebbe al posto degli inquirenti
incapaci o delle istituzioni deviate, come fosse un osso nascosto. Senza
partigianeria” sottolinea il presidente dell’associazione Contro Tutte le Mafie.
All’interno del provvedimento non è prevista la retroattività che, come sostiene
il relatore Nino D’Ascola, sarebbe incostituzionale. Tuttavia se fosse stato
introdotto molti anni fa, secondo il presidente dall’associazione ‘Tutte le
mafie’, non sarebbe cambiato molto nel proseguo delle indagini sulle più grandi
stragi del passato. “Non sono le aspettative della piazza a far cambiare le
cose, ma la consapevolezza che le norme sono solo frasi in nero su foglio
bianco. Quando qualcuno sarà veramente libero di scrivere o parlare e gli sarà
permesso di farlo senza ritorsioni, allora la verità verrà a galla. Perché oggi
viviamo in un mondo dove se parte la legittima critica, scatta immediata la
querela per diffamazione o per calunnia. E purtroppo il potere probatorio è solo
in mano alle toghe: giudicanti, ingiudicate” conclude Giangrande.” Marianna
Gianna Ferrenti.
Le
maldicenze dicono che i giornalisti sono le veline dei magistrati. Allora, per
una volta, facciamo parlare gli imputati.
Tribunale di Potenza. All’udienza tenuta dal
giudice Lucio Setola finalmente si arriva a sentenza. Si decide la sorte del dr.
Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, conosciutissimo sul web. Ma noto,
anche, agli ambienti giudiziari tarantini per le critiche mosse al Foro per i
molti casi di ingiustizia trattati nei suoi saggi, anche con interrogazioni
Parlamentari, tra cui il caso di Sarah Scazzi e del caso Sebai, e per le sue
denunce contro l’abilitazione nazionale truccata all’avvocatura ed alla
magistratura. Il tutto condito da notizie non iscritte nel registro dei reati o
da grappoli di archiviazioni (anche da Potenza), spesso non notificate per
impedirne l’opposizione. Fin anche un’autoarchiviazione, ossia l’archiviazione
della denuncia presentata contro un magistrato. Lo stesso che, anziché inviarla
a Potenza, l’ha archiviata. Biasimi espressi con perizia ed esperienza per aver
esercitato la professione forense, fin che lo hanno permesso. Proprio per questo
non visto di buon occhio dalle toghe tarantine pubbliche e private. Sempre a
Potenza, in altro procedimento per tali critiche, un Pubblico Ministero già di
Taranto, poi trasferito a Lecce, dopo 9 anni, ha rimesso la querela in modo
incondizionato. Da qui la sentenza di l’assoluzione emessa il 19 aprile 2016. Da
qui la sentenza di l’assoluzione emessa il 19 aprile 2016 sulla querela del dr.
Alessio Coccioli Sostituto procuratore presso il Tribunale di Taranto, prima, e
di Lecce, poi.
Processato a Potenza per diffamazione e
calunnia per aver esercitato il suo diritto di difesa per impedire tre condanne
ritenute scontate su reati riferiti ad opinioni attinenti le commistioni
magistrati-avvocati in riferimento all’abilitazione truccata, ai sinistri truffa
ed alle perizie giudiziarie false. Alcuni giudizi contestati, oltretutto, non
espressi dall’imputato, ma a lui falsamente addebitati. Fatto che ha indotto il
Giangrande per dipiù a presentare una istanza di rimessione del processo ad
altro Foro per legittimo sospetto (di persecuzione) ed a rivolgersi alla Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo. Rigettata dalla Corte di Cassazione e dalla Cedu,
così come fan per tutti.
Per dire: una norma scomoda inapplicata.
Processato a Potenza, secondo l’atto
d’accusa, per aver presentato una richiesta di ricusazione nei confronti del
giudice di Taranto Rita Romano in tre distinti processi. Motivandola, allegando
la denuncia penale già presentata contro lo stesso giudice anzi tempo. Denuncia
sostenuta dalle prove della grave inimicizia, contenute nelle motivazioni delle
sentenze emesse in diversi processi precedenti, in cui si riteneva Antonio
Giangrande una persona inattendibile. Atto di Ricusazione che ha portato nel
proseguo dei tre processi ricusati all’assoluzione con giudici diversi: il fatto
non sussiste. Questione rinvenibile necessariamente durante le indagini
preliminari, ma debitamente ignorata.
Ma tanto è bastato all’imputato,
nell’esercitare il diritto di difesa ed a non rassegnarsi all’atroce destino del
“subisci e taci”, per essere processato a Potenza. Un andirivieni continuo da
Avetrana di ben oltre 400 chilometri. Ed è già una pena anticipata.
L’avvocato della
difesa ha rilevato nell’atto di ricusazione la mancanza di lesione dell’onore e
della reputazione del giudice Rita Romano ed ha sollevato la scriminante del
diritto di critica e la convinzione della colpevolezza del giudice da parte
dell’imputato di calunnia. La difesa, preliminarmente, ha evidenziato motivi di
improcedibilità per decadenza e prescrizione. Questioni Pregiudiziali non
accolte. L’accusa ha ravvisato la continuazione del reato, pur essendo sempre un
unico ed identico atto: sia di ricusazione, sia di denuncia di vecchia data ad
esso allegata.
Il giudice Rita
Romano, costituita parte civile, chiede all’imputato decine di migliaia di euro
di danno. Imputato già di per sé relegato all’indigenza per impedimento allo
svolgimento della professione.
Staremo a vedere se
vale la forza della legge o la legge del più forte, al quale non si possono
muovere critiche. Che Potenza arrivi a quella condanna, dove Taranto dopo tanti
tentativi non è riuscita?
E anche stavolta,
come decine di volte ancora prima con accuse montate ad arte, non ci sono
riusciti a condannare il dr Antonio Giangrande. Il Dr Lucio Setola del tribunale
di Potenza assolve il dr Antonio Giangrande il 19 maggio 2016, alle ore 17, dopo
un’estenuante attesa dalla mattina da parte dell’imputato e dei sui difensori
l’avv. Pietrantonio De Nuzzo e l’avv. Mirko Giangrande. Procedimento 907/2011
RGNR e sentenza n. 530/2014.
La stessa cosa si
ripete a Taranto dove l’avv. Nadia Cavallo il 25 novembre 2010 ha ripresentato
una querela per diffamazione, per un fatto già giudicato e da cui è scaturita
assoluzione. I fatti de quo, oggetto di imputazione, sono già stati materia di
giudizio reso in data 23 gennaio 2014 (n. 147/2014) dal giudice del Tribunale di
Taranto in composizione monocratica, dr.ssa Maria Christina De Tommasi, attivata
su denuncia dellla Cavallo del 10 giugno 2005 con procedimento 5089/05 RGNR
dalla dr.ssa Pina Montanaro, nonostante la frase incriminata era riportata su
siti web non riconducibili al Giangrande, col proseguo n. 2612/06 (Gip Ciro
Giore e Pompeo Carriere) e 10306/06 – 10346/10 RGNR di Manduria (giudici
monocratici Rita Romano, ricusata, Vilma Gilli e Maria Christina De Tommasi).
Tale dispositivo disponeva il non doversi procedere nei confronti del Giangrande
per intervenuta prescrizione di cui al capo B (Diffamazione non accertata) ed
assoluzione per il reato di cui al capo A (calunnia infondata perché denunciato
un fatto vero e non dal Giangrande) per non aver commesso il fatto. La nuova
querela della Cavallo aveva prodotto un decreto penale di condanna emesso il 30
luglio 2014 dal Gip Giuseppe Tommasino senza contradditorio su richiesta del
sost. Procuratore della Repubblica Mariano Evangelista Buccoliero. La doverosa
opposizione del difensore, l’avv. Mirko Giangrande, per “ne bis in idem”, ossia
non processato è condannato per lo stesso fatto, portava al Giudizio Immediato a
seguito di opposizione predisposto dal GIP Giuseppe Tommasino presso il
Tribunale di Taranto e fissato per l’1 febbraio 2011. Il processo 1937/11 RGNR è
passato dal giudice Got dr.ssa Vita Lavecchia al togato dr.ssa Sara Gabellone,
che il 24 settembre 2018 ha emesso sentenza di proscioglimento n. 2076/2018.
Insomma a Taranto
tutti vogliono condannare Antonio Giangrande, ma nessuno, sembra, voglia
assumentrsi la responsabilità di farlo in prima persona.
Dicono su Avetrana
accusata di omertà: “Chi sa parli!” Se poi da avetranese parli o scrivi, ti
processano.
Prescrizione. Manlio Cerroni e la malafede
dei giornalisti.
Un indagato/imputato prescritto non è un
colpevole salvato, ma un soggetto, forse innocente, NON GIUDICABILE, quindi, NON
GIUDICATO!!!
Incubo carcere preventivo: quattro milioni di
innocenti. In 50 anni troppe vittime hanno subìto l'abuso della detenzione. C'è
del marcio nei palazzi di giustizia. Si ostinano a chiamarli "errori
giudiziari", ma sono la prova che il sistema è al collasso, fin nelle
fondamenta, scrive Giorgio Mulè su “Panorama”. Quello che mi fa ribollire il
sangue è che si ostinano a chiamarli "errori giudiziari", a presentarli come
casi isolati da inserire nel naturale corso della dialettica processuale. E
invece sono la prova provata di un sistema giudiziario marcio fin nelle
fondamenta. Aprite i giornali e ogni giorno troverete uno di questi "errori".
Facciamo insieme due passi nelle cronache recentissime e ripercorriamole a
ritroso.
Eppure i figli di…Travaglio divulgano certi
messaggi fuorvianti atti ad influenzare gli ignoranti cittadini, che poi votano
ignoranti rappresentanti politici e parlamentari.
A tal proposito viene in aiuto l’esempio
lampante di come un tema scottante ed attuale venga trattato dai media
arlecchini, servi di più padroni.
Assolti? C’è sempre un però. E go te absolvo,
sussurra il prete dietro la grata del confessionale. Ma se lo dice il giudice
allora no, non vale. In Italia ogni assoluzione è un’opinione, per definizione
opinabile o fallace; e d’altronde ogni processo è già una pena, talvolta più
lunga d’un ergastolo.
TG1: ROMA PROCESSO MALAGROTTA, ASSOLTO
CERRONI. Andato in onda il 06/11/2018. "Il processo sulla discarica di
Malagrotta e la gestione dei rifiuti a Roma. Assolto l'ex patron dello
stabilimento, Manlio Cerroni, dall'accusa di associazione a delinquere
finalizzata al traffico illecito di rifiuti". Flavia Lorenzoni.
Nel servizio si fa cenno al fatto che il
processo è durato 4 anni. E meno male che l’abbia detto. Ma lì si è fermato.
Però, di seguito, il TG1 ha mandato in onda il servizio sulla strage di
Viareggio e sugli affetti che la prescrizione avrebbe avuto su di esso.
Nel servizio al TG5 di questo tempo
processuale di Cerroni nemmeno se ne fa cenno.
A cercare su tutta la restante stampa e sugli
altri tg non si trova altro che cenni all’assoluzione, tacendo i tempi per il
suo ottenimento, ma insistendo ad infangare ed inficiare la reputazione
dell’ultra novantenne Cerroni.
Solo il detuperato e vituperato giornale di
Piero Sansonetti mi apre gli occhi: "Cerroni assolto dopo 14 anni di processi.
L’imprenditore era accusato di associazione a delinquere", scrive Simona Musco
il 7 Novembre 2018 su "Il Dubbio". "Non c’è mai stata un’associazione a
delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti a Roma e nel Lazio. Sono
serviti quasi 10 anni di indagini e quattro di processo, nonostante il giudizio
immediato, per arrivare alla conclusione raggiunta lunedì, dopo otto ore di
camera di consiglio, dalla prima sezione penale del tribunale di Roma:
l’imprenditore Manlio Cerroni non ha commesso il fatto, dunque va assolto".
14 anni sotto la scure della giustizia. Ma in
tema di campagna contro la prescrizione meglio tacciare quest'aspetto della
notizia, sia mai si ledano i favori dei potenti di turno.
Una censura o un’omertà assordante,
nonostante: "In 30 anni ho finanziato tutta la politica. Tutta no, i Radicali
non me l'hanno mai chiesto". Manlio Cerroni, intervistato da Myrta Merlino su La
7 il 6 settembre 2017.
Lo scandalo non sta nel fatto che scatta la
prescrizione, dopo anni dal presunto reato e anni dall’inizio del procedimento
penale. Lo scandalo sta nel fatto che non sono bastati anni alla magistratura
per concludere l’iter processuale.
La prescrizione è garanzia di giustizia, i pm
la trasformano in un mostro giuridico. Lo studio dell'associazione "Fino a prova
contraria". Annalisa Chirico, giornalista e fondatrice del movimento "Fino a
prova contraria", ha pubblicato sul Foglio un interessante studio dei dati
relativi alla prescrizione dei procedimenti penali in Italia. Studio che merita
di essere approfondito e commentato, visto che cristallizza in maniera
inconfutabile alcune verità che non faranno certamente piacere ai giustizialisti
in servizio permanente effettivo. Partendo dalle rilevazioni statistiche del
Ministero della Giustizia, raccolte in un documento dello scorso maggio, la
giornalista ha potuto constatare che circa il 60% delle prescrizioni avvengono
nella fase delle indagini preliminari. Quindi nella fase in cui il pubblico
ministero è dominus assoluto del procedimento e dove la difesa, usando una
metafora calcistica, "non tocca palla". Il dato smentisce una volta per tutte la
vulgata che vedrebbe l'indagato ed il suo difensore porre in essere condotte
dilatorie per sottrarsi al giudizio. Quella che viene comunemente chiamata "fuga
dal processo". Di contro, certifica l'assoluta discrezionalità dell'ufficio del
pubblico ministero nella gestione del procedimento.
Nonostante la verità si appalesa, certi
politici, continuano a cavalcare barbare battaglie di inciviltà giuridica e
sociale.
Prescrizione: Salvini, voglio tempi brevi
processo e in galera colpevoli, scrive Adnkronos l'8 Novembre 2018 su "Il
Dubbio". “La mediazione è stata positiva, accordo trovato in mezz’ora. Voglio
tempi brevi per i processi. In galera i colpevoli, libertà per innocenti. La
norma sulla prescrizione sarà nel ddl ma entra in vigore da gennaio del 2020
quando sarà approvata la riforma del processo penale. La legge delega, che
scadrà a dicembre del 2019, sarà all’esame del Senato la prossima settimana”. Lo
dice il vicepremier Matteo Salvini, dopo l’intesa trovata a Palazzo Chigi sulla
prescrizione.
Prescrizione: Di Maio, soddisfatto da
accordo, stop furbetti, scrive Adnkronos il 9 Novembre 2018 su "Il Dubbio".
“Prescrizione? Mi sono svegliato dopo bene dopo l’accordo, mi soddisfa
totalmente, perché l’obiettivo di riformare la prescrizione è sempre stata un
obiettivo del M5S per fermare i furbetti. Allo stesso modo sapere che il 2019
sarà l’anno del processo penale è importante”. Lo ha detto il vicepremier e
ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, incontrando la
stampa estera a Roma. “Per me è molto importante confrontarmi con voi – ha
aggiunto – i media mondiali con cui vorrei confrontarmi su temi importanti”.
Non si vuole curare il male, ma vogliono
eliminare il rimedio di tutela.
Come si sa, i Giustizialisti
Giacobini dormono, la notte, adagiati fra le teste mozzate dei nemici uccisi. Di
essi hanno bevuto il sangue. Delle loro carni si sono saziati. Non c’è nulla di
più detestabile di un Giustizialista Giacobino. In lui infatti convergono,
tautologicamente, due orribili vizi: l’essere giustizialista, e l’essere
giacobino.
Il Giustizialista Giacobino è colui che non
evoca la giustizia come risoluzione di alcuni problemi giudiziari, ma vorrebbe
perversamente che essa li risolvesse tutti.
Il Giustizialista Giacobino è colui che usa
la differenziazione della giustizia. Ciò ha un che di antiquato, di classista,
distinguere ricchi da poveri, privilegiati e non, potenti e miserabili. Questa
ignobile creatura sa infatti molto bene, ma finge di non sapere, che se la
giustizia è sempre giusta non sempre lo sono i giudici. Essi si dividono
in Giudici Giustizialisti Giacobini e Giudici Non Giustizialisti e Non
Giacobini. I primi condannano per scopi politici, per rancori personali, per
invidia sociale. I secondi sono animati da giustizia, saggezza e santità. Per
riconoscere una sentenza come Giustizialista basta individuare chi è stato
colpito da essa.
Il Giustizialista Giacobino è colui che
invoca una giustizia rapida, inflessibile, con inasprimento delle pene e
accelerazione dell’iter processuale, incarcerazione preventiva prolungata e
cancellazione delle attenuanti e dell’habeas corpus per i reati commessi dai
nemici giurati della comunità civica e dunque della giustizia giusta. Sì, però,
va detto che la giustizia è sempre giusta, ma i giudici possono essere giusti ed
ingiusti.
La Prescrizione. E' l'istituto più odiato dai
giustizialisti, sto parlando della prescrizione del reato. Vorrebbero tempi di
prescrizione lunghissimi, praticamente infiniti. Non conta quando hai commesso
un reato, dicono, conta se lo hai commesso, e se lo hai commesso devi essere
punito, punto e basta. E non va loro giù che la prescrizione intervenga dopo che
il processo ha avuto inizio. Citano addirittura gli Stati Uniti d'America, dove
i termini di prescrizione si interrompono appena è stata emessa la sentenza di
rinvio a giudizio. Si, è proprio così, negli Usa la prescrizione si interrompe
dal momento in cui il sospettato è rinviato a giudizio, ma, quali sono i termini
di prescrizione negli Stati uniti d'America? Un delitto che comporta la pena
dell'ergastolo è sempre perseguibile. Ogni altro delitto grave (rapine, furti,
stupri, sequestri di persona) è perseguibile entro CINQUE ANNI. I delitti meno
gravi sono perseguibili entro DUE ANNI, quelli minimi entro UN ANNO. Esclusi i
delitti gravissimi, sempre perseguibili, negli Usa ogni crimine deve essere
perseguito entro termini temporali abbastanza ristretti. Nel momento in cui
inizia il processo però i termini di prescrizione si interrompono, e si evitano
in questo modo eventuali manovre dilatorie. Questo non fa sì che l'imputato
debba passare lunghi periodi nella “zona di nessuno” in cui necessariamente vive
chi è sottoposto a procedimento penale. Negli Usa infatti i processi sono
piuttosto rapidi. Le udienze sono quotidiane, i giurati vivono praticamente da
reclusi, impossibilitati addirittura a leggere i giornali o a guardare la TV,
questo perché chi è chiamato a giudicare della vita di un essere umano deve
formarsi la propria convinzione in base a ciò che emerge dal dibattimento, non
dai talk show televisivi o dai predicozzi di giornalisti alla Travaglio. La
differenza con quanto avviene in Italia è lampante. Un giudice popolare italiano
ascolta oggi un teste, fra due mesi un altro, fra sei mesi la requisitoria del
PM e fra otto l'arringa del difensore. Se tutto va bene fra un anno entrerà in
camera di consiglio (fanno eccezione i processi a carico di Berlusconi che sono
di solito rapidissimi). E' difficile pensare che in questo modo il giudice
popolare italiano possa maturare una convinzione ponderata sulla base di quanto
emerge dal dibattimento. Si aggiunga che negli Usa il pubblico accusatore non è,
come in Italia, un collega del giudice, che la difesa contribuisce alla
selezione della corte giudicante, che i giurati devono decidere alla unanimità e
ci si renderà conto che in quel paese il processo penale, anche se esclude i tre
gradi di giudizio automatici, è molto più garantista che nel nostro.
Non è un caso, in conclusione, che uno dei
padri della scienza penalistica italiana, come Francesco Carrara (Lucca, 18
settembre 1805 - Lucca, 15 gennaio 1888), abbia avuto modo di insegnare
l’importanza giuridica dell’istituto della prescrizione: «Interessa la punizione
dei colpevoli, ma interessa altresì la protezione degli innocenti. Un lungo
tratto di tempo decorso dopo il fatto criminoso che vuolsi obiettare ad alcuno
rende a questo punto infelice, quasi impossibile, la giustificazione della
propria innocenza […]. Qual sarebbe l’uomo che chiamato oggi a dar conto di ciò
che fece in un dato giorno dieci anni addietro sia in grado di dire e dimostrare
dove egli fosse, e come sia falsa la imputazione che contro di lui si dirige? La
perfidia di un nemico può avere maliziosamente tardato a lanciare lo strale
della calunnia per farne più sicuro lo effetto».
Tuttavia la veemenza con cui, negli ultimi
anni, opinione pubblica e rappresentanti politici e della magistratura ritengono
una ferita alla civiltà giuridica un istituto che, dai tempi del diritto romano,
ne è stato invece baluardo, ha origini mediocri.
Ma se è mediocre la veemenza, è antica la
genesi dell’istituto della Prescrizione.
E' indubbio che l'istituto della prescrizione
- nato come istituto di natura processuale (la longi temporis praescriptio
del diritto romano) che estingue l'azione (civile o penale) e come
tale disciplinato nel diritto penale, risponde in primo luogo all'esigenza di
garantire la certezza dei rapporti giuridici, esigenza cui è evidentemente
interessato soprattutto l'imputato. Nell'Atene classica esisteva un
termine di prescrizione di 5 anni per tutti reati, ad eccezione dell'omicidio e
dei reati contro le norme costituzionali, che non avevano termine di
prescrizione. Demostene scrisse che questo termine fu introdotto per controllare
l'attività dei sicofanti.
“Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria
(Milano 15 marzo 1738 - Milano 28 novembre 1794). CAPITOLO XXX PROCESSI E
PRESCRIZIONE. Conosciute le prove e calcolata la certezza del delitto, è
necessario concedere al reo il tempo e mezzi opportuni per giustificarsi; ma
tempo cosí breve che non pregiudichi alla prontezza della pena, che abbiamo
veduto essere uno de’ principali freni de’ delitti. Un mal inteso amore della
umanità sembra contrario a questa brevità di tempo, ma svanirà ogni dubbio se si
rifletta che i pericoli dell’innocenza crescono coi difetti della legislazione.
Ma le leggi devono fissare un certo spazio di tempo, sì alla difesa del reo che
alle prove de’ delitti, e il giudice diverrebbe legislatore se egli dovesse
decidere del tempo necessario per provare un delitto.
Di
Pietro, Grillo, il Movimento 5 Stelle e gli “utili idioti giustizialisti”.
L’Opinione del dr. Antonio Giangrande.
Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione
Contro Tutte le Mafie.
Le incalzanti notizie di cronaca giudiziaria
provocano reazioni variegate tra i cittadini della nostra penisola. Sgomento,
sorpresa, sdegno, compassione o incredulità si alternano nei discorsi tra i
cittadini. Ma emerge, troppo spesso, una ipocrisia di fondo che è la stessa che
attraversa, troppo spesso, la nostra società. Ma… chi è onesto al cento per
cento? Credo nessuno, nemmeno il Papa. Chi non ha fatto fare qualche lavoretto
in nero? Chi ha fatturato ogni lavoro eseguito? Chi ha sempre pagato l’iva? Chi
ha dichiarato l’esatta metratura dei propri locali, per evitare di pagare più
tasse sulla spazzatura? Chi lavora per raccomandazione o ha vinto un concorso
truccato? Chi è un falso invalido o un baby pensionato? Chi per una volta non ha
marinato l’impiego pubblico? Ecc.. Chi è senza peccato scagli la prima
pietra! Naturalmente, quando non paghiamo qualche tassa, ci giustifichiamo in
nome della nostra “onestà” presunta, oppure del fatto che fan tutti così: “Io
non sono un coglione”! E così via…
Ecco allora che mi sgranano gli occhi
all'ultimo saluto a Casaleggio il 14 aprile 2016. La folla grida “Onestà,
onestà, onestà”, frase di sinistroide e giustizialistoide natali. "Onestà,
onestà". Questo lo slogano urlato a più riprese dai militanti del M5S alla fine
dei funerali del cofondatore Roberto Casaleggio a Milano. Applausi scroscianti
non solo al feretro, ma anche ai parlamentari presenti a Santa Maria delle
Grazie, tra cui Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio. Abbracci, lacrime e
commozione fra i parlamentari all'uscita.
“La follia di
fare dell'onestà un manifesto politico”,
scrive Alessandro Sallusti, Venerdì 15/04/2016, su "Il Giornale".
«Gli unici onesti del Paese sarebbero loro, come vent'anni fa si
spacciavano per tali i magistrati del pool di Mani pulite, come tre anni fa
sosteneva di esserlo il candidato del Pd Marino contrapposto a Roma ai presunti
ladri di destra. Come tanti altri. Io non faccio esami di onestà a nessuno, me
ne guardo bene, ma per lavoro seguo la cronaca e ho preso atto di un principio
ineluttabile: chi di onestà colpisce, prima o poi i conti deve farli con la sua,
di onestà. Lo sa bene Di Pietro, naufragato sui pasticci immobiliari del suo
partito; ne ha pagato le conseguenze Marino con i suoi scontrini taroccati; lo
stesso Grillo, a distanza di anni, non ha ancora smentito le notizie sui tanti
soldi in nero che incassava quando faceva il comico di professione».
In pochi, pochissimi lo sanno. Ma prima di
diventare il guru del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio
aveva avuto rapporti con la politica attraverso le sue società di comunicazione.
In particolare con un politico anni fa molto in voga e oggi completamente in
disgrazia: Antonio Di Pietro.
«E' così, quando
vedono una figura che potrebbe offuscare o affiancare la popolarità di Grillo, i
vertici del Movimento si affrettano a epurarla». La sua storia, dall'appoggio
incondizionato ricevuto all'allontanamento improvviso, è il simbolo del rapporto
tra l'Italia dei Valori e Beppe Grillo, scrive Francesco Oggiano il 22 giugno
2012 su “Vanity Faire”. Il partito dell'ex pm è da sempre quello più vicino per
contenuti al Movimento. Il sodalizio è iniziato con la nascita del blog ed è
continuato almeno fino agli scorsi mesi. Grillo ha sempre sostenuto l'ex pm,
definito una «persona perbene» e soprannominato «Kryptonite», per essere rimasto
«l'unico a fare veramente opposizione al Governo Berlusconi». I «vertici»
sarebbero quelli della Casaleggio Associati, società fondata dal guru
Gianroberto che cura la comunicazione del Movimento 5 Stelle. La «figura» in
ascesa era lei, Sonia Alfano. 40 anni, l'esplosiva eurodeputata eletta con
l'Idv, poi diventata Presidente della Commissione Antimafia europea, arrivando
al culmine di una carriera accidentata (prima la rottura con Grillo, poi con
l'Idv) iniziata nel 2008. Figlia del giornalista Beppe assassinato dalla mafia,
l'eurodeputata è stata la prima ad aver creato una lista civica regionale
certificata da Grillo, nel 2008. Già attiva da tempo nel Meetup di Palermo, si
presentò in Sicilia ignorata dai media tradizionali e aiutata dal comico prese
il 3% e 70 mila preferenze. «Alla vigilia delle elezioni europee del 2009,
Grillo e Di Pietro vennero da me e mi chiesero di candidarmi a Strasburgo. Io
non sapevo neanche di che si occupava l'Europarlamento», racconta oggi.
Perché Casaleggio avrebbe dovuto
allontanare due europarlamentari popolari come Sonia Alfano e Luigi De
Magistris? Chiede Francesco Oggiano a Sonia Alfano: «La mia sensazione è
che quando i vertici del Movimento annusano una figura "carismatica" che può
offuscare, o quantomeno affiancare, la leadership mediatica di Grillo, diano
inizio all'epurazione».
Già dal gennaio 2003 il Presidente
dell'Associazione Contro Tutte le Mafie, dr Antonio Giangrande, in una
semideserta ed indifferente assemblea dell'IDV a Bari, in presenza di Antonio Di
Pietro e di Carlo Madaro (il giudice del caso Di Bella) criticò il modo di fare
nell'IDV. L'allora vice presidente provinciale di Taranto contestò alcuni punti,
che furono causa del suo abbandono: Diritto di parola in pubblico e strategie
politiche esclusiva di Di Pietro; dirigenti "Yes-man" scelti dal padre-padrone
senza cultura politica, o transfughi da altri partiti, o addirittura con troppa
scaltrezza politica, spesso allocati in territori non di competenza (in Puglia
nominato commissario il lucano Felice Bellisario); IDV presentato come partito
della legalità-moralità in realtà era ed è il partito dei magistrati, anche di
quelli che delinquono impunemente; finanziamenti pubblici mai arrivati alla
base, così come ne hanno tanto parlato gli scandali mediatici e giudiziari.
Ma non è questo che fa pensare cento volte
prima di entrare in un movimento insipido come il M5S. Specialmente a chi, come
me, per le sue campagne di legalità contro i poteri forti è oggetto perpetuo
degli strali dei magistrati. Incensurato, ma per quanto?
FU IL TENENTE GIUSEPPE DI BELLO IL PRIMO A
SCOPRIRE L’INQUINAMENTO IN BASILICATA, PER PUNIZIONE LO DENUNCIARONO PER
“PROCURATO ALLARME!” Tenente della polizia provinciale di Potenza
denuncia l’inquinamento e perde la
divisa. A Potenza viene sospeso e condannato. Il caso affrontato con un
servizio di Dino Giarrusso su "Le Iene" del 17 aprile 2016.
“Io rovinato per aver fatto il mio
dovere. E per aver raccontato i veleni del petrolio in Basilicata prima di
tutti”. In un colloquio lo sfogo di Giuseppe Di Bello, tenente di polizia
provinciale ora spedito a fare il custode al museo di Potenza per le sue denunce
sull'inquinamento all'invaso del Pertusillo, scrive Antonello Caporale il 4
aprile 2016 su "Il Fatto Quotidiano". «La risposta delle istituzioni è la
sentenza con la quale vengo condannato a due mesi e venti giorni di reclusione,
che in appello sono aumentati a tre mesi tondi. Decido di candidarmi
alle regionali, scelgo il Movimento Cinquestelle. Sono il più votato nella
consultazione della base, ma Grillo mi depenna perché sono stato condannato, ho
infangato la divisa, sporcato l’immagine della Basilicata. La Cassazione annulla
la sentenza (anche se con rinvio, quindi mi attende un nuovo processo).
Il procuratore generale mi stringe la mano davanti a tutti. La magistratura
lucana ora si accorge del disastro ambientale, adesso sigilla il Costa Molina.
Nessuno che chieda a chi doveva vedere e non ha visto, chi doveva sapere e ha
taciuto: e in quest’anni dove eravate? Cosa facevate?».
A questo punto ritengo che i movimenti a
monoconduttura o padronali, che basano il loro credo sulla propria presunta
onestà per non inimicarsi i magistrati, ovvero per non essere offuscati
dall’ombra degli eroi che combattono i poteri forti e ne subiscono le ritorsioni
giudiziarie, vogliano nelle loro fila solo “utili idioti”. Cioè persone che non
hanno una storia da raccontare, o un’esperienza vissuta; non hanno un bacino
elettorale che ne conosca le capacità. Insomma i padroni del movimento vogliono
dei “Yes-Man” proni al volere dei loro signori. “Utili idioti” scelti in “camera
caritatis” o a forza di poche decine di click su un blog imprenditoriale. “Utili
idioti” sui quali fare i conti in tasca: sia mai che guadagnino più del loro
guru. A pensarci bene, però, gli altri partiti non è che siano molto diversi dal
Movimento 5 Stelle o l’IDV. La differenza è che gli altri non gridano
all’onestà, ben sapendo di essere italiani.
Parliamo un po’ della Giustizia italiana. La Giustizia dei paradossi.
Le maldicenze dicono che gli italiani sono un popolo di corrotti e corruttori e,
tuttavia, scelgono di essere giustizialisti e di stare dalla parte dei
Magistrati.
L’Opinione del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger,
youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Sui media la Giustizia ha sempre un posto in primo piano nella loro personale
scaletta, ma non sempre sono sinceri.
Parliamo del premier Matteo Renzi
che, in occasione del 25 aprile 2016, celebra la "liberazione" dai pm con una
lunga intervista a Repubblica. Il nocciolo del suo pensiero è tutto raccolto in
poche frasi: "I politici che rubano fanno schifo. E vanno trovati, giudicati e
condannati. Dire che tutti sono colpevoli significa dire che nessuno è
colpevole. Esattamente l'opposto di ciò che serve all'Italia. Voglio nomi e
cognomi dei colpevoli. Una politica forte non ha paura di una magistratura
forte. È finito il tempo della subalternità. Il politico onesto rispetta il
magistrato e aspetta la sentenza. Tutto il resto è noia, avrebbe detto
Califano. Adesso la priorità è che si velocizzino i tempi della giustizia".
Poi, invece, si legge che sono stati denunciati i pm del caso Renzi: "Omesse
indagini sulle spese pazze". Depositata l'accusa contro i pm che hanno
archiviato il caso delle spese di Renzi: "Non hanno voluto indagare", scrive
Giuseppe De Lorenzo, Martedì 05/01/2016, su “Il Giornale”.
Parliamo del Ministro della Giustizia Andrea Orlando
che parla, tra le altre cose, di riforma della Prescrizione. Andrea Orlando.
Primo guardasigilli non laureato che nel 2010 gli è stata ritirata patente per
guida in stato di ebbrezza, scrive Federico Altea su “Elzeviro” il 27 febbraio
2014. Quaranticinquenne, non ha mai toccato la giustizia in incarichi pubblici,
ma è stato nominato responsabile in materia in seno alla direzione del partito
di cui fa parte, nominato da Bersani di cui è fedele compagno nella corrente nei
Giovani turchi. In un'intervista al Foglio si disse favorevole al carcere duro.
Non è di un politico "esperto" né di un tecnico intrallazzato che il dicastero
della giustizia ha bisogno, ma di un giurista serio che conosca e riformi
completamente il sistema penale e civile e restringa il più possibile la facoltà
dei giudici di interpretare a loro piacimento il sistema giuridico. Una persona
che abbia le competenze per riformare il sistema penitenziario. Andrea Orlando,
sempre parlando di competenze in ambito di Giustizia o giuridiche in senso
lato, non solo non ha la laurea in giurisprudenza, ma non ha ottenuto un diploma
di laurea di alcun genere. Nella storia della Repubblica italiana è la prima
volta che il Ministero della Giustizia viene affidato ad un non laureato. Tutti
i trentatré predecessori di Orlando, infatti, erano laureati e ben ventisette
guardasigilli erano laureati giurisprudenza. Da questo c’è da desumere che possa
pendere dalle labbra degli esperti e tecnici interessati.
Parliamo delle toghe.
Diceva Piero Calamandrei: “L’avvocato farà bene, se gli sta a cuore la sua
causa, a non darsi l’aria di insegnare ai giudici quel diritto, di cui la buona
creanza impone di considerarli maestri”. “I magistrati - diceva ancora
Calamandrei - sono come i maiali. Se ne tocchi, uno gridano tutti. Non puoi
metterti contro la magistratura, è sempre stato così, è una corporazione". Il
giudice rappresenta il funzionario dello Stato, vincitore di concorso
all’italiana, cui è attribuito impropriamente il Potere dello iuris dicere.
Ossia di porre la parola fine ad una controversia, di attribuire ad uno dei
contendenti il bene della vita conteso nel processo giurisdizionale, di iniziare
e/o far finire i giorni della vita di un cittadino in una struttura
penitenziaria. Il giudice è per sé stesso “un’Autorità”: ossia un Pubblico
Ufficiale. L’avvocato, invece, non lo è. La considerazione è così banale, tanto
è ovvia. L’avvocato è solo un esercente un servizio di pubblica necessità,
divenuto tale in virtù di un criticato esame di abilitazione.
Il processo non può essere mai giusto, come definito in Costituzione, se nulla
si può fare contro un magistrato ingiusto giudicato e giustificato dai colleghi,
ovvero se in udienza penale l’avvocato si scontra contro le tesi
dell’inquirente/requirente collega del giudicante.
La magistratura in Italia: ordine o potere? Secondo la classica tripartizione
operata dal Montesquieu, i poteri dello Stato si suddividono in Potere
legislativo spettante al Parlamento, Potere esecutivo spettante al Governo e
Potere giudiziario spettante alla Magistratura. Questo al tempo della
rivoluzione francese. Poi il diritto, per fortuna, si è evoluto. In Italia la
Magistratura non può in nessun caso esercitare un potere dello Stato (Potere,
nel vero senso della parola), infatti per poter parlare tecnicamente di Potere,
e quindi di imperium, è necessario che esso derivi dal popolo o, come accadeva
nei secoli passati, da Dio. Nelle moderne democrazie occidentali il concetto di
potere è strettamente legato a quello di imperium proveniente dalla volontà
popolare, quindi è del tutto pacifico affermare che gli unici organi – seppur
con tutte le loro derivazioni – ad essere legittimati ad esercitare un Potere
sono soltanto il Parlamento (potere legislativo) ed il Governo (potere
esecutivo). In effetti l’art. 1 della Costituzione, nei principi fondamentali,
recita: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei
limiti della Costituzione”. Per rendere chiaro il concetto è sufficiente
comprendere che nel momento in cui il Parlamento ed il Governo esercitano i
propri poteri, lo fanno “in nome” e “per conto” del popolo da cui ne deriva
l’investitura, quindi la Magistratura non può essere in alcun modo considerata
un potere – in senso stretto – dello Stato; essa è solo un Ordine legittimato ad
esercitare – “in nome” del popolo e non anche per conto di questo – la funzione
giurisdizionale nei soli spazi delineati dalla Costituzione e, soprattutto, nel
fedele rispetto della legge approvata dai soli organi deputati ad adottarla,
quindi dal Parlamento e dal Governo, seppur quest’ultimo nei soli casi
tassativamente previsti dalla Carta costituzionale. A dimostrazione di quanto
premesso, la nostra Costituzione – della quale i giudici si dichiarano spesso i
soli difensori – parla, non a caso, di Ordine Giudiziario e non di Potere.
Difatti il Titolo Quarto della Carta costituzionale riporta scritto a chiare
lettere, nella Sezione Prima, “Ordinamento giurisdizionale”, e non Potere; e a
fugare ogni dubbio ci pensa l’art. 104 Cost.: “La magistratura costituisce un
ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere…”. Di questo, però, la
sinistra politica non se ne capacita, continuando ad usare il termine Potere
riferito alla magistratura, smentendo i loro stessi padri costituenti. Se fino
alla fine degli anni Ottanta, quando vi erano veri politici a rappresentare il
popolo, questo tipo di discussione non era neppure immaginabile, a partire dal
1992 – vale a dire da quando è iniziato un periodo di cronica debolezza della
politica, ovvero quando la politica ha usato l’arma giudiziaria per arrivare al
potere – la Magistratura ha cercato (come quasi sempre è accaduto nella Storia)
di sostituirsi alla politica arrivando addirittura ad esercitare, talune volte
anche esplicitamente, alcune prerogative tipiche del Parlamento e del Governo:
un vero colpo di Stato. Non possiamo dimenticarci quando un gruppo di magistrati
– durante il cosiddetto periodo di “mani pulite” – si presentò davanti alle
telecamere per contrastare l’entrata in vigore di un legittimo – anche se
discutibile – Decreto che depenalizzava il finanziamento illecito ai partiti (il
cosiddetto Decreto Conso), violentando in tal modo sia il principio di
autodeterminazione delle Camere che l’esercizio della sovranità popolare. E che
dire della crociata classista, giacobina e corporativa racchiusa nelle parole
“resistere, resistere, resistere…”! E poi i magistrati con la Costituzione tra
le braccia al fine di ergersi ad unici difensori della stessa contro presunti
attacchi da parte della politica. E che dire, poi, di alcune sentenze della
Corte di Cassazione? Nascondendosi dietro l’importantissima funzione
nomofilattica, la Suprema Corte spesso stravolge sia l’intenzione del
Legislatore che il senso e la portata delle leggi stesse, se non addirittura
inventarsi nuove norme, come per esempio "il concorso esterno nell'associazione
mafiosa": un reato che non esiste tra le leggi. Per non parlare, poi, della
mancata applicazione della legge, come quella della rimessione del processo in
altri fori per legittimo sospetto di parzialità. Spesso la Magistratura si
difende affermando di non svolgere nessuna attività politica, ma si smentisce
perché all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura ci sono delle vere
e proprie correnti. Ma le correnti non sono tipiche dei partiti politici? E poi,
per quale motivo gli organi rappresentativi dell’associazione nazionale
magistrati vanno di frequente in televisione per combattere la crociata contro
un qualsiasi progetto di riforma della giustizia che investa anche l’ordine
giudiziario? E perché, questi stessi, i più animosi tra le toghe, inducono i
politici a loro vicini ad adottare leggi giustizialiste ad uso e consumo della
corporazione? Ma i magistrati non sono tenuti soltanto ad applicare le leggi
dello Stato? Per quale ragione alcuni magistrati, pur mantenendosi saldamente
attaccati alla poltrona di pubblico ministero o di organo giudicante, scelgono
di fare politica, arrivando addirittura a candidarsi alle elezioni senza avere
neppure la delicatezza di dimettersi dalle funzioni giudiziarie?
Parliamo infine delle vittime della malagiustizia.
Si parla poco, ma comunque se ne parla, inascoltati, del problema degli errori
giudiziari e delle ingiuste detenzioni, così come della lungaggine dei processi.
Così come si discute poco, ma si discute, inascoltati, del problema dei
risarcimenti del danno e degli indennizzi, pian piano negati. Delle vittime
della malagiustizia si parla di un ammontare di 5 milioni dal 1945. Ogni anno in
Italia 7 mila persone arrestate e poi giudicate innocenti. Almeno a guardare i
numeri del ministero della Giustizia. Dal 1992 il Tesoro ha pagato 630 milioni
di euro per indennizzare quasi 25 mila vittime di ingiusta detenzione, 36
milioni li ha versati nel 2015 e altri 11 nei primi tre mesi del 2016. Queste
vittime della malagiustizia li vedi, come forsennati, a raccontare perpetuamente
sui social network, inascoltati, le loro misere storie. Sono tanti, come detto 5
milioni negli ultimi 60 anni. Poi ci sono i parenti e gli affini da aggiungere a
loro. Un numero smisurato: da plebiscito. Solo che poi si constata che in
effetti nulla cambia, anzi si evolve, con ipocrisia e demagogia, al peggio,
spinti dai media giustizialisti che incutono timore con delle parole d’ordine:
“Insicurezza ed impunità. Tutti dentro e si butta la chiave”. Allora vien da
chiedersi con un intercalare che rende l’idea: “Ma queste vittime
dell’ingiustizia a chi cazzo votano, se vogliono avere ristoro? Sarebbe il colmo
se votassero, da masochisti, proprio i politici giustizialisti che nelle piazze
gridano: onestà, onestà, onestà…consapevoli di essere italiani, o che votassero
i politici giustizialisti che, proni e timorosi, si offrono ai magistrati. Quei
magistrati che ingiustamente hanno condannato o hanno arrestato le vittime
innocenti, spinti dalla folla inneggiante e plaudente, disinformata dai media
amici delle toghe! Sarebbe altresì il colmo se le vittime innocenti votassero
quei politici che stando al potere non hanno saputo nemmeno salvare se stessi
dall’ingiusta gogna.
Se così fosse, allora, cioè, si fosse dato un voto sbagliato a destra, così come
a sinistra, con questo editoriale di che stiamo parlando?
Ancora a parlare di concorsi truccati.
Questa volta nelle Forze di Polizia.
Il metodo di correzione negli esami di Stato
o nei concorsi pubblici è sempre lo stesso: si dichiarano corretti i compiti che
non sono stati nemmeno visionati. Per attestare ciò detto non si abbisogna di
microfoni o micro spie nelle segrete stanze delle commissioni e dei "Compari".
Basta verificare i tempi di correzione se siano sufficienti e controllare le
prove se e come sono state corrette, anche in relazione alle altre prove
ritenute idonee. I Tar di tutta Italia ne scrivono di nefandezze commesse. Nel
ribellarsi, però, non si caverà un ragno dal buco: perchè così fan tutti!!
Giudicanti, ingiudicati.
L’inchiesta del dr. Antonio Giangrande.
Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione
Contro Tutte le Mafie, destinatario delle denunce inascoltate di centinaia di
migliaia di candidati estromessi di tutta Italia.
Parliamo della Magistratura.
E’ da scuola l’esempio della correzione dei
compiti in magistratura, così come dimostrato, primo tra tutti gli altri,
dall’avv. Pierpaolo Berardi, candidato bocciato. Elaborati non visionati, ma
dichiarati corretti. L’avvocato astigiano Pierpaolo Berardi, classe 1964, per
anni ha battagliato per far annullare il concorso per magistrati svolto nel
maggio 1992. Secondo Berardi, infatti, in base ai verbali dei commissari, più di
metà dei compiti vennero corretti in 3 minuti di media (comprendendo “apertura
della busta, verbalizzazione e richiesta chiarimenti”) e quindi non “furono mai
esaminati”. I giudici del tar gli hanno dato ragione nel 1996 e nel 2000 e il
Csm, nel 2008, è stato costretto ad ammettere: “Ci fu una vera e propria
mancanza di valutazione da parte della commissione”. Giudizio che vale anche per
gli altri esaminati. In quell’esame divenne uditore giudiziario, tra gli altri,
proprio Luigi de Magistris, giovane Pubblico Ministero che si occupò inutilmente
del concorso farsa di abilitazione forense a Catanzaro: tutti i compiti identici
e tutti abilitati.Al Tg1 Rai delle 20.00 del 1 agosto 2010 il conduttore apre un
servizio: esame di accesso in Magistratura, dichiarati idonei temi pieni zeppi
di errori di ortografia. La denuncia è stata fatta da 60 candidati bocciati al
concorso 2008, che hanno spulciato i compiti degli idonei e hanno presentato
ricorso al TAR per manifesta parzialità dei commissari con abuso del pubblico
ufficio. Risultato: un buco nell'acqua. Questi magistrati, nel frattempo
diventati dei, esercitano.
Parliamo della Avvocatura.
E’ da scuola l’esempio della correzione dei
compiti in avvocatura, così come dimostrato, primo tra tutti gli altri, dal dr
Antonio Giangrande, che ha provato sulla sua pelle per ben 17 anni l’ignominia e
la gogna di non essere all’altezza per una funzione meritatissima. Elaborati non
visionati, ma dichiarati corretti. Ha scritto dei saggi in base alla sua
esperienza. Ha pubblicato dei video per chi non vuol leggere. Per questo gli
hanno inibito la professione di avvocato e, addirittura, processato per aver
denunciato e scritto cose che tutti sanno.
Potevano bastare questi esempi per dimostrare
l’illibatezza dei nostri tutori della legalità? Certo che no!!
Parliamo della Guardia di Finanza:
Lo dice il maresciallo capo della Finanza Antonio Izzo ai genitori di un
aspirante finanziere, mentre davanti a un caffè illustra la proposta
indecente: 1500 euro in cambio del superamento dei test attitudinali per il
figlio. “Signora, questa è una cosa normale. Voi pensate che non ci siano
persone corrotte? Qui tutto il sistema è corrotto”, scrive Vincenzo Iurillo su
“Il Fatto Quotidiano” del 14 dicembre 2015. «Non si entra in Guardia di Finanza
se non per queste vie». È la frase che il maresciallo della Gdf Bruno Corosu ha
pronunciato, scrive “Il Corriere del Mezzogiorno" del 24 marzo 2015. Un
finanziere romano e alcuni aspiranti marescialli avevano in casa copia dei test
a risposta multipla del concorso svolto a Bari nell’aprile scorso. Lo hanno
scoperto i militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanzi di
Bari durante le perquisizioni disposte dalla magistratura barese nell’ambito
dell’inchiesta della Procura di Bari dove si ipotizzano i reati di corruzione e
rivelazione di segreti d’ufficio nei confronti di sette persone, tra finanzieri
in servizio e ex militari, tutti romani, e partecipanti al concorso per 297
posti da allievo maresciallo nella Guardia di finanza, scrive “La Gazzetta del
Mezzogiorno” il 2 dicembre 2013.
Parliamo della Polizia Penitenziaria.
Concorso agenti polizia penitenziaria
a Roma: scoperti dal servizio di sorveglianza durante i controlli. Tutto per un
posto in carcere. Anche, magari, rischiando il carcere stesso. 88 persone tra
gli undicimila uomini e le duemila donne partecipanti al concorso per agenti
della polizia penitenziaria, tenutosi a Roma tra il 20 e il 22 aprile, sono
state indagate e denunciate a piede libero: le operazioni di controllo
effettuate dalla task force di vigilanza tra i banchi della Nuova Fiera di
Roma hanno infatti portato a scoprire materiale con cui i presunti furbetti
cercavano di passare il test a pieni voti. Ne scrive il 26 aprile
2016 il Messaggero con Michela Allegri.
E poi, non poteva mancare lo scandalo per la
Polizia di Stato.
Parliamo della Polizia di Stato.
Concorso Vice Ispettori: gli esclusi devono
avere delle risposte, scrive Il Sap Nazionale il 21 marzo 2016. I candidati non
idonei alla prova scritta del concorso per 1.400 posti da Vice Ispettore devono
avere delle risposte e tanti dei loro elaborati risultano non essere inferiori
di altri che hanno superato l’esame. E’ quanto emerge con chiarezza dalla
lettera inviata il 18 marzo 2016 dal SAP al Capo della Polizia Alessandro Pansa
e per conoscenza al Ministro dell’Interno Angelino Alfano. Secondo il SAP non è
accettabile che i numerosi colleghi risultati non idonei alla prova scritta del
concorso siano così bistrattati anche quando, dopo il difficilissimo accesso
agli atti, hanno scoperto le carte e le hanno messe sul tavolo. Documenti che
sono stati analizzati dallo stesso Sindacato, il quale condivide quanto è stato
rappresentato da molti degli esclusi. Non c’è mai stata una manifestazione di
dissenso così forte. Basti pensare che è stata costituita anche un’associazione
chiamata “Tutela e Trasparenza” con l’obiettivo di tutelare i colleghi esclusi
ingiustamente dalla prova scritta. La stessa associazione ha ricordato che la
pubblica amministrazione deve assicurare il rispetto dei principi costituzionali
del buon andamento e dell’imparzialità, senza dimenticare il principio di
trasparenza che deve valere anche per gli appartenenti alla Polizia di Stato. Il
SAP auspica che l’Amministrazione riveda i temi giudicati non idonei e rivaluti
quelli che effettivamente risultano meritevoli di consentire l’accesso alle
prove orali. Da ultimo, e forse la cosa più importante, l’Amministrazione deve
valutare un allargamento dei posti previsti dall’attuale bando, che avrebbe
costi esigui e non paragonabili con quelli abnormi che si dovranno affrontare
con il concorso esterno.
L’incontro organizzato dall’associazione
“Tutela & Trasparenza” che si è svolto lunedì 7 marzo 2016 a Milano presso Hotel
Galles, relativa all’esito dell’accesso agli atti della prova scritta per 1400
v.isp, è stato un autentico successo di pubblico. Il Presidente Walter
Massimiliani ha approfondito il discorso, ricostruendo per intero gli
avvenimenti che hanno portato all’incontro e, dopo aver precisato che non si
tratta di una guerra a coloro che sono stati ritenuti idonei alla prova scritta
ma semplicemente di una richiesta di equità di giudizio, ha mostrato alcuni dei
numerosi elaborati che sono stati analizzati e per i quali sono state rilevate
evidenti criticità sotto vari punti di vista, in particolare:
presenza di elaborati con segni o frasi non
inerenti lo svolgimento della traccia;
elaborati con ampi passi identici a testi o
link presenti sulla rete;
elaborati con contenuti palesemente inadatti
e scarsi dal punto di vista sintattico grammaticale e/o di concetti giuridici.
L’Avvocato Leone il 28 gennaio 2016 ha preso parte all’importante
incontro/dibattito svoltosi all’Hotel Holiday Inn di Cava de’ Tirreni (SA) in
merito al ricorso per il Concorso Interno per 1400 Vice Ispettori della Polizia
di Stato, organizzato dalla Associazione di agenti “Tutela e Trasparenza”.
Tantissimi i presenti accorsi presso la sede designata, per cercare di
approfondire dal punto di vista giuridico il bando di concorso, che presenta una
serie di criticità degne di nota, nonché la fase di correzione e di valutazione
degli elaborati che, in modo manifesto, appare illogico e illegittimo.
Al fine di consentire di capire di cosa
stiamo parlando descrivo brevemente il concorso in argomento: nel mese di giugno
2014 si è svolta una prova preselettiva articolata con nr. 80 quiz a risposta
multipla su 5 materie d’esame (diritto penale, procedura penale, diritto
amministrativo, diritto civile, diritto costituzionale) cui hanno partecipato
22mila candidati ed alla quale sono risultati idonei 7032 candidati;
nel mese di gennaio 2015 si è svolta una
prova scritta consistente nella stesura di un elaborato di diritto penale,
conclusa da 6355 candidati ed alla quale sono risultati idonei 2127 candidati
che hanno riportato una votazione superiore a 35/50.
Il 17 dicembre 2015, a distanza di 11 mesi
dalla prova scritta, è stata diffusa una lista degli idonei che sin da subito a
suscitato forti dubbi di correttezza per la distribuzione dei voti. Infatti
oltre 2/3 degli idonei (più di 1400) hanno superato la prova con il voto di
35/50; nessun candidato ha conseguito 34/50 e solo in 73 hanno conseguito la
sufficienza compresa tra 30/50 e 33/50. Inoltre una gran parte dei candidati
sono stati valutati non idonei con il voto di 25/50 e 28/50. Si evidenzia che
l’associazione “Tutela & Trasparenza”, ha effettuato un accesso agli atti
straordinario e storico richiedendo ed ottenendo TUTTI i 2127 elaborati dei
candidati idonei e TUTTI gli atti endoprocedimentali. L’analisi di tale
materiale effettuata con una task force di colleghi poliziotti che in dieci
giorni ha controllato tutti gli elaborati, ha permesso di scoprire delle
considerevoli anomalie, in particolare:
numerosissimi elaborati con palesi errori
sintattico grammaticali diffusi;
numerosissimi elaborati con palesi errori
concettuali grossolani e confusione su elementi basilari di diritto penale tali
da stravolgerne completamente le basi;
numerosi elaborati singolarmente identici a
libri di testo e/o da documenti rinvenuti sulla rete internet;
alcuni elaborati con segni o con messaggi di
testo rivolti alla commissione come: SI RINGRAZIA PER L’ATTENZIONE, NOTA PER IL
FUNZIONARIO CHE CORREGGE, SCUSATE PER LA CALLIGRAFIA E GRAZIE et.
Il lavoro dell’associazione non si è comunque
esaurito in tale fase, sono stati infatti presentati circa 400 ricorsi al TAR,
circa 50 al Presidente della Repubblica e circa 150 istanze di ricorrezione al
Dipartimento di P.S., tali numeri hanno di fatto bloccato le udienze in Camera
di Consiglio al TAR Lazio al punto che ad oggi non risultano ancora
calendarizzati la maggior parte dei ricorsi.
D'altronde di cosa parliamo: è tutta “Cosa
nostra”. Si sa la famiglia in Italia è sacra.
Parliamo del Corpo Forestale.
Amici e parenti la grande famiglia della
Forestale. E’ sempre una notizia attuale e quindi utile leggere l’articolo de
“La Stampa” del 13 maggio 2009 riguardo il Corpo Forestale. I figli di dirigenti
e comandanti alla corte di papà. Bravi. Anzi, bravissimi. Ma non c’erano dubbi,
visto che spesso la sapienza passa di padre in figlio. E così, da una parte il
caso, dall’altro le conoscenze e le tante doti è accaduto che tra i 500
vincitori al concorso allievi per il Corpo forestale, molti tra questi sono
figli di comandanti, dirigenti, uomini di stretta vicinanza del capo del Corpo,
Cesare Patrone. Il fato, infatti, è stato così generoso nei loro confronti, che
molti di costoro sono stati, addirittura, assegnati nelle stazioni dove
comandano i loro capo famiglia. Non sfugge, infatti, che la sorte abbia
riservato a Matteo Colleselli la stazione di Candaten proprio nell’area dove
papà, comanda la regione Veneto; e così è accaduto a Stefano Piastrelli figlio
del capo di Perugia, o a Massimiliano Giusti discendente diretto del numero due
della regione Umbria. Ma le regalie della dea bendata non finiscono qui. Tanto
che a trarne beneficio è toccato pure a Matteo Palmieri, «omonimo» del capo
della segreteria del Corpo e destinato in Puglia, terra d’origine, a Francesco
Polci (figlio del vice comandante d’Abruzzo assegnato a Chieti), a Massimo
Priori (omonimo del caposervizio del personale assegnato a Livorno), a Vittorio
Scarpelli (figlio del dirigente del servizio ispettivo assegnato nel vicino
Abruzzo), nonché al figlio del comandante di Taranto, Pasquale Silletti,
assegnato alla stazione di Cassano Murge a Bari, a Dante Stabile, parente del
capo di Napoli finito alla stazione di Boscoreale in Campania. E’ chiaro, però,
che la fortuna non poteva girare a tutti. Ma dove non osò la sorte, giunsero i
«pizzini» del patronato: per Alfonso, figlio di Rosetta, per Emidio figlio di
Cesarina di zio Antonio, o per Maria, figlia di Raffaele di zia Maria. E ancora,
per Massimiliano, cugino di Rosetta, ma anche per Paolo che è nel cuore di zio
Domenico e altri. Del resto si sa, in Italia le cose marciano spedite solo se
stanno veramente a cuore a qualcuno. E tra le camicie verdi del Corpo Forestale
la regola, stavolta, non fa eccezione. I capisaldi sembrano tre: l’ambiente e il
soccorso, il rispetto della legge ma anche la famiglia. Non a caso, infatti, a
capo del Corpo è finito Cesare Patrone, figlio dell’ex geometra della Forestale,
Michele. Al suo fianco ci sono anche il fratello Amato (sovrintendente), la
moglie di quest’ultimo Serena Pandolfini (sovrintendente), Domenico, zio del
capo ma ora in quiescenza, dalla fulgida carriera e la figlia di quest’ultimo
Rosa, primo dirigente del Corpo, la quale classificatasi quarta al concorso da
primo dirigente (i posti erano tre) si è vista riconoscere dall’amministrazione
il ruolo, ma senza arretrati per la decorrenza della nomina dal 1 gennaio 2002
(data del posto vacante), secondo quanto stabilito dall’ufficio centrale del
bilancio del Ministero. Nomina sì, dunque, ma senza «indennizzo». Ma per la
serie, la speranza è l’ultima a morire, ecco che in soccorso di Rosa Patrone, la
Camera ha approvato un emendamentino ad hoc che si «applica anche agli idonei
nominati, nell’anno 2008, nelle qualifiche dirigenziali» e che risarcisce e
stabilisce anche le quantificazioni economiche: oltre 177mila euro per il 2008,
24mila per il 2009 e altri 24 mila per il 2010. Insomma, un indennizzo niente
male, che desta non pochi malumori. Così come destano sorpresa i risultati del
concorso per 182 posti da vice ispettore. Dopo la prova scritta tra i primi
posti a piazzarsi ci sono i più stretti collaboratori del capo del Corpo. Uomini
certamente brillanti e qualificati come il suo autista Domenico Zilli (voto 30
su 30), Marco Giurissich della segreteria (30/30), Amato Patrone, fratello del
capo (30/30), Noemi La Motta, segretaria del capo (29,5/30), Serena Pandolfini,
la cognata di Patrone (29,5/30), Claudio Bernardini, segreteria della cugina del
capo del corpo (29/30), Cristiano De Michelis, assistente del capo (29/30),
Quintilia Pomponi, segreteria della cugina del capo (29/30), Vania La Motta,
sorella di Noemi, cognata di Zilli l’autista del capo. Tanta conoscenza e
bravura, nelle prove scritte, ha stupito il parlamentare del Pdl, Marco Zacchera
che in una interrogazione spiega «che dall’esame dei 50 concorrenti che hanno
superato il punteggio di 28/30 appaiono alcune anomalie, ovvero che ben 32 di
essi hanno sede di lavoro a Roma, molti negli uffici dell’ispettorato generale,
mentre altri 8 hanno sede di lavoro in Calabria e solo 10 nel resto d’Italia», e
quindi chiede «di accertare se i testi dei quiz siano stati resi pubblici a
nicchie» e se non si ritenga di «dover sospendere il concorso». Niente da fare,
ovviamente. Il concorso va avanti, così come procede spedita anche un’altra
interrogazione. Stavolta, a siglarla è il parlamentare leghista, Maurizio
Fugatti al quale non sfugge che «dei 29 candidati che hanno riportato voti tra
il 29 e il 30, ben 21 provengono dal medesimo ispettorato generale». Attitudini
spiccate? Chissà. Di certo, nemmeno Fugatti sembra capacitarsi di «un personale
così altamente qualificato in servizio all’ispettorato - scrive - e che sarebbe
consigliabile correggere tale squilibrio sul territorio nazionale, assegnando a
compiti territoriali almeno parte delle migliori risorse ora collocate a
mansioni amministrative». Ma nonostante ciò al Corpo si guarda avanti.
L’attenzione nelle ultime ore è rivolta a tutta una serie di promozioni varate
in una delle riunioni del cda della Forestale presieduto dal ministro Zaia.
Anche qui, la fortuna ha lasciato il segno. Tangibile, ma solo per pochi,
«posandosi» sui fascicoli di nove candidati, otto dei quali del nord Italia e
Veneto, che così hanno ottenuto il punteggio massimo pur non avendo alcuni
titolo speciale valutabile.
Esame di avvocato e lo scandalo ciclico
delle copiature. L’Opinione del dr
Antonio Giangrande, scrittore, blogger e youtuber. Bufera sul concorso di
Napoli. Noi nel 2009 avevamo già documentato i controlli inesistenti su Roma,
scrive Antonio Crispino e lo documenta su Corriere TV il 25 febbraio 2016.
«Milano smaschera Napoli», «Trento smaschera Potenza», «Catania smaschera
Lecce». Periodicamente sui giornali si leggono titoli di questo tipo. Si
riferiscono alle prove d’esame che le commissioni di turno annullano agli
aspiranti avvocati che si cimentano con l’esame di Stato. Perché risultano
essere elaborati copiati dalla prima all’ultima parola. I candidati di una
regione, infatti, sono esaminati da una commissione di provenienza territoriale
diversa, scelta tramite sorteggio dal ministero della Giustizia. Basta
prendersela con qualche candidato per giustificare l’incapacità di tutti. Da
sempre si copia tra candidati o si detta da parte dei commissari. Certo che nè
giornalisti, né magistrati osano verificare quello che di ignobile succede
dentro le stanze buie e segrete dove si riuniscono le commissioni di esame. Da
arrestare tutti. I compiti sono dichiarati falsamente letti e corretti: cosa non
vera. Giornalisti e magistrati verifichino i tempi dedicati al singolo elaborato
rispetto ai tempi di apertura e chiusura del verbale e verifichino sugli
elaborati quanti errori sono stati corretti. Ho scritto un libro per dimostrare
che da sempre l’esame forense è truccato ed ho scritto un altro libro per
dimostra che tutti i concorsi pubblici sono truccati, anche quello per
magistrati. In questo caso coloro che sono stati abilitati con tale sistema,
commissioni di esame e magistrati inquirenti e giudicanti, hanno il coraggio di
perseguire?
Da quanto analiticamente già espresso e
motivato si denota che violazione di legge, eccesso di potere e motivi di
opportunità viziano qualsiasi valutazione negativa adottata dalla commissione
d’esame giudicante, ancorchè in presenza di una capacità espositiva pregna di
corretta applicazione di sintassi, grammatica ed ampia conoscenza di norme e
principi di diritto dimostrata dal candidato in tutti e tre i compiti resi.
1. Qui si evince un fatto, da sempre notorio
su tutti gli organi di stampa, rilevato e rilevabile in ambito nazionale: ossia
la disparità di trattamento tra i candidati rispetto alla sessione d’esame
temporale e riguardo alla Corte d’Appello di competenza. Diverse percentuali di
idoneità, (spesso fino al doppio) per tempo e luogo d’esame, fanno sperare i
candidati nella buona sorte necessaria per l’assegnazione della commissione
benevola sorteggiata. Nel Nord Italia le percentuali adottate dalle locali
commissioni d’esame sono del 30%, nel sud fino al 60%. Le sottocommissioni di
Palermo sono come le sottocommissioni del Nord Italia. I Candidati sperano nella
buona sorte dell’assegnazione. La Fortuna: requisito questo non previsto dalle
norme.
2. Qui si contesta la competenza dei
commissari a poter svolgere dei controlli di conformità ai criteri indicati:
capacità pedagogica propria di docenti di discipline didattiche non inseriti in
commissione.
3. Qui si contesta la mancanza di motivazione
alle correzioni, note, glosse, ecc., tanto da essere contestate dal punto di
vista oggettivo da gente esperta nella materia di riferimento.
4. Qui si evince la carenza, ovvero la
contraddittorietà e la illogicità del giudizio reso in contrapposizione ad una
evidente assenza o rilevanza di segni grafici sugli elaborati, quali glosse,
correzioni, note, commenti, ecc., o comunque si contesta la fondatezza dei
rilievi assunti, tale da suffragare e giustificare la corrispondente motivazione
indotta al voto numerico. Tutto ciò denota l’assoluta mancanza di motivazione al
giudizio, didattica e propedeutica al fine di conoscere e correggere gli errori,
per impedirne la reiterazione.
5. Altresì qui si contesta la mancanza del
voto di ciascun commissario, ovvero il voto riferito a ciascun criterio
individuato per la valutazione delle prove.
6. Altresì qui si contesta l’assenza
ingiustificata del presidente della Commissione d’esame centrale e si contesta
contestualmente l’assenza del presidente della Iª sottocommissione.
7. Altresì qui si contesta la correzione
degli elaborati in tempi insufficienti, tali da rendere un giudizio composito.
Cari signori, io ho iniziato a destare le
coscienze 20 anni prima di Beppe Grillo e nulla è successo. Io non cercavo gli
onesti, ma le vittime del sistema, per creare una rivoluzione culturale…ma un
popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.
Un chierico medievale si imbatté in un
groviglio di serpi su cui spiccava un ramarro che già da solo sarebbe bastato a
spaventarlo. Tuttavia, confrontata a quelle serpeggianti creature, la bestiola
gli parve graziosa ed esclamò: «Beati monoculi in terra caecorum», nella terra
dei ciechi anche l’orbo è re.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che
diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo
facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo
facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione
di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica.
Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze
staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad
ascoltarci.
In una Italia dove nulla è come sembra, chi
giudica chi è onesto e chi no?
Lo hanno fatto i comunisti, i dipietristi, i
leghisti, i pentastellati. Lor signori si son dimostrati peggio degli altri e
comunque servitori dei magistrati. E se poi son questi magistrati a decidere chi
è onesto e chi no, allora se tutti stanno dalla parte della ragione, io mi metto
dalla parte del torto. “Porta a Porta” programma della Rai condotto per anni da
Bruno Vespa. Il salotto buono dove la mafia è di casa. E’ prerogativa della
politica dire “è cosa nostra”. Guai quando essi sono spodestati e le interviste
dedicate all’altra sponda.
Porta a Porta Rai 1 del 6 aprile 2016 alle
ore 23.35. Il vero giornalismo racconta i fatti, non promuove opinioni
ideologiche culturalmente conformate. Ciononostante l’intervista ha suscitato
l’indignazione dei mafiosi antimafiosi. Perché in Italia secondo i cittadini
“onesti”, che ogni giorno salgono agli onori della cronaca, i mafiosi son sempre
gli altri. Tempa Rossa. Petrolio e mafia. Potenza, Corleto Perticara e la
Basilicata. Voti di scambio mafiosi. No. Voti PD antimafiosi.
A proposito delle vittime della mafia e la
solita liturgia antimafia che nasconde il malaffare. In
virtù degli scandali gli Italiani dalla memoria corta periodicamente scoprono
che sui bisogni della gente e dietro ad ogni piaga sociale (mafia, povertà ed
immigrazione, randagismo, ecc.) ci sono sempre associazioni e cooperative di
volontariato che vi lucrano. Un sistema politico sostenuto da una certa stampa e
foraggiato dallo Stato. Stato citato dalle grida sediziose dei ragazzotti che
gridano alle manifestazioni organizzate dal solito sistema mafioso antimafioso.
Cortei che servono solo a marinare la scuola ma in cui si grida: “Fuori la mafia
dallo Stato”. Poveri sciocchi, se sapessero la verità, capirebbero che, se
ottenessero quello che chiedono, nessuno rimarrebbe dentro a quello Stato,
compresi, per primi, coloro che sono a capo di quei cortei inneggianti. La scusa
delle piaghe sociali non è che serve ad una certa sinistra comunista per
espropriare la proprietà dei ricchi o percepire finanziamenti dallo Stato al
fine di ridistribuire la ricchezza, senza che si vada a lavorare e queste
manifestazioni pseudo antimafia, non è che sono propaganda per non far cessare
il sostentamento?
RISARCIMENTO PER I PROCESSI LUNGHI. LEGGE
PINTO? NO! LEGGE TRUFFA!
Mini trattato del dr Antonio Giangrande,
scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione
Contro Tutte le Mafie. Le accuse di Renzi ai magistrati lucani. Il premier alla
direzione Pd del 4 aprile 2016: «Non arrivano mai a sentenza. Se è reato
sbloccare le opere lo sto commettendo. Vedo che i giornalisti dicono che ho
attaccato la magistratura. Ma non li sto attaccando, dico solo che non ci
vogliono otto anni per andare a sentenza. Se è reato sbloccare le opere
pubbliche, io sono quello che sta commettendo reato. Ma se si decide che
un’opera va fatta nel 1989, c’era ancora il muro di Berlino, 27 anni dopo, lo
scandalo non è che l’emendamento venga approvato ma che si siano buttate delle
occasioni». E ancora: «Io chiedo alla magistratura non solo di indagare ma di
arrivare a sentenza: perché ci sono state indagini sul petrolio in Basilicata
con la stessa cadenza delle Olimpiadi, 2000-2004-2008, ci sono stati anche
arrestati, ma non si è giunto mai a sentenza». All'indomani delle parole del
Presidente del Consiglio Matteo Renzi arriva, dura, la replica del presidente
della sezione della Basilicata dell'Associazione nazionale magistrati (Anm),
Salvatore Colella: «Le dichiarazioni di Renzi sono inopportune nei tempi ed
inconsistenti nei fatti. Inopportune perché arrivano in un momento molto
delicato dell'inchiesta, con un intervento “a gamba tesa” e le sue insinuazioni
sono quantomeno viziate da un interesse di parte, inconsistenti perché smentite,
solo poche ore dopo, da un pesante verdetto di condanna contro i vertici della
Total nel processo “Totalgate” (dopo 8 anni, con inchiesta nata nel 2008 per
mani di Woodcock). Se è vero che in un paese civile, come dice il Presidente
Renzi, “i processi arrivano a sentenza”, e noi abbiamo dimostrato di saperlo
fare - ha continuato l'Anm lucana - è anche vero che in un Paese civile “il
governo rispetta i lavoro dei magistrati”, sempre, anche quando toccano la
propria parte politica. Ci saremmo aspettati la stessa intransigenza e fermezza
di condanna annunciata dal Presidente in occasione di altre inchieste di rilievo
nazionale». Renzi sceglie Facebook per rispondere alle critiche sulle sue
affermazioni sulla Procura di Potenza: «Oggi leggo che Renzi accusa i
magistrati, noi stiamo incoraggiando i magistrati a fare il più veloce
possibile. Non accuso i magistrati, accuso un sistema che non funziona, voglio
mettere in galera i ladri, per questo incalzo i magistrati perché siano veloci»,
ha detto Matteo Renzi in diretta da Palazzo Chigi utilizzando Facebook Mentions.
Ma a prescindere dalla diatriba farsesca, tra parti che si coprono a vicenda,
parliamo dei danni inflitti alla comunità dalle lungaggini processuali ed a cui
nessuno vuol porre rimedio per non inimicarsi “le sacre toghe”.
Per porre rimedio alle condanne inflitte
dalla CEDU il legislatore italiano ha inventato la Legge Pinto, ossia la legge
che, man mano annacquata da riforme restrittive, è a tutti gli effetti una legge
truffa.
Chi è stato coinvolto in un processo –
civile, penale, amministrativo, pensionistico, militare, in una procedura
fallimentare o concorsuale ovvero, a certe condizioni, tributario, ecc. – per un
periodo di tempo considerato «irragionevole», cioè troppo lungo, può richiedere,
in base alle disposizioni della legge 24 marzo 2001, n. 89, meglio conosciuta
come “legge Pinto”, una equa riparazione, cioè un risarcimento del danno allo
Stato italiano, nella misura determinata dalla legge stessa in ragione degli
anni o frazione eccedenti la durata ragionevole.
Secondo l’art. 2-bis, si considera rispettato
il termine ragionevole per la durata del giudizio «se il processo non eccede la
durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel
giudizio di legittimità».
La legge Pinto è stata modificata col D.L.8
aprile 2013, n. 35, convertito con modificazioni nella L. 6 giugno 2013, n. 64 e
col D.L. 22 giugno 2012, n. 83, con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n.
134. È stata poi modificata dalla legge di stabilità 2016. L’ammontare effettivo
del risarcimento concesso dipende dalla materia del procedimento e dalla sede
territoriale della Corte: di solito vengono liquidati risarcimenti più alti per
questioni in materia di famiglia o status della persona, per procedimenti penali
o pensionistici, meno per altre questioni; inoltre le corti d’appello che si
trovano al Nord sono, solitamente, più di manica larga rispetto a quelle del
meridione, parallelamente alla differenza del costo della vita, almeno
tendenzialmente. In materia, valgono inoltre le regole poste dall’art. 2 bis
della legge Pinto. Il risarcimento può essere chiesto anche se il giudizio è
terminato con una transazione e cioè mediante un accordo tra le parti (Cass.
8716/06, Cass. 11.03.05 n. 5398). Il risarcimento va chiesto con ricorso alla
Corte d’Appello territorialmente competente e viene deciso dalla corte con un
decreto che poi va notificato al ministero, con una procedura simile a quella
prevista per l’ingiunzione di pagamento.
La legge 24 marzo 2001, n. 89 - nota come
legge Pinto - (dal nome del suo estensore, Michele Pinto) è una legge della
Repubblica Italiana. Essa prevede e disciplina il diritto di richiedere un'equa
riparazione per il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subìto per
l'irragionevole durata di un processo. La norma nacque come ricorso
straordinario in appello qualora un procedimento giudiziario ecceda i termine di
durata ragionevole di un processo secondo la Corte europea dei diritti dell'uomo
(CEDU), in base all'art. 13 della Convenzione che prevede il diritto ad un
ricorso effettivo contro ogni possibile violazione della Convenzione. In tal
modo, si introduce un nuovo ricorso interno, che i ricorrenti devono avviare
prima di rivolgersi alla Corte di Strasburgo. Tuttavia le Corti d'Appello
inizialmente non hanno applicato i parametri della CEDU per la definizione
dell'irragionevole durata del processo, ma hanno chiesto ai ricorrenti la
dimostrazione dell'aver subito un danno (cosa che, secondo l'art.6 CEDU, è
incluso nel fatto stesso). Tali casi sono stati quindi ri-appellati alla Corte
CEDU di Strasburgo per scorretta applicazione della Legge Pinto. Nel 2004 la
Corte di Cassazione ha stabilito che i giudici nazionali devono applicare i
criteri di Strasburgo nel decidere in casi relativi alla legge Pinto, senza
poter richiedere la prova del danno subito dal ricorrente. La sentenza Brusco
della CEDU ha infine statuito che tutti i casi pendenti a Strasburgo dal 2001
(sui quali non sia ancora stato dato un giudizio di ricevibilità da parte della
Corte) debbano tornare in Italia per l'appello interno secondo la legge Pinto.
La sentenza Brusco è stata criticata per gli alti costi processuali presenti
nella procedura interna italiana, ed inesistenti a Strasburgo. L'art. 55 del Dl.
22 giugno 2012 n. 83, contenente "misure urgenti per la crescita del paese"
(c.d. decreto sviluppo del governo Monti), ha apportato importanti modifiche
alla legge, volte a porre un freno alle richieste di risarcimento. Infatti, la
riforma introdotta dal c.d. DL Sviluppo 2012 è stato profondamente mutato il
procedimento delineato dalla Legge Pinto per permettere un più agevole ed
efficace accesso al giudizio di equa riparazione ed ottenere in tempi più rapidi
(che non siano a loro volta “irragionevoli”) il giusto risarcimento.
1) Non è più investita della decisione la
Corte d'Appello in composizione collegiale. A decidere sarà un giudice
monocratico di Corte d'appello con una procedura modellata su quella del decreto
ingiuntivo e quindi, senza inutili appesantimenti procedurali (a titolo di
esempio basti pensare che per la fissazione dell'udienza, specie avanti le Corti
di appello più oberate, occorrono mesi o anni di attesa).
2) Viene fissato un preciso tetto oltre il
quale la lunghezza del processo diventa “irragionevole” facendo così sorgere il
diritto all'equa riparazione. Il processo non è svolto in termini ragionevoli
quando supera i sei anni (tre anni in primo grado, due in secondo e uno nel
giudizio di legittimità).
3) Sono stati puntualmente fissati gli
importi per gli indennizzi commisurati in 1.500 euro per ogni anno o frazione di
anno superiore a sei mesi che eccedente rispetto al termine di ragionevole
durata.
4) In ogni caso la domanda può essere
proposta a pena di decadenza entro sei mesi dalla sentenza definitiva che
definisce il giudizio durato oltre il termine “ragionevole”.
La Legge, 28/12/2015 n° 208, G.U. 30/12/2015,
detta "Legge di Stabilità 2016", introduce rilevanti modifiche alla cosiddetta
Legge Pinto (L. n° 89 del 2001) regolamentando alcuni aspetti ma,
fondamentalmente, riducendo ancor di più la possibilità di ottenere l'indennizzo
e riducendo, altresì, la quantificazione dell'indennizzo stesso. Contenimento
degli effetti della Legge Pinto pare essere il leit motiv che, a partire dal
corposo intervento sull'articolato operato dal Governo Monti, contraddistingue
ogni intervento sulla materia.
SCHEMA ESEMPLIFICATIVO.
IL DANNO
Danno da lungaggine del processo per la Cedu:
patrimoniale o non patrimoniale.
Danno da lungaggine del processo per lo Stato
Italiano: Forfettario. Prima, da 500 euro a 1500 euro, dopo, da 400 euro a 800
euro.
IL DIRITTO
Diritto al risarcimento per la CEDU: è
incluso nel fatto stesso (onere della prova a carico dello Stato, an e quantum)
senza valutazione ed interpretazione.
Diritto al risarcimento per lo Stato
Italiano: ai ricorrenti tocca la dimostrazione dell'aver subito un danno (onere
della prova a carico dei ricorrenti, an e quantum) e valutazione data dai
magistrati responsabili essi stessi del danno. Il giudice infatti,
nell’accertare l’entità della violazione valuta: la complessità del caso,
l’oggetto del procedimento, il comportamento delle parti e del giudice collega
durante il procedimento, nonché quello di ogni altro soggetto chiamato a
concorrervi o a contribuire alla sua definizione.
DURATA
Durata ragionevole del processo per la Cedu:
ragionevole inteso in senso oggettivo europeo.
Durata ragionevole del processo per lo Stato
Italiano: 3 anni per il primo grado; due anni per il secondo grado; un anno per
il terzo grado. Precisando che il processo si considera iniziato, nell’ambito
dei procedimenti civili, con il deposito del ricorso o con la notifica dell’atto
di citazione; penali, con l’assunzione della qualità di imputato e non di
indagato, di parte civile o di responsabile civile, ovvero, quando l’indagato ha
legale conoscenza della chiusura delle indagini preliminari.
ITER
Iter risarcitorio per la Cedu: procedimento
amministrativo semplificato, veloce e gratuito.
Iter risarcitorio per lo Stato Italiano:
procedimento giudiziario di competenza dell’ordine professionale foriero del
danno attivato. Prima presso la Corte di Appello competente ex art. 11 c.p.p.,
poi, presso la Corte di Appello foriera del danno in composizione monocratica ed
inaudita altera parte. Le nuove norme assicurano senz’altro una più equilibrata
ed efficiente distribuzione dei carichi di lavoro (condizione indispensabile per
evitare il moltiplicarsi di procedimenti c.d. “Pinto bis”o, perfino, “Pinto
ter”!), ma determinano anche un grave vulnus ai principi costituzionali di
terzietà ed imparzialità della magistratura, che, per accrescere la fiducia dei
consociati nel sistema giustizia, richiedono di essere perseguiti e realizzati
anche semplicemente sul piano dell’apparenza.
ATTIVAZIONE
Attivazione dell’iter per la Cedu: semplice
domanda.
Attivazione per lo Stato Italiano: Prima
semplice ricorso giudiziario, dopo una domanda modellata sulla forma del ricorso
per ingiunzione di pagamento.
GRAVOSITA' DELL'ONERE DELLA PROVA
Onere della prova per la Cedu: Fascicolo
acquisito d’ufficio.
Onere della prova per lo Stato Italiano:
copie fascicolo conformi all’originale con oneri di bollo e diritti.
DIFFICOLTA' ARTEFATTE
Intoppi ed ostacoli per la Cedu: nessuno.
Intoppi ed ostacoli per lo Stato Italiano: La
novità più rilevante consiste nella introduzione del concetto di "rimedio
preventivo"; la parte deve dimostrare fattivamente di avere intrapreso le strade
più brevi per l'ottenimento della sentenza, attraverso istanze di accelerazione,
(insomma, solo se ha chiesto al giudice di accelerare in ogni modo la causa,
come se fosse colpa sua e non del sistema che scricchiola), istanze di prelievo,
riunione delle cause, utilizzo di riti sommari, trattazione orale ex art.
281-sexies, ecc. Gli esperti sostengono che sul versante civile questa clausola
potrebbe portare ad una situazione drammatica: la rinuncia al rito ordinario e
la decisione allo stato degli atti, questa la dizione tecnica, col rischio di
perdere la causa. Fondamentale la regola introdotta dal prima comma dell'art. 2
secondo la quale "È inammissibile la domanda di equa riparazione proposta dal
soggetto che non ha esperito i rimedi preventivi all’irragionevole durata del
processo di cui all’articolo 1-ter".
TERMINE DELLA DOMANDA
Termine della domanda per la Cedu:
ragionevole.
Termine della domanda per lo Stato Italiano:
In ogni caso la domanda deve essere proposta a pena di decadenza entro sei mesi
dalla sentenza definitiva che definisce il giudizio durato oltre il termine
“ragionevole”.
PAGAMENTO
Pagamento per la Cedu: immediato e semplice.
Pagamento per lo Stato Italiano: gli
indennizzi potranno essere erogati entro il limite delle risorse disponibili di
un apposito capitolo del ministero della Giustizia. Per fortuna sarà possibile
un‘anticipazione di tesoreria, ma solo nel caso venga attivata l’esecuzione
forzata. In quel caso sarà Banca d’Italia a provvedere registrando il pagamento
in "conto sospeso" in attesa che il ministero regolarizzi la partita contabile
non appena abbia le risorse per farlo. Con l'introduzione del nuovo art.
5-sexies viene completamente regolamentata a nuovo la fase del pagamento. Vi è
ora la necessità di formulare ripetutamente una istanza che potremo chiamare di
precisazione del credito con la quale si ricorda allo Stato che non ha ancora
pagato.
TERMINI DEL PAGAMENTO
Termini ragionevoli di adempimento per la
Cedu: due anni.
Termini ragionevoli di adempimento per lo
Stato Italiano (Pinto su Pinto): prima 4 mesi, dopo, 6 anni ordinari, dopo le
pronunzie giurisprudenziali, 2 anni e tre anni. 2 anni. La Corte di Cassazione,
sesta sezione civile, con sentenza n. 8283/2012, è intervenuta, limitando a due
anni la durata massima, fra appello e Cassazione, entro cui deve concludersi il
processo ex lege Pinto, istaurato al fine di ottenere l’equo ristoro per i danni
subiti da un “processo lumaca”. Superato tale limite la vittima ha diritto a
ottenere un secondo e differente ristoro. Infine 2 anni, primo grado, 1 anno,
legittimità. I giudizi risarcitori per irragionevole durata del processo devono
essere molto più che "di ragionevole durata". E' quanto si ricava dalla sentenza
n. 36 del 19 febbraio 2016, con la quale la Corte Costituzionale si è
pronunciata in merito alla cd. "legge Pinto" (legge n. 89/2001). Tuttavia, con
impeto chiaramente burocratico, teso a creare un percorso ad ostacoli, si
prescrive che "nel caso di mancata, incompleta o irregolare trasmissione della
dichiarazione o della documentazione di cui ai commi precedenti, l’ordine di
pagamento non può essere emesso". L'amministrazione provvede al pagamento nel
termine di sei mesi. In questo periodo "... i creditori non possono procedere
all’esecuzione forzata, alla notifica dell’atto di precetto, né proporre ricorso
per l’ottemperanza del provvedimento".
SANZIONI
Sanzioni per la Cedu: nessuna, se non la
pronuncia di rigetto della domanda.
Sanzioni per lo Stato Italiano: qualora
infatti la domanda sia, agli occhi del giudicante, inammissibile o
manifestamente infondata, il ricorrente potrà essere condannato al pagamento di
una somma non inferiore a 1000 euro e non superiore a 10.000 euro in favore
della Cassa delle Ammende! Tutto “merito” del legislatore italiano, che – con un
decreto legge! - è riuscito a trasformare un diritto tutelato dalla Corte
europea dei Diritti dell’uomo in un nuovo eventuale introito per le Casse dello
Stato!!
A proposito di omertà e censura…puoi
parlar male di Avetrana, ma mai
parlar male dell’Islam. L’opinione del dr Antonio Giangrande, scrittore,
sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte
le Mafie. L’Italia delle libertà mancate, dell’omertà e della censura. Tra Mafia
e Terrorismo Islamico, certamente nessuno deve dimenticare il terrorismo di
Stato: le morti per l'ingiustizia, come per la sanità, o per la povertà e
l'emarginazione. Ma di tutto questo non se ne deve parlare. Si deve parlare
sempre e comunque solo di Avetrana omertosa. “Continuano le indagini dei
carabinieri di Avetrana per individuare i responsabili della brutale aggressione
che questa mattina ha ridotto in fin di vita un avetranese di 63 anni colpito
alla testa con delle bottiglie di vetro. Il violento pestaggio è avvenuto
davanti al bar Mojito alla presenza di numerosi testimoni che hanno dichiarato
di non aver visto niente o di non ricordare particolari utili. E sugli
avetranesi ritorna il fantasma dell’omertà venuto fuori durante le indagini del
delitto di Sarah Scazzi, un episodio che ha fatto parlare e fa parlare ancora
l’Italia intera e che ha visto il coinvolgimento di una quarantina di persone
tra sospettati, indagati, imputati, condannati e sognatori. Nessuna ammissione,
nessun aiuto concreto agli inquirenti e alla verità sulla morte della
quindicenne uccisa dai parenti”. Così scriveva Nazareno Dinoi il 27 marzo 2016
su “La Voce di Manduria” in riferimento all’aggressione avvenuta a danno di
Salvatore Detommaso la mattina presto del giorno di Pasqua, ricoverato poi in
prognosi riservata. Aggressione su una via di passaggio per chi, proveniente da
Manduria, è diretto a Nardò od a Torre Colimena. A quell'ora del dì di festa
ovviamente non potevano esserci tanti avventori del bar, nè, tantomeno, numerosi
testimoni, ma parlare di omertà ad Avetrana fa notizia. Nazareno Dinoi, come
corrispondente del Corriere della Sera ha scritto sempre articoli su Avetrana
dello stesso tenore quando riferiva sul caso di Sarah Scazzi, come tutti
d’altronde. Rispetto agli altri, però, Dinoi è di Manduria, paese a 17
chilometri da Avetrana, non certo un canonico razzista settentrionale.
D’altro canto bisogna ricordare a questo
signore, come a tutt'Italia che gli Avetranesi parlano e non hanno paura di
nessuno, nonostante le ritorsioni. Da ricordare che il sottoscritto è un
avetranese doc, e non può certo essere tacciato di omertà, visto quello che
scrive, tanto che alcuni magistrati questa prolificità non gliela perdonano
affatto. Ma esiste un altro avetranese che paga il suo non essere omertoso:
Riccardo Prisciano, tanto da essere perseguitato per le sue idee espresse contro
Islam e gay. Certo è che l'islam è una religione, ma anche una setta: non esiste
il giusto o sbagliato, il bene o il male. Vale solo «o con me o contro di me». E
chi è contro è un infedele. Ma questo vale, a ragion del vero, anche per il
comunismo. Il comunismo è anch’esso una religione-setta. Ecco perché a sinistra
se ne dolgono quando dell’Islam o dei gay se ne parla male. È contro l'islam e i
gay, il maresciallo rischia il posto di lavoro. Ha partecipato a una conferenza
in qualità di scrittore e relatore sull’"incostituzionalità dell’Islam". Dopo
essere stato condannato per "islamofobia, xenofobia, omofobia", ora il
Maresciallo Prisciano rischia di perdere il posto per un saggio giuridico,
scriveva Gabriele Bertocchi, Lunedì 07/03/2016, su “Il Giornale”. Riccardo
Prisciano è un maresciallo dei carabinieri, a luglio gli viene notificato
l'avvio di un procedimento disciplinare per "islamofobia, xenofobia, omofobia,
violazioni dei doveri attinenti al grado ed al giuramento prestato e per aver
inficiato l’apoliticità della Forza Armata". Come racconta Infodifesa, solo un
mese dopo, mentre si trova in Puglia per un congedo parentale dovuto alle gravi
condizioni della figlia, lo raggiunge l'avviso in cui si specifica che la data
in cui avverrà il processo disciplinare. La notifica viene recapitata solo con
due giorni d'anticipo, non consentendo così a Prisciano di essere presente alla
sentenza che lo condanna a sette giorni di consegna di rigore. Motivo di questo
procedimento nei confronti del maresciallo è la sua posizione nei confronti
dell'islam. Più precisamente li viene contestata la partecipazione a una
conferenza, in cui Prisciano ha preso parte in qualità di scrittore e relatore,
sull’"incostituzionalità dell’Islam". Un impegno preso e svolto mentre era
libero dal servizio. Come se non bastasse, ora è stato è stato avviato un nuovo
procedimento disciplinare, con le stesse accuse, per diversi articoli scritti da
Prisciano, pubblicati su un quotidiano online, che trattano argomenti come
aborto, teoria gender, immigrazione e sovranità statale. Nel fascicolo vengono
allegati anche post e stati di Facebook del carabiniere ritraenti il patriota
cecoslovacco Jan Palach e frasi del filosofo Ernst Junger. Inoltre viene anche
contestata la prossima pubblicazione del maresciallo di un saggio giuridico
intitolato "Nazislamismo", con prefazione di Magdi Allam. Il volume non è ancora
andato in stampa. Se dovesse essere nuovamente punito, Prisciano rischia di
perdere il posto di lavoro.
Carabiniere-scrittore contesta l'islam.
Punito con sette giorni di consegna. Vietato criticare, maresciallo accusato di
islamofobia, scrive Domenico Ferrara, Sabato 26/03/2016, su “Il Giornale”.
Vietato criticare l'islam. Guai a scriverne e a esporre la propria opinione in
pubblico. Mentre l'Europa è sconquassata dallo jihadismo, in Italia ci si
preoccupa di mettere all'indice un carabiniere colpevole di aver studiato e
analizzato magari con troppa animosità il problema del terrorismo e dei flussi
migratori. Per questo motivo, Riccardo Prisciano, maresciallo pugliese 25enne, è
stato sottoposto a procedimento disciplinare e punito con sette giorni di
rigore. Il 23 maggio 2015, il militare partecipa in qualità di scrittore a un
convegno a Pisa organizzato da un movimento politico. Già, perché Prisciano,
oltre a essere un carabiniere, è anche uno scrittore, laureato in scienze
giuridiche della sicurezza all'Università di Tor Vergata a Roma con una tesi dal
titolo «Multiculturalismo e islam, problemi e soluzioni». Esprime le proprie
idee in veste di libero cittadino e non di carabiniere. Parla dell'integralismo
dell'Islam, sostiene che non esistano musulmani moderati, afferma la necessità
di interrompere i flussi migratori tra le coste del nord Africa e l'Italia.
Apriti cielo. Il 25 giugno viene avviato il procedimento disciplinare e si
richiede una visita medico-psicologica. Il 6 agosto, mentre era in Puglia in
congedo parentale per problemi familiari, si svolge il processo in sua assenza.
Risultato? L'Arma decide di punirlo, non solo per la partecipazione al convegno,
ma anche per una serie di post su Facebook in cui esternava posizioni critiche
in materia di islam e immigrazione. Sette giorni di rigore «per islamofobia,
xenofobia, omofobia, violazioni dei doveri attinenti al grado ed al giuramento
prestato e per aver inficiato l'apoliticità della Forza Armata». Inoltre a
Prisciano vengono contestati altri addebiti per post sui social. In caso di
ulteriore condanna, non potrebbe entrare in servizio permanente.
Ma non è la prima volta che cala la scure
della censura.
Islam, il giovane scrittore Riccardo
Prisciano censurato da Facebook, scrive “Imola Oggi” il 20 gennaio 2015. Il
giovane poeta e scrittore Riccardo Prisciano, censurato da Facebook, non ci sta!
È l’ennesimo atto di censura quello che Riccardo Prisciano, autore della
raccolta di poesie “INSONNIA” e del poema biblico “L’Arcangelo crociato”, riceve
da Facebook: ma questa volta non ci sta! La pagina pubblica Facebook del giovane
autore è stata bloccata (dallo stesso sito) fino al 1° febbraio 2015, ma le
motivazioni ancora non sembrano chiare …La storia ha dell’incredibile: dopo la
macabra strage consumatasi a Parigi qualche giorno fa, ad opera di terroristi
islamici, il poeta Prisciano ha pubblicato sulla sua pagina facebook alcuni
commenti, correlati da apposite immagini, che hanno scatenato l’ira dei
sostenitori del melting-pot. La scintilla che ha fatto scatenare la raffica di
segnalazioni a Facebook, sembrerebbe essere un post in cui il giovane scrittore,
citando preventivamente Oriana Fallaci, ha scritto “La paura di camminare a
schiena dritta è, oggi, la vera causa del declino della millenaria società
cristiana europea. Ricordare le proprie radici è il principale dovere di ogni
europeo (cristiano e non)”. In conclusione l’autore, conscio dell’inesistenza di
un Islam moderato, afferma ancora una volta: “se per un Cristiano è doveroso
seguire il messaggio d’amore del Messia, per il musulmano è doveroso seguire il
messaggio di morte di Maometto”. Immediate le condivisioni del post ma anche, di
contro, le segnalazioni a Facebook. L’intento dei segnalatori sembrerebbe essere
quello di bloccare, almeno per un po’, il giovane autore che, quotidianamente,
sveglia le coscienze attraverso la sua pagina. MA RICCARDO PRISCIANO NON CI STA!
Ed ecco che con l’ultimo post spiega i motivi giuridici ed etico-legali, secondo
i quali, “L’Islam non è Costituzionale!”; una vera e propria scintilla che
presto scatenerà chissà quali reazioni.
Facebook ha riservato lo stesso trattamento
all’avv. Mirko Giangrande, chiudendogli la sua pagina “Italia Liberale”.
Chi è Riccardo Prisciano, maresciallo
carabinieri anti Islam, scrive il 9 marzo 2016 Silvia Cirocchi su “Blitz
Quotidiano”. Maresciallo Prisciano, vi dico io chi è. In queste ore sui social
network si sente solo parlare di lui: il Maresciallo Riccardo Prisciano. Ma chi
è questo uomo? Ve lo dico io visto che ho auto modo di conoscerlo collaborando
con lui allo stesso quotidiano online (i cui articoli gli vengono ora
contestati) fino a quando la censura dei “taglialingua” gli ha tappato la bocca.
Riccardo Prisciano non è un “semplice” Maresciallo dell’Arma dei Carabinieri;
onore alla categoria, ma intendo dire che, nella sua vita, Riccardo è anche
tante altre cose. Laureato in Scienze Giuridiche presso l’Università di Roma Tor
Vergata, da sempre impegnato culturalmente ed artisticamente, ha pubblicato la
raccolta di poesie “Insonnia” ed il poema biblico “L’Arcangelo crociato”,
Prisciano è in primis un uomo che ha sempre combattuto per tutto nella sua vita;
odia il compromesso e l’ipocrisia perbenista: per lui esiste solo ciò che è
giusto e ciò che è sbagliato, “vie di mezzo” non possono esistere. Basta leggere
i suoi articoli per saggiarne la preparazione culturale, giuridica e filosofica.
Riccardo Prisciano è uomo d’azione; azione che si estrinseca attraverso la
penna, la parola ed i fatti … e per questo è stato punito e trasferito in
Sardegna a ben 800 km dalla propria figlioletta. Il Maresciallo Prisciano aveva
argomentato le proprie tesi giuridiche circa l’incostituzionalità dell’Islam e
circa l’impossibilità di credere nell’esistenza di un islam moderato, nonché
aveva espresso su Facebook la propria contrarietà circa le unioni omosessuali e
le adozioni gay. Il tutto libero dal servizio e mai qualificandosi come
carabiniere. Ebbene, in un processo, nonostante l’assenza del Prisciano e di un
suo difensore, il maresciallo veniva condannato a 7 giorni di consegna di rigore
e trasferito. Non è finita: i nuovi Comandanti (della Sardegna) instaurano un
ennesimo procedimento disciplinare nei confronti del Maresciallo Prisciano per
condotte successive al 06 agosto 2015 (data del processo-condanna fiorentino)
sempre per “islamofobia, xenofobia, omofobia, violazioni dei doveri attinenti al
grado ed al giuramento prestato e per aver inficiato l’apoliticità della Forza
Armata”. Quest’ultimo procedimento disciplinare è ancora più assurdo del primo:
si contesta all’ispettore il fatto di aver scritto, sempre libero dal servizio,
articoli, in cui si parlava di aborto, teoria gender, immigrazione e sovranità
statale. Addirittura, si contesta il prossimo libro del Maresciallo Prisciano –
lo si contesta prima della pubblicazione, prima di leggerlo quindi. Il Mar.
Prisciano pubblicherà a breve un saggio giuridico, il cui titolo è
“Nazislamismo” e l’editore è Solfanelli. Come si evince dagli atti, gli
Ufficiali dell’Arma scrivono che “benché si tratti di un saggio giuridico,
scaturito dalla stessa tesi di Laurea in Scienze Giuridiche del Mar. Prisciano,
non è opportuno che si parli in tali termini dell’Islam”. Sarà un caso che tutta
la storia gira attorno alla Toscana, ed a Firenze in particolare? A noi non
sembra un caso, visto che il Maresciallo Prisciano in entrambi i procedimenti si
è visto accusare “di aver leso e vilipeso l’immagine del Presidente del
Consiglio dei Ministri, del Presidente della Repubblica, del Ministro
dell’Interno e della Presidenta Boldrini.
Riccardo Prisciano: l’Islam come il nazismo,
scrive Gian Giacomo William Faillace su “Milano Post” del 14 giugno 2015.
Riccardo Prisciano, scrittore politicamente scorretto, vicino a posizioni
ideologiche patriottiche e sovraniste, ha esordito con “Insonnia”, una raccolta
di poesie romantico-decadentiste e successivamente con il poema biblico
“L’Arcangelo crociato” in cui narra, con stile dantesco a metrica libera, le
vicende dell’Arcangelo Uriel. Politicamente impegnato, Riccardo Prisciano, è in
procinto di pubblicare il suo terzo libro: con la prefazione del noto
giornalista Magdi Allam, con cui Prisciano intrattiene ottimi rapporti
amichevoli, sarà un saggio di diritto in cui tratterà l’incostituzionalità
dell’Islam. Con parole semplici effettuerà dei parallelismi tra la fede
musulmana e l’ideologia nazista, sfociando nella proposta di un disegno di legge
che annoveri il reato di apologia dell’Islam. Partendo dal tema della
“tolleranza” sul quale molti filosofi hanno scritto e disquisito, Prisciano
prende in esame la citazione del filosofo austriaco, naturalizzato britannico,
Karl Raimund Popper il quale trattò innumerevoli volte, in seno alla sua teoria
di “società aperta” le problematiche inerenti alla tolleranza arrivando a
sostenere che “La tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza.
Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se
non siamo disposti a difendere una società tollerante contro gli attacchi degli
intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi”
oltre ad asserire che “Dovremmo rivendicare, nel nome della tolleranza, il
diritto a non tollerare gli intolleranti”. A queste teorie fecero eco anche lo
scrittore tedesco Thomas Mann il quale sostenne che “La tolleranza diventa un
crimine quando si applica al male” ed il giurista statunitense Joseph Halevi
Horowitz Weiler il quale sostenne che “Il messaggio di tolleranza verso l’altro
non deve essere tradotto in un messaggio di intolleranza verso la propria
identità”; un tema molto attuale soprattutto nella moderna “società” europea, ed
italica in prevalenza, in cui in nome della tolleranza verso la teocrazia
islamica si tende ad odiare le proprie origini culturali, storiche e religiose.
Persino Voltaire, uno dei maggiori Lumi del Settecento, nel suo “Trattato sulla
tolleranza” pur cercando di aprire la società ad una sorta di pluralità di
religioni, e perché no, ad una pluralità di dottrine politiche, col suo grido
“Esacrez l’infame” (Schiacciate l’infame) incita quell’umanità illuminata a
lottare con tutte le forze della propria ragione e della propria morale contro
il fanatismo intollerante tipico della religione confessionale qualsiasi essa
sia, incita ogni uomo di buona volontà a lottare per la tolleranza e la
giustizia. Pertanto, alla domanda “Cosa intende per apologia dell’Islam”
Prisciano, prontamente risponde:” In considerazione di ciò che sostenne
l’Ayatollah Khomeini, ossia che l’Islam è politica altrimenti non è Islam,
dobbiamo trovare gli strumenti idonei per trattare questa dottrina violenta in
quanto l’Islam non può essere considerata una religione, nel senso “occidentale”
del termine. Un Islam che punta al potere deve essere arginato secondo quello
che Popper definiva come un dovere della democrazia. Quindi ecco il reato di
apologia, in Italia, con la legge Scelba, previsto per il Fascismo. Con tale
legge si tutela la manifestazione privata ma non pubblica di alcune correnti di
pensiero. Nel mio prossimo libro citerò questo paragone facendo dei parallelismi
tra l’ideologia nazista e la dottrina islamica; parlando di apologia non voglio
mettere al bando l’Islam: ognuno in privato potrà essere fedele alla sua fede
vietando però le sue manifestazioni pubbliche”.
Lo scrittore Riccardo Prisciano sfida Khalid
Chaouki: - “Io sono pronto" …”, scrive Riccardo Ghezzi, il 11 agosto 2015.
Riccardo Prisciano, il tuo prossimo libro in
uscita ad ottobre paragona l’Islam al Nazismo. Puoi spiegarci in breve di cosa
si tratta?
«Quando si parla di terrorismo islamico, non
si parla di “antico folklore”; è, piuttosto, qualcosa di concreto e
spaventosamente vicino, come hanno dimostrato numerosi fatti di cronaca, anche
in Italia. Non è comprensibile, altresì, come, proprio le frange anticlericali
che, da sempre, si sono battute contro la Chiesa Cattolica (incriminando, quasi,
le religioni di “incatenare” l’uomo) siano, ora, così rispettose e tolleranti
verso comportamenti barbari e sanguinari, predicati in nome dell’Islam.
Incredibilmente, la stessa pubblica opinione, che si discosta dall’osteggiare
ideologie violente e razziste, non si rende conto di quanto, l’Islam, in certi
suoi aspetti, non si discosti molto da queste dottrine».
Perché allora questa difformità di
trattamento?
«Anche lo scrittore tedesco Thomas Mann
sosteneva che “la tolleranza diventa un crimine quando si applica al male”,
addirittura il giurista statunitense Joseph Halevi Horowitz Weiler sostenne che
“il messaggio di tolleranza verso l’altro non deve essere tradotto in un
messaggio di intolleranza verso la propria identità”; un tema molto attuale
soprattutto nella moderna “società” europea, ed italica in prevalenza, in cui in
nome della tolleranza verso la teocrazia islamica si tende ad odiare le proprie
origini culturali, storiche e religiose. Tale totalitarismo, ammantato da
pretesti religiosi ed etici e che, dietro una parvenza di spiritualità,
trasudano un’alcova ideologica tra le più intolleranti del mondo, è di gran
lunga peggiore di qualunque totalitarismo politico. L’Islam è anche, e forse
soprattutto, un’ideologia, come ci tenne a precisare l’Ayatollah Khomeini, uno
dei più autorevoli pensatori musulmani: “L’Islam o è politica, o non è nulla!”
L’Islam è un’ideologia politica che, ancora oggi, si serve della religione come
strumento di potere; o, se volessimo intenderla come religione, non possiamo non
rilevare che tale religione, sfruttando la spiritualità umana, si pone il
preciso obiettivo d’espandere il proprio potere politico. Se, giustamente,
intendessimo l’Islam come una dottrina politica, e non già come una mera fede
religiosa, sarebbe doveroso chiedersi per quanto ancora si potrà permettere che,
nella civile e democratica Europa, si predichi l’odio religioso, l’intolleranza
e la disuguaglianza tra i sessi o tra gli appartenenti a diverse religioni,
senza andare a vietare le organizzazioni islamiche, che si ispirano ad una
dottrina di gran lunga più totalitaria e intollerante del Nazismo stesso. Non a
caso Al-Husayni fu l’assoluto protagonista della nascita del moderno
fondamentalismo islamico e della lotta armata (’intifadah) contro gli ebrei,
condotta oggi da numerose organizzazioni terroristiche islamiche. Egli fu un
visionario crudele che in nome del nazionalismo arabo e dell’antisemitismo
strinse un’alleanza tattica con il nazismo, in forza della quale 100.000
musulmani combatterono come volontari nelle divisioni tedesche. Fu tra i più
accesi sostenitori della Soluzione Finale, si macchiò direttamente di atti
feroci quale il sabotaggio dei negoziati tra i nazisti e gli Alleati, per la
liberazione di prigionieri tedeschi in cambio della fuga verso la Palestina di
4000 bambini ebrei, destinati alle camere a gas. Dopo la guerra, scampato a
Norimberga, al-Husayni si divise tra l’Egitto, dove rinsaldò i rapporti con
Sayyid Qutb e Hasan al-Bannah, rispettivamente il teorico e il fondatore dei
Fratelli musulmani, e Beirut, dove pose sotto la sua ala protettiva un giovane
che negli anni successivi diventerà un protagonista della politica
mediorientale: Yasir ‘Arafat».
La prefazione sarà curata da Magdi Allam.
Come è avvenuto l’incontro con lui?
«La Stima che mi avvicina al grande Magdi
Cristiano Allam è profonda. Il nostro incontro “fatale” è stato lo scorso 7
giugno 2015, in quel di Milano, durante un incontro-dibattito politico-culturale
organizzato dal Fronte Nazionale per l’Italia (il nuovo partito “nato dal basso”
che, democraticamente, sta andando a colmare quel vuoto elettorale equiparabile,
a detta dei sondaggi, al 60% degli aventi diritto). È stato “amore a prima
vista”: l’unità d’intenti e d’ideali è stata tale che, già dopo pochi minuti,
Magdi mi aveva già assicurato la prefazione per il mio prossimo saggio».
Nel saggio, definisci l’Islam
“Incostituzionale”. È una dichiarazione forte, ma da quali elementi normativi è
suffragata questa tua affermazione?
«Oggi, assistiamo sovente ad una visione
della Costituzione italiana, come nominata a sostegno della laicità dello Stato,
incredibilmente, però, questo accade solo in funzione anticristiana. L’Islam è
anticostituzionale perché predica concetti ed ideologie contrari ai principi
costituzionali fondamentali, in tema di rispetto per la vita ed uguaglianza tra
le persone (anticostituzionalità sostanziale); nonché per la mancanza d’Intesa
tra Stato italiano ed Islam (anticostituzionalità normativa). Ecco alcuni esempi
pratici, puramente a titolo esemplificativo, di altri articoli (oltre all’ormai
noto art.8) della Costituzione che, più nello specifico, sono in netto contrasto
con l’Islam:
– Art. 2 Cost: “… i diritti inviolabili
dell’uomo …”, che sono totalmente diversi nella religione islamica, tanto da
aver creato una propria carta, la Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo,
proclamata il sabato 19 settembre 1981 presso l’UNESCO a Parigi.
– Art. 3 Cost: “pari dignità sociale … senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione”; nel Corano, invece, è
sancita la superiorità dell’uomo sulla donna e del musulmano sul non-musulmano.
– Art. 13 Cost: “La libertà personale è
inviolabile, può essere limitata solo con atto motivato dell’Autorità
Giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge . …” ; nella
Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo, invece, la libertà individuale
viene subordinata alla shari’a.
– Art. 27 Cost: “Non è ammessa la pena di
morte …” ; nell’Islam, invece, è imposta per apostati, adulteri ed omosessuali;
tale imposizione, mai messa in discussione da nessun organo dirigente islamico,
è confermata da tutte e quattro le scuole coraniche e, pertanto, attendibile;
– Art. 29 co. 2 Cost: “Il matrimonio è
ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi”;
– Art. 30 co. 1 Cost: “il dovere-diritto di
entrambi i coniugi di educare i figli..”;
– Art. 30 co. 3 Cost: “per la tutela dei
figli naturali”.
Oltre al contrasto con dette norme
fondamentali della Costituzione, vi è un altro duplice problema, certamente, non
meno rilevante, riguardante la legittimità e la gerarchia delle fonti, in quanto
la Shari’a funge da “legge” per i mussulmani, a prescindere dalla loro
nazionalità».
Oriana Fallaci, ex partigiana, ha combattuto
l’Islam esattamente come combatteva il nazifascismo. Eppure, dalla sinistra è
stata considerata una “traditrice”. Come si può spiegare l’antifascismo abbinato
al filoislamismo della sinistra?
«La grande Oriana, che nel saggio in
questione chiude con le sue citazioni ogni capitolo, è quasi da ringraziare per
le grandi verità che tramandò a noi (oggi come ieri) poveri buonisti. Mi trovo
perfettamente d’accordo con la Fallaci (e con i grandi autori citati poco fa):
bisogna svegliarsi e rendersi conto che la nostra utopia (o quella di qualcuno
…) ci farà ritrovare molto presto in una guerra dove non saremo padroni a casa
nostra. La tolleranza è la base della democrazia; tuttavia, essa non deve mai
tradursi nel buonismo relativista radical-chic, tipico della Sinistra Italiana
di oggi. Aristotele diceva che “l’apatia e la tolleranza sono le ultime virtù di
una società morente”. L’integrazione va bene, purché sia tale, ma ad oggi mi
sembra che questa volontà non si sia mai palesata. “Integrazione” vuol dire
adattarsi alle regole del Paese ospitante. Pericle (il “Padre della Democrazia”)
se fosse vissuto ai nostri giorni si sarebbe sentito chiamare “razzista”,
“xenofobo”, “omofobo” finanche “islamofobo”. La Sinistra italiana, tanto brava a
sventolar bandiere rosse in piazza a difesa della libertà, non è capace di
capire che l’Islam ne è oggi la più grande minaccia. Questo discorso è da farsi
nei confronti dei “militanti” della Sinistra italiana; per i vertici, ci sono
ben altri interessi dietro … ma questo è un altro discorso».
Esiste un pericolo terrorismo in Italia,
oltre che in Europa?
«Ovvio! I numerosi arresti, le iscrizioni nel
registro degli indagati nelle varie Procure italiane, nonché i bigliettini
dell’Isis che girano sornioni e spaventosi su facebook, parlano chiaro.
Smettiamola di dire “io conosco tizio che è mussulmano ed è una bravissima
persona”: non si può (e non si deve) ragionare sulle eccezioni, soprattutto
dinanzi a simili pericoli. Se ancora qualcuno si ostina a dire che non tutti i
mussulmani sono terroristi, certamente dovranno darmi atto che, quantomeno,
tutti i terroristi sono islamici».
Sarebbe pronto e disponibile ad un dibattito
con Khalid Chaouki del PD?
Io sì … non so lui, semmai!»
Sciacalli ed omertà. L’ennesima vile
aggressione ad Avetrana. Da Sarah Scazzi a Salvatore Detommaso.
Ne scrive il dr Antonio Giangrande,
scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione
Contro Tutte le Mafie. Ad Avetrana, alle 5.30 di mattina del 27 marzo 2016, dì
di Pasqua, il 63enne disoccupato ed incensurato Salvatore Detommaso esce di casa
da via Magenta (via per Manduria - Salice Salentino) ed in sella alla sua
bicicletta si dirige lungo via Roma (via per Nardò) che si interseca alla sua
via. A quell'ora va a prendere il caffè presso il solito bar. Lungo il tragitto
ne approfitta per comprare le sigarette dalla macchinetta automatica posta lungo
la via. Sua intenzione è poi andare a raccogliere gli asparagi in campagna. Da
casa al suo bar ci sono da percorrere poche centinaia di metri. Un vita da
cavamonte (estrattore di blocchi di tufo per l’edilizia) lo porta a svegliarsi
all’alba. Un’abitudine. Alle 5,45 il fratello Leonardo Detommaso esce anche lui
da casa. Stessa abitudine da manovale. Lungo la strada incontra uno spazzino che
gli comunica che più avanti c’è suo fratello ferito. In effetti vicino al bar
c’è suo fratello che presso la fontana pubblica cerca di lavarsi la testa
sanguinante. Non c’è alcuno strumento contundente, né la vittima ragguaglia suo
fratello da questo interpellato sulle modalità dell’accaduto: se sia caduto, se
sia stato investito o se sia stato aggredito con mazze, bottiglie o spranghe di
ferro. Per questa ipotesi, tantomeno, lui stesso non riferisce i nomi dei
presunti assalitori. Lui che era cosciente. Tanto cosciente che da solo si è
riavviato per tornarsene a casa, nei pressi della quale è stato poi prelevato
dall’ambulanza, chiamata da chi era accorso nei primi momenti dell'accaduto.
Cosciente è rimasto nei due giorni successivi e nulla ha riferito di utile alle
indagini. La mattina di Pasqua non c’è gente che va a lavorare, solo eventuali
ragazzi che rincasano da pub o discoteche. Gente anche non del posto: di
passaggio. Ora troppo tarda per vedere in giro ladri a cui dare le colpe. In
quel frangente la via, man mano, si è riempita di curiosi. L’unico che era
presente nell’immediatezza ha raccontato ai carabinieri quello che ha visto e
ricordato, così desunto dai quotidiani ben informati dagli inquirenti.
Bene. Un fatto di cronaca come tanti e come
in altre parti d’Italia.
Sì, ma qui siamo ad Avetrana: il paese degli
omertosi, così come definito da Mariano Buccoliero, il Pubblico Ministero del
delitto di Sarah Scazzi. Allora ecco che scatta la speculazione mediatica e
politica.
La vittima Salvatore Detommaso inizialmente è
stato trasportato all’ospedale Giannuzzi di Manduria. Poi, data la grave
emorragia cerebrale riportata, è stato in seguito trasferito nel reparto di
neurochirurgia del Santissima Annunziata di Taranto. Solo dopo due giorni dal
ricovero, una volta finite le feste, nonostante strazianti sofferenze e
lancinanti dolori, si è provveduto a stabilizzare il paziente e ad operarlo alla
testa, per poi ricoverarlo nel reparto di rianimazione. Ciò dovuto
all’aggravamento della sua condizione clinica, in riferimento anche ad un
peggioramento di natura cardiaca. Di questo, però, del comportamento dei
sanitari, nessuno ne parla. Nemmeno quelli che sparlano di omertà. Ed a
proposito di omertà ad Avetrana, il 2 aprile 2016 si organizza una fiaccolata
per la legalità e per invogliare chi sa, a parlare. E’ stata messa in piedi,
anche, una raccolta di fondi per sostenere la famiglia della vittima che versa
in condizioni economiche preoccupanti. Ma ancora una volta nessuno, però,
difende Avetrana dall’ennesima aggressione gratuita e ingiustificata. Tantomeno
i politicanti locali. Anzi è proprio il vicesindaco, Alessandro Scarciglia ad
esortare il "chi sa, parli".
«Continuano le indagini dei carabinieri di
Avetrana per individuare i responsabili della brutale aggressione che questa
mattina ha ridotto in fin di vita un avetranese di 63 anni colpito alla testa
con delle bottiglie di vetro. Il violento pestaggio è avvenuto davanti al bar
Mojito alla presenza di numerosi testimoni che hanno dichiarato di non aver
visto niente o di non ricordare particolari utili. E sugli avetranesi ritorna il
fantasma dell’omertà venuto fuori durante le indagini del delitto di Sarah
Scazzi, un episodio che ha fatto parlare e fa parlare ancora l’Italia intera e
che ha visto il coinvolgimento di una quarantina di persone tra sospettati,
indagati, imputati, condannati e sognatori. Nessuna ammissione, nessun aiuto
concreto agli inquirenti e alla verità sulla morte della quindicenne uccisa dai
parenti». Così scriveva Nazareno Dinoi il 27 marzo 2016 su “La Voce di Manduria”
in riferimento all’aggressione avvenuta a danno di Salvatore Detommaso la
mattina presto del giorno di Pasqua, ricoverato poi in prognosi riservata.
Aggressione su una via di passaggio per chi, proveniente da Manduria, è diretto
a Nardò od a Torre Colimena. Lo stesso Dinoi continua con la solita litania
anche il 29 marzo 2016: «Il bruttissimo episodio è ora materia degli
investigatori dell’Arma che stanno incontrando difficoltà a raccogliere
testimonianze dei presenti. Sino a ieri il maresciallo Fabrizio Viva che comanda
la stazione di Avetrana ha sentito diverse persone che erano presenti nelle
vicinanze, ma nessuno di loro ha detto di ricordare o di aver visto niente. Un
atteggiamento omertoso che ha spinto gli amministratori pubblici e il parroco a
lanciare appelli a parlare (di questo parliamo a parte). I militari hanno già
ritirato le registrazioni delle telecamere di sorveglianza installate nei punti
commerciali della zona, ma nessuna di loro era puntata sulla zona
dell’aggressione. Un testimone che avrebbe visto tutto, avrebbe detto di aver
visto delle persone fuggire a bordo di una piccola utilitaria di colore scuro di
cui non ricorda la marca. Ancora poco per dare un nome e un significato a tanta
violenza.» A quell'ora del dì di festa ovviamente non potevano esserci tanti
avventori del bar, nè, tantomeno, numerosi testimoni, ma parlare di omertà ad
Avetrana fa notizia.
Chi fa la professione di giornalista dovrebbe
sapere che i curiosi, accorsi in massa, non possono essere definiti testimoni.
Non si può parlare di omertà se la stessa vittima non ha potuto fornire notizie
utili alle indagini, né tanto meno si può parlare di indagini. Le indagini
vengono svolte alla notizia di reato e, a quanto pare, al momento del fatto il
reato palesato (lesioni) era perseguibile per querela, che non vi è stata. E
comunque l’indagine fatta bene, anche successivamente attivata per querela o
denuncia per fatto più grave, i responsabili li trova.
Nazareno Dinoi, come corrispondente del
Corriere della Sera ha scritto sempre articoli su Avetrana dello stesso tenore
quando riferiva sul caso di Sarah Scazzi, come tutti d’altronde. Rispetto agli
altri, però, Dinoi è di Manduria, paese a 17 chilometri da Avetrana, non certo
un canonico razzista settentrionale.
Nazareno Dinoi, amico dei magistrati di
Taranto e direttore de "La Voce di Manduria", un giornalino locale di un paese
vicino ad Avetrana. Il "mandurese" diffama indistintamente tutti gli avetranesi
e non me ne spiego l'astio. Gli amministratori locali e la loro opposizione,
poi, non sono capaci di difendere l’onore di Avetrana contro la gogna mediatica
programmata sin dal 26 agosto 2010 e protratta da giornalisti da strapazzo sui
giornali ed in tv.
«La triste fine di Sarah Scazzi ha dato
improvvisa notorietà al piccolo paese di Avetrana altrimenti sconosciuto ai più
- scriveva già il 29 luglio 2015 il nostro Dinoi - Ha portato luce su un paese
in ombra infastidendo chi vi abita. Ed è anche sugli avetranesi che il caso
Scazzi si è contraddistinto per un’altra peculiarità: l’omertà, il visto e non
visto, il non ricordo, il forse, il lo so ma non ne sono sicuro, il meglio farsi
gli affari propri. Un popolo onesto che di fronte alla richiesta di coraggio si
è tirato indietro. Anche in questo caso parlano i numeri e i dati: gli
investigatori hanno ascoltato poco più di duecento persone, per la maggioranza
avetranesi, poche hanno detto di aver visto qualcosa, nessuno si è presentato
spontaneamente per aiutare la giustizia con l’amaro risultato che resterà negli
annali delle cronache giudiziarie: dodici di loro sono stati indagati per falsa
testimonianza o addirittura per favoreggiamento. Un record in negativo con cui
Avetrana e gli avetranesi dovranno fare i conti.»
Tra gli altri anche il programma Mediaset
Rete 4 “Quarto Grado" di Gianluigi Nuzzi ci ricasca a fare informazione
spazzatura, vomitando, con i suoi invitati, liquame sulla comunità avetranese.
Soggetti non nuovi a queste nefandezze.
Nel caso dell'omicidio di Sarah Scazzi,
trattato molto spesso da “Quarto Grado” su “Rete 4” di Mediaset la redazione
(guidata da Siria Magri) si è attestata su una linea prevalentemente conforme
agli indirizzi investigativi della pubblica accusa, cioè della Procura della
Repubblica di Taranto. Tanto che i suoi ospiti, quando sono lì a titolo di
esperti (pseudo esperti di cosa?) o, addirittura, a rappresentare le parti
civili, pare abbiano un feeling esclusivo con chi accusa, senza soluzione di
continuità e senza paura di smentita. A confermare questo assioma è la puntata
del 15 maggio 2015 di “Quarto Grado”, condotto da Gianluigi Nuzzi ed Alessandra
Viero e curato da Siria Magri.
A riprova della linea giustizialista del
programma, lo stesso conduttore è impegnato a far passare Ivano come bugiardo,
mentre il parterre è stato composto da:
Alessandro Meluzzi, notoriamente critico nei
confronti dei magistrati che si sono occupati del processo, ma che sul caso
trattato è stato stranamente silente o volutamente non interpellato;
Claudio Scazzi, fratello di Sarah;
Nicodemo Gentile, legale di parte civile
della Mamma Concetta Serrano Spagnolo Scazzi.
Solita tiritera dalle parti private nel loro
interesse e cautela di Claudio nel parlare di omertà in presenza di cose che
effettivamente non si sanno.
Per il resto ospite è Grazia Longo, cronista
de “La Stampa”, che si imbarca in accuse diffamatorie, infondate e senza senso:
«…e purtroppo tutto questo è maturato in seno ad una famiglia ed anche ad un
paese dove mentono tutti…qui raccontano tutti bugie».
Vada per i condannati; vada per gli imputati;
vada per gli indagati; ma tutto il paese cosa c’entra?
Ospite fisso del programma è Carmelo Abbate,
giornalista di Panorama, che anche lui ha guizzi di idiozia: «Io penso che da
tutto quello che ho sentito una cosa la posso dire con certezza: che se domani
qualcuno volesse scrivere un testo sull’educazione civica, di certo non dovrebbe
andare ad Avetrana, perché al di là della veridicità o meno della dichiarazione
della ex compagna di Ivano, al di là della loro diatriba, è chiaro che qui c’è
veramente quasi un capannello di ragazzi che nega, un’alleanza tra altri che si
mettono d’accordo: mamma ha visto questo, mamma ha visto quest’altro. Ma ci
rendiamo conto di quanto sia difficile scalfire, scavalcare questo muro,
veramente posto tra chi deve fare le indagini e la verità dei fatti? E’
difficilissimo. Cioè, la sicurezza, la nostra sicurezza è nelle mani di noi.»
Complimenti ad Abbate ed alla sua consistenza
culturale e professionale che dimostra nelle sue affermazioni sclerotiche. Cosa
ne sa, lui, dell'educazione civica di Avetrana?
Fino, poi, nel prosieguo, ad arrivare in
studio, ad incalzare lo stesso Claudio, come a ritenere egli stesso di essere
omertoso e reticente. Grazia Longo: «...però Claudio anche tu devi parlare,
anche tu, scusa se mi permetto, dici delle cose e non dici. Io non ho capito
niente di quello che hai detto. Tu sai qualcosa e non lo vuoi dire!»
Accuse proferite al fratello della
vittima…assurdo! Tutto ciò detto di fronte a milioni di spettatori creduloni.
Si noti bene: nessun ospite è stato invitato
per rappresentare le esigenze della difesa delle persone accusate o condannate o
addirittura estranee ai fatti contestati.
Ma i nostri prodi si ripetono. Quarto grado 1
aprile 2016. Questo è il conduttore imparziale, Gianluigi Nuzzi: «Oltre 10
persone (su oltre 8mila ndr) accusate di aver intralciato le indagini, tra
reticenze e sogni e quant’altro. Qui abbiamo una proiezione di paese fatte di
una maglia di complicità…».
Ospite fisso del programma è ancora Carmelo
Abbate, giornalista di Panorama: «Io penso che la gente di Avetrana andrebbe
riportata a scuola a studiare daccapo l’educazione civica. Questa è gente
omertosa, parliamoci chiaro. Questa è gente omertosa. Forse hanno ragione i
giudici quando dicono che “tutti sapevano quello che è successo, molti sapevano
quello che è successo a Sarah, ma nessuno ha aperto bocca. Ricordiamoci che
l’unica testimone che si presenta spontaneamente a fare dichiarazioni è Anna
Pisanò. Tutte le altre persone vengono in qualche modo braccate, costrette a
raccontare qualcosa. Tutte le altre non vanno spontaneamente. Cinque giorni fa,
la mattina di Pasqua, ad Avetrana, prima mattinata, davanti ad un bar un uomo,
una brava persona di 62 anni è stato aggredito selvaggiamente. In queste ore
lotta tra la vita e la morte. Quest’uomo è stato aggredito davanti ad un bar.
Decine e decine di persone ascoltate dai carabinieri “non so”, “non ricordo”,
“non ho visto”. Ci sono appelli del sindaco “chi lo sa, per favore, dica
qualcosa”. Ci sono appelli del sacerdote. Appelli pubblici “per favore parlate.
Per favore non siate omertosi”. Il risultato è che non dicono nulla. E
quest’uomo sta morendo».
Per il resto è ancora ospite Grazia Longo,
cronista de “La Stampa”: «Il teatro dell’orrore non ha mai fine in questo
paese».
Ma vaffanculo ai giornalisti da strapazzo.
Questa imprecazione non è riferita in particolare a quelli citati, ma a tutti
coloro che tra tutti i fatti di cronaca di cui si sono occupati, solo ad
Avetrana hanno trasfigurato i criminali in tutta la loro comunità.
Prendete lezione ed esempio dall’ex Generale
Luciano Garofano: «Ma io ho avuto sempre forti dubbi su quella che è la
conclusione dell’autorità giudiziaria. Per altro, scusatemi, io sono molto
rispettoso, ma non credo che sia un bello spettacolo che le motivazioni escano
dopo 11 mesi (primo grado) e dopo otto mesi (appello). Significa che noi non
vogliamo contribuire ad un paese in cui il processo sia giusto ed in cui le
persone si possano anche difendere. E non credo a tantissimi degli elementi a
partire dal movente. Perché questo è un movente assolutamente inconsistente.
Peraltro con il prof. Picozzi ci siamo occupati di questo caso. E anche
nell’incidente probatorio, che fu considerato il trionfo della prova,
effettivamente ci rendemmo conto che c’era qualche cosa che non funzionava. Tra
le tante cose, ma voi ve lo immaginate un papà che è pronto a coprire
immediatamente un omicidio che non ha motivo d’essere. Già pronto, confeziona
quel corpo, lo porta via. Insomma, per non parlare poi di altri particolari che
riguardano le intercettazioni. Il punto in cui avrebbero telefonato e non
telefonato. Una mamma che rincorre Sarah, per riprenderla, così poi che l’hanno
acchiappata, scusate il termine, possono finalmente portarla a casa ed
eliminarla? Io credo che ci siano ancora molti dubbi e spero che la Giustizia,
come sempre trionfi con puntualità.»
Il Prof. Massimo Picozzi conferma: «I dubbi
li condivido con il generale Garofano che ho sentito di questo famoso incidente
probatorio, in cui Michele Misseri raccontò un po' tutta la vicenda. Ricordiamo
poi, molta della credibilità, pochissima, che poi lo zio Michele, come lo
abbiamo imparato a conoscerlo, si è portato appresso, derivò anche dal fatto che
lui disse “io ho ucciso questa poveretta. E' stata uccisa con una corda, anziché
con una cintura". Ti assicuro, l’interrogatorio di Michele Misseri fu il più
suggestivo possibile. Lui continuava a dire, ad insistere sul fatto che sulla
scena ci fosse una corda. Gli si diceva “ma è proprio una corda? E' proprio
sicuro? Noi sappiamo diversamente. Non è una cinta per caso?” Alla fine, alla
quindicesima insistenza, lui cambiò versione.
7 Ottobre 2010 - La criminologa Bruzzone:
"Misseri un pedofilo assassino". Ma poi cambia diagnosi!
Ed a proposito di credibilità.
Esattamente il 7 ottobre 2010 sul Tgla7, la
dottoressa Bruzzone diceva, a proposito del Misseri: «Non credo francamente che
questa vicenda sia nata quarantadue giorni fa. Non penso che il 26 agosto sia
l'unico momento in cui questa persona soggetto ha avuto un interesse sessuale
per un minore. Parliamo di un pedofilo assassino e questo tipo di soggetti
difficilmente a quell'età ha il proprio ingresso nella vita criminale per cui
purtroppo c'è da indagare in maniera molto più allargata nella vita di
quest'uomo e sono convinta che emergeranno elementi ancora più inquietanti...»
Allorché la giornalista chiedeva alla dottoressa Bruzzone se secondo lei il
Misseri avesse avuto dei complici, lei rispondeva testualmente che non lo
riteneva proprio veritiero: «Penso che sia assolutamente probabile che questa
persona abbia commesso tutto da sola. Non ci vedo nulla di impossibile per una
persona soltanto... Ha fatto quello che ha fatto, ha abusato del corpo di questa
giovane, poi ha atteso un tempo secondo me ragionevole tanto per muoversi
probabilmente magari con il favore della notte, e portare poi il corpo là dove è
stato ritrovato, celato in maniera estremamente accurata e difficilmente
ritrovabile se non su indicazione dell'assassino, come poi effettivamente
avvenuto.» Quando poi le è stato chiesto che pena meritava quest'uomo, ha
risposto senza esitare: «In questo caso l'ergastolo penso sia impossibile non
comminarlo... c'è piena consapevolezza, c'è lucidità... probabilmente sentiremo
parlare ....forse un tentativo di stabilire una sorta di seminfermità, ma in
questo caso ripeto è assolutamente escludibile sulla base di ciò che è stato
fatto da quest'uomo sia durante la fase omicidiaria, sia nella fase successiva
di occultamento del cadavere e ahimè nella fase che ha riguardato come sembra
anche la fase della violenza sessuale...» A questo punto la giornalista chiedeva
come difendersi da questi soggetti, visto che a dire della Bruzzone uno come il
Misseri doveva essere già conosciuto come pedofilo. E a questo punto la Bruzzone
è stata quanto mai categorica: «Denunciando! Facendo emergere il tutto!
facendosi consigliare da professionisti, andando ai Centri Antiviolenza...
Telefono Rosa.... Io collaboro con loro da anni e sono assolutamente un
interlocutore preziosissimo per questi tipi di casi...». Immaginiamo cosa
sarebbe successo se Sabina Misseri si fosse recata a Telefono Rosa e avesse
denunciato che da mesi sapeva che il padre molestava Sarah e lei...Che giustizia
avremmo avuto, ascoltando oggi le parole della criminologa dottoressa Bruzzone,
che dice il contrario di tutto quanto affermato prima?
INCHIESTA SULL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI
TARANTO.
Un'inchiesta di cui nessuno quasi parla. Si
scontrano due correnti di pensiero. Chi è amico dei magistrati, dai quali riceve
la notizia segretata. Chi è amico degli avvocati che tace della notizia già
pubblicata. Ne scrive il dr Antonio Giangrande, scrittore, sociologo storico,
blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
"Siediti lungo la riva del fiume e aspetta,
prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico", proverbio cinese.
Taranto, rimborsi non dovuti. Procura indaga
sugli avvocati. Riflettori accesi su 93mila euro spesi tra il 2014 e il 2015
dopo un esposto del Consiglio, scrive Mimmo Mazza su “La Gazzetta del
Mezzogiorno” dell’11 aprile 2016. Finiscono all’attenzione della Procura della
Repubblica i conti dell’Ordine degli avvocati di Taranto. A rivolgersi alla
magistratura è stato lo stesso Consiglio, presieduto da Vincenzo Di Maggio, dopo
che sarebbero emerse irregolarità contabili riguardanti le anticipazioni e i
rimborsi alle cariche istituzionali nell’anno 2014, l’ultimo da presidente per
Angelo Esposito, ora membro dal Consiglio nazionale forense. Il fascicolo è
stato assegnato al sostituto procuratore Maurizio Carbone, l’ipotesi di reato è
quella di peculato essendo l’Ordine degli avvocati ente di diritto pubblico
(altrimenti si procederebbe per appropriazione indebita ma il pm non sarebbe
Carbone in quanto quest’ultimo fa parte del pool reati contro la pubblica
amministrazione).
Ordine Avvocati, buco nel bilancio. Indaga la
Procura, scrive Michele Montemurro su “Il Quotidiano di Puglia” dell’11 aprile
2016. Spese di rappresentanza istituzionale indebite o solo assenze di
“giustificativi”? È quanto dovrà accertare la procura di Taranto, chiamata in
causa dal consiglio dell’Ordine degli Avvocati del capoluogo jonico, che avrebbe
accertato nel suo bilancio un “buco” di oltre 90mila euro. A investire della
questione il pm dottor Maurizio Carbone è stato lo stesso Consiglio presieduto
dall’avvocato Vincenzo Di Maggio. All’appello, nei libri contabili del
Consiglio, mancherebbe una cifra complessiva che non risulta essere “coperta” da
alcuna documentazione. Allo stato, l’ipotesi di reato per cui si procede a
carico di ignoti è quella di peculato, dal momento che il Consiglio dell’Ordine
è ritenuto Ente pubblico non economico.
La Procura indaga sul “buco” del bilancio
dell’Ordine Avvocati di Taranto sotto la guida dell’Avv. Angelo Esposito. E
sulla fuga di notizie…? Si chiede e scrive Antonello De Gennaro su “Il Corriere
del Giorno” del 12 aprile 2016. Spese di rappresentanza istituzionale indebite o
solo assenze di “giustificativi”? Chi rimborserà l'Ordine degli Avvocati di
Taranto delle spese allegre e non giustificate di qualcuno? L’intervento della
Procura di Taranto che ha affidato le indagini al pm Maurizio Carbone,
contrariamente a quanto pubblicato dai soliti cronisti giudiziari a “gettone” è
avvenuta in conseguente di una segnalazione, obbligatoria per legge ai sensi
dell’art. 331 c.p.p. che il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del capoluogo
jonico, presieduto dall’avvocato Vincenzo Di Maggio, ha inteso rispettare.
Singolare anche come ancora una volta la notizia sia “filtrata” dagli uffici
giudiziari tarantini sulla solita stampa “ventriloqua” di alcuni magistrati,
nonostante la discrezione e riservatezza adottata dal presidente Di Maggio che
ha depositato personalmente il tutto soltanto giovedì scorso e direttamente
negli uffici della Procura, e non a quelli della polizia giudiziaria, proprio
per evitare delle possibili fughe di notizie.
Il popolo dei nimbini (mai da me) è sempre
all’opera. Probabilmente non hanno niente da fare. Generalmente son comunisti di
varie sigle. Aggiungiamoci tra di loro pure i pentastellati, bastian contrari
alla riscossa. Ma che cazzo centrano quelli di Forza Italia, Lega e Fratelli
d’Italia con il referendum di Domenica? Da quando in qua interessa a loro la
lotta ambientalista? O comunque la lotta sociale e civile? Sono disabituati
perchè, generalmente, i referendum sono previsti contro le loro leggi
capitaliste. Il paradosso è che, questa volta, la sinistra nimbina scende in
campo contro se stessa. Se i referendum, come gli scioperi, sono prettamente
politici, perché ci fanno spendere un “mare” di soldi per un referendum per il
quale nessuno va a votare? Tranquillamente possono far cadere i governi e
cambiare le norme che non piacciono in Parlamento!!! D'altronde, quando mai
hanno rispettato l’esito dei referendum? Specialmente quando il referendum era
serio, come quello sulla responsabilità dei magistrati!!Ad Avetrana, il paese di
Sarah Scazzi, non sono omertosi, sempre che non si tratti di poteri forti. Ma
qualcuno certamente vigliacco e codardo lo è. Sapendo che io ho le palle per
denunciare le illegalità, questi deficienti usano il mio nome ed appongono
falsamente la mia firma in calce a degli esposti che colpiscono i poveri cristi
rei di abusi edilizi o commerciali. I cretini, che poi fanno carriera politica,
non sanno che i destinatari dei miei strali sono magistrati, avvocati, forze
dell’ordine, e comunque pubblici ufficiali o esercenti un pubblico servizio. Che
poi queste denunce finiscono nell’oblio perché “cane non mangia cane” e per
farmi passare per mitomane o pazzo o calunniatore o diffamatore, è un’altra
cosa. Però da parte di questi coglioni prendersela con i poveri cristi per poi
far addossare la colpa a me ed essere oggetto di ritorsioni ingiustificate è da
veri vigliacchi. D'altronde un paese di coglioni sarà sempre governato,
amministrato, giudicato da coglioni.
A proposito di primarie ad Avetrana ed in
tutta Italia…fascismo e comunismo facce della stessa medaglia: sete di potere o
di poltrone.
Cosa accomuna gli interisti ai comunisti?
Quando si perde è perché gli altri hanno rubato. Ad Avetrana, tanti anni fa, il
sottoscritto emergeva in politica. Presidente di Alleanza nazionale, non sono
stato mai accettato perché non avevo il sangue nero ed i miei sostenitori non
erano di destra, ma erano dei moderati. Per la nomenclatura ero buono solo a
portare voti ai soliti noti. Li mandai a fanculo…e sostenni Conte a sinistra che
con i voti dei miei sostenitori vinse le Comunali.
Ad Avetrana, a sinistra c’è Emanuele Micelli,
mai accettato dai comunisti perché non ha sangue rosso. Alle primarie 2016 tutta
la nomenclatura comunista era schierata contro di lui in previsione di una
futura scissione del PD e la cui figura della Petracca, (con i soliti 200 voti
degli ultracomunisti) era solo specchio per le allodole. Il vero intento era
contarsi per valere. Micelli per la nomenclatura è buono solo a portare i voti
dei moderati alle elezioni…per Conte e per altri. Voti dell’aria moderata che,
però, non sono accettati alle primarie: perché fanno schifo ai comunisti.
Lo schifo per i voti moderati ha fatto sì che
il mio interesse per chi si professa diverso è cessato e da allora la sinistra
ad Avetrana ha sempre perso, nonostante, per fottersi i miei voti, hanno messo
mio fratello nelle loro liste e che io stesso non ho votato. Fino a che, a
sinistra come a destra, le nomenclature locali saranno più interessate alle
poltrone che alle cose reali, perderanno sempre, perché non è vittoria quella
con il 50% di astensione. Messaggio di gente che manda a fanculo gli
schieramenti con le solite facce.
… fascismo e comunismo facce della stessa
medaglia: sete di potere o di poltrone per persone incapaci.
Avetrana. La strage degli alberi.
Il commento del Dr Antonio Giangrande,
scrittore, blogger, youtuber.
Mi ero ripromesso di non occuparmi più della
politica locale per la sua inutilità, ritenuta stantia e stagnante e
periodicamente riproposta da gente di destra e di sinistra ambiziosa e senza
alcun valore, ma di fronte alla desertificazione che l’odierna amministrazione
di destra di Avetrana sta attuando al fine del suo mandato non è possibile
rimanerne complici con il proprio silenzio. Questi signori stanno per finire di
tagliare tutti gli alberi piantati dall’ultima amministrazione di sinistra,
affinchè alla fine del loro mandato non ne rimanga nessuna testimonianza. Nessun
motivo o giustificazione può essere avvalorato dalla logica. Hanno usato la
scusa delle radici che spaccano il manto stradale; delle foglie che sporcano,
del pericolo di cadute per cedimento. Hanno usato, addirittura, la scusa della
presenza della Processionaria su qualche albero, per tagliarli tutti. Usano il
metodo Xylella. Come dire: se il cane ha le pulci o le zecche, il coglione non
disinfesta i parassiti, ma uccide il cane. Questi signori non hanno alcuna
cultura ambientalista. Usare la potatura o la disinfestazione non è ipotesi alla
loro portata. Meglio eliminare ogni pianta dal paese. Credevo che fosse il rosso
il colore da costoro odiato…invece è il verde. Che peccato condividere il paese
con gente che non ama la Natura, anche perché chi non ama la Natura, non ama
l’uomo.
Cos’è la Legalità: è la conformità alla
legge.
Ancora oggi l’etimologia di
lex è incerta; i più ricollegano effettivamente lex a
legere, ma un’altra teoria la riconduce alla radice indoeuropea
legh- (il cui significato è quello di “porre”), dalla quale proviene
l’anglosassone lagu e, da qui, l’inglese law.
Nella Grecia antica le leggi sono il simbolo
della sovranità popolare. Il loro rispetto è presupposto e garanzia di libertà
per il cittadino. Ma la legge greca non è basata, come quella ebraica, su un
ordine trascendente; essa è frutto di un patto fra gli uomini, di consuetudini e
convenzioni. Per questo è fatta oggetto di una ininterrotta riflessione che si
sviluppa dai presocratici ad Aristotele e che culmina nella crisi del V secolo:
se la legge non si fonda sulla natura, ma sulla consuetudine, non è assoluta ma
relativa come i costumi da cui deriva; dunque non ha valore normativo, e il
diritto cede il campo all'arbitrio e alla forza. La relazione che intercorre tra
il concetto di legge e il concetto di luogo è insito nell’etimologia del termine
greco nomos, che significa pascolo e che, progressivamente, dietro alla
necessaria consuetudine di legittimare la spartizione del “pascolo”, ha finito
per assumere questo secondo significato: legge. Ma nemein significa anche
abitare e nomas è il pastore, colui che abita la legge, oltre che il
pascolo; la conosce e la sa abitare. E nemesis è la divinità che si
accanisce inevitabilmente su coloro che non sanno abitare la legge.
Da qui il detto antico “qui la legge sono
io”. Conflittuale se travalica i confini di detto pascolo. Legge e luogo sono
intrinsecamente connessi. Infatti, la nemesi della legge è proprio quella
libertà commerciale che esige un’economia globale, che travalica tutti i
confini, che considera la terra come un unico grande spazio. Insieme ai paletti
di delimitazione degli stati sradica così anche la legge che li abita.
I greci, con Platone, avevano teorizzato
l’origine divina del nomos. Obbedire alle leggi della polis
significava implicitamente riconoscere il dio (nomizein theos) che si
nasconde dietro l’ethos originario.
La conclusione di entrambi i percorsi -
quello lungo e quello breve - dovrebbe condurre a definire la politica come
scienza anthroponomikè o scienza di amministrare gli esseri umani.
Nómos in greco significa "norma", "legge", "convenzione"; vuol dire
"pascolo" e nomeus vuol dire "pastore": il procedimento dicotomico
sembra condurre lontano dal nómos nel suo primo senso, a far intendere
l'antroponomia come l'arte di pascolare gli uomini.
Cicerone adotta l’etimologia di lex da
legere, non perché la si legge in quanto scritta, bensì perché deriva dal
verbo legere nel significato di “scegliere”.
“Dicitur enim lex a ligando, quia obligat
agendum”, Questa etimologia di “legge” si trova all’inizio della celebre
esposizione di Tommaso d’Aquino sulla natura della legge, presente nella Summa
theologiae.
Da qui il concetto di legge: “la legge è una
regola o misura nell’agire, attraverso la quale qualcuno è indotto ad agire o vi
è distolto. Legge, infatti, deriva da legare, poiché obbliga ad agire.”
Il termine italiano legge deriva da legem,
accusativo del latino lex.
Lex significava originariamente norma, regola
di pertinenza religiosa.
Queste regole furono a lungo tramandate a
memoria, ma la tradizione orale - che implicava il rischio di travisamenti - fu
poi sostituita da quella scritta.
Sono così giunte fino a noi testimonianze
preziose come le Tavole Eugubine, una raccolta di disposizioni che riguardavano
sacrifici ed altre pratiche di culto dell’antico popolo italico di Iguvium,
l’attuale Gubbio.
A Roma, in età repubblicana, vennero
promulgate ed esposte pubblicamente le Leggi delle Dodici Tavole, che si
riferivano non più solamente a questioni religiose: il termine lex assunse così
il valore di norma giuridica che regola la vita e i comportamenti sociali di un
popolo.
Sul finire dell’età antica l’imperatore
Giustiniano fece raccogliere tutta la tradizione legislativa e giuridica romana
nel monumentale Corpus Iuris, la raccolta del diritto, che ha costituito la base
della civiltà giuridica occidentale.
Dalla riscoperta del Corpus Iuris sono state
costituite circa mille anni fa le Facoltà di Legge - cioè di Giurisprudenza e di
Diritto - delle grandi università europee, nelle quali si sono formati i
giuristi, ovvero gli uomini di legge di tutta l’Europa medievale e moderna.
La parola legge è divenuta sinonimo di
diritto, con il valore di complesso degli ordinamenti giuridici e legislativi di
un paese.
In questo senso oggi la Costituzione italiana
sancisce che la legge è uguale per tutti, e afferma la necessità per ogni
persona di una educazione al rispetto della legalità: una società civile deve
fondarsi sul rispetto dei diritti e dei doveri di tutti i cittadini che trovano
nelle leggi le loro regole.
Per millenni, tuttavia, il concetto di legge
è stato collegato esclusivamente ad ambiti religiosi o sacrali, e per alcuni
popoli ancora oggi all’origine delle leggi vi è l’intervento divino.
Pensiamo agli ebrei, per i quali la Legge -
la Thorà nella lingua ebraica - è senz’altro la legge divina, non soltanto in
riferimento ai Comandamenti consegnati dal Signore a Mosè sul monte Sinai - la
legge mosaica - ma in generale a tutta la Bibbia, considerata come
manifestazione della volontà divina che regola i comportamenti degli uomini.
Anche i Musulmani osservano una legge - la
legge coranica - contenuta in un testo sacro, il Corano, dettato da Dio, Allah,
al suo profeta Maometto.
Una legalità fondata sulla giustizia è dunque
l’unico possibile fondamento di una ordinata società civile, e anche una delle
condizioni fondamentali perché ci sia una reale difesa della libertà dei
cittadini di ogni nazione.
Dura lex, sed lex:
la frase, tradotta dal latino letteralmente, significa dura legge, ma legge.
Più propriamente in italiano: "La legge è dura, ma è (sempre) legge" (e quindi
va rispettata comunque).
Chi vive ai margini della legge, o diventa
fuorilegge, si pone al di fuori della convivenza civile e va sottoposto ai
rigori della legge, cioè a una giusta punizione: in nome della legge è proprio
la formula con cui i tutori dell’ordine intimano ai cittadini di obbedire agli
ordini dell’autorità, emanati secondo giustizia.
Il giusnaturalismo (dal latino
ius naturale, "diritto di natura") è il termine generale che racchiude
quelle dottrine filosofico-giuridiche che affermano l'esistenza di un diritto,
cioè di un insieme di norme di comportamento dedotte dalla "natura" e
conoscibili dall'essere umano.
Il giusnaturalismo si contrappone al
cosiddetto positivismo giuridico basato sul diritto positivo, inteso
quest'ultimo come corpus legislativo creato da una comunità umana nel corso
della sua evoluzione storica. Questa contrapposizione è stata efficacemente
definita "dualismo".
Secondo la formulazione di Grozio e dei
teorici detti razionalisti del giusnaturalismo, che ripresero il pensiero di
Tommaso d’Aquino, attualizzandolo, ogni essere umano (definibile oggi anche come
ogni entità biologica in cui il patrimonio genetico non sia quello di alcun
altro animale se non di quello detto appartenente alla specie umana), pur in
presenza dello stato e del diritto positivo ovvero civile, resta titolare di
diritti naturali, quali il diritto alla vita, ecc. , diritti inalienabili che
non possono essere modificati dalle leggi. Questi diritti naturali sono tali
perché ‘razionalmente giusti’, ma non sono istituiti per diritto divino; anzi,
dato Dio come esistente, Dio li riconosce come diritti proprio in quanto
corrispondenti alla “ragione” connessa al libero arbitrio da Dio stesso donato.
*****
Ultimo atto. Esame di Avvocato 2015. A Lecce
uno su quattro ce l’ha fatta. Sono partiti in 1.108: la prova scritta è stata
passata da 275 praticanti. Preso atto.....
All'attenzione dell'avv. Francesco De Jaco.
Illustre avv. Francesco De Jaco, in qualità di Presidente della Commissione di
Esame di Avvocato 2014-2015, chi le scrive è il dr Antonio Giangrande. E’ quel
signore, attempato per i suoi 52 anni e ormai fuori luogo in mezzo ai giovani
candidati, che in sede di esame le chiese, inopinatamente ed invano, Tutela.
Tutela, non raccomandazione. Così come nel 2002 fu fatto inutilmente con l’avv.
Luigi Rella, presidente di commissione e degli avvocati di Lecce. Tutela perché
quel signore il suo futuro lo ha sprecato nel suo passato. Ostinatamente nel
voler diventare avvocato ha perso le migliori occasioni che la vita possa dare.
Aspettava come tutti che una abilitazione, alla mediocrità come è l’esame
forense truccato, potesse, prima o poi, premiare anche lui. Pecori e porci sì,
lui no! Quel signore ha aspettato ben 17 anni per, finalmente, dire basta.
Gridare allo scandalo per un esame di Stato irregolare non si può. Gridare al
complotto contro la persona…e chi gli crede. Eppure a Lecce c’è qualcuno che
dice: “quello lì, l’avvocato non lo deve fare”. Qualcuno che da 17 anni,
infastidito dal mio legittimo operato anche contro i magistrati, ha i tentacoli
tanto lunghi da arrivare ovunque per potermi nuocere. Chi afferma ciò è colui il
quale dimostra con i fatti nei suoi libri, ciò che, agli ignoranti o a chi è in
mala fede, pare frutto di mitomania o pazzia. Guardi, la sua presidenza, in sede
di scritto, è stata la migliore tra le 17 da me conosciute. Purtroppo, però, in
quel di Brescia quel che si temeva si è confermato. Brescia, dove, addirittura,
l’ex Ministro Mariastella Gelmini chiese scampo, rifugiandosi a Reggio Calabria
per poter diventare avvocato. Il mio risultato delle prove fa sì che chiuda la
fase della mia vita di aspirazione forense in bruttezza. 18, 18, 20. Mai
risultato fu più nefasto e, credo, immeritato e punitivo. Sicuro, però, che tale
giudizio non è solo farina del sacco della Commissione di esame di Brescia. Lo
zampino di qualche leccese c’è! Avvocato… o magistrato… o entrambi…: chissà? Non
la tedio oltre. Ho tentato di trovare Tutela, non l’ho trovata. Forse chiedevo
troppo. Marcire in carcere da innocente o pagare fio in termini professionali,
credo che convenga la seconda ipotesi. Questo è quel che pago nel mettermi
contro i poteri forti istituzionali, che io chiamo mafiosi. Avvocato, grazie per
il tempo che mi ha dedicato. Le tolgo il disturbo e, nel caso l’importasse, non
si meravigli, se, in occasione di incontri pubblici, se e quando ci saranno, la
priverò del mio saluto. Con ossequi.
Avetrana lì 26 giugno 2015. Dr Antonio
Giangrande, scrittore per necessità.
E’ da scuola l’esempio della correzione dei
compiti in magistratura, così come dimostrato, primo tra tutti gli altri,
dall’avv. Pierpaolo Berardi, candidato bocciato. Elaborati non visionati, ma
dichiarati corretti. L’avvocato astigiano Pierpaolo Berardi, classe 1964, per
anni ha battagliato per far annullare il concorso per magistrati svolto nel
maggio 1992. Secondo Berardi, infatti, in base ai verbali dei commissari, più di
metà dei compiti vennero corretti in 3 minuti di media (comprendendo “apertura
della busta, verbalizzazione e richiesta chiarimenti”) e quindi non “furono mai
esaminati”. I giudici del tar gli hanno dato ragione nel 1996 e nel 2000 e il
Csm, nel 2008, è stato costretto ad ammettere: “Ci fu una vera e propria
mancanza di valutazione da parte della commissione”. Giudizio che vale anche per
gli altri esaminati. In quell’esame divenne uditore giudiziario, tra gli altri,
proprio Luigi de Magistris, giovane Pubblico Ministero che si occupò inutilmente
del concorso farsa di abilitazione forense a Catanzaro: tutti i compiti identici
e tutti abilitati. Al Tg1 Rai delle 20.00 del 1 agosto 2010 il conduttore apre
un servizio: esame di accesso in Magistratura, dichiarati idonei temi pieni
zeppi di errori di ortografia. La denuncia è stata fatta da 60 candidati
bocciati al concorso 2008, che hanno spulciato i compiti degli idonei e hanno
presentato ricorso al TAR per manifesta parzialità dei commissari con abuso del
pubblico ufficio. Risultato: un buco nell'acqua. Questi magistrati, nel
frattempo diventati dei, esercitano. Esperienza diretta dell'avvocato Giovanni
Di Nardo che ha scoperto temi pieni di errori di ortografia giudicati idonei
alle prove scritte del concorso in magistratura indetto nel 2013 le cui prove si
sono tenute nel Giugno del 2014. Se trovate che sia vergognoso condividete il
più possibile, non c'è altro da fare.
Da: Pacho Pedroche Lorena (venerdì 22
settembre 2018). Salve, sono Lorena Pacho, giornalista spagnola presso il
giornale El País. Sto lavorando presso un servizio sugli avvocati italiani che
chiedono l'omologazione del titolo di studio in Spagna. Sarebbe possibile
parlare con il Dr. Giangrande, per favore, per fare qualche domanda sul processo
e come funziona in Italia? in relazione con i sui libri L' Italia dei concorsi
pubblici truccati ed esame di avvocato. La ringrazio cordiali saluti. La
ringrazio tanto, gradisco molto questa soluzione e la ringrazio. Invio qua delle
domante, si senta libero di rispondere a tutte oppure solo a una parte. Anche si
senta libero per la lunghezza, ma non è necessario sia molto lungo. L'obiettivo
di questo servizio è per una parte fare capire ai lettori spagnoli perchè in
tanti vano in Spagna per diventare avvocato spiegando come è il processo in
Italia, perchè è così lungo, difficile e tortuoso accedere alla abilitazione
alla professione di avvocato e quale sono le ombre e difetti di questo processo:
- Quali sono le particolarità que
definiscono meglio il processo per l'abilitazione alla professione di avvocato?
(per fare capire ai lettori spagnoli perchè in tanti vano in Spagna per
l'omologazione.
«In
Italia per diventare avvocato bisogna laurearsi in Giurisprudenza (in legge).
Poi si segue un periodo di praticantato con corsi obbligatori onerosi ed esosi e
solo alla fine si affrontano gli esami di abilitazione organizzati dal Ministero
della Giustizia. Le commissioni di esame di avvocato sono composte da avvocati,
professori universitari e magistrati. La stessa composizione che abilita gli
stessi magistrati ed i professori. Con scambio di ruoli e favori. Io ho
partecipato per 17 anni all’esame di abilitazione, fino a che ho detto basta! In
questi anni ho vissuto tutte le fasi delle riforme emanate per rendere, in
effetti, impossibile l’iscrizione all’albo tenuto dagli avvocati più anziani.
All’inizio della mia esperienza il praticantato era di due anni e poi affrontavi
l’esame con le commissioni del proprio distretto, portando i codici annotati
solo con la giurisprudenza. Allora non si sentiva parlare di migrazione verso la
spagna di aspiranti avvocati. Se eri bocciato, bastava riprovare ed aspettare.
Da sempre, però, vi era la litania che gli avvocati erano troppi. Ad oggi il
praticantato si svolge con corsi di formazione obbligatori ed a pagamento per 18
mesi e l’esame sarà svolto con soli codici senza annotazioni della
giurisprudenza. Inoltre, con l’avvento del cosiddetto governo “liberale” di
Silvio Berlusconi, l’allora Ministro della Giustizia, Roberto Castelli, ha
previsto la transumanza degli elaborati degli esami. Spiego meglio. Le
commissioni di esame di avvocato del Nord Italia erano avare nell’abilitare, per
limitare la concorrenza. Roberto Castelli era del partito di Matteo Salvini,
attuale vice premier. La lega Nord, prima di essere anti immigrati è stata da
sempre anti meridionale. Se il loro motto oggi è “prima gli italiani”, allora
era “prima i settentrionali”. Nel Nord d’Italia vi era la convinzione che le
commissioni del sud Italia erano prodighi, per questo vi erano più idonei
all’esame di avvocato. La stessa Ministro Gelmini del Governo Berlusconi, lei
impedita a Brescia, ha fatto l’esame in Calabria. A loro dire, poi, la massa di
idonei emigrava al Nord, togliendo lavoro ai locali, che tanto avevano fatto
illecitamente per tutelare se stessi. Secondo questa riforma di stampo razzista
le prove scritte sono visionate da commissioni estratte a sorte, con spostamento
dei plichi con gli elaborati da nord a sud e viceversa, con aggravio di tempo e
di denaro. In questo modo sono avvantaggiati i candidati del nord Italia, i cui
compiti sono corretti dalle commissioni del sud, rimaste benevoli. I partiti
statalisti di sinistra non hanno fatto altro che confermare questo iniquo
sistema».
- Secondo Lei, che senso ha rendere
obbligatorio l'esame di Stato per gli avvocati?
«Non
ha senso rendere obbligatorio un esame che non garantisce il merito, tenuto
conto che i candidati, oltretutto, hanno sostenuto tantissimi esami
all’università. Benissimamente a fine studio universitario potrebbero sostenere
l’esame finale di abilitazione (come in altri paesi) avente valore di esame di
Stato. Poi ci pensa il mercato: chi vale, lavora».
- Funziona il sistema dei concorsi di
abilitazione alla professione forense in Italia?
«Il
sistema di abilitazione forense in Italia non funziona perché non garantisce il
merito, ma è stabilito solo per limitare l’accesso ai giovani aspiranti avvocati
per la tutela di rendita di posizione o per garantire i propri protetti».
-Perchè è così alta la percentuale di
concorrenti che non superano, che non passano gli esami di avvocato?
«La
percentuale di idonei diventa di anno in anno sempre minore. Perché negli anni
hanno limitato l’intervento degli avvocati nella tutela dei diritti (vedi
ricorsi contro le sanzioni amministrative o per i sinistri stradali o per
onerosità delle cause, o per il gratuito patrocinio); ovvero hanno imposto delle
tasse e dei contributi esosi. Questo porta la lobby degli avvocati a tutelare
gli interessi corporativi sempre più ristretti, negando l’accesso ai nuovi. I
giovani per aggirare l’ostacolo prendono altre strade: ossia, la migrazione per
ottenere la meritata professione per la quale hanno studiato per anni e che per
questo non possono fare altro. Inoltre il fatto di diventare avvocato non dà
sicurezza di reddito, perché comunque ai giovani avvocati è impedito entrare in
un certo sistema di potere che assicura lavoro. Per lavorare come avvocato devi
essere protetto ed omologato».
-Si può parlare di qualche irregolarità,
anomalie nella fase di correzione ed in che modo? Possiamo parlare di altre
anomalie?
«Il
mio parere è per cognizione di causa diretta e per aver studiato e cercato prove
(in testi ed in video da visionare sul mio canale su Dailymotion) per oltre
venti anni per dimostrare che l’esame di avvocato in particolare, ma ogni esame
di abilitazione o concorso pubblico in Italia è truccato (irregolare). Il frutto
del mio lavoro sono i saggi “ESAME DI AVVOCATO. ABILITAZIONE TRUCCATA”, in
particolare. E “CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI” per quanto riguarda tutti i concorsi
pubblici e gli esami di Stato.
Nei miei saggi si dimostra con prove
inoppugnabili dove si annida il trucco:
Nelle fasi preliminari (tracce conosciute);
Durante le prove (copiature e dettature);
Durante le correzioni (commissioni irregolari
e compiti non corretti, ma dichiarati tali);
Durante la tutela giudiziaria (disparità di
giudizio rispetto a ricorsi simili o uguali).
Da tener conto che i commissari sono
professionisti diventati tali in virtù di concorsi analoghi, quindi truccati».
- Quale sarebbe l'obiettivo di truccare
questi esami di avvocati?
«Si
truccano gli esami per garantire un proprio familiare o un proprio amico o
conoscente. O per tutelare l’interesse corporativo».
- Lei vuole aggiungere qual cosa altro che
pensa può essere utili per i lettori spagnole oppure importante per capire la
situazione e questo fenomeno.
«Io
sin dalla prima volta ho denunciato le anomalie. Sin dal principio mi hanno
minacciato che non sarei diventato avvocato. Pensavo che valesse la forza
della legge e non, come è, la legge del più forte. Per 17 anni mi hanno sempre
dato voti identici per tutte le tre prove annuali, senza che il compito sia
stato corretto (mancanza di tempo calcolato dal verbale). Le mie denunce
pubbliche hanno provocato la reazione del potere con procedimenti penali a mio
carico da cui sono uscito sempre assolto. I giornalisti, anche loro figli del
sistema, mi oscurano, non impedendomi, però, di essere seguitissimo sul web,
attraverso le mie opere pubblicate su Amazon. Si dà il caso che sia una
giornalista spagnola a chiedere un mio parere e non una italiana. Il fatto che i
giovani italiani vadano in Spagna o in Romania o in altre località molto più
liberali che l’Italia, per poter realizzare i loro sogni, hanno la mia piena
solidarietà. E’ solo un atto di puro stato di necessità che discrimina eventuali
reati commessi. Se lo fanno violando le norme non sono meno colpevoli di chi
nella loro patria illiberale, viola le norme impunemente. Perché negli esami di
Stato e nei concorsi pubblici chi aiuta o favorisce o raccomanda qualcuno a
scapito di altri viola una noma penale grave, costringendo gli esclusi a
spendere tantissimi soldi che non hanno. E solo per poter lavorare».
LE RITORSIONI DEI MAGISTRATI.
Con procedimento n. 1833/13 il PM di Potenza d.ssa Daniela Pannone, chiedeva ed
otteneva il rinvio a giudizio da parte della d.ssa Rosa Larocca per il processo
tenuto dal dr Lucio Setola, ex PM.
Imputato: Antonio Giangrande, nato ad Avetrana (Ta) il 02.06.1963 ed ivi
elettivamente domiciliato, ex art. 161 c.p.p., alla via Manzoni, 41.
Persona Offesa: Rita Romano, nata a Roma il 30.05.1967, magistrato in servizio
presso il Tribunale di Taranto.
A) Reato previsto e punito dall’art. 595 comma 3 codice penale (diffamazione)
perché, nella qualità di imputato nel procedimento n° 8486/08 RGNR e n° 5089/05
r.g.n.r, nell’atto di avocazione delle indagini indirizzato al Procuratore
Generale di Taranto – depositata in data 27/01/2011 presso la Sezione Distaccata
di Manduria del Tribunale di Taranto – offendeva la reputazione della dott.ssa
Rita Romano, magistrato in servizio presso il Tribunale di Taranto, scrivendo
che il predetto magistrato “abusando dell’ufficio adottava atti con intento
persecutorio, lesivi degli interessi, dell’immagine e della sua persona,
motivati da pregiudizio ed inimicizia e non sostenute da prove” e che “nei
procedimenti che riguardavano direttamente o indirettamente il Giangrande
Antonio, quando questi esercitava la professione forense, essa ha condannato
quando le prove erano evidenti riguardo l’innocenza; ha assolto quando le prove
erano evidenti sulla colpevolezza”. In Manduria (TA) il 27/01/2011 – competenza
dell’A.G. di Potenza ex art. 11 c.p.p.
B) Reato previsto e punito dall’art. 368 Codice penale (calunnia) perché, nella
qualità di imputato nel procedimento n° 8486/08 RGNR e n° 5089 RGNR, nell’atto
di avocazione delle indagini indirizzato al Procuratore Generale di Taranto -
depositato in data 27/01/2011 presso la Sezione Distaccata di Manduria del
Tribunale di Taranto – autorità che ha l’obbligo di riferirne, pur sapendola
innocente, accusava la dott.ssa Rita Romano, magistrato in servizio presso il
Tribunale di Taranto, del reato di abuso d’ufficio, di falso in atto pubblico.
In particolare, accusava il predetto magistrato utilizzando le seguenti frasi:
“abusando dell’ufficio adottava atti con intento persecutorio, lesivi degli
interessi, dell’immagine e della sua persona, motivati da pregiudizio ed
inimicizia e non sostenute da prove” e “nei procedimenti che riguardavano
direttamente o indirettamente il Giangrande Antonio, quando questi esercitava la
professione forense, essa ha adottato quando le prove erano evidenti riguardo
l’innocenza; ha assolto quando le prove erano evidenti sulla colpevolezza”. In
Manduria (TA) il 27/01/2011 – competenza dell’A.G. di Potenza ex art. 11 c.p.p.
Il procedimento penale su denuncia di Rita Romano. Denuncia per calunnia e
diffamazione, questa è l’accusa che mi si oppone. Calunnia per aver presentato
in data 27/01/2011 al Presidente del Tribunale di Taranto in allegato ed a
sostegno dell’atto di ricusazione, in procedimenti penali per il quale il
magistrato denunciato era decidente sulle mie sorti, una richiesta motivata e
circostanziata di avocazione delle indagini inviata al Procuratore Generale
presso la Corte d’Appello di Taranto, ma anche di Potenza. Avocazione delle
indagini presentata il 18 aprile 2008 a Taranto e Potenza. Magistrato già
precedentemente denunciato alle procure di Taranto e Potenza ben prima del 18
aprile 2008, sapendolo colpevole con prove a sostegno. Denunce presentate
in data 22/03/2006
e rimaste lettera morta.
Diffamazione per aver presentato in data 27/01/2011 tale richiesta di avocazione
delle indagini al Presidente del Tribunale di Taranto in allegato ed a sostegno
dell’atto di ricusazione in procedimenti penali per il quale il magistrato
denunciato era decidente sulle mie sorti. Diffamazione perché denunciavo la
grave inimicizia causa di persecuzione. Diffamazione tardiva perché richiesta
simile di ricusazione era stata presentata già il 29/09/2010. Le ricusazioni
(erano tre per tre distinti procedimenti), poi, non sono state rese operative,
in quanto il magistrato ricusato ha presentato la denuncia contro di me per
giustificare la sua astensione. Cosa che rimarca ogni volta in tutti i
procedimenti nei quali, investita come magistrato titolare, sia costretta a
rinunciare: «Mi astengo dal procedimento a carico dell’imputato in quanto ho
presentato denuncia penale contro lo stesso per calunnia e diffamazione.»
Intanto per quei processi, sempre per diffamazione a mezzo stampa, con condanna
scontata se fossi rimasto inerte,
sono stato successivamente prosciolto dagli altri giudici subentranti.
La grave inimicizia, causa della ricusazione di cui si pretendeva l’impedimento
dell’esercizio del diritto, era palesata dai precedenti giudizi di causa cui
tale magistrato era competente ed io sempre soccombente, quando io esercitavo la
professione forense, per le quali io ero imputato o difensore di parte. Dalla
lettura delle sentenze si evince tale pregiudizio.
In effetti, la denuncia nei miei confronti, è un atto ritorsivo. Non tanto per
la richiesta di ricusazione ed avocazione delle indagini ed atti allegati, ma
per la mia attività di scrittore noto nel mondo che denuncia le malefatte dei
magistrati a Taranto e pubblica quanto gli altri non osano dire. Vedi caso
killer delle vecchiette, Sarah Scazzi, Ilva, ecc.
D'altronde la calunnia non sussiste, sapendo il magistrato colpevole ed
evidenziandolo in più atti di denuncia, né sussiste la diffamazione, in quanto,
ai sensi dell’art. 596 c.p., come pubblico Ufficiale la prova della verità del
fatto determinato è ammessa nel processo penale.
Oltretutto i reati sono ampiamente prescritti e decaduti, ove vi fosse bisogno
della querela.
Questa è la denuncia penale, così come richiesta in sede di avocazioni delle
indagini alla procura Generale della Corte di Appello di Potenza, e per la quale
è stata presentata (a dire di Rita Romano) denuncia per calunnia.
DENUNCIA ALLA S.V.
Rita Romano, giudice monocratico del Tribunale di Taranto, sezione staccata di
Manduria,
domiciliata in viale Piceno a Manduria,
per i reati di cui agli artt. 81, 323, 476, 479 c.p., con applicazione delle
circostanze aggravanti, comuni e speciali ed esclusione di tutte le attenuanti,
IN QUANTO
Essa, abusando del suo ufficio, ha adottato continuamente atti del suo ufficio,
con “INTENTO PERSECUTORIO”, lesivi degli interessi, dell’immagine e della
persona del sottoscritto, motivati da pregiudizio ed inimicizia e non sostenute
da prove.
Nei procedimenti che riguardavano direttamente o indirettamente il Giangrande
Antonio, quando questi esercitava la professione forense, essa ha condannato
quando le prove erano evidenti riguardo l’innocenza, o essa ha assolto quando le
prove erano evidenti sulla colpevolezza.
PREMESSO CHE:
Giangrande Antonio, da difensore, è stato vittima di un aggressione in casa da
parte del marito di una sua assistita in un procedimento di separazione, al fine
di impedirgli la presenza all’udienza del giorno successivo. Nel processo penale
n. 10354/03 RGD, in data 14 febbraio 2006, la Romano assolveva
l’aggressore Mancini Salvatore. In un processo istruito, in cui il PM non ha
richiesto l’ammissione di alcun testimone, pur indicanti in denuncia Giangrande
Antonio, sua moglie Petarra Cosima e il figlio Giangrande Mirko, la Romano sente
solo i coniugi ai sensi del’art. 507 c.p.p. su indicazione del Giangrande, ma
rinuncia alla testimonianza di Mirko, il vero testimone. Tale abnorme decisione
di assoluzione è stata assunta disattendendo i fatti, ossia le lesioni e le
testimonianze, e definendo testimoni inattendibili il Giangrande e la Petarra.
Giangrande Antonio era accusato di esercizio abusivo della professione forense e
per gli effetti di circonvenzione di incapace. Nel processo penale n. 7612/01
RGPM, in data 06/03/2007, nonostante lo stesso PM riteneva il reato di esercizio
abusivo della professione forense infondato e inesistente, essendovi regolare
abilitazione al patrocinio legale, chiedendone l’assoluzione, la Romano
condannava il Giangrande per circonvenzione di incapace. Tale abnorme decisione
è stata assunta, nonostante le tariffe forensi prevedevano l’obbligatorietà
dell’onorario per il mandato svolto. Tale abnorme decisione è stata assunta
nonostante più volte si sia denunciata la violazione del diritto di difesa per
mancata nomina del difensore, per impedimento illegittimo all’accesso al
gratuito patrocinio. E’ seguito appello. Da notare che il giorno della sentenza
era l’ultimo processo ed erano presenti solo il PM, il giudice Romano, il
cancelliere e il difensore dell’imputato. Dagli uffici giudiziari è partita la
velina. Il giorno dopo i giornali portavano la notizia evidenziando il fatto che
il condannato Giangrande Antonio era il presidente dell’Associazione Contro
Tutte le Mafie. Era la prima volte che le vicende del Tribunale di Manduria
avevano degna attenzione.
Giangrande Antonio era difensore di Natale Cosimo in una causa civile di
sinistro stradale. Il testimone Fasiello Mario dichiara di non sapere nulla del
sinistro. Esso era denunciato per falsa testimonianza. Nel processo penale n.
1879/02 PM , 1231/04 GIP, 10438/05 RGD, in data 27 novembre 2007, la Romano lo
assolveva. Tale abnorme decisione è stata assunta, nonostante lo stesso rendeva
testimonianza contrastante a quella contestata. Lo assolveva nonostante
affermava il vero e quindi il contrario di quanto falsamente dichiarato in
separata causa. Lo assolveva nonostante a difenderlo ci fosse un difensore,
Mario De Marco, impedito a farlo in quanto Sindaco pro tempore di Avetrana. Il
De Marco e Nadia Cavallo hanno uno studio legale condiviso.
Giangrande Antonio e Giangrande Monica erano accusati di calunnia, per aver
denunciato l’avv. Cavallo Nadia per un sinistro truffa, in cui definiva, in
reiterati atti di citazione, Monica “RESPONSABILE ESCLUSIVA” del sinistro. Atti
presentati due anni dopo la richiesta di risarcimento danni, che la compagnia di
assicurazione ha ritenuto non evadere. Il Giangrande Antonio non aveva mai
presentato denuncia. Antonio era fratello e difensore in causa di Monica. La
posizione del Giangrande Antonio era stralciata per lesione del diritto di
difesa e il fascicolo rinviato al GIP. Nel processo penale n. 10306/06 RGD, in
data 18 dicembre 2007, la Romano condannava Giangrande Monica e rinviava al PM
la testimonianza di Nigro Giuseppa per falsità. Tale abnorme decisione è stata
assunta, nonostante la presunta vittima del sinistro non abbia riconosciuto
l’auto investitrice, si sia contraddetto sulla posizione del guidatore, abbia
riconosciuto Nigro Giuseppa quale responsabile del sinistro, anziché Giangrande
Monica. Tale abnorme decisione è stata assunta, nonostante Nigro Giuseppa abbia
testimoniato che la presunta vittima sia caduta da sola con la bicicletta e che
con le sue gambe sia andato via, affermando di stare bene. E’ seguito appello.
Giangrande Antonio era difensore di Erroi Salvatore, marito di Giangrande
Monica, sorella di Antonio. In causa civile, in cui difensore della contro parte
era sempre Cavallo Nadia, tal Gioia Vincenzo ebbe a testimoniare sullo stato dei
luoghi, oggetto di causa. Il Gioia, in chiara falsità, palesava uno stato dei
luoghi, oggetto di causa, diverso da quello che con rappresentazione fotografica
si è dimostrato in sede civile e penale. Il Gioia, denunciato per falsa
testimonianza veniva rinviato a giudizio in proc. 24/6681/04 R.G./mod 21.
Difeso da Cavallo Nadia in proc. 10040/06 RGD. In data 16 aprile 2008 il giudice
Rita Romano, pur evidenti le prove della colpevolezza, assolveva il Gioia
Vincenzo.
"La pubblicazione della notizia relativa alla presentazione di una denuncia
penale e alla sua iscrizione nel registro delle notizie di reato, oltre a non
essere idonea di per sé a configurare una violazione del segreto istruttorio o
del divieto di pubblicazione di atti processuali, costituisce lecito esercizio
del diritto di cronaca ed estrinsecazione della libertà di pensiero previste
dall'art 21 Costituzione e dall'art 10 Convenzione europea dei diritti
dell'uomo, anche se in conflitto con diritti e interessi della persona, qualora
si accompagni ai parametri dell'utilità sociale alla diffusione della notizia,
della verità oggettiva o putativa, della continenza del fatto narrato o
rappresentato. (Rigetta, App. L'Aquila, 10 Marzo 2006)". (Cass. civ. Sez. III
Sent., 22-02-2008, n. 4603; FONTI Mass. Giur. It., 2008).
Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono
generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante
tracce lasci del tuo percorso.
Il difetto degli intelligenti è che sono spinti a cercare le risposte ai loro
dubbi. Il pregio degli ignoranti è che non hanno dubbi e qualora li avessero
sono convinti di avere già le risposte.
Un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.
Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un
ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a
quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati
monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo
giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma
inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto:
dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento
politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro
sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo
che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati,
che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e
saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi
di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si
sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti
condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di
cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere
delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti
perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di
sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e
della fine che fece il primo saggista mondiale.
Da sempre diffido di chi, vestito da lupo, è pecora genuflessa alla
magistratura. I saccenti giustizialisti dei 5 stelle che provino a proporre la
figura del difensore civico giudiziario con poteri di magistrato, senza essere
uno di loro, per poter metter le mani nelle carte dei fascicoli e poterle
sparigliare. Io da anni mi batto inascoltato per questo. I signori dei 5 stelle
non si degnano nemmeno di rispondere ai messaggi degli esperti: tanto san tutto
loro. A sbraitare son bravi, ma a proporre leggi sensate, mi sa che non son
capaci. Parlan solo di soldi, soldi, soldi ed onestà, certificata dai loro
magistrati, e mai parlano di libertà ed opportunità senza concorsi ed esami
pubblici truccati.
Ad ogni azione umana nefasta si trova sempre una giustificazione...lo si fa per
le piante...lo si fa per gli animali...lo si fa per le persone! Ma, alla fine,
rimane solo un'azione nefasta che fa male al prossimo...e, spesso, il prossimo
siamo noi. A parte il partito preso, noi siamo tutti responsabili delle azioni
nefaste di uno, quando gli permettiamo di farle.
Parlare nei miei libri del caso singolo del semplice cittadino significa
incorrere nell’accusa di mitomania, pazzia o calunnia, oltre che ne
disinteresse. Invece parlo di loro, delle istituzioni che delinquono impunite.
Parlo della vera mafia. Cosa posso dire di più di quello che ho scritto e che
altri non dicono? Credo che quanto divulgato possa essere di grande
soddisfazione per le vittime, non potendo avere altro che quella in questa
Italia con italiani di merda a cui interessa solo di loro stessi e se ne fottono
degli altri.
Noi
siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo giudizi
gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma
inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto:
dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento
politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro
sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo
che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci. Avevo, con la mia famiglia,
un bar ristorante discoteca al mare. Tutto autorizzato. Lavoravo con la pistola
sotto il bancone per difendermi dai criminali, perchè le Forze dell'Ordine,
quando ne hai bisogno, non ci sono mai. D'inverno qualcuno ha incendiato il
tutto. Nessuna richiesta estorsiva. Solo un atto dimostrativo per gli altri.
Succede anche questo, anche se i benpensanti parlano di omertà. Ti rovinano e
non sai chi ed il perchè. Non mi è rimasto niente. Non ho ricevuto niente dallo
Stato. Volevo riaprire con le mie forze e con coraggio ricominciare da zero.
Quello Stato che prima mi ha fatto aprire, poi da vittima di mafia mi ha
impedito di ricominciare, negandomi le autorizzazioni che già mi aveva
rilasciato. Scegliendo la via professionale mi è stato impedito di esercitare
l'avvocatura, così come la magistratura: non abilitato perchè non ero omologato.
Non sopportavo corruzione ed ingiustizia nei tribunali. Mi sono ribellato
difendendo le vittime, raccontando le loro storie. I Magistrati insabbiano le
mie denunce e tentano in tutti i modi di condannarmi ingiustamente per
diffamazione a mezzo stampa. Se sei diverso ti fanno passare per pazzo o
mitomane. Non ci riescono. Ecco perchè la mia associazione nazionale si chiama
"Associazione Contro Tutte le Mafie", perchè quelli come me i veri nemici li
hanno nelle istituzioni. I servitori dello Stato, quindi "servi" nostri e pagati
da noi, abusano dei loro poteri e nessuno li perseguita. Sbandierano leggi e
sparlano di legalità: leggi e legalità che "lo stato" (s minuscola) calpesta
sotto i piedi. Mi si dica: qual è la differenza tra chi ti fa chiudere l'azienda
con le bombe e chi non te la fa riaprire? Io, Antonio Giangrande, non trovo
differenza e per questo non sono pubblicizzato come Don Ciotti e "Libera":
sostenuti da magistratura, media e politica e sindacati di sinistra.
La
Mafia dell’Antimafia, non solo in testi, ma anche in video sui miei canali
Youtube.
I veri amici condividono e fanno condividere le mie battaglie e fanno conoscere
i miei strumenti di divulgazione. Chi non condivide in compagnia: è un ladro o
una spia!
Intervista di Antonio
Giangrande alla radio tedesca ARD. Salerno Reggio Calabria: Eterna Incompiuta.
«Attenzione, spesso si cade
nei luoghi comuni. La Mafia e la Corruzione sono icone che dove non ci sono si
inventano per propaganda politica o per coprire i propri fallimenti. Spesso
dietro quel fenomeno si nasconde l’inefficienza tutta italiana. Il problema è
che ci sono persone sbagliate (incapaci più che disoneste) a ricoprire ruoli di
responsabilità. Si pensi che addirittura Antonio
Di Pietro (il PM di Mani Pulite) ha avuto responsabilità nel dicastero di
competenza. I politici dicono cosa fare, ma sono i burocrati che decidono come
fare (in virtù delle leggi, come la Bassanini, che hanno dato potere ai
dirigenti pubblici). Le leggi artificiose create dagli incapaci politici, perché
non hanno fiducia dei loro cittadini, crea caos e nel caos tutto succede.
Basterebbe rendere tutto più semplice e quel semplice controllarlo. Un
procedimento pur se corrotto dovrebbe comunque avere una soluzione. La
Salerno-Reggio Calabria, a prescindere da mafia o corruzione in itinere,
comunque non ha soluzione di continuità: ergo, vi è incapacità, più che
disonestà. E’ come quel luogo comune sugli italiani: si dà l’appuntamento per le
otto circa e, se va bene, ci si incontra a mezzogiorno.
Se i politici sono nominati con elezioni
truccate, questi non rispondono ai cittadini delle loro malefatte. Se i politici
nominati raccomandano i funzionari pubblici con concorsi truccati (compreso i
magistrati), questi non rispondono ai cittadini delle loro malefatte. I
dirigenti nominati con concorsi truccati non hanno remore a truccare gli
appalti. Alla fine, però, i lavori dovrebbero concludersi. Invece tutti se ne
fottono del risultato finale, avendo per sé soddisfatto i propri bisogni. A
questo punto sono tutti responsabili del fallimento: i politici, i funzionari
pubblici (compreso i magistrati per omissione di controllo) e gli imprenditori
che delinquono; i giornalisti che tacciono ed i cittadini che emulano.La mia
proposta come presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” attraverso
il suo braccio politico “Azione Liberale” è che ogni procedimento amministrativo
pubblico ha un suo responsabile che ne risponde direttamente, attraverso la
perdita del posto, della buona riuscita per sé e per i suoi sottoposti da lui
nominati. Però, purtroppo, un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed
amministrato da “coglioni”».
Intervista di
Antonio Giangrande alla radio tedesca ARD. Salerno Reggio Calabria: Eterna
Incompiuta. «Attenzione, spesso si cade nei luoghi comuni. La Mafia e la
Corruzione sono icone che dove non ci sono si inventano per propaganda politica
o per coprire i propri fallimenti. Spesso dietro quel fenomeno si nasconde
l’inefficienza tutta italiana. Il problema è che ci sono persone sbagliate
(incapaci più che disoneste) a ricoprire ruoli di responsabilità. Si pensi che
addirittura Antonio
Di Pietro (il PM di Mani Pulite) ha avuto responsabilità nel dicastero di
competenza. I politici dicono cosa fare, ma sono i burocrati che decidono come
fare (in virtù delle leggi, come la Bassanini, che hanno dato potere ai
dirigenti pubblici). Le leggi artificiose create dagli incapaci politici, perché
non hanno fiducia dei loro cittadini, crea caos e nel caos tutto succede.
Basterebbe rendere tutto più semplice e quel semplice controllarlo. Un
procedimento pur se corrotto dovrebbe comunque avere una soluzione. La
Salerno-Reggio Calabria, a prescindere da mafia o corruzione in itinere,
comunque non ha soluzione di continuità: ergo, vi è incapacità, più che
disonestà. E’ come quel luogo comune sugli italiani: si dà l’appuntamento per le
otto circa e, se va bene, ci si incontra a mezzogiorno. Se i politici sono
nominati con elezioni truccate, questi non rispondono ai cittadini delle loro
malefatte. Se i politici nominati raccomandano i funzionari pubblici con
concorsi truccati (compreso i magistrati), questi non rispondono ai cittadini
delle loro malefatte. I dirigenti nominati con concorsi truccati non hanno
remore a truccare gli appalti. Alla fine, però, i lavori dovrebbero concludersi.
Invece tutti se ne fottono del risultato finale, avendo per sé soddisfatto i
propri bisogni. A questo punto sono tutti responsabili del fallimento: i
politici, i funzionari pubblici (compreso i magistrati per omissione di
controllo) e gli imprenditori che delinquono; i giornalisti che tacciono ed i
cittadini che emulano. La mia proposta come presidente della “Associazione
Contro Tutte le Mafie” attraverso il suo braccio politico “Azione Liberale” è
che ogni procedimento amministrativo pubblico ha un suo responsabile che ne
risponde direttamente, attraverso la perdita del posto, della buona riuscita per
sé e per i suoi sottoposti da lui nominati. Però, purtroppo, un popolo di
“coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”».
Orgoglioso di essere cristiano e cattolico.
I sinistroidi e similari (5 Stelle) non si limitano a condannare la barbarie
islamica di Parigi, punto e basta. Si sforzano di mistificare la realtà delle
cose, contrapponendo le ipotetiche malefatte cristiane alla barbarie
terroristica mussulmana, come per giustificare o sovvertire le responsabilità.
Nascondono nei tg quel “Allah akbar” gridato nello stadio di Istanbul in Turchia
il 17 novembre 2015 nella partita Turchia-Grecia durante il minuto di
raccoglimento per le vittime degli attentati di Parigi, che inneggia ai
terroristi, o quell’appoggio morale ai terroristi dato da parte dei mussulmani
in Italia, interpellati sulla vicenda. Nei social network post che pubblicano le
responsabilità occidentali per la vendita delle armi in medio oriente o gli
eccidi commessi da occidentali da singoli (vedi attentati di Norvegia con autore
Anders Behiring Breivik) o in seguito ai bombardamenti sui territori occupati
dai taglia gole degli ostaggi innocenti. Atei che parteggiano per i mussulmani
in tempi oscurati dalla morte di innocenti. Islamici, da loro ritenuti ultimo
baluardo contro l’occidentalismo ed il capitalismo. Lì, dove il comunismo ha
fallito. Sinistroidi che in nome della loro fede disprezzano la loro identità,
cultura e tradizioni, imponendoci un politicamente corretto. Non sono i
mussulmani ad invaderci ed ad imporre a casa nostra la loro fede, cultura e
tradizioni, senza colpo ferire, ma sono i sinistroidi a permettere che ciò
avvenga. La cultura dei sinistroidi è la discultura e l’oscurantismo. Atei che
si spingono a farsi rapire per foraggiare il terrorismo con i loro riscatti o
che condannano le guerre o gli attacchi per ritorsione, ma poi speculano
finanziariamente con milioni di euro di finanziamenti sulla cura delle vittime
delle stesse guerre.
IO NON SONO
RAZZISTA, MA….
E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi
non ha arte né parte. I letterati, che non siano poeti, cioè scrittori
stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere “C’era una
volta….” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo il successo è
assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti querelano e
che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere saggisti e
scrivere “C’è adesso….” e parlare di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile
poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e del Potere in
generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di scrivere.
Devastante è farlo senza essere di sinistra. Quando si parla di veri scrittori
ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che fece il primo saggista
mondiale.
Dr. Antonio Giangrande – Avvocato e scrittore
perseguitato dal sistema.
La Legalità è il comportamento umano conforme
al dettato della legge nel compimento di un atto o di un fatto. Se l'abito non
fa il monaco, e la cronaca ce lo insegna, nè toghe, nè divise, nè poteri
istituzionali o mediatici hanno la legittimazione a dare insegnamenti e/o
patenti di legalità. Lor signori non si devono permettere di selezionare secondo
loro discrezione la società civile in buoni e cattivi ed ovviamente si devono
astenere dall'inserirsi loro stessi tra i buoni. Perchè secondo questa cernita
il cattivo è sempre il povero cittadino, che oltretutto con le esose tasse li
mantiene. Non dimentichiamoci che non ci sono dio in terra e fino a quando
saremo in democrazia, il potere è solo prerogativa del popolo. Ognuno di noi
antropologicamente ha un limite, non dovuto al sesso, od alla razza, od al credo
religioso, ma bensì delimitato dall’istruzione ricevuta ed all’educazione
appresa dalla famiglia e dalla società, esse stesse influenzate dall’ambiente,
dalla cultura, dagli usi e dai costumi territoriali.
A differenza degli animali la maggior parte
degli umani non si cura del proprio limite e si avventura in atteggiamenti e
giudizi non consoni al loro stato. Quando a causa dei loro limiti non arrivano
ad avere ragione con il ragionamento, allora adottano la violenza (fisica o
psicologica, ideologica o religiosa) e spesso con la violenza ottengono un
effimero ed immeritato potere o risultato.
I più intelligenti, conoscendo il proprio
limite, cercano di ampliarlo per risultati più duraturi e poteri meritati. Con
nuove conoscenze, con nuovi studi, con nuove esperienze arricchiscono il loro
bagaglio culturale ed aprono la loro mente, affinché questa accetti nuovi
concetti e nuovi orizzonti.
Acquisizione impensabile in uno stato
primordiale. I non omologati hanno empatia per i conformati. Mentre gli
omologati sono mossi da viscerale egoismo dovuto all’istinto di sopravvivenza:
voler essere ed avere più di quanto effettivamente si possa meritare di essere
od avere. Loro ed i loro interessi come ombelico del mondo. Da qui la loro paura
della morte e la ricerca di un dio assoluto e personale, finanche cattivo: hanno
paura di perdere il niente che hanno e sono alla ricerca di un dio che dal
niente che sono li elevi ad entità.
L'empatia designa un atteggiamento verso gli
altri caratterizzato da un impegno di comprensione dell'altro, escludendo ogni
attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale,
perché mettersi nei panni dell'altro per sapere cosa pensa e come reagirebbe
costituisce un importante fattore di sopravvivenza in un mondo in cui l'uomo è
in continua competizione con gli altri uomini.
Fa niente se i dotti emancipati e non
omologati saranno additati in patria loro come Gesù nella sua Nazareth: semplici
figli di falegnami, perchè "non c'è nessun posto dove un profeta abbia meno
valore che non nella sua patria e nella sua casa". Non c'è bisogno di essere
cristiani per apprezzare Gesù Cristo: non per i suoi natali, ma per il suo
insegnamento e, cosa più importante, per il suo esempio. Fa capire che alla fine
è importante lasciar buona traccia di sè, allora sì che si diventa immortali
nella rimembranza altrui.
Tutti vogliono avere ragione e tutti
pretendono di imporre la loro verità agli altri. Chi impone ignora, millanta o
manipola la verità. L'ignoranza degli altri non può discernere la verità dalla
menzogna. Il saggio aspetta che la verità venga agli altri. La sapienza
riconosce la verità e spesso ciò fa ricredere e cambiare opinione. Solo gli
sciocchi e gli ignoranti non cambiano mai idea, per questo sono sempre
sottomessi. La Verità rende liberi, per questo è importante far di tutto per
conoscerla. Tutti gli altri intendono “Tutte le Mafie” come un insieme
orizzontale di entità patologiche criminali territoriali (Cosa Nostra,
‘Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona Unita, ecc.).
Io intendo “Tutte le Mafie” come un
ordinamento criminale verticale di entità fisiologiche nazionali composte,
partendo dal basso: dalle mafie (la manovalanza), dalle Lobbies, dalle Caste e
dalle Massonerie (le menti).
Non sono conformato ed omologato, per questo
son fiero ed orgoglioso di essere diverso.
Quando qualcuno, bianco o nero, cristiano,
mussulmano o induista, ricco o povero, gay o etero, italiano o straniero, entra
in casa nostra senza permesso è occupazione.
Quando questo qualcuno ci occupa casa e ci
impone di sostentarlo è assoggettamento.
Quando qualcuno ci assoggetta e ci obbliga di
abbracciare la sua cultura e la sua religione è invasione.
Quando qualcuno ci invade e noi ci rifiutiamo
e reagiamo e questo poi ci mette la bomba in casa e/o ci uccide è conquista.
Bene. Se la
legge è uguale per tutti, per tutti va applicata anche in caso di conquista di
beni e persone. Quindi, di cosa stiamo parlando?
Io non sono
razzista e fascista: chiedo solo rispetto! A chiunque suoni alla mia porta e
chiede permesso io lo faccio entrare! E se chiede aiuto io lo aiuto.
Però non voglio
essere occupato, assoggettato, invaso, conquistato o addirittura ucciso: sono
razzista e fascista?
Sono nato bianco...
Sono nato bianco, il che fa di
me un razzista.
Non voto a sinistra, il che fa
di me un fascista.
Sono eterosessuale, il che fa
di me un omofobo.
Non sono sindacalizzato, il che
fa di me un traditore della classe operaia e un alleato del padronato.
Sono di religione cristiana, il
che fa di me un cane infedele.
Rifletto, senza prendere per
buono tutto ciò che mi dice la stampa, il che fa di me un reazionario.
Tengo alla mia identità e alla
mia cultura, il che fa di me uno xenofobo.
Vorrei vivere in sicurezza e
vedere i delinquenti in galera, il che fa di me un agente della Gestapo.
Penso che ognuno debba essere
ricompensato secondo i suoi meriti, il che fa di me un antisociale.
Ritengo che la difesa di un
Paese sia compito di tutti i cittadini, il che fa di me un militarista.
Amo l’impegno e lo sforzo di
superare se stessi, il che fa di me un ritardato sociale.
Pertanto ringrazio tutti i miei
amici, che hanno ancora il coraggio di frequentarmi, nonostante tutti questi
difetti.
(Marina Priami)
Sono nato mussulmano...
Sgozza gli infedeli ovunque li trovi (Corano
2:191)
Fa’ la guerra agli infedeli che vivono vicino
a te (9:123)
Quando si presenta l’occasione, uccidi gli
infedeli ovunque vengono catturati (9,5)
Gli ebrei ed i cristiani sono pervertiti.
Combattili (9:30)
Uccidi gli ebrei ei cristiani, se non si
convertono all’islam o se rifiutano di pagare la tassa jizya [tassa
dell'umiliazione] (9,29)
Mutila e crocifiggi gli infedeli che
criticano l’islam. (05:33)
Punisci i miscredenti con indumenti (gabbie)
di fuoco, aste di ferro con ganci, acqua bollente, si fondano la loro pelle e il
ventre (22:19)
Ogni religione diversa dall’Islam non è
accettabile (3:85)
Non cercare la pace con gli infedeli.
Decapitali quando li prendi prigionieri (47:4)
Terrorizza e decapita chiunque creda in altre
scritture che il Corano (8:12)
I miscredenti sono stupidi. Esorta i
musulmani di combatterli (8:65)
I musulmani non devono avere amici fra gli
infedeli (3:28) )
I musulmani devono usare tutte le armi
possibili per terrorizzare gli infedeli (8:60)
Gli infedeli sono impuri e non vanno lasciati
entrare nelle moschee (9,28)
Sono vostri nemici. Evitateli. Che Dio li
stermini. Come sono falsi ! (4,63)
Vi esortiamo a marciare contro le nazioni
potenti. Le combatterete finché avranno abbracciato l’islam (16,47)
Gli infedeli sono cattivi (2, 25,26,255 - 8,
38 - 46, 29 - 3, 54) perfidi (2,26)- impostori(3- 54), empi (3, 144) - perversi
(5,75) - i più perversi di tutti gli esseri creati (97,5) - bugiardi (6, 28 -51,
10) - gli animali più vili (8, 22, 57) -idolatri (9,5 )- criminali (10,14
-55,43)) - ingiusti (9 e 10, 53)- ipocriti (9, 69) - maledetti (9, 69)
-prevaricatori 46, 19)
Metterò il terrore nel cuore degli infedeli.
Tagliate loro la testa e schiacciategli le dita (8,12)
Che spettacolo, quando gli angeli uccidono
gli infedeli! Li picchiano sulla faccia e sulle reni, gridando: “Voi giusterete
il supplizio del fuoco (8,52)
Non sei tu che uccidi gli infedeli, è Dio.
Quando tiri una freccia, non sei tu che la tiri, è Dio per mettere alla prova i
fedeli, perché Dio sente e sa tutto (8,52)
Credenti! Combattete gli infedeli che vi
avvicinano, che vi trovino sempre severi nei loro confronti (9, 124) (A&F)
A proposito dell’invasione dei mussulmani
senza colpo ferire….diamo proposte e non proteste.
Se lo sbarco incontrollato dei clandestini è
dovuto alla guerra fratricida nei loro paesi: fermiamo quella guerra con una
guerra giusta sostenendo la ragione. Per molto meno abbiamo bombardato l’Iraq,
l’Afghanistan e la Libia, senza aver un interesse generale europeo, se non
quello di assecondare le mire americane.
E poi, dalla patria in fiamme non si scappa,
ma si combatte per la sua liberazione. Gli
italiani non sono scappati in Africa dalla occupazione tedesca. O i comunisti
hanno combattuto non per liberare l’Italia ma per consegnarla all’URSS?
Se il motivo
dello sbarco incontrollato dei clandestini è quello economico, evitiamo di farci
espropriare il nostro benessere ottenuto con sacrifici. Per la sinistra è un
sistema che vale in termini elettorali, ma è ingiusto. Difendiamoci
dall'invasione in pace. Apriamo aziende nei luoghi di espatrio dei clandestini.
Imprese finanziate da quei fondi destinati a mantenere gli immigrati a poltrire
in Italia. In alternativa tratteniamo i più giovani di loro per dargli una
preparazione ed una istruzione specialistica, affinchè siano loro stessi ad
aprire le aziende.
E comunque,
senza parer razzista…In Italia basterebbe far rispettare la legge a tutti,
compreso i clandestini, iniziando dalla loro identificazione, e se bisogna
mantenere qualcuno, lo si faccia anche con gli italiani indigenti.
Per inciso. Non
sono di nessun partito. Non voto da venti anni, proprio perché sono stufo dei
quaquaraqua in Parlamento e di quei coglioni che li votano.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che
diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo
facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo
facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione
di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica.
Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze
staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad
ascoltarci.
Si deve sempre guardare il retro della
medaglia. Si dice che i soldi vadano ai migranti e ce la prendiamo con loro.
Invece i soldi vanno ai migranti tramite le cooperative di sinistra e della
CGIL. Ergo: Ai migranti quasi niente; alla sinistra i soldi dell'emergenza ed i
voti dei futuri cittadini italianizzati. Ecco perchè i comunisti sono solidali
fino a voler mettere i mussulmani nelle canoniche delle chiese cristiane. Poi
per l’aiuto agli italiani non c’è problema: se sei di sinistra, hai qualsiasi
cosa: case popolari, anche occupate, e sussidi ed occupazioni nelle cooperative.
Se sei di destra, invece, vivi in auto da disoccupato, non per colpa della
sinistra, ma perché quelli di destra ed i loro politici son tanto coglioni che
non sanno neppure tutelare se stessi.
Lo stesso sistema si adotta per la lotta alla
mafia. Sostentamento e sovvenzioni alle associazioni vicine alla CGIL ed a loro
assegnazione dei beni confiscati alla mafia.
Da sempre diffido di chi, vestito da lupo, è
pecora genuflessa alla magistratura. I saccenti giustizialisti dei 5 stelle che
provino a proporre la figura del difensore civico giudiziario con poteri di
magistrato, senza essere uno di loro, per poter metter le mani nelle carte dei
fascicoli e poterle sparigliare. Io da anni mi batto inascoltato per questo. I
signori dei 5 stelle non si degnano nemmeno di rispondere ai messaggi degli
esperti: tanto san tutto loro. A sbraitare son bravi, ma a proporre leggi
sensate, mi sa che non son capaci.
COS’E’ LA POLITICA
OGGI?
Cos’è la politica oggi?
Un bambino va dal padre e dice: Papà cos' è la politica? Il padre ci pensa e poi
dice: Guarda te lo spiego con un esempio:
io che lavoro e porto a casa i soldi sono il CAPITALISTA;
tua madre che li amministra è il GOVERNO;
la nostra cameriera è la CLASSE OPERAIA;
il nonno che controlla che tutto sia in regola è il PARTITO COMUNISTA ed il
SINDACATO;
noi tutti ci preoccupiamo che tu stia bene e tu, ormai, che hai qualche voce in
capitolo sei il POPOLO;
tua sorella che è appena nata e porta ancora i pannolini è il FUTURO.
Hai capito figlio mio?
Il piccolo ci pensa e dice al padre che vuole dormirci su e riflettere una
notte.
Il bambino va a dormire, ma alle due di notte viene svegliato dalla sorella che
comincia a piangere perché ha sporcato il pannolino.
Il bambino va a cercare qualcuno.
Visto che non sa cosa fare, va nella camera dei suoi genitori.
Lì c’è solo sua madre che dorme profondamente e chiamata dal bambino non si
sveglia.
Così va nella camera della cameriera, ma la trova a letto col padre,
mentre il nonno sbircia dalla finestra.
Tutti sono così occupati che non si accorgono del bambino che chiede aiuto.
Perciò il bimbo ritorna a dormire.
Il mattino dopo il padre chiede al figlio se ha capito cosa sia la politica.
Sì, risponde il figlio.
Il CAPITALISMO approfitta della CLASSE OPERAIA;
Il SINDACATO sta a guardare;
Intanto il GOVERNO dorme;
Il POPOLO che chiede aiuto regolarmente non lo ascolta nessuno e viene
completamente ignorato;
Il FUTURO è e resterà nella merda.
QUESTA E’ LA POLITICA!!!
Le pecore hanno
paura dei lupi, ma è il loro pastore che le porta al macello.
Amministratori pubblici di Avetrana. Ogni partigiano si scelga il migliore.
Anche tra quelli che sfoderano una finta verginità o un presunta superiorità
morale.
Ad Avetrana Il difensore del fioraio Buccolieri. «Raggirò i suoi clienti»: sotto
processo l'avvocato ex sindaco,
scrive Nazareno Di Noi Lunedì 24 Ottobre 2016 su “Il Quotidiano Di Puglia”.
Avrebbe truffato il suo cliente facendosi consegnare la somma di quasi 200mila
euro che sarebbe servita al liquidatore dell’assicurazione il quale era
all’oscuro di tutto. Per questo l’avvocato di Avetrana Giovanni Scarciglia, già
sindaco del suo Comune, è stato invitato a comparire il prossimo 7 dicembre
davanti al giudice monocratico del tribunale di Taranto per rispondere dei reati
di truffa aggravata e appropriazione indebita. Nei suoi confronti il pubblico
ministero Filomena Di Tursi ha emesso un decreto di citazione in giudizio che
salta la fase dell'udienza preliminare facendo a meno del controllo circa la
fondatezza dell'accusa. Persone lese della presunta truffa sono due avetranesi,
Antonio Minò, importatore di animali da macello con la moglie Maria Teresa
Carrozzo, involontari protagonisti di una intricata e tristissima storia che
parte dalla morte del proprio figlio Leonardo Luigi Minò, vittima di un
incidente mortale della strada quando era ancora minorenne avvenuto il 19
settembre del 2000 ad Ancona. Il ragazzo viaggiava a bordo di un auto guidata da
un suo zio di 23 anni, deceduto anche lui nell’incidente. Due lutti terribili
che sconvolsero la famiglia Minò e l’intera comunità avetranese. I rilievi e le
indagini della polizia stradale che si conclusero riconoscendo la non
responsabilità della giovane vittima diedero il via alle pratiche risarcitorie a
danno dell’assicurazione del mezzo. Fu allora che la famiglia Minò si rivolse al
noto professionista il quale accettò di buon grado il compito di trattare il
giusto compenso con la compagnia assicuratrice Unipol Sai. Il contenzioso si
concluse con il riconoscimento a favore dei Minò della somma complessiva di
700mila euro suddivisa tra padre (280mila euro), madre (300mila) e sorella della
vittima (120mila euro). L’avvocato Scarciglia, secondo quanto scrive la pm Di
Tursi nella citazione a giudizio, «mediante raggiri ed artifici» fece credere al
capofamiglia, suo assistito, che la somma concordata di 700mila euro «era
condizionata alla dazione illecita della somma in contanti di 200.000 euro in
favore del liquidatore Luca Coeli» (di Unipol Sai, ndr). Dalle indagini
condotte, sarebbe emersa l’estraneità del liquidatore che, scrive il magistrato
inquirente, era «in realtà del tutto ignaro della vicenda». L’avvocato imputato,
sostiene l’accusa, avrebbe dunque «indotto in errore lo stesso Minò circa la
necessità di corrispondere tale ingente somma». Tutto questo quanto
l’assicurazione aveva già saldato il conto consegnando la somma pattuita nelle
mani dell’avvocato, in parte con bonifico bancario in favore dell’assistito e in
parte con assegni circolari non trasferibili intestati alla mamma e alla sorella
della vittima. «Il predetto difensore – scrive il pm -, si procurava un ingiusto
profitto consistito nel farsi consegnare in varie tranche da Minò la somma
complessiva di 191.000 euro asserendo falsamente di doverla riversare al
liquidatore». Lo stesso deve inoltre rispondere di appropriazione indebita
perché, sostiene sempre il pm, «con abuso delle proprie relazioni di legale di
fiducia, nell’ambito della pratica di risarcimento dei danni al fine di
procurarsi un ingiusto profitto, si appropriava di tre assegni circolari
dell’importo di 50.000 euro ciascuno emessi a favore della moglie e della
figlia» del suo assistito. A difendere l’avvocato Scarciglia sarà il suo collega
Raffaele Errico.
In questo caso i giornalisti stanno molto attenti a non riportare i nomi.
Otto avetranesi condannati ad un'ammenda di 1.225 euro per aver manifestato
contro l'ubicazione del depuratore lungo la strada provinciale “Tarantina”,
all'altezza del bivio per il Chidro,
scrive il 06/04/2018 "Manduria Oggi. Per sette di loro la pena è sospesa per 7
anni. Condannati ad un’ammenda di 1.225 euro per aver manifestato contro
l’ubicazione del depuratore lungo la strada provinciale “Tarantina”, all’altezza
del bivio per il Chidro. E’ la condanna inflitta a otto avetranesi, colpevoli di
aver violato, secondo quanto riportato dal decreto penale di condanna del
giudice per le indagini preliminari Benedetto Ruberto, il Regio Decreto numero
773 del 18 giugno 1931, contenuto nel testo unico delle Leggi di Pubblica
Sicurezza. In altre parole, avrebbero manifestato, bloccando il transito degli
autoveicoli, senza aver ricevuto il preventivo assenso da parte degli organi
preposti a garantire la sicurezza nelle manifestazioni pubbliche. Per sette di
loro, però, la pena pecuniaria, diminuita al di sotto del minimo edittale, è
sospesa per due anni, a termini e condizioni di legge. Pena che diventerebbe
esecutiva qualora uno o più soggetti sanzionati dovessero commettere nuovamente
il reato. Ad uno degli otto avetranesi condannati, invece, la pena non è stata
sospesa. Probabilmente avrà dei precedenti. Alcuni dei sanzionati, ascoltati
ieri sera, hanno annunciato che, non appena sarà loro notificato il decreto di
condanna, impugneranno l’atto. In tal senso, hanno quindici giorni di tempo per
proporre opposizione, a partire dalla data di notifica dell’atto. Come è noto,
nella primavera scorsa a più riprese gli ambientalisti di Avetrana (in
particolar modo) e quelli di Manduria (in numero ridotto), si mobilitarono per
cercare di impedire l’apertura del cantiere per la costruzione del depuratore
consortile. In un paio di circostanze, gli agenti della Polizia di Stato
verbalizzarono le generalità di alcuni manifestanti, facendo notare che non era
stata concessa alcuna autorizzazione a manifestare in quell’area, bloccando
peraltro il traffico automobilistico. Fra gli otto condannati, anche un attuale
amministratore (Alessandro Scarciglia? nda) e un ex amministratore (Luigi Conte?
nda).
Protestarono contro il depuratore a Urmo, condannati otto manifestanti.
Il decreto è stato emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale
di Taranto dottor Benedetto Ruberto. Il gip ha condannato i manifestanti all’
ammenda di 1225 euro, concedendo la sospensione della pena a sette...scrive Lino
Campicelli su Quotidiano di Puglia mercoledì 04 aprile 2018 riportato da "la
Voce di Manduria". Decreto penale di condanna per gli otto avetranesi che l’8
marzo dell’anno scorso manifestarono nella zona di Specchiarica, marina di
Manduria, dove l’Acquedotto pugliese installò il cantiere per realizzare il
depuratore consortile dei due comuni di Manduria e Sava. Il decreto è stato
emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Taranto dottor
Benedetto Ruberto. Il gip ha condannato i manifestanti all’ ammenda di 1225
euro, concedendo la sospensione della pena a sette degli otto coinvolti. Si è
chiuso così il caso giudiziario legato alla partecipazione ad una
manifestazione che non fu autorizzata. La stessa si tradusse nella
identificazione dei protagonisti da parte degli uomini della Digos. Proprio
quegli otto, infatti, furono identificati dalla Divisione di investigazioni
generali e furono poi chiamati, alcuni giorni dopo, a presentarsi nel
commissariato di polizia di Manduria per “comunicazioni”. Come si ricorderà, al
momento della loro identificazione, gli operai dell’Aqp non erano ancora
arrivati per delimitare il futuro cantiere, per cui la contestazione a carico
dei partecipanti fu, appunto, quella della manifestazione non autorizzata. La
stessa cosa, peraltro, che rischiarono successivamente i partecipanti ad un
altro sitin inscenato nella stessa zona, su invito del «Comitato per la difesa
del territorio e del mare». In quella circostanza, per disguidi di natura
tecnica, fu spiegato dagli organizzatori ai numerosi partecipanti che
l’autorizzazione non era stata presentata in tempo. Pertanto, tutti furono
invitati a lasciare il punto d’ingresso del cantiere dove si erano assiepati,
per spostarsi all’ in- terno di un vicino uliveto dove il leader del comitato,
Pino Scarciglia, aveva improvvisato un comizio. Quell’avvertimento doveroso era
giunto proprio in considerazione delle contestazioni operate dalla polizia l’8
marzo precedente. Nonostante quella manifestazione si fosse tradotta in proteste
assolutamente pacifiche e ricche solo di slogan non offensivi, restava il fatto
che non fosse stata autorizzata. Non è un caso, a questo proposito, che nei
confronti degli otto destinatari del decreto penale di condanna sia stato
contestata la violazione dell’articolo 18 del testo unico delle leggi di
pubblica sicurezza, che sanzione appunto i promotori di una riunione pubblica
che non abbia avuto il placet del questore. Per la cronaca, questa disposizione
non si applica solo nel caso di riunioni elettorali. Quella in contrada
Specchiarica, però, non fu affatto una riunione elettorale. Rappresentò, al
contrario, lo sconcerto dei cittadini nei confronti di una realizzazione di cui,
in ogni caso, non si aveva ancora del tutto contezza ed era ancora ricca di
punti interrogativi. Il timore maggiore, come è noto, era legato all’ ipotesi
de- gli scarichi in mare che avrebbero danneggiato per sempre la purezza delle
acque locali. Scarichi che, a distanza di un anno da quella manifestazione,
dovrebbero essere stati definitivamente banditi dal progetto definitivo.
Proteste a Urmo, denunciato anche Scarciglia e Di Lauro: solidarietà e silenzi,
scrive sabato 24 giugno 2017 Nazareno Dinoi su "la Voce di Manduria". E’ salito
a dieci il numero dei manifestanti denunciati dalla polizia per avere preso
parte, lunedì 19 giugno, alla protesta pacifica che ha respinto le ruspe dal
cantiere del depuratore previsto in zona Urmo-Specchiarica. Oltre alle tre mamme
coraggio, Claudia Indrizzi, Alfonsina Costantini e Emilia Tarantini,
all’assessora al Turismo, Claudia Scredo e all’ex sindaco di Avetrana, Luigi
Conte, ieri l’invito a comparire è arrivato ad altri tre avetranesi tra cui il
vicesindaco Alessandro Scarciglia. Unico manduriano raggiunto dall’avviso a
comparire, l’avvocato Francesco Di Lauro, esponente dell’associazione Azzurro
Jonio. I dieci devo rispondere del reato di violenza privata aggravata, dovranno
ora nominarsi un legale per affrontare l’indagine che li riguarderà. Le donne si
faranno difendere dall’avvocatessa Anna Macina che ieri ha accompagnato le sue
assistite nel breve incontro avuto con il commissario Francesco Correre.
Silenzio, intanto, da parte dell’amministrazione manduriana e dai politici con
cariche di governo o istituzionali. Gli unici ad esprimere solidarietà, da
questo fronte, sono i Verdi. «La Federazione dei Verdi di Manduria – si legge in
una nota - esprime piena solidarietà ai sei manifestanti (solo dopo si saprà
degli altri quattro, ndr), denunciati per avere, nella giornata del 19 giugno,
impedito ai mezzi della ditta Putignano di accedere al cantiere del costruendo
depuratore in contrada Urmo. I reati loro contestati sono di notevole gravità e
contemplano anche la violenza privata. Non si può certo dire che le forze
dell’ordine abbiano avuto la mano leggera – affermano i Verdi -, e dispiace
constatare che, ancora una volta, cittadini, ambientalisti, mamme, tutti di
specchiata onestà, debbano vedersi trattati come delinquenti solo perché, dopo
aver tentato con ogni mezzo legale, possibile e immaginabile, di opporsi ad un
intervento devastante, sono dovuti ricorrere ad un sit-in, per altro
assolutamente pacifico, come estremo atto di difesa del proprio territorio». Ad
Avetrana, invece, si parla e si prendono posizioni. Secco il commento del
vicesindaco Scarciglia, destinatario ieri pomeriggio di una seconda denuncia (la
prima l’aveva presa nel corso del precedente sit-in di marzo). «Chi protesta ad
Urmo Belsito – dice - non è un appartenente a gruppi di black block o no global.
Sono padri di famiglia, madri con al seguito i propri figli, gente anziana,
amministratori di piccoli comuni che sicuramente non hanno una forza elettorale
importante, ma è gente che ama, crede e rispetta il proprio territorio». L’ex
sindaco Conte se la prende con i politici assenti, alludendo in questo alle
forze politiche di Manduria del tutto lontani da quanto sta accadendo «Questa
storia – scrive Conte - mi sta insegnando che da una parte ci sono le donne e
mamme con il loro meraviglioso esempio di forza, coraggio, limpidezza, dignità e
passione sincera, poi ci sono i politici e politicanti con il loro mesto esempio
di ambiguità, pavidità, codardia, evanescenza, accondiscendenza e vergogna che
su questa importante lotta sono spariti del tutto».
Depuratore e polemiche: mamme coraggio ed ex sindaco, oggi tutti al
commissariato di polizia,
scrive Nazareno Dinoi su "Il Quotidiano di Puglia" Sabato 24 Giugno 2017.
Mentre per questa mattina alle 10,30 è prevista la convocazione in polizia dei
sei manifestanti denunciati per aver preso parte al blocco del cantiere a
Urmo-Specchiarica dove è previsto il depuratore di Manduria-Sava, il presidente
del Consiglio comunale di Avetrana, Francesco Saracino, sta predisponendo i
permessi per un nuovo sit-in di protesta per lunedì e martedì prossimi. A quanto
pare, però, il vice questore aggiunto, Francesco Correra, dirigente del
commissariato di Manduria, non ha dato ancora l’assenso chiedendo delle garanzie
che l’amministratore avetranese non ha potuto dare. Il commissario vorrebbe
concedere il nulla osta a condizione di circoscrivere la zona dove stazioneranno
i manifestanti escludendo a priori sia le strade che le piazzone dell’incrocio
sulla litoranea interna «Tarantina» che dà accesso all’uliveto, futura sede del
depuratore consortile. Sempre ieri, intanto, il movimento politico di
opposizione «Avetrana Riparte», ha diffuso un comunicato in cui si esprime
solidarietà nei confronti dei propri rappresentanti, l’ex sindaco Luigi Conte e
il giovane Silvio Mammano, tra i convocati di questa mattina dalla polizia. La
stessa nota solidarizza anche con le mamme coraggio, Alfonsina Costantini,
Claudia Indrizzi e Emilia Tarantini, componenti del comitato «Donne e mamme di
Avetrana», anche loro denunciate per la manifestazione dello scorso 19 giugno
quando l’opposizione di un centinaio di avetranesi con qualche manduriano riuscì
a mandare indietro le ruspe dell’impresa Putignano di Noci, aggiudicataria
dell’appalto per la realizzazione dell’opera. Il consigliere Conte ha diffuso
così su Facebook la notizia dell’invito a presentarsi alla polizia.
«Depuratore-mostro; sabato prossimo alle 10,15 sono stato invitato a comparire
presso il commissariato di Manduria per affari di giustizia che mi riguardano il
merito alla protesta contro la realizzazione del depuratore-mostro. Ritengo
questo invito giusto e doveroso – aggiunge l’ex sindaco di centrosinistra - ed
auspico che la polizia sulla scorta di un esposto e di una richiesta di accesso
agli atti già di propria conoscenza, possa avere la stessa cura nell’invitare i
vertici dell’Acquedotto pugliese e i responsabili regionali per chiedere
chiarimenti in merito alle procedure seguite e alle autorizzazioni a monte
dell’avvio dei lavori».Proprio di questo ha parlato ieri in un intervento Anna
Macina, l’avvocatessa che ha perfezionato l’esposto alle procure della
Repubblica di Taranto e Brindisi e la domanda di accesso agli atti presentata al
comune di Manduria. «In merito al depuratore – scrive - ricordo che si è ancora
in attesa di leggere autorizzazioni, valutazioni di impatto ambientale che
consentano l’inizio dei lavori con variante! Su una cosa siamo tutti d’accordo –
conclude l’avvocatessa Macina -, siamo fuori tempo massimo! La politica è fuori
tempo massimo, quella che non ha teso l’orecchio, che non ha ascoltato e non ha
dato voce ai territori. La politica “buona” si muova e si arrenda – conclude -
perché i manifestanti non sono affetti da alcuna sindrome, sanno perfettamente
cos’è un depuratore, lo vogliono ma lontane dalle coste, e la vera notizia è che
non si arrenderanno».
Depuratore: le denunce ai manifestanti e i commenti,
scrive il 24 giugno 2017 Ciak Social. Alcuni partecipanti alla manifestazione in
zona Urmo del 19 giugno, sono stati denunciati per organizzazione di
manifestazione non autorizzata e violenza privata. Oggi sono stati
convocati negli uffici del commissariato di polizia di Manduria per
l’identificazione e la notifica dell’atto.
Ad essere denunciate da parte dell’AQ sono alcune attiviste del comitato “Donne
e mamme di Avetrana”: Alfonsina Costantini, Claudia Indrizzi, Emilia Tarantini;
il consigliere comunale del gruppo “Avetrana Riparte” Luigi Conte; l’assessore
al turismo del comune di Avetrana Claudia Scredo e Silvio Mammano.
Di ritorno oggi dal commissariato, Luigi Conte scrive su Facebook: “Appena
tornato dal commissariato di Manduria con tanta serenità e con la consapevolezza
di lottare per una causa giusta. Questa storia mi sta insegnando che da una
parte ci sono le donne e mamme con il loro meraviglioso esempio di forza,
coraggio, limpidezza, dignità e passione sincera, poi ci sono i politici e
politicanti con il loro mesto esempio di ambiguità, pavidità, codardia,
evanescenza, accondiscendenza e vergogna che su questa importante lotta sono
spariti del tutto! Care Donne e Mamme continuiamo a lottare…qualche piccolo
risultato è già stato ottenuto ma non bisogna mollare! Conoscervi e lottare con
voi è stato per me un privilegio ed un grande onore”.
Altro grande attivista della lotta contro lo scarico a mare prima e la
localizzazione del depuratore ad Urmo poi, è Alessandro Scarciglia che commenta:
“Oggi sono state denunciate sei persone che si aggiungono a chi, come il
sottoscritto, fu già denunciato a marzo. Le ipotesi di reato variano:
dall’organizzazione di manifestazione non autorizzata alla violenza
privata. Leggo (non posso ricordare perché ero troppo piccolo) che nei primi
anni ’80, i nostri genitori ci portavano per strada al fine di bloccare i mezzi
che qualche prezzolato politico aveva inviato ad Avetrana per costruire la
centrale nucleare. La forza di quelle persone e la presenza di quei bambini fece
in modo di far tornare indietro, verso il mittente, le ruspe. La politica (o
meglio, parte di essa) si svegliò solo dopo la grande rivoluzione popolare. Nel
caso odierno del depuratore, invece, dopo le grandi proteste popolari, molti
politici di ogni livello (parlamentari, regionali e comunali) sono scomparsi.
Oggi, trovare politici che si oppongono ai poteri forti è diventato veramente
raro. Chi protesta ad Urmo Belsito non è un appartenente a gruppi di black block
o no global. Sono padri di famiglia, madri con al seguito i propri figli, gente
anziana, amministratori di piccoli comuni che sicuramente non hanno una forza
elettorale importante, professionisti di ogni genere. In poche parole, chi
protesta oggi ad Urmo Belsito, è gente che ama, crede e rispetta il proprio
territorio. Perché, ognuno nel suo piccolo, lo ha costruito con le proprie mani,
con il proprio sudore e i sacrifici imposti alla propria famiglia. Qualcuno
cerca di intimorire le mamme dicendo loro che rischiano una denuncia al
tribunale dei minori se continuano a portare i propri figli sul luogo della
protesta. MA questo “qualcuno” non comprende che la più grande condanna che
potrebbero subire queste mamme e questi padri è quella che fra dieci o venti
anni il proprio figlio possa dire “mamma, papà, perché avete permesso di
distruggere il nostro territorio pur di salvaguardare gli interessi di pochi?”.
Chi protesta se ne frega se qualche tecnico (divenuto mezzo politico) insiste a
mettere delle enormi vasche (che loro intellettuali chiamano buffer) in mezzo
alle case di Specchiarica. Chi protesta se ne frega di qualche amministratore o
di qualche politico che non ha le palle di decidere. Chi protesta se ne frega
anche di quelle associazioni (o pseudo tali) che credono di fare la rivoluzione
sulla stampa ma che al momento di bloccare i mezzi non ci sono mai. Chi protesta
oggi ad Urmo se ne frega del potere di AQP e dei suoi scagnozzi. Chi protesta ad
Urmo Belsito oggi, difende il suo domani e, sicuramente, anche il futuro di chi
oggi preferisce essere accomodante dei potenti”.
Ed ancora su Luigi Conte
Sindaco contro ex sindaco, Longo querela Conte per la questione del Crap di
Avetrana.
La contrastata storia della Crap di Avetrana, la comunità riabilitativa per
pazienti psichiatrici autori di reati che non prevedono la detenzione, finirà
nei tribunali, scrive martedì 3 aprile 2018 "La Voce di Manduria". La
contrastata storia della Crap di Avetrana, la comunità riabilitativa per
pazienti psichiatrici autori di reati che non prevedono la detenzione, finirà
nei tribunali. Il sindaco di Maruggio, Alfredo Longo, ha querelato il
consigliere comunale di opposizione ed ex sindaco di Avetrana, Luigi Conte, per
delle affermazioni di quest’ultimo riguardanti un presunto coinvolgimento
diretto del primo cittadino maruggese nella gestione della struttura di prossima
apertura. Ne danno notizia in un comunicato stampa gli esponenti del “Comitato
No-Crap” e del “Comitato per la tutela del territorio associato a Italia Nostra”
(che si battono contro il depuratore a Urmo), entrambi di Avetrana. Nel
documento in questione, gli autori esprimono “piena solidarietà al proprio socio
dottor Luigi Conte che nelle sue funzioni di consigliere comunale – si legge -,
ha avanzato critiche e rilievi sulla scelta amministrativa di far nascere una
Crap dedicata a pazienti psichiatrici autori di reato, scelta che ha generato
perplessità e preoccupazioni in gran parte della popolazione”. Il centro di
recupero che molti avetranesi non vogliono, tra questi i partiti di minoranza
nel consiglio comunale, è una “comunità assistenziale psichiatrica dedicata a
soggetti che necessitano di interventi terapeutici ad alta intensità
riabilitativa di lungo periodo con valutazione di rischio alto o moderato di
comportamenti violenti (Così la definizione che ne dà la Regione Puglia
nell’apposito atto costitutivo). Secondo i comitati avetranesi, le affermazioni
di Conte, che Longo vuole censurare con la denuncia, non sono altro che “un
pensiero critico sulle insufficienti garanzie di sicurezza del servizio e della
struttura individuata come sede della Crap all’interno del contesto cittadino,
sulla scarsa chiarezza dell’iter amministrativo seguito, sui ruoli e sulle
responsabilità assunte dagli amministratori comunali, nel normale esercizio di
dialettica politica democratica certamente è stato espresso dal consigliere
Conte così come da altri consiglieri e da varie personalità chehanno voluto
partecipare al dibattito pubblico che si è sviluppato di conseguenza”.
L’incontro pubblico cui si fa riferimento nel comunicato, nel corso del quale il
consigliere Conte avrebbe pronunciato le parole che non sono piaciute al sindaco
di Maruggio, è quello organizzato dall’amministrazione comunale avetranese il 12
ottobre del 2017 con la presenza, appunto, del sindaco Longo (che intervenne in
quel dibattito) e della società che gestirà il Crap, la “Sol Levante”. “Quel
pensiero critico – conclude il comunicato stampa dei Comitati - rappresenta il
sentire di tanti cittadini, a partire da tutti i componenti del comitato No Crap
e meriterebbe il rispetto da parte di tutti coloro che amano la trasparenza e il
libero svolgimento del dialogo democratico.”
Taranto, arrestate 27 persone per mafia:
coinvolti anche i sindaci di Avetrana ed Erchie. “Appalti, estorsioni e
riciclaggio”. Secondo gli
investigatori, il clan avrebbe creato un clima di intimidazione nei confronti di
numerosi imprenditori locali che venivano così "soggiogati al sistema mafioso".
Arrestati anche Antonio Minò e Giuseppe Margheriti, rispettivamente alla guida
dei comuni di Avetrana ed Erchie. Un ex consigliere comunale di Manduria è
accusato di scambio elettorale politico-mafioso, scrive "Il Fatto Quotidiano" il
4 luglio 2017. Avevano creato un clima di intimidazione tra gli imprenditori
locali, teso ad aggiudicarsi appalti pubblici, a imporre estorsioni e
all’imposizione delle proprie ditte nella movimentazione terra. E avevano
agganci “in alto”, fino ai vertici di due amministrazioni comunali, sospettano
gli inquirenti, che questa mattina hanno eseguito 27 arresti (venti in carcere,
7 ai domiciliari) tra le province di Taranto e Brindisi nei confronti di un
presunto sodalizio criminale di stampo mafioso.
Tra le persone coinvolte ci sono i primi
cittadini di Avetrana ed Erchie, Antonio Minò e Giuseppe Margheriti. Oltre al
vice-sindaco del paese nel Brindisino, Domenico Margheriti, e di un ex
consigliere comunale di Manduria, sempre in provincia di Taranto, accusato di
scambio elettorale politico-mafioso. Minò è indagato per concorso esterno ed è
stato rinchiuso in carcere, mentre Margheriti si trova ai domiciliari. I 27 sono
ritenuti responsabili, a vario titolo e in concorso tra loro, di associazione di
tipo mafioso, voto di scambio, estorsione, corruzione, rapina, riciclaggio,
lesioni personali, danneggiamento, detenzione illegale di armi da fuoco e
detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Il presunto clan,
secondo la polizia di Taranto e la Dda di Lecce, voleva strutturarsi in
un “centro di potere” che avesse la capacità di intrattenere rapporti con
le realtà istituzionali del territorio e con la società civile, grazie
all’infiltrazione nel tessuto economico-imprenditoriale locale. Secondo gli
investigatori, il clan avrebbe creato un clima di intimidazione nei confronti di
numerosi imprenditori locali che venivano così soggiogati al sistema mafioso.
Sono 57 in tutto gli indagati nell’inchiesta della direzione distrettuale
antimafia di Lecce conclusa oggi con l’arresto in carcere di 20 persone e 7 ai
domiciliari che devono rispondere a vario titolo di associazione mafiosa,
associazione mafiosa esterna, traffico di droga, estorsioni ed altri reati.
In carcere sono finiti: Giuseppe Buccoliero,
Antonio Campeggio, Francesco D’Amore, Luciano Carpentiere, Davide Blasi,
Agostino De Pasquale, Daniele Lorusso, Giampiero Mazza, Vito Mazza, Cosimo
Merola, Fabrizio Monte, Cataldo Panariti, Cosimo Damiano Pichierri, Massimiliano
Rossano, Oronzo Soloperto, Cosimo Storino, Leonardo Trombacca, Antonio Minò,
Pasquale Pedone, Riccardo De Santis.
Ai domiciliari: Nicola Dimonopoli, Domenico
Margheriti, Giuseppe Margheriti, Gianluca Mazza, Erminio Vitillio, Marco Monaco,
Giorgio Pitardi.
I giudici riesaminano il sindaco Minò:
"non ci fu estorsione", scrive Lino
Campicelli su Quotidiano di Taranto ed il 7 marzo 2018 riportato da "la Voce di
Manduria". Questo il risultato del secondo Riesame, celebrato dal tribunale di
Lecce, che sancisce l’insussistenza dei “gravi indizi di colpevolezza” a suo
carico. Antonio Minò, sindaco di Avetrana coinvolto nell’inchiesta antimafia sui
presunti intrecci fra criminalità organizzata e politica, non andava arrestato.
E soprattutto non era da incriminare. Questo il risultato del secondo Riesame,
celebrato dal tribunale di Lecce, che sancisce l’insussistenza dei “gravi indizi
di colpevolezza” a suo carico, relativamente all’episodio legato al tentativo di
far assumere all’interno dell’associazione “Croce verde Faggiano” un uomo
raccomandato dal boss Antonio Campeggio. Il Riesame, in accoglimento dei rilievi
dell’avvocato Nicola Marseglia, ha fatto un passo indietro. Questa volta in
ossequio alle indicazioni fornite di recente dai supremi giudici. Come si
ricorderà, il 25 gennaio scorso, la Corte di Cassazione aveva annullato la
decisione adottata in precedenza dal Riesame secondo cui, per il tentativo di
estorsione contestato a Minò, vi sarebbero stati i gravi indizi di colpevolezza
ma non “le esigenze cautelari”. In pratica, i giudici salentini avevano
confermato la sussistenza dei gravi indizi. La Cassazione, però, aveva annullato
con rinvio quell’ordinanza, non condividendone le motivazioni. E aveva dato
mandato al collegio di “rivisitare” quel giudizio. Ieri, il Riesame ha esaminato
il caso alla luce delle argomentazioni difensive ed ha concluso anche per
l’insussistenza dei gravi indizi. In pratica, la condotta di Minò non si sarebbe
tradotta in nulla di penalmente rilevante. Se tutto ciò si aggiunge al fatto che
già in quella circostanza il Riesame aveva autonomamente annullato l’ordinanza
degli arresti domiciliari a carico di Minò, in riferimento alla presunta accusa
di concorso esterno in associazione mafiosa, si comprende come il procedimento,
che sfocia davanti al gup di Lecce a partire dal 20 marzo prossimo, dovrà fare i
conti, proprio nel caso del sindaco di Avetrana, con la decisione del Riesame.
Ovviamente, il giudizio del Riesame non ha carattere vincolante. Tuttavia, se
l’ulteriore ordinanza emessa ha costituito una sorta di adesione convinta agli
orientamenti proposti dai supremi giudici, il risultato che ne è scaturito non
può non avere un riflesso sulla valutazione complessiva. Tanto più che a carico
di Minò era stata già esclusa, in origine, e su decisione del tribunale del
Riesame (peraltro presieduto dal dottor Silvio Maria Piccinno, lo stesso
presidente che ha guidato ieri il collegio) la presunta condotta attuata per
favorire l’associazione mafiosa. Sul punto, infatti, il Riesame sostenne
all’epoca che «non può ritenersi realizzato dal Minò quel concreto e sostanziale
contributo al rafforzamento del sodalizio di stampo mafioso».
Le mani della mala sul 118, la Fiera
Pessima e l’eolico, scrive il 4
luglio 2017 “La Voce di Manduria. Emergono i primi particolari dall’inchiesta
della polizia e dell’antimafia di Lecce che coinvolge 44 persone tra indagati a
piede libero e arrestati in carcere e ai domiciliari, in gran parte provenienti
dai comuni di Manduria, Avetrana, Erchie. Tra i reati contestati figurano il
traffico di droga, estorsione e giro di tangenti. Si ipotizzano reati per il
controllo della Fiera Pessima e del servizio ambulanze del 118, ma anche appalti
milionari sull’eolico. Il sindaco di Avetrana, Antonio Minò, è accusato di aver
concorso con esponenti della malavita organizzata per il controllo e la gestione
del servizio ambulanze del 118 imponendo ad altre associazioni l’assunzione di
alcuni esponenti della mala. Per la Fiera pessima si ipotizzano tentate
estorsioni all’imprenditore che l’aveva gestita nel 2013 (si parla di una
mazzetta, non consegnata, di 15 mila euro). Il sindaco di Erchie, Giuseppe
Margheriti, è indagato nell’ambito dei lavori di appalto dell’eolico affidato
all’impresa Pedone di Manduria. Il consigliere comunale e medico del pronto
soccorso, Nicola Dimonopoli è invece accusato di voto di scambio. Avrebbe fatto
favori di natura sanitaria con pregiudicati del posto in cambio di appoggi alle
ultime elezioni amministrative.
Mafia, 27 arresti, coinvolti anche i
sindaci di Avetrana ed Erchie, scrive
Giacomo Rizzo, su “La Gazzetta del Mezzogiorno" il 4 luglio 2017. Ha svelato un
presunto intreccio tra mafia e politica l’inchiesta della Squadra Mobile di
Taranto, coordinata dalla Dda di Lecce, sfociata oggi nell’esecuzione di
un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 27 indagati, due dei quali
sfuggiti alla cattura. Gli inquirenti ritengono di aver disarticolato
un’associazione di tipo mafioso, considerata frangia della Sacra Corona Unita,
strutturata in tre gruppi collegati tra loro, che operavano nel versante
orientale della provincia di Taranto e nei comuni limitrofi del Brindisino e del
Leccese. Sono cinque i politici raggiunti da misura cautelare: in carcere il
sindaco di Avetrana Antonio Minò (eletto nel 2016, a capo della Lista civica
«Per Avetrana»), ai domiciliari invece il sindaco di Erchie (Brindisi) Giuseppe
Margheriti (eletto nel 2015 per il terzo mandato con una coalizione di
centrodestra), l’ex vice sindaco Domenico Margheriti, l’ex consigliere comunale
di Manduria Nicola Dimonopoli (fu eletto nel 2013 con la lita civica «Proposta
per Manduria») e l’ex assessore comunale allo Sport di Manduria, Massimiliano
Rossano. Il presunto clan, secondo gli inquirenti, oltre ad occuparsi del
traffico di droga e delle estorsioni, mirava a strutturarsi in «centro di
potere» in grado di relazionarsi con le realtà istituzionali e con la società
civile attraverso la sua capacità di infiltrarsi nel tessuto
economico-imprenditoriale locale. Delle 27 ordinanze emesse dal gip del
tribunale di Lecce Cinzia Vergine su richiesta del sostituto procuratore della
Dda Alessio Coccioli, 20 prevedono la custodia in carcere e 7 ai domiciliari.
Sessanta in tutto gli indagati. Sono indicati come organizzatori e promotori
Antonio Campeggio, Francesco D’Amore (del gruppo che operava a Manduria e San
Giorgio Jonico), Giuseppe Buccoliero (referente nel Comune di Sava), Gianpiero e
Vito Mazza (sempre per la zona di Manduria). Tra gli episodi contestati spicca
la tentata estorsione ai danni dei vincitori (nel 2012) dell’appalto di
realizzazione della 272ma “Fiera pessima” di Manduria, ai quali fu chiesta una
tangente di 30mila euro, con la giustificazione, da parte di Antonio Campeggio,
di dover «accontentare persone di Bari, di Taranto e di Mesagne». Una parte
sostanziosa dell’ordinanza del gip Vergine è dedicata al ruolo dei politici. Il
sindaco di Avetrana, Antonio Minò, è accusato di concorso esterno in
associazione mafiosa non per la sua carica istituzionale ma in qualità di
presidente dell’Associazione «Avetrana Soccorso» del 118. Secondo l’accusa,
avrebbe fornito consapevolmente e volontariamente un contributo importante al
rafforzamento del giro di affari del clan, mettendosi a disposizione di Antonio
Campeggio e Francesco D’Amore. Il sindaco di Erchie Giuseppe Margheriti e l’ex
vice sindaco Domenico Margheriti rispondono di corruzione aggravata, per aver
ottenuto, a titolo di tangente, - secondo gli investigatori - il pagamento di
80mila euro, oltre alla promessa di ulteriori dazioni di danaro, dietro
l’impegno ad agevolare l'assegnazione di futuri appalti di opere pubbliche: in
particolare i lavori di completamento delle infrastrutture primarie della zona
Pip per un importo complessivo di oltre un milione di euro alla ditta Tecnoscavi
srl dell’imprenditore Pasquale Pedone e la realizzazione di un parco eolico in
zona Tre Torri Montugne-Cicirella. All’ex consigliere comunale di
Manduria, Nicola Dimonopoli, che si è dimesso pochi giorni fa, è contestato il
voto di scambio politico mafioso. Infine, l’ipotesi di corruzione è contestata
all’ex assessore comunale di Manduria Massimiliano Raso, il quale si sarebbe
interessato, dietro la promessa di pagamento di 1500 euro da parte del legale
rappresentante di una società sportiva, per garantire l’affidamento diretto dei
lavori di messa a norma della pista di pattinaggio del Centro Sportivo
Polivalente di Manduria. (Giacomo Rizzo, ANSA)
Mafia pugliese. Operazione della Polizia,
27 arrestati, scrive "Il Corriere del
giorno" il 5 luglioluglio 2017. Gli uomini dalla Squadra Mobile di Taranto
Polizia di Taranto, affiancati dai colleghi dello S.C.O. il Servizio Centrale
Operativo, delle Squadre Mobili di Lecce, Foggia, Brindisi, L’ Aquila ed
Alessandria, e del Reparto Prevenzione Crimine di Lecce, col supporto del
Reparto Volo e di unità cinofile di Bari, hanno eseguito all’alba di oggi 20
ordinanze di custodia cautelare in carcere e 7 ai arresti domiciliari,
provvedimenti restrittivi disposti dal gip del tribunale di Lecce dr.ssa Cinzia
Vergine su richiesta del sostituto procuratore dr. Alessio Coccioli della
Direzione Distrettuale Antimafia, nell’ambito di un’operazione che ha visti
impegnati circa 200 poliziotti, le unità cinofile ed un elicottero del Reparto
Volo di Bari, eseguita nei confronti di un sodalizio criminale di stampo
mafioso . Nell’inchiesta risultano indagate complessivamente 60 persone. Un
importante contributo è derivato dalle attività d’intercettazione, i cui
contenuti sono risultati nella maggior parte dei casi facilmente intellegibili,
a dimostrazione dell’arroganza criminale dei soggetti intercettati, che
parlavano apertamente della azioni criminali già compiute e rivelavano la loro
appartenenza al clan, in uno scambio di opinioni col quale si voleva allo stesso
tempo infondere il potere mafioso e capacità di assoggettamento verso i
componenti delle altre articolazioni. Fra le ipotesi contestate vi è anche
quella di riciclaggio, avendo taluni indagati (fra i quali Riccardo De Santis ,
attinto da misura) acquistato dal clan “D’Amore-Campeggio”, pur conoscendone la
provenienza delittuosa, migliaia di capi di abbigliamento per un valore di
150mila euro da pagare in denaro contante, ostacolando l’ identificazione della
stessa merce , occupandosi poi del suo smistamento, commercializzazione,
trasferimento e sostituzione, il tutto in nero e senza fatture. Legata a tali
condotte è pure l’intestazione fittizia a terze persone di società riconducibili
al De Santis.
Fra i 27 arrestati compaiono anche
amministratori ed esponenti politici locali fra i quali il sindaco di Avetrana,
indagato per concorso esterno, Antonio Minò (a sinistra nella foto) infermiere
professionale ed ex presidente dell’associazione Avetrana Soccorso, ed un’ex
assessore comunale allo Sport di Manduria, Massimiliano Rossano il quale avrebbe
anche ricevuto una tangente per i lavori alla pista di pattinaggio, indagato per
scambio elettorale politico-mafioso (entrami comuni della provincia di Taranto
). Minò all’ epoca dei fatti (2013) era presidente dell’ Associazione Avetrana
Soccorso del 118 provincia Jonica, ha fornito consapevolmente e volontariamente
un contributo importante al rafforzamento del giro di affari, del prestigio e
della fama criminale dell’ articolazione rappresentata dal citato clan,
mettendosi a completa disposizione degli indagati Antonio
Campeggio e Francesco D’Amore, nonché degli altri esponenti della medesima
articolazione, agevolando l’ imposizione dell’assunzione del secondo, in qualità
di autista, presso la postazione di San Giorgio Jonico, ai danni del presidente
dell’ associazione Croce Verde Faggiano, ovvero provvedendo lui stesso all’
assunzione di altri sodali indicatigli dal Campeggio. Le tre diramazioni del
clan mafioso agivano prevalentemente nel triangolo della provincia tarantina,
fra Manduria, San Giorgio e Sava, e sono qualificabili come frange della Sacra
Corona Unita. Grazie a intestazioni fittizie, secondo l’accusa il clan è
riuscito anche a vincere gare d’appalto per il servizio di 118 in diversi
comuni, reinvestendo circa 150mila euro di fondi pubblici in bar e ristoranti.
Ai domiciliari è finito Nicola Dimonopoli, un
medico ex consigliere comunale di Manduria, il quale era stato eletto nel 2013
con la lista civica “Proposta per Manduria”, dimessosi lo scorso 30.06.2017 poco
prima dell’arresto , il quale come si evince dall’ordinanza, per ottenere voti
alle amministrative del 2013 si era rivolto al clan con cui ha stretto un patto
di scambio politico-mafioso garantendo denaro e prestazioni mediche (una
prognosi gonfiata in occasione di un sinistro stradale), arrivando persino a
fare pressioni e minacciare gli altri consiglieri inducendoli a eleggerlo
presidente del consiglio comunale. L’organizzazione mafiosa ha altresì procurato
voti ad esponenti politici ad essa vicini, nell’ aspettativa di ricevere in
cambio favori e appalti pubblici, in particolare in occasione della competizione
elettorale comunale di Manduria, per la elezione diretta ·del sindaco e del
consiglio comunale, tenutasi nel Maggio – Giugno del 2013. A fronte della
promessa di ottenere l’appoggio elettorale, con procacciamento di voti raccolti
mediante l’esercizio della forza di intimidazione dell’associazione, il
candidato Nicola Dimonopoli (destinatario della misura degli arresti
domiciliari) aveva assunto impegno nei confronti del Campeggio capo della
propria articolazione mafiosa a versargli cospicue somme denaro con cadenza
mensile. Da qui la contestazione del reato (scambio politico mafioso) di cui
all’ art. 416 ter c.p. .nei confronti del Dimonopoli, che all’ epoca dei fatti
svolgeva servizio al pronto soccorso dell’ ospedale M. Giannuzzi di Manduria,
risulta aver concesso prestazioni mediche facendo ottenere, sempre su richiesta
di Antonio Campeggio, giorni di prognosi a persone a costui vicine e coinvolte
in incidenti stradali, ed ottenendo in cambio un intervento da parte del primo
nei confronti di coloro che, di seguito all’elezione, non volevano sostenerlo
per la carica alla presidenza del consiglio del comune di Manduria.
Agli arresti domiciliari sono finiti
anche Giuseppe Margheriti, sindaco di Erchie, comune della provincia di
Brindisi, e l’ex vicesindaco ed attuale consigliere comunale Domenico
Margheriti, accusati entrambi di corruzione aggravata per aver incassato una
tangente da 80mila euro per pilotare un appalto per i lavori di completamento
delle infrastrutture primarie della zona Pip del valore di un milione di euro
per lavori da eseguire nella zona industriale alla ditta Tecnoscavi
srl dell’imprenditore Pasquale Pedone e la realizzazione di un parco eolico in
zona Tre Torri Montugne-Cicirella. Il sindaco di Erchie viene accusato anche di
aver mandato segnalazioni false alla Regione Puglia ed emesso un’ordinanza per
bloccare un cantiere eolico in cambio della promessa di una percentuale sul
subappalto che una ditta vicina al clan voleva ottenere per i lavori di
movimento terra nel cantiere. Il clan mafioso smantellato era diretto da Antonio
Campeggio (noto come Tonino scippatore), Antonio Buccoliero (noto come Peppolino
capone) e Francesco D’Amore, secondo gli inquirenti, cercava di strutturarsi in
un “centro di potere”, in occasione delle amministrative di maggio 2013 a
Manduria procurando voti, capace di infiltrarsi nelle istituzioni e con la
società civile grazie alla capacità di inserirsi negli affari
economico-imprenditoriale locali, puntava a ricevere appalti in lavori pubblici
e servizi del 118 creando un clima di intimidazione nei confronti di numerosi
imprenditori locali che venivano in tal modo sottomessi al sistema mafioso, che
così si insinuava nell’aggiudicazione di appalti pubblici alle estorsioni,
dall’imposizione nelle attività di «movimento terra» al riciclaggio. Campeggio,
Buccoliero e D’amore avevano già un ruolo direttivo in seno alla frangia
manduriana della Sacra Corona Unita, ed in particolare di affiancamento
al Cinieri Massimo, alias Massimino molletta, durante la contrapposizione, alla
fine degli anni ’80 e primi anni ’90, del gruppo da quest’ultimo capeggiato alla
cosca di Stranieri Vincenzo (elemento di vertice della SCU). Periodo in cui si
registrarono delle vere e proprie lotte armate per il controllo delle attività
illecite sul territorio, culminate anche in omicidi o tentati omicidi di
esponenti di vertice, sino alla scalata al vertice del Cinieri ed alla
costituzione del sodalizio mafioso denominato “Sacra Corona Libera”, operante
nelle province di Brindisi e Taranto. Negli anni, a seguito della
riconciliazione tra il vecchio padrino ed il Cinieri, Antonio Campeggio è
divenuto il soggetto sul quale il clan Stranieri decideva di puntare. Gli
arrestati vengono ritenuti dalla Direzione Distrettuale Antimafia, responsabili,
a vario titolo e in concorso tra loro, di associazione di tipo mafioso, scambio
politico elettorale-mafioso, estorsione, corruzione, rapina, riciclaggio,
lesioni personali, danneggiamento, detenzione illegale di armi da fuoco e
detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. In carcere il sindaco
di Avetrana, Antonio Minò. Il primo cittadino è accusato di concorso esterno in
associazione mafiosa per aver favorito assunzioni al 118 imposte dal clan.
Molteplici gli episodi accertati di estorsione. Tra le quali una ad un cantiere
da 10 milioni di euro che lavorava alla realizzazione della nuova rete di acqua
potabile per i comuni di Leporano e Pulsano, ma anche quella perpetrata nel 2010
ai danni degli organizzatori della Fiera Pessima di Manduria, che vennero
costretti a pagare un pizzo di 30mila euro per non avere problemi e ritorsioni
dal clan mafiosi.
Questi i destinatari della custodia cautelare
in carcere:
BIASI Davide, anni 39, nato a Taranto;
BUCCOLIERO Giuseppe, anni 48, nato a Sava
(TA), attualmente detenuto presso il carcere di Sulmona;
CAMPEGGIO Antonio, anni 47, nato a Manduria
(TA);
CARPENTIERE Luciano, anni 51, nato a
Brindisi;
D’AMORE Francesco, anni 49, nato a San
Giorgio Jonico (TA);
DE PASQUALE Agostino, anni 58, nato a
Manduria (TA);
DE SANTIS Riccardo, anni 49, nato a Taranto;
LORUSSO Daniele, anni 38, nato a Taranto;
MAZZA Gianpiero, anni 36, nato a Manduria
(TA) attualmente detenuto presso il carcere di Taranto;
MAZZA Vito, anni 40, nato a Manduria (TA);
MINO’ Antonio, anni 57, nato a Manduria (TA);
MONTE Fabrizio, anni 48 nato a Latiano (BR);
PANARITI Cataldo, anni 38, nato a Manduria
(TA);
PICHIERRI Cosimo Damiano, anni 53, nato a
Sava (TA);
ROSSANO Massimiliano, anni 46, nato a
Bologna;
SOLOPERTO Oronzo, anni 36, nato a Manduria
(TA);
TROMBACCA Leonardo, anni 37, nato a Manduria
(TA);
PEDONE Pasquale, anni 63, nato a Manduria
(TA);
Questi i destinatari della misura degli
arresti domiciliari:
DIMONOPOLI Nicola, anni 52, nato a Manduria
(TA);
MARGHERITI Domenico, anni 58, nato a Erchie
(BR);
MARGHERITI Giuseppe Antonio Salvatore, anni
46 nato a Brindisi;
MAZZA Gianluca, anni 23, nato a Manduria
(TA);
MONACO Marco, anni 24, nato a Mesagne (BR);
PITARDI Giorgio, anni 26, nato a Melpignano
(LE).
Blitz antimafia. La piovra manduriana nel
potere economico e politico, scrive
Nazareno Dinoi il 5 luglio 2017 su "La Voce di Manduria". Nomi di spicco anche
tra le vittime del gruppo criminale oggetto di richiesta estorsive per
assicurarsi la protezione: l’imprenditore ex patron del Taranto calcio, Gigi
Blasi; Franco Spina dell’omonima impresa di impiantistica industriale. Esponenti
della malavita organizzata tra potere economico e politico in un intreccio quasi
asfissiante che mirava a controllare l’economia e le risorse pubbliche del
territorio. La «piovra messapica» come non era stata mai presentata prima, ha
sconvolto la tranquilla comunità manduriana sbattuta in prima pagina e nelle
notizie d’apertura dei telegiornali per fatti che lasciano a bocca aperta. Sono
quasi tutti nomi di spicco e di peso, sia criminale che politico, quelli finiti
nelle 592 pagine di un’informativa dai contenuti per certi aspetti inquietanti.
Dal sindaco di Avetrana, Antonio Minò, all’ex presidente del Consiglio e
consigliere comunale dimissionario di Manduria, Nicola Dimonopoli, passando per
l’ex assessore al Turismo e spettacolo, Massimiliano Rossano con ombre che si
allungano su alte cariche pubbliche della stessa città Messapica i cui nomi
vengono solo citati nell’inchiesta perchè i «risvolti penali a loro carico sono
risultati esigui» e pertanto risparmiati da ogni provvedimento nemmeno da
indagati. Dal girone dei politici, sono due i personaggi che più di tutti hanno
provocato sgomento e incredulità in questo versante della provincia jonica:
quelli del sindaco di Avetrana Minò e del consigliere Dimonopoli. Il primo è
stato coinvolto non in qualità di politico ma in quanto imprenditore. Fondatore
e patron di un’associazione per l’assistenza e il soccorso di infermi
convenzionata con la Asl che gli ha affidato la gestione della postazione del
118 di Manduria, su di lui pesa l'accusa di concorso esterno di associazione
mafiosa e per questo è stato rinchiuso nel carcere di Taranto. Il dottore
Dimonopoli, medico in servizio al pronto soccorso di Manduria, ai domiciliari, è
accusato di scambio elettorale politico-mafioso. Associazione mafiosa per
Rossano ritenuto invece organico al presunto clan capeggiato da Antonio
Campeggio, entrambi in carcere. Il sindaco Minò, secondo l’accusa, avrebbe
fornito «consapevolmente e volontariamente» un contributo importante al
rafforzamento, dell'articolazione del sodalizio del «padrino» Campeggio,
«mettendosi a completa disposizione agevolando l'imposizione dell'assunzione di
un componente del clan, in qualità di autista, nella postazione del 118 di San
Giorgio Jonico, obbligando per questo il presidente l'associazione Croce Verde
Faggiano. Sempre secondo la procura antimafia che lo indaga, il primo cittadino
avrebbe provvedendo lui stesso all'assunzione, nella sua associazione «Avetrana
soccorso» di altri membri della stessa organizzazione mafiosa. Ad incastrare
Minò ci sono diverse intercettazioni telefoniche e ambientali mentre prende
accordi diretti con il presunto capoclan Campeggio. Di diversa natura il
coinvolgimento dell’ex consigliere Dimonopoli (da quattro giorni dimissionario
per divergenze politiche con il resto del gruppo di minoranza), il quale avrebbe
chiesto e ottenuto appoggi elettorali ad esponenti della malavita in cambio di
favori legati alla sua attività professionale come certificazioni mediche con
giorni di prognosi. Più complessa la posizione dell’ex assessore Rossano che
deve rispondere di accuse ben più pesanti. Secondo gli inquirenti, il dipendente
Asl (anche lui impiegato al pronto soccorso del Giannuzzi), farebbe parte
dell’organizzazione mafiosa del «padrino» manduriano. Inoltre, nel periodo in
cui ha ricoperto la carica assessorile, avrebbe favorito una ditta locale con la
promessa di una tangente di 1.400 euro. Molto più grave la terza accusa: avrebbe
costretto l’impresa che gestiva l’edizione della Fiera Pessima manduriana del
2012 ad assumere il controllo sulla guardiania della campionaria. La «piovra»,
spiegano gli investigatori nelle loro indagini, investiva il denaro sporco
accumulato con il traffico di sostanze stupefacenti, rilevando aziende sane. Tra
queste, i cui nomi compaiono nel fascicolo, i ristoranti balneari di
Campomarino, Don Piccio e Bikini. L’investimento della mala non risparmiava il
business del 118. Per questo è stato arrestato l’imprenditore Leonardo
Trombacca, nome storico nel campo delle pompe funebri, affidatario di una
convenzione con la Asl per la gestione della postazione 118 di Avetrana. Per la
procura una parte dei guadagni finivano nelle casse del sodalizio criminale
guidato da Campeggio. L’associazione, di fatto controllata da Trombacca, era
stata intestata fittiziamente ad uno dei suoi dipendenti che risulta per questo
indagato. Nomi di spicco anche tra le vittime del gruppo criminale oggetto di
richiesta estorsive per assicurarsi la protezione: l’imprenditore ex patron del
Taranto calcio, Gigi Blasi; Franco Spina dell’omonima impresa di impiantistica
industriale, Giuseppe Caforio, titolare dell’azienda di serramenti. Dalle
indagini è emerso che nessuno di loro ha ceduto al pizzo.
Mafia e politica, la difesa di Minò e
Dimonopoli, scrive Nazareno Dinoi il
7 luglio 2017 su "La Voce di Manduria". A parte qualche indagato minore che ha
voluto fare delle dichiarazioni spontanee, tutti gli altri si sono avvalsi della
facoltà di non rispondere alle domande del gip. Tra le lacrime di alcuni e i
silenzi di altri, si è conclusa ieri la prima delicata fase degli interrogatori
di garanzia delle persone raggiunte martedì mattina dai provvedimenti di
custodia cautelare, in carcere e ai domiciliari, emessi dal Tribunale di Lecce
su richiesta della della Direzione distrettuale antimafia che indaga su presunte
contaminazioni della sacra corona unita nel tessuto imprenditoriale e politico
dei comuni di Manduria, Avetrana e Erchie. Il più drammatico confronto con il
gip Pompeo Carriere, delegato con rogatoria dalla giudice Cinzia Vergine che ha
disposto le misure, è stato sicuramente quello con il sindaco di Avetrana,
Antonio Minò, finito in carcere con l’accusa di concorso esterno in associazione
mafiosa. Il primo cittadino, coinvolto nell’inchiesta non nel suo ruolo
istituzionale ma come presidente di un’associazione di volontariato, «Avetrana
Soccorso», convenzionata con la Asl di Taranto per la gestione della postazione
118 di Manduria, ha dichiarato tra le lacrime la propria innocenza dicendosi
quindi estraneo a qualsiasi collusione con gli ambienti della malavita. In
merito alla sua presunta pressione esercitata nei confronti del presidente di
un’altra associazione di San Giorgio per l’assunzione di un esponente del clan
di Antonio Campeggio, ritenuto a capo dell’organizzazione mafiosa, Minò avrebbe
giustificato tale circostanza come un atto di solidarietà su cui si fonderebbe
l’associazione di cui è presidente. Nel corso dell’interrogatorio non sarebbero
mancati momenti di profondo sconforto da parte del politico che in più occasioni
è stato costretto a fermarsi perché impossibilitato ad andare avanti. Parlando
poi con uno dei suoi avvocati, Mario De Marco, che è anche componente della
giunta, il sindaco si è raccomandato per il buon andamento dell’amministrazione
invitando il vicesindaco Alessandro Scarciglia, che lo sostituisce, a fare di
tutto per non far sentire la sua mancanza e per difendere l’ente nel migliore
dei modi. Anche l’ex presidente del Consiglio comunale di Manduria, Nicola
Dimonopoli, che deve rispondere di scambio elettorale politico – mafioso, ha
preferito rispondere alle domande del gip sottraendosi anche lui da ogni accusa.
L’ex consigliere, medico alle dipendenze della Asl di Taranto, avrebbe negato
qualsiasi accordo con elementi della malavita ai quali non avrebbe chiesto
appoggi dicendosi certo di conoscere quasi tutti i suoi elettori. A parte
qualche indagato minore che ha voluto fare delle dichiarazioni spontanee, tutti
gli altri si sono avvalsi della facoltà di non rispondere alle domande del gip.
Una mossa, questa, spiegata probabilmente dalla necessità, per gli avvocati, di
prendere visione degli atti in mano alla procura antimafia prima di imbastire
una linea di difesa. Tutto il folto collegio difensivo composto dai penalisti
Nicola Marseglia, Mario De Marco, Franz Pesare, Armando Pasanisi, Lorenzo Bullo,
Mimmo Micera, Gaetano Vitale, Luigina Brunetti, Antonio Liagi ed altri, sono già
al lavoro per il ricorso al Tribunale del riesame al quale chiedere intanto la
revoca delle misure imposte ai propri assistiti. Desterebbero preoccupazioni
infine le condizioni di salute dell’ex assessore manduriano, Massimiliano
Rossano, anche lui in carcere con l’accusa di associazione mafiosa, sottoposto
più volte a visita medica. Rossano che è operatore socio sanitario in servizio
al pronto soccorso dell’ospedale Marianna Giannuzzi di Manduria, è sospettato di
essere parte attiva dell’organizzazione mafiosa capeggiata da Antonio Campeggio,
detto “Tonino scippatore”.
Inchiesta Dia, parlano gli indagati. Minò:
rifarò il sindaco - Dimonopoli: basta con la politica,
scrive Nazareno Dinoi il 27 luglio 2017 su "La Voce di Manduria". Nella
decisione dei giudici del riesame ha avuto un buon risultato anche
l’imprenditore manduriano Pietro Pedone, detenuto in carcere, che da ieri,
difeso dall’avvocato Lorenzo Bullo, si è trasferito ai domiciliari. Il sindaco
di Avetrana, Antonio Minò e l’ex presidente del Consiglio comunale di Manduria,
Nicola Dimonopoli, sono tornati liberi. Ieri il Tribunale del Riesame di Lecce
ha accolto le richieste dei rispettivi avvocati, Nicola Marseglia del primo e
Franz Pesare e Armando Pasanisi il secondo. Il primo cittadino di Avetrana ha
lasciato il carcere di Taranto dove era rinchiuso dal 4 luglio, mentre
Dimonopoli può lasciare il proprio domicilio dove era ristretto. Il sindaco è
accusato di concorso esterno in associazione mafiosa mentre Dimonopoli di voto
di scambio. Minò ha fatto rientro a casa nel tardo pomeriggio di ieri accolto da
una folla di parenti e cittadini in festa. Lui, visibilmente commosso e provato,
ha abbracciato tutti prima di chiudersi in casa con i parenti e i suoi più
stretti collaboratori. Ed ha trovato il tempo per rilasciare delle
dichiarazioni. «Non ho mai dubitato e non dubiterò mai della giustizia, il mio –
dice Minò - lo considero un incidente di percorso che, sono sicuro, sarà risolto
definitivamente». Pronto a rimettersi in gioco, il primo cittadino non vede
l’ora di riprendere la sua attività politica. «Già da lunedì – racconta – sarò
nel mio ufficio in municipio e riprenderò le redini del mio comune con più
energie di prima». Poi l’appello rivolto agli organi d’informazione. «Voi fate
il vostro dovere e lo comprendo, ma adesso tocca a voi darmi quello che merito,
la mia figura ha bisogno di positività e in questo confido in voi». Infine i
ringraziamenti. «Alla mia famiglia prima di tutto che mi è stata molto vicina in
questi terribili giorni, e poi a tutti gli amici e agli amministratori anche di
opposizione che hanno compreso. Un ringraziamento particolare - conclude il
sindaco –, al mio avvocato Marseglia che si è dimostrato un uomo e un
professionista all’altezza della situazione».
Uno degli avvocati di Antonio Minò, Mario De
Marco, così commenta: “La decisione del Tribunale di riesame oltre a dare grande
sollievo al Sindaco ed alla sua famiglia conferma la debolezza di indagini molto
sommarie svolte con metodo inquisitorio ma soprattutto allontana anche il mero
accostamento tra la comunità avetranese ed ogni forma di attività criminale”.
Altrettanto sollevato ma di umore differente si è presentato invece l’ex
presidente del consiglio, il manduriano Dimonopoli che di politica non ne vuole
più sapere. «Con questa storia ho chiuso completamente con la politica; ho
capito ora più che mai quanto sia sporca; adesso – conclude Dimonopoli che è
medico ospedaliero – devo concentrarmi a riconquistare la fiducia delle persone
che mi stimano e dei miei pazienti». Naturalmente sia Minò che Dimonopoli
restano indagati a piede libero e rischiano comunque il processo.
Nella decisione dei giudici del riesame ha
avuto un buon risultato anche l’imprenditore manduriano Pietro Pedone, detenuto
in carcere, che da ieri, difeso dall’avvocato Lorenzo Bullo, si è trasferito ai
domiciliari nonostante le pesanti accuse di corruzione in associazione mafiosa
di cui è accusato e i suoi numerosi precedenti penali. Confermate invece le
misure detentive per i manduriani Luciano Carpentiere e Vito Mazza. Resta ai
domiciliari anche il sindaco di Erchie, Giuseppe Margheriti mentre è libero l’ex
suo vicesindaco, Domenico Margheriti. Il collegio difensivo di ieri era composto
dagli avvocati Armando Pasanisi, Franz Pesare, Lorenzo Bullo, Nicola Marseglia,
Raffaele Missere, Fabrizio Lamanna e Michele Iaia.
Amministratori pubblici di Avetrana. Ogni partigiano si scelga il migliore.
Anche tra quelli che sfoderano una finta verginità o un presunta superiorità
morale.
Ad Avetrana Il difensore del fioraio Buccolieri. «Raggirò i suoi clienti»: sotto
processo l'avvocato ex sindaco,
scrive Nazareno Di Noi Lunedì 24 Ottobre 2016 su “Il Quotidiano Di Puglia”.
Avrebbe truffato il suo cliente facendosi consegnare la somma di quasi 200mila
euro che sarebbe servita al liquidatore dell’assicurazione il quale era
all’oscuro di tutto. Per questo l’avvocato di Avetrana Giovanni Scarciglia, già
sindaco del suo Comune, è stato invitato a comparire il prossimo 7 dicembre
davanti al giudice monocratico del tribunale di Taranto per rispondere dei reati
di truffa aggravata e appropriazione indebita. Nei suoi confronti il pubblico
ministero Filomena Di Tursi ha emesso un decreto di citazione in giudizio che
salta la fase dell'udienza preliminare facendo a meno del controllo circa la
fondatezza dell'accusa. Persone lese della presunta truffa sono due avetranesi,
Antonio Minò, importatore di animali da macello con la moglie Maria Teresa
Carrozzo, involontari protagonisti di una intricata e tristissima storia che
parte dalla morte del proprio figlio Leonardo Luigi Minò, vittima di un
incidente mortale della strada quando era ancora minorenne avvenuto il 19
settembre del 2000 ad Ancona. Il ragazzo viaggiava a bordo di un auto guidata da
un suo zio di 23 anni, deceduto anche lui nell’incidente. Due lutti terribili
che sconvolsero la famiglia Minò e l’intera comunità avetranese. I rilievi e le
indagini della polizia stradale che si conclusero riconoscendo la non
responsabilità della giovane vittima diedero il via alle pratiche risarcitorie a
danno dell’assicurazione del mezzo. Fu allora che la famiglia Minò si rivolse al
noto professionista il quale accettò di buon grado il compito di trattare il
giusto compenso con la compagnia assicuratrice Unipol Sai. Il contenzioso si
concluse con il riconoscimento a favore dei Minò della somma complessiva di
700mila euro suddivisa tra padre (280mila euro), madre (300mila) e sorella della
vittima (120mila euro). L’avvocato Scarciglia, secondo quanto scrive la pm Di
Tursi nella citazione a giudizio, «mediante raggiri ed artifici» fece credere al
capofamiglia, suo assistito, che la somma concordata di 700mila euro «era
condizionata alla dazione illecita della somma in contanti di 200.000 euro in
favore del liquidatore Luca Coeli» (di Unipol Sai, ndr). Dalle indagini
condotte, sarebbe emersa l’estraneità del liquidatore che, scrive il magistrato
inquirente, era «in realtà del tutto ignaro della vicenda». L’avvocato imputato,
sostiene l’accusa, avrebbe dunque «indotto in errore lo stesso Minò circa la
necessità di corrispondere tale ingente somma». Tutto questo quanto
l’assicurazione aveva già saldato il conto consegnando la somma pattuita nelle
mani dell’avvocato, in parte con bonifico bancario in favore dell’assistito e in
parte con assegni circolari non trasferibili intestati alla mamma e alla sorella
della vittima. «Il predetto difensore – scrive il pm -, si procurava un ingiusto
profitto consistito nel farsi consegnare in varie tranche da Minò la somma
complessiva di 191.000 euro asserendo falsamente di doverla riversare al
liquidatore». Lo stesso deve inoltre rispondere di appropriazione indebita
perché, sostiene sempre il pm, «con abuso delle proprie relazioni di legale di
fiducia, nell’ambito della pratica di risarcimento dei danni al fine di
procurarsi un ingiusto profitto, si appropriava di tre assegni circolari
dell’importo di 50.000 euro ciascuno emessi a favore della moglie e della
figlia» del suo assistito. A difendere l’avvocato Scarciglia sarà il suo collega
Raffaele Errico.
In questo caso i giornalisti stanno molto attenti a non riportare i nomi.
Otto avetranesi condannati ad un'ammenda di 1.225 euro per aver manifestato
contro l'ubicazione del depuratore lungo la strada provinciale “Tarantina”,
all'altezza del bivio per il Chidro,
scrive il 06/04/2018 "Manduria Oggi. Per sette di loro la pena è sospesa per 7
anni. Condannati ad un’ammenda di 1.225 euro per aver manifestato contro
l’ubicazione del depuratore lungo la strada provinciale “Tarantina”, all’altezza
del bivio per il Chidro. E’ la condanna inflitta a otto avetranesi, colpevoli di
aver violato, secondo quanto riportato dal decreto penale di condanna del
giudice per le indagini preliminari Benedetto Ruberto, il Regio Decreto numero
773 del 18 giugno 1931, contenuto nel testo unico delle Leggi di Pubblica
Sicurezza. In altre parole, avrebbero manifestato, bloccando il transito degli
autoveicoli, senza aver ricevuto il preventivo assenso da parte degli organi
preposti a garantire la sicurezza nelle manifestazioni pubbliche. Per sette di
loro, però, la pena pecuniaria, diminuita al di sotto del minimo edittale, è
sospesa per due anni, a termini e condizioni di legge. Pena che diventerebbe
esecutiva qualora uno o più soggetti sanzionati dovessero commettere nuovamente
il reato. Ad uno degli otto avetranesi condannati, invece, la pena non è stata
sospesa. Probabilmente avrà dei precedenti. Alcuni dei sanzionati, ascoltati
ieri sera, hanno annunciato che, non appena sarà loro notificato il decreto di
condanna, impugneranno l’atto. In tal senso, hanno quindici giorni di tempo per
proporre opposizione, a partire dalla data di notifica dell’atto. Come è noto,
nella primavera scorsa a più riprese gli ambientalisti di Avetrana (in
particolar modo) e quelli di Manduria (in numero ridotto), si mobilitarono per
cercare di impedire l’apertura del cantiere per la costruzione del depuratore
consortile. In un paio di circostanze, gli agenti della Polizia di Stato
verbalizzarono le generalità di alcuni manifestanti, facendo notare che non era
stata concessa alcuna autorizzazione a manifestare in quell’area, bloccando
peraltro il traffico automobilistico. Fra gli otto condannati, anche un attuale
amministratore (Alessandro Scarciglia? nda) e un ex amministratore (Luigi Conte?
nda).
Protestarono contro il depuratore a Urmo, condannati otto manifestanti.
Il decreto è stato emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale
di Taranto dottor Benedetto Ruberto. Il gip ha condannato i manifestanti all’
ammenda di 1225 euro, concedendo la sospensione della pena a sette...scrive Lino
Campicelli su Quotidiano di Puglia mercoledì 04 aprile 2018 riportato da "la
Voce di Manduria". Decreto penale di condanna per gli otto avetranesi che l’8
marzo dell’anno scorso manifestarono nella zona di Specchiarica, marina di
Manduria, dove l’Acquedotto pugliese installò il cantiere per realizzare il
depuratore consortile dei due comuni di Manduria e Sava. Il decreto è stato
emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Taranto dottor
Benedetto Ruberto. Il gip ha condannato i manifestanti all’ ammenda di 1225
euro, concedendo la sospensione della pena a sette degli otto coinvolti. Si è
chiuso così il caso giudiziario legato alla partecipazione ad una
manifestazione che non fu autorizzata. La stessa si tradusse nella
identificazione dei protagonisti da parte degli uomini della Digos. Proprio
quegli otto, infatti, furono identificati dalla Divisione di investigazioni
generali e furono poi chiamati, alcuni giorni dopo, a presentarsi nel
commissariato di polizia di Manduria per “comunicazioni”. Come si ricorderà, al
momento della loro identificazione, gli operai dell’Aqp non erano ancora
arrivati per delimitare il futuro cantiere, per cui la contestazione a carico
dei partecipanti fu, appunto, quella della manifestazione non autorizzata. La
stessa cosa, peraltro, che rischiarono successivamente i partecipanti ad un
altro sitin inscenato nella stessa zona, su invito del «Comitato per la difesa
del territorio e del mare». In quella circostanza, per disguidi di natura
tecnica, fu spiegato dagli organizzatori ai numerosi partecipanti che
l’autorizzazione non era stata presentata in tempo. Pertanto, tutti furono
invitati a lasciare il punto d’ingresso del cantiere dove si erano assiepati,
per spostarsi all’ in- terno di un vicino uliveto dove il leader del comitato,
Pino Scarciglia, aveva improvvisato un comizio. Quell’avvertimento doveroso era
giunto proprio in considerazione delle contestazioni operate dalla polizia l’8
marzo precedente. Nonostante quella manifestazione si fosse tradotta in proteste
assolutamente pacifiche e ricche solo di slogan non offensivi, restava il fatto
che non fosse stata autorizzata. Non è un caso, a questo proposito, che nei
confronti degli otto destinatari del decreto penale di condanna sia stato
contestata la violazione dell’articolo 18 del testo unico delle leggi di
pubblica sicurezza, che sanzione appunto i promotori di una riunione pubblica
che non abbia avuto il placet del questore. Per la cronaca, questa disposizione
non si applica solo nel caso di riunioni elettorali. Quella in contrada
Specchiarica, però, non fu affatto una riunione elettorale. Rappresentò, al
contrario, lo sconcerto dei cittadini nei confronti di una realizzazione di cui,
in ogni caso, non si aveva ancora del tutto contezza ed era ancora ricca di
punti interrogativi. Il timore maggiore, come è noto, era legato all’ ipotesi
de- gli scarichi in mare che avrebbero danneggiato per sempre la purezza delle
acque locali. Scarichi che, a distanza di un anno da quella manifestazione,
dovrebbero essere stati definitivamente banditi dal progetto definitivo.
Proteste a Urmo, denunciato anche Scarciglia e Di Lauro: solidarietà e silenzi,
scrive sabato 24 giugno 2017 Nazareno Dinoi su "la Voce di Manduria". E’ salito
a dieci il numero dei manifestanti denunciati dalla polizia per avere preso
parte, lunedì 19 giugno, alla protesta pacifica che ha respinto le ruspe dal
cantiere del depuratore previsto in zona Urmo-Specchiarica. Oltre alle tre mamme
coraggio, Claudia Indrizzi, Alfonsina Costantini e Emilia Tarantini,
all’assessora al Turismo, Claudia Scredo e all’ex sindaco di Avetrana, Luigi
Conte, ieri l’invito a comparire è arrivato ad altri tre avetranesi tra cui il
vicesindaco Alessandro Scarciglia. Unico manduriano raggiunto dall’avviso a
comparire, l’avvocato Francesco Di Lauro, esponente dell’associazione Azzurro
Jonio. I dieci devo rispondere del reato di violenza privata aggravata, dovranno
ora nominarsi un legale per affrontare l’indagine che li riguarderà. Le donne si
faranno difendere dall’avvocatessa Anna Macina che ieri ha accompagnato le sue
assistite nel breve incontro avuto con il commissario Francesco Correre.
Silenzio, intanto, da parte dell’amministrazione manduriana e dai politici con
cariche di governo o istituzionali. Gli unici ad esprimere solidarietà, da
questo fronte, sono i Verdi. «La Federazione dei Verdi di Manduria – si legge in
una nota - esprime piena solidarietà ai sei manifestanti (solo dopo si saprà
degli altri quattro, ndr), denunciati per avere, nella giornata del 19 giugno,
impedito ai mezzi della ditta Putignano di accedere al cantiere del costruendo
depuratore in contrada Urmo. I reati loro contestati sono di notevole gravità e
contemplano anche la violenza privata. Non si può certo dire che le forze
dell’ordine abbiano avuto la mano leggera – affermano i Verdi -, e dispiace
constatare che, ancora una volta, cittadini, ambientalisti, mamme, tutti di
specchiata onestà, debbano vedersi trattati come delinquenti solo perché, dopo
aver tentato con ogni mezzo legale, possibile e immaginabile, di opporsi ad un
intervento devastante, sono dovuti ricorrere ad un sit-in, per altro
assolutamente pacifico, come estremo atto di difesa del proprio territorio». Ad
Avetrana, invece, si parla e si prendono posizioni. Secco il commento del
vicesindaco Scarciglia, destinatario ieri pomeriggio di una seconda denuncia (la
prima l’aveva presa nel corso del precedente sit-in di marzo). «Chi protesta ad
Urmo Belsito – dice - non è un appartenente a gruppi di black block o no global.
Sono padri di famiglia, madri con al seguito i propri figli, gente anziana,
amministratori di piccoli comuni che sicuramente non hanno una forza elettorale
importante, ma è gente che ama, crede e rispetta il proprio territorio». L’ex
sindaco Conte se la prende con i politici assenti, alludendo in questo alle
forze politiche di Manduria del tutto lontani da quanto sta accadendo «Questa
storia – scrive Conte - mi sta insegnando che da una parte ci sono le donne e
mamme con il loro meraviglioso esempio di forza, coraggio, limpidezza, dignità e
passione sincera, poi ci sono i politici e politicanti con il loro mesto esempio
di ambiguità, pavidità, codardia, evanescenza, accondiscendenza e vergogna che
su questa importante lotta sono spariti del tutto».
Depuratore e polemiche: mamme coraggio ed ex sindaco, oggi tutti al
commissariato di polizia,
scrive Nazareno Dinoi su "Il Quotidiano di Puglia" Sabato 24 Giugno 2017.
Mentre per questa mattina alle 10,30 è prevista la convocazione in polizia dei
sei manifestanti denunciati per aver preso parte al blocco del cantiere a
Urmo-Specchiarica dove è previsto il depuratore di Manduria-Sava, il presidente
del Consiglio comunale di Avetrana, Francesco Saracino, sta predisponendo i
permessi per un nuovo sit-in di protesta per lunedì e martedì prossimi. A quanto
pare, però, il vice questore aggiunto, Francesco Correra, dirigente del
commissariato di Manduria, non ha dato ancora l’assenso chiedendo delle garanzie
che l’amministratore avetranese non ha potuto dare. Il commissario vorrebbe
concedere il nulla osta a condizione di circoscrivere la zona dove stazioneranno
i manifestanti escludendo a priori sia le strade che le piazzone dell’incrocio
sulla litoranea interna «Tarantina» che dà accesso all’uliveto, futura sede del
depuratore consortile. Sempre ieri, intanto, il movimento politico di
opposizione «Avetrana Riparte», ha diffuso un comunicato in cui si esprime
solidarietà nei confronti dei propri rappresentanti, l’ex sindaco Luigi Conte e
il giovane Silvio Mammano, tra i convocati di questa mattina dalla polizia. La
stessa nota solidarizza anche con le mamme coraggio, Alfonsina Costantini,
Claudia Indrizzi e Emilia Tarantini, componenti del comitato «Donne e mamme di
Avetrana», anche loro denunciate per la manifestazione dello scorso 19 giugno
quando l’opposizione di un centinaio di avetranesi con qualche manduriano riuscì
a mandare indietro le ruspe dell’impresa Putignano di Noci, aggiudicataria
dell’appalto per la realizzazione dell’opera. Il consigliere Conte ha diffuso
così su Facebook la notizia dell’invito a presentarsi alla polizia.
«Depuratore-mostro; sabato prossimo alle 10,15 sono stato invitato a comparire
presso il commissariato di Manduria per affari di giustizia che mi riguardano il
merito alla protesta contro la realizzazione del depuratore-mostro. Ritengo
questo invito giusto e doveroso – aggiunge l’ex sindaco di centrosinistra - ed
auspico che la polizia sulla scorta di un esposto e di una richiesta di accesso
agli atti già di propria conoscenza, possa avere la stessa cura nell’invitare i
vertici dell’Acquedotto pugliese e i responsabili regionali per chiedere
chiarimenti in merito alle procedure seguite e alle autorizzazioni a monte
dell’avvio dei lavori».Proprio di questo ha parlato ieri in un intervento Anna
Macina, l’avvocatessa che ha perfezionato l’esposto alle procure della
Repubblica di Taranto e Brindisi e la domanda di accesso agli atti presentata al
comune di Manduria. «In merito al depuratore – scrive - ricordo che si è ancora
in attesa di leggere autorizzazioni, valutazioni di impatto ambientale che
consentano l’inizio dei lavori con variante! Su una cosa siamo tutti d’accordo –
conclude l’avvocatessa Macina -, siamo fuori tempo massimo! La politica è fuori
tempo massimo, quella che non ha teso l’orecchio, che non ha ascoltato e non ha
dato voce ai territori. La politica “buona” si muova e si arrenda – conclude -
perché i manifestanti non sono affetti da alcuna sindrome, sanno perfettamente
cos’è un depuratore, lo vogliono ma lontane dalle coste, e la vera notizia è che
non si arrenderanno».
Depuratore: le denunce ai manifestanti e i commenti,
scrive il 24 giugno 2017 Ciak Social. Alcuni partecipanti alla manifestazione in
zona Urmo del 19 giugno, sono stati denunciati per organizzazione di
manifestazione non autorizzata e violenza privata. Oggi sono stati
convocati negli uffici del commissariato di polizia di Manduria per
l’identificazione e la notifica dell’atto.
Ad essere denunciate da parte dell’AQ sono alcune attiviste del comitato “Donne
e mamme di Avetrana”: Alfonsina Costantini, Claudia Indrizzi, Emilia Tarantini;
il consigliere comunale del gruppo “Avetrana Riparte” Luigi Conte; l’assessore
al turismo del comune di Avetrana Claudia Scredo e Silvio Mammano.
Di ritorno oggi dal commissariato, Luigi Conte scrive su Facebook: “Appena
tornato dal commissariato di Manduria con tanta serenità e con la consapevolezza
di lottare per una causa giusta. Questa storia mi sta insegnando che da una
parte ci sono le donne e mamme con il loro meraviglioso esempio di forza,
coraggio, limpidezza, dignità e passione sincera, poi ci sono i politici e
politicanti con il loro mesto esempio di ambiguità, pavidità, codardia,
evanescenza, accondiscendenza e vergogna che su questa importante lotta sono
spariti del tutto! Care Donne e Mamme continuiamo a lottare…qualche piccolo
risultato è già stato ottenuto ma non bisogna mollare! Conoscervi e lottare con
voi è stato per me un privilegio ed un grande onore”.
Altro grande attivista della lotta contro lo scarico a mare prima e la
localizzazione del depuratore ad Urmo poi, è Alessandro Scarciglia che commenta:
“Oggi sono state denunciate sei persone che si aggiungono a chi, come il
sottoscritto, fu già denunciato a marzo. Le ipotesi di reato variano:
dall’organizzazione di manifestazione non autorizzata alla violenza
privata. Leggo (non posso ricordare perché ero troppo piccolo) che nei primi
anni ’80, i nostri genitori ci portavano per strada al fine di bloccare i mezzi
che qualche prezzolato politico aveva inviato ad Avetrana per costruire la
centrale nucleare. La forza di quelle persone e la presenza di quei bambini fece
in modo di far tornare indietro, verso il mittente, le ruspe. La politica (o
meglio, parte di essa) si svegliò solo dopo la grande rivoluzione popolare. Nel
caso odierno del depuratore, invece, dopo le grandi proteste popolari, molti
politici di ogni livello (parlamentari, regionali e comunali) sono scomparsi.
Oggi, trovare politici che si oppongono ai poteri forti è diventato veramente
raro. Chi protesta ad Urmo Belsito non è un appartenente a gruppi di black block
o no global. Sono padri di famiglia, madri con al seguito i propri figli, gente
anziana, amministratori di piccoli comuni che sicuramente non hanno una forza
elettorale importante, professionisti di ogni genere. In poche parole, chi
protesta oggi ad Urmo Belsito, è gente che ama, crede e rispetta il proprio
territorio. Perché, ognuno nel suo piccolo, lo ha costruito con le proprie mani,
con il proprio sudore e i sacrifici imposti alla propria famiglia. Qualcuno
cerca di intimorire le mamme dicendo loro che rischiano una denuncia al
tribunale dei minori se continuano a portare i propri figli sul luogo della
protesta. MA questo “qualcuno” non comprende che la più grande condanna che
potrebbero subire queste mamme e questi padri è quella che fra dieci o venti
anni il proprio figlio possa dire “mamma, papà, perché avete permesso di
distruggere il nostro territorio pur di salvaguardare gli interessi di pochi?”.
Chi protesta se ne frega se qualche tecnico (divenuto mezzo politico) insiste a
mettere delle enormi vasche (che loro intellettuali chiamano buffer) in mezzo
alle case di Specchiarica. Chi protesta se ne frega di qualche amministratore o
di qualche politico che non ha le palle di decidere. Chi protesta se ne frega
anche di quelle associazioni (o pseudo tali) che credono di fare la rivoluzione
sulla stampa ma che al momento di bloccare i mezzi non ci sono mai. Chi protesta
oggi ad Urmo se ne frega del potere di AQP e dei suoi scagnozzi. Chi protesta ad
Urmo Belsito oggi, difende il suo domani e, sicuramente, anche il futuro di chi
oggi preferisce essere accomodante dei potenti”.
Ed ancora su Luigi Conte
Sindaco contro ex sindaco, Longo querela Conte per la questione del Crap di
Avetrana.
La contrastata storia della Crap di Avetrana, la comunità riabilitativa per
pazienti psichiatrici autori di reati che non prevedono la detenzione, finirà
nei tribunali, scrive martedì 3 aprile 2018 "La Voce di Manduria". La
contrastata storia della Crap di Avetrana, la comunità riabilitativa per
pazienti psichiatrici autori di reati che non prevedono la detenzione, finirà
nei tribunali. Il sindaco di Maruggio, Alfredo Longo, ha querelato il
consigliere comunale di opposizione ed ex sindaco di Avetrana, Luigi Conte, per
delle affermazioni di quest’ultimo riguardanti un presunto coinvolgimento
diretto del primo cittadino maruggese nella gestione della struttura di prossima
apertura. Ne danno notizia in un comunicato stampa gli esponenti del “Comitato
No-Crap” e del “Comitato per la tutela del territorio associato a Italia Nostra”
(che si battono contro il depuratore a Urmo), entrambi di Avetrana. Nel
documento in questione, gli autori esprimono “piena solidarietà al proprio socio
dottor Luigi Conte che nelle sue funzioni di consigliere comunale – si legge -,
ha avanzato critiche e rilievi sulla scelta amministrativa di far nascere una
Crap dedicata a pazienti psichiatrici autori di reato, scelta che ha generato
perplessità e preoccupazioni in gran parte della popolazione”. Il centro di
recupero che molti avetranesi non vogliono, tra questi i partiti di minoranza
nel consiglio comunale, è una “comunità assistenziale psichiatrica dedicata a
soggetti che necessitano di interventi terapeutici ad alta intensità
riabilitativa di lungo periodo con valutazione di rischio alto o moderato di
comportamenti violenti (Così la definizione che ne dà la Regione Puglia
nell’apposito atto costitutivo). Secondo i comitati avetranesi, le affermazioni
di Conte, che Longo vuole censurare con la denuncia, non sono altro che “un
pensiero critico sulle insufficienti garanzie di sicurezza del servizio e della
struttura individuata come sede della Crap all’interno del contesto cittadino,
sulla scarsa chiarezza dell’iter amministrativo seguito, sui ruoli e sulle
responsabilità assunte dagli amministratori comunali, nel normale esercizio di
dialettica politica democratica certamente è stato espresso dal consigliere
Conte così come da altri consiglieri e da varie personalità che hanno voluto
partecipare al dibattito pubblico che si è sviluppato di conseguenza”.
L’incontro pubblico cui si fa riferimento nel comunicato, nel corso del quale il
consigliere Conte avrebbe pronunciato le parole che non sono piaciute al sindaco
di Maruggio, è quello organizzato dall’amministrazione comunale avetranese il 12
ottobre del 2017 con la presenza, appunto, del sindaco Longo (che intervenne in
quel dibattito) e della società che gestirà il Crap, la “Sol Levante”. “Quel
pensiero critico – conclude il comunicato stampa dei Comitati - rappresenta il
sentire di tanti cittadini, a partire da tutti i componenti del comitato No Crap
e meriterebbe il rispetto da parte di tutti coloro che amano la trasparenza e il
libero svolgimento del dialogo democratico.”
Rispetto ad altri paesi Avetrana si è fatta
sempre notare per la sua intraprendenza, emancipazione ed apertura mentale e per
le indiscusse virtù di alcuni suoi concittadini. Si ricorda Antonio Giangrande,
noto scrittore letto in tutto il mondo o suo figlio Mirko divenuto a 25 anni e
con due lauree l’avvocato più giovane d’Italia. Ed ancora Biagio Saracino,
Cavaliere della Repubblica; Leonardo Laserra, Tenente Colonnello, maestro della
Banda della Guardia di Finanza nota in tutto il mondo. E poi Antonio Iazzi,
professore dell’università del Salento, e Leonardo Giangrande, già vice
presidente della Camera di Commercio di Taranto. Ed ancora Rita Rinaldi,
soubrette e cantante o i duo artistico musicale Mimma e Giusy Giannini (in arte
Emme e gy) con Miriana Minonne e Valentina Iaia (in arte Miry e Viky). Ed ancora
Vito Mancini, concorrente del Grande Fratello 12. E tanti altri talenti ancora.
Ma di questo i media ignoranti ed in malafede non ne parlano.
Avetranesi nel Mondo: Leonardo Nigro,
attore sempre più ricercato dai registi italiani ed esteri,
scrive Salvatore Cosma il 19 maggio 2017 su La Voce di Maruggio. Un talento
avetranese tra i personaggi del cinema italiano ed estero. E’ uno dei più
ricercati attori della generazione più giovane. Leonardo Nigro, figlio
di genitori immigrati a Zurigo, nato 43 anni fa ad Avetrana, paese che porta nel
cuore, al quale sono legati i suoi ricordi più cari della sua infanzia, dove ci
ritorna appena gli impegni di lavoro glielo consentono. “Ho la doppia
cittadinanza italo-svizzera, – ci racconta l’attore – i miei sono emigrati da
Avetrana negli anni sessanta a Zurigo, mia madre per il parto tornò ad Avetrana
dove tra l’altro c’era mia sorella che viveva con i miei nonni. Dopo sei mesi
– continua Leonardo – ci siamo trasferiti in Svizzera, dove ci aspettava mio
padre che faceva il muratore”. Mi sento italiano anche se sono cresciuto in
Svizzera.” La sua passione per il “mestiere” di attore nasce alla Missione
Cattolica Italiana di Zurigo, ancora piccolo all’età di cinque anni, ha iniziato
a recitare imparando i testi con l’aiuto della mamma. Dopo la maturità ha
frequentato le scuole di recitazione a Berlino per cinque anni e nel 2005 è
rientrato a Zurigo. “Quando mi propongono un nuovo personaggio, – racconta
l’artista – credo che la base di tutto sia la sceneggiatura: se leggendola ho
delle immagini ben precise di come dovrò recitarlo significa che sono sulla
strada giusta.” L’attore ha calcato le scene teatrali di Basilea, Berlino,
Amburgo e Dresda. Ha interpretato ruoli importanti, in sceneggiati televisivi e
opere cinematografiche sia in lingua tedesca che italiana. Ha anche rivestito il
ruolo di Antonio da giovane, personaggio interpretato da Lino Banfi, nel film
Italo-tedesco “Maria, ihm schmeckt’s nicht!” (Indovina chi sposa mia figlia!),
commedia del 2009 diretta da Neele Vollmar e mandata in onda su Rete 4 di
Mediaset lo scorso giugno. Ultimo, nel personaggio di Fantinari nel
film-commedia di Antonio Morabito “Rimetti a noi i nostri debiti” al fianco
di Claudio Santamaria, Marco Giallini, Jerzy Stuhr, Flonja Kodheli, Agnieszka
Zulewska. Leonardo che ha ricevuto diversi premi tra cui “il Salento Award” nel
2012, per lui che si definisce salentino doc è un importante riconoscimento dato
dalla sua Terra natale. Al suo attivo una importante nomination nel 2016 al
Swiss Film Award 2016: «Miglior attore non protagonista». Per il suo ruolo di
padre disoccupato in ORO VERDE, Leonardo Nigro ha vinto il Premio del film della
televisione svizzera Swissperform come miglior attore non protagonista.
“Leonardo Nigro esplora in modo convincente ma anche pieno di humour la
difficile situazione di un padre di famiglia divorziato e disoccupato che si
arrabatta come può per soddisfare tutti.” Nel 2009 è Igor in “Sinestesia” di
Erik Bernasconi, per la cui interpretazione riceve numerosi riconoscimenti.
Leonardo Nigro vanta esperienze cinematografiche anche in Italia con i “Big” del
nostro cinema tra cui Lino Banfi, Alessio Boni, Marco Giallini e Claudio
Santamaria, ma siamo convinti che presto lo vedremo alle prese con nuovi
personaggi con l’orgoglio fiero e la passione della terra natia: Avetrana.
Avvocato di Avetrana è Maria Pia Scarciglia,
figlia di Giuseppe (Pino) Scarciglia, noto attivista socialista locale e noto
come consigliere ed assessore comunale, oltre che promotore del comitato no
depuratore Ulmo.
Giovedì 12 Maggio 2016 dal palco del Primo
Maggio a Taranto Maria Pia Scarciglia, presidente di Antigone Puglia,
è intervenuta parlando di carceri (e non solo). Lei che ne conosce bene
l’aspetto sociale, avendo subite dolorose traversie.
Centro sociale perquisito. Due arresti,
scrive Venerdì, 26/05/2006 da Bologna
Il Giornale. Due arresti e quattro denunce, insieme al sequestro di diverse
sostanze stupefacenti: hashish, marijuana, ecstasy e altre droghe sintetiche. È
questo il bilancio delle perquisizioni effettuate ieri dai carabinieri di
Bologna, e disposte dal pm Paolo Giovagnoli, nelle due sedi Livello 57, il
centro sociale che organizza la Street Rave Parade: la parata antiproibizionista
al centro delle polemiche che dovrebbe svolgersi a Bologna il primo luglio. In
manette sono finiti il 30enne Sebastien Gianoglio, francese ma domiciliato a
Bologna, trovato «in possesso di 10 pastiglie di ecstasy e di munizionamento per
armi da guerra e comuni da sparo» e la 32enne Maria Pia Scarciglia,
patrocinatore legale nata a Taranto ma residente a Bologna, «trovata in possesso
di circa 514 grammi di hashish». Sequestrati inoltre 14 personal computer,
«tuttora all'esame degli inquirenti». Denunciate, inoltre, altre quattro
persone, trovate in possesso di sostanze stupefacenti. Il blitz era scattato in
mattinata dopo che le indagini condotte nei mesi scorsi avevano portato alla
luce «l'illecita diffusione, lo spaccio e l'uso di droghe all'interno dei locali
del Livello 57», vendute «in occasione di spettacoli, feste e raduni ad
avventori occasionali ed abituali». In questi giorni, tra il centro sociale e
l'amministrazione comunale, è in corso un duro braccio di ferro proprio sulla
parata antiproibizionista del primo luglio, che il sindaco di Bologna Sergio
Cofferati vorrebbe «stanziale» per evitare danni alla città e lamentele dei
cittadini.
Droga in centro sociale, giovane
condannata a 2 anni e 8 mesi, scrive
il 6 giugno 2006 Romagnaoggi. Nel corso di un blitz dei carabinieri nel centro
sociale Livello 57 di Bologna aveva cercato di disfarsi di tre panetti di
hashish per un totale di 514 grammi. Oggi la praticante legale Maria Pia
Scarciglia, la ragazza di 32 anni di Manduria (Taranto) arrestata dai
carabinieri del Reparto operativo di Bologna lo scorso 25 maggio, e' stata
condannata a 2 anni e 8 mesi di reclusione dal giudice monocratico di Bologna,
Stefano Marinelli. Il pm d'udienza Paolo Giovagnoli aveva chiesto 6 anni, ma la
pena (da scontare ai domiciliari) si e' ridotta sia per la scelta del rito
abbreviato che per le attenuanti generiche concesse alla ragazza difesa
dall'avvocato Rossano Parasido che nell'udienza del 26 maggio scorso aveva
chiesto la scarcerazione e in subordine i domiciliari. In quel caso il processo
era stato rinviato a oggi perchè il legale aveva chiesto i termini a difesa. In
carcere con l'accusa di detenzione di droga ai fini di spaccio erano finiti
Sebastien Gianoglio, nato a Tolosa (Francia), 31 anni, ma domiciliato a Bologna
nei locali del centro sociale, già noto alle forze dell'ordine. Lui era stato
trovato con 10 pastiglie di ecstasy e con munizionamento per armi da guerra e
comuni da sparo, reato per il quale era stato denunciato. Al processo del giorno
dopo era stato scarcerato, ma con l'obbligo di andare via da Bologna perchè gli
era stato notificato il foglio di via obbligatorio. In totale, nel corso del
blitz, erano stati recuperati complessivamente 514 grammi circa di hashish; 14
pastiglie di ecstasy; 6 piantine di marijuana; 35 pastiglie di ''subutex'', 2
grammi di cocaina e altri piccoli quantitativi di hashish e marijuana.
Sequestrati inoltre un frigorifero opportunamente modificato (lampade ad
incandescenza, ventilatori e timer) per fare da mini serra per la coltivazione
di marijuana; materiale per il confezionamento di stupefacente; munizionamento
da guerra; 14 computer ora all'esame degli inquirenti.
Solidarietà per la Scarciglia e per il
Centro Sociale Livello 57!!! Scrive
il 24 novembre 2006 Buco1996. Lo scorso 25 luglio, come molti ricorderanno in
prossimità della street-parade antiproibizionista a Bologna, il centro sociale
Livello 57 fu chiuso dopo un’irruzione da parte delle forze dell’ordine. Il
tutto, proprio in una città governata dall’Unione, dove molti sono stati i
contrasti sui temi della sicurezza e della legalità. Ancora oggi è aperta la
vicenda di Maria Pia Scarciglia, la legale del Livello 57 condannata, il 30
maggio, a 2 anni e 8 mesi per detenzione di stupefacenti in seguito
all’irruzione al centro sociale avvenuta il 25 luglio. Adesso Maria Pia è agli
arresti domiciliari e la scarcerazione è stata negata perché, secondo il
giudice, Maria Pia non era spinta da ragioni contingenti ma “convinzioni
ideologiche legate all’antiproibizionismo delle droghe leggere”, un vero e
proprio reato d’opinione. Il 17 gennaio 2007 ci sarà l’appello, ma nei prossimi
giorni il giudice della corte d’appello dovrebbe decidere se trasformare i
domiciliari in carcere regolare, perché Maria Pia è stata trovata fuori casa,
mentre stava telefonando, 30 minuti prima dell’ora stabilita da un permesso
regolarmente concesso dal giudice. Nel frattempo il centro sociale Livello 57
rimane chiuso, più volte il pm Paolo Giovagnoli ha negato l’autorizzazione a
rientrare, solo il 23 ottobre scorso è stato concesso, ai ragazzi, di prendere
alcuni oggetti personali e quest’ultimi hanno notato diversi segni di vandalismo
avvenuti in seguito all’irruzione, ciò a dimostrazione che non sono le
occupazioni che creano degrado ma, la polizia. Lo stabile, adesso, è stato
assegnato al comune, nonostante Sergio Cofferati (autore di questo “piano”)
abbia assicurato di non voler interferire, prima della fine delle indagini e dei
processi, nei mesi scorsi, intanto, ha fatto arrivare la richiesta del comune di
pagare l’affitto…Se il buon giorno si vede dal mattino, allora c’è da
preoccuparsi.
Droga al Livello, avvocatessa assolta,
scrive Luigi Spezia il 18 gennaio
2007 su "La Repubblica". Per nove mesi tagliata fuori dal mondo, dalle amicizie,
dalla professione e ieri assolta dalla Corte d' Appello. Maria Pia Scarciglia,
praticante legale, ha festeggiato «la fine di un incubo. Credo di essere stata
una delle primissime persone a subire gli effetti della legge Fini-Giovanardi,
che noi contestiamo. Una legge sbagliata che ho subìto sulla mia pelle, sono
stata una vittima prediletta». Maria Pia, una bella ragazza alta e bionda, era
stata arrestata il 25 maggio scorso, dieci ore dopo il blitz dei carabinieri al
Livello 57, il centro sociale bolognese antiproibizionista depositario del
marchio della «Street rave parade». Un' assoluzione - spiegano gli avvocati
Marcello Petrelli e Rossano Parasido - per non aver commesso il fatto, con il
530 secondo comma, la vecchia insufficienza di prove. In primo grado era stata
condannata con il rito abbreviato a due anni e otto mesi, ma il pm Poalo
Giovagnoli ne aveva chiesti quattro. Al processo di appello, invece, è stato
addirittura il sostituto procuratore generale Mauro Monti a chiedere
l'assoluzione, perché le prove appaiono contradditorie. «Ringrazio il dottor
Monti - dice una entusiasta Maria Pia - mi ha fatto un bellissimo regalo insieme
ai giudici che mi hanno assolto. Sono felicissima, posso finalmente tornare a
vivere, riprendere la mia professione, continuare a occuparmi di riduzione del
danno in tema di stupefacenti. Credo che accetterò di lavorare per Forum Droghe,
che si occupa di difesa dei diritti dei consumatori». Per il Livello 57 «è
crollato il teorema del delirio». Maria Pia Scarciglia era accusata di aver
gettato dalla finestra della sede del Livello mezzo chilo di hascisc, che un
cane antidroga ha trovato sotto un'automobile. Era stato un maresciallo a
testimoniare contro di lei. «Ha anche detto di avermi vista, dopo essere scesa
fuori, nascondere la droga ancora meglio sotto l'auto. Io la chiamo "suggestione
investigativa": si è stabilito infatti che dalla posizione in cui si trovava non
poteva vedere i miei piedi. Ma se mi aveva visto così bene, perché mi hanno
arrestata solo dopo dieci ore?». La contradditorietà delle prove contro la
legale del Livello la spiega l'avvocato Petrelli: «Da un lato il progetto dei
carabinieri era quello di aspettare ad eseguire l'arresto per vedere chi sarebbe
ritornato a prendere quella droga gettata da qualcuno durante il blitz, mentre
da un altro viene detto che il ritrovamento dell'hascisc è stato casuale,
eseguito da un cane antidroga. Appare una ricostruzione decisa a posteriori, in
caserma». Il Tribunale, presieduto dal giudice Salvatore Guarino, ha dato
ragione alla difesa e Maria Pia è tornata libera dopo i nove mesi di arresti a
Manduria, provincia di Taranto, con il permesso di lavorare in un negozio di
ottica. «Sei mesi dopo la condanna - racconta - ho fatto ricorso al Tribunale
del Riesame per tornare libera. Hanno respinto la mia richiesta affermando che,
siccome sono una antiproibizionista, ero pericolosa, potevo reiterare il reato.
Una decisione che mi ha fatto più dispiacere della condanna di primo grado,
perché avevo fiducia in questo Tribunale». La praticante legale, che per il
Livello ha curato anche la stesura della convenzione con il Comune, dice di
essere ancora «incazzata dura» per la sua sventura giudiziaria, costretta a
chiudersi in casa dei genitori in un paese «dove tutti hanno saputo». Riconferma
che tornerà a lavorare per il Livello, per le sue scelte antiproibizioniste e di
"riduzione del danno", «che per me significa anzitutto l'affermazione che le
sostanze stupefacenti sono nocive». Sull' inchiesta che riguarda tutto il centro
sociale, dice solo: «Non ho potuto vedere le carte, ma le accuse mi sembrano un
po' vaghe. Se in una festa ragazzi si drogano, è colpa dei gestori?. Vedremo
come finisce la storia».
A BOLOGNA LA RIVINCITA DELLA GIUSTIZIA.
Scrive il 31 gennaio 2007 Fuoriluogo. La vicenda del Livello 57 a Bologna si è
dipanata lungo tutto il 2006 come un intreccio perverso tra vari piani
convergenti, quello mediatico, quello politico e quello giudiziario. Questo
pasticciaccio brutto di via Stalingrado è stato costruito con l’utilizzo
spregiudicato delle norme più repressive della legge sulle droghe, dall’uso
degli infiltrati come agenti provocatori all’esaltazione dell’art. 79 del dpr.
309/90 riveduto e aggravato dalla legge Fini-Giovanardi che punisce
l’agevolazione all’uso di sostanze stupefacenti in un locale pubblico o un
circolo privato con la reclusione da tre a dieci anni. Dalla magistratura
“progressista” di Bologna e dal mondo della politica e degli intellettuali ci si
sarebbe aspettati la denuncia e la contestazione della legge più proibizionista
d’Europa. Invece, non solo si è assistito a un silenzio assordante e
imbarazzante, ma addirittura se ne è fatto un implicito elogio. Il clima da
inquisizione non si è fermato alla chiusura di un punto di aggregazione
giovanile caratterizzato da una costante e riconosciuta azione per interventi di
politica di riduzione del danno verso i giovani consumatori di sostanze
stupefacenti, ma si è dispiegato in vari atti della magistratura. Nello scorso
settembre in una conferenza stampa di Forum Droghe e dell’Mdma, denunciammo le
aberranti tesi ideologiche espresse dal tribunale di Sorveglianza nelle
motivazioni del rigetto di una istanza di sostituzione della misura degli
arresti domiciliari per un’imputata con una meno afflittiva: si teorizzava la
necessità di produrre effetti deterrenti «a maggior ragione su persona che abbia
agito non già sotto la spinta di ragioni contingenti ma per convinzioni
ideologiche legate all’antiproibizionismo delle droghe leggere» (sic!). Quella
persona era Maria Pia Scarciglia, praticante legale e collaboratrice di
Fuoriluogo proprio per fornire assistenza e informazione a tanti giovani
perseguitati dalla legge. La condanna a due anni e otto mesi per spaccio
presunto in primo grado nel maggio scorso è stata ribaltata in appello. Chi era
presente il 17 gennaio nel Palazzo di Giustizia di Bologna ha vissuto una
giornata indimenticabile. Si è capito il significato profondo dell’invocazione
piena di speranza e fiducia «ci sarà un giudice a Berlino». È un bene che la
costruzione del castello accusatorio sia stata superata proprio grazie alla
netta presa di posizione del sostituto procuratore generale Mario Monti, il
quale ha sostenuto che nel processo penale non ci si può fondare sul
pregiudizio. I dubbi sulla ricostruzione del fatto, le contraddizioni e le
incongruenze messe in luce dalla difesa hanno portato a una sentenza che ha
ristabilito la fiducia nella giustizia. Speriamo che questa decisione faccia
riflettere i troppi cultori di teoremi fuori tempo. È comunque assai triste che
esponenti di Magistratura Democratica siano additati come forcaioli. Prima che
alcuni mozzorecchi del diritto facciano altri guasti ci aspettiamo che Giovanni
Palombarini, citiamo lui per tutti, prenda la parola per fermare i guasti
culturali dell’intolleranza.
Vivere in un carcere: il doppio dramma
della condizione delle donne detenute.
Antigone è l'associazione che si occupa dei
diritti e delle garanzie nel sistema penale. La delegazione leccese ha
effettuato, dopo un anno a mezzo, una visita a Borgo San Nicola: migliorato il
dato sul sovraffollamento. Intervista alla responsabile, scrive Gabriele De
Giorgi il 6 maggio 2014 su Lecce Prima. I detenuti, a Lecce come in tutte le
carceri italiane, vivono una condizione che più volte, da osservatori
indipendenti ma anche dagli organismi di vigilanza dell’Unione Europea, è stata
definita disumana e degradante. Il presidente della Repubblica, Giorgio
Napolitano, ancora una settimana addietro chiedeva alle istituzioni di fare il
punto della situazione. L’Italia ha tempo fino al 27 maggio per presentare alla
Corte di giustizia di Strasburgo le soluzioni individuate per migliorare il
sistema detentivo. LeccePrima ha intervistato Maria Pia Scarciglia, responsabile
per Lecce e Taranto dell’associazione Antigone – per i diritti e le garanzie nel
sistema penale – che opera su tutto il territorio nazionale e membro
dell'Osservatorio sulle condizioni delle carceri. Una delegazione ha infatti
effettuato nelle scorse settimane una visita a Borgo San Nicola, diretta da
Antonio Fullone.
Qual è il bilancio dell’ultima visita al
penitenziario?
«L’Osservatorio
di Antigone aveva effettuato l’ultima visita nella casa circondariale di Lecce
nel settembre 2012 ed aveva trovato una situazione molto critica sul piano della
vivibilità visto che i detenuti all’epoca erano circa 1290. Il sovraffollamento
li costringeva a stare in tre in una cella di soli 10,5 metri quadrati. Oggi
invece i detenuti presenti a Borgo San Nicola sono sotto i 1123 di cui 1038
uomini e 85 donne e nelle celle ci sono al massimo due persone, in alcune anche
una. Inoltre abbiamo potuto notare che la circolare del Dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria sulle cosiddette celle aperte è stata
prontamente applicata quasi in tutte le sezioni del carcere leccese, fatta
eccezione per il circuito dell’alta sicurezza. Devo dire che l’attività
dell’osservatorio quest’anno si sta concentrando molto sulla applicazione della
predetta circolare, un provvedimento che sollecita tutti gli istituti di pena a
non circoscrivere i detenuti in una gabbia chiusa, ma consente libertà di
movimento all’interno del padiglione. A Lecce le celle sono aperte in alcune
sezioni dalle ore 08.40 alle ore 11.45 dalle ore 13.00 alle 14.50 dalle 15.00
alle 18.10. Questo accade in tutto il blocco R1 e nella sezione dei dimittendi e
di transito. Il sistema appena descritto incide positivamente sulla vita del
detenuto e dell’intera struttura detentiva che al di là delle iniziali
resistenze, in particolare da parte degli agenti, si sta abituando gradualmente
a questa piccola rivoluzione. I detenuti grazie a questo regime hanno maggiore
libertà di movimento, perché possono circolare nei corridoi e passare il tempo
in delle stanze definite di socialità. A nostro parere occorrerebbe lavorare di
più proprio sugli spazi comuni, luoghi dove i detenuti possono riunirsi per
parlare o fare attività ma che allo stato, sono poco sfruttati e privi di
modalità di vera interazione. Il carcere di Lecce non ha all’interno delle
sezioni un luogo deputato al consumo di cibo che viene somministrato dalla mensa
interna e consumato dentro le celle. Questo impedisce ai detenuti di
socializzare e condividere un momento importante della giornata quale è il
pranzo o la cena. Altra proposta è quella di creare all’interno di ogni sezione
una cucina spazio fondamentale dove favorire socialità, ma anche creatività
soprattutto se pensiamo alle donne».
La cancellazione della Fini-Giovanardi, in
che misura può incidere sul sovraffollamento?
«I
detenuti presenti nelle carceri italiane per violazione della legge sulla droga
erano a fine 2012 25mila 269, il 38,46 per cento del totale. Il dato che più
impressionava era quello dei denunciati per cannabis, pari a circa il 42 per
cento. Ora abbiamo stimato che saranno oltre 20mila i detenuti interessati
dall’abrogazione della legge Fini, in particolare quelli condannati per le
droghe leggere: coloro che lo sono stati in maniera definitiva possono chiedere
alla Procura un incidente di esecuzione. Si tratterà di uno sconto di pena
notevole considerato che la nuova legge ne prevede una, in regime di detenzione,
da 2 a 6 anni per cannabis. Nulla a che fare insomma con le pene draconiane
previste dalle legge Fini Giovanardi: dai 6 a 20 anni di reclusione per tutte le
sostanze. Finalmente è stato posto uno stop a quella scellerata e criminogena
legge che era la Fini Giovanardi colpevole di avere fatto salire
vertiginosamente il numero dei consumatori detenuti che per pochi grammi
finivano nel circuito carcerario anche se incensurati».
Altra zavorra è quella dei tempi
giudiziari. Quanti sono a Lecce i detenuti in attesa di giudizio?
«Dai
dati a nostra disposizione 197 sono i giudicabili, 138 gli appellanti e 127 i
ricorrenti».
Una delle criticità riguarda la condizione
femminile in carcere. Com’è la situazione a Lecce?
«Le
donne al momento della visita erano 85 di cui 16 straniere. La sezione femminile
a Lecce è piuttosto piccola, perché l’istituto era stato pensato solo per gli
uomini. Le celle sono aperte quasi tutto il giorno e non appena
termineranno di installare le telecamere gli orari di apertura saranno uguali
alla sezione a trattamento avanzato. La giornata è scandita da orari e da
attività. Nella sezione femminile vi è la scuola primaria e la scuola
secondaria. Al momento sono attivi i seguenti corsi: Street art e il progetto
Orti Verticali. Vi è poi la sartoria dove lavorano appena 7 donne. Il problema
della formazione al lavoro è serio e i recenti tagli alla spesa
dell’amministrazione penitenziaria pesano non poco se si pensa che tra gli
obiettivi della pena detentiva vi è il reinserimento sociale della persona
detenuta. La donna per natura ha un modo differente di vivere la reclusione e
basta visitare un reparto maschile ed uno femminile per capirne le differenze.
Il carcere non è per le donne e questo sistema carcerario ancora meno. La donna
detenuta nella maggior parte dei casi è moglie e madre. I sensi di colpa delle
madri detenute non hanno eguali e il distacco dai figli è uno degli aspetti più
drammatici della detenzione femminile che nemmeno la legge Finocchiaro è
riuscita realmente a risolvere. Oggi la norma dice che le madri detenute possono
tenere il figlio con sé fino al compimento dei 3anni».
Ma cosa significa per un bambino separarsi
dalla propria madre al superamento di tale età?
«Da
qui si dovrebbe ragionare e pensare a soluzioni e circuiti differenti per coloro
che, se non possono andare agli arresti domiciliari devono essere collocate in
luoghi a custodia attenuata, insieme al proprio bimbo. Gli studi ci dicono
che la donna si ritrova in carcere il più delle volte a causa del suo compagno,
ma al contrario degli uomini, che fuori riescono dopotutto a mantenere un legame
con moglie e famiglia, la donna è stigmatizzata e spesso abbandonata dal marito
e dalla famiglia che non le perdona la violazione del patto sociale a cui lei
era stretta».
Diverse volte è stata rimarcata la quasi
totale assenza di attività formative e di reinserimento sociale. Sono stati
fatti dei passi in avanti?
«La
casa circondariale di Lecce sta lavorando molto sul trattamento e il fatto che
in un istituto di pena operano diverse associazioni, non può che essere
positivo. Sono diversi i corsi e le attività ludico culturali all’interno così
come le iniziative organizzate dalla direzione per accorciare la distanza tra il
carcere e la società civile. Resta però un punto dolente che è il lavoro, troppo
pochi i detenuti e le detenute che svolgono per conto dell’amministrazione o per
ditte esterne attività lavorativa rispetto ai numeri della detenzione».
Una parte dell’opinione pubblica ragiona
spesso con la “pancia” e vede le battaglie per la condizione carceraria con
insofferenza. Cosa si sente di dire a queste persone?
«Il
problema è che l’opinione pubblica è stata sin troppo isterizzata dalla classe
politica sulla questione sicurezza e legalità. Se pensiamo che al governo
abbiamo avuto un partito razzista come la Lega che non ha perso occasione di
puntare il dito contro i rom, i neri, gli stranieri, i drogati o gli
omosessuali, possiamo certamente comprendere, perché quando si parla di detenuti
la gente ragiona con la pancia. La nostra società è stata avvolta negli ultimi
venti anni da una cappa di ignoranza e intolleranza che ha portato leggi nefaste
e abominevoli anche sul piano giuridico, come la legge sull’ immigrazione, sulla
droga e gli innumerevoli ‘pacchetti sicurezza’. Una società, la nostra che non è
cresciuta come avrebbe dovuto con politiche dal volto più umano e capaci di
proteggere le fasce più deboli. Ma al contrario è stata nutrita dal mal costume,
dalla furbizia e dall’ arroganza. Ecco dove sta il problema ed ecco,
perché oggi si predilige sempre di più lo strumento penale simbolo per
eccellenza di controllo e selezione, abdicando così a politiche sociali il cui
compito è quello di rimuovere le diseguaglianze e promuovere il bene comune».
Bimba di due anni vive in carcere con la
mamma, scrive Francesca Pastore
Giovedì 21 Giugno 2018 su Il Quotidiano di Puglia. La chiameremo Azzurra - un
nome di fantasia –, ha soltanto due anni e due mesi e la mattina scorge il sole
tra le sbarre gialle e fredde della casa circondariale di Lecce. Ci sono tanti
giocattoli intorno a lei, quelli non mancano di certo, c’è anche la sua mamma,
ma le manca la libertà. La libertà di poter correre in giardino appena sveglia,
di giocare con i suoi fratelli o fare una passeggiata con il suo papà. Azzurra
“sta scontando” insieme a chi l’ha messa al mondo una pena detentiva. Ma è solo
una bambina e ha il diritto di addormentarsi guardando le stelle, andare a
scuola, praticare sport. Ha diritto ad essere felice. Da circa quattro mesi
Borgo San Nicola è diventata la sua casa, lontane lei e mamma da Foggia, luogo
di residenza e dove si trovano anche papà e i fratellini. La denuncia della
situazione in cui vive Azzurra e la richiesta di trovare una soluzione consona
per lei e la sua mamma, giunge dall’associazione Antigone Puglia, in prima linea
per i diritti e le garanzie nel sistema penale con lo scopo di promuovere
elaborazioni e dibattiti sulla realtà carceraria in Italia. Sono parole dettate
dall’impegno e dall’indignazione quelle della presidente dell’associazione,
l’avvocata Maria Pia Scarciglia. «Nel corso di una delle nostre visite in
carcere, svoltasi lo scorso 5 giugno, abbiamo incontrato una donna Rom con una
figlia di anni 2 e mesi 2. Questa detenuta – spiega la responsabile di Antigone
- è stata trasferita dal carcere di Foggia a quello di Lecce, nonostante a
Foggia viva il marito e gli altri 5 figli minori». Per Maria Pia Scarciglia «non
è concepibile tutto questo, è contro i principi dell’ordinamento penitenziario».
Dal carcere di Lecce intanto già la direttrice, Rita Russo, ha da tempo
sollecitato nelle sedi opportune, chiedendo che la giovane donna venga
trasferita immediatamente, ma ancora non ha ricevuto risposta. «Sono trascorsi 4
mesi – continua Scarciglia - e madre e bambina si trovano nella sezione Alta
Sicurezza, non per tipologia di reato, ma perché il circuito in questione è meno
problematico rispetto a quello delle detenute comuni. Abbiamo lasciato il
carcere di Lecce qualche giorno fa – prosegue la presidente di Antigone - con
l’immagine di questa bambina di 2 anni e poco più seduta nel suo passeggino
nella cella dove è allocata sua madre. La sconfitta della società rispetto al
tema delle carceri è anche questa. Anche solo un bambino dietro le sbarre è una
resa dello Stato di diritto», conclude l’avvocata. Intanto qualche dato emerso
dalla visita di Antigone nella casa circondariale leccese: al momento i detenuti
erano 1.006 (68 donne e 165 stranieri), a fronte di una capienza di 610 posti.
Si registra una maggiore presenza di detenuti stranieri, in particolare
albanesi, rumeni e qualche russo. Alcuni dei detenuti sono sotto osservazione
per radicalizzazione: 2 detenuti ad un livello alto. L’istituto si presenta
molto curato e con ampi ha spazi, nonostante siano assenti aree verdi per i
detenuti e le loro famiglie. Le celle ospitano due detenuti, salvo nel reparto
di osservazione psichiatrica dove sono uno per cella. Il nuovo reparto di
Osservazione psichiatrica vanta 20 posti ma al momento sono presenti 10
pazienti. Poco il lavoro per i detenuti e poche le aziende del territorio che
decidono di assumere detenuti in misura alternativa. I tagli all’assegnazione
dei fondi non ha permesso alla direzione di garantire il numero dei lavorando
dell’anno precedente. A Lecce i detenuti che lavorano sono 253, di cui solo 10
per datore esterno.
“La gente non legge, non sa, ma sceglie,
decide e parla”.
Intervista al sociologo storico Antonio
Giangrande, autore di un centinaio di saggi che parlano di questa Italia
contemporanea, analizzandone tutte le tematiche, divise per argomenti e per
territorio.
Dr Antonio Giangrande di cosa si occupa
con i suoi saggi e con la sua web tv?
«Denuncio
i difetti e caldeggio i pregi italici. Perché non abbiamo orgoglio e dignità per
migliorarci e perché non sappiamo apprezzare, tutelare e promuovere quello che
abbiamo ereditato dai nostri avi. Insomma, siamo bravi a farci del male e
qualcuno deve pur essere diverso!»
Perché dice che “La gente non legge, non
sa, ma sceglie, decide e parla”.
«Libri,
6 italiani su dieci non leggono. In Italia poi si legge sempre meno. Siamo
tornati ai livelli del 2001. Un dato resta costante da decenni: una famiglia su
10 non ha neppure un libro in casa. I dati pubblicati dall’Istat fotografano
l’inesorabile diminuzione dei lettori, con punte drammatiche al Sud. Impietoso
il confronto con l’estero, scrive il 27 dicembre 2017 Cristina Taglietti su "Il
Corriere della Sera". La gente usa esclusivamente i social network per
informarsi tramite lo smartphone od il cellulare. Non usa il personal computer
perchè non ha la fibra in casa che ti permette di ampliare più comodamente e
velocemente la ricerca e l'informazione. La gente, comunque, non va oltre alla
lettura di un tweet o di un breve post, molto spesso un fake nato dall'odio o
dall'invidia, e lo condivide con i suoi amici. Non verifica o approfondisce la
notizia. Non siamo nell'era dell'informazione globale, ma del "passa parola"
totale. Di maggiore impatto numerico, invece, è la ricerca sui motori di
ricerca, non di un tema o di un argomento di cultura o di interesse generale, ma
del proprio nome. Si digita il proprio nome e cognome, racchiuso tra virgolette,
per protagonismo e voglia di notorietà e dalla ricerca risulta quanti siti web
lo citano. Non si aprono quei siti web per verificare il contenuto. Si fermano
sulla prima frase che appare sulla home page di Google o altri motori similari,
estrapolata da un contesto complesso ed articolato. Senza sapere se la
citazione è diffamatoria o meritoria o riconducibile all'autore da lì partono
querele, richieste di rimozione per diritto all’oblio o addirittura indifferenza».
Ha un esempio da fare sull’impedimento ad
informare?
«Esemplari
sono le querele e le richieste di rimozione. Libertà di informazione, nel 2017
minacciati 423 giornalisti. I dati dell'osservatorio promosso da Fnsi e Ordine.
La tipologia di attacco prevalente è l'avvertimento (37 per cento), scrive il 31
dicembre 2017 "La Repubblica". Ognuno di questi operatori dell'informazione è
stato preso di mira per impedirgli di raccogliere e diffondere liberamente
notizie di interesse pubblico. La tipologia di attacco prevalente è stata
l'avvertimento (37 per cento) seguita dalle querele infondate e altre azioni
legali pretestuose (32 per cento)».
E sull’indifferenza…
«Le
faccio leggere un dialogo tra me e un tizio che mi ha contattato. Uno dei tanti
italiani che non si informa, ma usa internet in modo distorto. Uno di quel
popolo di cercatori del proprio nome sui motori di ricerca e che vive di tweet e
post. Un giorno questo tizio mi chiede “Lei ha scritto quel libro?”
E' un saggio - rispondo io. - L'ho scritto e
pubblicato io e lo aggiorno periodicamente. A tal proposito mi sono occupato di
lei e di quello che ingiustamente le è capitato, parlandone pubblicamente, come
ristoro delle sofferenze subite, pubblicando l'articolo del giornale in cui è
stato pubblicato il pezzo. Inserendolo tra le altre testimonianze. Comunque ho
scritto anche un libro sul territorio di riferimento. Come posso esserle utile?
“Volevo giusto capire, io mi sono imbattuto
per caso nell'articolo, cercando il mio nome... E sotto l'articolo ho visto un
link che mi collegava al suo saggio...Capire più che altro perché prendere
articoli di giornale su altra gente e farne un saggio... Sono solo curiosità”.
E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi
non ha arte né parte - spiego io. - I letterati, che non siano poeti, cioè
scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere
“C’era una volta...” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo
il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti
querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere
saggisti e scrivere “C’è adesso...” e parlare di cose reali con nomi e cognomi.
Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e
del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di
scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra. Quando si parla di veri
scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che fece il primo
saggista mondiale. In generale. Dico, in generale: io non esprimo mie opinioni.
Prendo gli articoli dei giornali, citando doverosamente la fonte, affinchè non
vi sia contestazione da parte dei coglioni citati, che siano essi vittime, o che
siano essi carnefici. Perchè deve sapere che i primi a lamentarsi sono proprio
le vittime che io difendo attraverso i miei saggi, raccontando tutto quello che
si tace.
"Siccome io le ho detto mi sono solo
imbattuto per "caso"... Io ho visto questa cosa e sinceramente l'ho letta perché
ho visto il mio nome, ma se dovessi prendere il suo saggio e leggerlo non lo
farei mai. Perché: Cerco di lavorare ogni giorno con le mie forze. I miei
aggiornamenti sono tutt'altro. Faccio tutto il possibile per offrirmi un futuro
migliore. Sono sempre impegnato e non riuscirei a fermarmi due minuti per
leggere".
Rispetto la sua opinione - rispondo. - Era la
mia fino ai trent'anni. Dopo ho deciso che è meglio sapere ed essere che avere.
Quando sai, nessuno ti prende per il culo...
"Ma per le cose che mi possono interessare
per il mio lavoro e il mio futuro nessuno mi può prendere per il culo ... Poi è
normale che in ogni campo ci sia l'esperto…"»
Come commenta...
«Confermo
che quando sai, nessuno ti prende per il culo. Quando sai, riconosci chi ti
prende per il culo, compreso l’esperto che non sa che a sua volta è stato preso
per il culo nella sua preparazione e, di conseguenza sai che l’esperto,
consapevole o meno, ti potrà prendere per il culo».
Comunque rimane la soddisfazione di quei quattro italiani su dieci che leggono.
«Sì,
ma leggono cosa? I più grandi gruppi editoriali generalisti, sovvenzionati da
politica ed economia, non sono credibili, dato la loro partigianeria e
faziosità. Basta confrontare i loro articoli antitetici su uno stesso fatto
accaduto. Addirittura, spesso si assiste, sulle loro pagine, alla scomparsa dei
fatti. Di contro troviamo le piccole testate nel mare del web, con giornalisti
coraggiosi, ma che hanno una flebile voce, che nessuno può ascoltare. Ed allora,
in queste condizioni, è come se non si avesse letto nulla».
Concludendo?
«La
gente non legge, non sa, ma sceglie, decide e parla...e vota. Nel paese degli
Acchiappacitrulli, più che chiedere voti in cambio di progetti, i nostri
politici sono generatori automatici di promesse (non mantenute), osannati da
giornalisti partigiani. Questa gente che non legge, non sa, ma sceglie, decide e
parla, voterà senza sapere che è stata presa per il culo, affidandosi ai
cosiddetti esperti. I nostri politici gattopardi sono solo mediocri
amministratori improvvisati assetati di un potere immeritato. Governanti sono
coloro che prevedono e governano gli eventi, riformando ogni norma intralciante
la modernità ed il progresso, senza ausilio di leggi estemporanee ed
improvvisate per dirimere i prevedibili imprevisti».
PRESENTAZIONE
DELL’AUTORE.
Dr.
Antonio Giangrande. Orgoglioso di essere diverso.
Sono qualcuno, ma non avendo nulla per
poter dare, sono nessuno.
Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il
culo.
Noi siamo quello
che altri hanno voluto che diventassimo. Facciamo in modo che diventiamo quello
che noi avremmo (rafforzativo di saremmo) voluto diventare.
Sono qualcuno, ma non avendo nulla per poter
dare, sono nessuno.
Sono un guerriero e non ho paura di morire.
Non ho nulla più da chiedere a questa vita
che essa non avrebbe dovuto o potuto concedermi secondo i miei meriti. Ma un
popolo di coglioni sarà sempre governato ed amministrato, informato, istruito e
giudicato da coglioni. Ed è per questo che un popolo di coglioni avrà un
Parlamento di coglioni che sfornerà “Leggi del Cazzo”, che non meritano di
essere rispettate. Perché "like" e ossessione del politicamente corretto ci
allontanano dal reale. In quest'epoca di post-verità un'idea è forte quanto più
ha voce autonoma. Se la libertà significa qualcosa allora ho il diritto di dire
alla gente quello che non vuole sentire.
Dunque, è questa vita irriconoscente che ha
bisogno del mio contributo ed io sarò sempre disposto a darlo, pur nella
indifferenza, insofferenza, indisponenza dei coglioni.
Anzichè far diventare ricchi i poveri con
l'eliminazione di caste (burocrati parassiti) e lobbies (ordini professionali
monopolizzanti), i cattocomunisti sotto mentite spoglie fanno diventare poveri i
ricchi. Così è da decenni, sia con i governi di centrodestra, sia con quelli di
centrosinistra.
TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe
ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può
farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od
anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo
infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o
tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a
ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che
lo sopporta, è schiavo. Vittorio Alfieri (1790).
Se a destra son coglioni sprovveduti, al
centro son marpioni, a sinistra “So camburristi”. Ad Avetrana, come in tutto il
sud Italia c’è un detto: “si nu camburrista”. "Camburrista" viene dalla parola
italiana "camorra" e non assume sempre il significato di "mafioso, camorrista"
ma soprattutto di "persona prepotente, dispettosa, imbrogliona, che raggira il
prossimo, che impone il suo volere direttamente, o costringendo chi per lui, con
violenza, aggressività, perseveranza, pur essendo la sua volontà espressione del
torto (non della ragione) del singolo o di una ristretta minoranza chiassosa ed
estremamente visibile.
Oltretutto in tv o sui giornali non si fa
informazione o cultura, ma solo comizi propagandistici ideologici.
Se
questi son giornalisti...
In un mio saggio sulla mafia mi è sembrato
opportuno integrare, quanto già ampiamente scritto sul tema, con una
tesi-articolo pubblicato su "La Repubblica" da parte di un'autrice poco nota dal
titolo "La Mafia Sconosciuta dei Basilischi". Dacchè mercoledì 16 gennaio 2019
mi arriva una e-mail di diffida di questo tenore: qualche giorno fa mi sono resa
conto che senza nessuna tipologia di autorizzazione Lei ha fatto confluire il
mio abstract pubblicato da la Repubblica ad agosto 2017, in un suo libro "La
mafia in Italia" e forse anche in una seconda opera. Le ricordo che a norma
dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la
citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione
al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei
limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza
all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o
di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità
illustrative e per fini non commerciali." NB. In dottrina si evidenzia che “per
uso di critica” si deve intendere l’utilizzazione oggettivamente finalizzata ad
esprimere opinioni protette ex art. 21 e 33 della Costituzione e non, invece,
l’utilizzazione funzionale allo svolgimento di attività economiche ex art. 41
Cost. La sua opera essendo caratterizzata da fini di lucro, (viene venduta al
pubblico ad uno specifico prezzo) rientra a pieno in un'attività economica.
L'art 70 ut supra è, pertanto, pienamente applicabile al caso del mio
abstract, non rientrando neanche nel catalogo di articoli a carattere
"economico, politico o religioso", poichè da questi vengono escluse "gli
articoli di cronaca od a contenuto culturale, artistico, satirico, storico,
geografico o scientifico ", di cui all'art 65 della medesima legge (secondo
un'interpretazione estensiva della stessa), la cui riproduzione può avvenire in
"altri giornali e riviste, ossia in veicoli di informazione diretti ad un
pubblico generalizzato e non a singole categorie di utenti – clienti
predefinite." Pertanto La presente è per invitarLa ad eliminare nel più breve
tempo possibile il mio abstract dalla sua opera (cartecea e digitale), e laddove
sia presente, anche da altri eventuali suoi libri, e-book e cartacei, onde
evitare di dover adire le apposite sedi giudiziarie per tutelare il mio Diritto
d'Autore e pedissequamente richiedere il risarcimento dei danni.
La mia risposta: certamente non voglio
polemizzare e non ho alcun intendimento a dissertare di diritto con lei, che del
diritto medesimo ne fa una personalissima interpretazione, non avendo il mio
saggio alcun effetto anche potenzialmente concorrenziale dell'utilizzazione
rispetto al suo articolo. Nè tantomeno ho interesse a mantenere il suo articolo
nei miei libri di interesse pubblico di critica e di discussione. Libri a
lettura anche gratuita, come lei ha constatato, avendo trovato il suo articolo
liberamente sul web. Tenuto conto che altri sarebbero lusingati nell’essere
citati nelle mie opere, e in migliaia lo sono (tra i più conosciuti e
celebrati), e non essendoci ragioni di utilità per non farlo, le comunico con
mia soddisfazione che è stata immediatamente cancellata la sua tesi dai miei
saggi e per gli effetti condannata all’oblio. Saggi che continuamente sono
utilizzati e citati in articoli di stampa, libri e tesi di laurea in Italia ed
all’estero. E di questo ne sono orgoglioso, pur non avendone mai data
autorizzazione preventiva. Vuol dire che mi considerano degno di essere
riportato e citato e di questo li ringrazio infinitamente.
La risposta piccata è stata: Guardi mi sa che
parliamo due lingue diverse. Non ho dato nessuna interpretazione mia personale
del diritto, ma come può notare dalla precedente mail, mi sono limitata a
riportare il tenore letterale della norma, che lei forse ignora. Io credo che
molte persone, i cui elaborati sono stati interamente riprodotti nei suoi testi,
non siano assolutamente a conoscenza di quello che lei ha fatto. Anche perché
sono persone che conosco direttamente e con le quali ho collaborato e collaboro
tutt'ora. Di certo non sarà lei attraverso l'estromissione (da me richiesta)
dalle sue "opere" a farmi cadere in qualsivoglia oblio, poiché preferisco
continuare a collaborare con professionisti (quali ad esempio Bolzoni) che non
mettono in vendita libri che non sono altro che un insieme di lavori di altri,
come fa lei, ma che come me continuano a studiare ed analizzare questi fenomeni
con dedizione, perizia e professionalità. Ma non sto qui a disquisire e ad
entrare nel merito di determinate faccende che esulano la questio de quo. Spero
che si attenga a quanto scritto nella precedente mail.
A questo preme puntualizzare alcuni aspetti.
Il mio utilizzo dei contenuti
soddisfa i requisiti legali del fair use o del fair dealing ai sensi delle leggi
vigenti sul copyright. Le norme nazionali ed internazionali mi permettono di
manifestare il proprio pensiero, anche con la testimonianza di terzi e a tal
fine fare copie singole di parti di opere per ricerca e studio personale o a
scopo culturale o didattico.
Molti moralizzatori, sempre col ditino
puntato, pretendono di avere il monopolio della verità. Io che non aspiro ad
essere come loro (e di fatto sono orgoglioso di essere diverso) mi limito a
riportare i comizietti, le prediche ed i pistolotti di questi, contrapponendo
gli uni agli altri. A tal fine esercito il mio diritto di cronaca esente da mie
opinioni. D'altronde tutti i giornalisti usano riportare gli articoli di altri
per integrare il loro o per contestarne il tono o i contenuti.
Io sono un Aggregatore di contenuti di ideologia contrapposta con citazione
della fonte.
Il World Wide Web (WWW o semplicemente "il Web") è un mezzo di comunicazione
globale che gli utenti possono leggere e scrivere attraverso computer connessi a
Internet, scrive Wikipedia. Il termine è spesso erroneamente usato come sinonimo
di Internet stessa, ma il Web è un servizio che opera attraverso Internet.
La storia del World Wide Web è dunque molto più breve di quella di Internet:
inizia solo nel 1989 con la proposta di un "ampio database intertestuale con
link" da parte di Tim Berners-Lee ai propri superiori del CERN; si sviluppa in
una rete globale di documenti HTML interconnessi negli anni novanta; si evolve
nel cosiddetto Web 2.0 con il nuovo millennio. Si proietta oggi, per iniziativa
dello stesso Berners-Lee, verso il Web 3.0 o web semantico.
Sono passati decenni dalla nascita del World Wide Web. Il concetto di accesso e
condivisione di contenuti è stato totalmente stravolto. Prima ci si informava
per mezzo dei radio-telegiornali di Stato o tramite la stampa di Regime. Oggi,
invece, migliaia di siti web di informazione periodica e non, lanciano e
diffondono un flusso continuo di news ed editoriali. Se prima, per la carenza di
informazioni, si sentiva il bisogno di essere informati, oggi si sente la
necessità di cernere le news dalle fakenews, stante un così forte flusso
d’informazioni e la facilità con la quale ormai vi si può accedere.
Oggi abbiamo la possibilità potenzialmente infinita di accedere alle
informazioni che ci interessano, ma nessuno ha il tempo di verificare la
veridicità e la fondatezza di quello che ci viene propinato. Tantomeno abbiamo
voglia e tempo di cercare quelle notizie che ci vengono volutamente nascoste ed
oscurate.
Quando parlo di aggregatori di contenuti non mi riferisco a coloro che, per
profitto, riproducono integralmente, o quasi, un post o un articolo. Costoro non
sono che volgari “produttori” di plagio, pur citando la fonte. E contro questi
ci sono una legge apposita (quella sul diritto d’autore, in Italia) e una
Convenzione Internazionale (quella di Berna per
la protezione delle opere letterarie e artistiche). Tali norme vietano
esplicitamente le pratiche di questi aggregatori.
Ci sono Aggregatori di contenuti in Italia, che esercitano la loro attività in
modo lecita, e comunque, verosimilmente, non contestata dagli autori aggregati e
citati.
Vedi Giorgio dell’Arti su “Cinquantamila.it”.
LA STORIA RACCONTATA DA GIORGIO DELL'ARTI. “Salve. Sono Giorgio Dell’Arti.
Questo sito è riservato agli abbonati della mia
newsletter, Anteprima. Anteprima è la spremuta di giornali che realizzo dal
lunedì al venerdì la mattina all’alba, leggendo i quotidiani appena arrivati in
edicola. La rassegna arriva via email agli utenti che si sono iscritti in
promozione oppure in abbonamento qui o sul sito anteprima.news.
Oppure come fa Dagospia o altri siti di
informazione online, che si limitano a riportare quegli articoli che per motivi
commerciali o di esclusività non sono liberamente fruibili.
Dagospia. Da Wikipedia. Dagospia è una pubblicazione web di rassegna stampa e
retroscena su politica, economia, società e costume curata da Roberto
D'Agostino, attiva dal 22 maggio 2000. Dagospia si definisce "Risorsa
informativa online a contenuto generalista che si occupa di retroscena. È
espressione di Roberto D'Agostino". Sebbene da alcuni sia considerato un sito
di gossip, nelle parole di D'Agostino: «Dagospia è un bollettino d'informazione,
punto e basta». Lo stile di comunicazione è volutamente chiassoso e
scandalistico; tuttavia numerosi scoop si sono dimostrati rilevanti esatti.
L'impostazione grafica della testata ricorda molto quella del news
aggregator americano Drudge Report, col quale condivide anche la vocazione
all'informazione indipendente fatta di scoop e indiscrezioni. Questi due
elementi hanno contribuito a renderlo un sito molto popolare, specialmente
nell'ambito dell'informazione italiana: il sito è passato dalle 12 mila visite
quotidiane nel 2000 a una media di 600 mila pagine consultate in un giorno nel
2010. A partire da febbraio 2011 si finanzia con pubblicità e non è necessario
abbonamento per consultare gli archivi. Nel giugno 2011 fece scalpore la notizia
che Dagospia ricevesse 100 mila euro all'anno per pubblicità all'Eni grazie
all'intermediazione del faccendiere Luigi Bisignani, già condannato in via
definitiva per la maxi-tangente Enimont e di nuovo sotto inchiesta per il caso
P4. Il quotidiano la Repubblica, riportando le dichiarazioni di Bisignani ai
pubblici ministeri sulle soffiate a Dagospia, la definì “il giocattolo” di
Bisignani. Dagospia ha querelato la Repubblica per diffamazione.
Diritto di cronaca, dico, che non ha alcuna
limitazione se non quella della verità, attinenza-continenza, interesse
pubblico. Diritto di cronaca su Stampa non periodica.
Che cosa significa "Stampa non periodica"?
Ogni forma di
pubblicazione una tantum, cioè che non viene stampata regolarmente (è tale, ad
esempio, un saggio o un romanzo in forma di libro).
Stampa non
periodica, perché la Stampa periodica è di pertinenza esclusiva della lobby dei
giornalisti, estensori della pseudo verità, della disinformazione, della
discultura e dell’oscurantismo.
Con me la cronaca
diventa storia ed allora il mio diritto di cronaca diventa diritto di critica
storica. La critica storica, se da una parte può scriminare la diffamazione.
Cassazione penale, sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506, dall'altra ha funzione
di discussione: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di
parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per
uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché
non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera".
Certamente le mie opere nulla hanno a che
spartire con le opere di autori omologati e conformati, e quindi non
costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera altrui. Quindi
questi sconosciuti condannati all'oblio dell'arroganza e della presunzione se ne
facciano una ragione.
Ed anche se fosse che la mia cronaca,
diventata storia, fosse effettuata a fini di insegnamento o di ricerca
scientifica, l'utilizzo che dovrebbe inoltre avvenire per finalità illustrative
e per fini non commerciali è pienamente compiuto, essendo io autore ed editore
medesimo delle mie opere e la divulgazione è per mero intento di conoscenza e
non per fini commerciali, tant’è la lettura può essere gratuita e ove vi fosse
un prezzo, tale è destinato per coprirne i costi di diffusione.
Valentina Tatti Tonni soddisfatta su Facebook
il 20 gennaio 2018 ". "Ho appena saputo che tre dei miei articoli pubblicati per
"Articolo 21" e "Antimafia Duemila" sono stati citati nel libro del
sociologo Antonio Giangrande che ringrazio. Gli articoli in questione sono, uno
sulla riabilitazione dei cognomi infangati dalle mafie (ripreso giusto oggi da
AM2000), uno sulla precarietà nel giornalismo e il terzo, ultimo pubblicato in
ordine di tempo, intitolato alla legalità e contro ogni sistema criminale".
Linkedin lunedì 28 gennaio 2019 Giuseppe T.
Sciascia ha inviato il seguente messaggio (18:55)
Libro. Ciao! Ho trovato la citazione di un
mio pezzo nel tuo libro. Grazie.
Citazione: Scandalo molestie: nuove
rivelazioni bomba, scrive Giuseppe T. Sciascia su “Il Giornale" il 15 novembre
2017.
Facebook-messenger 18 dicembre 2018 Floriana
Baldino ha inviato il seguente messaggio (09.17)
Buon giorno, mi sono permessa di chiederLe
l'amicizia perchè con piacevole stupore ho letto il mio nome sul suo libro.
Citazione: Pronto? Chi è? Il carcere al
telefono, scrive il 6 gennaio 2018 Floriana Bulfon su "La Repubblica". Floriana
Bulfon - Giornalista de L'Espresso.
Facebook-messenger 3 novembre 2018 Maria
Rosaria Mandiello ha inviato il seguente messaggio (12.53)
Salve, non ci conosciamo, ma spulciando in
rete per curiosità, mi sono imbattuta nel suo libro-credo si tratti di lei-
"abusopolitania: abusi sui più deboli" ed ho scoperto con piacere che lei m ha
citata riprendendo un mio articolo sul fenomeno del bullismo del marzo 2017.
Volevo ringraziarla, non è da tutti citare la foto e l'autore, per cui davvero
grazie e complimenti per il libro. In bocca a lupo per tutto! Maria Rosaria
Mandiello.
Citazione: Ragazzi incattiviti: la legge del
bullismo, scrive Maria Rosaria Mandiello su "ildenaro.it" il 24 marzo 2017.
I costi occulti di TIM ed Enel. Gli abusi
ed i soprusi delle grande aziende di servizi.
Di Antonio Giangrande.
Chi di voi è passato da TIM Smart a Tim
Connect Fibra Gold? Sicuramente siete stati allettati dalla nuova offerta.
La fibra ultraveloce fino a 1000, il cui
costo era azzerato per il primo anno, ed il modem e TIMVISION sempre inclusi,
con l’obbligo del servizio TIM Expert di euro 6,90 mensili.
Una volta scelta la nuova offerta e leggi la
nuova fattura, ti accorgi che qualcosa non va.
Il servizio Tim Expert non sai cosa sia e se
mai lo utilizzerai.
La velocità della fibra ultraveloce fino a
1000 di 5,20 euro al mese (gratis il primo anno) è identica a quella precedente,
ossia 100 mega circa. Ed in più te la fanno pagare, altro che gratis il primo
anno.
Il noleggio del precedente decoder Tim Vision
continua ad essere addebitato nel costo del servizio.
Intanto ti inviano, non richiesto, un nuovo
decoder Tim Vision, le cui 48 rate ti vengono addebitate alla voce “Altri
Importi” per una volta, due volte, ecc. nella stessa fattura, in numero
conseguenziale alle rate contenute nella fattura precedente, come se i decoder
Tim Vision fossero più d’uno. Come se tu ne vuoi tanti da metterli in vetrina
per tutta la tua casa.
Spesso il Decoder Tim Vision non funziona o
si guasta. Essendo in garanzia lo devi cambiare, sì, ma in uno specifico punto
vendita lontano oltre 50 km.
Se ti lamenti del fatto che tra noleggio ed
acquisto stai pagando 2 o tre Decoder Tim Vision non richiesti e non
utilizzabili, il servizio clienti Tim 187 fa finta di non capire, fermandosi a
controllare solo i costi del servizio in offerta e non analizzando anche gli
altri costi.
Se insisti a spiegare, ti rispondono che è
tutto regolare o ti chiudono la telefonata.
Sanno che nessuno inizia una guerra per pochi
euro.
Comunque ti consigliano di consegnare a tue
onerose spese con pacco postale e con ricevuta di ritorno il decoder Tim a
noleggio e di recedere dal servizio.
Rivolgerti all’AGCOM è inutile, per via della
farraginosa procedura, che si dimostra altresì inutile, perché la denuncia vale
solo ai fini statistici.
La via giudiziaria è da escludere per la
ripetizione dell’indebito o per il risarcimento del danno, in quanto devi prima
attivare la procedura di conciliazione presso il CoReCom, per poi attivare il
Giudice di Pace.
Attivare tutta la trafila per pochi euro non
puoi e poi la spesa non vale la candela.
Devi per forza accumulare l’indebito
addebitato. Insomma: subisci e taci.
Rivolgersi a quelle trasmissioni televisive
di denuncia è vano, sostentandosi, queste, con la pubblicità della Tim.
Alla fine non resta che aspettare una offerta
più vantaggiosa dai concorrenti della Tim, sempre che non siano peggio.
L’ENEL poi, fa ancora peggio. Ti addebita:
spesa per materia energia 19,42
spesa per il trasporto energia elettrica e
gestione del contatore 18,18
spesa per oneri di sistema 13,16
totale Iva 11,17
Totale bolletta 61,93
CONSUMO EFFETTIVO: 0 (ZERO)
Un popolo di coglioni sarà sempre governato
ed amministrato, informato, istruito e giudicato da coglioni. Ed è per questo
che un popolo di coglioni avrà un Parlamento di coglioni che sfornerà “Leggi del
Cazzo”, che non meritano di essere rispettate. Perché "like" e ossessione del
politicamente corretto ci allontanano dal reale. In quest'epoca di post-verità
un'idea è forte quanto più ha voce autonoma. Se la libertà significa qualcosa
allora è il diritto di dire alla gente quello che non vuole sentire.
TIRANNIDE indistintamente appellare
si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle
leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle,
sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o
questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo;
buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che
basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni
popolo, che lo sopporta, è schiavo. Vittorio Alfieri (1790).
Diogene di Sinope.
Un giorno Alessandro Il Grande si recò a Corinto per incontrare il famoso
Diogene di Sinope. L'imperatore, entrato nella botte dentro la quale il filosofo
viveva, chiese se non ci fosse qualche desiderio che avrebbe potuto esaudirgli.
Diogene rispose: " Si, che tu ti tolga dal mio sole". Allora Alessandro
replicò:" Se non fossi Alessandro, vorrei essere Diogene". Così narrava Diogene
Laerzio ne " La vita di Diogene il Cinico", principale fonte di informazioni
sulla vita del filosofo di Sinope, scrive Andrea Chinappi il 29 settembre 2013
su L’Intellettuale dissidente. Figlio di Icesio, cambiavalute incarcerato per
aver alterato le monete, Diogene si spostò ad Atene dove seguì gli insegnamenti
di Antistene, discepolo di Socrate e fondatore della scuola cinica di Cinosarge,
ginnasio ateniese. Inizialmente trattato rudemente, superò Antistene in
austerità della vita e in personalità. “Colpisci pure, che non troverai un legno
così duro che possa farmi desistere dall’ottenere che tu mi dica qualcosa, come
a me pare che tu debba” diceva Diogene al maestro che inizialmente lo
respingeva. Di Diogene non ci sono pervenuti scritti ma biografie e aneddoti che
illustrano perfettamente il pensiero e il carattere del filosofo. In perenne
ricerca dell’autosufficienza (autarkeia) rispetto ai bisogni giudicati
superficiali dell’uomo sociale, individuava negli animali, nei mendicanti e nei
bambini i modelli di vita naturale. Soprattutto questi ultimi rappresentavano
per il filosofo l’esemplare di uomo non ancora corrotto dalle convenzioni
sociali, a differenza di Aristotele che vedeva il bambino come semplice “uomo in
potenza”, in contrapposizione all’uomo maturo portatore di valori e virtù. Per
il filosofo bisognava rifiutare ogni tipo di tabù e convenzioni, disprezzare i
valori correnti come il denaro e il potere, e vivere secondo natura, attraverso
un esercizio fisico e morale in modo tale da restare ai margini della società e
dalla polis, itinerando e presentando sé stesso come modello di vita. Si
raccontava che girasse per Atene con un mantello, un bastone, una ciotola, un
catino e una bisaccia, dormendo ogni tanto in una botte; quando un giorno vide
un fanciullo bere nel cavo delle mani, gettò la ciotola e esclamò: “Un fanciullo
mi ha dato lezione di semplicità”. Non era solito predicare o indottrinare
attraverso ragionamenti articolati, ma quando voleva confutare una teoria o
impartire un insegnamento utilizzava delle battute rapide dette “apoftegmi” o
più spesso mediante gesti e dimostrazioni, come mettendosi a camminare in
risposta alla teoria di Diodoro Crono che negava la realtà del movimento. Molti
aneddoti parlano dei suoi comportamenti paragonabili a quelli di un cane, tanto
che considerò come un elogio l’epiteto “cinico” (da kyon, cane), rivoltogli per
i suoi atteggiamenti. Dedicò molto tempo allo studio del comportamento dei cani,
elogiandone le virtù e la condotta, tanto da assumerne lo stile di vita
vagabondo e addirittura la fisiologia. Secondo le storie raccontate da narratori
del tempo, Diogene viveva in una botte accanto al tempio di Cibele, mangiava e
defecava in pubblico. Durante un banchetto gli gettarono degli ossi, come a un
cane. Diogene, andandosene, pisciò loro addosso, come un cane. (Diogene
Laerzio). Diogene di Sinope fu anche il primo filosofo ad usare la parola
“cosmopolita” in quanto, sempre in sprezzo alle convenzioni, si dichiarava
cittadino del mondo, affermazione sorprendente in un’epoca dove il cittadino era
fortemente legato alla polis di appartenenza. In viaggio verso Egina venne fatto
prigioniero dai pirati, portato a Creta e messo in vendita come schiavo. Qui gli
venne chiesto cosa sapesse fare, al che prontamente rispose: “Comandare gli
uomini”. Venne venduto ad un uomo di Corinto chiamato Xeniade. Divenne tutore
dei due figli del padrone e restò a Corinto per il resto della sua vita,
predicando l’autocontrollo e amministrando con estrema cura la casa tanto che
Xeniade andava dicendo “Un demone buono è venuto a casa mia”. Si narrava ancora
che andasse girovagando per la città con una lanterna accesa e a chi gliene
domandava la ragione rispondeva: “Cerco l’uomo”. Lo sprezzo nei confronti della
società e delle convenzioni, i comportamenti bizzarri e talvolta grotteschi lo
portarono ad una fama tale che per ben due volte Alessandro Magno volle
incontrarlo. Lo stesso Platone lo definì “un Socrate impazzito”, con il quale il
filosofo condivideva l’alto compito di moralizzare l’uomo e la società. Morì a
89 anni a Corinzio sepolto dai due figli di Xeniade: venne eretto in sua memoria
un pilastro di marmo sul quale v’era incisa l’immagine di un cane. Una volta il
filosofo Diogene stava cenando con un piatto di lenticchie. Per caso lo vide
Aristippo, filosofo che trascorreva la vita negli agi, trascorrendo i suoi
giorni a corte e adulando il re. Disse Aristippo: – Caro Diogene, se tu
imparassi ad essere ossequioso con il re, non saresti costretto a dover vivere
mangiando robaccia come quelle lenticchie. Al che Diogene gli rispose: – E se tu
avessi imparato a vivere mangiando lenticchie, ora non saresti costretto ad
adulare il re. (Diogene Laerzio, Vita dei Filosofi).
Henri-Frederic Amiel: le masse saranno sempre
al di sotto della media: "Le masse saranno sempre al di sotto della media. La
maggiore età si abbasserà, la barriera del sesso cadrà, e la democrazia arriverà
all’assurdo rimettendo la decisione intorno alle cose più grandi ai più
incapaci. Sarà la punizione del suo principio astratto dell’uguaglianza, che
dispensa l’ignorante di istruirsi, l’imbecille di giudicarsi, il bambino di
essere uomo e il delinquente di correggersi. Il diritto pubblico fondato
sull’uguaglianza andrà in pezzi a causa delle sue conseguenze. Perché non
riconosce la disuguaglianza di valore, di merito, di esperienza, cioè la fatica
individuale: culminerà nel trionfo della feccia e dell’appiattimento.
L’adorazione delle apparenze si paga. Henri-Frédéric Amiel, Frammenti di diario
intimo, 12 giugno 1871
Il reddito si crea. Il reddito non si
sostenta dallo Stato. Perché se nessuno produce e nessuno commercia, da chi si
prendono i soldi per i consumi o mantenere una società?
Ed una società funziona se sono i capaci e
competenti a farla funzionare, altrimenti si blocca.
In questa Italia cattocomunista non puoi fare
nulla, perché si fotte tutto lo Stato con tasse, tributi e contributi, per
mantenere i parassiti nazionali ed europei.
In questa Italia cattocomunista non puoi
avere nulla, perché si fotte tutto lo Stato con accuse strumentali di mafiosità
e con i fallimenti truccati, per mantenere i profittatori.
In questa Italia parlano di sostegno al
lavoro, ma nulla fanno per incentivarlo a crearlo, come agevolare il credito, o
come detassare, o come sburocratizzare, con eliminazione di vincoli e fardelli.
I giovani in questo modo possono inventare e
creare il proprio lavoro, senza essere condannati alla dipendenza di stampo
socialista.
I giovani hanno bisogno di libertà d’impresa
non di elemosine.
L’Italia è un parassitario senza fondo,
dove i soldi non bastano mai. Reso
così dai catto-comunisti, dissimulati anche sotto mentite spoglie (5
Stelle-Lega). Quei catto-comunisti che se governano loro è democrazia, se
governano gli altri è dittatura. Quei catto-comunisti che, pur minoritari
affetti dalla sindrome della Resistenza, impongono il loro pensiero ideologico
con manifestazioni di piazza, anche violente, disconoscendo l’opera,
addirittura, dei loro stessi rappresentanti parlamentari portatori dei loro
medesimi interessi. Quei catto-comunisti che vogliono il lavoro, ma non vogliono
le imprese che creano lavoro. Per loro il lavoro è inteso ancora come il posto
fisso statale parassitario. Oggi il lavoro si inventa, non lo si subisce o lo si
cerca senza trovarlo. Si agevoli, allora, l’invenzione dell’impresa.
La differenza tra uguaglianza ed equità.
Tre ragazzi di differenti altezze dietro una staccionata, intenti a seguire la
partita di calcio della loro squadra del cuore. Sono poveri e non possono
permettersi il biglietto di ingresso allo stadio. A tutti e tre lo Stato, per il
diritto di uguaglianza, dà a disposizione una identica cassetta di legno
ciascuno, per guardare oltre la staccionata. Il primo da sinistra è
avvantaggiato: essendo già “alto” di suo, ha i requisiti necessari per poter
vedere la partita senza l’ausilio della cassetta. Il secondo, quello al centro,
ha bisogno di quella cassetta per vedere lo spettacolo e con quella ci riesce
benissimo. Il terzo a destra, molto più piccolo di statura rispetto agli altri
due, anche con quel supporto, non arriva a vedere oltre l’ostacolo: non le basta
una cassetta per poter vedere la partita. Con l’equità il primo dei tre può fare
a meno del supporto e, offrendolo al terzo in aggiunta al suo, riesce a
fornirgli la possibilità di raggiungere l’altezza necessaria per vedere la
partita. In Italia con i catto-comunisti c'è il diritto di uguaglianza, non di
equità. Non siamo tutti uguali e non ci può essere diritto di uguaglianza, ma
dare a tutti la possibilità di vedere il futuro, specie ai più meritevoli,
allora sì che si ha l’equità sociale.
LA DITTATURA DEI MEDIOCRI.
Scrive Stefano Zurlo il 23 febbraio 2016 su
Radiomontecarlo. «Rimettere la decisione sulle cose più grandi ai più incapaci».
Questo il destino della democrazia indicato, 150 anni fa, da Henri-Frédéric
Amiel. Il filosofo che, dal suo pensatoio nel cuore di Ginevra, aveva già
previsto i danni della demagogia di cui oggi paghiamo le conseguenze. A causa di
un’«uguaglianza» politicamente corretta che ha dato il potere alla mediocrazia.
Frustate sulla schiena liscia della modernità. Giudizi affilati come coltelli
che scrostano la patina lucente del progresso e mostrano le piaghe dell’umanità,
incamminata verso le magnifiche sorti e progressive. Aforismi che fanno a pezzi
il pensiero politically correct. Forse per questo la profondità
di Henri-Frédéric Amiel è inversamente proporzionale alla sua fama. In Italia,
per esempio, questo irregolare svizzero, vissuto a Ginevra nell’800, non viene
pubblicato da anni ed è sconosciuto ai più. Peccato, perché le sue rasoiate
fanno male e quindi fanno pensare. Lampi che squarciano la notte ottusa del più
ingenuo ottimismo. «L’uomo che non ha una vita interiore è schiavo del suo
ambiente», scrive Amiel. Che poi, perfido, va ben oltre: «Dimmi cosa pensi di
essere e ti dirò cosa non sei». Poche parole, come una scossa, per fare a pezzi
la coperta soffice del pensiero dominante, quello che copre le nostre fragilità,
la poca voglia di guardarci allo specchio scoprendo le nostre rughe e le
cicatrici profonde che il tempo lascia sulla società. L’Illuminismo, le scoperte
scientifiche, la democrazia ci spingono in avanti. C’è chi canta questo mondo
favoloso, finalmente affrancato, e chi, guardandolo in controluce, ne pesa i
difetti. Il conformismo, la massificazione, la democrazia ridotta a mangime per
le frustrazioni del popolo. E poi la fine del rapporto antico come il mondo fra
il bene e il male. Il caos come prodotto paradossale dello sforzo razionalistico
dei secoli precedenti. Sembra di leggere i quotidiani di oggi, lo sgretolarsi
del consorzio civile e il capovolgersi stupefacente della moralità. E invece
siamo a Ginevra, a metà dell’800. Amiel è professore di letteratura francese, di
estetica e di filosofia all’università. Ha tempo per riflettere, anche perché
lui sta in tribuna, ai bordi, non vive l’eccitazione e non partecipa alla grande
corsa. Così distilla le sue annotazioni in un’unica, monumentale, interminabile
opera: il diario, il Journal intime, sterminata fucina di 16.840 pagine che sono
il controcanto sommesso e formidabile ai tanti testi imbevuti come biscotti
nella fede cieca del domani. Chissà, forse Amiel vede lontano perché si trova a
Ginevra, la città di Calvino, uno dei luoghi chiave per capire il passaggio alla
contemporaneità. Forse certi meccanismi, smontati dall’interno, mostrano prima
crepe e incongruenze. Così il professore scruta con il suo binocolo il cielo e
come un profeta prevede tempesta. Quella che squassa il nostro universo, ma già
esemplificata nell’immane tragedia della Prima guerra mondiale. «Il destino
castiga tutto ciò che è falso», ammonisce il visionario. E ancora, con quella
disperazione sottile che anima tutte le Cassandre: «Un errore è pericoloso per
quante più verità contiene». Sarà difficile rimediare ai disastri compiuti, ma
lui con un vantaggio di 100-150 anni e con la precisione di un sociologo già
disegna il nostro paesaggio: «Le masse saranno sempre al disotto della media. La
maggiore età si abbasserà, la barriera del sesso cadrà e la democrazia arriverà
all’assurdo rimettendo la decisione intorno alle cose più grandi ai più
incapaci». Sembra una fotografia feroce e cupa scattata vicino a un seggio
elettorale o davanti al Parlamento, oppure in uno dei tanti divertimentifici che
riempiono l’industria delle nostre vacanze. Invece è il 12 giugno 1871
e Amiel compone la pagina forse più celebre del suo Journal. «Sarà la punizione
del principio astratto dell’uguaglianza», prosegue implacabile, «che dispensa
l’ignorante dall’istruirsi, l’imbecille dal giudicarsi, il bambino dall’essere
uomo e il delinquente dal correggersi». Poche frasi quasi ciniche nella loro
capacità di scorticare la corteccia delle nostre certezze. Facile cavarsela
relegando Amiel nel limbo degli antimoderni, degli snob che disprezzano il
sudore del popolo e ne temono perfino il contatto, nel girone dei misogini dove
pure il docente ginevrino era di casa. Lui avanza come una ruspa, demolendo
quell’illuminismo prêt-à-porter, quel radicalismo di massa che è l’ossatura del
nostro oggi: «Il diritto pubblico fondato sull’uguaglianza andrà in pezzi a
causa delle sue conseguenze. Perché non riconosce la disuguaglianza di valore,
di merito, di esperienza, cioè la fatica individuale: culminerà nel trionfo
della feccia e dell’appiattimento. L’adorazione delle apparenze si paga».
Notazioni furiose e attualissime che
costringono ciascuno di noi a interrogarsi e a porsi domande scomode, quelle che
in fondo in fondo restano sospese per una vita. Probabile che su Amiel abbia
influito anche la biografia di un’infanzia luttuosa, a conferma che i drammi di
un’epoca si mischiano alle tragedie personali: la madre Caroline muore di
tubercolosi nel 1832, quando lui ha solo 11 anni e il padre Henri, negoziante,
la fa finita due anni più tardi gettandosi nel Rodano. Altro che ballo
Excelsior: l’esistenza ha l’andamento di un corteo funebre. Né Amiel riesce a
trovare una sponda nel rigido protestantesimo che ha aperto le vie del
capitalismo più aggressivo, così diverso dal cattolicesimo più autentico che
tiene insieme, nel più precario ma stabile degli equilibri, la misericordia e il
peccato originale. La grandezza e la miseria dell’uomo. Lui resta appartato nel
suo corner, consapevole che la sua voce non verrà ascoltata: «Preferisco tacere
piuttosto che parlare all’indifferenza». Ma il suo compito non cambia e lui
continuerà ad annunciare fino alla morte, arrivata nel 1881 a 60 anni, quel che
gli altri non vogliono sentirsi dire: «Mille cose avanzano, novecentonovantanove
regrediscono: questo è il progresso». Imbattibile. Per chi non avesse inteso,
ecco pronta un’altra lezione, più sottile ma non meno devastante: «La verità
pura non può essere assimilata dalla folla, si deve propagare per contagio».
Folgorante. Come quell’immagine definitiva che ci spalanca la visione di tutte
le dittature possibili, da quella della razza a quella del brutto: «L’uomo è un
automa e i suoi tic sopravvivono alle sue opinioni e ai suoi gusti».
La “mediocrazia” ci ha travolti, così i
mediocri hanno preso il potere,
scrive il 7 aprile 2018 Angelo Mincuzzi su L’urlo. Una «rivoluzione
anestetizzante» si è compiuta silenziosamente sotto i nostri occhi ma noi non ce
ne siamo quasi accorti: la “mediocrazia” ci ha travolti. I mediocri sono entrati
nella stanza dei bottoni e ci spingono a essere come loro, un po’ come gli
alieni del film di Don Siegel “L’invasione degli ultracorpi”. Ricordate?
“Mediocrazia” è il titolo dell’ultimo libro del filosofo canadese Alain
Deneault, docente di scienze politiche all’università di Montreal. Il lavoro
(“La Mediocratie”, Lux Editeur) è stato tradotto in italiano dall’editore Neri
Pozza, con il titolo “La Mediocrazia”. Meritava di essere pubblicato anche in
Italia, se non altro per il dibattito che ha saputo suscitare in Canada e in
Francia. Deneault ha il pregio di dire le cose chiaramente: «Non c’è stata
nessuna presa della Bastiglia – scrive all’inizio del libro -, niente di
comparabile all’incendio del Reichstag e l’incrociatore Aurora non ha ancora
sparato nessun colpo di cannone. Tuttavia, l’assalto è stato già lanciato ed è
stato coronato dal successo: i mediocri hanno preso il potere». Già, a ben
vedere di esempi sotto i nostri occhi ne abbiamo ogni giorno. Ma perché i
mediocri hanno preso il potere? Come ci sono riusciti? Insomma, come siamo
arrivati a questo punto? Quella che Deneault chiama la «rivoluzione
anestetizzante» è l’atteggiamento che ci conduce a posizionarci sempre al
centro, anzi all’«estremo centro» dice il filosofo canadese. Mai disturbare e
soprattutto mai far nulla che possa mettere in discussione l’ordine economico e
sociale. Tutto deve essere standardizzato. La “media” è diventata la norma, la
“mediocrità” è stata eletta a modello.
Chi sono i mediocri. Essere mediocri, spiega
Deneault, non vuol dire essere incompetenti. Anzi, è vero il contrario. Il
sistema incoraggia l’ascesa di individui mediamente competenti a discapito dei
supercompetenti e degli incompetenti. Questi ultimi per ovvi motivi (sono
inefficienti), i primi perché rischiano di mettere in discussione il sistema e
le sue convenzioni. Ma comunque, il mediocre deve essere un esperto. Deve avere
una competenza utile ma che non rimetta in discussione i fondamenti ideologici
del sistema. Lo spirito critico deve essere limitato e ristretto all’interno di
specifici confini perché se così non fosse potrebbe rappresentare un pericolo.
Il mediocre, insomma, spiega il filosofo canadese, deve «giocare il gioco».
Giocare il gioco. Ma cosa significa? Giocare
il gioco vuol dire accettare i comportamenti informali, piccoli compromessi che
servono a raggiungere obiettivi di breve termine, significa sottomettersi a
regole sottaciute, spesso chiudendo gli occhi. Giocare il gioco, racconta
Deneault, vuol dire acconsentire a non citare un determinato nome in un
rapporto, a essere generici su uno specifico aspetto, a non menzionarne altri.
Si tratta, in definitiva, di attuare dei comportamenti che non sono obbligatori
ma che marcano un rapporto di lealtà verso qualcuno o verso una rete o una
specifica cordata. È in questo modo che si saldano le relazioni informali, che
si fornisce la prova di essere “affidabili”, di collocarsi sempre su quella
linea mediana che non genera rischi destabilizzanti. «Piegarsi in maniera
ossequiosa a delle regole stabilite al solo fine di un posizionamento sullo
scacchiere sociale» è l’obiettivo del mediocre. Verrebbe da dire che la
caratteristica principale della mediocrità sia il conformismo, un po’ come per
il piccolo borghese Marcello Clerici, protagonista del romanzo di Alberto
Moravia, “Il conformista”. Comportamenti che servono a sottolineare
l’appartenenza a un contesto che lascia ai più forti un grande potere
decisionale. Alla fine dei conti, si tratta di atteggiamenti che tendono a
generare istituzioni corrotte. E la corruzione arriva al suo culmine quando gli
individui che la praticano non si accorgono più di esserlo.
I mali della politica. All’origine della
mediocrità c’è – secondo Deneault – la morte stessa della politica, sostituita
dalla “governance”. Un successo costruito da Margaret Thatcher negli anni 80 e
sviluppato via via negli anni successivi fino a oggi. In un sistema
caratterizzato dalla governance – sostiene l’autore del libro – l’azione
politica è ridotta alla gestione, a ciò che nei manuali di management viene
chiamato “problem solving”. Cioé alla ricerca di una soluzione immediata a un
problema immediato, cosa che esclude alla base qualsiasi riflessione di lungo
termine fondata su principi e su una visione politica discussa e condivisa
pubblicamente. In un regime di governance siamo ridotti a piccoli osservatori
obbedienti, incatenati a una identica visione del mondo con un’unica
prospettiva, quella del liberismo. La governance è in definitiva – sostiene
Deneault – una forma di gestione neoliberale dello stato, caratterizzata dalla
deregolamentazione, dalle privatizzazioni dei servizi pubblici e
dall’adattamento delle istituzioni ai bisogni delle imprese. Dalla politica
siamo scivolati verso un sistema (quello della governance) che tendiamo a
confondere con la democrazia. Anche la terminologia cambia: i pazienti di un
ospedale non si chiamano più pazienti, i lettori di una biblioteca non sono più
lettori. Tutti diventato “clienti”, tutti sono consumatori. E dunque non c’è da
stupirsi se il centro domina il pensiero politico. Le differenze tra i candidati
a una carica elettiva tendono a scomparire, anche se all’apparenza si cerca di
differenziarle. Anche la semantica viene piegata alla mediocrità: misure
equilibrate, giuste misure, compromesso. È quello che Denault definisce con un
equilibrismo grammaticale «l’estremo centro». Un tempo, noi italiani eravamo
abituati alle “convergenze parallele”. Questa volta, però, l’estremo centro non
corrisponde al punto mediano sull’asse destra-sinistra ma coincide con la
scomparsa di quell’asse a vantaggio di un unico approccio e di un’unica logica.
Che fare? La mediocrità rende mediocri, spiega Denault. Una ragione di più per
interrompere questo circolo perverso. Non è facile, ammette il filosofo
canadese. E cita Robert Musil, autore de “L’uomo senza qualità”: «Se dal di
dentro la stupidità non assomigliasse tanto al talento, al punto da poter essere
scambiata con esso, se dall’esterno non potesse apparire come progresso, genio,
speranza o miglioramento, nessuno vorrebbe essere stupido e la stupidità non
esisterebbe». Senza scomodare Musil, viene in mente il racconto di fantascienza
di Philip Klass, “Null-P”, pubblicato nel 1951 con lo pseudonimo di William
Tenn. In un mondo distrutto dai conflitti nucleari, un individuo i cui parametri
corrispondono esattamente alla media della popolazione, George Abnego, viene
accolto come un profeta: è il perfetto uomo medio. Abnego viene eletto
presidente degli Stati Uniti e dopo di lui i suoi discendenti, che diventano i
leader del mondo intero. Con il passare del tempo gli uomini diventano sempre
più standardizzati. L’homo abnegus, dal nome di George Abnego, sostituisce
l’homo sapiens. L’umanità regredisce tecnologicamente finché, dopo un quarto di
milione di anni, gli uomini finiscono per essere addomesticati da una specie
evoluta di cani che li impiegano nel loro sport preferito: il recupero di
bastoni e oggetti. Nascono gli uomini da riporto. Fantascienza, certo. Ma per
evitare un futuro di cui faremmo volentieri a meno, Deneault indica una strada
che parte dai piccoli passi quotidiani: resistere alle piccole tentazioni e dire
no. Non occuperò quella funzione, non accetterò quella promozione, rifiuterò
quel gesto di riconoscenza per non farmi lentamente avvelenare. Resistere per
uscire dalla mediocrità non è certo semplice. Ma forse vale la pena di tentare.
Il trionfo della Mediocrazia spiegato da
un filosofo. Nel Settecento si
facevano strada grazie agli intrighi. Oggi si moltiplicano ovunque (politica,
scienza, cultura) travestiti da esperti. Il canadese Alain Deneault svela le
ragioni della loro ascesa, scrive Anais Ginori su "La Repubblica" il 25 gennaio
2017. «Non c’è stata nessuna presa della Bastiglia, niente di paragonabile
all’incendio del Reichstag, e l’incrociatore Aurora non ha ancora sparato un
solo colpo di cannone. Eppure di fatto l’assalto è avvenuto, ed è stato coronato
dal successo: i mediocri hanno preso il potere». Il filosofo canadese Alain
Deneault non pensava di avere così tanto successo quando ha pubblicato il suo
saggio sulla rivoluzione silenziosa che ci ha fatto precipitare nel regno del
conformismo.
Il suo La Mediocrazia, pubblicato ora anche
in Italia, ha provocato una presa di coscienza tra molti lettori.
«Evidentemente ho captato qualcosa, un
malessere, che era nell’aria» commenta Deneault seduto in un caffè dal design
retrò. «Nell’America del Nord persino i caffé sono tutti così omologati»
confessa il filosofo cinquantenne che insegna sia a Montreal che a Parigi ed ha
già pubblicato numerosi studi sui paradisi fiscali.
In quale momento storico ha inizio la
Mediocrazia?
«È interessante vedere quando nasce la
parola. Una prima descrizione degli esseri mediocri è fatta da Jean de La
Bruyère nel Settecento. Nella sua galleria di caratteri descrive Celso, un uomo
che ha scarsi meriti e non possiede abilità particolari ma riesce a farsi strada
tra i potenti grazie alla conoscenza di intrighi e pettegolezzi. Nell’Ottocento
il mediocre ha nuove pretese: non è solo in cerca di favoritismi e compiacenze,
ma tenta di essere protagonista nel mondo politico, culturale, scientifico. È in
quel momento che appare il termine mediocrazia. Ne parla ad esempio il poeta
Louis Bouilhet citato da Gustave Flaubert, denunciando la “cancrena” della
società».
Il mediocre è un uomo senza qualità?
«Non per forza. Mediocre è chi tende alla
media, vuole uniformarsi a uno standard sociale. In breve: è il conformismo.
Robert Musil diceva: “Se la stupidità non somigliasse così tanto al progresso,
al talento, alla speranza o al miglioramento, nessuno vorrebbe essere stupido”.
Esistono mediocri di talento. Un tecnico delle luci di una tv commerciale può
essere bravo e dedito quanto uno del Piccolo di Milano. Anzi, spesso serve ancor
più impegno, dedizione. La Mediocrazia riconsoce alcuni meriti, ma solo alcuni».
È un golpe invisibile, senza dover sparare un
colpo.
«L’ingranaggio sociale si è attivato con la
prima rivoluzione industriale. Karl Marx l’aveva intuito. Il capitale ha reso i
lavoratori insensibili al contenuto stesso del lavoro. La mediocrazia è l’ordine
in funzione del quale i mestieri cedono il posto a una serie di funzioni, le
pratiche a precise tecniche, la competenza all’esecuzione pura e semplice. Il
lavoro diventa solo un mezzo di sostentamento, con una progressiva perdita di
soggettività. Una situazione che provoca malessere sociale».
Negli anni Ottanta la fine ideologie e il
trionfo del neoliberismo segnano una nuova svolta: è così?
«Già prima, nel Dopoguerra, si sviluppa il
concetto di governance con la comparsa di grande aziende e multinazionali, poi
mutuato da alcuni leader politici come Margaret Thatcher e Ronald Reagan. Nella
governance la misura dell’efficacia è la salute del settore economico e
finanziario. Così muore la politica, cancellata dai diktat manageriali. Basta
osservare il linguaggio nel dibattito pubblico. Non parliamo più di popolo ma di
società civile, i cittadini diventano partner, riprendendo appunto un lessico
del settore privato anche nella politica e le relazioni sociali. E oggi vediamo
Emmanuel Macron che si vanta di essere pragmatico, sentiamo parlare di realismo
da parte di Manuel Valls. Nel 2012 François Hollande si è fatto addirittura
eleggere con lo slogan di “Presidente normale”».
Perché ha deciso di scrivere un libro su
questo tema?
«Abbiamo davanti problemi troppo gravi: il
riscaldamento climatico, l’inquinamento atmosferico, il crollo delle istituzioni
pubbliche. Ci sono tante e tali minacce che non possiamo accontentarci di
affidare il potere a capetti senza visione e senza convinzioni. Siamo a una
svolta, un momento in cui la gente soffre nel doversi piegare a norme sbagliate.
Le nostre società sono piene di persone che finiscono in depressione, vanno
avanti con gli psicofarmaci. Ci sentiamo oppressi da strutture sociali
vessatorie, alienanti. Siamo sottoposti a una dittatura soft della norma, dello
standard unico. E se non ci adeguiamo veniamo rigettati, espulsi. In sintesi: la
governance è la teoria, la mediocrazia è la modalità. E l’estremo centro è
l’ideologia».
L’estremo centro? Che intende?
«La mediocrazia fa sì che non ci sia più
molta differenza tra Donald Trump e Alexis Tsipras. In ogni caso si applica un
solo programma: sempre più capitali per le multinazionali e i paradisi fiscali,
meno diritti per i lavoratori, meno soldi per il servizio pubblico. Queste
scelte vengono presentate come ineluttabili e soprattutto come ragionevoli. Chi
non si vuole allineare viene trattato da irragionevole, pericoloso, non
realista. L’estremo centro cancella la distinzione tra destra e sinistra, si
presenta come visione unica ed esclusiva, esprimendo intolleranza per tutto ciò
che tenta di rappresentare un’alternativa. E non può essere messo in discussione
anche se è distruttore dal punto di vista ambientale, socialmente iniquo e
intellettualmente imperialista».
Non esiste nessuna alternativa, come diceva
Thatcher?
«L’alternativa che si profila in questo
momento all’estremo centro è il ritorno a metodi di governo violenti, brutali,
una sorta di ritorno alle origini dello Stato primitivo. E quello che vediamo
con i vari Trump, Le Pen. È una differenza di tono, di immagine. In Canada
abbiamo avuto come premier Stephen Harper, che era più a destra di certi
Repubblicani americani, e ora abbiamo il giovane liberal Justin Trudeau. Ma è un
cambio apparente. Uno è arrabbiato, l’altro sorride sempre. Alla fine il
programma, e gli interessi rappresentati, sono gli stessi».
Lei denuncia l’ascesa degli “esperti” nel
mondo accademico e nei media. Cosa rimprovera loro esattamente?
«L’esperto è una figura centrale della
mediocrazia: si sottomette alle logiche della governance, sta al gioco, non
provoca mai scandalo, insegue obiettivi. È la morte dell’intellettuale, come lo
descrive Edward Saïd in un saggio, Dire la verità. Intellettuali e potere. Si
tratta di un sofista contemporaneo, retribuito per pensare in una certa maniera,
che lavora per consolidare poteri accademici, scientifici, culturali. I veri
intellettuali seguono interessi propri, curiosità non dettate a comando, possono
uscire dal gioco. Un giovane ricercatore universitario ha davanti a sé un bivio.
Se vuole essere semplicemente un esperto ha buone possibilità di fare carriera,
ottenere una cattedra, finanziamenti. Se ha il coraggio di restare un
intellettuale puro avrà un futuro molto più incerto. Magari non finirà
assassinato come Rosa Luxembourg o incarcercato come Antonio Gramsci, ma non è
più certo di poter diventare un professore come Saïd o Noam Chomsky. Ha
buone chances di restare precario tutta la vita».
Quali sono le reazioni possibili per
combattere la mediocrazia?
«Nel libro ho elencato almeno cinque modi.
C’è chi rifiuta le facezie e le aberrazioni della società contemporanea e si
mette in disparte: è l’uomo che dorme, come diceva Georges Perec. Esiste il
mediocre per difetto, che subisce tutte le menzogne, soffre in silenzio ma si
consola quando vince la sua squadra del cuore o può progettare una vacanza al
mare. La vera piaga è il mediocre zelante, maestro del compromesso: il presente
gli somiglia, il futuro gli appartiene. Poi c’è il mediocre per necessità,
consapevole della situazione ma che tiene famiglia, non può permettersi il lusso
di uscire dai ranghi. E infine ci sono i fustigatori della mediocrazia: sono
pochi, ma possono tentare di allearsi con i mediocri in disparte e quelli per
necessità. La loro unione può portare alla nascita di movimenti come Occupy o le
Primavere arabe. Nonostante mille difetti queste insurrezioni tentano di
sovvertire le fondamenta delle istituzioni mediocratiche. E magari altri
mediocri, fiutando il vento, potrebbero allora decidere di unirsi a loro per
conformismo. È già successo. L’abbiamo visto negli anni Sessanta e Settanta,
quando molte persone sono diventate fintamente di sinistra».
I pericoli dell'anarco-marxismo dietro la
democrazia diretta. Il potere anche se espropriato finisce ai dirigenti
politici, non certo al popolo, scrive
Francesco Alberoni, Domenica 07/10/2018, su "Il Giornale". La democrazia moderna
è nata dalla concezione di Hobbes e Locke. Essa distingue fra governanti e
governati. I governati rinunciano al loro potere a favore dei governanti (classe
politica, Parlamento) perché garantisce loro la pace, la proprietà e il rispetto
dei diritti fondamentali e inalienabili. Se i governanti governano male verranno
sostituiti. A questa concezione, in epoca moderna si sono opposte in modo
radicale due concezioni: quella marxista e quella anarchica. Il marxismo nega la
funzione dell'imprenditore. L'imprenditore, chiamato capitalista, deruba il
lavoratore di parte del suo lavoro (plusvalore) e con questo acquista i mezzi di
produzione con cui ruberà altro pluslavoro ad altri lavoratori. Bisogna perciò
espropriarlo di questo furto e restituire il maltolto ai lavoratori. E chi
inventerà, chi dirigerà la produzione? I lavoratori stessi. In realtà i
lavoratori da soli non organizzano e non dirigono niente. Dopo la rivoluzione
sovietica a farlo sarà lo Stato, in realtà la classe politica formata dai
dirigenti del Partito comunista. Gli anarchici invece negano la funzione dei
governanti: il popolo sa fare tutto da solo. In questo caso bisogna espropriare
i politici del loro potere e restituirlo al popolo. Questa idea, che si è
realizzata nel passato nelle piccole comunità come decisione di tutti i
cittadini riuniti in assemblea, è stata riportata alla ribalta in Italia dai
Cinque Stelle come democrazia diretta attraverso il web in cui il popolo fa
tutte le leggi, prende tutte le decisioni senza bisogno di una classe politica e
dirigente. Dove viene applicato questo sistema il potere lo prendono i dirigenti
del partito. Di solito promettendo anche ciò che non potranno dare, e lo
conservano con la repressione.
In Italia per molto tempo è stato diffuso il
marxismo, oggi si è fatto strada l'anarchismo e il mito della democrazia
diretta. È strano che queste concezioni e il tipo di conseguenze che hanno sul
sistema politico ed economico non siano oggetto di analisi e di approfondimenti
sulla stampa e la tv perché si tratta di una svolta radicale che stiamo vivendo
ed è la causa del disagio di questa nostra epoca ed è un pericolo per la
democrazia.
Umberto Eco, quando disse che "I social
media danno diritto di parola a legioni di imbecilli",
scrive Otello Lupacchini, Giusfilosofo e magistrato, il 26 febbraio 2016 su "Il
Fatto Quotidiano". In una lectio magistralis tenuta all’università di Torino,
nel giugno del 2015, Umberto Eco scatenò un ampio dibattito pubblico affermando:
“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima
parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la
collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto
di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”. Molti furono
coloro che insorsero contro quella che ritennero un’arrogante manifestazione di
cultura élitaria da parte del Maestro, non avendo neppure percepito il senso di
quella sua semplice constatazione, tesa a stigmatizzare piuttosto il fatto che,
per ripetere la metafora di Alex Horowitz, il cittadino del ventunesimo secolo
somiglia sempre più a una fulminea lepre della tecnologia, la quale si comporta
e comunica come una tartaruga dell’etica, cioè disconosce o ignora
volontariamente i limiti e i rischi etico-dialogici delle opportunità tecniche
offertegli dagli strumenti avanzatissimi che ha in mano, senza perciò migliorare
la qualità di ciò che ci scambia. In ogni caso, simili scomposte e chiassose
reazioni sono sintomatiche esse stesse d’imbecillità, intesa questa come
condizione umana di cui si hanno continue manifestazioni su scala anche vasta e
nei campi più disparati, vita politica compresa, diffusa statisticamente in modo
uniforme nel tempo e nello spazio, senza distinzioni di titolo di studio, di
professione, di reddito; con alcune concentrazioni statistiche, tuttavia, di cui
sarebbe interessante ricercare ragioni e modalità di sviluppo. Bisogna stare
attenti agli indizi, perché gli imbecilli sono pericolosi, molto di più dei
mascalzoni, perché se non ci fossero tanti imbecilli in giro non sarebbe così
facile trovare un furbone che li seduce. Non sempre, per individuarli, basta
l’aspetto fisico, poiché spesso esibiscono facce convincenti, fronti inutilmente
spaziose, tratti d’eleganza, magari posticcia. Più significativi i tic verbali e
le frasi fatte: se afferma che il liberalismo è di sinistra; se parla della
famiglia e della religione, della scuola e dei bambini, tirando fuori i
“valori”; se dice che Roberto Benigni ha avvicinato il pubblico alla Divina
commedia, o che Luciano Pavarotti i giovani alla lirica; se pensa di dissimulare
una patente mutazione genetica definendola un mero ribilanciamento; beh, questi
sono indizi gravi d’imbecillità, ma ancora insufficienti, da soli, per una
definizione della categoria, generale e dettagliata a un tempo. Occorre, dunque,
rivolgere altrove lo sguardo. Una ricerca dei sintomi di imbecillità catalogati
in passato, condotta in ambito filosofico, lascia francamente delusi: tutti i
grandi interrogativi dell’uomo, quali la morte, l’esistenza e l’essenza, la
vita, l’essere e il non essere, hanno trovato spazio in vasti sistemi
interpretativi; non anche, però, l’imbecillità, che il suo filosofo lo sta
ancora aspettando. Ciò non significa, comunque, che diversi pensatori non
abbiano girato intorno alla questione; che almeno talvolta non l’abbiano
sfiorata. Si pensi, per esempio, a Platone: cosa sarebbe il suo celebre mito
della caverna nella Repubblica, se non la storia di una banda d’imbecilli, che
scambiano lucciole per lanterne? E che dire di Cartesio? Cos’è il suo “Cogito,
ergo sum”, se non una macchina da guerra contro l’imbecillità? Non s’è mai
visto, infatti, un imbecille che pensa, là dove, invece, li si sente
continuamente esclamare: “Non ci avevo pensato”. E il dubbio che Cartesio pone
al centro della propria dimostrazione, non è forse l’esatto opposto
dell’approccio tipico dell’imbecille? Sottolineò, in proposito, Voltaire che “il
dubbio non è piacevole, ma la certezza è ridicola. Solo gli imbecilli sono
sicuri di ciò che dicono”. È paradossale, insomma, che l’imbecillità nella
teoria filosofica sia niente, quando basta interessarsi alla storia per rendersi
conto, invece, di come ne fioriscano gli esempi. Si pensi a Luigi XVI che nel
suo diario del 14 luglio 1789 aveva annotato: “Oggi niente…”. Ma si sa, con i re
non c’è da stupirsi: nulla v’è di peggio del ‘figlio di’ che succede al padre,
basti vedere i danni che subiscono le aziende quando il junior eredita l’impero
senza averne le competenze. Per dirla con Pino Aprile, se “l’intelligenza, per
le società umane, è sabbia negli ingranaggi”, che rischia di fare inceppare i
meccanismi, “l’acume, o semplicemente il buon senso, portano confusione”; ciò
spiega la gran quantità d’imbecilli chiamati a ricoprire ruoli decisivi, eppur
capaci di calarsi subito nella parte, i quali, forse convinti del cataclisma che
di lì a poco scateneranno, si sentono in obbligo di pronunciare almeno una frase
memorabile. Fortunatamente, la pochezza dei molti è controbilanciata dalla
genialità di alcuni, si pensi a Mao Tsetung, il “libretto rosso” delle cui
massime, ancora pargolo pieno d’ambizioni, vidi, in fotografia, agitare, ma mai
leggere, da folle oceaniche. Quale messe d’insegnamenti! Quale concentrato di
sapere! A ogni pagina una sensazionale scoperta; il frutto di una sapienza
millenaria. Spigolo: “Se il partito non applica una politica giusta, applica una
politica errata”; “Se non si applica una politica consapevolmente, la si applica
ciecamente”; “Dove la scopa non arriva, la polvere da sola non se ne va”. Tutte
verità sacrosante! “Quali sono i nostri amici e quali i nostri nemici? Ecco un
problema che nella guerra ha un’importanza capitale”. Giustissimo: sarebbe
dolorosissimo credere d’aver vinto e accorgersi, dopo il combattimento, d’aver
sbaragliato gli amici anziché i nemici. “Tra gli scopi della guerra, la
distruzione delle forze nemiche è lo scopo principale”, profonda verità: sarebbe
un errore bombardare il proprio esercito e circondare di affettuose attenzioni
l’esercito nemico. “È del tutto falso asserire che prevalgano gli errori, quando
prevalgono i successi”, l’asserzione è un po’ audace; anche peggio sarebbe
asserire, però, che prevalgano i successi, quando prevalgono gli errori.
Identikit del cretino per capire l’Italia:
il bestiario ironico di Fruttero e Lucentini.
Dal piagnisteo collettivo all’abitudine di scaricare le colpe. Il libro
disponibile da martedì. Alla Fondazione Corriere della Sera un evento a loro
dedicato, scrive Paolo Di Stefano il 16 novembre 2018 su "Il Corriere della
Sera". È sorprendente come l’identikit del cretino, disegnato da Carlo Fruttero
e Franco Lucentini a partire dagli anni Ottanta, riesca ad acquisire un profilo
ancora più nitido alla luce dell’imbecillità attuale. Al punto da avvalorare il
titolo del nuovo libro, «Il cretino è per sempre» (Oscar Mondadori), costruito
da Carlotta Fruttero (figlia di Carlo). Ad eccezione dell’esilarante racconto
iniziale (le inedite «Istruzioni per l’uso dell’Italia» preparate nel 1997 per
il lettore tedesco), si tratta di «pezzi» firmati, nel corso di un ventennio,
dalla coppia più famosa della letteratura italiana.
L’idea del cretino. Nell’introdurre questo
«viaggio d’autore nell’Italia che non cambia mai» (sottotitolo), Michele Serra
ha maturato una sua idea del cretino prefigurato da F&L, che coinciderebbe con
il lagnoso, e cioè l’irresponsabile, colui il quale attribuisce agli altri ogni
sua caduta, disgrazia, errore, dabbenaggine. «Tutto il mondo — si legge in un
articolo del 1982 — sta ormai facendo una lagna tremenda. La fanno gli operai e
gli industriali, i poliziotti e i carcerati, i tassati e i tassatori, i giovani,
i vecchi, i transessuali, i medici, i paramedici, i giornalisti, i tramvieri». E
i politici? Beh, basta pensare all’allegra consuetudine dello scaricabarile: il
disastro di Roma? La lagna risponde che è stato ereditato dal sindaco
precedente... E il sindaco precedente? La catastrofe è stata ereditata dal
sindaco di prima... E così via lagnandosi a ritroso, finisce tutto sulle spalle
di Giulio Cesare.
Il grande piagnisteo collettivo. E va da sé
che al grande piagnisteo collettivo collabora attivamente anche il lagnoso
cittadino comune quando rivendica che se abita in una casa abusiva è colpa della
burocrazia e se le strade sono piene di cicche è perché il comune... Lagna su
lagna, persino la meno aggirabile delle disgrazie, la morte, finisce per essere
sempre a carico di qualcun altro: inadempienze, omissioni, cialtronerie,
incompetenze (dei legislatori che non hanno legiferato, dei controllori che non
hanno controllato, delle strutture sanitarie impreparate, dell’amministratore
corrotto, del bagnino distratto...). «Pretendiamo ormai di vivere in garanzia».
Il lagnoso e la farsa. Ma aprendo un poco il
grandangolo sul bestiario formicolante di F&L, la messinscena del lagnoso appare
come parte di uno spettacolo più maestoso, la gigantesca farsa italiana che si
nutre di quotidiane farse minori su cui i due scrittori posano il loro sguardo
tra l’ironico, il comico e lo sferzante: i cretini sono sempre pronti a
inscenare una farsa, e c’è sempre una farsa a disposizione del cretino. Ecco che
il libro ricostruito per il lettore del 2018 come fosse davvero una diagnosi ex
novo del famoso carattere nazionale ci illustra per piccoli sondaggi in forma di
cronaca, di apologo, di racconto filosofico, di dialogo, di favoletta, di rapido
corsivo un vasto repertorio di spettacoli-farsa: i ministri infantiloidi
intervistati da giornalisti infantiloidi e votati da cittadini infantiloidi; le
folle compresse in estasi davanti a un Manet («ma questi sono qui per Manet o
per poter pensare e dire di aver visto Manet?»); l’eufemismo da treno (per
comunicare il ritardo); il rito sfinente del tema scolastico; le veline dei Tg
(vivaci come un rubinetto che perde); gli chef che sfornano «anguille sublimi» e
«timballi inarrivabili»; i libri banditi come fossero merce da dj; i cortei di
protesta (contro un muro da abbattere che pochi sanno dov’è, qual è, e forse non
c’è); la sciatteria del linguaggio pubblico, tra «nutella lessicale» e «forbita
lingua da pattumiera»; la catena dei condoni e dei condoni dei condoni; la
parata dei «frivoli tromboni», delle «piccole volpi politiche» e dei «grossi
sciacalli» sulle rovine fumanti dopo le catastrofi, dove «tutti se la prendono
con tutti e tutti paralizzano tutti». Era il dicembre 1980 dopo il terremoto
dell’Irpinia. Sembra oggi dopo il crollo del ponte Morandi. Eternamente in
bilico tra solennità e squallore, tra autoassoluzione e filippica, fra tragedia
e comicità, il cretino è per sempre, ed è sempre di più.
Per capire il paese reale vinci l’orrore,
e guarda “Uomini e donne”, scrive il
17 novembre 2018 L’Inkiesta. Ode al programma che più di ogni altro definisce le
dinamiche sociali e amorose del Belpaese, il vero capolavoro di Berlusconi e
Maria De Filippi. Che non è trash. È la realtà italiana. Poche cose al mondo
della nostra televisione credo sappiano raccontare l’Italia, i suoi balconi
affacciati sulle umane attese, allo stesso modo di “Uomini e donne”, capolavoro
mediatico di Maria De Filippi, un dating show pomeridiano da lei condotto con
distaccato interesse, postura da attesa dell’aliscafo sui gradini, Canale 5,
fascia cruciale per un pubblico sinceramente, spietatamente popolare. Lo
scrittore Goffredo Parise, commentando le foto del barone Von Gloeden,
aristocratico omosessuale tedesco che tra ‘800 e ‘900 amava ritrarre nudi i
ragazzi di Taormina ispirandosi alla Grecia e all’Arcadia, provò a ravvisare in
quei volti i progenitori dei nostri contemporanei, destinati a diventare chi
assessore e chi carabiniere. I pronipoti dei fauni ritratti dal barone si sono
forse spettacolarmente reincarnati nelle creature presenti negli studi dove
Maria De Filippi li rende “tronisti” o “troniste”, ancora meglio se “Over”,
spettacolo dedicato agli ultraquarantenni e perfino più su; i protagonisti di
“Uomini e donne” sono infatti lo spietato terminale antropologico
dell’“orgogliosa razza italica”, i nostri parenti, i nostri vicini, i nostri
cognati, i nostri zii e zie, talvolta perfino noi stessi, i volti “lavorati” dai
nostri cugini che, metti, hanno scelto di diventare parrucchieri e visagisti,
non certo dedicarsi alla lettura dei “Sillabari” del citato Parise, e ancor meno
di Pasolini dell'omologazione culturale. Provo a dirla meglio: maschio e femmina
medi, curati nei dettagli fin dalla barba, metti, come un Massimo Bossetti o una
dirimpettaia procace, visi perfetti per figurare se non proprio nell’osceno
leggendario “Autoscatto” di un tempo, piuttosto nella platea dei protagonisti
del “Trono Over”, nome e bocciolo di rosa al petto; pronti, lui, lei, l’altro,
l’altra e ogni altro ancora, a rendere l’idea di una “romantica” assemblea
condominiale: incontrarsi, studiarsi, scrutarsi, piacersi, blandirsi, scazzare,
mettere il muso, sentirsi talvolta un cazzo e un barattolo, come dicono a Roma.
Così nel gioco dell’oca e dell’oco del corteggiamento davanti alle telecamere, e
ancora precipitare giù dallo scivolo del (presunto) “fascino” maschile o
femminile, dove questa parola, un tempo magica, si carica di doverosa banalità.
Così nel gioco dell’oca e dell’oco del
corteggiamento davanti alle telecamere, e ancora precipitare giù dallo scivolo
del (presunto) “fascino” maschile o femminile, dove questa parola, un tempo
magica, si carica di doverosa banalità
Sarebbe tuttavia un errore catalogare il
tutto sotto la voce perfino edificante del trash, magari pensando che le liti
tra Gemma Galgani e Tina Cipollari, o la presenza di Gianni Sperti, summa di
ballerino sedentario, siano il sale di Uomini e donne. È semmai l’insieme a dare
solennità: lo Stivale dei maschi e delle femmine italici che, come la foresta di
Macbeth, si muove prodigiosamente per mostrarsi e finalmente accedere - direbbe
la canzone dei Matia Bazar - a un’ora d’amore. Aggiungo che il momento più alto
della trasmissione, ripeto, da Maria De Filippi condotta con distaccata perizia
da sala d'attesa, non inquadra tanto i fregni (i “tronisti”, vedi: Costantino
Vitagliano, forse l’unico vero erede di Rodolfo Valentino che la tv abbia mai
saputo generare) destinati infine al gradino superiore del Grande Fratello, il
vero picco semmai giunge, appunto, con il Trono Over, i vecchi, i non più
giovani, le tardone, le milf, carburante da sempre dell’onanismo nazionale. Chi
scrive, vanta una ipnotica frequentazione di Uomini e donne, da quando a
brillare accanto a Tina c’era “la signora Claudia” Montanarini, sorta di
Catherine Deneuve di Vigna Stelluti o forse via Cola di Rienzo, luoghi assoluti
della topografia capitolina, dove quest’ultima ambiva alla mano di Roberto, che,
a sua volta, offriva alla dama un anello con “brillocco”, non se ne fece nulla,
così, poco dopo, giunse Benny, cioè Benedetto, palermitano, ballerino convinto,
passi da scimmia di Villa d’Orléans; Benny addirittura rilanciava portando in
dote un appartamento, aprezzabili le immagini di sfondo del “villino” di città
che il cavaliere sicano offriva alla fortunata, Benny non giovanissimo, alla
frase: «Sarebbe bello avere anche dei figli», con strascico d’accento da
impiegato di concetto dell’Enasarco, tuttavia chiosò: «Questo mi pare un po’
difficile». Soffermarsi sulle prime, le seconde e le terze file di chi è giunto
in studio per corteggiare o magari essere corteggiato, notato, conquistare un
tozzo di attenzione, un miracolo per maschi e femmine non più freschi, esponenti
tutti di un’Italia da libretto della pensione nel comodino, la mobilia di
fòrmica in cucina a fare da fondale. Domanda: è forse un’agenzia matrimoniale o
si tratta piuttosto dell’eco delle canzoni afflitte di Aznavour?
Gli uomini sono gli stessi che, nelle proprie
villette, al piano interrato, non hanno potuto fare a meno di prevedere, già in
fase di costruzione, una stanza da battezzare “tavernetta”, le pareti magari
foderate di sughero, come già Marcel Proust, possibile sala da pranzo per
gustare il Pata Negra o anche da trasformare in alcova, le mutandine verde malva
della dama rimaste sul pavimento. Le donne che sognano le estati all’agriturismo
“Il Tucano” o al villaggio turistico, a sera l’abito lungo e la pochette per
danzare, dopo avere passato magari il pomeriggio al minigolf; le nostre zie, i
nostri zii…Il vero picco semmai giunge, appunto, con il Trono Over, i vecchi, i
non più giovani, le tardone, le milf, carburante da sempre dell’onanismo
nazionale.
A volte penso che il vero capolavoro della
televisione di Silvio Berlusconi sia proprio Uomini e donne, chissà se è Maria
De Filippi ne è cosciente, non Amici o C’è posta per te,
non Stranamore, non Drive In. Certi giorni, muovendo da quel format torna in
mente un collega di mio padre, i capelli un po’ lunghi sulle spalle, la Porsche,
il maglione mod “Coppa Davis” annodato sulle spalle, immagino proprio lui tra i
partecipanti, improbabile eppure corteggiato, intuisco che a un certo punto
inviti a ballare Gemma o chi per lei, trovo quasi lo sguardo di invidia di
Antonio Jorio (già, che fine ha fatto Antonio, che poteva pure vantarsi
romanziere?),il fascino del brizzolato, un frasario assai povero e tuttavia che
conquista, «…lo sa che sei tanto bella!», «…come sei romantico», e poi,
«…balliamo? Sì, balliamo», se non Aznavour perfino un brano di Adele, le mani di
lei sul collo di lui, «la tua giacca sul mio viso…». Certi giorni penso che
sarebbe bello trovare un modo, camuffato, i baffi finti, per stare tra il
pubblico, osservarli da vicino: Gemma Galgani, che in una foto d'anni fa si
accompagnava a Walter Chiari, insieme allo stadio o magari all'ippodromo, già,
più uno scatto da ippodromo. Mi immagino a osservare ogni dettaglio, deferente
mentre chiedo l’autografo a Tina, infine provare a domandare che sorte abbia
avuto Elga Profili, che ricordo procace, avvocatessa e marchigiana. Mi immagino
perso nel Mercante in Fiera, il mazzo dell’attesa dell’amore, non Stambecco o
Giapponesina o Lattante o Mietitrice, semmai vistosi orecchini, gilet, barbe
ritagliate, i pantaloni troppo corti che mostrano le caviglie, e poi l’ambito
Rocco. Dove risiede il fascino del cinquantenne Rocco? E che pensieri avranno
Sossio, Raffaele, Davide, Gian Battista, Luciano, Sebastiano e Roberto (non
quello dell’anello, ma uno nuovo, un altro ancora) e Gerardo, e poi sul lato
opposto Cosima, Andreina e tutte le altre? Guardi ancora e ti domandi se, amore
a parte, penseranno qualcosa anche di Salvini e del suo “decreto sicurezza”, e
dello sgombero di Baobab. Adesso che è il momento di ballare spicca però
soltanto la giacca scacchi da amministratore di condominio di Paolo, e su tutto
le cosce e le sopracciglia di Roberta, sarà poi vero che lei stia cercando un
nuovo compagno o le basti piuttosto la soddisfazione d’essere indicata in
strada: «…la vedi, quella? È Roberta di Uomini e donne, che fregna!» Guardi
ancora e ti domandi se, amore a parte, penseranno qualcosa anche di Salvini e
del suo “decreto sicurezza”, e dello sgombero di Baobab e del reddito di
cittadinanza o di inclusione e Renzi e Paola Taverna, e chissà se alcuni di loro
sono mai andato a Predappio, alla tomba di Mussolini, o piuttosto se quell’altro
era al funerale di Berlinguer? Che ne sarà di Gianluca, Roberta, Ursula e Luisa,
che assomiglia alla Vanoni, e che strazio quando la regia fa arrivare il brano
sentimentale di Biagio Antonacci per ancora abbracciarsi, e solo in due, lui e
lei ancora, restano seduti, come alle feste da ragazzi, quando nessuno veniva a
invitarti a ballare.
I conoscenti si incontrano. I compagni
ed i parenti si impongono e si subiscono. I coniugi si tollerano. I figli si
accettano. Gli amici si scelgono. Io non ho amici per il sol fatto che da loro
voglio la perfezione. E, in questo mondo, nessuno è perfetto. (Compreso me).
A molti individui, istituzioni ed
intellettuali compresi, si dà una certa importanza, spesso e volentieri mal
riposta. Questi, se li si conosce bene, ti portano a ravvisare la loro infimità.
Per questo eliminerò dalla lista tutti coloro
che usano FB come strumento di lotta politica, senza costrutto. Si semina odio e
non ci si prodiga alla proposta. Terrò tutti coloro che segnalano fatti che
arricchiscano il sapere ed allargano gli orizzonti. In politica, per vincere
basta essere migliori, forti delle proprie ragioni, e non succubi dei mediocri,
senza necessità di eliminare il nemico.
"Io so di non sapere". Il problema è che,
questo modo di essere, adesso è diventato: "Io so di non sapere e me ne vanto".
Oggi essere ignoranti è qualcosa di cui vantarsi. Prima c’erano i sapienti, da
cui si pendeva dalle loro labbra. Poi sono arrivati gli uomini e le donne
iperspecializzate, a cui si affidava la propria incondizionata fiducia. Alla
fine è arrivata la cultura “fai da te”, tratta a secondo delle proprie fonti:
social o web che sia. A leggere i saggi? Sia mai!
In Italia: i giornalisti non informano; i
professori non istruiscono. Essi fanno solo propaganda. Sono il megafono della
politica e delle vetuste ideologie e quelli di sinistra son molto solidali tra
loro. Se fai notare il loro propagandismo e te ne lamenti, si risentono e
gridano alla lesa maestà, riportandosi alla Costituzione Cattomassonecomunista.
In natura i maiali, se ne tocchi uno, grugniscono tutti, richiamando il loro
diritto di parola.
Scritto tanti anni fa, ma ancora attuale.
John Swinton, redattore capo del New York Times, 12 aprile 1893.
“In America, in questo periodo della storia del
mondo, una stampa indipendente non esiste. Lo sapete voi e lo so pure io. Non
c’è nessuno di voi che oserebbe scrivere le proprie vere opinioni, e già sapete
anticipatamente che se lo facesse esse non verrebbero mai pubblicate. Io sono
pagato un tanto alla settimana per tenere le mie opinioni oneste fuori dal
giornale col quale ho rapporti. Altri di voi sono pagati in modo simile per cose
simili, e chi di voi fosse così pazzo da scrivere opinioni oneste, si
ritroverebbe subito per strada a cercarsi un altro lavoro. Se io permettessi
alle mie vere opinioni di apparire su un numero del mio giornale, prima di
ventiquattr’ore la mia occupazione sarebbe liquidata. Il lavoro del giornalista
è quello di distruggere la verità, di mentire spudoratamente, di corrompere, di
diffamare, di scodinzolare ai piedi della ricchezza, e di vendere il proprio
paese e la sua gente per il suo pane quotidiano. Lo sapete voi e lo so pure io.
E allora, che pazzia è mai questa di brindare a una stampa indipendente? Noi
siamo gli arnesi e i vassalli di uomini ricchi che stanno dietro le quinte. Noi
siamo dei burattini, loro tirano i fili e noi balliamo. I nostri talenti, le
nostre possibilità, le nostre vite, sono tutto proprietà di altri. Noi siamo
delle prostitute intellettuali”.
I governanti sono esclusivamente economisti.
Loro valutano il costo delle loro decisioni in termini economici, non misurano
l’indispensabilità, quindi l’utilità delle loro scelte. Il popolo vuole pane e
divertimento. La libertà, per la gleba, può andarsi a fare fottere. Ecco perché
i governi scelgono di non far niente. E quel niente è importante che sia più
utile che giusto. In questo modo cristallizzano lo status quo.
I Governi sono in balia degli umori del
popolo.
I capitalisti non vogliono dare niente, i
comunisti vogliono solo avere tutto.
I Governi, dettata l’agenda economica, non
avendone la perizia, delegano l’aspetto pratico del governare agli apparati
burocratici. I burocrati ed i magistrati legiferano e decretano a loro
vantaggio, ammantando il loro potere fossilizzato da abuso ed impunità
decennale.
Il popolo tapino subisce e tace, senza
scrupolo di coscienza, perché chi non vuol dare, non dà; chi vuole avere, ha!
I pericoli dell'anarco-marxismo dietro la
democrazia diretta. Il potere anche
se espropriato finisce ai dirigenti politici, non certo al popolo, scrive
Francesco Alberoni, Domenica 07/10/2018, su "Il Giornale". La democrazia moderna
è nata dalla concezione di Hobbes e Locke. Essa distingue fra governanti e
governati. I governati rinunciano al loro potere a favore dei governanti (classe
politica, Parlamento) perché garantisce loro la pace, la proprietà e il rispetto
dei diritti fondamentali e inalienabili. Se i governanti governano male verranno
sostituiti. A questa concezione, in epoca moderna si sono opposte in modo
radicale due concezioni: quella marxista e quella anarchica. Il marxismo nega la
funzione dell'imprenditore. L'imprenditore, chiamato capitalista, deruba il
lavoratore di parte del suo lavoro (plusvalore) e con questo acquista i mezzi di
produzione con cui ruberà altro pluslavoro ad altri lavoratori. Bisogna perciò
espropriarlo di questo furto e restituire il maltolto ai lavoratori. E chi
inventerà, chi dirigerà la produzione? I lavoratori stessi. In realtà i
lavoratori da soli non organizzano e non dirigono niente. Dopo la rivoluzione
sovietica a farlo sarà lo Stato, in realtà la classe politica formata dai
dirigenti del Partito comunista. Gli anarchici invece negano la funzione dei
governanti: il popolo sa fare tutto da solo. In questo caso bisogna espropriare
i politici del loro potere e restituirlo al popolo. Questa idea, che si è
realizzata nel passato nelle piccole comunità come decisione di tutti i
cittadini riuniti in assemblea, è stata riportata alla ribalta in Italia dai
Cinque Stelle come democrazia diretta attraverso il web in cui il popolo fa
tutte le leggi, prende tutte le decisioni senza bisogno di una classe politica e
dirigente. Dove viene applicato questo sistema il potere lo prendono i dirigenti
del partito. Di solito promettendo anche ciò che non potranno dare, e lo
conservano con la repressione. In Italia per molto tempo è stato diffuso il
marxismo, oggi si è fatto strada l'anarchismo e il mito della democrazia
diretta. È strano che queste concezioni e il tipo di conseguenze che hanno sul
sistema politico ed economico non siano oggetto di analisi e di approfondimenti
sulla stampa e la tv perché si tratta di una svolta radicale che stiamo vivendo
ed è la causa del disagio di questa nostra epoca ed è un pericolo per la
democrazia.
La liturgia della politica nel nome della
democrazia, in fondo, è tutta una presa per il culo….
Perché non esiste politica; non esiste
democrazia. Esiste solo l’economia e la finanza. L'utile ed il dilettevole.
I soldi governano il mondo. Non la democrazia
o la dittatura, né tanto meno la fede.
Poveri stolti. “Non fatevi tesori sulla
terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e
rubano; ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove
i ladri non scassinano né rubano” (Matteo 6:19-20).
Vangelo di Matteo, 7, 1: “Non giudicate, per
non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e
con la misura con la quale misurate sarete misurati.”
Col giudizio con cui giudichi sarai
giudicato… ma non da Dio – e difatti Gesù non dice minimamente una cosa del
genere – ma da te stesso, perché tu sei il tuo unico giudice. La misura la
decidi tu, e anche questo Gesù lo dice molto chiaramente, in un modo
indubitabile per chiunque non abbia dei paraocchi davanti agli occhi.
Giudica, e sarai giudicato. Perdona, e sarai
perdonato. Dai, e ti sarà dato. E sarai sempre tu a giudicarti, a perdonarti e a
darti qualcosa, perché sei tu l’unico padrone delle tue energie interiori.
Matteo 7:
1 Non giudicate, per non essere giudicati;
2 perché col giudizio con cui giudicate
sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati.
3 Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del
tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?4 O come
potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio,
mentre nell'occhio tuo c'è la trave?
5 Ipocrita, togli prima la trave dal tuo
occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo
fratello.
6 Non date le cose sante ai cani e non
gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro
zampe e poi si voltino per sbranarvi.
7 Chiedete e vi sarà dato; cercate e
troverete; bussate e vi sarà aperto;
8 perché chiunque chiede riceve, e chi cerca
trova e a chi bussa sarà aperto.
9 Chi tra di voi al figlio che gli chiede un
pane darà una pietra?
10 O se gli chiede un pesce, darà una serpe?
11 Se voi dunque che siete cattivi sapete
dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà
cose buone a quelli che gliele domandano!
12 Tutto quanto volete che gli uomini
facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti.
13 Entrate per la porta stretta, perché larga
è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli
che entrano per essa;
14 quanto stretta invece è la porta e angusta
la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!
15 Guardatevi dai falsi profeti che vengono a
voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci.
16 Dai loro frutti li riconoscerete. Si
raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?
17 Così ogni albero buono produce frutti
buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi;
18 un albero buono non può produrre frutti
cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni.
19 Ogni albero che non produce frutti buoni
viene tagliato e gettato nel fuoco.
20 Dai loro frutti dunque li potrete
riconoscere.
21 Non chiunque mi dice: Signore, Signore,
entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei
cieli.
22 Molti mi diranno in quel giorno: Signore,
Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e
compiuto molti miracoli nel tuo nome?
23 Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai
conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
24 Perciò chiunque ascolta queste mie parole
e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa
sulla roccia.
25 Cadde la pioggia, strariparono i fiumi,
soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché
era fondata sopra la roccia.
26 Chiunque ascolta queste mie parole e non
le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa
sulla sabbia.
27 Cadde la pioggia, strariparono i fiumi,
soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua
rovina fu grande».
28 Quando Gesù ebbe finito questi discorsi,
le folle restarono stupite del suo insegnamento:
29 egli infatti insegnava loro come uno che
ha autorità e non come i loro scribi.
Io, Antonio Giangrande, sono orgoglioso di
essere diverso.
Faccio quello che si sento di fare e credo in
quello che mi sento di credere.
La Democrazia non è la Libertà.
La libertà è vivere con libero arbitrio nel
rispetto della libertà altrui.
La democrazia è la dittatura di idioti che
manipolano orde di imbecilli ignoranti e voltagabbana.
Cattolici e comunisti, le chiese imperanti,
impongono la loro libertà, con la loro morale, il loro senso del pudore ed il
loro politicamente corretto.
Per questo un popolo di coglioni sarà sempre
governato ed amministrato, informato, istruito e giudicato da coglioni. Perché
"like" e ossessione del politicamente corretto ci allontanano dal reale. In
quest'epoca di post-verità un'idea è forte quanto più ha voce autonoma. Se la
libertà significa qualcosa allora è il diritto di dire alla gente quello che non
vuole sentire.
Governare e legiferare secondo l’ideologia
fascio/comunista? No!
Governare e legiferare secondo i dettati
propri di una cattiva fede? No!
Essere liberali vuol dire, in poche parole,
che basta agire correttamente ed in buona fede e comportarsi come un buon padre
di famiglia.
Agire e comportarsi come un buon padre di
famiglia: cosa significa?
In cosa consiste la diligenza del buon padre
di famiglia nell’ambito delle obbligazioni del diritto civile: l’obbligo di
adempiere alla prestazione in buona fede e in modo corretto.
Adempimento delle obbligazioni: correttezza e
buona fede. Il codice civile stabilisce che sia il debitore sia il creditore
devono comportarsi correttamente nell’adempimento delle relative obbligazioni,
sempre secondo buona fede. La seconda regola imposta dal codice civile in
materia di esecuzione del contratto riguarda la diligenza del buon padre di
famiglia. Cosa significa e cosa si intende con tale termine? Sicuramente anche
in questa ipotesi la legge ha preferito usare un termine generale e astratto. Ma
il suo significato è facilmente individuabile. Il “buon padre di famiglia” è
colui che “ci tiene” e che è premuroso, colui cioè che fa di tutto pur di
realizzare l’interesse dei figli. Il che significa che egli assume l’impegno a
conseguire, quanto più possibile, il risultato promesso.
Il codice civile richiama il concetto di buon
padre di famiglia in una serie di norme. Eccole qui di seguito elencate:
Art. 382 Codice civile – Responsabilità del
tutore e del protutore: «Il tutore deve amministrare il patrimonio del minore
con la diligenza del buon padre di famiglia. Egli risponde verso il minore di
ogni danno a lui cagionato violando i propri doveri».
Art. 1001 Codice civile – Obbligo di
restituzione. Misura della diligenza: «L’usufruttuario deve restituire le cose
che formano oggetto del suo diritto, al termine dell’usufrutto, salvo quanto è
disposto dall’art. 995».
Art. 1176 Codice civile – Diligenza
nell’adempimento: «Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la
diligenza del buon padre di famiglia».
Art. 1227 Codice civile – Concorso del fatto
colposo del creditore: «Se il fatto colposo del creditore ha concorso a
cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e
l’entità delle conseguenze che ne sono derivate».
Art. 1587 Codice civile – Obbligazioni
principali del conduttore: «Il conduttore deve prendere in consegna la cosa e
osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l’uso
determinato nel contratto o per l’uso che può altrimenti presumersi dalle
circostanze (…)».
Art. 1710 Codice civile – Diligenza del
mandatario: «Il mandatario è tenuto a eseguire il mandato con la diligenza del
buon padre di famiglia; ma se il mandato è gratuito, la responsabilità per colpa
è valutata con minor rigore».
Art. 1768 Codice civile – Diligenza nella
custodia: «Il depositario deve usare nella custodia la diligenza del buon padre
di famiglia».
Art. 1804 Codice civile – Obbligazioni del
comodatario: «Il comodatario è tenuto a custodire e a conservare la cosa con la
diligenza del buon padre di famiglia. Egli non può servirsene che per l’uso
determinato dal contratto o dalla natura della cosa».
Art. 1838 Codice civile – Deposito di titoli
in amministrazione: «La banca che assume il deposito di titoli in
amministrazione deve custodire i titoli, esigerne gli interessi o i dividendi,
verificare i sorteggi per l’attribuzione di premi o per il rimborso di capitale,
curare le riscossioni per conto del depositante, e in generale provvedere alla
tutela dei diritti inerenti ai titoli. Le somme riscosse devono essere
accreditate al depositante (…). E’ nullo il patto col quale si esonera la banca
dall’osservare, nell’amministrazione dei titoli, l’ordinaria diligenza».
Art. 1957 Codice civile – Scadenza
dell’obbligazione principale: «Il fideiussore rimane obbligato anche dopo la
scadenza dell’obbligazione principale purchè il creditore entro sei mesi abbia
proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate».
Art. 2104 Codice civile – Diligenza del
prestatore di lavoro: «Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta
dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello
superiore della produzione nazionale».
Art. 2148 Codice civile – Obblighi di
residenza e di custodia: «Il mezzadro ha l’obbligo di risiedere stabilmente nel
podere con la famiglia colonica».
Art. 2158 Codice civile – Morte di una delle
parti [in tema di mezzadria]: « (….) In tutti i casi, se il podere non è
coltivato con la dovuta diligenza il concedente può fare eseguire a sue spese i
lavori necessari, salvo rivalsa mediante prelevamento sui prodotti e sugli
utili».
Art. 2167 Codice civile – Obblighi del
colono: «Il colono deve prestare il lavoro proprio secondo le direttive del
concedente e le necessità della coltivazione. Egli deve custodire il fondo e
mantenerlo in normale stato di produttività; deve altresì custodire e conservare
le altre cose affidategli dal concedente con la diligenza del buon padre di
famiglia».
Art. 2174 Codice civile – Obblighi del
soccidario: «Il soccidario deve prestare, secondo le direttive del soccidante,
il lavoro occorrente per la custodia e l’allevamento del bestiame affidatogli,
per la lavorazione dei prodotti e per il trasporto sino ai luoghi di ordinario
deposito. Il soccidario deve usare la diligenza del buon allevatore».
Nessuno tocchi il “buon padre di famiglia”. E
nessuno tocchi i termini “padre” e “madre”, scrive Silvano Moffa venerdì 24
gennaio 2014 su "Il Secolo D’Italia". Dopo il demenziale scardinamento del
valore dei termini padre e madre, sostituibili da quelli di genitore 1 e
genitore 2, l’idea francese di cancellare il “buon padre di famiglia” fa
drizzare i capelli. L’emendamento approvato dal Parlamento parigino a un
progetto di legge sulla pari opportunità tra generi, che elimina dal codice una
formula del linguaggio giuridico corrente, non ha senso. Tutto, ovviamente,
avviene nel nome di un sessismo e di una presunta modernità nei rapporti
relazionali tra le persone, che travalica finanche il senso antico che la
locuzione aveva assunto, sopravvivendo al tempo e ai cambiamenti sociali. La
questione non è di poco conto, e non va sottovaluta. Non fosse altro che per il
fatto che la “diligenza del buon padre di famiglia”, come assioma concettuale e
formula di rito nel campo del diritto, è stata abbandonata in Germania in favore
di altra considerata più moderna, mentre è sopravvissuta in Italia e, finora, in
Francia. La formula compare nelle fonti del diritto romano a partire dal periodo
classico. Furono i giuristi dell’epoca a forgiarne il senso, individuando
nel bonus, prudens et diligens pater familias il soggetto capace di amministrare
accuratamente i propri affari, più o meno come avveniva per il capo dell’azienda
agraria domestica, sui cui si basava la civiltà romana dell’epoca. In seguito,
con l’introduzione dei codici giustinianei, la nozione si è allargata, fino ad
assumere la portata di un criterio generale per individuare i canoni corretti
della prestazione, e il comportamento che deve tenere il debitore diligente. Con
l’evoluzione dei tempi e della società, la “diligenza del buon padre di
famiglia” è arrivata fino ai giorni nostri, scandendo un comportamento medio
come sinonimo di saggezza, di legalità, di etica comportamentale. Un criterio
applicato in maniera più vasta e diffusa nel corpo legislativo e negli
stessi esiti giurisdizionali. Ora, non c’è dubbio che per comprendere la portata
di una tale locuzione bisogna risalire alle origini. Come è chiaro che, per il
fatto stesso che il concetto sia diventato più diffuso nella sfera del
linguaggio giuridico, comporta che le ragioni che ne spiegano l’uso ricorrente e
la portata siano fra loro molto differenti. Ma da qui a decretarne
l’abolizione per uno scopo di pari opportunità di genere ne corre. Pietro
de Francisci, uno dei maggiori storici del diritto romano, spiega nei suoi studi
come la struttura della società romana primitiva (comunità di patres) fosse
l’architrave su cui poggiava tutto il sistema dell’epoca: lo ius Quiritium. Fino
alla fine del V secolo, il pater familias viene visto come un dominus, un
soggetto dotato di un potere (potestas) che ha natura originaria, pre-politica e
pre-statuale. È un sovrano del gruppo, del quale è reggitore e sacerdote,
custode dei sacra e degli auspicia, giudice dei filii familias, con diritto di
punire, fino a giungere alla possibilità di infliggere la pena di morte. E’
evidente la forza implicita in una tale figura nell’epoca antica, ai
primordi del diritto romano. Ed è del pari evidente, come appare persino ovvio,
quanto sia superata, anacronistica, lontana al giorno d’oggi una simile idea di
famiglia. Il problema però è un altro. Intanto, la formula, come abbiamo visto,
ha assunto un significato del tutto diverso nel tempo, anche all’interno dello
stesso diritto romano. In secondo luogo, la diligenza del buon padre di famiglia
è un criterio difficilmente sostituibile con una locuzione che possa avere lo
stesso effetto e la stessa forza immaginifica. Prendiamo ad esempio una
prestazione, nella sua configurazione ordinaria. Attenti giuristi hanno
spiegato come nelle moderne codificazioni che regolano i rapporti dei traffici
giuridici e commerciali, sia ormai superato il dualismo tra colpa in astratto e
colpa in concreto, cui si ricorreva nel determinare la responsabilità della
mancata prestazione. Il modello preferito è ormai quello strettamente oggettivo.
Insomma, dire che il debitore è tenuto alla diligenza del buon padre di famiglia
vuol dire sottolineare che egli è tenuto ad un grado di diligenza media, in
quanto il criterio cui ci si ispira è improntato al buon senso, ad un canone di
normalità, ad un comportamento usuale e corretto nello stabilire il livello dei
rapporti, e nel parametrare il modo in cui non si può non operare nella
generalità dei casi. Nel bonus pater familias residuano, insomma, un nucleo di
saggezza, oltre che una storia e una cultura giuridica di cui dovremmo menar
vanto. Che c’entra con tutto questo il tema delle pari opportunità tra i sessi,
è davvero difficile da comprendere. Altro che modernità. Siamo al cospetto
di una colossale stupidità.
L’invidioso cerca di svalutare l’altro agli
occhi del maggior numero possibile di persone, soprattutto di quelle che
contano. Appena conoscono qualcuno gli trovano da subito dei difetti: il loro
sguardo corre a cercare i limiti, le debolezze e sentono l’esigenza di metterli
subito in evidenza, di renderli noti e di provocare il commento negativo degli
altri. Solitamente gli invidiosi entrano in azione quando il personaggio da
svalutare non è presente, mettendo in moto le “chiacchere da cortile”. (Antonio
Giangrande,
aforisticamente.com/2018/03/26/frasi-citazioni-aforismi-su-svalutare)
Si stava meglio quando si stava peggio.
I miei nonni paterni Giuseppa Caprino e Leonardo Giangrande, democristiani,
contadini beneficiari delle terre della riforma fondiaria di stampo fascista e
genitori di 8 figli, dicevano che con i democristiani nessuno rimaneva indietro
e tutti avevano la possibilità di migliorare il loro stato, se ne avevano la
voglia (lavorare e non sprecare). Nonostante gli sprechi a vantaggio di alcuni
figli a danno di altri e nonostante il regime cattocomunista, che non riconosce
il valore della persona, loro hanno migliorato il loro stato ed hanno avuto la
pensione.
Mio nonno materno Gaetano Santo, comunista, povero contadino ed allevatore
beneficiario delle terre della riforma fondiaria di stampo fascista, padre di 8
figli cresciuti con l’illusione della loro utilità al suo benessere ed alla sua
vecchiaia, tra un bicchiere di vino e l’altro affermava che i ricchi son ricchi
perché hanno rubato ed era giusto espropriare i loro beni per distribuirli ai
poveri. Nonostante il regime cattocomunista, che non riconosce il valore della
persona, lui è morto povero, pur avendo la pensione!
Luigi Malorgio, il nonno materno di mia moglie, prigioniero di guerra e
comunista, povero contadino ed allevatore beneficiario delle terre della riforma
fondiaria di stampo fascista, padre di 4 figli, tra uno spreco e l’altro
affermava, con il solito mantra comunista, che i ricchi son ricchi perché hanno
rubato ed era giusto espropriare i loro beni per distribuirli ai poveri.
Nonostante il regime cattocomunista, che non riconosce il valore della persona,
lui è morto povero, pur avendo la pensione!
Altro mantra dei comunisti era ed è: gli altri vincono perché, essendo ladri,
comprano i voti.
E come dire a detta degli interisti e dei napoletani: la Juventus vince perché
ruba e quindi ridistribuiamo i suoi scudetti. L’Inter ed il Napoli son morti,
comunque, perdenti.
Dopo tanti anni ho constatato che oggi rispetto al tempo dei nonni, nonostante
il progresso tecnologico e culturale, non è più possibile migliorarsi ed
arricchirsi. Inoltre oggi se si diventa ricchi per frutto della propria capacità
e lavoro, non si è più tacciati di ladrocinio, ma di mafiosità. E se prima non
c’era, oggi c’è l’espropriazione proletaria antimafiosa, ma non a favore dei
poveri, ma solo a vantaggio dell’antimafia di sinistra, sia essa apparato
burocratico di Stato, sia essa apparato associativo comunista, sia esso regime
culturale rosso.
Dopo tanti anni ho constatato che, nonostante la magistratura politicizzata che
collude ed i media partigiani che tacciono, i moralizzatori solidali erano e
sono ladri come tutti gli altri, erano e sono mafiosi come, è più degli altri.
Ergo: ad oggi noi moriremo tutti poveri…e probabilmente senza pensione,
accontentandoci di un misero reddito di cittadinanza che prima (indennità di
disoccupazione) era privilegio solo dei lavoratori sindacalizzati disoccupati.
Di fatto, nel nome
di un ridicolo ambientalismo, ci impediscono di farci una casa, ma ci spingono a
comprarci un’auto.
Questo non è
progressismo politico, ma una retrograda deriva culturale che ti porta a dire
che:
è meglio non fare
niente, perché si fotte tutto lo Stato con il Fisco;
è meglio non avere
niente, perché si fotte tutto lo Stato con l’Antimafia.
Quindi, si stava meglio quando si stava peggio.
Ma lasciate che sia il solo a dirlo, così sanno con chi prendersela ed è facile
per loro vincere tutti contro uno. Senza una lapide di rimembranza.
Un tempo non si buttava niente. Tutto si
riciclava. Un tempo si era solo rigattieri senza speranza. Si acquistava e si
rivendeva roba vecchia, usata, fuori uso o fuori moda, specialmente vestiti,
masserizie e simili. La rigattierìa era ciarpame vecchio senza valore, oggetti
di scarto.
Oggi, in nome del consumismo sfrenato, alla
faccia dei comunisti desunti, non si butta il vecchio o rotto cialtrame, ma
tutto quello che in casa non trova posto o non viene usato. I figli crescono? La
tecnologia avanza? I vestiti son fuori moda? Via tutto. Roba nuova, oltretutto
ancora imballata, la ritrovi nelle oasi della raccolta differenziata dei
rifiuti. A regalarla agli altri, sia mai. Anzi buttata…E poi chi la vuole? A
proporla diventa un'offesa. Il consumismo sfrenato anche per chi non ha da
mangiare… Dove siamo arrivati. I conformisti e conformati, poi, se ti vedono a
razzolare intorno a quei beni buttati, ma utilizzabili, ti prendono per un
“Barbone” che rovista nei rifiuti.
Oggi si è solo Antiquari. Il rigattiere, a
differenza dell’antiquario, non seleziona e non valorizza; semplicemente,
rimette in circolazione dei beni che possono avere ancora una loro funzione. Ed
oggi le cose vecchie vanno solo al macero. Vale per le cose; vale per le
persone.
È ora di dirselo, l’uomo comune è una merda.
Dopo la Teoria della classe disagiata, minimumfax continua ad analizzare la
società italiana contemporanea, ma questa volta si parla della Gente, quella
variopinta galassia di umanità rabbiosa, che odia la Casta e non si fida più di
nessuno, ma che è ormai al centro della politica italiana, scrive Andrea Coccia
il 24 Ottobre 2017 su L’Inkiesta. Non è passato nemmeno un mese dall'uscita in
libreria di Teoria della classe disagiata, il libro con cui Raffaele Alberto
Ventura ha cercato di descrivere la traiettoria e lo scacco a cui è soggetta la
classe creativa e intellettuale, minimumfax torna ad affrontare la realtà con un
libro che per molti versi alla Teoria di Ventura è speculare. Si tratta de La
gente. Viaggio nell'Italia del risentimento e raccoglie l'esperienza di reporter
di Leonardo Bianchi, uno che negli ultimi anni si è fatto notare per le sue
scorribande pubblicate da Vice, Internazionale, ValigiaBlu, ed è sostanzialmente
un ritratto, multiforme e sfaccettato come il soggetto di cui parla, di una
parte della società che probabilmente per i disagiati di Ventura è “fuori dalla
bolla”, ma che rappresenta una grande parte dell'Italia e non solo. Dal
movimento dei Forconi ai neofascisti delle periferie romane,
dai complottisti agli anti gender fino ai giustizieri della notte de noartri,
difensori improvvisati dell'ordine pubblico e paladini della legittima difesa,
ma anche buongiornisti, gonzonauti e boccaloni di ogni tipo: la galassia della
Gente — che altri chiamano la Ggente, con la doppia — è dispersa per tutta la
penisola, da Nord a Sud, e pure al Centro, non fa distinzione geografiche, né
campanilistiche. Il denominatore comune di questa ggente è la rabbia,
il risentimento, il richiamo all'autorità — della polizia, delle armi, della
legittima difesa — e il rigetto verso qualsiasi cosa c'entri
con l'autorevolezza, la conoscenza e l'intellettualità. Attorno ai popoli sono
nate le nazioni, che anche se nell'ultimo mezzo secolo stanno dimostrando di
essere arrivate al capolinea della loro utilità storica, restano la più grande
invenzione politica della modernità occidentale. Attorno alla gente stanno
crollando le democrazie. Quello di Leonardo Bianchi è un gran lavoro, ma
d'altronde lo è sempre stato. A differenza di quello teorico di Ventura, il suo
ha le radici ben piantate nella cronaca, nei volti e nelle vite dei personaggi
che mette in scena — e che non di rado racconta in maniera decisamente
cinematografica — ma nello stesso tempo riesce a non privarsi della profondità,
del tentativo di uscire dall'hic et nuncunendo i puntini e cercando di vedere il
quadro complessivo. Per qualcuno la Ggente sarebbe l'ultima evoluzione
del Popolo, quell'entità che è entrata a piedi uniti nella politica a partire
dall'epoca delle rivoluzioni, ma forse è qualcosa di più complesso. Per cercare
di definirlo Bianchi ne traccia tre grandi caratteristiche: il forte
risentimento verso la cosiddetta Casta; la rabbia esasperata, indignata, ma
soprattutto non imbrigliata in una ideologia di partito; e la tendenza a
inventare e a credere a teorie del complotto e versioni alternative nei campi
della storia, della geopolitica, della medicina. Eppure, la sensazione che resta
dopo la lettura dei reportage di Bianchi è che più che al popolo, questa gente
somigli alla folla, quella entità che iniziò ad apparire nell'immaginario
collettivo intorno alla metà dell'Ottocento, descritta nel celebre racconto
di Edgar Poe, l'Uomo della folla. È probabilmente più da quella massa variegata
ma indistinta, da quel flusso che figliò poi nel Novecento la società di massa
dell'omologazione e dell'individualismo apolitico che nasce il gentismo e la
gente. Attorno ai popoli sono nate le nazioni, che anche se nell'ultimo mezzo
secolo stanno dimostrando di essere arrivate al capolinea della loro utilità
storica, restano la più grande invenzione politica della modernità
occidentale. Attorno alla gente stanno crollando le democrazie. I popoli
erigevano monumenti ai propri eroi e ci si raccoglieva intorno al momento delle
proprie rivendicazioni politiche, la gente, che non ha nemmeno più grandi
rivendicazioni da fare, la strada la teme, la guarda di sottecchi dalle finestre
dei piani alti di qualche caseggiato popolare, covando rabbia, rancore,
risentimento. Con il popolo una volta si poteva immaginare di costruire delle
comunità, con la gente, ora, non si costruisce nulla, ma al contrario, si
distrugge.
Il Belpaese è diventato brutto.
Da due-tre decenni il Paese è rimasto privo di qualunque sede pubblica deputata
alla formazione non solo e non tanto culturale ma specialmente del carattere e
della sensibilità civile, all’insegnamento di quei valori in definitiva morali
su cui si regge la convivenza sociale, scrive Ernesto Galli della Loggia il 8
settembre 2018 su "Il Corriere della Sera". È bene che ce lo diciamo per primi
noi stessi: l’Italia sta diventando un Paese invivibile. Un Paese incolto nel
quale ogni regola è approssimativa, il suo rispetto incerto, mentre i tratti
d’inciviltà non si contano. Basta guardarsi intorno: sono sempre più diffusi e
sempre meno sanzionate dalla condanna pubblica l’ignoranza, la superficialità,
la maleducazione, la piccola corruzione, l’aggressività gratuita. Una
discussione informata è ormai quasi impossibile: in generale e specie in
pubblico l’italiano medio sopporta sempre meno di essere contraddetto e diffida
di chi prova a farlo ragionare, mostrandosi invece disposto a credere volentieri
alle notizie e alle idee più strampalate. Non è un ritratto esagerato: è
l’immagine che sempre più dà di sé il nostro Paese. La verità è che nel costume
degli italiani è intervenuta una frattura che ha inevitabilmente modificato
anche la qualità della cultura civica della Penisola e quindi di tutta la nostra
vita collettiva a cominciare dalla vita politica. Il cui degrado non comincia a
Montecitorio, comincia quasi sempre a casa nostra. Ho parlato di frattura perché
le cose non sono andate sempre così. È vero che al momento della sua nascita lo
Stato repubblicano non ha potuto certo contare su cittadini istruiti e tanto
meno su un diffuso senso civico o su una vasta acculturazione di tipo
democratico. Inizialmente, infatti, la cultura civica del Paese fu limitata in
sostanza a quella delle sue élite politiche e del sottile strato di persone a
esse in vario modo vicine (e dio sa con quali e quante contraddizioni!). Ma a
compensare in qualche misura queste carenze, e quindi a rendere possibile la
crescita di una vita pubblica più o meno consona ai nuovi tempi democratici,
valse almeno il fatto che nel tessuto italiano continuavano pur sempre a
esistere una tradizionale civiltà di modi, una costumatezza delle relazioni
sociali, un antico riguardo per le forme e per i ruoli, un generale rispetto per
il sapere e per l’autorità in genere. Fu su questo terreno che nel corso del
primo mezzo secolo di vita della Repubblica ebbero modo di mettere radici e di
consolidarsi una non disprezzabile educazione civica e politica, una discreta
consuetudine alle regole della convivenza e della libera discussione. Contò
naturalmente l’innalzamento del reddito e delle condizioni di vita, ma una parte
decisiva ebbero altri fattori. Innanzitutto l’esistenza di una politica fondata
sulle grandi organizzazioni di massa — i partiti e i sindacati con le loro
scuole, come quella del Partito comunista alle Frattocchie, dove poté svolgersi
l’esperienza su vasta scala di una socialità discorsiva bene o male fondata
sull’argomentazione razionale e sulla conoscenza dei problemi e delle possibili
soluzioni — ; ma contò moltissimo la presenza nel Paese di quattro fondamentali
agenzie di socializzazione: la Chiesa, la leva militare, la scuola e la
televisione pubblica. Nel dopoguerra per milioni di italiani avviati a uscire da
un mondo rurale spesso primitivo, la parrocchia, l’oratorio, furono una palestra
di acculturazione civile, di una certa appropriatezza di modi, di rispetto delle
competenze e dei ruoli, di avviamento alle regole di una non belluina
convivenza. Opera in parte analoga svolse la scuola. Ancora sicura di sé, della
sua funzione e del suo buon diritto a esercitarla, la scuola istruì, valse a
sottolineare senza remore l’indiscutibile centralità della cultura e dello
studio, educò alle forme basilari della modernità e delle istituzioni dello
Stato così come alla disciplina e al rispetto dell’autorità. A un dipresso le
medesime cose fece l’esercito di leva, in più addestrando in molti casi al
valore della competenza, alla coesione in vista di un traguardo collettivo, alla
solidarietà di gruppo, al carattere inevitabile di una gerarchia. Infine vi fu
la televisione pubblica. Padrona monopolistica dell’immaginario del Paese, essa
si propose di esserne la grande pedagoga. E lo fu: in un modo che oggi fa
sorridere ma lo fu. Divulgò la lingua nazionale, diffuse un’informazione
sapientemente calibrata, cercò d’ispirarsi per tutto il resto alla buona
cultura, al «sano» divertimento, ai «buoni» sentimenti, a una morale cautamente
in equilibrio tra vecchio e nuovo. Il tutto all’insegna della compostezza e
delle buone maniere: perfino i conduttori dei telequiz si rivolgevano alla
«signora Longari» chiamandola per l’appunto signora. Intendiamoci, non è che
l’Italia d’allora fosse una specie di idilliaco piccolo mondo antico:
tutt’altro. Ma fino agli anni 80 la nostra rimase comunque una società
strutturata intorno a istituzioni formative consistenti: ciascuna animata a suo
modo dalla consapevolezza di avere un compito da svolgere e decisa a svolgerlo.
Un compito — questo mi sembra oggi molto importante — svincolato nel suo
perseguimento e per i suoi obiettivi sia dal mercato sia dai desiderata del
pubblico. In questo senso, infatti, né la Chiesa, né la scuola, né l’esercito,
né la televisione di Bernabei potevano certo dirsi istituzioni democratiche:
tanto meno del resto pensavano di doverlo essere. Ma proprio perciò esse
assolvevano un compito prezioso per la democrazia liberale. La quale, per
l’appunto, sopravvive solo se esistono degli ambiti della società che non
obbediscono alle sue regole. Se esistono degli ambiti, delle istituzioni, dove
non vigono né il principio del consenso dal basso né la regola della
maggioranza. Solo a queste condizioni, infatti, possono aversi due conseguenze
decisive: da un lato la produzione di un sapere realmente libero, — fatto cioè
di analisi, di idee e valori condizionati solo dalla personale ricerca della
verità — e dall’altra la formazione di vere élite del merito. Solo a queste
condizioni si crea un ambiente sociale e un’atmosfera psicologica dove di regola
l’ultima parola non l’abbiano, da soli o coalizzati, chi alza più la voce, chi
possiede più ricchezze o chi ha dalla sua il maggior numero. Un ambiente sociale
e un’atmosfera dove al potere della politica e dell’economia (o della demagogia
e della corruzione che sono i loro frequenti sottoprodotti) siano in grado di
contrapporsi gerarchie diverse. Dove al potere della politica e della ricchezza
fanno da contrappeso il condizionamento della formazione culturale, i vincoli
dell’etica, il giudizio dell’opinione pubblica informata. Come invece sono
andate le cose si sa. L’Italia ha visto quelle istituzioni di cui dicevo sopra —
per varie ragioni e in vari modi, ma più o meno nello stesso giro di anni, a
partire dagli anni 80-90 — scomparire. Scomparire, intendo, nelle forme che esse
avevano un tempo (o come la leva cancellate del tutto), per essere sostituite
dalle forme nuove richieste dai «gusti del pubblico», dagli «indici di ascolto»,
dai sindacati, dai «movimenti», dalle «attese delle famiglie», dalle «comunità
di base», dalla «pace», dai «tempi della pubblicità», dai «bisogni dei ragazzi»,
dal desiderio dei vertici di non dispiacere a nessuno. È così da due-tre decenni
il Paese è rimasto privo di qualunque sede pubblica deputata alla formazione non
solo e non tanto culturale ma specialmente del carattere e della sensibilità
civile, all’insegnamento di quei valori in definitiva morali su cui si regge la
convivenza sociale. Coltivando un’idea fasulla di modernità e di libertà
l’Italia ha assistito, addirittura compiaciuta, al progressivo smantellamento di
istituzioni che alimentavano la democrazia con il flusso vitale del sapere
disinteressato, della tradizione, della possibilità dell’autoriconoscimento
collettivo. Ci siamo avviati in tal modo ad essere una società senza veri
legami, spesso selvatica e analfabeta, ogni volta che convenga frantumata in un
individualismo carognesco e prepotente. L’Italia di oggi insomma, illusa e
inconsapevole del brutto Paese che essa ormai sta diventando.
I bei tempi andati? Non esistono. Erano
violenti, sessisti e sporchi. Un
libro di Michel Serres smonta i luoghi comuni degli anti-moderni, scrive
Massimiliano Parente, Martedì 21/08/2018, su "Il Giornale". Ogni giorno in
Italia qualcuno dice: «Si stava meglio quando si stava peggio». Ma davvero si
stava meglio? E quando? C'è chi elogia il passato, in genere i vecchi che
rimpiangono la propria giovinezza, o gli anni Sessanta, o gli anni Cinquanta, e
chi addirittura i tempi in cui non era nato: «Mi sarebbe piaciuto vivere negli
anni Trenta!». In realtà sono sempre errori della nostra percezione, della
nostalgia senile, e spesso anche della nostra scarsa conoscenza del passato.
Anni fa uscì un bellissimo saggio dello storico Piero Melograni, La modernità e
i suoi nemici (Mondadori), che passava al setaccio tutte le ideologie
antimoderne e le visioni idealizzate del passato. Lo scienziato Steven Pinker
nel frattempo ha pubblicato un lungo studio, Il declino della violenza
(Mondadori), per dimostrare come, al contrario di quanto credano molte persone,
la violenza sia diminuita progressivamente nella Storia (ma basta leggere anche
il diario di Giacomo Leopardi, che in visita a Roma notava come non fosse
possibile uscire di notte senza rischiare di essere uccisi). In questi giorni
esce per Bollati Boringhieri un pamphlet intitolato Contro i bei tempi andati
dell'epistemologo Michel Serres. L'autore ha ottant'anni, ma non rimpiange
niente del suo passato, né del passato in generale. Anzi, in ogni pagina, tra
autobiografia e dati storici, ci tiene a mostrare che più andiamo indietro, più
il passato fa schifo. A cominciare dalle due guerre mondiali, che hanno
insanguinato l'Europa (e erano nate, fra l'altro, da movimenti antimoderni e
anticapitalisti come fascismo e comunismo). Viceversa stiamo vivendo da
settant'anni il più lungo periodo di pace mai visto nel mondo, «cosa mai
accaduta, almeno nell'Europa occidentale, dai tempi dell'Iliade o della Pax
Romana». Abbiamo sconfitto epidemie mortali, considerando che «le statistiche
dicono che, in tempi più antichi, il numero dei morti per malattie infettive
superava di gran lunga quello delle vittime di guerra». Serres elogia le
conquiste delle vaccinazioni (malgrado oggi in Italia si torni indietro,
abolendo l'obbligo di vaccinarsi). Oggi si parla di razzismo al minimo episodio
di cronaca, dimenticando che una volta, poco più di un secolo fa, si pretendeva
di dimostrare scientificamente come i negri fossero delle scimmie non evolute, e
ai tempi di Mussolini e di Hitler si pubblicavano tranquillamente riviste
razziste e antisemite. E l'inquinamento? L'aria dell'Ottocento era molto più
inquinata di quella di oggi, e ai tempi di Serres «senza alcuna restrizione le
fabbriche spargevano le loro immondizie nell'atmosfera o nel mare, nella Senna,
nel Reno, nel Rodano, e le petroliere ripulivano le cisterne in mare aperto».
Quanto alla medicina, non esistevano gli antibiotici, si moriva di sifilide e
tubercolosi, «come capitò a tutti i grandi uomini illustri del XIX secolo,
Schubert, Maupassant o Nietzsche», e non esisteva la sanità pubblica, i poveri
soffrivano e morivano senza cure, e i ricchi non se la passavano meglio. Serres,
nato nel 1930, ricorda di nuovo come l'assenza di vaccinazioni «lasciò molti dei
miei amici segnati dalla poliomelite», e di come l'OMS sia riuscita a eradicare
il vaiolo a livello mondiale. Sentiamo molte persone dire che la vita moderna fa
male, che i cibi moderni sono cancerogeni, che la vita di una volta era più
sana, e spopola l'ideologia del bio e del ritorno all'alimentazione «genuina» di
un tempo. Talmente genuina che ci si lasciava la pelle. Serres ricorda come il
latte non pastorizzato, munto direttamente dal contadino, spesso portasse
malattie e febbri terribili (di cui si ammalò anche lui), mentre oggi i cibi
industriali sono molto più controllati (non per altro i casi di botulismo
avvengono sempre con il «fatto in casa»). E di come la durata della vita media
alla nascita nel corso di un secolo sia quadruplicata. «Da quando sono nato a
oggi, in Francia la speranza di vita ha più di ottant'anni, mentre poco prima
quanti figli bisognava mettere al mondo per conservarne due o tre?».
Non parliamo dell'igiene, non ci si lavava
mai. Neppure le ostetriche si lavavano le mani e le madri morivano di febbre
puerperale. Le lenzuola si cambiavano due volte all'anno, le camicie si
portavano finché non diventavano nere, e «lo sciacquone del gabinetto venne
inventato a Londra, alla fine del XIX secolo e si diffuse cinquant'anni dopo;
una volta si pisciava dove si poteva, si cacava dappertutto, un po' come oggi in
India si pratica la open defacation». Quanto alle donne, credono di essere
discriminate oggi, e accusano di molestie sessuali perfino chi le guarda, mentre
prima non solo le donne non avevano diritto di voto, ma se una donna veniva
stuprata era colpa sua, altro che #metoo. «Le cifre riguardanti gli abusi
sessuali sulle adolescenti all'interno della famiglia sono state rese pubbliche
solo di recente, e da poco abbiamo scoperto che ogni due giorni una donna moriva
a causa delle sevizie del marito, e che due bambini ogni settimana spiravano per
mano dei genitori». Speriamo che chi invoca ogni giorno la famiglia tradizionale
non si riferisca a questa, perché questa è stata la famiglia umana
dall'antichità a meno di un secolo fa. E dunque, si stava meglio quando si stava
peggio? No, quando si stava peggio si stava peggio e basta. E pensare che al
governo c'è un movimento fondato sulla filosofia della «decrescita felice» e
sulla Piattaforma Rousseau. Sì, Jean-Jacques Rousseau, quello del mito del Buon
Selvaggio. Io vorrei come minimo una Piattaforma Steve Jobs.
Ultimi della classe (dirigente). Non ci
sono in Italia istituzioni politiche, scientifiche o formative unificanti,
scrive Francesco Alberoni, Domenica 08/07/2018, su "Il Giornale". Una classe
dirigente, ci insegna il grande sociologo Vilfredo Pareto, è formata da tutti
coloro che eccellono nella loro attività. Quindi i politici più abili, i giudici
più saggi, i giornalisti più ascoltati, i presentatori più seguiti, ma anche gli
imprenditori, gli economisti, gli artisti, i registi, gli scrittori, i filosofi,
gli scienziati, i professionisti più eminenti. E ha le sue radici nel passato.
Il Paese che più di ogni altro ci ha fornito il modello di una grande classe
dirigente è stata l'Inghilterra dove c'è stato sempre l'irrompere del nuovo ma
anche la sopravvivenza dei poteri tradizionali e il permanere delle grandi
istituzioni unificanti. L'Inghilterra è il Paese che innalzava colonne all'eroe
Orazio Nelson mentre lasciava morire di fame Lady Hamilton, che glorificava
Winston Churchill mentre lo mandava a casa nelle elezioni. Ma anche un Paese che
da secoli ha istituzioni scientifico-culturali come la Royal Society, le
università di Oxford e di Cambridge e il collegio di Eton dove si è formata la
classe dirigente inglese. Non esiste nulla di simile in Italia dove storicamente
si sono succeduti gruppi politico ideologici diversi: prima i liberali, poi i
fascisti a cui seguono nel dopoguerra i comunisti e i cattolici. Poi la crisi di
Mani pulite che ha fatto emergere il potere della magistratura. In seguito, si
formano o movimenti o raggruppamenti attorno a un capo come Berlusconi, Prodi,
Renzi, Grillo e ora Salvini. Sono gruppi ristretti, formati da amici,
conoscenti, simpatizzanti e «clienti» che egemonizzano il potere e creano
istituzioni per loro stessi da cui escludono gli altri. Non ci sono in Italia
istituzioni politiche o scientifiche o formative unificanti, non c'è una vera,
unica classe dirigente. E sembra che a livello popolare non se ne senta neppure
l'esigenza. Il politico non viene eletto per ciò che ha dimostrato di sapere
fare e non gli si chiede di avere una formazione culturale adeguata. Grillo
arriva a sostenere che i parlamentari dovrebbero essere estratti a sorte tra i
cittadini. Questa divisione delle élite lascia il potere in mano alla burocrazia
che non ha valori, non ha mete, ostacola la creazione e tende solo a crescere su
se stessa.
I bulli che umiliano la cultura. Si va
diffondendo l'idea che, con una disoccupazione così elevata, sia inutile
studiare, scrive Francesco Alberoni
Domenica 06/05/2018, su "Il Giornale". Si va diffondendo l'idea che, con una
disoccupazione giovanile così elevata, sia inutile studiare, inutile imparare,
inutile prendere bei voti perché tanto, si dice, nella vita si affermano i
forti, i corrotti, i violenti, quelli che sanno dominare gli altri, imporre il
loro volere. È questo il pensiero che sta dietro il diffondersi del bullismo in
tutte le sue forme. Dal piccolo gruppo di studenti che domina sugli altri,
deride e si beffa dei più deboli, li mette a tacere, fino ai gruppi più
aggressivi che offendono ed insultano anche i professori in modo che perdano
agli occhi dei loro allievi l'ultima autorità loro rimasta. E così denigrano la
cultura, il sapere, l'unica forza che nel mondo moderno fa avanzare tanto gli
individui che i popoli. Gli individui, perché emergono solo coloro che fanno le
scuole e le università migliori e i popoli perché solo alcuni hanno i centri di
ricerca più avanzati, gli studiosi più apprezzati e una ferrea organizzazione
del lavoro. E questo modo di pensare disastroso si afferma anche in politica col
principio anarchico che «uno vale uno» quindi chiunque, anche il più fannullone
e ignorante, può dirigere un Paese moderno e affrontare le bufere geopolitiche
di oggi. Bisogna riporre in primo piano l'idea che lo strumento fondamentale con
cui gli esseri umani lottano, si affermano, si rendono utili agli altri, è il
sapere, la cultura. In tutte le forme: scientifica, artistica musicale,
linguistica, come capacità di scrivere e di parlare, di calcolare e di
prevedere. Ma voi provate a domandare alla gente che cosa desidera. Vi
risponderà che desidera viaggiare, fare crociere, una nuova macchina, una barca,
un nuovo televisore. Nessuno vi risponde che desidera imparare la matematica, il
diritto, le lingue, l'economia, la biologia o l'informatica. Le spese per svago
e per divertimenti superano paurosamente le spese culturali. Ci sono ancora
persone che leggono libri? Solo una minoranza, quella che studia con fermezza e
costituirà la futura élite internazionale. E gli altri? Gli altri saranno tutti
dei disoccupati e dei sottoproletari. Basta, cambiate direzione, datevi da fare.
Siete ancora in tempo, per poco.
Vuoi scrivere un libro? Leggine cento,
scrive il 16 aprile 2018 Paolo Gambi su “Il Giornale”.
“Se scrivo la mia storia vinco il Nobel per
la letteratura”.
“Ti racconto il libro che ho in testa, tu lo
scrivi e dividiamo gli utili”.
“La mia vita è così incredibile che voglio
farne un romanzo da un milione di copie”.
Da quando faccio lo scrittore più o meno ogni
giorno vengo approcciato da qualcuno con una frase del genere. La qual cosa mi
lusinga molto: ciascuno di noi è un intreccio di parole che si sono fatte carne
e pensare di metterle per iscritto, e di chiedere il mio aiuto per farlo, è per
me fonte di soddisfazione ed autostima. E contando che ho scritto libri molto
diversi che partono dai romanzi e arrivano a biografie di personaggi molto
disparati – dal Cardinal Tonini a Raoul Casadei – non trovo strano che ci sia
chi mi interpella. Infatti da qualche tempo a questa parte ho deciso di iniziare
a costruire una risposta a chi mi pone queste domande. Solo che se poi alle
stesse persone che vogliono scrivere un libro chiedo: “qual è l’ultimo libro che
hai letto?”, la risposta di solito è qualcosa come:
“Non mi ricordo, alla sera guardo la
televisione”.
“È da quando ero alle superiori che non leggo
più”.
“Dai valà, non posso mica perdere il mio
tempo così”.
Che è un po’ come se qualcuno volesse vincere
la medaglia d’oro alle Olimpiadi per i 100 metri stile libero ma si rifiutasse
di andare in piscina ad allenarsi. I dati sulla lettura in Italia continuano ad
essere impietosi. Sei italiani su dieci, nel 2016, non hanno letto neppure un
libro in un anno. Tutti vogliono scrivere. Pochissimi vogliono leggere. Allora,
è meraviglioso sognare di diventare la nuova Rowling o scrivere delle nuove
sfumature di grigio (possibilmente meno disgustose) impastate con la propria
storia. Però se vuoi scrivere un libro inizia a leggerne almeno cento.
Saviano a Salvini: “Ministro della
malavita”. La propaganda fa proseliti e voti. Sei ricco? Sei mafioso! Il
condizionamento psicologico mediatico-culturale lava il cervello e diventa
ideologico, erigendo il sistema di potere comunista. Cosa scriverebbero gli
scrittori comunisti senza la loro Mafia e cosa direbbero in giro per le scuole a
far proselitismo comunista? Quale film girerebbero i registi comunisti
antimafiosi? Come potrebbero essere santificati gli eroi intellettuali
antimafiosi? Quali argomenti affronterebbero i talk show comunisti e di cosa
parlerebbero i giornalisti comunisti nei TG? Cosa scriverebbero e vomiterebbero
i giornalisti comunisti contro gli avversari senza la loro Mafia? Cosa
comizierebbero i politici comunisti senza la loro Mafia? Quali processi si
istruirebbero dai magistrati eroi antimafiosi senza la loro mafia? Cosa
farebbero i comunisti senza la loro Mafia ed i beni della loro Mafia? Di cosa
camperebbero le associazioni antimafiose comuniste? Cosa esproprierebbero i
comunisti senza l'alibi della mafiosità? La Mafia è la fortuna degli
antimafiosi. Se non c'è la si inventa e si infanga un territorio. Mafia ed
Antimafia sono la iattura del Sud Italia dove l’ideologia del povero contro il
ricco attecchisce di più. Sciagura antimafiosa che comincia ad espandersi al
Nord Italia per colpa della crisi economica creata da antimafia e burocrazia.
Più povertà per tutti, dicono i comunisti.
Saviano è il vero intoccabile. Vietato
fare satira su di lui. Chi ha provato
a scherzare sullo scrittore, da Zalone ai comici Luca e Paolo, è stato subito
messo a tacere, scrive Nino Materi, Lunedì 25/06/2018, su "Il Giornale". Scherza
con i santi, ma lascia stare Saviano. Giù le mani da Roberto. E poco importa se
la mano è quella - innocua - che potresti mettere davanti alla bocca, magari
solo per soffocare un inizio di risata. Perché in Italia si può fare ironia su
tutti (compresi Papa e presidente della Repubblica), eccetto che sullo scrittore
di Gomorra. Chi si è cimentato con la sua parodia, ha subito avvertito la stessa
piacevole sensazione di mettere le dita in una presa di corrente. Insomma,
Saviano come i fili dell'alta tensione. E una bella scossa, nel corso degli
anni, se la sono presa i pochi coraggiosi che hanno tentato di imitarlo
comicamente. Niente di pesante, per carità: appena una bonaria presa in giro del
suo eloquio da santone in perenne trance sciamanica; del suo incedere messianico
sulle acque procellose dell'antimafia; delle sue pause meditative da salvatore
della patria in servizio h24; del suo grattarsi la pelata come se pensieri e
preoccupazioni fossero solo una sua esclusiva; del suo sapiente gesticolare
ostentando più anelli di J-Ax e Fedez messi insieme. Un minimo sindacale
satirico che, tuttavia, si è rivelato più che sufficiente per far scendere il
«guitto» di turno a più miti consigli. Lo sa bene il grande Checco Zalone che,
in uno show televisivo, vestì i panni di uno sfigatissimo Saviano cui tutte le
ragazze davano il due di picche «perché la camorra ha il monopolio della f...».
Saviano (personaggio che notoriamente non brilla per autoironia), invece di
riderci su, si risentì. E con lui si attapirarono tutti i suoi fan secondo i
quali «ironizzare su Saviano equivale a fare un favore ai camorristi».
Risultato: Checco Zalone, da quella volta, non si «permise» mai più di imitare
lo scrittore più scortato del mondo. Stessa parabola censoria anche per il duo
comico Luca e Paolo che, addirittura dal palco del Festival di Sanremo, si
azzardarono a punzecchiare Roberto, ricordandogli come alcune delle sue denunce
equivalessero un po' alla scoperta dell'acqua calda. Apriti cielo. I due artisti
furono immediatamente redarguiti dal rigoroso «funzionario Rai» che suggerì loro
di «occuparsi d'altro». Meno clamorosa, ma altrettanto deciso il consiglio a
«non insistere sull'argomento» indirizzato al cabarettista Sergio Friscia, «reo»
di animare un Saviano un po' troppo bozzettistico. La stessa «colpa» attribuita
pure ad altri due colleghi di Friscia: Cristian Calabrese, autore di uno sketch
dal titolo dissacratorio, Zero Zero Zero ed Enzo Costanza protagonisti di una
serie di video esilaranti, ma ritenuti non propriamente savianolly correct. In
questi casi non risulta un intervento diretto del giornalista finalizzato a
zittire i suoi epigoni parodistici, ma alcune sue dichiarazioni esprimono bene
il concetto che Saviano ha rispetto alla creatività umoristica: «La creatività
fa, non commenta. E i The Jackal ne sono un esempio». Ma perché mai ai comici
dovrebbe essere precluso il diritto al «commento»? e, poi, chi sono «The
Jackal»? Al primo quesito Saviano non ha mai risposto; facile invece la risposta
al secondo: si tratta di un gruppo di brillanti filmaker che devono il successo
a video-parodie cliccatissime su youtube, la più celebre delle quali è: Gli
effetti di Gomorra sulla gente. In questo caso, per non correre rischi, Saviano
ha voluto prendere parte direttamente ad alcuni ciak. Motivo? I maligni dicono:
«Per accertarsi di non essere preso in giro». Intanto lui, un giorno sì e
l'altro pure, dà del «buffone», «razzista» e «codardo» al ministro dell'Interno.
A offese invertite, Salvini sarebbe già stato costretto alle dimissioni.
LA RAI, YOUTUBE E LA CENSURA.
Può la Rai, servizio pubblico di un’azienda di Stato, finanziata con il canone e
le tasse dei cittadini, vantare diritti esclusivi di diritto d'autore su fatti
di cronaca ed impedire la divulgazione di notizie di interesse pubblico e
violare le norme internazionali del fair use o del fair dealing ai sensi delle
leggi vigenti sul copyright?
Tutto inizia e finisce con una E-mail.
Venerdì 18/05/2018 19:40 da YouTube <accounts-noreply@youtube.com> ad ANTONIO
GIANGRANDE <presidente@ingiustizia.info>: [Avviso di rimozione per violazione
del copyright] Il tuo account YouTube verrà disattivato tra 7 giorni.
Salve ANTONIO GIANGRANDE, In seguito a una richiesta di rimozione per violazione
del copyright siamo stati costretti a rimuovere il tuo video da YouTube: Titolo
del video: Sarah Scazzi. Il processo. 1ª parte. La scomparsa.
Rimozione richiesta da: RAI. Questo significa che non sarà più possibile
riprodurre il video su YouTube. Hai ricevuto un avvertimento sul
copyright. Al momento hai 3 avvertimenti sul copyright. Per questo motivo, è
prevista la disattivazione del tuo account tra 7 giorni. Il tuo canale rimarrà
pubblicato per i prossimi 7 giorni per consentirti di cercare una soluzione e
mantenerlo attivo. Se ritieni di non essere in torto in uno o più casi sopra
descritti, puoi fare ricorso inviando una contronotifica. Durante l'elaborazione
della contronotifica, il tuo account non verrà disattivato. Tieni presente che
l'invio di una contronotifica con informazioni false può comportare gravi
conseguenze legali. Puoi inoltre contattare l'utente che ha rimosso il tuo video
e chiedergli di ritirare la richiesta di rimozione. Durante questo periodo, non
potrai caricare nuovi video e gli avvertimenti sul tuo account non scadranno.
Risposta: Il mio utilizzo dei contenuti soddisfa i requisiti legali del fair use
o del fair dealing ai sensi delle leggi vigenti sul copyright. Le norme
nazionali ed internazionali mi permettono di fare copie singole di parti di
opere per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. Infatti
sono autore del libro che racconta della vicenda. A tal fine posso assemblarle o
per fare una rassegna stampa. In ogni caso le immagini sono di utilizzo pubblico
così come stabilito dal tribunale di Taranto in virtù del decreto
dell’autorizzazione esclusiva alle telecamere di “Un Giorno in Pretura” con
obbligo di condividere i filmati con gli altri media. Su questo filmato altre
rivendicazioni analoghe sono state ritirate in seguito alla stessa
contestazione. E comunque, stante che il filmato è già stato rimosso da youtube,
si chiede alla signoria vostra di ritirare l’avvertimento, affinchè l’intero
canale “Antonio Giangrande” con 387 video di Pubblico Interesse non venga
disattivato.
Insomma non si presenta la contronotifica, per minaccia di azioni legali del
colosso Rai e si genuflette per un diritto.
Ma Youtube non si ferma qua. Già, sul portale di informazione ed approfondimento
in oggetto, pagava solo 1 decimo di tutti i video di cui si era chiesto la
monetizzazione. E non solo a quel portale.
YouTube: perché (quasi) nessuno ci guadagna davvero?
Scrivono Milena Gabanelli e Andrea Marinelli il 25 giugno 2018 su "Il Corriere
della Sera". Un luogo comune dell’era digitale vuole che basti un po’ di ingegno
per fare soldi su YouTube. Guardando i dati però, la realtà è un’altra: il 97
per cento degli YouTuber non riesce a superare i 10.000 euro all’anno. In Gran
Bretagna, però, un minorenne su tre sogna di diventare una star del servizio
video di Google — addirittura il triplo rispetto a chi sogna di fare il dottore
— e di imitare DanTdm, un gamer ventiseienne che lo scorso anno ha incassato
16,5 milioni di dollari giocando ai videogiochi, oppure Zoella, che ha 28 anni e
guadagna circa 50 mila sterline al mese pubblicando video su come si veste e si
trucca. Tutti pensano che questi soldi li facciano con la pubblicità, ma è vero
solo in parte.
Il 97% degli YouTuber non batte chiodo.
Google non rivela i numeri esatti, ma secondo le stime i canali YouTube al mondo
sono all’incirca 1 miliardo. Di questi, stando a uno studio dell’Università di
Offenburg, in Germania, il 97 per cento non batte un chiodo. Il 2 per cento
riceve almeno 1,4 milioni di visite al mese e galleggia invece attorno alla
soglia di povertà, incassando all’incirca 16.800 dollari all’anno. A guadagnarci
davvero è il restante 1 per cento, che ottiene fra i 2 e i 42 milioni di
visualizzazioni ogni mese. Secondo l’autore della ricerca Mathias Bartl,
professore di Scienze Applicate e fra i primi a esaminare i dati di YouTube,
«avere successo nella nuova Hollywood è difficile quanto in quella vecchia». E
il risultato è che puoi avere mezzo milione di follower su YouTube, ma essere
costretto a lavorare da McDonald’s per mantenerti.
Un milione di visualizzazioni vale 1.000
dollari. La pubblicità su YouTube, infatti, porta all’incirca 1 dollaro ogni
1.000 visualizzazioni (a volte 50 centesimi, altre 5 dollari: dipende dai casi e
i dati non sono pubblici). Un milione di visualizzazioni si trasforma dunque in
appena 1.000 dollari al mese. Questo però se la pubblicità viene guardata:
siccome molti installano programmi che la bloccano e altri la saltano appena
parte, la società di marketing britannica Penna Powers calcola che alla fine
soltanto il 15% la vedono realmente. E così un milione di visualizzazioni si
trasforma in 150.000, e 1.000 dollari diventano appena 150.
Come fare i soldi su internet. In sostanza,
Internet è un ottimo palcoscenico per avere visibilità, ma poi bisogna saper
approdare alle sponsorizzazioni, ai libri o alle trasmissioni televisive da cui
ricevere un cachet: è da lì che arrivano i soldi veri di star come Sofia
Viscardi — dal cui libro Succede è appena stato tratto un film omonimo, uscito
in Italia a inizio aprile — o Favij, che ha raggiunto il primo posto nella
classifica della narrativa italiana con il romanzo fantasy The Cage – Uno di noi
mente, pubblicato da Mondadori Electa. Il discorso vale anche per Instagram, che
è di proprietà di Facebook: il grosso dei corposi incassi di Chiara Ferragni o
Mariano Di Vaio, gli influencer italiani con più follower su Instagram, arriva
proprio da sponsorizzazioni e accordi commerciali. Per guadagnarci, quindi,
bisogna essere bravi imprenditori.
YouTube ha cambiato l’algoritmo. Non è un
caso che la stessa società di streaming voglia aiutare i creatori di contenuti a
guadagnare di più, ma anche loro vogliono farlo tramite sponsorizzazioni o
programmi di commenti a pagamento: più paghi, più in evidenza saranno le tue
parole. A questa situazione contribuisce anche l’algoritmo di YouTube: nel 2006
il 3% dei canali più seguiti totalizzava il 64% delle visualizzazioni totali del
sito. Dieci anni più tardi raggiunge il 90%. In pratica, YouTube ha cambiato
l’algoritmo per far circolare di più i video migliori, penalizzando tutti gli
altri. Recentemente, ha anche stabilito che per poter guadagnare con la
pubblicità è necessario avere almeno 1.000 follower e 4.000 ore di
visualizzazioni nell’ultimo anno, complicando ulteriormente la strada verso il
successo.
Uno su mille ce la fa. Insomma, ce la fanno
in pochi, chi ce la fa sempre invece è YouTube, che vuol dire Google, che vuol
dire un fatturato globale da 100 miliardi di dollari nel 2017, e 60 miliardi
parcheggiati nei paradisi fiscali offshore. In Italia incassa in pubblicità
circa 1,5 miliardi di euro all’anno, ma le tasse le paga in Irlanda, al 12,5 per
cento. Alla fine anche da noi il colosso californiano è stato costretto a
lasciare qualcosa: 306 milioni. Ma solo dopo l’intervento dell’Agenzia delle
Entrate e della Procura di Milano.
California, a sparare una youtuber: «Era arrabbiata perché la società le aveva
sospeso i pagamenti».
Il padre della donna che ha aperto il fuoco, Nasim Aghdam: «Odiava la società».
Aghdam, 39 anni scriveva: «Non c'è libertà di parola», scrive Marta Serafini il
4 aprile 2018 su "Il Corriere della Sera". Era arrabbiata perché «YouTube aveva
smesso di pagarla per i video che pubblicava sulla piattaforma». Gli
investigatori scavano nel passato di Nasim Aghdam, 39 anni, attivista vegana e
animalista residente a San Diego, che ha fatto fuoco nel campus di San Bruno
ferendo tre persone per poi togliersi la vita. A confermare l’ipotesi che la
donna fosse furibonda con YouTube, il padre Ismail Aghdam che in un’intervista
ad un giornale locale ha spiegato come la figlia fosse sparita lunedì e non
rispondesse al telefono da due giorni. «Era arrabbiata perché YouTube aveva
sospeso tutto, li odiava», ha dichiarato l’uomo. L’ipotesi è la società avesse
sospeso i pagamenti o a causa dei contenuti inappropriati dei filmati postati
dalla donna o a causa di un calo dei follower. Secondo la Nbc un suo filmato era
stato censurato da YouTube e secondo il New York Times tutti i suoi canali erano
stati rimossi martedì notte. Il 20 febbraio YouTube ha stabilito nuove regole
che escludono dalla monetizzazione i canali con meno di 10.000 abbonati e meno
di 4.000 ore di visualizzazione e probabilmente i filmati di Aghdam sono
rientrati in questo giro di vite.
Cos'è accaduto e chi era la donna. Aghdam, di origini iraniane, aveva una
presenza sul web «rilevante», un sito internete postava video dal 2011 con il
nickname di Nasim Wonderl e sul suo sito. Il contenuto variava: dalle ricette
vegane, passando per le parodie musicali, fino ai commenti contro la violenza
sugli animali e gli esercizi di bodybuilding. «Tutti i miei video sono
autoprodotti senza l'aiuto di nessuno», scriveva orgogliosa. Aghdam si sarebbe
lamentata più volte pubblicamente perché alcuni suoi post erano stati vietati ai
minori, un trattamento che la stessa youtuber aveva denunciato non essere
applicato a filmati dai contenuti più espliciti come i video clip di Miley
Cyrus. «Non c’è libertà di parola nel mondo e verrai perseguitata per aver detto
la verità», scriveva. Su Instagram il 18 marzo si lamentava di nuovo della
censura di YouTube. La donna era anche un’attivista della Peta e manifestava a
favore dei diritti degli animali. «Per me gli animali devono avere gli stessi
diritti degli esseri umani», diceva a Los Angeles Times nel 2009.
YouTube sta rendendo più restrittive le regole che consentono agli iscritti di
inserire pubblicità nei propri video e di guadagnare soldi. Lo scopo principale
dell’iniziativa è quello garantire agli inserzionisti che i propri spot non
finiscano all’interno di contenuti inappropriati o con immagini disturbanti,
come avvenuto in passato.
La novità è stata annunciata dalla stessa azienda con un post sul blog “YouTube
creators”: a partire da ieri, per iscriversi al “Programma partner” sono
necessari almeno 1000 iscritti al proprio canale e 4000 ore di visualizzazione
nell’arco degli ultimi 12 mesi.
“Le nuove regole ci permetteranno di migliorare in maniera significativa la
nostra capacità di individuare i canali che contribuiscono positivamente alla
nostra community e ci aiuteranno a generare maggiori entrate pubblicitarie per
loro (e a tenerci lontano dai "cattivi attori"). Questi standard più elevati ci
aiuteranno anche a evitare che i video potenzialmente inappropriati possano
monetizzare, danneggiando i ricavi per tutti”, hanno spiegato Neal Mohan, chief
product officer e Robert Kyncl, chief business officer. In precedenza, il
requisito minimo per accedere al programma era quello delle 10mila
visualizzazioni complessive. La differenza sembra sostanziale: a pagarne le
conseguenze saranno sicuramente i canali più piccoli, che non attraggono un
pubblico vasto ma che fino due giorni fa potevano guadagnare e perlomeno
sostenere la realizzazione dei propri video. Prima di diventare famosi e
raggiungere i requisiti richiesti, adesso gli aspiranti Youtuber dovranno
trovare delle strade alternative per finanziare i propri progetti. YouTube pensa
ovviamente ai propri interessi: un paio di mesi fa, aveva perso milioni di
dollari di ricavi, in seguito alla decisione di alcuni inserzionisti – tra i
quali Adidas, Mars, Deutsche Bank – di lasciare la piattaforma dopo essersi
ritrovati la propria pubblicità sui dei video disseminati di commenti pedofili.
Come sottolinea il sito d’informazione The Next Web, l’approccio sembra
contraddittorio: i nuovi criteri rendono la vita più difficile ai canali con
pochi iscritti e visualizzazioni, lasciando tuttavia uno spiraglio ai
trasgressori che distribuiscono contenuti inappropriati, ma che hanno successo.
YouTube pensa di risolvere la questione affidandosi non solo alla metrica
quantitativa, ma anche alle segnalazioni che arrivano dalla community e a
metodologie di rilevazione di spam o altri abusi più efficaci.
L’annuncio arriva a distanza di una settimana della vicenda che ha coinvolto
Logan Paul: il famoso Youtuber, apprezzatissimo tra i teenager, aveva condiviso
il video di un suicidio avvenuto in Giappone. A rimuovere il contenuto però non
era stato YouTube, bensì il suo stesso creatore. Con le identiche modalità era
scomparso il video caricato qualche mese fa da PewPewDie – che con i suoi 12
milioni di dollari è tra le 10 star più pagate del Tubo nel 2017 – nel quale
comparivano due uomini a petto nudo che avevano in mano un cartello con la
scritta “Death to All Jews”. I due episodi, in particolare, hanno spinto YouTube
a modificare anche le regole di Google Preferred, la soluzione di advertising
dedicata ai canali più popolari (circa il 5% del totale): tutti i contenuti del
programma saranno valutati da un moderatore e approvati manualmente. Se da un
lato le mosse appaiono logiche e sensate, soprattutto per non perdere la fiducia
degli inserzionisti e milioni di ricavi dalla pubblicità, dall’altro non si può
fare a meno di notare che che la nuova policy, rischia di stroncare sul nascere
i sogni di migliaia aspiranti youtuber e di rendere esclusiva una piattaforma
che ha fatto invece dell’inclusività uno dei fattori chiave del suo successo.
Le migliori alternative a YouTube,
scrive "1and1". YouTube è il campione indiscusso tra i portali video e può
tranquillamente essere definito come il leader del settore. Con oltre un
miliardo di utenti, secondo i dati forniti dalla compagnia stessa, quasi un
terzo di tutta l’utenza Internet naviga su YouTube. È indubbio che la
piattaforma da tempo sia stata riconosciuta anche come un efficace strumento di
marketing. I video sono caricabili con pochi click e tramite la generazione
automatica di un codice HTML sono facilmente postabili su siti web esterni.
Inoltre, dal 2010, quando YouTube e SIAE hanno firmato un accordo riguardo ai
video musicali e ai proventi generati dalle visualizzazioni di questi, è
diventato ancora più difficile per la concorrenza. Dunque è lecito porsi la
seguente domanda: quali alternative ci sono a YouTube?
Le alternative attive a YouTube presentate in questo articolo sono cinque e sono
Vimeo, Dailymotion, Veoh, Vevo e Flickr. Questi quattro servizi offrono agli
utenti privati ed a coloro che li utilizzano per lavoro molte possibilità
diverse, come guardare e mettere a disposizione contenuti eccezionali.
Dailymotion è un portale video di origine francese, che rappresenta una delle
migliori alternative a YouTube in termine di numero utenti, soprattutto nel suo
paese di origine. Nel 2015 il servizio ha registrato una utenza attiva del 23%.
Comparando a livello internazionale, nessun altro servizio raggiunge un valore
simile. In Francia infatti Dailymotion si trova secondo solo a YouTube, che ha
una utenza attiva del 57%. Ad ogni modo, anche in altri paesi Dailymotion si
trova al secondo posto dietro a YouTube. La compagnia calcola i suoi utenti in
giro per il globo attorno ai 300 milioni. Mensilmente vengono visualizzati 3,5
miliardi di video su Dailymotion. In Italia Dailymotion riceve 6 milioni di
unique viewers al mese, registrando un totale di circa 65 milioni di
visualizzazioni tra tutti i tipi di dispositivi. Dailymotion punta
principalmente sulle specifiche di upload: con file video fino a 2GB e 60 minuti
di durata. Vengono supportati numerosi formati video e audio, così che è
possibile scegliere tra file con estensione .mov, .mpeg4, .mp4, .avi e .wmv.
Come codec video e audio vengono consigliati rispettivamente H.264 e AAC con un
frame rate di 25FPS. La risoluzione massima possibile è 1080p (Full HD). In
questo modo il portale si confà anche agli uploader più esigenti; i file di
grandi dimensioni sono ben accetti tanto quanto lo è una qualità convincente
dell’immagine. Il layout, di colore blu e bianco, è semplice e comodo da
utilizzare. L’ordine degli elementi è decisamente orientato a quello di YouTube,
che ha il vantaggio, che anche i principianti riescono a raccapezzarci qualcosa
sin da subito. Anche l’integrazione e la condivisione dei video su piattaforme
esterne è semplice; con un click il codice HTML corretto viene automaticamente
generato. Ci sono inoltre ulteriori funzioni per i cosiddetti partner, i quali
hanno la possibilità di guadagnare soldi con Dailymotion esattamente come
su YouTube. Anche con Dailymotion si può monetizzare con i video, personalizzare
il player e controllare i proventi attraverso il tool di analisi. Perciò
Dailymotion è una delle migliori alternative a YouTube particolarmente per i
blogger, che vogliono mettere i propri contenuti a disposizione solo a pagamento
o che vogliono offrire dei contenuti premium separati. Chi ad esempio vuole
usufruire della monetizzazione offerta da Dailymotion per un sito web, può sia
attivare il proprio sito sia incorporare un dispositivo speciale del provider.
Alcuni partner rinomati hanno già preso parte a questo programma, e tra questi
vi sono ad esempio la CNN, la Süddeutsche Zeitung e la Deutsche Welle. Anche
la vasta scelta di App di Dailymotion risulta piacevole. L’alternativa a YouTube
è presente con apposite App su molte Smart TV, set-top box o sulla Playstation 4
della Sony, e può essere guardata comodamente dal divano di casa. Il servizio
può essere utilizzato anche da dispositivo mobile con applicazioni iOS, Android
o Windows.
Dr Antonio
Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber,
presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie. Il
Potere ti impone: subisci e taci…e noi, coglioni, subiamo la divisione per non
poterci ribellare.
Bisogna studiare.
Bisogna cercare le fonti credibili ed
attendibili per poter studiare.
Bisogna studiare oltre la menzogna o
l’omissione per poter sapere.
Bisogna sapere il vero e non il falso.
Bisogna non accontentarsi di sapere il falso
per esaudire le aspirazioni personali o di carriera, o per accondiscendere o
compiacere la famiglia o la società.
Bisogna sapere il vero e conoscere la verità
ed affermarla a chi è ignorante o rinfacciarla a chi è in malafede.
Studiate “e conoscerete la verità, e la
verità vi renderà liberi” (Gesù. Giovanni 8:31, 32).
Studiare la verità rende dotti, saggi e
LIBERI!
Non studiare o non studiare la verità rende
schiavi, conformi ed omologati.
E ciò ci rende cattivi, invidiosi e
vendicativi.
Fa niente se studiare il vero non è un
diritto, ma una conquista.
Vincere questa guerra dà un senso alla nostra
misera vita.
Dr Antonio Giangrande
Immigrazione/emigrazione. Dimmi dove vai,
ti dirò chi sei.
L'immigrato/emigrato
italiano o straniero è colui il quale si è trasferito, per costrizione o per
convenienza, per vivere in un altro luogo diverso da quello natio.
Soggetti:
L’immigrato arriva, l’emigrato parte. La definizione del trasferito la dà colui
che vive nel luogo di arriva o di partenza. Chi resta è geloso della sua terra,
cultura, usi e costumi. Chi arriva o parte è invidioso degli altri simili. Al
ritorno estemporaneo al paese di origine gli emigrati, per propria vanteria, per
spirito di rivalsa e per denigrare i conterranei di origine, tesseranno le lodi
della nuova cultura, con la litania “si vive meglio là, là è diverso”, senza,
però, riproporla al paese di origine, ma riprendendo, invece, le loro vecchie e
cattive abitudini. Questi disperati non difendono o propagandano la loro cultura
originaria, o gli usi e costumi della terra natia, per il semplice motivo che da
ignoranti non li conoscono. Dovrebbero conoscere almeno il sole, il mare, il
vento della loro terra natia, ma pare (per soldi) preferiscano i monti, il
freddo e la nebbia della terra che li ospita.
Tempo:
il trasferimento può essere temporaneo o permanente. Se permanente le nuove
generazioni dei partenti si sentiranno appartenere al paese natio ospitante.
Luoghi di arrivo: città, regioni,
nazioni diverse da quelle di origine.
Motivo del trasferimento:
economiche (lavoro, alimentari, climatiche ed eventi naturali); religiose;
ideologiche; sentimentali; istruzione; devianza.
Economiche: Lavoro (assente o sottopagato),
alimentari, climatiche ed eventi naturali (mancanza di cibo dovute a siccità o a
disastri naturali (tsunami, alluvioni, terremoti, carestie);
Religiose: impossibilità di praticare il
credo religioso (vitto ed alloggio decente garantito);
Ideologiche: impossibilità di praticare il
proprio credo politico (vitto ed alloggio decente garantito);
Sentimentali: ricongiungimento con il proprio
partner (vitto ed alloggio decente garantito);
Istruzione: frequentare scuole o università o
stage per elevare il proprio grado culturale (vitto ed alloggio decente
garantito);
Devianza: per sfuggire alla giustizia del
paese di origine o per ampliare i propri affari criminali nei paesi di
destinazione (vitto ed alloggio decente garantito).
Il trasferimento per lavoro garantito:
individuo vincitore di concorso pubblico (dirigente/impiegato pubblico);
trasfertista (assegnazione temporanea fuori sede d’impresa); corrispondente
(destinazione fuori sede di giornalisti o altri professionisti). Chi si
trasferisce con lavoro garantito ha il rispetto della gente locale indotto dal
timore e rispetto del ruolo che gli compete, fatta salva ogni sorta di ipocrisia
dei locali che maschera il dissenso all’invasione dell’estraneo. Inoltre il
lavoro garantito assicura decoroso vitto e alloggio (nonostante il caro vita) e
civile atteggiamento dell’immigrato, già adottato nel luogo d’origine e dovuto
al grado di scolarizzazione e cultura posseduto.
Il trasferimento per lavoro da cercare in
loco di destinazione: individuo nullafacente ed incompetente. Chi si trasferisce
per lavoro da cercare in loco di destinazione appartiene ai ceti più infimi
della popolazione del paese d’origine, ignari di solidarietà e dignità. Costui
non ha niente da perdere e niente da guadagnare nel luogo di origine. Un volta
partiva con la valigia di cartone. Non riesce ad inserirsi come tutti gli altri,
per mancanza di rapporti adeguati amicali o familistici, nel circuito di
conoscenze che danno modo di lavorare. Disperati senza scolarizzazione e
competenza lavorativa specifica. Nel luogo di destinazione faranno quello che i
locali non vorrebbero più fare (dedicarsi agli anziani, fare i minatori o i
manovali, lavorare i campi ed accudire gli animali, fare i lavapiatti nei
ristoranti dei conterranei, lavare le scale dei condomini, fare i metronotte o i
vigilanti, ecc.). Questo tipo di manovalanza assicura un vergognoso livello di
retribuzione e, di conseguenza, un livello sconcio di vitto ed alloggio (quanto
guadagnano a stento basta per sostenere le spese), oltre l’assoggettamento agli
strali più vili e razzisti della popolazione ospitante, che darà sfogo alla sua
vera indole. Anche da parte di chi li usa a scopo politico o ideologico. Questi
disperati subiranno tacenti le angherie e saranno costretti ad omologarsi al
nuovo stile di vita. Lo faranno per costrizione a timore di essere rispediti al
luogo di origine, anche se qualcuno tenta di stabilire la propria discultura in
terra straniera anche con la violenza.
Ecco allora è meglio dire: Dimmi come vai,
ti dirò chi sei.
Il limite del tempo e dell'uomo, scrive
Vittorio Sgarbi, Giovedì 28/12/2017, su "Il Giornale". «Due verità che gli
uomini generalmente non crederanno mai: l'una di non saper nulla, l'altra di non
esser nulla. Aggiungi la terza, che ha molta dipendenza dalla seconda: di non
aver nulla a sperare dopo la morte». Un pensiero di Leopardi dallo Zibaldone.
Inadatto al clima natalizio, ma terribilmente vero. Forse la forza di un
pensiero così chiaro dissolve le nostre illusioni, ma ci impegna a dimenticarlo,
per fingere che la nostra vita abbia un senso. Perché vivere altrimenti?
L'insensatezza della nostra azione si misura con la brevità del tempo. Da tale
pensiero è sfiorato anche Dante, che non dubitava di Dio, ma misurava il nostro
limite rispetto al tempo: «Se tu riguardi Luni e Urbisaglia/come sono ite e come
se ne vanno/di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,/udir come le schiatte si
disfanno/non ti parrà nuova cosa né forte,/poscia che le cittadi termine
hanno./Le vostre cose tutte hanno lor morte,/sì come voi; ma celasi in
alcuna/che dura molto, e le vite son corte». Se tutto finisce, perché noi
dovremmo sopravviverci? E se ci fosse qualcosa dopo la morte, che limite
dovremmo porvi? I nati e i morti, prima di Cristo, gli egizi e i greci, con le
loro religioni, che spazio dovrebbero avere, nell'aldilà che non potevano
presumere? La vita dopo la morte toccherebbe anche agli inconsapevoli? Con Dante
e Leopardi, all'inferno incontreremo anche Marziale e Catullo? O la vita oltre
la morte non sono già, come per Leopardi, i loro versi?
Buon Primo maggio. La festa dei nullafacenti.
Editoriale del Dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista,
blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS, che
sul tema ha scritto alcuni saggi di approfondimento come "Uguaglianziopoli.
L'Italia delle disuguaglianze" e "Caporalato. Ipocrisia e speculazione".
Il primo maggio è la festa di quel che resta dei lavoratori e da un po’ di anni,
a Taranto, si festeggiano i lavoratori nel senso più nefasto della parola.
Vogliono mandare a casa migliaia di veri lavoratori, lasciando sul lastrico le
loro famiglie. Il Governatore della Puglia Michele Emiliano, i No Tap, i No Tav,
il comitato “Liberi e Pensanti”, un coacervo di stampo grillino, insomma, non
chiedono il risanamento dell’Ilva, nel rispetto del diritto alla salute, ma
chiedono la totale chiusura dell’Ilva a dispregio del diritto al lavoro, che da
queste parti è un privilegio assai raro.
Vediamo un po’ perché li si definisce nullafacenti festaioli?
Secondo l’Istat gli occupati in Italia sono 23.130.000. Ma a spulciare i numeri
qualcosa non torna.
Prendiamo come spunto il programma "Quelli che... dopo il TG" su Rai 2. Un
diverso punto di vista, uno sguardo comico e dissacrante sulle notizie appena
date dal telegiornale e anche su ciò che il TG non ha detto. Conduttori Luca
Bizzarri, Paolo Kessisoglu e Mia Ceran. Il programma andato in onda il primo
maggio 2018 alle ore 21,05, dopo, appunto, il Tg2.
«Primo maggio festa dei lavoratori. Noi abbiamo pensato una cosa: tutti questi
lavoratori che festeggiano, vediamo tutte ste feste. Allora noi ci siamo
chiesti: Quanti sono quelli che lavorano in Italia. Perchè saranno ben tanti no?
Siamo 60.905.976 (al 21 ottobre 2016). Però facciamo così.
Togliamo quelli sotto i sei anni: 3.305.574 = 57.600.402 che lavorano;
Togliamo quelli sopra gli ottant’anni: 4.264.308 = 53.336.094 che lavorano;
Togliamo gli scolari, gli studenti e gli universitari: 10.592. 685 = 42.743.409
che lavorano;
Togliamo i pensionati e gli invalidi: 19.374.168 = 23.369.241 che lavorano;
Togliamo anche artisti, sportivi ed animatori: 3.835.674 = 19.533.567 che
lavorano;
Togliamo ancora assenteisti, furbetti del cartellino, forestali siciliani,
detenuti e falsi invalidi: 9.487.331 = 10.046.236 che lavorano;
Togliamo blogger, influencer e social media menager: 2.234.985 = 7.811.251 che
lavorano;
Togliamo spacciatori, prostitute, giornalisti, avvocati, (omettono magistrati,
notai, maestri e professori), commercialisti, preti, suore e frati: 5.654.320 =
2.156.931 che lavorano;
Ultimo taglietto, nobili decaduti, neo borbonici, mantenuti, direttori e
dirigenti Rai: 1.727.771 = 429.160 che lavorano».
Questo il conto tenuto da Luca e Paolo con numeri verosimili alle fonti
ufficiali, facilmente verificabili. In verità a loro risulta che a rimanere a
lavorare sono solo loro due, ma tant’è.
Per non parlare dei disoccupati veri e propri che a far data aprile 2018 si
contano così a 2.835.000.
In aggiunta togliamo i 450.000 dipendenti della pubblica amministrazione dei
reparti sicurezza e difesa. Quelli che per il pronto intervento li chiami ed
arrivano quando più non servono.
Togliamo ancora malati, degenti e medici (con numero da precisare) come gli
operatori del reparto di ortopedia e traumatologia dell’Ospedale di Manduria
“Giannuzzi”. In quel reparto i ricoverati, più che degenti, sono detenuti in
attesa di giudizio, in quanto per giorni attendono quell’intervento, che prima o
poi arriverà, sempre che la natura non faccia il suo corso facendo saldare
naturalmente le ossa rotte.
A proposito di saldare. A questo punto non solo non ci sono più lavoratori, ma
bisogna aspettare quelli futuri per saldare il conto.
Al primo maggio, sembra, quindi, che a conti fatti, i nullafacenti vogliono
festeggiare a modo loro i pochi veri lavoratori rimasti, condannandoli alla
disoccupazione. Ultimi lavoratori rimasti, che, bontà loro, non fanno più parte
nemmeno della numerica ufficiale.
Una locuzione latina, un motto degli antichi romani, è: dividi et impera!
Espediente fatto proprio dal Potere contemporaneo, dispotico e numericamente
modesto, per controllare un popolo, provocando rivalità e fomentando discordie.
Comunisti, e media a loro asserviti, istigano le rivalità.
Dove loro vedono donne o uomini, io vedo persone con lo stesso problema.
Dove loro vedono lgbti o eterosessuali, io vedo amanti con lo stesso problema.
Dove loro vedono bellezza o bruttezza, io vedo qualcosa che invecchierà con lo
stesso problema.
Dove loro vedono madri o padri, io vedo genitori con lo stesso problema.
Dove loro vedono comunisti o fascisti, io vedo elettori con lo stesso problema.
Dove loro vedono settentrionali o meridionali, io vedo cittadini italiani con lo
stesso problema.
Dove loro vedono interisti o napoletani, io vedo tifosi con lo stesso problema.
Dove loro vedono ricchi o poveri, io vedo contribuenti con lo stesso problema.
Dove loro vedono poveri da aiutare, io vedo degli incapaci o degli sfaticati,
ma, in specialmodo, vedo persone a cui è impedita la possibilità di emergere
dall’indigenza per ragioni ideologiche o di casta o di lobby.
Dove loro vedono immigrati o indigeni, io vedo residenti con lo stesso problema.
Dove loro vedono pelli bianche o nere, io vedo individui con lo stesso problema.
Dove loro vedono cristiani o mussulmani, io vedo gente che nasce senza volerlo,
muore senza volerlo e vive una vita di prese per il culo.
Dove loro vedono colti od analfabeti, io vedo discultura ed oscurantismo, ossia
ignoranti con lo stesso problema.
Dove loro vedono grandi menti o grandi cazzi, io vedo geni o cazzoni con lo
stesso problema.
Gattopardismo. Vocabolario on line Treccani.
Gattopardismo s. m. (anche, meno comunem., gattopardite s. f.). – Nel linguaggio
letterario e giornalistico, l’atteggiamento (tradizionalmente definito
come trasformismo) proprio di chi, avendo fatto parte del ceto dominante o
agiato in un precedente regime, si adatta a un nuova situazione politica,
sociale o economica, simulando d’esserne promotore o fautore, per poter
conservare il proprio potere e i privilegi della propria classe. Il termine,
così come la concezione e la prassi che con esso vengono espresse, è fondato
sull’affermazione paradossale che «tutto deve cambiare perché tutto resti come
prima», che è l’adattamento più diffuso con cui viene citato il passo che nel
romanzo Il Gattopardo (v. la voce prec.) si legge testualmente in questa forma
«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi» (chi pronuncia
la frase non è però il principe di Salina ma suo nipote Tancredi).
Se questa è democrazia…
I nostri politici sono solo mediocri
amministratori improvvisati assetati di un potere immeritato. Governanti sono
coloro che prevedono e governano gli eventi, riformando ogni norma intralciante
la modernità ed il progresso, senza ausilio di leggi estemporanee ed
improvvisate per dirimere i prevedibili imprevisti.
I liberali sono una parte politica atea e
senza ideologia. Credono solo nella libertà, il loro principio fondante ed
unico, che vieta il necessario e permette tutto a tutti, consentendo ai poveri,
se capaci, di diventare ricchi. Io sono un liberale ed i liberali, sin
dall’avvento del socialismo, sono mal tollerati perché contro lobbies e caste di
incapaci. Con loro si avrebbe la meritocrazia, ma sono osteggiati dai
giornalisti che ne inibiscono la visibilità.
I popolari (o populisti) sono la maggiore
forza politica fondata sull’ipocrisia e sulle confessioni religiose. Vietano
tutto, ma, allo stesso tempo, perdonano tutto, permettendo, di fatto, tutto a
tutti. Sono l’emblema del gattopardismo. Con loro non cambia mai niente. Loro
sono l’emblema del familismo, della raccomandazione e della corruzione, forte
merce di scambio alle elezioni. Si infiltrano spesso in altre fazioni politiche
impedendone le loro peculiari politiche ed agevolano il voltagabbanesimo.
I socialisti (fascisti e derivati;
comunisti e derivati) sono una forza politica ideologica e confessionale di
natura scissionista e frammentista e falsamente moralista, a carattere
demagogico ed ipocrita. Cattivi, invidiosi e vendicativi. La loro confessione,
più che ideologia, si fonda sul lavoro, sulle tasse e sul fisco.
Rappresenterebbe la classe sociale meno abbiente. Illude i poveri di volerli
aiutare, carpendone i voti fiduciari, ma, di fatto, impedisce loro la scalata
sociale, livellando in basso la società civile, verso un progressivo
decadimento, in quanto vieta tutto a tutti, condanna tutto e tutti, tranne a se
stessi. Si caratterizzano dalla abnorme produzione normativa di divieti e
sanzioni, allargando in modo spropositato il tema della legalità, e dal
monopolio culturale. Con loro cambierebbe in peggio, in quanto inibiscono ogni
iniziativa economica e culturale, perché, senza volerlo si vivrebbe
nell’illegalità, ignorando, senza colpa, un loro dettato legislativo, incorrendo
in inevitabili sanzioni, poste a sostentare il parassitismo statale con la
prolificazione di enti e organi di controllo e con l’allargamento dell’apparato
amministrativo pubblico. L’idea socialista ha infestato le politiche comunitarie
europee.
Per il poltronificio l’ortodossia
ideologica ha ceduto alla promiscuità ed ha partorito un sistema spurio e
depravato, producendo immobilismo, oppressione fiscale, corruzione e
raccomandazione, giustizialismo ed odio/razzismo territoriale.
La gente non va a votare perché il
giornalismo prezzolato e raccomandato propaganda i vecchi tromboni e la vecchia
politica, impedendo la visibilità alle nuove idee progressiste. La Stampa e la
tv nasconde l’odio della gente verso questi politici. Propagandano come
democratica l’elezione di un Parlamento votato dalla metà degli elettori Ed un
terzo di questo Parlamento è formato da un movimento di protesta. Quindi avremo
un Governo di amministratori (e non di governanti) che rappresenta solo la
promiscuità, e la loro riconoscente parte amicale, ed estremamente minoritaria.
Se questa è democraziaQuesto
non lo dico io…Giorgio Gaber: In un tempo senza ideali nè utopia, dove l'unica
salvezza è un'onorevole follia...Testo Destra-Sinistra - 1995/1996
Le parole, definiscono il mondo, se non ci
fossero le parole, non avemmo la possibilità di parlare, di niente. Ma il mondo
gira, e le parole stanno ferme, le parole si logorano invecchiano, perdono di
senso, e tutti noi continuiamo ad usarle, senza accorgerci di parlare, di
niente.
Tutti noi ce la prendiamo con la storia
ma io dico che la colpa è nostra
è evidente che la gente è poco seria
quando parla di sinistra o destra
Ma cos'é la destra cos'é la sinistra
Ma cos'é la destra cos'é la sinistra
Fare il bagno nella vasca è di destra
far la doccia invece è di sinistra
un pacchetto di Marlboro è di destra
di contrabbando è di sinistra
Ma cos'é la destra cos'é la sinistra
Una bella minestrina è di destra
il minestrone è sempre di sinistra
quasi tutte le canzoni son di destra
se annoiano son di sinistra
Ma cos'é la destra cos'é la sinistra
Le scarpette da ginnastica o da tennis
hanno ancora un gusto un po’ di destra
ma portarle tutte sporche e un po’ slacciate
è da scemi più che di sinistra
Ma cos'é la destra cos'é la sinistra
I blue-jeans che sono un segno di sinistra
con la giacca vanno verso destra
il concerto nello stadio è di sinistra
i prezzi sono un po’ di destra
Ma cos'é la destra cos'é la sinistra
La patata per natura è di sinistra
spappolata nel purè è di destra
la pisciata in compagnia é di sinistra
il cesso é sempre in fondo a destra.
Ma cos'é la destra cos'é la sinistra
La piscina bella azzurra e trasparente
è evidente che sia un po’ di destra
mentre i fiumi tutti i laghi e anche il mare
sono di merda più che sinistra
Ma cos'é la destra cos'é la sinistra
L’ideologia, l’ideologia
malgrado tutto credo ancora che ci sia
è la passione l’ossessione della tua
diversità
che al momento dove è andata non si sa
dove non si sa dove non si sa.
Io direi che il culatello è di destra
la mortadella è di sinistra
se la cioccolata svizzera é di destra
la nutella é ancora di sinistra.
Ma cos'é la destra cos'é la sinistra
La tangente per natura è di destra
col consenso di chi sta a sinistra
non si sa se la fortuna sia di destra
la sfiga è sempre di sinistra.
Ma cos'é la destra cos'é la sinistra
Il saluto vigoroso a pugno chiuso
è un antico gesto di sinistra
quello un po’ degli anni '20 un po’ romano
è da stronzi oltre che di destra
Ma cos'é la destra cos'é la sinistra
L’ideologia, l’ideologia
malgrado tutto credo ancora che ci sia
è il continuare ad affermare un pensiero e il
suo perché
con la scusa di un contrasto che non c’è
se c'é chissà dov'è se c'é chissà dov'é.
Canticchiar con la chitarra è di sinistra
con il karaoke è di destra
I collant son quasi sempre di sinistra
il reggicalze é più che mai di destra
Ma cos'é la destra cos'é la sinistra
La risposta delle masse è di sinistra
con un lieve cedimento a destra
Son sicuro che il bastardo è di sinistra
il figlio di puttana è a destra
Ma cos'é la destra cos'é la sinistra
Una donna emancipata è di sinistra
riservata è già un po’ più di destra
ma un figone resta sempre un’attrazione
che va bene per sinistra o destra.
Ma cos'é la destra cos'é la sinistra
Tutti noi ce la prendiamo con la storia
ma io dico che la colpa é nostra
é evidente che la gente é poco seria
quando parla di sinistra o destra.
Ma cos'é la destra cos'é la sinistra
Ma cos'é la destra cos'é la sinistra
Destra sinistra
Destra sinistra
Destra sinistra
Destra sinistra
Destra sinistra
Basta!
Dall'album E Pensare Che C'era Il Pensiero.
E comunque non siamo i soli a dirlo…Rino
Gaetano Nuntereggae più, 1978.
Nuntereggae più
Abbasso e alè (NUNTEREGGAEPIU')
abbasso e alè (NUNTEREGGAEPIU')
abbasso e alè con le canzoni
senza fatti e soluzioni
la castità (NUNTEREGGAEPIU')
la verginità (NUNTEREGGAEPIU')
la sposa in bianco, il maschio forte
i ministri puliti, i buffoni di corte
ladri di polli
super pensioni (NUNTEREGGAEPIU')
ladri di stato e stupratori
il grasso ventre dei commendatori
diete politicizzate
evasori legalizzati (NUNTEREGGAEPIU')
auto
blu
sangue
blu
cieli
blu
amore
blu
rock
and blues
NUNTEREGGAEPIU'
Eja
alalà (NUNTEREGGAEPIU')
pci
psi (NUNTEREGGAEPIU')
dc dc (NUNTEREGGAEPIU')
pci psi pli pri
dc dc dc dc
Cazzaniga (NUNTEREGGAEPIU')
Avvocato Agnelli, Umberto Agnelli
Susanna Agnelli, Monti, Pirelli
dribbla Causio che passa a Tardelli
Musiello, Antognoni, Zaccarelli
(NUNTEREGGAEPIU')
Gianni Brera (NUNTEREGGAEPIU')
Bearzot (NUNTEREGGAEPIU')
Monzon, Panatta, Rivera, D'Ambrosio
Lauda, Thoeni, Maurizio Costanzo, Mike
Bongiorno
Villaggio, Raffa, Guccini
onorevole eccellenza, cavaliere senatore
nobildonna, eminenza, monsignore
vossia, cherie, mon amour
NUNTEREGGAEPIU'
Immunità parlamentare (NUNTEREGGAEPIU')
abbasso e alè
il numero 5 sta in panchina
s'è alzato male stamattina
mi sia consentito dire (NUNTEREGGAEPIU')
il nostro è un partito serio
disponibile al confronto
nella misura in cui
alternativo
aliena ogni compromess
ahi lo stress
Freud e il sess
è tutto un cess
ci sarà la ress
se quest'estate andremo al mare
solo i soldi e tanto amore
e vivremo nel terrore che ci rubino
l'argenteria
è più prosa che poesia
dove sei tu? non m'ami più?
dove sei tu? io voglio tu
soltanto tu dove sei tu?
NUNTEREGGAEPIU'
Uè paisà (NUNTEREGGAEPIU')
il bricolage (NUNTEREGGAEPIU')
il quindici-diciotto
il prosciutto cotto
il quarantotto
il sessantotto
le pitrentotto
sulla spiaggia di Capocotta
(Cartier Cardin Gucci)
Portobello e illusioni
lotteria trecento milioni
mentre il popolo si gratta
a dama c'è chi fa la patta
a settemezzo c'ho la matta
mentre vedo tanta gente
che non c'ha l'acqua corrente
non c'ha niente
ma chi me sente
ma chi me sente
e allora amore mio ti amo
che bella sei
vali per sei
ci giurerei
ma è meglio lei
che bella sei
che bella lei
ci giurerei
sei meglio tu
che bella sei
che bella sei
NUNTEREGGAEPIU'
L’astensione al voto non basta. Come la protesta non può essere delegata ad una
accozzaglia improvvisata ed impreparata. Bisogna fare tabula rasa dei vecchi
principi catto comunisti, filo massonici-mafiosi.
Noi siamo un unicum con i medesimi problemi, che noi stessi, conoscendoli,
possiamo risolvere. In caso contrario un popolo di “coglioni” sarà sempre
governato ed amministrato, informato, istruito e giudicato da “coglioni”.
Ed io non sarò tra quei coglioni che voteranno dei coglioni.
La legalità è un comportamento conforme alla
legge. Legalità e legge sono facce della stessa medaglia.
Nei regimi liberali l’azione normativa per
intervento statale, per regolare i rapporti tra Stato e cittadino ed i rapporti
tra cittadini, è limitata. Si lascia spazio all’evolvere naturale delle cose. La
devianza è un’eccezione, solo se dannosa per l'equilibrio sociale.
Nei regimi socialisti/comunisti/populisti
l’intervento statale è inflazionato da miriadi di leggi, oscure e sconosciute,
che regolano ogni minimo aspetto della vita dell’individuo, che non è più
singolo, ma è massa. Il cittadino diventa numero di pratica amministrativa, di
cartella medica, di fascicolo giudiziario. Laddove tutti si sentono onesti ed
occupano i posti che stanno dalla parte della ragione, c’è sempre quello che si
sente più onesto degli altri, e ne limita gli spazi. In nome di una presunta
ragion di Stato si erogano miriadi di norme sanzionatrici limitatrici di
libertà, spesso contrastati, tra loro e tra le loro interpretazioni
giurisprudenziali. Nel coacervo marasma normativo è impossibile conformarsi, per
ignoranza o per necessità. Ne è eccezione l'indole. Addirittura il legislatore è
esso medesimo abusivo e dichiarato illegittimo dalla stessa Corte
Costituzionale, ritenuto deviante dalla suprema Carta. Le leggi partorite da un
Parlamento illegale, anch'esse illegali, producono legalità sanzionatoria. Gli
operatori del diritto manifestano pillole di competenza e perizia pur essendo
essi stessi cooptati con concorsi pubblici truccati. In questo modo aumentano i
devianti e si è in pochi ad essere onesti, fino alla assoluta estinzione. In un
mondo di totale illegalità, quindi, vi è assoluta impunità, salvo l'eccezione
del capro espiatorio, che ne conferma la regola. Ergo: quando tutto è illegale,
è come se tutto fosse legale.
L’eccesso di zelo e di criminalizzazione crea
un’accozzaglia di organi di controllo, con abuso di burocrazia, il cui rimedio
indotto per sveltirne l’iter è la corruzione.
Gli insani ruoli, politici e burocratici, per
giustificare la loro esistenza, creano criminali dove non ne esistono, per legge
e per induzione.
Ergo: criminalizzazione = burocratizzazione =
tassazione-corruzione.
Allora, si può dire che è meglio il
laissez-faire (il lasciare fare dalla natura delle cose e dell’animo umano) che
essere presi per il culo e …ammanettati per i polsi ed espropriati dai propri
beni da un manipolo di criminali demagoghi ed ignoranti con un’insana sete di
potere.
Prendiamo per esempio il fenomeno cosiddetto
dell'abusivismo edilizio, che è elemento prettamente di natura privata. I
comunisti da sempre osteggiano la proprietà privata, ostentazione di ricchezza,
e secondo loro, frutto di ladrocinio. Sì, perchè, per i sinistri, chi è ricco,
lo è perchè ha rubato e non perchè se lo è guadagnato per merito e per lavoro.
Il perchè al sud Italia vi è più abusivismo
edilizio (e per lo più tollerato)? E’ presto detto. Fino agli anni '50 l'Italia
meridionale era fondata su piccoli borghi, con case di due stanze, di cui una
adibita a stalla. Paesini da cui all’alba si partiva per lavorare nelle o presso
le masserie dei padroni, per poi al tramonto farne ritorno. La masseria
generalmente non era destinata ad alloggio per i braccianti.
Al nord Italia vi erano le Cascine a corte o
Corti coloniche, che, a differenza delle Masserie, erano piccoli agglomerati che
contenevano, oltre che gli edifici lavorativi e magazzini, anche le abitazioni
dei contadini. Quei contadini del nord sono rimasti tali. Terroni erano e
terroni son rimasti. Per questo al Nord non hanno avuto la necessità di
evolversi urbanisticamente. Per quanto riguardava gli emigrati bastava dargli
una tana puzzolente.
Al Sud, invece, quei braccianti sono emigrati
per essere mai più terroni. Dopo l'ondata migratoria dal sud Italia, la nuova
ricchezza prodotta dagli emigranti era destinata alla costruzione di una loro
vera e bella casa in terra natia, così come l'avevano abitata in Francia,
Germania, ecc.: non i vecchi tuguri dei borghi contadini, nè gli alveari delle
case ringhiera o dei nuovi palazzoni del nord Italia. Inoltre quei braccianti
avevano imparato un mestiere, che volevano svolgere nel loro paese di origine,
quindi avevano bisogno di costruire un fabbricato per adibirlo a magazzino o ad
officina. Ma la volontà di chi voleva un bel tetto sulla testa od un opificio,
si scontrava e si scontra con la immensa burocrazia dei comunisti ed i loro
vincoli annessi (urbanistici, storici, culturali, architettonici, archeologici,
artistici, ambientali, idrogeologici, di rispetto, ecc.), che inibiscono ogni
forma di soluzione privata. Ergo: per il diritto sacrosanto alla casa ed al
lavoro si è costruito, secondo i canoni di sicurezza e di vincoli, ma al di
fuori del piano regolatore generale (Piano Urbanistico) inesistente od antico,
altrimenti non si potrebbe sanare con ulteriori costi sanzionatori che rende
l’abuso antieconomico. Per questo motivo si pagano sì le tasse per una casa od
un opificio, che la burocrazia intende abusivo, ma che la stessa burocrazia non
sana, nè dota quelle costruzioni, in virtù delle tasse ricevute e a tal fine
destinate, di infrastrutture primarie: luce, strade, acqua, gas, ecc.. Da qui,
poi, nasce anche il problema della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti.
Burocrazia su Burocrazia e gente indegna ed incapace ad amministrarla.
Per quanto riguarda, sempre al sud,
l'abusivismo edilizio sulle coste, non è uno sfregio all'ambiente, perchè
l'ambiente è una risorsa per l'economia, ma è un tentativo di valorizzare
quell’ambiente per far sviluppare il turismo, come fonte di sviluppo sociale ed
economico locale, così come in tutte le zone a vocazione turistica del
mediterraneo, che, però, la sinistra fa fallire, perchè ci vuole tutti poveri e
quindi, più servili e assoggettabili. L'ambientalismo è una scusa, altrimenti
non si spiega come al nord Italia si possa permettere di costruire o tollerare
costruzioni alle pendici dei monti, o nelle valli scoscese, con pericolo di
frane ed alluvioni, ma per gli organi di informazione nazionale, prevalentemente
nordisti e razzisti e prezzolati dalla sinistra, è un buon viatico, quello del
tema dell'abusivismo e di conseguenza della criminalità che ne consegue, o di
quella organizzata che la si vede anche se non c'è o che è sopravalutata, per
buttare merda sulla reputazione dei meridionali.
Prima della rivoluzione francese “L’Ancien
Régime” imponeva: ruba ai poveri per dare ai ricchi.
Erano dei Ladri!!!
Dopo, con l’avvento dei moti rivoluzionari
del proletariato e la formazione ideologica/confessionale dei movimenti di
sinistra e le formazioni settarie scissioniste del comunismo e del fascismo, si
impose il regime contemporaneo dello stato sociale o anche detto stato
assistenziale (dall'inglese welfare state). Lo stato sociale è una
caratteristica dei moderni stati di diritto che si fondano sul presupposto e
inesistente principio di uguaglianza, in quanto possiamo avere uguali diritti,
ma non possiamo essere ritenuti tutti uguali: c’è il genio e l’incapace, c’è lo
stakanovista e lo scansafatiche, l’onesto ed il deviante. Il capitale di per sé
produce reddito, anche senza il fattore lavoro. Lavoro e capitale messi insieme,
producono ricchezza per entrambi. Il lavoro senza capitale non produce
ricchezza. Il ritenere tutti uguali è il fondamento di quasi tutte le
Costituzioni figlie dell’influenza della rivoluzione francese: Libertà,
Uguaglianza, Solidarietà. Senza questi principi ogni stato moderno non sarebbe
possibile chiamarlo tale. Questi Stati non amano la meritocrazia, né meritevoli
sono i loro organi istituzionali e burocratici. Il tutto si baratta con elezioni
irregolari ed a larga astensione e con concorsi pubblici truccati di
cooptazione. In questa specie di democrazia vige la tirannia delle minoranze.
L’egualitarismo è una truffa. E’ un principio velleitario detto alla “Robin
Hood”, ossia: ruba ai ricchi per dare ai poveri.
Sono dei ladri!!!
Tra l’antico regime e l’odierno sistema quale
è la differenza?
Sempre di ladri si tratta. Anzi oggi è
peggio. I criminali, oggi come allora, saranno coloro che sempre si
arricchiranno sui beoti che li acclamano, ma oggi, per giunta, ti fanno
intendere di fare gli interessi dei più deboli.
Non diritto al lavoro, che, come la manna,
non cade dal cielo, ma diritto a creare lavoro. Diritto del subordinato a
diventare titolare. Ma questo principio di libertà rende la gente libera nel
produrre lavoro e ad accumulare capitale. La “Libertà” non è statuita
nell’articolo 1 della nostra Costituzione catto comunista. Costituzioni che
osannano il lavoro, senza crearne, ma foraggiano il capitale con i soldi dei
lavoratori.
Le confessioni comuniste/fasciste e clericali
ti insegnano: chiedi e ti sarà dato e comunque, subisci e taci!
Io non voglio chiedere niente a nessuno,
specie ai ladri criminali e menzogneri, perché chi chiede si assoggetta e si
schiavizza nella gratitudine e nella riconoscenza.
Una vita senza libertà è una vita di merda…
Cultura e cittadinanza attiva. Diamo voce
alla piccola editoria indipendente.
Collana editoriale “L’Italia del Trucco,
l’Italia che siamo”. Una lettura alternativa per l’estate, ma anche per tutto
l’anno. L’autore Antonio Giangrande: “Conoscere per giudicare”.
"Fatti non foste a viver come bruti, ma per
seguir virtute e canoscenza". Dante, Inferno XXVI.
La collana editoriale indipendente “L’Italia
del Trucco, l’Italia che siamo” racconta un’Italia inenarrabile ed inenarrata.
È così, piaccia o no ai maestrini, specie
quelli di sinistra. Dio sa quanto gli fa torcere le budella all’approcciarsi del
cittadino comune, ai cultori e praticanti dello snobismo politico,
imprenditoriale ed intellettuale, all’élite che vivono giustificatamente
separati e pensosi, perennemente con la puzza sotto il naso.
Il bello è che, i maestrini, se è contro i
loro canoni, contestano anche l’ovvio.
Come si dice: chi sa, fa; chi non sa,
insegna.
In Italia, purtroppo, vigono due leggi.
La prima è la «meritocrazia del contenuto».
Secondo questa regola tutto quello che non è dichiaratamente impegnato
politicamente è materia fecale. La conseguenza è che, per dimostrare
«l'impegno», basta incentrare tutto su un contenuto e schierarsene
ideologicamente a favore: mafia, migranti, omosessualità, ecc. Poi la forma non
conta, tantomeno la realtà della vita quotidiana. Da ciò deriva che, se si
scrive in modo neutro (e quindi senza farne una battaglia ideologica), si
diventa non omologato, quindi osteggiato o emarginato o ignorato.
La seconda legge è collegata alla prima. La
maggior parte degli scrittori nostrani si è fatta un nome in due modi. Primo:
rompendo le balle fin dall'esordio con la superiorità intellettuale rispetto
alle feci che sarebbero i «disimpegnati».
Secondo modo per farsi un nome: esordire
nella medietà (cioè nel tanto odiato nazional-popolare), per poi tentare il
salto verso la superiorità.
Il copione lo conosciamo: a ogni gaffe di
cultura generale scatta la presa in giro. Il problema è che a perderci sono
proprio loro, i maestrini col ditino alzato. Perché è meno grave essere vittime
dello scadimento culturale del Paese che esserne responsabili. Perché,
nonostante le gaffe conclamate e i vostri moti di sdegno e scherno col ditino
alzato su congiuntivi, storia e geografia, gli errori confermano a pieno titolo
come uomini di popolo, gente comune, siano vittime dello scadimento culturale
del Paese e non siano responsabili di una sub cultura menzognera omologata e
conforme. Forse alla gente comune rompe il cazzo il sentire le prediche e le
ironie di chi - lungi dall’essere anche solo avvicinabile al concetto di élite -
pensa di saperne un po’ di più. Forse perché ha avuto insegnanti migliori, o un
contesto famigliare un po’ più acculturato, o il tempo di leggere qualche libro
in più. O forse perchè ha maggior dose di presunzione ed arroganza, oppure
occupa uno scranno immeritato, o gli si dà l’opportunità mediatica immeritata,
che gli dà un posto in alto e l’opportunità di vaneggiare.
Non c'è nessun genio, nessun accademico tra i
maestrini. Del resto, mai un vero intellettuale si permetterebbe di correggere
una citazione errata, tantomeno di prenderne in giro l'autore. Solo gente
normale con una cultura normale pure loro, con una alta dose di egocentrismo,
cresciuti a pane, magari a videocassette dell’Unità di Veltroni e citazioni a
sproposito di Pasolini. Maestrini che vedono la pagliuzza negli occhi altrui,
pagliuzza che spesso non c'è neppure, e non hanno coscienza della trave nei loro
occhi o su cui sono appoggiati.
L'ITALIA ED IL DNA DEGLI ITALIANI.
La bella Italia
di Aban feat. Marracash & Gue Pequeno
Ehi, è la mia nazione, niente cambia qua,
Marra, Guè Pequeno, vi porto a fare un giro nella Bella Italia
E dovrei leggere il giornale e guardare il tg, in tv,
per accorgermi che stato e mafia sono intimi,
Dogo Gang, lo sanno già tutti,
Southfam, lo sanno già tutti,
il peggio è che lo sanno già tutti.
Vengo al mondo con il piombo nel '79
con il cielo rosso sangue sopra la nazione
l'anno prima della bomba dentro la stazione
il Paese inginocchiato ai piedi del terrore
l'ambientazione non cambia quando passiamo agli '80
quando è lo stato assassino, sai non esiste condanna
basta una botta di pala per insabbiare la trama
e tutti morti ammazzati dentro le stragi in Italia
poi la nuova alleanza tra politica e mala
la faccia buona e pulita, la mano armata e insanguinata
i pilastri di cemento con i cristiani dentro
l'acido e le vasche, e il primo pentimento
sono gli anni dei maxi processi, la verità viene a galla
lo stato primo assassino, strinse la mano alla mala,
e se volevi lavorare dovevi pagare
l'impiegato, il sindaco, l'appalto comunale.
I nuovi clan del 90 sotto il nome d'azienda
i soldi sporchi riciclati dalle banche di Berna
la politica assassina che soffoca i cittadini
e ruba dallo stipendio per finanziare i partiti
i loro vizi esauditi col sangue degli operai
e i soldi delle pensioni che non bastano mai
12 teste al mese per ogni parlamentare
e 8000 euro all'anno per la fascia popolare
l'onorevole a puttane, l'ha detto il telegiornale
bamba pura di Colombia per l'alto parlamentare
tra i banchi di tribunale c'è chi ha rubato per fame
una vita di lavoro e 5 bocche da sfamare
ma la legge della Bella Italia valuta il prefisso
che davanti al nome è presidente o ministro
e non conta il reato, il verdetto è fisso,
non va dentro Barabba, sconta il povero Cristo.
Non c'è il diavolo contro l'angelo che consiglia
L'alternativa per me è il diavolo o la scimmia
in testa ho merda, fogli in fretta, potere, droga e tette
come in Quirinale, il criminale che non si dimette
ho l'oro bianco al collo frà, ed è gelido come il mio cuore
devo inventarmi soldi, voi vi inventate storie
l'uomo di successo qui è il balordo legalizzato
(???) ci ha promesso che lui non si è mai drogato
la mafia e la politica frà andranno sempre insieme,
come al cesso mano nella mano le due amiche sceme
ed è per questo che molta della mia gente, no, non vota
nella merda frà ci nuota, mentre in tele svolta un altro idiota
questa è la Bella Italia, tira una bella raglia
faccia da galera del magnaccia sul Carrera
scorda i problemi, sogna il montepremi
il frà sul lastrico progetta fuga nel Sud-Est Asiatico.
In Italia di
Fabri Fibra feat. Gianna Nannini.
Ci sono cose che nessuno ti dirà…
Ci sono cose che nessuno ti darà…
Sei nato e morto qua
Nato e morto qua
Nato nel paese delle mezza verità
Dove fuggi? In Italia
Pistole in macchine in Italia
Machiavelli e Foscolo in Italia
I campioni del mondo sono in Italia
Benvenuto in Italia
Fatti una vacanza al mare in Italia
Meglio non farsi operare in Italia
Non andare all'ospedale in Italia
La bella vita in Italia
Le grandi serate e i gala in Italia
Fai affari con la mala in Italia
Il vicino che ti spara in Italia
Ci sono cose che nessuno ti dirà…
Ci sono cose che nessuno ti darà…
Sei nato e morto qua
Sei nato e morto qua
Nato nel paese delle mezza verità
Dove fuggi? In Italia
I veri mafiosi sono in Italia
I più pericolosi sono in Italia
Le ragazze nella strada in Italia
Mangi pasta fatta in casa in Italia
Poi ti entrano i ladri in casa in Italia
Non trovi un lavoro fisso in Italia
Ma baci il crocifisso in Italia
I monumenti in Italia
Le chiese con i dipinti in Italia
Gente con dei sentimenti in Italia
La campagna e i rapimenti in Italia
Ci sono cose che nessuno ti dirà…
Ci sono cose che nessuno ti darà…
Sei nato e morto qua
Sei nato e morto qua
Nato nel paese delle mezza verità
Dove fuggi? In Italia
Le ragazze corteggiate in Italia
Le donne fotografate in Italia
Le modelle ricattate in Italia
Impara l'arte in Italia
Gente che legge le carte in Italia
Assassini mai scoperti in Italia
Volti persi e voti certi in Italia
Ci sono cose che nessuno ti dirà…
Ci sono cose che nessuno ti darà…
Sei nato e morto qua
Sei nato e morto qua
Nato nel paese delle mezza verità
Dove fuggi…
Dove fuggi...
La terra dei cachi
di Elio e le Storie Tese
Parcheggi abusivi, applausi abusivi, villette abusive, abusi sessuali abusivi;
tanta voglia di ricominciare abusiva.
Appalti truccati, trapianti truccati, motorini truccati che scippano donne
truccate;
il visagista delle dive è truccatissimo.
Papaveri e papi, la donna cannolo, una lacrima sul visto:
Italia sì Italia no Italia bum, la strage impunita.
Puoi dir di sì puoi dir di no, ma questa è la vita.
Prepariamoci un caffè, non rechiamoci al caffè:
c'è un commando che ci aspetta per assassinarci un po'.
Commando sì commando no, commando omicida.
Commando pam commando papapapapam, ma se c'è la partita
il commando non ci sta e allo stadio se ne va,
sventolando il bandierone non più sangue scorrerà;
infetto sì? Infetto no? Quintali di plasma.
Primario sì primario dai, primario fantasma,
io fantasma non sarò e al tuo plasma dico no.
Se dimentichi le pinze fischiettando ti dirò
"fi fi fi fi fi fi fi fi ti devo una pinza, fi fi fi fi fi fi fi fi, ce l'ho
nella panza".
Viva il crogiuolo di pinze. Viva il crogiuolo di panze.
Quanti problemi irrisolti ma un cuore grande così.
Italia sì Italia no Italia gnamme, se famo du spaghi.
Italia sob Italia prot, la terra dei cachi.
Una pizza in compagnia, una pizza da solo; un totale di due pizze e l'Italia è
questa qua.
Fufafifì' fufafifì' Italia evviva.
Italia perfetta, perepepè' nanananai.
Una pizza in compagnia, una pizza da solo:
in totale molto pizzo, ma l ' Italia non ci sta.
Italia sì Italia no, Italia sì
uè, Italia no, uè uè uè uè uè.
Perché la terra dei cachi è la terra dei cachi. No
L'italiano medio
degli Articolo 31
Io mi ricordo collette di Natale
Campi di grano ai lati della provinciale
Il tragico Fantozzi, la satira sociale
Oggi cerco Luttazzi e
Non lo trovo sul canale
Comunque sono un bravo cittadino
Ho aggiornato suonerie del telefonino
E un bicchiere di vino con un panino
Provo felicità se Costanzo fa il trenino
Ho un santino in salotto
Lo prego così vinco all'enalotto
Ho Gerry Scotti col risotto ma è scotto
Che mi fa diventare milionario come Silvio
Col giornale di Paolo e tanta fede in Emilio
Quest'anno ho avuto fame ma per due settimane
Ho fatto il ricco a Porto Cervo. Che bello!
Però ricordo collette di Natale
Campi di grano ora il grano è da buttare
M'importa poco oggi io vado al centro commerciale
E il mio problema è solo dove parcheggiare
Ohoo Ohoo
Ma a me non me ne frega tanto
Ohoo Ohoo
Io sono un italiano e canto
E datemi Fiorello e Panariello alla tv
Sono l'italiano medio nel blu dipinto di blu
Io sono un bravo cittadino onesto
Bevo al mattino un bel caffè corretto
Dopo cena il limoncello in vacanza la tequila
La Gazzetta d'inverno e d'estate novella 2000
Che bella la vita di una stella
marina o Martina o quella della velina
La mora o la bionda è buona e rotonda
Finchè la barca va finchè la barca affonda
E intanto sto perdendo sulla patente il punto
E un auto blu mi sfreccia accanto
Che incanto
Ohoo Ohoo
Ma a me non me ne frega tanto
Ohoo Ohoo
Io sono un italiano e canto
Non togliermi il pallone e non ti disturbo più
Sono l'italiano medio nel blu dipinto di bluuuuu
Ohoo
Ma spero che un sogno così non ritorni mai più
Mi voglio svegliare, mai più
Ti voglio fare vedere
Che sono proprio un bravo cittadino
Ho il portafoglio di Valentino
E l'importante è quello che ci metto dentro
Vado con il vento a sinistra a destra
Sabato in centro fino a consumare le suole
Ballo canzoni spagnole così non mi sforzo
A seguire le parole e penso a fare l'amore
Alla villa di Briatore alla nonna senza
Ascensore alla donna del calciatore
A qual è il male minore, l'onore, sua eccellenza
Monsignore ancora baciamo la mano
Che del miracolo italiano
Ohoo Ohoo
Ma a me non me ne frega tanto
Ohoo Ohoo
Io sono un italiano e canto
E datemi Fiorello e Panariello alla tv
Sono l'italiano medio nel blu dipinto di blu
Ohoo Ohoo
Ma a me non me ne frega tanto
Ohoo Ohoo
Io sono un italiano e canto
Non togliermi il pallone e non ti disturbo più
Sono l'italiano medio nel blu dipinto di bluuuuu
Ohoo
C'era una volta
E non solo una
Un re che amava così tanto i vestiti nuovi
che spendeva in essi tutto quello che aveva
Possedeva un abito diverso per ogni ora della giornata
Niente importava per lui
Eccetto i suoi vestiti
Eppure non trovava soddisfazione
Il sarto era sull'orlo della disperazione
Disse al re di avere inventato un nuovo tessuto
Che cambiava colore e forma ad ogni momento
Ma rivelava anche coloro che erano stolti, ignoranti e stupidi
A loro il tessuto sarebbe stato invisibile
E pensate, e pensate
Quelli Che Benpensano
di Frankie HI-NRG MC
Sono intorno a noi, in mezzo a noi, in molti casi siamo noi
A far promesse senza mantenerle mai se non per calcolo
Il fine è solo l'utile, il mezzo ogni possibile
La posta in gioco è massima, l'imperativo è vincere
E non far partecipare nessun altro
Nella logica del gioco la sola regola è esser scaltro
Niente scrupoli o rispetto verso I propri simili
Perché gli ultimi saranno gli ultimi se I primi sono irraggiungibili
Sono tanti, arroganti coi più deboli,
zerbini coi potenti, sono replicanti,
Sono tutti identici, guardali,
stanno dietro a maschere e non li puoi distinguere.
Come lucertole s'arrampicano,
e se poi perdon la coda la ricomprano.
Fanno quel che vogliono si sappia in giro fanno
spendono, spandono e sono quel che hanno
Sono intorno a me, ma non parlano con me.
Sono come me, ma si sentono meglio
Sono intorno a me, ma non parlano con me.
Sono come me, ma si sentono meglio
e come le supposte abitano in blisters full-optional,
Con cani oltre I 120 decibel e nani manco fosse Disneyland,
Vivono col timore di poter sembrare poveri
Quel che hanno ostentano, tutto il resto invidiano, poi lo comprano,
In costante escalation col vicino costruiscono
Parton dal pratino e vanno fino in cielo,
han più parabole sul tetto che S.Marco nel Vangelo..
Sono quelli che di sabato lavano automobili
che alla sera sfrecciano tra l'asfalto e I pargoli,
Medi come I ceti cui appartengono,
terra-terra come I missili cui assomigliano.
Tiratissimi, s'infarinano, s'alcolizzano
e poi s'impastano su un albero
Nasi bianchi come Fruit of the Loom
che diventano più rossi d'un livello di Doom
Sono intorno a me, ma non parlano con me.
Sono come me, ma si sentono meglio
Sono intorno a me, ma non parlano con me.
Sono come me, ma si sentono meglio
Ognun per se, Dio per se, mani che si stringono tra I banchi delle chiese alla
domenica
mani ipocrite, mani che fan cose che non si raccontano
Altrimenti le altre mani chissà cosa pensano, si scandalizzano
Mani che poi firman petizioni per lo sgombero,
Mani lisce come olio di ricino,
Mani che brandisco Manganelli, che Farciscono Gioielli,
che si alzano alle spalle dei Fratelli.
Quelli che la notte non si può girare più,
quelli che vanno a mignotte mentre i figli guardan La TV,
Che fanno I boss, che compra Class,
che son sofisticati da chiamare I NAS, incubi di Plastica
Che vorrebbero dar fuoco ad ogni zingara
Ma l'unica che accendono è quella che da loro l'elemosina ogni sera,
Quando mi nascondo sulla faccia oscura della loro luna nera
Sono intorno a me, ma non parlano con me.
Sono come me, ma si sentono meglio
Sono intorno a me, ma non parlano con me.
Sono come me, ma si sentono meglio
Sono intorno a me, ma non parlano con me.
Sono come me, ma si sentono meglio
Sono intorno a me, ma non parlano con me.
Sono come me, ma si sentono meglio
Sabbie Mobili
di Marracash
Non agitarti
Resta immobile
Non agitarti
Resta immobile
Puoi metterci anni
E guardare ogni cosa che
Affonda Nelle sabbie mobili
Si perde Nelle sabbie mobili
Penso spesso che potrei farlo
Andare via di punto in bianco
Così altra città. Altro Stato
Potrei se avessi il coraggio
Ho un orizzonte limitato
E' follia stare qua nel miraggio
Che basti essere capaci
Quanti ne ho visti scavalcarmi
Rampolli Rapaci. Raccomandati
Quanti ne ho visti fare viaggi
E dopo non tornare
Restare. Spaccare. Affermarsi
Qui non c'è il mito di chi si è fatto da solo
Perché chi si è fatto da solo di solito è corrotto
Se sei un ragazzo ambizioso
In un sistema corrotto
Non puoi fare il botto
E non uscirne più sporco
Nessuno lascia le poltrone
Niente si muove
Nessuno osa e nessuno dà un occasione
Impantanati in queste sabbie mobili
Si muore comodi
Lo Stato spreca i migliori uomini
Non agitarti. Resta immobile.
Puoi metterci anni
E guardare ogni cosa che Affonda
Nelle sabbie mobili
Si perde. Nelle sabbie mobili
Parto dal principio
Io della scuola ricordo un ficus
Cioè la pianta che aveva il preside in ufficio
Vale più un mio testo letto in diretta da Linus
Il paese ha un virus
Una paralisi da ictus
Come prima più di prima
Madonna potrebbe essere mia nonna
A 50 anni è ancora a pecorina
E' il nulla
Come la storia infinita
Come la mummia
Che si sveglia e torna in vita
Puzza di muffa
The beautiful people
The beautiful people
La bella gente pratica il cannibalismo
Sa di già visto
Come un film di cui capisci la fine
Già dall'inizio
I vecchi stanno al potere
Non vanno all'ospizio
E se MTV sta per music television
Vorremmo più video e meno reality e fiction
Sono pesante apposta come chi fa sumo
Tu fai musica che piace a tanti
E non fa impazzire nessuno
Non agitarti. Resta immobile
Puoi metterci anni
E guardare ogni cosa che
Affonda. Nelle sabbie mobili
Si perde. Nelle sabbie mobili
Niente di nuovo. Niente di che
Quel rapper che ti piace
Non dice niente di sé
Solo cliché
Attacca il premier
Come se quando cadrà il premier
Vincerà il bene
Se non ci fosse di che parlerebbe
Chi comanda è lì da sempre
E non si elegge con il voto
E prende decisioni senza cuore e senza quorum
E se tornassi indietro io lo rifarei
Il mio incubo era fare la vita dei miei
Sì quella vita strizzata in otto ore
Compressa. La sera sei stanco e c'hai mal di testa
Compressa. Fuori onda il direttore dice che ho ragione
Ma non ci crede
Come chi brinda
Ma poi non beve
Non prendere la bufala
Che tanto non è bufala
E' una bufala
Hai una chance di andartene frà. Usala
Se riesci sei un genio
Se fallisci sei uno zero
Se fai quello che fanno gli altri
Rischi di meno
Quindi. Non agitarti. Resta immobile
Puoi metterci anni
E guardare il paese che
Affonda. Nelle sabbie mobili
Si perde. Nelle sabbie mobili
Io Non Mi Sento Italiano
di Giorgio Gaber
Parlato: Io G. G. sono nato e vivo a Milano.
Io non mi sento italiano
Ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Mi scusi Presidente
Non è per colpa mia
Ma questa nostra Patria
Non so che cosa sia.
Può darsi che mi sbagli
Che sia una bella idea
Ma temo che diventi
Una brutta poesia.
Mi scusi Presidente
Non sento un gran bisogno
Dell'inno nazionale
Di cui un po' mi vergogno.
In quanto ai calciatori
Non voglio giudicare
I nostri non lo sanno
O hanno più pudore.
Io non mi sento italiano
Ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Mi scusi Presidente
Se arrivo all'impudenza
Di dire che non sento
Alcuna appartenenza.
E tranne Garibaldi
E altri eroi gloriosi
Non vedo alcun motivo
Per essere orgogliosi.
Mi scusi Presidente
Ma ho in mente il fanatismo
Delle camicie nere
Al tempo del fascismo.
Da cui un bel giorno nacque
Questa democrazia
Che a farle i complimenti
Ci vuole fantasia.
Io non mi sento italiano
Ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Questo bel Paese
Pieno di poesia
Ha tante pretese
Ma nel nostro mondo occidentale
È la periferia.
Mi scusi Presidente
Ma questo nostro Stato
Che voi rappresentate
Mi sembra un po' sfasciato.
E' anche troppo chiaro
Agli occhi della gente
Che tutto è calcolato
E non funziona niente.
Sarà che gli italiani
Per lunga tradizione
Son troppo appassionati
Di ogni discussione.
Persino in parlamento
C'è un'aria incandescente
Si scannano su tutto
E poi non cambia niente.
Io non mi sento italiano
Ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Mi scusi Presidente
Dovete convenire
Che i limiti che abbiamo
Ce li dobbiamo dire.
Ma a parte il disfattismo
Noi siamo quel che siamo
E abbiamo anche un passato
Che non dimentichiamo.
Mi scusi Presidente
Ma forse noi italiani
Per gli altri siamo solo
Spaghetti e mandolini.
Allora qui mi incazzo
Son fiero e me ne vanto
Gli sbatto sulla faccia
Cos'è il Rinascimento.
Io non mi sento italiano
Ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Questo bel Paese
Forse è poco saggio
Ha le idee confuse
Ma se fossi nato in altri luoghi
Poteva andarmi peggio.
Mi scusi Presidente
Ormai ne ho dette tante
C'è un'altra osservazione
Che credo sia importante.
Rispetto agli stranieri
Noi ci crediamo meno
Ma forse abbiam capito
Che il mondo è un teatrino.
Mi scusi Presidente
Lo so che non gioite
Se il grido "Italia, Italia"
C'è solo alle partite.
Ma un po' per non morire
O forse un po' per celia
Abbiam fatto l'Europa
Facciamo anche l'Italia.
Io non mi sento italiano
Ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Io non mi sento italiano
Ma per fortuna o purtroppo
Per fortuna o purtroppo
Per fortuna. Per fortuna lo sono.
Mamma L'Italiani
di Après La Classe
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
nei secoli dei secoli girando per il mondo
nella pizzeria con il Vesuvio come sfondo
non viene dalla Cina non è neppure americano
se vedi uno spaccone è solamente un italiano
l'italiano fuori si distingue dalla massa
sporco di farina o di sangue di carcassa
passa incontrollato lui conosce tutti
fa la bella faccia fa e poi la mette in culo a tutti
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
a suon di mandolino nascondeva illegalmente
whisky e sigarette chiaramente per la mente
oggi è un po' cambiato ma è sempre lo stesso
non smercia sigarette ma giochetti per il sesso
l'italiano è sempre stato un popolo emigrato
che guardava avanti con la mente nel passato
chi non lo capiva lui lo rispiegava
chi gli andava contro è saltato pure in a...
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
l'Italia agli italiani e alla sua gente
è lo stile che fa la differenza chiaramente
genialità questa è la regola
con le idee che hanno cambiato tutto il corso della storia
l'Italia e la sua nomina e un alta carica
un eredità scomoda
oggi la visione italica è che
viaggiamo tatuati con la firma della mafia
mafia mafia mafia
non mi appartiene none no questo marchio di fabbrica
aria aria aria
la gente è troppo stanca è ora di cambiare aria
mafia mafia mafia
non mi appartiene none no questo marchio di fabbrica
aria aria aria
la gente è troppo stanca è ora di cambiare aria
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
vacanze di piacere per giovani settantenni
all'anagrafe italiani ma in Brasile diciottenni
pagano pesante ragazze intraprendenti
se questa compagnia viene presa con i denti
l'italiano è sempre stato un popolo emigrato
che guardava avanti con la mente nel passato
chi non lo capiva lui lo rispiegava
chi gli andava contro è saltato pure in a...
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
spara la famiglia del pentito che ha cantato
lui che viene stipendiato il 27 dallo stato
nominato e condannato nel suo nome hanno sparato
e ricontare le sue anime non si può più
risponde la famiglia del pentito che ha cantato
difendendosi compare tutti giorni più incazzato
sarà guerra tra famiglie
sangue e rabbia tra le griglie
con la fama come foglie che ti tradirà
mafia mafia mafia
non mi appartiene none no questo marchio di fabbrica
aria aria aria
la gente è troppo stanca è ora di cambiare aria
mafia mafia mafia
non mi appartiene none no questo marchio di fabbrica
aria aria aria
la gente è troppo stanca è ora di cambiare aria
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
Rivoluzione di
Renato Zero
Protesterai
ogni tregua è finita oramai
dalla sabbia la testa alzerai
dritto al cuore colpirai.
Libererai
quello che soffocavi in te
la tua voce è più forte se vuoi
del silenzio e l'omertà
C'è una guerra giusta e devi farla tu
è la tua risposta a chi non chiede più
Rivoluzione è il grido che solleverai
e devi metterci la faccia finché puoi
perché ho pagato il conto ai tuoi caffè
su la testa adesso tocca te
Ti accorgerai
che il nemico è nascosto tra noi
che il futuro non viene da sé
e ogni brivido ha un suo perché
E sentirai
che resistere è pura follia
ci sarà poi chi ride di te
ma è soltanto paura la sua
Perché niente al mondo viene come vuoi
Perché tutto al mondo ha un prezzo d'ora in poi
Rivoluzione è la promessa che mi fai
di calci e sputi non avere mai paura
Non posso andare sempre avanti io
ho già dato e adesso tocca te
Politica assente famiglia vacante
quaggiù si congeda anche Dio
Se la corda si spezza s'incendia la piazza
E ritorno a lottare con te!
Rivoluzione è il grido che solleverai
e devi metterci la faccia finché puoi
perché ho pagato il conto ai tuoi caffè
fuori il cuore adesso tocca te
Rivoluzione è il grido che solleverai
e devi metterci la faccia finché puoi
perché ho pagato il conto ai tuoi caffè
fuori il cuore adesso tocca te
Rivoluzione! Rivoluzione.
Rivoluzione
di Frankie hi-nrg mc
In Italia c'è lavoro in qualche punto nero – capita:
ogni volo che finisce sotto a un telo irrita, noi che
qui pure Peppone sa il Vangelo e lo agita, un po' si
esagita, dopo un po' si sventola: senti un po' che
caldo fa… Afa tutto l'anno – più brevemente
“affanno” – non sanno a quale conclusione non
Approderanno. Noi l'Italia siamo e non la stiam
Rappresentando: ciurma! Ai posti di comando!
Mettiamo al bando i vertici politici con tutti i loro
Complici, amici degli amici di chi ha svuotato i
Conti: incassano tangenti celandosi le fonti e han
Cappucci e cornetti sulle fronti.
Qui si fa la rivoluzione senza alcuna distinzione,
sesso, razza o religione: tutti pronti per l'azione.
Troppi furbetti nel nostro quartierino e tutti ci
intercettano con il telefonino, ci piazzano vallette
nude sopra allo zerbino e paparazzi sui terrazzi del
vicino: ragazzi che casino! Senza via di
scampo, chiusi dentro al plastico di quel villino ci è
venuto un crampo, siamo titolari confinati a bordo
campo, ci fan pagare l'acqua più salata dello
shampoo. Boh? Magari mi sbaglio, ma vedo tutti
quanti allo sbaraglio, meglio darci un taglio… Figli
mai usciti dal travaglio: qui da masticare non ci
resta che il bavaglio.
Qui si fa la rivoluzione senza alcuna distinzione,
sesso, razza o religione: tutti pronti per l'azione.
L'Italia, non lo sai, ha problemi araldici: i baroni
sono pochi e han troppi conti per dei medici. Poi
ha problemi etici, politici, geografici, geologici, ma
i peggio restan quelli genealogici… Visto che la
base del sistema è la clientela e siamo separati
da 6 gradi sì, ma di parentela, maglie di una
ragnatela a forma di stivale, tutti collegati in linea
collaterale come un'unica famiglia in un immenso
psicodramma: sta bravo che altrimenti piange
mamma. Cambio di programma: annulliamo la
rivolta. Abbiamo una famiglia e non dev'essere
coinvolta…
Non si fa la rivoluzione, l'hanno detto in
Televisione… chi c'è andato che delusione! Era
chiuso anche il portone.
"Chi comanda il mondo?"
di Povia
Fate la nanna bambini, verranno tempi migliori
Fate la nanna bambini e disegnate i colori
Chi comanda il mondo, c’è una dittatura, c’è una dittatura
Chi comanda il mondo, non puoi immaginare quanto fa paura
Chi comanda il mondo, oltre che il potere vuole il tuo dolore
e dovrai soffrire, e sarai costretto ad obbedire
Chi comanda il mondo, voglia di sapere, voglia di capire
Chi comanda il mondo, sotto questo cielo che ci può sentire
e chi ha creato il mondo, Torre di Babele, Torre di Babele
chi ha creato il mondo, messo sulla croce in Israele
C’è una dittatura di illusionisti finti
economisti equilibristi
terroristi padroni del mondo peggio dei nazisti
che hanno forgiato altrettanti tristi arrivisti stacanovisti
gli illusionisti, che ci hanno illuso con le parole libertà e democrazia
fino a portarci all’apatia
creando nella massa, una massa grassa di armi di divisione di massa
media, oggetti, nomi, colori, simboli
la pensiamo uguale ma siamo divisi noi singoli
dormiamo bene sotto le coperte
siamo servi di queste sorridenti merde
Fate la nanna bambini, verranno tempi migliori
Fate la nanna bambini e disegnate i colori
Fate la nanna che la mamma, vi cullerà sui suoi seni
Fate la nanna bambini volati nei cieli
Ma un giorno un bambino di questi si sveglierà
e l’uomo più forte del mondo diventerà
portando in alto l’amore
Chi comanda il mondo, c’è una dittatura, c’è una dittatura
Chi comanda il mondo, non puoi immaginare quanto fa paura
Chi comanda il mondo, Torre di Babele, Torre di Babele
chi ha creato il mondo, dice sempre che va tutto bene
La libertà e la lotta contro l’ingiustizia
non sono né di destra né di sinistra
la musica può arrivare nell’essenziale
dove non arrivano le parole da sole
gli illusionisti ci hanno incastrati firmando i trattati
da Maastricht a Lisbona
siamo tutti indignati perché questi trattati
annullano ogni costituzione
quì bisogna dare un bel colpo di scopa
e spazzare via ogni stato da quest’Europa
se ogni stato uscisse dall’Euro davvero
magari ogni debito andrebbe a zero
perché per tutti c’è un punto d’arrivo
nessuno lascerà questo mondo da vivo
vogliamo una terra sana, sana
meglio una moneta sovrana (che una moneta puttana)
Fate la nanna bambini, verranno tempi migliori
Fate la nanna bambini e disegnate i colori
Fate la nanna che la mamma, vi cullerà sui suoi seni
Fate la nanna bambini volati nei cieli
Ma un giorno un bambino di questi si sveglierà
e l’uomo più forte del mondo diventerà
portando in alto l’amore
Chi comanda il mondo, c’è una dittatura, c’è una dittatura
Chi comanda il mondo, non puoi immaginare quanto fa paura
Chi comanda il mondo, oltre che il potere vuole il tuo dolore
e dovrai soffrire, e sarai costretto ad obbedire
Chi comanda il mondo, voglia di sapere, voglia di capire
Chi comanda il mondo, sotto questo cielo che ci può sentire
e chi ha creato il mondo, Torre di Babele, Torre di Babele
chi ha creato il mondo, messo sulla croce in Israele
Fate la nanna bambini volati nei cieli
Intervista all’autore, il dr Antonio
Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber,
presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
«Quando ero piccolo a scuola, come in
famiglia, mi insegnavano ad adempiere ai miei doveri: studiare per me per
sapere; lavorare per la famiglia; assolvere la leva militare per la difesa della
patria; frequentare la chiesa ed assistere alla messa domenicale; ascoltare i
saggi ed i sapienti per imparare, rispettare il prossimo in generale ed in
particolare i più grandi, i piccoli e le donne, per essere rispettato. La visita
giornaliera ai nonni ed agli zii era obbligatoria perché erano subgenitori. I
cugini erano fratelli. Il saluto preventivo agli estranei era dovuto. Ero felice
e considerato. L'elargizione dei diritti era un premio che puntuale arrivava.
Contava molto di più essere onesti e solidali che non rivendicare o esigere
qualcosa che per legge o per convenzione ti spettava. Oggi: si pretende (non si
chiede) il rispetto del proprio (e non dell'altrui) diritto, anche se non
dovuto; si parla sempre con imposizione della propria opinione; si fa a meno di
studiare e lavorare o lo si impedisce di farlo, come se fosse un dovere, più che
un diritto; la furbizia per fottere il prossimo è un dono, non un difetto. Non
si ha rispetto per nessun'altro che non sia se stesso. Non esiste più alcun
valore morale. Non c'è più Stato; nè Famiglia; nè religione; nè amicizia. Sui
social network, il bar telematico, sguazzano orde di imbecilli. Quanto più amici
asocial si hanno, più si è soli. Questa è l'involuzione della specie nella
società moderna liberalcattocomunista».
Quindi, oggi, cosa bisogna sapere?
«Non bisogna
sapere, ma è necessario saper sapere. Cosa voglio dire? Affermo che non basta
studiare il sapere che gli altri od il Sistema ci propinano come verità e
fermarci lì, perché in questo caso diveniamo quello che gli altri hanno voluto
che diventassimo: delle marionette. E’ fondamentale cercare il retro della
verità propinata, ossia saper sapere se quello che sistematicamente ci insegnano
non sia una presa per il culo. Quindi se uno già non sa, non può effettuare la
verifica con un ulteriore sapere di ricerca ed approfondimento.
Un esempio per tutti. Quando si studia
giurisprudenza non bisogna fermarsi alla conoscenza della norma ed eventualmente
alla sua interpretazione. Bisogna sapere da chi e con quale maggioranza
ideologica e perchè è stata promulgata o emanata e se, alla fine, sia realmente
condivisa e rispettata. Bisogna conoscere il retro terra per capirne il
significato: se è stata emessa contro qualcuno o a favore di qualcun'altro; se è
pregna di ideologia o adottata per interesse di maggioranza di Governo; se è
un'evoluzione storica distorsiva degli usi e dei costumi nazionali o influenzata
da pregiudizi, o sia una conformità alla legislazione internazionale lontana
dalla nostra cultura; se è stata emanata per odio...L’odio è un sentimento di
rivalsa verso gli altri. Dove non si arriva a prendere qualcosa si dice che non
vale. E come quel detto sulla volpe che non riuscendo a prendere l’uva disse che
era acerba. Nel parlare di libertà la connessione va inevitabilmente ai liberali
ed alla loro politica di deburocratizzazione e di delegificazione e di
liberalizzazione nelle arti, professioni e nell’economia mirante all’apoteosi
della meritocrazia e della responsabilità e non della inadeguatezza della classe
dirigente. Lo statalismo è una stratificazione di leggi, sanzioni e relativi
organi di controllo, non fini a se stessi, ma atti ad alimentare corruttela,
ladrocinio, clientelismo e sopraffazione dei deboli e degli avversari politici.
Per questo i liberali sono una razza in estinzione: non possono creare consenso
in una massa abituata a pretendere diritti ed a non adempiere ai doveri.
Fascisti, comunisti e clericali sono figli degeneri di una stessa madre: lo
statalismo ed il centralismo. Si dicono diversi ma mirano tutti
all’assistenzialismo ed alla corruzione culturale per influenzare le masse:
Panem et circenses (letteralmente «pane e [giochi] circensi») è una locuzione
latina piuttosto nota e spesso citata, usata nell'antica Roma e al giorno d'oggi
per indicare in sintesi le aspirazioni della plebe (nella Roma di età imperiale)
o della piccola borghesia, o d'altro canto in riferimento a metodi politici
bassamente demagogici. Oggi la politica non ha più credibilità perchè non è
scollegata dall’economia e dalle caste e dalle lobbies che occultamente la
governano, così come non sono più credibili i loro portavoce, ossia i media di
regime, che tanto odiano la "Rete". Internet, ormai, oggi, è l'unico strumento
che permette di saper sapere, dando modo di scoprire cosa c'è dietro il fronte
della medaglia, ossia cosa si nasconda dietro le fake news (bufale) di Stato o
dietro la discultura e l'oscurantismo statalista».
Cosa racconta nei suoi libri?
«Sono un centinaio di saggi di inchiesta
composti da centinaia di pagine, che raccontano di un popolo difettato che non
sa imparare dagli errori commessi. Pronto a giudicare, ma non a giudicarsi. I
miei libri raccontato l’indicibile. Scandali, inchieste censurate, storie di
ordinaria ingiustizia, di regolari abusi e sopraffazioni e di consueta omertà.
Raccontano, attraverso testimonianze e documenti, per argomento e per
territorio, i tarli ed i nei di una società appiattita che aspetta il miracolo
di un cambiamento che non verrà e che, paradosso, non verrà accettato. In più,
come chicca editoriale, vi sono i saggi con aggiornamento temporale annuale,
pluritematici e pluriterritoriali. Tipo “Selezione dal Reader’s Digest”, rivista
mensile statunitense per famiglie, pubblicata in edizione italiana fino al 2007.
Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed
approfonditi nei saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati
negli stessi canali di distribuzione internazionale in forma Book o E-book.
Canali di pubblicazione e di distribuzione come Amazon o Google libri. Opere
oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste
giornalistiche. I testi hanno una versione video sui miei canali youtube».
Qual è la reazione del pubblico?
«Migliaia sono gli accessi giornalieri alle
letture gratuite di parti delle opere su Google libri e decine di migliaia sono
le pagine lette ogni giorno. Accessi da tutto il mondo, nonostante il testo sia
in lingua italiana e non sia un giornale quotidiano. Si troveranno, anche, delle
recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è
soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo
difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione
del palesato».
Perché è poco conosciuto al grande
pubblico generalista?
«Perché sono diverso. Oggi le persone si
stimano e si rispettano in base al loro grado di utilità materiale da rendere
agli altri e non, invece, al loro valore intrinseco ed estrinseco intellettuale.
Per questo gli inutili sono emarginati o ignorati. Se si è omologati (uguali) o
conformati (simili) e si sta sempre dietro alla massa, non si sarà mai primi
nella vita, perché ci sarà sempre il più furbo o il più fortunato a precederti.
In un mondo caposotto (sottosopra od alla rovescia) gli ultimi diventano i primi
ed i primi sono gli ultimi. L’Italia è un Paese caposotto. Io, in questo mondo
alla rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo sono ignorato o
perseguitato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che
cazzo di vita è? Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una
vita di prese per il culo. Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i
marescialli si sentono generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe
indossi, ma conta quante tracce lasci del tuo percorso. Il difetto degli
intelligenti è che sono spinti a cercare le risposte ai loro dubbi. Il pregio
degli ignoranti è che non hanno dubbi e qualora li avessero sono convinti di
avere già le risposte. Un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed
amministrato, informato, istruito e giudicato da “coglioni”».
Qual è la sua missione?
«“Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma
chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente…Ci sedemmo dalla parte del
torto visto che tutti gli altri posti erano occupati. Ci sono uomini che lottano
un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono
quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che
lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili”. Citazioni di Bertolt
Brecht. Rappresentare con verità storica, anche scomoda ai potenti di turno, la
realtà contemporanea, rapportandola al passato e proiettandola al futuro. Per
non reiterare vecchi errori. Perché la massa dimentica o non conosce. Denuncio i
difetti e caldeggio i pregi italici. Perché non abbiamo orgoglio e dignità per
migliorarci e perché non sappiamo apprezzare, tutelare e promuovere quello che
abbiamo ereditato dai nostri avi. Insomma, siamo bravi a farci del male e
qualcuno deve pur essere diverso!»
Perché è orgoglioso di essere diverso?
«E’ comodo definirsi scrittori da parte di
chi non ha arte né parte. I letterati, che non siano poeti, cioè scrittori
stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere “C’era una
volta...” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo il successo
è assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti querelano e
che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere saggisti e
scrivere “C’è adesso...” e parlare di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile
poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e del Potere in
generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di scrivere.
Devastante è farlo senza essere di sinistra. Quando si parla di veri scrittori
ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che fece il primo saggista
mondiale».
Dr.
Antonio Giangrande. Orgoglioso di essere diverso.
Sono qualcuno, ma non avendo nulla per
poter dare, sono nessuno.
La massa ti considera solo se hai e ti votano
solo se dai. Nulla vali se tu sai. Victor Hugo: "Gli uomini ti stimano in
rapporto alla tua utilità, senza tener conto del tuo valore." Le persone si
stimano e si rispettano in base al loro grado di utilità materiale, tangibile ed
immediata, da rendere agli altri e non, invece, al loro valore intrinseco ed
estrinseco intellettuale. Per questo gli inutili da sempre, pur con altissimo
valore, sono emarginati o ignorati, inibendone, ulteriormente, l’utilità.
Dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger,
youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Fa quello che si sente di fare e crede in
quello che si sente di credere.
La Democrazia non è la Libertà.
La libertà è vivere con libero arbitrio nel
rispetto della libertà altrui.
La democrazia è la dittatura di idioti che
manipolano orde di imbecilli ignoranti e voltagabbana.
Cattolici e comunisti, le chiese imperanti,
impongono la loro libertà, con la loro morale, il loro senso del pudore ed il
loro politicamente corretto.
Per questo un popolo di coglioni sarà sempre
governato ed amministrato, informato, istruito e giudicato da coglioni.
Perché "like" e ossessione del politicamente
corretto ci allontanano dal reale. In quest'epoca di post-verità un'idea è forte
quanto più ha voce autonoma, scrive Oscar di Montigny il 5 giugno 2018 su
"Panorama".
"Se la libertà significa qualcosa allora è il
diritto di dire alla gente quello che non vuole sentire". George Orwell
Al giorno d'oggi siamo impegnati a comunicare
senza sosta ma di rado capita di domandarci: sto dicendo veramente quello che
voglio dire? Non siamo di certo i primi: da sempre nella storia anche i più
grandi e rivoluzionari pensatori hanno dovuto fare i conti con il contesto
storico, le pressioni sociali, le censure. Non a caso lo scrittore e giornalista
George Orwell ha scritto la frase premessa a queste righe. Oggi,
però, comunichiamo di continuo eppure è raro che diciamo esattamente quello che
ci sentiremmo di dire. Vogliamo sempre fare la battuta più brillante su Twitter,
corriamo a esprimere la nostra opinione sul fatto del giorno, magari senza
esserci informati opportunamente, ma abbiamo consapevolezza di ciò che stiamo
sacrificando sull'altare di questa gara?
L'era della post-verità. Ecco che le nostre
parole vengono distorte, perdono di sincerità, spontaneità ma soprattutto di
connessione col reale. Siamo d'altronde in quella che è stata definita era della
post-verità. Gli "alternative facts" di cui si è parlato ultimamente negli Stati
Uniti di Donald Trump sono un bell'esempio di come anche il linguaggio possa
essere piegato a originare contraddizioni fino a poco tempo fa impensabili: i
fatti erano fatti, senza alternative. I giornalisti incorruttibili, i profeti
scomodi, i difensori del libero arbitrio sembrano martiri degni solo di vecchi
film di Hollywood. Le bolle in cui ci immergono i social o i mezzi digitali
funzionano invece in un modo autoreferenziale e al contempo pericoloso: ci
piacciono perché ci permettono di scegliere con chi relazionarci e scegliamo di
farlo sempre con coloro che hanno opinioni che corrispondono al nostro modo di
vedere, leggiamo solo cose che ci compiacciono, ma che ci tagliano anche fuori
da una parte di società che la pensa diversamente da noi. È questo il terreno in
cui proliferano le fake news, piaga apicale del nostro tempo, difficili da
smontare senza esporsi ad altre fonti di informazione. È così che evitiamo di
andare a fondo nelle cose, a recuperare un senso della dimensione reale.
Il politicamente corretto, la paura di offendere, un'isteria legata a quel che
va detto e cosa no, limitano la libertà di espressione in un'epoca in cui essa è
virtualmente al suo massimo.
Il coraggio di dire quello che si pensa.
D'altronde è più comodo così: "Per farsi dei nemici non è necessario dichiarare
guerra, basta dire quello che si pensa", diceva Martin Luther King. Se persone
come lui si sono sacrificate in nome della libertà forse vuol dire che questi
principî non riguardano solo l'opportunità personale, sono invece veri e propri
valori culturali. Al contrario stiamo perdendo l'attaccamento alla realtà
fattuale delle cose e anche l'inclinazione ad accettare la verità, anche quando
è scomoda. Mentre è sempre più facile cadere nelle trappole della propaganda o
della disinformazione, sarebbe opportuno correre dei rischi. Non esprimerci solo
in modo da ottenere qualche "like" in più o con mille cautele per non disturbare
poteri forti o prepotenti di turno. In una recente intervista lo scrittore Eric
Emmanuel Schmitt scriveva che siamo in "un'epoca vittimistica, in cui non
facciamo altro che definirci vittime di qualcosa o qualcuno". Essere meno
vittime forse passa proprio dalla forza che mettiamo nell'intonare la nostra
voce su un accordo autonomo rispetto alla babele collettiva.
L’aspetto formale e l’aspetto sostanziale.
Perché il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha sbagliato. E perché
chi lo difende è ignorante o in mala fede. La lezione di chi, il dr Antonio
Giangrande, non è titolato, se poi i titoli (accademici) si danno per
cooptazione e conformità ed omologazione.
Le Disposizioni sulla Legge in generale,
dette anche preleggi o disciplina preliminare al codice civile, sono un insieme
di articoli (in origine erano 31, poi dopo l'abrogazione delle corporazioni sono
diventati in tutto 16) emanati con Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 262 con cui
fu anche approvato il codice civile italiano nel 1942. Si tratta di legge
ordinaria di livello paracostituzionale, quindi le disposizioni contenute in
tali leggi si collocano subito al di sotto del livello costituzionale e poiché
statuiscono disposizioni generali si pongono, come la Costituzione Italiana, al
di sopra delle altre leggi, comprese le leggi speciali.
Il primo capo (art. 1-9) delinea le fonti del
diritto. Il secondo riguarda l'applicazione della legge in generale.
La gerarchia delle fonti (art. 1) ha subìto
nel tempo una modifica in senso testuale, a seguito della soppressione
dell'ordinamento corporativo. Al contempo ha subito un'estensione
interpretativa, in quanto, con l'entrata in vigore della Costituzione e a
seguito dell'adesione dell'Italia all'Unione europea, vige il principio
cosiddetto della preferenza comunitaria, per cui le leggi e i regolamenti come
fonte del diritto devono essere applicati solo ove non contrastanti con le norme
di diritto comunitario.
Art. 1 Indicazione delle fonti. Sono fonti
del diritto:
1) le leggi;
2) i regolamenti;
3) (Le norme corporative, abrogato);
4) gli usi (consuetudini).
Art. 2 Leggi: La formazione delle leggi e
l'emanazione degli atti del Governo aventi forza di legge sono disciplinate da
leggi di carattere costituzionale.
La riserva di legge, inserita
nella Costituzione in varie norme: relativa (23, 97 comma2), assoluta (13
comma2), rinforzata (16), formale (72 comma4, 76, 77, 81), ecc., prevede che la
disciplina di una determinata materia sia regolata soltanto dalla legge primaria
e non da fonti di tipo secondario. La riserva di legge ha una funzione di
garanzia in quanto vuole assicurare che in materie particolarmente delicate,
come nel caso dei diritti fondamentali del cittadino, le decisioni vengano prese
dall'organo più rappresentativo del potere sovrano ovvero dal parlamento come
previsto dall'articolo 70.
Fonti costituzionali. Al primo livello della
gerarchia delle fonti, si pongono la Costituzione, le leggi costituzionali e
gli statuti regionali (delle regioni a statuto speciale), i trattati europei.
La Costituzione della Repubblica Italiana, entrata in vigore il 1º gennaio 1948,
è composta da 139 articoli e 18 disposizioni transitorie e finali: essa detta i
principi fondamentali dell'ordinamento (artt. 1-12); individua i diritti e i
doveri fondamentali dei soggetti (artt. 13-54); detta la disciplina
dell'organizzazione della Repubblica (artt. 55-139). La Costituzione italiana
viene anche definita lunga e rigida: "lunga" perché non si limita "a
disciplinare le regole generali dell'esercizio del potere pubblico e delle
produzioni delle leggi", riguardando anche altre materie, "rigida" in quanto per
modificare la Costituzione è richiesto un iter cosiddetto aggravato (vedi art.
138 Cost.). Esistono inoltre dei limiti alla revisione costituzionale.
All’interno Art. 139 si legge che “. La forma
repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale.”
In questo caso, nella gerarchia delle fonti i
Principi generali, quale è la democrazia, primeggiano sulle restanti
disposizioni.
L’articolo 90 della Costituzione dice infatti
che «Il presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti
nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per
attentato alla Costituzione». Spieghiamo perché è responsabile. Partiamo proprio
dalla base della Costituzione italiana.
PRINCIPI FONDAMENTALI. "Art. 1. L’Italia è
una Repubblica democratica, fondata sul lavoro (non sulla libertà). La sovranità
appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della
Costituzione".
Qui si enuncia il principio fondamentale che
incarnano forma e sostanza. La sostanza ci dice che in Italia c’è la democrazia
parlamentare (indiretta) come forma di governo e quindi ci dice che la
maggioranza dei votanti (non dei cittadini che non votano più, sfiduciati dalla
vecchia politica) elegge i suoi legislatori e, tramite loro, i suoi governanti
(stranamente mancano i magistrati). L’esercizio del potere popolare prende
forma, non sostanza, attraverso l’enunciazione di articoli costituzionali che
mai possono violare il principio fondamentale. E non a caso proprio il primo
articolo prende in considerazione l’aspetto democratico della vita dello Stato
italiano.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA "Art. 83. Il
Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi
membri. All’elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal
Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle
minoranze. La Valle d’Aosta ha un solo delegato. L’elezione del Presidente della
Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi
dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta".
Qui si richiama forma e sostanza dell’art. 1.
La sovranità popolare esprime, attraverso i suoi rappresentanti, la scelta del
Presidente della Repubblica.
"Art. 88. Il Presidente della Repubblica può,
sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse". "Il
Consiglio dei Ministri. Art. 92. Il Governo della Repubblica è composto del
Presidente del Consiglio e dei Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio
dei Ministri. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio
dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri".
L’art. 88 e 92 sono articoli formali. Norme
che delegano al Presidente della Repubblica, con il ruolo di notaio, la verifica
di una maggioranza parlamentare democraticamente eletta per esercitare la
sovranità popolare di cui all’articolo 1: Se c'è una maggioranza si forma un
Governo sostenuto da essa; se non c'è una maggioranza, non c'è Governo e quindi
si va a votare per trovarne una nuova.
Si va contro l’articolo 1 (non a caso primo
articolo dei principi generali) e quindi contro la Costituzione se alla volontà
popolare che esprime un Governo che mira alla tutela degli interessi nazionali
si impone la volontà di un singolo (il Presidente della Repubblica) che antepone
qualsiasi altra ragione tra cui i principi dell’art. 10. "L’ordinamento
giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute", e dell’art. art. 11. "L’Italia ripudia la guerra
come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità
con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento
che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le
organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo". O dell’Articolo 47. “La
Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina,
coordina e controlla l'esercizio del credito. Favorisce l'accesso del risparmio
popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e
al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi
del Paese".
In
conclusione si chiude il parere, affermando che si è concordi con l’iniziativa
della messa in stato d’accusa del
Presidente della Repubblica, anche se il procedimento è complicato e
farraginoso, pensato proprio a non dare esiti positivi, in ossequio ad uno Stato
di impuniti. Si è concordi perché l’Italia è una Repubblica Democratica
Parlamentare; non è una Repubblica Presidenziale.
Facciamo sempre il solito errore: riponiamo grandi speranze ed enormi
aspettative in piccoli uomini senza vergogna.
Un altro errore che commettiamo è dare molta importanza a chi non la merita.
"Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Dante,
Inferno XXVI
Le pecore hanno
paura dei lupi, ma è il loro pastore che le porta al macello.
Da sociologo
storico ho scritto dei saggi dedicati ad ogni partito o movimento politico
italiano: sui comunisti e sui socialisti (Craxi), sui fascisti (Mussolini), sui
cattolici (Moro) e sui moderati (Berlusconi), sui leghisti e sui pentastellati.
Il sottotitolo è “Tutto quello che non si osa dire. Se li conosci li eviti.”
Libri che un popolo di analfabeti mai leggerà.
Da queste opere si
deduce che ogni partito o movimento politico ha un comico come leader di
riferimento, perché si sa: agli italiani piace ridere ed essere presi per il
culo. Pensate alle battute di Grillo, alle barzellette di Berlusconi, alle
cazzate di Salvini, alle freddure della Meloni, alle storielle di Renzi, alle
favole di D’Alema e Bersani, ecc. Partiti e movimenti aventi comici come leader
e ladri come base.
Gli effetti di
avere dei comici osannati dai media prezzolati nei tg o sui giornali, anziché
vederli esibirsi negli spettacoli di cabaret, rincoglioniscono gli elettori. Da
qui il detto: un popolo di coglioni sarà sempre amministrato o governato,
informato, istruito e giudicato da coglioni.
Per questo non ci
lamentiamo se in Italia mai nulla cambia. E se l’Italia ancora va, ringraziamo
tutti coloro che anziché essere presi per il culo, i comici e la loro clack
(claque) li mandano a fanculo.
Antonio Giangrande, scrittore, accademico
senza cattedra universitaria di Sociologia Storica, giornalista ed avvocato non
abilitato. "Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere mettiti le mie
scarpe, percorri il cammino che ho percorso io, vivi i miei dolori, i miei
dubbi, le mie risate...vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono
caduto io e rialzati come ho fatto io. Ognuno ha la propria storia. E solo
allora mi potrai giudicare." Luigi Pirandello.
Dapprima ti ignorano. Poi ti deridono. Poi ti emarginano. Poi ti combattono. Tu
sei solo, ma non per sempre. Loro sono tanti, ma non per sempre. Ed allora sarai
vincente, ma solo dopo la tua morte. I primi a combatterti sono i prossimi
parenti ed i compaesani ed allor "non ragioniam di loro, ma guarda e passa"
(Dante Alighieri). “Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga
e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i
prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria?
E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non
stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per
loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se
non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non
fece molti prodigi”. Mt 13, 54-58.
Se si disprezza quello che gli altri sono e fanno, perché, poi, si è come gli
altri e si osteggiano i diversi?
"C’è un’azione peggiore che quella di togliere il diritto di voto al cittadino e
consiste nel togliergli la voglia di votare.” (R. Sabatier)
«La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che
vivere onestamente sia inutile» - Corrado Alvaro, Ultimo diario, 1961.
Vivere senza leggere, o senza sfogliare i libri giusti scritti fuori dal coro o
vivere studiando dai saggi distribuiti dal sistema di potere catto comunista
savoiardo nelle scuole e nelle università, è molto pericoloso. Ciò ti obbliga a
credere a quello che dicono gli altri interessati al Potere e ti conforma alla
massa. Allora non vivi da uomo, ma da marionetta.
Se scrivi e dici la verità con il coraggio
che gli altri non hanno, il risultato non sarà il loro rinsavimento ma l’essere
tu additato come pazzo. Ti scontri sempre con la permalosità di magistrati e
giornalisti e la sornionità degli avvocati avvezzi solo ai loro interessi.
Categorie di saccenti che non ammettono critiche. Se scrivi e sei del
centro-nord Italia, i conterranei diranno: che bel libro, bravo, è uno di noi.
Se scrivi e sei del centro-sud Italia i conterranei diranno: quel libro l’avrei
scritto anch’io, anzi meglio, ma sono solo cazzate. Chi siamo noi? Siamo i
“coglioni” che altri volevano che fossimo o potessimo diventare. Da bambini i
genitori ci educavano secondo i loro canoni, fino a che abbiamo scoperto che era
solo il canone di poveri ignoranti. Da studenti i maestri ci istruivano secondo
il loro pensiero, fino a che abbiamo scoperto che era solo il pensiero di
comunisti arroganti. Prima dell’ABC ci insegnavano “Bella Ciao”. Da credenti i
ministri di culto ci erudivano sulla confessione religiosa secondo il loro
verbo, fino a che abbiamo scoperto che era solo la parola di pedofili o
terroristi. Da lettori e telespettatori l’informazione (la claque del potere) ci
ammaestrava all’odio per il diverso ed a credere di vivere in un paese
democratico, civile ed avanzato, fino a che abbiamo scoperto che si muore di
fame o detenuti in canili umani. Da elettori i legislatori ci imponevano le
leggi secondo il loro diritto, fino a che abbiamo scoperto che erano solo
corrotti, mafiosi e massoni. Ecco, appunto: siamo i “coglioni” che altri
volevano che fossimo o potessimo diventare. E se qualcuno non vuol essere
“coglione” e vuol cambiare le cose, ma non ci riesce, vuol dire che è “coglione”
lui e non lo sa, ovvero è circondato da amici e parenti “coglioni”.
John Keating: Qualunque cosa si dica in giro, parole e idee possono cambiare il
mondo. Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre
guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù.
Non vi ho convinti? Venite a vedere voi stessi. Coraggio! È proprio quando
credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un'altra prospettiva. Carpe
diem. Cogliete l'attimo, ragazzi... Rendete straordinaria la vostra vita!
Gerard Pitts: Cogli la rosa quando è il momento, che il tempo, lo sai, vola e lo
stesso fiore che sboccia oggi, domani appassirà. John Keating: Non leggiamo e
scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo
membri della razza umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge,
economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro
sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l'amore, sono queste
le cose che ci tengono in vita. Dal film L'attimo fuggente (Dead Poets Society),
film del 1989 diretto da Peter Weir e con protagonista Robin Williams.
Studiare non significa sapere, volere non significa potere. Ai problemi non si è
capaci di trovare una soluzione che accontenti tutti, perché una soluzione per
tutti non esiste. Alla fine nessuno è innocente, perché in questa società
individualista, violenta e superficiale tutti sono colpevoli. Io ho preso la mia
decisione mentre la totalità di voi non sa prenderne alcuna (anche nelle cose
più semplici). Come potreste capire cosa è veramente importante nella vita? Non
saprete mai se avete preso la decisione giusta perché non vi siete fidati di voi
stessi. Accusate il sistema, ma il sistema è freddo inesorabile matematico, solo
chi è deciso a raggiungere la riva la raggiungerà. Vi auguro tutto il meglio per
la vostra vita. “Class Enemy”, di Rok Bicek film del 2013.
Dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo
storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte
le Mafie, destinatario delle denunce presentate dai magistrati per tacitarlo e
ricevente da tutta Italia di centinaia di migliaia di richieste di aiuto o di
denunce di malefatte delle istituzioni. Ignorato dai media servi del potere.
Come far buon viso a cattivo gioco ed
aspettare che dal fiume appaia il corpo del tuo nemico. "Subisci e taci" ti
intima il Sistema. Non sanno, loro, che la vendetta è un piatto che si gusta
freddo. E non si può perdonare...
Un padre regala al figlio un sacchetto di
chiodi. “Tieni figliolo, ecco un sacchetto di chiodi. Piantane uno nello
steccato Ogni volta che che perdi la pazienza e litighi con qualcuno perchè
credi di aver subito un'ingiustizia” gli dice. Il primo giorno il figlio piantò
ben 37 chiodi ma nelle settimane successive imparò a controllarsi e il numero di
chiodi cominciò piano piano a diminuire. Aveva infatti scoperto che era molto
più facile controllarsi che piantare chiodi e così arrivò un giorno in cui non
ne piantò nemmeno uno. Andò quindi dal padre e gli disse che per quel giorno non
aveva litigato con nessuno, pur essendo stato vittima d'ingiustizie e di
soprusi, e non aveva piantato alcun chiodo. Il padre allora gli disse:
“Benissimo figliolo, ora leva un chiodo dallo steccato per ogni giorno in cui
non hai perso la pazienza e litigato con qualcuno”. Il figlio ascoltò e tornò
dal padre dopo qualche giorno, comunicandogli che aveva tolto tutti i chiodi
dallo steccato e che non aveva mai più perso la pazienza. Il padre lo portò
quindi davanti allo steccato e guardandolo gli disse: “Figliolo, ti sei
comportato davvero bene. Bravo. Ma li vedi tutti quei buchi? Lo steccato non
potrà più tornare come era prima. Quando litighi con qualcuno, o quando questi
ha usato violenza fisica o psicologica nei tuoi confronti, rimane una ferita
come questi buchi nello steccato. Tu puoi piantare un coltello in un uomo e poi
levarlo, e lo stesso può fare questi con te, ma rimarrà sempre una ferita. E non
importa quante volte ti scuserai, o lui lo farà con te, la ferita sarà sempre
lì. Una ferita verbale è come il chiodo nello steccato e fa male quanto una
ferita fisica. Lo steccato non sarà mai più come prima. Quando dici le cose in
preda alla rabbia, o quando altri ti fanno del male, si lasciano delle ferite
come queste: come i buchi nello steccato. Possono essere molto profonde. Alcune
si rimarginano in fretta, altre invece, potrebbero non rimarginare mai, per
quanto si possa esserne dispiaciuti e si abbia chiesto scusa".
Io non reagisco, ma mi si permetta di
raccontare l'accaduto. Voglio far conoscere la verità sui chiodi piantati nelle
nostre carni.
La mia esperienza e la mia competenza mi
portano a pormi delle domande sulle vicende della vita presente e passata e sul
perché del ripetersi di eventi provati essere dannosi all’umanità, ossia i corsi
e i ricorsi storici. Gianbattista Vico, il noto filosofo napoletano vissuto fra
il XVII e XVIII secolo elaborò una teoria, appunto dei corsi e ricorsi storici.
Egli era convinto che la storia fosse caratterizzata dal continuo e incessante
ripetersi di tre cicli distinti: l’età primitiva e divina, l’età poetica ed
eroica, l’età civile e veramente umana. Il continuo ripetersi di
questi cicli non avveniva per caso ma era predeterminato e regolamentato, se
così si può dire, dalla provvidenza. Questa formulazione di pensiero è
comunemente nota come “teoria dei corsi e dei ricorsi storici”. In parole
povere, tanto per non essere troppo criptici, il Vico sosteneva che alcuni
accadimenti si ripetevano con le medesime modalità, anche a distanza di tanto
tempo; e ciò avveniva non per puro caso ma in base ad un preciso disegno stilato
della divina provvidenza.” Io sono convinto, invece, che l’umanità dimentica e
tende a sbagliare indotta dalla stupidità e dall’egoismo di soddisfare in ogni
modo totalmente i propri bisogni in tempi e spazi con risorse limitate. Trovare
il perché delle discrepanze dell’ovvio raccontato. Alle mie domando non mi do io
stesso delle risposte. Le risposte le raccolgo da chi sento essere migliore di
me e comunque tra coloro contrapposti con le loro idee sullo stesso tema da cui
estrapolare il sunto significativo. Tutti coloro che scrivono, raccontano il
fatto secondo il loro modo di vedere e lo ergono a verità. Ergo: stesso fatto,
tanti scrittori, quindi, tanti fatti diversi. La mia unicità e peculiarità, con
la credibilità e l’ostracismo che ne discende, sta nel raccontare quel fatto in
un’unica sede e riportando i vari punti di vista. In questo modo svelo le
mistificazioni e lascio solo al lettore l’arbitrio di trarne la verità da quei
dati.
Voglio conoscere gli effetti, sì, ma anche le
cause degli accadimenti: il post e l’ante. La prospettiva e la retrospettiva con
varie angolazioni. Affrontare le tre dimensioni spaziali e la quarta dimensione
temporale.
Si può competere con l’intelligenza, mai con
l’idiozia. L’intelligenza ascolta, comprende e pur non condividendo rispetta.
L’idiozia si dimena nell’Ego, pretende ragione non ascoltando le ragioni altrui
e non guarda oltre la sua convinzione dettata dall’ignoranza. L’idiozia non
conosce rispetto, se non pretenderlo per se stessa.
Quando fai qualcosa hai tutti contro: quelli
che volevano fare la stessa cosa, senza riuscirci, impediti da viltà,
incapacità, ignavia; quelli che volevano fare il contrario; e quelli, ossia la
stragrande maggioranza, che non volevano fare niente.
Certe persone non sono importanti, siamo noi
che, sbagliando, gli diamo importanza. E poi ci sono quelle persone che non
servono ad un cazzo, non fanno un cazzo e si credono sto cazzo.
Correggi un sapiente ed esso diventerà più
colto. Correggi un ignorante ed esso diventerà un tuo acerrimo nemico.
Molti non ti odiano perché gli hai fatto del
male, ma perché sei migliore di loro.
Più stupido di chi ti giudica senza sapere
nulla di te è colui il quale ti giudica per quello che gli altri dicono di te.
Perché le grandi menti parlano di idee; le menti medie parlano di fatti; le
infime menti parlano solo male delle persone.
E’ importante stare a posto con la propria
coscienza, che è molto più importante della propria reputazione. La tua
coscienza sei tu, la reputazione è ciò che gli altri pensano di te e quello che
gli altri pensano di te è un problema loro.
Le bugie sono create dagli invidiosi,
ripetute dai cretini e credute dagli idioti, perché un grammo di comportamento
esemplare, vale un quintale di parole. Le menti mediocri condannano sempre ciò
che non riescono a capire.
E se la strada è in salita, è solo perché sei
destinato ad attivare in alto.
Ci sono persone per indole nate per lavorare
e/o combattere. Da loro ci si aspetta tanto ed ai risultati non corrispondono
elogi. Ci sono persone nate per oziare. Da loro non ci si aspetta niente. Se
fanno poco sono sommersi di complimenti. Guai ad aspettare le lodi del mondo. Il
mondo è un cattivo pagatore e quando paga lo fa sempre con l’ingratitudine.
Il ciclo vitale biologico della natura
afferma che si nasce, si cresce, ci si riproduce, si invecchia e si muore e
l’evoluzione fa vincere i migliori. Solo a noi umani è dato dare un senso alla
propria vita.
Ergo. Ai miei figli ho insegnato:
Le ideologie, le confessioni, le massonerie
vi vogliono ignoranti;
Le mafie, le lobbies e le caste vi vogliono
assoggettati;
Le banche vi vogliono falliti;
La burocrazia vi vuole sottomessi;
La giustizia vi vuole prigionieri;
Siete nati originali…non morite fotocopia.
Siate liberi. Studiare, ma non fermarsi alla
cultura omologata. La conoscenza è l'arma migliore per vincere.
Antonio Giangrande, orgoglioso di essere diverso.
Sono qualcuno, ma non avendo nulla per
poter dare, sono nessuno.
Lettera ad un amico
che ha tentato la morte.
Le difficoltà
rinforzano il carattere e certo quello che tu eri, oggi non lo sei.
Le difficoltà le
affrontano tutti in modi diversi, come dire: in ogni casa c’è una croce.
L’importante portarla con dignità. E la forza data per la soluzione è
proporzionale all’intelligenza.
Per cui: x grado di
difficoltà = x grado di intelligenza.
Pensa che io volevo
studiare per emergere dalla mediocrità, ma la mia famiglia non poteva.
Per poter studiare
dovevo lavorare. Ma lavoro sicuro non ne avevo.
Per avere un lavoro
sicuro dovevo vincere un concorso pubblico, che lo vincono solo i raccomandati.
Ho partecipato a
decine di concorsi pubblici: nulla di fatto.
Nel “mezzo del
cammin della mia vita”, a trentadue anni, avevo una moglie e due figli ed una
passione da soddisfare.
La mia vita era in
declino e le sconfitte numerose: speranza per il futuro zero!
Ho pensato ai miei
figli e si è acceso un fuoco. Non dovevano soffrire anche loro.
Le difficoltà si
affrontano con intelligenza: se non ce l’hai, la sviluppi.
Mi diplomo in un
anno presso la scuola pubblica da privatista: caso unico.
Mi laureo alla
Statale di Milano in giurisprudenza in due anni: caso raro.
Sembrava fatta,
invece 17 anni per abilitarmi all’avvocatura senza successo per ritorsione di
chi non accetta i diversi. Condannato all’indigenza e al discredito, per
ritorsione dei magistrati e dei media a causa del mio essere diverso.
Mio figlio ce l’ha
fatta ad abilitarsi a 25 anni con due lauree, ma è impedito all’esercizio a
causa del mio disonore.
Lui aiuta gli altri
nello studio a superare le incapacità dei docenti ad insegnare.
Io aiuto gli altri,
con i miei saggi, ad essere orgogliosi di essere diversi ed a capire la realtà
che li circonda.
Dalla mia
esperienza posso dire che Noi siamo quello che altri hanno voluto che
diventassimo. Quando esprimiamo giudizi o valutazioni lo facciamo con la nostra
bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto
ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime,
dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è
farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo
solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
Per questo un
popolo di coglioni sarà sempre governato ed amministrato, informato, istruito e
giudicato da coglioni.
Quindi, caro amico,
non guardare più indietro. Guarda avanti. Non pensare a quello che ti manca o
alle difficoltà che incontri, ma concentrati su quello che vuoi ottenere. Se non
lasci opere che restano, tutti di te si dimenticano, a prescindere da chi eri in
vita.
Pensa che più
difficoltà ci sono, più forte diventerai per superarle.
Volere è potere.
E sii orgoglioso di
essere diverso, perché quello che tu hai fatto, tentare la morte, non è segno di
debolezza. Ma di coraggio.
Le menti più
eccelse hanno tentato o pensato alla morte. Quella è roba da diversi. Perché? Si
nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il
culo.
Per questo bisogna
vivere, se lo hai capito: per ribellione e per rivalsa!
Non si deve riporre
in me speranze mal riposte.
Io posso dare
solidarietà o prestare i miei occhi per leggere o le mie orecchie per sentire,
ma cosa posso fare per gli altri, che non son stato capace di fare per me
stesso?
Nessuno ha il
potere di cambiare il mondo, perché il mondo non vuol essere cambiato.
Ho solo il potere
di scrivere, senza veli ideologici o religiosi, quel che vedo e sento intorno a
me. E’ un esercizio assolutamente soggettivo, che, d’altronde, non mi basta
nemmeno a darmi da vivere.
E’ un lavoro per i
posteri, senza remunerazione immediata.
Essere diversi
significa anche essere da soli: senza un gruppo di amici sinceri o una claque
che ti sostenga.
Il fine dei diversi
non combacia con la meta della massa. La storia dimostra che è tutto un déjà-vu.
Tante volte ho
risposto no ai cercatori di biografie personali, o ai sostenitori di battaglie
personali. Tante volte, portatori delle loro bandiere, volevano eserciti per
lotte personali, elevandosi a grado di generali.
La mia missione non
è dimostrare il mio talento o le mie virtù rispetto agli altri, ma documentare
quanto questi altri siano niente in confronto a quello che loro considerano di
se stessi.
Quindi ritienimi un
amico che sa ascoltare e capire, ma che nulla può fare o dare ad altri, perché
nulla può fare o dare per se stesso.
Sono solo un Uomo
che scrive e viene letto, ma sono un uomo senza Potere.
Dell’uomo saggio e
giusto si segue l’esempio, non i consigli.
Se si è omologati (uguali) o conformati (simili) e si sta sempre dietro alla
massa, non si sarà mai primi nella vita, perché ci sarà sempre il più furbo o il
più fortunato a precederti.
In un mondo caposotto (sottosopra od alla rovescia) gli ultimi diventano i primi
ed i primi sono gli ultimi. L’Italia è un Paese caposotto. Io, in questo mondo
alla rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo sono ignorato o
perseguitato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che
cazzo di vita è?
Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il
culo.
Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono
generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante
tracce lasci del tuo percorso.
Il difetto degli intelligenti è che sono spinti a cercare le risposte ai loro
dubbi. Il pregio degli ignoranti è che non hanno dubbi e qualora li avessero
sono convinti di avere già le risposte.
Un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato,
informato, istruito e giudicato
da “coglioni”.
Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un
ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a
quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati
monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re.
Il ciclo vitale, in
biologia, è l'intervallo tra il susseguirsi di generazioni di una specie.
L'esistenza di ogni organismo si svolge secondo una sequenza ciclica di stadi ed
eventi biologici, caratterizzata in base alla specie di appartenenza. Queste
sequenze costituiscono i cosiddetti Cicli Biologici. Ogni essere vivente segue
un ciclo vitale biologico composto dai seguenti stadi: nascita, crescita,
riproduzione, senescenza e morte. Per quanto possa essere breve o corta la vita,
nessun essere vivente preso singolarmente è immortale. Ma la sua specie diventa
immortale attraverso la riproduzione e l'evoluzione. Gli esseri viventi si
evolvono nel corso del tempo per potersi meglio adattare alla natura che li
circonda. Attraverso la riproduzione le generazioni trasmettono i propri geni a
quelle future. Durante questo passaggio le nuove generazioni possono assumere
caratteristiche nuove o perderne alcune. Le differenze si traducono in vantaggi
o in handicap per chi le possiede, agendo direttamente sul processo evolutivo
tramite la selezione naturale degli individui. Le nuove caratteristiche che
agevolano l'adattamento all'ambiente offrono all'individuo maggiori probabilità
di sopravvivenza e, quindi, di riproduzione. E' innaturale non riprodursi. Senza
riproduzione non vi è proseguimento ed evoluzione della specie. Senza
riproduzione il ciclo vitale biologico cessa. Ciò ci rende mortali. Parlare in
termini scientifici dell'eterosessualità e del parto, quindi di stati naturali,
fa di me un omofobo ed un contrabortista, quindi un non-comunista? Cercare di
informare i simili contro la deriva involutiva, fa di me un mitomane o pazzo?
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo
giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma
inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto:
dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento
politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro
sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo
che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati,
che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e
saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi
di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si
sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti
condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di
cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere
delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti
perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di
sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e
della fine che fece il primo saggista mondiale.
Da sempre diffido di chi, vestito da lupo, è pecora genuflessa alla
magistratura. I saccenti giustizialisti dei 5 stelle che provino a proporre la
figura del difensore civico giudiziario con poteri di magistrato, senza essere
uno di loro, per poter metter le mani nelle carte dei fascicoli e poterle
sparigliare. Io da anni mi batto inascoltato per questo. I signori dei 5 stelle
non si degnano nemmeno di rispondere ai messaggi degli esperti: tanto san tutto
loro. A sbraitare son bravi, ma a proporre leggi sensate, mi sa che non son
capaci. Parlan solo di soldi, soldi, soldi ed onestà, certificata dai loro
magistrati, e mai parlano di libertà ed opportunità senza concorsi ed esami
pubblici truccati.
Ad ogni azione umana nefasta si trova sempre una giustificazione...lo si fa per
le piante...lo si fa per gli animali...lo si fa per le persone! Ma, alla fine,
rimane solo un'azione nefasta che fa male al prossimo...e, spesso, il prossimo
siamo noi. A parte il partito preso, noi siamo tutti responsabili delle azioni
nefaste di uno, quando gli permettiamo di farle.
Parlare nei miei libri del caso singolo del semplice cittadino significa
incorrere nell’accusa di mitomania, pazzia o calunnia, oltre che nel
disinteresse. Invece parlo di loro, delle istituzioni che delinquono impunite.
Parlo della vera mafia. Cosa posso dire di più di quello che ho scritto e che
altri non dicono? Credo che quanto divulgato possa essere di grande
soddisfazione per le vittime, non potendo avere altro che quella in questa
Italia con italiani di merda a cui interessa solo di loro stessi e se ne fottono
degli altri.
Alla fine di noi
rimane il nostro operato, checché gli altri ne dicano. E quello bisogna
giudicare. Nasco da una famiglia umile e povera. Una di quelle famiglie dove la
sfortuna è di casa. Non puoi permetterti di studiare, né avere amici che
contano. Per questo il povero è destinato a fare il manovale o il contadino. Mi
sono ribellato e contro la sorte ho voluto studiare, per salire nel mondo non
mio. Per 17 anni ho cercato di abilitarmi nell’avvocatura. Non mi hanno voluto.
Il mondo di sotto mi tiene per i piedi; il mondo di sopra mi calca la testa. In
un esame truccato come truccati sono tutti i concorsi pubblici in Italia: ti
abilitano se non rompi le palle. Tutti uguali nella mediocrità. Dal 1998 ho
partecipato all’esame forense annuale. Sempre bocciato. Ho rinunciato a
proseguire nel 2014 con la commissione presieduta dall’avv. Francesco De Jaco.
L’avvocato di Cosima Serrano condannata con la figlia Sabrina Misseri per il
delitto di Sarah Scazzi avvenuto ad Avetrana. Tutte mie compaesane. La
Commissione d’esame di avvocato di Lecce 2014. La più serena che io abbia
trovato in tutti questi anni. Ho chiesto invano a De Jaco di tutelare me, dagli
abusi in quell’esame, come tutti quelli come me che non hanno voce. Se per lui
Cosima è innocente contro il sentire comune, indotti a pensarla così dai media e
dai magistrati, perché non vale per me la verità che sia vittima di un sistema
che mi vuol punire per essermi ribellato? Si nega l’evidenza. 1, 2, 3 anni,
passi. 17 anni son troppi anche per il più deficiente dei candidati. Ma gli
effetti sono sotto gli occhi di tutti. Compiti non corretti, ma ritenuti tali in
tempi insufficienti e senza motivazione e con quote prestabilite di abilitati.
Così per me, così per tutti. Gli avvocati abilitati negano l’evidenza.
Logico: chi passa, non controlla. Ma 17 anni son troppi per credere alla
casualità di essere uno sfigato, specialmente perché i nemici son noti, specie
se sono nelle commissioni d’esame. In carcere o disoccupato. Tu puoi gridare a
squarciagola le ingiustizie, ma nessuno ti ascolta, in un mondo di sordi.
Nessuno ti crede. Fino a che non capiti a loro. E in questa Italia capita,
eccome se capita! La tua verità contro la verità del potere. Un esempio da
raccontare. Ai figli non bisogna chiedere cosa vogliono fare da grandi. Bisogna
dir loro la verità. Chiedergli cosa vorrebbero che gli permettessero di fare da
grandi. Sono nato in quelle famiglie che, se ti capita di incappare nelle maglie
della giustizia, la galera te la fai, anche da innocente. A me non è successo di
andare in galera, pur con reiterati tentativi vani da parte della magistratura
di Taranto, ma sin dal caso Tortora ho capito che in questa Italia in fatto di
giustizia qualcosa non va. Pensavo di essere di sinistra, perché la sinistra è
garantismo, ma non mi ritrovo in un’area dove si tollerano gli abusi dei
magistrati per garantirsi potere ed impunità. E di tutto questo bisogna tacere.
A Taranto, tra i tanti processi farsa per tacitarmi sulle malefatte dei
magistrati, uno si è chiuso, con sentenza del Tribunale n. 147/2014, con
l’assoluzione perché il fatto non sussiste e per non doversi procedere. Bene:
per lo stesso fatto si è riaperto un nuovo procedimento ed è stato emesso un
decreto penale di condanna con decreto del Gip. n. 1090/2014: ossia una condanna
senza processo. Tentativo stoppato dall’opposizione.
Zittirmi sia mai.
Pur isolato e perseguitato. Gli italiani son questi. Ognuno dia la sua
definizione. Certo è che gli italiani non mi leggono, mi leggono i forestieri.
Mi leggeranno i posteri. Tutto regolare: lo ha detto la tv, lo dicono i giudici.
Per me, invece, è tutto un trucco. In un mondo di ladri nessuno vien da Marte.
Tutti uguali: giudicanti e giudicati. E’ da decenni
che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da
queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana
editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo,
ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti
ai magistrati, all’economia ed alla politica, ma che non impediscono il fatto
che di me si parli su 200.000 siti web, come accertato dai motori di ricerca.
Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it, Lulu.com. CreateSpace.com e
Google Libri, oltre che in forma di lettura gratuita e free vision video.
Ho la preparazione
professionale per poter dire la sua in questioni di giustizia?
Non sono un
giornalista, ma a quanto pare sono l’unico a raccontare tutti i fatti. Non sono
un avvocato ma mi diletto ad evidenziare le manchevolezze di un sistema
giudiziario a se stante. La mia emigrazione in piena adolescenza in Germania a
16 anni per lavorare; la mia laurea quadriennale in Giurisprudenza presa in soli
due anni all’Università Statale di Milano, lavorando di notte e con moglie e due
figli da mantenere, dopo aver conseguito il diploma da ragioniere in un solo
anno da privatista presso un Istituto tecnico Statale e non privato, per non
sminuirne l’importanza, portando tutti i 5 anni di corso; tutto ciò mi ha reso
immune da ogni condizionamento culturale od ambientale. I miei 6 anni di
esercizio del patrocinio legale mi hanno fatto conoscere le magagne di un
sistema che non è riuscito a corrompermi. Per questo dal 1998 al 2014 non mi
hanno abilitato alla professione di avvocato in un esame di Stato, che come
tutti i concorsi pubblici ho provato, con le mie ricerche ed i miei libri,
essere tutti truccati. Non mi abilitano. Perché non sono uguale agli altri, non
perché son meno capace. Non mi abilitano perché vedo, sento e parlo. Ecco perché
posso parlare di cose giuridiche in modo di assoluta libertà, senza
condizionamento corporativistico, anche a certezza di ritorsione. E’ tutta
questione di coscienza.
Alle sentenze
irrevocabili di proscioglimento del Tribunale di Taranto a carico del dr Antonio
Giangrande, già di competenza della dr.ssa Rita Romano, giudice di Taranto poi
ricusata perché denunciata, si aggiunge il verbale di udienza dell’11 dicembre
2015 della causa n. 987/09 (1832/07 RGNR) del Tribunale di Potenza, competente
su fatti attinenti i magistrati di Taranto, con il quale si dispone la
perfezione della fattispecie estintiva del processo per remissione della querela
nei confronti del dr Antonio Giangrande da parte del dr. Alessio Coccioli, già
Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, poi
trasferito alla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce. Remissione della
querela volontaria, libera e non condizionata da alcun atto risarcitorio.
Il Dr Antonio
Giangrande era inputato per il reato previsto e punito dall’art. 595 3° comma
c.p. “perchè inviando una missiva a sua
firma alla testata giornalistica La Gazzetta del Sud Africa e pubblicata sui
siti internet lagazzettadelsudafrica.net, malagiustizia.eu, e
associazionecontrotuttelemafie.org, offendeva l’onore ed il decoro del dr.
Alessio Coccioli, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Taranto, riportando in detto su scritto la seguente frase: “…il PM Alessio
Coccioli, inopportunamente delegando i carabinieri di Manduria, quali PG, ha
reso lecito tale modus operandi (non rilasciare attestato di ricezione da parte
dell’Ufficio Protocollo del Comune di Manduria ndr), motivandolo dal fatto che
non è dannoso per il denunciante. Invece in denuncia si è fatto notare che tale
usanza di recepimento degli atti, prettamente manduriana, può nascondere
alterazioni procedurali in ambito concorsuale e certamente abusi a danno dei
cittadini. Lo stesso PM Alessio Coccioli, inopportunamente delegando i
carabinieri di Manduria, quali PG, per la colleganza con il comandante dei
Vigili Urbani di Manduria, ha ritenuto le propalazioni del Giangrande, circa il
concorso per Comandante dei Vigili Urbani, ritenuto truccato (perché il medesimo
aveva partecipato e vinto in un concorso da egli stesso indetto e regolato in
qualità di comandante pro tempore e dirigente dell’ufficio del personale), sono
frutto di sue convinzioni non supportate da riscontri di natura obbiettiva e
facendo conseguire tali riferimenti, al predetto dr. Coccioli, ad altre
notazioni, contenute nello stesso scritto, nelle quali si denunciavano
insabbiamenti, o poche richieste di archiviazioni strumentali attribuite ai
magistrati della Procura della Repubblica di Taranto”.
Il Processo di
Potenza, come i processi tenuti a Taranto, sono attinenti a reati di opinione.
Lo stesso dr. Alessio Coccioli, una volta trasferito a Lecce, ha ritenuto che le
opinioni espresse dal Dr Antonio Giangrande riguardo la Giustizia a Taranto non
potessero continuare ad essere perseguite.
Ultimo atto. Esame di Avvocato 2015. A Lecce
uno su quattro ce l’ha fatta. Sono partiti in 1.108: la prova scritta è stata
passata da 275 praticanti. Preso atto.....
All'attenzione dell'avv. Francesco De Jaco.
Illustre avv. Francesco De Jaco, in qualità di Presidente della Commissione di
Esame di Avvocato 2014-2015, chi le scrive è il dr Antonio Giangrande. E’ quel
signore, attempato per i suoi 52 anni e ormai fuori luogo in mezzo ai giovani
candidati, che in sede di esame le chiese, inopinatamente ed invano, Tutela.
Tutela, non raccomandazione. Così come nel 2002 fu fatto inutilmente con l’avv.
Luigi Rella, presidente di commissione e degli avvocati di Lecce. Tutela perché
quel signore il suo futuro lo ha sprecato nel suo passato. Ostinatamente nel
voler diventare avvocato ha perso le migliori occasioni che la vita possa dare.
Aspettava come tutti che una abilitazione, alla mediocrità come è l’esame
forense truccato, potesse, prima o poi, premiare anche lui. Pecori e porci sì,
lui no! Quel signore ha aspettato ben 17 anni per, finalmente, dire basta.
Gridare allo scandalo per un esame di Stato irregolare non si può. Gridare al
complotto contro la persona…e chi gli crede. Eppure a Lecce c’è qualcuno che
dice: “quello lì, l’avvocato non lo deve fare”. Qualcuno che da 17 anni,
infastidito dal mio legittimo operato anche contro i magistrati, ha i tentacoli
tanto lunghi da arrivare ovunque per potermi nuocere. Chi afferma ciò è colui il
quale dimostra con i fatti nei suoi libri, ciò che, agli ignoranti o a chi è in
mala fede, pare frutto di mitomania o pazzia. Guardi, la sua presidenza, in sede
di scritto, è stata la migliore tra le 17 da me conosciute. Purtroppo, però, in
quel di Brescia quel che si temeva si è confermato. Brescia, dove, addirittura,
l’ex Ministro Mariastella Gelmini chiese scampo, rifugiandosi a Reggio Calabria
per poter diventare avvocato. Il mio risultato delle prove fa sì che chiuda la
fase della mia vita di aspirazione forense in bruttezza. 18, 18, 20. Mai
risultato fu più nefasto e, credo, immeritato e punitivo. Sicuro, però, che tale
giudizio non è solo farina del sacco della Commissione di esame di Brescia. Lo
zampino di qualche leccese c’è! Avvocato… o magistrato… o entrambi…: chissà? Non
la tedio oltre. Ho tentato di trovare Tutela, non l’ho trovata. Forse chiedevo
troppo. Marcire in carcere da innocente o pagare fio in termini professionali,
credo che convenga la seconda ipotesi. Questo è quel che pago nel mettermi
contro i poteri forti istituzionali, che io chiamo mafiosi. Avvocato, grazie per
il tempo che mi ha dedicato. Le tolgo il disturbo e, nel caso l’importasse, non
si meravigli, se, in occasione di incontri pubblici, se e quando ci saranno, la
priverò del mio saluto. Con ossequi.
Avetrana lì 26 giugno 2015. Dr Antonio
Giangrande, scrittore per necessità.
E’ da scuola l’esempio della correzione dei
compiti in magistratura, così come dimostrato, primo tra tutti gli altri,
dall’avv. Pierpaolo Berardi, candidato bocciato. Elaborati non visionati, ma
dichiarati corretti. L’avvocato astigiano Pierpaolo Berardi, classe 1964, per
anni ha battagliato per far annullare il concorso per magistrati svolto nel
maggio 1992. Secondo Berardi, infatti, in base ai verbali dei commissari, più di
metà dei compiti vennero corretti in 3 minuti di media (comprendendo “apertura
della busta, verbalizzazione e richiesta chiarimenti”) e quindi non “furono mai
esaminati”. I giudici del tar gli hanno dato ragione nel 1996 e nel 2000 e il
Csm, nel 2008, è stato costretto ad ammettere: “Ci fu una vera e propria
mancanza di valutazione da parte della commissione”. Giudizio che vale anche per
gli altri esaminati. In quell’esame divenne uditore giudiziario, tra gli altri,
proprio Luigi de Magistris, giovane Pubblico Ministero che si occupò inutilmente
del concorso farsa di abilitazione forense a Catanzaro: tutti i compiti identici
e tutti abilitati. Al Tg1 Rai delle 20.00 del 1 agosto 2010 il conduttore apre
un servizio: esame di accesso in Magistratura, dichiarati idonei temi pieni
zeppi di errori di ortografia. La denuncia è stata fatta da 60 candidati
bocciati al concorso 2008, che hanno spulciato i compiti degli idonei e hanno
presentato ricorso al TAR per manifesta parzialità dei commissari con abuso del
pubblico ufficio. Risultato: un buco nell'acqua. Questi magistrati, nel
frattempo diventati dei, esercitano. Esperienza diretta dell'avvocato Giovanni
Di Nardo che ha scoperto temi pieni di errori di ortografia giudicati idonei
alle prove scritte del concorso in magistratura indetto nel 2013 le cui prove si
sono tenute nel Giugno del 2014. Se trovate che sia vergognoso condividete il
più possibile, non c'è altro da fare.
Caso Bellomo, le forti parole di Filippo
Facci dopo le testimonianze delle allieve,
scrive robertogp il 28/12/2017 su "NewNotizie.it". Come redazione di
‘NewNotizie.it‘ abbiamo preferito non parlare della pietosa vicenda riguardante
il consigliere di Stato Francesco Bellomo, il quale si trova adesso indagato
dalla procura di Bari, Milano e Piacenza per estorsione, atti persecutori e
lesioni gravi. In breve, Francesco Bellomo, consigliere di Stato nonché
magistrato, conduceva dei corsi volti ad affrontare al meglio l’esame di accesso
alla magistratura; l’accusa rivoltagli negli ultimi giorni si precisa in diverse
testimonianze di allieve o ex allieve che accusano l’uomo di alcune clausole
molto particolari presenti nel contratto d’iscrizione ai suoi corsi. Veniva ad
esempio richiesto alle studentesse di recarsi al corso truccate, con tacchi
alti, minigonna e altre peculiarità espresse nel dettaglio all’interno del
contratto. Altre bizzarre clausole erano presenti nel foglio da firmare, quali
ad esempio che il fidanzamento del o della borsista era consentito solo in
seguito all’approvazione personale di Bellomo o addirittura la revoca della
borsa di studio in caso di matrimonio. Filippo Facci, giornalista di ‘Libero
Quotidiano‘ ha espresso il suo parere riguardo la vicenda sostenendo che le
allieve che hanno sporto denuncia abbiano “una fisiologica propensione a essere
zoccole (auguri per qualsiasi carriera) oppure siano troppo stordita per poter
fare il mestiere del magistrato”. Seppur i toni siano decisamente sopra le
righe, Facci spiega con tre motivazioni il perché di una frase così forte: “Il
corso di Bellomo era un corso non obbligatorio per affrontare l’ esame per
magistrato; i contratti di Bellomo erano palesemente nulli, perché nessun
contratto può imporre pretese del genere, e per saperlo basta non essere scemi e
infine, alcuni contratti venivano firmati da borsiste che avevano accettato una
relazione sessuale con Bellomo, approccio che ci è difficile pensare spontaneo e
slegato ai buoni esiti del corso”. Facci ricorda infine che “l’ingresso in
magistratura non prevede esami psico-attitudinali”. Mario Barba
Filippo Facci per Libero Quotidiano il 28
dicembre 2017. I dettagli su quanto il consigliere Francesco Bellomo sia porco
(copyright Enrico Mentana) li trovate in un altro articolo, e così pure gli
aggiornamenti sui «contratti di schiavitù sessuale» (copyright Liana Milella,
Repubblica) che imponeva a qualche allieva. Ciò posto, scusate: 1) il corso di
Bellomo era un corso non obbligatorio per affrontare l'esame per magistrato; 2)
i contratti di Bellomo erano palesemente nulli, perché nessun contratto può
imporre pretese del genere, e per saperlo basta non essere scemi; 3) alcuni
contratti venivano firmati da borsiste che avevano accettato una relazione
sessuale con Bellomo, approccio che ci è difficile pensare spontaneo e slegato
ai buoni esiti del corso. Detto questo, insomma: una che accetta di vestirsi in
un certo modo, e così truccarsi, e i tacchi e le calze, una che accetta clausole
che vietavano i matrimoni e condizionavano i fidanzamenti e autorizzavano a
mettere in rete ogni dettaglio sessuale, una che crede che altrimenti avrebbe
pagato 100mila euro di penale, beh, una così ha una fisiologica propensione a
essere zoccola (auguri per qualsiasi carriera) oppure è troppo stordita per
poter fare il mestiere del magistrato: troppo facile da circonvenire o
corrompere, comunque sprovvista dell' equilibrio necessario a decidere della
vita altrui. Lo diciamo non solo perché l'ingresso in magistratura non prevede
esami psico-attitudinali, ma perché molte borsiste di Bellomo, magistrati, anzi
magistrate, lo sono già diventate.
Concorsi Pubblici ed abilitazioni Truccati.
Chi è senza peccato scagli la prima pietra.
CUORI, TRUFFE E MAZZETTE: È LA FARSA
“CONCORSONI”, scrive Virginia Della
Sala su "Il Fatto Quotidiano" il 15 agosto 2016. Erano in 6mila per 340 posti.
Luglio 2015, concorso in magistratura, prova scritta. Passano in 368. Come in
tutti i concorsi, gli altri sono esclusi. Stavolta però qualcosa va
diversamente. “Appena ci sono stati comunicati i risultati, a marzo di
quest’anno, abbiamo deciso di fare la richiesta di accesso agli atti. Abbiamo
preteso di poter visionare non solo i nostri compiti ma anche quelli di tutti i
concorrenti risultati idonei allo scritto”, spiega uno dei concorrenti, Lugi
R. Milleduecento elaborati, scansionati e inviati tramite mail in un mese. Per
richiederli, i candidati hanno dovuto acquistare una marca da bollo da 600 euro.
Hanno optato per la colletta: 230 persone hanno pagato circa 3 euro a testa per
capire come mai non avessero passato quel concorso che credevano fosse andato
bene. E, soprattutto, per verificare cosa avessero di diverso i loro compiti da
quelli di chi il concorso lo aveva superato. “Ci siamo accorti che su diversi
compiti compaiono segni di riconoscimento: sottolineature, cancellature, strani
simboli, schemi”. Anche il Fatto ha potuto visionarli: asterischi, note a piè di
pagina, cancellature, freccette. In uno si contano almeno due cuoricini. In un
altro, il candidato ha disegnato una stellina. “Ora non c’è molto che possiamo
fare per opporci a questi risultati – spiega Luigi – visto che sono scaduti i
termini per ricorrere al Tar. Inoltre, molti di noi stanno tentando di nuovo il
concorso quest’anno. Ecco perché preferiamo non esporci molto mediaticamente”.
IL RAPPORTO DI BANKITALIA. Eppure, decine di
sentenze dimostrano come sia possibile richiedere l’annullamento anche per un
solo puntino. “Cancellature, scarabocchi, codici alfanumerici. Decisamente un
cuoricino è un segno distintivo per cui può essere sollecitata l’amministrazione
– spiega l’avvocato Michele Bonetti –. Qui si parla di un concorso esteso. Ma mi
è capitato di assistere persone che partecipavano a un concorso in cui, dei
cinque candidati, c’era solo un uomo. Capirà che la grafia di un uomo è
facilmente riconoscibile come tale”. Al di là delle scorrettezze, una ricerca
della Banca d’Italia pubblicata qualche giorno fa ha dimostrato che in Italia, i
concorsi pubblici non funzionano. O, per dirlo con le parole dei quattro
economisti autori del dossier Incentivi e selezione nel pubblico impiego
(Cristina Giorgiantonio, Tommaso Orlando, Giuliana Palumbo e Lucia Rizzica), “i
concorsi non sembrano adeguatamente favorire l’ingresso dei candidati migliori e
con il profilo più indicato”. Si parla di bandi frammentati a livello locale, di
troppe differenze metodologiche tra le varie gare, di affanno nella gestione
coordinata a livello nazionale. Tra il 2001 e il 2015, ad esempio, Regioni ed
Enti locali hanno bandito quasi 19mila concorsi per assunzioni a tempo
indeterminato, con una media di meno di due posizioni disponibili per
concorso. Macchinoso anche il metodo: “Prove scritte e orali, prevalentemente
volte a testare conoscenze teorico-nozionistiche” si legge nel paper. Ogni
concorrente studia in media cinque mesi e oltre il 45 per cento dei partecipanti
rinuncia a lavorare. Così, se si considera che solo nel 2014, 280mila individui
hanno fatto domanda per partecipare a una selezione pubblica, si stima che il
costo opportunità per il Paese è di circa 1,4 miliardi di euro l’anno. La
conseguenza è che partecipa solo chi se lo può permettere e chi ha più tempo
libero per studiare. Anche perché si preferisce la prevalenza di quesiti
“nozionistici” che però rischiano di “inibire la capacità dei responsabili
dell’organizzazione di valutare il possesso, da parte dei candidati, di
caratteristiche pur rilevanti per le mansioni che saranno loro affidate, quali
le ambizioni di carriera e la motivazione intrinseca”. A tutto questo si
aggiungono l’eccesso delle liste degli idonei – il loro smaltimento determina
“l’irregolarità della cadenza” dei concorsi e quindi l’incertezza e l’incostanza
dell’uscita dei bandi, dice il dossier.
LA BEFFA SICILIANA. Palermo, concorsone
scuola per la classe di sostegno nelle medie. Quest’anno, forse per garantire
l’anonimato e l’efficienza, il concorso è stato computer based: domande e
risposte al pc. Poi, tutto salvato su una penna usb con l’attribuzione di un
codice a garanzia dell’anonimato. Eppure, la settimana scorsa i 32 candidati che
hanno svolto la prova all’istituto Pio La Torre a fine maggio sono stati
riconvocati nella sede. Dovevano indicare e ricordarsi dove fossero seduti il
giorno dell’esame perché, a quanto pare, erano stati smarriti i documenti che
avrebbero permesso di abbinare i loro compiti al loro nome. “È assurdo –
commenta uno dei docenti – sembra una barzelletta: dovremmo fare ricorso tutti
insieme, unirci e costringere una volta per tutte il Miur ad ammettere che forse
non si era ancora pronti per questa svolta digitale”.
IL VOTO SUL COMPITO CHE NON È MAI STATO
FATTO. Maria Teresa Muzzi è invece una docente che si era iscritta al concorso
nel Lazio ma poi aveva deciso di non parteciparvi. Eppure, il 2 agosto, ha
ricevuto la convocazione per la prova orale per la classe di concorso di lettere
e, addirittura, un voto per uno scritto che però non ha mai fatto: 30,4. Avrebbe
potuto andare a fare l’orale con la carta d’identità e ottenere una cattedra,
mentre il legittimo concorrente avrebbe perso la sua chance di cambiare vita. Ha
deciso di non farlo e ancora si attende la risposta dell’ufficio scolastico
regionale che spieghi come sia stato possibile un errore del genere. In Liguria
per la classe di concorso di sostegno nella scuola secondaria di I grado,
l’ufficio scolastico regionale ha disposto la revoca della nomina della
Commissione giudicatrice e l’annullamento di tutti i suoi atti perché sarebbero
emersi “errori che possono influire sull’esito degli atti e delle operazioni
concorsuali”. I candidati ancora attendono di avere nuovi esiti delle prove
svolte. E, va ricordato, la correzione dei compiti a risposta aperta nei
concorsi pubblici ha una forte componente discrezionale. “Ogni concorso pubblico
ha margini di errore ed è perfettibile – spiega Bonetti –. In Italia, però, di
lacune ce ne sono troppe e alcune sono strutturali al tipo di prova che si
sceglie di far svolgere. L’irregolarità vera è propria, invece, riguarda le
scelte politiche che, se arbitrarie e ingiuste, sono sindacabili”.
LE BUSTARELLE DI NAPOLI. Il problema è che si
alza sempre più la soglia di accesso in nome della meritocrazia, ma si
continuano a lasciare scoperti posti che invece servirebbe coprire. Favorendo
così le chiamate dirette e i contratti precari. “Dalla scuola al ministero degli
esteri all’autority delle telecomunicazioni – spiega Bonetti. La scelta politica
è ancora più evidente nel settore della sanità: ci sono meccanismi di chiusura
già nel mondo universitario. Oggi il corso di medicina è previsto per 10mila
studenti in tutta Italia mentre le statistiche Crui dal 1990 hanno sempre
registrato una media di 130mila immatricolati. Sono restrizioni con
un’ideologia. Una volta entrati, ad esempio, c’è prima un altro concorso per la
scuola di specializzazione e poi ancora un concorso pubblico che però è per
5mila persone. E gli altri? Attendono e alimentano il settore privato, che colma
le lacune del sistema pubblico. O sono chiamati come collaboratori, con forme
contrattuali che vanno dalla partita iva allo stage”. Nelle settimane scorse, il
Fatto Quotidiano ha raccontato dell’algoritmo ritrovato dalla Guardia di Finanza
di Napoli che avrebbe consentito ai partecipanti di rispondere in modo corretto
ai quiz di accesso per un concorso. Ad averlo, uno degli indagati di
un’inchiesta sui concorsi truccati per accedere all’Esercito. Nel corso delle
perquisizioni la Finanza ha ritrovato 100mila euro in contanti, buste con
elenchi di nomi (forse i clienti) e un tariffario: il prezzo per superare i
concorsi diviso “a pacchetti”, a seconda dell’esame e del corpo al quale
accedere (esercito, polizia, carabinieri). La tariffa di 50.000 euro sarebbe
relativa al “pacchetto completo”: dai test fisici fino ai quiz e alle prove
orali. Solo 20.000 euro, invece, per chi si affidava ai mediatori dopo aver
superato le prove fisiche. Uno sconto consistente. Tutto è partito da una
soffiata: un ragazzo al quale avevano fatto la proposta indecente, ha rifiutato
e ha denunciato. Un altro pure ha detto no, ma senza denunciare. Virginia Della
Sala, il Fatto Quotidiano 15/8/2016.
Concorsi truccati all’università, chi
controlla il controllore? Scrive
Alessio Liberati il 27 settembre 2017 su "Il Fatto Quotidiano". Sta avendo una
grande eco in questi giorni l’inchiesta sui concorsi truccati all’università,
ove, come la scoperta dell’acqua calda verrebbe da dire, la procura di Firenze
ha individuato una sorta di “cupola” che decideva carriere e futuro dei
professori italiani. La cosiddetta “raccomandazione” o “spintarella” (una
terminologia davvero impropria per un crimine tanto grave) è secondo me uno dei
reati più gravi e meno puniti nel nostro ordinamento. Chi si fa raccomandare per
vincere un concorso viene trattato meglio, nella considerazione sociale e
giuridica (almeno di fatto) di chi ruba un portafogli. Ma chi ti soffia il posto
di lavoro o una progressione in carriera è peggio di un ladro qualunque: è un
ladro che il portafogli te lo ruba ogni mese, per sempre. Gli effetti di delitti
come questo, in sostanza, sono permanenti.
Ma come si è arrivati a ciò? Va chiarito
che il sistema giuridico italiano prevede due distinti piani su cui operare:
quello amministrativo e quello penale. Di quest’ultimo ogni tanto si ha notizia,
nei (rari) casi in cui si riesce a scoperchiare il marcio che si cela dietro ai
concorsi pubblici italiani. Di quello relativo alla giustizia amministrativa si
parla invece molto meno. Ma tale organo è davvero in grado di assicurare il
rispetto delle regole quando si fa ricorso?
Personalmente, denuncio da anni le
irregolarità che sono state commesse proprio nei concorsi per l’accesso al
Consiglio di Stato, massimo organo di giustizia amministrativa, proprio
quell’autorità, cioè, che ha l’ultima parola su tutti i ricorsi relativi
ai concorsi pubblici truccati. Basti pensare che uno dei vincitori più giovani
del concorso (e quindi automaticamente destinato a una carriera ai vertici) non
aveva nemmeno i titoli per partecipare. E che dire dei tempi di correzione? A
volte una media di tre pagine al minuto, per leggere, correggere e valutare. E
la motivazione dei risultati attribuiti? Meramente numerica e impossibile da
comprendere. Tutti comportamenti, si intende, che sono in linea con i principi
giurisprudenziali sanciti proprio dalla giurisprudenza dei Tar e del Consiglio
di Stato.
E allora il problema dei concorsi truccati in
Italia non può che partire dall’alto: si prenda atto che la giustizia
amministrativa non è in grado di assicurare nemmeno la regolarità dei
concorsi al proprio interno e che, quindi, non può certo esserle affidato il
compito istituzionale di decidere su altri concorsi: con un altro organo
giurisdizionale che sia davvero efficace nel giudicare le irregolarità dei
concorsi pubblici, al punto da costituire un effettivo deterrente, si avrebbe
una riduzione della illegalità cui si assiste da troppo tempo nei concorsi
pubblici italiani.
Se questa è antimafia….
In Italia, con l’accusa di mafiosità, si permette l’espropriazione proletaria di
Stato e la speculazione del Sistema su beni di persone che mafiose non lo sono.
Persone che non sono mafiose, né sono responsabili di alcun reato, eppure
sottoposte alla confisca dei beni ed alla distruzione delle loro aziende, con
perdita di posti di lavoro. Azione preventiva ad ogni giudizio. Alla faccia
della presunzione d’innocenza di stampo costituzionale. Interventi di
antimafiosità incentrati su un ristretto ambito territoriale o di provenienza
territoriale.
Questa antimafia, per mantenere il sistema,
impone la delazione e la calunnia ai sodalizi antiracket ed antiusura iscritti
presso le Prefetture provinciali. Per continuare a definirsi tali, ogni anno, le
associazioni locali sono sottoposte a verifica. L’iscrizione all’elenco è
condizionata al numero di procedimenti penali e costituzioni di parti civili
attivate. L’esortazione a denunciare, anche il nulla, se possibile. Più denunce
per tutti…quindi. Chi non denuncia, anche il nulla, è complice od è omertoso.
A tal fine, per non aver adempito ai
requisiti di delazione, calunnia e speculazione sociale, l’Associazione Contro
Tutte le Mafie ONLUS, sodalizio nazionale di promozione sociale già iscritta al
n. 3/2006 presso il registro prefettizio della Prefettura di Taranto Ufficio
Territoriale del Governo, il 23 settembre 2017 è stata cancellata dal suddetto
registro.
LA
MAFIA DELLE ASTE GIUDIZIARIE.
Come
si truccano le aste giudiziarie, o i procedimenti dei sequestri/confische
antimafia o i procedimenti concorsuali o esecutivi.
Intervista al sociologo storico Antonio
Giangrande, autore di un centinaio di saggi che parlano di questa Italia
contemporanea, analizzandone tutte le tematiche, divise per argomenti e per
territorio.
Dr Antonio Giangrande di cosa si occupa
con i suoi saggi e con la sua web tv o con i suoi canali youtube?
«Denuncio
i difetti e caldeggio i pregi italici. Perché non abbiamo orgoglio e dignità per
migliorarci e perché non sappiamo apprezzare, tutelare e promuovere quello che
abbiamo ereditato dai nostri avi. Insomma, siamo bravi a farci del male e
qualcuno deve pur essere diverso!»
Perché dice che i procedimenti giudiziari
esecutivi sono truccati o truccabili, siano esse aste giudiziarie, o
procedimenti di sequestro o confisca di beni presunti mafiosi, ovvero
procedimenti concorsuali o esecutivi.
«Oltre
ad essere scrittore, sono presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Sodalizio nazionale antiracket ed antiusura (al pari di Libera). Associazione
già iscritta all’apposito elenco prefettizio di Taranto, ma cancellata il 6
settembre 2017 per mia volontà, non volendo sottostare alle condizioni imposte
dalla normativa nazionale: obbligo delle denunce (incentivo alla calunnia ed
alla delazione) e obbligo alla costituzione di parte civile (speculazione sui
procedimenti attivati su denunce pretestuose). Come presidente di questa
associazione antimafia sono destinatario di centinaia di segnalazioni da tutta
Italia. Segnalazioni ricevute in virtù della previsione statutaria associativa.
Solo alcune di queste segnalazioni sono state prese in considerazione e citate
nei miei saggi: solo quelle di cui si sono interessati organi istituzionali o di
stampa. Articoli giornalistici od interrogazioni parlamentari inseriti nel mio
saggio d’inchiesta: “Usuropoli. Usura e Fallimenti truccati”.
Perché le
segnalazioni sono state rivolte a lei e non agli organi giudiziari?
«Per
sfiducia nella giustizia. La cronaca lo conferma.
Chiara Schettini tenta di scrollarsi di dosso le
accuse pesantissime che l'hanno portata in carcere, aggravate da intercettazioni
che la inchiodano a minacce, a frasi sorprendenti come: "Io se voglio sono più
mafiosa dei mafiosi". Il Fatto contro i
giudici fallimentari: "Sono corrotti". Il quotidiano di Travaglio alza il
velo sui giudici fallimentari. A parlare è una di loro: "Ci davano 150 mila euro
e viaggi pagati per pilotare le cause...", scrive “Libero Quotidiano”.
Il Fatto contro le toghe. No,
non è un ossimoro, ma l'approfondimento del quotidiano di Travaglio e Padellaro
sui tribunali fallimentari. Raramente capita di leggere sul Fatto qualche
articolo contro le toghe e la magistratura. Per l'ultimo dell'anno in casa
travaglina si fa un'eccezione. Così il Fatto alza il velo sullo scandalo dei
magistrati corrotti dei tribunali fallimentari. A parlare è l'ex giudice Chiara
Schettini, arrestata a giugno che al Fatto racconta: "A Roma era una prassi.
Viaggi e soldi in contanti erano la norma per comprare le sentenze. Si divideva
il compenso con il magistrato, tre su quattro sono corrotti". La Schettini è un
fiume in piena e accusa i colleghi: "L'ambiente della fallimentare è ostile,
durissimo, atavico, non ci sono solo spartizioni di denaro ma viaggi, regali, di
tutto di più, una nomina a commissario giudiziale costa 150 mila euro, tutti
sanno tutto e nessuno fa niente". Infine punta il dito anche contro i "pezzi
grossi" della magistratura fallimentare: "Si sapeva tranquillamente che lì c'era
chi per una nomina a commissario giudiziale andava via in Ferrari con la
valigetta e prendeva 150 mila euro da un famoso studio, tutti sanno ma
nessuno fa niente...". Cause truccate, tangenti, favori. Tra magistrati venduti,
politici, e top model che esportano milioni - La giudice “pentita” Schettini,
arrestata per corruzione e peculato, ha cominciato a fare i nomi del “sistema”,
tra avvocati, commercialisti e legami tra professionisti e banditi della
criminalità romana…, scrive Dagospia. Corruzione al tribunale: voi fallite, noi
rubiamo, scrive, invece, Pietro Troncon su “Vicenza Piu”.
Corruzione al tribunale: voi fallite,
noi rubiamo, scrive Lirio Abbate su L'Espresso n. 3 - del 23 gennaio
2014. Più che un tribunale sembra il discount delle grandi occasioni. Una
fiera dove la crisi fa arrivare di tutto: dagli hotel alle fabbriche, a prezzi
scontatissimi. Ma all'asta sarebbero finiti anche incarichi professionali
milionari, assegnati al miglior offerente. O preziosi paracadute per
imprenditori spericolati dalla mazzetta facile.
Minerva e il prezzo della verità.
Fallimenti, magistrati e giornalisti, scrive Francesco Monteleone su
“Affari Italiani”. Giornalisti contro
magistrati. Quanto costa essere veritieri? E' la domanda posta dai
giornalisti riuniti, all'ombra della statua di Minerva, sulle scale del Palazzo
di Giustizia di Bari. “Aste e
fallimenti truccati…” Di fronte all’ingresso dello stesso palazzo, una
scritta sul muro sintetizza impietosamente il comportamento vergognoso di alcuni
magistrati responsabili della Sezione Fallimentare, che hanno subìto
provvedimenti duri da parte del Consiglio Superiore della Magistratura.
E la verità bisogna raccontarla...tutta! Una scatola di pasta piena di soldi
consegnata in un parcheggio di Trezzano. Altre due buste di denaro, una
passata di mano in un ristorante di Pogliano Milanese e una in un pub in zona
San Siro. Infine, una borsa di Versace, regalata in un negozio del centro di
Milano, scrive Gianni Santucci su “Il Corriere della Sera”. Ruota per ora
intorno a questi quattro episodi l'inchiesta della Procura su un sistema di
corruzione nelle aste giudiziarie del Tribunale di Milano.
Ville in Sardegna all’asta
assegnate dai magistrati ai loro colleghi. Sospeso il giudice Alessandro
Di Giacomo e un perito. Otto indagati in tutto. Il sospetto di altri affari
pilotati, scrive Ilaria Sacchettoni il 15 dicembre 2017 su "Il Corriere della
Sera". Magistrati che premiano altri magistrati nell’aggiudicazione di ville
superlative. Avvocati che, in virtù dell’amicizia con presidenti del Tribunale
locale, si prestano a dissuadere altri avvocati dall’eccepire. Colleghi degli
uni e degli altri che, interpellati dagli ispettori del ministero della
Giustizia, su possibili turbative d’asta oppongono un incrollabile mutismo.
Massa e Pisa, aste truccate:
“Dobbiamo rubare il più possibile”. Chiesta la sospensione del giudice
Bufo. L'accusa è di aver sottratto soldi all'erario e aver dato gli incarichi
alla figlia dell'amico. Sette provvedimenti. Ai domiciliari anche l’ex
consigliere regionale Luvisotti (An), scrivono Laura Montanari e Massimo
Mugnaini il 10 gennaio 2018 su "La Repubblica". «Qui bisogna cercare di rubare
il più possibile» dice uno. E l’altro che è un giudice, Roberto Bufo, 56 anni,
di Carrara ma in servizio al tribunale di Pisa, risponde: «Esatto». E il primo:
«Il concetto di fondo è uno solo... anche perché tanto a essere onesti non
succede niente». La procura di
Caltanissetta ha chiesto il rinvio a giudizio per la Saguto e per 15 suoi amici,
scrive il 26 ottobre 2017 Telejato. DOPO MESI DI INDAGINI, INTERROGATORI,
INTERCETTAZIONI, IL NODO È ARRIVATO AL PETTINE. La procura di Caltanissetta ha
chiesto il rinvio a giudizio per la signora Silvana Saguto, già presidente
dell’Ufficio Misure di prevenzione, accusata assieme ad altri 15 imputati, di
corruzione, abuso d’ufficio, concussione, truffa aggravata, riciclaggio, dopo
una requisitoria durata cinque ore. Saranno invece processati col rito
abbreviato i magistrati Tommaso Virga, Fabio Licata e il cancelliere Elio
Grimaldi. Tra coloro per cui è stato chiesto il rinvio figurano il padre, il
figlio Emanuele e il marito della Saguto, il funzionario della DIA Rosolino
Nasca, i docenti universitari Roberto Di Maria e Carmelo Provenzano, assieme ad
altri suoi parenti, l’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo.
Virus su rai 2 condotto da Nicola
Porro. 22:33 va in onda un servizio dedicato al caso del magistrato
Antonio Lollo di Latina. Gomez: "C'è un problema in Italia riguardo i tribunali
fallimentari. Non è la prima volta che un magistrato divide i soldi con il
consulente. Nelle fallimentari, è noto che c'è la cosiddetta mano nera. Sulle
aste, succedono cose strane. E se a dirlo è Peter Gomez, il direttore de “Il
Fatto Quotidiano”, giornale notoriamente giustizialista e genuflesso
all’autorità dei magistrati, è tutto dire. Ed ancora.
RACKET DI FALLIMENTI E ASTE. LE
CONNIVENZE DELLA PROCURA FANTASMA TRIESTINA, scrive Pietro Palau
Giovannetti (Presidente di Avvocati senza Frontiere). Non solo a
Trieste. E adesso l'inchiesta
sulle aste pilotate a palazzo di giustizia potrebbe salire decisamente di tono:
alla Procura di Brescia, competente a indagare sui magistrati del distretto di
Milano (dunque anche quelli lecchesi), sarebbero stati inviati mesi fa una serie
di documenti di indagine, scrive Claudio Del Frate con Paolo Marelli su “Il
Corriere della Sera”. Ed ancora.
Tangentopoli scuote ancora Pavia, scrive Sandro Repossi su “Il Corriere
della Sera”. Mentre il sostituto procuratore Vincenzo Calia invia due avvisi di
garanzia a personaggi "eccellenti" del Policlinico San Matteo come Giorgio
Domenella, primario di traumatologia, e Giovanni Azzaretti, direttore sanitario,
spunta un'altra ipotesi: un magistrato sarebbe coinvolto nell'inchiesta sulle
aste giudiziarie. Caso San Matteo. Ed ancora. Il pm Paolo Toso ha presentato
oggi le richieste di pena per i 15 imputati del processo sulle aste giudiziarie
immobiliari di Torino e provincia: in totale 62 anni di condanna.
Aste immobiliari, il business dal lato
oscuro. L'incanto di case e immobili, in arrivo da fallimenti di privati e
imprese è, complice la crisi, un settore in crescita esponenziale. Ma anche uno
dei più grandi coni d'ombra del sistema giudiziario, scrive Luciana
Grosso su “L’Espresso”. Se avete qualche soldo da riciclare, le aste
immobiliari sembrano essere fatte apposta. E sono tante: circa 50mila all'anno,
per un valore complessivo incalcolabile e, soprattutto, incalcolato.
Corruzione e falso, arrestati giudice e
cancelliere a Latina, scrive “la Repubblica”. Corruzione in atti
giudiziari, concussione, turbativa d'asta, falso. Sono alcune delle accuse
contestate a otto persone ai quali la squadra mobile di Latina ha notificato
ordinanze di custodia cautelare emesse dai giudici di Perugia e di Latina. Tra
gli arrestati, quattro in regime di detenzione in carcere e altrettanti ai
domiciliari, anche un magistrato e un cancelliere in servizio presso il
tribunale del capoluogo, alcuni professionisti e un sottufficiale della Guardia
di Finanza. Al giudice andava una percentuale dei compensi che, in sede di
giudizio, lo stesso giudice riconosceva ai consulenti. Le indagini avrebbero
accertato come i consulenti nominati dal giudice nelle singole procedure
concorsuali, abitualmente corrispondevano a quest'ultimo una percentuale dei
compensi a loro liquidati dal giudice stesso. Il filone di indagine ha permesso
anche di svelare altri illeciti sullo svolgimento delle aste disposte dal
Tribunale di Latina per la vendita di beni oggetto di liquidazione. Tutto questo
non basta ad avere sfiducia nella Magistratura?
Ogni segnalazione conteneva una
denuncia presentata, che si è conclusa con esito negativo. Sono stato sentito
dagli organi inquirenti, territorialmente toccati dagli scandali, per rendere
conto del mio dossier. Gli ho spiegato che sono uno scrittore e non un Pubblico
Ministero con potere d’indagine, con l’inchiesta giudiziaria bell’e fatta, né
sono una parte con le prove specifiche allegate alla singola denuncia rimasta
lettera morta. Val bene che una denuncia può non essere sostenuta da prove, o
che al massino vale un indizio. Ma decine di casi a supporto di un’accusa,
valgono decine di indizi che formano una prova. Se si ha fede si crede a ciò che
non si vede; se non si ha fede (voglia di procedere da parte di PM o suoi
delegati), una montagna di prove non basta! Anche il giornalista di Telejato,
Pino Maniaci, a Palermo non veniva creduto quando parlava di strane
amministrazioni giudiziarie sui beni sequestrati e confiscati a presunti
mafiosi, che poi le sentenze non li ritenevano mafiosi. Però, successivamente,
l’insistenza e lo scandalo ha costretto gli inquirenti a procedere contro i loro
colleghi magistrati, che poi sono i dominus dei procedimenti giudiziari, anche
tramite i collaboratori che loro nominano. Comunque di scandali se ne parla e se
ne è parlato. Quasi tutti i Tribunali sono stati toccati da scandali od
inchieste giudiziarie. Quei pochi luoghi rimasti immuni sono forse Fori unti dal
Signore...».
Spieghi, lei, allora, come si truccato le
aste giudiziarie e i procedimenti connessi…
«LA NOMINA DEI COLLABORATORI DA PARTE DEL
GIUDICE TITOLARE.
I custodi
giudiziari spesso si spacciano anche per amministratori giudiziari, per poter
pretendere con l’avvallo dei magistrati compensi raddoppiati e non dovuti.
Essendo i consulenti tecnici, i periti, gli interpreti ed i
custodi/amministratori giudiziari i principali ausiliari dei magistrati, come a
questi ci si pretende di porre in loro una fiducia incondizionata. Spesso, però
ci si accorge che tale fiducia è mal riposta, sia nei collaboratori, che nei
magistrati stessi.
La nomina del
curatore esecutivo o del commissario concorsuale o amministratore dei beni
mafiosi sequestrati o confiscati si dice che avviene per rotazione. Vero!
Bisogna però verificare la quantità degli incarichi e, ancor di più, la qualità.
Un incarico del valore di 10 mila euro è diverso da quello di 10 milioni di
euro. All’amico si affida l’incarico di valore maggiore con liquidazione
consistente del compenso! Di
quest’aspetto ne parla la “Stampa”. Giuseppe Marabotto era scampato a un primo
processo per un serio reato (aveva rivelato a un indagato che il suo telefono
era sotto controllo). Chiacchierato da molti anni e divenuto procuratore di
Pinerolo, ha costruito in una tranquilla periferia giudiziaria un regno
personale e il malaffare perfetto per chi, come lui, si sentiva impunito stando
dalla parte della legge: 11 milioni di euro sottratti allo Stato sotto forma di
consulenze fiscali seriali ed inutili ai fini di azioni giudiziarie. Secondo
quanto scrivono Il Messaggero e Il Fatto Quotidiano la procura di Perugia sta
indagando sulla gestione delle procedure fallimentari del Tribunale di Roma.
Ovvero di come il Tribunale assegna i vari casi di crisi aziendali ai curatori
fallimentari, avvocati o commercialisti, che in base al valore della pratica che
gestiscono vengono pagati cifre in alcuni casi molto alte. L’ipotesi al vaglio
degli inquirenti è che a “guidare” queste assegnazioni ci sia un sistema
clientelare o corruttivo.
L’AFFIDAMENTO E LA GESTIONE DEI BENI
CONFISCATI/SEQUESTRATI AI PRESUNTI MAFIOSI.
I beni dei presunti mafiosi confiscato o sequestrati preventivamente sono
affidati e gestiti da associazione di regime (di sinistra) che spesso
illegittimamente sono punto di riferimento delle prefetture, pur non essendo
iscritte nell’apposito registro provinciale, e comunque sempre destinatari di
fondi pubblici per la loro gestione, perchè vincitori di programmi o progetti
allestiti dalla loro parte politica.
LA DURATA DEL MANDATO.
Un mandato collusivo e senza controllo porta ad essere duraturo e senza
soluzione di continuità. Quel mandato diventa oneroso per i beni e ne
costituiscono la loro naturale svalutazione.
Trattiamo della nomina e della remunerazione dei custodi/amministratori
giudiziari. In questo caso trattasi di custodia dei beni sequestrati in
procedimenti per usura. Il custode ha pensato bene di chiedere il conto alle
parti processande, ben prima dell’inizio del processo di I grado ed in solido a
tutti i chiamati in causa in improponibili connessioni nel reato, sia oggettive
che soggettive. Chiamati a pagare erano anche a coloro a cui nulla era stato
sequestrato e che poi, bontà loro, la loro posizione era stata stralciata.
Questo custode ha pensato bene di chiedere ed ottenere, con l’avallo del Giudice
dell’Udienza Preliminare di Taranto, ben 72.000,00 euro (settantaduemila) per
l’attività, a suo dire, di custode/amministratore. Sostanzialmente il GUP,
per pervenire artatamente all’applicazione delle tariffe professionali dei
commercialisti, in modo da maggiorare il compenso del custode, ha ritenuto che
la qualifica spettante al suo ausiliario non fosse di custode i beni sequestrati
(art. 321 cpp, primo comma), ma quella di amministratore di beni sequestrati
(art. 321 cpp, secondo comma, in relazione all’art. 12 sexies comma 4 bis del BL
306/1992 che applica gli artt. 2 quater e da 2 sezies a 2 duodecies L.
575/1965). Il presidente Antonio Morelli ha riconosciuto, invece, liquidandola
in decreto, solo la somma di euro 30.000,00 (trentamila). A parte il fatto che
non tutti possono permettersi di opporsi ad un decreto di liquidazione del GUP,
è inconcepibile l’enorme differenza tra il liquidato dal GUP e quanto
effettivamente riconosciuto dal Presidente del Tribunale di Taranto.
Anche “Il Giornale” ha trattato la questione. Parcelle gonfiate, indagato
consulente del Pm. Avrebbe ritoccato note spese liquidate dalla Procura: è stato
nominato in 144 procedimenti. Con le accuse di truffa ai danni dello Stato e
frode fiscale, il pm Luigi Orsi ha messo sotto inchiesta il commercialista M.G.,
più volte nominato consulente tecnico del pubblico ministero e dell'ufficio del
giudice civile e anche amministratore giudiziario di beni sequestrati. E poi c’è
l’inchiesta de “Il Messaggero”. Tribunale fallimentare, incarichi d'oro.
Inchiesta sui compensi da capogiro. In tribunale, avvocati e cancellieri ne
parlano con circospezione. E lo raccontano come se fosse un bubbone che prima o
poi doveva scoppiare, perché gli interessi economici in ballo sono davvero
altissimi e gli esclusi dalla grande torta cominciavano a dare segni di
insofferenza da tempo.
LA VALUTAZIONE DEI BENI.
La valutazione dei beni da vendere all’asta pubblica è fatta in ribasso, anche
in forza di attestazioni false dello stato dei luoghi. Per esempio: si prende
una visura catastale in cui il terreno risulta incolto/pascolo, ma in effetti è
coltivato ad uliveto o vigneto. Oppure si valuta come catapecchia una casa ben
manutenuta e rinnovata. Esemplare è il
fallimento della Federconsorzi. Caposaldo dello scandalo, la liquidazione di un
ente che possedeva beni immobili e mobili valutabili oltre quattordicimila
miliardi di lire per ripagare debiti di duemila miliardi. L’enormità della
differenza avrebbe costituito la ragione di due processi, uno aperto a Perugia
uno a Roma. La singolarità dello scandalo è costituita dall’assoluto silenzio
della grande stampa, che ha ignorato entrambi i processi, favorendo,
palesemente, chi ne disponeva l’insabbiamento.
LE FUGHE DI NOTIZIE.
Le fughe di notizie sulla situazione dei beni, le notizie sulla pericolosità o
meno dei loro proprietari, o gli avvisi sulle offerte sono cose risapute.
LA MANCATA VENDITA.
Spesso ci sono dei personaggi, con i fascicoli dei procedimenti in mano, che in
cambio di tangenti promettono la sospensione della vendita. Altre volte i
proprietari mettono in essere comportamenti intimidatori nei confronti dei
possibili acquirenti, tanto da inibirne l’acquisto.
LA VENDITA VIZIATA.
La vendita del bene all’asta può essere viziata, impedendo ai possibili
acquirenti di parteciparvi. Per esempio si indica una data di vendita sbagliata
(anche da parte degli avvocati nei confronti dei propri clienti esecutati), o il
luogo di vendita sbagliato (un paese per un altro).
L’AQUISTO DI FAVORE.
L’acquisto dei beni è spesso effettuato tramite prestanomi al posto di chi non è
legittimato all’acquisto (come per esempio il proprietario esecutato), e spesso
effettuato per riciclaggio o auto riciclaggio.
IL PREZZO VILE (VALORE TROPPO BASSO
RISPETTO AL MERCATO). Il filo conduttore che lega tutte le aste truccate è
la riconducibilità al prezzo vile: ossia il quasi regalare il bene da vendere
all’asta, frutto di sacrifici da parte degli esecutati, rispetto al valore di
mercato, affinchè si liquidi il compenso dei collaboratori del giudice, e, se ne
rimane, il resto al creditore».
Cosa si può fare contro il prezzo vile?
«Contro
il prezzo vile, se si vuole si può intervenire.
Casa all'asta: addio
aggiudicazione se il prezzo è troppo basso. Importante ordinanza del Tribunale
di Tempio sulla revoca dell'aggiudicazione di un immobile all'asta, scrive la
dott.ssa Floriana Baldino il 10 febbraio 2018 su “Studio Castaldi” - Dal
tribunale di Tempio, con la firma del giudice Alessandro Di Giacomo, arriva
un'importante decisione. Il giudice, a seguito del deposito di un ricorso
urgente, ha revocato l'aggiudicazione dell'immobile all'asta, considerando la
circostanza che l'immobile era stato venduto ad un prezzo troppo basso rispetto
al valore che lo stesso aveva sul mercato. Il giudice, infatti, deve sempre
valutare l'adeguatezza del prezzo di vendita rispetto a quello di mercato onde
evitare "l'eccesso di ribasso", che sicuramente non va a vantaggio né del
creditore né del debitore. L'unico a trarne vantaggio sarebbe soltanto colui che
all'asta acquista l'immobile ad un prezzo irrisorio. Il giudice Di Giacomo,
accogliendo dunque la tesi dell'avvocato difensore, ha revocato l'aggiudicazione
dell'asta in base ai principi stabiliti dalla legge n. 203 del 1991. Tale legge
parla impropriamente di "sospensione" ma, in verità, attribuisce al G.E. – fino
all'emissione del decreto di trasferimento – un vero e proprio potere di
revocare l'aggiudicazione dell'immobile a prezzo iniquo. Il potere di revocare
l'aggiudicazione, prima spettava solo al giudice delegato ex art. 108
della legge fallimentare, ma la riforma ha attribuito questo potere al giudice
dell'esecuzione, allo scopo di "restituire il processo esecutivo alla fase
dell'incanto che andrà rifissato con diverse modalità, affinchè la gara tra gli
offerenti si svolga per l'aggiudicazione del bene al prezzo giusto".
La sospensione della vendita. Già prima
dell'approvazione del decreto del 2016, molti giudici, di diversi tribunali,
avvalendosi della possibilità riconosciuta loro ex art. 586 c.p.c., in seguito
alle modifiche apportate dalla legge n. 203/91 di conversione del D.lg. n.
152/91, sospendevano la vendita quando il prezzo era notevolmente inferiore a
quello "giusto". Quel decreto, urgente, era stato pensato per la lotta alla
criminalità organizzata delle vendite pilotate, ovvero negli anni in cui si
assisteva ad una serie di incanti deserti al fine di conseguire, attraverso
successivi ribassi, un prezzo di aggiudicazione irrisorio. Questa legge, pensata
e studiata per la lotta alla criminalità organizzata, è stata poi applicata in
diversi tribunali e per tutte le procedure che non avevano più alcuna utilità.
Ogniqualvolta i giudici ritenevano che gli interessi economici del debitore e
del creditore venissero frustrati dal prezzo troppo basso di aggiudicazione
dell'immobile, potevano, a discrezione, "sospendere la vendita". Così, ad es.,
il tribunale di Roma, sez. distaccata di Ostia, con ordinanza del 9 Maggio 2013
che ha sospeso per un anno l'esecuzione immobiliare dopo cinque tentativi di
asta. Nella fattispecie, il prezzo del bene si era talmente ridotto rispetto
alla stima del perito che il giudice ha ritenuto che la sospensione di un anno
della procedura, potesse essere un congruo termine per tentare
la vendita dell'immobile ad un prezzo diverso, e magari più adeguato. Al
Tribunale di Napoli invece un giudice è andato oltre restituendo il bene al
debitore (ord. del 23.01.2014.), facendo riferimento a due principi importanti.
Il primo, della ragionevole durata del processo, ed il secondo, principio
cardine a cui il giudice napoletano ha fatto riferimento, quello secondo cui,
procedere con l'esecuzione, non era più fruttuoso né per il debitore né per il
creditore, sempre per il c.d. "giusto prezzo". Successivamente anche il
Tribunale di Belluno si è espresso in tal senso con ordinanza del 3.06.2013.
La necessaria utilità del processo esecutivo.
Il processo esecutivo deve avere una sua utilità. Soddisfare il creditore e
liberare il debitore dai suoi debiti. Il periodo storico in cui ci troviamo non
è sicuramente dei migliori ed il mercato immobiliare è sicuramente molto
penalizzato. Si assiste sempre a situazioni in cui alle aste non vi è alcuna
proposta di acquisto, almeno fino a quando il prezzo dell'immobile rimane alto.
Poi il bene viene venduto ad un prezzo veramente irrisorio ed il creditore non
viene soddisfatto dal prezzo ricavato dalla vendita, mentre il debitore si
ritrova senza immobile (in molti casi proprio la prima abitazione) e con ancora
i debiti da saldare. Molte norme sono intervenute in aiuto degli imprenditori in
crisi ed ora tutto sta nelle mani dei giudici dei tribunali, che possono
applicare le norme in una maniera più elastica e meno rigida.
La giurisprudenza. Importante, in materia di
esecuzione, è la sentenza n. 692/2012 della Cassazione. Occupandosi di
esecuzione in materia fiscale, la S.C. ha ribadito che: "Nell'esecuzione
esattoriale il potere del giudice di valutare l'adeguatezza del prezzo di
trasferimento non solo non subisce alcuna eccezione rispetto l'esecuzione
ordinaria ma deve essere esercitato con particolare oculatezza, sì da valutare
se, nel singolo caso, sia più dannoso per lo Stato creditore il protrarsi dei
tempi di riscossione o la perdita della possibilità di realizzare gran parte del
proprio credito, a causa della sottovalutazione del bene pignorato". Una massima
enunciata prima della approvazione del "decreto del fare", ovvero quando ancora
Equitalia poteva pignorare e vendere all'asta gli immobili dei contribuenti. La
massima enunciata dalla Cassazione in materia tributaria, si adegua, ed
uniforma, a quello da sempre sottolineato nel procedimento civile.
Il processo esecutivo deve mantenere la sua
utilità. La Cassazione specifica inoltre che il concetto di prezzo giusto, non
richiede necessariamente una valutazione corrispondente al valore di mercato, ma
occorre aver riguardo alle modalità con cui si è pervenuti
all'aggiudicazione, al fine di accertare se tali modalità (pubblicità ed altro),
siano stati tali da sollecitare l'interesse dell'acquisto. Insomma, sempre più
numerose le sentenze a favore del consumatore indebitato che vede svendere i
propri beni senza ottenere, per di più, dalla vendita la soddisfazione dei
creditori».
Come
bloccare un'Asta?
«Se
la tua casa è all’asta esistono diversi metodi per sospendere o bloccare
definitivamente il pignoramento a seconda delle situazioni. L’importante è che
le aste vadano deserte, scrive lo Studio Chianetta il 22 maggio 2017. Molto
spesso – specie quando si ha a che fare con la legge – si prende cognizione dei
problemi quando il danno è spesso irrimediabile. Succede a chi ha la casa
pignorata che, dopo aver ignorato gli svariati avvisi del creditore e aver
sottovalutato le carte ricevute dal tribunale, si chiede come bloccare un’asta.
In verità, anche per chi è soggetto a un’esecuzione forzata immobiliare,
esistono alcune scappatoie, pienamente legali, ma da prendere con le dovute
cautele. Infatti, se è vero che esse consentono di sbarazzarsi del pignoramento
dall’oggi al domani, dall’altro lato non vengono accordate dal giudice con
facilità e automatismo. Del resto, come tutte le norme, anche quelle che
consentono di bloccare un’asta immobiliare sono soggette a interpretazione e,
peraltro, come vedremo, lasciano un campo di azione abbastanza ampio alla
valutazione del giudice. Ma procediamo con ordine. Il problema della casa
all’asta resta il cruccio principale per molti debitori che subiscono il
pignoramento. Impropriamente si crede peraltro che la «prima casa» non sia
pignorabile, cosa non vera per due ordini di motivi: innanzitutto il limite vale
solo nei confronti dell’agente della riscossione (Equitalia o, dal 1° luglio
2017, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione); in secondo luogo perché a non essere
pignorabile non è la «prima casa» ma solo l’unico immobile di proprietà del
debitore (per cui, se questi ha due case, ad essere pignorabili sono entrambe e
non solo la seconda). A dirla tutta, quando si tratta di creditori privati (la
banca, un fornitore o la controparte che ha vinto una causa) il pignoramento
immobiliare può essere avviato anche per debiti di scarso valore (invece, per i
debiti con il fisco il pignoramento è possibile solo superati 120mila euro).
Prima di capire come bloccare la casa all’asta sono necessarie due importanti
precisazioni. La prima cosa da sapere è che, di norma, prima di procedere al
pignoramento (e, quindi, all’asta), il creditore iscrive
un’ipoteca sull’immobile. Per quanto ciò non sia vincolante (lo è solo nel caso
in cui ad agire sia l’Agente della riscossione), avviene quasi sempre perché
attribuisce un diritto di prelazione sul ricavato: in altre parole, il creditore
con l’ipoteca si primo grado si soddisfa prima degli altri. La seconda
indispensabile precisazione è che, per bloccare la casa all’asta si può
contestare le ragioni del creditore solo se questi agisce in forza di un assegno
o di un contratto di mutuo. Viceversa, se il creditore agisce in forza di una
sentenza di condanna, il debitore non può più metterla in discussione (avendo
avuto il termine per fare appello o ricorso per cassazione). Quindi, se il
giudice ha fissato il nuovo esperimento d’asta e il creditore agisce perché ha
ottenuto un decreto ingiuntivo (ad esempio, la banca per interessi non
corrisposti) non è più possibile sollevare eccezioni sul merito del credito (ad
esempio sull’anatocismo)».
Ma
allora quando si può bloccare la casa all’asta?
«Le
ragioni sono essenzialmente legate all’utilità della procedura. Ci spieghiamo
meglio, scrive lo Studio Chianetta il 22 maggio 2017. Lo scopo del pignoramento
– e quindi delle aste – è quello di liquidare i beni del debitore e, con il
ricavato, soddisfare il creditore procedente. Una procedura che realizza
l’interesse di entrambe le parti: quello del creditore – perché così ottiene i
soldi che gli spettano – e quello del proprietario della casa – perché in tal
modo si libera del debito. Quando però queste due finalità non possono essere
realizzate, allora non c’è ragione di tenere in vita la procedura. Si pensi al
caso di un’asta battuta a un prezzo ormai così basso da non consentire al
creditore di recuperare neanche la metà delle somme per le quali agisce, al
netto delle spese legali già sostenute. Nello stesso tempo, l’eventuale vendita
– eseguita magari a favore di chi, furbescamente, ha atteso diverse aste prima
di proporre un’offerta, in modo da far calare il prezzo – non consente al
debitore di liberarsi della morosità, peraltro espropriandolo di un bene per lui
vitale. Risultato: insoddisfatto il creditore, insoddisfatto il debitore.
Consapevole di ciò il legislatore ha, di recente, emanato due norme che, sebbene
possano apparire indipendenti tra loro, se applicate l’una con l’altra possono
favorire la rapida conclusione del pignoramento.
COME BLOCCARE L’ASTA. Qualora non si presenti
alcun offerente alle aste promosse dal tribunale, il giudice può disporre un
ribasso del prezzo di vendita del 25% (ossia di un quarto). Molto spesso, però,
nonostante i ribassi e il calo drastico del prezzo rispetto alla stima fatta
all’inizio del pignoramento dal consulente del tribunale (il cosiddetto «Ctu»,
ossia il consulente tecnico d’ufficio), non si presenta alcun offerente. Con la
conseguenza che il prezzo d’asta scende sempre di più fino al punto da non
soddisfare le pretese dei creditori. Così il codice di procedura stabilisce che
«quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole
soddisfacimento delle pretese dei creditori – anche tenuto conto dei costi
necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione
del bene e del presumibile valore di realizzo – è disposta la chiusura
anticipata del processo esecutivo». In pratica, tutte le volte che la casa,
sottoposta a pignoramento immobiliare, non trova potenziali acquirenti e la base
d’asta, a furia di ribassi, arriva a un prezzo che non è in grado di garantire
un ragionevole soddisfacimento dei creditori il giudice decreta la fine
anticipata del processo esecutivo. Si tratta di una estinzione anticipata del
pignoramento che non consente allo stesso di risorgere in un secondo momento.
Questo significa che il debitore torna nella piena disponibilità della propria
casa prima pignorata e non dovrà subire alcuna asta. Ma quando è possibile
raggiungere questo risultato? Quante aste bisogna aspettare? In teoria molte. E
proprio per questo è intervenuta la seconda parte della riforma di cui abbiamo
accennato in partenza. La seconda norma in evidenza è contenuta nel cosiddetto
«decreto banche» dell’inizio 2016. In base all’ultima riforma del processo
esecutivo, quando il terzo esperimento d’asta va deserto e il bene pignorato non
viene aggiudicato, il giudice dispone un quarto tentativo di asta e, per rendere
più allettante la partecipazione degli offerenti, può decurtare fino a metà il
prezzo di vendita. Con l’ovvia conseguenza che, andata deserta anche la quarta
asta, il prezzo di vendita sarà sceso così tanto da consentire il verificarsi di
quella condizione – prima descritta – che consente l’estinzione anticipata del
pignoramento: ossia l’impossibilità di conseguire un ragionevole soddisfacimento
delle pretese dei creditori. Ecco così che già dopo la quarta o la quinta asta,
al più dopo la sesta, è possibile bloccare le aste successive e chiudere una
buona volta il pignoramento. Del resto scopo del pignoramento è quello di
soddisfare il creditore e non infliggere al debitore una sanzione esemplare.
Tanto è vero che una recente ordinanza del Tribunale di Tempio ha stabilito che:
«Neppure le esigenze di celerità cui tale particolare procedura è improntata (si
riferisce all’ esecuzione esattoriale), in forza delle quali l’espropriazione
anche per prezzo vile trova la sua ragion d’essere nel preminente interesse
dello Stato procedente, possono giustificare che il trasferimento degli immobili
pignorati prescinda da un qualsiasi collegamento con il valore dei beni e che
tale valore possa essere anche irrisorio, atteso che l’espropriazione ha la
finalità di trasformare il bene in denaro per il soddisfacimento dei creditori e
non certo di infliggere una sanzione atipica al debitore inadempiente». Secondo
il giudice quindi è anche possibile sospendere la vendita se il prezzo è troppo
basso. Il che è previsto dal codice di procedura civile che prevede la
possibilità di sospendere il pignoramento anche una volta intervenuta la
vendita: «Avvenuto il versamento del prezzo, il giudice dell’esecuzione può
sospendere la vendita quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente
inferiore a quello giusto».
LA SOSPENSIONE DELL’ESECUZIONE FORZATA SULLA
CASA. C’è poi la possibilità di chiedere la sospensione del pignoramento quando
il giudice ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello
giusto e di mercato. La misura è nell’interesse sia del debitore (che ha
interesse a che la casa si venda al prezzo reale, per poter chiudere la partita
col creditore), sia del creditore stesso (che intende recuperare quanto più
possibile delle somme che gli spettano). Si tratta di un potere riservato al
vaglio discrezionale del tribunale (ma che, ovviamente può essere sollecitato
dagli avvocati delle parti) che comporta il differimento dell’asta pubblica “a
data da destinarsi” (ossia a quando il mercato sarà più “maturo”). Sempre che,
nelle more, non intervengano altri eventi modificativi del processo come, per
esempio, il disinteresse del creditore, una trattativa tra le parti che porti a
una transazione con sostanziale decurtazione del debito, ecc.
NEL CASO DI FALLIMENTO. Anche se la vendita
avviene per via di un fallimento, le cose non cambiano. Difatti, la legge
fallimentare prevede, nel caso in cui oggetto della vendita forzata sia un bene
appartenente a un imprenditore fallito, che «il giudice delegato, su istanza del
fallito, del comitato dei creditori o di altri interessati, previo parere dello
stesso comitato dei creditori, può sospendere, con decreto motivato, le
operazioni di vendita, qualora ricorrano gravi e giustificati motivi ovvero, su
istanza presentata dagli stessi soggetti». In passato il tribunale di Lanciano,
nell’ambito di pignoramento immobiliare conseguente a un fallimento ha preso
atto del notevole squilibrio tra il prezzo di base d’asta dell’immobile e
quello di mercato (per come attestato dalla perizia del Consulente tecnico
d’ufficio) e, sulla scorta di ciò, ha sospeso la vendita della casa pignorata».
I magistrati favoriscono la mafia,
scrive Barbara Di il 12 novembre 2017 su "Il Giornale".
(Quando diventano magistrati con un concorso truccato, spodestando i meritevoli,
e per gli effetti sentendosi dio in terra, al di sopra della legge e della
morale, ndr).
Quando lasciano indifesi i cittadini davanti ai soprusi.
Quando costringono un cittadino ad un processo eterno per vedersi dichiarare di
aver ragione.
Quando non si studiano le carte di un processo e danno torto a chi ha ragione.
Quando per ignoranza applicano una legge nel modo sbagliato.
Quando ritardano anni una sentenza.
Quando un creditore con una sentenza esecutiva ci mette altri anni per avere una
minima parte dei soldi spettanti.
Quando un creditore è costretto ad accettare pochi soldi, maledetti e subito per
evitare un lungo e costoso processo.
Quando un proprietario di una casa occupata non riesce a riottenerla.
Quando non cacciano chi occupa abusivamente una casa popolare e chi ne avrebbe
diritto dorme per strada.
Quando nei tribunali amministrativi devi attendere anni per vedere annullare
provvedimenti assurdi della burocrazia o avere un’inutile autorizzazione
ingiustamente negata.
Quando un cittadino è costretto a oliare la burocrazia con favori e bustarelle
per non attendere anni quell’inutile autorizzazione o per non subire gli assurdi
provvedimenti della burocrazia.
Quando un datore di lavoro si vede annullare il licenziamento di un ladro
sindacalizzato.
Quando un lavoratore è costretto ad accettare una conciliazione e una buonuscita
ridicola perché non ha soldi per un processo eterno.
Quando un cittadino vede impunito il ladro che lo ha derubato.
Quando lasciano impuniti i delinquenti perché non sono cittadini.
Quando incriminano i cittadini che tentano di difendersi da soli.
Quando danno pene ridicole e mai scontate a rapinatori e violentatori.
Quando danno pene esemplari solo ai violentatori che finiscono sui giornali.
Quando lasciano impuniti violenti devastatori che mettono a ferro e fuoco una
città per ideologia.
Quando non indagano sui reati che non finiscono sui giornali.
Quando indagano sui reati solo per finire sui giornali.
Quando si inventano i reati per finire sui giornali.
Quando le assoluzioni per reati mediatici sono relegate in un trafiletto sui
giornali.
Quando si inventano condanne assurde per reati mediatici che finiscono
puntualmente riformate in appello.
Quando indagano sui politici per ideologia.
Quando arrestano i politici per ideologia e poi li assolvono a elezioni passate.
Quando fanno cadere i governi per impedire la riforma della giustizia.
Quando fanno carriera solo per ideologia o per i processi mediatici che si sono
inventati.
Quando impediscono ai bravi magistrati di far carriera perché non appartengono
alla corrente giusta o lavorano lontani dalle luci dei riflettori.
Quando non indagano sui colleghi che delinquono.
Quando non puniscono i colleghi per i loro clamorosi errori giudiziari.
Quando non applicano provvedimenti disciplinari ai colleghi che meriterebbero di
essere cacciati.
Quando archiviano casi di scomparsa e li riaprono per trovare un cadavere in
giardino solo dopo un servizio in televisione.
Quando invocano l’obbligatorietà dell’azione penale solo per i reati mediatici e
politici anche se sono privi di riscontro.
Quando si dimenticano dell’obbligatorietà dell’azione penale quando i reati sono
comuni e colpiscono i cittadini.
Quando si ricordano che un mafioso è mafioso solo quando dà una testata di
stampo mafioso.
Quando un cittadino per avere ciò che gli spetta finisce per rivolgersi agli
scagnozzi di un boss mafioso.
Quando gli unici territori dove i cittadini non subiscono furti, violenze e
soprusi sono quelli controllati dalla mafia.
Quando i cittadini sono costretti a pagare il pizzo ai mafiosi per essere
protetti.
Quando non fanno l’unica cosa che dovrebbero fare: dare giustizia per proteggere
loro i cittadini.
Quando per colpa dei loro errori ed orrori in Italia ormai siamo tornati alla
legge del più forte.
Quando i magistrati non fanno il loro mestiere, la mafia vince perché è il più
forte.
A proposito di
interdittive prefettizie.
Proviamo a spiegarci. Le interdittive
funzionano così: sono discrezionali. Decide il prefetto. Non c’è bisogno di una
condanna penale, addirittura – nel caso ad esempio, del quale stiamo parlando –
nemmeno di un avviso di garanzia o di una ipotesi di reato. Il reato non c’è,
però a me tu non mi convinci. Punto e basta. Inoltre l’antimafia preventiva
diventata definitiva.
Infine, l’età
adulta dell’informativa antimafia?
Limiti e caratteri dell’istituto secondo una ricostruzione costituzionalmente
orientata, scrive Fulvio Ingaglio La Vecchia. Consiglio di Giustizia
Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, sentenze 29
luglio 2016, n. 247 e 3 agosto 2016, n. 257.
Interdittive
antimafia, una sentenza esemplare,
scrive Maria Giovanna Cogliandro, Domenica 12/11/2017 su "La Riviera on line".
Di recente il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana ha
emesso una sentenza in cui vengono precisate le condizioni necessarie affinché
l'interdittiva antimafia, figlia della cultura del sospetto portata avanti dai
professionisti del rancore, non porti a un regime di polizia che metta a rischio
diritti fondamentali.
In
questa continua corsa alla giustizia penale, figlia del populismo antimafia
fatto di santoni e tromboni che, dai sottoscala di procure e prefetture, con le
stimmate delle loro immacolate esistenze, sono sempre in cerca di un succoso
cattivo da dare in pasto all’opinione pubblica, capita di imbattersi in una
sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, una
sentenza di cui tutti dovrebbero avere una copia da conservare con cura nel
proprio portafoglio, in mezzo ai santini e alla tessera sanitaria. La sentenza
riguarda il ricorso presentato da un gruppo di imprese contro la Prefettura di
Agrigento, l'Autorità nazionale Anticorruzione e il Comune di Agrigento. Le
imprese in questione sono tutte state raggiunte da interdittiva antimafia.
Ricordiamo che l’interdittiva antimafia permette all’amministrazione pubblica di
interrompere qualsiasi rapporto contrattuale con imprese che presentano un
pericolo di infiltrazione mafiosa, anche se non è stato commesso un illecito per
cui titolari o dirigenti siano stati condannati. Per dichiarare l’inaffidabilità
di un’impresa è sufficiente un’inchiesta in corso, una frequentazione sospetta,
un socio “opaco”, una parentela pericolosa che potrebbe condizionarne le scelte,
o anche solo la mera eventualità che l’impresa possa, per via indiretta,
favorire la criminalità. La sentenza in questione rompe clamorosamente con
questa cultura del sospetto portata avanti dai professionisti del rancore.
"Benché un provvedimento interdittivo - argomentano i Giudici - possa basarsi
anche su considerazioni induttive o deduttive diverse dagli “indici presuntivi”,
è tuttavia necessario che le norme che conferiscono estesi poteri di
accertamento ai Prefetti al fine di consentire loro di svolgere indagini
efficaci e a vasto raggio, non vengano equiparate a un’autorizzazione a
tralasciare di compiere indagini fondate su condotte o su elementi di fatto
percepibili poiché, se con le norme in questione il Legislatore ha certamente
esteso il potere prefettizio di accertamento della sussistenza di tentativi di
infiltrazione mafiosa, non ha affatto conferito licenza di basare le
comunicazioni interdittive su semplici sospetti, intuizioni o percezioni
soggettive non assistite da alcuna evidenza indiziaria". Non è quindi permesso
far patire all'azienda un danno di immagine, sulla base di un fumus che non
trovi riscontro nei fatti. In mancanza di condotte che facciano presumere che il
titolare o il dirigente di un'azienda sia in procinto di commettere un reato (o
che stia determinando le condizioni favorevoli per delinquere o per
“favoreggiare” chi lo compia), non è legittimo che questi sia considerato come
"soggetto socialmente pericoloso" e che debba, pertanto, sottostare a "misure di
prevenzione" che vanno a incidere su diritti fondamentali. Per giustificare
l'invio di una interdittiva antimafia, "non è sufficiente - proseguono i Giudici
- affermare che uno o più parenti o amici del soggetto richiedente la
certificazione antimafia risultano mafiosi, o vicini a soggetti mafiosi; o
vicini o affiliati a cosche mafiose e/o a famiglie mafiose". Occorrerà
innanzitutto precisare la ragione per la quale un soggetto viene considerato
mafioso. "La pericolosità sociale di un individuo - dichiarano i Giudici - non
può essere ritenuta una sua inclinazione strutturale, congenita e
genetico-costitutiva (alla stregua di una infermità o patologia che si presenti
- sia consentita l’espressione - "lombrosanamente evidente" o comunque
percepibile mediante indagini strumentali o analisi biologiche), né può essere
presunta o desunta in via automatica ed esclusiva dalla sua posizione
socio-ambientale e/o dal suo bagaglio culturale; né, dunque, dalla mera
appartenenza a un determinato contesto sociale o a una determinata famiglia
(semprecchè, beninteso, i soggetti che ne fanno parte non costituiscano
un’associazione a delinquere)". Nel provvedimento interdittivo vanno, inoltre,
specificate le circostanze di tempo e di luogo in cui imprenditore e soggetto
"mafioso" sono stati notati insieme; le ragioni logico-giuridiche per le quali
si ritiene che si tratti non di mero incontro occasionale (o di incontri
sporadici), ma di “frequentazione effettivamente rilevante", ossia di relazione
periodica, duratura e costante volta a incidere sulle decisioni imprenditoriali.
In poche parole, prendere il caffè con un mafioso o presunto tale non è
sufficiente. Inoltre, emerge dalla sentenza, qualificare un soggetto “mafioso”
sulla scorta di meri sospetti e a prescindere dall’esame concreto della sua
condotta penale e della sua storia giudiziaria comporterebbe un aberrante
meccanismo di estensione a catena della pericolosità "simile a quello su cui si
fondava, in un non recente passato, l’inquisizione medievale che, com’è noto, fu
un meccanismo di distruzione di soggetti ‘scomodi’ e non già di soggetti
‘delinquenti’; mentre il commendevole e imprescindibile scopo che il Legislatore
si pone è quello di depurare la società da incrostazioni e infiltrazioni mafiose
realmente inquinanti". L'interdittiva che inchioda per ipotesi non combatte la
delinquenza e la criminalità ma diviene strumentale per sgomberare il campo da
personaggi scomodi. "D’altro canto - concludono i giudici - se per attribuire a
un soggetto la qualifica di ‘mafioso’ fosse sufficiente il mero sospetto della
sua appartenenza a una famiglia a sua volta ritenuta mafiosa e se anche la
qualifica riferita alla sua famiglia potesse essere attribuita sulla scorta di
sospetti; e se la mera frequentazione di un presunto mafioso (ma tale
considerazione vale anche per l’ipotesi di mera frequentazione di un soggetto
acclaratamente mafioso) potesse determinare il ‘contagio’ della sua (reale o
presunta) pericolosità, si determinerebbe una catena infinita di presunzioni
atte a colpire un numero enorme di soggetti senza alcuna seria valutazione in
ordine alla loro concreta vocazione criminogena. E l’effetto sarebbe
l’instaurazione di un regime di polizia nel quale la compressione dei diritti
dei cittadini finirebbe per dipendere dagli orientamenti culturali e dalle
suggestioni ideologiche (quand’anche non dalle idee politiche) dei funzionari o,
peggio, degli organi dai quali essi dipendono". Amen. Ripeto: questa è una
sentenza da conservare accanto ai santini. E plastificatela, per evitare che si
sgualcisca col tempo.
La strada
dell'inquisizione è lastricata dalla cattiva antimafia.
Una sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana
mette in guardia dagli abissi in cui rischiamo di sprofondare perdendo di vista
i capisaldi dello Stato di diritto, scrive Rocco Todero il 29 Settembre 2017 su
"Il Foglio". Nell’Italia che si è presa il vizio di accusare a sproposito la
giustizia amministrativa di essere la causa della propria arretratezza economica
e sociale capita di leggere una sentenza del Consiglio di Giustizia
Amministrativa per la Regione Siciliana (una sezione del Consiglio di Stato
distaccata a Palermo) che dovrebbe essere mandata giù a memoria da quanti nel
nostro Paese vivono facendo mostra di stellette meritocratiche (più o meno
veritiere) negli uffici delle prefetture, nelle aule dei tribunali, nelle sedi
delle università, nelle redazioni di molti giornali e, in ultimo, anche nelle
aule del Parlamento. Da molti anni, oramai, si combatte in sede giudiziaria una
battaglia sulle modalità di applicazione delle misure di prevenzione, le
cosiddette informative antimafia, per mezzo delle quali l’eccessiva solerzia
inquisitoria degli uffici periferici del Ministero dell’Interno cerca di
realizzare quella che nel linguaggio giuridico si definisce una “tutela
anticipata” del crimine, un’azione cioè volta a contrastare i tentativi di
infiltrazione mafiosa nel tessuto economico - sociale senza che, tuttavia, si
manifestino azioni delittuose vere e proprie da parte dei soggetti interdetti.
Il risultato nel corso degli anni è stato abbastanza sconfortante, poiché decine
di imprese individuali e società commerciali sono state colpite dall’informativa
antimafia e poste, molto spesso, sotto amministrazione prefettizia sulla base di
un semplice sospetto coltivato dalle forze dell’ordine. A molti, troppi, è
capitato, così, di trovarsi sotto interdittiva antimafia (solo per fare alcuni
esempi) a causa di un parente accusato di appartenere ad un’associazione mafiosa
o per colpa di un’indagine penale per 416 bis poi sfociata nel proscioglimento o
nell’assoluzione o perché una società con la quale s’intrattengono rapporti
commerciali è stata a sua volta interdetta per avere stipulato contratti con
altra impresa sospettata di subire infiltrazioni mafiose (si, è proprio cosi, si
chiama informativa a cascata o di secondo o terzo grado: A viene interdetto
perché intrattiene rapporti commerciali con B, il quale non è mafioso, ma
coltiva contatti economici con C, il quale ultimo è sospettato di essere, forse,
soggetto ad infiltrazioni mafiose. A pagarne le conseguenze è il soggetto A,
perché l’infiltrazione mafiosa passerebbe per presunzione giudiziaria da C a B e
da B ad A). Spesso i Tribunali amministrativi competenti a conoscere della
legittimità delle informative antimafia emanate dalle Prefettura sono stati sin
troppo indulgenti con l’Amministrazione pubblica, sacrificando l’effettività
della tutela dei diritti fondamentali dei cittadini sull’altare di una lotta
alle infiltrazioni mafiose che risente oramai troppo della pressione atmosferica
di un clima allarmistico pompato ad arte per ben altri e meno nobili fini
politici. Qualche settimana fa, invece, il Consiglio di Giustizia Amministrativa
siciliano (composto dai magistrati Carlo Deodato, Carlo Modica de Mohac, Nicola
Gaviano, Giuseppe Barone e Giuseppe Verde), dovendo decidere in sede d'appello
dell’ennesima informativa antimafia emessa dalla Prefettura di Agrigento, ha
sostanzialmente scritto un bellissimo e coraggioso saggio di cultura giuridica
liberale, dimostrando che la lotta alla mafia si può ben coltivare
salvaguardando i capisaldi di uno Stato di diritto liberal democratico moderno.
Il Tribunale ha preso atto del fatto che per stroncare sul nascere la diffusione
di alcune condotte criminose non si può fare altro che emettere “giudizi
prognostici elaborati e fondati su valutazioni a contenuto probabilistico” che
colpiscono soggetti in uno stadio “addirittura anteriore a quello del tentato
delitto”. Ma alla pubblica amministrazione, argomentano i Giudici, non è
permesso di scadere nell’arbitrio, cosicché non sarà mai sufficiente un mero
“sospetto” per giustificare la limitazione delle libertà fondamentali
dell’individuo. Si dovranno piuttosto documentare fatti concreti, condotte
accertabili, indizi che dovranno essere allo stesso tempo gravi, precisi e
concordanti. Non potranno mai essere sufficienti, continua il Tribunale, mere
ipotesi e congetture e non potrà mai mancare un “fatto” concreto, materiale, da
potere accertare nella sua esistenza, consistenza e rilevanza ai fini della
verosimiglianza dell’infiltrazione mafiosa. Per potere affermare che l’impresa
di Tizio è sospettata d'infiltrazioni mafiose, allora, non sarà sufficiente
affermare che essa intrattiene rapporti con l’impresa di Caio (non mafiosa) che
a sua volta, però, ha stipulato accordi con Mevio (lui si, sospettato di
collusioni con la mafia), ma sarà necessario dimostrare che una qualche
organizzazione mafiosa (ben individuata attraverso i soggetti che agiscono per
essa, non la “mafia” genericamente intesa) stia tentando, in via diretta,
d’infiltrarsi nell’azienda del primo soggetto. Il legame di parentela con un
mafioso, chiariscono ancora i magistrati, non può avere alcuna rilevanza ai fini
del giudizio sull’informativa antimafia se non si dimostrerà che chi è stato
colpito dal provvedimento interdittivo, lui e non altri, abbia posto in essere
comportamenti che possano destare allarme sociale per il loro potenziale
offensivo dell’interesse pubblico, “non essendo giuridicamente e razionalmente
sostenibile che il mero rapporto di parentela costituisca di per sé,
indipendentemente dalla condotta, un indice sintomatico di pericolosità sociale
ed un elemento prognosticamente rilevante”. La nostra non è l'epoca del
medioevo, conclude il Consiglio di Giustizia Amministrativa, e l'ordinamento
giuridico non può svestire i panni dello Stato di diritto: “Sicché, ove fosse
possibile qualificare “mafioso” un soggetto sulla scorta di meri sospetti ed a
prescindere dall’esame concreto della sua condotta penale e della sua storia
giudiziaria si perverrebbe ad un aberrante meccanismo di estensione a catena
della pericolosità simile a quello su cui si fondava, in un non recente passato,
l’inquisizione medievale (che, com’è noto, fu un meccanismo di distruzione di
soggetti ‘scomodi’ e non già di soggetti ‘delinquenti’; mentre il commendevole
ed imprescindibile scopo che il Legislatore si pone è quello di depurare la
società da incrostazioni ed infiltrazioni mafiose realmente inquinanti). D’altro
canto, se per attribuire ad un soggetto la qualifica di ‘mafioso’ fosse
sufficiente il mero sospetto della sua appartenenza ad una famiglia a sua volta
ritenuta mafiosa e se anche la qualifica riferita alla sua famiglia potesse
essere attribuita sulla scorta di sospetti; e se la mera frequentazione di un
presunto mafioso (ma tale considerazione vale anche per l’ipotesi di mera
frequentazione di un soggetto acclaratamente mafioso) potesse determinare il
‘contagio’ della sua (reale o presunta) pericolosità, si determinerebbe una
catena infinita di presunzioni atte a colpire un numero enorme di soggetti senza
alcuna seria valutazione in ordine alla loro concreta vocazione criminogena. E
l’effetto sarebbe l’instaurazione di un regime di polizia nel quale la
compressione dei diritti dei cittadini finirebbe per dipendere dagli
orientamenti culturali e dalle suggestioni ideologiche (quand’anche non dalle
idee politiche) dei funzionari o, peggio, degli organi dai quali essi
dipendono.” Da mandare giù a memoria. Altro che il nuovo codice antimafia con il
quale fare propaganda manettara a buon mercato.
A proposito di
sequestri preventivi giudiziari.
Finalmente la giurisprudenza ha cominciato a
fare qualche passo in avanti verso la civiltà giuridica. Merita il plauso
l'ordinanza n. 48441 del 10 Ottobre 2017 con la quale la Prima Sezione Penale
della Corte di Cassazione ha riconosciuto il principio secondo il quale, se una
persona viene assolta dall'accusa di associazione mafiosa, per gli stessi fatti
non può essere considerata socialmente pericolosa. Riporto i passaggi più
significativi dell'ordinanza.
"Lì dove le condotte sintomatiche della
pericolosità siano legislativamente caratterizzate [...] in termini per lo più
evocativi di fattispecie penali [...] è evidente che il giudice della misura di
prevenzione (nel preliminare apprezzamento di tali 'fatti') non può evitare di
porsi il problema rappresentato dalla esistenza di una pronunzia giurisdizionale
che proprio su quella condotta [...] ha espresso una pronunzia in termini di
insussistenza o di non attribuibilità del fatto all'individuo di cui si discute.
[...] L'avvenuta esclusione del rilievo penale di una condotta, almeno
tendenzialmente, impedisce di porre quel segmento di vita a base di una
valutazione di pericolosità ed impone il reperimento, in sede di prevenzione, di
ulteriori e diverse forme di conoscenza, capaci - in ipotesi - di realizzare
ugualmente l'effetto di inquadramento nella categoria criminologica. [...] Lì
dove il giudizio penale su un fatto rilevante a fini di inquadramento soggettivo
abbia avuto un esito definitivo, tale aspetto finisce con il ricadere
inevitabilmente nella cd. parte constatativa del giudizio di pericolosità".
Questo principio, soprattutto alla luce dell'insegnamento della sentenza De
Tommaso, dovrebbe rimettere in discussione la legittimità delle confische
disposte nei confronti di persone assolte.
Dove non arrivano con le interdittive
prefettizie, arrivano con i sequestri preventivi.
Interdittive: decine di aziende uccise
dal reato di parentela mafiosa, scrive Simona Musco il 4 Novembre 2017 su
"Il Dubbio". Il fenomeno delle interdittive è nazionale: in cinque anni, dopo la
riorganizzazione del 2011, sono circa 400 le imprese allontanate dai lavori
pubblici. Solo dalla Prefettura di Reggio Calabria, negli ultimi 14 mesi, sono
partite 130 interdittive. Quasi dieci ogni 30 giorni, tutte frutto della
gestione del Prefetto Michele Di Bari, approdato nella città dello Stretto ad
agosto 2016. Un numero enorme che conferma una tendenza crescente, soprattutto
in Calabria, dove in poco più di cinque anni le aziende hanno depositato quasi
500 ricorsi nelle cancellerie dei tribunali amministrativi di Catanzaro e Reggio
Calabria. Ma il fenomeno – i cui dai sono ancora incerti – è nazionale: in
cinque anni, dopo la riorganizzazione della materia nel 2011, sono circa 400 le
imprese allontanate dai lavori pubblici. I numeri non sono ancora chiari, dato
che gli archivi informatici dello Stato non hanno tutti i dati. E così succede
che mentre dai siti dei tribunali amministrativi risulta un numero enorme di
ricorsi (circa 2000 in cinque anni) e annullamenti (tra i 40 e i 90 l’anno), le
cifre fornite dalla Dia, la Direzione investigativa antimafia, parlano di 31
annullamenti dal 2011 fino a maggio 2015. Numeri snelliti dal vuoto di
informazioni dalle Prefetture di Napoli, Reggio Calabria e Vibo Valentia. La
parte più corposa, dunque. La ratio dello strumento è chiara: «contrastare le
forme più subdole di aggressione all’ordine pubblico economico, alla libera
concorrenza ed al buon andamento della pubblica amministrazione», sentenzia il
Consiglio di Stato. Un provvedimento preventivo, che prescinde quindi
dall’accertamento di singole responsabilità penali e anticipa la soglia di
difesa. «Per questo – dice ancora il Consiglio di Stato – deve essere respinta
l’idea che l’informativa debba avere un profilo probatorio di livello
penalistico e debba essere agganciata a eventi concreti ed a responsabilità
addebitabili». Se c’è un sospetto, dunque, la Prefettura ha il potere e il
dovere di tranciare i rapporti tra aziende private e pubblica amministrazione,
attraverso tutta una serie di accertamenti ai quali non si può replicare fino a
quando non diventano di pubblico dominio. Ovvero quando l’azienda colpita viene
esclusa dai bandi pubblici e marchiata come infetta. Un’etichetta che, a volte,
è giustificata da elementi tangibili e concreti, consentendo quindi di sfilare
dalle mani dei clan l’appalto, ma altre decisamente meno. Tant’è che sono
centinaia i ricorsi vinti, di una vittoria che però è solo parziale: sempre più
spesso, infatti, chi si è visto colpire da un’interdittiva, pur vincendo il
proprio ricorso, non riesce più a reinserirsi nel mondo del lavoro. Partiamo dal
modus operandi: la Prefettura punta gran parte della sua decisione sui legami di
parentela e su frequentazioni poco raccomandabili. Nulla o quasi, invece, si
dice su fatti concreti che possano far temere effettivamente un condizionamento
mafioso. Ed è proprio questo che fa crollare i provvedimenti davanti ai giudici
amministrativi, per i quali non basta basarsi su rapporti commerciali e di
parentela, «da soli insufficienti», dice ancora il Consiglio di Stato. Occorrono
perciò, aggiunge, «altri elementi indiziari a dimostrazione del “contagio”». E
«non possono bastare i precedenti penali» riferiti «ad indagini in seguito
archiviate e, in altra parte, a condanne molto risalenti nel tempo», in quanto
servono elementi «concreti e riferiti all’attualità». Un’interpretazione
confermata anche dalla Corte costituzionale, secondo cui è arbitrario «presumere
che valutazioni comportamenti riferibili alla famiglia di appartenenza o a
singoli membri della stessa diversi dall’interessato debbano essere
automaticamente trasferiti all’interessato medesimo». Ma è proprio questo il
meccanismo che genera un circolo vizioso capace di far risucchiare una parte
rilevante dell’economia dal vortice del sospetto. E le conseguenze non sono solo
per le ditte: le interdittive, infatti, colpiscono aziende impegnate in appalti
pubblici che così rimangono bloccati, cantieri aperti che si richiuderanno
magari dopo anni. Dell’ambiguità dello strumento, lo scorso anno, aveva parlato
il senatore Pd e membro della Commissione parlamentare antimafia Stefano
Esposito, che al convegno “Warning on crime” all’Università di Torino aveva
dichiarato che «lo strumento non funziona e nel 60% dei casi le interdittive
vengono respinte» dai giudici amministrativi. Chiedendo dunque una riforma, che
anche Rosy Bindi, poco prima, aveva annunciato, nel 2015. «Le interdittive
antimafia sono uno strumento statico, mentre la lotta alla mafia ha bisogno di
film», ha spiegato. Un film che nel nuovo codice antimafia coincide col
controllo giudiziario delle aziende sospette, i cui risultati sono ancora tutti
da vedere.
Che affare certe volte l’antimafia!
Scrive Piero Sansonetti il 3 Novembre 2017 su "Il Dubbio". I “paradossi”
calabresi. Questa storia calabrese è molto istruttiva. La racconta nei dettagli,
nell’articolo qui sopra, Simona Musco. La sintesi estrema è questa: un
imprenditore incensurato, e senza neppure un grammo di carichi pendenti (che
oltretutto è presidente di Confindustria), vince un appalto per costruire i
parcheggi del palazzo di Giustizia a Reggio. Un lavoro grosso: più di 15
milioni. Al secondo posto, in graduatoria, una azienda amministrata da un
deputato di Scelta Civica. L’azienda del deputato protesta per aver perso la
gara e ricorre al Tar. Il Tar dà ragione all’imprenditore e torto all’azienda
del deputato. Poi, all’improvviso, non si sa come, la Prefettura fa scattare
l’interdittiva e cioè, per motivi cautelari, toglie l’appalto all’imprenditore e
lo assegna all’azienda del deputato che aveva perso la gara. Come è possibile?
Proviamo a spiegarci. Le interdittive funzionano così: sono discrezionali.
Decide il prefetto. Non c’è bisogno di una condanna penale, addirittura – nel
caso ad esempio, del quale stiamo parlando – nemmeno di un avviso di garanzia o
di una ipotesi di reato. Il reato non c’è, però a me tu non mi convinci. Punto e
basta. E allora io quell’appalto di 16 milioni di euro te lo levo e lo porgo
all’azienda di un deputato. Il deputato in questione, peraltro, fa parte della
commissione antimafia. E lo Stato di diritto? E la libera concorrenza? E
l’articolo 3 del- la Costituzione? Beh, mettetevi il cuore in pace: esiste una
parte del territorio nazionale, e in modo particolarissimo la Calabria, nel
quale lo Stato di diritto non esiste, non esiste la libera concorrenza e
l’Articolo 3 della Costituzione (quello che dice che tutti sono uguali davanti
alla legge) non ha effetti. La ragione di questo Far West, in gran parte, è
spiegabile con la presenza della mafia, che la fa da padrona, fuori da ogni
regola. Ma anche lo Stato, che la fa da padrone, altrettanto al di fuori da ogni
regola, e da ogni senso di giustizia, e mostrando sempre il suo volto
prepotente, come questa storia racconta. Lo Stato, con la mafia, è responsabile
del Far West. Allora il problema è molto semplice. È assolutamente impensabile
che si possa condurre una battaglia seria contro la mafia e la sua grande
estensione in alcune zone del Sud Italia, se non si ristabiliscono le regole e
se non si riporta lo Stato alla sua funzione, che è quella di produrre equità e
sicurezza sociale, e non di produrre prepotenza, incertezza e instabilità. La
chiave di tutto è sempre la stessa: ristabilire lo Stato di diritto. E questo,
naturalmente, vuol dire che bisogna impedire che i commercianti – ad esempio –
siano taglieggiati dalla mafia, ma bisogna anche impedire che i diritti di tutti
i cittadini – non solo quelli onesti – siano sistematicamente calpestati. La
sospensione della legalità, gli strumenti dell’emergenza (come le interdittive,
le commissioni d’accesso e simili) possono avere una loro utilità solo in casi
rarissimi e in situazioni molto circoscritte. E solo se usati con rigore estremo
e sempre con il terrore di commettere prevaricazioni e ingiustizie. Se invece
diventano semplicemente – come succede molto spesso – strumenti di potere
dell’autorità, magari frustrata dai suoi insuccessi nella battaglia contro la
mafia, allora producono un effetto moltiplicatore, proprio loro, del potere
mafioso. Perché la discrezionalità, l’arroganza, l’ingiustizia, creano una
condizione sociale e psicologica di massa, nella quale la mafia sguazza.
Naturalmente non ho proprio nessun elemento per immaginare che l’azienda che ha
fatto le scarpe a quella dell’ex presidente di Confindustria (che si è dimesso
dopo aver ricevuto questa interdittiva, che ha spezzato le gambe alla sua
azienda e i nervi a lui), e cioè l’azienda del deputato dell’antimafia, abbia
brigato per ottenere l’interdittiva contro il concorrente. Non ho mai sopportato
la politica e il giornalismo che vivono di sospetti. Però il messaggio che è
stato mandato alla popolazione di Reggio Calabria, oggettivamente, è questo: se
non sei protetto dalla “compagnia dell’antimafia” qui non fai un passo. E se sei
deputato, comunque, sei avvantaggiato. Capite che è un messaggio letale? P. S.
Conosco molto bene l’imprenditore di cui sto parlando, e cioè Andrea Cuzzocrea,
la cui azienda ora è al palo e rischia di fallire. Lo conosco perché insieme a
un gruppo di giornalisti dei quali facevo parte, organizzò quattro anni fa la
nascita di un giornale, che si chiamava “Il Garantista” e che durò poco perché
dava fastidio a molti (personalmente, in quanto direttore di quel giornale, ho
collezionato una trentina di querele) e non aveva una lira in cassa. “Il
Garantista” era edito da una cooperativa, molto povera, della quale lui assunse
per un periodo la presidenza. Non so quali telefonate ebbe con Teresa Munari.
Però so per certo due cose. La prima è che Teresa Munari era una giornalista
molto accreditata negli ambienti democratici di Reggio Calabria. L’ho conosciuta
quattro o cinque anni fa, mi invitò a casa sua a una cena. C’erano anche il
Procuratore generale di Reggio e una deputata molto famosa per il suo impegno
“radicale” contro la mafia. La Munari collaborò a “Calabria Ora”, giornale
regionale che al tempo dirigevo, e successivamente al “Garantista”. Non era
raccomandata. E non fu mai, mai assunta. Non era in redazione, non partecipava
alla vita del giornale, scriveva ogni tanto degli articoli, che siccome non
avevamo il becco di un quattrino credo che non gli pagammo mai. Qualcuno è in
grado di spiegarmi come si fa a dire che uno non può costruire un parcheggio
perché una volta ha telefonato a Teresa Munari?
Levano l’appalto a un imprenditore
incensurato e lo danno a un deputato dell’antimafia,
scrive Simona Musco il 3 Novembre 2017 su "Il Dubbio". Reggio Calabria: un
imprenditore incensurato si vede annullata l’assegnazione, e i lavori per 16
milioni sono affidati all’azienda di un deputato.
PARADOSSI CALABRESI. Una azienda di Reggio
Calabria, guidata da imprenditori incensurati e senza carichi pendenti, vince un
appalto molto ricco: la costruzione del parcheggio del palazzo di Giustizia. È
un lavoro grosso, da 16 milioni. L’azienda che è arrivata seconda, nella gara
d’appalto, fa ricorso. Il Tar gli dà torto. E conferma l’appalto all’azienda che
si è classificata prima (su 19). Allora interviene il Prefetto e fa scattare
l’interdittiva per l’azienda vincitrice. Che vuol dire? Che il prefetto ha
questo potere discrezionale di interdire una azienda, temendo infiltrazioni
mafiose, anche se questa azienda non è inquisita. E il prefetto di Reggio ha
esercitato questo potere. E così il lavoro è passato al secondo classificato.
Chi è? È un deputato. Un deputato della commissione antimafia.
Un appalto da 16 milioni di euro per la
costruzione del parcheggio del nuovo Palazzo di Giustizia. Diciannove aziende
che decidono di provarci e due che arrivano in cima alla graduatoria con
pochissimi punti di distacco. E un’interdittiva antimafia che fa transitare
l’appalto dalle mani della prima – la Aet srl – alla seconda, la Cosedil,
fondata da un parlamentare della Commissione antimafia, Andrea Vecchio, e
patrimonio della sua famiglia. È successo a Reggio Calabria, dove l’ex
presidente di Confindustria Andrea Cuzzocrea ha visto sparire, in pochi mesi, un
lavoro imponente, la poltrona di presidente degli industriali e la credibilità.
Tutto a causa di uno strumento preventivo – l’interdittiva – che ora rischia di
mandare a gambe all’aria l’azienda, da sempre attiva negli appalti pubblici, e i
due imprenditori che la amministrano, Cuzzocrea e Antonino Martino, entrambi
incensurati.
UN APPALTO DIFFICILE. Tutto comincia nel
2016, quando la Aet srl vince l’appalto per la costruzione dei parcheggi del
tribunale di Reggio Calabria. Un lavoro che la città attendeva da tempo e che,
finalmente, sembra potersi sbloccare. Ma i tempi per la firma del contratto
vengono rallentati dai ricorsi. In prima fila c’è la Cosedil spa, azienda
siciliana, che chiede al Tar la verifica dell’offerta presentata dalla Aet e dei
requisiti dell’azienda e di conseguenza l’annullamento dei verbali di gara. I
giudici amministrativi valutano il ricorso, bocciando tutte le obiezioni tranne
una, quella relativa la giustificazione degli oneri aziendali della sicurezza,
per i quali la Commissione giudicatrice dell’appalto avrebbe commesso «un
macroscopico difetto d’istruttoria». Un errore, si legge nella sentenza, dal
quale però non deriva «automaticamente l’obbligo di escludere la società prima
classificata». Il Tar, a gennaio, interpella dunque la Stazione unica
appaltante, alla quale chiede di effettuare una nuova verifica sull’offerta
dell’Aet. Risultato: viene confermata «la regolarità e la correttezza»
dell’aggiudicazione dell’appalto. La firma sul contratto per l’avvio dei lavori,
dunque, sembrano avvicinarsi.
L’INTERDITTIVA. Ma l’iter per far partire i
cantieri subisce un altro stop, quando ad aprile la Prefettura emette
un’informativa interdittiva a carico dell’azienda, escludendola, di fatto, dai
giochi. Cuzzocrea, che nel 2013 aveva chiesto alla Commissione parlamentare
antimafia di «istituire le white list obbligatorie per gli appalti pubblici,
rendendo così più trasparente un settore delicatissimo», si dimette da
presidente di Confindustria. L’interdittiva riassume elementi già emersi in
precedenza nella corposa relazione che ha portato allo scioglimento
dell’amministrazione di Reggio Calabria, elementi già confutati, ai quali si
aggiunge un nuovo dato, relativo alla parentesi da editore di Cuzzocrea. Ed è
sulla base di quello che la Prefettura rivaluta tutto il passato, sebbene esente
da risvolti giudiziari. Si tratta del contatto (finito nell’operazione
“Reghion”) tra Cuzzocrea e l’ex deputato Paolo Romeo, già condannato
definitivamente per concorso esterno in associazione mafiosa e ora in carcere in
quanto considerato dalla Dda reggina a capo della cupola masso- mafiosa che
governa Reggio Calabria. Nessun rapporto, almeno documentato, prima del 2014: i
due si conoscono a gennaio di quell’anno, in Senato, dove sono stati entrambi
invitati, in quanto rappresentanti delle associazioni, per discutere della
costituenda città metropolitana. Dopo quella volta un unico contatto: Cuzzocrea,
presidente della società editrice del quotidiano Cronache del Garantista, viene
contattato da Romeo, che gli chiede di valutare l’assunzione di una giornalista,
Teresa Munari, secondo la Dda strumento nelle mani di Romeo. Cuzzocrea propone
la giornalista, nota in città e ormai in pensione, al direttore Sansonetti, che
la inserisce tra i collaboratori, pur senza un contratto. Tra i pezzi scritti
dalla Munari su quella testata ce n’è uno in particolare, considerato dalla Dda
utile alla causa di Romeo. Che avrebbe perorato la causa dell’amica facendola
passare come «un’opportunità per il giornale e non come un favore che richiedeva
per sé stesso o per la giornalista», si legge nel ricorso presentato al
Consiglio di Stato dalla Aet. La Prefettura non contesta nessun altro contatto
tra Romeo e Cuzzocrea, che, scrivono i legali dell’azienda, «non poteva pensare,
visto il modo in cui la cosa era stata richiesta, che vi fossero doppi fini nel
suggerimento ricevuto. Romeo – si legge ancora – non ha mai avuto altri contatti
con l’ingegnere Cuzzocrea ed è detenuto. Non si comprende, quindi, perché ci
sarebbe il rischio che possa, iniziando oggi (perché in passato non è successo),
condizionare l’attività della Aet». Gli elementi vecchi riguardano invece il
socio Antonino Martino, socio al 50 per cento, e coinvolto, nel 2004,
nell’operazione antimafia “Prius”, assieme ad alcuni suoi familiari. Un’indagine
conclusa, per Martino, con l’archiviazione, chiesta dallo stesso pm, il 5 marzo
2009. Di lui un pentito aveva detto, per poi essere smentito, di essersi
intestato, tra il 1992 e il 1993, un magazzino, in realtà riconducibile al
temibile clan Condello di Reggio Calabria. Intestazione fittizia, dunque,
ipotesi che si basava anche sulla convinzione – sbagliata – che il padre di
Martino, Paolo, fosse parente di Domenico Condello. Tali elementi, nel 2013, non
erano bastati alla Prefettura per interdire la Aet, tanto che l’azienda aveva
ricevuto il nulla osta e l’inserimento nella “white list”, la lista di aziende
pulite che possono lavorare con la pubblica amministrazione. E se anche fossero
potenzialmente fonte di pericolo non sarebbero più attuali, considerato che,
contestano i legali dell’azienda, Paolo Martino è morto e Condello si trova in
carcere.
LA COSEDIL. La Aet, dopo la richiesta di
sospensiva dell’interdittiva rigettata dal Tar, attende ora il giudizio del
Consiglio di Stato. Nel frattempo, alle spalle dell’azienda reggina, rimane la
Cosedil, fondata nel 1965 dal parlamentare del Gruppo Misto Andrea Vecchio. La
Spa, secondo le visure camerali, è amministrata dai figli del parlamentare che
rimane, come recita il suo profilo Linkedin, presidente onorario. Ma Vecchio,
componente della Commissione antimafia, nelle dichiarazioni patrimoniali
pubblicate sul sito della Camera si dichiara amministratore unico di una delle
aziende che partecipano la Cosedil (la Andrea Vecchio partecipazioni) e
consigliere della Cosedil stessa. Che rimane l’unica titolata a prendere, con un
iter formalmente impeccabile, l’appalto.
Antimafia mafiosa. Come reagire,
scrive il 27 settembre 2017 Telejato. C’È, È INUTILE RIPETERLO TROPPE VOLTE, UNA
CERTA PRESA DI COSCIENZA DELLA TURPITUDINE DELLA LEGISLAZIONE ANTIMAFIA, CHE
MEGLIO SAREBBE DEFINIRE “LEGGE DEI SOSPETTI”. ANCHE I PIÙ COCCIUTI COMINCIANO AD
AVVERTIRE CHE NON SI TRATTA DI “ABUSI”, DI DOTTORESSE SAGUTO, DI “CASI” COME
QUELLO DEL “PALAZZO DELLA LEGALITÀ”, DI FRATELLANZE E CUGINANZE DI
AMMINISTRATORI DEVASTANTI. È tutta l’Antimafia che è divenuta e si è rivelata
mafiosa. Come si addice al fenomeno mafioso, questa presa di coscienza rimane
soffocata dalla paura, dal timore reverenziale per le ritualità della dogmatica
dell’antimafia devozionale, del komeinismo nostrano che se ne serve per
“neutralizzare” la nostra libertà. Molti si chiedono e ci chiedono: che fare? È
già qualcosa: se è vero, come diceva Manzoni, che il coraggio chi non c’è l’ha
non se lo può dare, è vero pure che certi interrogativi sono un indizio di un
coraggio che non manca o non manca del tutto. Non sono un profeta, né un
“maestro” e nemmeno un “antimafiologo”, visto che tanti mafiologhi ci hanno
deliziato e ci deliziano con le loro cavolate. Ma a queste cose ci penso da
molto tempo, ci rifletto, colgo le riflessioni degli altri. E provo a dare un
certo ordine, una certa sistemazione logica a constatazioni e valutazioni. E
provo pure a dare a me stesso ed a quanti me ne chiedono, risposte a
quell’interrogativo: che fare? Io credo che, in primo luogo, occorre riflettere
e far riflettere sul fatto che il timore, la paura di “andare controcorrente”
denunciando le sciagure dell’antimafia e la sua mafiosità, debbono essere messe
da parte. Che se qualcuno non ha paura di parlar chiaro, tutti possono e debbono
farlo. Secondo: occorre affermare alto e forte che il problema, i problemi non
sono quelli dell’esistenza delle dott. Saguto. Che gli abusi, anche se sono tali
sul metro stesso delle leggi sciagurate, sono la naturale conseguenza delle
leggi stesse. Che si abusa di una legge che punisce i sospetti e permette di
rovinare persone, patrimoni ed imprese per il sospetto che i titolari siano
sospettati è cosa, in fondo, naturale. Sarebbe strano che, casi Saguto,
scioglimenti di amministrazioni per pretesti scandalosi di mafiosità,
provvedimenti prefettizi a favore di monopoli di certe imprese con
“interdizione” di altre, non si verificassero. Terzo. Occorre che allo studio,
alle analisi giuridiche e costituzionali delle leggi antimafia e delle loro
assurdità, si aggiungano analisi, studi, divulgazioni degli uni e degli altri in
relazione ai fenomeni economici disastrosi, alle ripercussioni sul credito,
siano intrapresi, approfonditi e resi noti. Possibile che non vi siano
economisti, commercialisti, capaci di farlo e di spendersi per affrontare
seriamente questi aspetti fondamentali della questione? Cifre, statistiche,
comparazioni tra le Regioni. Il quadro che ne deriverà è spaventoso. Quindi
necessario. E’ questo l’aspetto della questione che più impressionerà l’opinione
pubblica. E poi: non tenersi per sé notizie, idee, propositi al riguardo. Questo
è il “movimento”. Il movimento di cui molti mi parlano. Articolo di Mauro
Mellini. Avvocato e politico italiano. È stato parlamentare del Partito
Radicale, di cui fu tra i fondatori.
Ma cosa sarebbe codesta antimafia, che tutto
gli è concesso, se non ci fosse lo spauracchio mediatico della mafia di loro
invenzione? E, poi, chi ha dato la patente di antimafiosità a certi politicanti
di sinistra che incitano le masse…e chi ha dato l’investitura di antimafiosità a
certi rappresentanti dell’associazionismo catto-comunista che speculano sui
beni…e chi ha dato l’abilitazione ad essere portavoci dell’antimafiosità a certi
scribacchini di sinistra che sobillano la società civile? E perché questa
antimafiosità ha immenso spazio su tv di Stato e giornali sostenuti dallo Stato
per fomentare questa deriva culturale contro la nostra Nazione o parte di essa.
Discrasia innescata da gruppi editoriali che influenzano l’informazione in
Italia?
Fintanto che le vittime dell’antimafia
useranno o subiranno il linguaggio dei loro carnefici, continueremo ad
alimentare i cosiddetti antimafiosi che lucreranno sulla pelle degli avversari
politici.
Se la legalità è l’atteggiamento ed il
comportamento conforme alla legge, perché l’omologazione alla legalità non è
uguale per tutti,…uguale anche per gli antimafiosi? La legge va sempre
rispettata, ma il legislatore deve conformarsi a principi internazionali
condivisi di più alto spessore che non siano i propri interessi politici locali
prettamente partigiani.
Va denunciato il fatto che l’antimafiosità è
solo lotta politica e di propaganda e la mafia dell’antimafia è più pericolosa
di ogni altra consorteria criminale, perchè: calunnia, diffama, espropria e
distrugge in modo arbitrario ed impunito per sola sete di potere. La mafia
esiste ed è solo quella degli antimafiosi, o delle caste o delle lobbies o delle
massonerie deviate. E se per gli antimafiosi, invece, tutto quel che succede è
mafia…Allora niente è mafia. E se niente è mafia, alla fine gli stranieri
considereranno gli italiani tutti mafiosi.
Invece mafioso è ogni atteggiamento e
comportamento, da chiunque adottato, di sopraffazione e dall’omertà, anche
istituzionale, che ne deriva.
Non denunciare ciò
rende complici e di questo passo gli sciasciani non avranno mai visibilità se
rimarranno da soli ed inascoltati.
Finalmente la giurisprudenza ha cominciato a
fare qualche passo in avanti verso la civiltà giuridica. Merita il plauso
l'ordinanza n. 48441 del 10 Ottobre 2017 con la quale la Prima Sezione Penale
della Corte di Cassazione ha riconosciuto il principio secondo il quale, se una
persona viene assolta dall'accusa di associazione mafiosa, per gli stessi fatti
non può essere considerata socialmente pericolosa. Riporto i passaggi più
significativi dell'ordinanza.
"Lì dove le condotte sintomatiche della
pericolosità siano legislativamente caratterizzate [...] in termini per lo più
evocativi di fattispecie penali [...] è evidente che il giudice della misura di
prevenzione (nel preliminare apprezzamento di tali 'fatti') non può evitare di
porsi il problema rappresentato dalla esistenza di una pronunzia giurisdizionale
che proprio su quella condotta [...] ha espresso una pronunzia in termini di
insussistenza o di non attribuibilità del fatto all'individuo di cui si discute.
[...] L'avvenuta esclusione del rilievo penale di una condotta, almeno
tendenzialmente, impedisce di porre quel segmento di vita a base di una
valutazione di pericolosità ed impone il reperimento, in sede di prevenzione, di
ulteriori e diverse forme di conoscenza, capaci - in ipotesi - di realizzare
ugualmente l'effetto di inquadramento nella categoria criminologica. [...] Lì
dove il giudizio penale su un fatto rilevante a fini di inquadramento soggettivo
abbia avuto un esito definitivo, tale aspetto finisce con il ricadere
inevitabilmente nella cd. parte constatativa del giudizio di pericolosità".
Questo principio, soprattutto alla luce dell'insegnamento della sentenza De
Tommaso, dovrebbe rimettere in discussione la legittimità delle confische
disposte nei confronti di persone assolte.
La procura di Caltanissetta ha chiesto il
rinvio a giudizio per la Saguto e per 15 suoi amici,
scrive il 26 ottobre 2017 Telejato. DOPO MESI DI INDAGINI, INTERROGATORI,
INTERCETTAZIONI, IL NODO È ARRIVATO AL PETTINE. La procura di Caltanissetta ha
chiesto il rinvio a giudizio per la signora Silvana Saguto, già presidente
dell’Ufficio Misure di prevenzione, accusata assieme ad altri 15 imputati, di
corruzione, abuso d’ufficio, concussione, truffa aggravata, riciclaggio, dopo
una requisitoria durata cinque ore. Saranno invece processati col rito
abbreviato i magistrati Tommaso Virga, Fabio Licata e il cancelliere Elio
Grimaldi. Tra coloro per cui è stato chiesto il rinvio figurano il padre, il
figlio Emanuele e il marito della Saguto, il funzionario della DIA Rosolino
Nasca, i docenti universitari Roberto Di Maria e Carmelo Provenzano, assieme ad
altri suoi parenti, l’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo. Posizione
stralciata anche per l’altro ex giudice dell’ufficio misure di
prevenzione Chiaramontee per il suo compagno Antonio Ticali, per il quale la
procura ha chiesto l’archiviazione, e per l’altro professore universitario Luca
Nivarra e rito abbreviato per Cappellano Seminara. Prossima udienza il 6
novembre, con la parola alle parti civili e al collegio di difesa. Inutile
soffermarci ancora sull’allegro e criminoso modo, portato avanti dalla Saguto,
di mettere sotto sequestro aziende alle quali, in qualche modo spesso solo
indiziario, si attribuiva una patente di mafiosità per procedere alla loro
requisizione e affidarne la gestione agli avvocati o economisti che facevano
parte del cerchio magico. L’amministrazione giudiziaria di questi beni ha
arrecato danni irreversibili all’economia siciliana, poiché le aziende sono
state smantellate e non più restituite, anche quando i proprietari sono stati
penalmente assolti da ogni imputazione. E proprio oggi arriva la notizia del
dissequestro di due aziende finite nel mirino della Saguto, che nel febbraio
2014 ne aveva disposto il sequestro: si tratta della Fattoria Ferla e
della Special Fruit, che hanno operato da anni all’interno del settore
ortofrutticolo e che oggi, dopo la disamministrazione affidata a Nicola
Santangelo, oggi anche lui sotto processo, sono finite in liquidazione,
lasciando disoccupati una decina di lavoratori. Le due aziende erano state
accusate di essere sotto la protezione del boss dell’Acquasanta Galatolo,
nell’ambito di un sequestro di 250 milioni, ma dopo l’attenta valutazione
condotta dai magistrati dell’ufficio misure di prevenzione, oggi affidato al
nuovo presidente Malizia e ai giudici Luigi Petrucci e Giovanni Francolini, è
stato disposto il dissequestro, in quanto non esiste “neanche il sospetto” di
infiltrazioni mafiose. Restano ancora sotto sequestro altri beni ed è in corso
il procedimento per il successivo dissequestro.
L’antimafia preventiva diventata
definitiva, scrive il 13 ottobre 2017
Telejato.
LA PREVENZIONE. Il caso Saguto ha causato
l’implosione di un sistema concepito in origine per aggredire i patrimoni
mafiosi e colpire i mafiosi nelle loro ricchezze costruite con l’illegalità. Il
sistema, giorno dopo giorno è diventato un metodo in virtù del grande potere
attribuito ai giudici di poter sequestrare i beni, anche attraverso la semplice
“legge del sospetto”, e di poterli tenere sotto sequestro anche quando i
procedimenti penali hanno ufficialmente decretato l’infondatezza di questo
sospetto e prosciolto i cosiddetti “preposti”, cioè soggetti a sequestro da ogni
imputazione di associazione, contiguità, concorso con il malaffare mafioso.
Ancora oggi restano sotto sequestro immensi patrimoni di soggetti che, in altri
periodi si sono piegati alla legge del pizzo, in alcuni casi per continuare a
lavorare, in altri casi, è giusto dirlo, anche per avere mano libera nel badare
ai propri affari. Quello che per loro era un “piegarsi alla regola” della “messa
a posto”, per sopravvivere, diventa accusa di collaborazione e concorso in
associazione mafiosa, così che le vittime diventano complici. L’imprenditoria
siciliana, soprattutto nei suoi risvolti commerciali e nell’edilizia, ha subito
tremende battute d’arresto, poiché la mannaia della prevenzione si è abbattuta
su aziende che davano lavoro a migliaia di siciliani oggi disoccupati, senza
preoccuparsi di sorvegliare la gestione dei beni confiscati, affidati ad
amministratori giudiziari, alcuni senza scrupoli, altri del tutto incapaci e
incompetenti, che hanno prosciugato i beni dell’azienda loro affidata per
foraggiare se stessi e i propri collaboratori. In tal modo quello che avrebbe
dovuto essere un momento “preventivo”, al fine di evitare la reiterazione del
reato, diventa un momento definitivo, dato il prolungamento all’infinito delle
misure di prevenzione, anche ad assoluzione penale avvenuta.
LA NUOVA LEGGE ANTIMAFIA. Da parte di alcuni
settori si è gridato alla vittoria e al passo in avanti dato dal nuovo codice
antimafia, approvato nel settembre scorso, ma, come abbiamo più volte scritto,
si tratta di una legge nata vecchia, con qualche ritocco alla vecchia legge del
2012, senza che siano indicate regole precise né sul periodo, cioè sulla durata
in cui un bene deve essere tenuto sotto sequestro, né sulle prove e sulle
condizioni che dovrebbero giustificare il sequestro, né sulle penalità da
attribuire agli amministratori incompetenti o ai magistrati che hanno agito
frettolosamente, senza che la loro azione sia stata giustificata da un minimo di
sentenza. È rimasto il solco tra procedimento penale e procedimento di
prevenzione, anzi il procedimento di prevenzione è stato esteso anche ai reati
di corruzione, commessi in associazione, senza garanzie sulla possibile
restituzione e sul risarcimento dei danni causati dalla disamministrazione.
Insomma, come al solito non pagherà nessuno e i magistrati potranno continuare
ad agire nel massimo della libertà che non è sempre garanzia di giustizia.
I RESPONSABILI. Dopo questa premessa citiamo,
e ricordiamo i numerosi nomi di amministratori che, in un modo o in un altro
hanno contribuito a creare sfiducia nella possibilità di potere portare avanti
un’azione antimafia decisa e corretta, che avrebbe dovuto avere come finalità
primaria la possibilità di non affossare l’economia siciliana, ma di
salvaguardarla dalle infiltrazioni mafiose e di costruirla nel rispetto delle
regole parallelamente alle condizioni di crisi, di cui ancora non si vede
l’uscita, nonostante lo strombazzamento di miglioramenti dei quali in Sicilia
non vediamo nemmeno l’ombra. La salvaguardia di quel poco esistente, spesso
dovuto al coraggio di imprenditori che hanno rischiato tutto e si sono anche
indebitati per costruire un’azienda, non è stata in alcun modo presa in
considerazione, e ciò ha causato il crollo di strutture e aziende, come quelle
dei Niceta, dei Cavallotti, di Calcedonio Di Giovanni, della catena di
alberghi Ponte, della Motoroil, della Clinica Villa Teresa di Bagheria, (sia nel
settore sanitario che in quello edilizio), della Meditour degli Impastato, dei
supermercati Despar di Grigoli in provincia di Trapani e Agrigento, dell’impero
televisivo e concessionario dei Rappa e così via. Responsabili i vari a
Cappellano Seminara, Sanfilippo, Santangelo, Aulo Giganti, Ribolla, Scimeca,
Benanti, Walter Virga, Rizzo, Modica de Moach e così via. Molti di questi sono
ancora al loro posto, mentre altri sono stati sostituiti. Di questo lungo elenco
faceva parte Luigi Miserendino che, ieri, si è dimesso da tutti gli incarichi,
per avere lasciato al suo posto il re dei detersivi Ferdico, il quale è stato
assolto da tutto, ma ricondotto in carcere, mentre il carcere è stato revocato a
Miserendino, poiché, dimessosi, non potrà più reiterare il reato.
IL PROFESSORE. Oggi
spunta la notizia, altrettanto grave dell’interrogatorio del prof. Carmelo
Provenzano, il quale, dopo avere sistemato nelle varie amministrazioni moglie,
fratello, cognata e altri amici, dopo avere rifornito di frutta fresca il
frigorifero della Saguto e del prefetto di Palermo Cannizzo, dopo avere
agevolato la laurea del figlio della Saguto, anche con l’aiuto del rettore
dell’Università di Enna Di Maria, oggi dichiara candidamente al giudice
Bonaccorso che lo sta interrogando, di avere fatto tutto questo perché rientrava
nelle sue funzioni di docente aiutare gli alunni, tra i quali cita anche il
figlio dell’ex procuratore capo di Caltanissetta Sergio Lari e si lamenta
addirittura che le sue telefonate al figlio di Lari non sono agli atti del
procedimento contro di lui. Va tenuto presente comunque che Lari è stato quello
che ha dato il via all’inchiesta aperta dei giudici di Caltanissetta contro la
Saguto e i suoi collaboratori, o, se vogliamo, complici. Secondo Provenzano
tutto quello che è successo era “normale”, tutti facevano così, rientrava nel
normale modo di gestire i beni sequestrati quello di aiutarsi e appoggiarsi
reciprocamente tra i vari componenti del cerchio magico. Né più né meno come
quando Craxi dichiarò in parlamento che il sistema delle tangenti ai partiti era
normalità, che tutti facevano così, tutti mangiavano e non poteva essere lui
solo a pagare per tutti. E se tutto è normale, non è successo niente, abbiamo
scherzato, hanno scherzato i giudici di Caltanissetta ad aprire il procedimento,
sono tutti innocenti e tutti dovrebbero essere assolti, Cappellano compreso,
perché hanno fatto egregiamente il loro lavoro. Conclusione, ma non solo per
Provenzano, è che tutto quello che dovrebbe essere anormale, anche il malaffare,
è normale, mentre è anormale il corretto funzionamento della giustizia e
l’applicazione di eventuali pene nei confronti di chi sbaglia. Ovvero fuori i
mascalzoni e dentro chi si comporta onestamente o chi si permette di denunciare
il disonesto modo di amministrare la cosa pubblica, i beni dello stato, il
corretto funzionamento della giustizia. Come succede molto spesso in Italia,
secondo un detto antichissimo cui ostinatamente non possiamo e non dobbiamo
rassegnarci: “La furca è pi li poviri, la giustizia pi li fissa
L’Italia non è un paese per giovani (avvocati): elevare barriere castali e di
censo non è una soluzione,
scrive il 28 Aprile 2017 “L’Inkiesta”. Partiamo da due disfunzioni che
affliggono il nostro Paese e che stanno facendo molto parlare di sé. Da una
parte, la crisi delle libere professioni e, in generale, delle lauree, con
importanti giornali nazionali che ci informano, per esempio, che i geometri
guadagnano più degli architetti. Dall’altra, le inefficienze del sistema
giudiziario. Queste, sono oggetto di dibattito da tempo immemorabile, ci rendono
tra i Paesi peggiori dell’area OCSE e ci hanno fatti condannare da
niente-popò-di-meno-che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Incrociate ora i
due trend. Indovinate chi ci rimane incastrato in mezzo? Ovviamente i giovani
laureati/laureandi in giurisprudenza, chiusi tra un percorso universitario
sempre più debole e una politica incapace di portare a termine una riforma
complessiva e decente dell’ordinamento forense. Come risolvere la questione? Con
il numero chiuso a giurisprudenza? Liberalizzando la professione legale? Niente
di tutto questo, ci mancherebbe. In un Paese dove gli avvocati rappresentano una
fetta rilevante dei parlamentari, la risposta fornita dall’ennesima riforma è
facile facile. Porre barriere di censo e di casta all’accesso alla professione.
Da questa prospettiva tutte le recenti novità legislative acquistano un senso e
rivelano una logica agghiacciante. I malcapitati che si laureeranno in
Giurisprudenza a partire dall’anno 2016/2017 avranno una prima sorpresina:
l’obbligo di frequentare una scuola di formazione per almeno 160 ore. Anche a
pagamento se necessario, come da parere positivo del Consiglio Nazionale
Forense.
La questione sarebbe da portare all’attenzione di un bravo psicanalista. Giusto
qualche osservazione: (1) se la pratica deve insegnare il mestiere, perché
aggiungere un’altra scuola obbligatoria?; (2) Se la Facoltà di Legge - che in
Italia è lunghissima: 5 anni, contro i 3 di Stati Uniti e Regno Unito e i 4
della Francia, per esempio – serve a così poco, tanto da dover essere integrata
anche dopo la laurea, perché non riformarla?; (3) perché fermare i ragazzi dopo
la laurea, invece di farlo prima? Ci sarebbero anche altre questioni. Per
esempio, 160 ore di formazione spalmate su 18 mesi, per i fortunati ammessi, non
sono molte in teoria. Tuttavia, basta vedere le sempre maggiori proteste
riportate dai giornali, e rigorosamente anonime, di praticanti-fotocopisti senza
nome, sfruttati e non pagati, per accorgersi che la realtà è molto diversa dalla
visione irenica (ipocrita è offensivo?) dei riformatori. E, in ogni caso, anche
se il praticante fosse sufficientemente fortunato da avere qualche soldo in
tasca, ciò non gli permetterebbe di godere del dono dell’ubiquità. Ma così si
passerebbe dal settore della psicanalisi a quello della parapsicologia. Meglio
evitare. Andiamo oltre.
Abbiamo superato la prima trincea. Coi soldi del nonno ci manteniamo nella
nostra pratica non pagata o mal pagata. Magari siamo bravissimi ed accediamo ai
corsi di formazione a gratis o con borsa. Arriva il momento dell’esame. Presto
l’esame scritto sarà senza codice commentato. E fin qui, nessun problema. Meglio
ragionare con la propria testa che affannarsi a cercare la “sentenza giusta”,
magari senza capirla. Le prove verteranno sempre su diritto civile, diritto
penale e un atto. Segue un esame orale con quattro materie obbligatorie: diritto
civile, diritto penale, le due relative procedure, due materie a scelta e la
deontologia forense. E qui il fine giurista si deve trasformare in una specie di
Pico de La Mirandola, mandando a memoria tutto in poco tempo. Magari col capo
che non ti concede più di un mese di assenza dalla tua scrivania. Ma il problema
di questo esame è un altro. Poniamo che io sia un praticante in gamba e che
abbia trovato lavoro in un grosso studio internazionale leader nel settore del
diritto bancario. Plausibilmente, lavorerò con professionisti fantastici e avrò
clienti prestigiosi. Serve a qualcosa per l’esame di stato? Risposta: no.
Riformuliamo la questione. Se io mi occupo di diritto bancario o di diritto
societario, cosa me ne frega di studiare diritto penale, materia che non mi
interessa e che non praticherò mai? Mistero. L’esame di abilitazione fu regolato
per la prima volta nel 1934 e la sua logica è rimasta ferma lì. Come se
l’avvocato fosse ancora un piccolo professionista individuale che fa
indifferentemente tutto. Pensateci la prossima volta che sentite qualcuno
sciacquarsi la bocca con fregnacce sulla specializzazione degli avvocati e sulla
dipartita dell’avvocato generico. Pensateci.
Passata anche la seconda trincea. Siete avvocati. Tutto bene? No. Tutto male.
Finirete sotto il fuoco della Cassa Forense, obbligatoria, che vi mitraglierà.
Non importa se siete potentissimi astri nascenti o piccoli professionisti. I
risultati? Migliaia di giovani avvocati che si cancellano dall’albo ogni anno.
Sgombriamo subito il campo da equivoci. Spesso quando si introduce questo tema
ci si sente rispondere che in Italia ci sono troppi avvocati e se si sfoltiscono
è meglio. Giusto. Ma ciò non può condurre ad affermare che dei giovani siano
tagliati fuori da un sistema disfunzionale. La selezione dura va bene; il terno
al lotto no. La competizione, anche spietata, va bene; le barriere all’accesso
strutturate senza la minima logica no. Dietro le belle parole, si nasconde un
sistema che, come avviene anche per altre professioni, cerca di tutelare se
stesso sbattendo la porta in faccia ai giovani che vorrebbero entrare. Non tutti
ovviamente. Senza troppa malizia vediamo che avrà meno crucci: (1) chi ha il
padre, nonno, zio, fratello maggiore ecc… titolare di uno studio legale. Una
mancetta arriverà sempre, con essa il tempo libero per frequentare la formazione
obbligatoria e una study leave succulenta di un paio di mesi per preparare
l’esame; (2) chi è ricco di famiglia e che, dunque, può godere dei vantaggi di
cui sopra per vie traverse; (3) chi, date le condizioni di cui ai punti 1 e 2,
può sostenere l’esame due, tre, quattro, cinque volte. E la meritocrazia? Naaaa,
quello è uno slogan da sbandierare in campagna elettorale, cosa avete pensavate,
sciocconi? In definitiva, il sistema come si sta concependo non fa altro che
porre barriere all’ingresso che favoriscono il ceto e di casta. Una volta che si
è entrati, invece, si fa in modo di cacciare fuori coloro che non arrivano a
fine mese, tendenzialmente i più giovani o i più piccoli.
Ci sono alternative? Guardiamo un paese come la Francia. Lì, l’esame duro e
temutissimo è quello per l’accesso all’école des Avocats, superato ogni anno da
meno di un terzo dei candidati. Ma, (1) lo si sostiene appena terminata
l’università, quando si è “freschi”; (2) è la precondizione per l’accesso al
tirocinio, non un terno al lotto che viene al termine di 18/24 mesi di
servaggio, spesso inutile ai fini del superamento dell’esame. Quindi, se si
fallisce, al netto della delusione, si può subito andare a fare altro. Oppure si
riprova (fino a tre volte). In ogni caso, però, non si buttano due anni di vita.
La conclusione è sempre la stessa. L’Italia è un Paese che investe poco nei
giovani. E che ci crede poco, a giudicare dalle frequenti sparate e rimbrotti di
ministri vari. Sperando che non si cerchi, di fatto, di risolvere il problema
con l’emigrazione, il messaggio deve essere chiaro. Non si faccia pagare ai
giovani l’incapacità del sistema di riformarsi seriamente e organicamente. Le
alternative ci sono.
Giornalisti? E’ meglio se andate a fare
gli operai, scrive di Andrea
Tortelli, Responsabile di "GiornalistiSocial.it". E’ meglio se andate a fare gli
operai, credetemi. Lo dicono i numeri. Chiunque aspiri a fare il giornalista, in
Italia, deve confrontarsi con un quadro di mercato ben più drammatico di quello
di altri settori in crisi. Il giornalista rimane una professione molto (troppo)
ambita, ma non conferisce più prestigio sociale a chi la pratica e soprattutto
non è più remunerativa. Diverse classifiche, non solo italiche, inseriscono
quello del reporter fra i lavori a maggiore rischio di indigenza. E chi pratica
bazzica in questo mondo non può stupirsene.
Qualche numero sui media. Il mondo dei media
è in crisi da tempo, ben prima che arrivassero i social a dare il colpo di
grazia. In una provincia come Brescia, dove vivo, non c’è un solo giornale
cartaceo o una televisione locale che nell’ultimo quinquennio non abbia ridotto
il proprio organico e chiuso qualche bilancio in rosso. Tutto ciò mentre gli on
line sopravvivono, ma non prosperano: generando numeri, ma recuperando ben poche
delle risorse perse per strada dai media tradizionali. In Italia, va detto, i
giornali non hanno mai goduto di troppa gloria. Da sempre siamo una delle
popolazioni al mondo che legge meno. Meno di una persona su venti, oggi, compra
un quotidiano in edicola e il calo è costante. Il Corriere della Sera, solo per
fare un esempio, tra il 2004 e il 2014 ha dimezzato le proprie copie (l’on line,
nello stesso periodo, è passato da 2 milioni di utenti al mese a 1,5 al giorno,
Facebook da zero a 2 milioni di fan…). Nel 2016, ancora, i cinque giornali
cartacei più venduti (Corsera, Repubblica, Sole 24 Ore, La Stampa e Gazzetta
dello Sport) hanno perso un decimo esatto delle copie.
Non va meglio sul fronte dei fatturati. Dal
2004 al 2014 – permettetemi di riciclare un vecchio dato – il mercato
pubblicitario italiano è passato da 8 miliardi 240milioni di euro a 5 miliardi e
739milioni (fonte DataMediaHub). La tv è scesa da 4 miliardi 451 milioni a 3.510
milioni, la stampa si è più che dimezzata da 2 miliardi 891 milioni a 1 miliardo
314 milioni, il web è cresciuto sì. Ma soltanto da 116 milioni a 474. Vuol dire
che – dati alla mano – per ogni euro perso dalla carta stampata in questo
decennio sono arrivati sul web soltanto 22 centesimi (del resto, agli attuali
prezzi di mercato, mille clic vengono pagati oggi meno di due euro…). E gli
altri 80 centesimi dove sono finiti? Un po’ si sono persi a causa della crisi.
Ma una grossa fetta – non misurabile – è finita alle big del web, nel grande
buco nero fiscale di Google e Facebook. Cioè è uscita dal circuito
dell’informazione e dell’editoria.
I giornalisti che fanno? A una drastica
riduzione delle copie e dei fatturati consegue ovviamente una drastica riduzione
degli organici. Ma a questo dato si somma un aumento significativo dell’offerta
(complici le scuole di giornalismo, ma non solo…) e un aumento esponenziale
della concorrenza “impropria”, dovuta al fatto che Facebook è ormai la prima
fonte di informazione degli italiani e sono molti a operare fuori dal circuito
tradizionale (e spesso anche fuori dal circuito legale) dei media. In questo
contesto, le possibilità di spuntare un contratto ex Articolo 1 (Cnlg) per un
giovane sono praticamente nulle. Ma anche portare a casa almeno mille euro lordi
al mese è un’impresa se ci sono quotidiani locali, anche di gruppi importanti,
che pagano meno di 10 euro un articolo. E on line, a quotazioni di “mercato”, un
pezzo viene pagato anche un euro. Lordo. Non è un caso che sempre più colleghi
abbiano decisi di cambiare vita, e molto spesso sono i più validi. Ne conosco
molti. C’è chi fa l’operaio part time a tempo indeterminato e arrotonda
scrivendo (quasi per passione), chi ha mollato tutto per una cattedra da
precario alle superiori, chi all’ennesima crisi aziendale ha deciso di andare a
lavorare a tempo pieno in fabbrica per mantenere i figli e chi ancora era
caporedattore di un noto giornale – oltre che penna di grandissimo talento – e
ora si dedica alla botanica. Con risultati di eguale livello, pare. I dati
dell’Osservatorio Job pricing, del resto, indicano che nel 2016 un operaio
italiano guadagnava mediamente 1.349 euro. Il collaboratore di una televisione
locale, a 25 euro lordi a servizio, dovrebbe fare più di 50 uscite (con
montaggio annesso) per portare a casa la stessa cifra. Il collaboratore di un
quotidiano locale dovrebbe firmare almeno 100 pezzi, tre al giorno. Senza ferie,
tredicesima, malattia e possibilità di andare in banca a chiedere un mutuo se
privo della firma di papi. Insomma: il vecchio adagio del “sempre meglio che
lavorare” è ancora attuale, ma ha drammaticamente cambiato significato. Visto
che il giornalismo è diventato per molti un hobby o una moderna forma di
schiavitù, quasi al livello dei raccoglitori di pomodori pugliesi. Dunque?
La soluzione. Dunque… Quando qualcuno mi
contatta per chiedermi come si fa a diventare giornalista (circostanza piuttosto
frequente, visto che gestisco GiornalistiSocial.it) cerco sempre di fornirgli un
quadro completo e oggettivo della situazione, per non illudere nessuno. Alcuni
si incazzano e spariscono. Altri ringraziano delusi. I più ascoltano, ma non
sentono. Una piccola parte comprende che il mestiere del giornalista, nel 2017,
ha un senso solo se sussistono due elementi: una grande passione e la volontà di
fare gli imprenditori di se stessi. Fare il giornalista, in Italia ma non solo,
richiede oggi una grande capacità di adattamento al sistema della comunicazione
e un sistema di competenze tecniche estese (fotografia, grafica, video, social,
web, seo e anche marketing, parola che farebbe accapponare la pelle a quelli
della vecchia scuola) per sopravvivere a un mercato sempre meno chiuso, in cui i
concorrenti sono tanto i colleghi e gli aspiranti colleghi, quanto tutti i
laureati privi di occupazione e i liberi professionisti dell’articolato mondo
web. Ma questo è un altro capitolo. Nel frattempo, è meglio che andiate a fare
gli operai. Oppure ribellatevi.
La precarietà dei giornalisti invisibili,
scrive il 16 dicembre 2017 Valentina Tatti Tonni su "Articolo 21". Al pari degli
altri danno senso alla verità, ma non sono retribuiti e il loro lavoro non
è riconosciuto. In Italia c’è un sistema, perlopiù marcio che le cronache ben
conoscono. In Italia per conoscere e volendo tutelare l’esercizio di una
professione, c’è bisogno di un Ordine di categoria che come una grande
impresa regoli gli iscritti con un badge (tessera di riconoscimento) e
un’imposta annuale. Potranno lavorare in modo “regolare” solo i soci onorari
dell’impresa. Tutti gli altri si sentiranno o saranno, poco labile la
differenza, cittadini fuorilegge che svolgono una professione che non gli
compete. C’è una diffusa credenza, falsa per il resto del mondo nel quale non
esiste alcun Ordine perentorio e nel quale si è quello che si fa, che si diventi
professionista solo entrando in possesso di questo magico libretto, lungi
la riconoscenza che avrebbe potuto avere Joseph Pulitzer in assenza. Giornalista
ed editore puro americano, di certo non si sarebbe sentito meno rispetto a un
qualunque collega italiano. L’Italia dunque è una Repubblica fondata sul lavoro
circoscritto a pochi eletti. I restanti fuori da questa ristretta cerchia,
passano l’esistenza tra un contratto e un lavoro in nero. Nero come la borsa in
tempo di guerra. Con un fazzoletto di volontà ben ripiegato nella tasca della
giacca, nella loro mente sanno di essere buoni giornalisti ma si potrebbe
affermare in loro l’idea di non essere considerati uguali dagli altri colleghi,
non tanto per la giacca quanto per i diritti che si nascondono sotto. “Come hai
fatto ad accettare un lavoro nero e sporcare così la professione?” si sentirà
chiedere con astio, con tutte le colpe rovesciate in capo. E’ vero, avrebbe
potuto non accettare e non avere alcuna visibilità, smettere di cercare
l’opportunità giusta anche se spesso questo significherà ripiegare la passione e
l’istinto. Avrebbe potuto vendere il suo ideale e il suo buon cuore al miglior
offerente, barattare il pensiero prima che potesse giurare la sua lealtà alla
Costituzione e alla deontologia. Avrebbe persino potuto evitare qualunque
interferenza con la parola, sì, ma cosa sarebbe diventato senza la sua identità
a contatto con la pelle? Non è giusto fare generalizzazioni. Esistono persone
che sono riuscite nel loro intento, pur non avendo parenti o amici pronti a
soccorrerli e indirizzarli. Sono riusciti a imboccare una strada e arrivare fino
al traguardo senza scuole di giornalismo né aiuti di sorta. Tuttavia ogni
persona ha una sua storia, ed è per questo presumo che il legislatore abbia
voluto una legge costruita per assistere la professione, che prevedesse le sue
problematiche e tentasse di risolverle. La precarietà in questo senso duplice è
una di queste problematiche. E’ precario il lavoratore con un contratto
provvisorio di cui si ci si attenda un cambiamento e dunque alla quotidianità vi
si leghi un’aspettativa e un’ansia maggiore, ma è precario anche quel lavoratore
d’altro canto minacciato per il suo operato o in alternativa imputato dinnanzi a
una Corte composta di suoi pari che lo giudicheranno “colpevole di Giornalismo”.
La condanna è la derisione ma non è possibile schierarsi per ricevere una
miglior difesa, poiché da tale imputazione non ci si macchia per assenso
generale ma per comportamento. Queste leggi approvate per rendere la precarietà
meno illegale di fatto favoriscono l’incongruenza della disparità, non rendendo
alcun merito a chi di questo lavoro ha fatto il suo mantra e la sua
missione. Accedere a questo lavoro dovrebbe essere una possibilità, non un
privilegio. E invece, le possibilità per accedervi sono ad oggi esclusive:
frequentazione di una scuola biennale, il praticantato o la pubblicazione di un
numero di articoli firmati e stipendiati in modo continuativo, queste le
alternative per accedere alla professione. Il problema però è che a dispetto di
dieci anni fa, la continuità è una chimera, così come il contratto, il
pagamento, il praticantato, per una grande fetta di imprese editoriali presenti
sul territorio non è neanche un’opzione. Va da sé che, esclusa la parentela e
una dose di fortuna, il giornalismo resti un mondo a sé stante dove non tutti
quelli che vogliono entrarvi a far parte ci riescono e, sia detto che, spesso,
non è per mancanza di volontà ma a causa della privazione di tutta una serie di
cose, come il fatto che sembra non esista più il mentore che ti dica: “Questo
pezzo fa schifo, riscrivilo” e da queste sole piccole parole ti trasmetta il
suo sapere e mantenga in te il coraggio di tentare. No, oggi il sapere è
inserito dentro un cassetto elettronico, sterile e senza spessore umano. Così
quella che si gioca è una corsa a ostacoli per vincere la penna d’oro, una
corsa nella quale la competitività va a braccetto con la desolante paura di non
essere abbastanza. Essendo l’Ordine un ente pubblico che gestisce l’albo
associativo dei giornalisti italiani, dal 1963 anno della sua fondazione obbliga
chiunque voglia intraprendere la professione a iscriversi e rispettare le sue
leggi. Chiunque altro operi da freelance, non iscritto ad alcun registro, pur
rispettando le leggi dell’albo cui vorrebbe appartenere per una forma di
dipendenza, istiga tutti alla verità ma è un fuorilegge a tutti gli effetti. Se
scrive o filma con cognizione lo può fare solo con le dovute precauzioni da
cittadino, allargando così sotto di sé la piaga della casta. Può paragonarsi a
un abile narratore, ma se vuole sfruttare la pazienza e l’insegnamento di un
giornalista la cui realtà si misura con il badge di inserimento deve rischiare
un ruolo che si sente addosso ma che non ha. Appartengono a questa fascia di
professionisti, i giornalisti invisibili che vivono anni in un limbo fatto di
sacrifici. Se lavorano in nero non è per compiacenza ma per necessità, e anzi,
sapendo che prima o poi qualcuno potrebbe accorgersi del loro “stato
temporaneo”, quasi in attesa trepidante di un visto speciale, sfoderano dalla
penna o dalla telecamera un rigoroso senso morale e critico per ovviare al senso
di manifesta inadeguatezza nella quale l’Ordine ci colloca. Se è lecito che non
tutti si improvvisino del mestiere, che allo stesso modo verrebbe il dubbio del
buon operato se un calzolaio si mettesse di punto in bianco a vendere viaggi,
diverso sarebbe il caso di un calzolaio che in seguito a dovuti studi e
approfondimenti abbia scoperto che è la pianificazione e la vendita del viaggio
per conto terzi a rendere la sua vita migliore, sarebbe allora questo il modo
per riconoscergli la possibilità di cambiare. Il giornalista invisibile,
ugualmente, non può invece essere riconosciuto per l’inosservanza di un
iter burocratico e la sua vita dovrà essere vincolata, senza per questo smettere
di dare un senso alla verità rischiando tutto quello che gli basterebbe
oltrepassare il confine per essere.
Mi sono laureata nonostante gli abusi dei
professori. Mi chiamo Carolina, e
sono una neolaureata all'Università Statale di Milano. Mi sono sentita
moralmente obbligata a scrivere questa lettera, che spero potrà avere una sua
risonanza. So che qualche anno fa i quotidiani si erano già occupati
dell'incresciosa situazione logistica in alcune facoltà della Statale, una
situazione che ha costretto me come centinaia di altri studenti a seguire per
interi semestri le lezioni seduti sul pavimento, quando non addirittura in piedi
fuori dalle porte e dalle finestre delle aule. Ma in questa sede vorrei invece
parlare della condotta dei professori, della quale ingiustamente non si è mai
fatto parola. Per natura tendo a non parlare mai di ciò che non conosco
direttamente, quindi mi riferirò esclusivamente alle facoltà sotto la dicitura
di Studi Umanistici della Statale. Volendo evitare di fare di tutta l'erba un
fascio, ammetto volentieri il fatto di aver incontrato durante la mia carriera
universitaria professori competenti e disponibili, e mi piacerebbe poter dire
che sono la maggioranza. Ma ciò di cui non si parla mai sono gli altri, una vera
e propria casta che segue solamente le proprie regole anche e spesso a dispetto
degli studenti. Urge fare qualche esempio pratico. Ci sono professori che
perdono esami di studenti e non solo non denunciano l'accaduto, ma bocciano gli
studenti interessati sperando che loro non arrivino mai a scoprirlo, ma si
limitino semplicemente a ripetere l'esame in questione. Ci sono professori che
in una giornata di interrogazioni d'esame si prendono ben tre ore di pausa
pranzo. Ce ne sono altri che con appelli programmati da mesi, fanno presentare
tutti gli studenti iscritti e poi annunciano di dover partire per un viaggio, e
che quelli non interrogati si devono ripresentare due settimane dopo. Alcuni si
rifiutano, benché avvisati con anticipo, di interrogare gli studenti che hanno
seguito il corso con un altro professore non disponibile per l'appello d'esame.
E ultimi, ma certamente non per importanza, ci sono i professori che ogni anno
mandano fuori corso decine di studenti che hanno finito per tempo gli esami,
impedendogli di laurearsi nell'ultima sessione disponibile per loro e
costringendoli a pagare un anno intero di retta universitaria perché "non hanno
tempo di seguire questa tesi" oppure perché il candidato "è troppo indietro con
la stesura, ci sarebbe troppo da fare". Tutti gli episodi sopra citati sono
accaduti ad una sola persona, me. E per quanto io mi renda conto di essere stata
particolarmente sfortunata, mi riesce difficile pensare di essere l'unica alla
quale cose del genere sono successe. Questi veri e propri abusi di potere
rendono quasi impossibile per gli studenti godere del generalmente buon livello
di istruzione offerto dall'università. Mi includo nel gruppo quando mi chiedo
come mai gli studenti non si siano mai fatti sentire, e mi vergogno quasi un po'
a scrivere questa lettera con il mio bell'attestato di laurea appeso in stanza,
ma la verità è che mi è costato fin troppa fatica, e non ero disposta a mettere
a rischio la possibilità di ottenerlo, dal momento che non ero io ad avere il
coltello dalla parte del manico. Ma non mi sembrava ad ogni modo corretto
lasciare che tali comportamenti passassero sotto silenzio. L'istruzione pubblica
dovrebbe essere un diritto, non un privilegio, ed insegnare dovrebbe essere una
grande responsabilità, qualcosa di cui non abusare mai. Carolina Forin 14
ottobre 2017 “L’Espresso”
I mediocri del Politically Correct negano
sempre il merito. Sostituiscono sempre la qualità con la quantità. Ma è la
qualità che muove il mondo, cari miei, non la quantità. Il mondo va avanti
grazie ai pochi che hanno qualità, che valgono, che rendono, non grazie a voi
che siete tanti e scemi. La forza della ragione (Oriana Fallaci)
“L'Italia tenuta al guinzaglio da un
sistema di potere composto da caste, lobbies, mafie e massonerie: un'Italia che
deve subire e deve tacere.
La “Politica” deve essere
legislazione o amministrazione nell’eterogenea rappresentanza d’interessi,
invece è meretricio o mendicio, mentre le “Istituzioni” devono meritarlo il
rispetto, non pretenderlo. Il rapporto tra cittadini e il rapporto tra cittadini
e Stato è regolato dalla forza della legge. Quando non vi è cogenza di legge,
vige la legge del più forte e il debole soccombe. Allora uno “Stato di Diritto”
degrada in anarchia. In questo caso è palese la responsabilità politica ed
istituzionale per incapacità o per collusione. Così come è palese la
responsabilità dei media per omertà e dei cittadini per codardia o emulazione."
TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi
è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle,
interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con
sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia
elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo,
chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società,
che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo. Vittorio
Alfieri (1790).
"Quando si cerca di far progredire la conoscenza e l'intelligenza umana si
incontra sempre la resistenza dei contemporanei, simile a un fardello che
bisogna trascinare e che grava pesantemente al suolo, ribelle ad ogni sforzo. Ci
si deve consolare allora con la certezza che, se i pregiudizi sono contro di
noi, abbiamo con noi la Verità, la quale, dopo essersi unita al suo alleato, il
Tempo, è pienamente certa della sua vittoria, se non proprio oggi, sicuramente
domani."(Arthur Schopenhauer)
Il pregio di essere
un autodidatta è quello che nessuno gli inculcherà forzosamente della merda
ideologica nel suo cervello. Il difetto di essere un autodidatta è quello di
smerdarsi da solo.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che
diventassimo con la discultura e la disinformazione. Ci si deve chiedere: perchè
a scuola ci hanno fatto credere con i libri di testo che Garibaldi era un eroe
ed i piemontesi dei salvatori; perché i media coltivano il luogo comune di un
sud Italia cafone ed ignorante; perché la prima cosa che insegnano a scuola è la
canzone “bella ciao”? Per poi scoprire da adulti e solo tramite il web: che il
Sud Italia è stato depredato a causa proprio di Garibaldi a vantaggio dei
Piemontesi; che solo i turisti che scendono a frotte nel meridione d’Italia
scoprono quanto ci sia tanto da conoscere ed apprezzare, oltre che da amare; che
“Bella ciao” è solo l’inno di una parte della politica italiana che in nome di
una ideologia prima tradì l’Italia e poi, con l’aiuto degli americani, vinse la
guerra civile infierendo sui vinti, sottomettendoli, con le sue leggi, ad un
regime illiberale e clericale.
Ad Avetrana, il paese di Sarah Scazzi, non
sono omertosi, sempre che non si tratti di poteri forti. Ma qualcuno certamente
vigliacco e codardo lo è. Sapendo che io ho le palle per denunciare le
illegalità, questi deficienti usano il mio nome ed appongono falsamente la mia
firma in calce a degli esposti che colpiscono i poveri cristi rei di abusi
edilizi o commerciali. I cretini, che poi fanno carriera politica, non sanno che
i destinatari dei miei strali sono magistrati, avvocati, forze dell’ordine, e
comunque pubblici ufficiali o esercenti un pubblico servizio. Che poi queste
denunce finiscono nell’oblio perché “cane non mangia cane” e per farmi passare
per mitomane o pazzo o calunniatore o diffamatore, è un’altra cosa. Però da
parte di questi coglioni prendersela con i poveri cristi per poi far addossare
la colpa a me ed essere oggetto di ritorsioni ingiustificate è da veri
vigliacchi. D'altronde un paese di coglioni sarà sempre governato, amministrato,
giudicato, istruito ed informato da coglioni.
È molto meglio osare cose straordinarie,
vincere gloriosi trionfi, anche se screziati dall'insuccesso, piuttosto che
schierarsi tra quei poveri di spirito che non provano grandi gioie né grandi
dolori, perché vivono nel grigio e indistinto crepuscolo che non conosce né
vittorie né sconfitte. (...) Non è il critico che conta, né l'individuo che
indica come l'uomo forte inciampi, o come avrebbe potuto compiere meglio
un'azione. L'onore spetta all'uomo che realmente sta nell'arena, il cui viso è
segnato dalla polvere, dal sudore, dal sangue; che lotta con coraggio; che
sbaglia ripetutamente, perchè non c'è tentativo senza errori e manchevolezze;
che lotta effettivamente per raggiungere l'obiettivo; che conosce il grande
entusiasmo, la grande dedizione, che si spende per una giusta causa; che nella
migliore delle ipotesi conosce alla fine il trionfo delle grandi conquiste e
che, nella peggiore delle ipotesi, se fallisce, almeno cade sapendo di aver
osato abbastanza. Dunque il suo posto non sarà mai accanto a quelle anime timide
che non conoscono né la vittoria, né la sconfitta. Franklin Delano Roosevelt
Cari signori, io ho iniziato a destare le
coscienze 20 anni prima di Beppe Grillo e nulla è successo. Io non cercavo gli
onesti, ma le vittime del sistema, per creare una rivoluzione culturale…ma un
popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato, informato, istruito
e giudicato da “coglioni”.
"Il popolo cornuto era e cornuto resta: la
differenza è che il fascismo appendeva una bandiera sola alle corna del popolo e
la democrazia lascia che ognuno se l'appenda da sé, del colore che gli piace,
alle proprie corna... Siamo al discorso di prima: non ci sono soltanto certi
uomini a nascere cornuti, ci sono anche popoli interi; cornuti dall'antichità,
una generazione appresso all'altra...- Io non mi sento cornuto - disse il
giovane - e nemmeno io. Ma noi, caro mio, camminiamo sulle corna degli altri:
come se ballassimo..." Leonardo Sciascia dal libro "Il giorno della civetta".
Un chierico medievale si imbatté in un
groviglio di serpi su cui spiccava un ramarro che già da solo sarebbe bastato a
spaventarlo. Tuttavia, confrontata a quelle serpeggianti creature, la bestiola
gli parve graziosa ed esclamò: «Beati monoculi in terra caecorum», nella terra
dei ciechi anche l’orbo è re.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che
diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo
facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo
facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione
di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica.
Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze
staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad
ascoltarci.
In una Italia dove nulla è come sembra, chi
giudica chi è onesto e chi no?
Lo hanno fatto i comunisti, i dipietristi, i
leghisti, i pentastellati. Lor signori si son dimostrati peggio degli altri e
comunque servitori dei magistrati. E se poi son questi magistrati a decidere chi
è onesto e chi no, allora se tutti stanno dalla parte della ragione, io mi metto
dalla parte del torto.
Ognuno di noi, anziché migliorarsi, si giova
delle disgrazie altrui. Non pensando che a cercar l’uomo onesto con il
lanternino si perde la ragione. Ma anche a cercarlo con la lanterna di Diogene
si perde la retta via. Diogene di Sinope (in greco antico Διογένης Dioghénes)
detto il Cinico o il Socrate pazzo (Sinope, 412 a.C. circa – Corinto, 10
giugno 323 a.C.) è stato un filosofo greco antico. Considerato uno dei fondatori
della scuola cinica insieme al suo maestro Antistene, secondo l'antico
storico Diogene Laerzio, perì nel medesimo giorno in cui Alessandro Magno spirò
a Babilonia. «[Alessandro Magno] si fece appresso a Diogene, andandosi a mettere
tra lui e il sole. "Io sono Alessandro, il gran re", disse. E a sua volta
Diogene: "Ed io sono Diogene, il cane". Alessandro rimase stupito e chiese
perché si dicesse cane. Diogene gli rispose: "Faccio le feste a chi mi dà
qualcosa, abbaio contro chi non dà niente e mordo i ribaldi."» (Diogene
Laerzio, Vite dei filosofi, Vita di Diogene il Cinico, VI 60). Diogene aveva
scelto di comportarsi, dunque, come "critico" pubblico: la sua missione era
quella di dimostrare ai Greci che la civiltà è regressiva e di dimostrare con
l'esempio che la saggezza e la felicità appartengono all'uomo che è indipendente
dalla società. Diogene si fece beffe non solo della famiglia e dell'ordine
politico e sociale, ma anche delle idee sulla proprietà e sulla buona
reputazione. Una volta uscì con una lanterna di giorno. Questi non indossava una
tunica. Portava come solo vestito un barile ed aveva in mano una lanterna.
"Diogene! - esclamo Socrate - con quale nonsenso tenterai di ingannarci oggi?
Sei sempre alla ricerca, con questa lanterna, di un uomo onesto? Non hai ancora
notato tutti quei buchi nel tuo barile?". Diogene rispose: "Non esiste una
verità oggettiva sul senso della vita". A chi gli chiedeva il senso della
lanterna lui rispondeva: "cerco l'uomo!". “... (Diogene) voleva significare
appunto questo: cerco l’uomo che vive secondo la sua più autentica natura, cerco
l’uomo che, aldilà di tutte le esteriorità, le convenzioni o le regole imposte
dalla società e aldilà dello stesso capriccio della sorte e della fortuna,
ritrova la sua genuina natura, vive conformemente a essa e così è felice."
Aste e usura:
chiesta ispezione nei tribunali di Taranto e Potenza. Interrogazione dei
Senatori Cinque Stelle: “Prassi illegali e vicende inquietanti”, titola
“Basilicata 24” nel silenzio assordante dei media pugliesi e tarantini.
Da presidente
dell’ANPA (Associazione Nazionale Praticanti ed Avvocati) già dal 2003, fin
quando mi hanno permesso di esercitare la professione forense fino al 2006, mi
sono ribellato a quella realtà ed ho messo in subbuglio il Foro di Taranto,
inviando a varie autorità (Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto,
Procura della Repubblica di Taranto, Ministro della Giustizia) un dossier
analitico sull’Ingiustizia a Taranto e sull’abilitazione truccata degli
avvocati. Da questo dossier è scaturita solo una interrogazione parlamentare di
AN del Senatore Euprepio Curto (sol perché ricoprivo l’incarico di primo
presidente di circolo di Avetrana di quel partito). Eccezionalmente il Ministero
ha risposto, ma con risposte diffamatorie a danno dell’esponente. Da allora e
per la mia continua ricerca di giustizia come Vice Presidente provinciale di
Taranto dell’Italia dei Valori (Movimento da me lasciato ed antesignano dei 5
Stelle, entrambi a me non confacenti per mia palese “disonestà”) e poi come
presidente nazionale dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, sodalizio
antimafia riconosciuto dal Ministero dell’Interno, per essermi permesso di
rompere l’omertà, gli abusi e le ingiustizie, ho subito decine di procedimenti
penali per calunnia e diffamazione, facendomi passare per mitomane o pazzo,
oltre ad inibirmi la professione forense. Tutte le mie denunce ed esposti e la
totalità dei ricorsi presentati a tutti i Parlamentari ed alle autorità
amministrative e politiche: tutto insabbiato, nonostante la mafiosità
istituzionale è sotto gli occhi di tutti.
I procedimenti
penali a mio carico sono andati tutti in fumo, non riuscendo nell’intento di
condannarmi, fin anche a Potenza su sollecitazione dei denuncianti magistrati.
Il 3 ottobre 2016,
dopo un po’ di tempo che mancavo in quel di Taranto, si apre un ulteriore
procedimento penale a mio carico per il quale già era intervenuta sentenza di
assoluzione per lo stesso fatto. Sorvolo sullo specifico che mi riguarda e qui
continuo a denunciare alla luna le anomalie, così già da me riscontrate molti
anni prima. Nei miei esposti si parlava anche di mancata iscrizione nel registro
generale delle notizie di reato e di omesse comunicazioni sull’esito delle
denunce.
L’ufficio penale
del Tribunale è l’ombelico del disservizio. Non vi è traccia degli atti
regolarmente depositati, sia ufficio su ufficio (per le richieste
dell’ammissione del gratuito patrocinio dall’ufficio del gratuito patrocinio
all’ufficio del giudice competente), sia utenza su ufficio per quanto riguarda
in particolare la lista testi depositata dagli avvocati nei termini perentori.
Per questo motivo è inibito a molti avvocati percepire i diritti per il gratuito
patrocinio prestato, non essendo traccia né delle istanze, né dei decreti
emessi. Nell’udienza del 3 ottobre 2016, per gli avvocati presenti, al
disservizio si è provveduto con una sorta di sanatoria con ripresentazione in
udienza di nuove istanze di ammissione di Gratuito patrocinio e di nuove liste
testi (fuori tempo massimo); per i sostituiti avvocati, invece, ogni diritto è
decaduto con pregiudizio di causa. Non un avvocato si è ribellato e nessuno mai
lo farà, perché mai nessuno in quel foro si è lamentato di come si amministra la
Giustizia e di come ci si abilita. Per quanto riguarda la gestione degli uffici
non si può alludere ad una fantomatica mancanza di personale, essendo l’ufficio
ben coperto da impiegate, oltretutto, poco disponibili con l’utenza.
Io ho già dato per
fare casino, non foss’altro che ormai sono timbrato tra i tarantini come
calunniatore, mitomane o pazzo, facendo arrivare la nomea oltre il Foro
dell’Ingiustizia.
La presente, giusto
per rendere edotti gli ignoranti giustizialisti e sinistroidi in che mani è la
giustizia, specialmente a Taranto ed anche per colpa degli avvocati.
Cane non mangia
cane. E questo a Taranto, come in tutta Italia, non si deve sapere.
Questo il commento
del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger,
youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS che ha
scritto un libro “Tutto su Taranto. Quello che non si osa dire”.
Un’inchiesta di cui nessuno quasi parla.
Si scontrano due correnti di
pensiero. Chi è amico dei magistrati, dai quali riceve la notizia segretata e la
pubblica. Chi è amico degli avvocati che tace della notizia già pubblicata.
"Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il
cadavere del tuo nemico", proverbio cinese. Qualcuno a me disse, avendo indagato
sulle loro malefatte: “poi vediamo se diventi avvocato”...e così fu. Mai lo
divenni e non per colpa mia.
Dei magistrati già
sappiamo. C’è l’informazione, ma manca la sanzione. Non una condanna penale o
civile. Questo è già chiedere troppo. Ma addirittura una sanzione disciplinare.
Canzio: caro Csm,
quanto sei indulgente coi magistrati…,
scrive Giovanni M. Jacobazzi il 19 gennaio 2017 su "Il Dubbio". Per il vertice
della Suprema Corte questo appiattimento verso l’alto è l’esempio che qualcosa
nel sistema di valutazione “non funziona”. La dichiarazione che non ti aspetti.
Soprattutto per il prestigio dell’autore e del luogo in cui è stata pronunciata.
«Il 99% dei magistrati italiani ha una valutazione positiva. Questa percentuale
non ha riscontro in nessuna organizzazione istituzionale complessa». A dirlo è
il primo presidente della Corte di Cassazione Giovanni Canzio che, intervenuto
ieri mattina in Plenum a Palazzo dei Marescialli, ha voluto evidenziare questa
“anomalia” che contraddistingue le toghe rispetto alle altre categorie
professionali dello Stato. La valutazione di professionalità di un magistrato
che era stato in precedenza oggetto di un procedimento disciplinare ha offerto
lo spunto per approfondire il tema, particolarmente scottante, delle “note
caratteristiche” delle toghe. «È un dato clamoroso – ha aggiunto il presidente
Canzio che i magistrati abbiano tutti un giudizio positivo». Questo
appiattimento verso l’alto è l’esempio che qualcosa nel sistema di valutazione
“non funziona” e che necessita di essere “rivisto” quanto prima. Anche perché
fornisce l’immagine di una categoria particolarmente indulgente con se stessa.
In effetti, leggendo i pareri delle toghe che pervengono al Consiglio superiore
della magistratura, ad esempio nel momento dell’avanzamento di carriera o quando
si tratta di dover scegliere un presidente di tribunale o un procuratore, si
scopre che quasi tutti, il 99% appunto, sono caratterizzati da giudizi
estremamente lusinghieri. Ciò stride con le cronache che quotidianamente,
invece, descrivono episodi di mala giustizia. In un sistema “sulla carta”
composto da personale estremamente qualificato, imparziale e scrupoloso non
dovrebbero, di norma, verificarsi errori giudiziari se non in numeri
fisiologici. La realtà, come è noto, è ben diversa. Qualche mese fa, parlando
proprio delle vittime di errori giudiziari e degli indennizzi che ogni anno
vengono liquidati, l’allora vice ministro della Giustizia Enrico Costa, parlò di
«numeri che non possono essere considerati fisiologici ma patologici». Ma il
problema è anche un altro. Nel caso, appunto, della scelta di un direttivo, è
estremamente arduo effettuare una valutazione fra magistrati che presentato le
medesime, ampiamente positive, valutazioni di professionalità. Si finisce per
lasciare inevitabilmente spazio alla discrezionalità. Sul punto anche il vice
presidente del Csm Giovanni Legnini è d’accordo, in particolar modo quando un
magistrato è stato oggetto di una condanna disciplinare. «Propongo al Comitato
di presidenza di aprire una pratica per approfondire i rapporti fra la sanzione
disciplinare e il conferimento dell’incarico direttivo o la conferma
dell’incarico». Alcuni consiglieri hanno, però, sottolineato che l’1% di giudizi
negativi sono comunque tanti. Si tratta di 90 magistrati su 9000, tante sono le
toghe, che annualmente incappano in disavventure disciplinari. Considerato, poi,
che l’attuale sistema disciplinare è in vigore da dieci anni, teoricamente
sarebbero 900 le toghe ad oggi finite dietro la lavagna. Un numero, in
proporzione elevato, ma che merita una riflessione attenta. Il Csm è severo con
i giudici che depositano in ritardo una sentenza ma è di “manica larga” con il
pm si dimentica un fascicolo nell’armadio facendolo prescrivere.
Solo un rimbrotto per il pm che "scorda" l'imputato in galera,
scrive Rocco Vazzana il 30 novembre 2016 su "Il Dubbio". Il Csm ha
condannato 121 magistrati in due anni. Ma si tratta di sanzioni molto leggere.
Centoventuno condanne in più di due anni. È il numero di sanzioni che la Sezione
Disciplinare del Csm ha irrogato nei confronti di altrettanti magistrati. Il
dato è contenuto in un file che in queste ore gira tra gli iscritti alla mailing
list di Area, la corrente che racchiude Md e Movimenti. Su 346 procedimenti
definiti - dal 25 settembre 2014 al 30 novembre 2016 - 121 si sono risolti con
una condanna (quasi sempre di lieve entità), 113 sono le assoluzioni, 15 le
«sentenze di non doversi procedere» e 124 le «ordinanze di non luogo a
procedere». L'illecito disciplinare riguarda «il magistrato che manchi ai suoi
doveri, o tenga, in ufficio o fuori, una condotta tale che lo renda immeritevole
della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o che comprometta il
prestigio dell'ordine giudiziario». Le eventuali condanne hanno una gradazione
articolata in base alla gravità del fatto contestato. La più lieve è
l'ammonimento, un semplice «richiamo all'osservanza dei doveri del magistrato»,
seguito dalla censura, una formale dichiarazione di biasimo. Poi le sanzioni si
fanno più severe: «perdita dell'anzianità» professionale, che non può essere
superiore ai due anni; «incapacità temporanea a esercitare un incarico direttivo
o semidirettivo»; «sospensione dalle funzioni», che consiste nell'allontanamento
con congelamento dello stipendio e con il collocamento fuori organico; fino
arrivare alla «rimozione» dal servizio. C'è poi una sanzione accessoria che
riguarda il trasferimento d'ufficio. Per questo, la sezione Disciplinare può
essere considerata il cuore dell'autogoverno. Perché se il Csm può promuovere
può anche bloccare una carriera: ai fini interni non serve ricorrere alle pene
estreme, basta decidere un trasferimento. E a scorrere il file con le
statistiche sui procedimenti disciplinari salta immediatamente all'occhio un
dato: su 121 condanne, la maggior parte (90) comminano una sanzione non grave
(la censura) e 11 casi si tratta di semplice ammonimento. Le toghe non si
accaniscono sulle toghe. La perdita d'anzianità, infatti, è stata inflitta solo
a dieci magistrati (due sono stati anche trasferiti d'ufficio), mentre sette
sono stati rimossi. Uno solo è stato trasferito d'ufficio senza ulteriori
sanzioni, un altro è stato sospeso dalle funzioni con blocco dello stipendio, un
altro ancora è stato sospeso dalle funzioni e messo fuori organico. Ma il dato
più interessante riguarda le tipologie di illecito contestate. La maggior parte
dei magistrati viene sanzionato per uno dei problemi tipici della macchina
giudiziaria: il ritardo nel deposito delle sentenze, quasi il 40 per cento dei
"condannati" è accusato di negligenze reiterate, gravi e ingiustificate. Alcuni,
però, non si limitano al ritardo: il 4 per cento degli illeciti, infatti,
riguarda «provvedimenti privi di motivazione», come se si trattasse di un
disinteresse totale nei confronti degli attori interessati. Il 23 per cento
delle condanne, invece, riguarda una questione che tocca direttamente la vita
dei cittadini: la ritardata scarcerazione. E in un Paese in cui si ricorre
facilmente allo strumento delle misure cautelari, questo tipo di comportamento
determina spesso anche il peggioramento delle condizioni detentive. Quasi il 10
per cento dei giudici e dei pm è stato sanzionato poi per «illeciti conseguenti
a reato». Solo il 6,6 per cento delle condanne, infine, è motivato da
«comportamenti scorretti nei confronti delle parti, difensori, magistrati, ecc..
».
Truccati anche i
loro concorsi. I magistrati si autoriformino,
scrive Sergio Luciano su “Italia Oggi”. Numero 196 pag. 2 del 19/08/2016. Il
Fatto Quotidiano ha coraggiosamente documentato, in un'ampia inchiesta
ferragostana, le gravissime anomalie di alcuni concorsi pubblici, tra cui quello
in magistratura. Fogli segnati con simboli concordati per rendere identificabile
il lavoro dai correttori compiacenti pronti a inquinare il verdetto per
assecondare le raccomandazioni: ecco il (frequente) peccato mortale. Ma, più in
generale, nell'impostazione delle prove risalta in molti casi – non solo agli
occhi degli esperti – la lacunosità dell'impostazione qualitativa, meramente
nozionistica, che soprattutto in alcune professioni socialmente delicatissime
come quella giudiziaria, può al massimo – quando va bene – accertare la
preparazione dottrinale dei candidati ma neanche si propone di misurarne
l'attitudine e l'approccio mentale a un lavoro di tanta responsabilità. Questo
genere di evidenze dovrebbe far riflettere. E dovrebbe essere incrociato con
l'altra, e ancor più grave, evidenza della sostanziale impunità che la casta
giudiziaria si attribuisce attraverso l'autogoverno benevolo e autoassolutorio
che pratica (si legga, al riguardo, il definitivo I magistrati, l'ultracasta, di
Stefano Livadiotti).
Ora parliamo degli
avvocati. C’è il caso per il quale l’informazione abbonda, ma manca la sanzione.
Un "fiore" da 20mila euro al giudice e il
processo si aggiusta. La proposta
shock di un curatore fallimentare a un imprenditore. Che succede nei tribunali
di Taranto e Potenza? Scrivono di Giusi Cavallo e Michele Finizio, Venerdì
04/11/2016 su “Basilicata 24". L’audio che pubblichiamo, racconta in emblematica
sintesi, le dinamiche, di quello che, da anni, sembrerebbe un “sistema” illegale
di gestione delle procedure delle aste fallimentari. I fatti riguardano, in
questo caso, il tribunale di Taranto. I protagonisti della conversazione
nell’audio sono un imprenditore, Tonino Scarciglia, inciampato nei meccanismi
del “sistema”, il suo avvocato e il curatore fallimentare nominato dal Giudice.
Aste e tangenti, studio legale De
Laurentiis di Manduria nell’occhio del ciclone,
scrive Nazareno Dinoi il 9 e 10 novembre 2016 su “La Voce di Manduria”. C’è il
nome di un noto avvocato manduriano nell’inchiesta aperta dalla Procura della
Repubblica di Taranto sulle aste giudiziarie truccate. Il professionista (che
non risulta indagato), nominato dal tribunale come curatore fallimentare di un
azienda in dissesto, avrebbe chiesto “un fiore” (una mazzetta) da ventimila euro
ad un imprenditore di Oria interessato all’acquisto di un lotto che,
secondo l’acquirente, sarebbero serviti al giudice titolare della pratica
fallimentare. Questo imprenditore che è di Oria, rintracciato e intervistato
ieri da Telenorba, ha registrato il dialogo avvenuto nello studio legale di
Manduria in cui l’avvocato-curatore avrebbe avanzato la richiesta “del fiore” da
20mila euro. Tutto il materiale, compresi i servizi mandati in onda dal TgNorba,
sono stati acquisiti ieri dalla Guardia di Finanza e dai carabinieri di Taranto.
I presunti brogli nella gestione dei fallimenti. «Infangata la giustizia per
scopi elettorali».
Il presidente dell’Ordine degli Avvocati,
Vincenzo Di Maggio,
attacca il M5S: preferisce il sensazionalismo all’impegno per risolvere i
problemi, scrive il 15 novembre 2016 Enzo Ferrari Direttore Responsabile di
"Taranto Buona Sera". «Ma quale difesa di casta, noi come avvocati abbiamo
soltanto voluto dire che il Tribunale non è un luogo dove si ammazza la
Giustizia». Vincenzo Di Maggio, presidente dell’Ordine degli Avvocati, torna
sulla polemica che ha infiammato gli operatori della giustizia negli ultimi
giorni: l’interpellanza di un nutrito gruppo di senatori Cinquestelle su
presunte nebulosità nella gestione delle procedure fallimentari ed esecutive al
Tribunale di Taranto.
«Fallimenti ed esecuzioni, le procedure sono corrette».
Documento delle Camere delle Procedure Esecutive e delle Procedure Concorsuali,
scrive "Taranto Buona Sera” il 10 novembre 2016. Prima l’interrogazione
parlamentare del M5S su presunte anomalie nella gestione delle procedure
fallimentari, a scapito di chi è incappato nelle procedure come debitore; poi il
video della registrazione di un incontro che sarebbe avvenuto tra un
imprenditore, il suo avvocato e un curatore fallimentare. Un video dagli aspetti
controversi e dai contenuti comunque tutti da verificare. Un’accoppiata di
situazioni che ha destato clamore e che oggi fa registrare la netta presa di
posizione della Camera delle Procedure Esecutive Immobiliari e della Camera
delle Procedure Concorsuali. In un documento congiunto, i rispettivi presidenti,
gli avvocati Fedele Moretti e Cosimo Buonfrate, fanno chiarezza a tutela della
onorabilità dei professionisti impegnati come curatori e custodi giudiziari ed
esprimendo piena fiducia nell’operato dei magistrati.
Taranto, rimborsi
non dovuti. Procura indaga sugli avvocati.
Riflettori accesi su 93mila euro spesi tra il 2014 e il 2015 dopo un esposto del
Consiglio, scrive Mimmo Mazza su “La Gazzetta del Mezzogiorno” dell’11 aprile
2016. Finiscono all’attenzione della Procura della Repubblica i conti
dell’Ordine degli avvocati di Taranto. A rivolgersi alla magistratura è stato lo
stesso Consiglio, presieduto da Vincenzo Di Maggio, dopo che sarebbero emerse
irregolarità contabili riguardanti le anticipazioni e i rimborsi alle cariche
istituzionali nell’anno 2014, l’ultimo da presidente per Angelo Esposito, ora
membro dal Consiglio nazionale forense. Il fascicolo è stato assegnato al
sostituto procuratore Maurizio Carbone, l’ipotesi di reato è quella di peculato
essendo l’Ordine degli avvocati ente di diritto pubblico (altrimenti si
procederebbe per appropriazione indebita, ma il pm non sarebbe Carbone in quanto
quest’ultimo fa parte del pool reati contro la pubblica amministrazione). Di
questo se ne è parlato agli inizi, perché l’esposto era dello stesso Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, ma poi nulla si è più saputo: caduto
nell’oblio. Il silenzio sarà rotto, forse, dalla inevitabile prescrizione, che
rinverdirà l’illibatezza dei presunti responsabili.
E poi c’è il caso,
segnalato da un mio lettore, di una eccezionale sanzione emessa dalla
magistratura tarantina e taciuta inopinatamente da tutta la stampa.
La notizia ha tutti
i crismi della verità, della continenza e dell’interesse pubblico e pure non è
stata data alla pubblica opinione.
Il caso di cui
trattasi si riferisce ad un esposto di un cittadino, presentato al Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati di Taranto contro un avvocato di quel foro per
infedele patrocinio, di cui già pende giudizio civile.
Ma facciamo parlare
gli atti pubblicabili.
L’11 maggio 2012
viene presentato l’esposto, il 3 aprile 2013 con provvedimento di archiviazione,
pratica 2292, si emette un documento in cui si dichiara che il Consiglio
dell’Ordine degli avvocati di Taranto delibera la sua archiviazione in quanto
“non risultano elementi a carico del professionista tali da configurare alcuna
ipotesi di infrazione disciplinare”. L’atto è sottoscritto il 17 novembre 2014,
nella sua copia conforme, dall’avv. Aldo Carlo Feola, Consigliere Segretario.
Mansione che il Feola ricompre da decenni.
Fin qui ancora
tutto legittimo e, forse, anche, opportuno.
E’ successo che,
con procedimento penale 2154/2016 R.G.N.R. Mod. 21, il 3 ottobre 2016
(depositata il 6) il Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
di Taranto, dr Maurizio Carbone, chiede il Rinvio a Giudizio dell’avv. Aldo
Carlo Feola, difeso d’ufficio, “imputato del delitto di cui all’art. 476 c.p.
(falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici), perché, in
qualità di Consigliere con funzione di Segretario del Consiglio dell’Ordine
degli Avvocati di Taranto, rilasciava copia conforme
all’originale della delibera datata 3
aprile 2013 del Consiglio, con la quale si disponeva di non dare luogo ad
apertura di procedimento disciplinare nei confronti dell’avv. Addolorata Renna,
con conseguente archiviazione dell’esposto presentato nei suoi confronti da
Blasi Giuseppe. Provvedimento di archiviazione risultato in realtà inesistente e
mai sottoscritto dal Presidente del Consiglio dell’Ordine di Taranto. In Taranto
il 17 novembre 2014.”
Il Giudice per le Indagini Preliminari, con proc. 6503/2016, il 21 novembre 2016
fissa l’Udienza Preliminare per il 12 dicembre 2016 e poi rinvia per il Rito
Abbreviato per il 10 aprile 2017 con interrogatorio dell’imputato ed audizione
del teste, con il seguito.
Il Giudice per l’Udienza Preliminare, dr. Pompeo Carriere, il 16 ottobre 2017
con sentenza n. 945/2017 “dichiara Feola Aldo Carlo colpevole del reato
ascrittogli, e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, e applicata la
diminuente per la scelta del rito abbreviato, lo condanna alla pena di cinque
mesi e dieci giorni di reclusione, oltre al pagamento delle spese del
procedimento. Pena sospesa per cinque anni, alle condizioni di legge, e non
menzione. Visti gli artt. 538, 539, 541 c.p.p., condanna Feola Aldo Carlo al
risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in
separato giudizio, nonché alla rifusione delle spese processuali dalla medesima
sostenute, che si liquidano in complessivi euro 3.115,00 (tremilacentoquindici)
oltre iva e cap come per legge”.
Da quanto scritto è evidente che ci sia stata da parte della stampa una certa
ritrosia dal dare la notizia. Gli stessi organi di informazione che sono molto solerti
ad infangare la reputazione dei poveri cristi, sennonchè non ancora dichiarati
colpevoli.
Travaglio: “I
giornali a Taranto non scrivono nulla perchè sono comprati dalla pubblicità”.
“E’ vero, ma non per tutti…” Lettera aperta al direttore de IL FATTO QUOTIDIANO,
dopo il suo intervento-show al Concerto del 1 maggio 2015 a Taranto, di
Antonello de Gennaro del 2 maggio 2015 su "Il Corriere del Giorno". "Caro
Travaglio, come non essere felice nel vedere Il Fatto Quotidiano, quotidiano
libero ed indipendente da te diretto, occuparsi di Taranto? Lo sono anche io, ma
nello stesso tempo, non sono molto soddisfatto della tua “performance” sul palco
del Concerto del 1° maggio di Taranto. Capisco che non è facile leggere il
solito “editoriale”, senza il solito libretto nero che usi in trasmissione
da Michele Santoro, abitudine questa che deve averti indotto a dire delle
inesattezze in mezzo alle tante cose giuste che hai detto e che condivido.
Partiamo da quelle giuste. Hai centrato il problema dicendo: “A Taranto i
giornali non scrivono nulla perchè sono comprati dalla pubblicità”. E’ vero e
lo provano le numerose intercettazioni telefoniche contenute all’interno degli
atti del processo “Ambiente Svenduto” e per le quali il Consiglio di Disciplina
dell’Ordine dei Giornalisti di Puglia tergiversa ancora oggi nel fare chiarezza
sul comportamento dei giornalisti locali coinvolti, cercando evidentemente di
avvicinarsi il più possibile alla prescrizione amministrativa dei procedimenti
disciplinari e salvarli”.
Comunque, a parte i
distinguo di rito dalla massa, di fatto, però, nessuno di questa sentenza ne ha
parlato.
In conclusione,
allora, va detto che si è fatto bene, allora, ad indicare la notizia della
condanna del Consigliere Segretario del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di
Taranto, come un fatto tra quelli che a Taranto son si osa dire…
Chi dice Terrone è solo un coglione. La
sperequazione inflazionata di un termine offensivo come nota caratteristica di
un popolo fiero. L’approfondimento del dr Antonio Giangrande. Scrittore,
sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione
Contro Tutte le Mafie, che sul tema ha scritto “L’Italia Razzista” e “Legopoli”.
Sui media spopola il termine “Terrone”. Usato
dai razzisti del centro Nord Italia in modo dispregiativo nei confronti degli
italiani del Sud Italia ed usati dai deficienti meridionali come caratteristica
di vanto.
«Non è un reato dare dei terroni ai terroni,
indi per cui i terroni sono terroni, punto. Arrivano dalla Terronia, terra di
mezzo», diceva al telefono, parlando di un calabrese, una delle campionesse
della Capitale Morale, quella Maria Paola Canegrati che smistava affarucci e
mazzette per appalti nella Sanità, per circa 400 milioni di euro, a quanto è
venuto fuori sinora. Naturalmente, lady Mazzetta, non sa che, invece, dire
“terrone” con l'intento di offendere, è reato: ci sono sentenze, anche della
Cassazione. Ma a lei deve sembrare un'ingiustizia! «Che cazzo ti devo dire, se
adesso è un reato dare del terrone a un terrone, a 'sto punto qui io voglio
diventare cittadina omanita»...., scrive Pino Aprile il 22 febbraio 2016.
«Io litigioso? È vero, ma sono migliorato… Mi
chiamavano terun, africa, baluba, altro che non incazzarsi…» Dice Teo Teocoli in
un intervista a Gian Luigi Paracchini il 22 luglio 2016 su "Il Corriere della
Sera".
Gli opinionisti del centro Italia “po’
lentoni” (lenti di comprendonio, anche se oggi l’epiteto, equivalente a
“Terrone”, da rivolgere al settentrionale è “Coglione”) su tutti i media la
menano sulla terronialità. Cioè l’usare il termine “terrone” come una parola
neutra. Come se fossero un po’ tutti leghisti.
Scandali e le mani della giustizia sulla Lega
Padania. Come tutti. Più di tutti. I leghisti continuano a parlare, anziché
mettersi una maschera in faccia per la vergogna. Su di loro io, Antonio
Giangrande, ho scritto un libro a parte: “Ecco a voi i leghisti: violenti,
voraci, arraffoni, illiberali, furbacchioni, aspiranti colonizzatori. Non
(ri)conoscono la Costituzione Italiana e la violano con disprezzo”. Molti di
loro, oltretutto, sono dei meridionali rinnegati. Terroni e polentoni: una
litania che stanca. Terrone come ignorante e cafone. Polentone come mangia
polenta o, come dicono da quelle parti, po’ lentone: ossia lento di
comprendonio. Comunque bisognerebbe premiare per la pazienza il gestore della
pagina Facebook “Le perle di Radio Padania”, ovvero quelli che per fornire una
“Raccolta di frasi, aforismi e perle di saggezza dispensate quotidianamente
dall’emittente radiofonica “Radio Padania Libera” sono costretti a sentirsela
tutto il giorno. Una gallery di perle pubblicate sulla radio comunitaria che
prende soldi pubblici per insultare i meridionali.
Si perde se si rincorre il Sud come passato,
si vince se il Sud è vissuto oggi come consapevolezza di non poterne fare a
meno. Accettare di essere comunque meridionale e non terrone a qualunque
latitudine. Il treno porta giù, un altro mezzo ti può portare in qualunque altro
luogo senza farti dimenticare chi sei e da dove vieni. A chi appartieni? Così si
dice al Sud quando ti chiedono chi sia la tua famiglia. È un'espressione
meravigliosa: si appartiene a qualcuno, si appartiene anche ai luoghi che vivono
dentro di te.
Essere orgogliosi di essere meridionali. Il
meridionale non è migrante: è viaggiante con nostalgia e lascia il cuore nella
terra natia.
Ciononostante i nordisti, anziché essere
grati al contributo svolto dagli emigrati meridionali per il loro progresso
sociale ed economico, dimostrano tutta la loro ingratitudine.
Mutuiamo il titolo del libro di Lino Patruno
“Alla riscossa Terroni” e “Terroni” di Pino Aprile per farne un motivo di
orgoglio meridionale che deve portarci ad invertire una tendenza che data 150
anni. Non rivendichiamo un passato di benessere del Meridione, rivendichiamo un
presente migliore per un Sud messo alle corde.
I terroni nascono anche a Gemonio e nelle
valli bergamasche, scrive "L'Inkiesta" il 6 aprile 2012. Leggendo le cronache,
ma, soprattutto, vedendo le immagini, relative al marciume che sta venendo a
galla dai sottoscala leghisti, mi par che si possa dire una grande verità:
l'aggettivo spregiativo "terrone" non si può appioppare solo ai meridionali, ma,
con grande precisione, anche ai miei conterronei nordici. Devo dire la verità.
Io - nordico e fieramente antileghista da molto tempo - che le storie di Roma
ladrona, dell'uccello duro, del barbarossa, dell'ampolla sul diopò (che, a dire
il vero, mi par più una saracca che un rito), di riti celtici, di fazzolettini
verdi come il moccio, erano tutte una rozza e ignorante presa per il culo per
ammansire i buoi e farsi in comodo i sollazzi propri, ne ero convinto da tempo.
Da ben prima che si svegliassero i soliti magistrati (verrà il giorno, in questo
paese dei matocchi, che qualche rivoluzione la farò il popolo?), bastava un po'
di fiuto per capire che il sottobosco era questo. Ma le vedete le facce del
cerchio magico? Ma avete presente la pacchianità della villa di Gemonio? E poi,
la priorità alla "family", come la più bieca usanza del troppo noto familismo
amorale, perchè parlare di "famigghia" era troppo terrone. Ma il dato è che
questi sono - culturalmente, esteticamente e antropologicamente - terroni.
Perchè terrone, per me, non è un epiteto riferibile a una provenienza geografica
I.G.P.; è uno stile deteriore di rappresentarsi, chiuso, retrivo, in cui il
dialetto non è cultura, ma rozzume esibito con orgoglio (e questo vale tanto per
i napoletani, quanto per i veneti), in cui prevale la logica del clan su quella
della civile società, in cui si deve fare sfoggio dell'ignoranza perchè questo è
"popolare". Terrone è un ignorante retrogrado, cafone, ineducato. Con il
risultato che il Bossi e la family sprofondano, il terronismo impera e un
peloso, stantio e pietistico meridionalismo riprende fiato. Grazie Bossi, grazie
leghisti: avete ucciso non solo la dignità del nord, ma anche la speranza vera
che una riforma moderna di questo paese, tenuto insieme con una scatarrata, si
potesse fare. Ah, dimenticavo. Se qualcuno mi dovesse dire "parla lui, di
ignoranza presentata con orgoglio.
Da che pulpito vien il sermone!", dico: "Non
perdete tempo in analisi: son diverso e me ne vanto. Si vuol che dica che sono
ignorante e delinquente. Bene lo sono, in un mondo di saccenti ed onesti
mafiosi, sono orgoglioso di esser diverso. Cosa concludere, di fronte a
tali notizie di carattere storico? Questo: trovo triste che i nostri bravi
leghisti rinneghino le proprie radici arabe, albanesi, meridionali,
mediterranee. Da loro, così orgogliosi della Tradizione, non me lo aspettavo.
Anzi dirò di più. Buon per loro avere origini meridionali, perchè ad essere
POLENTONI si rischia di avere una considerazione minore che essere TERRONE.
Secondo Wikipedia Il termine polentone è un
epiteto, con una connotazione negativa, utilizzato per indicare gli abitanti
dell'Italia settentrionale. Origine e significato. Letteralmente significa
mangiatore di polenta, un alimento, questo, storicamente molto diffuso nella
cucina povera dell'Italia settentrionale. Fino ai primi anni del XX secolo,
infatti, la polenta rappresentava l'alimento base, se non esclusivo, delle
popolazioni del nord Italia (Lombardia, Veneto, Piemonte ecc.) con conseguenze
nefaste sulla salute di molti soggetti spesso vittime della pellagra. Polentone,
come stereotipo linguistico, ha assunto, quindi, un significato spregiativo, e
sta ad indicare una persona zotica un pò lenta di comprendonio (po' lentone). Il
termine si è inserito nella dialettica campanilistica fra abitanti del nord e
del sud della penisola, essendo usato in contrapposizione all'appellativo
terrone: ambedue le parole hanno connotazioni antietniche, tese a rimarcare una
asserita inferiorità etnica e culturale. Lo stesso epiteto è utilizzato in Val
Padana, soprattutto in Lombardia (pulentùn), per indicare una persona lenta e
dai movimenti goffi e impacciati.
Analisi dei termini offensivi. Il termine
polentone è un epiteto, con una connotazione negativa, utilizzato dagli abitanti
dell'Italia meridionale per indicare gli abitanti dell'Italia settentrionale,
scrive Wikipedia. Letteralmente significa mangiatore di polenta, un alimento,
questo, storicamente molto diffuso nella cucina povera dell'Italia
settentrionale. Fino ai primi anni del XX secolo, infatti, la polenta
rappresentava l'alimento base, se non esclusivo, delle popolazioni del nord
Italia (Lombardia, Veneto, Piemonte ecc.) purtroppo con conseguenze nefaste
sulla salute di molti soggetti spesso vittime della pellagra, anche se li ha
salvati da tante carestie alimentari. Polentone, come stereotipo linguistico, ha
assunto, quindi, un significato spregiativo nell'Italia del Sud, e sta ad
indicare una persona zotica. Il termine si è inserito nella dialettica
campanilistica fra abitanti del nord e del sud della penisola, essendo usato in
contrapposizione all'appellativo terrone: ambedue le parole hanno connotazioni
antietniche, tese a rimarcare una asserita inferiorità etnica e culturale, anche
se spesso usate solo in modo bonario. Lo stesso epiteto è utilizzato in Val
Padana, soprattutto in Lombardia (pulentùn), per indicare una persona lenta di
comprendonio (tonta) e dai movimenti goffi e impacciati.
La Padania o Patanìa (lett. Terra dei
Patanari, coltivatori di patate) si estende in tutte le regioni del nord Italia:
dalla Val d'Aosta alla Toscana fino al Friuli Venezia Giulia. È facile collocare
geograficamente la Patanìa vera e pura: si traccia una retta che attraversa
interamente il Po, passando rigorosamente al centro, perché solo la parte nord
del Po è padana. La Padania si definisce anche Barbaria, cioè terra di barbari.
Il mito di una terra popolata da eroi celtici, circondata da terribili barbari
di matrice slava, è il concetto su cui si basa la Lega Nord. Trascurabile il
dettaglio che un tempo la Padania fosse abitata da un'accozzaglia di popoli
oltre ai Celti.
Terrone è un termine della lingua italiana,
utilizzato dagli abitanti dell'Italia settentrionale e centrale come spregiativo
per designare un abitante dell'Italia meridionale, talvolta anche in senso
semplicemente scherzoso, scrive Wikipedia. In passato il termine era utilizzato
con un altro significato e valenza; solo nel corso degli anni sessanta ha
acquisito il senso attuale. Con il termine "terrone" (da teróne, derivazione di
terra) si indicava nel XVII secolo un proprietario terriero, o meglio un
latifondista. Già tra le Lettere al Magliabechi, l'erudito bibliotecario Antonio
Magliabechi (1633-1714) il cui lascito, i cosiddetti Codici Magliabechiani
costituiscono un prezioso fondo della Biblioteca Nazionale di Firenze, scriveva
(CXXXIV -II - 1277): «Quattro settimane sono scrissi a Vostra Signoria
illustrissima e l'informai del brutto tiro che ci fanno questi signori teroni di
volerci scacciare dal partito delle galere, contro ogni equità e giustizia, già
che ho lavorato tant'anni per terminarlo, e ora che vedano il negozio buono, lo
vogliono per loro». Il termine in seguito fu utilizzato per denominare chi era
originario dell'Italia meridionale e con particolare riferimento a chi emigrava
dal Sud al Nord in cerca di lavoro, al pari dei nordici milanesi, etichettati
come baggiani, che emigravano nelle valli del Bergamasco, come menzionato da
Alessandro Manzoni. Il termine si diffuse dai grandi centri urbani dell'Italia
settentrionale con connotazione spesso fortemente spregiativa e ingiuriosa e,
come altri vocaboli della lingua italiana (quali villano, contadino, burino e
cafone) stava per indicare "servo della gleba" e "bracciante agricolo" ed era
riferita agli immigrati del meridione. Gli immigrati venivano quindi
considerati, sia pure a livello di folklore, quasi dei contadini
sottosviluppati. Il termine, che deriva evidentemente da "terra" con un suffisso
con valore d'agente o di appartenenza (nel senso di persona appartenente
strettamente alla terra) è stato variamente interpretato come frutto di incrocio
fra terre (moto) e (meridi)one, come "mangiatore di terra" parallelamente a
polentone, "mangiapolenta", cioè l'italiano del nord; come "persona dal colore
scuro della pelle, simile alla terra" o anche come "originario di terre soggette
a terremoti" ("terre matte", "terre ballerine"). Il suo maggiore utilizzo data
comunque essenzialmente agli anni sessanta e settanta e limitatamente ad alcune
zone del nord Italia, in seguito alla forte ondata di emigrazione di lavoratori
e contadini del meridione d'Italia in cerca di lavoro verso le industrie del
nord e in particolare del triangolo industriale (Genova – Milano – Torino). In
tale ambito si spiega anche la diffusione del termine: storicamente, grossi
movimenti di popolazioni hanno sempre portato con sé anche fenomeni di
intolleranza o razzismo più o meno larvati. Successivamente, allo stesso modo è
sorta la locuzione "terrone del nord", generalmente per indicare gli italiani
del nord-est (principalmente i veneti, detti "boari"), che per ragioni simili
cominciarono negli stessi anni ad emigrare verso il nord-ovest, venendo così
accomunati agli emigranti meridionali. Il riconoscimento di terrone come insulto
e non come termine folkloristico è un processo che storicamente ha subito molte
battute d'arresto e incomprensioni, probabilmente dovute al fatto che solo una
parte della popolazione italiana ne riconosceva pienamente la gravità e il suo
carattere offensivo. La Corte di Cassazione ha ufficialmente riconosciuto che
tale termine ha un'accezione offensiva, confermando una sentenza del Giudice di
Pace di Savona e confermando che la persona che l'aveva pronunciata dovesse
risarcire la persona offesa dei danni morali. Spesso vengono associati a questo
epiteto caratteristiche personali negative, tra le quali ignoranza, scarsa
voglia di lavorare, disprezzo di alcune norme igieniche e soprattutto civiche.
Analogamente, soprattutto in alcune accezioni gergali, il termine ha sempre più
assunto il significato di "persona rozza" ovvero priva di gusto nel vestire,
inelegante e pacchiana, dai modi inurbani e maleducata, restando un insulto
finalizzato a chiari intenti discriminatori. Inoltre vengono spesso associati al
termine anche tratti somatici e fisici, come la carnagione scura, la bassa
statura, le gote alte, caratteristiche fisiche storicamente preponderanti al Sud
rispetto al Nord Italia.
In conclusione c’è da affermare che bisogna
essere orgogliosi di essere meridionali. Il meridionale non è migrante: è
viaggiante con nostalgia e lascia il cuore nella terra natia.
Chi proferisce ingiurie ad altri o a se
stesso con il termine terrone non resta che rispondergli: SEI SOLO UN COGLIONE.
Si evade il fisco più al Nord che al Sud. E’
uno dei dati che emerge dal rapporto sulla lotta all’evasione redatto dal
Ministero dell’Economia e delle Finanze. Secondo Padoan, la somma totale delle
principali imposte evase (Iva, Ires, Irpef e Irap) ammonta a 91 miliardi. Il 52%
di questa cifra si attesta dunque nel Settentrione, contro i 24 miliardi del
centro (26% del totale) e i 19,8 miliardi del Meridione (22%). Il dato è
influenzato dal maggior reddito nazionale del Nord. Soprattutto, scrivono i
tecnici del Tesoro, la rabbrividire la percentuale di verifiche sulle imprese
che trova irregolarità fiscali: è 98,1% tra le grandi, al 98,5% sulle medie e al
96,9% sulle Pmi. Il record tocca agli enti non commerciali, il 99,2% non è in
regola. 100% di `positività´ i controlli sugli atti soggetti a registrazione. Ad
ogni modo, l’evasione effettiva ‘pizzicata’ dall’Agenzia delle Entrate nel 2013,
ha rilevato il Mef, ammonta a 24,5 miliardi. La maggiore imposta accertata è
così salita dell’87% in sette anni, rispetto ai 13,1 miliardi del 2006. Un
numero in calo rispetto agli anni 2009-2012 e soprattutto rispetto al picco di
30,4 miliardi del 2011.
LA BALLA DELLA SPEREQUAZIONE FINANZIARIA
DELLE REGIONI DEL NORD A FAVORE DI QUELLE DEL SUD.
In Regione Lombardia non tornano 54 miliardi
di tasse versate. (Lnews - Milano 06 settembre 2017). "La Lombardia è la regione
che versa più tasse allo Stato ricevendo, in cambio, meno trasferimenti in
termini di spesa pubblica. In questi anni, infatti, il residuo fiscale della
Lombardia ha raggiunto la cifra record di 54 miliardi (fonte: Eupolis
Lombardia). Si tratta del valore in assoluto più alto tra tutte le regioni
italiane. Un'immensità anche a livello europeo se si pensa che due regioni tra
le più industrializzate d'Europa come la Catalogna e la Baviera hanno
rispettivamente un residuo fiscale di 8 miliardi e 1,5 miliardi". Lo scrive una
Nota pubblicata oggi dal sito lombardiaspeciale.regione.lombardia.it.
RESIDUO FISCALE - "Con il termine residuo
fiscale - spiega la Nota - s'intende la differenza tra quanto un territorio
verso allo Stato sotto forma di imposte e quanto riceve sotto forma di spesa
pubblica. Se il residuo fiscale abbia segno positivo, il territorio versa più di
quanto riceve; se c'è un residuo negativo il territorio riceve più di quanto
versa. Secondo James McGill Buchanan Jr, premio Nobel per l'Economia nel 1986,
cui si attribuisce la paternità della definizione, il trattamento che lo Stato
riserva ai cittadini può considerarsi equo se determina residui fiscali minimi
in capo a individui, a prescindere dal territorio nel quale risiedono.
Differenze marcate denotano una violazione dei principi di equità basilari".
I DATI PER REGIONE - "Dopo la Lombardia -
appunta il teso - si colloca l'Emilia Romagna, con un residuo fiscale di 18.861
milioni di euro. Seguono Veneto (15.458 mln), Piemonte (8.606 mln), Toscana
(5.422 mln), Lazio (3.775 mln), Marche (2.027 mln), Bolzano (1.100 mln), Liguria
(610 mln), Friuli Venezia Giulia (526 mln), Valle d'Aosta (65 mln). In coda alla
classifica: Umbria (-82 mln), Molise (-614 mln), Trento (-249 mln), Basilicata
(-1.261 mln), Abruzzo (-1.301 mln), Sardegna (-5.262 mln), Campania (-5.705
mln), Calabria (-5.871 mln), Puglia (-6.419 mln) e Sicilia (-10.617 mln)".
IL DATO PRO CAPITE - Anche per quanto
riguarda il residuo fiscale pro capite, la Lombardia presenta i valori più alti
d'Italia, con 5.217 euro. Seguono Emilia Romagna (4.239), Veneto (3.141),
Provincia Autonoma di Bolzano (2.117), Piemonte (1.950), Toscana (1.447), Marche
(1.310), Lazio (641), Valle d'Aosta (508), Friuli Venezia Giulia (430), Liguria
(386), Umbria (-92), Provincia Autonoma di Trento (-464), Campania (-974),
Abruzzo (-979), Puglia (-1.572), Molise (-1.963), Sicilia (-2.089), Basilicata
(-2.192), Calabria (-2.975) e Sardegna (-3.169)", spiega la Nota pubblicata.
Da sempre i giornali e le tv nordiste,
spalleggiate dagli organi d’informazione stataliste, ce la menano sul fatto che
ci sia un grande disavanzo finanziario tra le regioni del centro-nord ricco e le
regioni povere del sud Italia. I conti, fatti in modo bizzarro, rilevano che il
centro-nord paga molto di più di quanto riceva e che la differenza vada in
solidarietà a quelle regioni che a loro volta sono votate allo spreco ed al
ladrocinio. A fronte di ciò, i settentrionali, hanno deciso che è meglio
tagliare quel cordone ombelicale e lasciar cadere quella zavorra che è il sud
Italia. Ed il referendum secessionista è stato organizzato per questo, facendo
leva sull’ignoranza della gente.
Ora facciamo degli esempi scolastici che si
studiano negli istituti tecnici commerciali, per dimostrare di quanta malafede
ed ignoranza sia propagandato questo referendum.
Una partita iva, persona o società, registra
in contabilità la gestione e versa tasse, imposte e contributi nel luogo della
sede legale presso cui redige i suoi bilanci semplici o consolidati (gruppi
d’impreso con un capogruppo).
Il Centro-Nord Italia, con la Lombardia ed il
Lazio in particolare, è territorio privilegiato per eleggere sede legale
d’azienda, per la vicinanza con i mercati europei. Dove c’è sede legale vi è
iscrizione al registro generale dell’imprese. Ergo: sede di versamento fiscale
che alimenta quei numeri, oggetto di nota della Regione Lombardia. Quei dati,
però, spesso, nascondono la ricchezza prodotta al sud (stabilimenti, appalti,
manodopera, ecc.), ma contabilizzata al nord.
E’ risaputo che nel centro-nord Italia hanno
stabilito le loro sedi legali le più grandi aziende economiche-finanziarie
italiane e lì pagano le tasse. Il Sud Italia è di fatto una colonia di mercato.
Di là si produce merce e lavoro (e disinformazione), di qua si consuma e si
alimenta il mercato.
E’ risaputo che le aziende del centro nord
appaltano i grandi lavori pubblici, specialmente se le aziende del sud Italia le
fanno chiudere con accuse artefatte di mafiosità.
E’ risaputo che al nord il costo della vita è
più caro e questo si trasforma proporzionalmente in reddito maggiorato rispetto
ai cespiti collegati, come quelli immobiliari.
Il residuo fiscale era tollerato e
l’assistenzialismo era alimentato, affinchè il mercato meridionale non cedesse e
le aziende del nord potessero continuare a produrre beni e servizi e ad
alimentare ricchezza nell’Italia settentrionale, condannando il sud ad un
perenne sottosviluppo e terra di emigrazione.
Oggi lo Stato centralista assorbe tutta la
ricchezza nazionale prodotta e l'assistenzialismo si è bloccato, ma il sud
Italia continua ad essere un mercato da monopolizzare da parte delle aziende del
Centro-Nord Italia. Una eventuale secessione a sfondo razzista-economica votata
dai nordisti sarebbe un toccasana per i meridionali, che imporrebbero diversi
rapporti commerciali, imponendo dei dazi od altre forme di limitazioni alle
merci del nord. Il maggior costo di beni e servizi del nord Italia favorirebbe
la nascita nel sud Italia di aziende, favorite economicamente dal minor costo
della mano d’opera del posto e delle spese di trasporto e logistica locale.
Inoltre quello che produce il centro nord è acquisibile su altri mercati. Quello
che si produce al Sud Italia è peculiare e da quel mercato, per forza, bisogna
attingere e comprare...
Quindi, viva il referendum…secessionista
A votare per questo
referendum sono andati i mona. Questo l'ha detto lei, ma è vero". Risponde così
il 24 ottobre 2017 all'intervistatore del programma Morning Showdi di Radio
Padova il milanese Oliviero Toscani, il noto fotografo già protagonista, nel
recente passato, di polemiche sui "veneti popolo di ubriaconi". "Sono andati a
votare quattro contadini - rincara la dose - che non parlano neanche
l'italiano". E ancora: "Nelle campagne la gente è isolata, incestuosa e vota
queste cagate qua". Per lo stesso Toscani, invece, a non votare è stata "la
minoranza intellettuale". Così il fotografo, maestro della provocazione, ritorna
ad aprire una ferita solo apparentemente chiusa che aveva portato a querele
all'epoca degli “imbriagoni”. Nell'intervista radiofonica sui referendum ha
anche evidenziato un confronto con la Lombardia dove la percentuale di voto è
stata minore. «Non a caso Milano - ha rilevato - è la prima città d'Italia per
intellighenzia, e non a caso Milano è una città piena di immigrati. Milano è
fatta così, è civile. Mentre i contadini là, che non parlano neanche italiano,
cosa vuoi che votino?».
Paradosso sanità: il Sud paga più tasse
perché i pazienti devono andare al Nord per curarsi.
La mobilità sanitaria passiva ha un impatto enorme sui bilanci delle strutture
meridionali. E le Regioni così devono aumentare le aliquote e chiudere
strutture, scrive Gloria Riva il 18 gennaio 2018 su "L'Espresso". La distanza
fra Catanzaro e Milano la si può calcolare in chilometri, sono 1.159, o in anni
di vita in meno, che sono quattro. E in generale la prospettiva di vita in
Calabria è molto più simile a quella di Romania o Bulgaria, mentre al Nord si
sta come in Svezia. Tutto questo nonostante i cittadini del settentrione
spendano in media 1.961 euro a testa per la sanità pubblica, quelli del Sud
1.799 e quelli del Centro 1.928 euro. Insomma, i quattrini da sborsare sono più
o meno gli stessi, ma c'è un divario di assistenza sanitaria. Torniamo in
Calabria: qui ogni cittadino sborsa 1.875 euro l'anno per la sanità pubblica, di
cui 126 euro se ne vanno per pagare il conto presentato da altre Regioni, spesso
del Nord, dove i compaesani calabresi sono andati a curarsi. Già, perché nel
2016 il 40,7 per cento dei malati di cancro della Calabria ha scelto l'ospedale
di un'altra regione per curarsi. Dall'altro lato la Lombardia ha visto arrivare
da fuori regione quasi 17 mila malati oncologici nei propri
ospedali. Quell'immigrazione sanitaria consente ai lombardi di spendere “solo”
1.877 euro per una sanità d'eccellenza, risparmiandone 54, pagati appunti dai
migranti in cerca di cure. Francesco Masotti è un dirigente sanitario
dell'azienda sanitaria provinciale di Cosenza ed è anche segretario della Cgil
Medici, a L'Espresso racconta la storia del commissariamento della sanità
calabrese, iniziato nel 2010 e mai terminato: «Siamo al terzo piano di rientro e
pare che i conti siano in peggioramento di oltre 30 milioni di euro», tutta
colpa di inaspettate poste in bilancio che il commissario Massimo Scura si trova
a dover contabilizzare per via di dimenticati debiti pregressi, contenziosi
finanziari risalenti a 10 anni fa, recuperi di tariffe mai ritoccate ed esplose
in questi ultimi anni, e poi saldi per la mobilità passiva. Rieccola,
la mobilità passiva, il grande buco che attanaglia la sanità calabrese e non
solo, che da sola si mangia il 65 per cento delle finanze locali. Secondo il
rapporto Cergas Bocconi sullo stato di salute del Sistema Sanitario
Nazionale, la Calabria da sola genera l'otto per cento dei viaggi sanitari verso
altre regioni e un paziente su sei si ricovera fuori regione generando un debito
per le tasche dei calabresi di 304 milioni. Una voragine. Succede perché il
conto delle cure negli ospedali del Nord viene presentato alla regione Calabria.
E visto che l'Italia da 17 anni si è dotata di un sistema federale per la
sanità, ogni Regione, attraverso l'Irpef e l'Irap, cioè le tasse pagate dai
lavoratori e dalle aziende, deve riuscire a coprire le spese per curare i propri
cittadini. Ma non tutte ce la fanno. Va da sé che le Regioni con meno
occupazione e povere di industria sono entrate subito in affanno e i sistemi
sanitari locali sono stati ben presto commissariati. Per rimettersi in sesto,
s'è provveduto a chiudere gli ospedali, ridurre i posti letto e bloccare
l'assunzione di nuovi medici e infermieri, al punto che in queste regioni il
personale è crollato del 15 per cento. Lo stesso è successo per i livelli
essenziali di assistenza: «Il dato della Campania è davvero allarmante perché,
rispetto al 2014 le performance si sono ridotte di oltre 30 punti. Ma ci sono
peggioramenti anche in Puglia, Molise e Sicilia», si legge nell'indagine Cergas
Bocconi, che continua spiegando come il piano di risanamento dei conti della
sanità sia ancora in atto in cinque Regioni: Abruzzo, Molise, Campania, Calabria
e il Lazio che dovrebbe presto uscirne dopo un decennio lacrime e sangue. Mentre
la Calabria sembra lontanissima dal traguardo e «ci apprestiamo a entrare nel
quarto programma di rientro. Il che significa altri tagli per il sistema
sanitario calabrese, già ridotto all'osso. Ne usciremo mai?», si domanda
Masotti, che spiega come il disavanzo venga pagato con un aumento delle tasse,
dell'Irap e dell'Irpef. Arrivando a situazioni assurde, per cui un operaio di
Varese versa l'1,58 di aliquota Irpef per la sanità, il suo collega di Gioia
Tauro paga di più, l'1,73, ma poi «va in Lombardia a curarsi». Anche perché in
Campania negli 10 anni sono andati in pensione 4.500 operatori - medici e
infermieri - mai sostituiti. Ed è stata predisposta la chiusura di una miriade
di piccoli ospedali, «a cui nessuno si è opposto, perché tutti ritenevamo
fossero pericolosi per il cittadino e per gli operatori sanitari», dice il
medico, che aggiunge: «Quei luoghi di cura non sono mai stati riconvertiti in
presidi per il territorio». Insomma, la Calabria si trova nel limbo e secondo
Masotti «poco o nulla è stato fatto, nonostante un progetto già finanziato dalla
comunità e partito sei anni fa, per la costruzione di 20 Case della salute. Solo
una è stata realizzata», afferma Masotti. Dunque, se prima del commissariamento
la sanità calabrese era costosa perché vaporizzata in una miriade di piccoli
ospedali poco efficienti, dopo la stretta economica è andata anche peggio,
perché all'inefficienza si è aggiunta la penuria di strutture e di personale.
Così i cittadini hanno perso qualsiasi fiducia nell'assistenza locale, hanno
fatto le valigie e scelto di andarsi a curare altrove. Il paradosso è che tutto
questo ha un costo altissimo per le aziende del territorio, «che per coprire i
conti in rosso della sanità devono pagare più tasse che altrove». Infatti in
Calabria, ma anche in altre Regioni come Marche, Lazio, Abruzzo, Molise,
Campania, Puglia e Sicilia le aziende pagano più del 3,9 per cento di Irap. E
anche il bollo auto, in molte di queste zone, costa più che al Nord. Insomma,
più tasse e meno servizi. Il tipico cane che si morde la coda.
Un referendum da presa per il culo.
Il 22 ottobre 2017 si chiede ai cittadini
interessati. “Volete essere autonomi e tenere per voi tutto l’incasso?” E’
logico che tutti direbbero sì, senza distinzione di ideologia o natali. Ed i
quorum raggiunti sono fallimentari tenuto conto dell’interesse intrinseco del
quesito.
Specialmente, poi, se è stato enfatizzato
tanto dai giornali e le tv del Nord, comprese quelle di Berlusconi.
“Al di là dell’enorme spreco di soldi
pubblici per organizzare due referendum buoni solo a fare un po’ di propaganda
elettorale a spese dei contribuenti, ha evidenziato il trionfo dell’egoismo di
chi è più ricco e pensa di poter vivere meglio mantenendo sul territorio le
risorse derivante dalle imposte dopo aver beneficiato per decenni di aiuti
statali e del sostegno dello Stato”. Lo ha detto il consigliere regionale dei
Verdi della Campania, Francesco Emilio Borrelli, per il quale “la Lega ha
mostrato, ancora una volta, il suo vero volto che è fatto di odio verso il Sud e
i meridionali”.
“Così come ha ricordato anche Prodi, chiedere
ai cittadini se vogliono pagare meno tasse ancora una volta a danno dei
meridionali è come un invito a nozze che non si può rifiutare, ma il problema è
che, per chiederlo, in questo caso, Zaia e Maroni hanno speso milioni di euro di
soldi pubblici per farlo” ha aggiunto Borrelli chiedendo ai cittadini lombardi e
veneti: “Visto come sprecano i vostri soldi e come hanno speso, in passato,
quelli, sempre pubblici, per il finanziamento ai partiti, siete proprio sicuri
di volergliene affidare ancora di più?” “La Regione Campania viene privata ogni
anno di 250 milioni di euro che vengono sottratti ai servizi sanitari e ai
nostri concittadini perché considerata la regione più giovane d’Italia e grazie
a una norma introdotta dai governatori leghisti e mai tolta” ha continuato
Borrelli, sottolineando che “ogni anno la sola Campania viene depredata di
centinaia di milioni di euro di fondi che invece vengono destinati al ricco Nord
senza alcuna reale motivazione”. “La Rampa” 23 ottobre 2017.
In Italia conviene non fare nulla e non avere
nulla, perché se hai o fai si fotte tutto lo Stato, per dare il tuo, non a chi è
bisognoso, ma a chi non sa o non fa un cazzo. Cioè ai suoi amici o ai suoi
scagnozzi professionisti corporativi.
L’Italia uccisa dai catto-comunisti, scrive
Andrea Pasini il 30 ottobre 2017 su “Il Giornale”. Il comunismo ha ucciso
l’Italia. “Max Horkheimer fornì d’altra parte, al termine della sua vita, con
una sorprendete confessione, la spiegazione di questa incapacità di analisi da
parte dei membri della scuola di Francoforte: riconobbe infatti con dolore che
il marxismo aveva preparato il Sistema, che esso ne era responsabile allo stesso
titolo dell’ideologia liberale borghese, in quanto la sua visione del mondo si
fonda ugualmente su un progetto mondiale economicista e messianico”. Guillaume
Faye, all’interno dello scritto "Il sistema per uccidere i popoli", recentemente
ripubblicato dai tipi di Aga Editrice, ha fotografato l’evolversi delle idee
forti provenienti dal diciannovesimo secolo. Loro ci odiano, odiano il nostro
Paese, ma guardandosi allo specchio non possono fare a meno di odiarsi a loro
volta. Una spirale senza fine, laddove astio, animosità ed acredini bruciano la
base solida di questa nazione. Vittorio Feltri, in un animoso e vitale articolo
apparso qualche anno fa sulle colonne di Libero, scrisse: “Gli stessi comunisti
si vergognano di esserlo stati, ma la mentalità pauperistica è rimasta e non ha
cessato di provocare danni. Risultato: in Italia è impossibile fare impresa o
artigianato, aprire un’azienda, essere liberi professionisti senza essere
considerati sfruttatori, evasori fiscali se non addirittura ladri”.
Proprio per questo motivo, ogni giorno, metto
in campo tutte le mie energie al fine di stoppare, innanzitutto fisicamente, un
oblio vertiginoso. Anche questo è il mio dovere in qualità di imprenditore. Lo
Stato è in pericolo, la franata negli ultimi decenni è stata infausta. Ma
davanti al fatalismo che attanaglia i popoli dobbiamo mettere in campo la nostra
fede. Gli uomini di fede, uomini animati da un ardire che non conosce limiti,
fanno paura ai catto-comunisti colpevoli di aver ridotto in cenere le speranze
del domani. L’avvenire non sarà mai rosso di colore. Tornando ai piedi dello
scrittore francese Faye leggiamo: “Gli intellettuali confessano, come Débray o
Lévy, di fare oramai solamente della morale e non importa più che la loro verità
si opponga alla realtà. La ragione ammette di non aver più ragione”. Il
paradosso del marxismo 160 anni dopo. La ragione aveva torto scomodando, il
sempre attuale, Massimo Fini. Ora conta credere, ciò che importa è come e quello
che si fa per invertire la rotta, per non perdere il timone. Il Paese suona il
corno e ci chiama a raccolta. Impossibile, a pochi giorni dal centenario di
Caporetto, non rispondere, con tutto il proprio animo in tensione, presente.
In questo rimpallo, tra menti eccelse, contro
il dominio sinistrato del presente e del futuro passiamo, nuovamente, la palla a
Feltri: “E anche lo Stato, influenzato da alcuni partiti di ispirazione
marxista, non aiuta con tutta una serie di vincoli burocratici, lacci e
lacciuoli. E i sindacati hanno completato l’opera, contribuendo ad avvelenare i
rapporti tra datore di lavoro e dipendenti, trasformando le fabbriche in luoghi
d’odio e di lotta violenta, per umiliare i padroni e il personale non
ideologizzato”. La storia non scorre più è tutto fermo nella mente dei
retrogradi. Si avvinghiano alla legge Fiano i talebani di quest’epoca, per fare
il verso a "Il Primato Nazionale", dimenticandosi dei problemi reali
dell’Italia. Burocrati, sordidi e grigi, in doppio petto che accoltellano il
ventre molle dello stivale, una carta bollata dopo l’altra. Alzare lo sguardo e
tornare a cantare, davanti alle manette rosse della coscienza, non è facile, ma
abbiamo il compito di tornare a farlo. Considerando il detto, “il lupo perde il
pelo, ma non il vizio”, associandolo con le profetiche lezioni di Padre Tomas
Tyn, scopriamo che il comunismo non è sparito, anzi si è rafforzato ed ha
trovato gli alleati nei cattolici “non praticanti”. Potrà sembrare un’assurdità,
invece è la mera realtà.
L’indiscutibile commistione di progressismo e
comunismo, spesso umanitario ed accatto, ha creato con l’unione di un
cattolicesimo snaturato una via collegata direttamente con i diritti civili, che
non interseca, mai e poi mai, la sua strada con i diritti sociali. Aborto,
divorzio, pacs, dico, unioni civili, matrimoni gay e chi più ne ha più ne metta.
Fanno tutto ciò che non serve per gli italiani, fanno tutto ciò che non serve
per difendere le fasce deboli della nazione. Tanti nostri connazionali hanno
abbracciato il nemico, sono diventati uno di loro, per questo dobbiamo
denunciare gli errori di chi sfida il tricolore e salvare la Patria. Il peccato,
originale e capitale, è insito nell’ideologia marxista e rappresenta il male che
sta distruggendo il nostro Paese, senza dimenticare il liberismo a tutti i costi
della generazione Macron.
Milano, il paradosso: se la pena è la stessa
per il giudice corrotto e per chi ha rubato una bottiglia di vino. Un noto
avvocato, che ha svenduto sentenze tributarie in contenziosi da milioni di euro,
grazie a vari sconti di pena ha concordato 4 anni in Appello. Quasi la stessa
pena, 3 anni e 8 mesi, patteggiata in Tribunale per un reato da 8 euro, scrive
Luigi Ferrarella il 30 ottobre 2017 su "Il Corriere della Sera”. Il problema è
quando la combinazione dell’algebra giudiziaria, del tutto aderente alle regole,
stride al momento di tirare la riga e, come risultato, fa patteggiare 3 anni e 8
mesi a chi ha rubato al supermercato una bottiglia di vino da 8 euro, mentre chi
ha svenduto sentenze tributarie in contenziosi da milioni di euro esce dalla
Corte d’Appello condannato a poco più: e cioè a pena concordata di 4 anni,
ridotta rispetto ai 6 anni e 10 mesi del primo grado, che grazie allo sconto del
rito abbreviato aveva già ridimensionato i teorici 10 anni iniziali. Luigi
Vassallo è l’avvocato cassazionista che, nelle vesti di giudice tributario di
secondo grado, alla vigilia di Natale 2015 fu fermato in flagranza di reato a
Milano mentre intascava i primi 5.000 dei 30.000 euro chiesti ai legali di una
multinazionale per intervenire su una collega di primo grado e «aggiustare» un
contenzioso da milioni di euro. Due «corruzioni in atti giudiziari» nel giudizio
immediato, e una «corruzione» e una «induzione indebita» nel successivo giudizio
ordinario, lo avevano indotto ad accordarsi con il Fisco per 140.00 euro e a
scegliere il rito abbreviato, il cui automatico sconto di un terzo gli aveva
abbassato la prima sentenza a 4 anni e 8 mesi, e la seconda a 2 anni e 2 mesi.
Per un totale, cioè un cumulo materiale, di 6 anni e 10 mesi. Ora in Appello
arriva - come contemplato dalla recente legge in cambio del risparmio di tempo e
risorse in teoria legato alla rinuncia difensiva a far celebrare il dibattimento
di secondo grado - un altro sconto di un terzo, e si aggiunge già alla limatura
di pena dovuta alla «continuazione» tra le 4 imputazioni delle due sentenze di
primo grado riunite in secondo grado. Alla vigilia dell’udienza, dunque,
l’avvocato Fabio Giarda rinuncia ai motivi d’appello diversi dal trattamento
sanzionatorio, a fronte del sì del pg Massimo Gaballo all’accordo su una pena di
4 anni, ratificato dalla II Corte d’Appello presieduta da Giuseppe Ondei. Undici
mesi Vassallo li fece in custodia cautelare (fra carcere e domiciliari), sicché
non appare irrealistico l’agognato tetto dei 3 anni di pena da eseguire, sotto i
quali potrà chiedere di scontarla in affidamento ai servizi sociali senza
ripassare dal carcere. In Tribunale, invece, da detenuto arriva e da detenuto va
via (senza sospensione condizionale della pena e senza attenuanti generiche) un
altro imputato che nello stesso momento patteggia 3 anni e 8 mesi – quasi la
stessa pena del giudice tributario – per aver rubato da un supermercato una
bottiglia di vino da 8 euro e mezzo: il fatto però che avesse dato una spinta al
vigilantes privato che all’uscita gli si era parato davanti, minacciandolo
confusamente («non vedi i tuoi figli stasera») e agitando un taglierino, ha
determinato il passaggio dell’accusa da «furto» a «rapina impropria», la cui
pena-base è stata inasprita dai vari decreti-sicurezza, tanto più per chi come
lui risulta «recidivo» a causa di due vecchi furti. Per ridurre i danni, il
patteggiamento non scende a meno di 3 anni e 8 mesi. Quasi un anno di carcere
per ogni 2 euro di vino.
“La
gente non legge, non sa, ma sceglie, decide e parla”.
Intervista al sociologo storico Antonio
Giangrande, autore di un centinaio di saggi che parlano di questa Italia
contemporanea, analizzandone tutte le tematiche, divise per argomenti e per
territorio.
Dr Antonio Giangrande di cosa si occupa
con i suoi saggi e con la sua web tv?
«Denuncio
i difetti e caldeggio i pregi italici. Perché non abbiamo orgoglio e dignità per
migliorarci e perché non sappiamo apprezzare, tutelare e promuovere quello che
abbiamo ereditato dai nostri avi. Insomma, siamo bravi a farci del male e
qualcuno deve pur essere diverso!»
Perché dice che “La gente non legge, non
sa, ma sceglie, decide e parla”.
«Libri,
6 italiani su dieci non leggono. In Italia poi si legge sempre meno. Siamo
tornati ai livelli del 2001. Un dato resta costante da decenni: una famiglia su
10 non ha neppure un libro in casa. I dati pubblicati dall’Istat fotografano
l’inesorabile diminuzione dei lettori, con punte drammatiche al Sud. Impietoso
il confronto con l’estero, scrive il 27 dicembre 2017 Cristina Taglietti su "Il
Corriere della Sera". La gente usa esclusivamente i social network per
informarsi tramite lo smartphone od il cellulare. Non usa il personal computer
perchè non ha la fibra in casa che ti permette di ampliare più comodamente e
velocemente la ricerca e l'informazione. La gente, comunque, non va oltre alla
lettura di un tweet o di un breve post, molto spesso un fake nato dall'odio o
dall'invidia, e lo condivide con i suoi amici. Non verifica o approfondisce la
notizia. Non siamo nell'era dell'informazione globale, ma del "passa parola"
totale. Di maggiore impatto numerico, invece, è la ricerca sui motori di
ricerca, non di un tema o di un argomento di cultura o di interesse generale, ma
del proprio nome. Si digita il proprio nome e cognome, racchiuso tra virgolette,
per protagonismo e voglia di notorietà e dalla ricerca risulta quanti siti web
lo citano. Non si aprono quei siti web per verificare il contenuto. Si fermano
sulla prima frase che appare sulla home page di Google o altri motori similari,
estrapolata da un contesto complesso ed articolato. Senza sapere se la
citazione è diffamatoria o meritoria o riconducibile all'autore da lì partono
querele, richieste di rimozione per diritto all’oblio o addirittura indifferenza».
Ha un esempio da fare sull’impedimento ad
informare?
«Esemplari
sono le querele e le richieste di rimozione. Libertà di informazione, nel 2017
minacciati 423 giornalisti. I dati dell'osservatorio promosso da Fnsi e Ordine.
La tipologia di attacco prevalente è l'avvertimento (37 per cento), scrive il 31
dicembre 2017 "La Repubblica". Ognuno di questi operatori dell'informazione è
stato preso di mira per impedirgli di raccogliere e diffondere liberamente
notizie di interesse pubblico. La tipologia di attacco prevalente è stata
l'avvertimento (37 per cento) seguita dalle querele infondate e altre azioni
legali pretestuose (32 per cento)».
E sull’indifferenza…
«Le
faccio leggere un dialogo tra me e un tizio che mi ha contattato. Uno dei tanti
italiani che non si informa, ma usa internet in modo distorto. Uno di quel
popolo di cercatori del proprio nome sui motori di ricerca e che vive di tweet e
post. Un giorno questo tizio mi chiede “Lei ha scritto quel libro?”
E' un saggio - rispondo io. - L'ho scritto e
pubblicato io e lo aggiorno periodicamente. A tal proposito mi sono occupato di
lei e di quello che ingiustamente le è capitato, parlandone pubblicamente, come
ristoro delle sofferenze subite, pubblicando l'articolo del giornale in cui è
stato pubblicato il pezzo. Inserendolo tra le altre testimonianze. Comunque ho
scritto anche un libro sul territorio di riferimento. Come posso esserle utile?
“Volevo giusto capire, io mi sono imbattuto
per caso nell'articolo, cercando il mio nome... E sotto l'articolo ho visto un
link che mi collegava al suo saggio...Capire più che altro perché prendere
articoli di giornale su altra gente e farne un saggio... Sono solo curiosità”.
E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi
non ha arte né parte - spiego io. - I letterati, che non siano poeti, cioè
scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere
“C’era una volta...” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo
il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti
querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere
saggisti e scrivere “C’è adesso...” e parlare di cose reali con nomi e cognomi.
Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e
del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di
scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra. Quando si parla di veri
scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che fece il primo
saggista mondiale. In generale. Dico, in generale: io non esprimo mie opinioni.
Prendo gli articoli dei giornali, citando doverosamente la fonte, affinchè non
vi sia contestazione da parte dei coglioni citati, che siano essi vittime, o che
siano essi carnefici. Perchè deve sapere che i primi a lamentarsi sono proprio
le vittime che io difendo attraverso i miei saggi, raccontando tutto quello che
si tace.
"Siccome io le ho detto mi sono solo
imbattuto per "caso"... Io ho visto questa cosa e sinceramente l'ho letta perché
ho visto il mio nome, ma se dovessi prendere il suo saggio e leggerlo non lo
farei mai. Perché: Cerco di lavorare ogni giorno con le mie forze. I miei
aggiornamenti sono tutt'altro. Faccio tutto il possibile per offrirmi un futuro
migliore. Sono sempre impegnato e non riuscirei a fermarmi due minuti per
leggere".
Rispetto la sua opinione - rispondo. - Era la
mia fino ai trent'anni. Dopo ho deciso che è meglio sapere ed essere che avere.
Quando sai, nessuno ti prende per il culo...
"Ma per le cose che mi possono interessare
per il mio lavoro e il mio futuro nessuno mi può prendere per il culo ... Poi è
normale che in ogni campo ci sia l'esperto…"»
Come commenta...
«Confermo
che quando sai, nessuno ti prende per il culo. Quando sai, riconosci chi ti
prende per il culo, compreso l’esperto che non sa che a sua volta è stato preso
per il culo nella sua preparazione e, di conseguenza sai che l’esperto,
consapevole o meno, ti potrà prendere per il culo».
Comunque rimane la soddisfazione di quei quattro italiani su dieci che leggono.
«Sì,
ma leggono cosa? I più grandi gruppi editoriali generalisti, sovvenzionati da
politica ed economia, non sono credibili, dato la loro partigianeria e
faziosità. Basta confrontare i loro articoli antitetici su uno stesso fatto
accaduto. Addirittura, spesso si assiste, sulle loro pagine, alla scomparsa dei
fatti. Di contro troviamo le piccole testate nel mare del web, con giornalisti
coraggiosi, ma che hanno una flebile voce, che nessuno può ascoltare. Ed allora,
in queste condizioni, è come se non si avesse letto nulla».
Concludendo?
«La
gente non legge, non sa, ma sceglie, decide e parla...e vota. Nel paese degli
Acchiappacitrulli, più che chiedere voti in cambio di progetti, i nostri
politici sono generatori automatici di promesse (non mantenute), osannati da
giornalisti partigiani. Questa gente che non legge, non sa, ma sceglie, decide e
parla, voterà senza sapere che è stata presa per il culo, affidandosi ai
cosiddetti esperti. I nostri politici gattopardi sono solo mediocri
amministratori improvvisati assetati di un potere immeritato. Governanti sono
coloro che prevedono e governano gli eventi, riformando ogni norma intralciante
la modernità ed il progresso, senza ausilio di leggi estemporanee ed
improvvisate per dirimere i prevedibili imprevisti».
L'informazione sulla politica? In Italia è
troppo di parte (per 6 lettori su 10).
I risultati di una ricerca del Pew Research Center di Washington in 38 Paesi:
l'Italia è tra gli Stati dove la fiducia nell'imparzialità dell'informazione
politica è più bassa. Per sette giovani su 10 è la Rete il luogo principale dove
trovare notizie, scrive Giuseppe Sarcina, corrispondente da Washington, il 11
gennaio 2018 su "Il Corriere della Sera". Solo il 36% degli italiani pensa che
giornali, televisioni e siti web riportino in modo accurato le diverse posizioni
politiche. Tra i Paesi occidentali solo gli spagnoli, con il 33%, e i greci, con
il 18%, sono più critici. (In fondo all'articolo, la classifica completa). È uno
dei risultati emersi dallo studio del Pew Research Center di Washington, appena
pubblicato. Una ricerca di grande impegno, condotta dal 16 febbraio al 8 maggio
2017, raccogliendo 41.953 risposte in 38 Paesi.
Precisione e attendibilità. In tempi di «fake
news» (qui la guida di Milena Gabanelli e Martina Pennisi), gli analisti del Pew
Center hanno chiesto quanto siano considerati precisi, attendibili i media sui
temi della politica. Tra gli Stati occidentali spiccano le percentuali di chi
approva il lavoro di stampa e tv nei Paesi Bassi (74%), in Canada (73%) e in
Germania (72%). Segue il gruppo intermedio con Svezia (66%) Regno Unito (52%),
Francia (47%). Italia, Spagna e Grecia sono in coda. Negli Stati Uniti, già
provati da un anno di presidenza di Donald Trump, il 47% degli interpellati
apprezza il modo in cui vengono trattate le notizie politiche.
Meglio sugli Esteri. I numeri cambiano, anche
sensibilmente, su altri quesiti. In Italia, per esempio, il 46% considera
accurata l’informazione che riguarda l’azione di governo; il 60% quella sui
principali eventi mondiali. In generale, considerando tutti i Paesi, il 75% del
campione non considera accettabile un’informazione apertamente schierata su una
posizione politica e il 52% promuove i media.
Per 7 giovani su 10 l'informazione è in Rete.
Interessante anche il capitolo sulle news online. Si parte da un esito scontato,
(i giovani si informano su Internet), per arrivare a compilare una classifica
sul gap tra le diverse fasce di età tra gli utenti del web. Al primo posto il
Vietnam, dove l’84% dei giovani tra i 18 e i 29 anni consulta la rete almeno una
volta al giorno, contro solo il 10% degli ultra cinquantenni (gap pari al 74%).
L’Italia è al terzo posto: 70% di giovani e 25% di navigatori oltre i
cinquant’anni (gap del 45%). Gli Stati Uniti sono il Paese dove le distanze
generazionali sono più ridotte: il 48% del pubblico più anziano consulta
Internet, contro il 69% dei più giovani.
DUE PESI E DUE MISURE. Nicola Porro: "Fake
news? No: se le scrive Repubblica, il giornale progressista",
scrive il 28 Novembre 2017 "Libero Quotidiano". "Le fake news sono tali solo se
non riguardano un tema politicamente corretto e non sono scritte a titoli
cubitali...", scrive Nicola Porro sul suo profilo Twitter. Repubblica,
sottolinea il vicedirettore de Il Giornale, "a pagina 4 sparava con grande
evidenza un numero impressionante: 6.788.000. E la didascalia recitava: Italiane
tra i 16 e i 70 anni che hanno subito qualche forma di violenza pari al 31,6%".
Peccato che questa notizia sia assolutamente "falsa, doppia come un gettone. Il
tutto a corredo di un pezzo che chiede maggiori risorse contro il
femminicidio: cioè maggiori tasse per far sì che una donna su tre (così spiega
la didascalia) non debba più subire ignobili violenze". Quel numero, continua
Porro, "è un macigno" e "il giornale antibufale per eccellenza, e
cioè Repubblica", non ci dice "da dove esce". Bene, continua Porro, "nasce da un
rapporto Istat del 2015 su dati del 2014", e "non si tratta di un dato puntuale,
ma di un sondaggio. Cioè non ci sono 6,7 milioni di donne che hanno denunciato o
lamentato o raccontato una violenza. C’è un sondaggio su un campione di 24.761
donne". Proprio così. Non solo, "si dice che il 31,6% delle donne italiane
subisce violenza". Ma la maggior parte di loro subisce quella psicologica:
il 22% della popolazione nazionale secondo l'Istat, e cioè 4,4 milioni su 6,7
milioni delle loro stime, si lamenta solo della violenza psicologica e non già
di quella fisica. Grave comunque, ma ci sarà una differenza tra l’una e
l’altra".
Firenze, le fake news dei giornali sugli
stupri inventati. Diversi quotidiani
nazionali hanno pubblicato la notizia: A Firenze nel 2016 false 90% delle
denunce per violenza sessuale. Il questore smentisce, scrive Domenico Camodeca,
Esperto di Cronaca l'11 settembre su "it.blastingnews.com". “Tutte le
studentesse americane in Italia sono assicurate per lo stupro e a #Firenze su
150-200 denunce all’anno, il 90% risulta falso”. È questo il passaggio
incriminato, privo di virgolette nella versione originale, di un articolo
apparso il 9 settembre scorso sui quotidiani La Stampa e Il Secolo XIX, a
margine di una intervista al ministro della Difesa, Roberta Pinotti, sui fatti
legati all’ancora presunto stupro di Firenze. Anche altre testate, tra cui Il
Messaggero, Il Gazzettino e Il Mattino (o, almeno, questa la ricostruzione fatta
dalla giornalista del Fatto Quotidiano Luisiana Gaita) hanno poi rilanciato la
notizia che, però, si è rivelata essere una #Fake News, una bufala insomma. A
smentire i Media ci ha pensato il questore di Firenze Alberto Intini: “Secondo
la banca dati della polizia solo 51 denunce per#violenza sessuale nel 2016 e,
nei primi 9 mesi del 2017, solo 3 da parte di ragazze americane”. Di fronte alla
presunta fake news smascherata, Stampa e Secolo decidono di non mollare,
virgolettano la frase da loro pubblicata e la attribuiscono a una non meglio
precisata “fonte istituzionale attendibile”, anche se coperta dal segreto
professionale. Dunque, a Firenze, nel 2016, ci sono state tra le 150 e le 200
denunce per violenza sessuale (reato che va dal palpeggiamento al vero e proprio
stupro), oppure solo 51?. E poi, è vero che le denunce presentate dalle donne
americane sarebbero false per il 90%? Sostenitori della prima tesi sono, come
detto, le redazioni di Stampa e Secolo le quali, nella nota apparsa
successivamente in calce al pezzo contestato, spiegano che “i dati cui fa
riferimento la fonte non sono nelle statistiche ufficiali perché non sono ancora
confluiti nei database Istat”. Una pezza di appoggio abbastanza fumosa che,
infatti, il procuratore di Firenze Intini contraddice fornendo i numeri
provenienti dalla banca dati della polizia. Per non parlare dell’altra fake news
che tutte le studentesse Usa in Italia sarebbero assicurate contro lo stupro
Infatti, come ha spiegato anche Gabriele Zanobini, avvocato delle due ragazze
protagoniste della vicenda, l’assicurazione stipulata dalle donne americane che
si recano in Italia è generica e comprende ogni tipo di incidente o aggressione
in cui si può incorrere.
«Denzel Washington sostiene Trump», la
bufala su Facebook. Ennesimo caso di
propaganda veicolata da American News, sito che posta contenuti falsi per
orientare il dibattito. L’attore trasformato in un supporter del presidente
eletto, scrive Marta Serafini su “Il Corriere della Sera” il 16 dicembre 2016.
Tanto Denzel Washington risponde ad un giornalista che gli chiedeva un’opinione
sulle fake news e sul ruolo dell’informazione moderna. Se non leggi i giornali
sei disinformato, se invece li leggi sei informato male. Quindi cosa dovremo
fare? chiede il giornalista, Washington replica: “Bella domanda. Quali sono gli
effetti a lungo termine di troppa informazione? Una delle conseguenze è il
bisogno di arrivare per primi, non importa più dire la verità. Quindi qual è la
vostra responsabilità? Dire la verità, non solo arrivare per primi, ma dire la
verità. Adesso viviamo in una società dove l’importante è arrivare primi. “Chi
se ne frega? Pubblica subito” Non ci interessa a chi fa male, non ci interessa
chi distrugge, non ci interessa che sia vero. Dillo e basta, vendi! Se ti alleni
puoi diventare bravo a fare qualsiasi cosa. Anche a dire stronzate” tuona il
celebre attore e regista.
I giornalisti professionisti si chiedono
perché è in crisi la stampa. Le loro ovvie risposte sono:
Troppi giornalisti (litania pressa pari pari
dalle lamentele degli avvocati a difesa dello status quo contro le nuove leve);
Troppi pubblicisti;
Troppa informazione web;
Troppi italiani non leggono.
La risposta invece è: troppo degrado
intellettuale degli scribacchini e troppi “mondi di informazione”. Quando si
parla di informazione contemporanea non si deve intendere in toto “Il Mondo
dell’Informazione”, quindi informazione secondo verità, continenza-pertinenza ed
interesse pubblico, ma “I Mondi delle Informazioni”, ossia notizie partigiane
date secondo interessi ideologici (spesso di sinistra sindacalizzata) od
economici. Insomma: quanto si scrive non sono notizie, ma opinioni! I
lettori non hanno più l’anello al naso e quindi, diplomati e laureati, sanno
percepire la disinformazione, la censura e l’omertà. In questo modo si rivolgono
altrove per dissetare la curiosità e l’interesse di sapere. I pochi giornalisti
degni di questo titolo sono perseguitati, perchè, pur abilitati (conformati),
non sono omologati.
FAKE NEWS, GIORNALI E MORALISMI SENZA PIÙ
NOTIZIE, scrive Alessandro Calvi il
22 dicembre 2017 su "Stati Generali". Certo, il problema sono le fake news;
eppure, si dovrebbe dire anche dell’informazione di carta, di certe sue
degenerazioni; o forse oramai è tardi, forse l’informazione è già morta e quello
pubblicato dalla Stampa mercoledì 22 novembre – «La notizia è falsa, ma la
riflessione sopravvive» – ne è il perfetto necrologio. Quella frase l’ha scritta
Mattia Feltri dopo aver chiesto scusa ai lettori per aver costruito un pezzo su
una notizia poi rivelatasi falsa; e però quella chiusa – «La notizia è falsa, ma
la riflessione sopravvive» – sembra dirci che i giornali oramai ritengono di
poter fare a meno di fatti e notizie, accontentandosi delle opinioni, anche di
quelle costruite su notizie false; il necrologio del giornalismo, appunto. La
storia è piuttosto semplice. Feltri aveva dedicato una puntata della sua rubrica
«Buongiorno» alla notizia secondo cui una bimba di 9 anni sarebbe andata in
sposa a un uomo di 45 anni e poi da questo sarebbe stata violentata; tutto si
sarebbe svolto nella comunità musulmana di Padova. Ebbene, dopo aver spiegato
che di questo genere di storie si conosce poco o nulla poiché «avvengono dentro
comunità chiuse, regolate dalla connivenza, persuase di essere nel giusto per
volere divino», Feltri ricordava la «battaglia opportuna […] sebbene un po’
scomposta, un po’ genericamente recriminatoria» contro «i Weinstein e i Brizzi
di tutto il mondo» e concludeva: «Tanta agitazione per ragazze indotte o
costrette a concedersi in cambio di una carriera nel cinema è comprensibile e
condivisibile, ma tanto silenzio per donne e bambine sequestrate a vita, in
cambio di niente, è spaventoso». Ecco: peccato che alla fine sia uscito fuori
che la storia della sposa bambina era falsa. A Feltri non è restato che
ammettere l’errore e chiedere scusa, non rinunciando però ad affermare che,
sebbene la notizia fosse falsa, «la riflessione sopravvive». E invece no: ché,
anzi, a sopravvivere è semmai tutto quell’apparato fatto di notazioni e
coloriture – «tanta agitazione» o «battaglia opportuna […] sebbene un po’
scomposta» – il quale, al venir meno dei fatti, si rivela per quello che è: una
semplice impalcatura ideologica, forse persino un po’ infastidita da quella
«battaglia opportuna […] sebbene un po’ scomposta». Tuttavia, il problema non è
certo Feltri al quale piuttosto si dovrebbe riconoscere d’essere un gran signore
avendo fatto ciò che pochi fanno: ammettere l’errore e chiedere scusa. D’altra
parte, capita a tutti di sbagliare, soprattutto se ogni giorno – ogni giorno! –
si è costretti a trarre una morale dalle notizie, con metodo oramai quasi
industriale; è capitato anche al più inossidabile, al più inarrestabile, tra i
dispensatori di morali e opinioni, Massimo Gramellini; la ricostruzione che
fornì Alessandro Gilioli sull’Espresso di uno di questi errori – e di mezzo c’è
sempre una fake news presa per buona – vale la lettura. Ma, appunto, il problema
non è l’errore in sé, poiché l’errore può capitare. Il problema, sta invece
nell’essere oramai diventata accettabile – tanto che non s’è visto alzarsi
neppure un sopracciglio – un’affermazione come quella secondo cui «la notizia è
falsa, ma la riflessione sopravvive». Il problema riguarda una idea di
giornalismo che sembra prescindere dai fatti, per cui le opinioni oramai
precedono la cronaca la quale spesso trova spazio soltanto se è in grado di
confermare le opinioni, altrimenti se ne fa a meno, poiché comunque «la
riflessione sopravvive». Il problema sta insomma nel fatto che l’informazione è
stata da tempo ridotta a mero dispensario di opinioni, anche senza più fatti a
sostegno. Di recente, sugli Stati Generali, è stato pubblicato un intervento
– «Se noi giornalisti siamo sempre meno credibili, ci sarà un perché» – di Fabio
Martini, anch’egli giornalista del quotidiano La Stampa, col quale non si può
che concordare. E, peraltro, da queste parti si è ragionato spesso sulla crisi
del giornalismo, e in particolare sulle conseguenze della marginalizzazione
della cronaca. Lo si era fatto ad esempio prendendo spunto da fatti drammatici,
come le stragi delle quali i quotidiani quasi non danno più notizia, e si era
fatto lo stesso anche a partire da vicende più vicine, come il mancato racconto
dell’agonia del lago di Bracciano. Di recente lo si è fatto a proposito di come
l’informazione ha trattato le vicende di Ostia e del Virgilio. Comunque sia, il
tema è sempre lo stesso: dai primi anni Novanta la cronaca inizia a essere
massicciamente sostituita da altro, in particolare dai retroscena; e questo
cambia tutto: cambia l’informazione e cambia anche il rapporto tra giornali e
potere. «Sulle pagine dei giornali – si perdonerà l’autocitazione da
quell’articolo che prendeva a pretesto la vicenda di Ostia per parlare di
giornalismo – si affacciano sempre più massicciamente spifferi di Palazzo,
brogliacci, verbali. Sembra che il lettore, attraverso la lettura di un verbale
riportato pedissequamente dai giornali, possa essere immerso dentro la notizia
senza più filtri né mediazioni. Sembra una rivoluzione. È invece l’esatto
opposto. Per farsene una idea, basterebbe chiedersi chi dirige il traffico, chi
sceglie quali verbali far uscire e quali spifferi lasciar trapelare. Ecco: per
lo più, sono le fonti a stabilirlo, se non altro perché sono le fonti che
conoscono a fondo il contesto. Insomma, sostituendo lo spazio della cronaca con
il retroscena e rarefacendo sempre più il tradizionale lavoro di inchiesta
giornalistica, i giornali si sono disarmati e consegnati alle fonti, quindi al
potere». Il passaggio dalla cronaca al retroscena, e l’affermarsi progressivo
delle opinioni sui fatti, finisce per trasformare anche la scrittura dei
giornali. Il linguaggio della cronaca diventa sempre più simile a quello degli
editoriali, intessuto di pedagogismi e di toni moralisticheggianti che non
dovrebbero trovare spazio nel resoconto di un fatto. Anche questo contribuisce
ad allentare il rapporto con la realtà, finendo per trasformare la cronaca –
quando ancora trova spazio in pagina – in un racconto di maniera che non dice
più molto del mondo. E non è ancora tutto. In questi giorni sono usciti in
libreria due libri – non uno, due! – che Michele Serra ha dedicato alla rubrica
che da anni cura per Repubblica, «L’amaca». In quello dei due che costituisce
l’esegesi dell’altro, Serra scrive che gli anni nei quali iniziò a scrivere
corsivi – «gli anni della post-ideologia», afferma – non erano più quelli di
Fortebraccio e della sua ferrea faziosità. In realtà, rispetto all’epoca di
Fortebraccio stava cambiando soprattutto il contenitore nel quale il corsivo
veniva collocato: stavano cambiando i giornali e stava cambiando persino il
giornalismo. Prima, informazione era per lo più il resoconto di un fatto e
quindi aveva un senso l’esistenza di editoriali e corsivi; poi, con la
marginalizzazione della cronaca e l’editorializzazione dell’intero giornale, i
corsivi finiscono annegati in un mare di opinioni senza più cronaca, poiché,
come s’è appena visto, la cronaca ha lasciato il posto al retroscena il quale ha
a sua volta contribuito all’avvicinamento della informazione al potere
attraverso il disarmo nei confronti delle fonti. In questo contesto, anche la
funzione dei corsivi finisce per essere stravolta rispetto all’epoca di
Fortebraccio: e il rischio permanente è che si passi dal graffio contro il
potere al moralismo che accarezza lo stato delle cose e che massaggia il potere
o la pancia dei lettori. Imboccata questa strada – sostituita la cronaca con il
retroscena, scollegata l’informazione dai fatti, ridottala a ragionamento che
può essere persino basato su una notizia falsa, stravolta infine la funzione dei
corsivi – i giornali si sono ridotti a raccontare sempre meno le cose del mondo
e per questo hanno sempre meno lettori e sono sempre più in crisi. A sentire chi
i giornali li fa, però, il problema sarebbe soprattutto quello delle fake news o
della rete che ruba lettori. E quindi si finisce per ritenere che la soluzione
per recuperare lettori e credibilità sia quella di differenziarsi dalla rete,
lasciando alla stessa rete il notiziario e concentrandosi ancor di più sulle
opinioni. Lo ha spiegato piuttosto chiaramente il direttore di Repubblica Mario
Calabresi presentando la nuova veste del giornale, scrivendo di aver addirittura
«raddoppiato lo spazio per le analisi e i commenti». Bene. Ma davvero abbiamo
bisogno di tutte queste opinioni? Possibile che si abbia tutta questa sfiducia
nella capacità dei lettori – sempre che ai lettori si raccontino anche i fatti –
di formarsi da sé una opinione? Non sarà, infine, che a forza d’andar dietro
alle opinioni si stia rischiando di rendere ancor più flebile il rapporto tra
giornali e fatti, oltre a quello oramai quasi evanescente tra giornali e
lettori? Lo dirà il tempo. Tuttavia, proprio nel giorno in cui Calabresi
annunciava il raddoppio delle analisi e dei commenti, la
nuova Repubblica esordiva in edicola con una grande intervista al premier
spagnolo Rajoy firmata dallo stesso Calabresi e posta in apertura di edizione.
Quello stesso giorno, gli altri giornali raccontavano come Amsterdam avesse
sfilato a Milano l’Agenzia europea del farmaco anche per il mancato accordo tra
governo italiano e governo spagnolo. Ebbene, nella intervista uscita
su Repubblica al capo di quel governo non c’era neppure una domanda su quel
fatto. Sarà stata un scelta di opportunità, sarà stato perché l’intervista era
stata chiusa prima, comunque si è rimasti con la sensazione che mancasse
qualcosa. Quella scelta è stata legittima, certo; difficile però poi lamentarsi
se i lettori quel qualcosa non lo cerchino più nei giornali.
Una Costituzione troppo elogiata.
Commenti positivi si arrestano sistematicamente alla prima parte del testo,
mentre la seconda è ampiamente discutibile e discussa, scrive Ernesto Galli
della Loggia il 12 gennaio 2018 su "Il Corriere della Sera". Non si può proprio
dire che abbia destato un grande interesse il settantesimo anniversario appena
trascorso dell’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica. Alla fine
dell’anno passato, l’evento è stato naturalmente e doverosamente commemorato da
tutte le autorità del caso ma nella più completa distrazione della gente immersa
nelle festività natalizie. E altrettanto doverosamente esso ha innescato l’ormai
consueto ciclo di celebrazioni ufficiali. Che stavolta ha preso la forma di un
«viaggio della Costituzione» – organizzato dalla Presidenza del Consiglio -
attraverso dodici città italiane ognuna destinata a essere sede di una lezione
su un tema centrale della Carta (tra i quali temi fanno bella mostra di sé
Democrazia e Decentramento, Stato e Chiesa e Diritto d’asilo, Solidarietà e
Lavoro, mentre manca, assai significativamente, il tema della Libertà). Come di
prammatica è stata organizzata anche una mostra itinerante, ovviamente
multimediale, nella quale ciascuno dei dodici articoli principali è commentato
dalla voce di Roberto Benigni, confermato anche in questa occasione nel suo
ruolo ormai ufficiale di aedo della Repubblica. Paradossalmente, tuttavia,
proprio l’assenza d’interesse da parte del pubblico unita alla piattezza
celebrativa condita dei soliti discorsi esaltanti il «testo vivo» della Carta,
la sua «sintesi mirabile» e così via magnificando, sono serviti a sottolineare
per contrasto qualcosa che è assolutamente peculiare della nostra scena
pubblica. Vale a dire la centralità che in essa ha la Costituzione. Una
centralità beninteso tutta verbale, fatta per l’appunto di un continuo
discorrere sulla Costituzione in ogni circostanza plausibile e implausibile, di
una sua incessante evocazione ed esaltazione, di una profusione di elogi per
ogni suo aspetto: per la sua saggezza, per la sua lungimiranza, completezza,
incisività, bellezza stilistica, e chi più ne ha più ne metta. Credo che in
tutta Europa non esista una Carta costituzionale fatta oggetto di un altrettanto
inarrestabile fiume di parole laudative, così come credo che non esista un’altra
classe politica (ma ci si aggiungono volentieri anche preti e vescovi) che se ne
riempia tanto la bocca come quella italiana. A cominciare da coloro che
rappresentano le istituzioni, il cui discorso, appunto, è, per la massima parte
e in qualsivoglia circostanza più o meno «nobile», una trama di richiami di
volta in volta ammonitori o storico-encomiastici alla Costituzione. È una
caratteristica così tipicamente italiana da richiedere una spiegazione. La quale
credo stia nel fatto che l’ufficialità italiana, non riuscendo a immaginarsi
depositaria di un qualunque destino collettivo né investita di una qualunque
prospettiva nazionale, non considerandosi attrice credibile e tanto meno
portavoce di un qualunque futuro significativo del Paese, sa di non poter fare
altro che richiamarsi al passato. Quando in una qualunque circostanza
celebrativa la suddetta ufficialità è chiamata a dire di sé e di ciò che
rappresenta in modo «alto», essa sa di non essere in grado di spingere lo
sguardo avanti, di non avere la statura per dar voce a un progetto o a un
destino, e quindi è costretta inevitabilmente a volgere lo sguardo all’indietro,
solo all’indietro: cioè per l’appunto alla Costituzione. Naturalmente uno
sguardo essenzialmente contemplativo: infatti, lungi dall’essere una retorica in
vista dell’azione, la retorica ufficiale della Repubblica è vocazionalmente una
retorica della memoria. La dimensione dei foscoliani «Sepolcri», insomma, è
ancora e sempre la nostra: anche se oggi priva degli «auspici» che a suo tempo
secondo il poeta da essi avremmo dovuto trarre. C’è ancora una considerazione da
fare circa il discorso sulla Costituzione tipico della ufficialità italiana. Ed
è che esso, nella sua abituale, pomposa, glorificazione del testo, tende
sistematicamente a nascondere due verità. La prima è che forse quel testo
medesimo così compiuto e perfetto non è, visto che fino a oggi sono almeno 16
(per un totale di oltre venti articoli) le modificazioni che è stato ritenuto
utile o necessario apportarvi: e quasi sempre su aspetti per nulla secondari. La
seconda verità nascosta dalla magniloquenza celebrativa quando nei suoi elogi si
arresta, come fa sistematicamente, alla prima parte della Carta, riguarda la
natura viceversa ampiamente discutibile e discussa della seconda parte, quella
che tratta dei modi in cui il Paese è quotidianamente e concretamente governato
e amministrato. Non a caso il modo come in Italia funzionano l’esecutivo, la
giustizia, le Regioni o la burocrazia, non è mai fatto oggetto di attenzione e
tanto meno di elogi dal discorso sulla Costituzione. Accortamente i ditirambi
sono riservati solo ai massimi principi: alla solidarietà, al ripudio della
guerra o al diritto allo studio e via dicendo. Sul resto, silenzio. Con il
risultato che modificare ciò che pure a giudizio di moltissimi andrebbe
modificato di questa seconda parte si rivela da sempre di una difficoltà
titanica, dal momento che la cosa può facilmente essere fatta passare per un
subdolo attacco ai principi suddetti. Ma se la Costituzione è così
massicciamente presente nel discorso pubblico italiano questo avviene per
un’ultima ragione, pure questa patologica. E cioè perché essa viene
continuamente adoperata come arma contundente nella lotta politica quotidiana,
piegata a suo uso e consumo. In realtà è la Costituzione stessa che si presta a
esser adoperata in tal modo. Infatti, il lungo elenco di articoli dal 29 al 47 —
articoli astrattamente prescrittivi riguardanti i rapporti «etico sociali» ed
economici (l’astrattezza sta nello stabilire come obbligatori per la Repubblica,
nella forma perlopiù di altrettanti «diritti» dei cittadini, una lunga serie di
costosissimi obiettivi di una vasta quanto assoluta genericità) — tali articoli,
dicevo, si prestano molto bene a essere fatti valere a difesa polemica di
qualsiasi esigenza contro qualsiasi politica di qualsiasi governo. Non a caso,
un tale uso strumentalmente politico della Costituzione cominciò fin dalla sua
entrata in vigore, e si può dire che da allora non ci sia stato esecutivo
italiano di destra o di sinistra che nelle più svariate occasioni non sia stato
accusato in un modo o nell’altro di violare la Costituzione. Inutile dire quanto
anche una simile pratica abbia contribuito e contribuisca a impedire che intorno
alla Costituzione stessa si formi quell’aura di «sacralità» che invano i suoi
celebratori vorrebbero.
PERCHE’ NON SON DIVENTATO AVVOCATO.
DOSSIER ESAME AVVOCATO
QUESTO E’ IL CASO ESEMPLARE DI RITORSIONE PER IL QUALE L’ITALIA MAFIOSA SI
DOVREBBE VERGOGNARE.
COSI' SI DIVENTA AVVOCATO O SI IMPEDISCE DI ESSERLO!!!
E' UN ESAME DI STATO, INVECE DI FATTO E' UN CONCORSO PUBBLICO.
IN UN CONCORSO PUBBLICO DOVE LE COMMISSIONI DI ESAME SONO INATTENDIBILI ED
ARBITRARI, ADOTTANDO NESSUN PRINCIPIO DI GIUDIZIO, NE' PROPRIO, NE'
MINISTERIALE. FATTO RILEVATO ECCEZIONALMENTE DA UN TAR, ANNULLANDO TUTTE LE
VALUTAZIONI.
IN UN CONCORSO PUBBLICO, (COMMISSIONE COMPOSTA DA MAGISTRATI, AVVOCATI E
PROFESSORI UNIVERSITARI), I TEMI SCRITTI NON SONO CORRETTI, MA DA ANNI SONO
DICHIARATI TALI. DEVI SUBIRE E DEVI PURE TACERE, IN QUANTO NON VI E' RIMEDIO
GIUDIZIARIO O AMMINISTRATIVO.
CONCORSI DI AVVOCATO PRESIEDUTI DA CHI E' STATO DENUNCIATO COME PRESIDENTE DI
COMMISSIONE LOCALE. LA DENUNCIA E' STATA PRESENTATA ANCHE AL PARLAMENTO. SI E'
CHIESTA UNA INTERROGAZIONE PARLAMENTARE. NONOSTANTE LE INTERROGAZIONI
PARLAMENTARI PRESENTATE: TUTTO LETTERA MORTA. COSTUI NON HA POTUTO PIU'
PRESIEDERE LA COMMISSIONE LOCALE, PERCHE' E' STATO ESTROMESSO DALLA RIFORMA DEL
2003, E NONOSTANTE CIO' POI E' STATO NOMINATO PRESIDENTE DI COMMISSIONE
CENTRALE.
Queste sono le conclusioni del ricorso amministrativo presentato dall’avv. Mirko
Giangrande per conto del padre dr. Antonio Giangrande. Ricorso con cui si
contestano in fatto e in diritto i giudizi negativi delle prove scritte resi
dalle sottocommissioni per gli esami di abilitazione alla professione di
avvocato. Ricorso presentato presso il Tribunale Amministrativo Regionale della
Puglia, sezione distaccata di Lecce. Ricorso n. 1240/2011 che per 13 anni nessun
avvocato per codardia ha mai voluto presentare. La commissione competente nel
2010 per tali conclusioni ha negato l’accesso al gratuito patrocinio. Il TAR ha
rigettato l'istanza di sospensiva nonostante i vizi, mentre per altri candidati
l'ha accolta, valutando l'elaborato direttamente nel merito.
CONCLUSIONI
Da quanto analiticamente già espresso e motivato si denota che violazione di
legge, eccesso di potere e motivi di opportunità viziano qualsiasi valutazione
negativa adottata dalla commissione d’esame giudicante, ancorchè in presenza di
una capacità espositiva pregna di corretta applicazione di sintassi, grammatica
ed ampia conoscenza di norme e principi di diritto dimostrata dal candidato in
tutti e tre i compiti resi.
1. Qui si evince un fatto, da sempre notorio su tutti
gli organi di stampa, rilevato e rilevabile in ambito nazionale: ossia la
disparità di trattamento tra i candidati rispetto alla sessione d’esame
temporale e riguardo alla Corte d’Appello di competenza. Diverse percentuali di
idoneità, (spesso fino al doppio) per tempo e luogo d’esame, fanno sperare i
candidati nella buona sorte necessaria per l’assegnazione della commissione
benevola sorteggiata. Nel Nord Italia le percentuali adottate dalle locali
commissioni d’esame sono del 30%, nel sud fino al 60%. Le sottocommissioni di
Palermo sono come le sottocommissioni del Nord Italia. I Candidati sperano nella
buona sorte dell’assegnazione. La Fortuna: requisito questo non previsto dalle
norme.
2. Qui si contesta la competenza dei commissari a poter
svolgere dei controlli di conformità ai criteri indicati: capacità pedagogica
propria di docenti di discipline didattiche non inseriti in commissione.
3. Qui si contesta la mancanza di motivazione alle
correzioni, note, glosse, ecc., tanto da essere contestate dal punto di vista
oggettivo da gente esperta nella materia di riferimento.
4. Qui si evince la carenza, ovvero la contraddittorietà
e la illogicità del giudizio reso in contrapposizione ad una evidente assenza o
rilevanza di segni grafici sugli elaborati, quali glosse, correzioni, note,
commenti, ecc., o comunque si contesta la fondatezza dei rilievi assunti, tale
da suffragare e giustificare la corrispondente motivazione indotta al voto
numerico. Tutto ciò denota l’assoluta mancanza di motivazione al giudizio,
didattica e propedeutica al fine di conoscere e correggere gli errori, per
impedirne la reiterazione.
5. Altresì qui si contesta la mancanza del voto di
ciascun commissario, ovvero il voto riferito a ciascun criterio individuato per
la valutazione delle prove.
6. Altresì qui si contesta l’assenza ingiustificata del
presidente della Commissione d’esame centrale e si contesta contestualmente
l’assenza del presidente della Iª sottocommissione di Palermo.
7. Altresì qui si contesta la correzione degli elaborati
in tempi insufficienti, tali da rendere un giudizio composito.
8. Altresì qui si contesta, acclarandone la nullità, la
nomina del presidente della Commissione centrale, Avv. Antonio De Giorgi, in
quanto espressione del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Lecce. Nomina
vietata dalle norme.
Inoltre, il metodo, contestato con i motivi indicati in precedenza, è lo stesso
che ha inficiato per anni la vana partecipazione del ricorrente al medesimo
concorso concluso con giudizi d’inidoneità fondata sugli stessi motivi
illegittimi.
RICORSO CONTRO IL GIUDIZIO NEGATIVO ALL'ESAME DI AVVOCATO
COMMISSIONE NAZIONALE D'ESAME PRESIEDUTA DA CHI NON POTEVA RICOPRIRE L'INCARICO,
COMMISSARI (COMMISSIONE COMPOSTA DA MAGISTRATI, AVVOCATI E PROFESSORI
UNIVERSITARI) DENUNCIATI CHE GIUDICANO IL DENUNCIANTE E TEMI SCRITTI NON
CORRETTI, MA DA 15 ANNI SONO DICHIARATI TALI. DEVI SUBIRE E DEVI PURE TACERE, IN
QUANTO NON VI E' RIMEDIO GIUDIZIARIO O AMMINISTRATIVO.
Ricorso, n. 1240/2011 presentato al Tar di Lecce il 25 luglio 2011 contro il
voto numerico insufficiente (25,25,25) dato alle prove scritte di oltre 4 pagine
cadaune della sessione del 2010 adducente innumerevoli nullità, contenente,
altresì, domanda di fissazione dell’udienza di trattazione. Tale ricorso non ha
prodotto alcun giudizio nei tempi stabiliti, salvo se non il diniego immediato
ad una istanza cautelare di sospensione, tanto da farmi partecipare, nelle more
ed in pendenza dell’esito definitivo del ricorso, a ben altre due sessioni
successive, i cui risultati sono stati identici ai temi dei 15 anni precedenti
(25,25,25): compiti puliti e senza motivazione, voti identici e procedura di
correzione nulla in più punti. Per l’inerzia del Tar si è stati costretti di
presentare istanza di prelievo il 09/07/2012. Inspiegabilmente nei mesi
successivi all’udienza fissata e tenuta del 7 novembre 2012 non vi è stata
alcuna notizia dell’esito dell’istanza, nonostante altri ricorsi analoghi
presentati un anno dopo hanno avuto celere ed immediato esito positivo di
accoglimento. Eccetto qualcuno che non poteva essere accolto, tra i quali i
ricorsi dell'avv. Carlo Panzuti e dell'avv. Angelo Vantaggiato in cui si
contestava il giudizio negativo reso ad un elaborato striminzito di appena una
pagina e mezza. Solo in data 7 febbraio 2013 si depositava sentenza per una
decisione presa già in camera di consiglio della stessa udienza del 7 novembre
2012. Una sentenza già scritta, però, ben prima delle date indicate, in quanto
in tale camera di consiglio (dopo aver tenuto anche regolare udienza pubblica
con decine di istanze) i magistrati avrebbero letto e corretto (a loro dire) i 3
compiti allegati (più di 4 pagine per tema), valutato e studiato le molteplici
questioni giuridiche presentate a supporto del ricorso. Un'attenzione non
indifferente e particolare e con un risultato certo e prevedibile, se si tiene
conto che proprio il presidente del Tar è stato oggetto di inchiesta video e
testuale da parte dello stesso ricorrente. Le gesta del presidente del Tar sono
state riportate da Antonio Giangrande, con citazione della fonte, nella pagina
d'inchiesta attinente la città di Lecce. Come per dire: chi la fa, l'aspetti!
Questi sono i giudizi resi dal Tribunale Amministrativo Regionale della
Campania, sezione staccata di Salerno (Sezione Prima) nei confronti delle
sottocommissione esami avvocato-sessione 2012 - istituita presso la Corte
d'appello di Lecce, nella parte in cui sono state valutate negativamente tre
prove scritte dei ricorrenti, così determinando la non ammissione alle prove
orali. Giudizi atti a dimostrare l'andazzo taciuto ed impunito sulle correzioni
degli elaborati. Giudizio del Tar Campania disatteso dal Tar di Lecce nei
confronti del Dr Antonio Giangrande.
N. 00647/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01579/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1579 del 2013, proposto da:
Annalisa Maiolino, rappresentata e difesa dall'avv. Marcello Fortunato, con
domicilio eletto in Salerno, alla via SS. Martiri Salernitani, 31;
N. 00648/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01584/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1584 del 2013, proposto da:
Monica Ferraioli, rappresentata e difesa dall'avv. Salvatore Paolino, con
domicilio eletto in Salerno, p.za Sant'Agostino,29;
N. 00656/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01585/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1585 del 2013, proposto da:
Massimiliano De Vita, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe De Vita, con
domicilio eletto in Salerno, presso la Segreteria del T.A.R.;
N. 00658/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01596/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1596 del 2013, proposto da:
Michele Fiscina, rappresentato e difeso dall'avv. Demetrio Fenucciu, con
domicilio eletto in Salerno, via Memoli n.12;
N. 00659/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01597/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1597 del 2013, proposto da:
Valerio Cupolo, rappresentato e difeso dall'avv. Lorenzo Lentini, con domicilio
eletto in Salerno, c.so Garibaldi n. 103;
N. 00660/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01598/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1598 del 2013, proposto da:
Giovanni Maria Cuofano, rappresentato e difeso dall'avv. Lorenzo Lentini, con
domicilio eletto in Salerno, c.so Garibaldi n. 103;
N. 00671/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01608/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1608 del 2013, proposto da:
Antonio Rossi, rappresentato e difeso dall'avv. Angela Ferrara, presso il cui
studio elegge domicilio, in Salerno, via A. Nifo, n. 2;
N. 00663/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01609/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1609 del 2013, proposto da:
Alfonso Talamo, rappresentato e difeso dall'avv. Angela Ferrara, con domicilio
eletto in Salerno, via Agostino Nifo N. 2;
N. 00664/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01610/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1610 del 2013, proposto da:
Giuseppina Avallone, rappresentata e difesa dall'avv. Angela Ferrara, con
domicilio eletto in Salerno, via Agostino Nifo N. 2;
N. 00665/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01611/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1611 del 2013, proposto da:
Alessio De Felice, rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Paolino, con
domicilio eletto, in Salerno, p.za Sant’Agostino, 29;
N. 00672/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01618/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1618 del 2013, proposto da:
Francesco Moscariello, rappresentato e difeso dall'avv. Pompeo Onesti, presso lo
studio del quale elegge domicilio, in Salerno, via Porta Elina, n. 23;
N. 00666/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01625/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1625 del 2013, proposto da:
Giulia Casaburi, rappresentato e difeso dall'avv. Maria Annunziata e dall’avv.
Stefania Vecchio, con domicilio eletto, in Salerno, p.zza S. Agostino, 29, c/o
Annunziata;
N. 00649/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01626/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1626 del 2013, proposto da:
Isabella Florio, rappresentata e difesa dall'avv. Maria Annunziata e dall'avv.
Stefania Vecchio, con domicilio eletto in Salerno, alla piazza Sant'Agostino,
29;
N. 00661/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01627/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1627 del 2013, proposto da:
Chiara D'Angelo, rappresentata e difesa dagli avv. Maria Annunziata e Stefania
Vecchio, con domicilio eletto in Salerno, piazza Sant'Agostino n. 29;
N. 00673/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01629/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1629 del 2013, proposto da:
Maddalena Contaldi, rappresentato e difeso dall'avv. Rosario Caliulo e dall'avv.
Antonio De Bartolomeis, con domicilio eletto in via Incagliati, n. 2 presso lo
studio dell’avv. Caliulo;
N. 00674/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01632/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1632 del 2013, proposto da:
Nicola Marciano, rappresentato e difeso dall'avv. Feliciana Ferrentino, presso
lo studio del quale elegge domicilio, in Salerno, corso Garibaldi, n.103;
N. 00675/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01633/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1633 del 2013, proposto da:
Maria Ruoppolo, rappresentato e difeso dall'avv. Vincenzina Maio, presso il cui
studio elegge domicilio, in Salerno, via Nizza, Trav. del Mastro, n. 1;
N. 00676/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01634/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1634 del 2013, proposto da:
Maurizio Spera, rappresentato e difeso dall'avv. Stefania Vecchio, presso il cui
studio elegge domicilio, in Salerno, via vicolo Municipio Vecchio, n.6;
N. 00677/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01635/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1635 del 2013, proposto da:
Isabella Musto, rappresentato e difeso dall'avv. Stefania Vecchio, con domicilio
eletto presso Stefania Vecchio in Salerno, via vicolo Municipio Vecchio,6;
N. 00639/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01636/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1636 del 2013, proposto da:
Claudia Acciarito, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Zarrella, con
domicilio eletto presso Antonio Zarrella Avv. in Salerno, l.go Plebiscito,6 c/o
Vuolo;
N. 00640/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01637/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1637 del 2013, proposto da:
Flavia Melillo, rappresentato e difeso dall'avv. Roberta Spinelli, con domicilio
eletto presso Roberta Spinelli Avv. in Salerno, via Armando Diaz, N. 31;
N. 00638/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01641/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1641 del 2013, proposto da:
Rossella Casola, rappresentato e difeso dall'avv. Andrea Di Lieto, con domicilio
eletto presso Andrea Di Lieto Avv. * . * in Salerno, c.so Vitt.Emanuele N.143;
N. 00650/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01645/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1645 del 2013, proposto da:
Angelo Agresta, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Bruno, con domicilio
eletto in Salerno, alla via Nizza,73;
N. 00651/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01646/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1646 del 2013, proposto da:
Valentina D'Elia, rappresentata e difesa dall'avv. Antonio Bruno, con domicilio
eletto in Salerno, via Nizza,73;
N. 00642/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01662/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1662 del 2013, proposto da:
Nadia Finno, rappresentato e difeso dall'avv. Luigi A.M. Ferrone, con domicilio
eletto presso Luigi A.M. Ferrone in Salerno, via degli Orti,28;
N. 00643/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01663/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1663 del 2013, proposto da:
Salvatore Rotundo, rappresentato e difeso dall'avv. Matteo D'Angelo, con
domicilio eletto presso Matteo D'Angelo in Salerno, via G.V. Quaranta,N.8;
N. 00644/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01664/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1664 del 2013, proposto da:
Antonio Coscia, rappresentato e difeso dall'avv. Matteo D'Angelo, con domicilio
eletto presso Matteo D'Angelo in Salerno, via G.V. Quaranta, N.8;
N. 00667/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01669/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1669 del 2013, proposto da:
Rossella Sgambati, rappresentata e difesa dall'avv. Beniamino Mariano, con
domicilio eletto, in Salerno, piazza Flavio Gioia, 3;
N. 00668/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01670/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1670 del 2013, proposto da:
Marcella Toriello, rappresentata e difesa dall'avv. Beniamino Mariano, con
domicilio eletto, in Salerno, piazza Flavio Gioia, 3;
N. 00653/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01678/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1678 del 2013, proposto da:
Francesca Marmo, rappresentata e difesa dall'avv. Salvatore Paolino, con
domicilio eletto in Salerno, p.za Sant'Agostino,29;
N. 00669/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01691/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1691 del 2013, proposto da:
Ferdinando De Martino, rappresentato e difeso dagli avv. Maria Luisa Nobile,
Vincenzo De Martino, con domicilio eletto, in Salerno, via C. Capone, 4;
N. 00646/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01713/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1713 del 2013, proposto da:
Rosmary Caputo, rappresentato e difeso dall'avv. Stefania Nobili, con domicilio
eletto presso Stefania Nobili Avv. in Salerno, c/o Segreteria T.A.R.;
N. 00678/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01719/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1719 del 2013, proposto da:
Fabiana Pagano, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Rizzo, presso lo
studio del quale elegge domicilio, in Salerno, Corso Vittorio Emanuele, n. 127;
N. 00670/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01720/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1720 del 2013, proposto da:
Antonella Tosto, rappresentata e difesa dall'avv. Antonio Rizzo, con domicilio
eletto, in Salerno, Corso Vittorio Emanuele N. 127;
N. 00662/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01721/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1721 del 2013, proposto da:
Danilo Cozza, rappresentato e difeso dall'avv. Michele Galiano, con domicilio
eletto in Salerno, c.so Vittorio Emanuele n. 14, presso l’avv. Torre;
N. 00654/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01722/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1722 del 2013, proposto da:
Alberto Carrella, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Bove, con domicilio
eletto in Salerno, c.so V. Emanuele, 213;
N. 00657/2013 REG.PROV.CAU.
N. 01594/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1594 del 2013, proposto da:
Francesco Massimo Amoroso, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Bove, con
domicilio eletto in Salerno, c.so Vittorio Emanuele n. 213;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica pro
tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato,
domiciliata in Salerno, al corso Vittorio Emanuele, n. 58;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
del verbale n.59 del 07.03.2013 della II sottocommissione esami
avvocato-sessione 2012-istituita presso la Corte d'appello di Lecce, nella parte
in cui sono state valutate negativamente tre prove scritte della ricorrente,
così determinando la non ammissione alle prove orali.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;
Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato,
presentata in via incidentale dalla parte ricorrente;
Visto l'art. 55 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Ritenuta la propria giurisdizione e competenza;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2013 il dott. Giovanni
Grasso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
PREMESSO di condividere l’orientamento giurisprudenziale che ritiene, ai fini
della legittimità dell’atto, la sufficienza del voto numerico, senza ulteriori
specificazioni, nel caso in cui siano stati previamente determinati adeguati
criteri di valutazione, che consentano di ricostruire ab externo la motivazione
del giudizio espresso dall’organo valutativo;
RITENUTO, peraltro, che la possibilità di ricostruzione
dell’iter logico-giuridico seguito nella concreta attribuzione del punteggio
richiede che tali criteri siano puntuali, specifici e non generici, nonché
espressamente modulati con riferimento al peso che la loro osservanza ed
applicazione assume ai fini dell’attribuzione del punteggio numerico e della
misura dello stesso, in modo tale da poter desumere agevolmente, dalla comparata
lettura degli elaborati e dei criteri così predefiniti e specificati, le ragioni
concrete del punteggio assegnato mediante un intellegibile collegamento tra
quest’ultimo ed i criteri di valutazione, solo in tal modo potendosi garantire
una effettiva possibilità di verifica sullo svolgimento dell’azione
amministrativa;
RITENUTO, pertanto, che nell’ipotesi in cui, nella predeterminazione dei
criteri, non siano stati definiti i concreti elementi di collegamento tra gli
stessi ed il punteggio numerico attribuibile, quest’ultimo non appare da solo
sufficiente alla esternazione motivazionale, dovendo esso essere integrato dalla
specificazione, in termini letterali, delle concrete modalità di attribuzione
del punteggio in relazione ai criteri predeterminati ed alla loro osservanza (
v. pure TAR Lazio, sez. I, n. 7289 del 18 luglio 2013);
EVIDENZIATO, d’altra parte, che la stessa nota allegata al verbale n. 1 della
Commissione presso il Ministero della Giustizia del 6 dicembre 2012, dopo aver
indicato i “criteri da adottare per la valutazione degli elaborati scritti”,
precisa che le Sottocommissioni dovranno, nelle operazioni di correzione, curare
in particolare “le modalità di attribuzione del punteggio successive alla
lettura di tutti e tre gli elaborati […]”;
EVIDENZIATO, ad colorandum ed a supporto delle argomentazioni rese dal Collegio,
che la necessità di un quid pluris in termini motivazionali è stata avvertita
dallo stesso legislatore, il quale, nel recente articolo 46 della legge n. 247
del 31 dicembre 2012, avente ad oggetto l’esame di stato per l’abilitazione
all’esercizio della professione di avvocato, ha specificato, al comma 5, che “la
commissione annota le osservazioni positive o negative nei vari punti di ciascun
elaborato, le quali costituiscono motivazione del voto che viene espresso con un
numero pari alla somma dei voti espressi dai singoli componenti”;
RILEVATO che nella vicenda in esame i suddetti principi non risultano
rispettati, atteso che le indicazioni così come sopra esposte, necessarie alla
legittima espressione del solo voto numerico, non si rinvengono né nei criteri
generali fissati dalla Commissione centrale né nelle ulteriori determinazioni di
recepimento e di specificazione della Sottocommissione locale, onde deve
ritenersi l’illegittimità della votazione che nella specie è stata espressa con
il solo voto numerico senza ulteriori specificazioni motivazionali;
RITENUTO per quanto sopra che la domanda cautelare proposta deve essere accolta
sussistendo fumus boni iuris in ordine alla illegittimità lamentata dal
ricorrente;
RITENUTO, tenendosi conto dell’attuale stato del procedimento degli esami di
abilitazione, che al danno lamentato può ovviarsi disponendo una nuova
correzione, nel termine di giorni trenta dalla comunicazione o notificazione
della presente, delle prove scritte svolte dal ricorrente da parte di una
Sottocommissione diversa nella sua composizione rispetto a quella che ha
espresso il giudizio impugnato, con le opportune garanzie di anonimato previa
eliminazione di ogni sottolineatura, numero o grafosegno della precedente
correzione, anche attraverso la contestuale ricorrezione, ai soli fini di cui
trattasi, degli elaborati, sempre in forma anonima, di altri dieci candidati
alla stessa sessione di esami presso la stessa sede di Corte di Appello (tali
elaborati saranno sorteggiati, in pari numero, tra quelli di candidati che hanno
superato gli scritti e candidati ritenuti non idonei a cura del Presidente della
Commissione attuale depositaria degli elaborati e trasmessi, nella forma anonima
come sopra specificata, in uno a quelli oggetto del presente ricorso alla
Commissione di Lecce che dovrà procedere alla rivalutazione); nella rinnovata
correzione la valutazione verrà espressa con il voto numerico integrato da
motivazione letterale, in modo da rendere intellegibili le ragioni della sua
attribuzione, conformemente ai i principi sopra espressi;
RITENUTO, infine, di dover specificare che, in ipotesi di superamento della
prova scritta all’esito della ricorrezione come sopra disposta, il candidato
potrà sostenere la prova orale;
RITENUTO che le spese della presente fase del giudizio possono essere compensate
tra le parti costituite;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno
(Sezione Prima)
accoglie la domanda cautelare proposta, disponendo così come in motivazione
precisato.
Fissa per la trattazione del merito l’udienza pubblica del 22 maggio 2014.
La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso
la segreteria del tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2013 con
l'intervento dei magistrati:
Amedeo Urbano, Presidente
Giovanni Grasso, Consigliere, Estensore
Gianmario Palliggiano, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/10/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Alcune
puntualizzazioni sul Diritto di Cronaca, Diritto di Critica, Privacy e
Copyright.
In seguito al ricevimento di minacce velate o addirittura palesi nascoste dietro
disquisizioni giuridiche, al pari loro si palesa quanto segue. Quanto riferito
in questa pagina riguarda solo l'inchiesta svolta sull'operato della giustizia
amministrativa a Lecce e le sue ricadute sull'esame di abilitazione
all'avvocatura, con conseguente danno a scapito degli utenti, in violazione del
principio di legalità, imparzialità e buon andamento della Pubblica
Amministrazione. I riferimenti ad atti pubblici ed a persone ivi citate, non
hanno alcuna valenza diffamatoria e sono solo corollario di prova per
l'inchiesta. Le persone citate, in forza di norme di legge, non devono sentirsi
danneggiate. Ogni minaccia di tutela arbitraria dei propri diritti da parte
delle persone citate al fine di porre censura in tutto o in parte del contenuto
del presente dossier o vogliano spiegare un velo di omertà su come si svolge
l'abilitazione forense sarà inteso come stalking o violenza privata, se non
addirittura tentativo di estorsione mafiosa. In tal caso ci si costringe a
rivolgerci alle autorità competenti.
Come è noto, il diritto di manifestare il proprio pensiero ex art. 21 Cost. non
può essere garantito in maniera indiscriminata e assoluta ma è necessario porre
dei limiti al fine di poter contemperare tale diritto con quelli dell’onore e
della dignità, proteggendo ciascuno da aggressioni morali ingiustificate. La
decisione si trova in completa armonia con altre numerose pronunce della Corte.
La Cassazione, infatti, ha costantemente ribadito che il diritto di cronaca
possa essere esercitato anche quando ne derivi una lesione dell’altrui
reputazione, costituendo così causa di giustificazione della condotta a
condizione che vengano rispettati i limiti della verità, della continenza e
della pertinenza della notizia. Orbene, è fondamentale che la notizia pubblicata
sia vera e che sussista un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti. Il
diritto di cronaca, infatti, giustifica intromissioni nella sfera privata
laddove la notizia riportata possa contribuire alla formazione di una pubblica
opinione su fatti oggettivamente rilevanti. Il principio di continenza, infine,
richiede la correttezza dell’esposizione dei fatti e che l’informazione venga
mantenuta nei giusti limiti della più serena obiettività. A tal proposito, giova
ricordare che la portata diffamatoria del titolo di un articolo di giornale deve
essere valutata prendendo in esame l’intero contenuto dell’articolo, sia sotto
il profilo letterale sia sotto il profilo delle modalità complessive con le
quali la notizia viene data (Cass. sez. V n. 26531/2009). Tanto premesso si può
concludere rilevando che pur essendo tutelato nel nostro ordinamento il diritto
di manifestare il proprio pensiero, tale diritto deve, comunque, rispettare i
tre limiti della verità, pertinenza e continenza.
Diritto di Cronaca e gli estremi della verità, della pertinenza e della
continenza della notizia. L'art. 51 codice penale (esimente dell'esercizio di un
diritto o dell'adempimento di un dovere) opera a favore dell'articolista nel
caso in cui sia indiscussa la verità dei fatti oggetto di pubblicazione e che la
stessa sia di rilevante interesse pubblico. In merito all'esimente del Diritto
di Cronaca ex art. 51 c.p., la Suprema Corte con Sentenza n 18174/14 afferma:
"la cronaca ha per fine l'informazione e, perciò, consiste nella mera
comunicazione delle notizie, mentre se il giornalista, sia pur nell'intento di
dare compiuta rappresentazione, opera una propria ricostruzione di fatti già
noti, ancorchè ne sottolinei dettagli, all'evidenza propone un'opinione". Il
diritto ad esprimere delle proprie valutazioni, del resto non va represso
qualora si possa fare riferimento al parametro della "veridicità della cronaca",
necessario per stabilire se l'articolista abbia assunto una corretta premessa
per le sue valutazioni. E la Corte afferma, in proposito: "Invero questa Corte è
costante nel ritenere che l'esimente di cui all'art. 51 c.p., è riconoscibile
sempre che sia indiscussa la verità dei fatti oggetto della pubblicazione,
quindi il loro rilievo per l'interesse pubblico e, infine, la continenza nel
darne notizia o commentarli ... In particolare il risarcimento dei danni da
diffamazione è escluso dall'esimente dell'esercizio del diritto di critica
quando i fatti narrati corrispondano a verità e l'autore, nell'esposizione degli
stessi, seppur con terminologia aspra e di pungente disapprovazione, si sia
limitato ad esprimere l'insieme delle proprie opinioni (Cass. 19 giugno 2012, n.
10031)".
La nuova normativa concernente il rapporto tra il diritto alla privacy ed il
diritto di cronaca è contenuta negli articoli 136 e seguenti del Codice privacy
che hanno sostanzialmente recepito quanto già stabilito dal citato art. 25 della
Legge 675 del 1996. In base a dette norme chiunque esegue la professione di
giornalista indipendentemente dal fatto che sia iscritto all'elenco dei
pubblicisti o dei praticanti o che si limiti ad effettuare un trattamento
temporaneo finalizzato esclusivamente alla pubblicazione o diffusione
occasionale di articoli saggi o altre manifestazioni del pensiero:
può procedere al trattamento di dati sensibili anche in assenza
dell'autorizzazione del Garante rilasciata ai sensi dell'art. 26 del D. Lgs. 196
del 2003;
può utilizzare dati giudiziari senza adottare le garanzie previste dall'art. 27
del Codice privacy;
può trasferire i dati all'estero senza dover rispettare le specifiche
prescrizioni previste per questa tipologia di dati;
non è tenuto a richiedere il consenso né per il trattamento di dati comuni né
per il trattamento di dati sensibili.
Il mio utilizzo dei contenuti soddisfa i requisiti legali del fair use o del
fair dealing ai sensi delle leggi vigenti sul copyright. Le norme nazionali ed
internazionali mi permettono di fare copie singole di parti di opere per ricerca
e studio personale o a scopo culturale o didattico. Infatti sono autore del
libro che racconta della vicenda. A tal fine posso assemblarle o per fare una
rassegna stampa.'''
QUESTO E' L'ESEMPIO DI COME IL TAR PUO' ADOTTARE GIUDIZI ANTITETICI
ISTANZA DI PRELIEVO (art. 71, D.Lgs. 104/2010)
ILL.MO TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PUGLIA
SEDE DI LECCE
Sezione Prima
Nella causa R.G. n. 1240/2011
promossa da
Antonio Giangrande,
ricorrente con l’avv. Mirko Giangrande, nato a Manduria (TA) il 26/01/1985 e
residente in Avetrana (TA) alla via Manzoni 51 c.f GNGMRK85A26E882V, nel
ricorso proposto
contro
Ministro della Giustizia,
Commissione Esami avvocato presso il Ministero della Giustizia,
Commissione Esami avvocato presso la Corte d’Appello di Lecce,
Commissione Esami avvocato presso la Corte d’Appello di Palermo,
resistenti con l’Avvocatura della Stato.
Premesso:
- che il ricorso, depositato il 25.07.2011 è stato iscritto al n. di
r.g 1240/2011 ed ha ad oggetto l’annullamento della valutazione negativa data
alle prove scritte degli esami per avvocato 2010 e dell’efficacia e degli
effetti degli atti propedeutici impugnati;
- che, il ricorrente ha estrema urgenza che il ricorso sia deciso in quanto
anche per le prove della sessione d’esame 2011 l’esito è stato segnato da
identiche discrasie, così per tutti gli anni precedenti, e una nuova sessione si
avvicina. L’urgenza si basa sullo stato di disoccupazione e conseguente
indigenza in attesa di un’abilitazione, che ai fatti risulta impedita da giudizi
che non rispecchiano il merito delle prove presentate;
- che è trascorso un anno dal deposito del ricorso e della istanza di
fissazione.
Il sottoscritto avv. Mirko Giangrande, del Foro di Taranto, nella sua qualità di
procuratore del ricorrente così come identificato nella procura alle liti in
calce al ricorso promosso per l’annullamento della valutazione negativa data
alle prove scritte degli esami per avvocato 2010 e dell’efficacia e degli
effetti degli atti propedeutici impugnati, fa istanza di prelievo allo scopo di
annullare il giudizio reso dalla Commissione di Esame di Palermo in sede di
correzione degli elaborati dello stesso ricorrente. Da quanto analiticamente già
espresso e motivato si denota che violazione di legge, eccesso di potere e
motivi di opportunità viziano qualsiasi valutazione negativa adottata dalla
commissione d’esame giudicante, ancorchè in presenza di una capacità espositiva
pregna di corretta applicazione di sintassi, grammatica ed ampia conoscenza di
norme e principi di diritto dimostrata dal candidato in tutti e tre i compiti
resi. Quanto affermato lo dimostra la mancanza di correzioni, note, glosse,
ecc..apposte sugli elaborati. Qui si evince la carenza, ovvero la
contraddittorietà e la illogicità del giudizio negativo reso in contrapposizione
ad una evidente assenza o rilevanza di segni grafici sugli elaborati, quali
glosse, correzioni, note, commenti, ecc., o comunque si contesta la fondatezza
dei giudizi assunti, tale da suffragare e giustificare la corrispondente
motivazione indotta al voto numerico. Tutto ciò denota l’assoluta discrasia tra
giudizio e contenuto degli elaborati, specie se la correzione degli elaborati è
avvenuta in tempi insufficienti, tali da rendere un giudizio composito.
Inoltre, il metodo, contestato con i motivi indicati in precedenza, è lo stesso
che ha inficiato per 15 anni la vana partecipazione del ricorrente al medesimo
concorso concluso con giudizi d’inidoneità fondata sugli stessi motivi
illegittimi. La richiesta di annullamento del giudizio contenuta nel ricorso è
sostenuta da contestazione attinenti molteplici punti, avallati da pronunce
giurisprudenziali indicati in atti.
Tanto premesso l’istante, fa
ISTANZA DI PRELIEVO
del fascicolo suddetto, affinché possa essere fissata il prima possibile
l’udienza per il merito.
Tale richiesta è motivata dal fatto che oggetto della presente causa è di
acclarare le doglianze di legittimità e di merito su indicate che viziano ed
invalidano gli atti adottati dalla Iª Sottocommissione di esame di Palermo. Se
da una parte, alcune contestazioni di legittimità riguardante la succinta
motivazione numerica e la composizione della sottocommissione e
l’incompatibilità del presidente della commissione centrale sono state superate
con motivata ordinanza che respingeva l’istanza di sospensiva, (il solo voto
numerico come legittima tecnica di valutazione, forte della recente sentenza
della Corte cost. 8 giugno 2011 n. 175), dall’altra parte proprio in virtù dei
tanti dubbi sollevati e confermati dall’antitetico giudizio reso, che contrasta
con la forma e la sostanza dell’elaborato, si è chiesto il sindacato del TAR di
Lecce.
Considerato:
- che le prove d’esame del ricorrente evidenziano un contesto caratterizzato
dalla correttezza formale della forma espressiva e dalla sicura padronanza del
lessico giuridico; anche sotto il profilo più strettamente tecnico-giuridico;
-che anche la soluzione delle problematiche giuridiche poste a base delle prove
d’esame evidenzia un corretto approccio a problematiche complesse;
-che, quindi, la motivazione apposta alla valutazione negativa (peraltro
caratterizzata dal carattere chiaramente stereotipato e ripetitivo e frutto di
attenzione temporale limitata e non approfondita dovuta all’insufficiente tempo
prestato) e la complessiva valutazione degli elaborati d’esame da parte della
Commissione appaiono essere caratterizzate da evidente irrazionalità e
illogicità, rilevabili anche in sede giurisdizionale. Il sindacato
giurisdizionale di legittimità del giudice amministrativo sulle valutazioni
tecniche delle commissioni esaminatrici di esami o concorsi pubblici è
legittimamente svolto quando il giudizio della commissione esaminatrice è
affetto da illogicità manifesta o da travisamento del fatto in relazione ai
presupposti stessi in base ai quali è stato dedotto il giudizio sull'elaborato
sottoposto a valutazione. Ad affermare l’importante principio di diritto sono le
Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 8412, depositata il 28 maggio
2012. La Cassazione ammette che ci possano essere commissioni che sbagliano. Il
sindacato nel merito è già adottato dal presente TAR Lecce con pronunce su
ricorsi analoghi, anche della medesima sessione d’esame, con analisi del merito
degli elaborati in presenza di chiare discrasie tra contenuto dell’elaborato e
giudizio reso. Interventi nel merito adottati persino in fase cautelare e non in
fase di giudizio. Come ad esempio:
sul ricorso numero di registro generale 1601 del 2010, proposto da: Mariangela
Gigante, rappresentata e difesa dall'avv. Antonio Ciaurro;
sul ricorso numero di registro generale 1312 del 2011, proposto da: Marco
Castelluzzo, rappresentato e difeso dall'avv. Gianluigi Pellegrino;
sul ricorso numero di registro generale 1489 del 2011, proposto da: Francesca
Cotrino, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio P. Nichil
Con ossequio.
Lecce, 09.07.2012
Avv. Mirko Giangrande
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA PUGLIA
SEZIONE DISTACCATA DI LECCE
RICORSO PER L’ANNULLAMENTO
della valutazione negativa data alle prove scritte degli esami per avvocato 2010
E CONTESTUALE ISTANZA DI SOSPENSIONE
dell’efficacia e degli effetti degli atti propedeutici impugnati
del dr. Antonio Giangrande,
RICORRENTE
INDICE DEL FASCICOLO
A. Ricorso con contestuale istanza di sospensione.
Allegati:
1. Verbale di correzione della Iª sottocommissione di esame di Palermo per
la sessione 2010;
2. Elaborati consegnati dal sottoscritto in tema: a) penale; b) civile; c)
atto giudiziario;
3. La graduatoria per la lettera G con data di affissione pubblicata dalla
Corte d'Appello di Lecce;
4. Verbali e compiti delle sessioni di avvocato: a) 2009, b) 2008, c) 2007.
B. Istanza di fissazione dell’Udienza.
Ai sensi dell’art. 136 del codice amministrativo (D.lgs. 104/2010) si attesta
che la copia informatica in formato DVD qui in allegato è conforme al fascicolo
cartaceo depositato.
Avv. Mirko Giangrande
Da notificarsi con urgenza
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA PUGLIA
SEZIONE DISTACCATA DI LECCE
RICORSO PER L’ANNULLAMENTO
della valutazione negativa data alle prove scritte degli esami per avvocato
E CONTESTUALE ISTANZA DI SOSPENSIONE
dell’efficacia e degli effetti degli atti propedeutici impugnati
L. 6 dicembre 1971 n. 1034
del dr. Antonio Giangrande,
RICORRENTE,
nato ad Avetrana (TA) il 02/06/1963 ed ivi residente alla via A. Manzoni, 51, C.
F. GNGNTN63H02A514Q, rappresentato e difeso dall'Avv. Mirko Giangrande, presso
lo Studio Legale del medesimo difensore in Avetrana, via A. Manzoni, 51, C. F.
GNGMRK85A26E882V, tel/fax 099/9708396 elettivamente domiciliati, come da
mandato speciale in calce del presente atto,
contro
Ministero della Giustizia,
RESISTENTE, in
persona del Ministro pro tempore On. avv. Angelino Alfano;
Commissione centrale Esami di Avvocato c/o Ministero della Giustizia,
RESISTENTE, in persona del presidente pro tempore avv. Antonio De
Giorgi;
Iª Sottocommissione Esami Avvocato c/o Corte di Appello di Palermo,
RESISTENTE, in persona del presidente pro tempore avv. Giuseppe Cavasino;
Iª Sottocommissione Esami Avvocato c/o Corte di Appello di Palermo,
RESISTENTE, in persona del presidente supplente pro tempore avv. Mario Grillo;
Iª Sottocommissione Esame di Avvocato c/o Corte di Appello di Lecce,
RESISTENTE, in persona del presidente pro tempore avv. Maurizio Villani;
tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato in Lecce e
domiciliati per legge presso gli uffici della stessa Avvocatura in Lecce, via F.
Rubichi 23,
per l'annullamento della valutazione negativa data alle prove scritte dell’esame
di avvocato,
previa sospensione urgente e necessaria dell'efficacia e degli effetti degli
atti propedeutici
impugnati per periculum in mora e per fumus boni iuris,
del verbale n. 20 redatto nella seduta del 19.04.2011 dalla
Iª Sottocommissione esame di avvocato presso la Corte di Appello di Palermo,
nella parte in cui attribuisce alle tre prove scritte riferite alla busta n. 198
del ricorrente un punteggio insufficiente, rispettivamente 25 per il penale, 25
per il civile e 25 per l’atto giudiziario, pari complessivamente a 75 punti;
del provvedimento recante la valutazione 25 data al parere legale, reso al
quesito della traccia n. 2 del compito scritto di diritto civile del 14 dicembre
2010, indicato con il n.198/1;
del provvedimento recante la valutazione 25 data al parere legale, reso al
quesito della traccia n. 1 del compito scritto di diritto penale del 15 dicembre
2010, indicato con il n. 198/2;
del provvedimento recante la valutazione 25 data al parere legale, reso al
quesito della traccia n. 1 del compito scritto di atto giudiziario redatto in
materia di diritto privato del 16 dicembre 2010, indicato con il n. 198/3;
Provvedimenti con i quali la Iª sottocommissione esaminatrice per gli esami di
avvocato presso la Corte di Appello di Palermo – sessione 2010 – non ha ammesso
il ricorrente alle successive prove orali;
del consequenziale elenco degli ammessi alle prove orali, sessione 2010,
degli esami di abilitazione alla professione di avvocato, relativamente alla
Corte di Appello di Lecce, pubblicato il 28 giugno 2011, nella parte in cui
esclude il ricorrente, in base all’ordine alfabetico, contenuto in pagina 3 e 4
rispetto alla lettera G;
di ogni altro atto o provvedimento preordinato, collegato o consequenziale ed
in particolare, dei criteri fissati dalla predetta Sottocommissione con verbale
n. 20 del 19.04.2011 per la valutazione degli elaborati.
Con conseguente disposizione,
con ordinanza cautelare di ammissione diretta del ricorrente all’esame orale per
la ravvisata esistenza di un pericolo di danni gravi ed irreparabili per il
ricorrente derivanti dall'esecuzione dell'atto impugnato, sulla base della
rilevazione di gravi vizi di legittimità della costituzione e composizione della
Iª sottocommissione di Palermo e della correzione, tenuto conto della rilevanza
e palesità dei vizi e dall’obiettiva natura degli elaborati d’esame, che
permette di concludere favorevolmente un giudizio prognostico in ordine alla
sufficienza complessiva della prova scritta;
nel merito con rito ordinario, dichiarare i gravi vizi di legittimità
riscontrati attinenti la costituzione, la composizione e l’attività sindacale
della Iª sottocommissione di Palermo, annullando i provvedimenti adottati e
procedendo per la nuova correzione degli elaborati del ricorrente, che dovrà
eseguirsi d’ufficio, ovvero rivolgersi ad altra sottocommissione d’esame di
Palermo, al cui interno non vi facciano parte i Commissari che hanno partecipato
al giudizio della prova impugnata.
*******
FATTO
Il ricorrente partecipava alla sessione 2010 degli esami di abilitazione
all’esercizio della professione di Avvocato, presso la Corte di Appello di
Lecce, effettuando le relative prove scritte.
1. Nella sessione 2010 del concorso di avvocato, a cui l’istante ha
partecipato come candidato, poi escluso, la Iª sottocommissione di esame presso
la Corte di Appello di Palermo, competente a correggere i compiti itineranti
svolti presso le sottocommissioni di esame della Corte di Appello di Lecce, con
atteggiamento proprio delle sottocommissioni del nord Italia, ha promosso un
candidato su tre, differenziandosi quanto fatto l’anno prima, sempre sui compiti
di Lecce, dalle benevoli sottocommissioni di Salerno, che hanno promosso un
candidato su due. Per esempio, sottocommissioni di esame benevole sono state,
altresì, nella sessione del 2010 quelle presso la Corte di Appello di Napoli,
che hanno corretto i compiti svolti presso le sottocommissioni di esame della
Corte di Appello di Bari, promuovendo un candidato su due. Sempre a Bari l’anno
prima le sottocommissioni di esame della Corte di Appello di Torino, invece,
meno benevoli, promossero un candidato su tre. Questo sistema, poggiato su
principi non previsti dalle norme concorsuali, ingiustificati, altalenanti,
parziali e discriminatori, è notorio ed è comune in tutta Italia e per tutti gli
anni. In questo modo i candidati, in base alle percentuali di ammissione
adottate negli anni precedenti dalle sottocommissioni sorteggiate, conoscono
percentualmente il loro destino in anticipo, ben prima di sapere i voti resi ai
loro pareri scritti.
2. In data 28.6.2011, per pubblicazione effettuata da parte della Corte di
Appello di Lecce, l’istante aveva conoscenza della mancata ammissione alle prove
orali, per effetto dell’attribuzione agli elaborati d’esame, da parte della Iª
Sottocommissione presso la Corte di Appello di Palermo, del giudizio complessivo
di 75 (25 per la prova di diritto civile, 25 per la prova di diritto penale e 25
per l’atto giudiziario in diritto civile);
3. a seguito dell’esercizio del diritto di accesso, constatava che la
valutazione degli elaborati d’esame fosse stata effettuata in termini puramente
numerici e in tempi insufficienti; che il giudizio negativo non era confutato da
corrispettivi raffronti di errori indicati negli elaborati con glosse,
correzioni, sottolineature con note o spiegazioni a margine, ecc. I compiti
immacolati, perfetti dal punto di vista ortografico, con maggior aggravio di
tempo, sono stati redatti addirittura in stampatello e non in corsivo per
agevolarne la comprensione. Come perfetti sono dal punto di vista sintattico e
grammaticale, stante l’assenza di correzioni, glosse, note a margine. Come
altresì perfetti sono dal punto di vista tecnico conformandosi il parere reso
all’orientamento totalitario.
4. Nel visionare i giudizi degli elaborati si notava la mancanza del voto
di ciascun commissario, ovvero il voto riferito a ciascun criterio individuato
per la valutazione delle prove, così come la commissione si richiama nell’atto
di verbale.
5. Dalla visione degli elaborati e del verbale di correzione redatto dalla
Iª sottocommissione di Palermo in data 19 aprile 2011 si rileva che in
sottocommissione non vi era il Presidente di commissione centrale; non vi era il
Presidente titolare della Iª sottocommissione di Palermo; non vi era il voto di
ciascun commissario sulle prove, né vi era il voto riferito a ciascun criterio
di correzione. Criteri fissati dalla Commissione Centrale e fatti propri dalla
Iª sottocommissione esaminatrice. Nella sottocommissione, altresì, mancava la
componente professionale adatta a correggere i compiti dal punto di vista
lessicale, grammaticale, sintattico, persuasivo ed ogni altro criterio di
correzione riconducibile alle materie letterarie, filosofiche e comunicative.
Invece la Iª Sottocommissione di Palermo è composta solo da pratici del diritto
e da un’unica figura di professore universitario, Laura Lorello, che ha, però,
la qualifica di docente di diritto Costituzionale presso la Facoltà di
Giurisprudenza dell’Università di Palermo.
6. I voti resi agli elaborati nella sessione 2010 sono identici ai voti resi
nelle rispettive sessioni 2009, 2008, 2007, e con le stesse modalità di
correzione (compiti immacolati), come se fosse un modus operandi.
7. A presiedere la Commissione centrale d’esame è l’Avvocato Antonio De
Giorgi, componente del Consiglio Nazionale Forense indicato dal Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati di Lecce. Egli ha già presieduto le sottocommissioni
di esame di avvocato presso la Corte di Appello di Lecce come presidente del
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lecce nel periodo ante riforma del 2003.
Riforma che di fatto ha criticato l’operato di tutte le sottocommissioni
d’Italia, estromettendone, per mala gestio degli esami, proprio tutti i
consiglieri dell’ordine degli avvocati.
I provvedimenti meglio specificati in epigrafe sono impugnati dal ricorrente
per: violazione art. 3 L. 241 del 1990, difetto assoluto di motivazione;
violazione delle norme in materia di valutazione degli elaborati nelle prove
concorsuali; violazione dei criteri generali stabiliti dall'articolo 1-bis,
comma 9, della legge 18 luglio del 2003 e fissati nella seduta del 09.12.2010
dalla Commissione centrale presso il Ministero della Giustizia, di recepimento
della circolare ministeriale del 8 novembre 2010; eccesso di potere per errore
nei presupposti; difetto di istruttoria; illogicità, contraddittorietà,
parzialità dei giudizi.
Tutto ciò lede il principio costituzionale di imparzialità e buon andamento
della Pubblica Amministrazione.
Il ricorrente da 13 anni subisce le conseguenze negative di questo sistema
illegittimo di correzione degli elaborati. All’uopo si portano in visione gli
atti concorsuali degli ultimi 3 anni, da cui si evincono, oltre le invalidità
meglio di seguito specificate, anche le “stranezze” nel rendere il giudizio: per
tutti i compiti resi nei vari anni si appalesa quel 24/25 uguale per tutti gli
elaborati; i giudizi illogici, tenuto conto che i compiti sono immacolati e i
giudizi numerici identici tra loro, senza soluzione di continuità; i compiti
immacolati e giudizi mancanti di ogni indicazione logica che possa far
inquadrare al ricorrente le manchevolezze, a cui porre rimedio nelle sessioni
successive.
Il ricorrente ha diritto di conoscere le lacune che, in tutti questi anni, sono
stati causa di inidoneità e se tali lacune siano fondate. I giudizi resi, non
sopportati da elementi concreti (correzioni, glosse, note e spiegazioni, ecc.),
fanno sì che la commissione correttrice, venendo meno ai suoi doveri di
trasparenza, correttezza ed equità, impedisce, di fatto, la conoscenza
dell’errore, non indicato palesemente, il quale può essere senza colpa reiterato
dal ricorrente.
DIRITTO
I provvedimenti de quo impugnati devono considerarsi illegittimi per i seguenti
motivi di diritto, indicati per economia processuale in modo sintetico e con
riferimento alla giurisprudenza domestica più recente.
In premessa alle contestazioni soggettive rilevate e sollevate, si presenta
all’attenzione della S.V. una questione che, di per sé in modo oggettivo,
invaliderebbe tutte le prove scritte svolte presso ogni Corte di Appello, sede
d’esame di concorso di avvocato. Ma che, per forza di cose, ne si chiede
applicazione unicamente all’interesse dell’istante, qui rappresentato.
Qui si evince un fatto, da sempre notorio su tutti gli organi di stampa,
rilevato e rilevabile in ambito nazionale: ossia la disparità di trattamento tra
i candidati rispetto alla sessione d’esame temporale e riguardo alla Corte di
Appello di competenza. Diverse percentuali di idoneità (spesso fino al doppio),
per tempo e luogo di esame, fanno sperare i candidati nella buona sorte
necessaria per l’assegnazione della commissione benevola sorteggiata. Nel Nord
Italia le percentuali adottate dalle locali commissioni d’esame sono del 30%,
nel sud fino al 60%. Le sottocommissioni di Palermo sono come le
sottocommissioni del Nord Italia.
I Candidati sperano nella buona sorte dell’assegnazione.
La Fortuna: requisito questo non previsto dalle norme.
E’ illegittimo, agli occhi dell’art. 3 e dell’art. 97 della Costituzione, il
fatto che ogni candidato di debba affidare ogni anno alla benevolenza della
commissione di esame estratta per la correzione dei compiti itineranti. In
particolare i candidati di Lecce si sottopongono al giudizio di commissioni che
adottano percentuali di idoneità che vanno dal 30% di Palermo e Torino, al 60%
di Salerno e Reggio Calabria. L’idoneità non può essere riconducibile a fattori
estemporanei temporali o territoriali, come anno e luogo di nascita. Tra i
requisiti richiesti per il superamento dell’esame non vi è, né vi potrebbe mai
essere indicata “la Fortuna”. Tali percentuali, adottati al di là di ogni
ragionevole logica, inficiano in modo grave il buon andamento e l'imparzialità
dell'amministrazione pubblica, oltre che a ledere il diritto di uguaglianza dei
candidati partecipanti ai medesimi esami, ma giudicati da commissioni diverse.
Non solo. Adottando improvvidi atteggiamenti la Commissione giudicatrice,
impedendo l’accesso all’abilitazione ai candidati “sfortunati”, lede l’art. 4
della Costituzione: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al
lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni
cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria
scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o
spirituale della società.”
Tutto questo sotto l’aspetto oggettivo, rilevabile d’ufficio, in quanto il
giudizio reso agli elaborati della odierna sessione 2010 del ricorrente è stato
viziato dalla “Sfortuna” di trovare una sottocommissione, quella di Palermo,
poco incline alla benevolenza, la quale ha reso idonei pochi candidati di Lecce,
rispetto a quella di Salerno dell’anno precedente, che ne ha resi idonei il
doppio.
Uno studio della Fondazione Rodolfo Debenedetti sugli Ordini professionali,
pubblicato sul Corriere della Sera del 4 luglio 2011 parla di risultati
riconducibili in prevalenza al familismo, ovvero all’impedimento della libera
concorrenza da parte di chi, avvocati in commissioni d’esame, ha tutto
l’interesse a limitare l’accesso a nuovi professionisti.
Qui si contesta la competenza dei commissari a poter svolgere dei controlli di
conformità ai criteri indicati: capacità pedagogica propria di docenti di
discipline didattiche non inseriti in commissione.
Qui si contesta la mancanza di motivazione alle correzioni, note, glosse, ecc.,
tanto da essere contestate dal punto di vista oggettivo da gente esperta nella
materia di riferimento.
La commissione di esame di avvocato presso il Ministero della Giustizia,
sessione 2010, ha definito i seguenti criteri per la valutazione degli
elaborati, stabiliti dall'articolo 1-bis, comma 9, della legge 18 luglio del
2003 e fissati nella seduta del 09.12.2010 dalla Commissione centrale presso il
Ministero della Giustizia, di recepimento della circolare ministeriale del 8
novembre 2010:
1. Chiarezza, logicità e metodologia dell’esposizione, con corretto uso di
grammatica e sintassi;
2. Capacità di soluzione di specifici problemi;
3. Dimostrazione della conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti
giuridici trattati e della capacità di cogliere profili interdisciplinari;
4. Padronanza delle tecniche di persuasione.
L’esame scritto di avvocato presenta insidie particolari. Infatti è ben diverso
dagli esami universitari ed allo stesso tempo è molto lontano da ciò cui abitua
la pratica: si trova in un limbo in cui si chiede al candidato di riesumare le
nozioni istituzionali dei manuali universitari ed allo stesso tempo di superare
l’astrattezza della teoria con applicazione a tracce d’esame che, pur se tratte
dalla giurisprudenza, non possono che essere stilizzate. Di conseguenza
generalmente manca nel candidato una preparazione specifica ad un simile genere
di prova.
Così come tale preparazione specifica manca al singolo commissario d’esame.
Sul punto si può osservare che il parere non è un atto, in cui si perorano le
ragioni dell’assistito, prendendo in considerazione le argomentazioni della
controparte solo per contestarle. Tale differenza emerge chiaramente dalla
lettura della lettera e) del prima riportato art. 1 comma 9, allegato della
legge 180/2003, per cui le tecniche di persuasione sono elementi rilevanti solo
ai fini della valutazione dell’ultima prova d’esame.
Il parere però non è nemmeno una mera rassegna degli orientamenti
giurisprudenziali esistenti, di cui riportare acriticamente la massima. Infatti
il semplice collage dei dicta pretori non dimostra capacità alcuna, soprattutto
se si tiene conto che il candidato si avvale di un codice commentato.
Il candidato, quindi, ha diritto ad essere giudicato, da una commissione che
garantisca l’effettiva competenza a poter svolgere il suo compito. Questa
certezza la può dare solo una commissione in cui vi facciano parte esperti di
discipline che possano verificare e giudicare l’elaborato del candidato, al di
là di ogni ragionevole contestazione. Tenuto conto altresì che si chiede al
singolo candidato di avere una sorta di competenza tale da soddisfare le
verifiche di più commissari esperti nelle varie materie.
Ma proprio questo è il punto: i commissari d’esame non hanno la preparazione
professionale per poter svolgere il ruolo di cui sono incaricati. Anche perché
c’è una lacuna di fondo.
Si insiste nel dire sulla necessità di "formare i formatori". Alcuni Consigli
dell’Ordine degli Avvocati hanno previsto espressamente nello Statuto delle
erigende scuole la presenza obbligatoria di un "modulo" di metodologia giuridica
accanto alle materie istituzionali. Modulo il cui insegnamento è stato affidato
a studiosi e docenti di filosofia del diritto. La metodologia, infatti,
comprende (secondo la prospettiva classica) lo studio delle discipline
finalizzate a produrre "chiarezza, logicità e rigore metodologico
dell’esposizione […] capacita di soluzione di specifici problemi […] padronanza
delle tecniche di persuasione" (si cita dall’art. 1 bis, 9° comma, della
L.180/2003 sui criteri di valutazione della prova scritta all’esame di Stato per
la professione d’avvocato). In questo senso, dunque, l’inserimento a Statuto di
un modulo didattico di metodologia risponde ai precisi requisiti del legislatore
circa le abilità richieste al principiante avvocato.
Molto più di questo, però, vale l’osservazione per cui la metodologia giuridica
non può limitarsi a rappresentare una fra le materie impartite nella scuola,
poiché, se quest’ultima vuole davvero ispirarsi al modello non occasionale del
"ginnasio forense", dovrà assumere la metodologia come struttura e non soltanto
come contenuto inserito in un contesto ancora ‘tradizionale’ (sostanzialmente
mutuato dalle Facoltà giuridiche). Il che significa che il “frame” delle diverse
unità didattiche (di civile, di penale, di amministrativo ecc.) dovrà avere
natura metodologica (questione della "formazione dei formatori" e della
meta-didattica).
Per quanto riguarda la corretta applicazione di sintassi e grammatica,
oltretutto, si abbisogna di un docente delle discipline umanistiche, nel campo
delle lettere, competente specificatamente su vari ambiti: analisi
logica; conoscenza e comprensione delle varie funzioni logiche; comprensione e
riconoscimento delle diverse funzioni logiche nella frase semplice e nel
discorso; ortografia e punteggiatura; conoscenza morfologica delle regole
ortografiche e di punteggiatura, padronanza dell’ortografia e della
punteggiatura nella scrittura; viaggio tra forma e significato delle parole;
conoscenza delle forme di derivazione e alterazione delle parole; conoscenza e
comprensione del vocabolario; conoscenza delle varie relazioni di significato
tra le parole; abilità di base della scrittura di un testo e tecniche narrative
essenziali; abilità di preparazione, organizzazione coerente di idee su un
determinato tema, abilità di espressione chiara e pertinente, abilità tecniche
narrative essenziali, abilità essenziali di generi narrativi diversi, abilità
essenziali di descrizione e riflessione.
La commissione di esame, così come è composta, fatta esclusivamente da soggetti
pratici, più che teorici, oltretutto elementi formatisi con discipline
giuridiche, non garantisce la totale efficienza ed attendibilità nella verifica
degli elaborati.
I Commissari che hanno corretto i compiti dell’istante sono 2 magistrati e 2
avvocati ed un professore di diritto costituzionale.
I Commissari nominati soddisfano solo le aspettative dei principi indicati al
punto 3, (attinenza agli istituti giuridici), restando sguarniti i restanti
punti, propri dei professori di lettere, filosofia e in discipline della
comunicazione.
Nel caso di specie i commissari nominati, alla mancanza di tali soggetti
professionali, figure indispensabili, hanno ovviato, intervenendo con giudizi
impropri e spesso errati.
Con la metodologia adottata ogni errore evidenziato deve essere motivato, per
poter essere verificato da personale esperto. Qui non vi è alcun errore né vi è
alcuna motivazione per poter vagliare il grado di incisività e fondatezza
dell’emendamento.
Il recente intervento della Corte Costituzionale, che abilita il solo voto
numerico in virtù del “Diritto Vivente”, non intacca un approccio diverso al
problema. Il giudizio sintetico, abilitato dalla Corte, impedisce l’indagine nel
merito della decisione definitiva presa, che diventa sunto delle risultanze rese
per i vari criteri di valutazione, ma non può mancare la motivazione agli
emendamenti ed i rilievi che toccano la stessa prova scritta. Si deve valutare
la competente Commissione, nei casi di valutazione negativa, ove non sussista
l’obbligo della motivazione finale, la quale è costretta ad un più attento esame
degli elaborati, al fine di giustificare in maniera adeguata e puntuale il
proprio operato, suscettibile di essere sottoposto al vaglio dell’Autorità
giurisdizionale, il che sicuramente rafforza l’osservanza del principio di buon
andamento di cui all’art. 97 Costituzione.
Qui si evince la carenza, ovvero la contraddittorietà e la illogicità del
giudizio reso in contrapposizione ad una evidente assenza o rilevanza di segni
grafici sugli elaborati, quali glosse, correzioni, note, commenti, ecc., o
comunque si contesta la fondatezza dei rilievi assunti, tale da suffragare e
giustificare la corrispondente motivazione indotta al voto numerico. Tutto ciò
denota l’assoluta mancanza di motivazione al giudizio, didattica e propedeutica
al fine di conoscere e correggere gli errori, per impedirne la reiterazione.
Per la Corte Costituzionale, con sentenza 175 del 201,“buon andamento,
economicità ed efficacia dell’azione amministrativa rendono non esigibile una
dettagliata esposizione, da parte delle commissioni esaminatrici, delle ragioni
sottese ad un giudizio di non idoneità, sia per i tempi entro i quali le
operazioni concorsuali o abilitative devono essere portate a compimento, sia per
il numero dei partecipanti alle prove”. Così la Corte Costituzionale ha sancito,
il 7 giugno 2011, la legittimità costituzionale del cd. “diritto vivente”,
secondo cui sarebbe sufficiente motivare il giudizio negativo, negli esami di
abilitazione, con il semplice voto numerico. La Corte osserva come non sia
sostenibile – come spesso affermato – che il punteggio indichi soltanto il
risultato della valutazione: “esso, in realtà, si traduce in un giudizio
complessivo dell’elaborato, alla luce dei parametri dettati dall’art. 22, nono
comma, del citato r.d.l. n. 1578 del 1933, suscettibile di sindacato in sede
giurisdizionale, nei limiti individuati dalla giurisprudenza amministrativa”. Il
che vale a dire che “il sindacato giurisdizionale sul provvedimento di non
ammissione, in presenza dell’ampio potere tecnico-discrezionale spettante agli
organi preposti alla valutazione, può avvenire soltanto in caso di espressione
di giudizi discordanti tra i commissari o di contraddizione tra specifici
elementi di fatto, i criteri di massima prestabiliti e la conseguente
attribuzione del voto”.“…il punteggio espresso deve trovare specifici parametri
di riferimento nei criteri di valutazione ….ed è soggetto a controllo da parte
del giudice amministrativo che, pur non potendo sostituire il proprio giudizio a
quello della commissione esaminatrice, può tuttavia sindacarlo, nei casi in cui
sussistano elementi in grado di porre in evidenza vizi logici, errori di fatto o
profili di contraddizione ictu oculi rilevabili, previo accesso agli atti del
procedimento”.
La Corte Costituzionale per ragion di Stato (tempi ristretti ed elevato numero)
afferma piena fiducia nelle commissioni di esame (nonostante la riforma e varie
inchieste mediatiche e giudiziarie ne minano la credibilità), stabilendo una
sorta d’infallibilità del loro operato e di insindacabilità dei giudizi resi,
salvo che il sindacato non promani in sede giurisdizionale. I candidati, quindi,
devono sperare nel Foro presso cui vi sia tutela della meritocrazia ed un certo
orientamento giurisprudenziale a favore dei diritti inviolabili del candidato,
che nella massa è ridimensionato ad un semplice numero, sia di elaborato, sia di
giudizio. Giudizi rapidi e sommari, che spesso non valorizzano le capacità
tecniche e umane che da un’attenta lettura dell’elaborato possono trasparire.
Fatto assodato ed incontestabile il voto numerico, quale giudizio e motivazione
sottesa. Esso deve, però, riferire ad elementi di fatto corrispondenti che
supportino quel voto.
Elementi di fatto che qui mancano o sono insussistenti.
Ai fini della ricorrezione degli elaborati, il provvedimento di mancato
superamento delle prove scritte privo di motivazione e di segni grafici sugli
elaborati, va sospeso. E’ questo il principio con cui il TAR Genova con
ordinanza n. 380/2010 ha accolto l’istanza di sospensiva connessa al ricorso
principale finalizzato all’annullamento del provvedimento di non ammissione alle
prove orali per l’abilitazione forense privo di alcuna motivazione. In
particolare, per il Tar Ligure va ordinata la ricorrezione degli elaborati
“Rilevato che la mancanza di correzioni o glosse e, soprattutto, l’assoluta
identità del voto - finanche nelle valutazioni espresse su ogni singolo
elaborato da ciascun commissario - conseguito in tre distinte e differenti
prove, costituiscono spie dell’eccesso di potere, sotto il profilo della carenza
di istruttoria”.
Conforme è T.A.R. Puglia, Bari, Sezione II, Sentenza 28 ottobre 2008, n.
2401: Rileva il Collegio che, dall'esame dell'art. 23 comma 3 R.D. 37/1934 e
successive modificazioni, emerge con chiarezza che la Commissione esaminatrice è
tenuta nella valutazione degli elementi a svolgere un doppio procedimento: a) di
lettura e correzione; b) di giudizio, entrambi a tradursi nei relativi verbali.
Deve evidenziarsi che le fasi anzidette, imposte per legge, sono autonome,
distinte e non sovrapponibili, investendo la prima un'operazione di stretta
rilevazione di errori, difetti, inesattezze, quale risultante della correzione
(v. dizionario della lingua italiana); riguardando, invece, la seconda fase,
un'operazione di vera e propria attribuzione del punteggio, quale risultante del
giudizio. Più in particolare, mentre l'operazione di correzione rappresenta uno
strumento tipico ed essenziale di emersione dei profili di
criticità/carenza/positività delle tesi esposte, l'operazione di giudizio
costituisce più propriamente l'attribuzione del punteggio. Osserva il Collegio
che, dall'esame degli atti depositati in giudizio, si evince, invece, che il
verbale di correzione riporta semplicemente i punteggi attribuiti al candidato
nelle tre prove scritte, punteggi che compaiono, poi, in ripetizione nel verbale
di giudizio, sicchè l'operazione di correzione risulta pretermessa e/o comunque
assorbita in quella di giudizio. Operando in tal modo la Commissione
esaminatrice ha posto in essere un'attività difforme dal paradigma legale,
omettendo di svolgere l'operazione preliminare di correzione degli elaborati
che, costituisce la fase più importante dell'attività valutativa a motivo della
trasparenza ad essa connaturata essendo volta a rendere intelligibile la misura
della professionalità espressa. Occorre, per ragioni di estrema chiarezza,
quindi rilevare che, nella specie, si fa questione di profili di violazione di
legge (art. 23 comma 3 R.D. 37/1934 e successive modificazioni) che investono,
come s'è detto, la fase della correzione degli elaborati, e non, invece, la fase
del giudizio che, ancorché sintetico (per attribuzione di punteggio numerico),
si attesta come eloquente e, quindi, idoneo ad esprimere la professionalità di
ogni singolo candidato (in tal senso questa Sezione è allineata alla
giurisprudenza costante e ferma del Consiglio di Stato). Rileva, altresì, il
collegio che ricorre nella specie il dedotto vizio di eccesso di potere per
contraddittorietà e illogicità. Ed invero, occorre premettere che la Commissione
per l'esame di avvocato ha approvato all'unanimità i criteri direttivi per la
correzione degli elaborati scritti ai sensi della legge 180/2003. La stessa
Commissione, tra l'altro, "… invita ad indicare sull'elaborato il punto o il
punto che eventualmente si ritengano non conformi alla direttive sopraindicate"
…"sollecita le sottocommissioni ad attenersi ai predetti criteri"; prevedendo
espressamente che ciascuna Sottocommissione trasmetta alla Commissione centrale
"… “copia del verbale della riunione nella quale saranno esaminati e recepiti i
criteri valutativi sopra riportati ed assunti come riferimento per
l'assegnazione del punteggio”. Gli atti di cui sopra, espressione dei
poteri autorganizzativi della Commissione e della sua autonomia
nell'espletamento del compito demandatole, integrano evidente autolimitazione e
vincolano la Commissione medesima, nonché le sottocommissioni, che ne
costituiscono articolazioni interne, all'osservanza dei criteri medesimi. Rileva
pertanto il Collegio che ricorre nelle specie non già vizio di motivazione,
bensì eccesso di potere per contraddittorietà rispetto a precedenti atti e
provvedimenti della stessa Commissione, di carattere vincolante, atteso che gli
elaborati scritti in atti evidenziano la pressoché totale assenza di segni e
indicazioni grafiche.
L'esecuzione della sentenza comporterà l'obbligo della Commissione di procedere
senza indugio alla correzione degli elaborati , con conseguente formulazione di
un nuovo giudizio in coerenza con il dettato di legge in uno con i criteri
fissati dalla Commissione medesima, con l'effetto che, in sede di rinnovazione
delle operazioni di correzione (e quindi di giudizio), la Commissione debba
riesaminare gli elaborati secondo una tecnica di rilevazione degli errori e
delle inesattezze giuridiche di cui resti traccia evidente nel verbale di
correzione.
Il precedente del TAR Puglia Lecce sez. I 23 aprile 2009, n.
746 - (3519) definitivamente pronunciando sul ricorso, attinente i motivi de
quo, lo accoglie, come da motivazione e, per l'effetto, dispone l’annullamento
degli atti impugnati.
“Ormai da lungo tempo (ed in particolare, da T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 14
giugno 1996, n. 510), la giurisprudenza della Sezione segue un percorso
argomentativo che ritiene la valutazione degli elaborati d’esame o di concorso
in forma meramente numerica assolutamente insufficiente ad integrare l’obbligo
di motivazione previsto dall’art. 3 della l. 7 agosto 1990 n. 241, nelle ipotesi
in cui i criteri generali di valutazione degli elaborati siano stati
predeterminati in maniera tale da attribuire alla Commissione un rilevante
spazio di apprezzamento (spazio di apprezzamento che manca, ovviamente, nelle
ipotesi di criteri di valutazione formulati con riferimento a questionari a
risposta predeterminata o ad altri sistemi “vincolati” di valutazione) che deve
poter essere “controllato” dai partecipanti alla procedura selettiva ed in
definitiva, dall’intera collettività.
Dopo l’intervento di una importante decisione della Corte costituzionale (Corte
cost. ord. 14 novembre 2005 n. 419), l’orientamento è stato riaffermato da
sentenze più recenti della Sezione (T.A.R. Puglia Lecce sez. I 20 novembre 2008
n. 3375; 21 dicembre 2006 n. 6055 e 6056), sulla base di una struttura
argomentativa estremamente aggiornata che può essere richiamata anche in questa
sede, in funzione motivazionale della presente decisione: all’udienza del 21
gennaio 2004 il T.A.R. sospendeva il giudizio e rimetteva gli atti alla Corte
costituzionale, così motivando:
1. – L’illegittimità dell’impugnato giudizio negativo viene denunciata nel
ricorso sotto molteplici profili; ritiene il Collegio che tra questi debba
essere prioritariamente definito quello concernente il difetto di motivazione.
Ciò in quanto il fine perseguito dalla ricorrente è, insieme alla caducazione
degli atti impugnati, la rinnovazione del giudizio sulle sue prove scritte;
rispetto a tale obiettivo, la decisione sulla censura relativa al profilo
motivazionale risulta centrale, non solo ai fini dell’invocato annullamento del
giudizio negativo già formulato (stante il carattere tipicamente assorbente,
rispetto alle altre censure, del vizio di carenza di motivazione), ma anche e
soprattutto ai fini conformativi dell’attività che la Pubblica Amministrazione
sarebbe chiamata a svolgere nell’eventualità di un accoglimento del gravame,
essendo evidente che, in tale ipotesi, la Commissione dovrebbe, in diversa
composizione, procedere ad un nuovo esame delle prove scritte della ricorrente,
fornendo congrua motivazione del nuovo giudizio, esplicitata da significative
formule verbali; e ciò a prescindere da eventuali lacune degli elaborati, poiché
l’enunciazione, ancorché sintetica, delle ragioni di un giudizio non positivo
corrisponde al generalissimo precetto di clare loqui, (costituente di per sé un
preminente valore fornito di garanzia costituzionale ex artt. 97 e 2 della Carta
Fondamentale), consentendo al candidato un adeguato riscontro tra il contenuto
della prova svolta e la sua negativa valutazione: il che può alternativamente
condurre ad una consapevole reazione in sede giurisdizionale ovvero
all’accettazione dell’esito negativo, visto anche in funzione di aiuto e di
indirizzo per le scelte future.
2. – Sostiene, in proposito, il ricorrente che il detto giudizio negativo,
espresso esclusivamente in forma numerica, attraverso voti, contrasta con il
principio generale enunciato dall’art. 3, comma 1, della Legge 7 agosto 1990, n.
241, a tenore del quale: “ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli
concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici
concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste
dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni
giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione
alle risultanze dell’istruttoria. La questione dell’integrale applicabilità
della norma citata agli esami di abilitazione all’esercizio della professione
forense è stata oggetto di ripetuto esame da parte del Consiglio di Stato il
quale ha elaborato in proposito un orientamento secondo cui, anche dopo
l’entrata in vigore della l. n. 241 del 1990, l’onere di motivazione dei giudizi
concernenti prove scritte ed orali di un concorso pubblico o di un esame di
abilitazione è sufficientemente adempiuto con l’attribuzione di un punteggio
alfanumerico, configurandosi quest’ultimo come formula sintetica, ma eloquente,
che esterna adeguatamente la valutazione tecnica della commissione e contiene in
sé la sua stessa motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni e
chiarimenti. Si è inoltre precisato che l’art. 3, comma 1, della l. n. 241 del
1990 si riferisce all’attività amministrativa provvedimentale e non all’attività
di giudizio conseguente a valutazione, quale è, appunto, quella relativa
all’attribuzione di un punteggio alla preparazione culturale o tecnica del
candidato. Detti principi possono dirsi assolutamente pacifici nella
giurisprudenza del Giudice di Appello, essendo stati ribaditi, da ultimo, tra le
tante, dalle seguenti decisioni: C.d.S., IV Sez., 1 febbraio 2001, n. 367; id.
12 marzo 2001, n. 1366; id. 29 ottobre 2001, n. 5635; id. 27 maggio 2002, n.
2926; id. 1 marzo 2003, n. 1162; id. 8 luglio 2003, n. 4084; id. 17 dicembre
2003, n. 8320; id. 4 maggio 2004, n. 2748; id. 4 maggio 2004, n. 2745; id. 7
maggio 2004, n. 2881; id. 7 maggio 2004, n. 2863; id. 7 maggio 2004, n. 2846;
id. 19 luglio 2004, n. 5175. A scalfire tale consolidato orientamento non vale
la diversa tesi sostenuta dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato, secondo
cui le commissioni esaminatrici, in mancanza di criteri generali di valutazione
sufficientemente puntuali ed analitici, sono tenute a rendere percepibile l’iter
logico seguito nell’attribuzione del punteggio, se non attraverso diffuse
esternazioni relative al contenuto delle prove, quanto meno mediante taluni
elementi che concorrano ad integrare e chiarire la valenza del punteggio,
esternando le ragioni dell’apprezzamento sinteticamente espresso con
l’indicazione numerica (cfr. Sez. IV, 30 aprile 2003, n. 2331; id. 13 febbraio
2004, n. 558; id. 22 giugno 2004, n. 4409; si veda anche, Cons. Stato, Sez. V,
28 giugno 2004, n. 4782). Ed invero, a parte il rilievo che nessuna delle
pronunce da ultimo citate riguarda l’esame di abilitazione all’esercizio della
professione di avvocato, osserva il Collegio che trattasi di precedenti isolati
e comunque non univoci, essendo stati smentiti da coeve decisioni della medesima
Sezione Sesta (cfr., Sez. VI, 17 febbraio 2004, n. 659); onde, allo stato, non è
possibile sostenere un “revirement” in materia del Consiglio di Stato, come
dimostrato anche dalla circostanza che la questione circa la sufficienza del
punteggio numerico per gli elaborati relativi alle prove scritte dell’esame di
avvocato non è stata deferita all’Adunanza Plenaria ex art. 45, comma 2, R.D. 26
giugno 1924, n. 1054; di talché deve escludersi che sul punto che qui interessa
siano sorti apprezzabili contrasti giurisprudenziali, tali da incrinare il
pacifico orientamento di cui si è detto. Si deve, dunque, riconoscere che, in
seno alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, si è affermato il principio per
cui l’art. 3, comma 1, della l. n. 241 del 1990 (alla luce del quale vanno
interpretate le disposizioni sull’esame di avvocato contenute nel R.D. 22
gennaio 1934, n. 37 e, in particolare, quelle di cui agli artt. 17 bis e 23 che
utilizzano il termine “punteggio”) esclude dall’obbligo di puntuale motivazione
i giudizi espressi in sede di valutazione delle prove dell’esame di abilitazione
all’esercizio della professione forense; e che tale principio giurisprudenziale
si è così stabilmente consolidato da acquisire i connotati del “diritto
vivente”, nel senso che le norme suddette vigono nel nostro ordinamento nella
versione e con il contenuto precettivo ad esse assegnato dalla su riferita
giurisprudenza del Consiglio di Stato, al punto che non ne è ipotizzabile una
modifica senza l’intervento del Legislatore o della Corte Costituzionale. A tale
proposito, osserva il Collegio che in data 3 luglio 2001 è stata presentata alla
Camera dei Deputati una proposta di legge (contraddistinta dal n. 1160, ed oggi
assorbita dall’approvazione del più organico disegno di modifica ed integrazione
della L. n. 241 del 1990 di cui al progetto di legge n. 3890 – B) che intendeva
modificare il testo del comma 1 dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 (secondo
l’interpretazione offertane dal Consiglio di Stato) in modo da estendere anche
alle commissioni di esame per l’abilitazione all’esercizio della professione
forense “l’obbligo di motivare per iscritto le valutazioni degli elaborati”; ciò
che, evidentemente, conferma la natura di “diritto vivente” acquisita dal su
riferito orientamento del Giudice di Appello.
3. - L’interpretazione del citato art. 3 seguita dal Consiglio di Stato appare
sospettabile di illegittimità costituzionale, per cui non resta al Collegio che
prospettare ex officio tali dubbi alla Corte Costituzionale, conformemente a
quel consolidato indirizzo della giurisprudenza del Giudice delle Leggi, secondo
cui, in presenza di un diritto vivente non condiviso dal Giudice a quo perché
ritenuto costituzionalmente illegittimo, questi ha la facoltà di optare tra
l’adozione, sempre consentita, di una diversa interpretazione, oppure
–adeguandosi al diritto vivente- la proposizione della questione davanti alla
Corte Costituzionale (cfr., ex plurimis, Corte Cost., sentt. n. 350/1997;
307/1996; 345/1995). Nel caso in esame il Collegio dubita della conformità a
determinate norme costituzionali dell’indirizzo interpretativo dell’art. 3 della
legge n. 241/1990 uniformemente seguito dal Consiglio di Stato in rapporto alla
formulazione ed alla motivazione dei giudizi relativi ad esami di abilitazione
professionale (con specifico riguardo agli esami per accedere alla professione
di avvocato). In particolare tali dubbi si prospettano:
3.1 – in relazione all’art. 3 della Costituzione perché non appare ragionevole,
nel contesto della legge generale sul procedimento amministrativo, una
disposizione normativa che, mentre consacra il generale principio dell’obbligo
di motivazione, tra l’altro facendo specifico riferimento a “lo svolgimento dei
pubblici concorsi”, ne esclude, al contempo, l’applicazione a categorie di atti
(nella specie i giudizi nell’esame di abilitazione all’esercizio della
professione forense) rispetto ai quali l’esigenza dei destinatari di conoscere,
attraverso un’idonea motivazione, le concrete ragioni poste a fondamento della
loro adozione non è diversa, né minore di quella dei soggetti interessati agli
altri atti e provvedimenti amministrativi; se del caso egualmente esprimenti
valutazioni di natura tecnica, sicuramente vincolati all’osservanza della norma,
atteso che il diritto alla trasparenza dell’agire amministrativo e la garanzia
di effettività del sindacato giurisdizionale non variano certo in funzione della
tipologia di atto adottato dalla pubblica amministrazione;
3.2 – in relazione agli art. 24 e 113 della Costituzione; ed invero le
valutazioni affidate dalla legge alle commissioni esaminatrici
in subiecta materia, si risolvono in una attività che, pur comportando scelte
discrezionali su base tecnica, si atteggia non diversamente da qualunque
attività valutativa che debba fondarsi su parametri prestabiliti (nel caso di
specie di natura giuridica) ed è suscettibile, quindi, di essere sindacata, in
sede di legittimità, da parte del Giudice Amministrativo, sia per vizi logici
sia per errore di fatto, sia per travisamento dei presupposti, sia per difetto
di istruttoria sia, infine, per cattiva applicazione delle regole tecniche di
riferimento.
Orbene il controllo della ragionevolezza, della coerenza e della logicità delle
valutazioni della commissione d’esame risulta precluso (o quanto meno reso
sommamente difficoltoso) di fronte al mero dato numerico del voto ed in assenza,
quindi, di una sia pur sintetica esternazione delle ragioni che hanno indotto la
Commissione alla formulazione di un giudizio di segno negativo, tenuto anche
conto dell’estrema genericità che, di prassi, connota i criteri di valutazione
che vengono stabiliti dalle commissioni esaminatrici; ne consegue che la tutela
così consentita dall’ordinamento all’aspirante avvocato si riduce al solo
riscontro di profili estrinseci e formali, quali quelli inerenti al rispetto
delle garanzie connesse alla collegialità dell’organo giudicante ed alla sua
composizione, con una cospicua riduzione del tasso di effettività della tutela
giurisdizionale in sede di giudizio di legittimità davanti al Giudice
Amministrativo;
3.3 – in relazione all’art. 97 della Costituzione poiché la sottrazione di una
categoria di atti all’obbligo di motivazione appare confliggente sia con il
principio di imparzialità (evidentemente meno garantito da un giudizio espresso
in forma soltanto numerica), sia con il principio di buon andamento
dell’amministrazione, che in un ordinamento modernamente democratico postula
anche la piena trasparenza dell’azione amministrativa; né le esigenze di
snellezza e di speditezza del procedimento di correzione degli elaborati, pur
riconducibili al principio di buon andamento ex art. 97 della Costituzione,
possono essere ritenute prevalenti rispetto all’inderogabile necessità di
assicurare il più corretto rapporto tra il cittadino e l’amministrazione
pubblica, essendo esse diversamente tutelabili attraverso un’applicazione del
principio dell’obbligo di motivazione ragionevole e proporzionata alla tipologia
delle prove di esame per l’accesso alla professione forense: ed invero, la mera
sottolineatura dei brani censurati o l’indicazione succinta delle parti della
prova contenenti lacune, inesattezze o errori non paiono rappresentare, anche
nell’esame d’avvocato, solitamente caratterizzato da un elevatissimo numero di
candidati, un comportamento inesigibile da parte dei componenti delle (sotto)
commissioni giudicatrici.
4. – In subordine, ove si ritenga conforme al dato normativo l’interpretazione
dell’art. 3 della Legge n. 241/1990, quale risulta dal “diritto vivente”
formatosi attraverso le decisioni del Consiglio di Stato rese sulla questione
che riguarda il presente giudizio, il Collegio prospetta l’illegittimità del
medesimo art. 3, in rapporto ai parametri costituzionali più sopra richiamati e
per le ragioni già illustrate.
5. – Le questioni che precedono appaiono al Collegio non manifestamente
infondate e sicuramente rilevanti nel presente giudizio, perché dalla loro
risoluzione dipende l’accoglimento o meno del ricorso sotto il denunziato
profilo del difetto di motivazione (ord. n. 1051/04.
4.- La Corte, tuttavia, con ordinanza n. 419/05, dichiarava la manifesta
inammissibilità della questione di legittimità dell’art. 3 della legge 7 agosto
1990, n. 241, sollevata in relazione agli artt. 3, 24, 97 e 113 della
Costituzione, con la seguente motivazione: “Considerato che il Tribunale
amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato,
in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, alla
luce dell’interpretazione di detta disposizione fornita dalla giurisprudenza
amministrativa in pronunce, che il rimettente reputa “diritto vivente”, che
hanno escluso l’obbligo di esplicita motivazione per i giudizi espressi in sede
di valutazione degli esami di abilitazione professionale;
che il Tribunale amministrativo regionale chiede sostanzialmente una pronuncia
sulla conformità a Costituzione di tale indirizzo interpretativo, con riguardo
ai principi costituzionali di cui alle disposizioni sopra indicate;
che i giudizi, aventi ad oggetto identica norma, vanno riuniti e decisi con
unica pronuncia;
che identica questione è già stata ritenuta manifestamente inammissibile da
questa Corte, con l’ordinanza n. 466 del 2000, “perché essa non è in realtà
diretta a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, ma si traduce
piuttosto in un improprio tentativo di ottenere l’avallo di questa Corte a
favore di una determinata interpretazione della norma, attività, questa, rimessa
al giudice di merito”;
che, successivamente, questa Corte, con ordinanza n. 233 del 2001, ha nuovamente
dichiarato manifestamente inammissibile la stessa questione, in considerazione
del fatto che il rimettente avrebbe voluto “estendere l’obbligo di motivazione
ai giudizi espressi in sede di valutazione delle prove d’esame per l’iscrizione
all’albo degli avvocati”, ma non avrebbe tratto “le conseguenze applicative
dell’interpretazione che egli considera conforme ai parametri costituzionali,
deducendo l’esistenza della giurisprudenza del Consiglio di Stato, che segue
l’interpretazione da lui non condivisa”, osservando come “nulla impedisce al
rimettente di adottare l’interpretazione da lui ritenuta corretta alla luce dei
parametri costituzionali”;
che non sussistono ragioni per discostarsi dal richiamato orientamento, tenuto
conto che nel frattempo la giurisprudenza amministrativa ha mostrato di fornire
un panorama ulteriormente articolato di possibili soluzioni interpretative,
spaziando dalla tesi che esclude l’applicabilità del censurato art. 3 alle
operazioni di mero giudizio conseguenti a valutazioni tecniche, in quanto
attività in tesi non provvedimentali, a quella che invece ritiene applicabile
l’obbligo di motivazione previsto dalla disposizione censurata anche ai giudizi
valutativi;
che all’interno di tale ultimo indirizzo possono poi individuarsi tre diverse
posizioni, a seconda che si ritenga l’attribuzione di un punteggio numerico una
valida ed idonea espressione motivatoria del giudizio valutativo, ovvero che si
escluda tale idoneità, o ancora che si rifiuti una prospettiva aprioristica, per
risolvere la questione in relazione alle peculiarità della singola fattispecie,
e segnatamente alla relazione intercorrente fra l’estensione dei criteri
valutativi prestabiliti dalla commissione esaminatrice ed il carattere più o
meno analitico del giudizio sulle prove di esame.
A sostegno della tesi dell’obbligatorietà della motivazione del giudizio
numerico si prospetta un esplicativo resoconto da parte della sentenza del
14/10/2010 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione
staccata di Catania (Sezione Quarta) N. 04204/2010 REG.SEN. ,N. 02177/2010
REG.RIC.
“Visti l’art. 23, comma 7, l’art. 24, comma 1, e l’art. 17 bis, comma 2, del
R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, come novellati dal D.L. 21 maggio 2003 n. 112, nel
testo integrato dalla legge di conversione 18 luglio 2003, n. 180, in base ai
quali, nel valutare le prove scritte dell’esame di abilitazione alla professione
di avvocato, la Commissione giudicatrice assegna dei voti numerici ai singoli
elaborati;
Visto l’art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni, in
base al quale “Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti
... lo svolgimento dei pubblici concorsi ... deve essere motivato ... La
motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che
hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle
risultanze dell’istruttoria”.
Viste le ordinanze 14 novembre 2005, n. 419 e 27 gennaio 2006 n. 28, con le
quali la Corte costituzionale, nel dichiarare inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale rispettivamente dell’art. 3 della L. n. 241/1990 e
degli artt. 23, comma 5, 24, comma 1 e 17 bis, comma 2, del R.D. 22 gennaio
1934, n. 37 e successive modificazioni (in quanto volte ad ottenere l’avallo
della Corte ad una certa interpretazione delle disposizioni impugnate, piuttosto
che a sottoporre alla stessa un dubbio di legittimità costituzionale), ha
tuttavia esplicitamente escluso che “la tesi dell’inesistenza di un obbligo di
motivazione per gli esami di abilitazione e in generale per i concorsi
costituisca <<diritto vivente>>, suggerendo di fatto ai giudici remittenti di
optare per una soluzione ermeneutica conforme ai principi costituzionali di cui
artt. 3, 24, 97, 98 e 113 Cost., dei quali era stata denunciata la lesione.
Visto l’art. 11, comma 5, del Decreto Leg.vo 24 aprile 2006 n. 166 che, nel
disciplinare le modalità di correzione delle prove scritte del concorso
notarile, prescrive testualmente: “Il giudizio di non idoneità è motivato. Nel
giudizio di idoneità il punteggio vale motivazione”.
Visto altresì l’art. 12, comma 5, dello stesso Decreto Leg.vo che, nel
disciplinare le modalità di svolgimento delle prove orali del concorso notarile,
così dispone: “La mancata approvazione è motivata. Nel caso di valutazione
positiva il punteggio vale motivazione”.
Rilevato che le due norme da ultimo riportate, ancorché riferite al concorso di
notaio, debbono essere considerate come espressione del principio di trasparenza
dell’attività della pubblica amministrazione, sancito, a livello normativo,
dall’art. 3 della Legge n. 241/1990 e, ancora prima, dall’art. 97, comma 1,
Costituzione, la cui valenza dev’essere estesa a qualsiasi procedimento
concorsuale.
Ritenuto, alla luce di tale recentissimo intervento del Legislatore e delle
puntualizzazioni della Corte Costituzionale prima richiamate, di poter superare
l’orientamento della giurisprudenza prevalente (Cfr. ex multis, Cons. Stato, IV,
1 febbraio 2001 n. 367; Cons. Stato, VI, 29 marzo 2002 n. 1786; Cons. Stato, VI,
10 gennaio 2003 n. 67; Cons. Stato, V, 21 novembre 2003 n. 7564; Cons. Stato,
IV, 5 agosto 2005 n. 4165; Cons. Stato, V, 15 dicembre 2005 n. 7136) la quale,
mossa dalla preoccupazione di garantire la speditezza e l’economicità
dell’azione amministrativa, ha sempre affermato che, anche dopo l’entrata in
vigore della L. n. 241/1990, nelle procedure concorsuali l’attribuzione del
punteggio numerico soddisfa l’obbligo della motivazione.
Rilevato che la giurisprudenza citata, alla quale questa Sezione nel passato ha
aderito (Cfr. Tar Catania, Sezione IV, 15 settembre 2005 n.1379), ha tuttavia
omesso di considerare che la valutazione di una prova ha natura composita, in
quanto essa:
- costituisce l’espressione di un giudizio tecnico – discrezionale, che si
esaurisce nell’ambito del procedimento concorsuale, allorché tale giudizio è
positivo, di modo che essa può essere resa con un semplice voto numerico;
- rappresenta al tempo stesso, oltre che un giudizio, un provvedimento
amministrativo che conclude il procedimento concorsuale, tutte le volte in cui
alle prove di un candidato venga attribuito un punteggio insufficiente, donde la
necessità, in tale ipotesi, che all’assegnazione del voto faccia seguito
l’espressione di un giudizio di non idoneità, con il quale vengano esplicitate
le ragioni della valutazione negativa, conformemente al disposto di cui all’art.
3 della L. n. 241/1990, ove questo venga interpretato – conformemente
all’orientamento prevalente - nel senso che la motivazione è necessaria solo per
gli atti aventi contenuto provvedimentale.
Rilevato che la soluzione prospettata è coerente con le ripetute affermazioni
giurisprudenziali secondo cui (Cfr. Tar Toscana, Sezione II, 4 novembre 2005 n.
5557), “in tema di prove scritte concorsuali, al candidato deve essere
assicurato il diritto di conoscere gli errori, le inesattezze o le lacune in cui
ritiene che la commissione sia incorsa, sì da potere valutare la possibilità di
un ricorso giurisdizionale e che, conseguentemente, il rispetto dei principi
anzidetti impone che alla valutazione sintetica di semplice <<non inidoneità>>
si accompagnino quanto meno ulteriori elementi sulla scorta dei quali sia
consentito ricostruire ab externo la motivazione del giudizio valutativo; tra
questi, in specie, in uno alla formulazione dettagliata e puntuale dei criteri
di valutazione fissati preliminarmente dalla commissione, elementi e dati che
consentano di individuare gli aspetti della prova non valutati positivamente
dalla commissione (cfr., per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 2 marzo 2004 n. 974)”.
Rilevato altresì che, nei casi di valutazione negativa, ove sussista l’obbligo
della motivazione, la competente Commissione è costretta ad un più attento esame
degli elaborati, al fine di giustificare in maniera adeguata e puntuale il
proprio operato, suscettibile di essere sottoposto al vaglio dell’Autorità
giurisdizionale, il che sicuramente rafforza l’osservanza del principio di buon
andamento di cui all’art. 97 Costituzione.”
Detto ciò, pertanto, va confermato il richiamato orientamento di questa Corte,
tanto più in presenza delle riportate evoluzioni del panorama giurisprudenziale,
che consentono al giudice di adottare una delle (plurime) interpretazioni che
ritenga conforme agli invocati parametri costituzionali.
Altresì qui si contesta la mancanza del voto di ciascun commissario, ovvero il
voto riferito a ciascun criterio individuato per la valutazione delle prove.
Dal combinato disposto degli articoli 17 bis e 30, r.d. 22 gennaio 1934 n. 37,
si desume che l'obbligo di verbalizzazione di tutte le operazioni concorsuali
deve essere ritenuto comprensivo anche dell'attribuzione del voto (e, quindi,
dei voti attribuiti a ciascun commissario), a differenza della previsione
dell'articolo 24, r.d. n. 37 cit., che si riferisce al solo "voto - risultato".
Nessun argomento in contrario può, infatti, essere tratto dalla natura
collegiale dell'organo deputato alle valutazioni non essendo possibile, nel
sistema di cui alla L. 7 agosto 1990 n. 241, postulare
zone di segreto amministrativo, peraltro non espressamente riferibili alle
ipotesi previste dal menzionato articolo 24 (Tar Puglia, sez. I Lecce, 27 marzo
1996, n. 120; Parti in causa Messuti c. Min. giust.; Riviste Foro Amm., 1996,
3464, n. Colzi; Rif. Legislativi RD 22 gennaio 1934 n. 37, art. 17, RD 22
gennaio 1934 n. 37, art. 24; RD 22 gennaio 1934 n. 37, art. 30; L 7 agosto 1990
n. 241).
Poiché funzione del verbale è documentare le operazioni fondamentali del
procedimento, esso deve raccogliere - trattandosi di una componente essenziale,
ai fini della formazione del giudizio complessivo – anche la dichiarazione di
voto del singolo commissario; al riguardo, non osta alcuna particolare esigenza
di riservatezza rinvenendosi, anzi, nell'ordinamento, l'opposta esigenza di
pubblicità e trasparenza (Tar. Molise, 26 novembre 1998, n. 386; Parti in causa:
Mozzetti c. Commissione esami avv. anno 1997 A. Campobasso e altro; Riviste:
Foro Amm., 1999, 1325).
Il giudizio finale di una prova concorsuale (nella specie, esame di
avvocato), non perde la sua riferibilità all'organo collegiale se le espressioni
di voto dei singoli membri sono rese pubbliche; appartengono, infatti, al
novero degli atti collegiali tanto i provvedimenti per i quali il diritto
positivo prevede la segretezza delle singole espressioni di voto, quanto le
deliberazioni per cui vige la regola opposta della pubblica esternazione
del voto dei singoli componenti (Tar Molise, 26 novembre 1998, n. 386; Parti in
causa Mozzetti c. Commissione esami avv. anno 1997 A. Campobasso e altro;
Riviste Foro Amm., 1999, 1325).
Con una recente pronuncia del 2008 il Tar della regione Lombardia, ponendosi nel
solco del Tar Sicilia - Catania, Sez IV, 14 settembre 2006, n 1446 e
discostandosi dalla prevalente giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cds , sez
IV, 7 aprile 2008, n 1455 e Cds, Sez IV, 10 aprile 2008 n 1553) ha affermato,
con riferimento al voto numerico assegnato per la prova scritta dell'esame di
abilitazione forense, l'insufficienza dello stesso ad assolvere all'obbligo di
motivazione di cui all'art. 3 della L. n. 241 del 1990 ritenuta norma
applicabile attesa la natura provvedimentale della valutazione degli elaborati
comportanti l'esito negativo dell'esame. A parere del Tar, posto l'obbligo di
stabilire una griglia di criteri per la valutazione delle prove d'esame nella
prima riunione utile della Commissione ai sensi dell'art. 1 del d.p.r. n 487 del
1994, sarebbe necessario che le valutazioni non si estrinsecassero in un voto
sintetico ma in una pluralità di voti con riferimento a ciascun criterio
individuato. Ciò nel solco dei principi generali esposti dalla giurisprudenza
amministrativa con riferimento al voto numerico, ritenuto motivazione
sufficiente della valutazione di prove concorsuali soltanto in presenza di una
precisa griglia di criteri cui riferire il voto assegnato. In presenza di una
molteplicità di criteri, il voto sintetico non dovrà essere altro che una media
ponderata dei voti assegnati con riferimento a ciascun parametro essendo
altrimenti preclusa ogni valutazione sulla rispondenza del voto ai criteri
prestabiliti.
T.A.R. Milano Lombardia sez. IV del 29 maggio 2008 n. 1893
Il giudizio di non idoneità del candidato partecipante all'esame per
l'abilitazione alla professione di avvocato deve esprimersi attraverso una
griglia di punteggi dove i singoli parametri, predeterminati dalla commissione
esaminatrice come criteri di valutazione in sede di prima riunione ai sensi
dell'art. 12 d.P.R. n. 487 del 1994, abbiano avuto il loro peso specifico nella
correzione dell'elaborato. Tale ulteriore onere motivazionale non costituirà un
gravoso aggravio dei lavori delle commissione con il rischio di un abnorme
allungamento dei tempi di correzione, poiché sarà sufficiente esprimere una
pluralità di voti che altro non sono che la scomposizione del voto complessivo
finora sinteticamente espresso e la cui media stabilirà il voto finale
attribuito dalla commissione stessa. Solo osservando tale accorgimento il
candidato avrà modo di conoscere su quale particolare profilo valutativo
l'elaborato è stato ritenuto non sufficiente.
Altresì qui si contesta l’assenza ingiustificata del presidente della
Commissione d’esame centrale e contestualmente l’assenza del presidente della
Iª sottocommissione di Palermo.
La Iª sottocommissione di Palermo non era presieduta dal legittimo Presidente
con nomina ministeriale: non vi era presente l’avv. Antonio De Giorgi,
Presidente di commissione centrale, né vi era l’avv. Giuseppe Cavasino,
Presidente titolare della Iª sottocommissione di Palermo. Tale sottocommissione
nella seduta del 19 aprile 2011, sessione in cui si sono corrette le prove del
ricorrente, è stata presieduta dl supplente vice presidente avv. Mario Grillo.
L'assenza ingiustificata del Presidente della commissione di esame centrale
inficia i lavori della sottocommissione da lui non presieduti (T.A.R. Calabria,
Catanzaro, 22 maggio 1997, n. 312; Parti in causa Tartaro c. Min. giust.;
Riviste Foro Amm., 1998, 55).
In base al comma 6 art. 22, r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578 (aggiunto dall'art.
2 l. 20 aprile 1989 n. 142) le sottocommissioni per gli esami
di procuratore legale sono costituite - e possono disporre con efficacia
provvedimentale - soltanto con la presenza del presidente della
commissione centrale, il
quale riveste la
qualifica di presidente effettivo di tutte le
sottocommissioni; l'unicità del presidente è funzionalmente
preordinata non già ad una mera titolarità formale dei lavori delle
diverse sottocommissioni, ma ad imprimere a tutte ed a ciascuna di
esse la medesima regolazione procedurale che disciplina i
lavori della commissione originaria (T.A.R. Calabria, Catanzaro, 22 maggio 1997,
n. 312; Parti in causa Tartaro c. Min. giust.; Riviste Foro Amm., 1998, 559;
Rif. legislativi RDL 27 novembre 1933 n. 1578, art. 22; L 20 aprile 1989 n. 142,
art. 2).
Possono essere esaminate congiuntamente le questioni attinenti alle effettive
modalità di funzionamento delle sottocommissioni, con particolare riguardo alla
sostituzione dei componenti effettivi con quelli supplenti, alla qualificazione
dei membri delle sottocommissioni e all’unicità della funzione del presidente
della commissione stessa.
Occorre al riguardo osservare che ai sensi del terzo comma dell’art. 22 del
R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578 le commissioni sono nominate dal Ministro di
grazia e giustizia e sono composte da cinque membri, di cui due titolati e due
supplenti sono avvocati (iscritti da almeno otto anni ad un ordine del distretto
di corte d’appello sede dell’esame); due titolari e due supplenti sono
magistrati dello stesso distretto (con qualifica non inferiore a consigliere di
corte d’appello) e un titolare ed un supplente sono professori ordinari o
associati di materie giuridiche presso un’università della Repubblica ovvero
presso un Istituto superiore.
Il successivo quinto comma stabilisce che i supplenti intervengono nella
commissione in sostituzione di qualsiasi membro effettivo.
Il successivo comma 5, con lo stabilire che i supplenti intervengono nella
commissione in sostituzione di qualsiasi membro, ha codificato il principio
della fungibilità di ogni membro effettivo della commissione con qualsiasi
membro supplente (Cons. giust. Amm. Sicilia, 11 ottobre 1999 n. 473) ma, appare
chiaro che, peraltro, è in contrasto col precedente comma 3.
Inoltre il comma 6 enuncia che “Qualora il numero dei candidati che abbiano
presentato la domanda di ammissione superi le duecentocinquanta unità, le
commissioni esaminatrici possono essere integrate, con decreto del Ministro di
grazia e giustizia, da emanarsi prima dell'espletamento delle prove scritte, da
un numero di membri supplenti aventi i medesimi requisiti stabiliti per i membri
effettivi tale da permettere, unico restando il presidente, la suddivisione in
sottocommissioni, costituite ciascuna di un numero di componenti pari a quello
delle commissioni originarie e di un segretario aggiunto. A ciascuno delle
sottocommissioni non può essere assegnato un numero di candidati superiore a
duecentocinquanta”.
L’unicità della figura del presidente della Commissione “si sostanza nella più
rilevante funzione di coordinamento dei lavori delle varie sottocommissioni”
(sentenza 6160 della IV sezione del CdS) al fine di “salvaguardare la par
condicio degli esaminandi attraverso la permanenza di un soggetto
particolarmente qualificato nel contesto di tutte le sottocommissioni” (sentenza
1855/2000 della IV sezione del CdS). Un filo lega le due sentenze nel senso che,
comunque, il presidente, anche se non presente alle adunanze delle
sottocommissioni, svolge un ruolo che punta a garantire la par condicio tra i
candidati.
Considerato che, ai sensi dell'art. 22 comma 5, r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578,
da ultimo modificato con l'art. 1, l. 27 giugno 1988 n. 242, la commissione
esaminatrice negli esami da avvocato non ha natura di collegio perfetto, e che,
tuttavia, la partecipazione ai lavori della commissione costituisce preciso
obbligo d'ufficio, ai sensi dell'art. 84, r.d. 31 agosto 1933 n. 1592, e
dell'art. 1, l. 18 marzo 1958 n. 311, l'esaminando ha una mera chance di essere
valutato da un collegio composto secondo i criteri ordinariamente contemplati
dalla norma; la fungibilità dei membri dimissionari deve però avere carattere
occasionale e contingente, e non strutturale: pertanto, la circostanza che
nessuno dei professori universitari nominati membri della commissione, ovvero
nessuno dei magistrati, ovvero nessuno degli avvocati, ha partecipato alla
preventiva formulazione dei criteri di valutazione di massima e, solo in minima
parte, alle operazioni di correzione degli elaborati, rende illegittimo il
singolo provvedimento di non ammissione agli orali e gli atti presupposti, nei
limiti in cui questi ultimi hanno compromesso detta chance di ciascun
interessato, di talché l'annullamento non coinvolge posizioni antitetiche di
terzi (Tar Veneto, sez. I, 17 ottobre 1998, n. 1695; Parti in causa Rosato e
altro c. Comm. esami avv. App. Venezia e altro; Riviste Foro Amm., 1999, 1555;
Rif. Legislativi RD 31 agosto 1933 n. 1592, art. 84; RDL 27 novembre 1933 n.
1578, art. 22; L 18 marzo 1958 n. 311, art. 1; L 27 giugno 1988 n. 242, art. 1).
La commissione d’esame per l’abilitazione all’esercizio della professione di
avvocato, che ha natura di collegio perfetto con funzione decisoria e, quindi,
con un proprio quorum essenziale ai fini del funzionamento, è illegittimamente
composta non solo nel caso in cui alle sedute non vi sia il plenum dei
componenti, ma anche se, pur essendo presenti tutti e cinque i suoi membri,
manchi in blocco, a tutte o quasi tutte le sedute, il rappresentante di una
delle tre categorie individuate (avvocati, magistrati, docenti universitari,
ndr) dall’articolo 22 del Rd 1578/1933. È pertanto illegittimo l’operato della
commissione ove risulti che essa si sia riunita senza che fosse mai presente la
componente rappresentata dai professori universitari (Tar Basilicata, sentenza
83/2000, in giust.it-rivista internet di diritto pubblico).
Sentenza 1855/2000 della IV sezione del Consiglio di Stato: il presidente della
Commissione principale è presidente effettivo “di tutte le sottocommissioni in
ossequio al principio della par condicio degli esaminandi”. Si riporta un
passaggio centrale di questa sentenza:
Con ricorso notificato il 9 settembre 1997 la dott.ssa Daniela Daniele ha
chiesto al Tar Calabria (sede di Catanzaro) l’annullamento del provvedimento di
mancata ammissione alle prove orali dell’esame di procuratore legale per l’anno
1996, deducendo tra i motivi anche la violazione dell’articolo 22 (comma 6) del
Rdl n. 1578/1933 nella parte in cui afferma la unicità del presidente sia
rispetto alla commissione principale sia rispetto alle sottocommissioni. Il Tar
Calabria (con la sentenza n. 178/1998) ha accolto il ricorso, che è stato
impugnato dal Ministero della Giustizia (il quale ha denunciato la violazione e
la falsa applicazione dello stesso articolo 22). Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (IV sezione) ha respinto il ricorso del Ministero della
Giustizia.
Si legge nella sentenza del Consiglio di Stato:
<…L’appello è infondato. Il thema decidendum riguarda l’interpretazione
dell’articolo 22 (comma 6), Rdl 27 novembre 1933 n. 1578, come modificato dalla
legge 20 aprile 1989 n. 142, concernente gli esami di abilitazione all’esercizio
della professione di procuratore legale, che così dispone: "Qualora il numero
dei candidati che abbiano presentato la domanda di ammissione superi le
duecentocinquanta unità, le commissioni esaminatrici possono essere integrate,
con decreto del Ministro di grazia e giustizia, da emanarsi prima
dell'espletamento delle prove scritte, da un numero di membri supplenti aventi i
medesimi requisiti stabiliti per i membri effettivi tale da permettere, unico
restando il presidente, la suddivisione in sottocommissioni, costituite ciascuna
da un numero di componenti pari a quello delle commissioni originarie e di un
segretario aggiunto. A ciascuna delle sottocommissioni non può essere assegnato
un numero di candidati superiore a duecentocinquanta".
Il Tribunale amministrativo calabrese ha ritenuto che la disposizione non
consenta, se non per giustificato motivo, di cui sia data congrua e puntuale
motivazione nei verbali, la sostituzione del presidente della commissione
esaminatrice dell'esame di stato per l'abilitazione alla professione di
procuratore legale, fondando le proprie conclusioni su un duplice ordine di
rilievi: a) la lettera della legge sopra trascritta, che specifica “unico
restando il presidente", anche quando siano costituite sottocommissioni; b)
l'esigenza di salvaguardare la par condicio degli esaminandi attraverso la
permanenza di un soggetto particolarmente qualificato nel contesto di tutte le
sottocommissioni.
Nel caso di specie è, per contro, avvenuto che il presidente ha delegato in modo
ampio e permanente ai vicepresidenti delle varie sottocommissioni la
partecipazione alle relative sedute, di fatto alterando l'unico elemento di
sicura conformità dei giudizi, senza che fosse evidenziata una specifica
esigenza di sostituzione.
L'appello dell'Amministrazione tende a una esegesi finalistica della norma in
esame, sostenendo che la ratio sottostante la disposizione preordina
l'articolazione in sottocommissioni per consentire una maggiore rapidità delle
operazioni d'esame, che risulterebbero necessariamente appesantite se a
presiedere i lavori fosse unico soggetto.
Osserva la Sezione che, pur rispondendo la norma suindicata a un'istanza di
accelerazione delle operazioni d'esame, la stessa non può comunque essere
interpretata al di fuori del chiaro significato letterale e logico delle
espressioni in essa contenute. Ora è non dubbio che la norma si è preoccupata di
mantenere l'unicità della figura del presidente, pur in presenza di
sottocommissioni. La formulazione letterale della norma è sostanzialmente
univoca e non lascia spazio a interpretazioni finalizzate a superarne il dato
formale.
Infatti, se è pur vero che la finalità di accelerare le operazioni d'esame
risponde a un'esigenza di speditezza e economicità dell'azione amministrativa, è
altresì incontestabile che, in presenza di una attività di giudizio di
particolare rilievo e, per definizione, soggetta al principio della par
condicio, le modalità di svolgimento di dette operazioni vanno comunque
articolate in relazione al precetto normativo così da impedire che la predetta
finalità, per quanto genericamente preordinata all'interesse pubblico di
celerità dell'attività amministrativa, finisca per fare premio sull’interesse
pubblico primario e specifico così come presidiato dal precetto stesso. In
sintesi, l'interpretazione finalistica proposta dall'Amministrazione non trova
adeguato riscontro nella fonte normativa invocata”. In ossequio al principio
della par condicio dei concorrenti, allorquando la commissione esaminatrice per
gli esami di abilitazione alla professione di avvocato è articolata, in ragione
del numero dei candidati, in sottocommissioni, solo al presidente della
commissione medesima, spetta l’effettiva presidenza di tutte le
sottocommissioni (Cons. Stato, sentenza n. 1855/2000; riviste: Guida al Diritto
n. 17/2000).
Le sottocommissioni nelle quali
si suddivide la originaria commissione giudicatrice
designata per l'esame di abilitazione alla professione di avvocato
devono necessariamente essere presiedute dall'unico
presidente (nella specie, il collegio ha
ritenuto illegittima la delega generalizzata conferita
dal presidente ai vicepresidenti delle varie sottocommissioni) in ossequio
al principio della par condicio degli esaminandi (Cons. Stato, Sez. IV, 31 marzo
2000, n. 1855; Parti in causa Min. giust. c. Daniele; Riviste Foro It., 2000,
III, 243).
Altresì qui si contesta la correzione degli elaborati in tempi insufficienti,
tali da rendere un giudizio composito.
Una volta verificati, sulla base delle attestazioni contenute nei verbali dei
lavori della commissione giudicatrice di un pubblico concorso, i tempi
medi utilizzati per la correzione e valutazione dei singoli elaborati,
qualora il tempo impiegato risulti talmente esiguo da far dubitare che sia stato
materialmente impossibile l’adeguato assolvimento dei prescritti adempimenti e
dell’espressione ponderata dei giudizi sulla valenza delle prove,
l’operato dell’organo di esame va ritenuto illegittimo (Cons. Stato, sez. IV,
decisione 7 marzo – 22 maggio 2000, n. 2915, in Guida dir., 1 luglio 2000 n. 24,
con nota dì G. Manzi. E' superato così un precedente orientamento contrario,
ancora affermato da Cons. Stato, sez. IV, 09.12.1997, n. 1348).
A sostegno di tale affermazione interviene il Consiglio di Stato, Sezione IV,
sentenza del 22 maggio 2000 n. 2915 sulle modalità di correzione degli elaborati
relativi al concorso per uditore giudiziario. Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione IV), respinge l'appello proposto dal Ministero
di Grazia e Giustizia avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale
del Lazio, sez. 1", n. 2112 del 4 novembre 1996, confermandola, salvi gli
ulteriori provvedimenti dell'amministrazione.
La correzione delle prove scritte di un concorso pubblico si fonda su di un
apprezzamento squisitamente tecnico-discrezionale. L'apprezzamento del contenuto
dell'elaborato implica la sua attenta lettura da condursi sulla base di due
parametri l'uno oggettivo, dato dalla traccia della prova da svolgere, l'altro
soggettivo, dato dalle conoscenze tecniche e professionali che si presume debba
possedere il candidato. Sulla base di tali presupposti ogni singolo commissario
in ragione della sua peculiare professionalità deve valutare criticamente la
prova esprimendo il giudizio. Evidentemente, quanto più approfondite sono le
conoscenze tecnico-professionali che si presume debba possedere il candidato e
quanto più specifiche e complesse sono le tracce predisposte per lo svolgimento
delle prove scritte, tanto più attenta approfondita e rigorosa deve essere la
lettura dell'elaborato alfine della correzione, trattandosi – com’è facilmente
intuibile - non di una mera operazione meccanicistica di lettura di un testo ma
di una operazione complessa di `comprensione' e di valutazione del testo
elaborato dal candidato. La delicatezza di una simile operazione, raggiunge il
suo culmine proprio quando si tratta della correzione delle prove scritte di
particolari concorsi pubblici quali quelli per l'accesso alle magistrature, alla
professione forense, al notariato, in cui si devono valutare elaborati di
candidati che si presume già in possesso di approfondite conoscenze, tecniche e
professionali, in rapporto a tracce di lavoro specifiche ed altamente selettive,
implicanti soluzioni di problematiche giuridiche non necessariamente certe ed
univoche. Sulla base di tali considerazioni, se effettivamente non può essere
sindacato il merito della valutazione di idoneità o non idoneità espressa dalla
commissione, altrettanto evidentemente l'esiguità del tempo medio impiegato per
la correzione degli elaborati, in mancanza di altri elementi di valutazione,
appare ragionevole sintomo di una lettura non particolarmente approfondita degli
elaborati di esame (Cons. Stato, sez. IV, decisione 7 marzo – 22 maggio 2000, n.
2915, in Guida dir., 1 luglio 2000 n. 24, con nota dì G. Manzi. E' superato così
un precedente orientamento contrario, ancora affermato da Cons. Stato, sez. IV,
09.12.1997, n. 1348).
Dagli atti in esame si desume infatti (v. l'allegato verbale delle relative
operazioni concorsuali) che la sottocommissione ha atteso alla correzione di
ciascun elaborato in poco più di 5 minuti. (15.30 – 19.25 = 235 minuti: 14
candidati: 3 compiti). Al computo temporale non sono contemplate le pause, in
quanto non indicate. Ritiene il Collegio che tale tempistica, avuto riguardo
alle singole operazioni propedeutiche ed assolutamente necessarie ai fini della
valutazione degli elaborati (apertura delle buste, lettura collegiale ed
interpretazione calligrafica delle tracce, correzioni, espressione del giudizio
critico da parte di ciascun commissario etc.), sia da ritenere assolutamente
incongrua ed incompatibile con la formulazione di un giudizio corretto
particolarmente complesso, quale è quello cui deve attendere la Commissione
d'esame nel valutare le capacità teorico-pratiche del candidato. In tal senso
d'altronde è il recente orientamento del Consiglio di Stato (sez. IV sent. 7
marzo-22 maggio 2000, n. 2915) che in una fattispecie consimile ha ritenuto
illegittimo l'operato dell'organo d'esame che ha proceduto alla correzione degli
elaborati in un tempo medio di pochi minuti per ciascuno. Per vero, la dedotta
inconciliabilità di ordine temporale relativa alle operazioni di correzione si
traduce in un indice esterno di irragionevolezza, sindacabile ab extra e di per
sé viziante il giudizio conclusivo espresso dalla Commissione sugli elaborati
del ricorrente (Tar Catanzaro, sezione I, 14 luglio 2000).
La “verificazione” dei tempi di correzione degli elaborati. La terza sezione del
Tar Lombardia, con la sentenza 617/2000, ha annullato il giudizio di non
ammissione alle prove orali (dell’esame di avvocato 1998-1999) di una candidata
milanese i cui tre elaborati erano stati corretti ciascuno in pochi minuti.
Sulla commissione esaminatrice “discende l’obbligo di ripetere le operazioni di
valutazione, rinnovando ora per allora il già espresso giudizio”. La decisione
del tribunale è sorretta da una "verificazione" dei tempi di correzione ordinata
dal presidente del Tar. Sono stati acquisiti, per la perizia, 60 compiti, che
hanno richiesto, per la correzione, sei ore e 39 minuti, contro due ore e 25
minuti impiegati dalla commissione. Ponendo a raffronto i suddetti dati
temporali emerge che la sola lettura di essi ha richiesto, invece, mediamente 6
minuti e 33 secondi per ciascun elaborato. La perizia è stata eseguita dal
presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, Paolo Giuggioli, che si è
avvalso della collaborazione di altri professionisti (Il Sole 24 Ore, 11 marzo
2000).
Altresì qui si contesta, acclarandone la nullità, la nomina del presidente della
Commissione centrale, Avv. Antonio De Giorgi.
Inopportuna è anche la nomina del Presidente della Commissione Centrale Avv.
Antonio De Giorgi, contestualmente componente del Consiglio Nazionale Forense,
in rappresentanza istituzionale del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del
distretto della Corte di Appello di Lecce. Tutto verificabile dai siti web di
riferimento. Dubbi e critica sui modi inopportuni di nomina. Testo del
Decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112, recante modifiche urgenti alla disciplina
degli esami di abilitazione alla professione forense, è convertito in legge con
le modificazioni coordinate con la legge di conversione 18 Luglio 2003, n. 180:
“Art. 1-bis: ….5. Il Ministro della giustizia nomina per la commissione e per
ogni sottocommissione il presidente e il vicepresidente tra i componenti
avvocati. I supplenti intervengono nella commissione e nelle sottocommissioni in
sostituzione di qualsiasi membro effettivo. 6. Gli avvocati componenti della
commissione e delle sottocommissioni sono designati dal Consiglio nazionale
forense, su proposta congiunta dei consigli dell'ordine di ciascun distretto,
assicurando la presenza in ogni sottocommissione, a rotazione annuale, di almeno
un avvocato per ogni consiglio dell'ordine del distretto. Non possono essere
designati avvocati che siano membri dei consigli dell'Ordine…”. Antonio De
Giorgi è stato a fasi alterne fino al 2003 Presidente del Consiglio dell’Ordine
degli Avvocati di Lecce e contestualmente Presidente di sottocommissioni di
esame di quel Distretto. Antonio De Giorgi non è più Presidente di
sottocommissione, ma addirittura presidente della Commissione centrale. La norma
prevede, come membro di commissione e sottocommissione, la nomina di avvocati,
ma non di consiglieri dell’Ordine. Come intendere la carica di consigliere
nazionale forense indicato dal Consiglio dell’Ordine di Lecce, se non la sua
estensione istituzionale e, quindi, la sua incompatibilità alla nomina di
Commissario d’esame? E quantunque ciò non sia vietato dalla legge, per la ratio
della norma e per il buon senso sembra inopportuno che, come presidente di
Commissione centrale e/o di sottocommissione periferica d’esame, sia nominato
dal Ministro della Giustizia non un avvocato designato dal Consiglio Nazionale
Forense su proposta dei Consigli dell'Ordine, ma addirittura un membro dello
stesso Consiglio Nazionale Forense che li designa. Come è inopportuno che sia
nominato chi sia l’espressione del Consiglio di appartenenza. Come è inopportuno
nominare chi sia stato estromesso dalla riforma, per gli incarichi già svolti da
presidente di sottocommissione locale.
Per quanto detto il dr. Antonio Giangrande, ricorrente, così come rappresentato
e difeso, adotta le seguenti
Conclusioni
Da quanto analiticamente già espresso e motivato si denota che violazione di
legge, eccesso di potere e motivi di opportunità viziano qualsiasi valutazione
negativa adottata dalla commissione d’esame giudicante, ancorchè in presenza di
una capacità espositiva pregna di corretta applicazione di sintassi, grammatica
ed ampia conoscenza di norme e principi di diritto dimostrata dal candidato in
tutti e tre i compiti resi.
1. Qui si evince un fatto, da sempre notorio su tutti gli organi di stampa,
rilevato e rilevabile in ambito nazionale: ossia la disparità di trattamento tra
i candidati rispetto alla sessione d’esame temporale e riguardo alla Corte
d’Appello di competenza. Diverse percentuali di idoneità, (spesso fino al
doppio) per tempo e luogo d’esame, fanno sperare i candidati nella buona sorte
necessaria per l’assegnazione della commissione benevola sorteggiata. Nel Nord
Italia le percentuali adottate dalle locali commissioni d’esame sono del 30%,
nel sud fino al 60%. Le sottocommissioni di Palermo sono come le
sottocommissioni del Nord Italia. I Candidati sperano nella buona sorte
dell’assegnazione. La Fortuna: requisito questo non previsto dalle norme.
2. Qui si contesta la competenza dei commissari a poter svolgere dei
controlli di conformità ai criteri indicati: capacità pedagogica propria di
docenti di discipline didattiche non inseriti in commissione.
3. Qui si contesta la mancanza di motivazione alle correzioni, note, glosse,
ecc., tanto da essere contestate dal punto di vista oggettivo da gente esperta
nella materia di riferimento.
4. Qui si evince la carenza, ovvero la contraddittorietà e la illogicità del
giudizio reso in contrapposizione ad una evidente assenza o rilevanza di segni
grafici sugli elaborati, quali glosse, correzioni, note, commenti, ecc., o
comunque si contesta la fondatezza dei rilievi assunti, tale da suffragare e
giustificare la corrispondente motivazione indotta al voto numerico. Tutto ciò
denota l’assoluta mancanza di motivazione al giudizio, didattica e propedeutica
al fine di conoscere e correggere gli errori, per impedirne la reiterazione.
5. Altresì qui si contesta la mancanza del voto di ciascun commissario,
ovvero il voto riferito a ciascun criterio individuato per la valutazione delle
prove.
6. Altresì qui si contesta l’assenza ingiustificata del presidente della
Commissione d’esame centrale e si contesta contestualmente l’assenza del
presidente della Iª sottocommissione di Palermo.
7. Altresì qui si contesta la correzione degli elaborati in tempi
insufficienti, tali da rendere un giudizio composito.
8. Altresì qui si contesta, acclarandone la nullità, la nomina del
presidente della Commissione centrale, Avv. Antonio De Giorgi, in quanto
espressione del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Lecce. Nomina vietata
dalle norme.
Inoltre, il metodo, contestato con i motivi indicati in precedenza, è lo stesso
che ha inficiato per 13 anni la vana partecipazione del ricorrente al medesimo
concorso concluso con giudizi d’inidoneità fondata sugli stessi motivi
illegittimi.
******
P.Q.M
Si chiede e conclude: voglia Codesto Ecc.mo Tribunale Amministrativo
Regionale, contrariis reiectis, previo accoglimento dell’istanza di sospensione
con ordine alla Sottocommissione di Lecce di far svolgere nella sessione
corrente gli orali al ricorrente, annullare i provvedimenti impugnati, come in
epigrafe indicati, con vittoria di spese competenze ed onorari di lite.
Si chiede di acclarare le doglianze di legittimità e di merito su indicate che
viziano ed invalidano gli atti adottati dalla Iª Sottocommissione di esame di
Palermo.
Si chiede di ordinare alla Sottocommissione di esame di Palermo di procedere, se
non si ritenga di procedere d’ufficio, al riesame delle prove scritte in tempi
congrui, corredando il giudizio con congrua motivazione, con l’osservanza di
ogni modalità utile a garantire l’anonimato degli elaborati, e, in ogni caso,
con una composizione diversa rispetto a quella della Sottocommissione che ha
effettuato la prima valutazione e con il rispetto delle regole di composizione
della stessa commissione.
Circa l’istanza di sospensione cautelare: per quanto attiene il “periculum in
mora” è per la ravvisata esistenza di un pericolo di danni gravi ed irreparabili
per il ricorrente derivanti dall'esecuzione dell'atto impugnato data l’evidente
ed immediato procrastinarsi della nuova sessione d’esame, che in quanto tale fa
perdere un altro anno da aggiungersi ai 13 precedenti. Per quanto attiene il
“fumus boni iuris”, i provvedimenti impugnati, come in epigrafe indicati,
appaiono illegittimi sotto differenti profili, ampiamente illustrati nei punti
precedenti.
******
Si depositano i seguenti atti e documenti:
5. Verbale di correzione della Iª sottocommissione di esame di Palermo per
la sessione 2010;
6. Elaborati consegnati dal sottoscritto in tema: a) penale; b) civile; c)
atto giudiziario;
7. La graduatoria per la lettera G con data di affissione pubblicata dalla
Corte d'Appello di Lecce;
8. Verbali e compiti delle sessioni di avvocato: a) 2009, b) 2008, c) 2007;
Con espressa riserva di proporre motivi aggiunti.
DICHIARAZIONE DEL VALORE DEL PROCESSO AI FINI DEL CONTRIBUTO UNIFICATO
Al fine del versamento del contributo unificato per le spese di giustizia si
dichiara che il valore del contributo unificato è di 600 euro per i ricorsi
proposti presso il Tribunale amministrativo regionale.
Lecce, lì 20 luglio 2011
Avv..............................
Sig.........................................
Per autentica Avv. .......................................
MANDATO DI DIFESA E PROCURA GENERALE E SPECIALE ALLE LITI
Io sottoscritto Antonio Giangrande, nato ad Avetrana (Ta) il 02/06/1963 e
residente ad Avetrana, via Manzoni, 51 , c.f. GNGNTN63H02A514Q nomino, quale mio
difensore e procuratore generale, l’avv. Mirko Giangrande, del Foro di Taranto,
con Studio Legale in Avetrana, alla via Manzoni, 51, c. f. GNGMRK85A26E882V, per
rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio e nelle fasi connesse ed
espressamente: opposizione ed esecuzione ed eventuale appello ed altri giudizi
di impugnazione, con sua facoltà di nominare altri avvocati e procuratori,
ovvero di transigere o rinunciare agli atti del giudizio e con tutti i poteri
per il migliore svolgimento delle stesse.
Con la presente firma ratifico il suo operato discrezionale ed eleggo domicilio
nel suo Studio Legale.
Avetrana, lì 20 luglio 2011
Firma cliente
firma dell’avvocato per autenticazione
Dichiaro di essere stato informato dettagliatamente sui miei diritti secondo le
norme sulla Privacy ed aver autorizzato il trattamento dei miei dati.
Dichiaro, altresì, di essere stato informato su facoltà e/o obbligo di accesso
alla mediazione per la conciliazione.
Firma cliente
firma dell’avvocato per autenticazione
RELAZIONE DI NOTIFICA
Ad istanza dell'Avv. Mirko Giangrande, io sottoscritto Assistente U.N.E.P.,
addetto alla Corte di Appello di Lecce, ho notificato simile copia del presente
atto a:
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore On. avv. Angelino
Alfano, domiciliato per legge presso gli uffici dell'Avvocatura Distrettuale
dello Stato in Lecce, via F. Rubichi 23, ed ivi consegnandone copia come per
legge.
RELAZIONE DI NOTIFICA
Ad istanza dell'Avv. Mirko Giangrande, io sottoscritto Assistente U.N.E.P.,
addetto alla Corte di Appello di Lecce, ho notificato simile copia del presente
atto a:
Commissione centrale di esame di Avvocato c/o Ministero della Giustizia, in
persona del presidente pro tempore avv. Antonio De Giorgi, domiciliato per legge
presso gli uffici dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato in Lecce, via F.
Rubichi 23, ed ivi consegnandone copia come per legge.
RELAZIONE DI NOTIFICA
Ad istanza dell'Avv. Mirko Giangrande, io sottoscritto Assistente U.N.E.P.,
addetto alla Corte di Appello di Lecce, ho notificato simile copia del presente
atto a:
Iª Sottocommissione di esame di Avvocato c/o Corte d’appello di Palermo, in
persona del presidente pro tempore avv. Giuseppe Cavasino, domiciliato per legge
presso gli uffici dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato in Lecce, via F.
Rubichi 23, ed ivi consegnandone copia come per legge.
RELAZIONE DI NOTIFICA
Ad istanza dell'Avv. Mirko Giangrande, io sottoscritto Assistente U.N.E.P.,
addetto alla Corte di Appello di Lecce, ho notificato simile copia del presente
atto a:
Iª Sottocommissione di esame di Avvocato c/o Corte d’appello di Palermo, in
persona del presidente supplente pro tempore avv. Mario Grillo, domiciliato per
legge presso gli uffici dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato in Lecce, via
F. Rubichi 23, ed ivi consegnandone copia come per legge.
RELAZIONE DI NOTIFICA
Ad istanza dell'Avv. Mirko Giangrande, io sottoscritto Assistente U.N.E.P.,
addetto alla Corte di Appello di Lecce, ho notificato simile copia del presente
atto a:
Iª Sottocommissione d’esame di Avvocato c/o Corte d’appello di Lecce, in persona
del presidente pro tempore avv. Maurizio Villani, domiciliato per legge presso
gli uffici dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato in Lecce, via F. Rubichi 23,
ed ivi consegnandone copia come per legge.
N. 00679/2011 REG.PROV.CAU.
N. 01240/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Prima
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1240 del 2011, proposto da:
Antonio Giangrande, rappresentato e difeso dall'avv. Mirko Giangrande, con
domicilio eletto presso Segreteria Tar in Lecce, via F. Rubichi 23;
contro
Ministero della Giustizia, Commissione Esami Avvocato Presso La Corte D'Appello
di Lecce, Commissione Esami Avvocato Presso Corte D'Appello di Palermo,
rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Lecce, via
F.Rubichi 23;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
del verbale n. 20 redatto nella seduta del 19 aprile 2011 dalla I^
Sottocommissione esame di avvocato presso la Corte di Appello di Palermo -
sessione 2010-, nella parte in cui attribuisce alle tre prove scritte riferite
alla busta n. 198 del ricorrente un punteggio insufficiente, rispettivamente 25
per il penale, 25 per il civile e 25 per l'atto giudiziario, pari
complessivamente a 75 punti; del consequenziale elenco degli ammessi alle prove
orali, sessione 2010, degli esami di abilitazione alla professione di avvocato,
relativamente alla Corte di Appello di Lecce, pubblicato il 28 giugno 2011,
nella parte in cui esclude il ricorrente; di ogni altro atto presupposto,
connesso e/o consequenziale ed in particolare, dei criteri fissati dalla
predetta Sottocommissione con verbale n. 20 del 19 aprile 2011 per la
valutazione degli elaborati.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia e di
Commissione Esami Avvocato Presso La Corte D'Appello di Lecce e di Commissione
Esami Avvocato Presso Corte D'Appello di Palermo;
Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato,
presentata in via incidentale dalla parte ricorrente;
Visto l'art. 55 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Ritenuta la propria giurisdizione e competenza;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 29 settembre 2011 il dott. Luigi
Viola e uditi per le parti i difensori De Nuzzo Pietrantonio, in sostituzione di
Giangrande Mirko e Tarentini Antonio;
Considerato:
-che la valutazione negativa degli elaborati d’esame del ricorrente appare
sinteticamente motivata, mediante utilizzazione del sistema del voto numerico
che costituisce una legittima tecnica di motivazione delle valutazioni
amministrative (Corte cost. 8 giugno 2011 n. 175, che ha dichiarato infondata la
questione di costituzionalità degli artt. 17 bis, commi 1, 23, comma 5 e 24,
comma 1, r.d. 22 gennaio 1934 n. 37 che hanno sostanzialmente previsto la
valutazione in forma numerica delle prove d’esame di avvocato);
-che la composizione della Sottocommissione d’esame che ha proceduto alla
correzione degli elaborati del ricorrente, appare legittima, alla luce delle
previsioni normative (che non prevedono la presenza di soggetti in possesso di
competenze in materia letteraria o umanistica, ma solo di giuristi di diversa
estrazione) e della più recente giurisprudenza (Cons. Stato sez. IV, 12 giugno
2007, n. 3114) che ha rilevato come le Sottomissioni d’esame non debbano essere
necessariamente presiedute dal Presidente della Commissione, essendo, al
proposito, sufficiente la presenza del VicePresidente con funzioni di Presidente
di ogni singola Sottocommissione;
-che la censura di incompatibilità sollevata dal ricorrente con riferimento alla
nomina del Presidente della Commissione centrale non sussiste perché il detto
Presidente non risulta più ricoprire la qualità di Presidente del Consiglio
dell’Ordine di Lecce;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima
Respinge la suindicata istanza cautelare.
Compensa le spese della presente fase cautelare.
La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso
la segreteria del tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 29 settembre 2011 con
l'intervento dei magistrati:
Antonio Cavallari, Presidente
Luigi Viola, Consigliere, Estensore
Massimo Santini, Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/09/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
N. 00288/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01240/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Prima
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1240 del 2011, proposto da:
Antonio Giangrande, rappresentato e difeso dall'avv. Mirko Giangrande, con
domicilio eletto presso Segreteria Tar in Lecce, via F. Rubichi 23;
contro
Ministero della Giustizia, Commissione Esami Avvocato Presso la Corte D'Appello
di Lecce, Commissione Esami Avvocato Presso Corte D'Appello di Palermo,
rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliati
presso la sede di quest’ultima in Lecce, via F.Rubichi 23;
Commissione Centrale Esami Avvocato c/o Ministero della Giustizia;
per l'annullamento
del verbale n. 20 redatto nella seduta del 19 aprile 2011 dalla I^
Sottocommissione esame di avvocato presso la Corte di Appello di Palermo -
sessione 2010-, nella parte in cui attribuisce alle tre prove scritte riferite
alla busta n. 198 del ricorrente un punteggio insufficiente, rispettivamente 25
per il penale, 25 per il civile e 25 per l'atto giudiziario, pari
complessivamente a 75 punti; del consequenziale elenco degli ammessi alle prove
orali, sessione 2010, degli esami di abilitazione alla professione di avvocato,
relativamente alla Corte di Appello di Lecce, pubblicato il 28 giugno 2011,
nella parte in cui esclude il ricorrente;
di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale ed in particolare,
dei criteri fissati dalla predetta Sottocommissione con verbale n. 20 del 19
aprile 2011 per la valutazione degli elaborati.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia e di
Commissione Esami Avvocato presso la Corte D'Appello di Lecce e della
Commissione Esami Avvocato Presso Corte d'Appello di Palermo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 novembre 2012 la dott.ssa Patrizia
Moro e uditi per le parti gli avv.ti Mirko Giangrande e Giovanni Pedone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso all’esame il ricorrente ha impugnato innanzi a questo
Tribunale gli atti, in epigrafe indicati, con i quali la Sottocommissione per
gli esami di avvocato presso la Corte di appello di Palermo, sessione 2010, ha
valutato insufficienti i tre elaborati (venticinque/ cinquantesimi per la prova
di diritto penale, e venticinque/cinquantesimi per la prova di diritto civile e
25/cinquantesimi per l’atto giudiziario) determinando la sua inidoneità a
sostenere gli esami e, per l'effetto, l'ha escluso dalle prove orali.
Il ricorrente deduce la disparità di trattamento tra i candidati rispetto alla
sessione d’esame temporale, contestando altresì la competenza dei commissari a
poter svolgere dei controlli di conformità, la mancanza di motivazione alle
correzioni, la contraddittorietà e illogicità del giudizio reso e la fondatezza
dei rilievi assunti, la mancanza di voto di ciascun commissario ovvero il voto
riferito a ciascun criterio individuato per la valutazione delle prove,
l’assenza ingiustificata del Presidente della Commissione e contestualmente
l’assenza del Presidente della I sottocommissione di Palermo.
Con atto depositato in data 1 agosto 2011 si è costituita in giudizio
l’Avvocatura Distrettuale dello Stato.
Con ordinanza depositata in data 29 settembre 2011 la sezione ha respinto
l’istanza cautelare richiesta dal ricorrente.
Nella pubblica udienza del 7 novembre 2012 la causa è stata introitata per la
decisione.
2. Il ricorso è infondato.
2.1. Secondo consolidata giurisprudenza anche dopo l'entrata in vigore dell'art.
3 della legge n. 241 del 1990, i provvedimenti della commissione esaminatrice
che rilevano l'inidoneità delle prove scritte e non ammettono alla prova orale
il candidato agli esami per l'abilitazione alla professione di avvocato devono
ritenersi adeguatamente motivati quando si fondano su voti numerici, attribuiti
in base ai criteri predeterminati, senza necessità di ulteriori spiegazioni e
chiarimenti. Siffatti voti esprimono un metodo di valutazione rispondente al
criterio di cui all'articolo 97 Cost. e rappresentano la compiuta esternazione
dell’ attività di verifica dell'idoneità del candidato svolta a seguito della
lettura dei suoi elaborati, demandata alla commissione esaminatrice.
La Corte costituzionale, con le sentenze 30 gennaio 2009 n. 20 e 8 giugno 2011,
n. 175, ha già dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 22, nono comma, del R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578 (Ordinamento delle
professioni di avvocato e procuratore) convertito in legge, con modificazioni,
dalla L. 22 gennaio 1934, n. 36, poi sostituito dall'art. 1 bis, del D.L. 21
maggio 2003, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2003,
n. 180, nonché degli articoli 17 bis, 22, 23 e 24, primo comma del R.D.
22.1.1934 n. 37 (Norme integrative e di attuazione del R.D.L. 27 novembre 1933,
n. 1578, sull'ordinamento della professione di avvocato e di procuratore),
sollevata in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 41, 97, 111, 113 e 117 della
Costituzione, nella parte in cui non prevedono l'obbligo di giustificare o
motivare il voto verbalizzato in termini alfanumerici in occasione delle
operazioni di valutazione delle prove scritte d'esame per l'abilitazione alla
professione forense.
2.2. Inoltre, quanto ai rilievi in ordine alla composizione della
sottocommissione d’esame, come già rilevato in sede cautelare, la stessa è
legittima alla luce delle previsioni normative (che non prevedono la presenza di
particolari soggetti in possesso di competenze in materia letteraria o
umanistica ma solo di giuristi di diversa estrazione) e della più recente
giurisprudenza (Cons. di Stato sez.IV 12 giugno 2007 n.3114) che ha rilevato
come le sottocommissioni d’esame non debbano essere necessariamente presiedute
dal presidente della Commissione, essendo al proposito, sufficiente la presenza
del Vice Presidente con funzioni di Presidente di ogni singola Sottocommissione.
Con riferimento alla censura riguardante l’assenza del Presidente della I
sottocommissione di Palermo, nella seduta del 19 aprile 2011 ( nella quale sono
state corrette le prove del ricorrente), va rilevato che la stessa risultava
presieduta dal Vice Presidente avv. Mario Grillo sicchè tale presenza esclude la
illegittimità rilevata.
Infatti, l’istituzione ad opera dell'art. 1 bis D.L. 21 maggio 2003 n. 112 della
figura del Presidente e del vice Presidente per ciascuna delle Sottocommissioni
operanti nel distretto di Corte di appello ha comportato il superamento
dell’orientamento giurisprudenziale che escludeva, sulla base di un
interpretazione meramente letterale dell'art. 22 R.D.L. 27 novembre 1933 n.
1578, come modificato dalla L. 20 aprile 1989 n. 142, la possibilità per il
Presidente di essere sostituito nell'esercizio delle sue funzioni da un
commissario con le funzioni di vice Presidente.
A seguito della riforma del 2003 e della istituzione della figura del vice
Presidente, la giurisprudenza è ormai ferma nell'affermare che quest' ultimo può
legittimamente presiedere i lavori dell'organo collegiale senza necessità che il
verbale della seduta rechi la specifica indicazione delle ragioni che avevano
reso necessaria la sostituzione del titolare (Cons. Stato, IV Sez., ord. 9
aprile 2002 n. 1353 e 28 ottobre 2003 n. 4674; dec. 17 settembre 2004 n. 6155, 5
agosto 2005 n. 4165, 6 settembre 2006 n. 5155, 3 dicembre 2006 n. 6511 e 5
dicembre 2006 n. 7126).
Per quanto attiene al ruolo e alle funzioni proprie dei membri supplenti l'art.
22, co. 5, R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578, nel testo sostituito dall'art. 1 bis
D.L. 21 maggio 2003 n. 112, afferma che essi intervengono alle sedute della
Sottocommissione "in sostituzione di qualsiasi membro effettivo"; da ciò deriva
che i componenti dei singoli collegi possono, in caso di assenza o impedimento,
essere legittimamente sostituiti dai membri supplenti attesa l'assoluta parità
esistente, sul piano funzionale, fra le due categorie (C.d.S. 23 dicembre 1999
n. 692) e il principio di fungibilità fra membri effettivi e membri supplenti
(C.d.S.. 9 giugno 2003 n. 223).
2.3. Non coglie nel segno neppure la censura con la quale si deduce
l’incompatibilità del Presidente della Commissione Centrale in quanto componente
del Consiglio Nazionale Forense non risultando in proposito prevista alcuna
incompatibilità da parte del legislatore (art.21 R.D.L. 27-11-1933 n. 1578).
2.4. In ordine al merito dell’attività di valutazione, va evidenziato che, in
una procedura per l'accesso a una professione, non rileva solamente l’esattezza
delle soluzioni giuridiche propugnate e prescelte, ma anche la modalità
espositiva, l’organizzazione complessiva del discorso, le capacità di sintesi e
di compiuta argomentazione.
Ove così non fosse, dovrebbe ammettersi che tutti i candidati estensori di
elaborati recanti soluzioni corrette debbano necessariamente superare la prova,
il che non può sicuramente avvenire, posto che il superamento dell’esame di
abilitazione permette l’accesso alla professione forense, sicchè vengono in
rilievo – oltre alla esattezza delle conclusioni - la modalità espositiva,
l’organizzazione complessiva del discorso, le capacità di sintesi e di compiuta
argomentazione, cioè tutte le componenti che garantiscono l’adeguatezza della
difesa tecnica.
Nella specie basti rilevare che il ricorrente non ha in effetti dimostrato una
personale e adeguata capacità di argomentazione e riflessione limitandosi ad
esporre principi di carattere generale e richiamando asetticamente il contenuto
di pronunce giurisprudenziali senza alcun approfondimento, tanto più necessario,
in considerazione delle modalità di svolgimento dell’esame (che consentiva l’uso
di codici commentati con la giurisprudenza) e dell’assenza di particolari
difficoltà interpretative e argomentative nella tematiche trattate.
In sintesi i compiti, in considerazione delle modalità di svolgimento dell’esame
(che consentiva l’uso di codici commentati con la giurisprudenza) e dell’assenza
di particolari difficoltà interpretative e argomentative nella tematica
trattata, appaiono privi di approfondimenti degni di nota.
Tali considerazioni consentono quindi al Collegio di condividere il giudizio
espresso dalla Commissione.
2.5. Infine quanto alla dedotta impossibilità di conoscere il voto dei singoli
commissari “legittimamente la sottocommissione esaminatrice, in assenza di una
norma o di un principio che disponga l'obbligo della esplicitazione dei vari
momenti di formazione della volontà collegiale, si limita a verbalizzare, in
sede di valutazione delle prove scritte, il solo voto complessivo risultante
dalla somma dei singoli voti assegnati e non anche i voti attribuiti da ogni
singolo commissario. Le disposizioni di cui all'art. 17-bis, R.D. n. 37 del 1934
danno, infatti, rilevanza, ai fini della valutazione di idoneità del candidato,
al solo "punteggio complessivo" conseguito, non occorrendo riportare nel verbale
il voto assegnato da ciascun membro della commissione d'esame” (C.d.S. Sez. IV,
sent. n. 7116 del 05-12-2006).
Peraltro, non vengono in luce circostanze concrete dalle quali possa desumersi
che il voto complessivo non costituisca la somma dei voti individuali o che tra
un voto e un altro possa esserci un discostamento tale da far ravvisare
un’intrinseca contraddittorietà nella valutazione complessivamente effettuata.
2.6. Infine è anche infondata la censura attinente all'insufficienza del tempo
speso dalla Commissione nella lettura e valutazione degli elaborati, considerato
che non è possibile escludere che gli scritti del ricorrente siano stati oggetto
di puntuale e attenta disamina alla luce dei criteri di valutazione confezionati
dalla stessa Commissione. Il tempo di correzione di un elaborato, infatti, non
assurge a dignità di elemento sintomatico di valutazione superficiale da parte
della Commissione esaminatrice poichè è ben possibile che uno scritto sia di
piana e facile lettura, sicchè non rende necessario il protrarsi dell’attività
valutativa.
3. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.
Sussistono nondimeno giustificati motivi per disporre la compensazione delle
spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo
respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2012 con
l'intervento dei magistrati:
Antonio Cavallari, Presidente
Patrizia Moro, Consigliere, Estensore
Roberto Michele Palmieri, Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Solo in data 7 febbraio 2013 si depositava sentenza per una decisione presa già
in camera di consiglio della stessa udienza del 7 novembre 2012. Una sentenza
già scritta, però, ben prima delle date indicate, in quanto in tale camera di
consiglio (dopo aver tenuto anche regolare udienza pubblica con decine di
istanze) i magistrati avrebbero letto e corretto (a loro dire) i 3 compiti
allegati (più di 4 pagine per tema), valutato e studiato le molteplici questioni
giuridiche presentate a supporto del ricorso. Un'attenzione non indifferente e
particolare e con un risultato certo e prevedibile, se si tiene conto che
proprio il presidente del Tar è stato oggetto di inchiesta video e testuale da
parte dello stesso ricorrente. Le gesta del presidente del Tar sono state
riportate da Antonio Giangrande, con citazione della fonte, nella pagina
d'inchiesta attinente la città di Lecce. Come per dire: chi la fa, l'aspetti!
QUESTO E' L'ESEMPIO DI COME IL TAR PUO' ADOTTARE GIUDIZI ANTITETICI
Accoglimento immediato per tutti, meno che per Antonio Giangrande. Ricorso
presentato dall'avv. Mirko Giangrande, ma, di fatto, predisposto dal dr. Antonio
Giangrande.
ACCOLTI
N. 00990/2010 REG.ORD.SOSP.
N. 01601/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Prima
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1601 del 2010, proposto da:
Mariangela Gigante, rappresentata e difesa dall'avv. Antonio Ciaurro, con
domicilio eletto presso Francesco Flascassovitti in Lecce, via 95 Rgt.Fanteria
1;
contro
Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distr.le
Lecce, domiciliata per legge in Lecce, via Rubichi;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
dei provvedimenti di non ammissione alla prova orale degli esami di abilitazione
all'esercizio della professione di avvocato per la sessione 2009, rilevabili
dalla non inclusione nell'elenco degli ammessi depositato nella Segreteria della
Sottocommissione degli esami detti presso la Corte di Appello di Lecce in data
16 giugno 2010 e successivamente pubblicato mediante affissione nella sede del
Tribunale di Taranto; di tutti gli atti presupposti, connessi e/o consequenziali
ed, in particolare, del verbale della Sottocommissione degli esami detti presso
la Corte di Appello di Salerno, riportante le operazioni di correzione degli
elaborati della ricorrente e l'attribuzione del relativo punteggio; delle
valutazioni, analitiche e numeriche, espresse in termini di insufficienza in
calce a ciascuno dei tre elaborati di esame corrispondenti al numero d'ordine
progressivo 593.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;
Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato,
presentata in via incidentale dalla parte ricorrente;
Visto l'art. 55 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Ritenuta la propria giurisdizione e competenza;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2010 il dott. Luigi
Viola e uditi per le parti, l’Avv. Nicola Flascassovitti, in sostituzione di
Ciaurro e l’Avv. dello Stato Invitto;
Considerato:
-che l’esame delle prove d’esame della ricorrente evidenzia un contesto
caratterizzato dalla correttezza formale della forma espressiva e dalla sicura
padronanza del lessico giuridico; anche sotto il profilo più strettamente
tecnico-giuridico;
-che anche la soluzione delle problematiche giuridiche poste a base delle prove
d’esame evidenzia un corretto approccio a problematiche complesse, come
l’equilibrio delle prestazioni contrattuali (prima prova d’esame), la
responsabilità ex art. 586 c.p. (seconda prova) o l’impossibilità sopravvenuta
dell’obbligazione contrattuale (prova pratica);
-che, quindi, la motivazione apposta alla valutazione negativa (peraltro
caratterizzata dal carattere chiaramente stereotipato e ripetitivo) e la
complessiva valutazione degli elaborati d’esame da parte della Commissione
appaiono essere caratterizzate da evidente irrazionalità e illogicità,
rilevabili anche in sede giurisdizionale.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima
Accoglie e per l'effetto:
a) sospende gli atti impugnati, come da motivazione;
b) fissa per la trattazione di merito del ricorso l'udienza pubblica del 23
marzo 2011.
Compensa le spese della presente fase cautelare.
La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso
la segreteria del tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2010 con
l'intervento dei magistrati:
Antonio Cavallari, Presidente
Luigi Viola, Consigliere, Estensore
Carlo Dibello, Primo Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/12/2010
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
N. 01837/2011 REG. PROV. COLL.
N. 01312/2011 REG.
RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Prima
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1312 del 2011, proposto da:
Marco Castelluzzo, rappresentato e difeso dall'avv. Gianluigi Pellegrino, con
domicilio eletto presso Gianluigi Pellegrino in Lecce, via Augusto Imperatore,
16;
contro
Ministero della Giustizia, Commissione Esami Avvocato Lecce, Commissione Esami
Avvocato Palermo, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Dello Stato,
domiciliata in Lecce, via Rubichi;
per l'annullamento nei limiti dell'interesse del ricorrente, dei provvedimenti
di giudizio analitici e sintetici con cui la Sottocommissione distrettuale per
gli esami di Avvocato, presso la Corte d'Appello di Palermo per la sessione
2010, ha annullato gli elaborati del ricorrente, determinando, di conseguenza,
la sua inidoneità a sostenere le prove orali; nonché di ogni altro atto
presupposto, connesso, collegato e/o consequenziale, ed in particolare del
verbale 24 marzo 2011 della Sottocommissione presso la Corte di Appello di
Palermo, nel quale sono riportate le operazioni di correzione degli elaborati
del ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia e di
Commissione Esami Avvocato Lecce e di Commissione Esami Avvocato Palermo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2011 il dott. Luigi
Viola e udite altresì l’Avv. Valeria Pellegrino in sostituzione di Gianluigi
Pellegrino per il ricorrente e l’Avv. dello stato Libertini per le
amministrazioni resistenti;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Il ricorrente partecipava alla sessione 2010 degli esami di abilitazione
all’esercizio della professione di Avvocato, sostenendo le prove scritte
prescritte dalla legge.
A seguito della mancata inclusione del proprio nominativo nell’elenco dei
candidati ammessi a sostenere le prove orali, apprendeva di non essere stato
ammesso alle prove orali, per effetto dell’annullamento del terzo elaborato
d’esame (relativo all’atto giudiziario in materia penale), da parte della II
Sottocommissione presso la Corte d’Appello di Palermo; in particolare,
l’annullamento dell’atto giudiziario in materia penale (ritenuto sufficiente
come, del resto, gli altri due elaborati) era motivato sulla base della
rilevazione di <<reiterati e significativi elementi di identità con l’elaborato
del candidato n. 404, successivamente esaminato>>.
I provvedimenti meglio specificati in epigrafe erano impugnati dal ricorrente
per violazione art. 13, 4° comma d.p.r. 487 del 1994, violazione art. 23 r.d. n.
37/1934 per come modificato dal d.l. 112/2003, conv. in l. 180/2003, violazione
art. 3 l. 241 del 1990, eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione e
per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., nonché per manifesta irrazionalità ed
illogicità.
Si costituivano in giudizio le Amministrazioni intimate e la Sezione disponeva
l’acquisizione <<degli elaborati d’esame contrassegnati dal numero 404, che
hanno portato all’annullamento della terza prova d’esame>> (T.A.R. Puglia Lecce,
sez. I, ord. 30 settembre 2011 n. 1696).
La prima parte del ricorso è infondata e deve pertanto essere rigettata.
Contrariamente ad altre vicende già decise dalla Sezione (in particolare, quella
decisa con la sentenza 21 ottobre 2010 n. 2147), deve, infatti, rilevarsi come
l’elaborato relativo alla terza prova d’esame del ricorrente rechi alcuni segni
grafici (forse non adeguatamente evidenziati, ma pur sempre presenti) che
evidenziano efficacemente le parti dell’elaborato che dimostrano qualche
concordanza con la terza prova d’esame del candidato contrassegnato con il
numero n. 404; nella vicenda che ci occupa, deve pertanto ritenersi che sia
stata adeguatamente rispettata la previsione dell’art. 23, ult. comma del r.d.
22 gennaio 1934, n. 37 che impone, secondo costante giurisprudenza (Consiglio di
Stato, sez. IV, 17 febbraio 2004, n. 616 che si pone nel solco di una
giurisprudenza assolutamente consolidata), l’individuazione, da parte delle
Commissioni, delle parti dell’elaborato che possano giustificare l’applicazione
delle sanzioni previste per l’ipotesi del plagio.
A ben guardare però le parti dell’elaborato che hanno portato all’annullamento
della prova d’esame, più che alla fattispecie del plagio, sembrano riportabili
all’esposizione di principi giurisprudenziali consolidati o dello stesso
contenuto di previsioni normative fondamentali, come l’art. 56 c.p.
Deve pertanto trovare applicazione l’altro principio già affermato dalla Sezione
(T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 21 ottobre 2010 n. 2147) e relativo
all’impossibilità di considerare come espressione di univoca corrispondenza con
altri elaborati l’utilizzazione di formulazioni presenti in giurisprudenza
(sempre possibile, in considerazione dell’utilizzazione di codici commentati) o
la mera “copiatura” della formulazione delle norme; è, infatti, possibile
presumere, come spesso avviene in procedure d’esame o concorsuali, che i passi
“incriminati” possano trovare giustificazione nel ricorso a fonti (leggi,
giurisprudenza) comuni o nelle <<ordinarie capacità mnemoniche>> (Consiglio
Stato, sez. VI, 28 aprile 2010 n. 2440) dei candidati, che indubbiamente
utilizzano testi di studio diffusi e comuni.
Del resto, in un’ottica sostanziale, l’elaborato del ricorrente e quello
contrassegnato con il numero n. 404, al di là del necessario e inevitabile
riferimento all’istituto del tentativo, sono caratterizzati dall’utilizzo di
tentativi ricostruttivi talmente divergenti (nel caso del ricorrente, il
riferimento alla possibile mancanza dell’elemento soggettivo e, nel caso
dell’elaborato contrassegnato con il numero 404, all’accordo non punibile ex
art. 115 c.p.) da portare a ritenere non credibile l’ipotesi del plagio che, si
esaurirebbe, in buona sostanza, nella semplice parafrasi della formulazione e
dell’elaborazione giurisprudenziale dell’art, 56 c.p.
Il ricorso deve pertanto essere accolto e deve essere disposto l’annullamento
degli atti impugnati; sussistono ragioni per procedere alla compensazione delle
spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo
accoglie, come da motivazione e, per l'effetto, dispone l’annullamento degli
atti impugnati.
Compensa le spese di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2011 con
l'intervento dei magistrati:
Antonio Cavallari, Presidente
Luigi Viola, Consigliere, Estensore
Claudia Lattanzi, Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/10/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
N. 00753/2011 REG.PROV.CAU.
N. 01489/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Prima
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1489 del 2011, proposto da: Francesca
Cotrino, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio P. Nichil, con domicilio
eletto presso Antonio P. Nichil in Lecce, viale Leopardi, 151;
contro
Commissione Esami Avvocato c/o Corte Appello di Lecce, Ministero della
Giustizia, Commissione Esame Avvocato c/o Corte di Appello di Palermo,
rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliata per legge
in Lecce, via F.Rubichi 23;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
dei provvedimenti con cui la Sottocommissione per gli Esami di Avvocato presso
la Corte di Appello di Palermo per la sessione 2010 ha valutato insufficienti
due dei tre elaborati della ricorrente e, in particolare, del provvedimento di
non ammissione della ricorrente alle prove orali, provvedimenti pubblicati in
data 28 giugno 2011; nonché di ogni altro atto presupposto, connesso o comunque
consequenziale, e in particolare del verbale della medesima sottocommissione del
23/3/2011 n. 14 nel quale sono riportate le operazioni di correzione degli
elaborati in questione.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Commissione Esami Avvocato c/o
Corte Appello di Lecce e di Ministero della Giustizia e di Commissione Esame
Avvocato c/o Corte di Appello di Palermo;
Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato,
presentata in via incidentale dalla parte ricorrente;
Visto l'art. 55 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Ritenuta la propria giurisdizione e competenza;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 3 novembre 2011 il dott. Carlo
Dibello e uditi per le parti i difensori Nichil Antonio, Pedone Giovanni.;
Considerato che gli elaborati redatti dalla ricorrente sembrano soddisfare i
parametri predeterminati dalla Commissione centrale in quanto garantiscono una
trattazione essenziale ma sufficientemente esaustiva degli istituti dei quali i
candidati sono stati chiamati a fare applicazione;
considerato che la chiarezza e la sinteticità degli atti processuali
costituiscono, se accompagnate – come nella specie- all’esaustività della
trattazione un obiettivo da perseguire , come è stato sottolineato di recente
dall’articolo 3, comma secondo, C.P.A
rilevato che gli stessi elaborati appaiono meritevoli di diversa valutazione;
ritenuto opportuno concedere la tutela cautelare attraverso l’ammissione della
ricorrente con riserva alle prove orali dell’esame di abilitazione in argomento;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima
Accoglie la suindicata domanda cautelare e per l'effetto:
a) ammette la ricorrente con riserva al sostenimento delle prove orali
dell’esame di abilitazione ;
b) fissa per la trattazione di merito del ricorso l'udienza pubblica dell’8
febbraio 2012 .
Compensa le spese della presente fase cautelare.
La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso
la segreteria del tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 3 novembre 2011 con
l'intervento dei magistrati:
Antonio Cavallari, Presidente
Carlo Dibello, Primo Referendario, Estensore
Massimo Santini, Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/11/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
N. 01915/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01455/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Prima
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1455 del 2012, proposto da:
Sperti Antonio, rappresentato e difeso dall'avv. Tommaso Millefiori, con
domicilio eletto presso lo studio in Lecce, via Mannarino n. 11/A;
contro
Ministero della Giustizia, Commissione Esami di Avvocato – sessione anno 2011
presso la Corte d’Appello di Lecce e Commissione Esami di Avvocato – sessione
anno 2011 presso la Corte d’Appello di Salerno, rappresentati e difesi
dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Lecce, via F. Rubichi
n. 23;
Commissione Esami di Avvocato – Sessione 2011 presso Ministero della Giustizia,
n.c.;
per l'annullamento
nei limiti dell'interesse del ricorrente, dei giudizi analitici e sintetici sui
suoi elaborati indicati nel verbale di adunanza del 20/04/2012 della II^
Sottocommissione per gli esami di Avvocato presso la Corte di Appello di
Salerno, sessione 2011, individuata per la correzione delle prove scritte degli
elaborati provenienti dalla Corte di Appello di Lecce, nonché del consequenziale
provvedimento di non ammissione del ricorrente alle prove orali degli esami di
Avvocato, sessione 2011, e di ogni altro atto comunque presupposto, connesso e/o
consequenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia,
Commissione Esami di Avvocato – sessione anno 2011 presso la Corte d’Appello di
Lecce e Commissione Esami di Avvocato – sessione anno 2011 presso la Corte
d’Appello di Salerno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2012 il dott. Giuseppe
Esposito e uditi per le parti l'avv. Tommaso Millefiori e l'avvocato dello Stato
Giovanni Pedone;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1.- Il dott. Sperti ha partecipato alla sessione di esami per l’iscrizione
nell’Albo degli Avvocati presso la Corte di Appello di Lecce, sostenendo le
prove scritte.
Pubblicati in data 18-20 giugno 2012 gli esiti della correzione degli elaborati,
effettuata dalla II Sottocommissione istituita presso la Corte di Appello di
Salerno, ed a seguito di accesso agli atti, il ricorrente ha appreso di aver
riportato il giudizio complessivo di 84 nelle tre prove scritte, inferiore al
minino richiesto di 90 e, quindi, senza essere ammesso alla prova orale.
In particolare, sono stati giudicati insufficienti due dei tre compiti svolti,
essendo stato assegnato il punteggio di 26/50 al parere in diritto civile (con
la motivazione: “Soluzione poco convincente e non adeguatamente motivata. Non
pertinente il richiamo a Cass., 13 ottobre 2011, n. 21907”), ed il punteggio di
28/50 all’atto giudiziario in materia di diritto penale (con la motivazione:
“Atto generico e del tutto insufficiente. Carente la motivazione”).
Avverso i giudizi riportati è stato proposto il presente ricorso, denunciando
con un unico motivo la violazione degli artt. 3 e 12 della legge n. 241/90 e
dell’art. 12 del D.P.R. n. 487/94, nonché l’eccesso di potere per errore sui
presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, travisamento del
fatto, manifesta illogicità, contraddittorietà ed irrazionalità delle
valutazioni rispetto ai criteri (generali ed astratti) predeterminati.
Si afferma che la motivazione dei giudizi è resa con formulazione stereotipata
(che impedisce di comprendere i rilievi critici operati), senza apporvi
correzioni o segni grafici, ed è sostanzialmente errata, considerando che gli
elaborati redatti si mostrano corretti quanto alla forma espressiva e al lessico
giuridico, con contenuti corrispondenti al compiti da svolgere; si contesta poi
che i compiti siano stati esaminati, assieme a numerosi altri scritti, nella
seduta in cui è stato impiegato un insufficiente tempo medio per ciascuno di
essi (4,37 minuti).
L’Amministrazione si è costituita in giudizio ed ha chiesto che il ricorso sia
dichiarato irricevibile, inammissibile e, gradatamente, rigettato, depositando
documentazione in data 18/10/2012.
Il ricorrente ha prodotto note d’udienza alla Camera di Consiglio del 24 ottobre
2012, nella quale il ricorso è stato trattenuto per la decisione in forma
semplificata, ai sensi dell’art. 60 cpa.
2.- Il Tribunale intende premettere che l’operato delle commissioni di
abilitazione o di concorso ha natura mista, contenendo un aspetto
“provvedimentale”, con riguardo all’ammissione alla fase successiva, ed uno
prettamente di “giudizio”, circa la preparazione del candidato (cfr., da ultimo,
Cons. Stato – Sez. IV, 6 giugno 2011 n. 3402).
Essendo i due aspetti strettamente congiunti, il generale sindacato del Giudice
Amministrativo sull’attività provvedimentale della P.A. (al fine di assicurare
pienezza ed effettività della tutela, secondo il fondamentale canone ora
codificato dall’art. 1 cpa) non può essere limitato e, quindi, coinvolge
l’attività valutativa della Commissione, verificando la coerenza e logicità del
risultato finale raggiunto, rispetto agli elementi che emergono dalla prova
oggetto di valutazione e che il Giudice ben può apprezzare, pur con una certa
prudenza nell’evitare che la propria valutazione si sovrapponga a quella operata
dall’Amministrazione.
A tal fine, soccorre l’esame dei criteri che vengono predeterminati ed a cui
deve attenersi la Commissione, i quali costituiscono la base per la verifica del
Giudice sulla correttezza del suo operato.
Passando al caso di specie, si è detto innanzi che le valutazioni negative hanno
riguardato l’elaborato consistente nel parere di diritto civile (che ha
conseguito la votazione di 26/50, con la motivazione: “Soluzione poco
convincente e non adeguatamente motivata. Non pertinente il richiamo a Cass., 13
ottobre 2011, n. 21907”), ed il compito riguardante un atto giudiziario in
materia di diritto penale (che ha riportato il voto di 28/50, con la
motivazione: “Atto generico e del tutto insufficiente. Carente la motivazione”).
Con riguardo al primo, il Collegio evidenzia che lo svolgimento del compito
denota una buona conoscenza del tema ed una apprezzabile articolazione degli
argomenti trattati, poiché:
- il tema è introdotto con efficace sintesi espressiva (“La questione proposta
riguarda la vexata quaestio delle obbligazioni solidali e in particolare il
principio di solidarietà passiva con riferimento alle obbligazioni
condominiali”);
- fanno seguito, in buon ordine, l’esposizione del risalente orientamento di
dottrina e giurisprudenza, l’intervento di Cass., SS.UU., 8 aprile 2008 n. 9148
(riassunto sinteticamente e senza errori), il riferimento alla opposta
giurisprudenza di merito e alla ratio sottesa di tutela del creditore,
l’indicazione degli articoli del codice civile e la spiegazione degli istituti
dell’obbligazione solidale e indivisibile e del requisito della indivisibilità
della prestazione;
- chiudono il tema il riferimento al caso concreto (prestazione chiesta dal
fornitore del combustibile al Condominio) e la soluzione proposta al supposto
cliente.
A questo punto, è necessario precisare che gli indirizzi forniti dalla
Commissione Centrale richiedevano ai candidati “chiarezza, pertinenza e
completezza espositiva, capacità di sintesi, logicità e rigore metodologico
delle argomentazioni ed intuizione giuridica (vedi la lett. b) dei criteri del
5/12/2011), oltre alla dimostrazione “della conoscenza dei fondamenti teorici
degli istituti giuridici trattati, nonché degli orientamenti della
giurisprudenza” e “di concreta capacità di risolvere problemi giuridici anche
attraverso riferimenti alla dottrina e l’utilizzo di giurisprudenza” (lettere c)
e d) degli stessi criteri).
In relazione ad essi ed alla stregua di quanto osservato, deve reputarsi
illegittimo il giudizio negativo assegnato, poiché il candidato palesa una
sufficiente padronanza del tema e la buona articolazione degli argomenti (in
forma priva di errori grammaticali e con lessico giuridico corretto).
Non assume, infatti, carattere decisivo che il richiamo alla sentenza della
Cassazione del 13 ottobre 2011 n. 21907 non sia pertinente, atteso che tale
richiamo è contenuto a pag. 2, tra parentesi e in un contesto in cui è citata
anche la giurisprudenza di merito, per cui trattasi di errore lieve (incidente
sul voto da assegnare), ma certamente non significativo nell’economia del
discorso.
Anche l’ulteriore connotato negativo rinvenuto dalla Commissione, secondo cui la
soluzione è poco convincente, non osta ad un giudizio favorevole, stante
l’espressa previsione della possibilità, per il candidato, di trarre conclusioni
difformi dall’indirizzo giurisprudenziale o dottrinario, purché motivate (v. il
punto g) degli indirizzi diramati dal Ministero della Giustizia in data
5/12/2011).
Nella specie, il dott. Sperti ha consigliato all’ipotetico cliente di “mettersi
al riparo da un’eventuale azione esecutiva” provvedendo al pagamento dell’intera
fornitura e agendo in regresso verso gli altri condomini, prospettando una
soluzione che può dirsi frutto di eccessivo timore ma che non è solo per ciò
censurabile (e che appare, peraltro, plausibile con riguardo alle oscillazioni
registrate in giurisprudenza).
Quanto all’atto giudiziario in materia penale (dichiarazione di appello avverso
sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 314 c.p.), il candidato
rappresenta bene e sinteticamente le proprie tesi, in forma corretta e con
adeguato ordine espositivo, esordendo con l’illustrazione del convincimento del
Giudice di prime cure, per poi passare a descrivere il delitto di peculato e gli
orientamenti formatisi in dottrina e giurisprudenza, richiamando il carattere
dell’offensività della condotta, per escludere infine la ricorrenza del reato
nella specie (collegamento a siti non istituzionali, da parte di dipendente
pubblico, avendo l’Ente un contratto di utenza onnicomprensivo di spese).
Appare dunque il sufficiente possesso delle nozioni giuridiche, unitamente (come
richiesto dalla lettera h) degli indirizzi ministeriali citati) alla capacità di
compiere una scelta difensiva e alla padronanza delle tecniche di persuasione.
In tal senso, le conclusioni rassegnate sono infatti chiare e coerenti: “Posta
in questi termini la questione, è del tutto evidente che la condotta del
pubblico dipendente Caio, non avendo arrecato alcun danno patrimoniale alla
Pubblica Amministrazione, è priva dell’elemento offensivo e quindi, scevra di
disvalore penale (in tal senso Cass. Penale Sezione VI 19 ottobre 2010, n.
41709)”.
Ne discende che il compito, sebbene sintetico, non può dirsi generico né,
soprattutto, “del tutto insufficiente” (avendo peraltro conseguito il voto di
sufficienza di tre commissari), e neppure carente quanto alla motivazione, che
invece risulta rassegnata dal candidato.
Per le suesposte ragioni, sono illegittimi e vanno conseguentemente annullati i
censurati giudizi degli elaborati del ricorrente, unitamente al provvedimento di
non ammissione alle prove orali.
Sussistono tuttavia giusti motivi, considerata la natura della controversia, per
compensare tra le parti le spese processuali.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima,
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie
e, per l’effetto, annulla i giudizi ed il provvedimento impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2012 con
l'intervento dei magistrati:
Antonio Cavallari, Presidente
Giuseppe Esposito, Primo Referendario, Estensore
Claudia Lattanzi, Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
N. 02021/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01406/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Prima
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1406 del 2012, proposto da:
Cavaliere Fabrizio, rappresentato e difeso dall'avv. Ernesto Sticchi Damiani,
con domicilio eletto presso lo studio in Lecce, via 95° Rgt. Fanteria 9;
contro
Ministero della Giustizia, Commissione Esami di Avvocato – sessione anno 2011
presso la Corte d’Appello di Lecce e Commissione Esami di Avvocato – sessione
anno 2011 presso la Corte d’Appello di Salerno, rappresentati e difesi
dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Lecce, via F. Rubichi
n. 23;
per l'annullamento
del provvedimento di non ammissione alla prova orale degli esami di abilitazione
all'esercizio della professione di Avvocato, sessione 2011, rilevabile dalla non
inclusione dello stesso nell'elenco degli ammessi pubblicato in data 20/06/2012
sul sito della Corte di Appello di Lecce;
dei provvedimenti valutativi sintetico (78) ed analitico (in particolare 25
all'elaborato di diritto civile e 23 per la predisposizione dell'atto
giudiziario), con i quali è stata ritenuta complessivamente insufficiente la
prova d'esame scritto sostenuta dal ricorrente, con conseguente inidoneità a
sostenere le prove orali;
di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale ed, in particolare,
ove occorra, del verbale con il quale sono stati determinati i criteri generali
di valutazione.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia, della
Commissione Esami di Avvocato – sessione anno 2011 presso la Corte d’Appello di
Lecce e della Commissione Esami di Avvocato – sessione anno 2011 presso la Corte
d’Appello di Salerno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2012 il dott. Giuseppe
Esposito e uditi per le parti l'avv. Ernesto Sticchi Damiani e l'avvocato dello
Stato Simona Libertini;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1.- Il dott. Cavaliere ha partecipato alla sessione di esami 2011 per
l’iscrizione nell’Albo degli Avvocati presso la Corte di Appello di Lecce,
sostenendo le prove scritte.
Pubblicati gli esiti della correzione degli elaborati, effettuata dalla IV
Sottocommissione istituita presso la Corte di Appello di Salerno, ed a seguito
di accesso agli atti, il ricorrente ha appreso di aver riportato il giudizio
complessivo di 78 nelle tre prove scritte, inferiore al minino richiesto di 90
e, quindi, senza essere ammesso alla prova orale.
In particolare, sono stati giudicati insufficienti due dei tre compiti svolti,
assegnando il punteggio di 25/50 al parere in diritto civile (con la
motivazione: “Compito incoerente con la traccia assegnata e non sufficientemente
motivate risultano, altresì, le conclusioni proprie”), ed il punteggio di 23/50
all’atto giudiziario in materia di diritto civile (con la motivazione: “Scarsa
conoscenza degli istituti giuridici trattati e degli orientamenti della
giurisprudenza. Insufficiente padronanza delle scelte difensive e delle tecniche
di persuasione”).
Avverso i giudizi riportati è stato proposto il presente ricorso, deducendo:
I- violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90 ed eccesso di potere per difetto
di motivazione;
II- eccesso di potere per perplessità, incongruenza, grave contraddittorietà,
illogicità ed ingiustizia manifesta.
Si afferma che i provvedimenti impugnati sono insufficientemente motivati,
poiché da essi non si evince alcun elemento da cui possa desumersi l’iter
logico-valutativo seguito dalla Commissione, che non vi ha apposto correzioni o
glosse a margine ed ha fatto ricorso a generiche clausole di stile, senza
riferirsi dettagliatamente ai criteri di massima adottati a livello
ministeriale.
In relazione ad essi, le censurate valutazioni si mostrano illogiche, atteso che
la Commissione ha riconosciuto al candidato, nella seconda prova, il possesso
delle capacità richieste, che non subiscono oscillazioni per l’uno o l’altro
elaborato e che sono state manifestate dal ricorrente anche nella redazione
degli altri compiti, che denotano chiarezza espositiva, buon lessico giuridico e
rigore metodologico, tanto da essere meritevoli di un giudizio di sufficienza,
come riscontrato nell’allegato parere pro veritate.
L’Amministrazione si è costituita in giudizio ed ha chiesto che il ricorso sia
dichiarato irricevibile, inammissibile e, gradatamente, rigettato, depositando
documentazione in data 19/10/2012.
Alla Camera di Consiglio del 21 novembre 2012 il ricorso è stato trattenuto per
la decisione in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 cpa.
2.- Il Tribunale intende premettere che l’operato delle commissioni di
abilitazione o di concorso ha natura mista, contenendo un aspetto
“provvedimentale”, con riguardo all’ammissione alla fase successiva, ed uno
prettamente di “giudizio”, circa la preparazione del candidato (cfr., da ultimo,
Cons. Stato – Sez. IV, 6 giugno 2011 n. 3402).
Essendo i due aspetti strettamente congiunti, il generale sindacato del Giudice
Amministrativo sull’attività provvedimentale della P.A. (al fine di assicurare
pienezza ed effettività della tutela, secondo il fondamentale canone ora
codificato dall’art. 1 cpa) non può essere limitato e, quindi, coinvolge
l’attività valutativa della Commissione, verificando la coerenza e logicità del
risultato finale raggiunto, rispetto agli elementi che emergono dalla prova
oggetto di valutazione e che il Giudice ben può apprezzare, pur con una certa
prudenza nell’evitare che la propria valutazione si sovrapponga a quella operata
dall’Amministrazione.
A tal fine, soccorre l’esame dei criteri che vengono predeterminati ed a cui
deve attenersi la Commissione, i quali costituiscono la base per la verifica del
Giudice sulla correttezza del suo operato.
Nella specie, la Commissione Centrale presso il Ministero della Giustizia ha
predisposto in data 5/12/2011 i criteri per la valutazione degli elaborati
scritti (che, come espressamente stabilito, sono stati recepiti dalle
Commissioni istituite nei Distretti di Corte d’Appello), i quali tra l’altro
richiedevano che i compiti rispondessero ai seguenti parametri:
“b) chiarezza, pertinenza e completezza espositiva, capacità di sintesi,
logicità e rigore metodologico delle argomentazioni ed intuizione giuridica”;
“c) dimostrazione della conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti
giuridici trattati, nonché degli orientamenti della giurisprudenza”;
“d) dimostrazione di concreta capacità di risolvere problemi giuridici anche
attraverso riferimenti alla dottrina e l’utilizzo di giurisprudenza …”;
“f) coerenza dell’elaborato con la traccia assegnata ed esauriente indagine
dell’impianto normativo relativo agli istituti giuridici di riferimento”;
“g) capacità di argomentare adeguatamente le conclusioni tratte, anche se
difformi dal prevalente indirizzo giurisprudenziale e/o dottrinario”;
“h) dimostrazione della padronanza delle scelte difensive e delle tecniche di
persuasione per ciò che concerne, specificamente, l’atto giudiziario”.
3.- Come detto innanzi, le valutazioni negative dei compiti del ricorrente hanno
riguardato il parere di diritto civile, al quale è stato assegnato il punteggio
di 25/50 (con la motivazione: “Compito incoerente con la traccia assegnata e non
sufficientemente motivate risultano, altresì, le conclusioni proprie”), ed il
compito consistente nella redazione di un atto giudiziario, che ha riportato il
punteggio di 23/50 (con la motivazione: “Scarsa conoscenza degli istituti
giuridici trattati e degli orientamenti della giurisprudenza. Insufficiente
padronanza delle scelte difensive e delle tecniche di persuasione”).
3.1- Con riguardo al primo, la Commissione ha evidentemente riscontrato il
deficit dell’elaborato, con riguardo ai punti f) e g), sopra riportati
(“coerenza dell’elaborato con la traccia assegnata”; “capacità di argomentare
adeguatamente le conclusioni tratte”).
Il compito riguardava la formulazione del parere, quale legale del condomino
Caio, in ordine alla pretesa della Ditta Gamma di rivalersi interamente su di
esso per la fornitura del combustibile utilizzato nell’impianto di riscaldamento
centralizzato.
Ad avviso del Collegio, sotto entrambi gli aspetti rilevati deve reputarsi
illegittimo il giudizio negativo poiché, per un verso, il candidato si è
attenuto alla traccia assegnata e, per altro verso, ha rassegnato le proprie
conclusioni in maniera sufficientemente argomentata.
Per il primo aspetto (coerenza con la traccia), il compito è connotato da una
successione corretta degli argomenti esposti, senza discostarsi dall’esigenza di
dare risposta al quesito sottoposto.
Difatti, l’elaborato esordisce con l’illustrazione del precetto dell’art. 1123
c.c., concernente la ripartizione delle spese condominiali, richiamando poi i
termini della questione e ponendosi il “problema di accertare se l’obbligazione
vantata dalla ditta Gamma nei confronti del condominio sia solidale o
parziaria”; dopo di ciò, sono stati indicati gli orientamenti contrastanti della
giurisprudenza ed è stato affrontato il tema dell’obbligazione divisibile ed
indivisibile, connettendolo alla norma dell’art. 1294 c.c. sulla solidarietà tra
condebitori.
Ciascuno degli elementi individuati dal candidato è organico allo sviluppo della
traccia e, pertanto, il tema nel suo complesso non può dirsi incoerente con
essa.
Per l’altro aspetto (argomentazione delle conclusioni), il candidato ha
sostenuto il principio della parziarietà, in base alla pronuncia delle Sezioni
Unite dell’8 aprile 2008 n. 9148 secondo cui, in tema di condominio degli
edifici, è retta dal criterio della parziarietà l’obbligazione che ha per
oggetto una somma di denaro dovuta a terzi, essendo essa divisibile e mancando
un’espressa previsione di legge nel senso della solidarietà.
Anche se il compito si chiude con la riproposizione pedissequa della tesi
esposta dalla Cassazione, ciò non di meno il candidato dimostra di aver
argomentato in proprio sulla validità della conclusione resa, poiché è
innestato, tra la citazione della sentenza e le conclusioni, un passo da cui,
con efficace sintesi, è ripercorso il ragionamento svolto per pervenire al
parere da rendere (fondato, in successione, sui seguenti passaggi:
l’obbligazione di una somma di denaro è divisibile; manca una disciplina
normativa che stabilisca la solidarietà passiva tra condomini; per aversi
quest’ultima non basta la pluralità di debitori, ma occorrono l’identità della
causa dell’obbligazione e l’indivisibilità della prestazione comune; se
quest’ultimo requisito difetta, prevale la parziarietà della prestazione).
Anche sotto questo aspetto è pertanto erronea la valutazione della Commissione.
3.2- Passando al giudizio negativo sul compito consistente nella redazione
dell’atto giudiziario, si deve evidenziare in tal caso che la Commissione ha
ritenuto insufficiente l’elaborato, basandosi sui suesposti criteri di cui alle
lettere c) (“dimostrazione della conoscenza dei fondamenti teorici degli
istituti giuridici trattati, nonché degli orientamenti della giurisprudenza”) e
h) (“dimostrazione della padronanza delle scelte difensive e delle tecniche di
persuasione”).
Al compito, infatti, è stato assegnato il punteggio di 23/50, con la
motivazione: “Scarsa conoscenza degli istituti giuridici trattati e degli
orientamenti della giurisprudenza. Insufficiente padronanza delle scelte
difensive e delle tecniche di persuasione”.
Il Collegio ritiene che nel compito non sono riscontrabili le deficienze
ravvisate.
Con esso è stata richiesta la redazione di un opportuno atto giudiziario
nell’interesse della Ditta edile Gamma, convenuta in giudizio da Tizia e
Sempronio i quali, dopo aver versato € 140.000 per l’acquisto di un immobile,
hanno richiesto la ripetizione della differenza eccedente l’importo di € 95.000
indicato nell’atto.
Nella traccia vien fatto considerare che la Ditta adduce la simulazione dei
contratti successivi, rispetto ad un precedente preliminare di compravendita che
recava il prezzo effettivo, adducendo di poter fornire prova testimoniale di
tale simulazione.
Ciò posto, al candidato era quindi richiesto di illustrare gli istituti e le
problematiche sottese alla fattispecie.
Il ricorrente ha proceduto redigendo una comparsa di costituzione e risposta con
la quale, già nell’incipit, la tesi difensiva è rappresentata con chiarezza,
mediante l’enunciazione dei tre passaggi su cui essa si fonda, esposti nel
paragrafo “In punto di fatto”: a) il preliminare a cui gli attori fanno
riferimento è preceduto da un altro contratto, recante il prezzo riscosso; b)
nella situazione di causa rileva che i successivi contratti erano simulati; c)
di ciò è possibile dare dimostrazione con l’escussione di testimoni “in grado di
far emergere la divergenza della volontà delle odierne parti in causa”.
Così impostata la strategia difensiva, era logico attendersi che il candidato –
come infatti avvenuto – si ponesse sopra ogni altra cosa il problema
dell’ammissibilità della prova testimoniale, riguardo alla quale egli esordisce
convincentemente con il riferimento all’art. 2724 c.c. (per il quale, tra
l’altro, la prova testimoniale è ammessa quando il principio di prova è
costituito da uno scritto proveniente dalla persona contro cui la domanda è
diretta, che faccia apparire verosimile il fatto), correlandolo col contrapposto
limite dell’art. 2722 c.c. (che non ammette la prova per testimoni su patti
aggiunti o contrari al documento e stipulati prima o in contemporanea).
A tal riguardo, giova porre in rilievo che la dimostrazione della conoscenza dei
fondamenti teorici degli istituti giuridici trattati, di cui al punto c) dei
criteri, può ritenersi comunque assolta allorquando dallo sviluppo
dell’elaborato sia evincibile la padronanza della tematica trattata, ancorché il
candidato non abbia proceduto secondo l’usuale schema, descrivendo l’istituto e
commentandolo.
In effetti, il dott. Cavaliere ha avuto di mira l’obiettivo di far respingere la
domanda, per cui la sua trattazione si incentra sull’esigenza di provare il
fatto addotto (com’è, del resto, connaturato ad un atto giudiziario), ma al
tempo stesso non può dirsi che egli ignori i connotati degli istituti che
vengono in rilievo e, principalmente, della simulazione del contratto, come può
evincersi dai riferimenti di volta in volta elaborati (ad esempio, indicando che
la pattuizione che cela una parte della somma, in quanto priva di autonomia, può
essere assimilata alla simulazione negoziale: cfr. pag. 3 dell’elaborato).
Ne discende che non può essere condivisa la valutazione della Commissione,
secondo cui il compito svolto denota scarsa conoscenza degli istituti giuridici
trattati, la quale traspare invece tenendo conto dell’impostazione adottata,
incentrata sulla prova della simulazione; nello stesso senso, gli orientamenti
della giurisprudenza sono adeguatamente posti in rilievo, con i riferimenti alla
“soluzione restrittiva” della Cassazione del 2007 (a cui è dedicato un
appropriato commento) ed alla successiva sentenza delle Sezioni Unite del 2011
(benché, al proposito, appaia poco accurato, ma comunque di non decisivo
rilievo, l’appellativo – “gli ermellini” – riservato al Giudice di legittimità).
In ordine alla padronanza delle scelte difensive e delle tecniche di
persuasione, il candidato mostra di possedere in buon grado la capacità di
convincimento, laddove induce l’organo giudicante a sussumere la fattispecie
nell’ambito dell’art. 2724, n. 1), c.c. (che ammette la prova testimoniale in
base al principio di prova, come sopra detto), escludendo di converso la
limitazione allo stesso mezzo processuale, di cui all’art. 2722 c.c.
Conseguentemente, anche la valutazione negativa dell’elaborato consistente nella
redazione dell’atto giudiziario deve ritenersi erronea.
Per le suesposte ragioni, sono dunque illegittimi e vanno conseguentemente
annullati i censurati giudizi degli elaborati del ricorrente, unitamente al
provvedimento di non ammissione alle prove orali.
Sussistono tuttavia giusti motivi, considerata la natura della controversia
involgente un’attività valutativa, per compensare tra le parti le spese
processuali.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima,
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie
e, per l’effetto, annulla i giudizi ed il provvedimento impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2012 con
l'intervento dei magistrati:
Antonio Cavallari, Presidente
Giuseppe Esposito, Primo Referendario, Estensore
Claudia Lattanzi, Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/12/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
N. 02020/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01645/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Prima
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1645 del 2012, proposto da:
Ratti Patrizia, rappresentata e difesa dall'avv. Giovanni Pomarico, con
domicilio presso Segreteria Tar in Lecce, via F. Rubichi 23;
contro
Ministero della Giustizia, Commissione Esami di Avvocato – sessione anno 2011
presso la Corte d’Appello di Lecce e Commissione Esami di Avvocato – sessione
anno 2011 presso la Corte d’Appello di Salerno, rappresentati e difesi
dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Lecce, via F. Rubichi
n. 23;
per l'annullamento
del provvedimento analitico e sintetico, di cui al Verbale della Adunanza del 25
maggio 2012, con cui la II Sotto-Commissione per gli esami di Avvocato, presso
la Corte d'Appello di Salerno per la sessione 2011, competente per l'esame degli
elaborati degli iscritti presso la Corte di Appello di Lecce, valutando
insufficiente l'elaborato di diritto penale redatto dalla ricorrente, ha
determinato di conseguenza la sua non idoneità a sostenere le prove orali,
nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia, della
Commissione Esami di Avvocato – sessione anno 2011 presso la Corte d’Appello di
Lecce e della Commissione Esami di Avvocato – sessione anno 2011 presso la Corte
d’Appello di Salerno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2012 il dott. Giuseppe
Esposito e uditi per le parti l'avv. Luca Pedone, in sostituzione dell'avv.
Giovanni Pomarico, e l'avvocato dello Stato Simona Libertini;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1.- La dott.ssa Ratti ha partecipato alla sessione di esami 2011 per
l’abilitazione all’esercizio della professione forense presso la Corte di
Appello di Lecce, sostenendo le prove scritte (la cui correzione è stata
effettuata dalla II Sottocommissione istituita presso la Corte di Appello di
Salerno).
Non essendo il suo nominativo incluso tra gli ammessi a sostenere la prova
orale, ed seguito di accesso agli atti, la ricorrente ha appreso di aver
riportato il giudizio complessivo di 85 nelle tre prove scritte, inferiore al
minino richiesto di 90.
In particolare, è stato giudicato insufficiente il compito consistente nella
redazione di un parere in materia penale, al quale è stato assegnato il
punteggio di 25/50 (con la motivazione: “Forma non scorrevole; assenza di
motivazione; errori grammaticali”), mentre ha conseguito la sufficienza (30/50)
nelle altre due prove (parere in materia di diritto civile e redazione di un
atto giudiziario).
Avverso il giudizio riportato è stato proposto il presente ricorso, deducendo:
- violazione degli artt. 21 e 22 R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578 e degli artt.
17-bis e 34 R.D. 22 gennaio 1934, n. 37; contraddittorietà: dagli elaborati non
è possibile evincere la valutazione espressa da ogni componente (ad eccezione
del compito giudicato insufficiente), non consentendo al candidato di rendersi
conto della qualità del proprio scritto;
- violazione del giusto procedimento, in particolare degli artt. 7 e 12 della
legge 7 agosto 1990, n. 241 e dell’art. 12 del D.P.R. n. 487/94; violazione
dell’art. 97 Cost.; eccesso di potere per illogicità manifesta: su due degli
elaborati è riportato esclusivamente il voto numerico, non sono apposti segni
grafici o note a margine da cui si evincano gli aspetti della prova valutati
negativamente, né vi è collegamento ai criteri di giudizio predeterminati;
- violazione del giusto procedimento ed eccesso di potere per illogicità
manifesta: il voto espresso non è corroborato da motivazione e non è attinente
alla realtà degli elaborati, avendo la ricorrente utilizzato un pregevole ordine
sistematico nell’esporre le tematiche, individuato le disposizioni normative
applicabili, mostrato maturità nel rappresentare le strade percorribili ed
adottato una soluzione corretta.
L’Amministrazione si è costituita in giudizio con atto del 7/11/2012 ed ha
chiesto che il ricorso sia dichiarato irricevibile, inammissibile e,
gradatamente, rigettato, depositando documentazione in data 16/11/2012.
Alla Camera di Consiglio del 22 novembre 2012 il ricorso è stato trattenuto per
la decisione in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 cpa.
2.- Occorre evidenziare che, dal tenore dell’impugnativa, appare che la
ricorrente intende sottoporre al sindacato giurisdizionale la valutazione di
tutte le prove sostenute, anche di quelle che hanno riportato un giudizio di
sufficienza.
Sennonché, in relazione a queste ultime difetta il suo interesse alla decisione,
non avendo la stessa minimamente dimostrato quale utilità conseguirebbe da una
diversa e migliore valutazione, mentre è evidente che la dott.ssa Ratti vanta la
pretesa ad essere ammessa a sostenere la prova orale.
Essendo tale pretesa preclusa dal solo voto negativo riportato nello scritto di
diritto penale, l’esame devoluto al Tribunale va ad esso circoscritto.
Tanto evidenziato, il Tribunale intende premettere che l’operato delle
commissioni di abilitazione o di concorso ha natura mista, contenendo un aspetto
“provvedimentale”, con riguardo all’ammissione alla fase successiva, ed uno
prettamente di “giudizio”, circa la preparazione del candidato (cfr., da ultimo,
Cons. Stato – Sez. IV, 6 giugno 2011 n. 3402).
Essendo i due aspetti strettamente congiunti, il generale sindacato del Giudice
Amministrativo sull’attività provvedimentale della P.A. (al fine di assicurare
pienezza ed effettività della tutela, secondo il fondamentale canone ora
codificato dall’art. 1 cpa) non può essere limitato e, quindi, coinvolge
l’attività valutativa della Commissione, verificando la coerenza e logicità del
risultato finale raggiunto, rispetto agli elementi che emergono dalla prova
oggetto di valutazione e che il Giudice ben può apprezzare, pur con una certa
prudenza nell’evitare che la propria valutazione si sovrapponga a quella operata
dall’Amministrazione.
A tal fine, soccorre l’esame dei criteri che vengono predeterminati ed a cui
deve attenersi la Commissione, i quali costituiscono la base per la verifica del
Giudice sulla correttezza del suo operato.
Nella specie, la Commissione Centrale presso il Ministero della Giustizia ha
predisposto in data 5/12/2011 i criteri per la valutazione degli elaborati
scritti (che, come espressamente stabilito, sono stati recepiti dalle
Commissioni istituite nei Distretti di Corte d’Appello), i quali tra l’altro –
per quanto direttamente interessa in questa sede – richiedevano che i compiti
rispondessero ai seguenti parametri:
“a) correttezza della forma grammaticale, sintattica ed ortografica e padronanza
del lessico italiano e giuridico”;
“b) chiarezza, pertinenza e completezza espositiva, capacità di sintesi,
logicità e rigore metodologico delle argomentazioni ed intuizione giuridica”;
“g) capacità di argomentare adeguatamente le conclusioni tratte, anche se
difformi dal prevalente indirizzo giurisprudenziale e/o dottrinario”.
Come detto innanzi, la valutazione negativa dei compiti della ricorrente ha
riguardato il parere di diritto penale, al quale è stato assegnato il punteggio
di 25/50, con la motivazione: “Forma non scorrevole; assenza di motivazione;
errori grammaticali”.
Al Collegio è noto che la traccia assegnata richiedeva di esprimere parere in
veste di legale di Caio, che – dopo aver consegnato a Tizio della merce in conto
vendita (per esporla nel negozio di questi e venderla al prezzo determinato
entro 4 mesi, oppure restituirla) – non riceveva notizia del fatto che la merce
era rimasta invenduta, ma apprendeva detta circostanza a distanza di tempo dalla
segretaria di Tizio, risolvendosi allora a tutelare le proprie ragioni in sede
penale; in particolare, era richiesto al candidato di analizzare “la fattispecie
configurabile nel caso di specie, soffermandosi in particolare sulle
problematiche correlate alla procedibilità dell’azione penale”.
Ciò posto, da quanto riportato risulta che la Commissione ha ravvisato
nell’elaborato deficienze di carattere esteriore (relative alla forma e alla
presenza di errori) e contenutistiche (mancando un’appropriata spiegazione al
tema trattato).
Nessuno di questi aspetti negativi è rinvenibile nell’elaborato.
Per ciò che concerne la forma (ritenuta “non scorrevole” dalla Commissione) la
stessa si dimostra sostanzialmente corretta ed è tutto sommato agevole la
lettura del compito, in quanto:
- la ricorrente ha sviluppato l’argomento esponendo in buon ordine la
successione dei passaggi (riferimento alla normativa applicabile; citazione e
commento delle norme, descrizione dell’elemento materiale del reato e
dell’elemento soggettivo; procedibilità dell’azione penale; conclusione);
- nei paragrafi più lunghi la punteggiatura separa i periodi, che ove necessario
sono introdotti dall’avverbio “inoltre”.
Quanto agli errori grammaticali, gli stessi non appaiono commessi: a tal
proposito, è opportuno chiarire che manca qualsivoglia tratto di penna che li
metta in evidenza, come sarebbe stato necessario in quanto, seppure
l’annotazione di segni grafici non è necessaria per la valutazione del compito
(potendo le singole parti essere esaminate in connessione tra loro e con
riguardo all’intero sviluppo del tema), lo stesso non può dirsi allorché si
riscontrino errori grammaticali che, come d’abitudine, sono segnalati almeno con
la sottolineatura.
In ordine all’assenza di motivazione, non può dirsi che la ricorrente non abbia
argomentato il proprio parere, come si evince dalla (seppur sintetica)
esposizione conclusiva, avendo in essa qualificato il rapporto tra le parti come
di prestazione d’opera, considerato che, se v’è l’elemento fiduciario, ricorre
l’aggravante ex art. 61, n. 11, c.p. (abuso di relazione di prestazione d’opera)
ed, infine, espresso l’avviso che il reato è perseguibile d’ufficio (mentre deve
ascriversi a scrupolo difensivo, nell’interesse del cliente, la precisazione
della possibilità di procedere a querela di parte, “non essendo trascorsi più di
tre mesi dalla conoscenza del fatto costitutivo di reato”).
Per le suesposte ragioni, è dunque illegittimo e va conseguentemente annullato
il giudizio negativo (25/50) assegnato all’elaborato della ricorrente,
unitamente al provvedimento di non ammissione alle prove orali che ne è
conseguito.
Sussistono tuttavia giusti motivi, considerata la natura della controversia
involgente un’attività valutativa, per compensare tra le parti le spese
processuali.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima,
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie
e, per l’effetto, annulla il giudizio ed il provvedimento impugnati, come
chiarito in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2012 con
l'intervento dei magistrati:
Antonio Cavallari, Presidente
Giuseppe Esposito, Primo Referendario, Estensore
Claudia Lattanzi, Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/12/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Per la Verità ci sono anche dei ricorsi rigettati, ma lo sono solo perchè non si
poteva fare altrimenti.
RIGETTATI
N. 00179/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01561/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Prima
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1561 del 2012, proposto da:
Eva Astore, rappresentata e difesa dall'avv. Alfredo Matranga, con domicilio
eletto presso Vincenzo Matranga in Lecce, via Monti, 40;
contro
Ministero della Giustizia, Commissione Esami Avvocato Corte Appello Lecce,
Commissione Esami Avvocato Corte Appello Salerno, rappresentati e difesi
dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Lecce, Via F. Rubichi
23;
per l'annullamento
dei provvedimenti di giudizio con cui la Sottocommissione per gli esami di
avvocato presso la Corte di Appello di Salerno, per la sessione 2011, ha
valutato insufficienti due dei tre elaborati della ricorrente, determinando, di
conseguenza, la sua inidoneità a sostenere le prove orali; nonché di ogni altro
atto presupposto, connesso, collegato e/o consequenziale, ed in particolare del
verbale 16/5/2012 della II Sottocommissione presso la Corte di Appello di
Salerno, nel quale sono riportate le operazioni di correzione degli elaborati
della ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia e di
Commissione Esami Avvocato Corte Appello Lecce e di Commissione Esami Avvocato
Corte Appello Salerno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2012 il dott. Roberto
Michele Palmieri e uditi per le parti i difensori Marinosci Maria Grazia, in
sostituzione di Matranga Alfredo, Pedone Giovanni;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. È impugnato il provvedimento in epigrafe, con il quale la 2° Sottocommissione
per gli esami di avvocato presso la Corte di Appello di Salerno ha disposto la
non ammissione della ricorrente alla prova orale dell’esame per il conseguimento
dell’abilitazione all’esercizio della professione forense, sessione 2011, per
avere riportato il complessivo punteggio di 83 (e segnatamente: 30 nel parere di
diritto civile; 25 nel parere di diritto penale; 28 nell’atto giudiziario in
materia penale), inferiore alla soglia minima, pari a 90, richiesta per superare
la prova scritta.
All’udienza del 7.11.2012, fissata per la decisione sulla domanda cautelare, il
Collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria,
sentite sul punto le parti costituite, ha definito il giudizio in camera di
consiglio con sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 c.p.a.
2. Con il primo motivo di ricorso, variamente articolato, deduce la ricorrente
il difetto di motivazione dell’amministrazione, per avere quest’ultima espresso,
in relazione alla seconda e terza prova (rispettivamente: parere di diritto
penale; atto giudiziario in materia penale), giudizi di inidoneità del tutto
sganciati dalla obiettiva realtà degli elaborati.
Il motivo è infondato.
2.1. E’ ben noto, da un punto di vista generale, il risalente e pacifico
orientamento del Consiglio di Stato, secondo il quale: “negli esami di
abilitazione alla professione di avvocato il punteggio assegnato alla prove
sostenute è pacificamente sufficiente ad esprimere in forma sintetica il
giudizio tecnico discrezionale demandato alla Commissione esaminatrice, senza
bisogno di ulteriori spiegazioni e chiarimenti” (C.d.S, IV, 24.4.2012, n. 1609.
In termini confermativi, cfr. altresì, ex plurimis, C.d.S, IV, 18 febbraio 2010
n. 953; Id, 17 febbraio 2009 n. 855; Id, 10 gennaio 2012 n. 63; Id, 5 marzo 2008
n. 924; Id, 3 marzo 2009 n. 1223; Id, 4 maggio 2010 n. 2543).
Ed è appena il caso di osservare che tale orientamento è passato indenne dalle
varie censure di incostituzionalità sollevate al riguardo. Invero, la Corte
costituzionale, con sentenza 8 giugno 2011, n. 175, ha definitivamente chiarito,
in parte motiva, che il punteggio numerico (peraltro diffusamente adottato nelle
procedure concorsuali ed abilitative) rivela una valutazione che, attraverso la
graduazione del dato numerico, conduce ad un giudizio di sufficienza o di
insufficienza della prova espletata e, nell'ambito di tale giudizio, rende
palese l'apprezzamento più o meno elevato che la commissione esaminatrice ha
attribuito all'elaborato oggetto di esame.
Pertanto, non è sostenibile che il punteggio indichi soltanto il risultato della
valutazione. Esso, in realtà, si traduce in un giudizio complessivo
dell'elaborato, alla luce dei parametri dettati dall'art. 22, nono comma, del
citato r.d.l. n. 1578 del 1933, suscettibile di sindacato in sede
giurisdizionale, nei limiti individuati dalla giurisprudenza amministrativa. Il
tutto senza trascurare che il criterio in questione risponde ad esigenze di buon
andamento dell'azione amministrativa (art. 97, primo comma, Cost.), che rendono
non esigibile una dettagliata esposizione, da parte delle commissioni
esaminatrici, delle ragioni che hanno condotto ad un giudizio di non idoneità,
avuto riguardo sia ai tempi entro i quali le operazioni concorsuali o
abilitative devono essere portate a compimento, sia al numero dei partecipanti
alle prove.
2.2. Ciò premesso, e venendo ora al caso di specie, rileva il Collegio che la II
Sottocommissione non si è limitata – come pure avrebbe potuto – ad esprimere una
valutazione in termini esclusivamente alfanumerici, ma l’ha corredata di giudizi
espressi in forma sintetica. Precisamente, il giudizio espresso in relazione
alla prova di diritto penale è il seguente: “Contenuto involuto con
interpretazioni giuridiche errate”, mentre quello apposto in calce alla prova
“pratica” (la redazione dell’atto giudiziario) è: “Tema eccessivamente sintetico
e povero di contenuti”.
Orbene, avendo la Commissione ritenuto di aggiungere al voto di esame (già di
per sé idoneo a ritenere assolto l’onere motivazionale) un giudizio – sia pur
sintetico – in ordine alla prova svolta dal candidato, occorre che detto
giudizio da un lato sia coerente con l’indicato voto numerico, e sotto altro
profilo possa dirsi scevro da errori e/o travisamento dei fatti.
E nel caso di specie, non si rinviene nei due suddetti giudizi di inidoneità
alcuno di quei profili di illogicità, contraddittorietà, travisamento dei fatti,
che consentono di ritenere viziate le valutazioni finali espresse dalla II
Sottocommissione. Invero, con riferimento alla seconda prova (parere di diritto
penale), emergono ictu oculi dall’elaborato sia una certa sconnessione ed
elementarità dei vari concetti giuridici espressi dalla ricorrente, e sia, per
quel che attiene al merito, alcuni non trascurabili errori giuridici.
2.2.1. In particolare, per quel che attiene al primo aspetto (esposizione dei
concetti giuridici), è evidente anzitutto, nel periodo iniziale, una certa
sconnessione sintattica, espressa dal participio “inteso” (terzo rigo, seguito
da “… in termini di rappresentazione dell’evento”) che non concorda in alcun
modo con la prima parte della proposizione.
Inoltre, sempre nella prima pagina, e segnatamente nella seconda e terza alinea
dell’elaborato, la ricorrente esprime concetti giuridici relativi,
rispettivamente, al tentativo (art. 56 c.p.), nonché all’abuso di ufficio (art.
323 c.p.), in termini assolutamente elementari, tali da escludere che la stessa
abbia maturato una sicura comprensione degli stessi.
Per tali ragioni, del tutto coerente con le obiettive risultanze fattuali è la
valutazione in termini di “contenuto involuto”, espressa dalla II
Sottocommissione. Ne discende che l’operato di quest’ultima si sottrae, sotto
questo aspetto, alle censure lamentate dalla ricorrente.
2.2.2. Venendo ora alla seconda parte del giudizio, espresso dalla II
Sottocommissione con la formula: “interpretazioni giuridiche errate”, rileva il
Collegio che la ricorrente commette un errore a pag. 3 dell’elaborato,
attribuendo al concetto di “univocità”, rilevante ai fini della configurabilità
del tentativo (art. 56 c.p.), il significato che è invece proprio
dell’” idoneità”, e viceversa. Ciò denota evidentemente la non esatta
comprensione di concetti fondamentali dell’istituto del tentativo, sicché per
tali ragioni il giudizio di erroneità di interpretazione giuridica formulato
dalla II Sottocommissione deve ritenersi corretto.
2.2.4. Pertanto, in relazione alla 2° prova (parere di diritto penale), vanno
senz’altro disattese le censure formulate da parte della ricorrente.
2.2.5. Alla stessa stregua, in relazione alla 3° prova (atto giudiziario in
materia penale), sebbene non vi siano errori giuridici, è evidente dalla mera
lettura dell’elaborato una certa povertà di contenuti dello stesso. Invero, la
ricorrente descrive la fattispecie di peculato (art. 314 c.p.) - che costituisce
la ratio essendi della prova di esame – in termini del tutto elementari,
denotando in tal modo insufficiente conoscenza dell’istituto. A ben vedere, ella
si limita a tratteggiare l’istituto alla luce dei dati provenienti dalla
traccia, evitando di aggiungervi un qualche apporto personale degno di rilievo.
Per tali ragioni, del tutto coerente con tali premesse, e con il relativo voto
alfanumerico, deve ritenersi il giudizio sintetico finale espresso dalla II
Sottocommissione. La quale, è appena il caso di aggiungere, non aveva l’onere di
indicare con glosse, segni grafici, etc, i passi dei due elaborati da cui
evincersi gli elementi presi in rilievo ai fini del giudizio sintetico,
trattandosi di elementi così palesi, ed emergenti in maniera così puntuale e
precisa dai relativi elaborati, da non richiedere ulteriori e più approfondite
specificazioni.
2.2.6. Alla luce di tali considerazioni, il primo motivo di ricorso è infondato,
e va pertanto rigettato.
3. Va infine rigettato il secondo motivo di gravame, con cui la ricorrente si
duole della sottoscrizione del verbale ad opera dei soli Presidente e
Segretario, nonché della mancata indicazione dell’orario di inizio e termine
delle operazioni di correzione.
3.1. Invero, quanto alla prima censura, è sufficiente osservare che, ai sensi
dell'art. 24, comma 1, R.D. n. 37 del 1934, "il voto deliberato deve essere
annotato immediatamente dal segretario, in tutte lettere, in calce al lavoro.
L'annotazione è sottoscritta dal presidente e dal segretario".
All’evidenza, a garantire la collegialità e contestualità di valutazione dei
candidati è sufficiente la sottoscrizione del verbale ad opera del Presidente e
del Segretario, e non anche di tutti gli altri membri della commissione. Sicché
è evidente, sotto questo aspetto, l’inconferenza dei rilievi di parte
ricorrente, pretendendo ella, inammissibilmente, un tipo di verbalizzazione
delle operazioni di correzione dei suoi elaborati, diversa da quella prevista
dalla legge.
3.2. Similmente, nessuna conseguenza giuridica è collegata alla mancata
indicazione, da parte della commissione d’esame, degli orari di inizio e termine
delle operazioni di correzione, trattandosi di adempimenti non imposti dalla
normativa vigente in tema di esami da avvocato.
4. Conclusivamente, il ricorso è infondato.
Ne consegue il suo rigetto.
5. Ricorrono giusti motivi, rappresentati dalla natura del giudizio e dalla
qualità delle parti, per la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima,
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2012 con
l'intervento dei magistrati:
Antonio Cavallari, Presidente
Patrizia Moro, Consigliere
Roberto Michele Palmieri, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
N. 02037/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01647/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Prima
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1647 del 2012, proposto da:
Feliciano Braccio, rappresentato e difeso dall'avv. Carlo Panzuti, con domicilio
eletto presso Antonio P. Nichil in Lecce, viale Leopardi, 151;
contro
Ministero della Giustizia, Commissione Esami Avvocato c/o Corte Appello di
Lecce, Commissione Esami Avvocato c/o Corte Appello di Salerno, rappresentati e
difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliata in Lecce, via
F. Rubichi 23;
per l'annullamento
del provvedimento, di data e numero ignoti, di non ammissione del ricorrente
alla prova orale degli esami di abilitazione alla professione di avvocato presso
la Corte di Appello di Lecce - sessione 2011, rilevabile dalla non inclusione
nell'elenco degli ammessi pubblicato presso la Corte di Appello di Lecce;
del provvedimento, di data e numero ignoti, di approvazione dell'elenco degli
ammessi pubblicato presso la Corte di Appello di Lecce;
dei provvedimenti di giudizio (valutazioni) sintetico (85) ed analitico (in
particolare, 30 al parere di diritto civile, 25 al parere di diritto penale e 30
all'atto giudiziario in materia di diritto civile) espressi nel verbale senza
numero del 29/5/2012 dalla II Sottocommissione d'esame istituita presso la Corte
di Appello di Salerno, con cui è stata ritenuta complessivamente insufficiente
la prova d'esame scritta sostenuta dal ricorrente, con conseguente inidoneità a
sostenere le prove orali e dello stesso verbale del 29/5/2012;
di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale ed, ove occorra, del
verbale n. 2 del 5/12/2011 della Commissione per l'esame di avvocato - sessione
2011 presso il Ministero della Giustizia con il quale sono stati approvati i
criteri di valutazione; del verbale senza numero del 13/1/2012 della Commissione
per l'esame di avvocato - sessione 2011 presso la Corte di Appello di Salerno.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia e di
Commissione Esami Avvocato c/o Corte Appello di Lecce e di Commissione Esami
Avvocato c/o Corte Appello di Salerno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2012 il dott. Claudia
Lattanzi e uditi l’avv. Carlo Panzuti, per il ricorrente, e l’avv. Simona
Libertini, per l’Avvocatura dello Stato;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Il ricorrente ha chiesto l’annullamento del provvedimento di giudizio con cui la
Sottocommissione per gli esami di avvocato presso la Corte di Appello di
Salerno, per la sessione 2011, ha valutato insufficiente uno dei tre elaborati,
con la conseguente determinazione di inidoneità a sostenere le prove orali.
Il ricorso è infondato.
È da ricordare anzitutto che la Corte costituzionale, con la sentenza 8 giugno
2011, n. 175, ha dichiarato la non fondatezza della questione di legittimità
costituzionale degli art. 17 bis, comma 2, 23, comma 5, 24, comma 1 r.d. 22
gennaio 1934 n. 37, come novellato dal d.l. n. 112 del 2003, nella parte in cui
essi, secondo il diritto vivente, consentono che i giudizi di non ammissione dei
candidati che partecipano agli esami di abilitazione all'esercizio della
professione forense possano essere motivati con l'attribuzione di un mero
punteggio numerico. La Corte ha precisato che “la graduazione del punteggio
numerico, infatti, da un lato, consente alla commissione esaminatrice di
esprimere, sia pure in modo sintetico, un giudizio complessivo dell'elaborato;
dall'altro, risponde ad esigenze di buon andamento dell'azione amministrativa,
che rendono non esigibile una dettagliata esposizione, da parte delle
commissioni esaminatrici, delle ragioni che hanno condotto ad un giudizio di non
idoneità”.
La giurisprudenza amministrativa ha altresì chiarito la non necessità, per la
legittimità dei verbali di correzione e dei conseguenti giudizi, della
apposizione di glosse, segni grafici o indicazioni di qualsiasi tipo sugli
elaborati in relazione agli eventuali errori commessi; la sufficienza, ai fini
della motivazione ed esternazione delle valutazioni compiute dalla
sottocommissione esaminatrice degli esami di avvocato sulle prove d'esame, del
voto numerico, attribuito in base ai criteri da essa (o comunque dalla
competente Commissione istituita presso il Ministero della Giustizia)
predeterminati, senza necessità di ulteriori spiegazioni e chiarimenti; la
inammissibilità della pretesa di ricavare dalla diversa e migliore opinione,
espressa sulla "qualità" dei singoli elaborati redatti dall'originario
ricorrente ad opera di autorevoli esperti di diritto, l'erroneità del giudizio
sugli stessi formulato dalla Commissione, trattandosi di tesi che, lungi
dall'evidenziare macroscopiche incongruenze di questo giudizio (tali cioè dal
far presumere un esercizio non corretto del potere con esso esercitato), mira a
sostituire la valutazione dell'originario ricorrente (pur corroborata da quella
di "esperti") a quella effettuata dall'Amministrazione: laddove, invece, com'è
noto, i giudizi espressi dalle Commissioni esaminatrici hanno carattere
tecnico-discrezionale e devono ritenersi insindacabili in sede di legittimità,
salvi i limiti propri della manifesta contraddittorietà, illogicità o
irrazionalità. (Cons. St., sez. IV, 16 aprile 2012, n. 2166; Cons. St. sez. IV,
10 gennaio 2012, n. 61; Cons. St., 6 dicembre 2011, n. 6402; Cons. St., sez. IV,
28 settembre 2009, n. 5832; Cons. St., sez. IV, 18 giugno 2009, n. 3991 ).
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno poi precisato l’ambito del sindacato del
giudice amministrativo: “Il sindacato giurisdizionale di legittimità del giudice
amministrativo sulle valutazioni tecniche delle commissioni esaminatrici di
esami o concorsi pubblici (valutazioni inserite in un procedimento
amministrativo complesso nel quale viene ad iscriversi il momento valutativo
tecnico della commissione esaminatrice quale organo straordinario della pubblica
amministrazione) è legittimamente svolto quando il giudizio della commissione
esaminatrice è affetto da illogicità manifesta o da travisamento del fatto in
relazione ai presupposti stessi in base ai quali è stato dedotto il giudizio
sull'elaborato sottoposto a valutazione” (Sez. Un., 28 maggio 2012, n. 8412).
La verifica, dunque, concernente la eventuale sussistenza (o meno) del vizio di
eccesso di potere, si inserisce all’interno dell’iter logico seguito (ed
esposto) dall’autorità emanante l’atto impugnato, ma non deve e non può
sostanziarsi in una giustapposizione (o sostituzione) della valutazione del
giudice rispetto a quella dell’amministrazione, unica titolare del potere
amministrativo.
Nella specie è da rilevare anzitutto che il giudizio impugnato è accompagnato
dalla motivazione con cui la Commissione ha esternato le ragioni della
valutazione negativa, ravvisando che il parere di diritto penale è incompleto
nei contenuti in fatto e in diritto e che le motivazioni sono insufficienti..
Tale operato della Commissione si dimostra corrispondente ai criteri fissati dal
Ministero in data 5/12/2011, essendo chiaramente evincibile da quanto riportato
il contrasto con gli elementi ivi individuati, tra cui la “dimostrazione della
conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti giuridici” e la “coerenza
dell’elaborato con la traccia assegnata” (lett. a), c) ed f) dei citati
criteri).
Quanto all’apposizione di segni di correzione o glosse, la condivisibile
giurisprudenza ha da tempo affermato che, in tema di esami per l’abilitazione
alla professione forense, tale attività non è richiesta alla Commissione, non
essendo prevista dalla legge e potendosi dedurre, dal voto assegnato, le ragioni
della valutazione (cfr., da ultimo, Cons. St, Sez. IV, 16 aprile 2012 n. 2166).
Per di più, come detto, nella specie il giudizio negativo è accompagnato
dall’indicazione degli elementi valutati negativamente.
Passando al vaglio della prova sostenuta dal ricorrente, non sono ravvisabili i
profili di erroneità della valutazione denunciati.
Infatti, il parere di diritto penale risulta estremamente sintetico,
sostanziandosi in una pagina e mezza, limitandosi a riportare gli articoli di
legge, relativi ad un solo reato ipotizzabile nella fattispecie in esame, e la
relativa giurisprudenza.
Questo risulta altresì confermato anche dal parere che il ricorrente allega al
proprio ricorso, nel quale è stato evidenziato sia che lo svolgimento
dell’elaborato non è “del tutto esaustivo” (p. 18 ) sia che l’elaborato non ha
affrontato “le problematiche relative alla configurabilità dei delitti di falso
ideologico e accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico” (p. 17 ),
sostanzialmente confermando così il giudizio della Commissione che, si ripete,
ha valutato l’elaborato incompleto e con motivazione insufficiente.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto con compensazione delle spese di
giudizio per giusti motivi.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo
respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2012 con
l'intervento dei magistrati:
Antonio Cavallari, Presidente
Giuseppe Esposito, Primo Referendario
Claudia Lattanzi, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/12/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
N. 01931/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01469/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Prima
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1469 del 2012, proposto da:
Giancarlo Sparascio, rappresentato e difeso dall'avv. Angelo Vantaggiato, con
domicilio eletto presso Angelo Vantaggiato in Lecce, via Zanardelli 7;
contro
Ministero della Giustizia, Commissione Esami Avvocato presso Corte di Appello di
Lecce, Commissione Esami Avvocato presso Corte di Appello di Salerno,
rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliata
in Lecce, via F. Rubichi 23;
per l'annullamento
del provvedimento analitico e sintetico, di cui al verbale della adunanza del 14
maggio 2012, con cui la quarta sottocommissione per gli esami di avvocato,
presso la Corte di Appello di Salerno per la sessione 2011, competente per
l'esame degli elaborati degli iscritti presso la Corte di Appello di Lecce,
valutando insufficiente l'elaborato di diritto civile dello stesso, ha, per
l'effetto, determinato la sua non idoneità a sostenere le prove orali, nonché di
ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia e di
Commissione Esami Avvocato presso Corte di Appello di Lecce e di Commissione
Esami Avvocato presso Corte di Appello di Salerno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2012 il dott. Claudia
Lattanzi e uditi l'avv. A. Vantaggiato, per il ricorrente, e l’avv. G. Pedone,
per l’Avvocatura dello Stato;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Il ricorrente ha chiesto l’annullamento del provvedimento di giudizio con cui la
Sottocommissione per gli esami di avvocato presso la Corte di Appello di
Salerno, per la sessione 2011, ha valutato insufficiente uno dei tre elaborati,
con la conseguente determinazione di inidoneità a sostenere le prove orali.
Il ricorso è infondato.
È da ricordare anzitutto che la Corte costituzionale, con la sentenza 8 giugno
2011, n. 175, ha dichiarato la non fondatezza della questione di legittimità
costituzionale degli art. 17 bis, comma 2, 23, comma 5, 24, comma 1 r.d. 22
gennaio 1934 n. 37, come novellato dal d.l. n. 112 del 2003, nella parte in cui
essi, secondo il diritto vivente, consentono che i giudizi di non ammissione dei
candidati che partecipano agli esami di abilitazione all'esercizio della
professione forense possano essere motivati con l'attribuzione di un mero
punteggio numerico. La Corte ha precisato che “la graduazione del punteggio
numerico, infatti, da un lato, consente alla commissione esaminatrice di
esprimere, sia pure in modo sintetico, un giudizio complessivo dell'elaborato;
dall'altro, risponde ad esigenze di buon andamento dell'azione amministrativa,
che rendono non esigibile una dettagliata esposizione, da parte delle
commissioni esaminatrici, delle ragioni che hanno condotto ad un giudizio di non
idoneità”.
La giurisprudenza amministrativa ha altresì chiarito la non necessità, per la
legittimità dei verbali di correzione e dei conseguenti giudizi, della
apposizione di glosse, segni grafici o indicazioni di qualsiasi tipo sugli
elaborati in relazione agli eventuali errori commessi; la sufficienza, ai fini
della motivazione ed esternazione delle valutazioni compiute dalla
sottocommissione esaminatrice degli esami di avvocato sulle prove d'esame, del
voto numerico, attribuito in base ai criteri da essa (o comunque dalla
competente Commissione istituita presso il Ministero della Giustizia)
predeterminati, senza necessità di ulteriori spiegazioni e chiarimenti; la
inammissibilità della pretesa di ricavare dalla diversa e migliore opinione,
espressa sulla "qualità" dei singoli elaborati redatti dall'originario
ricorrente ad opera di autorevoli esperti di diritto, l'erroneità del giudizio
sugli stessi formulato dalla Commissione, trattandosi di tesi che, lungi
dall'evidenziare macroscopiche incongruenze di questo giudizio (tali cioè dal
far presumere un esercizio non corretto del potere con esso esercitato), mira a
sostituire la valutazione dell'originario ricorrente (pur corroborata da quella
di "esperti") a quella effettuata dall'Amministrazione: laddove, invece, com'è
noto, i giudizi espressi dalle Commissioni esaminatrici hanno carattere
tecnico-discrezionale e devono ritenersi insindacabili in sede di legittimità,
salvi i limiti propri della manifesta contraddittorietà, illogicità o
irrazionalità. (Cons. St., sez. IV, 16 aprile 2012, n. 2166; Cons. St. sez. IV,
10 gennaio 2012, n. 61; Cons. St., 6 dicembre 2011, n. 6402; Cons. St., sez. IV,
28 settembre 2009, n. 5832; Cons. St., sez. IV, 18 giugno 2009, n. 3991 ).
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno poi precisato l’ambito del sindacato del
giudice amministrativo: “Il sindacato giurisdizionale di legittimità del giudice
amministrativo sulle valutazioni tecniche delle commissioni esaminatrici di
esami o concorsi pubblici (valutazioni inserite in un procedimento
amministrativo complesso nel quale viene ad iscriversi il momento valutativo
tecnico della commissione esaminatrice quale organo straordinario della pubblica
amministrazione), è legittimamente svolto quando il giudizio della commissione
esaminatrice è affetto da illogicità manifesta o da travisamento del fatto in
relazione ai presupposti stessi in base ai quali è stato dedotto il giudizio
sull'elaborato sottoposto a valutazione” (Sez. Un., 28 maggio 2012, n. 8412).
La verifica, dunque, concernente la eventuale sussistenza (o meno) del vizio di
eccesso di potere, si inserisce all’interno dell’iter logico seguito (ed
esposto) dall’autorità emanante l’atto impugnato, ma non deve e non può
sostanziarsi in una giustapposizione (o sostituzione) della valutazione del
giudice rispetto a quella dell’amministrazione, unica titolare del potere
amministrativo.
È da rilevare anzitutto che il giudizio impugnato è accompagnato dalla
motivazione con cui la Commissione ha esternato le ragioni della valutazione
negativa, ravvisando, tra l’altro, che il parere di diritto civile non argomenta
sufficientemente le conclusioni prospettate e non ha una sufficiente completezza
espositiva.
Tale operato della Commissione si dimostra corrispondente ai criteri fissati dal
Ministero in data 5/12/2011, essendo chiaramente evincibile da quanto riportato
il contrasto con gli elementi ivi individuati, tra cui la “dimostrazione della
conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti giuridici” e la “coerenza
dell’elaborato con la traccia assegnata” (lett. a), c) ed f) dei citati
criteri).
Quanto all’apposizione di segni di correzione o glosse, la condivisibile
giurisprudenza ha da tempo affermato che, in tema di esami per l’abilitazione
alla professione forense, tale attività non è richiesta alla Commissione, non
essendo prevista dalla legge e potendosi dedurre, dal voto assegnato, le ragioni
della valutazione (cfr., da ultimo, Cons. St, Sez. IV, 16 aprile 2012 n. 2166).
Per di più, come detto, nella specie il giudizio negativo è accompagnato
dall’indicazione degli elementi valutati negativamente.
Passando al vaglio della prova sostenuta dal ricorrente, non sono ravvisabili i
profili di erroneità della valutazione denunciati in quanto il parere di diritto
civile risulta estremamente sintetico tanto che lo stesso ricorrente dichiara di
non aver “avuto modo di completare definitivamente l’elaborato” (p. 7 del
ricorso); elaborato che si sostanzia in una facciata e mezza e si limita a
riportare gli articoli con la relativa giurisprudenza .
In conclusione, il ricorso deve essere respinto con compensazione delle spese di
giudizio per giusti motivi.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo
respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2012 con
l'intervento dei magistrati:
Antonio Cavallari, Presidente
Giuseppe Esposito, Primo Referendario
Claudia Lattanzi, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
N. 02016/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01388/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Prima
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1388 del 2012, proposto da:
Alessandro Antonaci, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Mormandi,
domiciliato ex art. 25 cpa presso Segreteria Tar in Lecce, via F. Rubichi 23;
contro
Ministero della Giustizia, Commissione Esame Avvocato Presso Corte D'Appello di
Lecce, Commissione Esame Avvocato Presso Corte D'Appello di Salerno,
rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliati presso la
sede di quest’ultima in Lecce, via F.Rubichi 23;
per l'annullamento
dei provvedimenti di giudizio con cui la Prima Sottocommissione per gli esami di
avvocato presso la Corte di Appello di Salerno per la sessione 2011 ha valutato
insufficienti due dei tre elaborati del ricorrente, determinando, di
conseguenza, la sua inidoneità a sostenere le prove orali;
del conseguente elenco degli ammessi alle prove orali, sessione 2011, degli
esami di abilitazione alla professione di avvocato, relativamente alla Corte
d'Appello di Lecce;
di ogni altro atto presupposto, consequenziale o comunque connesso, ivi compresi
i criteri per la valutazione degli elaborati scritti definiti, ai sensi
dell'art. 1 bis, comma 9, della l. n. 180/03, dalla commissione per l'esame di
avvocato, sessione 2011, nominata presso il Ministero della Giustizia e il
verbale della riunione del 13 gennaio 2012 delle sottocommissioni c/o la Corte
di Appello di Salerno.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia e della
Commissione Esame Avvocato presso Corte d'Appello di Lecce e della Commissione
Esame Avvocato presso la Corte d'Appello di Salerno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2012 la dott.ssa
Patrizia Moro e uditi per le parti gli avv.ti G. Calabro in sostituzione
dell’avv. G. Mormandi, A. Tarentini;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
1. Con il ricorso all’esame il ricorrente ha impugnato innanzi a questo
Tribunale gli atti, in epigrafe indicati, con i quali la Sottocommissione per
gli esami di avvocato presso la Corte di appello di Salerno, sessione 2011, ha
valutato insufficienti due dei tre elaborati (venticinque/ cinquantesimi per la
prova di diritto civile, e venticinque/cinquantesimi per l’atto giudiziario in
materia penale) determinando la sua inidoneità a sostenere gli esami (con
l’attribuzione del seguente punteggio: 25 per l’elaborato in diritto civile, 30
per quello in diritto penale e 25 per l’elaborato relativo all’atto giudiziario
in materia di diritto penale) e, per l'effetto, l'ha escluso dalle prove orali.
Sono dedotte le seguenti censure:
Eccesso di potere per inadeguatezza della motivazione, erroneità dei presupposti
– manifesta irragionevolezza e contraddittorietà con i criteri per la
valutazione degli elaborati scritti definiti, ai sensi dell’art.1 bis, comma 9,
della L. 180/2003, dalla Commissione per l’esame di avvocato sessione 2011.
Violazione dell’art. 23 R.D. n.37/1934.
2. Il ricorso è infondato e va respinto.
2.1. Secondo consolidata giurisprudenza anche dopo l'entrata in vigore dell'art.
3 della legge n. 241 del 1990, i provvedimenti della commissione esaminatrice
che rilevano l'inidoneità delle prove scritte e non ammettono alla prova orale
il candidato agli esami per l'abilitazione alla professione di avvocato devono
ritenersi adeguatamente motivati quando si fondano su voti numerici, attribuiti
in base ai criteri predeterminati, senza necessità di ulteriori spiegazioni e
chiarimenti. Siffatti voti esprimono un metodo di valutazione rispondente al
criterio di cui all'articolo 97 Cost. e rappresentano la compiuta esternazione
dell’ attività di verifica dell'idoneità del candidato svolta a seguito della
lettura dei suoi elaborati, demandata alla commissione esaminatrice.
La Corte costituzionale, con le sentenze 30 gennaio 2009 n. 20 e 8 giugno 2011,
n. 175, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 22, nono comma, del R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578 (Ordinamento delle
professioni di avvocato e procuratore) convertito in legge, con modificazioni,
dalla L. 22 gennaio 1934, n. 36, poi sostituito dall'art. 1 bis, del D.L. 21
maggio 2003, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2003,
n. 180, nonché degli articoli 17 bis, 22, 23 e 24, primo comma del R.D.
22.1.1934 n. 37 (Norme integrative e di attuazione del R.D.L. 27 novembre 1933,
n. 1578, sull'ordinamento della professione di avvocato e di procuratore),
sollevata in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 41, 97, 111, 113 e 117 della
Costituzione, nella parte in cui non prevedono l'obbligo di giustificare o
motivare il voto verbalizzato in termini alfanumerici in occasione delle
operazioni di valutazione delle prove scritte d'esame per l'abilitazione alla
professione forense.
2.2. In ordine al merito dell’attività di valutazione,va evidenziato che, in una
procedura per l'accesso a una professione , non rileva solamente l’esattezza
delle soluzioni giuridiche propugnate e prescelte, ma anche la modalità
espositiva, l’organizzazione complessiva del discorso, le capacità di sintesi e
di compiuta argomentazione.
Ove così non fosse, dovrebbe ammettersi che tutti i candidati estensori di
elaborati recanti soluzioni corrette debbano necessariamente superare la prova,
il che non può sicuramente avvenire, posto che il superamento dell’esame di
abilitazione permette l’accesso alla professione forense , sicchè vengono in
rilievo – oltre alla esattezza delle conclusioni - la modalità espositiva,
l’organizzazione complessiva del discorso, le capacità di sintesi e di compiuta
argomentazione,cioè tutte le componenti che garantiscono l’adeguatezza della
difesa tecnica.
2.3.Nella specie basti rilevare che, quanto alla prova inerente il parere di
diritto civile, il candidato non ha effettivamente dimostrato una sufficiente
padronanza del lessico italiano e un’ adeguata capacità costruttiva; inoltre non
risulta: a) affrontata la tematica delle obbligazioni interne ed esterne al
condominio,b) del tutto sviluppato l’esame della natura giuridica delle
obbligazioni solidali e degli elementi costituivi dell’istituto (eadem res
debita, eadem causa obbligandi, idem debitum), della differenza rispetto alle
obbligazioni parziarie, c) approfondito il dibattito giurisprudenziale creatosi
sul punto.
In sintesi il compito, in considerazione delle modalità di svolgimento
dell’esame (che consentiva l’uso di codici commentati con la giurisprudenza) e
dell’assenza di particolari difficoltà interpretative e argomentative nella
tematica trattata, appare privo di approfondimenti degni di nota.
Tali considerazioni consentono quindi al Collegio di condividere il giudizio
espresso dalla Commissione.
3. L’acclarata legittimità del giudizio espresso in ordine al parere di diritto
civile è sufficiente al fine di ritenere l’infondatezza del ricorso il quale non
può, pertanto, essere accolto.
Sussistono nondimeno giustificati motivi per disporre la compensazione delle
spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo
respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2012 con
l'intervento dei magistrati:
Antonio Cavallari, Presidente
Patrizia Moro, Consigliere, Estensore
Roberto Michele Palmieri, Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/12/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
N. 01930/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01405/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Prima
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1405 del 2012, proposto da:
Maria Rosaria Orlando, rappresentata e difesa dall'avv. Valeria Pellegrino, con
domicilio eletto presso Valeria Pellegrino in Lecce, via Augusto Imperatore, 16;
contro
Ministero della Giustizia, Sottocommissione Esame Avvocato presso Corte di
Appello di Lecce, Sottocommissione Esami Avvocato presso Corte Appello di
Salerno, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale Stato,
domiciliata in Lecce, via F. Rubichi 23;
per l'annullamento
dei provvedimenti di giudizio con cui la sottocommissione per gli esami di
avvocato presso la Corte di Appello di Salerno per la sessione 2011, ha valutato
insufficienti due dei tre elaborati della ricorrente, determinando, di
conseguenza, la sua inidoneità a sostenere le prove orali; nonché di ogni altro
atto presupposto, connesso, collegato e/o consequenziale, ed in particolare del
verbale 28/4/12 della IV sottocommissione presso la Corte di Appello di Salerno
, nel quale sono riportate le operazioni di correzione degli elaborati della
ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia e di
Sottocommissione Esame Avvocato presso Corte di Appello di Lecce e di
Sottocommissione Esami Avvocato presso Corte Appello di Salerno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2012 il dott. Claudia
Lattanzi e uditi l'avv. A. Cursi, in sostituzione dell'avv. V. Pellegrino, per
la ricorrente, e l’avv. G. Pedone, per l’Avvocatura dello Stato;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
La ricorrente ha chiesto l’annullamento dei provvedimenti di giudizio con cui la
Sottocommissione per gli esami di avvocato presso la Corte di Appello di
Salerno, per la sessione 2011, ha valutato insufficienti due dei tre elaborati,
con la conseguente determinazione di inidoneità a sostenere le prove orali.
Il ricorso è infondato.
È da ricordare anzitutto che la Corte costituzionale, con la sentenza 8 giugno
2011, n. 175, ha dichiarato la non fondatezza della questione di legittimità
costituzionale degli art. 17 bis, comma 2, 23, comma 5, 24, comma 1 r.d. 22
gennaio 1934 n. 37, come novellato dal d.l. n. 112 del 2003, nella parte in cui
essi, secondo il diritto vivente, consentono che i giudizi di non ammissione dei
candidati che partecipano agli esami di abilitazione all'esercizio della
professione forense possano essere motivati con l'attribuzione di un mero
punteggio numerico. La Corte ha precisato che “la graduazione del punteggio
numerico, infatti, da un lato, consente alla commissione esaminatrice di
esprimere, sia pure in modo sintetico, un giudizio complessivo dell'elaborato;
dall'altro, risponde ad esigenze di buon andamento dell'azione amministrativa,
che rendono non esigibile una dettagliata esposizione, da parte delle
commissioni esaminatrici, delle ragioni che hanno condotto ad un giudizio di non
idoneità”.
La giurisprudenza amministrativa ha altresì chiarito la non necessità, per la
legittimità dei verbali di correzione e dei conseguenti giudizi, della
apposizione di glosse, segni grafici o indicazioni di qualsiasi tipo sugli
elaborati in relazione agli eventuali errori commessi; la sufficienza, ai fini
della motivazione ed esternazione delle valutazioni compiute dalla
sottocommissione esaminatrice degli esami di avvocato sulle prove d'esame, del
voto numerico, attribuito in base ai criteri da essa (o comunque dalla
competente Commissione istituita presso il Ministero della Giustizia)
predeterminati, senza necessità di ulteriori spiegazioni e chiarimenti; la
inammissibilità della pretesa di ricavare dalla diversa e migliore opinione,
espressa sulla "qualità" dei singoli elaborati redatti dall'originario
ricorrente ad opera di autorevoli esperti di diritto, l'erroneità del giudizio
sugli stessi formulato dalla Commissione, trattandosi di tesi che, lungi
dall'evidenziare macroscopiche incongruenze di questo giudizio (tali cioè dal
far presumere un esercizio non corretto del potere con esso esercitato), mira a
sostituire la valutazione dell'originario ricorrente (pur corroborata da quella
di "esperti") a quella effettuata dall'Amministrazione: laddove, invece, com'è
noto, i giudizi espressi dalle Commissioni esaminatrici hanno carattere
tecnico-discrezionale e devono ritenersi insindacabili in sede di legittimità,
salvi i limiti propri della manifesta contraddittorietà, illogicità o
irrazionalità. (Cons. St., sez. IV, 16 aprile 2012, n. 2166; Cons. St. sez. IV,
10 gennaio 2012, n. 61; Cons. St., 6 dicembre 2011, n. 6402; Cons. St., sez. IV,
28 settembre 2009, n. 5832; Cons. St., sez. IV, 18 giugno 2009, n. 3991).
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno poi precisato l’ambito del sindacato del
giudice amministrativo: “Il sindacato giurisdizionale di legittimità del giudice
amministrativo sulle valutazioni tecniche delle commissioni esaminatrici di
esami o concorsi pubblici (valutazioni inserite in un procedimento
amministrativo complesso nel quale viene ad iscriversi il momento valutativo
tecnico della commissione esaminatrice quale organo straordinario della pubblica
amministrazione), è legittimamente svolto quando il giudizio della commissione
esaminatrice è affetto da illogicità manifesta o da travisamento del fatto in
relazione ai presupposti stessi in base ai quali è stato dedotto il giudizio
sull'elaborato sottoposto a valutazione” (Sez. Un., 28 maggio 2012, n. 8412).
La verifica, dunque, concernente la eventuale sussistenza (o meno) del vizio di
eccesso di potere, si inserisce all’interno dell’iter logico seguito (ed
esposto) dall’autorità emanante l’atto impugnato, ma non deve e non può
sostanziarsi in una giustapposizione (o sostituzione) della valutazione del
giudice rispetto a quella dell’amministrazione, unica titolare del potere
amministrativo.
È da rilevare anzitutto che il giudizio impugnato è accompagnato dalla
motivazione con cui la Commissione ha esternato le ragioni della valutazione
negativa, ravvisando, tra l’altro, che il parere di diritto penale non argomenta
sufficientemente le conclusioni prospettate e non ha una sufficiente completezza
espositiva.
Tale operato della Commissione si dimostra corrispondente ai criteri fissati dal
Ministero in data 5/12/2011, essendo chiaramente evincibile da quanto riportato
il contrasto con gli elementi ivi individuati, tra cui la “dimostrazione della
conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti giuridici” e la “coerenza
dell’elaborato con la traccia assegnata” (lett. a), c) ed f) dei citati
criteri).
Quanto all’apposizione di segni di correzione o glosse, la condivisibile
giurisprudenza ha da tempo affermato che, in tema di esami per l’abilitazione
alla professione forense, tale attività non è richiesta alla Commissione, non
essendo prevista dalla legge e potendosi dedurre, dal voto assegnato, le ragioni
della valutazione (cfr., da ultimo, Cons. St, Sez. IV, 16 aprile 2012 n. 2166).
Per di più, come detto, nella specie il giudizio negativo è accompagnato
dall’indicazione degli elementi valutati negativamente.
Passando al vaglio delle prove sostenute dalla ricorrente, non sono ravvisabili
i profili di erroneità della valutazione denunciati in quanto sia nel parere di
diritto penale che nell’atto giudiziario non risulta esservi un approfondimento
delle conclusioni prospettate, così come indicato nel giudizio espresso dalla
Commissione.
Il parere di diritto penale si dimostra poco rispondente, nella sua
articolazione e con riguardo al suo contenuto, ai requisiti richiesti.
Il compito è svolto con uno schema semplicistico.
Le difficoltà riscontrate nello sviluppo della traccia sono evidenziate dal
fatto che la ricorrente ha sorvolato su precipui aspetti della questione
sottoposta, per cui si ricava effettivamente un’insufficiente capacità di
discernere il fondamento teorico degli istituti (trattati in modo oltremodo
discorsivo), l’assenza di un appropriato rigore metodologico (che consenta di
passare dalle premesse alle conclusioni in maniera stringente) e l’incoerenza
dell’elaborato rispetto alla traccia (mancando la specifica risposta alla
richiesta di affrontare le problematiche della procedibilità dell’azione
penale).
L’atto giudiziario, in relazione alle questioni proposte, non approfondisce gli
istituti, limitandosi al richiamo della giurisprudenza della Corte di
cassazione, e non individua in modo chiaro e preciso la tesi difensiva.
Alla stregua di quanto osservato, i giudizi negativi sono stati quindi
correttamente formulati.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto con compensazione delle spese di
giudizio per giusti motivi.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo
respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2012 con
l'intervento dei magistrati:
Antonio Cavallari, Presidente
Giuseppe Esposito, Primo Referendario
Claudia Lattanzi, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
N. 01929/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01404/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Prima
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1404 del 2012, proposto da:
A.brogina R.zzello, rappresentata e difesa dall'avv. Valeria Pellegrino, con
domicilio eletto presso Valeria Pellegrino in Lecce, via Augusto Imperatore, 16;
contro
Ministero della Giustizia, Sottocommissione Esami Avvocato presso Corte di
Appello di Salerno, Sottocommissione Esami Avvocato presso Corte di Appello di
Lecce, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale Stato,
domiciliata in Lecce, via F. Rubichi 23;
per l'annullamento
dei provvedimenti di giudizio con cui la sottocommissione per gli esami di
avvocato presso la Corte di Appello di Salerno per la sessione 2011, ha valutato
insufficienti uno dei tre elaborati della ricorrente, determinando, di
conseguenza, la sua inidoneità a sostenere le prove orali; nonché di ogni altro
atto presupposto, connesso, collegato e/o consequenziale, ed in particolare del
verbale 01/02/2012 della IV sottocommissione presso la Corte di Appello di
Salerno, nel quale sono riportate le operazioni di correzione degli elaborati
della ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia, di
Sottocommissione Esami Avvocato presso Corte di Appello di Salerno, e di
Sottocommissione Esami Avvocato presso Corte di Appello di Lecce;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2012 il dott. Claudia
Lattanzi e uditi l'avv. A. Cursi, in sostituzione dell'avv. V. Pellegrino, per
la ricorrente, e l’avv. G. Pedone, per l’Avvocatura dello Stato;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
La ricorrente ha chiesto l’annullamento dei provvedimenti di giudizio con cui la
Sottocommissione per gli esami di avvocato presso la Corte di Appello di
Salerno, per la sessione 2011, ha valutato insufficiente uno dei tre elaborati,
con la conseguente determinazione di inidoneità a sostenere le prove orali.
Il ricorso è infondato.
È da ricordare anzitutto che la Corte costituzionale, con la sentenza 8 giugno
2011, n. 175, ha dichiarato la non fondatezza della questione di legittimità
costituzionale degli art. 17 bis, comma 2, 23, comma 5, 24, comma 1 r.d. 22
gennaio 1934 n. 37, come novellato dal d.l. n. 112 del 2003, nella parte in cui
essi, secondo il diritto vivente, consentono che i giudizi di non ammissione dei
candidati che partecipano agli esami di abilitazione all'esercizio della
professione forense possano essere motivati con l'attribuzione di un mero
punteggio numerico. La Corte ha precisato che “la graduazione del punteggio
numerico, infatti, da un lato, consente alla commissione esaminatrice di
esprimere, sia pure in modo sintetico, un giudizio complessivo dell'elaborato;
dall'altro, risponde ad esigenze di buon andamento dell'azione amministrativa,
che rendono non esigibile una dettagliata esposizione, da parte delle
commissioni esaminatrici, delle ragioni che hanno condotto ad un giudizio di non
idoneità”.
La giurisprudenza amministrativa ha altresì chiarito la non necessità, per la
legittimità dei verbali di correzione e dei conseguenti giudizi, della
apposizione di glosse, segni grafici o indicazioni di qualsiasi tipo sugli
elaborati in relazione agli eventuali errori commessi; la sufficienza, ai fini
della motivazione ed esternazione delle valutazioni compiute dalla
sottocommissione esaminatrice degli esami di avvocato sulle prove d'esame, del
voto numerico, attribuito in base ai criteri da essa (o comunque dalla
competente Commissione istituita presso il Ministero della Giustizia)
predeterminati, senza necessità di ulteriori spiegazioni e chiarimenti; la
inammissibilità della pretesa di ricavare dalla diversa e migliore opinione,
espressa sulla "qualità" dei singoli elaborati redatti dall'originario
ricorrente ad opera di autorevoli esperti di diritto, l'erroneità del giudizio
sugli stessi formulato dalla Commissione, trattandosi di tesi che, lungi
dall'evidenziare macroscopiche incongruenze di questo giudizio (tali cioè dal
far presumere un esercizio non corretto del potere con esso esercitato), mira a
sostituire la valutazione dell'originario ricorrente (pur corroborata da quella
di "esperti") a quella effettuata dall'Amministrazione: laddove, invece, com'è
noto, i giudizi espressi dalle Commissioni esaminatrici hanno carattere
tecnico-discrezionale e devono ritenersi insindacabili in sede di legittimità,
salvi i limiti propri della manifesta contraddittorietà, illogicità o
irrazionalità. (Cons. St., sez. IV, 16 aprile 2012, n. 2166; Cons. St. sez. IV,
10 gennaio 2012, n. 61; Cons. St., 6 dicembre 2011, n. 6402; Cons. St., sez. IV,
28 settembre 2009, n. 5832; Cons. St., sez. IV, 18 giugno 2009, n. 3991 ).
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno poi precisato l’ambito del sindacato del
giudice amministrativo: “Il sindacato giurisdizionale di legittimità del giudice
amministrativo sulle valutazioni tecniche delle commissioni esaminatrici di
esami o concorsi pubblici (valutazioni inserite in un procedimento
amministrativo complesso nel quale viene ad iscriversi il momento valutativo
tecnico della commissione esaminatrice quale organo straordinario della pubblica
amministrazione), è legittimamente svolto quando il giudizio della commissione
esaminatrice è affetto da illogicità manifesta o da travisamento del fatto in
relazione ai presupposti stessi in base ai quali è stato dedotto il giudizio
sull'elaborato sottoposto a valutazione” (Sez. Un., 28 maggio 2012, n. 8412).
La verifica, dunque, concernente la eventuale sussistenza (o meno) del vizio di
eccesso di potere, si inserisce all’interno dell’iter logico seguito (ed
esposto) dall’autorità emanante l’atto impugnato, ma non deve e non può
sostanziarsi in una giustapposizione (o sostituzione) della valutazione del
giudice rispetto a quella dell’amministrazione, unica titolare del potere
amministrativo.
È da rilevare anzitutto che il giudizio impugnato è accompagnato dalla
motivazione con cui la Commissione ha esternato le ragioni della valutazione
negativa, ravvisando, tra l’altro, che il parere di diritto penale non argomenta
sufficientemente le conclusioni prospettate e non ha una sufficiente completezza
espositiva.
Tale operato della Commissione si dimostra corrispondente ai criteri fissati dal
Ministero in data 5/12/2011, essendo chiaramente evincibile da quanto riportato
il contrasto con gli elementi ivi individuati, tra cui la “dimostrazione della
conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti giuridici” e la “coerenza
dell’elaborato con la traccia assegnata” (lett. a), c) ed f) dei citati
criteri).
Quanto all’apposizione di segni di correzione o glosse, la condivisibile
giurisprudenza ha da tempo affermato che, in tema di esami per l’abilitazione
alla professione forense, tale attività non è richiesta alla Commissione, non
essendo prevista dalla legge e potendosi dedurre, dal voto assegnato, le ragioni
della valutazione (cfr., da ultimo, Cons. St, Sez. IV, 16 aprile 2012 n. 2166).
Per di più, come detto, nella specie il giudizio negativo è accompagnato
dall’indicazione degli elementi valutati negativamente.
Passando al vaglio della prova sostenuta dalla ricorrente, non sono ravvisabili
i profili di erroneità della valutazione denunciati, in quanto il parere di
diritto penale si dimostra poco rispondente, nella sua articolazione e con
riguardo al suo contenuto, ai requisiti richiesti.
Il compito è svolto con uno schema semplicistico.
Le difficoltà riscontrate nello sviluppo della traccia sono evidenziate dal
fatto che la ricorrente ha sorvolato su precipui aspetti della questione
sottoposta, per cui si ricava effettivamente un’insufficiente capacità di
discernere il fondamento teorico degli istituti (trattati in modo oltremodo
discorsivo), l’assenza di un appropriato rigore metodologico (che consenta di
passare dalle premesse alle conclusioni in maniera stringente).
Alla stregua di quanto osservato, il giudizio negativo è stato quindi
correttamente formulato.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto con compensazione delle spese di
giudizio per giusti motivi.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo
respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2012 con
l'intervento dei magistrati:
Antonio Cavallari, Presidente
Giuseppe Esposito, Primo Referendario
Claudia Lattanzi, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
N. 01916/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01470/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Prima
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1470 del 2012, proposto da:
Durante Marcello, rappresentato e difeso dall'avv. Angelo Vantaggiato, con
domicilio eletto presso lo studio in Lecce, via Zanardelli 7;
contro
Ministero della Giustizia, Commissione Esame di Avvocato – sessione anno 2011
presso la Corte di Appello di Lecce e Commissione Esame di Avvocato – sessione
anno 2011 presso la Corte di Appello di Salerno, rappresentati e difesi
dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Lecce, via F. Rubichi
23;
per l'annullamento
del provvedimento analitico e sintetico, di cui al Verbale della Adunanza del 2
aprile 2012, con cui la IV Sotto-Commissione per gli esami di Avvocato, presso
la Corte d'Appello di Salerno per la sessione 2011, competente per l'esame degli
elaborati degli iscritti presso la Corte di Appello di Lecce, valutando
insufficiente l'elaborato di diritto penale dello stesso, ha, per l'effetto,
determinato la sua non idoneità a sostenere le prove orali, nonché di ogni altro
atto presupposto, connesso e/o consequenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia,
Commissione Esame di Avvocato – sessione anno 2011 presso la Corte di Appello di
Lecce e Commissione Esame di Avvocato – sessione anno 2011 presso la Corte di
Appello di Salerno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2012 il dott. Giuseppe
Esposito e uditi per le parti l'avv. Angelo Vantaggiato e l'avvocato dello Stato
Giovanni Pedone;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1.- Il dott. Durante ha partecipato alla sessione di esami per l’abilitazione
all’esercizio della professione forense per l’anno 2011 presso la Corte di
Appello di Lecce.
Dopo aver sostenuto le prove scritte, non è stato incluso nell’elenco dei
candidati ammessi a sostenere la prova orale.
Ha quindi formulato istanza di accesso agli atti, ottenendo copia dei propri
elaborati ed il verbale in epigrafe, apprendendo così di aver conseguito il
punteggio complessivo di 85 nelle tre prove scritte (30 per il parere di diritto
civile; 25 per il parere di diritto penale; 30 per l’atto giudiziario),
inferiore al minino richiesto di 90.
Avverso la valutazione negativa dall’elaborato di diritto penale ed il
conseguente giudizio di non ammissione all’esame orale è stato proposto il
presente ricorso, denunciando i seguenti vizi:
- difetto di motivazione e violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90: benché
la votazione numerica sia accompagnata dalla motivazione, la stessa si concreta
in una mera formula di stile, lacunosa sotto il profilo argomentativo, erronea
nel merito ed irrazionale;
- irragionevolezza della motivazione e contraddittorietà: il giudizio espresso
non è aderente ai criteri predeterminati dalla Commissione Centrale presso il
Ministero della Giustizia in data 5/12/2011;
- irrazionalità manifesta e contraddittorietà sotto altro profilo: traspare
dall’allegato parere motivato l’incoerenza fra le motivazioni addotte dalla
Sottocommissione e i riferiti criteri fissati dalla Commissione Centrale presso
il Ministero della Giustizia;
- erroneità e contraddittorietà dell’azione amministrativa ed eccesso di potere:
sulla scorta dell’esame del testo dell’elaborato e della valutazione resa su di
esso dal parere pro veritate prodotto, si censura la valutazione espressa dalla
Sottocommissione, avendo il ricorrente illustrato il tema in maniera coerente
rispetto alla traccia assegnata, individuando correttamente gli istituti e
traendo conclusioni congrue.
L’Amministrazione si è costituita in giudizio ed ha chiesto che il ricorso sia
dichiarato irricevibile, inammissibile e, gradatamente, rigettato.
Nella Camera di Consiglio del 24 ottobre 2012 il ricorso è stato trattenuto per
la decisione in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 cpa.
2.- Il Tribunale intende premettere che l’operato delle commissioni di
abilitazione o di concorso ha natura mista, contenendo un aspetto
“provvedimentale”, con riguardo all’ammissione alla fase successiva, ed uno
prettamente di “giudizio”, circa la preparazione del candidato (cfr., da ultimo,
Cons. Stato – Sez. IV, 6 giugno 2011 n. 3402).
Essendo i due aspetti strettamente congiunti, il generale sindacato del Giudice
Amministrativo sull’attività provvedimentale della P.A. (al fine di assicurare
pienezza ed effettività della tutela, secondo il fondamentale canone ora
codificato dall’art. 1 cpa) non può essere limitato e, quindi, coinvolge
l’attività valutativa della Commissione, verificando la coerenza e logicità del
risultato finale raggiunto, rispetto agli elementi che emergono dalla prova
oggetto di valutazione e che il Giudice ben può apprezzare, pur con una certa
prudenza nell’evitare che la propria valutazione si sovrapponga a quella operata
dall’Amministrazione.
A tal fine, soccorre l’esame dei criteri che vengono predeterminati ed a cui
deve attenersi la Commissione, i quali costituiscono la base per la verifica del
Giudice sulla correttezza del suo operato.
Passando al caso di specie, l’esclusione del ricorrente dall’esame orale per
l’abilitazione all’esercizio della professione forense è stata determinata dal
voto negativo (25/50) alla prova concernente la redazione di un parere motivato
di diritto penale, assegnato con la seguente motivazione: “Scarsa conoscenza dei
fondamenti teorici degli istituti giuridici trattati nonché elaborato poco
coerente con la traccia assegnata. Insufficiente rigore metodologico”.
La traccia assegnata richiedeva di esprimere parere in veste di legale di Caio,
che – dopo aver consegnato a Tizio della merce in conto vendita (per esporla nel
negozio di questi e venderla al prezzo determinato entro 4 mesi, oppure
restituirla) – non riceveva notizia del fatto che la merce era rimasta
invenduta, ma apprendeva detta circostanza a distanza di tempo dalla segretaria
di Tizio, risolvendosi allora a tutelare le proprie ragioni in sede penale.
Il compito assegnato esigeva che il candidato analizzasse “la fattispecie
configurabile nel caso di specie, soffermandosi in particolare sulle
problematiche correlate alla procedibilità dell’azione penale”.
A questo punto, è necessario precisare che gli indirizzi forniti dalla
Commissione Centrale richiedevano ai candidati “chiarezza, pertinenza e
completezza espositiva, capacità di sintesi, logicità e rigore metodologico
delle argomentazioni ed intuizione giuridica (vedi la lett. b) dei criteri del
5/12/2011), oltre alla dimostrazione “della conoscenza dei fondamenti teorici
degli istituti giuridici trattati, nonché degli orientamenti della
giurisprudenza” e “di concreta capacità di risolvere problemi giuridici anche
attraverso riferimenti alla dottrina e l’utilizzo di giurisprudenza” (lettere c)
e d) degli stessi criteri).
Il Collegio osserva che l’elaborato del ricorrente si dimostra poco rispondente,
nella sua articolazione e con riguardo al suo contenuto, ai requisiti richiesti.
Il compito è svolto con uno schema semplicistico, descrivendo il reato di
appropriazione indebita con la mera trascrizione dei tre commi di cui si compone
l’art. 646 c.p. e senza approfondire i concetti, passando in succinta rassegna i
dati di fatto proposti e concludendo con il consiglio a Caio di diffidare Tizio
a consegnare la merce, proponendo poi querela ma, nel contempo, “tenendo,
quindi, ben presenti tutte le circostanze aggravanti che ammettono la
procedibilità d’ufficio”.
A fronte delle difficoltà riscontrate nello sviluppo della traccia, il
ricorrente ha sorvolato su precipui aspetti della questione sottoposta, per cui
si ricava effettivamente un’insufficiente capacità di discernere il fondamento
teorico degli istituti (trattati in modo oltremodo discorsivo), l’assenza di un
appropriato rigore metodologico (che consenta di passare dalle premesse alle
conclusioni in maniera stringente) e l’incoerenza dell’elaborato rispetto alla
traccia (mancando la specifica risposta alla richiesta di affrontare le
problematiche della procedibilità dell’azione penale).
Alla stregua di quanto osservato, il giudizio negativo è stato quindi
correttamente formulato.
Il ricorso va dunque respinto.
Sussistono tuttavia giusti motivi, considerata la natura della controversia, per
compensare tra le parti le spese processuali.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima,
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo
respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2012 con
l'intervento dei magistrati:
Antonio Cavallari, Presidente
Giuseppe Esposito, Primo Referendario, Estensore
Claudia Lattanzi, Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Contro questa che appare, anche agli occhi di un profano, una palese
ingiustizia si presenta doverosa denuncia.
DENUNCIA/QUERELA PENALE - INFORMATIVA DI REATO
(artt. 330, 333,336 c.p.p.)
ALLA
PROCURA DELLA REPUBBLICA
Al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello
Al Procuratore Capo presso il Tribunale
SEZIONE REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Si ripresenta per fini di giustizia l’ennesima istanza di accertamento della
responsabilità penale in tema di concorsi pubblici truccati di interesse
nazionale. Istanze presentate alla S.V, ma rimaste inspiegabilmente lettera
morta, pur consistendo la fondatezza dell’accusa suffragata da prove, pur
operando l’obbligatorietà dell’azione penale e pur travalicando l’aspetto
soggettivo della questione. La Corte Europea dei Diritti Umani ha respinto il
ricorso, trattandosi di fatti interni.
Nell’interesse di
ANTONIO GIANGRANDE,
nato in Italia ad Avetrana provincia di Taranto, il 02.06.1963 (codice fiscale
GNGNTN63H02A514Q), cittadino italiano (sesso maschile) di professione Presidente
della “Associazione Contro Tutte le Mafie”, sodalizio antimafia riconosciuto dal
Ministero Interni, residente in Italia, Avetrana (TA), via Manzoni, 51 (telefono
0039+099 9708396; telefax 0039+099 9708396 cell. 328 9163996 e-mail…), e per gli
stessi motivi della medesima denuncia già ricorrente presso la Corte Europea dei
diritti dell’Uomo.
Contro
Avv.
Antonio De Giorgi del foro di Lecce,
denunciato,
presidente della commissione centrale del concorso forense sessione 2010-2011
1ª
sottocommissione di esame forense di Palermo, sessione 2010-2011,
denunciata,
GRILLO avv. Mario
Nato a Palermo il 7.2.1954 Ordine di Palermo (Sostituto presidente);
LORELLO prof.ssa
Laura Nato a Palermo il 27.5.1967 Professore ordinario Università degli Studi di
Palermo Facoltà di Giurisprudenza;
CONTRAFATTO
dott.ssa Vania Nata a Palermo il 2.3.1971 Magistrato ordinario che ha conseguito
la II valutazione di professionalità Procura della Repubblica c/o Tribunale di
Palermo;
STALLONE avv.
Francesco Nato a Palermo il 2.3.1966 Ordine di Palermo (indicato in decreto di
nomina erroneamente come Stallo Francesco);
PETRUCCI dott.
Luigi Nato a Roma il 28.1.1972 Magistrato ordinario che ha conseguito la II
valutazione di professionalità Tribunale di Palermo;
1ª
sezione TAR di Lecce,
denunciata,
Antonio Cavallari, Presidente
Luigi Viola, Consigliere,
Estensore
Massimo Santini, Referendario
Altri
concorrenti nel reato di falso, abuso d’ufficio e associazione a delinquere. Per
i precedenti concorsi tenuti presso la Corte d’Appello di Torino, Reggio
Calabria e Salerno e per i successivi concorsi addivenire già predestinati.
PREMESSO CHE
Il sottoscritto
denunciante dal 1998 a tutt’oggi partecipa all’esame di abilitazione forense
presso il distretto di Corte d’Appello di Lecce.
Essendo vittima da subito ho presentato esposti e denunce contro il
concorso che reputo truccato, tanto palesi erano e sono le anomalie e gli abusi
nazionali sotto gli occhi di tutti. Attività di denuncia che ha portato alla
riforma della legge 180/2003: consiglieri dell’Ordine degli Avvocati cacciati
dalle commissioni e compiti locali corretti da commissioni di altri distretti di
Corte d’Appello. Da qui la mia notorietà nell’ambiente locale e nazionale. Le
mie denunce presentate per abuso d’ufficio, falso in atti pubblici ed
associazione a delinquere presso gli uffici giudiziari con competenza diretta
(in riferimento alle commissioni d’esame) o indiretta (in riferimento
all’interesse nazionale) sono state tutte archiviate o insabbiate senza che sia
conseguita calunnia.
Le indagini non
sono state svolte per i seguenti motivi:
Nelle commissioni
d’esame vi erano gli stessi inquirenti o loro colleghi;
Agli inquirenti non
appariva verosimile l’ipotesi di un possibile complotto nei miei confronti o
comunque per loro non era possibile che un concorso pubblico tal fatto potesse
essere truccato;
Le indagini
venivano delegate a Polizia giudiziaria locale che dovevano svolgere indagini
contro i loro magistrati di riferimento. Questi non avevano la competenza
culturale e professionale a svolgere siffatte indagini o comunque vi era
collusione-commistione con gli inquisiti, che poi erano i loro magistrati
referenti- deleganti locali. In questo modo la mia audizione avveniva
nell’assoluta ostilità.
In rapporto alla
mia propensione e capacità a tutelare i miei diritti ed in base alla fondatezza
e gravità dei fatti in oggetto sono state presentate delle interrogazioni
parlamentari da parte di deputati e senatori di tutti gli schieramenti. Inoltre
sono stato costretto a presentare un ricorso alla Corte Europea dei Diritti
Umani, per il fatto che in Italia non ho trovato un ufficio giudiziario che
svolgesse le doverose indagini, con disinteresse e senza preconcetti e
pregiudizi.
Per gli effetti,
dal 2004, dopo la riforma, i miei compiti itineranti sono stati valutati presso
le commissioni di vari distretti italiani di Corte d’Appello: da Venezia a
Torino, da Palermo a Salerno, Da Catanzaro a Reggio Calabria, ecc.. Da sempre e
stranamente mi è stato dato un voto simile a tutti gli elaborati. A decine di
prove scritte (3 per 14 anni = 42) riferenti al parere penale o civile o
all’atto giudiziario l’identico voto dato è stato “25” senza alcuna motivazione.
Con tali giudizi strani e immotivati mi si nega l’idoneità alla prova orale e
l’impedimento all’abilitazione.
Potrei farmene una
ragione per essere causa del mio male, se non fosse altro che vi sia una
evidente regia dietro alle mie disgrazie:
di fatto i miei
compiti non sono stati mai corretti. Affermazione desunta dalla mancanza di
correzioni e dalla mancanza di tempo per farlo;
l’avv. Antonio De
Giorgi, da me è stato denunciato quando prima della riforma ha ricoperto per 3
anni l’incarico di presidente di Commissione di esame di Lecce, a cui ho
partecipato, e contestualmente di presidente del Consiglio dell’Ordine degli
Avvocati di Lecce. Dopo la riforma del 2003, l’avv. De Giorgi, estromesso dagli
incarichi concorsuali, è stato nominato membro del Consiglio Nazionale Forense
su incarico istituzionale del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lecce.
All’uopo il De Giorgi è stato nominato addirittura nella sessione di esame 2010
presidente di commissione centrale di esame. Nomina vietata per incompatibilità
prevista dalla riforma: i consiglieri dell’ordine locale non possono far parte
delle commissioni d’esame. E il De Giorgi non è altro che l’espressione a Roma
(Longa Manu) del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Lecce. Inoltre il De
Giorgi quando non è presidente nazionale della sessione d’esame forense è
nominato ispettore nazionale. In ogni caso l’avv. De Giorgi per gli incarichi
istituzionali ricoperti ha rapporti con tutti i membri delle commissioni locali,
nominati dal C.N.F. in sede di commissione del Ministero della Giustizia, di cui
egli fa parte;
Cosa più grave è
che il ricorso giudiziario amministrativo, da me presentato nel 2011 avverso il
giudizio negativo della sessione 2010 dato dalla commissione d’esame di Palermo
ai miei compiti, (metodo di correzione contestato in vari punti in fatto ed in
diritto con sostegno giurisprudenziale), è stato rigettato dal Tar di Lecce.
Strano, però che per molto meno lo stesso Tar di Lecce ha accolto ricorsi
simili, entrando addirittura nel merito, valutando in modo positivo esso stesso
l’elaborato. E’ palese la discriminazione attuata in riferimento ai ricorsi
sottoposti allo stesso Tar per la stessa sessione e negli stessi giorni.
Da quanto detto si
evince, oltre che essere palese la fondatezza delle accuse, si ravvisa anche la
extraterritorialità della questione sollevata, in virtù delle tante commissioni
coinvolte, compresa quella centrale.
E COMUNQUE SE CIO’
AVVIENE PER ME, NULLA IMPEDISCE CHE CIO’ POSSA SUCCEDERE AD ALTRI.
Ciò rende la
presente denuncia non prettamente di competenza territoriale, ma di interesse
nazionale.
PER
QUANTO SU DETTO SI CHIEDE ALLA S.V.
La
certa condanna per violazione degli
articoli di legge che si riterrà di applicare, per reati consumati, continuati,
tentati, da soli o in concorso con terzi, o di altre norme penali, con le
aggravanti di rito, e attivazione d’ufficio presso gli organi competenti per la
violazione di norme amministrative.
DETTO
QUESTO,
il
denunciante con tale atto presenta denuncia e denuncia-querela penale ed esposto
amministrativo contro i soggetti identificati, da soli, o in correità con
persone non conosciute, per gli atti e i fatti e per i reati applicabili,
scaturenti da una doverosa indagine, con istanza di punizione, con riserva di
costituzione di parte civile nell’instaurando procedimento penale. Inoltre si
chiede, come persona offesa dal reato, che gli venga comunicato ogni atto di cui
ha diritto di essere avvisato e in particolare modo quanto previsto dagli artt.
406 comma 3 c.p.p. (proroga del termine delle indagini preliminari) e 408 comma
2 c.p.p. (richiesta di archiviazione). Si oppone formale opposizione, ex art.459
c.p.p., alla richiesta dell’emissione del decreto penale di condanna.
AI
FINI PROBATORI
Tenuto conto che
per anni sono stato svenato al fine di produrre in copia migliaia di documenti,
senza conseguire risultati, per la presente denuncia si indica esclusivamente
come fonte di prova il dossier pubblicato alla pagina web
ingiustizia.info/dossier%20malagiustizia.htm,
che tra i suoi allegati raccoglie e contiene tutti i documenti pubblici
estrapolati da fonti ufficiali o atti depositati presso uffici pubblici.
Documenti non in possesso del denunciante, ma detenuti da enti pubblici e
comprovanti nei fatti le mie affermazioni d’accusa. Si va dalla nomina del De
Giorgi ai compiti non corretti, dal ricorso al TAR alle sue sentenze
contraddittorie e persecutorie, dalle interrogazioni parlamentari al ricorso
alla Corte Europea dei Diritti Umani. In questo modo il magistrato competente
evita di delegare le indagini in loco, salvo che solo per identificare il
presente denunciate, attingendo direttamente gli atti necessari. A causa
dell’indigenza procurata dalla mancata abilitazione, si è oggettivamente
impossibilitati alla trasferta per rendere dichiarazioni presso l’ufficio
giudiziario procedente.
Avetrana (Ta) lì 6
giugno 2012
Si allega documento
di riconoscimento
Denuncia archiviata
dalla Procura di Potenza con il n. PZ 2862/12 RGNR
In riferimento al comportamento delle Commissioni di Esame di Avvocato e del Tar
di Lecce si sono presentate delle interrogazioni parlamentari.
Atto Camera. Interrogazione a risposta scritta 4-07953 presentata da AUGUSTO DI
STANISLAO mercoledì 7 luglio 2010, seduta n.349
DI STANISLAO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in relazione all'esame di avvocato, la legge n. 241 del 1990 e il Ministero
della giustizia dettano le regole in base alle quali si deve svolgere la
correzione, per dare i giudizi;
esse attengono alla rappresentanza delle categorie degli avvocati, magistrati e
professori universitari, oltre alla sintassi, grammatica, ortografia e, cosa,
fondamentale, ai princìpi di diritto del parere dato. Cosa fondamentale, la
legge regola la trasparenza dei giudizi e la Costituzione garantisce legalità,
imparzialità ed efficienza;
le commissioni da sempre pervengono ad una percentuale di ammissibilità, che
contrasta con un concorso a numero aperto: 30 per cento al nord, 60 per cento al
sud;
le commissioni sono mancanti, spesso, di un componente necessario;
risulta evidente come i tre compiti possano risultare non corretti, ma
falsamente dichiarati tali, perché sono immacolati e perché non vi è stato tempo
sufficiente a leggerli (3/5 minuti per elaborato: per aprire la busta con il
nome e la busta con l'elaborato, lettura del parere di 4/6 pagine, correzione
degli errori, consultazione dei commissari per l'attinenza ai princìpi di
diritto, verbalizzazione, voto e motivazione);
di fatto, i voti dei tre elaborati sono identici e le motivazioni sono mancanti
o infondate. Su tutti questi notori rilievi vi è stata l'interrogazione
presentata dal deputato Giorgia Meloni (n. 4-01638, mercoledì 15 novembre 2006
nella seduta n. 072), oltre a quella n. 4-01126 presentata da Giampaolo
Fogliardi mercoledì 24 settembre 2008, seduta n. 054. Grave è anche il ritardo
con cui sono consegnate dalle commissioni di esame le copie degli elaborati, con
il risultato di impedire la presentazione in termini dei ricorsi al Tar, in
quanto la maggior parte di questi ricorsi sono accolti dalla giustizia
amministrativa. Solo, però, se presentati in modo ordinario, in quanto le
commissioni impediscono l'accesso al beneficio del gratuito patrocinio -:
quali iniziative intenda assumere per garantire il corretto svolgimento degli
esami per l'abilitazione alla professione di avvocato. (4-07953)
Atto Camera. Interrogazione a risposta scritta 4-01126 presentata da GIAMPAOLO
FOGLIARDI mercoledì 24 settembre 2008, seduta n.054
FOGLIARDI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il superamento dell'esame di Stato per l'esercizio dell'attività di Avvocato,
sta diventando per migliaia di giovani cittadini italiani, un vero e proprio
incubo, motivo di grandi e gravi preoccupazioni, a seguito delle difficoltà e
problematiche, che lo stesso rappresenta;
non è posto in discussione il contenuto della prova (tre temi scritti oltre una
prova orale) quanto le modalità e gli aspetti conseguenti che ad essa si
accompagnano; in particolare:
a) il periodo di tempo che separa lo svolgimento del tema scritto (dicembre)
dalla conoscenza del relativo risultato, che avviene molto spesso dopo quasi un
anno e il candidato nell'incertezza della risposta deve sottoporsi nuovamente ad
una nuova prova;
b) il meccanismo delle «commissioni itineranti» che comporta lo svolgimento
dell'esame scritto in una città e la correzione in altra città, da parte di
altra commissione, non ha certamente risolto il problema delle
«raccomandazioni», anzi ha creato conflitti e contrapposizioni tra le diverse
città;
c) non è dato comprendere come mai molti temi, non ritenuti idonei, una volta
richiesti per la conoscenza, sono stati trovati immuni da qualsiasi commento e/o
correzione, tanto da presumerne la mancata correzione;
d) è ritenuto ingiusto che la bocciatura all'orale comporti l'annullamento
completo dell'esame e si debba ritornare a sostenere tre scritti di notevole e
riconosciuta difficoltà;
e) è pressoché impossibile per il candidato ricorrere nella competente sede
legale contro la commissione qualora ritenga la sua prova idonea, perché di
fatto come sopra specificato la risposta avviene spesso dopo la data di
convocazione di una nuova sessione d'esame e dulcis in fundo qualora
l'esaminante dovesse perdere il ricorso, oltre al danno la beffa, dovrebbe
pagarne tutte le relative spese;
per molti di questi giovani, quasi la totalità, risulta difficile e moralmente
inconcepibile, trasferire la propria residenza in sedi ritenute «abbordabili», e
per molti di questi ragazzi come in premessa specificato non passerà molto tempo
prima che inizino a citare in giudizio lo Stato per danno biologico, morale ed
esistenziale conseguente allo stress che comporta l'esame di avvocato,
inefficiente, iniquo ed ingiusto -:
come intenda il Ministro interrogato affrontare detta situazione e quali
proposte concrete presentare a fronte di una problematica forse molto più grave
ed urgente di quelle affrontate in tema di giustizia dal Governo in questo
inizio di Legislatura. (4-01126)
In riferimento alla estromissione al diritto
di accedere al 5X1000 attuata nei confronti del Dr Antonio Giangrande, anche in
qualità di Presidente dell'Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS si sono
presentate delle interrogazioni parlamentari.
Antefatto. Il trucco del 5x1000: beneficio,
ma non per tutti. Con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del
23 aprile 2010 si è previsto per il 2010 la possibilità per i contribuenti di
destinare una quota pari al 5 per mille dell'Irpef a finalità di interesse
sociale. Associazioni ed enti pronti a rimpinguare le loro misere casse con
l'adesione di cittadini seguaci delle loro attività. L’Agenzia delle Entrate ha
imposto la presentazione delle richieste di ammissione al beneficio entro il 7
maggio 2010 e solo in forma telematica, nei modi e nelle forme previste
dall’ufficio. Per farlo vi è l’obbligo dell’abilitazione ai servizi telematici.
Dal 23 aprile al 7 maggio ci sono 14 giorni, di cui solo 10 lavorativi. In
questi 10 giorni, molti richiedenti, tra cui il dr Antonio Giangrande, hanno
provato ad inoltrare la richiesta, ma il sistema non ha riconosciuto la password
e il pincode dell’anno precedente. I contatti telefonici con l’agenzia (a
pagamento) sono stati impediti dalla lunga lista d’attesa, (fino a 70
contribuenti). La richiesta del nuovo pincode e password è rimasta disattesa nei
termini, se non riceverla dopo 12 giorni dall’istanza. Le comunicazioni
dell’Agenzia delle Entrate non hanno alcuna data, per cui inutile contestare il
ritardo, non avendo prova, né te la fornisce il servizio postale, che
interpellato sull’apposizione della data di ricezione, ti dice: “noi non
mettiamo alcuna data, altrimenti i ritardi dell’Agenzia delle Entrate ricadono
su di noi”. In questo modo gli enti pubblici fanno ricadere le colpe sui
contribuenti, che non possono provare il disservizio. Comunque, se pur in palese
ritardo, la richiesta del beneficio non si può inoltrare, in quanto avere il
pincode e la password non basta. Dopo tutto il casino, nel momento in cui attivi
i servizi telematici, ti comunicano sul portale web dell’Agenzia che bisogna
rivolgersi ad un incaricato terzo abilitato (a pagamento). Cosa che a saperla,
si sarebbe potuta fare dall’inizio, senza aver percorso tutta la trafila
burocratica inutile. Risultato: in tempi ristretti e per i disservizi
dell’Agenzia delle Entrate non tutti hanno potuto accedere al beneficio. Ed è
solo una semplice istanza. Il problema è che la prassi si ripete ogni anno e
nessuno vi pone rimedio, mentre i contribuenti ignari pensano di aver donato una
quota di tasse alla loro associazione, mentre i contributi, in realtà, vanno ad
altri sodalizi. Nonostante un'interrogazione Parlamentare nessun ristoro vi è
stato per il diritto leso, ma solo una risposta di circostanza ed
autoassoluzione dell’interpellato.
ATTO CAMERA.
INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/07726.
Dati di presentazione dell'atto.
Legislatura: 16. Seduta di annuncio: 342 del 23/06/2010
Firmatari. Primo firmatario: FOGLIARDI
GIAMPAOLO. Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO. Data firma: 23/06/2010
Destinatari. Ministero destinatario:
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO
DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE delegato in data 24/06/2010
Stato iter: CONCLUSO il 21/05/2012.
Partecipanti allo svolgimento/discussione
RISPOSTA GOVERNO 21/05/2012 CERIANI VIERI,
SOTTOSEGRETARIO DI STATO ECONOMIA E FINANZE
Fasi iter: SOLLECITO IL 14/10/2011. RISPOSTA
PUBBLICATA IL 21/05/2012. CONCLUSO IL 21/05/2012
Atto Camera.
Interrogazione a risposta scritta 4-07726 presentata da GIAMPAOLO
FOGLIARDI mercoledì 23 giugno 2010, seduta n.342
FOGLIARDI. - Al Ministro dell'economia e
delle finanze. - Per sapere - premesso che:
con il decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri del 23 aprile 2010 si è previsto per il 2010 la possibilità per i
contribuenti di destinare una quota pari al 5 per mille dell'Irpef a finalità di
interesse sociale;
l'Agenzia delle entrate ha imposto la
presentazione delle richieste di ammissione al beneficio entro il 7 maggio 2010
e solo in forma telematica, nei modi e nelle forme previste dall'ufficio e, per
farlo, vi è l'obbligo dell'abilitazione ai servizi telematici;
dal 23 aprile al 7 maggio 2010 ci sono stati
14 giorni, di cui solo 10 lavorativi e in questi 10 giorni molti richiedenti
hanno provato ad inoltrare la richiesta, ma il sistema non ha riconosciuto la
password e il pincode dell'anno precedente e la richiesta del nuovo pincode e
password è rimasta disattesa;
i contatti telefonici con l'agenzia (a
pagamento) sono stati impediti dalla lunga lista d'attesa, (fino a 70
contribuenti), provocando così, a causa dei tempi ristretti e dei disservizi
dell'Agenzia delle entrate, l'impossibilità da parte di tutti di poter accedere
al beneficio -:
quali siano le ragioni di tempi tanto
ristretti per la presentazione dell'istanza per l'iscrizione nella lista dei
beneficiari del 5 per 1000 e di tanti oneri burocratici e tecnologici per una
semplice domanda;
per quale motivo non si istituisce un numero
verde, funzionante, affinché il contribuente possa essere aiutato e tutelato
contro i disservizi dell'Ente. (4-07726)
Atto Camera. Risposta scritta pubblicata
lunedì 21 maggio 2012 nell'allegato B della seduta n. 635. All'Interrogazione
4-07726 presentata da GIAMPAOLO FOGLIARDI
Risposta. - L'Agenzia delle entrate in merito
al beneficio del 5 per mille relativo all'anno 2010 ha fatto presente che,
l'articolo 1 decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 aprile 2010 ha
previsto, anche per l'esercizio finanziario 2010, la possibilità per i
contribuenti di devolvere il cinque per mille della propria Irpef per il
finanziamento in determinati settori. I settori individuati sono cinque e, come
avvenuto per gli anni precedenti, l'Agenzia delle entrate ha curato la gestione
dell'elenco del volontariato di cui alla lettera a) dell'articolo 1, comma 1,
del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché la gestione
dell'elenco delle associazioni sportive dilettantistiche di cui alla lettera e)
dell'articolo 1, comma 1, del medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri. L'iscrizione nell'elenco del volontariato, come per i precedenti
esercizi finanziari, è stata prevista esclusivamente in via telematica e il
termine per la trasmissione era stato normativamente fissato al 7 maggio 2010.
Di tale circostanza e delle altre
disposizioni attuative del 5 per mille relativo al 2010 recate dal predetto
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è stata data evidenza sul sito
istituzionale della citata Agenzia agenziaentrate.gov.it, la quale ha altresì
provveduto ad informare tempestivamente i potenziali beneficiari di questi e di
altri adempimenti disposti dal predetto decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri attraverso il comunicato stampa del 23 aprile 2010 ripreso da numerosi
organi di informazione. Il sistema di acquisizione delle domande telematiche -
peraltro adottato sin dal 2006, anno di istituzione e tuttora immutato nella
procedura - prevede il rilascio all'interessato, sempre con modalità
telematiche, di una ricevuta attestante l'avvenuto invio. Ovviamente, nel caso
di invio andato a buon fine, la ricevuta segnala tale circostanza, così come, in
caso di invio oltre il termine previsto dalla norma, la ricevuta reca la
comunicazione dello scarto della domanda, con la precisazione che la medesima è
stata respinta «perché pervenuta al di fuori dei termini previsti». La
procedura, infatti, è concepita in modo che «il canale» venga bloccato alla
scadenza del termine disposto: nel caso del 5 per mille è stato inserito un
blocco, conformemente alla normativa vigente, alla data del termine previsto per
la presentazione delle istanze. Per quanto riguarda l'asserita onerosità di
utilizzo riferita alla nuova tecnologia utilizzata dal programma scaricabile dal
sito e dalla richiesta del nuovo codice pin e password per la trasmissione
dell'istanza, si osserva che a partire dall'anno 2010 i prodotti di compilazione
resi disponibili dall'Agenzia delle entrate, compreso quello relativo alla
domanda del 5 per mille, hanno introdotto una semplificazione relativamente alle
modalità di utilizzo da parte dell'utente. La vecchia procedura prevedeva,
infatti, il download del pacchetto di installazione, l'installazione del
prodotto e la verifica periodica sul sito della presenza di nuove versioni e, in
tale caso, un nuovo download del pacchetto ed una nuova installazione del
prodotto. La nuova tecnologia, invece, consente di attivare le applicazioni in
maniera semplice e con un solo clic, avendo la certezza di utilizzare sempre la
versione più aggiornata del prodotto, evitando complesse procedure di
installazione o aggiornamento. Relativamente alla segnalata richiesta di un
nuovo codice pin e alla relativa password, l'Agenzia delle entrate rappresenta
che in alcuni casi potrebbe essere stata determinata dalla disciplina recata dal
provvedimento del direttore dell'Agenzia stessa del 10 giugno 2009, emanato in
attuazione delle prescrizioni adottate dal Garante per la protezione dei dati
personali con provvedimento del 18 settembre 2008. Infatti, dal 2 novembre 2009,
gli enti che non avevano nominato i gestori incaricati delle trasmissione
telematica entro il 31 ottobre 2009, sono stati disabilitati d'ufficio. Il
provvedimento del 10 giugno 2009 ha previsto la revisione delle modalità di
abilitazione e di accesso ai servizi telematici al fine di assicurare i migliori
standard in materia di rafforzamento della password policy relativa alle utenze,
stabilendo, fra l'altro, la scadenza periodica delle stesse. Di tale circostanza
ne è stata data ampia comunicazione sul sito telematici.agenziaentrate.gov.it
con un avviso agli interessati sin dal 26 ottobre 2009. In particolare, qualora
gli utenti non avessero a suo tempo nominato i gestori incaricati entro il
termine fissato, sarebbero stati disabilitati d'ufficio a decorrere dal 2
novembre 2011. In seguito però, se si fossero trovati nella necessità di
utilizzare il servizio, in ottemperanza alle prescrizioni del garante, avrebbero
dovuto richiedere l'abilitazione e, quindi, nominare il gestore incaricato ad
operare per conto dell'ente. Giova in proposito porre in risalto che nei
comunicati stampa sopra citati e nella partizione relativa al 5 per mille del
sito web dell'Agenzia delle entrate, proprio per prevenire qualsiasi tipo di
problematica, si è data evidenza anche della modalità alternativa di
trasmissione da parte dei rappresentanti degli enti di cui trattasi, in quanto
per l'invio telematico della domanda era possibile ricorrere ad un intermediario
abilitato. Detta modalità alternativa teneva conto anche della circostanza che
non tutti i contribuenti sono abilitati ai servizi telematici per la
trasmissione di atti. In ordine all'auspicata attivazione di un numero verde per
l'assistenza telefonica, l'Agenzia fa presente che per il canale Entratel, è già
esistente il servizio telefonico dedicato al n. 800.299.940, mentre gli utenti
di Fisconline, possono ricevere assistenza componendo il n. 848.800.444. Il
Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Vieri Ceriani.
In riferimento alla censura attuata nei confronti del Dr Antonio Giangrande,
anche in qualità di Presidente dell'Associazione Contro Tutte le Mafie si
sono presentate delle interrogazioni parlamentari.
Legislatura 15 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-03178
Attiva riferimenti normativi Pubblicato il 6 dicembre 2007 Seduta n. 263
RUSSO SPENA - Al Ministro delle comunicazioni. - Premesso che:
il 20 giugno 2007 la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la
vigilanza dei servizi radiotelevisivi accoglieva una domanda di accesso al
palinsesto RAI da parte dell'associazione "Contro tutte le mafie", associazione
tra l'altro riconosciuta dal Ministero dell'interno;
successivamente, il 17 ottobre 2007, la RAI revocava l'autorizzazione ad
insaputa dell'associazione;
l'8 novembre la RAI inviava una squadra e un regista per le riprese del servizio
sull'associazione, facendo pertanto presumere il superamento di ogni perplessità
e l'accettazione della messa in onda del servizio;
considerato che:
il 15 novembre l'associazione chiedeva di conoscere la data di messa in onda e
riceveva risposta certa indicante un servizio della durata di dieci minuti nella
trasmissione di RAI1 del 23 novembre 2007 alle ore 10.40;
di fatto, il 23 novembre la trasmissione veniva cancellata ed il palinsesto di
RAI1 stravolto;
immediatamente l'associazione si attivava per chiedere la motivazione
dell'oscuramento del servizio telefonando alla redazione del programma di RAI1,
che però negava risposta e annunciava una futura lettera di motivazione (in
palese violazione della legge 241/1990 che prevede la risposta immediata in
seguito a domanda d'accesso ad un servizio);
solo il 3 dicembre 2007 l'associazione riceveva uno scarno comunicato in cui si
rilevava che l'autorizzazione era stata rilasciata il 20 giugno e poi revocata
il 17 ottobre in seguito a proposta della RAI che non reputava degna
l'associazione, adducendo addirittura perplessità circa la sua organizzazione,
si chiede di sapere:
per quale motivo si sia intervenuto a censurare una trasmissione programmata,
nonostante vi sia stato parere favorevole della Commissione di vigilanza alla
divulgazione;
perché la redazione abbia inviato una motivazione "postuma" ed evitato di
rispondere alle domande poste nella stessa data di mancata messa in onda.
In riferimento alle ritorsioni attuate nei confronti del Dr Antonio Giangrande,
anche in qualità di Presidente dell'Associazione Contro Tutte le Mafie si
sono presentate delle interrogazioni parlamentari. Pubblicato il 10 aprile
2003
Legislatura 14 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-04363Attiva riferimenti
normativi Atto n. 4-04363
Seduta n. 381
CURTO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro della
giustizia. - Premesso:
che allo scrivente è pervenuta copia di un esposto inviato al Presidente della
Repubblica, al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della
giustizia, al Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, al
Presidente del Consiglio Nazionale Forense, al Procuratore Generale della
Repubblica c/o la Corte d’Appello di Taranto, al Procuratore della Repubblica
c/o il Tribunale di Potenza, al Procuratore della Repubblica c/o il Tribunale di
Taranto e al Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto;
che tale esposto, penale ed amministrativo, sembra sia l’ultimo, in ordine di
tempo, di una serie di denuncie ed esposti tendenti a smantellare illegalità di
vario tipo che colpiscono i cittadini più deboli e più poveri ad opera di chi
rappresenta la giustizia nel nostro Paese, in particolare giudici ed avvocati;
che, per la delicatezza della questione, e a causa della mancanza di un
qualsiasi riscontro a questo esposto e ad altri precedenti atti congeneri,
ritengo opportuno riportare di seguito il testo del citato esposto:
“Oggetto: omissioni d’atti d’ufficio ed abusi d’ufficio presso gli Uffici
Giudiziari di Taranto.
In campo penale si viola il diritto di difesa della persona offesa dal reato;
Al Registro Generale non si ritrovano iscritte notizie di reato, di cui si è
presentata regolare denuncia o querela o esposti firmati, ex art.335, c.p.p. ed
ex art.110 bis att. c.p.p., né si forniscono notizie circa le notizie di reato
iscritte.
Non si comunica, quando richiesto, ex artt.406, 408 c.p.p., la proroga delle
indagini e la richiesta di archiviazione al GIP, impedendo l’opposizione alla
stessa.
Non si svolgono indagini, ex art.50 c.p.p., nei confronti di persone influenti,
e Pubblici Ufficiali che li coprono, per notizie di reato di abusivismo edilizio
e violazione di norme ambientali, di sfruttamento del lavoro giovanile e nero ed
emissione di buste paghe false, di concorsi truccati per diventare avvocato e di
evasione fiscale e contributiva sui praticanti avvocati, di aggressioni ad
avvocati per impedirgli la presenza in udienza, di abbandono di incapaci, di
riciclaggio di assegni nominativi rubati, di emissione di deleghe false, di
truffe Enel, ecc…
Si eseguono sequestri innominati, senza notifica di copia all’interessato. Al
soggetto interessato, quando è ritenuto incapace, non si nomina un tutore,
impedendo la nomina di un difensore di fiducia, né si nomina un difensore
d’ufficio, affinchè il soggetto possa opporre richiesta di riesame, ex artt.257,
322 c.p.p., ed esercitare tutti gli altri diritti processuali, ovvero, se
abbandonato fin anche dalle istituzioni, possa esercitare ogni facoltà a favore
dello stesso, siano di cura, assistenza, mantenimento, ecc…
In campo penale si viola il diritto di difesa della persona sottoposta ad
indagine;
Si chiedono sommarie informazioni alla persona nei cui confronti si svolgono
indagini, senza che questa sappia di essere indagata e di conseguenza senza la
presenza necessaria del difensore, ex artt.350, 369, 369 bis c.p.p.
Ex artt.358, 362 c.p.p. non si svolgono accertamenti su fatti e circostanze a
favore dell’indagato, né si assumono informazioni utili alle indagini, omettendo
l’interrogatorio dello stesso.
Non si procede nei confronti di soggetti rei dello stesso reato.
Si ritrova il fascicolo degli atti d’indagine compiuti dal P.M. e delle
dichiarazioni rese dagli indagati, coperti dal segreto d’ufficio, ex art.329
c.p.p., alla pubblica conoscenza degli indagati e degli estranei in procedimento
civile di interdizione. Procedimento civile d’interdizione che dura anni e senza
la presenza dell’interdicenda. Quando questa è presente, la si sente alla
presenza di decine di persone divertite.
Si obbliga la persona sottoposta ad indagine ad essere il difensore di fiducia e
tutore convenzionale del soggetto offeso dallo stesso reato, in quanto non si
nomina un difensore d’ufficio, né un tutore, affinchè la presunta incapace possa
esercitare i suoi diritti processuali e l’indagato non possa reiterare le azioni
ritenute lesive.
Volutamente si impedisce alla persona sottoposta ad indagine di chiedere il
gratuito patrocinio e quindi nominare un difensore di fiducia capace, pagato
dallo Stato, perché si comunica il limite di ammissione di € 5.815,30 (lire
11.260.000) quale reddito del nucleo familiare, anziché € 9.296,22 (lire 18
milioni), ex art.3, L.134/01, obbligandolo ad avere un difensore d’ufficio, che
non conosce, e che, forse, è meno capace.
Volutamente si impedisce alla persona sottoposta ad indagine di chiedere il
gratuito patrocinio e quindi nominare un difensore di fiducia capace, pagato
dallo Stato, perché si ignora ogni istanza di concessione del gratuito
patrocinio, presentata ex art.2 L. 217/90, obbligandolo ad avere un difensore
d’ufficio, che non conosce, e che, forse, è meno capace.
In campo civile si violano i diritti di difesa delle parti private;
Le vendite dei pignoramenti di beni mobili non si eseguono per mancanza di
organi preposti alla vendita, (Istituto Vendite Giudiziarie, Commissionari),
ovvero, quando ci sono, si eseguono al di sotto del 10% del valore pignorato,
obbligando l’abbandono del procedimento di esecuzione per antieconomicità,
perdendo il conto capitale e le spese di giudizio.
Si omette di sollevare il problema dei tempi biblici dei procedimenti civili
ordinari e speciali, con meri rinvii delle udienze effettuati per decenni con la
complicità dei Giudici.
Con la presente si chiede alle autorità interpellate di intervenire, adottando i
provvedimenti necessari, con preghiera di riscontro al sottoscritto, pronto a
dare prova per quanto su esposto. In caso contrario si chiede di procedere
obbligatoriamente nei confronti del sottoscritto, attivando procedimento penale
di calunnia, se bugiardo, ovvero procedimento civile d’interdizione, se pazzo.”,
l’interrogante chiede di conoscere:
se si ritenga opportuno verificare quanto riportato dall’esposto in questione;
se si intenda, e in quale modo, procedere qualora gli argomenti, o alcuni di
essi, rispondessero a verità.
"PADRI DELLA
PATRIA" VITTIME E COMPLICI DELLA
NOSTRA ROVINA.
Lettera da Crispi a
Garibaldi - Caprera. Torino, 3 febbraio 1863.
Mio Generale!
Giunto da Palermo, dove stetti poco men che un
mese, credo mio dovere dirvi qualche cosa della povera isola che voi chiamaste a
libertà e che i vostri successori ricacciarono in una servitù peggiore di prima.
Dal nuovo regime quella popolazione nulla ha
ottenuto di che potesse esser lieta. Nissuna giustizia, nissuna sicurezza
personale, l'ipocrisia della libertà sotto un governo, il quale non ha
d'italiano che appena il nome. Ho visitate le carceri e le ho trovate piene
zeppe d'individui i quali ignorano il motivo per il quale sono prigionieri. Che
dirvi del loro trattamento? Dormono sul pavimento, senza lume la notte, sudici,
nutriti pessimamente, privi d'ogni conforto morale, senza una voce che li
consigli e li educhi onde fosser rilevati dalla colpa.
La popolazione in massa detesta il governo
d'Italia, che al paragone trova più tristo del Borbonico. Grande fortuna che non
siamo travolti in quell'odio noi, che fummo causa prima del mutato regime! Essa
ritien voi martire, noi tutti vittime della tirannide la quale viene da Torino e
quindi ci fa grazia della involontaria colpa. Se i consiglieri della Corona non
mutano regime, la Sicilia andrà incontro ad una catastrofe.
E' difficile misurarne le conseguenze, ma esse
potrebbero essere fatali alla patria nostra. L'opera nostra dovrebbe mirare ad
evitare cotesta catastrofe, affinchè non si sfasci il nucleo delle provincie
unite che al presente formano il regno di Italia. Con le forze di questo regno e
coi mezzi ch'esso ci offre, noi potremmo compiere la redenzione della penisola e
occupar Roma. Sciolto cotesto nucleo, è rimandata ad un lontano avvenire la
costituzione d'Italia. Della vostra salute,
alla quale tutti c'interessiamo, ho buone notizie, che spero sempre migliori. Di
Palermo tutti vi salutano come vi amano.
Abbiatevi i complimenti di mia moglie e voi continuatemi il vostro affetto e
credetemi. Vostro ora e sempre. F. Crispi.
La
verità è rivoluzionaria. Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono
incommensurabili. Non credo di aver fatto del male. Nonostante ciò, non rifarei
oggi la via dell'Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate,
essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio. Giuseppe
Garibaldi (da una lettera scritta ad Adelaide Cairoli, 1868)
Cronologia moderna delle azioni massoniche e mafiose.
27
marzo 1848 - Nasce la Repubblica Siciliana. La Sicilia ritorna ad essere
indipendente, Ruggero Settimo è capo del governo, ritorna a sventolare l'antica
bandiera siciliana. Gli inglesi hanno numerosi interessi nell'Isola e
consigliano al Piemonte di annettersi la Sicilia. I Savoia preparano una
spedizione da affidare a Garibaldi. Cavour si oppone perchè considera
quest'ultimo un avventuriero senza scrupoli (ricordano impietositi i biografi
che Garibaldi ladro di cavalli, nell' America del sud, venne arrestato e gli
venne tagliato l'orecchio destro. Sarà, suo malgrado, capellone a vita per
nascondere la mutilazione) [Secondo altre fonti l’orecchio gli sarebbe stato
staccato con un morso da una ragazza che aveva cercato di violentare all’epoca
della sua carriera di pirata, stupratore, assassino in America Latina, NdT]. Il
nome di Garibaldi, viene abbinato altresì al traffico di schiavi dall'Africa
all'America. Rifornito di denaro inglese da i Savoia, Garibaldi parte per la
Sicilia.
11
maggio 1860 - Con la protezione delle navi inglesi Intrepid e H.M.S. Argus,
Garibaldi sbarca a Marsala. Scrive il memorialista garibaldino Giuseppe Bandi: I
mille vengono accolti dai marsalesi come cani in chiesa! La prima azione mafiosa
è contro la cassa comunale di Marsala. Il tesoriere dei mille, Ippolito Nievo
lamenta che si trovarono pochi spiccioli di rame. I siciliani allora erano meno
fessi! E' interessante la nota di Garibaldi sull'arruolamento: "Francesco Crispi
arruola chiunque: ladri, assassini, e criminali di ogni sorta".
15
maggio 1860 - Battaglia di Calatafimi. Passata alla storia come una grande
battaglia, fu invece una modesta scaramuccia, si contarono 127 morti e 111
furono messi fuori combattimento. I Borbone con minor perdite disertano il
campo. Con un esercito di 25.000 uomini e notevole artiglieria, i Borbone
inviano contro Garibaldi soltanto 2.500 uomini. E' degno di nota che il generale
borbonico Landi, fu comprato dagli inglesi con titoli di credito falsi e che
l'esercito borbonico ebbe l'ordine di non combattere. Le vittorie di Garibaldi
sono tutte una montatura.
27
maggio 1860 - Garibaldi entra a Palermo da vincitore!....Ateo, massone,
mangiapreti, celebra con fasto la festa di santa Rosalia.
30
maggio 1860 - Garibaldi dà carta bianca alle bande garibaldine; i villaggi sono
saccheggiati ed incendiati; i garibaldini uccidevano anche per un grappolo
d'uva. Nino Bixio uccide un contadino reo di aver preso le scarpe ad un
cadavere. Per incutere timore, le bande garibaldine, torturano e fucilano gli
eroici siciliani.
31
maggio 1860 - Il popolo catanese scaccia per sempre i Borbone. In
quell'occasione brillò, per un atto di impavido coraggio, la siciliana
Giuseppina Bolognani di Barcellona Pozzo di Gotto (ME). Issò sopra un carro un
cannone strappato ai borbonici e attese la carica avversaria; al momento
opportuno, l'avversario a due passi, diede fuoco alle polveri; il nemico,
decimato, si diede alla fuga disordinata. Si guadagnò il soprannome Peppa 'a
cannunera (Peppa la cannoniera) e la medaglia di bronzo al valor militare.
2
giugno 1860 - Con un decreto, Garibaldi assegna le terre demaniali ai contadini;
molti abboccano alla promessa. Intanto nell'Isola divampava impetuosa la
rivoluzione che vedeva ancora una volta il Popolo Siciliano vittorioso. Fu lo
stesso popolo che unito e compatto costrinse i borbonici alla ritirata verso
Milazzo.
17
luglio 1860 - Battaglia di Milazzo. Il governo piemontese invia il Generale
Medici con 21.000 uomini bene armati a bordo di 34 navi. La montatura
garibaldina ha fine. I contadini siciliani si ribellano, vogliono la terra
promessagli. Garibaldi, rivelandosi servo degli inglesi e degli agrari, invia
loro Nino Bixio.
10
agosto 1860 - Da un bordello di Corleone, Nino Bixio ordina il massacro di
stampo mafioso di Bronte. Vengono fucilati l'avvocato Nicolò Lombardo e tre
contadini, tra i quali un minorato! L'Italia mostra il suo vero volto.
21
ottobre 1860 - Plebiscito di annessione della Sicilia al Piemonte. I voti si
depositano in due urne: una per il "Sì" e l'altra per il "No". Intimorendo, come
abitudine mafiosa, ruffiani, sbirri e garibaldini controllano come si vota. Su
una popolazione di 2.400.000 abitanti, votarono solo 432.720 cittadini (il 18%).
Si ebbero 432.053 "Sì" e 667 "No". Giuseppe Mazzini e Massimo D'Azeglio furono
disgustati dalla modalità del plebiscito. Lo stesso ministro Eliot, ambasciatore
inglese a Napoli, dovette scrivere testualmente nel rapporto al suo Governo che:
"Moltissimi vogliono l'autonomia, nessuno l'annessione; ma i pochi che votano
sono costretti a votare per questa". E un altro ministro inglese, Lord John
Russel, mandò un dispaccio a Londra, cosí concepito: "I voti del suffragio in
questi regni non hanno il minimo valore".
1861
- L'Italia impone enormi tasse e l'obbligo del servizio militare, ma per chi ha
soldi e paga, niente soldato. Intanto i militari italiani, da mafiosi, compiono
atrocità e massacri in tutta l'Isola. Il sarto Antonio Cappello, sordomuto,
viene torturato a morte perchè ritenuto un simulatore, il suo aguzzino, il
colonnello medico Restelli, riceverà la croce dei "S.S. Maurizio e
Lazzaro". Napoleone III scrive a Vittorio Emanuele: "I Borbone non commisero in
cento anni, gli orrori e gli errori che hanno commesso gli agenti di Sua Maestà
in un anno”.
1863
- Primi moti rivoluzionari antitaliani di pura marca indipendentista. Il governo
piemontese instaura il primo stato d'assedio. Viene inviato Bolis per massacrare
i patrioti siciliani. Si prepara un'altra azione mafiosa contro i Siciliani.
8
maggio 1863 - Lord Henry Lennox denuncia alla camera dei Lords le infamie
italiane e ricorda che non Garibaldi ma l'Inghilterra ha fatto l'unità
d'Italia.
15
agosto 1863 - Secondo stato d'assedio. Si instaura il terrore. I Siciliani si
rifiutano di indossare la divisa italiana; fu una vera caccia all'uomo, le
famiglie dei renitenti furono torturate, fucilate e molti furono bruciati vivi.
Guidava l'operazione criminale e mafiosa il piemontese Generale Giuseppe Govone.
(Nella pacifica cittadina di Alba, in piazza Savona, nell'aprile 2004 è stato
inaugurato un monumento equestre a questo assassino. Ignoriamo per quali
meriti.)
1866
- In Sicilia muoiono 52.990 persone a causa del colera. Ancora oggi, per
tradizione orale, c'è la certezza che a spargervi il colera nell'Isola siano
state persone legate al Governo italiano. Intanto tra tumulti, persecuzioni,
stati d'assedio, terrore, colera ecc. la Sicilia veniva continuamente depredata
e avvilita; il Governo italiano vendette perfino i beni demaniali ed
ecclesiastici siciliani per un valore di 250 milioni di lire. Furono, nel
frattempo, svuotate le casse della regione. Il settentrione diventava sempre più
ricco, la Sicilia sempre più povera.
1868
- Giuseppe Garibaldi scrive ad Adelaide Cairoli:"Non rifarei la via del Sud,
temendo di essere preso a sassate!". Nessuna delle promesse che aveva fatto al
Sud (come quella del suo decreto emesso in Sicilia il 2 giugno 1860, che
assegnava le terre comunali ai contadini combattenti), era stata mantenuta.
1871
- Il Governo, con un patto scellerato, fortifica la mafia con l'effettiva
connivenza della polizia. Il coraggioso magistrato Diego Tajani dimostrò e
smascherò questa alleanza tra mafia e polizia di stato e spiccò un mandato di
cattura contro il questore di Palermo Giuseppe Albanese e mise sotto inchiesta
il prefetto, l'ex garibaldino Gen. Medici. Ma il Governo italiano, con fare
mafioso si schiera contro il magistrato costringendolo a dimettersi.
1892
- Si formano i "Fasci dei Lavoratori Siciliani". L'organizzazione era pacifica
ed aveva gli ideali del popolo, risolvere i problemi siciliani. Chiedeva,
l'organizzazione dei Fasci la partizione delle terre demaniali o incolte, la
diminuzione dei tassi di consumo regionale ecc.
4
gennaio 1894 - La risposta mafiosa dello stato italiano non si fa attendere:
STATO D'ASSEDIO. Francesco Crispi, (definito da me traditore dei siciliani a
perenne vergogna dei riberesi) presidente del Consiglio, manda in Sicilia 40.000
soldati al comando del criminale Generale Morra di Lavriano, per distruggere
l'avanzata impetuosa dei Fasci contadini. All'eroe della resistenza catanese
Giuseppe De Felice vengono inflitti 18 anni di carcere; fu poi amnistiato nel
1896, ricevendo accoglienze trionfali nell'Isola.
Note
di "Sciacca Borbonica": Sono molti i paesi del mondo che dedicano vie, piazze e
strade a lestofanti e assassini. Ma pochi di questi paesi hanno fatto di un
pirata macellaio addirittura il proprio eroe nazionale. Il 27 luglio 1995 il
giornale spagnolo "El Pais", giustamente indignato per l’apologia di Garibaldi
fatta dall’allora presidente Scalfaro (quello che si prendeva 100 milioni al
mese in nero dal SISDE, senza che nessuno muovesse un dito) nel corso di una
visita in Spagna, così gli rispose a pag. 6: “Il presidente d'Italia è
stato nostro illustre visitante...... Disgraziatamente, in un momento della sua
visita, il presidente italiano si è riferito alla presenza di Garibaldi nel Rio
della Plata, in un momento molto speciale della storia delle nazioni di questa
parte del mondo. E, senza animo di riaprire vecchie polemiche e aspre
discussioni, diciamo al dott. Scalfaro che il suo compatriota [Garibaldi] non ha
lottato per la libertà di queste nazioni come egli afferma. Piuttosto il
contrario". Il 13 settembre 1860, mentre l'unificazione italiana era in pieno
svolgimento, il giornale torinese Piemonte riportava il seguente articolo.
(1): «Le imprese di Garibaldi nelle Due Sicilie parvero sin da allora così
strane che i suoi ammiratori ebbero a chiamarle prodigiose. Un pugno di giovani
guidati da un audacissimo generale sconfigge eserciti, piglia d'assalto le città
in poche settimane, si fa padrone di un reame di nove milioni di abitanti. E ciò
senza navigli e senz'armi... Altro che Veni, Vedi, Vici! Non c'è Cesare che
tenga al cospetto di Garibaldi. I miracoli però non li ha fatti lui ma li fecero
nell'ordine: 1°)-L'oro con il quale gli inglesi comprarono quasi tutti i
generali borbonici e col quale assoldarono 20.000 mercenari ungheresi e slavi e
pagarono il soldo ad altri 20.000 tra carabinieri e bersaglieri, opportunamente
congedati dall'esercito sardo-piemontese e mandati come "turisti" nel Sud, altro
che i 1000 scalcinati eroi...... 2°)-il generale Nunziante ed altri tra
ufficiali dell'esercito e della marina che, con infinito disonore, disertarono
la loro bandiera per correre sotto quella del nemico eccovi servito un piccolo
elenco di traditori al soldo degli anglo-piemontesi, oltre al
Nunziante: Generale Landi, Generale Cataldo, Generale Lanza, Generale Ghio,
Comandante Acton, Comandante Cossovich,ed altri ancora; 3°)-i miracoli li ha
fatti il Conte di Siracusa con la sua onorevolissima lettera al nipote Francesco
II° (lettera pubblicata in un post a parte); 4°)-li ha fatti la Guardia
Nazionale che, secondo il solito, voltò le armi contro il re che gliele avea
date poche ore prima; 5°)-)li ha fatti il Gabinetto di Liborio Romano il quale,
dopo aver genuflesso fino al giorno di ieri appié del trono di Francesco II, si
prostra ai piedi di Garibaldi; 6°)- La quasi totalità della nobiltà siciliana.
Beh, Con questi miracoli ancor io sarei capace di far la conquista, non dico
della Sicilia e del Reame di Napoli, ma dell'universo mondo. Dunque non state a
contare le prodezze di Sua Maestà Garibaldi I. Egli non è che il comodino della
rivoluzione. Le società segrete (la massoneria) che hanno le loro reti in tutto
il paese delle Due Sicilie, hanno di lunga mano preparato ogni cosa per la
rivoluzione. E quando fu tutto apparecchiato si chiamò Garibaldi ad eseguire i
piani [...]. Se non era Garibaldi sarebbe stato Mazzini, Kossuth, Orsini o Lucio
della Venaria: faceva lo stesso. Appiccare il fuoco ad una mina anche un bimbo
può farlo. Di fatto vedete che dappertutto dove giunge Garibaldi la rivoluzione
è organizzata issofatto, i proclami sono belli e fatti, anzi stampati. In questo
modo credo che Garibaldi può tranquillamente fare il giro del mondo a piantare
le bandiere tricolori del Piemonte. Dopo Napoli Roma, dopo Roma Venezia, dopo
Venezia la Dalmazia, dopo la Dalmazia l'Austria, caduta l'Austria il mondo è di
Garibaldi, cioé del Piemonte! Oh che cuccagna! Torino capitale dell'Europa, anzi
dell'orbe terracqueo. Ed i torinesi padroni del mondo!». Dai Savoia agli
Agnelli, da una famiglia di vampiri ad un altra.....per il Sud sempre lo stesso
destino.......dar loro anche l'ultima goccia di sangue. Comunque la Giustizia
Divina arriva sempre........i savoia son finiti nella merda e nel ludibrio, gli
Agnelli nella tomba e nella droga che certamente sarà il mezzo con quale ci
libereremo di questa gente maledetta.
Gli eurobond che fecero l'Unità d'Italia
quando il Regno di Napoli era come la Germania,
scrive
Giuseppe Chiellino il 30 giugno 2012 su “Il Sole 24 Ore”. Il vertice
europeo di fine giugno ha cancellato gli eurobond dall'agenda. Almeno per ora.
Angela Merkel è stata drastica: «Mai finchè sarò viva» aveva detto in pubblico
qualche giorno prima. Chissà se la cancelliera tedesca aveva avuto il tempo di
leggere lo studio di Stéphanie Collet, storica della finanza della Université
Libre de Bruxelles che è andata a spulciare negli archivi delle Borse di Parigi
e Anversa per studiare l'unico precedente assimilabile agli Eurobond:
l'unificazione del debito sovrano dei sette stati che 150 anni orsono, su
iniziativa del Piemonte e sotto tutela di Francia e Inghilterra, costituirono il
Regno d'Italia. Nella storia dello stato moderno è l'esperienza storicamente più
vicina al faticosissimo tentativo di dare maggiore consistenza politica
all'Unione europea, anche attraverso l'integrazione delle politiche economiche e
fiscali, compresi debiti sovrani dei 17 paesi dell'euro. Un precedente prezioso,
secondo la Collet, per cercare di capire – mutatis mutandis - come potrebbero
comportarsi i mercati finanziari di fronte all'unificazione del debito pubblico
dei paesi della zona euro. «Come l'Italia di allora, l'Europa oggi è fatta da
stati eterogenei, con economie di dimensioni e condizioni diverse, che parlano
lingue diverse e hanno sistemi di imposizione fiscale separati» ricorda la
studiosa. Grazie al fatto che anche dopo l'unificazione i titoli del Regno
d'Italia conservarono fino al 1876 l'indicazione della loro origine (per
esempio, ad Anversa le emissioni del Regno delle Due Sicilie erano indicate come
"Italy-Neapolitean") la Collet è riuscita a ricostruire le serie storiche dei
prezzi settimanali tra il 1847 e il 1873. Un lavoro certosino di raccolta
manuale dei dati dagli archivi e dai database originali per capire come si sono
mosse le quotazioni, prima e dopo l'unità, politica ed economica. 25 emissioni
suddivise in quattro gruppi: Regno di Piemonte e Sardegna, Lombardo-Veneto, Due
Sicilie e Stato Pontificio. La prima cosa che balza agli occhi è lo spread
(anche allora!) tra i rendimenti dei diversi gruppi di bond prima e dopo
l'Unità. Quelli del Regno delle Due Sicilie (che erano un quarto del totale)
prima del 1861 pagavano i tassi più bassi: 4,3%, 140 punti base in meno delle
emissioni papali e di quelle piemontesi (che rappresentavano rispettivamente il
29% e il 44% del debito unitario dopo la conversione) e 160 in meno rispetto a
quelle Lombardo-Venete (che però erano solo il 2%). Insomma, a voler utilizzare
le categorie di oggi, il Regno di Napoli economicamente era per l'Italia quello
che oggi la Germania è per l'Eurozona. «Come il Regno di Napoli prima
dell'integrazione del debito sovrano, la Germania di oggi è l'economia più forte
dell'eurozona e beneficia del costo del debito più basso in assoluto» scrive
Collet. Considerazioni, queste, che faranno storcere il naso a molti, ma
sicuramente non di parte. Del resto, come ricorda Collet, Napoli era di gran
lunga la città più importante del neonato Regno d'Italia. E le regioni del Sud
avevano una discreta struttura industriale, un'agricoltura fiorente sia pure
basata sul latifondismo, e importanti porti commerciali. Subito dopo il 1861,
però, lo scettiscismo dei mercati nel processo unitario italiano impose un "risk
premium" comune a tutti i bond degli stati preunitari, anche a quelli che fino a
quel momento avevano goduto di maggiore fiducia e dunque di rendimenti più
bassi. Proprio quello che oggi la Germania teme possa avvenire con gli eurobond:
l'anno successivo, infatti, i rendimenti dei titoli convertiti in "Regno
d'Italia" si allinearono ben al di sopra dei tassi precedenti, al 6,9%. Per gli
"Italy – Neapolitean" 260 punti base in più che diventarono 460 nel 1870, per
poi cominciare a ripiegare dopo il 1871, quando cioè l'annessione di Venezia e
di Roma e il trasferimento della capitale nella città del papato convinsero gli
investitori, e non solo, che l'Unità era ormai irreversibile. L"Italia" non era
più una mera "espressione geografica", come l'aveva definita Metternich nel
1847, ma dopo tre guerre d'indipendenza e più di vent'anni di manovre
diplomatiche era diventata uno stato unitario. «L'integrazione dei debiti
sovrani era stato uno strumento per portare avanti l'integrazione politica, come
sarebbe oggi per l'Europa» afferma Collet, ma nota anche che «un aumento del
premio di rischio aggraverebbe la crisi del debito che sta vivendo l'Europa
piuttosto che risolverla. Significherebbe che, se fossero introdotti gli
eurobond, la Germania perderebbe il suo rating elevato». Questo portava Collet a
definire, già nei mesi scorsi, «remote» le speranze di vedere nel breve termine
un mercato integrato dei titoli di debito dell'eurozona. Nel lungo termine,
invece, i risultati della ricerca sul caso italiano dimostrano che «nel tempo i
rendimenti dei titoli diminuirono». Alla luce di questo, oggi la domanda è:
quanto tempo ci vorrà perché anche l'Europa sia considerata come un blocco unico
e in grado di dotarsi di un vero e proprio piano di salvataggio per l'euro? Per
l'Italia ci volle all'incirca un decennio. Considerato che quella italiana fu
un'annessione anche militare e quella europea è un'integrazione consensuale, e
che i mercati dei capitali si muovono a ritmi diversi rispetto alla seconda metà
dell'800, anche Collet concorda che un aumento del costo del debito nel breve
termine sarebbe un prezzo che potremmo permetterci di pagare se avessimo la
certezza di avere, tra qualche anno, un'Europa più unita. Ma questa certezza
nessuna ricerca, per quanto accurata, potrà mai darla. Serve, forse, la capacità
di andare oltre il breve periodo, di guardare un po' più lontano rispetto alla
prossima scadenza elettorale, superando la "veduta corta" che per Tommaso Padoa
Schioppa è stata «la radice» della crisi.
Nomina scrutatori e rappresentanti di lista: voto di scambio?
Lo
scandalo dei voti di scambio: 30 euro ai ragazzi per 3 giorni di presenza ai
seggi. Voto di scambio a destra, ma son peggio i permessi elettorali retribuiti
dallo Stato alla sinistra.
Esiste un tariffario: 30, 40 o 50 euro. Vengono corrisposti in base ai voti
conquistati dal candidato e certificati sui tabulati elettorali. E ci sono anche
i comitati elettorali nei quali presentarsi per essere reclutati come
rappresentanti di lista e procacciatori di preferenze. Ne ha parlato un
servizio, firmato dal giornalista Francesco Iato, trasmesso dal Tg Norba e
sequestrato dalla Digos. Il compito del «rappresentante di lista» non è solo
quello, canonico, di controllare il corretto andamento dello scrutinio
elettorale, ma anche di garantire un certo numero di voti. Il servizio di
Francesco Persiani del Tg Norba delle ore 13.35 del 28 maggio 2015 dal titolo,
“Taranto, scoppia lo scandalo scrutatori”, è esemplare e coraggioso. «Ultime ore
utili per nominare i rappresentanti di lista. Non solo a Bari, ma anche a
Taranto i giovani rappresentanti dei partiti potrebbero essere coinvolti in
vicende poco lecite. Denaro in cambio di voti e del loro controllo. Alcuni lo
sanno bene». Parla un ragazzo intervistato: “Per prendere voti fanno tutte cose,
ormai. Si affiancano a persone della malavita. Si affiancano a persone di potere
per salire anche loro al potere per legarsi alla poltrona”. «Capitolo a parte -
prosegue Persiani – quello degli scrutatori, un gradino più in su. A Taranto
sono stati tutti nominati dagli amici degli amici di partito: niente sorteggio.
Così ha deciso la commissione elettorale usando il criterio, consentito dalla
legge, delle indicazioni, dei suggerimenti. I consiglieri si sono divisi la
torta. D’altra parte non è difficile in una città come Taranto DOVE E’ MESSA
LA SORDINA AD OGNI DENUNCIA. IN UNA CITTA’ DOVE ALCUNE GROSSE AZIENDE
MUNICIPALIZZATE SONO DIRETTE DA PERSONE CHE HANNO STRETTISSIMI LEGAMI CON I
MAGISTRATI INQUIRENTI».
La
verità è che in politica ci sono sempre gli interessi personali ad essere
interessati e per quegli interessi si vota e per nient’altro.
Gli
scrutatori sono nominati dagli amministratori, a cui render conto con i voti
propri e dei parenti, ma sono pagati dallo stato: voto di scambio?
I
rappresentanti di lista sono nominati dai candidati, a cui render conto con i
voti propri e dei parenti. A sinistra sono numerosi. Fanno calca. Sono operai od
impiegati che non hanno avuto nessuna difficoltà a trovare il loro impiego,
grazie ai sindacati. I rappresentanti di lista di sinistra alle sezioni dei
seggi elettorali li vedi a piantonare ed a controllare, spesso a disturbare ed a
contestare. Si sentono anime pure. Additano come venduti i ragazzi dei partiti
avversari, che prendono in totale 30 euro per 3 giorni di impegno ai seggi.
A
sinistra parlano di volontariato politico. Ma è veramente così?
Al
lavoratore con contratto a tempo indeterminato e determinato (anche temporaneo)
chiamato a svolgere funzioni presso i seggi elettorali per le elezioni del
Parlamento (nazionale ed europeo), per le elezioni comunali, provinciali e
regionali ed in occasione delle consultazioni referendarie, ai sensi dell’art.
119 del T.U. n. 361/57, modificato dalla L. n. 53/90, e dell’art. 1 della legge
29.1.1992, n. 69, è riconosciuto il diritto di assentarsi per tutto il periodo
corrispondente alla durata delle operazioni di voto e di scrutinio. L’assenza è
considerata attività lavorativa a tutti gli effetti, quindi remunerata.
Il
beneficio spetta ai componenti del seggio elettorale (presidente, scrutatore,
segretario), ai rappresentanti di lista, nonché in occasione del referendum
popolare ai rappresentanti dei promotori del referendum. Analogo diritto spetta
ai lavoratori della scuola impegnati a vario titolo nelle operazioni elettorali
(vigilanza o altro). Essendo l'attività prestata presso i seggi equiparata (2°
comma art. 119 L. 361/57) ad attività lavorativa, non è consentito richiedere
prestazioni lavorative nei giorni coincidenti con le operazioni elettorali,
anche se eventuali obblighi di servizio fossero collocati in orario diverso da
quello di impegno ai seggi.
Hai
visto le anime pure di sinistra? Prendono 10 volte la regalia dei 30 euro dati
ai ragazzi dei partiti avversari, eppure parlano.
Il
vero voto di scambio è quello loro: dello pseudo volontariato elettorale della
sinistra.
Gli impresentabili
e la deriva forcaiola.
Ognuno di noi,
italiani, siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. In famiglia, a
scuola, in chiesa, sui media, ci hanno deturpato l’anima e la mente, inquinando
la nostra conoscenza. Noi non sappiamo, ma crediamo di sapere…
La legalità
è il comportamento conforme al dettato delle centinaia di migliaia di
leggi…sempre che esse siano conosciute e che ci sia qualcuno, in ogni momento,
che ce li faccia rispettare!
L’onestà
è il riuscire a rimanere fuori dalle beghe giudiziarie…quando si ha la fortuna
di farla franca o si ha il potere dell'impunità o dell'immunità che impedisce il
fatto di non rimaner invischiato in indagini farlocche, anche da innocente.
Parlare di legalità
o definirsi onesto non è e non può essere peculiarità di chi è di sinistra o di
chi ha vinto un concorso truccato, né di chi si ritiene di essere un cittadino
da 5 stelle, pur essendo un cittadino da 5 stalle.
Questo perché: chi
si loda, si sbroda!
Le liste di
proscrizione
sono i tentativi di eliminare gli avversari politici, tramite la gogna
mediatica, appellandosi all'arma della legalità e della onestà. Arma brandita da
mani improprie. Ed in Italia tutte le mani sono improprie, per il sol fatto di
essere italiani.
Ci sono delle
regole stabilite dalla legge che definiscono i criteri che vietano eleggibilità
e candidabilità. Se un cittadino regolarmente iscritto alle liste elettorali non
si trova in nessuna di queste condizioni si può candidare. Punto.
"Tutti i cittadini
hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo
democratico a determinare la politica nazionale". (art. 49 della costituzione
italiana). Alle amministrative del 31 maggio 2015 gli elettori saranno aiutati
dalla commissione parlamentare antimafia che ha presentato una lista di
impresentabili, spiega Piero Sansonetti. Cioè un elenco di candidati che pur in
possesso di tutti i diritti civili e politici, e quindi legittimati a
presentarsi alle elezioni, sono giudicate moralmente non adatte dai saggi
guidati da Rosy Bindi. Le liste di proscrizione furono inventate a Roma,
un’ottantina di anni prima di Cristo dal dittatore Silla, che in questo modo
ottenne l’esilio di tutti i suoi avversari politici. L’esperimento venne
ripetuto con successo 40 anni dopo da Antonio e Ottaviano, dopo la morte di
Cesare, e quella volta tra i proscritti ci fu anche Cicerone. Che fu torturato e
decapitato. Stavolta per fortuna la proscrizione sarà realizzata senza violenze,
e questo, bisogna dirlo, è un grosso passo avanti. La commissione naturalmente
non ha il potere – se Dio vuole – di cancellare i candidati, visto che i
candidati sono legalmente inattaccabili. Si limita a una sorta di blando
pubblico linciaggio. Un appello ai cittadini: «Non votate questi farabutti».
Ed i primi nomi
spifferati ai giornali sono pugliesi.
Ma chi sono i 4
candidati impresentabili pugliesi, quelli che, in base al codice etico dei loro
partiti o dei partiti al cui candidato sono collegati non avrebbero potuto
presentare la loro candidatura?
Attenzione! Siamo
di fronte al diritto di tutti i candidati ad essere considerati persone perbene
fino all’ultimo grado di giudizio.
Uno di loro è
semplicemente indagato, gli altri sono stati assolti dalle accuse in primo
grado, anche se i pm poi hanno fatto ricorso. Nessuno di loro è incandidabile,
secondo la legge Severino, e tutti e quattro fossero votati potrebbero fare i
consiglieri regionali.
Il primo è
l’imprenditore Fabio Ladisa della lista «Popolari con Emiliano» che appoggia il
candidato del Pd ed ex sindaco di Bari, Michele Emiliano. La Commissione precisa
che «è stato rinviato a giudizio per furto aggravato, tentata estorsione (e
altro), commessi nel 2011, con udienza fissata per il 3.12.2015». Imputato, non
condannato.
Con Schittulli c'è
Enzo Palmisano, medico, accusato per voto di scambio (anche se poi il
procedimento era andato prescritto). Prescrizione non vuol dire condanna, ma
scelta legittima di economia processuale.
Con Schittulli c'è
Massimiliano Oggiano, commercialista, della lista «Oltre» (per lui accuse
attinenti al 416 bis e al voto di scambio con metodo mafioso, è stato assolto in
primo grado e pende appello, la cui udienza è fissata per il 3 giugno 2015).
Assolto, quindi innocente.
Giovanni Copertino,
ufficiale del corpo Forestale in congedo, accusato di voto di scambio (anche se
poi era stato tutto prescritto, contro tale sentenza pende la fase di appello),
consigliere regionale Udc è in lista invece con Poli-Bortone. Prescrizione non
vuol dire condanna, ma scelta legittima di economia processuale.
C’è un solo caso
davvero incomprensibile: quello del candidato Pd alla presidenza della Regione
Campania, Vincenzo De Luca. Per legge non potrà fare né il consigliere
regionale, né il presidente della Regione Campania. Se venisse eletto il giorno
dopo non potrebbe nemmeno mettere piede in consiglio regionale. Vittima,
anch'egli di una legge sclerotica voluta dai manettari. Legge che ha colpito
proprio loro, i forcaioli, appunto Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno, e Luigi
De Magistris, sindaco di Napoli e già dell’IDV di Antonio Di Pietro. Sospesi per
legge, ma coperti temporaneamente dal Tar. Tar sfiduciato dalla Cassazione che
riconosce il potere al Tribunale.
Con le liste di
proscrizione si ha un regolamento politico di conti che nulla ha a che vedere
con la legalità, spiega Mattia su “Butta”. La legalità la stabilisce la legge,
non Rosy Bindi. Se la legge vigente non piace, liberissimi in Parlamento di
modificarla affrontando l’opinione pubblica. Ma non è giusto mettere un timbro
istituzionale su una cosa illegale come quella che sta facendo oggi la
commissione antimafia. Illegale perchè va contro ed oltre la legge vigente, e
non può farlo una istituzione. Non una istituzione, che per altro si è ben
guardata dall’inserire nell’elencone degli impresentabili qualcuno macchiato del
reato tipico dei consiglieri regionali: il peculato, la truffa sui contributi ai
gruppi consiliari. L’avessero fatto, non ci sarebbero state elezioni...
Un privato
cittadino può anche dire in giro che Tizio o Caio sono impresentabili perché X,
ma rimane un suo giudizio personale. Già di suo è un giudizio scorretto: al
massimo puoi dire che Tizio non deve essere eletto, non che è
impresentabile. Puoi cioè invitare la gente a non votarlo (così come fai con
tutti i candidati che non ti garbano) ma non è corretto dire che non dovrebbe
essere nemmeno presentato. Può presentarsi eccome: in democrazia non c’è nessuno
che è meno degno di presentarsi.
Forse non si
percepisce la gravità di questo precedente. Il fatto che un pezzo di parlamento,
ossia una istituzione che avrebbe ben altro da fare, come cercare la mafia
nell’antimafia, si arroghi il diritto di indicare alla popolazione chi è degno
di essere eletto e chi no in base ai propri gusti e non a una legge dello Stato
è aberrante. Uscire l’ultimo giorno di campagna elettorale ad additare, con la
forza di una istituzione, un tizio gridando “vergogna! è un X! non votatelo”
senza dare al tizio la possibilità di difendersi allo stesso livello è
preoccupante. Il metodo Boffo delle elezioni.
In questo modo
avremo come impresentabili tutti quelli indicati da Filippo Facci.
1) Quelli
condannati in giudicato;
2) No, quelli
condannati in Appello;
3) No, quelli
condannati in primo grado;
4) Basta che siano
rinviati a giudizio;
5) Basta che siano
indagati;
6) Sono
impresentabili anche gli assolti per prescrizione;
7) Anche gli
assolti e basta, ma "coinvolti" (segue stralcio di una sentenza);
8) Sono quelli che
sarebbero anche gigli di campo, ma sono amici-parenti-sodali di un
impresentabile;
9) Sono quelli che,
in mancanza d'altro, sono nominati in un'intercettazione anche se priva di
rilevanza penale;
10) gli
impresentabili sono quelli che i probiviri del partito e lo statuto del partito
e il codice etico del partito e il comitato dei garanti (del partito) fanno
risultare impresentabili, cioè che non piacciono al segretario;
11) Sono quelli a
cui allude vagamente Saviano;
12) Sono quelli -
sempre innominati, sempre generici - che i giornali definiscono "nostalgici del
Duce, professionisti del voto di scambio in odore di camorra";
13) Sono quelli -
sempre innominati, sempre generici - di cui parlano anche il commissario Cantone
e la senatrice Capacchione, e ne parlano pure i candidati che invece si
giudicano presentabili, i quali dicono di non votare gli impresentabili;
14) Gli
impresentabili sono quelli menzionati da qualche giornale, che però sono diversi
da quelli nominati da altri giornali;
15) Sono i
voltagabbana;
16) Gli
impresentabili sono quelli che sono impresentabili: secondo me.
Come Me. E così
sia.
Umberto Eco,
filosofo, semiologo e saggista di fama internazionale ha espresso il suo
pensiero l'11 giugno 2015 durante la consegna della laurea honoris causa in
comunicazione e culture dei media all'università di Torino: "I social hanno dato
diritto di parola a legioni di imbecilli, che prima parlavano al bar dopo un
bicchiere di vino e ora hanno lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel".
Ognuno di noi,
italiani, siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. In famiglia, a
scuola, in chiesa, sui media, ci hanno deturpato l’anima e la mente, inquinando
la nostra conoscenza. Noi non sappiamo, ma crediamo di sapere…
La legalità
è il comportamento conforme al dettato delle centinaia di migliaia di
leggi…sempre che esse siano conosciute e che ci sia qualcuno, in ogni momento,
che ce li faccia rispettare!
L’onestà
è il riuscire a rimanere fuori dalle beghe giudiziarie…quando si ha la fortuna
di farla franca o si ha il potere dell'impunità o dell'immunità che impedisce il
fatto di non rimaner invischiato in indagini farlocche, anche da innocente.
Parlare di legalità
o definirsi onesto non è e non può essere peculiarità di chi è di sinistra o di
chi ha vinto un concorso truccato, né di chi si ritiene di essere un cittadino
da 5 stelle, pur essendo un cittadino da 5 stalle.
Questo perché: chi
si loda, si sbroda!
Nell’antichità i
sacerdoti detenevano il sapere delle leggi, giusto per non perdere i privilegi
ed affinchè tali norme non potessero essere usate contro di loro.
Dopo migliaia di
anni nulla è cambiato. La responsabilità dei propri atti, se è riconosciuta ai
poveri mortali italiani, non vale per il Presidente della Repubblica e per i
magistrati italioti.
Ciò nonostante una
riforma farlocca della loro responsabilità civile, che nulla cambia rispetto
all'assenza di regole precedenti sanzionatorie.
Quante vittime della giustizia condannate
a perdere la testa. Dal dirigente
convinto che Borrelli fosse un clone al «vendicatore» che suonava «Bella ciao»
Stritolati da attese infinite e sentenze inaccettabili, molti crollano. E
diventano casi clinici. Ci sono quelli che sparano. Quelli che si mettono a
suonare la fisarmonica sotto il tribunale. E poi c'è l'infinito numero di quelli
che si consumano nel chiuso delle loro case e delle loro teste, e dissolvono
anni e patrimoni in carte bollate e fotocopie, sempre più voluminose e sempre
meno comprensibili. Non sono matti. Ma sono tutti, in diverso modo e misura,
vittime della psicosi da giustizia. Una malattia reale e inguaribile, che
chiunque frequenti i tribunali conosce bene. E talmente pervasiva da far
ritenere quasi consolatorio che i casi come quelli Claudio Giardiello, cui il
senso di persecuzione ha armato la calibro 9 e la voglia di sangue, siano così
pochi. É una psicosi che non ha nulla a che vedere con la delegittimazione della
magistratura berlusconiana o renziana; ma che nemmeno è figlia di particolari
brutalità di questo o quel magistrato. Se si vanno ad analizzare una per una le
cento storie di cittadini che hanno perso il senno inseguendo il mito di una
giustizia giusta, l'impressione che se ne cava è che a stritolarli non sia stata
l'effettiva iniquità del loro caso, ma la potenza distruttiva del sistema
giudiziario in quanto tale. La macchina del processo parte, viaggia coi suoi
ritmi imperscrutabili, trita. Non solo quando si occupa di delitti o di anni di
galera, ma anche - e anzi più spesso - quando piccoli, quasi futili diritti
(l'avanzamento di carriera; il prato usurpato; eccetera) veri o immaginari che
siano non trovano soddisfazione. Davanti alla sentenza contraria c'è chi si
rassegna. E c'è chi si avvita in un mondo tutto suo, dove giudici, avvocati,
testimoni contrari finiscono per impersonare gli attori di un unico gigantesco
complotto ai loro danni. Nel palazzo di giustizia di Milano, quello che l'altro
ieri Giardiello ha trasformato in mattatoio, la galleria di queste vittime
dell'illusione di giustizia è lunga: e potrebbe apparire persino pittoresca se
dietro ognuno di questi casi non si celassero tragedie profonde. Ai tempi di
Mani Pulite, un dirigente di banca urlava la sua rabbia nei corridoi della
Procura, sostenendo che il Borrelli che vi si aggirava fosse in realtà un sosia
del vero procuratore, finito agli arresti per le sue malefatte. A portare il
dirigente sull'abisso era stata una causa contro la sua banca, in cui si era
visto dare torto; aveva denunciato i giudici ad altri giudici, e questi ad altri
ancora. Uno dei vice di Borrelli aveva un suo stalker personale, un maestro di
musica che accusava la cantante Mietta di avergli rubato una canzone: tra
magistrato e visionario si stabilì una sorta di simbiosi, al punto che quando il
primo cambiò procura se lo portò appresso. Un medico accusato e poi prosciolto
dall'accusa di avere ucciso in collega si è aggirato a lungo, tuonando o
ragionando a seconda dell'umore, nei corridoi del tribunale. Oggi a incarnare
queste tristezze è un ingegnere di profonda cultura, che nella sua rabbia
sommerge l'intera magistratura di insulti irriferibili, e si vendica suonando
Bella Ciao sotto le finestre del palazzo di giustizia, fin quando a ondate
successive di Tso - trattamenti sanitari obbligatori, il destino di tanti di
questi sventurati - lo spediscono a venire sedato in un reparto ospedaliero.
Questi sono i casi estremi. Ma il punto di non ritorno lo superano in tanti.
Certo, la lentezza estenuante della giustizia italiana ha il suo peso, nel
logorare l'equilibrio, nell'ingigantire la portata dei torti subiti e dei
diritti negati; a spezzare l'equilibrio della gente però è soprattutto la
distanza siderale tra il proprio carico emotivo e la freddezza della giustizia:
che ha nei suoi simboli a volte la spada, a volte la bilancia, ma mai il cuore.
Nell'autunno scorso, quando il Giornale aprì la sua casella di mail alle storie
di malagiustizia, insieme a tante vicenda gravi e oggettivamente scandalose, fu
impressionante il numero di racconti dove era difficile districarsi tra
paranoia, delirio di persecuzione, battaglie contro i mulini a vento. Forse
affidare nell'immaginario collettivo una visione salvifica della Giustizia con
la «G» maiuscola ha incrementato il numero di queste catastrofiche disillusioni.
Ma le psicosi da diritto negato sono sempre esistite, e probabilmente
esisteranno per sempre.
Eppure
La corruzione passa per il tribunale. Tra
mazzette, favori e regali. Nei palazzi di giustizia cresce un nuovo fenomeno
criminale. Che vede protagonisti magistrati e avvocati.
C'è chi aggiusta sentenze in cambio di denaro, chi vende informazioni segrete e
chi rallenta le udienze. Il Pm di Roma: Un fenomeno odioso, scrive Emiliano
Fittipaldi su “L’Espresso”. A Napoli, dove il caos è dannazione di molti e
opportunità per gli scaltri, il tariffario lo conoscevano tutti: se un imputato
voleva comprarsi il rinvio della sua udienza doveva sganciare non meno di 1.500
euro. Per “un ritardo” nella trasmissione di atti importanti, invece, i
cancellieri e gli avvocati loro complici ne chiedevano molti di più, circa
15mila. «Prezzi trattabili, dottò...», rabbonivano i clienti al telefono. Soldi,
mazzette, trattative: a leggere le intercettazioni dell’inchiesta sul “mercato
delle prescrizioni” su cui ha lavorato la procura di Napoli, il Tribunale e la
Corte d’Appello partenopea sembrano un suk, con pregiudicati e funzionari
impegnati a mercanteggiare sconti che nemmeno al discount. Quello campano non è
un caso isolato. Se a Bari un sorvegliato speciale per riavere la patente poteva
pagare un magistrato con aragoste e champagne, oggi in Calabria sono tre i
giudici antimafia accusati di corruzione per legami con le ’ndrine più feroci.
Alla Fallimentare di Roma un gruppo formato da giudici e commercialisti ha
preferito arricchirsi facendo da parassita sulle aziende in difficoltà. Gli
imprenditori disposti a pagare tangenti hanno scampato il crac grazie a sentenze
pilotate; gli altri, che fallissero pure. Ma negli ultimi tempi magistrati
compiacenti e avvocati senza scrupoli sono stati beccati anche nei Tar, dove in
stanze anonime si decidono controversie milionarie, o tra i giudici di pace. I
casi di cronaca sono centinaia, in aumento esponenziale, tanto che gli esperti
cominciano a parlare di un nuovo settore illegale in forte espansione: la
criminalità del giudiziario. «Ciò che può costituire reato per i magistrati non
è la corruzione per denaro: di casi in cinquant’anni di esperienza ne ho visti
tanti che si contano sulle dita di una sola mano. Il vero pericolo è un lento
esaurimento interno delle coscienze, una crescente pigrizia morale», scriveva
nel 1935 il giurista Piero Calamandrei nel suo “Elogio dei giudici scritto da un
avvocato”. A ottant’anni dalla pubblicazione del pamphlet, però, la situazione
sembra assai peggiorata. La diffusione della corruzione nella pubblica
amministrazione ha contagiato anche le aule di giustizia che, da luoghi deputati
alla ricerca della verità e alla lotta contro il crimine sono diventati anche
occasione per business illegali. Nello Rossi, procuratore aggiunto a Roma, prova
a definire caratteristiche e contorni al fenomeno: «La criminalità del
giudiziario è un segmento particolare della criminalità dei colletti bianchi.
Una realtà tanto più odiosa perché giudici, cancellieri, funzionari e agenti di
polizia giudiziaria mercificano il potere che gli dà la legge». Se la corruzione
è uno dei reati più diffusi e la figura del giudice comprato è quella che desta
più scandalo nell’opinione pubblica, il pm che ha indagato sulla bancarotta
Alitalia e sullo Ior ricorda come tutti possono cadere in tentazione, e che nel
gran bazar della giurisdizione si può vendere non solo una sentenza, ma molti
altri articoli di enorme valore. «Come un’informazione segreta che può
trasformare l’iter di un procedimento, un ritardo che avvicina la prescrizione,
uno stop a un passaggio procedurale, fino alla sparizione di carte
compromettenti». Numeri ufficiali sul fenomeno non esistono. Per quanto riguarda
i magistrati, le statistiche della Sezione disciplinare del Csm non fotografano
i procedimenti penali ma la più ampia sfera degli illeciti disciplinari.
Nell’ultimo decennio, comunque, non sembra che lo spirito di casta sia prevalso
come un tempo: se nel 2004 le assoluzioni erano quasi doppie rispetto alle
condanne (46 a 24) ora il trend si è invertito, e nei primi dieci mesi del 2012
i giudici condannati sono stati ben 36, gli assolti 27. «Inoltre, se si
confrontano queste statistiche con quelle degli altri Paesi europei redatte
dalla Cepej - la Commissione europea per l’efficacia della giustizia - sulla
base dei dati del 2010», ragiona in un saggio Ernesto Lupo, fino al 2013 primo
presidente della Cassazione, «si scopre che a fronte di una media statistica
europea di 0,4 condanne ogni cento giudici, il dato italiano è di 0,6». Su
trentasei Paesi analizzati dalla Commissione, rispetto all’Italia solo in cinque
nazioni si contano più procedimenti contro i magistrati. Chi vuole arricchirsi
illegalmente sfruttando il settore giudiziario ha mille modi per farlo. Il
metodo classico è quello di aggiustare sentenze (come insegnano i casi scuola
delle “Toghe Sporche” di Imi-Sir e quello del giudice Vittorio Metta, corrotto
da Cesare Previti affinché girasse al gruppo Berlusconi la Mondadori), ma
spulciando le carte delle ultime indagini è la fantasia a farla da padrona.
L’anno scorso la Procura di Roma ha fatto arrestare un gruppo, capeggiato da due
avvocati, che ha realizzato una frode all’Inps da 22 milioni di euro: usando
nomi di centinaia di ignari pensionati (qualcuno era morto da un pezzo) hanno
mitragliato di cause l’istituto per ottenere l’adeguamento delle pensioni. Dopo
aver preso i soldi la frode continuava agli sportelli del ministero della
Giustizia, dove gli avvocati chiedevano, novelli Totò e Peppino, il rimborso
causato delle «lungaggini» dei finti processi. Un avvocato e un giudice di
Taranto, presidente di sezione del tribunale civile della città dei Due Mari,
sono stati invece arrestati per aver chiesto a un benzinaio una tangente di
8mila euro per combinare un processo che il titolare della pompa aveva con una
compagnia petrolifera. Se a Imperia un magistrato ha aiutato un pregiudicato a
evitare la “sorveglianza speciale” dietro lauto compenso, due mesi fa un giudice
di pace di Udine, Pietro Volpe, è stato messo ai domiciliari perché (insieme a
un ex sottufficiale della Finanza e un avvocato) firmava falsi decreti di
dissequestro in favore di furgoni con targa ucraina bloccati dalla polizia
mentre trasportavano merce illegale sulla Venezia-Trieste. Il giro d’affari dei
viaggi abusivi protetti dal giudice era di oltre 10 milioni di euro al mese.
Raffaele Cantone, da pochi giorni nominato da Matteo Renzi presidente
dell’Autorità nazionale anticorruzione, evidenzia come l’aumento dei crimini nei
palazzi della legge può essere spiegato, in primis, «dall’enorme numero di
processi che si fanno in Italia: una giustizia dei grandi numeri comporta,
inevitabilmente, meno trasparenza, più opacità e maggiore difficoltà di
controllo». I dati snocciolati tre mesi fa dal presidente della Cassazione
Giorgio Santacroce mostrano che le liti penali giacenti sono ancora 3,2 milioni,
mentre le cause civili arretrate (calate del 4 per cento rispetto a un anno fa)
superano la cifra-monstre di 5,2 milioni. «Anche la farraginosità delle
procedure può incoraggiare i malintenzionati» aggiunge Rossi. «Per non parlare
del senso di impunità dovuto a leggi che - sulla corruzione come sull’evasione
fiscale - sono meno severe rispetto a Paesi come Germania, Inghilterra e Stati
Uniti: difficile che, alla fine dei processi, giudici e avvocati condannati
scontino la pena in carcere». Tutto si muove attorno ai soldi. E di denaro, nei
tribunali italiani, ne gira sempre di più. «Noi giudici della sezione Grandi
Cause siamo un piccolo, solitario, malfermo scoglio sul quale piombano da tutte
le parti ondate immense, spaventose, vere schiumose montagne. E cioè interessi
implacabili, ricchezze sterminate, uomini tremendi... insomma forze veramente
selvagge il cui urto, poveri noi meschini, è qualcosa di selvaggio, di
affascinante, di feroce. Io vorrei vedere il signor ministro al nostro posto!»,
si difendeva Glauco Mauri mentre impersonava uno dei giudici protagonisti di
“Corruzione a palazzo di giustizia”, pièce teatrale scritta dal magistrato Ugo
Betti settant’anni fa. Da allora l’importanza delle toghe nella nostra vita è
cresciuta a dismisura. «Tutto, oggi, rischia di avere strascichi giudiziari: un
appalto, un concorso, una concessione, sono milioni ogni anno i contenziosi che
finiscono davanti a un giudice», ragiona Rossi. I mafiosi nelle maglie larghe ne
approfittano appena possono, e in qualche caso sono riusciti a comprare -
pagando persino in prostitute - giudici compiacenti. In Calabria il gip di Palmi
Giancarlo Giusti è stato arrestato dalla Dda di Milano per corruzione aggravata
dalle finalità mafiose («Io dovevo fare il mafioso, non il giudice!», dice
ironico Giusti al boss Giulio Lampada senza sapere di essere intercettato),
mentre accuse simili hanno distrutto le carriere del pm Vincenzo Giglio e del
finanziere Luigi Mongelli. A gennaio la procura di Catanzaro ha indagato un
simbolo calabrese dell’antimafia, l’ex sostituto procuratore di Reggio Calabria
Francesco Mollace, che avrebbe “aiutato” la potente ’ndrina dei Lo Giudice
attraverso presunte omissioni nelle sue indagini. Sorprende che in quasi tutte
le grandi istruttorie degli ultimi anni insieme a politici e faccendieri siano
spesso spuntati nomi di funzionari di giustizia e poliziotti. Nell’inchiesta
sulla cricca del G8 finirono triturati consiglieri della Corte dei Conti,
presidenti di Tar e pm di fama (il procuratore romano Achille Toro ha
patteggiato otto mesi), mentre nell’inchiesta P3 si scoprì che erano molti i
togati in contatto con l’organizzazione creata da Pasquale Lombardi e Flavio
Carboni per aggiustare processi. Anche il lobbista Luigi Bisignani, insieme al
magistrato Alfonso Papa, aveva intuito gli enormi vantaggi che potevano venire
dal commercio di informazioni segrete: la P4, oltre che di nomine nella pubblica
amministrazione, secondo il pubblico ministero Henry Woodcock aveva la sua
ragion d’essere proprio nell’«illecita acquisizione di notizie e di
informazioni» di processi penali in corso. Secondo Cantone «nel settore
giudiziario, e in particolare nei Tar e nella Fallimentare, si determinano
vicende che dal punto di vista economico sono rilevantissime: che ci siano
episodi di corruzione, davanti a una massa così ingente di denaro, è quasi
fisiologico». I casi, in proporzione, sono ancora pochi, ma l’allarme c’è. Se i
Tar di mezza Italia sono stati travolti da scandali di ogni tipo (al Tar Lazio è
finito nei guai il giudice Franco Maria Bernardi; nelle Marche il presidente
Luigi Passanisi è stato condannato in primo grado per aver accettato la promessa
di ricevere 200 mila euro per favorire l’imprenditore Amedeo Matacena, mentre a
Torino è stato aperto un procedimento per corruzione contro l’ex presidente del
Tar Piemonte Franco Bianchi), una delle vicende più emblematiche è quella della
Fallimentare di Roma. «Lì non ci sono solo spartizioni di denaro, ma anche
viaggi e regali: di tutto di più. Una nomina a commissario giudiziale vale 150
mila euro, pagati al magistrato dal professionista incaricato. Tutti sanno
tutto, ma nessuno fa niente», ha attaccato i colleghi il giudice Chiara
Schettini, considerata dai pm di Perugia il dominus della cricca che
mercanteggiava le sentenze del Tribunale della Capitale. Dinamiche simili anche
a Bari, dove l’inchiesta “Gibbanza” ha messo nel mirino la sezione Fallimentare
della città mandando a processo una quarantina tra giudici, commercialisti,
avvocati e cancellieri. «Non bisogna stupirsi: il nostro sistema giudiziario
soffre degli stessi problemi di cui soffre la pubblica amministrazione», spiega
Daniela Marchesi, esperta di corruzione e collaboratrice della “Voce.info”.
Episodi endemici, in pratica, visto che anche Eurostat segnala che il 97 per
cento degli italiani considera la corruzione un fenomeno “dilagante” nel Paese.
«Mai visto una città così corrotta», protesta uno dei magistrati protagonisti
del dramma di Betti davanti all’ispettore mandato dal ministro: «Il delitto dei
giudici, in conclusione, sarebbe quello di assomigliare un pochino ai
cittadini!». Come dargli torto?
A conferma di ciò mi sono imbattuto nel
servizio di TeleJato di Partinico (Pa) del 21 ottobre 2014 che al minuto 31,32
il direttore Pino Maniaci spiega: «Ci occupiamo ancora una volta di beni
sequestrati. Questa mattina una audizione al Consiglio Superiore della
Magistratura, scusate in Commissione Nazionale Antimafia, alla presenza della
Bindi, alcuni procuratori aggiunti e pubblici ministeri di Palermo stanno
parlando di Italgas. Quelli di Italgas è tutto un satellite ed una miriade di
altre società che ci girano intorno, dove dovranno spiegare come mai le misure
di prevenzione di Palermo hanno deciso di mettere sotto amministrazione
giudiziaria questa società a livello nazionale. Sapete perché? Perché un certo
Modica De Mohac, già il nome è quanto dire, altosonante, ha venduto, mentre le
società erano sottosequestro. Dovevano essere semplicemente essere amministrate
e per legge non toccate. E per legge in un anno si deve redimere se quel bene va
confiscato definitivamente o restituito ai legittimi proprietari. I Cavallotti
di Belmonte Mezzagno, assolti con formula piena dall’accusa di mafia, da ben 16
anni hanno i beni sottoposti a sequestro. 16 anni!! Dottoressa Saguto, 16
anni!!! Il Tribunale può violare la legge? In questo caso, sì. E che cosa è
successo? Le imprese, le ditte, i paesi che sono stati metanizzati dai
Cavallotti, da Modica De Mohac, naturalmente sotto la giurisdizione delle misure
di prevenzione della dottoressa Saguto, ha venduto questa metanizzazione, ha
venduto queste società all’Italgas. E lì, dopo si è scoperto, che essendoci le
società dei Cavallotti, guarda caso l’Italgas è infiltrata mafiosa. E cosa si
fa? Si sequestra l’Italgas! Sono quei paradossi tutti nostri. Tutti siculi.
Dove, sinceramente, chi amministra la giustizia, che commette queste illegalità
la fa sempre da padrone e la fa sempre franca. Ma è possibile? In Sicilia sì!!
Vediamo i particolari nel servizio. “Italgas alcuni mesi fa è stata sequestrata
e messa sotto tutela, cioè affidata alle cure di amministratori giudiziari ed
ispettori che entro 6 mesi dovrebbero verificare se nell’azienda ci sono o ci
sono stati infiltrazioni mafiose. La Guardia di Finanza, non si sa se ispirata
dal giudice che si occupa dell’ufficio di misure di prevenzione (sapete chi è?
La solita dottoressa Saguto, ha trovato che alcuni pezzi di attività delle
società erano stati rilevati presso le aziende Cavallotti di Belmonte Mezzagno
che si occupavano di metanizzazione. Ma da qui 16 anni sono sotto sequestro.
L’operazione di trasferimento degli impianti di metano dei vari comuni venduti
in parte all’Italgas per un importo di 20 milioni di euro ed un’altra parte
prima alla Coses srl, azienda posta sotto sequestro, amministrata dal Modica,
tramite una partita di giro contabile avvenuto nel 2007 per un importo di 2
milioni di euro. Poi gli stessi impianti, dopo essere stati in possesso della
Coses srl vengono rivenduti sempre alla Italgas per un importo di 5 milioni di
euro. E dopo aver incassato la somma, la stessa Comest Srl, amministrata sempre
dal Modica, provvede a trasferire i ricavati della vendita degli impianti di
metano nelle società riconducibili ad esso stesso ed ai suoi familiari. Questa
manovra è avvenuta semplice al Modica, in quanto alla Comest srl era ed è
confiscata e definitivamente passata al demanio. Il Prefetto Caruso, quando era
direttore dell’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati, accortosi
delle malefatte del Modica De Mohac, ha provveduto a sollevare il Modica da
tutti i suoi incarichi per poi affidarli ad altri amministratori del tribunale
di Palermo. E’ chiaro che l’operazione di vendita, come prescrive la legge, deve
essere fatta con il consenso del giudice che ha nominato l’amministratore stesso
e quindi la solita dottoressa Saguto dovrebbe essere al corrente di quanto oggi
la Commissione Antimafia vorrebbe sapere, avendo convocato il procuratore
aggiunto di Palermo Dino Petralia, il Pubblico Ministero Dario Scaletta ed il
pubblico ministero Maurizio De Lucia. Non è chiaro quanto c’entrano i magistrati
in tutto questo e perché non ha interrogato il magistrato che invece c’entra. In
Italia funziona proprio così. Per complicare quest’indagine è stata associata
un’altra indagine che non c’entra con i fratelli Cavallotti e che riguarda una
serie di aziende a suo tempo del tutto concorrenziali con quelle degli stessi
Cavallotti e che facevano capo a Ciancimino, al suo collaboratore prof. Lapis ed
ad un altro suo socio. Le notizie trasmesse dalla stampa lasciano credere invece
che le aziende dei Cavallotti sono ed agiscono assieme a quelle di Ciancimino e
che l’infiltrazione mafiosa che riguarda due cose diverse sia invece la medesima
cosa. Staremo a vedere se passati 6 mesi di controllo e l’Italgas potrà tornare
a distribuire il suo gas senza pagare di tasca sua il solito amministratore
giudiziario e se l’attività persecutoria che si accanisce sui fratelli
Cavallotti, assolti, ricordiamo, in via definitiva ma sempre sotto il mirino
della solita dottoressa Saguto, possa continuare all’infinito per tutta la
settima generazione. Per quanto riguarda l’audizione del giudice Scaletta, egli
ha avuto in mano le indagini che riguardavano la discarica di Clin in Romania.
Una parte della quale, la cui proprietà è stata attribuita a Ciancimino è
amministrata dal solito re degli amministratori giudiziari, Cappellano Seminara,
che è sotto processo per aver combinato alcuni imbrogli nel tentativo di
impadronirsi di una parte di quella discarica. Ma fermiamoci. Il discorso è così
complesso che siamo convinti che la Commissione Antimafia preferirà metterlo da
parte e lasciare tutto come si trova per non scoprire una tana di serpi o per
non aprire il coperchio di una pentola dove c’è dentro lo schifo distillato. Per
una volta non soltanto di distilleria Bertollini. (Parla la Bindi: La
Commissione ha registrato un fallimento sui beni confiscati. Non è così. Non
abbiamo registrato un fallimento perché i risultati sono stato ottenuti e non
perché questa è la città dove metà dei beni sequestrati della mafia sono in
questa città e le misure di prevenzione e la gestione di questi beni che è stata
fatta in questa città e di questa regione ha fatto scuola in tutta Italia.) Sono
quei bordelli tutti siculi, sai perché? Ti trovi nella terra del Gattopardo:
cambiare tutto per non cambiare un cazzo….»
I magistrati sanno solo dire: “Lei non sa chi
sono io?”
Giudice insulta il vigile che lo multa e
finisce sotto processo al Csm. Ad
aprile il Consiglio superiore della magistratura deciderà se infliggere a Pier
Franco Bruno una sanzione disciplinare, scrive Fulvio Fiano su "Il Corriere
della Sera”. «Ma tu sai chi sono io? Non mi riconosci o fingi di non
riconoscermi?». «Dispiacente, io in servizio non riconosco nessuno.... ».
Non è il dialogo tra il sindaco Vittorio De Sica e il vigile Alberto Sordi, ma
molto vi somiglia. Il più classico dei «Lei non sa chi sono io» l’ha pronunciato
stavolta un giudice «infastidito» dall’insolenza di un pizzardone che pretendeva
di multarlo. La sua reazione per l’auto sanzionata in divieto di sosta in pieno
centro a Roma diventa ora materia per il Csm. «Io sono un magistrato della Corte
costituzionale, la multa me la deve togliere e basta», avrebbe sostenuto in un
rigurgito di «lesa maestà» il giudice del tribunale di sorveglianza Pier Franco
Bruno di fronte al vigile e al suo blocchetto delle contravvenzioni. La lite è
raccontata nell’atto di incolpazione redatto dalla procura generale della
Cassazione. E quando il semplice titolo di magistrato non è bastato ad
ammorbidire l’agente della municipale, il giudice sarebbe andato oltre,
minacciandolo: «sappia che tutto questo avrà un seguito». Il 17 aprile il
Consiglio superiore della magistratura deciderà se infliggere a Bruno una
sanzione disciplinare. Il magistrato si sarebbe spinto sino a offendere «l’onore
e il decoro» del suo interlocutore. E lo avrebbe fatto sostenendo che l’80%
delle violenze e degli oltraggi che ricevono i vigili sono provocati dai loro
atteggiamenti. Insomma, una sceneggiata. Tra la divertita curiosità dei passanti
e il «disagio e sconcerto» degli altri vigili accorsi. Per le sue escandescenze
il giudice è finito anche sotto processo a Perugia,dove però il gip ha
archiviato.
Intanto c'è chi marcisce in galera...
«Se sbaglio dovrò pagare i danni». E il
giudice sospende la sentenza.
Treviso, contestata la responsabilità
civile dei magistrati: «Spinge ad assolvere tutti», scrive Andrea Priante su “Il
Corriere della Sera”. La nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati
rischia di minare l’imparzialità di giudizio. Per questo motivo, un giudice del
tribunale di Treviso ha deciso di non emettere la sentenza. È accaduto nelle
scorse settimane e ora la questione è nelle mani della Corte Costituzionale che
dovrà esprimersi sui dubbi sollevati da Cristian Vettoruzzo, una toga in
servizio alla sezione penale. La vicenda inizia in aula, il 31 marzo, alla
conclusione del dibattimento sulle responsabilità del locatario di un capannone
all’interno del quale erano stati rinvenuti 47 quintali di sigarette di
contrabbando. Per il pm non c’è dubbio: l’uomo va condannato a due anni di
reclusione e ottomila euro di multa. La difesa, invece, ne chiede l’assoluzione.
Il giudice si prende qualche settimana per decidere e l’8 maggio sospende il
processo rimettendo gli atti alla Consulta perché, spiega, non c’è alcuna prova
certa ma «sono emersi, invece, elementi indiziari (…) e la valutazione di
elementi indiziari è, come noto, particolarmente difficile e “rischiosa” in
ordine alla correttezza dell’esito del giudizio». Ed è proprio in questi casi -
continua il giudice nell’ordinanza - che «si manifestano i riflessi negativi e
costituzionalmente illegittimi della nuova disciplina delle responsabilità
civile dei magistrati introdotta con la legge del 27 febbraio 2015». La norma, è
la tesi che esce dal tribunale di Treviso, finisce «per incidere sul principio
del libero convincimento del giudice che, per essere indipendente, deve essere
libero di valutare le prove, senza temere conseguenze negative a seconda
dell’esito del suo giudizio». Invece la nuova disciplina «prevedendo come
possibile fonte di responsabilità civile anche la valutazione dei fatti e delle
prove, mina il cuore dell’attività giurisdizionale». Vettoruzzo dice di non
sentirsi «umanamente» sereno nel mettere nero su bianco la sentenza: «Per forze
di cose – spiega nell’ordinanza – se sa che la sua attività di valutazione potrà
comportargli una responsabilità civile per danni, il giudice sarà portato, quale
essere umano, ad assumere la decisione meno rischiosa che, nel processo penale,
è quasi sempre identificabile nell’assoluzione dell’imputato». Da qui i dubbi di
legittimità per alcuni passaggi della nuova legge, che prevede «di fatto» la
possibilità da parte dello Stato di rivalersi sul giudice che, «per dolo o per
colpa grave», nel corso del suo operato abbia danneggiato un cittadino. In
questo modo – sostiene il magistrato trevigiano - si finisce col ledere il
principio per cui «il giudice è soggetto soltanto alla legge». E per dimostrarlo
ricorda una sentenza emessa proprio della Consulta, secondo la quale «la
disciplina dell’attività del giudice deve essere tale da rendere quest’ultima
(…) libera da prevenzioni, timori, influenze che possano indurre il giudice a
decidere in modo diverso da quanto a lui dettano scienza e coscienza». Garantire
l’assenza di responsabilità personale del singolo magistrato è fondamentale,
secondo Vettoruzzo, che poi ribadisce a quale pericolo lo esponga questa legge:
«Se il giudice sa che la sua attività può comportare una responsabilità per
danni sarà portato, quale uomo, a preferire l’opzione meno rischiosa e ciò, in
particolare, nei processi più insidiosi ove, per ipotesi, la prova è indiziaria
o dove sono in gioco rilevanti interessi economici». Da qui la necessità di
«reintrodurre la clausola di salvaguardia nell’azione di rivalsa esercitata
dallo Stato nei confronti del magistrato». Inoltre il giudice di Treviso
ipotizza l’illegittimità della legge che ha abrogato ogni filtro alle richieste
di risarcimento: «Un controllo preliminare della non manifesta infondatezza
della domanda, portando a escludere azioni temerarie e intimidatorie, garantisce
la protezione dei valori di indipendenza e di autonomia della funzione
giurisdizionale». Infine, sarebbe incostituzionale anche il passo della legge
che prevede, in caso di rivalsa da parte dello Stato, che al magistrato venga
prelevato un terzo della paga mensile considerato che «per tutti gli altri
dipendenti pubblici la trattenuta non può superare il quinto dello stipendio».
"Me lo merito un Rolex?".
Ancora: “Vado a vedere un po’ di Rolex per Antonia”. E tre: “Vuoi prendere il
Daytona?” E quattro: “Ma un orologio, ti prego, prendilo tu”. E cinque: “Un
Nautilus mi piace molto di più”. E sei: “Mamma mia che bello, segna le fasi
lunari, il quadrante è blu, vero? Sono eccitato”. E sette: “Mi scoccia darle il
Royal Oak (un Piguet ndr)”. L’amministratore delegato di Rolex non si affligga,
ma il migliore testimonial della portabilità, dell’eccellenza e della qualità
dell’investimento da polso si chiama Antonio Lollo, 46 anni, nato e residente a
Latina, capelli lunghi, dall’aspetto ambivalente: preso da destra assomiglia al
cantante Gianluca Grignani, solo un po’ più pienotto, da sinistra è goccia
d’acqua di Marzullo, ma meno crepuscolare. Sportivo e perennemente coperto da
una selezione di aromi profumati, scia chimica che avanzava prima di lui e
segnava il suo passo. L’apparenza inganna però. Il dottor Lollo fino al 22 marzo
scorso è stato giudice della sezione fallimentare del Tribunale di Latina. Uomo
di diritto ma, come vedremo, soprattutto di rovescio. “Qua abbiamo mosso un
milione di euro, tra un cazzo e un altro”. Tra un orologio e un altro, un
braccialetto e un altro, un viaggetto e un altro, un fallimento e un altro,
Lollo e il suo complice, il commercialista Marco Viola, hanno raccolto un po’ di
quattrini. E hanno bisogno di spenderli: “A me frega solo dei soldi, e mia
moglie è della partita. Non mi sento affatto sporco”. Le cronache nazionali si
sono occupate con superbia di questo straordinario scandalo dell’agro pontino,
concedendogli pochi onori. Invece hanno sbagliato. Nell’agro pontino il caso
fatto giustamente registrare colonne umane alle edicole: “Abbiamo fatto un balzo
nelle vendite”, comunica entusiasta il direttore di Latina Oggi. E infatti
sembrano cronache marziane. Non già per la tipologia del reato commesso, ma per
le personalità coinvolte e soprattutto per i dialoghi che registrano come al
fondo non ci sia fondo. Mai. Il giudice arrestato, sua moglie arrestata, sua
suocera, già capo di gabinetto della Questura e presidente provinciale del
comitato Unicef (bambini di tutto il mondo, attenti al lupo!) arrestata. Deve
giustificare la presenza di 360 mila euro in contanti nella cassetta di
sicurezza. È stupefacente la narrazione che il giudice fa della sua opera di
delinquenza. E l’atteggiamento ossessivo verso l’acquisto degli orologi. Lui si
difende: “Pensi che se io avessi potuto mi andavo a comprare orologi?”. Parla
col complice e spiega che proprio non sa cosa combinare con i soldi che
acchiappa, imbosca, inguatta. Ha già la proprietà di case e auto e non può
derogare oltre nel codice etico. Quindi: orologi! Bisogna arraffare presto e
bene. Lui è il capobanda: “Il leader è il leader, la responsabilità è mia… loro
devono fa quel che dico io… con i colleghi me la vedo io”. Il giudice si fa
gangster e la legge diviene trappola per topi, il tribunale luogo dove si
scuciono soldi e si scuoiano anime. Un trattato perfetto di antropologia
criminale, un mix di gangsterismo di provincia, un unico sacro fuoco: li sordi!.
“Ho rischiato il culo fino a mò, che faccio me ne vado mò che devo raccoglie?
Rischio fino alla fine, no?”. Lollo intuiva di essere pedinato eppure insisteva
nell’agire da malfattore. “Ta ta ta. E pagano!”. Commovente il colloquio tra
moglie e marito. Lei: “Va bene così, fatti dà dodicimila euro e basta, su! Non
insiste, te rifai dopo”. Lui ascolta e decide di accogliere per il caso in
esame, piuttosto modesto nella sua entità economica, il consiglio alla prudenza:
solo dodicimila euro questa volta. Una tangentuzza piccola così. Cosa avesse in
testa questo giudice imbizzarrito sarà materia da psicologi del crimine e anche
tema di riflessione del Csm che purtroppo però non si occuperà del caso perchè
l’arrestato ha deciso di dimettersi dalla magistratura. Certo lui è un dandy.
Ama la bella, anzi bellissima vita. I viaggi. “Volevamo andare a maggio a
Londra, a giugno c’ho New York, a settembre Sardegna”. E ama soprattutto gli
orologi: i poliziotti lo pedinano fino a Roma, in via Cavour dove abitualmente
si approvvigiona. Rastrella ogni brand d’altura, memore che un Rolex vale nel
tempo “è moneta contante”. Può stare al polso o in una cassetta di sicurezza.
Chiuso e nascosto o lucente ed esibito. Vale soldi, non perde peso. Si distingue
tra gli altri. E conserva intatto il suo augusto segno di ricchezza. Certo,
all’uomo poi viene di fare “un tetris con orecchini e anello, o coi rubini. Mi
piacerebbe l’idea di un anello, di un diamante. E bracciali”. Oro che luccica
per la sua amata consorte. Del resto, “mica ci siamo comprati la villa
all’Eur?”. Già, si sono tenuti bassi. Questi soldi sono frutto dell’ingegno,
raccolti tra i fallimenti delle società che questa crisi ha fatto lievitare.
Quindi solo orologi, meravigliosi orologi. Con le fasi lunari e senza, col
quadrante blu o bianco, tondi o rettangolari. “Me lo merito un Rolex?”. Da: Il
Fatto Quotidiano 13 maggio 2015.
Altri giudici sapevano del sistema di
tangenti messo in piedi da Antonio Lollo nella sezione fallimentare del
Tribunale di Latina. A confermarlo lo stesso ex magistrato durante uno dei tre
interrogatori ai quali è stato sottoposto durante la sua detenzione tra il
carcere romano di Rebibbia e l’Ospedale Pertini. Lollo avrebbe vuotato il sacco
e fatto nomi e cognomi. Ma i verbali sono pieni di omissis e come al
solito nient’altro è trapelato né dagli inquirenti né dalla difesa. In una
elaborazione di un articolo de Il Fatto Quotidiano del 31 Dicembre 2013 apparsa
l’1 Gennaio 2014 sul sito malagiustiziainitalia.it, si parla di “Perizie
affidate a consulenti dall’ampio potere discrezionale e dai compensi
stratosferici, mazzette spartite anche con i giudici. Un crocevia affaristico in
cui è coinvolto il vertice dell’ufficio [quello di Roma]”, in riferimento alla
vicenda che ha visto coinvolta Chiara Schettini di cui abbiamo appena accennato.
La stessa Schettini, chiama in causa (è il caso di dire) anche la magistratura
umbra, passivamente prona ai desiderata di quella romana: insabbiare gli
esposti, far finta di nulla ed attendere che trascorrano i tempi era l’ordine da
eseguire. Sotto interrogatorio, la Schettini ha confessato al giudice (onesto e
che ringraziamo a nome di tutti i lettori e le lettrici di signoraggio.it): “Si
entrava in camera di consiglio e si diceva questo si fa fallire e questo no”.
Chi si esprime così non è un temibile boss della mala ma è sempre lei, il
veramente temibile giudice Schettini, lei sì appartenente al ramo pulito del
potere, proprio quello!!! Nella sua crassa arroganza venata di ottusa
prosaicità, ella ricorreva sovente ad uscite agghiaccianti, sfornando un gergo
truce da gangster matricolato. Intercettata telefonicamente mentre parlava col
curatore fallimentare Federico Di Lauro (anche lui in galera) minacciava di
farla pagare al suo ex compagno: “Guarda, gli ho detto, sono più mafiosa dei
mafiosi, ci metto niente a telefonare ai calabresi che prendono il treno, te
danno una corcata de botte e se ne vanno” (da Il Fatto, 8 Luglio 2013, R. Di
Giovacchino). Non finisce qui. Sempre questo giudice donna, in un’altra
intercettazione che ha lasciato di stucco gli inquirenti che l’hanno più e più
volte riascoltato il nastro, parlando con un ignoto interlocutore, minacciava il
“povero” Di Lauro in questi termini: “Io a Di Lauro l’avrei investito con la
macchina… Lui lavorava con la banda della Magliana”. Ciliegina sulla torta:
parlando al telefono con un perito del Tribunale, riferendosi all’insistenza di
un Avvocato che non aveva intenzione di piegarsi supinamente al comportamento
della Schettini, commentava: “Il suo amico Massimo ha chiesto la riapertura di
due procedimenti. Una rottura senza limiti. Gli dica di non insistere perché non
domani, né dopo domani ma fra 10 anni io lo ammazzo”. Alla faccia della
magistratura a cui tocca attenersi!
Pino Maniaci: “Vi spiego la mafia
dell’antimafia….”, scrive Laura
Bercioux per "Il sud online" il 28 maggio 2015. Laura Bercioux, conduttrice e
giornalista, si occupa di cronaca, di ambiente con un occhio speciale al sociale
e allo spettacolo. Ha collaborato con Telenorba, Stream Tele+Inn, Rai Tre, Rai
Uno. Ha lavorato a reportage televisivi per Rai Uno in "Ladri di Vento"-
Petrolio, inviata per la trasmissione di inchiesta di Telenorba "Patto per Il
Sud", ha condotto la trasmissione tv sociale per Telelibera 63 "SoS Campania",
ha condotto per Rai Tre con Fernando Balestra e Tosca D'Aquino "Cocktail" e
"Strano ma falso" di Fabrizio Mangoni, Francesco Durante. Collabora anche per La
Voce di New York. Nella Giornata della Legalità, l’inchiesta di Pino Maniaci,
giornalista siciliano di Tele Jato sui patrimoni sequestrati e gli
amministratori giudiziari, rimbalza sulle cronache dei giornali. Noi avevamo già
intervistato Maniaci sulla “Mafia dell’Antimafia” come lui stesso definisce gli
scandali della gestione dei beni sequestrati. Dove indaga Pino? Pino Maniaci
porta alla luce il malaffare della gestione dei beni sequestrati (a Palermo sono
gestiti quasi il 50% dei beni sequestrati in tutta Italia): società, aziende,
terreni, capitali immensi affidati a un pugno di prescelti amministratori
giudiziari, in barba ai 4000 iscritti all’albo che puntualmente si vedono
esclusi perché i 20 fortunati, e spesso in conflitto di interesse, hanno
un’esclusiva fuori legge. Come succede a Seminara Cappellano, amministratore
giudiziario di beni sequestrati, che acquista quote azionarie dei beni di
Massimo Ciancimino in Romania o, da gestore di albero gestisce alberghi
sequestrati. Maniaci descrive la storia nei dettagli, Seminara è sotto processo
ma continua a gestire questi beni. L’inchiesta giornalistica parte da un bene
sequestrato che è affidato da 7 anni dal Tribunale Sezione di Prevenzione sui
patrimoni sequestrati, secondo la legge Pio La Torre. Il sequestro deve
stabilire se la provenienza degli affari è illecita o meno, ci vogliono 3 anni
di giudizio e troppi per capire se il proprietario dei beni ha a che fare con la
mafia. Maniaci è sotto protezione dal 2008 per le sue inchieste e dichiara,
qualche giorno fa, a resapublica.it: “Ci sono casi di beni con anche 16 anni di
amministrazione giudiziaria. I danni che gli amministratori procurano al bene
che amministrano a volte sono devastanti e i loro compensi milionari. L’avvocato
Cappellano Seminara, in un solo incarico ha guadagnato 7 Milioni di euro”. La
mafia dell’antimafia, dunque, scatena polemiche dopo il sevizio andato in onda
alle Iene, a distanza di tre giorni dal servizio televisivo, i servizi segreti
avvertono che la d.ssa Saguto è “a rischio attentato per la sua attività”. Ci
sono troppi dubbi e punti di domanda, sentite cosa dichiara Pino Maniaci a
resapubblica.it: “Uno dei casi più eclatanti è quello del patrimonio dei Rappa
sottoposto a sequestro. Il patrimonio era stato sequestrato a Ciccio Rappa, ma
da allora a adesso sono trascorsi decenni e ancora non si sa se e quale parte
dell’immenso patrimonio che si stima in 800 milioni di euro, sia da confiscare.
Nel frattempo, scopriamo che la d.ssa Saguto ha nominato amministratore
giudiziario un giovane avvocato, Walter Virga, che è figlio di Vincenzo Virga,
giudice componente del Csm”. Pino parla di un giro devastante di comportamenti
al limite della legalità negli affidamenti o deontologicamente poco corretti.
“Finora non è arrivata nessuna querela da parte di nessuno – racconta Maniaci -,
nonostante le gravi accuse alla Saguto e al marito che lavora nello studio
dell’avvocato Cappellano Seminara, cioè l’amministratore giudiziario che
amministra un numero considerevole di beni posti sotto sequestro. Al Csm c’era
una richiesta di un provvedimento disciplinare nei confronti della Saguto,
riguardo proprio alle procedure di nomina dell’amministratore giudiziario di una
discarica in Romania, che appartiene al patrimonio di Massimo Ciancimino, e
affidata al solito Cappellano Seminara. Ma il giudice Vincenzo Virga, componente
del Csm e responsabile dei provvedimenti disciplinari nei confronti dei
magistrati, archivia la richiesta e 15 giorni dopo il figlio diventata
amministratore giudiziario dell’impero dei Rappa. A me pare un comportamento
deontologicamente poco corretto”. La d.ssa Saguto è adesso nel mirino della
ritorsione mafiosa e Pino manifesta la sua solidarietà ma anche le sue
perplessità per una nota dei servizi pubblicata 3 giorni dopo il servizio delle
Iene. “A me – dice Maniaci – l’accostamento tra la Saguto e Falcone sembra
deprecabile. Noi puntiamo il dito sulle attività della sezione misure di
Prevenzione del Tribunale diretto dalla Saguto da un pò di tempo ma nessuno ci
ha mai querelato, mi chiedo perché. Ci sono tantissime associazioni che hanno
scoperto l’antimafia per guadagnare e fare soldi, e l’antimafia dovrebbe fare
parecchia introspezione dentro se stessa. Io posso dire che l’emittente Telejato
rischia sempre di chiudere per mancanza di fondi. La nostra antimafia è gratis.
Io vado in giro per l’Italia senza prendere un euro. Anzi, io non faccio
antimafia. Io considero un errore avere istituzionalizzato l’antimafia. Con il
Capo dello Stato antimafia, il Presidente del Senato antimafia, il politico
antimafia. A me da fastidio questa distinzione, perché l’antimafia e il rispetto
della legalità dovrebbero essere nel cuore di ogni cittadino onesto. A volte la
legalità è usata a proprio uso e consumo. Noi facciamo un lavoro giornalistico.
Denunciamo l’illegalità secondo la lezione di Pippo Fava. Una buona informazione
incide, corregge diventa determinante per un territorio. Diventa punto di
riferimento per chi non ha voce. Senza infingimenti politici e distinzioni tra
destra e sinistra. La merda può essere a destra ma a sinistra non si scherza
nemmeno e va pestata tutta”. Maniaci non si arrende e continua a battagliare, a
raccontare, i magistrati gli sono accanto e dice “C’è una sottoscrizione su
change.org, che ha già raggiunto 40.000 firme. Abbiamo chiesto al Csm di essere
ascoltati in merito ai comportamenti deontologici della d.ssa Saguto ma nessuno
vuole ascoltare e nessuno ci querela. Quello che noi abbiamo detto è soggetto a
un grave reato, vilipendio a corpo dello Stato. É previsto anche l’arresto
immediato per questo. Ma io sono ancora a piede libero. Io sono stato ascoltato
dai magistrati di Caltanissetta, perché c’è una loro inchiesta sulle misure di
prevenzione del Tribunale di Palermo che non ha ancora prodotto risultati. Mi
chiedo che fine abbia fatto quell’inchiesta”. Nella Giornata di Falcone, se ne
parla tra i colleghi, fuori dall’Aula Bunker di questa brutta storia, sembra che
una certa “antimafia” si beffi di quei morti, di quelle persone che, per
combatterla ci hanno rimesso la vita. Intervista a Fabio Nuccio – Giornalista
Mediaset.
Il super-Pm sbotta:
«Giudici, ora basta»,
scrive l'11 maggio 2015 Piero Sansonetti su “Il Garantista”. Lo sapete tutti che
nei manuali di giornalismo c’è scritto che una notizia è notizia quando l’uomo
morde il cane, e non viceversa. Beh, stavolta è ancora più notizia: è il
magistrato che morde il magistrato. Cosa mai vista, finora. E il magistrato in
questione non è un tizio qualunque, ma è il Procuratore di Torino Armando
Spataro, anni 67, carriera lunghissima, sempre impegnato in indagini molto
delicate, prima la lotta al terrorismo di sinistra, nei primi anni ottanta, poi
l’antimafia. Spataro è un’icona di coloro che amano i Pm. Duro, rigoroso,
burbero, cattivo, non sorride mai. Uno sceriffo. E uno che parla chiaro, non si
nasconde, te le grida in faccia. A occhio non è proprio il tipo del magistrato
garantista. Ed è difficile trovare qualche sua frase di simpatia per i
garantisti. Beh, ieri Spataro è andato a parlare nella tana del nemico, e cioè a
un convegno organizzato dalla camere penali del Piemonte, e ha pronunciato una
requisitoria delle sue, ma stavolta contro i suoi colleghi. Spataro ha tuonato
contro i magistrati protagonisti, i magistrati presunti “eroi”, i magistrati
moralisti, i magistrati maestri di storia, i magistrati faziosi, i magistrati
narcisi eccetera eccetera. Ha messo nel mirino (senza mai nominarli) Ilda
Boccassini, Vittorio Teresi, Antonio Ingroia, Antonio Di Pietro (ma anche
Borelli, D’Ambrosio e Colombo) forse anche Pignatone, sicuramente, e con
durezza, il ministro Alfano. E poi ha disintegrato l’immagine dei giornalisti
giudiziari, accusandoli di pigrizia e scarsa professionalità (ma anche un po’ di
servilismo…). Ha pronunciato un discorso simile agli articoli che su questo
giornale scrive Tiziana Maiolo…I casi sono due. O prendiamo questo sfogo di
Armando Spataro come una boutade (o come semplice espressione della lotta
interna tra le correnti della magistratura); oppure lo prendiamo sul serio ed
esaminiamo una a una le cose che lui ha detto e immaginiamo che forse si è
arrivati – nella vicenda del potere sempre più grande in mano alla magistratura
– a quel punto di rottura che provoca reazioni, discussioni, dubbi, e che forse
può portare a una inversione di tendenza. Speriamo. Naturalmente è chiaro che
alcuni degli attacchi di Spataro possono essere effettivamente letti all’interno
della lotta tra correnti della magistratura. Spataro ce l’ha sempre avuta con
“Magistratura Democratica” e oggi gli tira un po’ di frecce avvelenate. Così
come è noto che Spataro non ha mai amato la Boccassini, che addirittura una
volta fece pedinare degli indagati sui quali stava indagando, appunto, Spataro,
che la prese molto male. Ed è anche noto che Spataro non ama il ministro Alfano
e perciò – come vedrete – lo espone a impietosi paragoni con ministri
dell’Interno del passato (Virginio Rognoni, in particolare) e lo maltratta in
tutti i modi. Detto ciò, vediamo quali sono i sassolini che Spataro si toglie
dalla scarpa. Trascrivendo pari pari le frasi che ha pronunciato a Torini, senza
cambiare una virgola. «E’ una fortuna che sia finita l’era di mani pulite e
l’era di Di Pietro. Rammento i giornalisti a frotte dietro i pubblici ministeri
nei corridoi, e devo dire che alla fine qualche collega era più convinto
dell’importanza della notizia in prima pagina che non dell’esito del
processo…«Badate che non sto contestando il diritto e il dovere del magistrato
di intervenire nel dibattito civile. E’ giusto che intervenga. Senza però dare
alcun segnale di dipendenza o vicinanza politica…«Vi faccio qualche esempio di
protagonismo non virtuoso: c’è un magistrato che a Palermo, dopo aver letto una
sentenza che disattendeva le sue conclusioni, disse che se lui fosse stato un
professore avrebbe dato quattro meno al giudice che aveva fatto quella sentenza
(e qui si riferisce al dottor Vittorio Teresi, coordinatore del pool
antimafia della Procura di Palermo, il quale pronunciò quella frase infelice
commentando la sentenza del processo Mori, ndr); poi c’è chi ha detto che il
Csm avrebbe dovuto valutare, al fine di designare il nuovo procuratore capo di
Palermo, il grado di condivisione dei candidati con l’impostazione del processo
sulla trattativa Stato mafia (e qui si riferisce ancora a Teresi, ma anche a
Ingroia e più in generale a tutti i Pm che fanno capo all’ex Procuratore di
Palermo De Matteo, ndr). Mi sembra una impostazione inaccettabile». «Poi c’è
il caso di quei pubblici ministeri che a distanza di 20 anni dall’inizio dei
processi di mafia al Nord, dicono: “Finalmente arrivo io e indago sulle
infiltrazioni di mafia al Nord”, oppure che continuamente fanno riferimenti a
entità esterne, ai poteri forti…Il vizio più pesante della magistratura è la
tendenza a porsi come moralisti, come storici, cioè pensare che tocca ai
magistrati moralizzare la società e ricostruire un pezzo di storia». «Non
sopporto più i colleghi che si propongono come gli unici eroi che lottano per il
bene, mentre tutto attorno c’è male, e loro sono una sorta di Giovanna D’Arco, e
sono alla continua denuncia dell’isolamento nel quale si trovano. Ma
l’isolamento del magistrato non ha niente di eccezionale, è una condizione
tipica del nostro lavoro. Non sopporto quelli che vanno in piazza per
raccogliere firme di solidarietà». «Se si dovesse fare una riforma della
Costituzione, vorrei che fosse inserita una norma che prevede l’indipendenza
della stampa dal potere politico. Anni fa feci un viaggio negli Stati Uniti e
chiesi al Procuratore federale di Chicago come facessero a mantenere
l’indipendenza visto che sono nominati dal presidente degli Stati Uniti. Lui mi
rispose: «Ma qui c’è la stampa», alludendo al ruolo della stampa e alla sua
assoluta indipendenza. In Italia invece abbiamo degenerazioni di ogni tipo:
magistrati che sfruttano il processo famoso per curare la propria icona,
avvocati che tendono a trasferire il processo in Tv per auto-promuoversi,
giornalisti che non cercano riscontri ma inseguono misteri, e ministri che
inseguono slogan e telecamere. «Quando arrestammo Mario Moretti, il capo delle
Br, non potrò mai scordarmi che mi telefonò l’allora ministro dell’Interno (Virginio
Rognoni ). Avevo 31 anni, mi emozionai (in verità ne aveva 33…anche lui
bada un po’ alla sua immagine e si cala l’età…peccato veniale…, ndr). Il
ministro mi chiamò per dirmi: “lei sa quanto è importante per noi diffondere la
notizia dell’arresto di Moretti, ma deve essere lei a dirmi che posso farlo,
perché prima vengono le indagini”. Oggi avviene esattamente il contrario:
notizie di operazioni contro il terrorismo internazionale vengono diffuse prima
ancora che si realizzino, abbiamo notizie che vengono riprese senza alcun potere
critico da parte della stampa, ad esempio quella sui terroristi che arrivano sui
barconi dei migranti in Sicilia. Veicolare questa informazione interessa alla
politica: possibile che non ci sia nessun giornalista che scriva che questa cosa
non sta né in cielo né in terra?…» Questa è la sintesi del discorso di Spataro.
Non mi è mai capitato di parlare bene di Spataro…Però questi suoi ragionamenti,
se fossero ripresi da qualche altro Pm, potrebbero essere un punto di partenza
per una discussione seria, no? Del resto sono convinto che la possibilità di
fermare l’aggressività politica della magistratura (e del patto di ferro tra
magistratura e giornalismo), oggi esiste solo se la critica parte dall’interno
della magistratura.
Processi veloci? Meglio processi giusti,
scrive Vincenzo Vitale su “Il Garantista”. Il presidente della Repubblica
Mattarella, nell’ambito della sua visita al Consiglio Superiore della
Magistratura, ha fatto un intervento, affermando una cosa giusta e una
sbagliata. Quella giusta e sacrosanta è che il Csm non può riformarsi da solo,
perché invece occorre necessariamente che sia il legislatore ad intervenire
soprattutto in tema di elezioni e di funzionamento della sezione disciplinare.
Ed infatti, è proprio così. Se ci cono aspetti che davvero debbono essere
riformati sono di sicuro il sistema elettorale attuale che alimenta a dismisura
il sistema correntizio all’interno del Csm e quello della giustizia disciplinare
che lascia troppo a desiderare, mostrando una cedevolezza eccessiva: le sentenze
che affermano una responsabilità di un magistrato sono infatti assai rare e
sempre assai miti, rispetto ai fatti accaduti e contestati. La cosa invece
sbagliata che il capo dello Stato ha affermato è che la gente preme sempre di
più e sempre di più si aspetta processi veloci. Ora, è ben vero che in Italia i
processi hanno una durata biblica e che siamo per questo lo zimbello del mondo
civile, ma lo siamo ancor di più perché il tasso di giustizia presente all’esito
del processo si mostra pericolosamente ridotto e comunque precario. Insomma,
fare i processi in modo più veloce è certo un bene, ma non è il bene principale:
il bene principale è che dai processi scaturisca con una certa probabilità che
sia ragionevole una decisione riconoscibile socialmente come giusta. Ciò
purtroppo in Italia accade con una frequenza troppo bassa e per questo si
avverte come un diffuso senso di disagio serpeggiare fra tutti coloro che per
professione o per necessità son costretti a fare i conti con l’amministrazione
della giustizia italiana. Non parliamo poi di cosa pensano all’estero di quanto
accade nei nostri Tribunali, soprattutto in casi che hanno fatto molto rumore
presso la stampa e l’opinione pubblica, come quelli di Adriano Sofri o di
Raffaele Sollecito ed Amanda Knox. In casi del genere, i corrispondenti esteri
sono stati costretti ad assistere allibiti alla celebrazione di sei, sette o più
procedimenti penali che ogni volta ribaltavano la decisione già assunta: chi,
per il Tribunale era innocente, per la Corte d’Appello era invece colpevole, per
la Cassazione di nuovo innocente e poi da capo in una girandola di sentenze che
si annullavano, si confermavano, si riformavano una dopo l’altra in un
tragicomico gioco dell’oca. Alla fine, nessuno ci capisce più nulla e sarebbe
molto più serio e rispettoso, anche della dignità delle persone coinvolte,
lasciar perdere tutto e rinunciare ad ogni ulteriore prosecuzione. Ne viene che,
per ogni evidenza, se i processi son troppo lunghi, spesso è perché son fatti
male, in modo tale cioè da esigere gradi su gradi di giudizio, con tanti saluti
alla giustizia della sentenza. Non mi stancherò di ripeterlo, seguendo Seneca:
«cito scribendo non fit ut bene scribatur, bene scribendo fit ut cito». Vale a
dire: chi scrive in fretta scriverà male, chi scrive bene scriverà in
fretta. Sarebbe allora il caso allora che i nostri governanti ci pensassero un
poco come si deve, per adottare provvedimenti destinati non a far presto i
processi ma a farli bene, meglio di quanto siano fatti oggi. Anche perché, come
sappiamo, farli bene – cioè capaci di rendere giustizia – equivale a farli in
fretta. Assai più di oggi.
In galera per 22 anni da innocente: Gulotta
racconta la sua storia, scrive Francesco Lo Dico su “Il Garantista”. Era il 7
novembre 2014, quando “Il Garantista” vi aveva raccontato insieme all’avvocato
Baldassarre Lauria, il più grande caso di ingiustizia dal dopoguerra a oggi.
Protagonista di quella storia era Giuseppe Gulotta, un galantuomo di Alcamo
finito dietro le sbarre appena diciottenne nel 1976, che ha speso 36 anni della
sua vita tra galera e tribunale pur essendo innocente. Accusato dell’omicidio di
due carabinieri, di aver fatto un blitz nella casermetta di Alcamo, Gulotta si
rivelò molti anni dopo al centro di una sporca macchinazione di Stato che lo
vide torturato e incriminato per nascondere l’indifendibile: un omicidio di
Stato, voluto da Gladio e servizi deviati, che trovò in Giuseppe il perfetto
capro espiatorio grazie a una confessione, estorta con la tortura, che lo
costrinse a dichiararsi colpevole. Dopo qualche anno di silenzio, dopo vani
tentativi di ottenere giustizia per i ventidue anni di carcere scontati da
innocente, Giuseppe Gulotta ha deciso di raccontare la sua incredibile storia in
“Alkamar” (il nome della piccola caserma di Alcamo che gli cambiò per sempre la
vita), libro verità che ha scritto per ChiareLettere, e che presenterà il 10
giugno alle 19 e 30 presso “La luna ribelle” di Reggio Calabria assieme al
giornalista Nicola Biondo. All’evento, ideato e realizzato dalla Fondazione
“Giuseppe Marino” e introdotto da Daniela Bonazinga, saranno presenti anche
Antonio Marino, presidente Fondazione “Giuseppe Marino”, Giuseppe Falcomatà,
Sindaco di Reggio Calabria, Giovanni Muraca, Assessore comunale alla Legalità,
Pardo Cellini e Baldassarre Lauria, avvocati, e suoi difensori. La data scelta
per l’uscita del libro non è casuale. Proprio il 10 giugno, al tribunale di
Reggio Calabria, si terrà difatti l’udienza relativa alla causa civile per il
deposito delle perizie che verificheranno gli eventuali danni esistenziali,
morali, biologici e patrimoniali subiti da Giuseppe Gulotta. Per comprendere di
che tenore sarà il racconto di questo uomo mite, che pure non riesce a esprimere
nemmeno un’ombra di rancore verso i suoi carnefici, ma soltanto rammarico per il
figlio che non è riuscito a crescere, basti riandare con la memoria al racconto
del suo legale Lauria. Che bene raccontò al nostro giornale, sulla base della
confessione dell’ex brigadiere Olino, uomo meritevole che lasciò la divisa dopo
gli orrori vissuti, come andarono le cose. «Gulotta, Ferrantelli e Santangelo
vennero arrestati nella notte del 12 febbraio – ricorda Lauria – e brutalmente
torturati e picchiati. Smisero di fare loro del male soltanto quando si
autoaccusarono della strage di Alcamo. Tutto accadde in assenza dei loro
difensori. C’era anche un allora giovane magistrato della Procura di Trapani,
che assistette a quell’orrore senza farne denuncia. Non ebbe il coraggio di
firmare i verbali. Lo chiameremo a rispondere di quella condotta». «Giuseppe
Gulotta – prosegue l’avvocato – fu arrestato e riempito di botte per una notte
intera. Fu preso a calci, gonfiato di pugni, gli puntarono le pistole alla
tempia, gli presero a calci i genitali. Bevve acqua salata. Smisero di farlo a
pezzi soltanto quando ebbero ciò che volevano: la confessione di essere stato il
responsabile dell’eccidio in caserma». Il perché di tutta questa barbarie, giova
ancora una volta ricordarlo. Ed ha a che fare con “Alkamar”, la casermetta in
cui prestavano servizio due carabinieri sbagliati. Pochi giorni prima avevano
fermato un camioncino che dovevano fingere di ignorare. Era carico d’armi
destinate alla mafia. Armi di cui lo Stato sapeva negli anni sporchi di gladio.
Leonardo Messina riferì alla Dia nel 99 che ad Alcamo, proprio negli anni
dell’eccidio, era stato programmato un attacco a varie sedi delle istituzioni.
Era giunto un contrordine, ma ormai il pasticcio era fatto. Trucidare i due
uomini di Stato impiccioni, per lo Stato deviante non fu per nulla complicato.
Le uniche complicazioni le ebbe Gulotta. Oggi finalmente Giuseppe può raccontare
la sua storia. Da uomo libero. Da uomo distrutto che però non ha perso fiducia
nelle istituzioni. Ce lo ha raccontato l’avvocato Lauria: «Dice che ha un solo
rammarico, Giuseppe. Dice che quando finì in carcere aveva un bimbo di un anno e
mezzo. Gli sarebbe piaciuto accompagnarlo a scuola. Almeno un giorno. Un giorno
solo della sua vita».
Gulotta è da considerare un impresentabile?
Il Codice Chiaromonte,
scrive Finemondo di Marco Damilano su “L’Espresso”. «Non possiamo affidare
all'arma dei carabinieri o alle questure il compito di preparare elenchi di
uomini politici e di amministratori sui quali gravono sospetti non provati, o a
volte soltanto dicerie di vario tipo». Così parlava il presidente della
Commissione parlamentare Antimafia illustrando alla stampa la nuova iniziativa
della commissione per arginare l'infiltrazioni delle cosche criminali nelle
liste elettorali. Un codice di autoregolamentazione sottoscritto da tutti i
partiti, in cui le forze politiche si impegnavano a escludere dalle candidature
quei nomi per cui fosse stato emesso decreto che disponeva il giudizio, o che
presentati o citati a comparire in udienza per il giudizio...In questi giorni
l'iniziativa della commissione parlamentare Antimafia presieduta da Rosy Bindi
di stilare una lista di cosiddetti impresentabili alla vigilia del voto
regionale è stata definita in vari modi. «Sul piano umano volgare, sul piano
politico infame, sul piano costituzionale eversiva», ha tuonato a notte fonda di
fronte alla direzione del Pd il neo-presidente della Campania Vincenzo De Luca,
il più illustre degli impresentabili. Parole accolte con l'applauso dei
dirigenti del Pd, in linea del resto con quanto dichiarato nei giorni scorsi dai
principali esponenti del partito. Contro De Luca? No, contro la Bindi. Si è
detto: lista di proscrizione (Orfini), lista che lede i diritti costituzionali
(Serracchiani), lista personale (Guerini, Carbone). E anche, ma da altro
pulpito, più prestigioso e autorevole, il presidente dell'Anti-corruzione
Raffaele Cantone: «quella lista è un errore grave. Non spetta all'antimafia fare
liste, ma studiare il fenomeno mafioso». Eppure la lista Bindi non è un caso
senza precedenti. Perché già in passato la commissione Antimafia provò a
prendere un'iniziativa identica per modalità, tempistica e reazioni dei politici
coinvolti. Di diverso c'era l'epoca: il 1991-92, il tramonto della Prima
Repubblica. E la figura del presidente dell'Antimafia: il comunista Gerardo
Chiaromonte, amico di Giorgio Napolitano e di Emanuele Macaluso, lontano anni
luce da pulsioni giustizialiste e anzi severo critico nelle fasi successive
degli eccessi di Mani Pulite. Un comunista di destra, garantista e prudente, se
vogliamo dire così l'opposto per carattere e origine di Rosy Bindi, passionale
cattolica di sinistra. Eppure il garantista Chiaromonte segue lo stesso percorso
della Bindi e sarà oggetto di attacchi simili sul piano personale da parte dei
vertici del suo partito, il Pds appena nato sulle ceneri del Pci. Il codice fa
il suo esordio in vista delle elezioni regionali in Sicilia del giugno 1991. C'è
ancora la Dc del 40 per cento nell'isola, Salvo Lima è potente europarlamentare,
il partito sul piano nazionale è fortissimo, Andreotti regna a Palazzo Chigi con
il Caf (Craxi Andreotti Forlani). «Il codice è uno strumento di selezione del
personale politico e amministrativo e inverte un processo di degenerazione che
non si può regolare altrimenti, perché le esclusioni per legge sono contrarie
allo stato di diritto», spiega Chiaromonte. Una libera scelta della politica,
chiamata a vigilare con più forza su se stessa, non una violazione della
presunzione di innocenza. Anche in quel caso inizialmente i partiti sono o
fingono di essere entusiasti: «Un tassello di grande importanza nella lotta alle
deviazioni. Si interviene sulla candidabilità non attraverso una legge, ma un
patto politico che può semplificare, in qualche caso, anche il problema delle
nomine», si spertica in lodi il presidente della regione Sicilia, il dc Rino
Nicolosi. I guai arrivano, naturalmente, quando dalle parole si passa ai fatti,
cioè ai nomi. Per le regionali siciliane (stravinte dalla Dc) la commissione
decide di pubblicare le conclusioni sulle liste a elezioni svolte, tre mesi
dopo, senza dare i nomi ma soltanto il numero dei candidati che partito per
partito hanno violato il codice: cinque deputati dell'assemblea regionale
siciliana (Dc, Pds, Psi, Psdi e Msi-dn) sono stati candidati fuori dalle regole.
«Abbiamo inviato i nominativi segnalatici ai segretari dei partiti. Rinnoviamo
loro l'invito ad assumere le iniziative più opportune per una riforma
sostanziale del modo di far politica e amministrazione soprattutto, ma non solo,
nel mezzogiorno». A rispondere, a sorpresa, è il segretario del partito di
Chiaromonte, Achille Occhetto, inferocito per l'inserimento nella lista di
alcuni candidati del Pds: «La Commissione fornisca elementi di fatto più
documentati di quelli indicati». Passa qualche mese e arrivano le elezioni
politiche del 1992. Elezioni decisive: le prime con la preferenza unica, segnate
dall'arresto a Milano del socialista Mario Chiesa e dall'omicidio a Palermo del
dc andreottiano Salvo Lima. L'Antimafia decide di fare un passo avanti. «Per
lottare contro la mafia, non solo Cesare, ma anche la moglie di Cesare deve
essere al di sopra di ogni sospetto», dice il garantista Chiaromonte. «Il nostro
invito a tutti i partiti e ai movimenti che presenteranno candidature nella
imminente consultazione elettorale, è quello di applicare con puntualità e
rigore le norme esistenti e di onorare l'adesione data al codice di
autoregolamentazione suggerito dalla commissione Antimafia». La domenica
elettorale è il 5 aprile 1992. Nella settimana del voto (esattamente com'è
succeduto per la Commissione Bindi), il 31 marzo, l'Antimafia pubblica la lista
dei nomi «che dimostrano come da parte della maggioranza dei partiti non sia
stata data un'interpretazione rigorosa dell'impegno a non presentare candidati
che pur non essendo stati rinviati a giudizio hanno pendenze giudiziarie in
corso». I nomi sono 33: 8 per il Msi, 6 per il Psdi, 4 per Psi, Pli e Lega, uno
per Dc, Rifondazione Comunista, Pri, Verdi, Verdi Federalisti, Lega delle Leghe
e Lista Civica di Taranto (ovvero Giancarlo Cito). Il primo in elenco è il
missino Massimo Abbateangelo, condannato in primo grado all'ergastolo per banda
armata, l'ultimo è il liberale Gianluigi Zelli, condannato per ricettazione e
per detenzione e spaccio di droga. Il giorno dopo infuriano le polemiche.
«L'Antimafia ha svolto un lavoro fazioso utilizzato da 'giornali e telegiornali
per gettare in abbondanza fango sul Msi-Dn, presenteremo querele per
diffamazione», reagisce il portavoce del partito, Francesco Storace. Un paio di
nomi vengono depennati perché non rientrano nei requisiti indicati. E
l'Antimafia viene lasciata sola. «La decisione di procedere alla pubblicazione
prima delle elezioni era stata assunta dalla commissione in una seduta a
gennaio, era universalmente nota e noi eravamo tenuti a rispettarla. Per la
pubblicazione dei nomi ci siamo attenuti a un criterio assai rigoroso, facendo
riferimento soltanto a persone condannate o rinviate a giudizio. Non possiamo
esercitare noi una qualsiasi valutazione sull'entità dei reati per i quali erano
state emanate condanne o decisi rinvii a giudizio», si difende Chiaromonte
usando quasi le stesse parole utilizzate oggi dalla Bindi. È il 2 aprile 1992.
Chiaromonte morirà un anno dopo, il 7 aprile 1993. La legislatura che comincia
nell'indifferenza dei partiti per l'inquinamento delle liste eleggerà il
Parlamento di Tangentopoli e delle stragi di mafia, Falcone, Borsellino, le
bombe del 1993, i parlamentari siciliani rinchiusi a Roma con la paura di essere
uccisi. De Luca era un comunista campano, immaginiamo devoto di Chiaromonte.
Oggi il Pd lo applaude e isola Rosy Bindi, nessuno ha sentito il bisogno di
chiederle scusa. E forse stasera in commissione Antimafia ci sarà un inedito
processo, con la presidente nelle vesti dell'imputata e un pezzo di Pd sui
banchi dell'accusa. Eppure, a distanza di anni, è lecito chiedersi chi è in
continuità con la storia politica della sinistra e con quella istituzionale
dell'Antimafia che fu di Gerardo Chiaromonte: Rosy Bindi o Vincenzo De Luca?
E l'ex procuratore disse: "Basta con la
gogna". Piero Tony, per 45 anni
magistrato (e dichiaratamente di sinistra), scrive un libro che è un durissimo
j’accuse contro il populismo giudiziario, scrive Maurizio Tortorella su
“Panorama”. «Non ce la facevo più. Non potevo andare avanti in un mondo divenuto
surreale, dove ogni giorno vedevo cose che non avrei mai voluto vedere. Così nel
luglio 2014 ho preferito andarmene, a 73 anni, due in anticipo sulla pensione. E
ora lancio questo tricche-tracche, un mortaretto in piccionaia». Sorride, Piero
Tony. Ma non è un sorriso rassicurante. Per 45 anni magistrato, da ultimo
procuratore della Repubblica a Prato, Tony ha appena pubblicato un libro, Io
non posso tacere (Einaudi, 125 pagine, 16 euro) e non è affatto un
mortaretto: anzi, è una bomba atomica. Che in nome di un ineccepibile garantismo
devasta, spiana, annienta tutte le parole d’ordine del populismo giudiziario. È
tanto più potente, la bomba, in quanto a lanciarla è un serissimo,
autorevolissimo ex procuratore che per di più è stato a volte definito «uomo di
sinistra estrema»: per intenderci, uno che nei primi anni Ottanta s’è iscritto a
Magistratura democratica e non ne è mai uscito.
Qualche frase del
libro?
«È
ovvio che molti magistrati giochino spesso con i giornalisti amici per
amplificare gli effetti del processo: purtroppo, quando un pm è politicizzato,
può utilizzare questo strumento in maniera anomala. Funziona così, negarlo
sarebbe ipocrisia».
Ancora?
«Con
la Legge Severino la politica ha delegato all’autorità giudiziaria il compito,
anche retroattivamente, di decidere chi è candidabile e chi no a un’elezione».
Continuiamo? «L’obbligatorietà dell’azione penale è una simpatica barzelletta».
Non vi basta? «Spesso si sceglie di mandare in gattabuia qualcuno, evitando
altre misure cautelari, per far sì che paghi comunque e a prescindere».
Dottor Tony, lei lo
sa che non gliela perdoneranno, vero?
«Il
libro è intenzionalmente provocatorio. Perché vorrei sollecitare la discussione
su una situazione che con tanti altri ritengo insostenibile, ma di cui si parla
solo in certe paraconventicole. Nei miei 45 anni di professione ho visto una
giustizia che è andata sempre più peggiorando: mi riferisco ai frequenti eccessi
di custodia cautelare, ai rapporti troppo familiari tra alcuni pm e i mass
media, e alla conseguente gogna, sempre più diffusa e intollerabile».
Lo sa che rischia
attacchi feroci, vero?
«Amo
troppo la magistratura per avere paura di rischiare. E poi, qualcuno deve pur
dirlo che non è accettabile quella parte della giustizia che opera
disinvoltamente rinvii di anni; che spiffera ai quattro venti le
intercettazioni; che pubblica atti e carte in barba a tutti i divieti; che
lancia inchieste fini a se stesse, che partono in quarta per poi sgonfiarsi; che
anticipa le pene con misure cautelari «mediatizzate»».
Lei scrive che le
correnti sono come partiti, e che «nel Csm si fa carriera soprattutto per meriti
politici». Ma si rende conto di quel che rischia?
«Certo
che me ne rendo conto, ma è così: le correnti oggi non sono lontane dalla
compromissione politica. Sarebbe molto meglio che i membri togati del Csm
fossero scelti per sorteggio. Qui ormai si fa carriera quasi solo con
l’appartenenza, con criteri di parte. Io non riesco a criticare chi sostiene che
con una magistratura così esista il rischio che le sentenze abbiano una venatura
politica. Ed è un dramma, negarlo sarebbe follia».
Lo dice lei, per
una vita iscritto a Magistratura democratica?
«Nei
primi anni Ottanta, almeno lì dentro, si respirava garantismo. Ahimé durò poco:
oggi non faccio fatica a dire, purtroppo, che il garantismo è estraneo anche a
Md. Perché garantismo e sospetti non sono compatibili. E nemmeno Md sa
rinunciare al sospetto».
Il sospetto: è il
tema tipico del concorso esterno in associazione mafiosa. Lei ne scrive che è
«uno degli obbrobri del nostro sistema giudiziario».
«Peggio.
Non è nel nostro sistema normativo: e fino a quando non interverrà il
legislatore, come auspicato da tutti, è un vero mostro giuridico. Sono sicuro
che se invece che a Zara fossi nato a Napoli, dove da giovane vissi per qualche
anno, avrei corso il rischio di finire in una foto con un criminale. Ma un po’
per dolo, un po’ per sciatteria, in certe Procure c’è chi si accontenta di
qualche prova anche rarefatta per accusare e per avviare un processo».
La Corte di
Strasburgo ha da poco stabilito che Bruno Contrada fu condannato indebitamente
per concorso esterno. Che ne dice?
«Non
ho letto gli atti del suo processo, ma è notorio che negli anni Cinquanta e
Sessanta il capo di una Squadra mobile aveva rapporti ambigui, spesso
pericolosamente diretti e negoziatori, con la criminalità: rapporti che non di
rado si prestavano a essere, quantomeno formalmente, d’interesse penale. Oggi
Strasburgo ci fa fare un passo avanti nella civiltà giuridica: s’invoca il
principio della irretroattività, nessuno può essere condannato per fatti
compiuti prima che siano considerati reato. In questo caso, visto che il reato
colpevolmente non è mai stato tipizzato dal legislatore, si dice che Contrada
non poteva essere condannato per fatti compiuti prima che la Cassazione avesse
stabilito bene che cosa fosse il concorso esterno, nel 1994».
Passiamo alle
intercettazioni?
«Temo
che restrizioni della nostra privacy saranno sempre più necessarie: non se ne
può fare a meno, in una società atomizzata e nel contempo globalizzata. Ma è
l’applicazione mediatica delle intercettazioni che in Italia è vergognosa, così
come leggere sui giornali la frase di due intercettati che dicono, per esempio:
«Il tal sottosegretario ha strane abitudini sessuali». E quello non c’entra
nulla con le indagini. È ciò che io chiamo «il bignè»».
Il bignè?
«Ma
sì: l’ottimo bignè con la crema, regalato da certi pm ai giornalisti. E più sono
i bignè offerti, più saranno i titoli sui giornali: quindi l’inchiesta sarà
apprezzata dall’opinione pubblica, il pm diventerà famoso e l’indagato, o
chiunque sia coinvolto, verrà seppellito dal fango. Non si può vivere in questo
modo. La dignità umana è un diritto fondamentale, forse il primo».
Ha visto che ora
alcuni suoi colleghi, da Edmondo Bruti Liberati a Giuseppe Pignatone, propongono
una «stretta» nell’utilizzo delle intercettazioni?
«È
sempre inutile aumentare le pene, visto che si delinque con la convinzione di
farla franca, e vista anche la diffusa mancanza d’effettività della pena».
Qual è la sua
soluzione, allora?
«Quando
arrivai a Prato, nel 2006, prescrissi, anzi pregai i miei sostituti di fare un
«riassunto» delle intercettazioni per qualsiasi richiesta di provvedimento,
evitando ogni inserimento testuale delle trascrizioni. È il riassunto la
soluzione: così i terzi indebitamente coinvolti restano automaticamente
protetti, e nessuno, per restare all’esempio, conoscerà mai le «strane abitudini
sessuali» del sottosegretario. Il fatto è che così il pm dovrebbe fare più
fatica. Quindi preferisce il maledetto taglia-e-incolla. A parte i miei
sostituti pratesi, ovviamente… E troppo spesso il taglia-e-incolla si trasforma
in un ferro incandescente».
Ma è soltanto
sciatteria?
«In
genere sì. Solo le mele marce lo fanno con intenti sanzionatori o per motivi
loro, che nulla hanno a che fare con la Giustizia, quella con la g maiuscola».
Cambierà qualcosa
con la nuova responsabilità civile dei magistrati?
«La
levata di scudi della categoria contro la riforma, in febbraio, è stata penosa.
Sostenere che ora tutti i magistrati avranno paura d’incorrere in decurtazioni
di stipendio, e per questo non lavoreranno più come una volta, è assurdo.
Paralizzante sarebbe quindi il pericolo di una riduzione dello stipendio, e non
piuttosto quello di danneggiare illegalmente un indagato, per dolo o per colpa
grave? Ma di che cosa parlano?»
Che cosa si
aspetta, ora che il suo libro è uscito?
«Spero
che se ne discuta serenamente. Temo una sola cosa: l’incatalogabilità».
Cioè?
«Purtroppo,
prima di elaborare un giudizio, sempre più ci si chiede: ma è un discorso di
destra o di sinistra? E quello che ho scritto sicuramente non è allineato, anzi
è eretico da qualsiasi parte lo si guardi. Ecco, in molti potrebbero avere paura
di dare un giudizio perché, da destra come da sinistra, non riusciranno a
catalogarmi. Io mi sono sempre ritenuto, e sono sempre stato ritenuto, di
sinistra; anzi, sono praticamente «certificato» come tale. Questo non
m’impedisce di pensare tutto quel che ho scritto, che è poi alla base delle
garanzie della persona, dell’individuo. E non sono il solo».
Resta il fatto che
il «populismo giudiziario», che lei avversa, oggi stia soprattutto a sinistra. O
no?
«È
di destra o di sinistra pensare che nessuna ragione al mondo può giustificare il
sacrificio di diritti fondamentali di una persona, se non nei limiti stabiliti
dalla legge democratica? È per questo che chi crede davvero nella civiltà
giuridica non può accettare le troppe disfunzioni della giustizia italiana. Ed è
per questo che io non potevo più tacere».
Soro, Garante della
privacy: «Stop ai processi mediatici, ne va della vita delle persone»,
scrive Errico
Novi su “Il Garantista”. C’è una parola che Antonello Soro non si stanca di
ripetere: «Dignità». A un certo punto tocca chiedergli: presidente, ma com’è
possibile che non riusciamo a tenercela stretta, la dignità? Che abbiamo ridotto
il processo penale a un rodeo in cui la persona è continuamente sbalzata per
aria? E lui, che presiede l’Autorità garante della Privacy, può rispondere solo
in un modo: siete pregati di scendere dalla giostra. La giostra del processo
mediatico, s’intende. «È una degenerazione del sistema che può essere fermata in
un modo: se ciascuna delle parti, stampa, magistrati, avvocati, evita di dare
un’interpretazione un po’ radicale delle proprie funzioni. C’è un nuovo
integralismo, attorno al processo, da cui bisogna affrancarsi. Anche perché la
giustizia propriamente intesa si fonda sulla presunzione d’innocenza. Quella
mediatica ha come stella polare la presunzione di colpevolezza».
Senta presidente
Soro, ma non è che il processo mediatico è una droga di cui non possiamo più
fare a meno, magari anche per alleviare i disagi di una condizione generale del
Paese ancora non del tutto risollevata?
«Non
credo che per spiegare le esasperazioni dell’incrocio tra media e giustizia sia
necessario arrivare a una lettura del genere. Siamo in una fase, che ormai dura
da molto, in cui prevale un nuovo integralismo, anche rispetto alla preminenza
che ciascuno attribuisce al proprio ruolo. Succede in tutti gli ambiti, compreso
quello giudiziario. Ciascuna delle parti si mostra poco disponibile ad
affrontare le criticità del fenomeno che chiamiamo processo mediatico».
Be’, lei descrive
una tendenza che brutalmente potremmo definire isteria forcaiola.
«È
il risultato di atteggiamenti – che pure non rappresentano la norma –
sviluppatisi tra i giornalisti e anche tra i magistrati, persino tra gli
avvocati. Ciascuna di queste componenti finisce in alcuni casi per deformare la
propria missione. Il tema è sicuramente complesso, io mi permetto sempre di
suggerire che si lascino da parte i toni ultimativi, quando si affronta la
questione. Lo sforzo che va fatto è proprio quello di trattenersi dall’esaltare
la propria indispensabile funzione. Esaltare la propria si traduce fatalmente
nel trascurare la funzione degli altri».
È una situazione di
squilibrio in cui parecchi sembrano trovarsi a loro agio, tanto da difenderla. È
il caso delle intercettazioni.
«Nessuna
persona ragionevole può mettere in discussione l’utilità delle intercettazioni e
il diritto dei cittadini all’informazione. Due elementi di rango differente ma
ugualmente imprescindibili. Nessuno pensa di rinunciare né alle intercettazioni
né all’informazione. Si tratta di valutare con il giusto spirito critico la
funzione di entrambe».
E non dovrebbe
volerci uno sforzo così grande, no?
«No.
Però cosa abbiamo davanti? Paginate intere di intercettazioni, avvisi di
garanzia anticipati ai giornali, interrogatori di indagati in stato detentivo di
cui apprendiamo integralmente il contenuto, immagini di imputati in manette,
processi che sembrano celebrarsi sui giornali più che nelle aule giudiziarie. E
in più c’è una variabile moltiplicatrice».
Quale?
«La
rete. E’ un tema tutt’altro che secondario. La diffusione in rete delle
informazioni e della produzione giornalistica non è neppure specificamente
disciplinata dal codice deontologico dei giornalisti, che risale al 1998, quando
il peso oggi acquisito dal web non era ancora stimabile».
Qual è l’aspetto
più pericoloso, da questo punto di vista?
«Basta
riflettere su una differenza, quella tra archivi cartacei e risorse della rete.
Su quest’ultima la notizia diviene eterna, non ha limiti temporali, ha la forza
di produrre condizionamenti irreparabili nella vita delle persone».
La gogna della rete
costituisce insomma un fine pena mai a prescindere da come finisce un processo.
«È
uno degli aspetti che contribuiscono a rendere molto complesso il fenomeno dei
processi mediatici. Tutto può essere riequilibrato, ma ora vedo scarsa
attenzione per tutto quanto riguardi il bilanciamento tra i diritti fondamentali
in gioco. Un bilanciamento che invece ritengo indispensabile quando riguarda la
dignità delle persone».
È un principio di
civiltà così elementare, presidente, che il fatto stesso di doverlo invocare fa
venire i brividi. Di paura.
«Nel
nostro sistema giuridico anche chi è condannato deve veder riconosciuta la
propria dignità. Basterebbe recuperare questo principio. Che nella nostra
Costituzione è centrale. Una comunità che rinuncia a questo presidio di civiltà
ha qualche problema».
Com’è possibile che
abbiamo rinunciato?
«Ripeto:
stiamo dicendo per caso che dobbiamo eliminare l’uso delle tecnologie più
sofisticate nelle indagini? No. Si pretende di negare il diritto
all’informazione? Neppure. Si dovrebbe solo coniugare questi aspetti con la
dignità delle persone, anche con riguardo alla loro vita privata. La privacy non
è un lusso. Il fondamento della privacy è sempre la dignità della persona».
Se si prova a
toccare le intercettazioni parte subito la retorica del bavaglio.
«Al
giudice, in una prima fase, spetta la decisione sull’acquisizione delle
intercettazioni rilevanti ai fini del procedimento, mentre al giornalista
spetta, in seconda battuta, la scelta di quelle da pubblicare perché di
interesse pubblico. Non è detto che il giornalista debba pubblicare tutti gli
atti che ha raccolto compresi quelli irrilevanti ai fini del processo».
Spesso quelli
irrilevanti sul piano penale sono i più succosi da servire al lettore.
«Guardi,
è plausibile che alcune intercettazioni contengano elementi utili per la
ricostruzione dei fatti penalmente rilevanti anche se non riguardano la persona
indagata. Può avere senso che elementi del genere vengano resi pubblici. Ma
altri che non hanno utilità ai fini del processo andrebbero vagliati con
particolare rigore in funzione di un vero interesse pubblico. Prescinderei dai
singoli episodi. Ma ricorderei due princìpi abbastanza trascurati. Da una parte,
la conoscenza anche di un dettaglio della vita privata di un personaggio che
riveste funzioni pubbliche può essere opportuna, se quel fatto rischia di
condizionarne l’esercizio della funzione. È giusto che il cittadino conosca cose
del genere».
Ad esempio, il
fatto che Berlusconi ospitasse a casa sua molte giovani donne, alcune delle
quali erano prostitute e lui neppure lo sapeva.
«Sì,
però poi i dettagli sulle attività erotiche di un leader politico, tanto per
dire, possono alimentare curiosità, ma è difficile riconoscerne il senso, in
termini di diritto all’informazione. In altre parole: può essere utile sapere
che quel leader, in momenti in cui esercita la propria funzione pubblica, compie
atti che, ad esempio, lo espongono al ricatto; ma riportare atti giudiziari che
entrano morbosamente nel dettaglio, diciamo così, va al di là di
quell’informazione utile di cui sopra. A meno che non riferiscano comportamenti
che costituiscono reato».
Negli ultimi anni
l’inopportunità di certe divulgazioni spesso è emersa quand’era troppo tardi.
«E
in proposito mi preoccupa ancor di più il dramma vissuto da privati cittadini
casualmente intercettati ed esposti a una gogna molto pesante. E la gogna
mediatica è una pena inappellabile, a prescindere da come finisce in tribunale.
Ho segnalato più volte la situazione del cittadino Massimo Bossetti. Nel suo
caso sono stati divulgati i dati genetici di tutta famiglia, i comportamenti del
figlio minore e di tutti familiari, fino al filmato dell’arresto, all’ audio
dell’interrogatorio e al colloquio con la moglie in carcere: tutto questo
contrasta la legge sul diritto alla riservatezza. Che rappresenta una garanzia
per i cittadini e che però viene travolta da una furia iconoclasta, funzionale
al processo mediatico. Nel processo propriamente inteso vige la presunzione di
innocenza, in quello mediatico si impone la presunzione di colpevolezza».
Come se ne esce?
«Tutti,
magistrati, giornalisti, avvocati, cittadini, debbono cercare il punto di
equilibrio più alto. E smetterla di pensare che qualche diritto debba essere
cancellato. Anche perché oltre alla dignità delle persone è in gioco anche la
terzietà del giudice».
Cosa intende?
«Chi
siede in una Corte viene ‘inondato’ da una valanga di informazioni dei media che
finiscono per costruire un senso comune. In un ordinamento in cui esistono anche
i giudici popolari c’è il rischio che questi non formino la loro convinzione in
base alla lettura degli atti ma in base al processo mediatico, che ha deciso la
condanna molto tempo prima, e non nella sede dovuta. Intercettazioni, atti e
immagini divulgati dai media, non solo costituiscono uno stigma perenne per la
persona, ma rischiano di condizionare anche l’esercizio della giurisdizione in
condizioni di terzietà».
Ma non è che i
magistrati alla fine spingono il processo mediatico perché pensano di acquisire
in quel modo maggiore consenso?
«Guardi,
quando un singolo magistrato ricerca il consenso può casomai far calare un po’
il consenso dell’intera magistratura. E questo lo hanno affermato negli ultimi
tempi autorevoli magistrati, che hanno usato parole molto eloquenti nel
criticare gli abusi di singoli colleghi. Mi riferisco in particolare al
procuratore capo di Torino Armando Spataro quando dice che durante Mani pulite,
per esempio, alcuni magistrati sembravano più preoccupati della formazione della
notizia da prima pagina che della conclusione del processo. Ecco, la
legittimazione che ha il magistrato viene messa in discussione proprio da quei
comportamenti impropri. La ricerca del consenso non è propria della funzione del
magistrato. Chi ha da decidere della giustizia ha un compito che da solo
gratifica e impegna la vita. Io ho una grandissima considerazione di questo
compito e credo vada preservato».
Nordio agita i
colleghi in toga: "Niente multe, via i pm scarsi".
Il procuratore di Venezia critica la scelta del governo sulla responsabilità
civile: "Inutile, paga l'assicurazione", scrive Anna Maria Greco su “Il
Giornale”. I magistrati hanno una gran fretta: per denunciare davanti alla
Consulta l'incostituzionalità della legge sulla responsabilità civile, varata
solo a febbraio, non hanno aspettato che un cittadino chiedesse i danni a uno di
loro. Hanno giocato d'anticipo. Per il giudice civile Massimo Vaccari del
tribunale di Verona basta il timore di un giudizio di responsabilità per
condizionare l'autonomia e l'indipendenza della toga, ledere i suoi diritti e
privarla della necessaria serenità nel suo lavoro. Così, il 12 maggio ha inviato
alla Corte costituzionale 17 pagine di ricorso, che sostengono contrasti con
diversi articoli della Carta. La notizia arriva proprio mentre il Matteo Renzi
ricorda su Twitter l'anniversario della morte di Enzo Tortora, sottolineando che
da allora, e grazie a lui, le cose sono cambiate. «Ventisette anni dopo la morte
di Tortora - scrive il premier-, abbiamo la legge sulla responsabilità civile
dei giudici e una normativa diversa sulla custodia cautelare #lavoltabuona».
Nella stessa giornata e proprio partendo dal tempestivo ricorso del giudice
veronese, su Il Messaggero il procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio firma
un editoriale che certo non farà piacere ai suoi colleghi. Basta il titolo: «Il
magistrato che sbaglia va rimosso più che multato». Mentre le toghe, con l'Anm
in testa, protestano aspramente per la legge, minacciano lo sciopero e si
organizzano perché la Consulta la faccia a pezzi, Nordio sostiene dunque che le
nuove norme sono troppo deboli e non risolvono i problemi, cioè le cause degli
errori giudiziari: dall'«irresponsabile potere dei pm» a quello dei giudici di
«riprocessare e condannare un cittadino assolto», con una «catena di sentenze».
Il magistrato accusa governo e Parlamento di aver «risposto in modo emotivo»
alle richieste dell'opinione pubblica, puntando sull'«effetto intimidatorio
delle sanzioni, privilegiando peraltro quelle pecuniarie». Così, per Nordio,
hanno fatto «una scelta inutile, perché ci penserà l'assicurazione; e
irragionevole, perché la toga inetta o ignorante non va multata, va destituita».
Denunciando davanti all'Alta corte, sostiene il pm, «la parte più ambigua della
legge, quella che consente, o pare consentire, di far causa allo Stato prima che
la causa sia definitivamente conclusa», paralizzando i processi, se ne otterrà
forse una parziale abrogazione. E «i magistrati impreparati o inetti tireranno
un sospiro di sollievo». Vedremo se andrà proprio così. Intanto, il ricorso a
bocce ferme del giudice veronese deve superare il giudizio di ammissibilità.
Vaccari cita un precedente simile contro la legge del 1989, ma non è affatto
detto che riesca nel suo intento. I magistrati, però, si sono organizzati da un
pezzo per ricorsi singoli o collettivi e, se questo verrà bloccato, di certo
alla Consulta ne arriveranno molti altri. L'ultima parola sarà anche stavolta
dei giudici costituzionali.
Anche se sembra non siamo un popolo di
disonesti. Facciamo di tutto per
dimostrare di essere i peggiori, ma in altri Paesi la corruzione non è inferiore
a quella presente da noi, scrive Piero Ostellino su "Il Giornale". Siamo il
popolo più disonesto al mondo? Certamente non lo siamo, anche se – a giudicare
dalle cronache quotidiane - facciamo di tutto per dimostrarlo. In altri Paesi la
corruzione non è inferiore a quella presente da noi. Ma è, come si suol dire, il
contesto quello che, da noi, conta, cioè il ruolo che la politica svolge anche
nel campo dell'economia e delle transazioni di mercato. Il fatto è che, da noi,
l'intermediazione politica occupa un posto di preminenza rispetto a quello che
altrove occupa il mercato. E dove la politica ha a che fare con i soldi è
pressoché inevitabile che qualcuno ne approfitti, perché la politica non va
tanto per il sottile quando si tratta di conquistare consenso e il consenso è
spesso strettamente associato ai quattrini di cui si può disporre. La regola
politica è questa. Più quattrini hai da spendere, maggiore è il consenso che
puoi ottenere. Se, poi, i quattrini non sono neppure i tuoi, ma di coloro i
quali li usano e li spendono in funzione dei loro interessi politici, allora,
l'equazione «politica e quattrini uguale corruzione» funzionerà alla perfezione.
Le cronache parlano molto degli scandali collegati a tale uso dei quattrini,
peraltro senza spiegarne le ragioni, ma non è un problema che preoccupi il mondo
della politica perché in gioco non è l'onestà personale dei politici, che non
interessa nessuno, ma la natura strutturale del nostro sistema. Non abbiamo la
classe politica più corrotta al mondo; abbiamo solo la classe politica più
esposta alle tentazioni. E, come è noto, sono le occasioni che fanno l'uomo
ladro. Come ho detto, quando l'intermediazione politica prevale sulle logiche
del mercato e che qualcuno, sul versante politico, ne approfitti è nella logica
delle cose. Questa è anche la ragione per la quale tutti i governi che si sono
ripromessi di riformare il Paese e i suo sistema politico non ce l'hanno fatta.
Non ce l'ha fatta Berlusconi; non ce la fa Renzi malgrado predichi ogni giorno
l'intenzione di cambiare l'Italia. Da mesi andavo scrivendo che l'immigrazione
si era trasformata nell'«industria dell'immigrazione» in quanto l'arrivo di
migliaia di immigrati era diventata l'occasione, per la politica, di utilizzare
i quattrini stanziati per l'accoglienza dei nuovi arrivati a proprio esclusivo
beneficio e delle proprie organizzazioni sociali. Sembrava una mia fissazione.
Invece, gli scandali scoppiati in successione ai margini del fenomeno hanno
confermato che non si è ancora regolamentata l'immigrazione perché non conviene
a chi ci fa sopra dei guadagni più o meno leciti. Lasciamo perdere gli scafisti
– che sono dei veri e propri criminali – e chiediamoci se la solidarietà di
certi ambienti cattolici e di sinistra non sia pelosa: gli immigrati sono
manodopera a basso costo che le cooperative che prosperano attorno al mondo
cattolico e della sinistra hanno finora utilizzato impedendo qualsiasi tentativo
di regolamentarne l'arrivo. È perfettamente inutile approvare marchingegni
burocratici che dovrebbero impedire la suddetta speculazione. Prima o poi
diventano essi stessi occasione di corruzione perché dove è possibile evitare
monitoraggi e controlli è pressoché certo che la politica troverà il modo di
eluderli. Finora è quello che è accaduto ed è probabile che l'andazzo non cambi.
Potrebbe esserci qualche speranza di cambiamento se i media facessero il loro
mestiere di cani da guardia del potere politico e, perché no, anche di quello
economico. Se la proprietà, o il controllo, dei media serve da moneta di scambio
con la politica per goderne del sostegno, è evidente che la politica prevarrà
sempre a dispetto delle migliori intenzioni perché eludere monitoraggi e
controlli conviene a troppa gente. Non è col moralismo a basso prezzo che si
moralizza il Paese, bensì con riforme che ne mutino radicalmente la struttura,
eliminando l'eccesso di intermediazione politica. Ma toglietevi dalla testa che
Renzi le faccia. Continuerà a prometterle, senza farle. La furba retorica del
presidente del Consiglio ha incominciato a deludere gli italiani, anche quelli
che gli credevano, e il consenso di cui ha goduto sta calando. C'è anche
un'altra regola che presiede a quest'ultimo fenomeno: non si possono imbrogliare
tutti e sempre.
"Il popolo italiano
odia lo Stato ma non può farne a meno,
scrive Eugenio Scalfari su “La Repubblica”. Più passa il tempo e più la
corruzione aumenta, invadendo non soltanto le istituzioni locali e nazionali ma
l'anima delle persone, quale che sia la loro collocazione sociale. Si chiama
malavita o malgoverno o malaffare, ma meglio sarebbe dire malanimo: le persone
pensano soltanto a se stesse e tutt'al più alla loro stretta famiglia. Il loro
prossimo non va al di là di quella. Non pensiate che il fenomeno corruttivo sia
un fatto esclusivamente italiano ed esclusivamente moderno: c'è dovunque e c'è
sempre stato. Naturalmente ne varia l'intensità da persona a persona, da secolo
a secolo e tra i diversi ceti sociali. Ma l'intensità deriva soprattutto dal
censo: la corruzione dei ricchi opera su cifre notevolmente più cospicue, quella
dei meno abbienti si esercita sugli spiccioli, ma comunque c'è ed è
proporzionata al reddito: per un ricco corrompersi per ventimila euro non vale
la pena, per un cittadino con reddito da diecimila euro all'anno farsi
corrompere per cinquecento euro è già un discreto affare. Il tutto avviene in
vario modo: appalti, racket, commercio di stupefacenti, di prostituzione, di
voti elettorali, di agevolazioni di pubblici servizi, di emigranti. Può sembrare
un controsenso ma sta di fatto che il corruttore ha bisogno di una società in
cui operare e più vasta è meglio è. La corruzione non consente né l'isolamento
né l'anarchia e la ragione è evidente: essa ha bisogno come scopo comune in
tutte le sue forme di una società con le sue regole e i poteri che legalmente la
amministrano. La corruzione ha la mira di aiutare alla conquista del potere e
all'evasione delle regole o alla loro utilizzazione a vantaggio di alcuni e a
danno di altri. Le famiglie (si chiamano così) mafiose, le clientele, gli
interessi corporativi, dispongono di un potere capace di infiltrarsi. Ed è un
potere che trova nei regimi di democrazia ampi varchi se si tratta di democrazie
fragili e di istituzioni quasi sempre infiltrate dai corruttori. Questa
fragilità democratica va combattuta perché è il malanno principale del quale la
democrazia soffre. Essa dovrebbe esser portatrice degli ideali di Patria, di
onestà, di libertà, di eguaglianza; ma è inevitabilmente terreno di lotta tra il
malaffare e il buongoverno. Non c'è un finale a quella lotta: continua e durerà
fino a quando durerà la nostra specie. Il bene e il male, il potere e l'amore,
la pace e la guerra sono sentimenti in eterno conflitto e ciascuno di loro
contiene un tasso elevato di corruzione. La storia ne fornisce eloquenti
testimonianze, quella italiana in particolare e la ragione è facile da
comprendere: una notevole massa di italiani non ama lo Stato ma desidera che ci
sia. Aggiungo: non ama neppure che l'Europa divenga uno Stato federato, ma vuole
che l'Europa ci sia. È assai singolare questo modo di ragionare, ma basta
leggere o rileggere i testi di Dante e Petrarca, di Machiavelli e Guicciardini,
di Mazzini e di Cavour. Hanno dedicato a diagnosticare questi valori e disvalori
e le terapie che ciascuno di loro ha indicato e praticato per comprendere a
fondo che cos'è il nostro Paese e soprattutto che cosa pensa e come si comporta
la gran parte del nostro popolo.
Dante e Petrarca
(più il primo che il secondo) conobbero la lotta politica dei Comuni. L'autore
della Divina Commedia fu in un certo senso il primo padre della Patria, una
Patria però letteraria, cui insegnare un linguaggio che non fosse più un
dialetto del latino ma una lingua nazionale e la poesia dello "stilnovo" già
anticipata dal Guinizzelli e dai siciliani ma creata da lui e dal suo fraterno
amico Guido Cavalcanti. La loro Italia non aveva alcuna forma politica, salvo
alcuni Comuni con una visione soltanto locale. Dante fu guelfo e ghibellino;
alla fine fu esiliato da Firenze, ramingo nell'Italia del Nord, e ancora giovane
morì a Ravenna. Che cosa fossero gli italiani non lo seppe e non gli importava.
In realtà a quell'epoca non c'era un popolo ma soltanto plebi contadine o
nascenti borghesie comunali la cui politica era quella delle città difese da
mura per impedire ai nobili del contado e alle compagnie di ventura di
invaderle. Ma due secoli dopo la situazione era notevolmente cambiata e la più
approfondita diagnosi la fecero Machiavelli e Guicciardini, fiorentini ambedue.
Repubblicano il primo, esiliato per molti anni a San Casciano; mediceo il
secondo, uomo di corte, ambasciatore, ministro ai tempi del Magnifico, di papa
Leone X e di papa Clemente VII, anch'essi rampolli di casa Medici. La diagnosi
di quei due studiosi fu analoga: il popolo non aveva mai pensato all'Italia, era
governato e dominato da una borghesia mercantile, specialmente nelle regioni del
Centro- Nord, capace di inventare strumenti monetari e bancari che dettero
grande impulso dal commercio di tutta Europa, ma privi di amor di Patria. Le
passioni politiche sì, quelle c'erano e la corruzione sì, c'era anche quella, ma
l'Italia non esisteva mentre nel resto d'Europa gli Stati unitari erano già
sorti: in Spagna, Francia, Inghilterra, Olanda, Svezia, Polonia, Austria,
Brandeburgo, Sassonia, Westfalia, Ungheria e le città marinare, quelle tedesche
nel Baltico e in Italia Venezia, Genova, Pisa. Il popolo mercantile in Italia
c'era, era accorto e colto e condivideva il potere congiurando o appoggiando i
Signori laddove esistevano le Signorie; ma gran parte d'Italia era già dominio
degli aragonesi o dei francesi o degli austriaci. Il Papa a sua volta aveva un
regno che si estendeva in quasi tutta l'Italia centrale salvo la Toscana ed era
dominato da alcune grandi famiglie come i Colonna, gli Orsini, i Borgia, i
Farnese. Ma il resto degli abitanti dello Stivale erano plebe, servi della
gleba, analfabeti, con una cultura contadina che aveva ferree regole di
maschilismo, di violenza, di pugnale. La diagnosi di Machiavelli e di
Guicciardini non differiva da questa realtà. Anzi la mise in luce con grande
chiarezza. Machiavelli però sperava in un Principe che conquistasse il centro
d'Italia e sapesse e volesse fondare uno Stato con la forza delle armi, le
congiure, le armate dei capitani di ventura e i matrimoni di convenienza tra le
famiglie regnanti. Guicciardini faceva più o meno la stessa diagnosi ma la
terapia differiva, le speranze di Machiavelli d'avere prima o poi un'Italia come
Stato, naturalmente governato da un padrone assoluto come erano i tempi di
allora; quel Principe, chiunque fosse, avrebbe dovuto dare all'Italia un rango
in Europa e trasformare le plebi in popolo consapevole e collaboratore.
Guicciardini viceversa coincideva nella diagnosi ma differiva profondamente
nella terapia. Riteneva auspicabile la fondazione d'uno Stato sovrano che
abbracciasse gran parte dell'Italia, salvo quella dominata da potenze straniere
che sarebbe stato assai difficile espellere. Ma sperare che gli italiani
diventassero da plebe un popolo con il sentimento della Patria nell'animo lo
escludeva nel modo più totale. Bisognava secondo lui governare il Paese
utilizzando la plebe e questa era la sua conclusione. Passarono due secoli da
allora ed ebbe inizio ai primi dell'Ottocento il movimento risorgimentale con
tre protagonisti molto diversi tra loro: Mazzini, Cavour, Garibaldi. Ci furono
alti e bassi in quel movimento e tre guerre denominate dell'indipendenza e
guidate da Cavour con una diplomazia e una comprensione della realtà che
difficilmente si trova nella storia moderna. Mazzini era un personaggio molto
diverso: voleva la repubblica e voleva che nascesse dal basso. La sua era una
forma di socialismo che aveva come strumento le insurrezioni popolari. Non
insurrezioni di massa, non erano concepibili all'epoca; ma insurrezioni di
qualche centinaio di persone se non addirittura qualche decina, che cercavano di
sollevare la plebe contadina sperando che i suoi disagi la muovessero a
combattere per una situazione migliore. Così non avvenne e le insurrezioni
mazziniane non sortirono alcun effetto se non quello di allevare una classe di
giovani intellettuali, studenti, docenti, che concepivano la Patria come il
maestro aveva indicato. Quasi tutti erano settentrionali di nascita e fu molto
singolare che questo drappello di italiani dedicati soprattutto a scuotere le
classi meridionali venisse quasi tutto da Milano, da Bergamo, da Brescia, da
Genova. Così furono a suo tempo i mille che mossero da Quarto verso Calatafimi.
Garibaldi era una via di mezzo molto realistica e molto demiurgica tra Mazzini e
Cavour. Era repubblicano come Mazzini ma disponile a trattare con la monarchia
quando bisognava compiere un'impresa che richiedesse molte risorse umane e
finanziarie. Questa fu l'impresa dei Mille da cui nacque poi lo Stato italiano.
La corruzione certamente non c'era in quei giovani intellettuali e combattenti
ma era già ampiamente diffusa in una società che aveva pochi capitali e doveva
utilizzare nel proprio interesse quelli che il nuovo stato metteva a
disposizione e che forti imprese bancarie e manifatturiere straniere investirono
sulla nascita dell'Italia e della sua economia. Portarono con sé, questi
capitali, una corruzione moderna che è quella che conosciamo ma che allora ebbe
il suo inizio nelle ferrovie che furono costruite per unificare il territorio,
nell'industria dell'elettricità e in quella dell'acciaio e della meccanica.
Emigrazione da un lato, corruzione dall'altro, queste furono le due maggiori
realtà italiane tra gli ultimi vent'anni dell'Ottocento e la guerra del 1915 che
aprì una fase del tutto nuova nel Paese. Non voglio qui ripetere ciò che ho già
scritto in altre occasioni ma mi limito a ricordare che Benito Mussolini fu uno
degli esempi tipici del fenomeno italiano. Personalmente era onesto, aveva tutto
e quindi non aveva bisogno di niente; ma i suoi gerarchi erano in gran parte
corrotti e lui lo sapeva ma non interveniva perché quella corruzione a lui nota
gli dava ancor più potere, li teneva in pugno e li manovrava come il burattinaio
fa muovere i burattini. Disse più volte che senza la dittatura l'Italia non
sarebbe stata governabile e che governare il nostro Paese era impossibile e
comunque inutile.
Una Repubblica
fondata sulla trattativa.
Gli accordi tra Stato e criminalità vanno avanti da due secoli. Così i padrini
si sono visti riconoscere la loro forza. Che ora si è spostata nell’economia,
scrive Giancarlo De Cataldo su "L'Espresso". Ci sono in molti paesi delle
fratellanze, specie di sette che diconsi partiti, senza riunione, senz’altro
legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente, là un
arciprete. Una cassa comune sovviene ai bisogni, ora di far esonerare un
funzionario, ora di proteggerlo, ora di conquistarlo, ora d’incolpare un
innocente. Il popolo è venuto a convenzione coi rei”. Così scriveva, nel 1838,
don Pietro Ulloa, Procuratore borbonico di Trapani. E Leonardo Sciascia poteva
annotare, sconsolato, oltre cent’anni dopo: “Leggeremo mai negli archivi della
commissione parlamentare antimafia attualmente in funzione, una relazione acuta
e spregiudicata come questa?”. Se il popolo sia “venuto a convenzione coi rei”,
e per mezzo di alcuni dei suoi più alti rappresentanti, lo stabiliranno i
giudici di Palermo, chiamati ad accertare se vi fu, fra il ’92 e il ’93, una
“trattativa” fra mafia e Stato, e se furono commessi dei reati. Ma la verità
giudiziaria è un conto, quella storica un altro, e non sempre le due verità
coincidono. I giudici sono obbligati ad attenersi agli atti, gli storici non
conoscono questo limite. La Storia è una grande risorsa, non foss’altro perché
quasi sempre, per comprendere il presente, è doveroso guardare al passato. E il
passato - a partire da don Pietro Ulloa - ci insegna che, sin dagli albori dello
Stato unitario fra settori dei pubblici poteri e organizzazioni criminali si
instaurarono accordi occulti e inconfessabili. “Patti scellerati”, li definisce
lo storico francese Jacques de Saint Victor. Non ne furono immuni i sovrani
assolutisti prima dell’Unità, i governanti che succedettero a Cavour,
appartenessero alla Destra o alla Sinistra storiche, e nemmeno qualche
rivoluzionario. Si avvalsero della “collaborazione” delle mafie coloro che
intendevano mantenere l’ordine e quanti auspicavano il cambiamento. E sempre,
costantemente, si potrebbe dire ossessivamente, costoro furono combattuti,
troppo spesso senza successo, da leali servitori dello Stato che, oltre a
fronteggiare il nemico dichiarato, dovevano guardarsi le spalle da quello
interno. Il termine mafia compare per la prima volta in un documento ufficiale
nella relazione redatta nel 1865 dal prefetto (orvietano) di Palermo, Filippo
Antonio Gualterio. “I liberali del 1848, i Borboni nella restaurazione, i
garibaldini nel 1860, ebbero tutti la necessità medesima, si macchiarono tutti
della istessa colpa”. Si legarono alla trista associazione malandrinesca,
determinando un legame indissolubile fra mafia e potere (o contro-potere)
politico. Gualterio lascia intendere che, infine, le cose dovranno cambiare,
grazie al nuovo governo: del quale egli, ovviamente, fa parte. Per Gualterio,
“mafioso” è chi si oppone al nuovo ordine, sia egli garibaldino, repubblicano,
nostalgico dei Borboni o autenticamente criminale. E le sue parole, per un verso
nobilmente allarmate, per un altro ambigue, sono l’ennesima rappresentazione di
un’altra costante del rapporto fra mafie e poteri in Italia: ciò che potremmo
definire “il buon uso della mafia”. È una partita che Gualterio ha giocato in
prima persona quand’era patriota, con la stessa spregiudicatezza di tutti gli
altri attori. Le bande di bonache e picciotti che scortano Garibaldi nella
trionfale impresa dei Mille sono, a un tempo, squadre a protezione dei
latifondisti improvvisamente convertiti al nuovo che avanza, aggregazioni
para-mafiose ma anche espressione di un sogno sociale di riscatto, quasi
rivoluzionario, che presto le fucilazioni sommarie di Nino Bixio e dei
piemontesi trasformeranno in incubo. Negli stessi giorni, a Napoli, mentre il
regime borbonico si sfarina, il ministro liberale Liborio Romano promuove la
camorra a Guardia Civica: per evitare disordini, dirà lui, e c’è da credergli.
Ma sta di fatto che Garibaldi, a Napoli, è accolto da una folla festante in cui
si mescolano allegramente democratici e tagliagole. La mossa di Romano sancisce,
ancora una volta, il ruolo “politico” del crimine organizzato e la necessità, da
parte dei pubblici poteri, di trovare un accordo. A proposito dei rapporti fra
politica e mafie nell’Italia postunitaria, c’è un paragrafo impressionante nella
“Storia della Mafia” di Salvatore Lupo: “Il partito governativo non escludeva il
delitto politico e il ricorso ad una sorta di strategia della tensione (...) con
la finalità di favorire la divisione della sinistra criminalizzandone l’ala
estrema e conquistando a una collaborazione subalterna il gruppo che
privilegiava la difesa delle conquiste risorgimentali dai pericoli reazionari”.
E per conseguire questo obbiettivo si agita lo spettro di congiure inesistenti,
oppure se ne impiantano di autentiche grazie al ricorso a spregiudicati agenti
provocatori. Si dà per scontato che, a fini politici, ci si possa avvalere di
metodi criminali in accordo con un sistema che di per sé è già criminale. Sembra
delinearsi, insomma, un copione che ricorrerà più volte: con i pubblici poteri
che cambiano e le mafie che restano sempre se stesse. Viene da pensare alla
repressione del movimento dei Fasci a fine Ottocento, alla collaborazione dei
mafiosi allo sbarco anglo-americano del ’43, agli ancora oscuri risvolti della
Strage di Portella della Ginestra del 1947, all’esecuzione taroccata del bandito
Giuliano, alle morti per avvelenamento di Pisciotta e Sindona, all’ascesa
cruenta dei Corleonesi, ai delitti eccellenti degli anni Ottanta, giù giù sino
alle stragi del ’92-’93. Tutti esempi di “buon uso della mafia” o ci si può
spingere oltre, e usarla, questa benedetta parola: trattativa? Nessuno, pure, la
pronuncia mai in sede ufficiale. Ma qualcosa di simile, grazie a un evidente
sinonimo, “transazione”, pure affiora, a scavare nel passato. È il 1875 quando
il deputato (ex-magistrato) calabrese Diego Tajani, durante un infocato
dibattito parlamentare, così definisce la situazione dell’ordine pubblico in
Sicilia: “Là il reato non è che una transazione continua, si fa il biglietto di
ricatto e si dice: potrei bruciare le vostre messi, le vostre vigne, non le
brucio ma datemi un tanto che corrisponda alle vostre sostanze. Si sequestra e
si fa lo stesso: non vi uccido, ma datemi un tanto e voi resterete incolume. Si
vedono dei capoccia della mafia che si mettono al centro di taluna proprietà e
vi dicono: vi garantisco che furti non ne avverranno, ma datemi un tanto per
cento dei vostri raccolti”. Transazione: come quella fra prefetti e comandanti
militari e banditi, ai quali, talora, si concedeva un salvacondotto perché
ripulissero il territorio. Da altri banditi. Transazione. Con le mafie si
possono fare affari, si può servirsene per l’ordine (o, alternativamente, per il
disordine), e la cosa è sotto gli occhi di tutti. Impensabile che i vecchi
malandrini non si siano resi conto, col tempo, di essere assurti, essi stessi,
da compagnia di raccogliticci accoliti a “forza politica”. E la stessa
sensazione di essere “potere”, o comunque di giocare un ruolo determinante negli
assetti strategici della nazione, magari a colpi di esplosivo, traspare da più
di un verbale degli odierni collaboratori di giustizia. Da qualche anno a questa
parte, le mafie sparano di meno, e quindi, verrebbe da dire, sono più forti.
L’accumulazione del capitale che garantiscono i proventi delle attività illecite
è un fattore di potente condizionamento del gioco economico. Le “transazioni”
sembrano essersi spostate dal piano dei rapporti con gli Stati a quello dei
mercati finanziari. Il governatore della Banca d’Italia ha denunciato l’enorme
danno arrecato dal fattore criminale agli investimenti stranieri in Italia. Ma
le mafie sono da tempo un fenomeno transnazionale, globalizzate più rapidamente,
e con esiti spesso più soddisfacenti, dell’economia “legale”. Bisognerebbe
girare il monito a quei santuari del denaro che periodicamente patteggiano
ingenti penali per aver chiuso un occhio (e a volte tutti e due) sui movimenti
sospetti di capitali. A quanto pare, non disdegnano di “venire a convenzione coi
rei”. Le mafie sono partite dalle campagne o dalle periferie, ma hanno risalito
il mondo, scalandolo con estrema facilità. Eppure, restano sempre mafie. Quelle
descritte da don Pietro Ulloa nel lontano 1838. È ancora Sciascia a rivendicare
l’ultima parola: “Gli elementi che distingueranno la mafia da ogni altro tipo di
delinquenza organizzata, l’Ulloa li aveva individuati. Questi elementi si
possono riassumere in uno: la corruzione dei pubblici poteri, l’infiltrazione
dell’occulto potere di un’associazione, che promuove il bene dei propri
associati contro il bene dell’intero organismo sociale, nel potere statale”.
Italia, un paese
fondato sull’insulto.
Dalle risse tra comuni in età medievale, alle lotte tra fazioni durante e dopo
il Ventennio fascista, dall'odio dei settentrionali verso i meridionali fino ai
recenti scontri che animano l'arena politica, la storia italiana è punteggiata
da episodi di azioni compiute allo scopo di sminuire la dignità dell'avversario.
Giancarlo Schizzerotto analizza lo scherno come arma politica in un'ottica di
filologia integrale, individuando in questo fenomeno particolarmente vivo
nell'Età di Mezzo un tratto caratteristico della nostra civiltà.
Italia, un paese
fondato sull’insulto,
scrive Bruno Giurato su “Il Giornale”. L’Italia, una civiltà fondata sullo
scherno. Nell’attualità possono venire in mente gli sberleffi delle tifoserie
del pallone, o quelli in Parlamento come la mortadella alla caduta del Governo
Prodi un po’ di anni fa. O magari i “vaffaday” di Beppe Grillo, o le bordate di
prese per il popò di origine social ai danni di star e starlette, uomini
politici, cantanti e scrittori. Ma la tendenza, l’atteggiamento, il costume
culturale è molto più antico di quanto cronaca riveli. Lo testimonia un librone
di Giancarlo Schizzerotto, Sberleffi di campanile. Per una storia culturale
dello scherno come elemeno di identità nazionale, dal Medioevo ai giorni nostri
(Olshki, Firenze, pp. 642, 54 euro). Una rassegna enciclopedica,
documentatissima, di modalità insultatorie, tutte italiane e diffuse da secoli.
Schizzerotto (scomparso nel 2012), ex normalista, poi direttore di diverse
biblioteche del Nord Italia ha scritto un “libro della vita”, costato un
decennio di lavoro che è anche un fantastico promemoria di litigiosità, scherzi
più o meno macabri, calpestamenti più o meno simbolici ma sempre al grado di
crudeltà più alto possibile, della figura dell’avversario, del rivale, del
dirimpettaio. Una storia e geografia ragionata dei motivi di dis-unione
italiana. Prendiamo la Commedia di Dante. L’Inferno (ma anche il
Purgatorio e perfino il Paradiso) tra l’altro è un’enorme collezione
di vituperia. Ci sono insulti ad altre città (“Pisa vituperio de le
genti”; “Godi Fiorenza…”), strigliate sanguinose a personaggi storici, Capaneo
che squadra le fiche al Cielo. Non è solo la santa indignazione del
poeta-profeta, è anche il riflesso di un modus polemico diffuso
nell’Italia di allora. Nel 1334 i bolognesi, imbufaliti con il legato pontificio
di passaggio lo coprirono di contumelie, gli fecero il gesto delle “fiche” (il
pollice tra indice e medio), mentre un drappello di prostitute mostravano al
legato la loro “natura”. Addirittura nel Duecento sulla rocca di Carmignano
c’erano due braccia di marmo immortalate nel gesto delle “fiche” all’indirizzo
di Firenze. E, nel 1335 il gonfaloniere di Perugia per oltraggiare Arezzo
perdente, oltre a far razziare il Duomo, fece istituire un Palio in città, a cui
partecipavano solo prostitute vestite di rosso, che cavalcavano alla maniera
degli uomini col vestito sollevato fino alla cintola. Quella dei Palii
organizzati per puro scherno nelle città vinte era solo una delle tradizioni
insultatorie. C’era anche, per esempio, l’uso di coniare monete apposite con
simboli di scherno, o quello di entrare nella città conquistata con i pantaloni
abbassati mostrando il sedere agli sconfitti. O altri sistemi di irrisione: nel
1449 a Firenze, l’ingresso della casa dell’ambasciatore milanese Sforza fu
sommerso da quintali di letame. E fin qui siamo più o meno alla goliardia. Ma il
libro di Schizzerotto documenta la crudeltà verso persone e animali, fino
all’horror. Per esempio durante gli assedi, così diffusi nel Medioevo e
Rinascimento, c’era l’uso di lanciare con le catapulte asini e giumente nella
roccaforte nemica. Spesso si trattava di carogne putrefatte. Con intenti, oltre
all’insulto, di guerra batteriologica. E si lanciavano anche feci e contenitori
di urina, pesce marcio, immondizia, oltre ai soliti corpi contundenti. E se
l’uso di rimandare a casa i prigionieri dopo avergli fatto tagliare nasi, mani e
orecchie come umiliazione per la città di appartenenza e deterrente psicologico
si è conservato fino a oggi in certe forme di guerriglia tribale (vedi Africa e
Medioriente), ci sono episodi in cui la crudeltà diventa arte dello scherno: nel
1530 mentre Fabrizio Maramaldo assediava Volterra trovò fuori dalle mura un
gatto sospeso per la pelle della schiena, le cui urla straziate erano un
terribile sfottò del suo cognome: Maramaus.
L'Italia è un Paese fondato sulla fregatura: ecco tutti i modi in cui gli
italiani raggirano gli altri (e sé stessi).
In un
libro, "Io ti fotto" di Carlo Tecce e Marco Morello, la pratica dell'arte
della fregatura in Italia. Dai più alti livelli ai più infimi, dalle truffe
moderne realizzate in Rete a quelle più antiche e consolidate. In Italia,
fottere l'altro - una parola più tenue non renderebbe l'idea - è un vizio che è
quasi un vanto, "lo ti fotto" è una legge: di più, un comandamento.
E
fottuti siamo stati dagli albori della Repubblica. L'armistizio di Cassibile in
Sicilia o armistizio corto, siglato segretamente il 3 settembre 1943, è
l'atto con il quale il Regno d’Italia cessò le ostilità contro le forze
anglo-americane (alleati) nell'ambito della seconda guerra mondiale. In realtà
non si trattava affatto di un armistizio ma di una vera e propria resa senza
condizioni da parte dell'Italia. Poiché tale atto stabiliva la sua entrata in
vigore dal momento del suo annuncio pubblico, esso è comunemente detto dell'" 8
settembre", data in cui, alle 18.30, fu pubblicamente reso noto prima dai
microfoni di Radio Algeri da parte del generale Dwight D. Eisenhower e, poco più
di un'ora dopo, alle 19.42, confermato dal proclama del maresciallo Pietro
Badoglio trasmesso dai microfoni dell'Eiar. In quei frangenti vi fu grande
confusione e i gerarchi erano in fuga. L’esercito allo sbando. Metà Italia
combatteva contro gli Alleati, l’altra metà a favore.
La
grande ipocrisia vien da lontano. “I Vinti non dimenticano” (Rizzoli
2010), è il titolo del volume di Giampaolo Pansa. Ci si fa largo tra i
morti, ogni pagina è una fossa e ci sono perfino preti che negano la benedizione
ai condannati. E poi ci sono le donne, tante, tutte ridotte a carne su cui
sbattere il macabro pedaggio dell’odio. È un viaggio nella memoria negata,
quella della guerra civile, altrimenti celebrata nella retorica della
Resistenza. Le storie inedite di sangue e violenza che completano e concludono
"Il sangue dei vinti", uscito nel 2003. Si tenga conto che da queste realtà
politiche uscite vincenti dalla guerra civile è nata l'alleanza catto-comunista,
che ha dato vita alla Costituzione Italiana e quantunque essa sia l'architrave
delle nostre leggi, ad oggi le norme più importanti, che regolano la vita degli
italiani (codice civile, codice penale, istituzione e funzionamento degli Ordini
professionali, ecc.), sono ancora quelle fasciste: alla faccia dell'ipocrisia
comunista, a cui quelle leggi non dispiacciono.
Esecuzioni, torture, stupri. Le crudeltà dei partigiani. La Resistenza mirava
alla dittatura comunista. Le atrocità in nome di Stalin non sono diverse dalle
efferatezze fasciste. Anche se qualcuno ancora lo nega scrive Giampaolo Pansa.
(scrittore notoriamente comunista osteggiato dai suoi compagni di partito per
essere ai loro occhi delatore di verità scomode). C’è da scommettere che il
libro di Giampaolo Pansa, "La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti"
(Rizzoli, pagg. 446), farà infuriare le vestali della Resistenza. Mai in maniera
così netta come nell’introduzione al volume (di cui per gentile concessione “Il
Giornale” pubblica un estratto) i crimini partigiani sono equiparati a quelli
dei fascisti. Giampaolo Pansa imbastisce un romanzo che, sull’esempio delle sue
opere più note, racconta la guerra civile in chiave revisionista, sottolineando
le storie dei vinti e i soprusi dei presunti liberatori, i partigiani comunisti
in realtà desiderosi di sostituire una dittatura con un’altra, la loro.
Altra
storica menzogna è stata sbugiardata da "Mai più terroni. La fine della
questione meridionale" di Pino Aprile. Come abbattere i pregiudizi che
rendono il meridione diverso? Come mettere fine a una questione costruita ad
arte sulla pelle di una parte d'Italia? La risposta sta anche negli strumenti di
comunicazione odierni, capaci di abbattere i confini, veri o fittizi, rompere
l'isolamento, superare le carenze infrastrutturali. E se per non essere più
"meridionali" bastasse un clic? Con la sua solita vis polemica, Pino Aprile ci
apre un mondo per mostrare quanto questo sia vero, potente e dilagante. "Ops...
stanno finendo i terroni. Ma come, già? E così, da un momento all'altro?"
Terroni a chi? Tre libri sul pregiudizio antimeridionale. Come è nata e come si
è sviluppata la diffidenza verso il Sud. Tre libri ne ricostruiscono le origini
e provano a ipotizzarne gli scenari.
"Negli ormai centocinquant'anni di unità italiana il Mezzogiorno non ha mai
mancato di creare problemi". D'accordo, la frase è netta e controversa. Sulla
questione meridionale, nell'ultimo secolo e mezzo, si sono sprecati fiumi di
inchiostro, tonnellate di pagine, migliaia di convegni. In gran parte dedicati
all'indagine sociologica, al pregiudizio politico o alla rivendicazione
identitaria. Ciò che colpisce allora di "La palla al piede" di Antonino
De Francesco (Feltrinelli) è lo sguardo realistico e l'approccio
empirico. De Francesco è ordinario di Storia moderna all'Università degli studi
di Milano, ma definire il suo ultimo lavoro essenzialmente storico è quantomeno
limitativo. In poco meno di duecento pagine, l'autore traccia l'identikit di
un pregiudizio, quello antimeridionale appunto, nei suoi aspetti sociali,
storici e politici. Lo fa rincorrendo a una considerevole pubblicistica per
niente autoreferenziale, che non si ostina nel solito recinto storiografico. Il
risultato si avvicina a una controstoria dell'identità italiana e, al tempo
stesso, a un'anamnesi dei vizi e dei tic dell'Italia Unita. Ma per raccontare
una storia ci si può ovviamente mettere sulle tracce di una tradizione e
cercare, attraverso le sue strette maglie, di ricostruire una vicenda che ha il
respiro più profondo di una semplice schermaglia localistica. E' quello che
accade nel "Libro napoletano dei morti" di Francesco Palmieri
(Mondadori). Racconta la Napoli eclettica e umbratile che dall’Unità d'Italia
arriva fino alla Prima guerra mondiale. Per narrarla, si fa scudo della voce del
poeta napoletano Ferdinando Russo ricostruendo con una certa perizia filologica
e una sottile verve narrativa le luci e le smagliature di un'epopea in
grado di condizionare la realtà dei giorni nostri. Ha il respiro del pamphlet
provocatorio e spiazzante invece l'ultimo libro di Pino Aprile, "Mai più
terroni" (Piemme), terzo volume di una trilogia di successo (Terroni
e Giù al Sud i titoli degli altri due volumi). Aprile si domanda se oggi
abbia ancora senso dividere la realtà sulla base di un fantomatico
pregiudizio etnico e geografico che ha la pretesa di tagliare Nord e Sud. E
si risponde che no, che in tempi di iperconnessioni reali (e virtuali), quelli
stereotipo è irrimediabilmente finito. "Il Sud - scrive - è un luogo che non
esiste da solo, ma soltanto se riferito a un altro che lo sovrasta". Nelle nuove
realtà virtuali, vecchie direzioni e punti cardinali non esistono più, relegati
come sono a un armamentario che sa di vecchio e obsoleto.
Perché leggere
Antonio Giangrande?
Ognuno di noi è
segnato nella sua esistenza da un evento importante. Chi ha visto il film si
chiede: perché la scena finale de “L’attimo fuggente” , ogni volta, provoca
commozione? Il professor John Keating (Robin Williams), cacciato dalla scuola,
lascia l’aula per l’ultima volta. I suoi ragazzi, riabilitati da lui dalla
corruzione culturale del sistema, non ci stanno, gli rendono omaggio. Uno dopo
l’altro, salgono in piedi sul banco ed esclamano: «Capitano, mio capitano!».
Perché quella scena è così potente ed incisiva? Quella scena ci colpisce perché
tutti sentiamo d’aver bisogno di qualcuno che ci insegni a guardare la realtà
senza filtri. Desideriamo, magari senza rendercene conto, una guida che
indichi la strada: per di là. Senza spingerci: basta l’impulso e
l’incoraggiamento. Il pensiero va a quella poesia che il vate americano Walt
Whitman scrisse dopo l'assassinio del presidente Abramo Lincoln, e a lui
dedicata. Gli stessi versi possiamo dedicare a tutti coloro che, da diversi
nell'omologazione, la loro vita l’hanno dedicata per traghettare i loro simili
verso un mondo migliore di quello rispetto al loro vivere contemporaneo. Il
Merito: Valore disconosciuto ed osteggiato in vita, onorato ed osannato in
morte.
Robin Williams è il
professor Keating nel film L'attimo fuggente (1989)
Oh! Capitano, mio
Capitano, il tremendo viaggio è compiuto,
La nostra nave ha
resistito ogni tempesta: abbiamo conseguito il premio desiderato.
Il porto è
prossimo; odo le campane, il popolo tutto esulta.
Mentre gli occhi
seguono la salda carena,
la nave austera e
ardita.
Ma o cuore, cuore,
cuore,
O stillanti gocce
rosse
Dove sul ponte
giace il mio Capitano.
Caduto freddo e
morto.
O Capitano, mio
Capitano, levati e ascolta le campane.
Levati, per te la
bandiera sventola, squilla per te la tromba;
Per te mazzi e
corone e nastri; per te le sponde si affollano;
Te acclamano le
folle ondeggianti, volgendo i Walt Whitman (1819-1892) cupidi volti.
Qui Capitano, caro
padre,
Questo mio braccio
sotto la tua testa;
È un sogno che qui
sopra il ponte
Tu giaccia freddo e
morto.
Il mio Capitano
tace: le sue labbra sono pallide e serrate;
Il mio padre non
sente il mio braccio,
Non ha polso, né
volontà;
La nave è ancorata
sicura e ferma ed il ciclo del viaggio è compiuto.
Dal tremendo
viaggio la nave vincitrice arriva col compito esaurito,
Esultino le sponde
e suonino le campane!
Ma io con passo
dolorante
Passeggio sul
ponte, ove giace il mio Capitano caduto freddo e morto.
Antonio Giangrande.
Un capitano necessario. Perché in Italia non si conosce la verità. Gli italiani
si scannano per la politica, per il calcio, ma non sprecano un minuto per
conoscere la verità. Interi reportage che raccontano l’Italia di oggi “salendo
sulla cattedra” come avrebbe detto il professore Keating dell’attimo fuggente e
come ha cercato di fare lo scrittore avetranese Antonio Giangrande.
Chi sa: scrive, fa,
insegna.
Chi non sa: parla e
decide.
Chissà perché la tv
ed i giornali gossippari e colpevolisti si tengono lontani da Antonio
Giangrande. Da quale pulpito vien la predica, dott. Antonio Giangrande?
Noi siamo quel che
facciamo: quello che diciamo agli altri è tacciato di mitomania o pazzia. Quello
che di noi gli altri dicono sono parole al vento, perche son denigratorie.
Colpire la libertà o l’altrui reputazione inficia gli affetti e fa morir
l’anima.
La calunnia è un
venticello
un’auretta assai
gentile
che insensibile
sottile
leggermente
dolcemente
incomincia a
sussurrar.
Piano piano terra
terra
sotto voce
sibillando
va scorrendo, va
ronzando,
nelle orecchie
della gente
s’introduce
destramente,
e le teste ed i
cervelli
fa stordire e fa
gonfiar.
Dalla bocca fuori
uscendo
lo schiamazzo va
crescendo:
prende forza a poco
a poco,
scorre già di loco
in loco,
sembra il tuono, la
tempesta
che nel sen della
foresta,
va fischiando,
brontolando,
e ti fa d’orror
gelar.
Alla fin trabocca,
e scoppia,
si propaga si
raddoppia
e produce
un’esplosione
come un colpo di
cannone,
un tremuoto, un
temporale,
un tumulto generale
che fa l’aria
rimbombar.
E il meschino
calunniato
avvilito,
calpestato
sotto il pubblico
flagello
per gran sorte va a
crepar.
E’ senza dubbio una
delle arie più famose (Atto I) dell’opera lirica
Il Barbiere di Siviglia
del 1816 di Gioacchino Rossini (musica) e di Cesare Sterbini (testo e libretto).
E’ l’episodio in cui Don Basilio, losco maestro di musica di Rosina
(protagonista femminile dell’opera e innamorata del Conte d’Almaviva),
suggerisce a Don Bartolo (tutore innamorato della stessa Rosina) di screditare e
di calunniare il Conte, infamandolo agli occhi dell’opinione pubblica. Il brano
“La calunnia è un venticello…” è assolutamente attuale ed evidenzia molto bene
ciò che avviene (si spera solo a volte) nella quotidianità di tutti noi:
politica, lavoro, rapporti sociali, etc.
Alla fine di noi
rimane il nostro operato, checché gli altri ne dicano. E quello bisogna
giudicare. Nasco da una famiglia umile e povera. Una di quelle famiglie dove la
sfortuna è di casa. Non puoi permetterti di studiare, né avere amici che
contano. Per questo il povero è destinato a fare il manovale o il contadino. Mi
sono ribellato e contro la sorte ho voluto studiare, per salire nel mondo non
mio. Per 17 anni ho cercato di abilitarmi nell’avvocatura. Non mi hanno voluto.
Il mondo di sotto mi tiene per i piedi; il mondo di sopra mi calca la testa. In
un esame truccato come truccati sono tutti i concorsi pubblici in Italia: ti
abilitano se non rompi le palle. Tutti uguali nella mediocrità. Dal 1998 ho
partecipato all’esame forense annuale. Sempre bocciato. Ho rinunciato a
proseguire nel 2014 con la commissione presieduta dall’avv. Francesco De Jaco.
L’avvocato di Cosima Serrano condannata con la figlia Sabrina Misseri per il
delitto di Sarah Scazzi avvenuto ad Avetrana. Tutte mie compaesane. La
Commissione d’esame di avvocato di Lecce 2014. La più serena che io abbia
trovato in tutti questi anni. Ho chiesto invano a De Jaco di tutelare me, dagli
abusi in quell’esame, come tutti quelli come me che non hanno voce. Se per lui
Cosima è innocente contro il sentire comune, indotti a pensarla così dai media e
dai magistrati, perché non vale per me la verità che sia vittima di un sistema
che mi vuol punire per essermi ribellato? Si nega l’evidenza. 1, 2, 3 anni,
passi. 17 anni son troppi anche per il più deficiente dei candidati. Ma gli
effetti sono sotto gli occhi di tutti. Compiti non corretti, ma ritenuti tali in
tempi insufficienti e senza motivazione e con quote prestabilite di abilitati.
Così per me, così per tutti. Gli avvocati abilitati negano l’evidenza.
Logico: chi passa, non controlla. Ma 17 anni son troppi per credere alla
casualità di essere uno sfigato, specialmente perché i nemici son noti, specie
se sono nelle commissioni d’esame. In carcere o disoccupato. Tu puoi gridare a
squarciagola le ingiustizie, ma nessuno ti ascolta, in un mondo di sordi.
Nessuno ti crede. Fino a che non capiti a loro. E in questa Italia capita,
eccome se capita! La tua verità contro la verità del potere. Un esempio da
raccontare. Ai figli non bisogna chiedere cosa vogliono fare da grandi. Bisogna
dir loro la verità. Chiedergli cosa vorrebbero che gli permettessero di fare da
grandi. Sono nato in quelle famiglie che, se ti capita di incappare nelle maglie
della giustizia, la galera te la fai, anche da innocente. A me non è successo di
andare in galera, pur con reiterati tentativi vani da parte della magistratura
di Taranto, ma sin dal caso Tortora ho capito che in questa Italia in fatto di
giustizia qualcosa non va. Pensavo di essere di sinistra, perché la sinistra è
garantismo, ma non mi ritrovo in un’area dove si tollerano gli abusi dei
magistrati per garantirsi potere ed impunità. E di tutto questo bisogna tacere.
A Taranto, tra i tanti processi farsa per tacitarmi sulle malefatte dei
magistrati, uno si è chiuso, con sentenza del Tribunale n. 147/2014, con
l’assoluzione perché il fatto non sussiste e per non doversi procedere. Bene:
per lo stesso fatto si è riaperto un nuovo procedimento ed è stato emesso un
decreto penale di condanna con decreto del Gip. n. 1090/2014: ossia una condanna
senza processo. Tentativo stoppato dall’opposizione.
Zittirmi sia mai.
Pur isolato e perseguitato. Gli italiani son questi. Ognuno dia la sua
definizione. Certo è che gli italiani non mi leggono, mi leggono i forestieri.
Mi leggeranno i posteri. Tutto regolare: lo ha detto la tv, lo dicono i giudici.
Per me, invece, è tutto un trucco. In un mondo di ladri nessuno vien da Marte.
Tutti uguali: giudicanti e giudicati. E’ da decenni
che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da
queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana
editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo,
ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti
ai magistrati, all’economia ed alla politica, ma che non impediscono il fatto
che di me si parli su 200.000 siti web, come accertato dai motori di ricerca.
Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it, Lulu.com. CreateSpace.com e
Google Libri, oltre che in forma di lettura gratuita e free vision video.
Ha la preparazione
professionale per poter dire la sua in questioni di giustizia?
Non sono un
giornalista, ma a quanto pare sono l’unico a raccontare tutti i fatti. Non sono
un avvocato ma mi diletto ad evidenziare le manchevolezze di un sistema
giudiziario a se stante. La mia emigrazione in piena adolescenza in Germania a
16 anni per lavorare; la mia laurea quadriennale in Giurisprudenza presa in soli
due anni all’Università Statale di Milano, lavorando di notte e con moglie e due
figli da mantenere, dopo aver conseguito il diploma da ragioniere in un solo
anno da privatista presso un Istituto tecnico Statale e non privato, per non
sminuirne l’importanza, portando tutti i 5 anni di corso; tutto ciò mi ha reso
immune da ogni condizionamento culturale od ambientale. I miei 6 anni di
esercizio del patrocinio legale mi hanno fatto conoscere le macagne di un
sistema che non è riuscito a corrompermi. Per questo dal 1998 al 2014 non mi
hanno abilitato alla professione di avvocato in un esame di Stato, che come
tutti i concorsi pubblici ho provato, con le mie ricerche ed i miei libri,
essere tutti truccati. Non mi abilitano. Perché non sono uguale agli altri, non
perché son meno capace. Non mi abilitano perché vedo, sento e parlo. Ecco perché
posso parlare di cose giuridiche in modo di assoluta libertà, senza
condizionamento corporativistico, anche a certezza di ritorsione. E’ tutta
questione di coscienza.
E’ TUTTA QUESTIONE
DI COSCIENZA.
A’ Cuscienza di
Antonio de Curtis-Totò
La coscienza
Volevo sapere che
cos'è questa coscienza
che spesso ho
sentito nominare.
Voglio esserne a
conoscenza,
spiegatemi, che
cosa significa.
Ho chiesto ad un
professore dell'università
il quale mi ha
detto: Figlio mio, questa parola si usava, si,
ma tanto tempo fa.
Ora la coscienza si
è disintegrata,
pochi sono rimasti
quelli, che a questa parola erano attaccati,
vivendo con onore e
dignità.
Adesso c'è
l'assegno a vuoto, il peculato, la cambiale, queste cose qua.
Ladri, ce ne sono
molti di tutti i tipi, il piccolo, il grande,
il gigante, quelli
che sanno rubare.
Chi li denuncia a
questi ?!? Chi si immischia in questa faccenda ?!?
Sono pezzi grossi,
chi te lo fa fare.
L'olio lo fanno con
il sapone di piazza, il burro fa rimettere,
la pasta, il pane,
la carne, cose da pazzi, Si è aumentata la mortalità.
Le medicine poi,
hanno ubriacato anche quelle,
se solo compri uno
sciroppo, sei fortunato se continui a vivere.
E che vi posso dire
di certe famiglie, che la pelle fanno accapponare,
mariti, mamme,
sorelle, figlie fatemi stare zitto, non fatemi parlare.
Perciò questo
maestro di scuola mi ha detto, questa conoscenza (della coscienza)
perchè la vuoi
fare, nessuno la usa più questa parola,
adesso arrivi tu e
la vuoi ripristinare.
Insomma tu vuoi
andare contro corrente, ma questa pensata chi te l'ha fatta fare,
la gente di adesso
solo così è contenta, senza coscienza,
vuole stentare a
vivere. (Vol tirà a campà)
PLAGIO E VERITA’. LA CRONACA PUO’ DIVENTARE STORIA?
Antonio Giangrande: “stavolta io sto con Roberto Saviano”. Intervento di Antonio
Giangrande, scrittore tarantino, autore di decine di saggi d’inchiesta.
Lo scrittore napoletano, autore di “Gomorra” e “Zerozerozero”, è accusato di
aver inserito delle frasi altrui nei suoi libri, tratte da fonti non citate.
Saviano si difende: “è cronaca…e la cronaca appartiene a tutti”.
Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un
ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a
quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati
monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo
giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma
inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto:
dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento
politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro
sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo
che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati,
che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e
saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi
di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si
sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti
condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di
cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere
delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti
perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di
sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e
della fine che fece il primo saggista mondiale.
Da sempre diffido di chi, vestito da lupo, è pecora genuflessa alla
magistratura. I saccenti giustizialisti dei 5 stelle che provino a proporre la
figura del difensore civico giudiziario con poteri di magistrato, senza essere
uno di loro, per poter metter le mani nelle carte dei fascicoli e poterle
sparigliare. Io da anni mi batto inascoltato per questo. I signori dei 5 stelle
non si degnano nemmeno di rispondere ai messaggi degli esperti: tanto san tutto
loro. A sbraitare son bravi, ma a proporre leggi sensate, mi sa che non son
capaci. Parlan solo di soldi, soldi, soldi ed onestà, certificata dai loro
magistrati, e mai parlano di libertà ed opportunità senza concorsi ed esami
pubblici truccati.
Ad ogni azione umana nefasta si trova sempre una giustificazione...lo si fa per
le piante...lo si fa per gli animali...lo si fa per le persone! Ma, alla fine,
rimane solo un'azione nefasta che fa male al prossimo...e, spesso, il prossimo
siamo noi. A parte il partito preso, noi siamo tutti responsabili delle azioni
nefaste di uno, quando gli permettiamo di farle.
Parlare nei miei libri del caso singolo del semplice cittadino significa
incorrere nell’accusa di mitomania, pazzia o calunnia, oltre che ne
disinteresse. Invece parlo di loro, delle istituzioni che delinquono impunite.
Parlo della vera mafia. Cosa posso dire di più di quello che ho scritto e che
altri non dicono? Credo che quanto divulgato possa essere di grande
soddisfazione per le vittime, non potendo avere altro che quella in questa
Italia con italiani di merda a cui interessa solo di loro stessi e se ne fottono
degli altri.
Come far sì che si parli di questioni delicate e pericolose che gli scribacchini
non fanno? Come si fa a far conoscere situazioni locali e temporali su tutto il
territorio nazionale e raccontate da autori poco conosciuti?
Quello che succede quotidianamente davanti ai nostri occhi è quello che vedono
tutti e non ci sono parole diverse per raccontarlo. I racconti sono coincidenti.
Possono cambiare i termini, ma i fattori non cambiano. Gli scribacchini, poi,
nel formare i loro pezzi, spesso e volentieri si riportano alle veline dei
magistrati e delle forze dell’Ordine.
Ergo: E’ una bestialità parlare di plagio.
E poi, l’informazione di regime dei professionisti abilitati alla conformità non
è tutta un copia ed incolla?
Si deve sempre guardare il retro della medaglia. Come per esempio: si dice che i
soldi vadano ai migranti e ce la prendiamo con loro. Invece i soldi vanno ai
migranti tramite le cooperative di sinistra e della CGIL. Ergo: Ai migranti
quasi niente; alla sinistra i soldi dell'emergenza ed i voti dei futuri
cittadini italianizzati. Ecco perchè i comunisti sono solidali fino a voler
mettere i mussulmani nelle canoniche delle chiese cristiane. Quegli stessi
mussulmani che in casa loro i cristiani li trucidano. Poi per l’aiuto agli
italiani non c’è problema: se sei di sinistra, hai qualsiasi cosa: case
popolari, anche occupate, e sussidi ed occupazioni nelle cooperative. Se sei di
destra, invece, vivi in auto da disoccupato, non per colpa della sinistra, ma
perché quelli di destra ed i loro politici son tanto coglioni che non sanno
neppure tutelare se stessi.
A proposito dell’invasione dei mussulmani senza colpo ferire….diamo proposte e
non proteste. Se lo sbarco incontrollato dei clandestini è dovuto alla guerra
fratricida nei loro paesi: fermiamo quella guerra con una guerra giusta
sostenendo la ragione. Per molto meno si è bombardato l’Iraq, l’Afghanistan e la
Libia, senza aver un interesse generale europeo, se non quello di assecondare le
mire americane. E poi, dalla patria in fiamme non si scappa, ma si combatte per
la sua liberazione. Gli italiani non sono scappati in Africa dalla occupazione
tedesca. O i comunisti hanno combattuto non per liberare l’Italia ma per
consegnarla all’URSS? Se il motivo dello sbarco incontrollato dei clandestini è
quello economico, evitiamo di farci espropriare il nostro benessere ottenuto con
sacrifici. Per la sinistra è un sistema che vale in termini elettorali, ma è
ingiusto. Difendiamoci dall'invasione in pace. Apriamo aziende nei luoghi di
espatrio dei clandestini. Imprese finanziate da quei fondi destinati a mantenere
gli immigrati a poltrire in Italia. In alternativa tratteniamo i più giovani di
loro per dargli una preparazione ed una istruzione specialistica, affinchè siano
loro stessi ad aprire le aziende.
E comunque, senza parer razzista…In Italia basterebbe far rispettare la legge a
tutti, compreso i clandestini, iniziando dalla loro identificazione, e se
bisogna mantenere qualcuno, lo si faccia anche con gli italiani indigenti. Per
inciso. Non sono di nessun partito. Non voto da venti anni, proprio perché sono
stufo dei quaquaraqua in Parlamento e di quei coglioni che li votano.
La sinistra usa la stessa solidarietà adottata con i migranti come nella lotta
alla mafia: farsi assegnare i beni confiscati e farli gestire da associazioni o
cooperative vicine a loro a alla CGIL o a Libera, che è la setta cosa.
Io ho trovato un sistema affinchè non sia tacciato di mitomania, pazzia o
calunnia: faccio parlare chi sul territorio la verità scomoda la fa diventare
cronaca ed io quella realtà contemporanea la trasformo in storia affinchè non si
dimentichi.
Io generalmente non sto con Saviano: per il suo essere di sinistra con quello
che comporta in termini di difetti ed appoggi. La sinistra, per esempio, non
dice che mafia ed antimafia, spesso, sono la stessa cosa, sol perché l’antimafia
è da loro incarnata. Ma stavolta io sto con Saviano perché la verità appartiene
a tutti e noi abbiamo l’obbligo di conoscerla e divulgarla. Saviano ha
raccontato una realtà conosciuta, ma taciuta. Verità enfatizzata e
strumentalizzata dalla sinistra tanto da renderla nociva. Può aver appreso da
scritti altrui? Può darsi. Basta che sia verità. Se qualche autore vuol
speculare sulla verità raccontata, allora la sua dignità vale quanto la moneta
pretesa. Se poi chi critica ed aizza mesta nel fango, questi vuol distogliere
l’attenzione sulla sostanza del contenuto, anteponendo artatamente la forma. Ed
i lettori, in questa diatriba, non guardino il dito, ma notino la luna.
Io, da parte mia, le fonti le cito, (eccome se le cito), per dare credibilità
alle mie asserzioni e per dare onore a chi, nelle ritorsioni, è disposto con
coraggio a perdere nel nome della verità in un mare di viltà. I miei non sono
romanzi, ma saggi da conoscere e divulgare. Perché noi dobbiamo essere quello
che noi avremmo voluto che diventassimo. E delle critiche: me ne fotto.
"ZeroZeroZero" originalità. Saviano accusato di plagio.
Il Daily Beast elenca passi da articoli mai citati e interviste inventate.
Conclusione: "Un libro disonesto". La replica: "Sono solo coincidenze", scrive
Matteo Sacchi Venerdì 25/09/2015 su ”Il Giornale”. Non c'è pace per
Roberto Saviano. A giugno i giudici italiani, corte di Cassazione, hanno messo
nero su bianco che nel suo libro più famoso, Gomorra (Mondadori), 10 milioni di
copie vendute solo in Italia, c'erano dei passi plagiati da articoli di giornali
locali del gruppo editoriale Libra. Pochi ma c'erano. La corte ha in quel caso
ridotto ai minimi termini la responsabilità economica di Saviano, e del suo
editore, per il plagio ma lo ha determinato in maniera definitiva. Come spiega
la sentenza, già nei precedenti gradi di giudizio c'era stato «un analitico ed
approfondito esame dei brani riportati nel romanzo Gomorra arrivando alla
conclusione che riguardo a tre dei sette brani riportati vi è stata una illecita
appropriazione plagiaria degli stessi in quanto in questi casi il romanzo
riportava quasi integralmente gli articoli in questione». Sui media italiani non
è che ci sia stata grande eco per la notizia, anzi. Invece negli Usa, dove la
recensione dei libri è spesso molto analitica e pignola, è un giornale on line,
e non un tribunale, a «bacchettare» Saviano. Ieri il Daily Beast , uno dei siti
web più visitati al Mondo, in un articolo a firma Michael Moynihan titolava
così: «Il problema col plagio dello scrittore di mafia Roberto Saviano».
L'articolo, dopo aver citato la sentenza italiana e l'indifferenza con cui
Saviano se l'è lasciata alle spalle, è invece dedicato al secondo libro
dell'autore, ZeroZeroZero (Feltrinelli), dedicato al narcotraffico sudamericano
(negli Usa il volume è uscito a inizio estate). La recensione non è per niente
buona. La stroncatura letteraria prende poche righe: « ZeroZeroZero è un
pasticcio di libro, una serie di storie in cerca di una narrativa coerente, dove
a eventi globalmente insignificanti è assegnato un grande significato storico, e
tutti gli altri fatti sono sempre gonfiati e sovraccaricati nella scrittura».
Più interessante che il libro venga considerato «incredibilmente disonesto».
Nell'articolo viene elencata una serie piuttosto lunga di «copia e incolla» che
non farebbero proprio onore a quella che dovrebbe essere letteratura
d'inchiesta. A essere onesti qualche dubbio sul livello dell'«inchiesta» era
venuto anche in Italia. Ne avevamo scritto in queste pagine parlando di echi da
Wikipedia e il professor Federico Varese sulla Stampa (nell'inserto Tuttolibri )
aveva segnalato un passo che sembrava ripreso pari pari dall'enciclopedia on
line. Questi riscontri, sommersi dal coro sperticato di elogi che di solito
accompagna ogni atto di Saviano, sono passati in cavalleria. Ma il Daily Beast,
sfruttando le fonti in loco, ha localizzato molte altre «anomalie». Passi
relativi alla banda di narcotrafficanti Los Zetas attribuiti «alle fonti
privilegiate di Saviano» verrebbero dritti dritti da Wikipedia. Poi ci
sarebbero, e questo farebbe il paio con il precedente di Gomorra , le
appropriazioni senza segnalazione di articoli scritti da giornalisti meno
famosi, soprattutto di testate Usa. Ora che ZeroZeroZero è stato tradotto in
inglese, le somiglianze balzano all'occhio. Giusto per fare un esempio, la
storia tragica di Christian Poveda, un regista franco-spagnolo ucciso in
Salvador, sarebbe ripresa in blocco ma senza citazione alcuna da un reportage
del 2009 del Los Angeles Times della corrispondente Deborah Bonello. Il paragone
lascia basiti. Decine di righe in cui al massimo cambia l'ordine delle parole o
c'è qualche guizzo di colore a cercare di fare la differenza. Michael Moynihan
ha provato a chiederne conto a Saviano che ha parlato di coincidenze e del fatto
che lui e la Bonello hanno lavorato sulle stesse fonti. La Bonello ha spiegato
che la fonte del suo articolo era un'intervista al regista morto (difficile
avere accesso alla stessa fonte senza una seduta spiritica). Moynihan,
insospettito, ha trovato decine di altre similitudini. Un passo che secondo lui
verrebbe pari pari dal giornale salvadoregno Il Faro (senza citazione alcuna
dell'autore). Altri passi da reportage di Robert I. Friedman (che non viene
citato ma solo ringraziato per la sua «visione»). In tutti i casi Saviano ha
negato le somiglianze, a quanto scrive Moynihan. O al massimo ha abbozzato
spiegando di nuovo che le fonti erano le stesse. Seguono altri passi che hanno
delle somiglianze con articoli del St. Petersburg Times . Poi ci sarebbe la
«clonazione» più significativa. ZeroZeroZero finisce con il racconto
dell'omicidio del giornalista messicano Bladimir Antuna García per mano di una
gang legata al narcotrafficante El Chapo. Un racconto che pare cannibalizzato da
un rapporto del 2009 del Committee to Protect Journalists (il giornale americano
lo allega in pdf come prova). Citazioni della fonte? Zero. Per carità c'è
differenza tra le somiglianze scovate da un giornalista e l'accertamento fatto
da un tribunale. Ma i pezzi messi a confronto sono davvero tanti. E, per di più,
a scatenare l'irritazione negli Usa è il fatto che Saviano è famoso per i suoi
pistolotti, in cui spiega che il vero giornalista deve andare sul posto e non
può fare le inchieste seduto al computer e usando Google... Quello che ha fatto
saltare definitivamente la mosca al naso di Moynihan sono le interviste a
personaggi che Saviano garantisce come «assolutamente reali». Come il
paramilitare Ángel Miguel, membro dei cattivissimi Kaibiles del Guatemala, che
Saviano avrebbe contattato in Italia. Moynihan confronta il racconto di Miguel
con un reportage del 2005 pubblicato su Notimex dal giornalista messicano José
Luis Castillejos. Altre strane somiglianze. Come mai si chiede? Ce lo chiediamo
anche noi. Nelle risposte che Saviano gli manda via mail e Moynihan pubblica è
difficile raccapezzarsi. Sembra di capire che Saviano si conceda un po' di
“fiction” e che, secondo lui, sia ovvio che il lettore lo sappia. Ma lo sa
davvero? E tutti i saccheggiati del loro pericoloso lavoro di inchiesta?
Dovrebbero dire grazie di essere stati nobilitati, ma anonimamente, da un bel
romanzo civile? Negli Usa è una cosa incomprensibile. Non sanno che qui in
Italia si può essere riconosciuti maestri del copia e incolla come Umberto
Galimberti e cavarsela con solo un richiamo formale della propria università.
Oppure farsi pizzicare come Corrado Augias a copiare dal web e veder finire
tutto in gloria. E c'è da scommettere che anche questa volta al di qua
dell'Oceano, non se ne parlerà tanto. Anzi forse se ne parlerà zero, zero, zero.
Perché in italia agli iscritti al club dei «ripubblica» si scusa tutto. PS. I
riscontri diretti sul testo si possono fare solo tra gli articoli originali in
inglese e la versione del libro in inglese. Per questi rimandiamo alla corposa
documentazione reperibile sul sito del The Daily Beast .
Roberto Saviano: "Vi spiego il mio metodo tra giornalismo e non fiction".
Lo scrittore su "La Repubblica" replica alle accuse americane: "Il mezzo è la
cronaca, il fine è la letteratura".
Rimbalza dagli Stati Uniti una polemica che ruota intorno allo scrittore. Un
articolo pubblicato dal sito di informazione The Daily Beast, firmato da Michael
Moynihan, è una lunga dissertazione su ZeroZeroZero, il libro sul narcotraffico
globale da poco uscito negli Usa. L'articolo attacca il metodo di lavoro
dell'autore di Gomorra. Saviano è accusato di non citare le sue fonti e di
prendere in prestito singole frasi o passaggi da opere altrui. Da qui il titolo:
" Il problema plagio dello scrittore di mafia Roberto Saviano". Una presa di
posizione, questa del Daily Beast, che ha subito suscitato un acceso dibattito
sui social network.
Accade sempre così, prima con " Gomorra" e ora accade con " ZeroZeroZero":
quando un libro ha molto successo, quando supera il muro dell'indifferenza,
quando le storie che veicola iniziano a creare dibattito, è quello il momento
giusto per fermare il racconto. Per bloccarlo. E come sempre il miglior metodo è
gettare discredito sul suo autore. Come se fosse possibile smontare davvero un
libro di oltre 400 pagine con un articolo di qualche migliaio di battute. Ma
forse questo è lo scopo di una recensione a ZeroZeroZero uscita sul Daily Beast
, che non si è accontentata di essere una stroncatura (è normale, no?, che un
libro ne riceva), ma che vorrebbe essere altro. Che cosa, esattamente, lo lascia
intendere l'autore, che si sofferma forse un po' troppo sulla mia figura, sul
fatto di essere ormai percepito come un personaggio politico e non solo come uno
scrittore. Non è evidente, allora, che i miei libri, tutti, finiscano per
scontare questa paternità troppo ingombrante? Così, quando non si può dire che
ciò che racconto è falso, si dice che l'ho ripreso altrove. Ma il mio lavoro è
esattamente questo: raccontare ciò che è accaduto, nel mio stile, nella mia
interpretazione. Mi accusano di aver ripreso parole altrui: come se si potesse
copiare la descrizione di un documentario. Se la protagonista è donna, è madre,
ha 19 anni, si chiama " Little One" e ha un numero tatuato in faccia, non so
quanti modi ci possano essere per raccontarlo. Di più. Per rendere i brani
simili, il mio critico taglia il testo che avrei preso a riferimento, come fa
per esempio nel caso di un passaggio del Los Angeles Times . Scrive il giornale
americano, secondo il Daily Beast : "... there are 15,000 gang members in El
Salvador; 14,000 in Guatemala; 35,000 in Honduras; and 5,000 in Mexico.
The biggest population of gang members still resides in the U. S., with an
estimated 70,000 living there...".
E questo sarebbe il brano che io avrei ripreso in ZeroZeroZero : "... about
15,000 members in El Salvador, 14,000 in Guatemala, 35,000 in Honduras, 5,000 in
Mexico.
The highest concentration is in the United States, with 70,000 members".
E certo che i due passaggi si somigliano. E sapete perché? Perché per fare il
suo gioco il Daily Beast ha omesso dall'articolo del Los Angeles Times un
passaggio significativo.
"Speaking at the Mexico City premiere of La Vida Loca last month, Poveda said
officials estimate there are 15,000 gang members in El Salvador; 14,000 in
Guatemala; 35,000 in Honduras; and 5,000 in Mexico. The biggest population of
gang members still resides in the U. S., with an estimated 70,000 living there,
he said".
La frase completa spiega insomma che quei numeri li ha dati Poveda stesso alla
premiere messicana del film nel 2009. Ed è difficile dare questa informazione in
maniera diversa, soprattutto se è Poveda stesso ad averne parlato. Io cerco
sempre di essere il più rigoroso possibile sui dati, riportandoli come sono
forniti. E il caso di Christian Poveda è esemplare dal momento che a lui e al
suo omicidio ho dedicato un intero capitolo di ZeroZeroZero : quindi l'ho
citato, eccome se l'ho fatto! Del resto è sempre un azzardo utilizzare i puntini
sospensivi indicando omissioni: in questo caso, per esempio, si stravolge sia
quanto riportato in ZeroZeroZero sia quanto scritto sul Los Angeles Times,
cambiando la posizione di dati e parole. Costruendo artatamente una somiglianza
che non c'era, o che poteva essere ricondotta al pressbook diffuso quando il
documentario di Poveda uscì. Ma poi sarebbe davvero plagio riferire la trama di
un documentario? Cioè, se io scrivo la descrizione del Padrino sto plagiando la
quarta di copertina? Ridicolo. Conosco moltissimi giornalisti, tra cui i
maggiori giornalisti sudamericani, che incontro periodicamente e con cui scambio
ogni tipo di informazione: loro mi mandano i loro scritti e io mando a loro i
miei perché condividere informazioni, e soprattutto analisi, è la cosa che tutti
noi consideriamo più preziosa. Sì, analisi: perché le informazioni sono di
dominio pubblico. Attenzione a questo passaggio: le informazioni sono di dominio
pubblico e non appartengono a nessun giornale perché sono fatti. Le analisi
appartengono a chi le elabora e quelle vanno citate, sempre. Ma naturalmente,
anche stavolta, sul Daily Beast , tutto prende le mosse dalla causa per plagio
avvenuta in Italia: causa anche interessante da raccontare, visto che oltre a
me, a processo, è finito un genere letterario, un genere che non è giornalismo,
non è saggio e non è invenzione, ma qualcosa di diverso. Secondo me qualcosa di
più - e i numeri di Gomorra lo hanno dimostrato. Nella sentenza di primo grado
della causa in cui due quotidiani locali campani mi accusavano di aver ripreso
articoli, il giudice afferma che ciò che può essere oggetto di plagio sono opere
che hanno carattere di " originalità e creatività", ergo la cronaca non ha né
l'uno né l'altro requisito, essendo niente altro che " fatti". C'è solo un modo
per dire come è avvenuto un arresto e come un imputato era vestito in tribunale
per l'udienza di convalida dell'arresto. C'è solo un modo per descrivere un
documentario. E spessissimo la fonte comune per notizie che riguardano arresti o
indagini sono generalmente le conferenze stampa delle forze dell'ordine.
Immaginiamo i vari quotidiani farsi causa per aver utilizzato parole uguali per
descrivere uno stesso avvenimento? Proprio sulla base di questo, il giudice di
primo grado ha rigettato tutte le accuse. E non è stato neppure difficile
smontarle: ai miei legali è bastato produrre in tribunale le decine di articoli
identici a quelli di chi mi faceva causa, che descrivevano gli stessi
avvenimenti. Anzi. Durante la riproduzione degli articoli da portare in udienza,
ci siamo accorti che i quotidiani che mi avevano citato per plagio avevano
pubblicato a mia insaputa (non ero ancora noto al tempo) alcuni miei articoli
per intero: senza citare né autore né fonte. Non fatti simili né qualche parola
uguale: ma due interi articoli. Per questo sono stati condannati: l'unica parte
in cui le sentenze dei tre gradi di processo coincidono. Sì, nella sentenza di
secondo grado, per esempio, vengono accolte tre su dieci delle loro richieste:
corrispondenti a meno di 2 pagine su 331, lo 0,6% del libro! Ma proprio su
queste vale la pena soffermarsi ancora un attimo. Sono stato condannato per aver
scritto "su un giornale locale" invece che "sul Corriere di Caserta ". E per
aver riportato per intero un articolo virgolettato. Sapete quale? Quello che
declamava le arti amatorie del boss Nunzio De Falco, mandante dell'assassinio di
Don Peppe Diana. Il titolo dell'articolo era: "Nunzio De Falco, re degli
sciupafemmine". Questo tecnicamente non sarebbe neppure plagio, e nemmeno
appropriazione indebita, dal momento che non avevo nessuna voglia di attribuirmi
la paternità di quell'articolo. L'autore, del resto, era sconosciuto. E sapete
perché. Perché si trattava dell'esaltazione di un boss di camorra. Ed era
proprio questo ciò che io volevo mostrare: quanto quei quotidiani peccassero di
apologia verso i capi che avevano ucciso Don Peppe - quanto certa stampa locale
fosse compiacente. Se li avessi propriamente citati, invece che dire "su un
giornale locale", mi avrebbero fatto causa per diffamazione! E gli altri due
articoli? Uno riguarda la struttura del clan, l'altro il percorso fatto dalle
auto dei carabinieri dopo la cattura del boss Paolo Di Lauro: ed entrambi
veicolavano informazioni diffuse direttamente dalle forze dell'ordine. Allora
vivevo a Napoli, assistevo alle conferenze stampa di carabinieri e polizia, e
avevo come fonti gli organi investigativi: come tutti. Del resto chiunque
vivesse a Napoli in quegli anni, e facesse il mio lavoro, trascorreva più tempo
a parlare con gli inquirenti che sulle scrivanie. Era tempo di guerra di camorra
(c'era almeno un morto al giorno) e tutti volevamo capire che cosa stava
succedendo, come il nostro si stava trasformando in un vero e proprio territorio
in guerra. Per inciso: la sentenza di terzo grado ha sancito definitivamente il
carattere autonomo e originale di Gomorra , come aveva stabilito la sentenza di
primo grado, rimandando al Tribunale circa la quantificazione del danno. Ma
andrebbe ricordato che questo processo ha un antefatto. Importante. La citazione
in giudizio da parte della società che pubblica Cronache di Napoli e Corriere di
Caserta (oggi Cronache di Caserta ) non nasce in seguito alla pubblicazione di
Gomorra (2006), ma solo due anni dopo: quando cioè ospite del Festivaletteratura
di Mantova (settembre 2008) criticai duramente quelle testate locali che
considero contigue alle organizzazioni criminali, che fungono da loro " uffici
stampa" e che sono organo di propagazione dei messaggi tra clan. A Mantova
mostro ritagli di giornale e la platea resta attonita. Il giorno successivo, di
Cronache di Napoli e Corriere di Caserta ne parlavano tutti i maggiori
quotidiani italiani. Continuo a lavorare su questo per lo Speciale Che Tempo Che
Fa del 25 marzo 2009 (19% dello share della serata e 4 milioni e mezzo di
telespettatori, è la trasmissione televisiva più vista quella sera). Mostro
anche la prima pagina del Corriere di Caserta con il titolo a caratteri
cubitali: "Don Peppe Diana era un camorrista". Ecco, dopo averne parlato in
televisione sullo stesso argomento scrivo un libro per Einaudi. Tra la presenza
televisiva e il libro arriva dunque la citazione in giudizio per plagio da parte
delle testate locali. Anche qui, occhio: non per diffamazione ma per plagio. E
non nel 2006, anno in cui Gomorra viene pubblicato, non nel 2007, ma dopo. Dopo
che di loro parlo in televisione. Aggiungo due notizie sulla società che mi ha
fatto causa. Maurizio Clemente, ex editore occulto delle due testate, è stato
condannato a sette anni di carcere per estorsione a mezzo stampa: si faceva
pagare per non diffondere informazioni su imprenditori e politici. E un processo
con sentenza dello scorso febbraio ha dimostrato come un giornalista, Enzo
Palmesano, che scriveva su un quotidiano del gruppo, sia stato licenziato su
ordine del sanguinario boss di camorra Vincenzo Lubrano, che ha partecipato
all'omicidio del fratello del giudice Imposimato. Ecco chi mi ha fatto causa.
Ecco a chi i giudici di secondo grado hanno dato parzialmente ragione. Ora, dopo
questa lunga ricostruzione, è chiaro o no perché mi si attacca? Perché sono un
simbolo da distruggere. Perché le parole, quando restano relegate alla cronaca,
sono invisibili: ma quando diventano letteratura, quelle stesse parole, quelle
stesse storie, diventano visibili, eccome. Ma si può fare un processo a un
genere letterario? Il metodo è la cronaca, il fine è la letteratura. Il lettore
legge un romanzo in cui tutto ciò che incontra è accaduto. Si chiama non-fiction
novel: ed è, credo, l'unico modo davvero efficace per portare all'attenzione di
un pubblico più vasto, e in genere poco interessato, questioni difficili da
comprendere. Perché in un libro che non è un saggio, ma appunto un romanzo
non-fiction, non si devono riportare tutti coloro che ne hanno scritto:
soprattutto quando le fonti sono aperte, come nel caso citato di un documento
dell'Fbi, quindi fonti comuni, o come i documenti governativi sulle
organizzazioni criminali in Guatemala, nel caso dei kaibiles - tutti esempi su
cui si è esercitato il mio critico americano. Se, per ipotesi, descrivessi il
crollo delle Torri gemelle, come faccio a citare tutti coloro che ne hanno fatto
in quel giorno la cronaca? Allo stesso modo, siccome descriverò il crollo delle
Torri gemelle, utilizzerò parole simili perché le fonti sono identiche e
soprattutto perché la fonte comune è la realtà: l'attacco terroristico è
avvenuto, è una notizia, e non ci sono molti modi per raccontare una notizia. Le
interpretazioni, quelle sì, possono essere infinite, e a quelle va attribuita
paternità: sempre. I fatti accaduti, con buona pace dei miei detrattori, non
appartengono a nessuno. O meglio appartengono a chi li racconta e poi a chi li
legge. Ma nell'articolo americano su ZeroZeroZero c'è di più. Non ci si limita a
dire che avrei riportato agenzie giornalistiche non citandole, ma che ho
inventato personaggi - nonostante io abbia detto direttamente al mio critico,
interpellato via email, che nessun personaggio è inventato. Lui insiste: "Sono
troppo perfetti per essere veri". Ma è esattamente quello che ripeto da anni: la
realtà è molto più incredibile della finzione. E quando ho deciso che forma dare
a ZeroZeroZero , con tutto il materiale che avevo raccolto, non avevo dubbi: non
potevo inventare. Quello che avevo, doveva essere raccontato così com'era. L'ho
fatto, con il mio libro, in Italia e nel mondo: dove ZeroZeroZero - che ora
compare negli Usa - è uscito ormai da due anni. Insomma: prima mi si accusa di
riportare notizie che esistono, ma prese da altri. Poi di aver inventato, perché
ciò che scrivo è troppo perfetto. E a voi tutto questo non sembra l'ennesimo,
furbo (ma poi nemmeno tanto) modo per delegittimarmi? Quando nell'articolo vengo
definito "una specie di celebrità globale", "una rockstar letteraria", "il
Rushdie di Roma", ho capito che ancora una volta ho fatto centro: il livore
arriva quando c'è visibilità, quando il dibattito diventa centrale e catalizza
l'attenzione. Ma mi dispiace per i miei critici, anche per quelli americani.
Fiero dell'odio e della diffamazione, degli attacchi che ricevo quotidianamente,
difenderò sempre il mio stile letterario: sia che lo usi per scrivere libri o
articoli, sia che lo usi in teatro o per una serie tv. Così come l'omertà di
alcuni sindaci non fermerà le riprese di Gomorra 2 , così il cachinno contro di
me non fermerà la mia letteratura. Rassegnatevi: continuerò a indagare il reale,
con il mio stile. Sarà di questo che avrà avuto paura anche la famiglia di
Pasquale Locatelli, il broker di coca ora agli arresti. Anche di lui parlo in
ZeroZeroZero e quando, nel 2013, il libro è uscito in Italia, anche lui ne ha
chiesto il ritiro immediato. La richiesta è stata respinta.
Roberto Saviano su “L’Espresso del 2 ottobre
2015: Se quelli sono giornalisti. Il sindacato e l’Ordine hanno ignorato gli
intrecci tra editoria e malavita. Ora invece si muovono per mettermi all’indice.
E mi danno dell’«abusivo». Il giornale locale che
aveva insinuato rapporti tra don Diana e il clan dei casalesi («Don Peppe Diana
era un camorrista»), dedicò un articolo al fascino di Nunzio De Falco, boss
mandante dell’omicidio don Diana. È il “Corriere di Caserta”, prima pagina del
17 gennaio 2005: «Boss playboy, De Falco re degli sciupafemmine». E poi: «Casal
di Principe (Ce). Non sono belli ma piacciono perché sono boss; è così. Se si
dovesse fare una classifica tra i boss playboy della provincia a detenere il
primato sono due pluripregiudicati di Casal di Principe non certamente belli
come poteva esserlo quello che invece è sempre stato il più affascinante di
tutti cioè don Antonio Bardellino. Si tratta di Francesco Piacenti alias Nasone
e Nunzio De Falco alias ’o Lupo. Secondo quello che si racconta ha avuto 5 mogli
e il secondo 7. Naturalmente ci riferiamo non a rapporti matrimoniali veri e
propri ma anche a rapporti duraturi da cui hanno avuto figli. Nunzio De Falco
infatti, sembra che avrebbe oltre dodici figli avuti da diverse donne. Ma
particolare interessante è un altro: le donne in questione non sono tutte
italiane. Una spagnola un’altra inglese un’altra è portoghese. Ogni luogo dove
si rifugiavano anche in periodo di latitanza mettevano su famiglia. Come
marinai? Quasi [...] Non a caso nei loro processi sono state chieste le
testimonianze anche di alcune loro donne tutte belle e molto eleganti». Per aver
riprodotto questo articolo con l’indicazione “un giornale locale”, data e
titolo, la Corte di Appello di Napoli mi ha condannato per plagio. L’articolo
non era firmato; anche se lo fosse stato non avrei indicato il nome del
giornalista perché non intendevo metterlo alla gogna, ma mostrare come lavora
certa stampa locale che parla del mandante dell’omicidio don Diana come un “boss
playboy” che ha avuto 7 donne, non tutte italiane ma «una spagnola un’altra
inglese un’altra è portoghese» e «tutte belle e molto eleganti». La Corte
d’Appello di Napoli ha ritenuto fosse plagio, eppure non mi sarei mai sognato di
fare mie parole che mi fanno ribrezzo. Il 25 settembre 2015 l’Ordine dei
giornalisti della Campania, il Sindacato unitario dei giornalisti della Campania
e i consiglieri nazionali campani della Fnsi hanno diramato questo comunicato
stampa: «Roberto Saviano, scrittore non-giornalista (non iscritto all’Ordine),
continua ad attaccare l’informazione in Campania pur avendo ripetutamente
saccheggiato i giornali locali, come dimostrato da una sentenza che ha imposto
al suo ex editore di citare “Cronache di Napoli”, fonte delle “notizie”
utilizzate per il libro “Gomorra”. Saviano, in sostanza, attacca quella stessa
informazione da cui prende a piene mani le notizie. A questo va aggiunto
l’ultimo caso di presunto plagio relativo al libro “ZeroZeroZero” dello
scrittore non-giornalista, denunciato dalla stampa statunitense. Lo scrittore
non-giornalista ribatte descrivendo il suo lavoro come un metodo tra giornalismo
e non fiction. “Il mezzo è la cronaca - dice - il fine è la letteratura”. Ma
allora il suo è un esercizio abusivo della professione? Saviano eviti
generalizzazioni e impari ad avere rispetto dei giornalisti che fanno il proprio
dovere, soprattutto quelli della Campania, molti dei quali lavorano nei
territori di frontiera a caccia di vere notizie per pochi euro rischiando anche
la propria incolumità senza alcuna protezione». Li conosco, e verso di loro
nutro profondo rispetto. Se i giudici avessero condannato uno scrittore meno
noto di me, probabilmente chi ha diramato questo comunicato sarebbe insorto
urlando alla censura. E probabilmente avrebbero stigmatizzato chi ha scritto
quell’abominevole articolo e la testata che lo ha diffuso (“Corriere di Caserta”
che insieme a “Cronache di Napoli” fa parte del Gruppo Libra. Il “Corriere di
Caserta” ha licenziato il giornalista Enzo Palmesano su ordine del boss Vincenzo
Lubrano. I giornalisti campani dov’erano quando questo accadeva? Palmesano in
un’intervista dice: «L’ordine dei giornalisti non si è costituito parte civile
con me e quando hanno letto la sentenza in tribunale ero da solo. Il sindacato
ugualmente assente»). Ma poi che definizione triste «un esercizio abusivo della
professione». Solo io ricordo chi è stato il grande abusivo del giornalismo
campano e come è stato trattato da molti suoi colleghi quando la camorra lo ha
ammazzato? Sono fiero di essere un “non-giornalista” se i giornalisti, cari
signori, siete voi.
Così il Nobel della realtà rivoluziona la
letteratura.
Con il riconoscimento alla Aleksievic cadono i
pregiudizi sulla non fiction, scrive Roberto Saviano su “La Repubblica”.
Il Nobel a Svetlana Aleksievic non è solo un riconoscimento a una intellettuale
che ha subito la pressione del regime di Lukashenko e che combatte Putin. Il
Nobel a Svetlana Aleksievic è una rivoluzione culturale: dopo decenni, viene
premiata la narrativa non fiction. Nel mondo anglofono, o meglio, in quel mondo
esatto che parla inglese e che, anche in letteratura, ha come cardine il
positivismo protestante, questo Nobel è una specie di terremoto. Lo dimostra
bene un articolo di Philip Gourevitch pubblicato sul New Yorker il 9 ottobre
2014 e riproposto in questi giorni dall'autore sul suo profilo Twitter. Sul New
Yorker Gourevitch raccontava chi è e cosa scrive Svetlana Aleksievic, e spiegava
quanto rivoluzionario sarebbe stato se il Nobel per la letteratura si fosse
finalmente aperto a quella visione del mondo, a quel racconto della realtà che
apparentemente sfugge a ogni catalogazione. Quasi una profezia. In molti non ci
credevano e pensavano che il Nobel avrebbe continuato a seguire il canone
classico premiando la letteratura che o è fiction, altrimenti non è. La
questione è di tipo epistemologico e, per argomentare la sua tesi, Gourevitch
cita Gay Talese che in un'intervista a The Paris Review disse: "Gli scrittori di
non fiction sono cittadini di seconda classe, l'Ellis Island della letteratura.
Semplicemente non riusciamo a entrare. E sì, questo mi fa incazzare". Ma le
parole di Telese cristallizzano la direzione verso cui il mercato letterario
tende. Spesso il problema per uno scrittore è costruire un libro che sul mercato
possa indossare un'etichetta, che possa stare esattamente in quello scaffale:
quanta miopia nella necessità di catalogare la scrittura. "Gli editori e i
librai - scrive Gourevitch - sono complici, insieme ad altri custodi del canone,
della privazione filistea alla grande scrittura documentaristica, riservando
l'etichetta "letteratura", su copertine e su scaffali, solo alle opere di
fiction". Librai ed editori partecipano tutti al grande fraintendimento
chiamando "letteratura" solo ciò che è pura invenzione e attribuendo alla
narrativa che racconta la realtà un ruolo secondario. Personalmente - e sono di
parte - credo che valga il contrario e non intendo piegarmi ai dettami del mondo
anglosassone che, nella sua quasi totalità, impone la legge dell'ottusa
divisione tra fiction e non fiction. La letteratura e la lettura, così intese,
vengono accompagnate da una serie di domande preventive che vivisezionano la
scrittura. Cos'è esattamente Svetlana Aleksievic, una giornalista o una
scrittrice? È più giornalista o più scrittrice? Che pensano di lei gli altri
giornalisti? E gli altri scrittori? È rigorosa nel racconto o si prende delle
licenze? Queste domande sono fuorvianti, perché non tengono presente il fine. E
il fine è creare un affresco letterario. Ecco, la non fiction può essere
raccontata in questo modo: è un genere letterario che non ha come obiettivo la
notizia, ma ha come fine il racconto della verità. Lo scrittore di narrativa non
fiction si appresta a lavorare su una verità documentabile ma la affronta con la
libertà della poesia. Non crea la cronaca, la usa. Aleksievic racconta prendendo
brani ascoltati in stazione; dopo un'intervista esprime la nausea che le ha
generato. Non ha paura che le lettere dal fronte che seleziona, che le sue
interviste, siano percepite come talmente perfette da sembrare invenzione. Sa
che la realtà supera di gran lunga l'immaginazione e accetta di farsene
megafono, amplificatore. La sua grandezza sta proprio nel coraggio letterario,
non farsi irreggimentare dalla prassi di lavoro che impongono i giornali.
Scegliere la letteratura non fiction, del resto, è una scelta di stile, è la
scelta di un percorso. Santa Evita di Tomá s Eloy Martí nez è il libro che
racconta meglio di qualunque altro la storia di Evita Perón, ma non racconta ciò
che è incontestabilmente considerato vero. Non è una biografia. Raccoglie fatti,
molti, su cui esistono più versioni e sceglie quelle ritenute più veritiere o
più funzionali alla narrazione. Potrebbe essere smentito Martínez, e avrebbe
come unica possibilità di difesa la credibilità del suo lavoro, cioè della
ricerca antropologica. C'è chi chiede all'arte di non essere più arte. Chi
pretende che sia più vera della verità. Più realista della realtà. Come se fosse
un gigantesco, e alla fine inutile, pantografo. Questo Nobel va nella direzione
opposta, perché non premia solo il coraggio di una dissidente, ma anche e
soprattutto il coraggio di una scrittrice che ha scelto un metodo, che con il
suo stile letterario ha minacciato il potere. La verità che ci racconta Svetlana
Aleksievic è universale anche se non si può misurare. Ragionando per assurdo,
che senso avrebbe avuto allegare a Ragazzi di zinco un dvd con tutte le
interviste fatte, nomi e cognomi esatti, per dimostrare che quelle conversazioni
erano avvenute proprio come le leggiamo? Ovviamente non avrebbe avuto nessun
senso perché al lettore interessa un'altra verità: raccogliere fatti e filtrarli
attraverso la riflessione letteraria, la riflessione umana, la cura delle
parole. Farli diventare creazione, non cronaca. Gli scrittori di narrativa non
fiction sono stati fino a oggi relegati in un limbo di non affidabilità.
Svetlana Aleksievic (che era addirittura chiamata spia, perché creduta in
Bielorussia una agente della Cia) era liquidata dai colleghi con le solite
litanie "tutti ci siamo occupati di Afghanistan", "tutti abbiamo scritto su
Cernobyl", "non scrive niente che non si sappia già". Certo, esistono decine,
centinaia di reportage: ma Aleksievic non ha solo raccontato l'Afghanistan o
Cernobyl, lei ha creato un Afghanistan e una Cernobyl a più dimensioni, agli
antipodi rispetto a quelle che i telegiornali avevano tracciato o che i
reportage ci hanno restituito. Ha raccontato quello che stava dentro, sopra e
accanto ai fatti, non i fatti, quelli li ha lasciati ai cronisti, a chi
ricostruisce la cronaca. Ha raccontato se stessa e il mondo attraverso quelle
vite e quelle morti. Ha raccontato quello che non era visibile ma c'era: le sue
sensazioni, i suoi stimoli e le sue congetture anche in mancanza di prove certe.
Questo la cronaca non può farlo, ma è dovere della letteratura. Aggiungere
realtà al romanzo, sottrarre freddezza alla cronaca, sono l'unica strada che
esiste per portare argomenti "sensibili" all'attenzione del lettore. Truman
Capote scrisse: "Ho questa idea di fare un grande e imponente lavoro; dovrebbe
essere esattamente come un romanzo, con un'unica differenza: ogni sua parola
dovrebbe essere vera, dall'inizio alla fine". Per Capote oggi sarebbe stato
ancora più difficile scrivere e difendere A sangue freddo. Lo hanno massacrato
quando è uscito e oggi avrebbero fatto di peggio, perché il peccato capitale di
manipolare (che non vuol dire falsificare) la realtà viene visto come
un'invasione di campo da parte di chi fa cronaca. Tom Wolfe, teorico del New
Journalism, affermava che non basta riportare le parole dei tuoi protagonisti
(veri, non di invenzione), ma bisogna costruire il contesto in cui agiscono e
parlano. E qui entra in campo la letteratura. Ma forse c'è una ragione politica
per cui la letteratura non fiction è considerata una specie di paria, ed è
questa: relegare il racconto del mondo al solo lavoro dei cronisti o della
misurabilità della notizia, significa spezzettarlo, isolarlo, in qualche modo
debilitarlo. Affrontare invece quello stesso racconto con il metodo narrativo,
significa creare un affresco comprensibile, fermare il consumo di notizie e
iniziare la digestione dei meccanismi; significa ricomporre il mosaico e parlare
a chi quella notizia non la leggerebbe mai, non potrebbe comprenderla se non in
un quadro più generale, non la sentirebbe propria. Provate a leggere le pagine
di Aleksievic sul tramonto dell'ideologia comunista, sui suicidi di chi ci
credeva, e capirete come quelle parole siano salite sulla locomotiva della
letteratura e abbiano centrato il punto. Aleksievic si prende la responsabilità
di intervenire sulla realtà e non si mette al riparo da essa. E allora non
capisco come sia possibile che in Italia, quando si discute sui grandi scrittori
viventi, non si parli innanzitutto di Corrado Stajano, di Un eroe borghese e
Africo. Letteratura è Guerre politiche, la prova non fiction di Goffredo Parise
superiore a moltissimi altri suoi libri di fiction. Letteratura è Banditi a
Orgosolo di Franco Cagnetta, velocemente catalogato come studio antropologico.
Letteratura è Un popolo di formiche di Tommaso Fiore che ogni ventenne (del Sud
ma anche del Nord) dovrebbe leggere, letteratura è l'inchiesta sulla morte di
Francesca Spada in Mistero napoletano di Ermanno Rea, è Il provinciale di
Giorgio Bocca. Sto citando libri spesso mai nemmeno pronunciati quando si
discute di letteratura italiana eppure ne sono l'aria migliore degli ultimi
decenni. Letteratura è il recente Al di la del mare, il racconto con nessun
altra prova che i suoi occhi, di Wolfgang Bauer tra i profughi siriani. Come si
possono non considerare letteratura Dispacci di Michael Herr o i libri di
Kapuscinsky, sistematicamente accusato, in vita e dopo la morte, di "aver
inventato", lui che veniva considerato un reporter e quindi doveva dimostrare le
sue verità. Letteratura è il più bel libro mai scritto sulla fame nel mondo, La
fame di Caparros. Tutti gli scrittori che ho citato, prima di questo Nobel,
hanno convissuto con lo spettro della perenne diffidenza e tutte le loro teorie
sulla non fiction novel e sul New Journalism erano percepite come
giustificazioni ex post o stravaganze artistiche. La cosa è accaduta persino con
il padre di tutti gli scrittori non fiction Rodolfo Walsh che raccontò nel 1957
con strumento letterario nel suo Operazione Massacro un episodio sconosciuto e
violentissimo della repressione militare argentina. La sua denuncia esplose nel
mondo proprio per lo stile con cui decise di affrontare il tema. Anche con il
cinema è andata così; i registi Vittorio De Seta e Francesco Rosi sono sempre
stati silenziosamente accusati di "manipolare" la verità. Amati quando relegati
nelle retrospettive culturali, ma temuti e fermati quando i loro lavori
intervenivano nel dibattito politico. Il caso Mattei oggi sarebbe immobilizzato
dalle querele e dall'accusa di infedeltà, eppure è forse il capolavoro che più
di ogni altro racconta quello che l'Italia poteva essere nel dopoguerra, e non
fu mai. Questa volta il Nobel è stato coraggioso nel premiare una persona che
viene definita saggista, che viene definita giornalista, che viene definita
reporter, pur essendo sempre stata una scrittrice. Spero si avveri la profezia
di Gourevitch, che un anno fa sul New Yorker aveva scritto: "Non appena sarà
abbattuta la barriera non fiction del Nobel, il fatto che sia esistita sembrerà
assurdo. "Letteratura" è solo un termine di invenzione per indicare la
scrittura".
Una cosa è certa, però. Per i poveri cristi vale “Colpevole fino a prova
contraria”. Per gli intoccabili vale "Innocente fino a prova contraria o fino
all’archiviazione o alla prescrizione".
Nel "palazzo dello scandalo". Un giorno con i giudici indagati,
scrive Riccardo Lo Verso Mercoledì 23 Settembre 2015 su “Live Sicilia”. Da
Silvana Saguto a Tommaso Virga, passando per Lorenzo Chiaromonte e Dario
Scaletta. Alcuni hanno cambiato incarico, altri hanno rinunciato a parte dei
loro compiti, ma è negli uffici giudiziari palermitani che attenderanno il
giudizio del CSM sulla loro eventuale incompatibilità ambientale. Tommaso Virga
è nella sua stanza al primo piano del nuovo Palazzo di giustizia di Palermo. Due
rampe di scale lo separano dalla sezione Misure di prevenzione finita sotto
inchiesta. Siede alla scrivania dopo avere appeso la toga e tolto la pettorina,
il bavaglino bianco che un regio decreto del 1865 impone di indossare ai giudici
in udienza. Questioni di forma e decoro. Virga parla con i cancellieri e prepara
il calendario delle udienze della quarta sezione penale. Fa tutto ciò che deve
fare un presidente che si è appena insediato. Archiviata l'esperienza di
consigliere togato al Consiglio superiore della magistratura aspettava che si
liberasse una sezione a Palermo. Un incrocio, quanto meno insolito, ha fatto sì
che andasse a prendere il posto di Mario Fontana, chiamato a sostituire Silvana
Saguto, l'ex presidente delle Misure di prevenzione travolta dall'indagine in
cui è coinvolto lo stesso Virga. Che si mostra disponibile con il cronista che
bussa alla sua porta. “Nel rispetto del ruolo che ricopro non ho mai fatto
dichiarazioni”, dice il presidente chiarendo subito la sua intenzione di non
cambiare idea proprio adesso. Inutile chiedergli dell'indagine che lo coinvolge,
della credibilità della magistratura che vacilla, della perplessità legittima di
chi si chiede se questa storia possa intaccare la serenità necessaria per chi
deve amministrare la giustizia al di là di ogni ragionevole dubbio,
dell'opportunità di continuare a fare il giudice a Palermo. Perché tutti i
magistrati coinvolti nell'indagine sono e resteranno a Palermo. Alcuni hanno
cambiato incarico, altri hanno rinunciato a parte dei loro compiti, ma è negli
uffici giudiziari palermitani, nei luoghi dello scandalo, che attenderanno il
giudizio del Csm sulla loro eventuale incompatibilità ambientale. Virga è tanto
garbato quanto ermetico. Si limita a fare registrare un dato incontrovertibile:
“Sono al mio posto, a lavorare”. I suoi gesti e il tono della voce sembrano
rispondere alla domanda sulla serenità. Qualcuno degli addetti alla cancelleria
si spinge oltre le impressioni con una frase asciutta: “L'autorevolezza del
presidente Virga è fuori discussione”. Già, l'autorevolezza, al centro delle
discussioni che impegnano gli addetti ai lavori nell'apparente normalità di una
mattinata al Palazzo di giustizia. Apparente perché è profondo il solco
tracciato dalla domanda che anima ogni capannello che si forma nei corridoi o
davanti alle aule: può essere credibile una magistratura segnata da un'indagine,
fastidiosa oltre che grave visti i reati ipotizzati? Nello scandalo dei beni
confiscati sono coinvolti quattro magistrati. Uno è Tommaso Virga, gli altri
sono Silvana Saguto e Lorenzo Chiaramonte (vecchi componenti della sezione
Misure di prevenzione, azzerata con l'arrivo di Fontana) e il pubblico ministero
Dario Scaletta. Hanno ruoli diversi nella vicenda. Per tutti vale il principio
della presunzione di non colpevolezza su cui si basa il nostro stato di diritto.
La Saguto sarebbe il vertice del presunto sistema affaristico - i pubblici
ministeri di Caltanissetta ipotizzano i reati di corruzione, induzione alla
concussione e abuso d'ufficio - creato attorno alla gestione dei beni
sequestrati e confiscati alla mafia. Un sistema che avrebbe finito per favorire
alcuni amministratori giudiziari piuttosto di altri. Fra i “favoriti” ci
sarebbero Gaetano Cappellano Seminara, il principe degli amministratori, e il
giovane Walter Virga, figlio del Tommaso di cui sopra. A detta dei pm nisseni,
il primo sarebbe stato nominato in cambio di consulenze assegnate al marito
della Saguto e il secondo per "ringraziare" Virga padre che, quando era
consigliere del Csm, avrebbe calmato le acque che si agitavano sull'operato
della Saguto. Un aiuto smentito nei giorni scorsi da Virga, tramite il suo
legale, l'avvocato Enrico Sorgi: “Durante il proprio mandato al Csm non
risultano essere stati avviati procedimenti disciplinari a carico della Saguto.
I fatti che formano oggetto della notizia diffusa sono del tutto privi di
potenziale fondamento”. Chiaramonte, invece, è indagato per abuso d'ufficio
perché non si sarebbe astenuto quando ha firmato l'incarico di amministratrice
giudiziaria a una persona di sua conoscenza. Infine c'è Dario Scaletta, pm della
Direzione distrettuale antimafia e rappresentante dell'accusa nei processi in
fase di misure di prevenzione. Scaletta avrebbe fatto sapere alla Saguto che era
stata trasferita da Palermo a Caltanissetta l'inchiesta su Walter Virga e cioè
il fascicolo da cui è partito il terremoto giudiziario. Il pubblico ministero ha
chiesto di non occuparsi più di indagini su Cosa nostra e di misure di
prevenzione. Tutti i magistrati, coinvolti nell'indagine a vario titolo e con
profili diversi, restano a Palermo. Silvana Saguto, appena avrà recuperato da un
infortunio fisico, andrà a presiedere la terza sezione della Corte d'assise.
Chiaramonte, ultimate le ferie, prenderà servizio all'ufficio del Giudice per le
indagini preliminari. Sarà il Csm a decidere se e quando trasferirli. Sul caso è
stato aperto un fascicolo, di cui si occuperà la Prima Commissione, competente
sui trasferimenti per incompatibilità ambientale e funzionale dei giudici. Il
Consiglio superiore della magistratura per tradizione non spicca in velocità. In
una giustizia spesso lumaca non fa eccezione il procedimento davanti
all'organismo di autogoverno della magistratura che somiglia molto, nel suo
svolgimento, ad un processo ordinario. A meno che non venga preso un
provvedimento cautelare urgente ci vorrà tempo prima di conoscere il destino dei
magistrati, forse più di quanto ne servirà ai pubblici ministeri di
Caltanissetta per chiudere le indagini o agli stessi indagati per chiarire la
loro posizione. Il “forse” è dovuto al fatto che le indagini affidate ai
finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Palermo sembrano essere appena
all'inizio e i pm non hanno alcuna intenzione, al momento, di sentire i
magistrati che avevano chiesto di essere interrogati. Oggi, però, son arrivate
le parole del vicepresidente del Csm Giovanni Legnini durante il plenum. "Oggi
parlerò con il presidente della Repubblica", ha detto ribadendo la volontà di
"procedere con la massima tempestività e rigore".
I MEDIA ED I LORO
PECCATI: DISINFORMAZIONE, CALUNNIA, DIFFAMAZIONE.
Per il pontefice
“il clima mediatico ha le sue forme di inquinamento, i suoi veleni. La gente lo
sa, se ne accorge, ma poi purtroppo si abitua a respirare dalla radio e dalla
televisione un’aria sporca, che non fa bene. C’è bisogno di far circolare
aria pulita. Per me i peccati dei media più grossi sono quelli che vanno sulla
strada della bugia e della menzogna, e sono tre: la disinformazione, la calunnia
e la diffamazione. Dare attenzione a tematiche importanti per la vita delle
persone, delle famiglie, della società, e trattare questi argomenti non in
maniera sensazionalistica, ma responsabile, con sincera passione per il bene
comune e per la verità. Spesso nelle grandi emittenti questi temi sono
affrontati senza il dovuto rispetto per le persone e per i valori in causa, in
modo spettacolare. Invece è essenziale che nelle vostre trasmissioni si
percepisca questo rispetto, che le storie umane non vanno mai strumentalizzate”.
Infatti nessuno delle tv ed i giornali ne hanno parlato di questo intervento.
"Evitare i tre
peccati dei media: la disinformazione, la calunnia e la diffamazione". E'
l'esortazione che rivolge al mondo dell'informazione e della comunicazione Papa
Francesco, cogliendo l'occasione dell'udienza del 15 dicembre 2014 in Aula Paolo
VI dei dirigenti, dipendenti e operatori di Tv2000, la televisione della Chiesa
italiana. «Di questi tre peccati, la calunnia sembra il più grave perché
colpisce le persone con giudizi non veri. Ma in realtà il più grave e pericoloso
è la disinformazione, perché ti porta all'errore, ti porta a credere solo a una
parte della verità. La disinformazione, in particolare spinge a dire la metà
delle cose e questo porta a non potersi fare un giudizio preciso sulla realtà.
Una comunicazione autentica non è preoccupata di colpire: l'alternanza tra
allarmismo catastrofico e disimpegno consolatorio, due estremi che continuamente
vediamo riproposti nella comunicazione odierna, non è un buon servizio che i
media possono offrire alle persone. Occorre parlare alle persone “intere”, alla
loro mente e al loro cuore, perché sappiano vedere oltre l'immediato, oltre un
presente che rischia di essere smemorato e timoroso del futuro. I media
cattolici hanno una missione molto impegnativa nei confronti della comunicazione
sociale cercare di preservarla da tutto ciò che la stravolge e la piega ad altri
fini. Spesso la comunicazione è stata sottomessa alla propaganda, alle
ideologie, a fini politici o di controllo dell'economia e della tecnica. Ciò che
fa bene alla comunicazione è in primo luogo la “parresia”, cioè il coraggio di
parlare con franchezza e libertà. Se siamo veramente convinti di ciò che abbiamo
da dire, le parole vengono. Se invece siamo preoccupati di aspetti tattici, il
nostro parlare sarà artefatto e poco comunicativo, insipido. La libertà è anche
quella rispetto alle mode, ai luoghi comuni, alle formule preconfezionate, che
alla fine annullano la capacità di comunicare. Risvegliare le parole: ecco il
primo compito del comunicatore. La buona comunicazione in particolare evita sia
di "riempire" che di "chiudere". Si riempie quando si tende a saturare la
nostra percezione con un eccesso di slogan che, invece di mettere in moto il
pensiero, lo annullano. Si chiude quando alla via lunga della comprensione
si preferisce quella breve di presentare singole persone come se fossero in
grado di risolvere tutti i problemi, o al contrario come capri espiatori, su cui
scaricare ogni responsabilità. Correre subito alla soluzione, senza concedersi
la fatica di rappresentare la complessità della vita reale è un errore frequente
dentro una comunicazione sempre più veloce e poco riflessiva. La libertà è anche
quella rispetto alle mode, ai luoghi comuni, alle formule preconfezionate, che
alla fine annullano la capacità di comunicare».
Questa sub cultura
artefatta dai media crea una massa indistinta ed omologata. Un gregge di pecore.
A questo punto vien meno il concetto di democrazia e prende forma l’esigenza di
un uomo forte alla giuda del gregge che sappia prendersi la responsabilità del
necessario cambiamento nell’afasia e nell’apatia totale. Sembra necessario il
concetto che è meglio far decidere al buon e capace pastore dove far andare il
gregge che far decidere alle pecore il loro destino rivolto
all’inevitabile dispersione.
Francesco di Sales,
appena ordinato sacerdote, nel 1593, lo mandarono nel Chablais, che poi sarebbe
il Chiablese, dato che sta nell’Alta Savoia, ma l’avevano invaso gli Svizzeri e
tutti si erano convertiti al calvinismo, scrive Lanfranco Caminiti su “Il
Garantista”. Insomma, doveva essere proprio tosto predicare il cattolicesimo lì.
Però, lui aveva studiato dai Gesuiti e poi si era laureato a Padova, perciò
poteva con capacità d’argomentazione affrontare qualunque disputa teologica. Era
uno che lavorava di fino, Francesco di Sales. Solo che tutto quello che diceva
dal pulpito non sortiva grande effetto in quei cuori e quelle menti montanare, e
allora per raggiungerli e scaldarli meglio con le sue parole gli venne l’idea di
far affiggere nei luoghi pubblici dei “manifesti”, composti con uno stile agile
e di grande efficacia, e di far infilare dei “volantini” sotto le porte. Il
risultato fu straordinario. È per questo che san Francesco di Sales è il santo
patrono dei giornalisti. Per lo stile e l’efficacia, per la capacità di
argomentare la verità. Almeno fino a ieri. Perché da ieri c’è un altro Francesco
che ha steso le sue mani benedette sul giornalismo, ed è papa Bergoglio.
«Evitare i tre peccati dei media: la disinformazione, la calunnia e la
diffamazione». È l’esortazione che papa Francesco ha rivolto al mondo
dell’informazione e della comunicazione, cogliendo l’occasione dell’udienza in
Aula Paolo VI di dirigenti, dipendenti e operatori di Tv2000, la televisione
della Cei, conferenza episcopale italiana. In realtà, ne aveva già parlato il 22
marzo, incontrando nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, i
membri dell’Associazione ”Corallo”, network di emittenti locali di ispirazione
cattolica presenti in tutte le regioni italiane. Ora c’è tornato sopra, ora ci
batte il chiodo. Si vede che gli sta a cuore la cosa, e come dargli torto.
Evidentemente non parlava solo ai giornalisti cattolici, papa Francesco, e
quindi siamo tutti chiamati in causa. «Di questi tre peccati, la calunnia – ha
continuato Francesco – sembra il più grave perché colpisce le persone con
giudizi non veri. Ma in realtà il più grave e pericoloso è la disinformazione,
perché ti porta all’errore, ti porta a credere solo a una parte della verità».
Era stato anche più dettagliato nell’argomentazione il 22 marzo: «La calunnia è
peccato mortale, ma si può chiarire e arrivare a conoscere che quella è una
calunnia. La diffamazione è peccato mortale, ma si può arrivare a dire: questa è
un’ingiustizia, perché questa persona ha fatto quella cosa in quel tempo, poi si
è pentita, ha cambiato vita. Ma la disinformazione è dire la metà delle cose,
quelle che sono per me più convenienti, e non dire l’altra metà. E così, quello
che vede la tv o quello che sente la radio non può fare un giudizio perfetto,
perché non ha gli elementi e non glieli danno».
Sono i falsari
dell’informazione, i peccatori più gravi.
«E io a lui: “Chi
son li due tapini
che fumman come man
bagnate ’l verno,
giacendo stretti a’
tuoi destri confini?”.
L’una è la falsa
ch’accusò Gioseppo;
l’altr’è ’l falso
Sinon greco di Troia:
per febbre aguta
gittan tanto leppo».
Così Dante descrive
nel Canto XXX dell’Inferno la sorte di due “falsari”, la moglie di Putifarre e
Sinone. Sinone è quello che convinse i Troiani raccontando un sacco di panzane
che quelli si bevvero come acqua fresca e fecero entrare il cavallo di legno,
dentro cui si erano nascosti gli Achei che così presero la città. La moglie di
Putifarre, ricco signore d’Egitto – così si racconta nella Genesi –, invece,
s’era incapricciata del giovane schiavo Giuseppe, cercando di sedurlo. Solo che
Giuseppe non ci sentiva da quell’orecchio. Offesa dal rifiuto del giovane, la
donna si vendicò accusandolo di aver tentato di farle violenza. Per questa falsa
accusa Giuseppe fu gettato nelle prigioni del Faraone. Eccolo, il “leppo”
dantesco, che è un fumo puzzolente. E fumo puzzolente si leva dalle pagine dei
giornali di disinformacija all’italiana.
Durante la Guerra
fredda i russi si erano specializzati nel diffondere informazioni false e mezze
verità: raccontavano un sacco di balle sui propri progressi, o magnificavano le
sorti delle nazioni che erano sotto l’orbita del comunismo, e nello stesso tempo
imbrogliavano le carte su quello che succedeva nell’Occidente maledettamente
capitalistico. Pure gli americani avevano la loro disinformacija. Le loro
porcherie diventavano battaglie di libertà e le puttanate che compivano erano
gesti necessari per difendere la democrazia dall’orso russo e dai cavalli
cosacchi. Fare disinformaciija non è banale, non è che ti metti a strillare le
stronzate, è un lavoro sottile. Quel cervellone di Chomsky – e ne capisce della
questione, visto che è un linguista – riferendosi alle falsificazioni delle
prove e delle fonti l’ha definita “ingegneria storica”. Devi orientare
l’opinione pubblica, mescolando verità e menzogna; devi sminuire l’importanza e
l’attenzione su un evento dandogli una scarsa visibilità e, all’opposto,
ingigantire gli spazi informativi su questioni di secondaria importanza; devi
negare l’evidenza inducendo al dubbio e all’incredulità. Insomma, è un
lavoraccio, che presuppone una vera e propria “macchina disinformativa”. Cioè, i
giornali. «Ciò che fa bene alla comunicazione è in primo luogo la parresia, cioè
il coraggio di parlare con franchezza e libertà», ha aggiunto papa Francesco. Ha
ragione papa Francesco, ragione da vendere. Qualunque direttore di giornale,
qualunque editore, qualunque comitato di redazione, qualunque corso dell’ordine
dei giornalisti, ti dirà che questi, della franchezza e della libertà, sono i
cardini del lavoro dell’informazione. Ma sono chiacchiere. Francesco, invece,
non fa chiacchiere. E magari succede che domani troveremo in qualche piazza dei
dazebao o dei volantini sotto le nostre porte con la sua firma.
Dalla prova
scientifica a quella dichiarativa, passando per il legame tra magistratura e
giornalismo. Il dibattito sul processo penale organizzato il 12 dicembre 2014 a
Palmi, in provincia di Reggio Calabria, nell’auditorium della Casa della Cultura
intitolata a Leonida Repaci dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati con la
collaborazione del Comune e della Camera penale, è stato molto più di un
semplice dibattito, andato oltre gli aspetti prettamente giuridici, scrive
Viviana Minasi su “Il Garantista”. Si è infatti parlato a lungo del legame che
esiste tra la magistratura e il giornalismo, quel giornalismo che molto spesso
trasforma in veri e propri eventi mediatici alcuni processi penali o fatti di
cronaca nera. Se ne è parlato con il direttore de Il Garantista Piero
Sansonetti, il Procuratore di Palmi Emanuele Crescenti, il presidente del
Tribunale di Palmi Maria Grazia Arena, l’onorevole Armando Veneto, presidente
della Camera penale di Palmi e con il presidente del Consiglio dell’Ordine degli
Avvocati Francesco Napoli. Tanti gli ospiti presenti in questa due giorni
dedicata al processo penale. Al direttore Sansonetti il compito di entrare nel
vivo del dibattito, puntando quindi l’attenzione su quella sorta di “alleanza”
tra magistratura e giornalismo, a volte tacita. «Mi piacerebbe apportare una
correzione alla locandina di questo evento, ha detto ironicamente Sansonetti –
scrivendo “Giornalismo è giustizia”, invece che “Giornalismo e giustizia”.
Perché? Perché molto spesso, soprattutto negli ultimi decenni, è successo che i
processi li ha fatti il giornalismo, li abbiamo fatti noi insieme ai
magistrati». Fatti di cronaca quali il disastro della Concordia, Cogne, andando
indietro negli anni anche Tangentopoli, fino a giungere all’evento che ha
catalizzato l’attenzione dei media nazionali negli ultimi giorni, l’inchiesta su
Mafia Capitale, sono stati portati alla ribalta dal giornalismo, magari a danno
di altri eventi altrettanto importanti che però quasi cadono nell’oblio. «Ci
sono eventi di cronaca che diventano spettacolo – ha proseguito il direttore
Sansonetti – e questo accade quando alla stampa un fatto interessa, quando noi
giornalisti fiutiamo “l’affare”». Sansonetti ha poi parlato di un principio
importante tutelato dall’articolo 111 della Costituzione, l’articolo che parla
del cosiddetto “giusto processo”, che in Italia sarebbe sempre meno applicato,
soprattutto nella parte in cui si parla dell’informazione di reato a carico di
un indagato. «Sempre più spesso accade che l’indagato scopre di essere indagato
leggendo un giornale, o ascoltando un servizio in televisione, e non da un
magistrato». Su Mafia Capitale, Sansonetti ha lanciato una frecciata al
Procuratore capo di Roma Pignatone, definendo un «autointralcio alla giustizia»
la comunicazione data in conferenza stampa, relativa a possibili altri blitz
delle forze dell’ordine, a carico di altri soggetti che farebbero parte della
“cupola”. Suggestivo anche l’intervento di Giuseppe Sartori, ordinario di
neuropsicologia forense all’università di Padova, che ha relazionato su
“tecniche di analisi scientifica del testimone”. Secondo quanto affermato da
Sartori, le testimonianze nei processi, ma non solo, sono quasi sempre
inattendibili. Il punto di partenza di questa affermazione è uno studio
scientifico condotto su circa 1500 persone, che ha dimostrato come la
testimonianza è deviata e deviabile, sia dal ricordo sia dalle domande che
vengono poste al testimone. Un caso che si sarebbe evidenziato soprattutto nelle
vicende che riguardano le molestie sessuali, nelle quali il ricordo è fortemente
suggestionabile dal modo in cui vengono poste le domande. Il convegno era stato
introdotto dall’ex sottosegretario del primo governo Prodi ed ex
europarlamentare Armando Veneto, figura di primo piano della Camera penale di
Palmi. L’associazione dei penalisti da anni è in prima linea per
controbilanciare il “potere” (secondo gli avvocati) che la magistratura
inquirente avrebbe nel distretto giudiziario di Reggio Calabria e il peso
preponderante di cui la pubblica accusa godrebbe nelle aule di giustizia. Le
posizione espresse da Veneto, anche all’interno della camera penale di Palmi,
sono ormai state recepite da due generazioni di avvocati penalisti.
Purtroppo, però, in
Italia non cambierà mai nulla.
Mamma l’italiani,
canzone del 2010 di Après La Class
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
nei secoli dei
secoli girando per il mondo
nella pizzeria con
il Vesuvio come sfondo
non viene dalla
Cina non è neppure americano
se vedi uno
spaccone è solamente un italiano
l'italiano fuori si
distingue dalla massa
sporco di farina o
di sangue di carcassa
passa incontrollato
lui conosce tutti
fa la bella faccia
fa e poi la mette in culo a tutti
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
a suon di mandolino
nascondeva illegalmente
whisky e sigarette
chiaramente per la mente
oggi è un po'
cambiato ma è sempre lo stesso
non smercia
sigarette ma giochetti per il sesso
l'italiano è sempre
stato un popolo emigrato
che guardava avanti
con la mente nel passato
chi non lo capiva
lui lo rispiegava
chi gli andava
contro è saltato pure in a...
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
l'Italia agli
italiani e alla sua gente
è lo stile che fa
la differenza chiaramente
genialità questa è
la regola
con le idee che
hanno cambiato tutto il corso della storia
l'Italia e la sua
nomina e un alta carica
un eredità scomoda
oggi la visione
italica è che
viaggiamo tatuati
con la firma della mafia
mafia mafia mafia
non mi appartiene
none no questo marchio di fabbrica
aria aria aria
la gente è troppo
stanca è ora di cambiare aria
mafia mafia mafia
non mi appartiene
none no questo marchio di fabbrica
aria aria aria
la gente è troppo
stanca è ora di cambiare aria
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
vacanze di piacere
per giovani settantenni
all'anagrafe
italiani ma in Brasile diciottenni
pagano pesante
ragazze intraprendenti
se questa compagnia
viene presa con i denti
l'italiano è sempre
stato un popolo emigrato
che guardava avanti
con la mente nel passato
chi non lo capiva
lui lo rispiegava
chi gli andava
contro è saltato pure in a...
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
spara la famiglia
del pentito che ha cantato
lui che viene
stipendiato il 27 dallo Stato
nominato e
condannato nel suo nome hanno sparato
e ricontare le sue
anime non si può più
risponde la
famiglia del pentito che ha cantato
difendendosi
compare tutti giorni più incazzato
sarà guerra tra
famiglie
sangue e rabbia tra
le griglie
con la fama come
foglie che ti tradirà
mafia mafia mafia
non mi appartiene
none no questo marchio di fabbrica
aria aria aria
la gente è troppo
stanca è ora di cambiare aria
mafia mafia mafia
non mi appartiene
none no questo marchio di fabbrica
aria aria aria
la gente è troppo
stanca è ora di cambiare aria
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li cani
Mamma l'italiani
mamma l'italiani mancu li cani mancu li ca
LA
CHIAMANO GIUSTIZIA, PARE UNA BARZELLETTA. PROCESSI: POCHE PAGINE DA LEGGERE E
POCHI TESTIMONI.
Dopo aver affermato qualche mese fa che se
nel nostro Paese si fanno troppe cause la colpa è del numero eccessivo di
avvocati, ora l’illustre magistrato Giorgio Santacroce, presidente della Corte
di Cassazione, interviene per chiarire (agli avvocati, ovviamente) come vanno
redatti i ricorsi da presentare alla Suprema Corte onde non incorrere in
possibili declaratorie di inammissibilità. Lo ha fatto con una lettera
inviata al Presidente del CNF Guido Alpa dopo il Convegno “Una
rinnovata collaborazione tra magistratura e avvocatura nel quadro europeo”
organizzato dal Consiglio Consultivo dei Giudici Europei del Consiglio
d’Europa, dal CSM e dal CNF. Prendendo spunto dal dibattito scaturito
in quella circostanza, il Dott. Santacroce ha preso carta e
penna ed ha scritto una lettera al Consiglio Nazionale Forense per confermare
alcune direttive, ora finalmente rese “ufficiali” dall’organo deputato a
riceverle. Richiamando quanto già espresso in precedenza sia dalla Corte
Europea dei Diritti dell'Uomo (la quale ha previsto tra le indicazioni
pratiche relative alla forma e al contenuto del ricorso di cui all'art. 47 del
Regolamento che «nel caso eccezionale in cui il ricorso ecceda le 10 pagine il
ricorrente dovrà presentare un breve riassunto dello stesso») e dal
Consiglio di Stato (che ha suggerito di contenere nel limite di 20-25
pagine la lunghezza di memorie e ricorsi, e, nei casi eccedenti, di far
precedere l’esposizione da una distinta sintesi del contenuto dell’atto estesa
non più di 50 righe), il primo Presidente della Corte ha affermato che anche gli
atti dei giudizi di cassazione dovranno trovare applicazione criteri similari. “Ben
potrebbe ritenersi congruo – scrive il Presidente Santacroce nella
lettera indirizzata al CNF - un tetto di 20 pagine, da raccomandare
per la redazione di ricorsi, controricorsi e memorie. Nel caso ciò non fosse
possibile, per l'eccezionale complessità della fattispecie, la raccomandazione
potrà ritenersi ugualmente rispettata se l'atto fosse corredato da un riassunto
in non più di 2-3 pagine del relativo contenuto. Sembra, altresì, raccomandabile
che ad ogni atto, quale ne sia l'estensione, sia premesso un breve sommario che
guidi la lettura dell'atto stesso. Allo stesso modo è raccomandabile che le
memorie non riproducano il contenuto dei precedenti scritti difensivi, ma,
limitandosi ad un breve richiamo degli stessi se necessario, sviluppino
eventuali aspetti che si ritengano non posti adeguatamente in luce
precedentemente, così anche da focalizzare su tali punti la presumibile
discussione orale”. Attenendosi a tali criteri di massima si potrebbe
superare, secondo il primo Presidente - in molti casi quello scoglio che è
l’inammissibilità del ricorso “non già per la mancanza di concretezza dei
motivi del ricorso, ma per la modalità con cui questo viene presentato, che non
rispondono ai canoni accettati dalla Cassazione”, tra i quali appunto la
sinteticità degli atti presentati a sostegno della presa in esame del
dibattimento arrivato a sentenza in Appello”. Lo spirito dell’iniziativa
del Dott. Santacroce è certamente propositivo e positivo, così come lo è il
clima di collaborazione che il Magistrato ha auspicato in tal senso. Di certo
però andrà conciliato con un altro principio - quello dell’autosufficienza
dell’atto - che non poco ha turbato il sonno degli avvocati in questi ultimi
mesi, ossia l’esigenza posta a carico del ricorrente di inserire nel ricorso o
nella memoria la specifica indicazione dei fatti e dei mezzi di prova
asseritamente trascurati dal giudice di merito, nonché la descrizione del
contenuto essenziale dei documenti probatori con eventuale trascrizione dei
passi salienti. Un requisito (l’autosufficienza) che i giudici della Corte non
hanno ritenuto affatto assolto mediante la allegazione di semplici fotocopie, e
questo perché, si è detto, non è compito della Corte individuare tra gli atti e
documenti quelli più significativi e in essi le parti più rilevanti, “comportando
una siffatta operazione un'individuazione e valutazione dei fatti estranea alla
funzione del giudizio di legittimità”. Da qui la redazione di atti
complessi ed articolati, e dunque anche lunghi, nel timore di non vedere
considerato dal parte del Giudice un qualche aspetto o un qualche documento
essenziale ai fini del decidere. Ora, insomma, gli avvocati avranno un compito
in più: conciliare il criterio della brevità dell’atto con quello
dell’autosufficienza. Mica roba da poco….
La conseguenza
è.........La Cassazione boccia un ricorso perché "troppo prolisso".Sotto accusa
l'atto degli avvocati dell'Automobile club d'Ivrea contro una sentenza della
Corte d'Appello di Torino:"Tante pagine inutili". Ma diventa un modello: massimo
venti pagine, scrive Ottavia Giustetti su “la Repubblica”. La dura vita del
giudice di Cassazione: presentate pure il ricorso, avvocati, ma fate in modo che
sia sintetico. Altrimenti state pur certo che sarà respinto. Poche pagine per
spiegare i fatti, niente che comporti uno sforzo inutile per chi legge. Insomma
«non costringeteci» a esaminare pagine e pagine se volete avere qualche speranza
di vincere. Nero su bianco, tra le righe del testo di una recente sentenza della
terza sezione sul ricorso contro una decisione della Corte d’appello di Torino,
i giudici supremi hanno vergato il vademecum della sintesi estrema. Altrimenti:
bocciatura assicurata. Qualche tempo fa lo avevano fatto a proposito dei ricorsi
di legittimità legati al fisco. «La pedissequa riproduzione dell’intero,
letterale, contenuto degli atti processuali - scrivono i magistrati al primo
capoverso che illustra le motivazioni del rigetto del ricorso - è del tutto
superfluo ed equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere
tutto (anche quello di cui non occorre che sia informata) la scelta di quanto
rileva. La conseguenza è l’inammissibilità del ricorso per Cassazione». E, a
quanto pare, è solo un esempio dei pronunciamenti di questo tenore che in questi
mesi agitano le acque nell’ambiente degli avvocati. I forum sul diritto sono
zeppi di commenti taglienti sulla «preziosa risorsa» del giudice che va
«salvaguardata a tutti i costi». Tempi sterminati della giustizia, necessità di
smaltire migliaia di procedimenti arretrati, prescrizione sempre in agguato: è
nell’ambito della lotta a questi ormai cronici problemi del Paese il vademecum
del giudice all’avvocato per evitare sbrodolamenti inutili. E non si può dire
che sia nuova la tendenza a inibire il difensore che non si trasformi ogni volta
in un Marcel Proust del diritto quando chiede giustizia. Ma respingere un
ricorso perché un legale non è stato capace di sintesi da bignami appare come
una novità giuridica importante, dicono gli avvocati. Nel caso della terza
sezione civile sulla sentenza della Corte d’appello di Torino l’oggetto del
contendere erano le spese di gestione dell’Automobile club di Ivrea. Una vicenda
relativamente di poco conto. Ma analoghe prescrizioni si fanno strada e
rischiano di diventare obbligo previsto per legge se sarà approvato uno
specifico emendamento del decreto di riforma della giustizia in discussione in
questi mesi in Parlamento. Il punto che è già stato approvato dalla commissione
affari costituzionali della Camera finisce col prevedere la necessità per gli
avvocati amministrativisti di scrivere i ricorsi e gli altri atti difensivi
entro le esatte dimensioni che sono in via di definizione e sono stabilite con
un decreto del Presidente del Consiglio di Stato. Saranno venti pagine al
massimo i ricorsi d’ora in poi, mentre quel che sconfina è destinato per sempre
all’oblio. Brevità della trattazione, che va in direzione opposta all’abitudine
di molti legali che, con il timore di rientrare nei canoni dell’inammissibilità,
finiscono per presentare ricorsi-fiume.
Ed ancora:
“Inammissibile, prolisso e ripetitivo”. Così i giudici del Consiglio di Stato di
Lecce hanno giudicato il ricorso d’appello presentato dai tredici proprietari
dei terreni interessati dai lavori di allargamento della tanto contestata s.s.
275. Oltre a riconfermare quanto rilevato dal Tribunale amministrativo leccese,
il Consiglio di Stato ha deciso di condannare gli appellanti al rimborso delle
spese di lite, con la sanzione prevista per la violazione del principio di
sinteticità degli atti processuali, introdotta dall’art. 3 del nuovo Codice del
processo amministrativo. “Si deve tener conto – si legge in sentenza –
dell’estrema prolissità e ripetitività dell’appello in esame (di 109 pagine)”.
Il rispetto del dovere di sinteticità, ha sottolineato il Giudice, “costituisce
uno dei modi – e forse tra i più importanti – per arrivare ad una giustizia
rapida ed efficace”. Gli appellanti dovranno rimborsare, dunque, le spese alla
Provincia di Lecce, alla Regione Puglia, al Consorzio Asi, alla Prosal, al CIPE,
all’Anas, al Ministero delle Infrastrutture, al Ministero dell’Ambiente e al
Ministero dei Rapporti con la Regione.
Eh, sì! Proprio
così : lo affermano la Suprema Corte con sentenza n. 11199 del 04.07.2012 e, di
recente, il Tribunale di Milano con sentenza del 01.10. 2013, scrive l’Avv.
Luisa Camboni. "Viola il giusto processo l'avvocato che trascrive nel proprio
atto processuale le precedenti difese, le sentenze dei precedenti gradi, le
prove testimoniali, la consulenza tecnica e tutti gli allegati; il giusto
processo richiede trattazioni sintetiche e sobrie, anche se le questioni sono
particolarmente tecniche o economicamente rilevanti". I Giudici di Piazza
Cavour dicono "NO" agli avvocati prolissi. Perché? Perché, a dire dei Giudici
con la toga di ermellino, si violerebbe uno dei principi cardine, uno dei
pilastri fondamentali su cui poggia il nostro sistema giuridico: il principio
del giusto processo, ex art. 111 Cost. "La giurisdizione si attua mediante il
giusto processo regolato dalla legge. [...]". Uno dei tanti significati
insiti nel menzionato principio, difatti, è quello di garantire la celerità del
processo, celerità che si realizza anche attraverso atti brevi, ma chiari e
precisi nel loro contenuto ( c.d. principio di sinteticità). Il caso, su
cui i Giudici si sono pronunciati, riguardava un ricorso di oltre 64 pagine e
una memoria illustrativa di ben 36 pagine, il cui contenuto reiterava quello del
ricorso. Il principio cui hanno fatto riferimento per dare un freno, uno STOP a
Noi Avvocati, molto spesso prolissi, è il principio del giusto processo.
Difatti, hanno precisato che un atto processuale eccessivamente lungo, pur non
violando alcuna norma, non giova alla chiarezza e specificità dello stesso e,
nel contempo, ostacola l'obiettivo di un processo celere. Il cosiddetto giusto
processo, tanto osannato dalla nostra Carta Costituzionale, infatti, richiede da
Noi Avvocati atti sintetici redatti in modo chiaro e sobrio: "nessuna
questione, pur giuridicamente complessa", a dire della Suprema Corte,
"richiede atti processuali prolissi". L'atto processuale, dunque, deve
essere completo e riportare in modo chiaro la descrizione delle circostanze e
degli elementi di fatto, oggetto della controversia. Ancora una volta la Suprema
Corte ha richiamato l'attenzione di Noi Avvocati specificando quali sono i
principi che ogni operatore di diritto, nella specie l'Avvocato, deve tener
presente nel redigere gli atti: specificità, completezza, chiarezza e
precisione. Nel caso, dunque, di violazione del principio di sinteticità, ovvero
di redazione di atti sovrabbondanti, il giudice può tenerne conto, in sede di
liquidazione delle spese processuali, condannando la parte colpevole ai sensi
degli artt. 91 e 92 c.p.c.. Per Noi Avvocati, sulla base di quanto affermato dai
Giudici di Piazza Cavour, non ha valore alcuno il motto latino "Ripetita
iuvant", in quanto le cose ripetute non giovano alla nostra attività
professionale che si estrinseca, nei giudizi civili, in attività di difesa negli
atti, i quali devono essere chiari, sintetici e precisi. Un'attività di difesa
non dipende dalla lungaggine dell'atto, ma dall'ingegno professionale, ingegno
che consiste nell'individuare la giusta strategia difensiva per ottenere i
migliori risultati sia per il cliente, sia per lo stesso professionista.
"Avvocati siete
troppo prolissi, se volete ottenere giustizia per i vostri assistiti dovete
imparare il dono della sintesi": la Cassazione ormai lo scrive nel testo delle
sentenze. Ecco il parere di un principe del foro torinese, l'avvocato Andrea
Galasso, protagonista nelle battaglie tra Margherita Agnelli e la sua famiglia e
nel processo a Calciopoli.
Avvocato, i suoi
colleghi sono contrari e allarmati, lei cosa ne pensa?
«Da un certo punto
di vista i giudici mi trovano d'accordo perché so che spesso quando ci si
dilunga e si sbrodola volentieri sui fatti è perché si teme di non poter
argomentare bene in punto di diritto. Quindi la Cassazione ha ragione a ritenere
che sia necessaria una buona dote di sintesi anche per non appesantire una
attività che è diventata sempre più pressante».
Quindi, secondo
lei, un bravo avvocato è capace di rimanere nei limiti che la Cassazione
considera legittimi per presentare un ricorso?
«In linea di
massima ritengo di sì. Poi, ovviamente, ci sono casi diversi. La sintesi deve
essere una indicazione generale. poi ogni processo ha la sua storia».
Però sentenze
recenti scrivono proprio nero su bianco che il ricorso può essere respinto
perché è troppo prolisso e costringe la Corte a leggere elementi inutili. Lei
crede che sia corretto?
«No, questo no.
Siamo in un caso di cattiveria intellettuale. Di malcostume alla rovescia».
Tra l'altro queste
indicazioni di brevità estrema condizioneranno sempre di più il lavoro degli
avvocati. È in via di approvazione un emendamento che stabilisce un tetto di
venti pagine per i ricorsi al Tar.
«Questo è un
problema serio che riguarda il rapporto degli avvocati con i consigli
dell'Ordine che evidentemente non sono in grado di far sentire la propria voce
quanto dovrebbero».
Lei crede che la
categoria dovrebbe essere più ascoltata, insomma?
«Beh sì. Quando si
trasformano in legge regole che condizionano così profondamente il nostro lavoro
sarebbe opportuno avere un Ordine degli avvocati capace di proporsi come
interlocutore valido. E invece, evidentemente non è così».
Ma all'inaudito non
c'è mai fine....
Il giudice: "Troppi
testimoni inutili? Pena più alta". E gli avvocati milanesi scioperano. Gli
avvocati si asterranno dalle udienze il 17 luglio 2014 perché ritengono che
siano stati stravolti "alcuni principi cardine del processo accusatorio, ovvero
quelli del contraddittorio nella formazione della prova", scrive “La
Repubblica”. Non sono andate giù agli avvocati penalisti milanesi le parole
pronunciate in aula da un giudice che, in sostanza, di fronte ai legali di un
imputato ha detto che se si insiste per ascoltare testimoni inutili, i
magistrati poi ne tengono conto quando si tratta di calcolare la pena. E così la
Camera penale di Milano, prendendo una decisione clamorosa e dura, anche sulla
base di quel grave "caso processuale" che lede il diritto di difesa, hanno
deciso di proclamare una giornata di astensione nel capoluogo lombardo per il
prossimo 17 luglio. Come si legge in una delibera del consiglio direttivo della
Camera penale,"lo scorso 20 giugno, nell'ambito di un'udienza dibattimentale
celebratasi avanti a una sezione del tribunale di Milano, il presidente del
collegio ha affermato" a proposito dell'esame di testimoni: "Non mi stancherò
mai di ripetere che secondo me quando in un processo si insiste a sentire testi
che si rivelano inutili, ovviamente si può essere assolti, ma se si è condannati
il tribunale ne tiene sicuramente conto ai fini del comportamento processuale"
(che influisce sulla pena). E ha aggiunto: "E mi dispiace che sugli imputati a
volte ricadano le scelte dei difensori". Il giudice che ha usato quelle parole
in udienza sarebbe Filippo Grisolia, presidente dell'undicesima sezione penale.
Il giudice, secondo la Camera penale, ha così violato "l'autonoma determinazione
del difensore nelle scelte processuali, il quale deve essere libero di valutare
l'opportunità o meno di svolgere il proprio controesame". In più il magistrato
ha violato le norme che "riconducono la commisurazione della pena esclusivamente
a fattori ricollegati alla persona dell'imputato", oltre a manifestare "non
curanza per alcuni dei principi cardine del processo accusatorio, ovvero quelli
del contraddittorio nella formazione della prova". I penalisti milanesi, dunque,
preso atto che "le segnalazioni agli uffici giudiziari" fatte in passato "non
hanno ottenuto" lo scopo di "neutralizzare" i comportamenti lesivi del diritto
di difesa, e ritenuta "la gravità del fenomeno che il caso processuale riportato
denuncia", hanno deciso di astenersi dalle udienze e da "ogni attività in ambito
penale" per il 17 luglio prossimo. Con tanto di "assemblea generale" convocata
per quel giorno per discutere "i temi" della protesta. "Questo fenomeno della
violazione del diritto di difesa - ha spiegato il presidente della Camera penale
milanese, Salvatore Scuto - è diffuso ed è emerso con virulenza in questo caso
specifico, ma non va ridotto al singolo giudice che ha detto quello che ha
detto. Questa è una protesta - ha aggiunto - che non va personalizzata, ma che
pone l'indice su un problema diffuso e che riguarda le garanzie dell'imputato e
il ruolo della difesa". La delibera è stata trasmessa anche al presidente della
Repubblica, al presidente del consiglio dei ministri, al ministero della
Giustizia e al Csm, il Consiglio superiore della magistratura.
IL SUD TARTASSATO.
Sud tartassato: il Meridione paga più di
tutti, scrive Lanfranco Caminiti su “Il Garantista”. Dice la Svimez che se muori
e vuoi un funerale come i cristiani, è meglio che schiatti a Milano, che a
Napoli ti trattano maluccio. E non ti dico a Bari o a Palermo, una schifezza. A
Milano si spende 1.444,23 euro per defunto, a Napoli 988 euro, a Bari 892 euro e
19 centesimi, a Palermo 334 euro. A Palermo, cinque volte meno che a Milano. Il
principe Antonio De Curtis, in arte Totò, si rivolterà nella tomba, che a quanto
pare non c’è nessuna livella, dopo morti. E checcazzo, e neppure lì terroni e
polentoni siamo uguali. E basterebbe solo questo – il culto dei morti dovrebbe
antropologicamente “appartenere” alle società meridionali, era il Sud la terra
delle prefiche, era il Sud la terra delle donne in nero, era il Sud la terra dei
medaglioni con la fotina dell’estinto che pendono sul petto delle vedove – per
dire come questa Italia sia cambiata e rovesciata sottosopra. Si paga al Sud di
più per tutto, per l’acqua, la monnezza, l’asilo, gli anziani, la luce nelle
strade, i trasporti, insomma per i Lep, come dicono quelli che studiano queste
cose: livelli essenziali delle prestazioni. Essenziali lo sono, al Sud, ma
quanto a prestazioni, zero carbonella. Eppure, Pantalone paga. Paga soprattutto
la classe media meridionale che si era convinta che la civilizzazione passasse
per gli standard nazionali. Paghiamo il mito della modernizzazione. Paghiamo
l’epica della statalizzazione. Paghiamo la retorica della “cosa pubblica”.
Paghiamo l’idea che dobbiamo fare bella figura, ora che i parenti ricchi, quelli
del Nord, vengono in visita e ci dobbiamo comportare come loro: non facciamoci
sempre riconoscere. Paghiamo le tasse, che per questo loro sono avanti e noi
restiamo indietro. Lo Stato siamo noi. Parla per te, dico io. Dove vivo io, un
piccolo paese del Sud, pago più tasse d’acqua di quante ne pagassi prima in una
grande città, e più tasse di spazzatura, e non vi dico com’è ridotto il cimitero
che mi viene pena solo a pensarci. Sono stati i commissari prefettizi – che
avevano sciolto il Comune – a “perequare” i prelievi fiscali. Poi sono andati
via, ma le tasse sono rimaste. Altissime, cose mai viste. In compenso però, la
spazzatura si accumula in piccole montagne. A volte le smantellano, poi si
ricomincia. Non sai mai quando, magari qualcuno dei laureati che stanno a
girarsi i pollici al baretto della piazza potrebbe studiarla, la sinusoide della
raccolta rifiuti. Invece, i bollettini arrivano in linea retta. Con la scadenza
scritta bella grossa. L’unica cosa che è diminuita in questi anni al Sud è il
senso di appartenenza a una qualche comunità più grande del nostro orto privato.
La pervasività dello Stato – e quale maggiore pervasività della sua capacità di
prelievo fiscale – è cresciuta esponenzialmente quanto l’assoluta
privatizzazione di ogni spirito meridionale. Tanto più Stato ha prodotto solo
tanta più cosa privata. E non dico solo verso la comunità nazionale, la Patria o
come diavolo vogliate chiamarla. No, proprio verso la comunità territoriale. Chi
può manda i figli lontano, perché restino lontano. Chi può compra una casa
lontano sperando di andarci il prima possibile a passare gli anni della
vecchiaia. Chi può fa le vacanze lontano, a Pasqua e a Natale, il più esotiche
possibile. Chi non può, emigra. Di nuovo, come sempre. Il Sud è diventato terra
di transito per i suoi stessi abitanti. Come migranti clandestini, non vediamo
l’ora di andarcene. il Sud dismette se stesso, avendo perso ogni identità
storica non si riconosce in quello che ha adesso intorno, che pure ha accettato,
voluto, votato.
C’era una volta l’assistenzialismo.
Rovesciati come un calzino ci siamo ritrovati contro un federalismo
secessionista della Lega Nord che per più di vent’anni ci ha sbomballato le
palle rubandoci l’unica cosa in cui eravamo maestri, il vittimismo. Siamo stati
vittimisti per più di un secolo, dall’unità d’Italia in poi, e a un certo punto
ci siamo fatti rubare la scena da quelli del Nord – e i trasferimenti di
risorse, e le pensioni, e l’assistenzialismo e la pressione fiscale e le camorre
degli appalti pubblici – e l’unica difesa che abbiamo frapposto è stata lo
Stato. Siamo paradossalmente diventati i grandi difensori dell’unità nazionale
contro il leghismo. Noi, i meridionali, quelli che il federalismo e il
secessionismo l’avevano inventato e provato. Noi, che dello Stato ce ne siamo
sempre bellamente strafottuti. Li abbiamo votati. Partiti nazionali, destra e
sinistra, sindaci cacicchi e governatori, li abbiamo votati. Ci garantivano le
“risorse pubbliche”. Dicevano. Ci promettevano il rinascimento, il risorgimento,
la resistenza. Intanto però pagate. Come quelli del Nord. Facciamogli vedere.
Anzi, di più. La crisi economica del 2007 ha solo aggravato una situazione già
deteriorata. E ormai alla deriva. È stata la classe media meridionale
“democratica” l’artefice di questo disastro, con la sua ideologia statalista.
Spesso, loro che possono, ora che le tasse sono diventate insopportabili, ora
che il Sud è sfregiato, senza più coscienza di sé, ora se ne vanno. O mandano i
loro figli lontano. Chi non può, emigra. Di nuovo, come sempre.
Non solo i cittadini italiano sono
tartassati, ma sono anche soggetti a dei disservizi estenuanti.
ITALIANI. LA CASTA DEI "COGLIONI".
FACCIAMO PARLARE CLAUDIO BISIO.
In molti mi hanno scritto chiedendomi il
testo del mio monologo effettuato durante il Festival di Sanremo 2013 il 16
Febbraio scorso. Beh, eccolo. Inoltre alcuni di voi, sull'onda del contenuto di
quel monologo hanno creato una pagina facebook "Quelli che domenica voteranno
con un salmone". Come vedete, l'ho fatto anch'io...
Sono un italiano. Che emozione... E che paura
essere su questo palcoscenico... Per me è la prima volta. Bello però. Si sta
bene… Il problema ora è che cosa dire. Su questo palco è stato fatto e detto
davvero di tutto. E il contrario di tutto. Gorbaciov ha parlato di perestroika,
di libertà, di democrazia… Cutugno ha rimpianto l’Unione Sovietica. Gorbaciov ha
parlato di pace… e Cutugno ha cantato con l’Armata Rossa… Belen ha fatto vedere
la sua farfallina (io potrei farvi vedere il mio biscione, ma non mi sembra
un’ottima idea… è un tatuaggio che ho sulla caviglia, dopo tanti anni a Mediaset
è il minimo…) Ma soprattutto Benigni, vi ricordate quando è entrato con un
cavallo bianco imbracciando il tricolore? Ecco, la rovina per me è stato proprio
Benigni. Lo dico con una sana invidia. Benigni ha alzato troppo il livello. La
Costituzione, l'Inno di Mameli, la Divina Commedia... Mettetevi nei panni di uno
come me. Che è cresciuto leggendo Topolino... Però, se ci pensate bene, anche
Topolino, a modo suo, è un classico. Con la sua complessità, il suo spessore
psicologico, le sue contraddizioni… Prendete Nonna Papera, che animale è? ...
chi ha detto una nonna? Non fate gli spiritosi anche voi, è una papera. Ma è una
papera che dà da mangiare alle galline. Tiene le mucche nella stalla... Mentre
invece Clarabella, che anche lei è una mucca, non sta nella stalla, sta in una
casa con il divano e le tendine. E soprattutto sta con Orazio, che è un cavallo.
Poi si lamentano che non hanno figli... Avete presente Orazio, che fa il bipede,
l’antropomorfo, però ha il giogo, il morso, il paraocchi. Il paraocchi va bene
perché Clarabella è un cesso, ma il morso?!? Ah, forse quando di notte arriva
Clarabella con i tacchi a spillo, la guêpiere, la frusta: "Fai il Cavallo! Fai
il cavallo!" nelle loro notti sadomaso… una delle cinquanta sfumature di biada.
E Qui Quo Qua. Che parlano in coro. Si dividono una frase in tre, tipo: "ehi
ragazzi attenti che arriva Paperino/ e/ ci porta tutti a Disneyland", oppure:
"ehi ragazzi cosa ne direste di andare tutti/ a/ pescare del pesce che ce lo
mangiamo fritto che ci piace tanto..." ecco, già da queste frasi, pur banali se
volete, si può evincere come a Quo toccassero sempre le preposizioni semplici,
le congiunzioni, a volte solo la virgola: "ehi ragazzi attenti che andando in
mezzo al bosco/, / rischiamo di trovare le vipere col veleno che ci fanno del
male" inoltre Quo ha sempre avuto un problema di ubicazione, di orientamento...
non ha mai saputo dove fosse. Tu chiedi a Qui: "dove sei?" "sono qui!" ...
Chiedi a Qua "dove sei?", e lui: "sono qua!" tu prova a chiederlo a Quo. Cosa ti
dice? "sono Quo?" Cosa vuol dire? Insomma Quo è sempre stato il più sfigato dei
tre, il più insulso: non riusciva né a iniziare né a finire una frase, non era
né qui, né qua... Mario Monti. Mari o Monti? Città o campagna? Carne o Pesce? Lo
so. So che siamo in piena par condicio e non si può parlare di politica. Ma
sento alcuni di voi delusi dirsi: ma come, fra sette giorni ci sono le elezioni.
E questo qui ci parla di mucche e galline... Altri che invece penseranno: basta
politica! Io non voglio nascondermi dietro a un dito, anche perché non ne ho
nessuno abbastanza grosso… decidete voi, volendo posso andare avanti per altri
venti minuti a parlare di fumetti, oppure posso dirvi cosa penso io della
situazione politica… Ve lo dico? Io penso che finché ci sono LORO, non
riusciremo mai a cambiare questo paese. Dicono una cosa e ne fanno un'altra. Non
mantengono le promesse. Sono incompetenti, bugiardi, inaffidabili. Credono di
avere tutti diritti e nessun dovere. Danno sempre la colpa agli altri… A CASA!
Tutti a casa!!! (A parte che quando dici tutti a casa devi stare attento,
specificare: a casa di chi? No perché non vorrei che venissero tutti a casa mia)
Vedo facce spaventate... soprattutto nelle prime file... Lo so, non devo parlare
dei politici, ho firmato fior di contratti, ci sono le penali... Ma chi ha detto
che parlo dei politici? Cosa ve l'ha fatto pensare? Ah, quando ho detto
incompetenti, bugiardi, inaffidabili? Ma siete davvero maliziosi... No, non
parlavo dei politici. Anche perché, scusate, i politici sono in tutto poche
centinaia di persone... cosa volete che cambi, anche se davvero se ne tornassero
tutti a casa (casa loro, ribadisco)? Poco. No, quando dicevo che devono andare
tutti a casa, io non stavo parlando degli eletti. Io stavo parlando degli
elettori... stavo parlando di NOI. Degli italiani. Perché, a fare bene i conti,
la storia ci inchioda: siamo noi i mandanti. Siamo noi che li abbiamo votati. E
se li guardate bene, i politici, ma proprio bene bene bene... è davvero
impressionante come ci assomigliano: I politici italiani… sono Italiani!
Precisi, sputati. Magari, ecco, con qualche accentuazione caricaturale. Come le
maschere della commedia dell'arte, che sono un po' esagerate, rispetto al
modello originale. Ma che ricalcano perfettamente il popolo che rappresentano.
C'è l'imbroglione affarista, tradito dalla sua ingordigia “Aò, e nnamose a
magnà!... A robbin, ‘ndo stai?”; C'è il servitore di due padroni: "orbo da
n'orecia, sordo de n'ocio"… qualche volta anche di tre. Certi cambiano casacca
con la velocità dei razzi… C'è il riccone arrogante...”Guadagno spendo pago
pretendo” C'è la pulzella che cerca di maritarsi a tutti i costi con il riccone,
convinta di avere avuto un'idea originale e che ci rimane male quando scopre che
sono almeno un centinaio le ragazze che hanno avuto la sua stessa identica
idea... C'è il professore dell'università che sa tutto lui e lo spiega agli
altri col suo latino/inglese perfetto: "tananai mingheina buscaret!" Cos’ha
detto? “Choosy firewall spending review” Ah, ecco, ora finalmente ho capito… C'è
quello iracondo, manesco, pronto a menar le mani ad ogni dibattito... “culattoni
raccomandati” Insomma, c'è tutto il campionario di quello che NOI siamo, a
partire dai nostri difetti, tipo l'INCOERENZA. Come quelli che vanno al family
day... ma ci vanno con le loro due famiglie... per forza poi che c'è un sacco di
gente.... E se solo li guardi un po' esterrefatto, ti dicono: "Perché mi guardi
così? Io sono cattolico, ma a modo mio”. A modo tuo? Guarda, forse non te
l'hanno spiegato, ma non si può essere cattolico a modo proprio... Se sei
cattolico non basta che Gesù ti sia simpatico, capisci? Non è un tuo amico,
Gesù. Se sei cattolico devi credere che Gesù sia il figlio di Dio incarnato
nella vergine Maria. Se sei cattolico devi andare in chiesa tutte le domeniche,
confessare tutti i tuoi peccati, fare la penitenza. Devi fare anche le novene,
digiunare al venerdì... ti abbuono giusto il cilicio e le ginocchia sui ceci.
Divorziare: VIETATISSIMO! Hai sposato un farabutto, o una stronza? Capita.
Pazienza. Peggio per te. Se divorzi sono casini… E il discorso sulla coerenza
non vale solo per i cattolici... Sei fascista? Devi invadere l’Abissinia!
Condire tutto con l'olio di ricino, girare con il fez in testa, non devi mai
passare da via Matteotti, anche solo per pudore! Devi dire che Mussolini, a
parte le leggi razziali, ha fatto anche delle cose buone! Sei comunista? Prima
di tutto devi mangiare i bambini, altro che slow food. Poi devi andare a Berlino
a tirare su di nuovo il Muro, mattone su mattone! Uguale a prima! Devi guardare
solo film della Corea… del nord ovviamente. Devi vestirti con la casacca grigia,
tutti uguali come Mao! …mica puoi essere comunista e poi andare a comprarti la
felpa da Abercrumbie Sei moderato? Devi esserlo fino in fondo! Né grasso né
magro, né alto né basso, né buono né cattivo... Né…Da quando ti alzi la mattina
a quando vai a letto la sera devi essere una mediocrissima, inutilissima,
noiosissima via di mezzo! Questo per quanto riguarda la coerenza. Ma vogliamo
parlare dell'ONESTÀ? Ho visto negozianti che si lamentano del governo ladro e
non rilasciano mai lo scontrino, Ho visto fabbriche di scontrini fiscali non
fare gli scontrini dicendo che hanno finito la carta, Ho visto ciechi che
accompagnano al lavoro la moglie in macchina, Ho visto sordi che protestano coi
vicini per la musica troppo alta, Ho visto persone che si lamentano
dell’immigrazione e affittano in nero ai gialli… e a volte anche in giallo ai
neri!, Ho visto quelli che danno la colpa allo stato. Sempre: se cade un
meteorite, se perdono al superenalotto, se la moglie li tradisce, se un piccione
gli caga in testa, se scivolano in casa dopo aver messo la cera: cosa fa lo
stato? Eh? Cosa fa?... Cosa c’entra lo stato. Metti meno cera, idiota! Lo sapete
che nell'inchiesta sulla 'ndrangheta in Lombardia è venuto fuori che c'erano
elettori, centinaia di elettori, che vendevano il proprio voto per cinquanta
euro? Vendere il voto, in democrazia, è come vendere l'anima. E l'anima si vende
a prezzo carissimo, avete presente Faust? Va beh che era tedesco, e i tedeschi
la mettono giù sempre durissima, ma lui l'anima l'ha venduta in cambio
dell'IMMORTALITA'! Capito? Non cinquanta euro. Se il diavolo gli offriva
cinquanta euro, Faust gli cagava in testa. La verità è che ci sono troppi
impresentabili, tra gli elettori. Mica poche decine, come tra i candidati… è
vero, sembrano molti di più, ma perché sono sempre in televisione a sparar
cazzate, la televisione per loro è come il bar per noi... "Ragazzi, offro un
altro giro di spritz" "E io offro un milione di posti di lavoro" e giù a ridere.
"E io rimborso l'imu!” “e io abolisco l'ici!" “Guarda che non c'è più da un
pezzo l'ici" "Allora abolisco l'iva... E anche l'Emy, Evy e Ely!" "E chi sono?
"Le nipotine di Paperina! "Ma va là, beviti un altro grappino e tasi mona!..."
Vedi, saranno anche impresentabili ma per lo meno li conosci, nome e cognome, e
puoi anche prenderli in giro. Invece gli elettori sono protetti dall’anonimato…
alle urne vanno milioni di elettori impresentabili, e nessuno sa chi sono!
Sapete quale potrebbe essere l’unica soluzione possibile? Sostituire
l'elettorato italiano. Al completo. Pensate, per esempio, se incaricassimo di
votare al nostro posto l'elettorato danese, o quello norvegese. Lo prendiamo a
noleggio. Meglio, lo ospitiamo alla pari... Au pair. Carlo, ma chi è quel
signore biondo che dorme a casa tua da due giorni? “Oh, è il mio elettore
norvegese alla pari, domenica vota e poi riparte subito... C'è anche la
moglie”... E per chi votano, scusa? "Mi ha detto che è indeciso tra Aspelünd
Gründblomma e Pysslygar". Ma quelli sono i nomi dell'Ikea!, che tra l’altro è
svedese… "Ma no, si assomigliano… però ora che mi ci fai pensare, effettivamente
ho visto nel suo depliant elettorale che i simboli dei loro partiti sono un
armadio, una lampada, un comodino. Mah. E tu poi, in cambio cosa fai, vai a
votare per le loro elezioni? In Norvegia? "Ah, questo non lo so. Non so se mi
vogliono. Mi hanno detto che prima devo fare un corso. Imparare a non
parcheggiare in doppia fila. A non telefonare parlando ad alta voce in treno. A
pagare le tasse fino all'ultimo centesimo. Poi, forse, mi fanno votare." Si, va
beh, qualche difficoltà logistica la vedo: organizzare tutti quei pullman,
trovare da dormire per tutti... Ma pensate che liberazione, la sera dei
risultati, scoprire che il nostro nuovo premier è un signore o una signora
dall'aria normalissima, che dice cose normalissime, e che va in televisione al
massimo un paio di volte all'anno.
(Lancio di batteria e poi, sull’aria de
“L’italiano”)
Lasciatemi votare
con un salmone in mano
vi salverò il paese
io sono un
norvegese…
IL NORD EVADE PIU’ DEL SUD.
Economia Sommersa: Il Nord onesto e diligente evade più del Sud, scrive
Emanuela Mastrocinque su “Vesuviolive”. Sono queste le notizie che non
dovrebbero mai sfuggire all’attenzione di un buon cittadino del Sud. Per anni ci
hanno raccontato una storia che, a furia di leggerla e studiarla, è finita con
il diventare la nostra storia, l’unica che abbiamo conosciuto. Storia di miseria
e povertà superata dai meridionali grazie all’illegalità o all’emigrazione, le
due uniche alternative rimaste a “quel popolo di straccioni” (come ci definì
quella “simpatica” giornalista in un articolo pubblicato su “Il Tempo” qualche
anno fa) . Eppure negli ultimi anni il revisionismo del risorgimento ci sta
aiutando a comprendere quanto lo stereotipo e il pregiudizio sia stato utile e
funzionale ai vincitori di quella sanguinosa guerra da cui è nata l‘Italia.
Serviva (e serve tutt‘ora) spaccare l’Italia. Da che mondo e mondo le società
hanno avuto bisogno di creare l’antagonista da assurgere a cattivo esempio, così
noi siamo diventati fratellastri, figli di un sentimento settentrionale razzista
e intollerante. Basta però avere l’occhio un po’ più attento per scoprire che
spesso la verità, non è come ce la raccontano. Se vi chiedessimo adesso, ad
esempio, in quale zona d’Italia si concentra il tasso più alto di evasione
fiscale, voi che rispondereste? Il Sud ovviamente. E invece non è così. Dopo
aver letto un post pubblicato sulla pagina Briganti in cui veniva
riassunta perfettamente l’entità del “sommerso economico in Italia derivante
sia da attività legali che presentano profili di irregolarità, come ad esempio
l’evasione fiscale, che dal riciclaggio di denaro sporco proveniente da attività
illecite e mafiose” abbiamo scoperto che in Italia la maggior parte degli
evasori non è al Sud. Secondo i numeri pubblicati (visibili nell‘immagine
sotto), al Nord il grado di evasione si attesta al 14, 5%, al centro al 17,4%
mentre al Sud solo al 7,9%. I dati emersi dal Rapporto Finale del Gruppo
sulla Riforma Fiscale, sono stati diffusi anche dalla Banca d’Italia. Nel
lavoro di Ardizzi, Petraglia, Piacenza e Turati “L’economia
sommersa fra evasione e crimine: una rivisitazione del Currency Demand Approach
con una applicazione al contesto italiano” si legge “dalle stime a
livello territoriale si nota una netta differenza tra il centro-nord e il sud,
sia per quanto attiene al sommerso di natura fiscale che quello di natura
criminale. Per quanto riguarda infine l’evidenza disaggregata per aree
territoriali, è emerso che le province del Centro-Nord, in media, esibiscono
un’incidenza maggiore sia del sommerso da evasione sia di quello associato ad
attività illegali rispetto alle province del Sud, un risultato che pare
contraddire l’opinione diffusa secondo cui il Mezzogiorno sarebbe il principale
responsabile della formazione della nostra shadow economy. Viene meno, di
conseguenza, la rappresentazione del Sud Italia come territorio dove si
concentrerebbe il maggiore tasso di economia sommersa". E ora, come la
mettiamo?
Si evade il fisco più al Nord che al Sud. E’ uno dei dati che emerge dal
rapporto sulla lotta all’evasione redatto dal Ministero dell’Economia e delle
Finanze. Secondo Padoan, la somma totale delle principali imposte evase (Iva,
Ires, Irpef e Irap) ammonta a 91 miliardi. Il 52% di questa cifra si attesta
dunque nel Settentrione, contro i 24 miliardi del centro (26% del totale) e i
19,8 miliardi del Meridione (22%). Il dato è influenzato dal maggior reddito
nazionale del Nord. Soprattutto, scrivono i tecnici del Tesoro, la rabbrividire
la percentuale di verifiche sulle imprese che trova irregolarità fiscali: è
98,1% tra le grandi, al 98,5% sulle medie e al 96,9% sulle Pmi. Il record tocca
agli enti non commerciali, il 99,2% non è in regola. 100% di `positività´ i
controlli sugli atti soggetti a registrazione. Ad ogni modo, l’evasione
effettiva ‘pizzicata’ dall’Agenzia delle Entrate nel 2013, ha rilevato il Mef,
ammonta a 24,5 miliardi. La maggiore imposta accertata è così salita dell’87% in
sette anni, rispetto ai 13,1 miliardi del 2006. Un numero in calo rispetto agli
anni 2009-2012 e soprattutto rispetto al picco di 30,4 miliardi del 2011.
Ma quale Sud, è il Nord che ha la palma dell’evasione,
scrive Vittorio Daniele su “Il Garantista”. Al Sud si evade di più che al Nord.
Questo è quanto comunemente si pensa. Non è così, invece, secondo i dati della
Guardia di Finanza, analizzati da Paolo di Caro e Giuseppe Nicotra,
dell’Università di Catania, in uno studio di cui si è occupata anche la stampa
(Corriere Economia, del 13 ottobre). I risultati degli accertamenti effettuati
dalla Guardia di Finanza mostrano come, nelle regioni meridionali, la quota di
reddito evaso, rispetto a quello dichiarato, sia inferiore che al Nord. E ciò
nonostante il numero di contribuenti meridionali controllati sia stato, in
proporzione, maggiore. Alcuni esempi. In Lombardia, su oltre 7 milioni di
contribuenti sono state effettuate 14.313 verifiche che hanno consentito di
accertare un reddito evaso pari al 10% di quello dichiarato. In Calabria, 4.480
controlli, su circa 1.245.000 contribuenti, hanno consentito di scoprire un
reddito evaso pari al 3,5% di quello dichiarato. Si badi bene, in percentuale,
le verifiche in Calabria sono state quasi il doppio di quelle della Lombardia. E
ancora, in Veneto il reddito evaso è stato del 5,3%, in Campania del 4,4% in
Puglia, del 3,7% in Sicilia del 2,9%. Tassi di evasione più alti di quelle delle
regioni meridionali si riscontrano anche in Emilia e Toscana. Alcune
considerazioni. La prima riguarda il fatto che nelle regioni del Nord, dove più
alta è la quota di evasione, e dove maggiore è il numero di contribuenti e
imprese, si siano fatti, in proporzione, assai meno accertamenti che nel
meridione. Poiché, in Italia, le tasse le paga chi è controllato, mentre chi non
lo è, se può, tende a schivarle, sarebbe necessario intensificare i controlli là
dove la probabilità di evadere è maggiore. E questa probabilità, secondo i dati
della Guardia di Finanza, è maggiore nelle regioni più ricche. La seconda
considerazione è che il luogo comune di un’Italia divisa in due, con un Nord
virtuoso e un Sud di evasori, non corrisponde al vero. L’Italia è un paese unito
dall’evasione fiscale. Il fatto che in alcune regioni del Nord si sia evaso di
più che al Sud non ha nulla a che vedere né con l’etica, né con l’antropologia.
Dipende, più realisticamente, da ragioni economiche. L’evasione difficilmente
può riguardare i salari, più facilmente i profitti e i redditi d’impresa. E dove
è più sviluppata l’attività d’impresa? Come scrivevano gli economisti Franca
Moro e Federico Pica, in un saggio pubblicato qualche anno fa della Svimez: «Al
Sud ci sono tanti evasori per piccoli importi. Al Nord c’è un’evasione più
organizzata e per somme gigantesche». Quando si parla del Sud, pregiudizi e
stereotipi abbondano. Si pensa, così, che la propensione a evadere, a violare le
norme, se non a delinquere, sia, per così dire, un tratto antropologico
caratteristico dei meridionali. Ma quando si guardano i dati, e si osserva la
realtà senza la lente deformante del pregiudizio, luoghi comuni e stereotipi
quasi mai reggono. Di fronte agli stereotipi e alle accuse – e quella di essere
evasori non è certo la più infamante – che da decenni, ogni giorno e da più
parti, si rovesciano contro i meridionali, non sarebbe certo troppo se si
cominciasse a pretendere una rappresentazione veritiera della realtà. Insieme a
pretendere, naturalmente, e in maniera assai più forte di quanto non si sia
fatto finora, che chi, al Sud, ha responsabilità e compiti di governo, faccia
davvero, e fino in fondo, il proprio dovere.
Quante bugie ci
hanno raccontato sul Mezzogiorno!
Scrive Pino Aprile su “Il Garantista”. L’Italia è il paese più ingiusto e
disuguale dell’Occidente, insieme a Stati Uniti e Gran Bretagna: ha una delle
maggiori e più durature differenze del pianeta (per strade, treni, scuole,
investimenti, reddito…) fra due aree dello stesso paese: il Nord e il Sud;
tutela chi ha già un lavoro o una pensione, non i disoccupati e i giovani; offre
un reddito a chi ha già un lavoro e lo perde, non anche a chi non riesce a
trovarlo; è fra i primi al mondo, per la maggiore distanza fra lo stipendio più
alto e il più basso (alla Fiat si arriva a più di 400 volte); ha i manager di
stato più pagati della Terra, i vecchi più garantiti e i giovani più precari; e
se giovani e donne, pagate ancora meno. È in corso un colossale rastrellamento
di risorse da parte di chi ha più, ai danni di chi ha meno: «una redistribuzione
dal basso verso l’alto». È uscito in questi giorni nelle librerie il nuovo libro
di Pino Aprile («Terroni ’ndernescional», edizioni PIEMME, pagine 251, euro
16,50). Pubblichiamo un brano, per gentile concessione dell’autore. Quante volte
avete letto che la prova dell’ estremo ritardo dell’Italia meridionale rispetto
al Nord era l’alta percentuale di analfabeti? L’idea che questo possa dare ad
altri un diritto di conquista e annessione può suonare irritante. Ma una qualche
giustificazione, nella storia, si può trovare, perché i popoli con l’alfabeto
hanno sottomesso quelli senza; e í popoli che oltre all’alfabeto avevano anche
”il libro” (la Bibbia, il Vangelo, il Corano, Il Capitale, il Ko Gi Ki…) hanno
quasi sempre dominato quelli con alfabeto ma senza libro. Se questo va preso
alla… lettera, la regione italiana che chiunque avrebbe potuto legittimamente
invadere era la Sardegna, dove l’analfabetismo era il più alto nell’Italia di
allora: 89,7 per cento (91,2 secondo altre fonti); quasi inalterato dal giorno
della Grande Fusione con gli stati sabaudi: 93,7. Ma la Sardegna era governata
da Torino, non da Napoli. Le cose migliorarono un po’, 40 anni dopo l’Unità, a
prezzi pesanti, perché si voleva alfabetizzare, ma a spese dei Comuni. Come
dire: noi vi diamo l’istruzione obbligatoria, però ve la pagate da soli (più o
meno come adesso…). Ci furono Comuni che dovettero rinunciare a tutto, strade,
assistenza, per investire solo nella nascita della scuola elementare: sino
all’87 per cento del bilancio, come a Ossi (un secolo dopo l’Unità, il Diario di
una maestrina, citato in Sardegna , dell’Einaudi, riferisce di «un evento
inimmaginabile »: la prima doccia delle scolare, grazie al dono di dieci
saponette da parte della Croce Rossa svizzera). Mentre dal Mezzogiorno non
emigrava nessuno, prima dell’Unità; ed era tanto primitivo il Sud, che partoriva
ed esportava in tutto il mondo facoltà universitarie tuttora studiatissime:
dalla moderna storiografia all’economia politica, e vulcanologia, sismologia,
archeologia… Produzione sorprendente per una popolazione quasi totalmente
analfabeta, no? Che strano. Solo alcune osservazioni su quel discutibile
censimento del 1861 che avrebbe certificato al Sud indici così alti di
analfabetismo: «Nessuno ha mai analizzato la parzialità (i dati sono quelli
relativi solo ad alcune regioni) e la reale attendibilità di quel censimento
realizzato in pieno caos amministrativo, nel passaggio da un regno all’altro e
in piena guerra civile appena scoppiata in tutto il Sud: poco credibile, nel
complesso, l’idea che qualche impiegato potesse andare in giro per tutto
il Sud bussando alle porte per chiedere se gli abitanti sapevano leggere e
scrivere» rileva il professor Gennaro De Crescenzo in Il Sud: dalla Borbonia
Felix al carcere di Penestrelle. Come facevano a spuntare oltre 10.000 studenti
universitari contro i poco più di 5.000 del resto d’Italia, da un tale oceano di
ignoranza? Né si può dire che fossero tutti benestanti, dal momento che nel
Regno delle Due Sicílie i meritevoli non abbienti potevano studiare grazie a
sussidi che furono immediatamente aboliti dai piemontesi, al loro arrivo.
Sull’argomento potrebbero gettare più veritiera luce nuove ricerche: «Documenti
al centro di studi ancora in corso presso gli archivi locali del Sud dimostrano
che nelle Due Sicilie c’erano almeno una scuola pubblica maschile e una scuola
pubblica femminile per ogni Comune oltre a una quantità enorme di scuole private»
si legge ancora nel libro di De Crescenzo, che ha studiato storia risorgimentale
con Alfonso Scirocco ed è specializzato in archivistica. «Oltre 5.000, infatti,
le ”scuole” su un totale di 1.845 Comuni e con picchi spesso elevati e
significativi: 51 i Comuni in Terra di Bari, 351 le scuole nel complesso; 174 i
Comuni di Terra di lavoro, 664 le scuole; 113 i Comuni di Principato Ultra, 325
le scuole; 102 i Comuni di Calabria Citra, 250 le scuole…». Si vuol discutere
della qualità di queste scuole? Certo, di queste e di quella di tutte le altre;
ma «come si conciliano questi dati con quei dati così alti dell’analfabetismo?
». E mentiva il conte e ufficiale piemontese Alessandro Bianco di Saint-Jorioz,
che scese a Sud pieno di pregiudizi, e non li nascondeva, e poi scrisse quel che
vi aveva trovato davvero e lo scempio che ne fu fatto (guadagnandosi
l’ostracismo sabaudo): per esempio, che «la pubblica istruzione era sino al
1859 gratuita; cattedre letterarie e scientifiche in tutte le città principali
di ogni provincia»? Di sicuro, appena giunti a Napoli, i Savoia chiusero
decine di istituti superiori, riferisce Carlo Alianello in La conquista del Sud.
E le leggi del nuovo stato unitario, dal 1876, per combattere l’analfabetismo e
finanziare scuole, furono concepite in modo da favorire il Nord ed escludere o
quasi il Sud. I soliti trucchetti: per esempio, si privilegiavano i Comuni con
meno di mille abitanti. Un aiuto ai più poveri, no? No. A quest’imbroglio si è
ricorsi anche ai nostri tempi, per le norme sul federalismo fiscale regionale.
Basti un dato: i Comuni con meno di 500 abitanti sono 600 in Piemonte e 6 in
Puglia. Capito mi hai? «Mi ero sempre chiesto come mai il mio trisavolo fosse
laureato,» racconta Raffaele Vescera, fertile scrittore di Foggia «il mio
bisnonno diplomato e mio nonno, nato dopo l’Unità, analfabeta». Nessun Sud,
invece, nel 1860, era più Sud dell’isola governata da Torino; e rimase tale
molto a lungo. Nel Regno delle Due Sicilie la ”liberazione” (così la racconta,
da un secolo e mezzo, una storia ufficiale sempre più in difficoltà) portò
all’impoverimento dello stato preunitario che, secondo studi recenti
dell’Università di Bruxelles (in linea con quelli di Banca d’Italia, Consiglio
nazionale delle ricerche e Banca mondiale), era ”la Germania” del tempo, dal
punto di vista economico. La conquista del Sud salvò il Piemonte dalla
bancarotta: lo scrisse il braccio destro di Cavour. Ma la cosa è stata ed è
presentata (con crescente imbarazzo, ormai) come una modernizzazione necessaria,
fraterna, pur se a mano armata. Insomma, ho dovuto farti un po’ di male, ma per
il tuo bene, non sei contento? Per questo serve un continuo confronto fra i dati
”belli” del Nord e quelli ”brutti” del Sud. Senza farsi scrupolo di ricorrere a
dei mezzucci per abbellire gli uni e imbruttire gli altri. E la Sardegna, a
questo punto, diventa un problema: rovina la media. Così, quando si fa il
paragone fra le percentuali di analfabeti del Regno di Sardegna e quelle del
Regno delle Due Sicilie, si prende solo il dato del Piemonte e lo si oppone a
quello del Sud: 54,2 a 87,1. In tabella, poi, leggi, ma a parte: Sardegna, 89,7
per cento. E perché quell’89,7 non viene sommato al 54,2 del Piemonte, il che
porterebbe la percentuale del Regno sardo al 59,3? (Dati dell’Istituto di
Statistica, Istat, citati in 150 anni di statistiche italiane: Nord e Sud
1861-2011, della SVIMEZ, Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno). E si
badi che mentre il dato sulla Sardegna è sicuramente vero (non avendo interesse
il Piemonte a peggiorarlo), non altrettanto si può dire di quello dell’ex Regno
delle Due Sicilie, non solo per le difficoltà che una guerra in corso poneva, ma
perché tutto quel che ci è stato detto di quell’invasione è falsificato: i
Mille? Sì, con l’aggiunta di decine di migliaia di soldati piemontesi
ufficialmente ”disertori”, rientrati nei propri schieramenti a missione
compiuta. I plebisciti per l’annessione? Una pagliacciata che già gli
osservatori stranieri del tempo denunciarono come tale. La partecipazione armata
dell’entusiasta popolo meridionale? E allora che ci faceva con garibaldini e
piemontesi la legione straniera 11 domenica 4 gennaio 2015 ungherese? E chi la
pagava? Devo a un valente archivista, Lorenzo Terzi, la cortesia di poter
anticipare una sua recentissima scoperta sul censimento del 1861, circa gli
analfabeti: i documenti originali sono spariti. Ne ha avuto conferma ufficiale.
Che fine hanno fatto? E quindi, di cosa parliamo? Di citazioni parziali,
replicate. Se è stato fatto con la stessa onestà dei plebisciti e della storia
risorgimentale così come ce l’hanno spacciata, be’…Nei dibattiti sul tema, chi
usa tali dati come prova dell’arretratezza del Sud, dinanzi alla contestazione
sull’attendibilità di quelle percentuali, cita gli altri, meno discutibili, del
censimento del 1871, quando non c’era più la guerra, eccetera. Già e manco gli
originali del censimento del ’71 ci sono più. Spariti pure quelli! Incredibile
come riesca a essere selettiva la distrazione! E a questo punto è legittimo
chiedersi: perché il meglio e il peggio del Regno dí Sardegna vengono separati e
non si offre una media unica, come per gli altri stati preunitari? Con i numeri,
tutto sembra così obiettivo: sono numeri, non opinioni. Eppure, a guardarli
meglio, svelano non solo opinioni, ma pregiudizi e persino razzismo. Di fatto,
accadono due cose, nel modo di presentarli: 1) i dati ”belli” del Nord restano
del Nord; quelli ”brutti”, se del Nord, diventano del Sud. Il Regno sardo era
Piemonte, Liguria, Val d’Aosta e Sardegna. Ma la Sardegna nelle statistiche
viene staccata, messa a parte. Giorgio Bocca, «razzista e antimeridionale »,
parole sue, a riprova dell’arretratezza del Sud, citava il 90 per cento di
analfabeti dell’isola, paragonandolo al 54 del Piemonte. Ma nemmeno essere di
Cuneo e antimerìdionale autorizza a spostare pezzi di storia e di geografia: la
Sardegna era Regno sabaudo, i responsabili del suo disastro culturale stavano a
Torino, non a Napoli;
2) l’esclusione
mostra, ce ne fosse ancora bisogno, che i Savoia non considerarono mai l’isola
alla pari con il resto del loro paese, ma una colonia da cui attingere e a cui
non dare; una terra altra («Gli stati» riassume il professor Pasquale Amato, in
Il Risorgimento oltre i miti e i revisionismi «erano proprietà delle famiglie
regnanti e potevano essere venduti, scambiati, regalati secondo valutazioni
autonome di proprietari». Come fecero i Savoia con la Sicilia, la stessa
Savoia, Nizza… Il principio fu riconfermato con la Restaurazione dell’Ancièn
Regime, nel 1815, in Europa, per volontà del cancelliere austriaco Klemens von
Metternich). E appena fu possibile, con l’Unità, la Sardegna venne allontanata
quale corpo estraneo, come non avesse mai fatto parte del Regno sabaudo. Lo dico
in altro modo: quando un’azienda è da chiudere, ma si vuol cercare di salvare il
salvabile (con Alitalia, per dire, l’han fatto due volte), la si divide in due
società; in una, la ”Bad Company”, si mettono tutti i debiti, il personale in
esubero, le macchine rotte… Nell’altra, tutto il buono, che può ancora fruttare
o rendere appetibile l’impresa a nuovi investitori: la si chiama ”New Company”.
L’Italia è stata
fatta così: al Sud invaso e saccheggiato hanno sottratto fabbriche, oro, banche,
poi gli hanno aggiunto la Sardegna, già ”meridionalizzata”. Nelle statistiche
ufficiali, sin dal 1861, i dati della Sardegna li trovate disgiunti da quelli
del Piemonte e accorpati a quelli della Sicilia, alla voce ”isole”, o sommati a
quelli delle regioni del Sud, alla voce ”Mezzogiorno” (la Bad Company; mentre la
New Company la trovate alla voce ”Centro-Nord”). Poi si chiama qualcuno a
spiegare che la Bad Company è ”rimasta indietro”, per colpa sua (e di chi se
no?). Ripeto: la psicologia spiega che la colpa non può essere distrutta, solo
spostata. Quindi, il percorso segue leggi di potenza: dal più forte al più
debole; dall’oppressore alla vittima. Chi ha generato il male lo allontana da sé
e lo identifica con chi lo ha subito; rimproverandogli di esistere. È quel che
si è fatto pure con la Germania Est e si vuol fare con il Mediterraneo.
A proposito degli
avvocati, si può dissertare o credere sulla irregolarità degli esami forensi, ma
tutti gli avvocati sanno, ed omertosamente tacciono, in che modo, loro, si sono
abilitati e ciò nonostante pongono barricate agli aspiranti della professione.
Compiti uguali, con contenuto dettato dai commissari d’esame o passato tra i
candidati. Compiti mai o mal corretti. Qual è la misura del merito e la
differenza tra idonei e non idonei? Tra iella e buona sorte?
Noi siamo animali.
Siamo diversi dalle altre specie solo perché siamo viziosi e ciò ci aguzza
l’ingegno.
La
Superbia-Vanità
(desiderio irrefrenabile di essere superiori, fino al disprezzo di ordini,
leggi, rispetto altrui);
L’Avarizia (scarsa disponibilità a
spendere e a donare ciò che si possiede);
La Lussuria (desiderio irrefrenabile
del piacere sessuale fine a sé stesso);
L’Invidia (tristezza per il bene
altrui, percepito come male proprio);
La Gola (meglio conosciuta come
ingordigia, abbandono ed esagerazione nei piaceri della tavola, e non solo);
L’Ira (irrefrenabile desiderio di
vendicare violentemente un torto subito);
L’Accidia-Depressione (torpore
malinconico, inerzia nel vivere e nel compiere opere di bene).
Essendo viziosi ci scanneremmo l’un l’altro per raggiungere i nostri scopi. E
periodicamente lo facciamo.
Vari illuminati virtuosi, chiamati profeti, ci hanno indicato invano la retta
via. La via indicata sono i precetti dettati dalle religioni nate da questi
insegnamenti. Le confessioni religiose da sempre hanno cercato di porre rimedio
indicando un essere superiore come castigatore dei peccati con punizioni postume
ed eterne. Ecco perché i vizi sono detti Capitali.
I vizi
capitali
sono un elenco di inclinazioni profonde, morali e comportamentali, dell'anima
umana, spesso e impropriamente chiamati peccati capitali. Questo elenco
di vizi (dal latino vĭtĭum = mancanza, difetto, ma anche abitudine
deviata, storta, fuori dal retto sentiero) distruggerebbero l'anima umana,
contrapponendosi alle virtù, che invece ne promuovono la crescita. Sono ritenuti
"capitali" poiché più gravi, principali, riguardanti la profondità della natura
umana. Impropriamente chiamati "peccati", nella morale filosofica e cristiana i
vizi sarebbero già causa del peccato, che ne è invece il suo relativo effetto.
Una sommaria
descrizione dei vizi capitali comparve già in Aristotele, che li definì gli
"abiti del male". Al pari delle virtù, i vizi deriverebbero infatti dalla
ripetizione di azioni, che formano nel soggetto che le compie una sorta di
"abito" che lo inclina in una certa direzione o abitudine. Ma essendo
vizi, e non virtù, tali abitudini non promuovono la crescita interiore, nobile e
spirituale, ma al contrario la distruggono.
In questo mondo
vizioso tutto ha un prezzo e quasi tutti sono disposti a svendersi per ottenerlo
e/ o a dispensare torti ai propri simili. Ciclicamente i nomi degli aguzzini
cambiano, ma i peccati sono gli stessi.
In questa breve
vita senza giustizia, vissuta in un periodo indefinito, vincono loro: non hanno
la ragione, ma il potere. Questo, però, non impedirà di raccontare la verità
contemporanea nel tempo e nello spazio, affinché ai posteri sia delegata l’ardua
sentenza contro i protagonisti del tempo trattato, per gli altri ci sarà solo
l’ignominia senza fama né gloria o l’anonimato eterno.
“La superficie della Terra non era
ancora apparsa. V’erano solo il placido mare e la grande distesa di Cielo...
tutto era buio e silenzio". Così inizia il Popol Vuh, il libro sacro dei Maya
Quiché che narra degli albori dell’umanità. Il Popol Vuh descrive questi primi
esseri umani come davvero speciali: "Furono dotati di intelligenza, potevano
vedere lontano, riuscivano a sapere tutto quel che è nel mondo. Quando
guardavano, contemplavano ora l'arco del cielo ora la rotonda faccia della
Terra. Contrariamente ai loro predecessori, gli esseri umani ringraziarono
sentitamente gli dei per averli creati. Ma anche stavolta i creatori si
indispettirono. "Non è bene che le nostre creature sappiano tutto, e vedano e
comprendano le cose piccole e le cose grandi". Gli dei tennero dunque consiglio:
"Facciamo che la loro vista raggiunga solo quel che è vicino, facciamo che
vedano solo una piccola parte della Terra! Non sono forse per loro natura
semplici creature fatte da noi? Debbono forse anch'essi essere dei? Debbono
essere uguali a noi, che possiamo vedere e sapere tutto? Ostacoliamo dunque i
loro desideri... Così i creatori mutarono la natura delle loro creature. Il
Cuore del Cielo soffiò nebbia nei loro occhi, e la loro vista si annebbiò, come
quando si soffia su uno specchio. I loro occhi furono coperti, ed essi poterono
vedere solo quello che era vicino, solo quello che ad essi appariva chiaro."
E’ comodo definirsi
scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati, che non siano
poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile
scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In
questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono
diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano.
Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di cose reali
con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte
dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per
farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra. Quando
si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che
fece il primo saggista mondiale.
Le vittime, vere o
presunte, di soprusi, parlano solo di loro, inascoltati, pretendendo aiuto. Io
da vittima non racconto di me e delle mie traversie.
Ascoltato e seguito, parlo degli altri, vittime o carnefici, che l’aiuto
cercato non lo concederanno mai. “Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma
chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente”. Aforisma di Bertolt
Brecht. Bene. Tante verità soggettive e tante omertà son tasselli che la mente
corrompono. Io le cerco, le filtro e nei miei libri compongo il puzzle, svelando
l’immagine che dimostra la verità oggettiva censurata da interessi economici ed
ideologie vetuste e criminali. Ha mai pensato, per un momento, che c’è qualcuno
che da anni lavora indefessamente per farle sapere quello che non sa? E questo
al di là della sua convinzione di sapere già tutto dalle sue fonti? Provi a
leggere un e-book o un book di Antonio Giangrande. Scoprirà, cosa succede
veramente nella sua regione o in riferimento alla sua professione. Cose che
nessuno le dirà mai. Non troverà le cose ovvie contro la Mafia o Berlusconi o i
complotti della domenica. Cose che servono solo a bacare la mente. Troverà
quello che tutti sanno, o che provano sulla loro pelle, ma che nessuno ha il
coraggio di raccontare. Può anche non leggere questi libri, frutto di anni di
ricerca, ma nell’ignoranza imperante che impedisce l’evoluzione non potrà dire
che la colpa è degli altri e che gli altri son tutti uguali. “Pensino ora i miei
venticinque lettori che impressione dovesse fare sull'animo del poveretto,
quello che s'è raccontato”. Citazione di Alessandro Manzoni.
Rappresentare con verità storica, anche
scomoda ai potenti di turno, la realtà contemporanea, rapportandola al passato e
proiettandola al futuro. Per non reiterare vecchi errori. Perché la massa
dimentica o non conosce. Denuncio i difetti e caldeggio i pregi italici.
Perché non abbiamo orgoglio e dignità per migliorarci e perché non
sappiamo apprezzare, tutelare e promuovere quello che abbiamo ereditato dai
nostri avi. Insomma, siamo bravi a farci del male e qualcuno deve pur essere
diverso!
Antonio Giangrande, perché è diverso dagli
altri?
Perché lui spiega cosa è la legalità, gli
altri non ne parlano, ma ne sparlano.
La legalità è un comportamento conforme alla
legge ed ai regolamenti di attuazione e la sua applicazione necessaria dovrebbe
avvenire secondo la comune Prassi legale di riferimento.
Legge e Prassi sono le due facce della stessa
medaglia.
La Legge è votata ed emanata in nome del
popolo sovrano. I Regolamenti di applicazione sono predisposti dagli alti
Burocrati e già questo non va bene. La Prassi, poi, è l’applicazione della Legge
negli Uffici Pubblici, nei Tribunali, ecc., da parte di un Sistema di Potere che
tutela se stesso con usi e consuetudini consolidati. Sistema di Potere composto
da Caste, Lobbies, Mafie e Massonerie.
Ecco perché vige il detto: La Legge si
applica per i deboli e si interpreta per i forti.
La correlazione tra Legge e Prassi e come
quella che c’è tra il Dire ed il Fare: c’è di mezzo il mare.
Parlare di legge, bene o male, ogni leguleio
o azzeccagarbugli o burocrate o boiardo di Stato può farlo. Più difficile per
loro parlar di Prassi generale, conoscendo loro signori solo la prassi
particolare che loro coltivano per i propri interessi di privilegiati. Prassi
che, però, stanno attenti a non svelare.
Ed è proprio la Prassi che fotte la Legge.
La giustizia che debba essere uguale per
tutti parrebbe essere un principio che oggi consideriamo irrinunciabile, anche
se non sempre pienamente concretizzabile nella pratica quotidiana. Spesso
assistiamo a fenomeni di corruzione, all’applicazione della legge in modo
diverso secondo i soggetti coinvolti. E l’la disfunzione è insita nella
predisposizione umana.
Essa vien da lontano.
E’ lo stesso Alessandro Manzoni che parla di
“Azzeccagarbugli” genuflessi ai mafiosi del tempo al capitolo 3 dei “Promessi
Sposi”. Ma non sarebbe stato il Manzoni a coniare
l’accoppiata tra il verbo “azzeccare” e il sostantivo “garbuglio” stante che
quando la parola entrò nei “Promessi Sposi”, aveva un’età superiore ai tre
secoli. Il primo ad usarla fu Niccolò Machiavelli che,
in un passo delle "Legazioni" (1510), scrive: “Voi sapete che i mercatanti
vogliono fare le cose loro chiare e non azzeccagarbugli”. Questa spiegazione si
trova nel Dizionario italiano ragionato e nel Dizionario etimologico di
Cortelazzo-Zolli mentre gli altri vocabolari si limitano a indicare soltanto la
matrice manzoniana. È giusto dare a Niccolò quello che è di Niccolò, ricordando
inoltre che il Manzoni era un conoscitore dell’opera di Machiavelli ed è
probabile che sia stato ispirato dal citato passo. Non si dimentichi, infatti,
che nella prima stesura dei “Promessi Sposi” il personaggio si chiamava “dotor
Pe’ ttola” e non Azzeccagarbugli.
La legge non era uguale per tutti anche nel
Seicento, secolo di soprusi e di prepotenze da parte dei potenti. Renzo cerca
giustizia recandosi da un noto avvocato del tempo, ma, allora come oggi, la
giustizia non sta dalla parte degli oppressi, bensì da quella degli oppressori.
Azzecca-garbugli è
un personaggio del romanzo storico ed è il soprannome di un avvocato di Lecco,
chiamato, nelle prime edizioni del romanzo, dottor Pettola e dottor Duplica
(nell'edizione definitiva il nome non viene mai detto, ma solo il soprannome).
Il nome costituisce un'italianizzazione del
termine dialettale milanese zaccagarbùj che
il Cherubini traduce "attaccabrighe". Viene
chiamato così dai popolani per la sua capacità di sottrarre dai guai, non del
tutto onestamente, le persone. Spesso e volentieri aiuta i Bravi,
poiché, come don Abbondio, preferisce stare
dalla parte del più forte, per evitare una brutta fine.
Renzo Tramaglino giunge
da lui, nel capitolo III, per chiedere se ci fosse una grida che avrebbe
condannato don Rodrigo, ma lui sentendo
nominare il potente signore, respinge Renzo perché non avrebbe potuto
contrastare la sua potente autorità. Egli rappresenta quindi un uomo la cui
coscienza meschina è asservita agli interessi dei potenti. Compare anche nel
capitolo quinto quando fra Cristoforo va al palazzotto di don Rodrigo e lo trova
fra gli invitati al banchetto che si sta tenendo a casa appunto di don Rodrigo.
Apparentemente, è un uomo di
legge molto erudito, e nel suo studio è presente una notevole quantità di libri,
il cui ruolo principale, però, è quello di elementi decorativi piuttosto che di
materiale di studio. Il suo tavolo invece è cosparso di fogli che impressionano
gli abitanti del paese che vi si recano. In realtà non consulta libri da molti
anni addietro, quando andava a Milano per
qualche causa d'importanza.
Il suo nome Azzeccagarbugli è
dovuto dal fatto che Azzecca significa "indovinare" e garbugli "cose non
giuste", quindi: Indovinare cose non giuste.
Azzeccagarbugli è la figura centrale del
Capitolo 3°, è un avvocato venduto, è un miserabile e il Manzoni pur non
dicendolo apertamente ce lo fa capire descrivendocelo appunto negli aspetti più
negativi. Di questo personaggio emerge una grande miseria morale: ciò che preme
all'avvocato è di assicurarsi il favore di don Rodrigo anche se per ottenere
questo deve calpestare quella giustizia della quale dovrebbe essere servitore. Il
Dottor Azzeccagarbugli è una figurina vista di scorcio, ma pur limpida e
interessante. E' un leguleio da strapazzo, ma abile la sua parte a ordire
garbugli per imbrogliare le cose, come lui stesso confessa a Renzo. Ci vuole la
conoscenza del codice, è necessario saper interpretare le gride, ma per lui
valgono sopra tutto le arti per ingarbugliare i clienti. Tale è la morale di
questo tipo di trappolone addottorato, comunissimo in ogni società. Il Manzoni
lo ha ricreato di una specifica individualità esteriore, nell'eloquio profuso, a
volte enfatico e sentenzioso, a volte freddo e cavilloso, grave e serio nella
posa di uomo di alte cure, pieno di sussiego nella sua mimica istrionica. Don
Rodrigo lo ha caro, come complice connivente nei suoi delittuosi disegni, mentre
il dottore accattando protezione col servilismo e l'adulazione, scrocca lauti
pranzi. Alcuni osservano, e non a torto, che in questo personaggio il Manzoni
abbia voluto farsi beffe dei legulei dalla coscienza facile.
"«Non facciam niente, – rispose il
dottore, scotendo il capo, con un sorriso, tra malizioso e impaziente. – Se non
avete fede in me, non facciam niente. Chi dice le bugie al dottore, vedete
figliuolo, è uno sciocco che dirà la verità al giudice. All’avvocato bisogna
raccontar le cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliarle. Se volete ch’io
v’aiuti, bisogna dirmi tutto, dall’a fino alla zeta, col cuore in mano, come al
confessore. Dovete nominarmi la persona da cui avete avuto il mandato: sarà
naturalmente persona di riguardo; e, in questo caso, io anderò da lui, a fare un
atto di dovere. Non gli dirò, vedete, ch’io sappia da voi, che v’ha mandato lui:
fidatevi. Gli dirò che vengo ad implorar la sua protezione, per un povero
giovine calunniato. E con lui prenderò i concerti opportuni, per finir l’affare
lodevolmente. Capite bene che, salvando sé, salverà anche voi. Se poi la
scappata fosse tutta vostra, via, non mi ritiro: ho cavato altri da peggio
imbrogli… Purché non abbiate offeso persona di riguardo, intendiamoci, m’impegno
a togliervi d’impiccio: con un po’ di spesa, intendiamoci. Dovete dirmi chi sia
l’offeso, come si dice: e, secondo la condizione, la qualità e l’umore
dell’amico, si vedrà se convenga più di tenerlo a segno con le protezioni, o
trovar qualche modo d’attaccarlo noi in criminale, e mettergli una pulce
nell’orecchio; perché, vedete, a saper ben maneggiare le gride, nessuno è reo, e
nessuno è innocente. In quanto al curato, se è persona di giudizio, se ne starà
zitto; se fosse una testolina, c’è rimedio anche per quelle. D’ogni intrigo si
può uscire; ma ci vuole un uomo: e il vostro caso è serio, vi dico, serio: la
grida canta chiaro; e se la cosa si deve decider tra la giustizia e voi, così a
quattr’occhi, state fresco. Io vi parlo da amico: le scappate bisogna pagarle:
se volete passarvela liscia, danari e sincerità, fidarvi di chi vi vuol bene,
ubbidire, far tutto quello che vi sarà suggerito.»
Mentre il dottore mandava fuori tutte
queste parole, Renzo lo stava guardando con un’attenzione estatica, come un
materialone sta sulla piazza guardando al giocator di bussolotti, che, dopo
essersi cacciata in bocca stoppa e stoppa e stoppa, ne cava nastro e nastro e
nastro, che non finisce mai. Quand’ebbe però capito bene cosa il dottore volesse
dire, e quale equivoco avesse preso, gli troncò il nastro in bocca, dicendo: –
oh! signor dottore, come l’ha intesa? l’è proprio tutta al rovescio. Io non ho
minacciato nessuno; io non fo di queste cose, io: e domandi pure a tutto il mio
comune, che sentirà che non ho mai avuto che fare con la giustizia. La
bricconeria l’hanno fatta a me; e vengo da lei per sapere come ho da fare per
ottener giustizia; e son ben contento d’aver visto quella grida.
- Diavolo! – esclamò il dottore,
spalancando gli occhi. – Che pasticci mi fate? Tant’è; siete tutti così:
possibile che non sappiate dirle chiare le cose?
- Ma mi scusi; lei non m’ha dato tempo:
ora le racconterò la cosa, com’è. Sappia dunque ch’io dovevo sposare oggi, – e
qui la voce di Renzo si commosse, – dovevo sposare oggi una giovine, alla quale
discorrevo, fin da quest’estate; e oggi, come le dico, era il giorno stabilito
col signor curato, e s’era disposto ogni cosa. Ecco che il signor curato
comincia a cavar fuori certe scuse… basta, per non tediarla, io l’ho fatto
parlar chiaro, com’era giusto; e lui m’ha confessato che gli era stato proibito,
pena la vita, di far questo matrimonio. Quel prepotente di don Rodrigo…
- Eh via! – interruppe subito il dottore,
aggrottando le ciglia, aggrinzando il naso rosso, e storcendo la bocca, – eh
via! Che mi venite a rompere il capo con queste fandonie? Fate di questi
discorsi tra voi altri, che non sapete misurar le parole; e non venite a farli
con un galantuomo che sa quanto valgono. Andate, andate; non sapete quel che vi
dite: io non m’impiccio con ragazzi; non voglio sentir discorsi di questa sorte,
discorsi in aria.
- Le giuro…
- Andate, vi dico: che volete ch’io faccia
de’ vostri giuramenti? Io non c’entro: me ne lavo le mani -. E se le andava
stropicciando, come se le lavasse davvero. – Imparate a parlare: non si viene a
sorprender così un galantuomo.
- Ma senta, ma senta, – ripeteva indarno
Renzo: il dottore, sempre gridando, lo spingeva con le mani verso l’uscio; e,
quando ve l’ebbe cacciato, aprì, chiamò la serva, e le disse: – restituite
subito a quest’uomo quello che ha portato: io non voglio niente, non voglio
niente.
Quella donna non aveva mai, in tutto il
tempo ch’era stata in quella casa, eseguito un ordine simile: ma era stato
proferito con una tale risoluzione, che non esitò a ubbidire. Prese le quattro
povere bestie, e le diede a Renzo, con un’occhiata di compassione sprezzante,
che pareva volesse dire: bisogna che tu l’abbia fatta bella. Renzo voleva far
cerimonie; ma il dottore fu inespugnabile; e il giovine, più attonito e più
stizzito che mai, dovette riprendersi le vittime rifiutate, e tornar al paese, a
raccontar alle donne il bel costrutto della sua spedizione."
A Parlar di azzeccagarbugli non vi pare
che si parli dei nostri contemporanei legulei togati, siano essi magistrati od
avvocati?
Ho vissuto una
breve vita confrontandomi con una sequela di generazioni difettate condotte in
un caos organizzato. Uomini e donne senza ideali e senza valori succubi del
flusso culturale e politico del momento, scevri da ogni discernimento tra il
bene ed il male. L’Io è elevato all’ennesima potenza. La mia Collana editoriale
“L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” composta da decine di saggi, riporta
ai posteri una realtà attuale storica, per tema e per territorio, sconosciuta ai
contemporanei perché corrotta da verità mediatiche o giudiziarie.
Per la Conte dei
Conti è l’Italia delle truffe. È l'Italia degli sprechi e delle frodi
fotografata in un dossier messo a punto dalla procura generale della Corte dei
Conti che ha messo insieme le iniziative più rilevanti dei procuratori
regionali. La Corte dei Conti ha scandagliato l'attività condotta da tutte le
procure regionali e ha messo insieme «le fattispecie di particolare interesse,
anche sociale, rilevanti per il singolo contenuto e per il pregiudizio economico
spesso ingente».
A parlar di sé e
delle proprie disgrazie in prima persona, oltre a non destare l’interesse di
alcuno pur nelle tue stesse condizioni, può farti passare per mitomane o pazzo.
Non sto qui a promuovermi. Non si può, però, tacere la verità storica che ci
circonda, stravolta da verità menzognere mediatiche e giudiziarie. Ad ogni
elezione legislativa ci troviamo a dover scegliere tra: il partito dei condoni;
il partito della CGIL; il partito dei giudici. Io da anni non vado a votare
perché non mi rappresentano i nominati in Parlamento. Oltretutto mi disgustano
le malefatte dei nominati. Un esempio per tutti, anche se i media lo hanno
sottaciuto. La riforma forense, approvata con
Legge 31 dicembre 2012, n. 247, tra gli ultimi interventi legislativi
consegnatici frettolosamente dal Parlamento prima di cessare di fare danni. I
nonni avvocati in Parlamento (compresi i comunisti) hanno partorito, in
previsione di un loro roseo futuro, una contro riforma fatta a posta contro i
giovani. Ai fascisti che hanno dato vita al primo
Ordinamento forense (R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578 - Ordinamento della
professione di avvocato e di procuratore convertito con la legge 22 gennaio 1934
n.36) questa contro riforma reazionaria
gli fa un baffo.
Trattasi di una “riforma”, scritta come al solito negligentemente, che non viene
in alcun modo incontro ed anzi penalizza in modo significativo i giovani. Da
anni inascoltato denuncio il malaffare di avvocati e magistrati ed il loro
malsano accesso alla professione. Cosa ho ottenuto a denunciare i trucchi per
superare l’esame? Insabbiamento delle denunce e attivazione di processi per
diffamazione e calunnia, chiusi, però, con assoluzione piena. Intanto ti
intimoriscono. Ed anche la giustizia amministrativa si adegua.
TUTTA L’ITALIA E’ PAESE……..
"L’Italia che è,
che fu e che sarà.
L’Italia della
Costituzione intoccabile scritta dai vincitori: illiberale, oligarchica,
comunista e clericale.
L'Italia dove si
impone la legalità nel basso e non si pretende dall'alto.
L’Italia dove il
potere è nelle mani di caste, lobbies, mafie e massonerie.
L’Italia dove si è
nominati e non eletti e non c’è vincolo di mandato.
L'Italia dove la
giustizia è amministrata in nome del popolo e non in suo conto e nel suo
interesse e dove i Magistrati non pagano per le loro colpe.
L’Italia dove di
organizzato c’è solo il caos e la criminalità.
L’Italia delle
Istituzioni che pretendono rispetto, ma non lo meritano.
L’Italia fondata
sul lavoro, che non c’è, fatto salvo per i mantenuti e i raccomandati.
L’Italia che
riconosce e garantisce i diritti inviolabili, solo dei poteri forti.
L’Italia della
legge uguale per tutti, applicata per i deboli, interpretata per i forti.
L'Italia dove tutti
son pronti a condannare, ma non a farsi giudicare.
L’Italia
indivisibile, fatta di “Polentoni” e “Terroni”.
L’Italia della
libera informazione, di parte e gossippara, che pende dalle veline giudiziarie e
la notizia la fa, non la dà.
L’Italia dove a
delinquere sono sempre gli altri.
L’Italia dove la
mafia ti uccide, ti condanna, ti affama.
L’Italia dove devi
subire e devi tacere.
L’Italia
indisponente, insofferente, indifferente, dove tutti parlano e nessuno ascolta.
"Art. 1 della
Costituzione: L’ Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro (non
sulla libertà e la giustizia). La sovranità appartiene al popolo, che la
esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. (I limiti stabiliti al
potere popolare indicano una sudditanza al sistema di potere. Il potere popolare
è delegato ai Parlamentari e agli organi da questi nominati: Presidente della
Repubblica, Governo, organi di Garanzia e Controllo. La Magistratura è solo un
Ordine Costituzionale: non ha un potere delegato, ma una funzione attribuita per
pubblico concorso. In realtà si comporta come Dio in terra: giudica, ingiudicata).Un'Italia
tenuta al guinzaglio da un sistema di potere composto da caste, lobby, mafie e
massonerie: un'Italia che deve subire e deve tacere. La “Politica” deve essere
legislazione o amministrazione nell’eterogenea rappresentanza d’interessi,
invece è meretricio o mendicio, mentre le “Istituzioni” devono meritarlo il
rispetto, non pretenderlo. Il rapporto tra cittadini e il rapporto tra cittadini
e Stato è regolato dalla forza della legge. Quando non vi è cogenza di legge,
vige la legge del più forte e il debole soccombe. Allora uno “Stato di Diritto”
degrada in anarchia. In questo caso è palese la responsabilità politica ed
istituzionale per incapacità o per collusione. Così come è palese la
responsabilità dei media per omertà e dei cittadini per codardia o emulazione.
l'Italia sia una
repubblica democratica e federale fondata sulla Libertà e la Giustizia. I
cittadini siano tutti uguali e solidali.
I rapporti tra
cittadini e tra cittadini e Stato siano regolati da un numero ragionevole di
leggi, chiare e coercitive.
Le pene siano
mirate al risarcimento ed alla rieducazione, da scontare con la confisca dei
beni e con lavori socialmente utili. Ai cittadini sia garantita la libera nomina
del difensore o l'autodifesa personale, se capace, ovvero il gratuito patrocinio
per i poveri. Sia garantita un'indennità e una protezione alla testimonianza.
Sia garantita la
scusa solenne e il risarcimento del danno, anche non patrimoniale, al cittadino
vittima di offesa o violenza di funzionari pubblici, di ingiusta imputazione, di
ingiusta detenzione, di ingiusta condanna, di lungo o ingiusto processo.
Sia garantita a
tutti ogni garanzia di accesso al credito per meritevoli finalità economiche o
bisogni familiari necessari.
Sia libera ogni
attività economica, professionale, sociale, culturale e religiosa. Il sistema
scolastico o universitario assicuri l'adeguata competenza, senza vincoli
professionali di Albi, Ordini, Collegi, ecc. Il libero mercato garantirà il
merito. Le scuole o le università siano rappresentate da un preside o un rettore
eletti dagli studenti o dai genitori dei minori. Il preside o il rettore nomini
i suoi collaboratori, rispondendo delle loro azioni.
Lo Stato assicuri
ai cittadini ogni mezzo per una vita dignitosa.
Ai disabili sia
garantita l'accessibilità, l'adattabilità e la visibilità dei luoghi di transito
o stazionamento.
Il lavoro
subordinato pubblico e privato sia remunerato secondo efficienza e competenza.
Lo Stato chieda ai
cittadini il pagamento di un unico tributo, secondo il suo fabbisogno, sulla
base della contabilità centralizzata desunta dai dati incrociati forniti
telematicamente dai contribuenti, con deduzioni proporzionali e detrazioni
totali. Agli evasori siano confiscati tutti i beni. Lo Stato assicuri a Regioni
e Comuni il sostentamento e lo sviluppo.
Sia libera la
parola, con diritto di critica, di cronaca, d'informare e di essere informati,
così come sia libero l'esercizio della stampa da vincoli di Albi, Ordini e
collegi.
I senatori e i
deputati, il capo del governo, i magistrati, i difensori civici siano eletti dai
cittadini con vincolo di mandato. Essi rappresentino, amministrino, giudichino e
difendano secondo imparzialità, legalità ed efficienza in nome, per conto e
nell'interesse dei cittadini. Essi siano responsabili delle loro azioni e
giudicati e condannati. Gli amministratori pubblici nominino i loro
collaboratori, rispondendone del loro operato.
Il difensore civico
difenda i cittadini da abusi od omissioni amministrative, giudiziarie, sanitarie
o di altre materie di interesse pubblico.
Il Parlamento voti
e promulghi le leggi propositive e abrogative proposte dal Governo, da uno o più
parlamentari, da una Regione, da un comitato di cittadini".
di Antonio
Giangrande
PER UNA LETTURA
UTILE E CONSAPEVOLE CONTRO L’ITALIA DEI GATTOPARDI.
Recensione di
un’opera editoriale osteggiata dalla destra e dalla sinistra. Perle di saggezza
destinate al porcilaio.
I giornalisti della
tv e stampa, sia quotidiana, sia periodica, da sempre sono tacciati di faziosità
e mediocrità. Si dice che siano prezzolati e manipolati dal potere e che
esprimano solo opinioni personali, non raccontando i fatti. Lo dice Beppe Grillo
e forse ha ragione. Ma tra di loro vi sono anche eccellenze di gran valore.
Questo vale per le maggiori testate progressiste (Il Corriere della Sera,
L’Espresso, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano), ma anche per le testate
liberali (Panorama, Oggi, Il Giornale, Libero Quotidiano). In una Italia,
laddove alcuni magistrati tacitano con violenza le contro voci, questi eccelsi
giornalisti, attraverso le loro coraggiose inchieste, sono fonte di prova
incontestabile per raccontare l’Italia vera, ma sconosciuta. L’Italia dei
gattopardi e dell’ipocrisia. L’Italia dell’illegalità e dell’utopia. Tramite
loro, citando gli stessi e le loro inchieste scottanti, Antonio Giangrande ha
raccolto in venti anni tutto quanto era utile per dimostrare che la mafia vien
dall’alto. Pochi lupi e tante pecore. Una selezione di nomi e fatti articolati
per argomento e per territorio. L’intento di Giangrande è rappresentare la
realtà contemporanea, rapportandola al passato e proiettandola al futuro. Per
non reiterare vecchi errori. Perché la massa dimentica o non conosce. Questa è
sociologia storica, di cui il Giangrande è il massimo cultore. Questa è
la collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata su
Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo. 40 libri scritti da Antonio Giangrande,
presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” e scrittore-editore
dissidente. Saggi pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i
media si astengono a dare loro la dovuta visibilità e le rassegne culturali ad
ignorare. In occasione delle festività ed in concomitanza con le nuove elezioni
legislative sarebbe cosa buona e utile presentare ai lettori una lettura
alternativa che possa rendere più consapevole l’opinione dei cittadini. Un’idea
regalo gratuita o con modica spesa, sicuramente gradita da chi la riceve. Non è
pubblicità gratuita che si cerca per fini economici, né tanto meno è concorrenza
sleale. Si chiede solo di divulgare la conoscenza di opere che già sul web sono
conosciutissime e che possono anche esser lette gratuitamente. Evento editoriale
esclusivo ed aggiornato periodicamente. Di sicuro interesse generale. Fa niente
se dietro non ci sono grandi o piccoli gruppi editoriali. Ciò è garanzia di
libertà.
Grazie per l’adesione e la partecipazione oltre che per la solidarietà.
POLITICA, GIUSTIZIA ED INFORMAZIONE. IN TEMPO DI VOTO SI PALESA L’ITALIETTA
DELLE VERGINELLE.
Politica, giustizia
ed informazione. In tempo di voto si palesa l’Italietta delle verginelle.
Da scrittore
navigato, il cui sacco di 50 libri scritti sull’Italiopoli degli italioti lo sta
a dimostrare, mi viene un rigurgito di vomito nel seguire tutto quanto viene
detto da scatenate sgualdrine (in senso politico) di ogni schieramento politico.
Sgualdrine che si atteggiano a verginelle e si presentano come aspiranti
salvatori della patria in stampo elettorale.
In Italia dove non
c’è libertà di stampa e vige la magistratocrazia è facile apparire verginelle
sol perché si indossa l’abito bianco.
I nuovi politici
non si presentano come preparati a risolvere i problemi, meglio se liberi da
pressioni castali, ma si propongono, a chi non li conosce bene, solo per le loro
presunti virtù, come verginelle illibate.
Ci si atteggia a
migliore dell’altro in una Italia dove il migliore c’ha la rogna.
L’Italietta è
incurante del fatto che Nicola Vendola a Bari sia stato assolto in modo
legittimo dall’amica della sorella o Luigi De Magistris sia stato assolto a
Salerno in modo legale dalla cognata di Michele Santoro, suo sponsor politico.
L’Italietta che non
batte ciglio quando a Bari Massimo D’Alema in modo lecito esce pulito da
un’inchiesta penale.
Accogliendo la richiesta d’archiviazione avanzata dal pm, il gip Concetta Russi
il 22 giugno ’95 decise per il proscioglimento, ritenendo superfluo ogni
approfondimento: «Uno degli episodi di illecito finanziamento riferiti – scrisse
nelle motivazioni - e cioè la corresponsione di un contributo di 20 milioni in
favore del Pci, ha trovato sostanziale conferma, pur nella diversità di alcuni
elementi marginali, nella leale dichiarazione dell’onorevole D’Alema, all’epoca
dei fatti segretario regionale del Pci (...). L’onorevole D’Alema non ha escluso
che la somma versata dal Cavallari fosse stata proprio dell’importo da
quest’ultimo indicato». Chi era il titolare dell’inchiesta che sollecitò
l’archiviazione? Il pm Alberto Maritati, eletto coi Ds e immediatamente nominato
sottosegretario all’Interno durante il primo governo D’Alema, numero due del
ministro Jervolino, poi ancora sottosegretario alla giustizia nel governo Prodi,
emulo di un altro pm pugliese diventato sottosegretario con D’Alema: Giannicola
Sinisi. E chi svolse insieme a Maritati gli accertamenti su Cavallari? Chi altro
firmò la richiesta d’archiviazione per D’Alema? Semplice: l’amico e collega
Giuseppe Scelsi, magistrato di punta della corrente di Magistratura democratica
a Bari, poi titolare della segretissima indagine sulle ragazze reclutate per le
feste a Palazzo Grazioli, indagine «anticipata» proprio da D’Alema.
L’Italietta non si
scandalizza del fatto che sui Tribunali e nella scuole si spenda il nome e
l’effige di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino da parte di chi, loro colleghi,
li hanno traditi in vita, causandone la morte.
L’Italietta non si
sconvolge del fatto che spesso gli incriminati risultano innocenti e
ciononostante il 40% dei detenuti è
in attesa di giudizio. E per questo gli avvocati in Parlamento, anziché emanar
norme, scioperano nei tribunali, annacquando ancor di più la lungaggine dei
processi.
L’Italietta che su
giornali e tv foraggiate dallo Stato viene accusata da politici corrotti di
essere evasore fiscale, nonostante sia spremuta come un limone senza ricevere
niente in cambio.
L’Italietta,
malgrado ciò, riesce ancora a discernere le vergini dalle sgualdrine, sotto
l’influenza mediatica-giudiziaria.
Fa niente se
proprio tutta la stampa ignava tace le ritorsioni per non aver taciuto le
nefandezze dei magistrati, che loro sì decidono chi candidare al Parlamento per
mantenere e tutelare i loro privilegi.
Da ultimo è la
perquisizione ricevuta in casa dall’inviato de “La Repubblica”, o quella
ricevuta dalla redazione del tg di Telenorba.
Il re è nudo: c’è qualcuno che lo dice. E’ la testimonianza di Carlo Vulpio
sull’integrità morale di Nicola Vendola, detto Niki. L’Editto bulgaro e l’Editto
di Roma (o di Bari). Il primo è un racconto che dura da anni. Del secondo invece
non si deve parlare.
I giornalisti della
tv e stampa, sia quotidiana, sia periodica, da sempre sono tacciati di faziosità
e mediocrità. Si dice che siano prezzolati e manipolati dal potere e che
esprimano solo opinioni personali, non raccontando i fatti. La verità è che sono
solo codardi.
E cosa c’è altro da
pensare. In una Italia, laddove alcuni magistrati tacitano con violenza le
contro voci. L’Italia dei gattopardi e dell’ipocrisia. L’Italia dell’illegalità
e dell’utopia.
Tutti hanno taciuto
"Le mani nel cassetto. (e talvolta
anche addosso...). I giornalisti perquisiti raccontano". Il libro,
introdotto dal presidente nazionale dell’Ordine Enzo Jacopino, contiene le
testimonianze, delicate e a volte ironiche, di ventuno giornalisti italiani,
alcuni dei quali noti al grande pubblico, che hanno subito perquisizioni
personali o ambientali, in casa o in redazione, nei computer e nelle agende, nei
libri e nei dischetti cd o nelle chiavette usb, nella biancheria e nel
frigorifero, “con il dichiarato scopo di scoprire la fonte confidenziale di una
notizia: vera, ma, secondo il magistrato, non divulgabile”. Nel 99,9% dei casi
le perquisizioni non hanno portato “ad alcun rinvenimento significativo”.
Cosa pensare se si
è sgualdrina o verginella a secondo dell’umore mediatico. Tutti gli ipocriti si
facciano avanti nel sentirsi offesi, ma che fiducia nell’informazione possiamo
avere se questa è terrorizzata dalle querele sporte dai PM e poi giudicate dai
loro colleghi Giudici.
Alla luce di quanto
detto, è da considerare candidabile dai puritani nostrani il buon “pregiudicato”
Alessandro Sallusti che ha la sol colpa di essere uno dei pochi coraggiosi a
dire la verità?
Si badi che a
ricever querela basta recensire il libro dell’Ordine Nazionale dei giornalisti,
che racconta gli abusi ricevuti dal giornalista che scrive la verità,
proprio per denunciare l'arma
intimidatoria delle perquisizioni alla stampa.
Che giornalisti
sono coloro che, non solo non raccontano la verità, ma tacciono anche tutto ciò
che succede a loro?
E cosa ci si
aspetta da questa informazione dove essa stessa è stata visitata nella loro sede
istituzionale dalla polizia giudiziaria che ha voluto delle copie del volume e i
dati identificativi di alcune persone, compreso il presidente che dell'Ordine è
il rappresentante legale?
La Costituzione
all’art. 104 afferma che “la magistratura costituisce un ordine autonomo e
indipendente da ogni altro potere.”
Ne conviene che il
dettato vuol significare non equiparare la Magistratura ad altro potere, ma
differenziarne l’Ordine con il Potere che spetta al popolo. Ordine
costituzionalizzato, sì, non Potere.
Magistrati. Ordine,
non potere, come invece il più delle volte si scrive, probabilmente ricordando
Montesquieu; il quale però aggiungeva che il potere giudiziario é “per così dire
invisibile e nullo”. Solo il popolo è depositario della sovranità: per questo
Togliatti alla Costituente avrebbe voluto addirittura che i magistrati fossero
eletti dal popolo, per questo sostenne le giurie popolari. Ordine o potere che
sia, in ogni caso è chiaro che di magistrati si parla.
Allora io ho
deciso: al posto di chi si atteggia a verginella io voterei sempre un
“pregiudicato” come Alessandro Sallusti, non invece chi incapace, invidioso e
cattivo si mette l’abito bianco per apparir pulito.
E facile dire pregiudicato. Parliamo del comportamento degli avvocati. Il caso
della condanna di Sallusti. Veniamo al primo grado: l’avvocato di Libero
era piuttosto noto perché non presenziava quasi mai alle udienze, preferendo
mandarci sempre un sostituto sottopagato, dice Filippo Facci. E qui, il giorno
della sentenza, accadde un fatto decisamente singolare. Il giudice, una donna,
lesse il dispositivo che condannava Sallusti a pagare circa 5mila euro e Andrea
Monticone a pagarne 4000 (più 30mila di risarcimento, che nel caso dei
magistrati è sempre altissimo) ma nelle motivazioni della sentenza, depositate
tempo dopo, lo stesso giudice si dolse di essersi dimenticato di prevedere una
pena detentiva. Un’esagerazione? Si può pensarlo. Tant’è, ormai era andata: sia
il querelante sia la Procura sia gli avvocati proposero tuttavia appello (perché
in Italia si propone sempre appello, anche quando pare illogico o esagerato) e
la sentenza della prima sezione giunse il 17 giugno 2011. E qui accadeva un
altro fatto singolare: l’avvocato di Libero tipicamente non si presentò
in aula e però neppure il suo sostituto: il quale, nel frattempo, aveva
abbandonato lo studio nell’ottobre precedente come del resto la segretaria,
entrambi stufi di lavorare praticamente gratis. Fatto sta che all’Appello
dovette presenziare un legale d’ufficio – uno che passava di lì, letteralmente –
sicché la sentenza cambiò volto: come richiesto dall’accusa, Monticone si beccò
un anno con la condizionale e Sallusti si beccò un anno e due mesi senza un
accidente di condizionale, e perché? Perché aveva dei precedenti per l’omesso
controllo legato alla diffamazione. Il giudice d’Appello, in pratica, recuperò
la detenzione che il giudice di primo grado aveva dimenticato di scrivere nel
dispositivo.
Ma anche il Tribuno Marco Travaglio è stato vittima degli avvocati. Su Wikipedia
si legge che nel
2000 è stato condannato in sede civile, dopo essere stato citato in giudizio da
Cesare Previti a causa di un articolo in cui Travaglio ha definito Previti «un
indagato» su “L’Indipendente”. Previti era effettivamente indagato ma a causa
dell'impossibilità da parte dell' avvocato del giornale di presentare le prove
in difesa di Travaglio in quanto il legale non era retribuito, il giornalista fu
obbligato al risarcimento del danno quantificato in 79 milioni di lire. Comunque
lui stesso a “Servizio Pubblico” ha detto d’aver perso una querela con Previti,
parole sue, «perché l’avvocato non è andato a presentare le mie prove». Colpa
dell’avvocato.
Ma chi e quando le
cose cambieranno?
Per fare politica
in Italia le strade sono poche, specialmente se hai qualcosa da dire e proponi
soluzioni ai problemi generali. La prima è cominciare a partecipare a movimenti
studenteschi fra le aule universitarie, mettersi su le stellette di qualche
occupazione e poi prendere la tessera di un partito. Se di sinistra è meglio.
Poi c'è la strada della partecipazione politica con tesseramento magari
sfruttando una professione che ti metta in contatto con molti probabili
elettori: favoriti sono gli avvocati, i medici di base ed i giornalisti. C'è una
terza via che sempre più prende piede. Fai il magistrato.
Se puoi occupati di qualche inchiesta che abbia come bersaglio un soggetto
politico, specie del centro destra, perché gli amici a sinistra non si toccano.
Comunque non ti impegnare troppo. Va bene anche un'archiviazione. Poi togli la
toga e punta al Palazzo. Quello che interessa a sinistra è registrare questo
movimento arancione con attacco a tre punte: De
Magistris sulla
fascia, Di
Pietro in
regia e al centro il nuovo bomber Antonio
Ingroia.
Se è un partito dei magistrati e per la corporazione dei magistrati. Loro "ci
stanno".
Rivoluzione Civile
è una formazione improvvisata le cui figure principali di riferimento sono tre
magistrati: De Magistris, Di Pietro e Ingroia. Dietro le loro spalle si
rifugiano i piccoli partiti di Ferrero, Diliberto e Bonelli in cerca di presenza
parlamentare. E
poi, ci mancherebbe, con loro molte ottime persone di sinistra critica
all’insegna della purezza. Solo che la loro severità rivolta in special modo al
Partito Democratico, deve per forza accettare un’eccezione: Antonio Di Pietro.
La rivelazione dei metodi disinvolti con cui venivano gestiti i fondi
dell’Italia dei Valori, e dell’uso personale che l’ex giudice fece di un’eredità
cospicua donata a lui non certo per godersela, lo hanno costretto a ritirarsi
dalla prima fila. L’Italia dei Valori non si presenta più da sola, non per
generosità ma perchè andrebbe incontro a una sconfitta certa. Il suo leader però
viene ricandidato da Ingroia senza troppi interrogativi sulla sua presentabilità
politica. “Il Fatto”, solitamente molto severo, non ha avuto niente da obiettare
sul Di Pietro ricandidato alla chetichella. Forse perchè non era più alleato di
Bersani e Vendola? Si chiede Gad Lerner.
Faceva una certa
impressione nei tg ascoltare Nichi
Vendola (che, secondo Marco Ventura su “Panorama”, la magistratura ha
salvato dalle accuse di avere imposto un primario di sua fiducia in un concorso
riaperto apposta e di essere coinvolto nel malaffare della sanità in Puglia)
dire che mentre le liste del Pd-Sel
hanno un certo profumo, quelle del Pdl
profumano “di camorra”. E che dire di
Ingroia e il suo doppiopesismo: moralmente ed eticamente intransigente con gli
altri, indulgente con se stesso. Il candidato Ingroia, leader
rivoluzionario, da pm faceva domande e i malcapitati dovevano rispondere. Poi a
rispondere, come candidato premier, tocca a lui. E lui le domande proprio non le
sopporta, come ha dimostrato nella trasmissione condotta su Raitre da Lucia
Annunziata. Tanto da non dimettersi dalla magistratura, da candidarsi anche dove
non può essere eletto per legge (Sicilia), da sostenere i No Tav ed avere come
alleato l'inventore della Tav (Di Pietro), da criticare la legge elettorale, ma
utilizzarla per piazzare candidati protetti a destra e a manca. L'elenco sarebbe
lungo, spiega Alessandro Sallusti. Macchè "rivoluzione" Ingroia le sue liste le
fa col manuale Cencelli. L'ex pm e i partiti alleati si spartiscono i posti
sicuri a Camera e Senato, in barba alle indicazioni delle assemblee
territoriali. Così, in Lombardia, il primo lombardo è al nono posto. Sono tanti
i siciliani che corrono alle prossime elezioni politiche in un seggio lontano
dall’isola. C’è
Antonio Ingroia
capolista di Rivoluzione Civile un po' dappertutto. E poi ci sono molti
"paracadutati" che hanno ottenuto un posto blindato lontano dalla Sicilia.
Pietro Grasso,
ad esempio, è capolista del Pd nel Lazio: "Non mi candido in Sicilia per una
scelta di opportunità", ha detto, in polemica con Ingroia, che infatti in
Sicilia non è eleggibile. In Lombardia per Sel c'è capolista
Claudio Fava,
giornalista catanese, e non candidato alle ultime elezioni regionali per un
pasticcio fatto sulla sua residenza in Sicilia (per fortuna per le elezioni
politiche non c'è bisogno di particolare documentazione....).
Fabio Giambrone,
braccio destro di Orlando, corre anche in Lombardia e in Piemonte.
Celeste Costantino,
segretaria provinciale di Sel a Palermo è stata candidata, con qualche malumore
locale, nella circoscrizione Piemonte 1.
Anna Finocchiaro,
catanese e con il marito sotto inchiesta è capolista del Pd, in Puglia. Sarà lei
in caso di vittoria del Pd la prossima presidente del Senato. Sempre in Puglia
alla Camera c'è spazio per
Ignazio Messina
al quarto posto della lista di Rivoluzione civile.
E che dire di
Don Gallo che canta
la canzone partigiana "Bella Ciao" sull'altare, sventolando un drappo rosso.
"Serve una legge
per regolamentare e limitare la discesa in politica dei magistrati, almeno nei
distretti dove hanno esercitato le loro funzioni, per evitare che nell'opinione
pubblica venga meno la considerazione per i giudici". Lo afferma il presidente
della Cassazione, nel suo discorso alla cerimonia di inaugurazione del nuovo
anno giudiziario 2013. Per Ernesto Lupo devono essere "gli stessi pm a darsi
delle regole nel loro Codice etico". Per la terza e ultima volta - dal momento
che andrà in pensione il prossimo maggio - il Primo presidente della Cassazione,
Ernesto Lupo, ha illustrato - alla presenza del Presidente della Repubblica e
delle alte cariche dello Stato - la «drammatica» situazione della giustizia in
Italia non solo per la cronica lentezza dei processi, 128 mila dei quali si sono
conclusi nel 2012 con la prescrizione, ma anche per la continua violazione dei
diritti umani dei detenuti per la quale è arrivato l’ultimatum dalla Corte Ue.
Sebbene abbia apprezzato le riforme del ministro Paola Severino - taglio dei
“tribunalini” e riscrittura dei reati contro la pubblica amministrazione - Lupo
ha tuttavia sottolineato che l’Italia continua ad essere tra i Paesi più
propensi alla corruzione. Pari merito con la Bosnia, e persino dietro a nazioni
del terzo mondo. Il Primo presidente ha, poi, chiamato gli stessi magistrati a
darsi regole severe per chi scende in politica e a limitarsi, molto, nel ricorso
alla custodia in carcere. «È
auspicabile - esorta Lupo - che nella perdurante carenza della legge, sia
introdotta nel codice etico quella disciplina più rigorosa sulla partecipazione
dei magistrati alla vita politica e parlamentare, che in decenni il legislatore
non è riuscito ad approvare». Per regole sulle toghe in politica, si sono
espressi a favore anche il Procuratore generale della Suprema Corte Gianfranco
Ciani, che ha criticato i pm che flirtano con certi media cavalcando le
inchieste per poi candidarsi, e il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli. Per il
Primo presidente nelle celle ci sono 18.861 detenuti di troppo e bisogna dare
più permessi premio. Almeno un quarto dei reclusi è in attesa di condanna
definitiva e i giudici devono usare di più le misure alternative.
"Non possiamo
andare avanti così - lo aveva già detto il primo presidente della Corte di
Cassazione, Vincenzo Carbone, nella relazione che ha aperto la cerimonia dell’
inaugurazione dell’ Anno Giudiziario 2009 - In più, oltre a un più rigoroso
richiamo dei giudici ai propri doveri di riservatezza, occorrerebbe
contestualmente evitare la realizzazione di veri e propri 'processi mediatici',
simulando al di fuori degli uffici giudiziari, e magari anche con la
partecipazione di magistrati, lo svolgimento di un giudizio mentre è ancora in
corso il processo nelle sedi istituzionali". "La giustizia - sottolinea Carbone
- deve essere trasparente ma deve svolgersi nelle sedi proprie, lasciando ai
media il doveroso ed essenziale compito di informare l'opinione pubblica, ma non
di sostituirsi alla funzione giudiziaria".
Questo per far
capire che il problema “Giustizia” sono i magistrati.
Nella magistratura sono presenti "sacche
di inefficienza e di inettitudine". La denuncia arriva addirittura dal
procuratore generale della Cassazione, Vitaliano Esposito, sempre
nell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2009.
Ma è questa la
denuncia più forte che viene dall'apertura dell'anno giudiziario 2013 nelle
Corti d'Appello:
«Non
trovo nulla da eccepire sui magistrati che abbandonano la toga per candidarsi
alle elezioni politiche - ha detto il presidente della Corte di Appello di Roma
Giorgio Santacroce. Ma ha aggiunto una stoccata anche ad alcuni suoi colleghi -
Non mi piacciono - ha affermato - i magistrati che non si accontentano di far
bene il loro lavoro, ma si propongono di redimere il mondo. Quei magistrati,
pochissimi per fortuna, che sono convinti che la spada della giustizia sia
sempre senza fodero, pronta a colpire o a raddrizzare le schiene. Parlano molto
di sè e del loro operato anche fuori dalle aule giudiziarie, esponendosi
mediaticamente, senza rendersi conto che per dimostrare quell' imparzialità che
è la sola nostra divisa, non bastano frasi ad effetto, intrise di una retorica
all'acqua di rose. Certe debolezze non rendono affatto il magistrato più umano.
I magistrati che si candidano esercitano un diritto costituzionalmente garantito
a tutti i cittadini, ma Piero Calamandrei diceva che quando per la porta della
magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra».
Dove non arrivano a
fare le loro leggi per tutelare prerogative e privilegi della casta, alcuni
magistrati, quando non gli garba il rispetto e l’applicazione della legge, così
come gli è dovuto e così come hanno giurato, disapplicano quella votata da
altri. Esempio lampante è Taranto. I magistrati contestano la legge, anziché
applicarla, a scapito di migliaia di lavoratori. Lo strapotere e lo straparlare
dei magistrati si incarna in alcuni esempi. «Ringrazio il Presidente della
Repubblica, come cittadino ma anche di giudice, per averci allontanati dal
precipizio verso il quale inconsciamente marciavamo». Sono le parole con le
quali il presidente della Corte d'appello, Mario Buffa, ha aperto, riferendosi
alla caduta del Governo Berlusconi, la relazione per l'inaugurazione dell'anno
giudiziario 2012 nell'aula magna del palazzo di giustizia di Lecce. «Per fortuna
il vento sembra essere cambiato – ha proseguito Buffa: la nuova ministra non
consuma le sue energie in tentativi di delegittimare la magistratura, creando
intralci alla sua azione». Ma il connubio dura poco. L’anno successivo, nel
2013, ad aprire la cerimonia di inaugurazione è stata ancora la relazione del
presidente della Corte d’appello di Lecce, Mario Buffa. Esprimendosi sull’Ilva
di Taranto ha dichiarato che “il Governo ha fatto sull’Ilva una legge ad
aziendam, che si colloca nella scia delle leggi ad personam inaugurata in Italia
negli ultimi venti anni, una legge che riconsegna lo stabilimento a coloro che
fingevano di rispettare le regole di giorno e continuavano a inquinare di
notte”. Alla faccia dell’imparzialità. Giudizi senza appello e senza processo.
Non serve ai magistrati candidarsi in Parlamento. La Politica, in virtù del loro
strapotere, anche mediatico, la fanno anche dai banchi dei tribunali. Si vuole
un esempio? "E' una cosa indegna". Veramente mi disgusta il fatto che io debba
leggere sul giornale, momento per momento, 'stanno per chiamare la dottoressa
Tizio, la stanno chiamando...l'hanno interrogato...la posizione si aggrava'". E
ancora: "Perchè se no qua diamo per scontato che tutto viene raccontato dai
giornali, che si fa il clamore mediatico, che si va a massacrare la gente prima
ancora di trovare un elemento di colpevolezza". E poi ancora: "A me pare molto
più grave il fatto che un cialtrone di magistrato dia indebitamente la notizia
in violazione di legge...". Chi parla potrebbe essere Silvio Berlusconi, che
tante volte si è lamentato di come le notizie escano dai tribunali prima sui
giornali che ai diretti interessati. E invece, quelle che riporta il Corriere
della Sera, sono parole pronunciate nel giugno 2010 nientemeno che del capo
della polizia Antonio Manganelli, al telefono col prefetto Nicola Izzo, ex
vicario della polizia. Ed allora “stronzi” chi li sta a sentire.
«L'unica
spiegazione che posso dare è che ho detto sempre quello che pensavo anche
affrontando critiche, criticando a mia volta la magistratura associata e gli
alti vertici della magistratura. E' successo anche ad altri più importanti e
autorevoli magistrati, a cominciare da
Giovanni Falcone.
Forse non è un caso - ha concluso Ingroia - che quando iniziò la sua attività di
collaborazione con la politica le critiche peggiori giunsero dalla magistratura.
E' un copione che si ripete». «Come ha potuto Antonio Ingroia paragonare la sua
piccola figura di magistrato a quella di Giovanni Falcone? Tra loro esiste una
distanza misurabile in milioni di anni luce. Si vergogni». È il commento del
procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccassini, ai microfoni del TgLa7
condotto da Enrico Mentana contro l'ex procuratore aggiunto di Palermo Antonio
Ingroia, ora leader di Rivoluzione civile. Non si è fatta attendere la replica
dell'ex procuratore aggiunto di Palermo che dagli schermi di Ballarò respinge le
accuse della sua ex collega: «Probabilmente non ha letto le mie parole,
s'informi meglio. Io non mi sono mai paragonato a Falcone, ci mancherebbe.
Denunciavo soltanto una certa reazione stizzita all'ingresso dei magistrati in
politica, di cui fu vittima anche Giovanni quando collaborò con il ministro
Martelli. Forse basterebbe leggere il mio intervento» E poi. «Ho atteso finora
una smentita, invano. Siccome non è arrivata dico che l'unica a doversi
vergognare è lei che, ancora in magistratura, prende parte in modo così
indecente e astioso alla competizione politica manipolando le mie dichiarazioni.
La prossima volta pensi e conti fino a tre prima di aprire bocca. Quanto ai suoi
personali giudizi su di me, non mi interessano e alle sue piccinerie siamo
abituati da anni. Mi basta sapere cosa pensava di me Paolo Borsellino e cosa
pensava di lei. Ogni parola in più sarebbe di troppo».
«Sì, è vero. È stato fatto un uso politico delle intercettazioni, ma questo è
stato l’effetto relativo, la causa è che non si è mai fatta pulizia nel mondo
della politica». Un'ammissione in piena regola fatta negli studi di La7 dall'ex
procuratore aggiunto di Palermo Antonio
Ingroia. Che sostanzialmente ha ammesso l'esistenza (per non dire
l'appartenenza) di toghe politicizzate. Il leader di
Rivoluzione civile ha
spiegato meglio il suo pensiero: «Se fosse stata pulizia, non ci sarebbero state
inchieste così clamorose e non ci sarebbe state intercettazioni utilizzate per
uso politico». L’ex pm ha poi affermato che «ogni magistrato ha un suo tasso di
politicità nel modo in cui interpreta il suo ruolo. Si può interpretare la legge
in modo più o meno estensiva, più o meno garantista altrimenti non si
spiegherebbero tante oscillazione dei giudici nelle decisioni. Ogni giudice
dovrebbe essere imparziale rispetto alle parti, il che non significa essere
neutrale rispetto ai valori o agli ideali, c’è e c’è sempre stata una
magistratura conservatrice e una progressista». Guai a utilizzare il termine
toga rossa però, perché "mi offendo, per il significato deteriore che questo
termine ha avuto", ha aggiunto Ingroia.
Dice dunque
Ingroia, neoleader dell'arancia meccanica: «Piero Grasso divenne procuratore
nazionale perché scelto da Berlusconi grazie a una legge ad hoc che escludeva
Gian Carlo Caselli». Come se non bastasse, Ingroia carica ancora, come in un
duello nella polvere del West: «Grasso è il collega che voleva dare un premio,
una medaglia al governo Berlusconi per i suoi meriti nella lotta alla mafia». Ma
poi, già che c'è, Caselli regola i conti anche con Grasso: «È un fatto storico
che ai tempi del concorso per nominare il successore di Vigna le regole vennero
modificate in corso d'opera dall'allora maggioranza con il risultato di
escludermi. Ed è un fatto che questo concorso lo vinse Grasso e che la legge che
mi impedì di parteciparvi fu dichiarata incostituzionale». Dunque, la regola
aurea è sempre quella. I pm dopo aver bacchettato la società tutta, ora si
bacchettano fra di loro, rievocano pagine più o meno oscure, si contraddicono
con metodo, si azzannano con ferocia. E così i guardiani della legalità, le lame
scintillanti della legge si graffiano, si tirano i capelli e recuperano episodi
sottovuoto, dissigillando giudizi rancorosi. Uno spettacolo avvilente. Ed ancora
a sfatare il mito dei magistrati onnipotenti ci pensano loro stessi,
ridimensionandosi a semplici uomini, quali sono, tendenti all’errore, sempre
impunito però. A ciò serve la polemica tra le Procure che indagano su Mps.
«In certi uffici di procura "sembra che la regola della competenza
territoriale sia un optional. C'è stata una gara tra diversi uffici giudiziari,
ma sembra che la new entry abbia acquisito una posizione di primato
irraggiungibile».
Nel suo intervento al congresso di Magistratura democratica del 2 febbraio 2013
il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati ha alluso criticamente, pur
senza citarla direttamente, alla procura di Trani, l'ultima ad aprire, tra
le tante
inchieste aperte,
un'indagine su Mps. «No al protagonismo di certi magistrati che si propongono
come tutori del Vero e del Giusto magari con qualche strappo alle regole
processuali e alle garanzie, si intende a fin di Bene». A censurare il fenomeno
il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati nel suo intervento al congresso
di Md. Il procuratore di Milano ha puntato l'indice contro il "populismo" e la
"demagogia" di certi magistrati, che peraltro - ha osservato - "non sanno
resistere al fascino" dell'esposizione mediatica. Di tutto quanto lungamente ed
analiticamente detto bisogna tenerne conto nel momento in cui si deve dare un
giudizio su indagini, processi e condanne. Perché mai nulla è come appare ed i
magistrati non sono quegli infallibili personaggi venuti dallo spazio, ma solo
uomini che hanno vinto un concorso pubblico, come può essere quello italiano. E
tenendo conto di ciò, il legislatore ha previsto più gradi di giudizio per il
sindacato del sottoposto.
LA REPUBBLICA DELLE MANETTE.
La Repubblica delle
manette (e degli orrori giudiziari).
Augusto Minzolini, già direttore del Tg1, è stato assolto ieri dall'accusa di
avere usato in modo improprio la carta di credito aziendale. Tutto bene? Per
niente, risponde scrive Alessandro Sallusti. Perché quell'accusa di avere
mangiato e viaggiato a sbafo (lo zelante Pm aveva chiesto due anni di carcere)
gli è costata il posto di direttore oltre che un anno e mezzo di linciaggio
mediatico da parte di colleghi che, pur essendo molto esperti di rimborsi spese
furbetti, avevano emesso una condanna definitiva dando per buono il teorema del
Pm (suggerito da Antonio Di Pietro, guarda caso). Minzolini avrà modo di rifarsi
in sede civile, ma non tutti i danni sono risarcibili in euro, quando si toccano
la dignità e la credibilità di un uomo. Fa rabbia che non il Pm, non la Rai, non
i colleghi infangatori e infamatori sentano il bisogno di chiedere scusa. È
disarmante che questo popolo di giustizialisti non debba pagare per i propri
errori. Che sono tanti e si annidano anche dentro l'ondata di manette fatte
scattare nelle ultime ore: il finanziere Proto, l'imprenditore Cellino, il
manager del Montepaschi Baldassarri. Storie diverse e tra i malcapitati c'è
anche Angelo Rizzoli, l'erede del fondatore del gruppo editoriale, anziano e
molto malato anche per avere subito un calvario giudiziario che gli ha bruciato
un terzo dell'esistenza: 27 anni per vedersi riconosciuta l'innocenza da accuse
su vicende finanziarie degli anni Ottanta. L'uso spregiudicato della giustizia
distrugge le persone, ma anche il Paese. Uno per tutti: il caso Finmeccanica,
che pare creato apposta per oscurare la vicenda Montepaschi, molto scomoda alla
sinistra. Solo la magistratura italiana si permette di trattare come se fosse
una tangente da furbetti del quartierino il corrispettivo di una mediazione per
un affare internazionale da centinaia di milioni di euro. Cosa dovrebbe fare la
più importante azienda di alta tecnologia italiana (70mila dipendenti iper
qualificati, i famosi cervelli) in concorrenza con colossi mondiali, grandi
quanto spregiudicati? E se fra due anni, come accaduto in piccolo a Minzolini,
si scopre che non c'è stato reato, chi ripagherà i miliardi in commesse persi a
favore di aziende francesi e tedesche? Non c'entra «l'elogio della tangente» che
ieri il solito Bersani ha messo in bocca a Berlusconi, che si è invece limitato
a dire come stanno le cose nel complicato mondo dei grandi affari
internazionali. Attenzione, che l'Italia delle manette non diventi l'Italia
degli errori e orrori.
Un tempo era
giustizialista.
Ora invece ha cambiato idea. Magari si avvicinano le elezioni e
Beppe Grillo
comincia ad avere paura anche lui. Magari per i suoi. Le toghe quando agiscono
non guardano in faccia nessuno. E così anche Beppe se la prende con i
magistrati: "La
legge protegge i delinquenti e manda in galera gli innocenti",
afferma dal palco di Ivrea. Un duro attacco alla magistratura da parte del
comico genovese, che afferma: "Questa magistratura
fa paura.
Io che sono un comico ho più di ottanta processi e Berlusconi da presidente del
Consiglio ne ha 22 in meno, e poi va in televisione a lamentarsi". Il leader del
Movimento Cinque Stelle solo qualche tempo fa chiedeva il carcere immediato per
il crack Parmalat e anche oggi per lo scandalo di Mps.
Garantista part-time
- Beppe ora si
scopre garantista. Eppure per lui la presunzione di innocenza non è mai
esistita. Dai suoi palchi ha sempre emesso condanne prima che finissero le
istruttorie. Ma sull'attacco alle toghe, Grillo non sembra così lontano dal Cav.
Anche se in passato, il leader Cinque Stelle non ha mai perso l'occasione per
criticare
Berlusconi
e le sue idee su
una riforma della magistratura. E sul record di processi Berlusconi, ospite di
Sky Tg24,
ha precisato: "Grillo non è informato. Io ho un record assoluto di 2700 udienze.
I procedimenti contro di me più di cento, credo nessuno possa battere un record
del genere".
"La
vera mafia è lo Stato, alcuni magistrati che lo rappresentano si comportano da
mafiosi. Il magistrato che mi racconta che Andreotti ha baciato Riina io lo
voglio in galera". Così Vittorio Sgarbi il 6 maggio 2013 ad “Un Giorno Da
Pecora su Radio 2.
«Da noi -
ha dichiarato
Silvio Berlusconi ai cronisti di una televisione greca il 23 febbraio 2013
- la magistratura è una mafia più pericolosa della mafia siciliana, e lo dico
sapendo di dire una cosa grossa». «In
Italia regna una "magistocrazia". Nella magistratura c'è una vera e propria
associazione a delinquere» Lo ha detto Silvio Berlusconi il 28 marzo 2013
durante la riunione del gruppo Pdl a Montecitorio. Ed ancora Silvio Berlusconi
all'attacco ai magistrati: «L'Anm è come
la P2, non dice chi sono i loro associati». Il riferimento dell'ex premier è
alle associazioni interne ai magistrati, come Magistratura Democratica. Il
Cavaliere è a Udine il 18 aprile 2013 per un comizio.
Sui media prezzolati e/o ideologicizzati si parla sempre dei privilegi, degli
sprechi e dei costi della casta dei rappresentanti politici dei cittadini nelle
istituzioni, siano essi Parlamentari o amministratori e consiglieri degli enti
locali. Molti di loro vorrebbero i barboni in Parlamento. Nessuno che pretenda
che i nostri Parlamentari siano all’altezza del mandato ricevuto, per
competenza, dedizione e moralità, al di là della fedina penale o delle prebende
a loro destinate. Dimenticandoci che ci sono altri boiardi di Stato: i militari,
i dirigenti pubblici e, soprattutto, i magistrati. Mai nessuno che si chieda:
che fine fanno i nostri soldi, estorti con balzelli di ogni tipo. Se è vero,
come è vero, che ci chiudono gli ospedali, ci chiudono i tribunali, non ci sono
vie di comunicazione (strade e ferrovie), la pensione non è garantita e il
lavoro manca. E poi sulla giustizia, argomento dove tutti tacciono, ma c’è tanto
da dire. “Delegittimano la Magistratura” senti accusare gli idolatri sinistroidi
in presenza di velate critiche contro le malefatte dei giudici, che in
democrazia dovrebbero essere ammesse. Pur non avendo bisogno di difesa d’ufficio
c’è sempre qualche manettaro che difende la Magistratura dalle critiche che essa
fomenta. Non è un Potere, ma la sinistra lo fa passare per tale, ma la
Magistratura, come ordine costituzionale detiene un potere smisurato. Potere
ingiustificato, tenuto conto che la sovranità è del popolo che la esercita nei
modi stabiliti dalle norme. Potere delegato da un concorso pubblico come può
essere quello italiano, che non garantisce meritocrazia. Criticare l’operato dei
magistrati nei processi, quando la critica è fondata, significa incutere dubbi
sul loro operato. E quando si sentenzia, da parte dei colleghi dei PM, adottando
le tesi infondate dell’accusa, si sentenzia nonostante il ragionevole dubbio.
Quindi si sentenzia in modo illegittimo che comunque è difficile vederlo
affermare da una corte, quella di Cassazione, che rappresenta l’apice del potere
giudiziario. Le storture del sistema dovrebbero essere sanate dallo stesso
sistema. Ma quando “Il Berlusconi” di turno si sente perseguitato dal maniaco
giudiziario, non vi sono rimedi. Non è prevista la ricusazione del Pubblico
Ministero che palesa il suo pregiudizio. Vi si permette la ricusazione del
giudice per inimicizia solo se questi ha denunciato l’imputato e non viceversa.
E’ consentita la ricusazione dei giudici solo per giudizi espliciti preventivi,
come se non vi potessero essere intendimenti impliciti di colleganza con il PM.
La rimessione per legittimo sospetto, poi, è un istituto mai applicato.
Lasciando perdere Berlusconi, è esemplare il caso ILVA a Taranto. Tutta la
magistratura locale fa quadrato: dal presidente della Corte d’Appello di Lecce,
Buffa, al suo Procuratore Generale, Vignola, fino a tutto il Tribunale di
Taranto. E questo ancora nella fase embrionale delle indagini Preliminari. Quei
magistrati contro tutti, compreso il governo centrale, regionale e locale,
sostenuti solo dagli ambientalisti di maniera. Per Stefano Livadiotti, autore di
un libro sui magistrati, arrivano all'apice della carriera in automatico e
guadagnano 7 volte più di un dipendente”, scrive Sergio Luciano su “Il
Giornale”.
Pubblichiamo ampi stralci dell'intervista di Affaritaliani.it a Stefano
Livadiotti realizzata da Sergio Luciano. Livadiotti, giornalista del settimanale
l'Espresso e autore di Magistrati L'ultracasta, sta aggiornando il suo
libro sulla base dei dati del rapporto 2012 del Cepej (Commissione europea per
l'efficienza della giustizia del Consiglio d'Europa). Livadiotti è anche
l'autore di un libro sugli sprechi dei sindacati, dal titolo L'altra casta.
La giustizia italiana non funziona, al netto delle polemiche politiche sui
processi Berlusconi. Il rapporto 2012 del Cepej (Commissione europea per
l'efficienza della giustizia del Consiglio d'Europa) inchioda il nostro sistema
alla sua clamorosa inefficienza: 492 giorni per un processo civile in primo
grado, contro i 289 della Spagna, i 279 della Francia e i 184 della Germania.
Milioni di procedimenti pendenti. E magistrati che fanno carriera senza alcuna
selezione meritocratica. E senza alcun effettivo rischio di punizione nel caso
in cui commettano errori o illeciti. «Nessun sistema può essere efficiente se
non riconosce alcun criterio di merito», spiega Stefano Livadiotti, giornalista
del settimanale l'Espresso e autore di Magistrati-L'ultracasta. «È evidente che
Silvio Berlusconi ha un enorme conflitto d'interessi in materia, che ne
delegittima le opinioni, ma ciò non toglie che la proposta di riforma avanzata
all'epoca da Alfano, con la separazione delle carriere, la ridefinizione della
disciplina e la responsabilità dei magistrati, fosse assolutamente giusta».
Dunque niente meritocrazia, niente efficienza in tribunale?
«L'attuale normativa prevede che dopo 27 anni dall'aver preso servizio, tutti i
magistrati raggiungano la massima qualifica di carriera possibile. Tanto che nel
2009 il 24,5% dei circa 9.000 magistrati ordinari in servizio era appunto
all'apice dell'inquadramento. E dello stipendio. E come se un quarto dei
giornalisti italiani fosse direttore del Corriere della Sera o di Repubblica».
E come si spiega?
«Non si spiega. Io stesso quando ho studiato i meccanismi sulle prime non ci
credevo. Eppure e così. Fanno carriera automaticamente, solo sulla base
dell'anzianità di servizio. E di esami che di fatto sono una barzelletta. I
verbali del Consiglio superiore della magistratura dimostrano che dal 1° luglio
2008 al 31 luglio 2012 sono state fatte, dopo l'ultima riforma delle procedure,
che avrebbe dovuto renderle più severe, 2.409 valutazioni, e ce ne sono state
soltanto 3 negative, una delle quali riferita a un giudice già in pensione!».
Tutto questo indipendentemente dagli incarichi?
«Dagli incarichi e dalle sedi. E questa carriera automatica si riflette,
ovviamente, sulla spesa per le retribuzioni. I magistrati italiani guadagnano
più di tutti i loro colleghi dell'Europa continentale, e al vertice della
professione percepiscono uno stipendio parti a 7,3 volte lo stipendio medio dei
lavoratori dipendenti italiani».
Quasi sempre i magistrati addebitano ritardi e inefficienze al basso budget
statale per la giustizia.
«Macché, il rapporto Cepej dimostra che la macchina giudiziaria costa agli
italiani, per tribunali, avvocati d'ufficio e pubblici ministeri, 73 euro per
abitante all'anno (dato 2010, ndr) contro una media europea di 57,4. Quindi
molto di più».
Ma almeno rischiano sanzioni disciplinari?
«Assolutamente no, di fatto. Il magistrato è soggetto solo alla disciplina
domestica, ma sarebbe meglio dire addomesticata, del Csm. E cane non mangia
cane. Alcuni dati nuovi ed esclusivi lo dimostrano».
Quali dati?
«Qualunque esposto venga rivolto contro un magistrato, passa al filtro
preventivo della Procura generale presso la Corte di Cassazione, che stabilisce
se c'è il presupposto per avviare un procedimento. Ebbene, tra il 2009 e il 2011
- un dato che fa impressione - sugli 8.909 magistrati ordinari in servizio, sono
pervenute a questa Procura 5.921 notizie di illecito: il PG ha archiviato 5.498
denunce, cioè il 92,9%; quindi solo 7,1% è arrivato davanti alla sezione
disciplinare del Csm».
Ma poi ci saranno state delle sanzioni, o no?
«Negli ultimi 5 anni, tra il 2007 e il 2011, questa sezione ha definito 680
procedimenti, in seguito ai quali i magistrati destituiti sono stati... nessuno.
In dieci anni, tra il 2001 e il 2011, i magistrati ordinari destituiti dal Csm
sono stati 4, pari allo 0,28 di quelli finiti davanti alla sezione disciplinare
e allo 0,044 di quelli in servizio».
Ma c'è anche una legge sulla responsabilità civile, che permette a chi subisca
un errore giudiziario di essere risarcito!
«In teoria sì, è la legge 117 dell'88, scritta dal ministro Vassalli per
risponde al referendum che aveva abrogato le norme che limitavano la
responsabilità dei magistrati».
E com'è andata, questa legge?
«Nell'arco 23 anni, sono state proposte in Italia 400 cause di richiesta di
risarcimento danni per responsabilità dei giudici. Di queste, 253 pari al 63%
sono state dichiarate inammissibili con provvedimento definitivo. Ben 49, cioè
12% sono in attesa di pronuncia sull'ammissibilità, 70, pari al 17%, sono in
fase di impugnazione di decisione di inammissibilità, 34, ovvero l'8,5%, sono
state dichiarate ammissibili. Di queste ultime, 16 sono ancora pendenti e 18
sono state decise: lo Stato ha perso solo 4 volte. In un quarto di secolo è alla
fine è stato insomma accolto appena l'1 per cento delle pochissime domande di
risarcimento».
Cioè non si sa quanto lavorano e guadagnano?
«Risulta che da un magistrato ci si possono attendere 1.560 ore di lavoro
all'anno, che diviso per 365 vuol dire che lavora 4,2 ore al giorno. Sugli
stipendi bisogna vedere caso per caso, perché ci sono molte variabili. Quel che
è certo, un consigliere Csm, sommando stipendi base, gettoni, rimborsi e
indennizzi, e lavorando 3 settimane su 4 dal lunedì al giovedì, quindi 12 giorni
al mese, guadagna 2.700 euro per ogni giorno di lavoro effettivo».
TRALASCIANDO L’ABILITAZIONE UNTA DAI VIZI ITALICI, A FRONTE DI TUTTO QUESTO CI
RITROVIAMO CON 5 MILIONI DI ITALIANI VITTIME DI ERRORI GIUDIZIARI.
MAGISTRATI CHE SONO MANTENUTI DAI CITTADINI E CHE SPUTANO NEL PIATTO IN CUI
MANGIANO.
Chi frequenta
assiduamente le aule dei tribunali, da spettatore o da attore, sa benissimo che
sono luogo di spergiuro e di diffamazioni continue da parte dei magistrati e
degli avvocati. Certo è che sono atteggiamenti impuniti perché i protagonisti
non possono punire se stessi. Quante volte le requisitorie dei Pubblici
Ministeri e le arringhe degli avvocati di parte civile hanno fatto carne da
macello della dignità delle persone imputate, presunte innocenti in quella fase
processuale e, per lo più, divenuti tali nel proseguo. I manettari ed i
forcaioli saranno convinti che questa sia un regola aurea per affermare la
legalità. Poco comprensibile e giustificabile è invece la sorte destinata alle
vittime, spesso trattate peggio dei delinquenti sotto processo.
Tutti hanno sentito
le parole di Ilda Boccassini: "Ruby è furba di quella
furbizia orientale propria della sua origine". «E' una giovane di
furbizia orientale che come molti dei giovani delle ultime generazioni ha come
obbiettivo entrare nel mondo spettacolo e fare soldi, il guadagno facile, il
sogno italiano di una parte della gioventù che non ha come obiettivo il lavoro,
la fatica, lo studio ma accedere a meccanismi che consentano di andare nel mondo
dello spettacolo, nel cinema. Questo obiettivo - ha proseguito la Boccassini -
ha accomunato la minore "con le ragazze che sono qui sfilate e che
frequentavano la residenza di Berlusconi: extracomunitarie, prostitute, ragazze
di buona famiglia anche con lauree, persone che hanno un ruolo nelle istituzioni
e che pure avevano un ruolo nelle serate di Arcore come la europarlamentare
Ronzulli e la europarlamentare Rossi. In queste serate - afferma il pm - si
colloca anche il sogno di Kharima. Tutte, a qualsiasi prezzo, dovevano
avvicinare il presidente del Consiglio con la speranza o la certezza di ottenere
favori, denaro, introduzione nel mondo dello spettacolo».
Fino a prova contraria Ruby,
Karima El Mahroug,
è parte offesa nel processo.
La ciliegina sulla
torta, alla requisitoria, è quella delle 14.10 circa del 31 maggio 2013, quando
Antonio Sangermano era sul punto d'incorrere su una clamorosa gaffe che avrebbe
fatto impallidire quella della Boccassini su Ruby: "Non si può considerare la
Tumini un cavallo di ....", ha detto di
Melania Tumini,
la principale teste dell'accusa, correggendosi un attimo prima di pronunciare la
fatidica parola.
Ancora come esempio
riferito ad un caso mediatico è quello riconducibile alla morte di Stefano
Cucchi.
“Vi annuncio che da oggi pomeriggio (8
aprile 2013) provvederò a inserire sulla mia pagina ufficiale di Facebook
quanto ci hanno riservato i pm ed avvocati e le loro poco edificanti opinioni
sul nostro conto. Buon ascolto”, ha scritto sulla pagina del social network
Ilaria Cucchi, sorella di Stefano. E il primo audio è dedicato proprio a quei pm
con i quali la famiglia Cucchi si è trovata dall’inizio in disaccordo. «Lungi
dall’essere una persona sana e sportiva, Stefano Cucchi era un
tossicodipendente da 20 anni,…….oltre che essere maleducato, scorbutico,
arrogante, cafone». Stavolta a parlare non è il senatore del Pdl Carlo
Giovanardi – anticipa Ilaria al Fatto –, ma il pubblico ministero
Francesca Loy, durante la requisitoria finale. Secondo lei mio fratello
aveva cominciato a drogarsi a 11 anni…”, commenta ancora sarcastica la sorella
del ragazzo morto. Requisitoria che, a suo dire, sembra in contraddizione con
quella dell’altro pm, Vincenzo Barba, il quale “ammette – a differenza
della collega – che Stefano potrebbe essere stato pestato. Eppure neanche lui
lascia fuori dalla porta l’ombra della droga e, anzi, pare voglia lasciare
intendere che i miei genitori ne avrebbero nascosto la presenza ai carabinieri
durante la perquisizione, la notte dell’arresto”.
A tal riguardo è
uscito un articolo su “L’Espresso”. A firma di Ermanno Forte. “Ora processano
Mastrogiovanni”. Requisitoria da anni '50 nel dibattimento sull'omicidio del
maestro: il pm difende gli imputati e se la prende con le 'bizzarrie' della
vittima. Non c'è stato sequestro di persona perché la contenzione è un atto
medico e quindi chi ha lasciato un uomo legato mani e piedi a un letto, per
oltre 82 ore, ha semplicemente agito nell'esercizio di un diritto medico. Al
massimo ha ecceduto nella sua condotta, ma questo non basta a considerare
sussistente il reato di sequestro. E' questa la considerazione centrale della
requisitoria formulata da Renato Martuscelli al processo che vede imputati
medici e infermieri del reparto di psichiatria dell'ospedale San Luca di Vallo
della Lucania, per la morte di Francesco Mastrogiovanni. Il pm ha dunque in gran
parte sconfessato l'impianto accusatorio imbastito nella fase delle indagini e
di richiesta di rinvio a giudizio da Francesco Rotondo, il magistrato che sin
dall'inizio ha lavorato sul caso, disponendo l'immediato sequestro del video
registrato dalle telecamere di sorveglianza del reparto psichiatrico, e che poi
è stato trasferito. Nella prima parte della requisitoria - durata un paio d'ore,
davanti al presidente del tribunale Elisabetta Garzo –Martuscelli si è
soffermato a lungo sui verbali di carabinieri e vigili urbani relativi alle ore
precedenti al ricovero (quelli dove si descrivono le reazioni di Mastrogiovanni
alla cattura avvenuta sulla spiaggia di San Mauro Cilento e le presunte
infrazioni al codice della strada commesse dal maestro), oltre a ripercorrere la
storia sanitaria di Mastrogiovanni, già sottoposto in passato a due Tso, nel
2002 e nel 2005. "Una buona metà dell'intervento del pm è stata dedicata a
spiegare al tribunale quanto fosse cattivo e strano Franco Mastrogiovanni"
commenta Michele Capano, rappresentante legale del Movimento per la Giustizia
Robin Hood, associazione che si è costituita parte civile al processo "sembrava
quasi che l'obiettivo di questa requisitoria fosse lo stesso maestro cilentano,
e non i medici di quel reparto".
Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno giustiziati.
“Il carcere uno
stupro. Ora voglio la verità”, dice
Massimo Cellino, presidente del Cagliari calcio, ad Ivan Zazzaroni.
«Voglio
conoscere la vera ragione di tutto questo, i miei legali l’hanno definito “uno
stupro”. Cassazione e Tar hanno stabilito che non ci sono stati abusi, dandomi
ragione piena. -
Ricorda: riordina.
- La forestale s’è presentata a casa mia alle sette del mattino. Ho le piante
secche?, ho chiesto. E loro: deve venire con noi. Forza, tirate fuori le
telecamere, dove sono le telecamere? Siete di Scherzi a parte. L’inizio di un
incubo dal quale non esco. Sto male, non sono più lo stesso. A Buoncammino mi
hanno messo in una cella minuscola, giusto lo spazio per un letto, il vetro
della finestra era rotto, la notte faceva freddo. Un detenuto mi ha regalato una
giacca, un altro i pantaloni della tuta, alla fine ero coperto a strati con in
testa una papalina. Mi hanno salvato il carattere e gli altri detenuti. Un
ragazzo che sconta otto anni e mezzo perché non ha voluto fare il nome dello
spacciatore che gli aveva consegnato la roba. Otto anni e mezzo, capisci? “Se
parlo non posso più tornare a casa, ho paura per i miei genitori”, ripeteva. E
poi un indiano che mi assisteva in tutto, credo l’abbiano trasferito come altri
a Macomer.
Mi sento in colpa per loro, solo per loro.
Ringrazio le guardie carcerarie, si sono dimostrate sensibili… Mi ha tradito la
Sardegna delle istituzioni. Ma adesso voglio il perché, la verità. Non si può
finire in carcere per arroganza». Una situazione di straordinario strazio per un
uomo fin troppo diretto ma di un’intelligenza e una prontezza rare quale è il
presidente del Cagliari. «Non odio nessuno (lo ripete più volte). Ma ho provato
vergogna. Non ho fatto un cazzo di niente. Dopo la revoca dei domiciliari per un
paio di giorni non ho avuto la forza di tornare a casa. Sono rimasto ad Assemini
con gli avvocati, Altieri e Cocco – Cocco per me è un fratello.
E le intercettazioni?
Pubblicatele,
nulla, non c’è nulla. Mi hanno accusato di aver trattato con gente che non ho
mai incontrato, né sentito; addirittura mi è stato chiesto cosa fossero le
emme-emme di cui parlavo durante una telefonata: solo un sardo può sapere cosa
significhi emme-emme, una pesante volgarità (sa minchia su molente, il pene
dell’asino). Da giorni mi raccontano di assessori che si dimettono, di
magistrati che chiedono il trasferimento. Mi domando cosa sia diventata
Cagliari, e dove sia finita l’informazione che non ha paura di scrivere o dire
come stanno realmente le cose.
Cosa penso oggi dei magistrati? Io sono dalla parte dei pm, lo sono sempre
stato!»
VEDETE, E’ TUTTO INUTILE. NON C’E’ NIENTE DA FARE. SE QUANTO PROVATO SULLA
PROPRIA PELLE E SE QUANTO DETTO HA UN RISCONTRO E TUTTO CIO' NON BASTA A
RIBELLARSI O ALMENO A RICREDERSI SULL'OPERATO DELLA MAGISTRATURA, ALLORA MAI
NULLA CAMBIERA' IN QUESTA ITALIA CON QUESTI ITALIANI.
D'altronde di italiani si tratta: dicono una cosa ed un’altra ne fanno. Per
esempio, rimanendo in ambito sportivo in tema di legalità, è da rimarcare come la
parola di un altoatesino vale di più di quella di un napoletano. Almeno secondo
Alex Schwazer, atleta nato in quel di Vipiteno il 26 dicembre 1984, trovato
positivo al test antidoping prima delle Olimpiadi di Londra 2012. Era il 28
giugno 2012. Due giorni dopo, un test a sorpresa della Wada, l'agenzia mondiale
antidoping, avrebbe rivelato la sua positività all'assunzione dell'Epo. «Posso
giurare che non ho fatto niente di proibito – scriveva Schwazer, il 28 giugno
2012, al medico della Fidal Pierluigi Fiorella – ti ho dato la mia parola e non
ti deluderò. Sono altoatesino, non sono napoletano». Due giorni dopo, il 30
giugno, l'atleta viene trovato positivo all'Epo. Ma l'insieme della
contraddizioni (a voler essere gentili) non finisce qui. Nella sua confessione
pubblica dell'8 agosto 2012, Schwazer ammise di aver assunto Epo a causa di un
cedimento psicologico. Era un brutto periodo, e qualcosa bisognava pur fare. Ma
le indagini dei Ros di Trento e dei Nas di Firenze contraddicono la versione
dell'assunzione momentanea. I carabinieri, addirittura, parlano di “profilo
ematologico personale”, un'assunzione continua e costante di sostanze dopanti
per la quale non è escluso che Schwazer facesse utilizzo di Epo anche durante i
giochi di Pechino 2008. Competizione, lo ricordiamo, dove l'atleta di Vipiteno,
vinse l'oro alla marcia di 50 chilometri. Infatti,
questo si evince anche nel decreto di perquisizione della Procura di Bolzano.
“La polizia giudiziaria giunge pertanto a ritenere che non possa escludersi
che Schwazer Alex, già durante la preparazione per i Giochi Olimpici di Pechino
2008 (e forse ancor prima), sia stato sottoposto a trattamenti
farmacologici o a
manipolazioni fisiologiche capaci di innalzare considerevolmente i suoi valori
ematici.”
Insomma: Schwazer non solo offende i napoletani e di riporto tutti i
meridionali, incluso me, ma poi, come un fesso, si fa cogliere pure con le mani
nel sacco. E dire che, oltretutto, è la parola di un carabiniere, qual è Alex
Schwazer.
L'Italia è un Paese fondato sulla fregatura: ecco tutti i modi in cui gli
italiani raggirano gli altri (e sé stessi).
In un libro, "Io ti fotto" di Carlo Tecce e Marco Morello, la pratica
dell'arte della fregatura in Italia. Dai più alti livelli ai più infimi, dalle
truffe moderne realizzate in Rete a quelle più antiche e consolidate.
In Italia, fottere
l'altro - una parola più tenue non renderebbe l'idea - è un vizio che è quasi un
vanto, "lo ti fotto" è una legge: di più, un comandamento.
E fottuti siamo stati dagli albori della Repubblica.
L'armistizio di Cassabile in Sicilia o armistizio corto, siglato
segretamente il 3 settembre 1943, è l'atto con il quale il Regno d’Italia cessò
le ostilità contro le forze anglo-americane (alleati) nell'ambito della seconda
guerra mondiale. In realtà non si trattava affatto di un armistizio ma di una
vera e propria resa senza condizioni da parte dell'Italia. Poiché tale atto
stabiliva la sua entrata in vigore dal momento del suo annuncio pubblico, esso è
comunemente detto dell'" 8 settembre", data in cui, alle 18.30, fu pubblicamente
reso noto prima dai microfoni di Radio Algeri da parte del generale Dwight D.
Eisenhower e, poco più di un'ora dopo, alle 19.42, confermato dal proclama del
maresciallo Pietro Badoglio trasmesso dai microfoni dell' Eiar. In quei
frangenti vi fu grande confusione e i gerarchi erano in fuga. L’esercito allo
sbando. Metà Italia combatteva contro gli Alleati, l’altra metà a favore.
La grande ipocrisia vien da lontano. “I Vinti non dimenticano” (Rizzoli
2010), è il titolo del volume di
Giampaolo Pansa.
Ci si fa largo tra i morti, ogni pagina è una fossa e ci sono perfino preti che
negano la benedizione ai condannati. E poi ci sono le donne, tante, tutte
ridotte a carne su cui sbattere il macabro pedaggio dell’odio. È un viaggio
nella memoria negata, quella della guerra civile, altrimenti celebrata nella
retorica della Resistenza.. Le storie inedite di sangue e violenza che
completano e concludono "Il sangue dei vinti", uscito nel 2003. Si tenga
conto che da queste realtà politiche uscite vincenti dalla guerra civile è nata
l'alleanza catto-comunista, che ha dato vita alla Costituzione Italiana e
quantunque essa sia l'architrave delle nostre leggi, ad oggi le norme più
importanti, che regolano la vita degli italiani (codice civile, codice penale,
istituzione e funzionamento degli Ordini professionali, ecc.), sono ancora
quelle fasciste: alla faccia dell'ipocrisia comunista, a cui quelle leggi non
dispiacciono.
Esecuzioni, torture, stupri. Le crudeltà dei partigiani.
La Resistenza mirava alla dittatura
comunista. Le atrocità in nome di Stalin non sono diverse dalle efferatezze
fasciste. Anche se qualcuno ancora lo nega scrive Giampaolo Pansa.
(scrittore notoriamente comunista osteggiato dai suoi compagni di partito per
essere ai loro occhi delatore di verità scomode).
C’è da scommettere che il libro di Giampaolo Pansa, "La guerra sporca dei
partigiani e dei fascisti" (Rizzoli, pagg. 446), farà infuriare le vestali della
Resistenza. Mai in maniera così netta come nell’introduzione al volume (di cui
per gentile concessione “Il Giornale” pubblica un estratto) i crimini partigiani
sono equiparati a quelli dei fascisti. Giampaolo Pansa imbastisce un romanzo
che, sull’esempio delle sue opere più note, racconta la guerra civile in chiave
revisionista, sottolineando le storie dei vinti e i soprusi dei presunti
liberatori, i partigiani comunisti in realtà desiderosi di sostituire una
dittatura con un’altra, la loro.
Altra storica menzogna è stata sbugiardata da
"Mai più terroni. La fine della questione meridionale"
di Pino Aprile. Come abbattere i pregiudizi che rendono il meridione diverso?
Come mettere fine a una questione costruita ad arte sulla pelle di una parte
d'Italia? La risposta sta anche negli strumenti di comunicazione odierni, capaci
di abbattere i confini, veri o fittizi, rompere l'isolamento, superare le
carenze infrastrutturali. E se per non essere più "meridionali" bastasse un
clic? Con la sua solita vis polemica, Pino Aprile ci apre un mondo per mostrare
quanto questo sia vero, potente e dilagante. "Ops... stanno finendo i terroni.
Ma come, già? E così, da un momento all'altro?"
Terroni a chi? Tre libri sul pregiudizio antimeridionale. Come è nata e come si
è sviluppata la diffidenza verso il Sud. Tre libri ne ricostruiscono le origini
e provano a ipotizzarne gli scenari.
"Negli ormai centocinquant'anni di unità italiana il Mezzogiorno non ha mai
mancato di creare problemi". D'accordo, la frase è netta e controversa. Sulla
questione meridionale, nell'ultimo secolo e mezzo, si sono sprecati fiumi di
inchiostro, tonnellate di pagine, migliaia di convegni. In gran parte dedicati
all'indagine sociologica, al pregiudizio politico o alla rivendicazione
identitaria. Ciò che colpisce allora di "La palla al piede" di Antonino
De Francesco (Feltrinelli) è lo sguardo realistico e l'approccio
empirico. De Francesco è ordinario di Storia moderna all'Università degli studi
di Milano, ma definire il suo ultimo lavoro essenzialmente storico è quantomeno
limitativo. In poco meno di duecento pagine, l'autore traccia l'identikit di
un pregiudizio, quello antimeridionale appunto, nei suoi aspetti sociali,
storici e politici. Lo fa rincorrendo a una considerevole pubblicistica per
niente autoreferenziale, che non si ostina nel solito recinto storiografico. Il
risultato si avvicina a una controstoria dell'identità italiana e, al tempo
stesso, a un'anamnesi dei vizi e dei tic dell'Italia Unita. Ma per raccontare
una storia ci si può ovviamente mettere sulle tracce di una tradizione e
cercare, attraverso le sue strette maglie, di ricostruire una vicenda che ha il
respiro più profondo di una semplice schermaglia localistica. E' quello che
accade nel "Libro napoletano dei morti" di Francesco Palmieri
(Mondadori). Racconta la Napoli eclettica e umbratile che dall’Unità d'Italia
arriva fino alla Prima guerra mondiale. Per narrarla, si fa scudo della voce del
poeta napoletano Ferdinando Russo ricostruendo con una certa perizia filologica
e una sottile verve narrativa le luci e le smagliature di un'epopea in
grado di condizionare la realtà dei giorni nostri. Ha il respiro del pamphlet
provocatorio e spiazzante invece l'ultimo libro di Pino Aprile, "Mai più
terroni" (Piemme), terzo volume di una trilogia di successo (Terroni
e Giù al Sud i titoli degli altri due volumi). Aprile si domanda se oggi
abbia ancora senso dividere la realtà sulla base di un fantomatico
pregiudizio etnico e geografico che ha la pretesa di tagliare Nord e Sud. E
si risponde che no, che in tempi di iperconnessioni reali (e virtuali), quelli
stereotipo è irrimediabilmente finito. "Il Sud - scrive - è un luogo che non
esiste da solo, ma soltanto se riferito a un altro che lo sovrasta". Nelle nuove
realtà virtuali, vecchie direzioni e punti cardinali non esistono più, relegati
come sono a un armamentario che sa di vecchio e obsoleto.
D'altronde siamo abituati alle stronzate dette da chi in mala fede parla e le
dice a chi, per ignoranza, non può contro ribattere.
Cominciamo a dire: da quale pulpito viene la predica. Vediamo in Inghilterra
cosa succede. I sudditi inglesi snobbano gli italiani. Ci chiamano mafiosi, ma
perché a loro celano la verità. Noi apprendiamo la notizia dal tg2 delle 13.00
del 2 gennaio 2012. Il loro lavoro è dar la caccia ai criminali, ma alcuni
ladri non sembrano temerle: le forze di polizia del Regno sono state oggetto di
furti per centinaia di migliaia di sterline, addirittura con volanti, manette,
cani ed uniformi tutte sparite sotto il naso degli agenti. Dalla lista, emersa
in seguito ad una richiesta secondo la legge sulla libertà d'informazione,
emerge che la forza di polizia più colpita è stata quella di Manchester, dove il
valore totale degli oggetti rubati arriva a quasi 87.000 sterline. Qui i ladri
sono riusciti a fuggire con una volante da 10.000 sterline e con una vettura
privata da 30.000.
E poi. Cosa sarebbe oggi la Germania se avesse sempre onorato con puntualità il
proprio debito pubblico? Si chiede su “Il Giornale” Antonio Salvi,
Preside della Facoltà di Economia dell’Università Lum "Jean Monnet".
Forse non a tutti è noto, ma il Paese della cancelliera Merkel è stato
protagonista di uno dei più grandi, secondo alcuni il più grande, default del
secolo scorso, nonostante non passi mese senza che Berlino stigmatizzi il
comportamento vizioso di alcuni Stati in materia di conti pubblici. E invece,
anche la Germania, la grande e potente Germania, ha qualche peccatuccio che
preferisce tenere nascosto. Anche se numerosi sono gli studi che ne danno conto,
di seguito brevemente tratteggiati.
Riapriamo i libri di storia e cerchiamo di capire la successione dei fatti. La
Germania è stata protagonista «sfortunata» di due guerre mondiali nella prima
metà dello scorso secolo, entrambe perse in malo modo. Come spesso accade in
questi casi, i vincitori hanno presentato il conto alle nazioni sconfitte, in
primis alla Germania stessa. Un conto salato, soprattutto quello successivo alla
Prima guerra mondiale, talmente tanto salato che John Maynard Keynes, nel suo
Conseguenze economiche della pace, fu uno dei principali oppositori a tale
decisione, sostenendo che la sua applicazione avrebbe minato in via permanente
la capacità della Germania di avviare un percorso di rinascita post-bellica.
Così effettivamente accadde, poiché la Germania entrò in un periodo di profonda
depressione alla fine degli anni '20 (in un più ampio contesto di recessione
mondiale post '29), il cui esito minò la capacità del Paese di far fronte ai
propri impegni debitori internazionali. Secondo Scott Nelson, del William and
Mary College, la Germania negli anni '20 giunse a essere considerata come
«sinonimo di default». Arrivò così il 1932, anno del grande default tedesco.
L'ammontare del debito di guerra, secondo gli studiosi, equivalente nella sua
parte «realistica» al 100% del Pil tedesco del 1913 (!), una percentuale
ragguardevole. Poi arrivò al potere Hitler e l'esposizione debitoria non trovò
adeguata volontà di onorare puntualmente il debito (per usare un eufemismo). I
marchi risparmiati furono destinati ad avviare la rinascita economica e il
programma di riarmo. Si sa poi come è andata: scoppio della Seconda guerra
mondiale e seconda sconfitta dei tedeschi. A questo punto i debiti pre-esistenti
si cumularono ai nuovi e l'esposizione complessiva aumentò. Il 1953 rappresenta
il secondo default tedesco. In quell'anno, infatti, gli Stati Uniti e gli altri
creditori siglarono un accordo di ridefinizione complessiva del debito tedesco,
procedendo a «rinunce volontarie» di parte dei propri crediti, accordo che
consentì alla Germania di poter ripartire economicamente (avviando il proprio
miracolo economico, o «wirtschaftswunder»). Il lettore non sia indotto in
inganno: secondo le agenzie di rating, anche le rinegoziazioni volontaristiche
configurano una situazione di default, non solo il mancato rimborso del capitale
e degli interessi (la Grecia nel 2012 e l'Argentina nel 2001 insegnano in tal
senso). Il risultato ottenuto dai tedeschi dalla negoziazione fu davvero
notevole:
1) l'esposizione debitoria fu ridotta considerevolmente: secondo alcuni calcoli,
la riduzione concessa alla Germania fu nell'ordine del 50% del debito
complessivo!
2) la durata del debito fu estesa sensibilmente (peraltro in notevole parte
anche su debiti che erano stati non onorati e dunque giunti a maturazione già da
tempo). Il rimborso del debito fu «spalmato» su un orizzonte temporale di 30
anni;
3) le somme corrisposte annualmente ai creditori furono legate al fatto che la
Germania disponesse concretamente delle risorse economiche necessarie per
effettuare tali trasferimenti internazionali.
Sempre secondo gli accordi del '53, il pagamento di una parte degli interessi
arretrati fu subordinata alla condizione che la Germania si riunificasse, cosa
che, come noto, avvenne nell'ottobre del 1990. Non solo: al verificarsi di tale
condizione l'accordo del 1953 si sarebbe dovuto rinegoziare, quantomeno in
parte. Un terzo default, di fatto. Secondo Albrecht Frischl, uno storico
dell'economia tedesco, in una intervista concessa a Spiegel, l'allora
cancelliere Kohl si oppose alla rinegoziazione dell'accordo. A eccezione delle
compensazioni per il lavoro forzato e il pagamento degli interessi arretrati,
nessun'altra riparazione è avvenuta da parte della Germania dopo il 1990. Una
maggiore sobrietà da parte dei tedeschi nel commentare i problemi altrui sarebbe
quanto meno consigliabile. Ancora Fritschl, precisa meglio il concetto: «Nel
Ventesimo secolo, la Germania ha dato avvio a due guerre mondiali, la seconda
delle quali fu una guerra di annientamento e sterminio, eppure i suoi nemici
annullarono o ridussero pesantemente le legittime pretese di danni di guerra.
Nessuno in Grecia ha dimenticato che la Germania deve la propria prosperità alla
generosità delle altre nazioni (tra cui la Grecia, ndr)». È forse il caso di
ricordare inoltre che fu proprio il legame debito-austerità-crisi che fornì
linfa vitale ad Adolf Hitler e alla sua ascesa al potere, non molto tempo dopo
il primo default tedesco. Tre default, secondo una contabilità allargata. Non
male per un Paese che con una discreta periodicità continua a emettere giudizi
moralistici sul comportamento degli altri governi. Il complesso da primo della
classe ottunde la memoria e induce a mettere in soffitta i propri periodi di
difficoltà. «Si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare il cattivo
esempio». Era un tempo la «bocca di rosa» di De André, è oggi, fra gli altri, la
bocca del Commissario europeo Ottinger (e qualche tempo fa del ministro delle
Finanze tedesco Wolfgang Schauble). A suo avviso, Bruxelles «non si è ancora
resa abbastanza conto di quanto sia brutta la situazione» e l'Europa invece di
lottare contro la crisi economica e del debito, celebra «il buonismo» e si
comporta nei confronti del resto del mondo come una maestrina, quasi un
«istituto di rieducazione». Accidenti, da quale pulpito viene la predica.
Non solo. Un altro luogo comune viene sfatato ed abbattuto.
La Germania di
Angela Merkel
è il paese che ha l'economia sommersa più grande d'Europa in termini assoluti.
L'economia in nero teutonica vale 350 miliardi di euro. Sono circa otto milioni
i cittadini tedeschi che vivono lavorando in nero. Secondo gli esperti il dato è
figlio dell'ostilità dei tedeschi ai metodi di pagamento elettronici. I crucchi
preferiscono i contanti. La grandezza dell'economia in nero della Germania è
stata stimata e calcolata dal colosso delle carte di credito e dei circuiti di
pagamento Visa in collaborazione con l'università di Linz. In relazione al Pil
tedesco il nero sarebbe al 13 per cento, pari a un sesto della ricchezza
nazionale. Quindi in termini relativi il peso del sommerso è minore, ma per
volume e in termini assoluti resta la più grande d'Europa. Chi lavora in nero in
Germania di solito opera nel commercio e soprattutto nell'edilizia, poi c'è il
commercio al dettaglio e infine la gastronomia. Il livello del nero in Germania
comunque si è stabilizzato. Il picco è arrivato dieci anni fa. Nel 2003 la
Germania ha attraversato la peggiore stagnazione economica degli ultimi
vent'anni e all'epoca il nero valeva 370 miliardi. Ora con l'economia in ripresa
che fa da locomotiva per l'Europa, il nero è fermo al 13 per cento del Pil.
Tornando alla repubblica delle manette ci si chiede. Come può, chi indossa una
toga, sentirsi un padreterno, specie se, come è noto a tutti, quella toga non
rispecchia alcun meritocrazia? D’altronde di magistrati vene sono più di 10 mila
a regime, cosi come gli avvocati sono intorno ai 150 mila in servizio effettivo.
Eppure nella mia vita non ho mai trovato sulla mia strada una toga degna di
rispetto, mentre invece, per loro il rispetto si pretende. A me basta ed avanza
essere Antonio Giangrande, senza eguali per quello che scrive e dice. Pavido
nell’affrontare una ciurma togata pronta a fargli la pelle, mal riuscendoci
questi, però, a tacitarlo sulle verità a loro scomode.
Si chiedeva Sant’Agostino (354-430): «Eliminata la giustizia, che cosa sono i
regni se non bande di briganti? E cosa sono le bande di briganti se non piccoli
regni?». Secondo il Vescovo di Ippona è la giustizia il principale, per non dire
l’unico, argine contro la voracità dei potenti.
Da quando è nato l’uomo, la libertà e la giustizia sono gli unici due strumenti
a disposizione della gente comune per contrastare la condizione di sudditanza in
cui tendono a relegarla i detentori del potere. Anche un bambino comprende che
il potere assoluto equivale a corruzione assoluta.
Certo. Oggi nessuno parlerebbe o straparlerebbe di assolutismo. I tempi del Re
Sole sembrano più lontani di Marte. Ma, a differenza della scienza e delle
tecnologie, l’arte del governo è l’unica disciplina in cui non si riscontrano
progressi. Per dirla con lo storico Tacito (55-117 d. C.), la sete di potere è
la più scandalosa delle passioni. E come si manifesta questa passione
scandalosa? Con l’inflazione di spazi, compiti e competenze delle classi
dirigenti. Detto in termini aggiornati: elevando il tasso di statalismo presente
nella nostra società.
Friedrich Engels (1820-1895) tutto era tranne che un liberale, ma, da primo
marxista della Storia, scrisse che quando la società viene assorbita dallo
Stato, che a suo giudizio è l’insieme della classe dirigente, il suo destino è
segnato: trasformarsi in «una macchina per tenere a freno la classe oppressa e
sfruttata». Engels ragionava in termini di classe, ma nelle sue parole
riecheggiava una palese insofferenza verso il protagonismo dello Stato, che lui
identificava con il ceto dirigente borghese, che massacrava la società. Una
società libera e giusta è meno corrotta di una società in cui lo Stato comanda
in ogni pertugio del suo territorio. Sembra quasi un’ovvietà, visto che la
scienza politica lo predica da tempo: lo Stato, per dirla con Sant’Agostino,
tende a prevaricare come una banda di briganti. Bisogna placarne gli appetiti.
E così i giacobini e i giustizialisti indicano nel primato delle procure la vera
terapia contro il malaffare tra politica ed economia, mentre gli
antigiustizialisti accusano i magistrati di straripare con le loro indagini e i
loro insabbiamenti fino al punto di trasformarsi essi stessi in elementi
corruttivi, dato che spesso le toghe, secondo i critici, agirebbero per fini
politici, se non, addirittura, fini devianti, fini massonici e fini mafiosi.
Insomma. Uno Stato efficiente e trasparente si fonda su buone istituzioni, non
su buone intenzioni. Se le Istituzioni non cambiano si potranno varare le
riforme più ambiziose, dalla giustizia al sistema elettorale; si potranno pure
mandare in carcere o a casa tangentisti e chiacchierati, ma il risultato (in
termini di maggiore onestà del sistema) sarà pari a zero. Altri corrotti si
faranno avanti. La controprova? Gli Stati meno inquinati non sono quelli in cui
l’ordinamento giudiziario è organizzato in un modo piuttosto che in un altro, ma
quelli in cui le leggi sono poche e chiare, e i cui governanti non entrano
pesantemente nelle decisioni e nelle attività che spettano a privati e società
civile.
Oggi ci si scontra con una dura realtà. La magistratura di Milano? Un potere
separatista. Procure e tribunali in Italia fanno quello che vogliono: basta una
toga e arrivederci, scrive Filippo Facci su “Libero Quotidiano”. L’equivoco
prosegue da una vita: un sacco di gente pensa che esista una sinergia
collaudatissima tra i comportamenti della politica e le decisioni della
giustizia, come se da qualche parte ci fosse una camera di compensazione in cui
tutti i poteri (politici, giudiziari, burocratici, finanziari) contrattassero
l’uno con l’altro e rendessero tutto interdipendente. Molti ragionano ancora
come
Giorgio Straquadanio
sul
Fatto:
«Questo clima pacifico porta a Berlusconi una marea di benefici, l’aggressione
giudiziaria è destinata a finire... c’è da aspettarsi che le randellate
travestite da sentenze, così come gli avvisi di garanzie e le inchieste,
cessino». Ora: a parte che solo una nazione profondamente arretrata potrebbe
funzionare così, questa è la stessa mentalità che ha contribuito al crollo della
Prima Repubblica, protesa com’era a trovare il volante «politico» di inchieste
che viceversa avevano smesso di averne uno. In troppi, in Italia, non hanno
ancora capito che non esiste più niente del genere, se non, in misura
fisiologica e moderata, a livello di Quirinale-Consulta-Csm. Ma per il resto
procure e tribunali fanno quello che vogliono: basta un singolo magistrato e
arrivederci. L’emblema ne resta Milano, dove la separatezza tra giudici e
procuratori non ci si preoccupa nemmeno di fingerla: la magistratura, più che
separato, è ormai un potere separatista.
Prodigio delle toghe: per lo stesso reato salvano il Pd e non il Pdl. A Bergamo
"non luogo a procedere" per un democratico, a Milano invece continua il processo
contro Podestà, scrive Matteo Pandini su “Libero Quotidiano”.
Stesso fatto (firme tarocche autenticate), stesso capo d’accusa (falso
ideologico), stesso appuntamento elettorale (le Regionali lombarde), stesso anno
(il 2010). Eppure a Bergamo un esponente di centrosinistra esce dal processo
perché il giudice stabilisce il «non luogo a procedere», mentre a Milano altri
politici di centrodestra - tra cui il presidente della Provincia Guido Podestà -
restano alla sbarra. Ma andiamo con ordine. Nel febbraio 2010 fervono i
preparativi in vista delle elezioni. È sfida tra Roberto Formigoni e Filippo
Penati. Matteo Rossi, consigliere provinciale di Bergamo del Pd, è un pubblico
ufficiale e quindi può vidimare le sottoscrizioni a sostegno delle varie liste.
Ne autentica una novantina in quel di Seriate a sostegno del Partito pensionati,
all’epoca alleato del centrosinistra. Peccato che tra gli autografi ne spuntino
sette irregolari, tra cui due persone decedute, una nel 2009 e l’altra nel 1992.
È il Comune a sollevare dubbi e il caso finisce in Procura. All’udienza
preliminare l’avvocato Roberto Bruni, ex sindaco del capoluogo orobico e poi
consigliere regionale della lista Ambrosoli, invoca la prescrizione. Lo fa
appellandosi a una riforma legislativa e il giudice gli dà ragione. È successo
che Bruni, tra i penalisti più stimati della città, ha scandagliato il testo
unico delle leggi sulle elezioni. Testo che in sostanza indica in tre anni il
tempo massimo per procedere ed emettere la sentenza. Parliamo di una faccenda da
Azzeccagarbugli, anche perché un recente pronunciamento della Cassazione
conferma sì il limite di tre anni per arrivarne a una, ma solo se la denuncia è
partita dai cittadini. Mentre nel caso di Rossi tutto è scattato per un
intervento del Comune di Seriate. Fatto sta che a Milano c’è un altro processo
con lo stesso capo d’imputazione e che riguarda la lista Formigoni. Nessuno,
finora, ha sollevato la questione della prescrizione ma in questi giorni la
decisione del giudice orobico ha incuriosito non poco gli avvocati Gaetano
Pecorella e Maria Battaglini, dello stesso studio dell’ex parlamentare del Pdl.
Vogliono capire com’è andata la faccenda di Rossi, così da decidere eventuali
strategie a difesa dei loro assistiti, tra cui spicca Podestà. Nel suo caso, le
sottoscrizioni fasulle sarebbero 770, raccolte in tutta la Lombardia:
nell’udienza il procuratore aggiunto Alfredo Robledo e il pm Antonio D’Alessio
hanno indicato come testimoni 642 persone che, sentite dai carabinieri nel corso
dell’inchiesta, avevano affermato che quelle firme a sostegno del listino di
Formigoni, apposte con il loro nome, erano false. Tra i testi ammessi figura
anche l’allora responsabile della raccolta firme del Pdl, Clotilde Strada, che
ha già patteggiato 18 mesi. A processo, oltre a Podestà, ci sono quattro ex
consiglieri provinciali del Popolo della Libertà milanese: Massimo Turci, Nicolò
Mardegan, Barbara Calzavara e Marco Martino. Tutti per falso ideologico, come
Rossi, e tutti per firme raccolte tra gennaio e febbraio del 2010. All’ombra
della Madonnina il processo era scattato per una segnalazione dei Radicali, in
qualità di semplici cittadini. Non è detto che il destino del democratico Rossi
coinciderà con quello degli imputati azzurri di Milano. Strano ma vero.
Certo c’è da storcere il naso nel constatare che non di
democrazia si parla (POTERE DEL
POPOLO) ma di magistocrazia (POTERE
DEI MAGISTRATI).
Detto questo parliamo del Legittimo
Impedimento. Nel diritto processuale penale italiano, il
legittimo impedimento è
l'istituto che permette all'imputato, in alcuni casi, di giustificare la propria
assenza in aula. In questo caso l’udienza si rinvia nel rispetto del giusto
processo e del diritto di difesa. In caso di assenza ingiustificata bisogna
distinguere se si tratta della prima udienza o di una successiva. Nel caso di
assenza in luogo della prima udienza il giudice, effettuate le operazioni
riguardanti gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti (di cui al
2° comma dell'art. 420), in caso di assenza non volontaria dell'imputato se ne
dichiara la condizione di contumacia e il procedimento non subisce interruzioni.
Se invece l'assenza riguarda una udienza successiva alla prima ed in quella
l'imputato non è stato dichiarato contumace, questi è dichiarato semplicemente
assente. E ancora, se nell'udienza successiva alla prima alla quale l'imputato
non ha partecipato (per causa maggiore, caso fortuito o forza maggiore) questi
può essere ora dichiarato contumace.
''L'indipendenza, l'imparzialità, l'equilibrio dell'amministrazione della
giustizia sono più che mai indispensabili in un contesto di persistenti tensioni
e difficili equilibri sia sul piano politico che istituzionale''. Lo afferma il
presidente della Repubblica Giorgio Napolitano l’11
giugno 2013 al Quirinale ricevendo i neo giudici al Quirinale e, come se
sentisse puzza nell’aria, invita al rispetto della Consulta.
Tre ''tratti distintivi'' della magistratura, ha sottolineato il capo
dello Stato, ricevendo al Quirinale i 343 magistrati ordinari
in tirocinio, che rappresentano ''un costume da acquisire interiormente,
quasi al pari di una seconda natura''. Napolitano ha chiesto
poi rispetto verso la Consulta: serve "leale
collaborazione, oltre che di riconoscimento verso il giudice delle leggi,
ossia la Corte Costituzionale, chiamata ad arbitrare anche il conflitto tra
poteri dello Stato''. E dopo aver fatto osservare che sarebbe ''inammissibile e
scandaloso rimettere in discussione la revisione delle circoscrizioni
giudiziarie, per ciechi particolarismi anche politici'', Napolitano parlando del
Consiglio superiore della magistratura ha detto che ''non è un organo di mera
autodifesa, bensì un organo di autogoverno, che concorre alle riforme
obiettivamente necessarie'' della giustizia.
D’altronde il Presidente della Repubblica in quanto capo dei giudici, non poteva
dire altrimenti cosa diversa.
Eppure la corte Costituzionale non si è smentita.
Per quanto riguarda il Legittimo Impedimento attribuibile a Silvio Berlusconi,
nelle funzioni di Presidente del Consiglio impegnato in una seduta dello stesso
Consiglio dei Ministri, puntuale, atteso, aspettato, è piovuto il 19 giugno 2013
il "no" al legittimo impedimento. La Corte Costituzionale, nel caso Mediaset, si
schiera contro
Silvio Berlusconi.
Per le toghe l'ex premier doveva partecipare all'udienza e non al CDM. È stato
corretto l'operato dei giudici di Milano nel processo “Mediaset” quando, il
primo marzo del 2010, non hanno concesso il legittimo impedimento a comparire in
udienza all'allora premier e imputato di frode fiscale Silvio Berlusconi. A
deciderlo, nel conflitto di attribuzioni sollevato dalla Presidenza del
Consiglio dei ministri in dissidio con i togati milanesi, è stata la Corte
Costituzionale che ha ritenuto che l'assenza dall'udienza non sia stata
supportata da alcuna giustificazione relativa alla convocazione di un Cdm fuori
programma rispetto al calendario concordato in precedenza.
"Incredibile" -
In una nota congiunta i ministri PDL del governo Letta, Angelino
Alfano,
Gaetano
Quagliariello,
Maurizio Lupi,
Nunzia De Girolamo
e
Beatrice Lorenzin,
commentano: "E' una decisione incredibile. Siamo allibiti, amareggiati e
profondamente preoccupati. La decisione - aggiungono - travolge ogni principio
di leale collaborazione e sancisce la subalternità della politica all'ordine
giudiziario". Uniti anche tutti i
deputati azzurri, che al termine della seduta della Camera, hanno fatto sapere
in un comunicato, "si sono riuniti e hanno telefonato al presidente Berlusconi
per esprimere la loro
profonda indignazione
e preoccupazione per la vergognosa decisione della Consulta che mina gravemente
la leale collaborazione tra gli organi dello Stato e il corretto svolgimento
dell’esercizio democratico". Al Cavaliere, si legge, "i deputati hanno
confermato che non sarà certo una sentenza giudiziaria a decretare la sua
espulsione dalla vita politica ed istituzionale del nostro Paese, e gli hanno
manifestato tutta la loro vicinanza e il loro affetto".
"Siamo infatti all’assurdo di una Corte costituzionale che non ritiene legittimo
impedimento la partecipazione di un presidente del Consiglio al Consiglio dei
ministri", prosegue il capogruppo del Pdl alla Camera, Renato Brunetta, "Dinanzi
all’assurdo, che documenta la resa pressoché universale delle istituzioni
davanti allo strapotere dell’ingiustizia in toga, la tentazione sarebbe quella
di chiedere al popolo sovrano di esprimersi e di far giustizia con il voto".
Occorre – dice – una
riforma del sistema per limitare gli abusi
e una nuova regolazione dei poteri dell’ordine giudiziario che non è un potere
ma un ordine in quanto la magistratura non è eletta dal popolo. ''A mente fredda
e senza alcuna emozione il giudizio sulla sentenza è più chiaro e netto che mai.
Primo: la sentenza è un'offesa al buon senso, tanto varrebbe dichiarare
l'inesistenza del legittimo impedimento a prescindere, qualora ci sia di mezzo
Silvio Berlusconi. Secondo: la Consulta sancisce che la magistratura può agire
in quanto potere assoluto come princeps legibus solutus. Terzo: la risposta di
Berlusconi e del Pdl con lui è di netta separazione tra le proteste contro
l'ingiustizia e leale sostegno al governo Letta. Quarto: non rinunceremo in
nessun caso a far valere in ogni sede i diritti politici del popolo di
centrodestra e del suo leader, a cui vanno da parte mia solidarietà e
ammirazione. Quinto: credo che tutta la politica, di destra, di sinistra e di
centro, dovrebbe manifestare preoccupazione per una sentenza che di fatto,
contraddicendo la Costituzione, subordina la politica all'arbitrio di qualsiasi
Tribunale''. E' quanto afferma Renato Brunetta, presidente dei deputati del Pdl.
Gli fa eco il deputato Pdl Deborah
Bergamini, secondo cui "è difficile accettare il fatto che viviamo in un
Paese in cui c’è un cittadino, per puro caso leader di un grande partito
moderato votato da milioni di italiani, che è considerato da una parte della
magistratura sempre e per forza colpevole e in malafede. Purtroppo però è così".
Nessuna preoccupazione a sinistra. "Per quanto riguarda il Pd le sentenze si
applicano e si rispettano quindi non ho motivo di ritenere che possa avere
effetti su un governo che è di servizio per i cittadini e il Paese in una fase
molto drammatica della vita nazionale e dei cittadini", ha detto
Guglielmo Epifani, "È una
sentenza che era attesa da tempo. Dà ragione a una parte e torto all’altra, non
vedo un rapporto tra questa sentenza e il quadro politico".
Non si aveva nessun dubbio chi fossero gli idolatri delle toghe.
LE SENTENZE DEI GIUDICI SI APPLICANO, SI RISPETTANO, MA NON ESSENDO GIUDIZI DI
DIO SI POSSONO BEN CRITICARE SE VI SONO FONDATE RAGIONI.
Piero Longo e Niccolò Ghedini, legali di Silvio Berlusconi, criticano duramente
la decisione della Consulta sull'ex premier. «I precedenti della Corte
Costituzionale in tema di legittimo impedimento sono inequivocabili e non
avrebbero mai consentito soluzione diversa dall'accoglimento del conflitto
proposto dalla presidenza del Consiglio dei Ministri», assicurano. Per poi
aggiungere: «Evidentemente la decisione assunta si è basata su logiche diverse
che non possono che destare grave preoccupazione»."La preminenza della
giurisdizione rispetto alla legittimazione di un governo a decidere tempi e modi
della propria azione - continuano i due legali di Silvio Berlusconi - appare
davvero al di fuori di ogni logica giuridica. Di contro la decisione, ampiamente
annunciata da giorni da certa stampa politicamente orientata, non sorprende
visti i precedenti della stessa Corte quando si è trattato del presidente
Berlusconi e fa ben comprendere come la composizione della stessa non sia più
adeguata per offrire ciò che sarebbe invece necessario per un organismo
siffatto".
Mentre per Franco Coppi, nuovo legale al posto di Longo, si tratta di «una
decisione molto discutibile che crea un precedente pericoloso perché stabilisce
che il giudice può decidere quando un Consiglio dei ministri è, o meno,
indifferibile. Le mie idee sul legittimo impedimento non coincidono con quelle
della Corte Costituzionale ma, purtroppo, questa decisione la dobbiamo tenere
così come è perché è irrevocabile».
Ribatte l'Associazione Nazionale Magistrati: «È inaccettabile attribuire alla
Consulta logiche politiche»; un'accusa che «va assolutamente rifiutata». A breve
distanza dalla notizia che la Consulta ha negato il legittimo impedimento a
Silvio Berlusconi nell'ambito del
processo Mediaset, arriva anche la reazione di Rodolfo Sabelli,
presidente dell'associazione nazionale magistrati, che ribadisce alle voci
critiche che si sono sollevate dal Pdl la versione delle toghe."Non si può
accettare, a prescindere dalla decisione presa - dice Sabelli - l’attribuzione
alla Corte Costituzionale di posizioni o logiche di natura politica". Ribadendo
l'imparzialità della Corte
Costituzionale "a prescindere dal merito della sentenza", chiede "una
posizione di rispetto" per la Consulta e una discussione che - se si sviluppa -
sia però fatta "in modo informato, conoscendo le motivazioni della sentenza, e
con rigore tecnico".
La Corte costituzionale ha detto no. Respinto il ricorso di
Silvio Berlusconi per il
legittimo impedimento (giudicato non assoluto, in questo caso) che non ha
consentito all’allora premier di partecipare all’udienza del 10
marzo 2010 del processo Mediaset,
per un concomitante consiglio dei ministri. Nel dare ragione ai giudici di
Milano che avevano detto no alla richiesta di legittimo impedimento di
Berlusconi, la Corte Costituzionale ha osservato che «dopo che per più volte il
Tribunale (di Milano), aveva rideterminato il calendario delle udienze a seguito
di richieste di rinvio per legittimo impedimento, la riunione del Consiglio dei
ministri, già prevista in una precedente data non coincidente con un giorno di
udienza dibattimentale, è stata fissata dall'imputato Presidente del Consiglio
in altra data coincidente con un giorno di udienza, senza fornire alcuna
indicazione (diversamente da quanto fatto nello stesso processo in casi
precedenti), nè circa la necessaria concomitanza e la non rinviabilità»
dell'impegno, né circa una data alternativa per definire un nuovo calendario.
"La riunione del Cdm - spiega la Consulta - non è un impedimento assoluto". Si
legge nella sentenza: "Spettava all'autorità giudiziaria stabilire che non
costituisce impedimento assoluto alla partecipazione all'udienza penale del 1
marzo 2010 l'impegno dell'imputato Presidente del Consiglio dei ministri" Silvio
Berlusconi "di presiedere una riunione del Consiglio da lui stesso convocata per
tale giorno", che invece "egli aveva in precedenza indicato come utile per la
sua partecipazione all'udienza".
Ma è veramente imparziale la Corte costituzionale?
Tutta la verità sui giornali dopo la bocciatura del “Lodo Alfano”, sulla
sospensione dei procedimenti penali per le più alte cariche dello Stato,
avvenuta da parte della Corte Costituzionale il 7 ottobre 2009.
La decisione della Consulta è arrivata con nove voti a favore
e sei contrari. Quanto al Lodo Alfano, si
sottolinea che il mutamento di indirizzo della Corte
"oltre che una scelta politica si configura anche come
violazione del principio di leale collaborazione tra gli organi costituzionali
che ha avuto la conseguenza di sviare l'azione legislativa del Parlamento".
Berlusconi dice: "C'è un presidente della Repubblica di
sinistra, Giorgio Napolitano, e c'è una Corte costituzionale con undici giudici
di sinistra, che non è certamente un organo di garanzia, ma è un organo
politico. Il presidente è stato eletto da una maggioranza di sinistra, ed ha le
radici totali della sua storia nella sinistra. Credo che anche l'ultimo atto di
nomina di un magistrato della Corte dimostri da che parte sta". La Corte ha 15
membri, con mandato di durata 9 anni: 5 nominati dal Presidente della
Repubblica, Ciampi e Napolitano (di area centro-sinistra); 5 nominati dal
Parlamento (maggioranza centro-sinistra); 5 nominati dagli alti organi della
magistratura (che tra le sue correnti, quella più influente è di sinistra). Non
solo. Dalla Lega Nord si scopre che 9 giudici su 15 sono campani. «Ci sembra
alquanto strano che ben 9 dei 15 giudici della Consulta siano campani» osservano
due consiglieri regionali veneti della Lega Nord, Emilio Zamboni e Luca Baggio.
«È quasi incredibile - affermano Zamboni e Baggio - che un numero così elevato
di giudici provenga da una sola regione, guarda caso la Campania. Siamo convinti
che questo dato numerico debba far riflettere non solo l'opinione pubblica, ma
anche i rappresentanti delle istituzioni». «Il Lodo Alfano è stato bocciato
perché ritenuto incostituzionale. Ma cosa c'è di costituzionale - si chiedono
Baggio e Zamboni - nel fatto che la maggior parte dei giudici della Consulta,
che ha bocciato la contestata legge provenga da Napoli? Come mai c'è un solo
rappresentante del Nord?».
Da “Il Giornale” poi, l’inchiesta verità: “Scandali e giudizi politici: ecco la
vera Consulta”. Ermellini rossi, anche per l’imbarazzo. Fra i giudici della
Corte costituzionale che hanno bocciato il Lodo Alfano ve n’è uno che da sempre
strizza un occhio a sinistra, ma li abbassa tutti e due quando si tratta di
affrontare delicate questioni che riguardano lui o i suoi più stretti congiunti.
È Gaetano Silvestri, 65 anni, ex csm, ex rettore dell’ateneo di Messina, alla
Consulta per nomina parlamentare («alè, hanno eletto un altro comunista!» tuonò
il 22 giugno 2005 l’onorevole Carlo Taormina), cognato di quell’avvocato
Giuseppe «Pucci» Fortino arrestato a maggio 2007 nell’inchiesta Oro Grigio e
sotto processo a Messina per volontà del procuratore capo Luigi Croce. Che ha
definito quel legale intraprendente «il Ciancimino dello Stretto», con
riferimento all’ex sindaco mafioso di Palermo, tramite fra boss e istituzioni.
Per i pm l’«avvocato-cognato» era infatti in grado di intrattenere
indifferentemente rapporti con mafiosi, magistrati, politici e imprenditori. Di
Gaetano Silvestri s’è parlato a lungo anche per la vicenda della «parentopoli»
all’università di Messina. Quand’era rettore s’è scoperto che sua moglie,
Marcella Fortino (sorella di Giuseppe, il «Ciancimino di Messina») era diventata
docente ordinario di Scienze Giuridiche. E che costei era anche cognata dell’ex
pro-rettore Mario Centorrino, il cui figlio diventerà ordinario, pure lui, nel
medesimo ateneo. E sempre da Magnifico, Silvestri scrisse una lettera riservata
al provveditore agli studi Gustavo Ricevuto per perorare la causa del figlio
maturando, a suo dire punito ingiustamente all’esito del voto (si fermò a
97/100) poiché agli scritti - sempre secondo Silvestri - il ragazzo aveva osato
criticare un certo metodo d’insegnamento. La lettera doveva rimanere riservata,
il 5 agosto 2001 finì in edicola. E fu scandalo. «Come costituzionalista -
scrisse Silvestri - fremo all’idea che una scuola di una Repubblica democratica
possa operare siffatte censure, frutto peraltro di un non perfetto aggiornamento
da parte di chi autoritariamente le pone in atto. Ho fatto migliaia di esami in
vita mia, ma sentirei di aver tradito la mia missione se avessi tolto anche un
solo voto a causa delle opinioni da lui professate». Andando al luglio ’94,
governo Berlusconi in carica, Silvestri firma un appello per «mettere in guardia
contro i rischi di uno svuotamento della carta costituzionale attraverso
proposte di riforme e revisione, che non rispettino precise garanzie». Nel 2002
con una pletora di costituzionalisti spiega di «condividere le critiche delle
opposizioni al Ddl sul conflitto di interessi». L’anno appresso, a proposito del
Lodo sull’immunità, se ne esce così: «Siamo costretti a fare i conti con
questioni che dovrebbero essere scontate, che risalgono ai classici dello stato
di diritto (...). Se si va avanti così fra breve saremo capaci di metabolizzare
le cose più incredibili». Altro giudice contrarissimo al Lodo è Alessandro
Criscuolo. Ha preso la difesa e perorato la causa dell’ex pm di Catanzaro, Luigi
De Magistris, nel procedimento disciplinare al Csm: «Non ha mai arrestato
nessuno ingiustamente, De Magistris è stato molto attento alla gestione dei suoi
provvedimenti». Smentito. Quand’era presidente dell’Anm, alle accuse dei
radicali sulla (mala) gestione del caso Tortora, Criscuolo rispose prendendo le
parti dei magistrati, difese la sentenza di primo grado, ringraziò i pentiti per
il loro contributo (sic!). Nel ’97 entrò a gamba tesa in un altro processo,
quello per l’omicidio del commissario Calabresi, al grido di «meglio un
colpevole libero che un innocente dentro». E che dire del giudice Franco Gallo,
già ministro delle Finanze con Ciampi, nemico giurato del successore visto che
all’insediamento di Giulio Tremonti (scrive Il Fatto) rassegnò le dimissioni
dalla scuola centrale tributaria dopo esser uscito da un’inchiesta finita al
tribunale dei ministri, su presunti illeciti compiuti a favore del Coni per il
pagamento di canoni irrisori per alcuni immobili. Altro ministro-giudice di
Ciampi, rigorosamente no-Lodo, è il professor Sabino Cassese, gettonatissimo in
commissioni di studio e d’inchiesta, ai vertici di società importanti e di
banche. A proposito della sentenza del gip Clementina Forleo, che assolveva
cinque islamici accusati di terrorismo definendoli «guerriglieri», chiosò
dicendo che gli Stati Uniti avevano violato lo stato di diritto. Giuseppe
Tesauro, terza creatura di Ciampi alla Consulta, viene ricordato al vertice
dell’Antitrust per la sua battaglia contro la legge Gasparri («è una legge
contro la concorrenza», oppure, «il testo non è in odor di santità, la riforma
mescola coca-cola, whisky e acqua»). Di lui si parlò come candidato dell’Ulivo a
fine mandato 2005 e come «persecutore» di Gilberto Benetton e della sua Edizioni
Holding interessata ad acquistare la società Autogrill (l’inchiesta venne
archiviata). Considerato a sinistra da sempre anche Ugo De Siervo, almeno dal
’95 quando al convegno «Con la Costituzione non si scherza» parlò di
comportamenti «ispirati a dilettantismo e tatticismo, interpretazioni di stampo
plebiscitario, spregio della legalità costituzionale». A maggio 2001 è a fianco
dell’ex sottosegretario e senatore dei Ds Stefano Passigli, che annuncia un
esposto contro Berlusconi per la violazione dei limiti di spesa per la legge
elettorale.
Tanto comandano loro: le toghe! Magistrati, raddoppiati gli incarichi
extragiudiziari. Le richieste per svolgere un secondo lavoro sono aumentate in
12 mesi del 100%. Sono passate da 961 a 494. Un record. Consulenze e docenze le
più appetibili, scrive “Libero Quotidiano”. La doppia vita dei magistrati. Alle
toghe di casa nostra non bastano mai i soldi che incassano con il loro lavoro da
magistrato. Le toghe preferiscono la seconda attività. Negli ultimi sei mesi il
totale degli incarichi autorizzati dal Csm alle toghe ha toccato quota 961,
quasi il doppio dei 494 concessi nei sei mesi precedenti. Insomma il doppio
lavoro e la doppia busta paga servono per riempire le tasche. La
doppia attività
è una tradizione dei nostri
magistrati.
E la tendenza è in crescita. Si chiamano incarichi
“extragiudiziari”,
in quanto relativi ad attività che non fanno riferimento alla professione
giudiziaria. Gli incarichi per le toghe arrivano dalle società, dagli enti di
consulenza e università private, come quella della Confindustria. I dati
sull'incremento degli incarichi extragiudiziari li fornisce il Csm. Tra novembre
2012 e maggio 2013 gli incarichi sono raddoppiati. A dare l'ok alla doppia
attività è proprio il Csm. Le toghe amano le cattedre e così vanno ad insegnare
alla Luiss, l’ateneo confindustriale diretto da Pier Luigi Celli. Poi ci sono le
consulenze legali per la Wolters Kluwer, multinazionale che si occupa di
editoria e formazione professionale. Ma non finisce qua. Qualche magistrato
lavora per la Altalex Consulting, altra società attiva nell’editoria e nella
formazione giuridica. Le paghe sono sostanziose. Ad esempio Giovanni Fanticini,
racconta
Lanotiziagiornale.it,
è giudice al tribunale di Reggio Emilia. Ma ha 11 incarichi extragiudiziali.
Tra docenze, seminari e lezioni varie, è semplicemente impressionante: dalla
Scuola superiore dell’economia e delle finanze (controllata al ministero di via
XX Settembre) ha avuto un incarico di 7 ore con emolumento orario di 130 euro
(totale 910 euro); dalla società Altalex ha avuto sei collaborazioni: 15 ore per
complessivi
2.500 euro,
7 ore per 1.300, 8 ore per 1.450, 15 ore per 2.500, 5 ore per 750 e 5 ore per
700; dal Consorzio interuniversitario per l’aggiornamento professionale in campo
giuridico ha ottenuto due incarichi, complessivamente 8 ore da 100 euro l’una
(totale 800 euro). Insomma un buon bottino. In Confindustria poi c'è l'incarico
assegnato a
Domenico Carcano,
consigliere della Corte di cassazione, che per 45 ore di lezioni ed esami di
diritto penale ha ricevuto 6 mila euro. C’è Michela Petrini, magistrato
ordinario del tribunale di Roma, che ha incassato due docenze di diritto penale
dell’informatica per complessivi 4.390 euro. Ancora, Enrico Gallucci, magistrato
addetto all’Ufficio amministrazione della giustizia, ha ottenuto 5.500 euro per
36 ore di lezione di diritto penale. Il doppio incarico di certo non va molto
d'accordo con l'imparzialità della magistratura. Se le società dove lavorano
questi magistrati dovessero avere problemi giudiziari la magistratura e i
giudici quanto sarebbero equidistanti nell'amministrare giustizia? L'anomalia
degli incarichi extragiudiziari va eliminata.
“VADA A BORDO, CAZZO!!”.
E’ celebre il “vada a bordo, cazzo” del comandante De Falco. L’Italia paragonata
al destino ed agli eventi che hanno colpito la nave Concordia. Il naufragio
della Costa Concordia, è un sinistro marittimo "tipico" avvenuto venerdì
13 gennaio 2012 alle 21:42 alla nave da crociera al comando di Francesco
Schettino e di proprietà della compagnia di navigazione genovese Costa Crociere,
parte del gruppo anglo-americano Carnival Corporation & plc. All'1.46 di sabato
mattina 14 gennaio il comandante della Concordia Francesco Schettino riceve
l'ennesima telefonata dalla Capitaneria di Porto. In linea c'è il comandante
Gregorio Maria De Falco. La chiamata è concitata e i toni si scaldano
rapidamente.
De Falco: «Sono De Falco da Livorno, parlo con il comandante?
Schettino: «Sì, buonasera comandante De Falco»
De Falco: «Mi dica il suo nome per favore»
Schettino: «Sono il comandante Schettino, comandante»
De Falco: «Schettino? Ascolti Schettino. Ci sono persone intrappolate a bordo.
Adesso lei va con la sua scialuppa sotto la prua della nave lato dritto. C'è una
biscaggina. Lei sale su quella biscaggina e va a bordo della nave. Va a bordo e
mi riporta quante persone ci sono. Le è chiaro? Io sto registrando questa
comunicazione comandante Schettino...».
Schettino: «Comandante le dico una cosa...»
De Falco: «Parli a voce alta. Metta la mano davanti al microfono e parli a voce
più alta, chiaro?».
Schettino: «In questo momento la nave è inclinata...».
De Falco: «Ho capito. Ascolti: c'è gente che sta scendendo dalla biscaggina di
prua. Lei quella biscaggina la percorre in senso inverso, sale sulla nave e mi
dice quante persone e che cosa hanno a bordo. Chiaro? Mi dice se ci sono
bambini, donne o persone bisognose di assistenza. E mi dice il numero di
ciascuna di queste categorie. E' chiaro? Guardi Schettino che lei si è salvato
forse dal mare ma io la porto… veramente molto male… le faccio passare un’anima
di guai. Vada a bordo, cazzo!»
“TUTTI DENTRO, CAZZO!!”
Parafrasando la celebre frase di De Falco mi rivolgo a tutti gli italiani:
““TUTTI DENTRO CAZZO!!”. Il tema è “chi giudica chi?”. Chi lo fa, ha veramente
una padronanza morale, culturale professionale per poterlo fare? Iniziamo con il
parlare della preparazione culturale e professionale di ognuno di noi, che ci
permetterebbe, in teoria, di superare ogni prova di maturità o di idoneità
all’impiego frapposta dagli esami scolastici o dagli esami statali di
abilitazione o di un concorso pubblico. In un paese in cui vigerebbe la
meritocrazia tutto ciò ci consentirebbe di occupare un posto di responsabilità.
In Italia non è così. In ogni ufficio di prestigio e di potere non vale la forza
della legge, ma la legge del più forte. Piccoli ducetti seduti in poltrona che
gestiscono il loro piccolo potere incuranti dei disservizi prodotti. La massa
non è li ha pretendere efficienza e dedizione al dovere, ma ad elemosinare il
favore. Corruttori nati. I politici non scardinano il sistema fondato da
privilegi secolari. Essi tacitano la massa con provvedimenti atti a quietarla.
Panem et circenses,
letteralmente: "pane e giochi del circo", è una locuzione in lingua latina molto
conosciuta e spesso citata. Era usata nella Roma antica. Contrariamente a quanto
generalmente ritenuto, questa frase non è frutto della fantasia popolare, ma è
da attribuirsi al poeta latino Giovenale:
« ...duas tantum res anxius optat panem et circenses».
« ...[il popolo] due sole cose ansiosamente desidera pane e i giochi circensi».
Questo poeta fu un grande autore satirico: amava descrivere l'ambiente in cui
viveva, in un'epoca nella quale chi governava si assicurava il consenso popolare
con elargizioni economiche e con la concessione di svaghi a coloro che erano
governati (in questo caso le corse dei carri tirati da cavalli che si svolgevano
nei circhi come il Circo Massimo e il Circo di Massenzio).
Perché quel “TUTTI DENTRO CAZZO!!”. Perché la legge dovrebbe valere per tutti.
Non applicata per i più ed interpretata per i pochi. E poi mai nessuno, in
Italia, dovrebbe permettersi di alzare il dito indice ed accusare qualcun altro
della sua stessa colpa. Prendiamo per esempio la cattiva abitudine di copiare
per poter superare una prova, in mancanza di una adeguata preparazione. Ognuno
di noi almeno un volta nella vita ha copiato. In principio era la vecchia
“cartucciera” la fascia di stoffa da stringere in vita con gli involtini a base
di formule trigonometriche, biografie del Manzoni e del Leopardi, storia della
filosofia e traduzioni di Cicerone. Poi il vocabolario farcito d'ogni foglio e
foglietto, giubbotti imbottiti di cultura bignami e addirittura scarpe con suola
manoscritta. Oggi i metodi per “aiutarsi” durante gli esami sono più
tecnologici: il telefonino, si sa, non si può portare, ma lo si porta lo stesso.
Al massimo, se c’è la verifica, lo metti sul tavolo della commissione. Quindi
non è malsana l'idea dell'iPhone sul banco, collegato a Wikipedia e pronto
a rispondere ad ogni quesito nozionistico. Comunque bisogna attrezzarsi, in
maniera assolutamente diversa. La rete e i negozi di cartolibreria vendono
qualsiasi accrocchio garantendo si tratti della migliore soluzione possibile per
copiare durante le prove scritte. C'è ad esempio la penna UV cioè a raggi
ultravioletti scrive con inchiostro bianco e si legge passandoci sopra un led
viola incluso nel corpo della penna. Inconveniente: difficile non far notare in
classe una luce da discoteca. Poi c'è la cosiddetta penna-foglietto: nel corpo
della stilo c'è un foglietto avvolto sul quale si è scritto precedentemente
formule, appunti eccetera. Foglietto che in men che non si dica si srotola e
arrotola. Anche in questo caso l'inconveniente è che se ti sorprendono sono
guai. E infine, c'è l'ormai celebre orologio-biglietto col display elettronico
e una porta Usb sulla quale caricare testi d'ogni tipo. Pure quello difficile
da gestire: solo gli artisti della copia copiarella possono.
Il consiglio è quello di studiare e non affidarsi a trucchi e trucchetti. Si
rischia grosso e non tutti lo sanno. Anche perché il copiare lo si fa passare
per peccato veniale. Copiare ad esami e concorsi, invece, potrebbe far andare in
galera. E' quanto stabilito dalla legge n. 475/1925 e dalla sentenza della Corte
di Cassazione n. 32368/10. La legge recita all'art.1 :“Chiunque in esami o
concorsi, prescritti o richiesti da autorità o pubbliche amministrazioni per il
conferimento di lauree o di ogni altro grado o titolo scolastico o accademico,
per l’abilitazione all’insegnamento ed all’esercizio di una professione, per il
rilascio di diplomi o patenti, presenta, come propri, dissertazioni, studi,
pubblicazioni, progetti tecnici e, in genere, lavori che siano opera di altri, è
punito con la reclusione da tre mesi ad un anno. La pena della reclusione non
può essere inferiore a sei mesi qualora l’intento sia conseguito”. A conferma
della legge è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n.32368/10, che
ha condannato una candidata per aver copiato interamente una sentenza del TAR in
un elaborato a sua firma presentato durante un concorso pubblico. La sentenza
della sezione VI penale n. 32368/10 afferma: “Risulta pertanto ineccepibile la
valutazione dei giudici di merito secondo cui la (…) nel corso della prova
scritta effettuò, pur senza essere in quel frangente scoperta, una pedissequa
copiatura del testo della sentenza trasmessole (…). Consegue che il reato è
integrato anche qualora il candidato faccia riferimento a opere intellettuali,
tra cui la produzione giurisprudenziale, di cui citi la fonte, ove la
rappresentazione del suo contenuto sia non il prodotto di uno sforzo mnemonico e
di autonoma elaborazione logica ma il risultato di una materiale riproduzione
operata mediante l’utilizzazione di un qualsiasi supporto abusivamente impiegato
nel corso della prova”.
In particolare per gli avvocati la Riforma Forense, legge 247/2012, al CAPO II
(ESAME DI STATO PER L’ABILITAZIONE ALL’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE DI AVVOCATO)
Art. 46. (Esame di Stato) stabilisce che “….10. Chiunque faccia pervenire in
qualsiasi modo ad uno o più candidati, prima o durante la prova d’esame, testi
relativi al tema proposto è punito, salvo che il fatto costituisca più grave
reato, con la pena della reclusione fino a tre anni. Per i fatti indicati nel
presente comma e nel comma 9, i candidati sono denunciati al consiglio
distrettuale di disciplina del distretto competente per il luogo di iscrizione
al registro dei praticanti, per i provvedimenti di sua competenza.”
Ma, di fatto, quello previsto come reato è quello che succede da quando esiste
questo tipo di esame e vale anche per i notai ed i magistrati. Eppure, come ogni
altra cosa italiana c’è sempre l’escamotage tutto italiano. Una sentenza del
Consiglio di Stato stabilisce che copiare non è reato: niente più punizione.
Dichiarando tuttavia “legale” copiare a scuola, si dichiara pure legale copiare
nella vita. Non viene sanzionato un comportamento che è senza dubbio scorretto.
Secondo il Consiglio di Stato, il superamento dell’esame costituisce di per
sè attestazione delle “competenze, conoscenze e capacità anche professionali
acquisite” dall'alunna e la norma che regola l'espulsione dei candidati dai
pubblici concorsi per condotta fraudolenta, non può prescindere "dal contesto
valutativo dell’intera personalità e del percorso scolastico dello studente,
secondo i principi che regolano il cosiddetto esame di maturità": le competenze
e le conoscenze acquisite….in relazione agli obiettivi generali e specifici
propri di ciascun indirizzo e delle basi culturali generali, nonché delle
capacità critiche del candidato. A ciò il Cds ha anche aggiunto un'attenuante,
cioè "uno stato d’ansia probabilmente riconducibile anche a problemi di salute"
della studentessa stessa, che sarebbe stato alla base del gesto. Il 12 settembre
2012 una sentenza del Consiglio di Stato ha ribaltato la decisione del Tar della
Campania che aveva escluso dagli esami di maturità una ragazza sorpresa a
copiare da un telefono palmare. Per il Consiglio di Stato la decisione del Tar
non avrebbe adeguatamente tenuto conto né del “brillante curriculum scolastico”
della ragazza in questione, né di un suo “stato di ansia”. Gli esami, nel
frattempo, la giovane li aveva sostenuti seppur con riserva. L’esclusione della
ragazza dagli esami sarà forse stata una sanzione eccessiva. Probabilmente la
giovane in questione, sulla base del suo curriculum poteva esser perdonata. Gli
insegnanti, conoscendola e comprendendo il suo stato d’ansia pre-esame,
avrebbero potuto chiudere un occhio. Tutto vero. Ma sono valutazioni che
spettavano agli insegnanti che la studente conoscono. Una sentenza del Consiglio
di Stato stabilisce invece, di fatto, un principio. E in questo caso il
principio è che copiare vale. Non è probabilmente elegante, ma comunque va bene.
Questo principio applicato alla scuola, luogo in cui le generazioni future si
forgiano ed educano, avrà ripercussioni sulla società del futuro. Se ci viene
insegnato che a non rispettar le regole, in fondo, non si rischia nulla più che
una lavata di capo, come ci porremo di fronte alle regole della società una
volta adulti? Ovviamente male. La scuola non è solo il luogo dove si insegnano
matematica e italiano, storia e geografia. Ma è anche il luogo dove dovrebbe
essere impartito insegnamento di civica educazione, dove si impara a vivere
insieme, dove si impara il rispetto reciproco e quello delle regole. Dove si
impara a “vivere”. Se dalla scuola, dalla base, insegniamo che la “furbizia” va
bene, non stupiamoci poi se chi ci amministra si compra il Suv con i soldi delle
nostre tasse. In fondo anche lui avrà avuto il suo “stato d’ansia”. Ma il punto
più importante non è tanto la vicenda della ragazza sorpresa a copiare e di come
sia andata la sua maturità. Il punto è la sanzionabilità o meno di un
comportamento che è senza dubbio scorretto. In un paese già devastato dalla
carenza di etica pubblica, dalla corruzione e dall’indulgenza programmatica di
molte vulgate pedagogiche ammantate di moderno approccio relazionale, ci mancava
anche la corrività del Consiglio di Stato verso chi imbroglia agli esami.
E, comunque, vallo a dire ai Consiglieri di Stato, che dovrebbero già saperlo,
che nell’ordinamento giuridico nazionale esiste la gerarchia della legge.
Nell'ordinamento giuridico italiano, si ha una pluralità di fonti di produzione;
queste sono disposte secondo una scala gerarchica, per cui la norma di fonte
inferiore non può porsi in contrasto con la norma di fonte superiore (gerarchia
delle fonti). nel caso in cui avvenga un contrasto del genere si dichiara
l'invalidità della fonte inferiore dopo un accertamento giudiziario, finché non
vi è accertamento si può applicare la "fonte invalida". Al primo livello della
gerarchia delle fonti si pongono la Costituzione e le leggi costituzionali
(fonti superprimarie). La Costituzione della Repubblica Italiana, entrata in
vigore il 1º gennaio 1948, è composta da 139 articoli: essa detta i principi
fondamentali dell'ordinamento (artt. 1-12); individua i diritti e i doveri
fondamentali dei soggetti (artt. 13-54); detta la disciplina dell'organizzazione
della Repubblica (artt. 55-139). La Costituzione italiana viene anche definita
lunga e rigida, lunga perché non si limita "a disciplinare le regole generali
dell'esercizio del potere pubblico e delle produzioni delle leggi" riguardando
anche altre materie, rigida in quanto per modificare la Costituzione è richiesto
un iter cosiddetto aggravato (vedi art. 138 cost.). Esistono inoltre dei
limiti alla revisione costituzionale. Al di sotto delle leggi costituzionali si
pongono i trattati internazionali e gli atti normativi comunitari, che possono
presentarsi sotto forma di regolamenti o direttive. I primi hanno efficacia
immediata, le seconde devono essere attuate da ogni paese facente parte
dell'Unione europea in un determinato arco di tempo. A queste, si sono aggiunte
poi le sentenze della Corte di Giustizia Europea "dichiarative" del Diritto
Comunitario (Corte Cost. Sent. n. 170/1984). Seguono le fonti primarie, ovvero
le leggi ordinarie e gli atti aventi forza di legge (decreti legge e decreti
legislativi), ma anche le leggi regionali e delle provincie autonome di Trento e
Bolzano. Le leggi ordinarie sono emanate dal Parlamento, secondo la procedura di
cui gli artt. 70 ss. Cost., le cui fasi essenziali sono così articolate:
l'iniziativa di legge; l'approvazione del testo di legge è affidata alle due
Camere del Parlamento (Camera dei deputati e Senato della Repubblica); la
promulgazione del Presidente della Repubblica; la pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale. Al di sotto delle fonti primarie, si collocano i regolamenti
governativi, seguono i regolamenti ministeriali e di altri enti pubblici e
all'ultimo livello della scala gerarchica, si pone la consuetudine, prodotta
dalla ripetizione costante nel tempo di una determinata condotta. Sono ammesse
ovviamente solo consuetudini secundum legem e praeter legem non
dunque quelle contra legem.
Pare che molte consuetudini sono contra legem e pervengono proprio da coloro che
dovrebbero dettare i giusti principi.
Tutti in pensione da "presidente emerito". I giudici della Corte Costituzionale
si danno una mano tra loro per dare una spinta in più alla remunerazione
pensionistica a fine carriera. Gli ermellini in pratica a rotazione, anche
breve, cambiano il presidente della Corte per regalargli il titolo più
prestigioso prima che giunga il tramonto professionale. Nulla di strano se non
fosse che il quinto comma dell'articolo 135 della Costituzione recita: "La Corte
elegge tra i suoi componenti, secondo le norme stabilite dalla legge, il
Presidente, che rimane in carica per un triennio, ed è rieleggibile, fermi in
ogni caso i termini di scadenza dall’ufficio di giudice". Dunque secondo
Costituzione il presidente dovrebbe cambiare ogni 3 anni, o quanto meno rieletto
anche per un secondo mandato dopo 36 mesi. Le cose invece vanno in
maniera completamente diversa. La poltrona da presidente con relativa pensione
fa gola a tanti e allora bisogna accontentare tutti. Così dagli Anni Ottanta la
norma è stata aggirata per un tornaconto personale, scrive “Libero Quotidiano”.
Per consentire al maggior numero di membri di andare in pensione col titolo da
presidente emerito, e fino al 2011 con tanto di auto blu a vita, si è deciso che
il prescelto debba essere quello con il maggior numero di anni di servizio. Il
principio di anzianità. Questo passaggio di consegne oltre a garantire una
pensione più sostanziosa rispetto a quella di un semplice giudice
costituzionale, offre anche un’indennità aggiuntiva in busta paga: "I giudici
della Corte costituzionale hanno tutti ugualmente una retribuzione
corrispondente al complessivo trattamento economico che viene percepito dal
magistrato della giurisdizione ordinaria investito delle più alte funzioni. Al
Presidente è inoltre attribuita una indennità di rappresentanza pari ad un
quinto della retribuzione", recita la legge 87/1953. Successivamente, il
legislatore è intervenuto con legge 27 dicembre 2002, n. 289, sostituendo il
primo periodo dell'originario art. 12, comma 1, della legge 87/1953 nei seguenti
termini: "I giudici della Corte costituzionale hanno tutti egualmente una
retribuzione corrispondente al più elevato livello tabellare che sia stato
raggiunto dal magistrato della giurisdizione ordinaria investito delle più alte
funzioni, aumentato della metà". Resta ferma l'attribuzione dell'indennità di
rappresentanza per il Presidente. Quella era intoccabile. Così ad esempio
accade che Giovanni Maria Flick è stato presidente per soli 3 mesi, dal 14
novembre 2008 al 18 febbraio 2009. Flick si difese dicendo che quella "era ormai
una prassi consolidata". Già, consolidata in barba alla Carta Costituzionale che
loro per primi dovrebbero rispettare. Gustavo Zagerblesky ad esempio è stato
presidente per soli 7 mesi. Poi è stato il turno di Valerio Onida, presidente
per 4 mesi dal 22 settembre 2004 al 30 maggio 2005. Ugo De Servio invece ha
tenuto la poltrona dal 10 dicembre 2010 al 29 aprile 2011, 4 mesi anche per lui.
Recordman invece Alfonso Quaranta che è stato in carica per un anno e sette
mesi, dal 6 giugno 2011 al 27 gennaio 2012. Ora la corsa alla poltrona è per
l'attuale presidente Franco Gallo, in carica dal gennaio 2013. Durerà fin dopo
l'estate?
Probabilmente no.